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Friday, June 7, 2024

GRICE ITALICO A/Z OPQR

 

Grice ed Occelo: la ragione conversazionale e la setta di Lucania -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico. Brother of Occilo di Lucania. O. held that the number III is the key to understanding the world. According to Ippolito, he also believed that in addition to the IV elements – earth, fire, air, and water – there is a fifth principle which is circular motion. Filone says that O. believes that it is possible to prove that the world is indestructible. Occelo.

 

Grice ed Occilo: la ragione conversazionale e la setta di Lucania. Roma – filosofia antica – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.  Brother of Occelo di Lucania.

 

Grice ed Ocone: la ragione conversazionale e l’implicature conversazionali dei liberali d’Italia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Benevento). Filosofo italiano Grice: “Ocone has selected Croce as the quintessential Italian liberal! That should please Oxonians like Collingwood!” -- Grice: “I like Ocone’s idea of a liberalism without a theory – ‘liberalismo senza teoria’ – that should please J. M. Jack!” --  Grice: “Speranza has  noted that if Bennett speaks of meaning-nominalism, we could well speak of meaning-liberalism.” Grice: “While meaning-liberalism requires that the limit of one’s liberty to make a sign stand for an idea is your co-conversationalist, meaning-anarchism is Humpty Dumpty (‘I didn’t know that!’ ‘Of course you don’t’) and meaning-conventionalism is the idea that there is a repertoire on which conversationalists rely!” Si occupa soprattutto di temi concernenti il neoidealismo italiano e la teoria del liberalismo. Allievo di Franchini, è borsista dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napol. Qui ha l'opportunità di lavorare direttamente nella biblioteca personale di Benedetto Croce e con l'aiuto di Alda Croce, figlia del filosofo, raccoglie e analizza il materiale scritto nel mondo su di lui. Un frutto parziale e selezionato del suo lavoro vede la luce nel volume  ragionata degli studi su Croce pubblicata dalla Edizioni Scientifiche di Napoli, che vince l'anno successivo la prima edizione del "Premio nazionale di saggistica Benedetto Croce", istituito dall'Istituto Studi Crociani. È stato direttore scientifico della Fondazione Einaudi di Roma, dalla quale è stato successivamente allontanato per le sue posizioni nazionaliste. Successivamente è entrato a far parte della Fondazione Tatarella ed è diventato Direttore Scientifico di Nazione Futura.  È anche membro del Comitato Scientifico della Fondazione Cortese di Napoli, del Comitato Storico Scientifico della Fondazione Bettino Craxi, del Comitato Scientifico dell'Istituto Internazionale Jacques Maritain e del Comitato Scientifico della Fondazione Farefuturo.  Attività e pensiero Fonda a Napoli, con un piccolo gruppo di laureati e laureandi della Federico II, cittadini sanniti e napoletani, il trimestrale "CroceVia" edito dalla Edizioni Scientifiche, che si propone di rinnovare il messaggio crociano e che entra in poco tempo nel dibattito culturale nazionale. I suoi studi crociani prendono corpo nel volume Croce, Il liberalismo come concezione della vita, pubblicato da Rubbettino nella collana “Maestri liberali” della Fondazione Einaudi di Roma. Il volume, presentando l'immagine originale di un Croce partecipe del processo europeo di distruzione delle categorie epistemiche, ha numerose recensioni. A partire dalla sua interpretazione di Croce, O. elabora la prospettiva di un liberalismo senza teoria, cioè storicistico e non fondazionistico. Il suo progetto filosofico può essere così formulato: riconquistare il liberalismo alla filosofia; ritornare in filosofia all'idealismo; ricongiungere il liberalismo con l'idealismo (si vedano, a tal proposito, gli interventi di O. nella polemica fra neorealisti e postmodernisti). In quest'ordine di discorso, O. ritiene che la critica rivolta a Croce di essere un liberale anomalo, in quanto nel suo pensiero il concetto di individuo sarebbe sacrificato, vada ribaltato: l'individualismo non è affatto consustanziale al liberalismo, ma si è legato ad esso solo in una sua prima fase di sviluppo (all'inizio della modernità). Quello di O. è un liberalismo che non prescinde né dal senso storico né dal realismo politico. Successivamente il pensiero di O. ha assunto molti caratteri propri dello scetticismo politico di Michael Oakeshott, in particolare della sua critica del razionalismo, del perfezionismo e del paternalismo. Egli ha pertanto insistito sul carattere “anticonformistico” e “eretico” del liberalismo, sulla priorità in esso del momento “negativo” o della contraddizione. La critica delle ideologie, e in particolare del “politicamente corretto”, diviene in quest'ottica il correlato pratico degli approdi antimetafisici della filosofia contemporanea. E filosofia e liberalismo finiscono per coincidere  Da ultimo, la sua riflessione ha messo a tema il significato teorico e storico dell’affermarsi dei cosiddetti “populismi” e “sovranismi”. Essi, prima di essere ostracizzati, vanno per O. capiti: pur in modo confuso e contraddittorio, lungi dall'essere un “incidente di percorso” incorso al processo di globalizzazione in atto, essi ne segnalano la definitiva crisi dell’ideologia portante: il globalismo. Questa ideologia può essere considerata una radicalizzazione coerente della mentalità illuministica e progressista, cioè da una parte del processo di secolarizzazione e razionalizzazione e dall'altra dello speculare e connesso relativismo e nichilismo. I “populismi” sono perciò per O. movimenti di reazione ai meccanismi di spoliticizzazione (e connesso “disciplinamento” in senso foucaultiano) propri della globalizzazione, che aveva definito la sua ideologia all’incrocio fra le idee di due “deviazioni” dell’autentico liberalismo: il neoliberismo, sul versante economico, e la cultura liberal sul versante di un diritto globale fortemente eticizzato. Scrive su diverse riviste scientifiche e culturali e sui maggiori organi di stampa nazionali. Attualmente è nella redazione della rivista “LeSfide”, edita dalla Fondazione Craxi, e nel Comitato editoriale dell quotidiano online “L’Occidentale”. Collaboratore de “Il Giornale” e de “Il Riformista”, è opinionista politico di “formiche.net”, “Huffpost” e “nicolaporro”. Molto seguita è la sua rubrica domenicale di riflessione politico-culturale “O.’s Corner” sulla rivista online “startmagazine”.  Un estratto di un suo articolo (Intervista a Remo Bodei, in C. Ocone, Prendiamola con filosofia, Il Mattino, è stato utilizzato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca come documento per la stesura della traccia della prova scritta di Italiano negli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore a.s. (Tipologia Redazione di un saggio breve o di un articolo di giornale2. Ambito socio-economicoArgomento: La riscoperta della necessità di «pensare»).  Nella sezione Dal dopoguerra ai giorni nostri, Percorso Il dibattito delle idee Dall'“impegno” al postmoderno, Dal periodo tra le due guerre ai giorni nostri) dell'antologia "Il piacere dei testi", editore Paravia, è contenuto il suo saggio "Né neorealisti né postmodernisti, "qdR". Altri saggi: “Coronavirus. Fine della globalizzazione” Il Giornale, Milano); “La chiave del secolo. Interpretazioni del Novecento” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Europa. L'Unione che ha fallito, Historica, Cesena, “La cultura liberale. Breviario per il nuovo secolo” Giubilei Regnani, Roma-Cesena); “Attualità di Croce” Castelvecchi, Roma,  “Il liberalismo nel Novecento: da Croce a Berlin” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Il liberale che non c'è. Manifesto per l'Italia che vorremmo” (Castelvecchi, Roma); “I grandi maestri del pensiero laico, Claudiana, Torino); “Collingwood e l’Italia” Castelvecchi, Roma); “Il nuovo realismo è un populismo” (Il Nuovo Melangolo, Genova,  (Reichlin e Rustichini) Pensare la sinistra. Tra equità e libertà, Laterza, Roma-Bari, Liberalismo senza teoria, Rubbettino, Soveria Mannelli  (con Dario Antiseri), “Liberali d'Italia” Rubbettino, Soveria Mannelli  (con altri autori) “Le parole del tempo. Lessico del mondo che cambia” Pierfranco Pellizzetti, Manifesto libri, Roma); “Spettri di Derrida, Annali della Fondazione europea del Disegno (Fondation Adami),  Il Nuovo Melangolo, Genova); “Profili riformisti. liberali per le nostre sfide” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Marx” (Momenti d'oro dell'economia"), Roma); “La libertà e i suoi limiti. Antologia del pensiero liberale da Filangieri a Bobbio, Laterza, Roma); “Croce. Il liberalismo come concezione della vita” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Bobbio ad uso di amici e nemici” (Marsilio, Venezia); “Manifesto laico, Laterza, Roma); “Lessico repubblicano” (Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, ragionata degli scritti su Croce; Edizioni Scientifiche, Napoli. Cfr. Archivio borsisti in Istituto Italiano per gli Studi Storici  Premio Croce, su mediamuseum. Comitato Scientifico, su Fondazione luigi einaudi.  Ficara, La Fondazione Einaudi allontana O. perché "filo-sovranista", su Secolo Trentino, La Fondazione, su Fondazione Giuseppe tatarella.  Organigramma, su nazionefutura.  Fondazione Cortese di Napoli in//Fondazione cortese/  Fondazione Craxi, Comitato Scientifico dell'Istituto Maritain, Comitato Scientifico e di indirizzo, su fare futuro fondazione.  rubbettino. Vattimo Pubblicazioni La recensione, Caffe' Europa, Duccio Trombadori, Questo don Benedetto somiglia a Nietzsche, su il Giornale, Il blog di VATTIMO: O. e la filosofia classica tedesca, su Gianni vattimo. blogspot. com.  La filosofia politica è una pseudo-scienza. Parola di filosofo. E che filosofo!, su reset.  Attualità di Croce su opac.,  Europa: l'Unione che ha fallito;  opac., La natura del potere svelata dal coronavirus, su il Giornale, Coronavirus: fine della globalizzazione, Store il Giornale, Fine di una storia, il ritorno della politica? su leSfide.  Chi Siamo, su loccidentale. MIUR Traccia della prova scritta di Italiano per gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore anno scolastico su archivio .pubblica.istruzione.  Il piacere dei testi  QDR Magazine Qualcosa da Raccontare, La chiave del secolo: interpretazioni del Novecento, opac., La cultura liberale: breviario per il nuovo secolo; Attualità di Benedetto Croce / O., su opac., Il liberalismo nel Novecento: da Croce a Berlin /su opac., Il liberale che non c'è: manifesto per l'Italia che vorremmo su opac., I grandi maestri del pensiero laico ntroduzione di Massimo L. Salvatori, su opac., Collingwood, Autobiografia Collingwood; prefazione di O., su opac., Il nuovo realismo è un populismo / Cesare, Simone Regazzoni, su opac., Pietro Reichlin, Pensare la sinistra: tra equità e libertà  Reichlin, Rustichini, su opac., “Liberalismo senza teoria”; su opac., “Liberali d'Italia”; Antiseri; prefazione di Giorello, su opac., Le parole del tempo; M. Barberis; P.  Pellzzetti, su opac., Spettri di Derrida opac., O., Profili riformisti: pensatori liberal per le nostre sfide opac., Marx: teoria del capitale / [visto da opac., La liberta e i suoi limiti: antologia del pensiero liberale da Filangieri a Bobbio, opac., Croce: il liberalismo come concezione della vita, opac., Bobbio ad uso di amici e nemici, opac., Manifesto laico / Enzo Marzo; contributi di S. Lariccia on un intervento di Bobbio, su opac., Lessico repubblicano: Torino, Maurizio Viroli, su opac.,  ragionata degli scritti su Croce, opac., La genialità di Marx agli occhi dei liberisti,  riconosce i pregi dell'analisi, in archivio storico.corriere Premio al Premio Croce di saggistica, in premiflaiano Ssu corradoocone.com. Grice: “Speranza calls me a liberal, but then he calls Locke and Humpty Dumpty a liberal too.” Grice: “Mussolini set a puzzle for liberalism – the Italians, disorganized as they are, had to create a party: they called it the ‘Partito Liberale Italiano’ – which is bound to close down! It opened in 1922 – while I was at Harborne!” --  Grice: “The test of a man’s intelligence lies in his ability to name his party – partito liberale italiano – partito liberale democratico – partito liberale constituzionale – the addition of ‘italiano’ at the end of ‘partito liberale italiano’ ENTAILS that what Borolli did at Florence, by founding his ‘partito liberale’ – since he omitted to add the ‘italiano’ was not the partito liberale italiano – but fiorentino at most! Similarly, the partito liberale democratico is NOT the partito liberale italiano, nor is the partito liberale costituzionale. Mussolini had it clearer: there’s only ONE partito – partito nazionale fascitsa – the infix ‘nazionale’ means that provincials should not appy!” Corrado Ocone. Ocone.  Keywords: liberali d’Italia, liberalism, dal liberalism al fascismo, il partito nazionale fascista e il partito liberale  – Refs.: Luigi Speranza: “Grice ed Ocone” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Oddi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Figlio di Oddo degli Oddi, convinto sostenitore della scuola di Galeno. Professore per incarico del Senato veneziano assieme a Bottoni a Padova, dove insegna e introduce senza ricevere emolumenti l'insegnamento della pratica clinica nell'ospedale di San Francesco Grande, precedendo così tutte le altre scuole. Commentari dell'Ateneo di Brescia  G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, coi tipi della Minerva, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dobbiamo al chiarissimo signor dottor Montesanto (Dell'origine della clinica medica di Padova ec.) la bella ed interessante notizia, che il nostro Bottoni e il suo collega Marco Oddo, calcando le traccie luminose segnate dal famoso Montano pochi lustri prima, diedero novella vita al la clinica medica nello spedale di san Francesco in Padova, condotti dalla sola nobile brama di giovare. E qui avvertire mo cogli sludiosi di medicina,che il dotto autore, dopo aver dimostrato con incontrastabile evidenza che l'Università padovana, la prima d'ogni pubblico Studio d'Europa, vanta la fondazione in essa di quella scuola, base dellamedica scien za,ci porge il documento luminoso,che tanto onora li ricor dati professori, e in particolare il Bottoni di cui favelliamo; il quale non essendo da tacersi, lo riporteremo come ci viene fedelmente e con eleganza vôlto in lingua italiana dal prelo dato signor Montesanto, che il trasse dagli Acta nationis germanicae Facultatis medicae, quae,convocata natione, prae lecta et examinata, digna judicata sunt,ut albo nationis insererentur. Consiliariis Christophoro Sibenburger Carin thio, etKeller Hallense Saxone. Manoscritto presso la biblioteca dell'Imperiale Regia Università di Padova. dette in vita Boltoni , non è da passarsi solto silenzio quello d'essere stato dal Duca di Urbino, unita mente ai altri quattro medici, chiesto del suo consiglio onde togliere la città di Pesaro e il territorio da alcu ne febbri pericolose che colà infierivano. N e taceremo , come a'dinostrisidimostròbellamente,che il Bot Merita,a comune nostro giudizio, di essere celebrato con riconoscente memoria e di venir rammentato in questo luogo il beneficio sommo impartito alla nazione nostra dall'eccellentissimo uomo Bottoni , professore primario di medicina pratica estraordinaria, il quale condotto dalla singolare benivoglienza che da più anni a noi concede, oltre all'averci anche in quest'anno dalla pubblica cattedra con ogni cura ammaestrati, a fine di giovare vieppiù alla nostra istruzione si riuni nelloscorso inverno all'eccellentissimo Marco degli Oddi, medico ordinario dello spedale di san Francesco e pubblico professore, e con esso, finite la lezione, si trasferi sempre a quello speilale medesimo seguito da toni fu, insieme al suo collega O., il primo che dopo il celebre Montano gettasse i più so noi per visitarvi parecchi infermi afflitti da diversi generi di malattie: per tal guisa egli aprissi l'adito ad accuratamente mostrarci come sido vessero applicare alla pratica quelle dottrine che avevano fatto il soggetto della sua pubblica lezione, esercitando così i suoi uditori in tutto ciò che al dotto e sagace medico appartiene di osservare e dipraticarea pro de'suoimalati. Cessate finalmente le lezioni, volendo Bottoni che neppure durante le vacanze dell'Università mancasse a noi qualche mezzo di ammaestramento, e potesse per noi esser posto a profitto il nostro tempo,egli in una determinata ora della mallina recavasi ogni giorno a quello stesso spedale :quivi, visitando alternativamente cob O. gli ammalati, andava instruendoci, ragionando intorno a qualche caso tra i più gravi da lui osservati. Il Campolongo perciò, vistosi promosso a medico di quel l'ospitale, sipropose egli pure, allafoggia de'provetti nostri precettori, di dare ogni giorno delle pratiche istruzioni: nel di susseguente alla sua nomina occupò quindiprimo di tutti con molta insolenza e temerità quel posto chesoleva essere destinato ai nostri maestri; nè, occupatolo, volle cederlo ad essi. Fermo in suo pensiero diragionare aigiovanida quel luogo, non già una sola volta, o per un giorno solamente, rinnovò la scena istessa per più giorni; e non valseroa ri muoverlo nè a piegarlo le nostre istanze, direlte a far sì ch'ei lasciasse liberi ü luogo e l'ora occupati per lo innanzi dai nostri maestri,e che per sè volesse scegliere altra ora ed altro luogo. Ma, ostinato egli oltre ogni credere, giunse, coll'insistere per le sue pratiche istruzioni, a turbare quelle solite a darsi dagli altri prima di lui. Se dal Campolongo solo avesse dovuto dipendere, tutti saremmo stati esclusi dal Mentre simili esercitazioni, con si maturo consiglio intra prese a nostro vantaggio, andavano proseguendo, un certo medicoper nome Emilio Campolongo,digiovanile età, col. lega nell Università e professore della stessa cattedra , m a in secondo luogo, d’O., riusci,non sisa come, ottenere che la ispezione a d siedeva e la cura de'malati, cui prima pre ilsolo O.,venissefra entrambidivisa, permodo che quind'innanzi gli uomini fossero medicati longo, e le femmine d’O,. dal Campo l'ospitale; il che pure minacciava apertamente di voler far si che avvenisse. La quale insolenza, divenuta già intollerabile ai signori professori Bottoni ed Oddo, meritevoli per ogni riguardo di molta stima e riverenza, li costrinse a partire dallo spedale, e con essi partirono quanti vi erano studenti della nazione alemanna,rimanendo così affatto solo ilCampolongo nel luogo da lui tolto agli altri. Informati poscia bene del fatio i governatori dello spedale , costrinsero il Campolongo con severi modi a cessare dalla sua pretesa, ingiungendogli, sepur voleva intraprendere qualche esercizio a vantaggio di taluno degli studenti, di scegliersi un'altra ora ed u n altro luogo. Cosi, mercè la prudenza dei nostri maestri e la costanza degli studenti alemanni, fu vinta l'altrui pertinacia, edinostri esercizii vennero felicementea ricominciare. Essendosi allontanati, come sogliono, dall'Università glo ltaliani per far le vacanze presso leloro famiglie, li signori Bottoni e O., eccellentissimi uomini e della nostra nazione sommamente benemeriti, affinchè far potessimo qualche profitto nello spazio di tanti mesi, continuarono le loro pratiche istruzioni quasi ogni giorno nello spedale di san Francesco sino al principio delle lezioni, con gran fatica e disagio loro, econsomma utilità nostra: della qual cosa poco io dirò, potendo bene ciascuno dalla rela. zione del mio antecessore rilevare le circostanze tutte che a ciòsiriferiscono. Aggiungasi, chevenendo nella state invitati parecchi infermi alle terme di Abano, onde rendersi vieppiù grati a'nostri, li condussero due volte colà, dando per tutti cavalli e legno il signor O., e quivi gl'instruirono circa il valore medico delleacque termali e deifanghi. Verso lafine poi dell'ottobre fattasi la stagione opportuna per le sezioni anatomiche, iBottoni e O. stabilirono di aprire i cada veri di quelle donne che morissero nello spedale ; e ciò col fine d'indagare alla presenza degli scolari le sedi e le cagioni dei mali : fu però d'uopo abbandonare ben tosto que lidi fondamenti della scuola clinica in Padova , che precedette tutte l'altre in Europa. Lasciò il nostro Bot Bottoni e O. continuarono anche nel successivo anno ad istruire nello spedale i giovani;ed in quest'anno pure vennero ad insorgere nuovi dissidii, come ce ne informano gli atti di quell'epoca, raccontandosiivi quanto segue: toni un monumento del suo buon gusto nelle arti in un palazzo ch'ei fece erigere dirimpetto alla chiesa degli Eremitani inPadova (intorno al quale allude la medaglia riportata da Tomasini(1),cheacquistatopo sto si utile divisamento,poichè, mentre tutto era disposto per eseguire nel giorno appresso la sezione di due donne, in una delle quali importava esaminare lo sluto dell'utero, e nell'altra, mortaditabe, volevasidainostri precettori scuo prire per dove penetrasse una piaga fistolosa esistente al torace, Campolongo loro emulo propose a'suoi uditori d'intraprendere in quel giorno medesimo l'anatomia dell'ute ro,esiserviper questa deidue suddetticadaveri. Nacque da ciò che i governatori del pio luogo, resi avvertiti dell’ac caduto e mossi dalle querele delle vecchie inferme, le quali temevano, morendo, di dover essere del pari anatomizzate, prescrisserotanto ad’O., quanto al Campolongo, di astenersi dall'incidere verun cadavere nell'ospitale, sotto pena di perdere lo stipendio. In onta però alle tante opposizioni promosse dalla rivalità del Campolongo contro Bottoni e O., perseverarono questituttavianell'utile loro impresa d'istruirenellapratica medicina i giovani, conducendoli al letto dei malati nello spe dale di san Francesco; poichè anche gli atti compilati dal consiglieredella nazione alemanpa Pietro Paolo Höchstetter di Tubinga, ne parlano cosi: A ciascuno di noi è palese con quanta diligenzasi diportasse ilsignor Albertino Bottoni nelle sue quotidiane esercitazioni. Ogni giorno ei ci conduceva al lettodi un nuovo malato, e c'istruiva intorno aldi lui morbo, indagandone dottamente le cagioni, esponendone i segni e le indicazioni curative, non che il prono stico :egli suggeriva inoltre non solo le più opportune medi. cine di comune uso,ma quelle altresi chela sua pratica particolare gli avea comprovate efficacissime; talche vennu ognora più a farsi manifesta la singolare bontà con cui ila più anni questo insigne uomo ci riguarda. Ond'è che,seb. bene le teorie mediche da noi apprese nelle nostrecontrade possano a tutta prima allontanarci in qualche modo dal se guire le sue lezioni, la somma sua felicità nella pratica e T'ottimo suo metodo di medicare serve però a ricondurci in. torno a lui. Marco degli Oddi. Marco degl’Oddi. Oddi. Keywords: implicature: filosofia naturale, Galeno.-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Oddi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Offredi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del lizio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cremona). Filosofo italiano. Gli era tributata grande autorità nell’ambiente filosofico. Insegna a Pavia e Piacenza. In buoni rapporti con Eugenio IV, Visconti e Sforza.  Saggi:“De primo et ultimo instanti in defensionem communis opinionis adversus Petrum Mantuanum,” S.l., Bonus Gallus,  Giambattista Fantonetti, Effemeridi delle scienze, compilate da G. netti, Paolo- Molina, Rinascimento, Istituto nazionale di studi sul Rinascimento, Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, raccolte da G. Robolini, pavese, Fantonetti, Effemeridi delle scienze mediche, compilate da Fantonetti, Molina. OFFREDI CREMONENSIS ABSOLVTISSIMA COMMENTARIA [ocr errors] VNA CVM QVAE STIONIBVS IN PRIMVM ARISTOTELIS Posteriorum Analyticorum librum, Nunc primum mendis oinnibus expurgati, et egregijs  scolijs marginalibus illustrata, AC DVOBVS INDICIBVS, ALTERO, Qy I RES IN COMMENTARIIS  tractatas, altero, qui quastionum capita copiosissime comple&titur, PRAETERE A DVPLICI TEXTVS ARIST. INTERPRETATIONE  AVCTA IN LVCM RE DEVNT A PRAECLARISS. DOCTORIS Hoc aut contingit propter posibilitatem intellectus D  APOLLINARIS CREMONE N. noftri, qui à principio est sicut tabula rasa, & non. 3. de anima tex. in librum primum Posteriorum mouetur ad intelligendum, nisi de potentia ad actí cap.is. reducatur sic autem intelligentia non cognoscunt, Aristotelis, exposition cum semper in actu intelligendi existant, & eodem modo et nunquam in potentia. Bruta etiam non  Mnis doctrina, et discurrunt saltem discursu pfe&to, quamuis in prin-  omnis disciplina incipiosint in potentia ad cognoscendum, & hoc est  telleştiua , ex præpropter imperfectum eorum modum cognoscendi;  existenti fit cogni- Concedi tamen potest, q aliquo modo, et impertione. Manifestum feétè discurrunt. Ex quo infertur, g per idem medium euidenter concludere habemus, nostrum mia est autem hoc specu dum cognoscendi imperfectiorem esse modo intelitia látibus in omnibus; gentiarī, et perfectiorem modo brutorum, per hoc. f. mathematicæ enim scientiæ per hunc cum difcurfu cognoscimus, qualiter neq; intelli-  modum fiunt, & aliarum unaquæq; argentia, neq; bruta cognoscunt. Cũigitur intellectui  tium. Similiter aút & orationes,quæ p nostro sit potentia semper admixta, et cūdiscursu syllogismum, et quæ per inductionem; scientiā acquirat, in discursu autem error, et recti-  utræq; enim per prius nota faciunt do tudo esse poffit, vbi etiam est admixta potentia, malum, ö error cötingere poffit, vt colligitur de mente e &rinam; hæ quidem accipientes,tanğà Arift.g meta. cum dicit, q malum   naturaliter eft tex.6. 19 B  notis, illä uerò demonstrātes uniuersale poft potentiā, & vlterius dicit, g in rebus æternis, perid, quod est manifestum singulare que  semper sunt actu, non est malum, neque error, Similiter aút, et rhetoricæ persuadent: oportuit artem inuenire,qua in a&tibus rationis di-  aut enim per exemplum, et est Inductio: rigeretur humanus intellectus in acquirêdo notitia  aut per enthimema, quod quidem est vnius, ex notitia alterius, et hæc fuit Ars Logicæ. Cum autem triplex sit intellctus operatio, quarum syllogismus secunda primam fupponit, et tertia secundā vt colli Mnis doctrina,omnisý disciplina gitur 3. de anima (Prima est simpliciü intelle&tio, Tex. c.at. Secunda est simplicium compositio, vel divisio. Tertia intellettina preexistente è co- est cognitio discursive His tribus operationibus sed priores dus gnitione fit. Id, fi omnes que tres correspondent logicæ partes, quarum prima magis conuenite fiant pacto consideremus,mani- habetur in lib. prædicamentorum Arist. G admi- Lui, quatenus in feftum profeito fiet. Mathematica nang; niculis ipsius scilicet lib. vniuersalium Porphiri, tellcdwet. fcientiæ illo comparantur modo, caterarú ý lib. sex principiorum , obi logicè determinatur artium vnaquaque. Sanè circa orationes de generibus, &  speciebus predicamentorum , prout quoque, fiueille p raciocinationes fiue per cunda est, quæ habetur in lib. Peryhermenias, vbi de cognitione quadam simplici cognosci habent, sem inductioncm fiunt, feruari modusidem fo- propositione determinatur, et speciebus ipfius tàną let: in utrisq; nanque, per antea nota doctri de inftrumento aliquid compositiuè, vel divisiuè co-  C F  na nimirum fit, quippe cum in altera tanğ gnoscendi. Tertia verò in alys Logicelibris conti-  à cognofcétibus propofitiones accipiantur, netur, qui cõmuniter Ars Noua dicuntur, vbi de  in altera per singulare iam notüipfum vni. instrumento determinatur, quo discurrere debet in  versale oftendatur. Simili profe&to modo, telle&tus,o3. de syllogismo, es consequenter de alijs modis arguendi. Diuiditur autem tota illa pars hoc Goratoria rationes fuadent, aut .n.exem  modo , quia ficut in a&tionibus Nature diuersitas plis,quod est inductio,aut enthymematibus reperitur, quxdam .n. funt, qua ex neceffitate fiunt, g&quidē ratiocinatio est, facultas ipsafolet quædam vi plurimum, quedam vero raro (propter oratoria fuadere. defe&tum aliquem in natura,ficut monftra ) sicin   discursibus rationis quidam sunt, in quibus est nePro inductione expositionis huius libri Pofte- cefsitas, & ifti cum rectitudine rationis habentur. riorum , fub brevitate, videnda funt quædam, v3. Ală sunt , per quos vt plurimum verum concludiqua fuerit necessitas, logicam inueniendi, et confetur, non tamen necessariò. Alij verò funt, in quiquenter fcienciam huius libri, Quis ordo huius libribus eft defectus rationis propter alicuius principi ad cæteros libros logica Arist. Quis libri titulus,et defecttum. Pars logice, in qua de primis determiquid fubie&tú, & fic consequenter habebuntur ipsius natur, iudicatiua dicitur, & eft illa,quæ traditur in Non pigeat hoc cause. Quantū ad primum fciendum est primò, q libris Priorum,& Pofteriorī,dita autem' est iudiloco videre Aszi cum modus nofter cognoscendi fit medius inter mon catiua à iudicio, eo q iudicium eft cum certitudine. dum intelligentiarī, er modum Brutoră, ab vtrifq; Vocata etiam eft analetica .i. refolutoria, co gisa  diftinguitur in hoc, g intelligimus cum discursie. dicium certum de effe&tibus baberi nö poffit,nisifiat. Con quelle stravaganze ed empietà iusegnavasi cercare col commercio de'demonj , colle magie e le incantagioni i rimedj delle malattie, e le maniere di preservarsene. Meritavano maggior illustrazione e lode altri insignim e dici Cremonesi di questo secolo. Apollinare Offredi s o lenne filosofo, astrologo e medico, lettore di metafisica nello studio di Pavia e di Piacenza, caro ed accetto ad Eugenio IV, Filippo Maria Visconti eFrancescoSforza. A Filippo Maria protettor suo dedica O. i suoi Commentarj di Aristotile sull'anima, stampati poi in Milano, sui quali piacemi di trascrivere il giudizio che ne fece l'illustre mio concittadino ed amico Poli. Con quest'opera, dic'egli, pre venne O. in alcuni principii sull'origine delle idee lo stesso Locke, ecome quegli che appartenendo a quell'onorata famiglia de'filosofi peripatetici italiani, che al melodo naturale e sperimentale aggiunsero quello della critica e delle proprie dottrine aveva proposto nuove ricerche superiori al suo secolo, e di cui van tanto gloriose le scuole moderne. I n p rova di che il prof. Poli ne'suoi saggi, e nella sua storia della filosofia ita liana riferisce alcune proposizioni filosofiche dell'Offredi tratte dalle opere sull'esposizione e sulle questioni de’libri d'Aristotele de anima (che ebbero poi tante edizioni), dalle quali scorgesi come l'Offredi svincolasse la filosofia dall'impero dell'autorità, e la posasse sul sentiero della libera e coscienziosa verità. Quanto alla medicina Apollinare e celebrato per cure maravigliose fra i migliori medici del suo tempo, e pubblicava al cune opere, di cui puoi vedere i titoli nell'Arisi. Il  312   Elogia clariss. virorum Collegii Pisan.1750 negliopuscoliscientificidelCalogerà). Secondo Volaterrado e Spacchio non scrive quest'Offredi opera alcuna. Ma Ficino ne fa onorevole menzione in una sua lettera del lib. V, ove dice che dalla salvezza dell'Offredi dipende quella della filosofia de' suoi tempi. Non ricordato pure da'vostri sto rici e biografi trovo Baccilerio Tiberio che è solo a c cennato nella Biografia medica di Parigi, da cui apprendesi ch'egli fu professore di medicina a Bologna, Ferrara, Padova e Pavia, e muore in Roma. Scrive un saggio intitolato Commentarii sulla filosofia di Aristotele e di Averroe, che non sembra es sere giammai stato impresso. Poche cose i nostri biografi ci tramandarono di Albertino de Cattanei o de Chizzoli o Plizzoli da non confondersi coll'altro Albertino di S. Pietro. Il Cattanei la dottissinio in varie scienze, dottrine e lettere, e professore straordinario di filosofia, fisica, etica e teologia prima a P a dova indi a Bologna, poi difilosofia morale e di medicina nello studio di Ferrara e di Pisa collo stipendio di 495 fiorini d'oro (Alidosi, Borsetti Storia del ginnasio di Bologna e di Ferrara. Fabbrucci, op.cit., in Calogera). Ficino lo chiama doctrinæ et honestatis exemplar; e lascia alcune opera accennate dall'Arisi. BOEZIO, Hugues de St Victor, Alberto il Grande di Bollstädt e Alberto di Sassonia, AQUINO, Egidio Colonna, Guglielmo d'Alvernia, Enrico di Gand, Henricus de Gandano, Roberto Vescovo di Lincoln detto Testa Grossa, il francese Gianduno o da Jandun contemporaneo e amico di Marsilio da Padova e di Pietro d'Abano. Giovanni Duns Scoto e Antonio d'Andrea, Antonius Andreae Scotista, il Burleusossia Burleigh, Pietro d'Abano ossia Concilialor differentiarum, Buridano, Vio, Gregorio di Rimini (Gregorius Ariminiensis generale degli Agostiniani nominalisti), Jacopo da Forlì e Gentile dei Gentili discepolo di Taddeo fiorentino filosofi e medici del medesimo secolo; knalmente Pietro da Mantova logico, PaoloVeneto filosofo, Apollinare Offredi --filosofo e Pietro Trapolino da Padova uno dei maestri di Pomponazzi autore di un'opera De Ilumido Radicali, tutti del 15.0 secolo. Il Nifo e l'Achillini sono citati nelle Questioni aggiunte. Di Marliano milanese detto il Calcolatore fanno menzione anche i suoi libri anteriorie stampati especie quello Deintensione el remissione formarum. La maggior parte di questi Commentatori sono noti e annoverati sia nelle storie della Filosofia e della Letteratura, sia nelle Biografie universali, e nelle Enciclopedie. Pietro d'Abano è uno dei più citati e studiati dal Pomponazzi;è famoso e una sua accurata biografiafral'altresitrova nella Storia scientifica o letteraria dello Studio di Padova del Colle.Sopra Jacopo da Forlì che fu professore a Padova è da notarsi al proposito di questo lavoro che egli è autore di un De Intensionc  339  titolo più particolare che sta in testa alla prima pagina dopo l'indice delle Questioni si rileva che esso pure si riferisce ai corsi dati dal Pomponazzi sul De Anima a Bologna. Difatti il detto titolo è il seguente: “In nomine individuae Trinitatis incipiunt quaestiones animasticae excellentissimi artium et medicinae doctoris, domini Magistri Petri Pomponatii Mantuani philosophiam ordinariam in bononiensi Gymnasio legentis. Sventuratamente il Codice di Firenze non ha che 57 fogli invece di 267 che ne ha quello di Roma, e delle 79 Questioni di cui contiene l'indice, 34 soltanto e non senza lacune vi sono trattate; queste corrispondono generalmente per l'ordine in cui si ccedono, alle prime del Codice di Roma, ma non sempre e talvolta con parole diverse. Le Questioni del Codice di Roma sono 114 ed esauriscono tutto il trattato di Aristotele, quelle del Codice di Firenze non vanno guari al di là della metà dello scritto aristotelico e nelle 34 che sono esaminate e risolute non sono comprese le più importanti dell'Indice come sarebbe quella della Immortalità dell'anima,soggetto del libro famoso che porta questo titolo. Da un opuscolo del Brunacci è accertato che a Padova ilPomponazzi comincið et Remissione Formarum , come il Pom ponazzi,manoscritto registrato dal Tommasini nelle sue Bibliothecae Palavinae manuscriptae publicae el privatae, Utin, L'Apollinare, Pietro da Mantova e Paolo Veneto sano più d'una volta dal Pomponazzi citati insieme; e di fatto sono tutti e tre in parte della loro vita contemporanei. Paolo Veneto ha fiorito nella prima metà del secolo XV ed è stato professore a Padova; la sua Somma di Logica e isuoi Commenti supra l'Organo sulla Fisica di Aristotele e specialmente sul De Anima furono celebri e c m mendatissimi. Di esso parlano il Tiraboschi e il Papadopoli (Storia dell'Università di Padova) e Poli nel Supplemento IV al Manuale della storia della Filosofia del Tennemann. L'Apollinare e della famiglia Offredi o degli Orfidii da Cremona (Vedi Francesco Arisi, Cremona literata, Parma e Tiraboschi, Storia della Letteratura italiana); fiori verso la netàdel!V°secolo; ebbe fama grandissima e fu chiamato l'anima di Aristotele. Risulta dal De Anima del Pomponazzi a Carte che su discepolo di Paolo Veneto « Paulus Venetus et Apollinaris ejus discipulus ». Fu difensore della filosofia Cristiana contro l'Averroismo; insegnò a Piacenza evi fu aggregato al Collegio medico. Il suo Commento al De Anima di Aristotele esiste manoscritto nella Biblioteca palatina di Firenze. Esso fu stampato più volte; la prima edizioneè di Milano  (Vedi il Tiraboschi e il Sassi, Storia della Tipografia milanese). In un volume stampato a Venezia  (esistente nella Biblioteca Alessandrina di Roma) da Boneto Locatelli si trovano 1.o la Logica di Pietro da Mantova; 2.o il trattatello di questo professore sul primo e l'ultimo istante (“De primo et ultimo instante”) citato dal Pomponazzi nel suo “De Anima” ; 3.o un trattato responsivo di O. Apollinare da Cremona al Mantovano in difesa della opinione comune; 4.° un commento del Menghi alla Logica di maestro Paolo Veneto. Le due opere del Mantovano portano questi titoli. Viiri praeclarissimi ac subtilissimi logicim a incipit feliciter. Incipil sublilissimus tractalus ejusdem deinslanli. Il trattato dell'Apollinare ha per titolo “Illustris philosophi et medici Apollinaris Offredi Cromonensis de primo et ultimo instanti in defensionem communis opinionis adversus Petrum Mantuanum seliciler incipil. Ecco il principio di quello del Mantovano che il Pompovazzi cita colle parole Petrus de Mantua o Mantuanus concivis meus: Incip il sublilissimus Tractatus ejusdem (Magistri Petri Mantuani) de instanti. Dicemus primo naturaliter loquentes, quod sola forma secundum se el quam libel sui proprietatem potest incipere el desinere esse. Materia enim prima est ingenita el incorrutlibilis: el non plus esl,  -sul “De Anima” un corso che non potè finire. Forse ad esso si riferiva il manoscritto che Tommasini (Bibliothecae Patavinae publicae et privatae) dice di aver veduto nella libreria privata del Rodio. Quanto a quello di Firevze, il titolo ci avverte, come abbiam detto, che esso deriva come quello di Roma dall'insegnamento psicologico del Pomponazzi a Bologna.Si troverà nell'Appendice l'indice delle questioni che vi sono registrate. È certo in ogni modo che il manoscritto di Roma è il Commento intero del Pomponazzi sul De Anima di Aristotele, e ciò che più monta e risulta dalla data apposta alla fine del medesimo, è l'opera della sua età matura, l'espressione più completa del suo insegnamento più importante, il corso da lui dato o compiuto sul “De Anima”, nel tempo che segnò l'apice della sua attività, in quell'anno 1520 in cui egli stesso datava dalla Cappella di S. Barbaziano in Bologna il De Naturalium Effectuum Causis, fu ilvelerit de materia prima in rerum natura quam nunc sil, velminus. Secundum tamen verilalem (cioè la fede) malaria ali quando desinil esse ulinc onsccralione, plusaulem velminusali quando est de forma tam subslunliali quam accidentali. Sed hoc proposilum non destruil. Er quo sequilur quod si aliquod ens nalurale incipil vel desinil esse, ipsum incipil vel desinit esse propter cjus formam substanlialem quae incipit vel desinit esse. Premessa la eternità della materia, tutto il trattato si aggira sulle difficoltà e le antinomie che possono sorgere dalla applicazione delle categorie del moto e della quantità alla generazione e alla cessazione delle forme nella materia, e specialmente dalla relazione della materia con la forma nei virenti. La qualità delle argomentazioni giustifica la parola sublilissimus aggiunta al titolo del Trattato e ricorda i ragionamenti della Scuola Eleatica e specialmente di Zenone sul moto. Questo libro è uno dei più curiosi esempii dell'ardire pur troppo sterile quanto ai risultati o b biettivi,ma non infecondo quanto alla ginnastica della mente,con cui la Dialettica del Medio Evo e della Rinascenza si accinse alla soluzione dei problemi più difficili. Nel manoscritto di Firenze sopracitato come anche in quello che qui facciamo conoscere Pietro Mantovano è spesso designato colle iniziali P. M. Il Sig. Fiorentino è rimasto dubbioso se queste let tere indicassero Pietro Manna cremonese, che il Pomponazzi nell'Apologia chiama viracerrimi in genii gravissimique judicii. Essendo il Manna cremonese, è chiaro che il Pomponazzi non poteva chiamarlo concivis meus. Di Pietro Trapolino, il più celebre dei due Trapolini che il Pomponazzi ebbe per maestri, ecco ciò che dice il Papadopoli nella sua storia dell'Università di Padova. Petrus Trapolinus Patavii nalus patricia genle philosophus, malhemalicusel medicus declinante Saeculo XV celeberrimus, Medicinam in Gymnasio palrio professusesl ut constatex Albis gymnasticis. Vixilannos LVIII; vivere desiitan. MDIX caipsadiequa caplum direplumque Patavium estab exercilu Maximiliani, in eaquererum catastrophe quaemulla conscripseralperiere. Superesiquem juvenis ediderat liber de Ilumido radicali. Di Trapolino suo precettore in medicina Pomponazzi parla nella12a delle sue Du Vilazioni sopra il4o dei Meteorologici di Aristotele adducendo le difficoltà che egli scolaro gli opponera su certe cause della mutazione delle forme nei misti. Ivi l'autore avvicina Trapolino a Gentili, a Forlì e a Marsilio di Santa Sofia altri rinomati professori di Padova. Di Roccabonella che fu pure suo maestro è menzione alla fine del De Falo. Finalmente di Francesco di Neritone altro suo professore oltre al cenno che ne fa. Grice: “Italians are rightly obsessed with Pomponazzi. They complained he looked more ‘a Jew than an Italian,’ but he predates Ryle’s Concept of Mind. One of his influences is Offredi, a lizii – who wrote not just on Aristotle’s De Anima (a manuscript Pomponazzi consulted) but who himself set to defend Pomponazzi – to prove that he was a real lizio, he wrote on Analytica Posteriora too – “Only a true lizio will comment on that!” -- Offredi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Offredi,” The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Olgiati: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei classici – filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Busto Arsizio). Filosofo italiano. Grice: “I’m impressed that Olgiati dedicated a whole tract to the idea of ‘soul’ in Aquino!” Si forma presso Seminari milanesi. Collabora con Gemelli e Necchi alla Rivista di filosofia neo-scolastica e fonda con loro il periodico Vita e Pensiero. Insignito da Pio XI del titolo di Cameriere Segreto e da Pio XII di Proto-notario Apostolico. Inoltre assieme ad Gemelli, uno dei fondatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Presso tale ateneo insegnò nelle facoltà di Lettere, di Magistero e di Giurisprudenza. Condirettore della Rivista del Clero Italiano insieme a Gemelli. Autore di saggi relativi sulla religione e l’istruzione. I suoi allievi più illustri sono Melchiorre e Reale. Tomba di Gemelli mons. O.. Il libro Le lettere di Berlicche, scritto da Lewis, oltre ad essere dedicato a Tolkien, è dedicato anche a O.. Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte — Università Cattolica del Sacro CuoreLa storia: Le origini, su uni cattolica. Saggi: “Religione e vita” (Vita, Milano); “Schemi di conferenze” (Vita, Milano); “I fondamenti della filosofia classica” (Vita, Milano); “Il sillabario della Teologia” (Vita, Milano); “Il concetto di giuridicità in AQUINO” (Vita, Milano); “Marx” (Vita, Milano); Il sillabario della morale Cristiana” (Vita, Milano); “Il sillabario del Cristianesimo, Vita, Milano) b I nuovi soci onorari della Famiglia Bustocca. Almanacco della Famiglia Bustocca per l'anno 1956, Busto Arsizio, La Famiglia Bustocca, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia. Francesco Olgiati. Olgiati. Keywords: classici, il gusto per l’antico, ius, Aquino, sillabario, filosofia classica, filosofia no-classica, logica classica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Olgiati” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Olimpio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He lives in the middle of nowhere. When he finds his city became an uncomfortable place for pagans, he moves to Rome.

 

Grice ed Olivetti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’archivista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “Olivetti deals with some topics dear to me and Strawson, like subject, transcendental subject, and the rest – he also uses ‘analogy,’ which is a pet concept of mine – I have been compared to Apel, so the fact that Olivetti in his ‘conversational’ approach relies on him, helps!” - Professore a Roma -- preside della Facoltà di filosofia. Formatosi a Roma, confrontandosi con i temi del rapporto fede e ragione nell'ambito di un collegio di docenti orientato sul versante marxista, storicista, postidealista, trova in ZUBIENA il suo maestro. Con lui iniziò una collaborazione intellettuale che lo porta a studiare i temi della filosofia della religione, partecipando ai colloqui romani inaugurati dal filosofo piemontese, dapprima come segretario e poi, dopo la morte di ZUBIENA come organizzatore. Dopo iniziali studi di estetica religiosa e di filosofia classica tedesca, si dedicò alla ricerca di un approccio neo-trascendentale al tema della religione, insegnando filosofia morale a Bari e poi sostitundo Zubiena nella cattedra romana di filosofia della religione. Giunse dopo l'incontro decisivo col pensiero di Lévinas, ad elaborare una concezione di questa disciplina come antropologia filosofica e etica in quanto «filosofia prima anzi anteriore» su base storica, nata dalla dissoluzione in età tardo settecentesca, soprattutto ad opera di Kant e Hegel, della onto-teologia. Molta rilevanza aveva nel suo insegnamento lo studio dei classici tedeschi, in chiave storica, e da ultimo il confronto sia con la fenomenologia, specie con Lévinas e Marion, sia con la filosofia analitica. In Analogia del soggetto, la sua opera maggiore, l'autore elabora una teoria analogica del soggetto, riprendendo suggestioni di Husserl, Apel e Lévinas, confrontandosi con Heidegger e suggerendo una teoria dell'"umanesimo dell'altro uomo" su base staurologica ed etico-interinale («espropriarsi del caritatevole nell'interim interlocutivo» ibidem).  La tesi è che non esiste un'essenza dell'essere umano. Tale essenza è immaginata, e senza siffatta immaginazione l'essere e l'umano non si coapparterrebbero. Così si dice, in un certo senso la fine dell'etica. Tuttavia così si dice anche che l'etica, e non l'ontologia, è la filosofia prima, anzi anteriore. Di seguito l'autore prospetta un ripensamento del soggetto trascendentale, con un differimento dell'ergo rispetto al cogito cartesiano, partendo dal “loquor,” ovvero «dall'origine analogica di ogni logica, in modo da scomporre la presenza trascendentale in sum-prae-es-abest. Si perverrebbe così all'abbozzo di un «ripensamento dell'appercezione trascendentale, in modo tale da reimmettere il pensiero rappresentativo nella giusta traccia della rappresentazione. Attività accademica e influenza Direttore dell'Istituto degli Studi Filosofici Castelli e poi dell'"Archivio di Filosofia", si fece promotore di colloqui e convegni nei quali conveniva, a Roma, ogni due anni, nei primi giorni di gennaio, l'élite della filosofia della religione europea e mondiale (Ricœur, Marion, MATHIEU, Quinzio, Melchiorre, Lévinas, Lombardi Vallauri, Forte, Casper, Dalferth, Greisch, Capelle, Courtine, Falque, Grassi, Paul Gilbert, S.J. Stéphane Mosès, Flor, Prini, Peperzak, Swinburne, Gabriel Vahanian, Hénaff, Vitiello, Tilliette, Henry, Taylor, tra gli altri). Nelle sue prolusioni e nei suoi contributi introduttivi si prospettava lo sfondo su cui si sarebbero esercitati i contributi e le discussioni del Colloquio, di seguito pubblicati in numeri monografici della Rivista "Archivio di Filosofia". I temi trattati erano spesso centrali nell'elaborazione di una filosofia della religione come filosofia tout court e abbracciavano, negli anni ottanta e novanta del Novecento, temi centrali come "Teodicea oggi?", l'argomento ontologico, l'Intersoggettività, il Dono, la Filosofia della Rivelazione,il Sacrificio, il Terzo. La sua personalità riservata entro l'ambito strettamente scientifico e il rigore speculativo dei suoi scritti non ne hanno favorito una conoscenza pubblica al di là dei circuiti accademici, e il suo insegnamento ha lasciato un traccia significativa costituendo una vera e propria scuola di filosofia della religione.  Saggi: “Il tempio simbolo cosmico” (Milani, Padova); “L'esito teo-logico della filosofia del linguaggio” (Milani, Padova); “Filosofia della religione come problema storico” (Milani, Padova); “Da Leibniz a Bayle: alle radici degli Spinoza briefe, “Archivio di filosofia”; “Analogia del soggetto” (Laterza, Roma); "Filosofia della religione" in La filosofia, Le filosofie speciali (Pomba, Torino); Avant-propos, in Le Tiers, Archivio di Filosofia Archives of Philosophy, Considerazioni introduttive sul tema: Postmodernità senza Dio?, in «Humanitas»  a.c. di Ciglia e De Vitiis Traduzioni e curatele:  Kant I., La religione entro i limiti della sola ragione, Romam Laterza); “La religione nei limiti della sola ragione, I.Kant (Laterza, Roma); “Saggio di una critica di ogni rivelazione, con introduzione Fichte, Laterza, Roma) ; Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Francesco Valerio Tommasi, Archivio di filosofia », Tommasi, Le persone, infiniti fini in sé. Un ricordo lettore di Kant, « Studi Kantiani », Filosofia della religione Fenomenologia Ontologia Teologia Fede Ragione  Bruno Forte, Del sacrificio e dell'amore_In memoria, su, Tributo dell'Roma, Istituzioni collegate, su filosofia.uniroma1.  E. Giacca: un filosofo della religione", Giornale di filosofia, su giornaledifilosofia.net. Archivio di filosofia, su libraweb.net. Marco Maria Olivetti. Oivetti. Keyword: implicatura, l’archivista -- “philosophy of language.” Cratilo, teologia del linguaggio, esito teo-logico della filosofia del linguaggio, la religione razionale secondo Kant, l’idea de fine – autonomia, il regno dei fini in Kant, religione e linguaggio, l’esito teologico della filosofia del linguaggio, Jacobi.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Olivetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Olivi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Undine). Filosofo italiano Medico e storico italiano. Anche filosofo. Enrico Palladio degl’Olivi.

 

Grice ed Onato: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean. Fragments from his treatise survive. Grice: “But since they are in Greek, CICERONE refuses to study him!” -- Onato. Onata. Onato.

 

Grice ed Onorato: la ragione conversazionale del cinargo romano – Roma – filosofia italiana. Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.A member of the Cinargo who takes to the habit of wearing a bearskin. Onorato

 

Grice ed Opillo: la ragione conversazionale e l’orto romano -- l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Segue l'indirizzo dell’orto. Liberto di un membro dell’orto, insegna filosofia, ma sciolge la sua scuola per seguire Rutilio Rufo a Smirne, ove compose varie saggi, fra le quali Musarum libri IX. Aurelius Opilius. Ueber die Schreibung “Opillus” statt “Opilius” vgl. F. Buecheler, Rhein. Mus. Opilius lehrte zuerst Philosophie, dann Rhetorik. endlich Grammatik. Später löste er seine Schule auf und folgte dem P. Rutilius Rufus ins Exil nach Smyrna. Hier schrieb Opilius unter anderem ein Werk von neun Büchern mit dem Titel “Musarum libri IX”. Nach den Citaten, die daraus von Gellius und besonders von Varro, Festus und Julius Romanus gemacht werden, muss er sich besonders mit Worterklärungen befasst haben. Ferner erwähnt Sueton einen Pinax mit dem Akrostichon „Opillius"; da wir wissen, dass sich Opilius mit Scheidung der echten und unechten Stücke des plautinischen Corpus abgab, werden wir diese Schrift dafür in Anspruch nehmen dürfen. Zeugnisse. «) Sueton, de gramm. Aurelius Opilius, Epicurei cuiusdum libertus, philosophiam primo, deinde rhetoricam, nocissime premmetiram docuit. dimissa autem schole Rutilinm Rufum damnatum in Asiam secutus ibidem Smyrnae simulque consenuit compositque variae eruditionis aliquod volumina, ex quibus novem unius corporis, quia scriptores ac poetas sub clientela Musarum indicaret, non absurde et fecisse et inscripsisse se ait ex numero divarum et appellatione. huius cognomen in plerisque indcibus et titulis per unam (L) litteram scriptum animadcerto, rerum ipse id per duas effert in parastichide libelli, qui incribitur pinax 3) Musarum libri novem. Gellius, Aurelins Opi-lines in primo librorum, ques Mexerum inceripoit (über indutine). Bei Varro de lingua lat. wird er unter dem Namen Aurelins angeführt (proefica; i, 106, unter dem Namen Opilins Vgl. H. Usener, Rhein. Mus., Bei Festus wird er citiert als Aurelius Opilius, dann als Opilius Aurelius, ferner als Aurelio, endlich als Opilius, O. M. Vgl. R. Reitzenstein, Verrianische Forschungen (Bresl. philol. Abh.). Charis. (Julius Romanus) Gramm. lat., 1 at ait Aurelius Opilius. Aurelio plaret. Vgl. O. Froehde, De C. Julio Romano Charisii anctore (Fleckeis. Jahrb. Supplementbd.) Der lirres Vgl. F. Ritschi, Parerga, Zu den Verfassern von indices plautinischer Stücke rechnet Gellius, auch ungeren Aurelius. F. Osann, Aurelius Opilius der Grammatiker (Zeitschr. für die Altertumsw.); G. Goetz, Pauly-Wissowas Real-encycl. Bd. 1 Sp. 2514. Die Fragmente bei E. Egger, Lat. serm. vet. rel. und Funaioli (Oben v. u. ist statt (C'os.)* zu lesen. denn P. Rutilius Rufus war Cos.). Grice: “Since he was a ‘liberto,’ CICERONE refuses to study him!” -- Opillo

 

Grice ed Opocher: la ragione conversazionale l’implicatura conversazionale della giustizia – IVSTVM QVIA IVSSVM – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Treviso). Filosofo italiano. Grice: “There are two points that connect me with Opocher: ‘individuality’ in Fichte, since I love the problem of the in-dividuum, perhaps influenced by my tutee Strawson (“Individuals!”) – and Opocher’s ‘analisi’ as he calls it, of the ‘idea’, as he calls it, of ‘giustizia’, particularly in Thrasymachus, for which I propose an eschatological study!” -- Enrico Giuseppe Opocher. Con Ravà e Capograssi è considerato uno dei maggiori filosofi del diritto italiani del Novecento. Nacque da Enrico Giovanni, ginecologo. Durante la Grande Guerra la famiglia, timorosa dei bombardamenti, si trasferì dapprima nella periferia di Treviso, quindi a Pistoia presso una parente. Gli anni successivi riportarono un clima di serenità e agiatezza, nel quale Enrico crebbe, dividendosi tra la città natale e Vittorio Veneto, meta delle sue vacanze estive.  Dopo il liceo fu avviato, secondo il volere del padre, agli studi giuridici, benché fosse decisamente più inclinato verso la filosofia. Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza a Padova, ma continua a coltivare i propri interessi personali seguendo le lezioni di filosofia del diritto tenute dRavà. Sotto la guida di quest'ultimo stilò una tesi su La proprietà nella filosofia del diritto di Fichte, con la quale si laurea brillantemente. Ottenuta la libera docenza, vinse il concorso per la cattedra di filosofia del diritto presso la facoltà di giurisprudenza a Padova, succedendo a Bobbio che in Veneto era divenuto segretario regionale del Partito d'Azione. Nell'ateneo padovano insegnò ininterrottamente per quarant'anni, tenendo lezioni per i corsi di filosofia del diritto, di storia delle dottrine politiche e di dottrina dello stato Italiano.  È ricordato in maniera particolare per i suoi studi sull'idea di giustizia, e sul rapporto tra diritto e valori, nonché per la redazione di un celebre manuale, Lezioni di filosofia del diritto, usato da generazioni di allievi.  Fu magnifico rettore dell'Università. È stato Presidente della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica. Influenzato dall'amicizia con il cattolico Capograssi e col laico Bobbio, fu azionista con Bobbio e Trentin, condividendo (a Palazzo del Bo) le attività cospirative della Resistenza locale. Nel dopoguerra rimase amico stretto di Trentin e di Visentini, divenendo a sua volta il maestro di Toni Negri.   Saggi:“Individuale” (Padova, MILANI); “Esperimentato” (Treviso, Crivellari); “Giusto” (Milano, Bocca); “Filosofia del diritto” (Padova, MILANI); “Gius-to” (Padova, MILANI); “Gius-to” (Milano); Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fulvio Cortese, Liberare e federare: L'eredità intellettuale di Silvio Trentin, Firenze University Press, 2citando D. Fiorot, La filosofia politica e civile – filosofia CIVILE --.  in Scritti, G. Netto, Ateneo di Treviso, Treviso, Vedi G. Zaccaria, Il contributo italiano alla storia del Pensiero, Padova, I rettori Unipd | Padova, su unipd. Denominazione attuale: Società Italiana di Filosofia del Diritto, vedi.  Giuseppe Zaccaria, Il Rettore della tolleranza, in La Tribuna di Treviso, Toni Negri: «Un uomo davvero libero nell'università chiusa degli anni '60», in [Il Mattino di Padova] Giuseppe Zaccaria, Ricordo  Omaggio ad un maestro, Padova, MILANI, 2Giuseppe Zaccaria, Il contributo italiano alla storia del PensieroDiritto, Società Italiana di Filosofia del Diritto, su sifd. Grice: “Opocher is concerned with ‘iustum quia iussum,’ which while transparent to Cicero as analytically false a posteriori, it is just impossible to express in Anglo-Saxon or English. Both iustum and iussum come from the same root. So what is just is what is commanded. The principle of positivism. Opocher finds this all too easy, so he rather examines Fichte, who tries to express in his vernacular vulgar (Recht, Wesen, Gemein Wesen, and so forth) all the ideas of contractualism – a contract between a ego and alter – on the wake of the beheading of Marie Antoinette!”. Opocher. Keywords: giustizia – fairness, gius, il concetto di gius nel diritto romano, iustum non quia iussum – verbal aspect here --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Opocher: giustizia del neo-Trasimaco.”

 

Grice ed Opsimo: la ragione conversazionale e la setta di Reggio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A Pythagorean cited by Giamblico. Grice: “Cicerone said that in proper Italian, his name was Ossimo!” -- Opsimo.

 

Grice ed Orazio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venosa). Filosofo italiano. Orazio fu attirato dai problemi morali ed estetici. Quinto Orazio Flacco. Muore a Roma. Soltanto nelle "Epistole," Orazio dichiara di sentirsi attirato dalla filosofia morale per la quale vuole abbandonare la lirica. Si è notato che questa epistola è un protrettico. Ma anche negli scritti precedenti O. tocca spesso argomenti filosofici. Scherzosamente, O. si chiama dall’orto “de grege poreus” (Epist.). Effettivamente egli, che dichiara di non voler giurare sulle parole di nessun maestro, non appartiene ad alcun indirizzo determinato. Nei suoi studi in Atene conosce dottrine di scuole diverse, vede nelle sette filosofiche una disciplina che non deveno essere ignorate. O. s’interessa soprattutto per la morale applicata ai casi della vita. La sua indole, amante dell’equilibrio, della tranquillità, della serenità, gli fa considerare con simpatia l’etica dell’ORTO, di cui si scorge l’influsso nelle  satire, che abbondano di reminiscenze a LUCREZIO (si veda). O. ri-assume la teoria dell’orto sull’origine del diritto e della legge. Più volte, satireggia paradossi del Portico: tutte le colpe sono uguali, il sapiente è re e conosce ogni cosa. O. disegna la caricatura del Portico: capelluti e barbuti che, predicatori ambulanti, espongono precetti ai quali non sempre fanno corrispondere la vita. Ma O. mostra di apprezzare maggiormente la severa nobiltà degl’ideali del Portico. O. si avvicina sia all’Orto che al Portico quando loda la vita semplice e sana della campagna. Ma quando sferza la caccia alle riechezze e al lusso, O. si collega al Cinargo, delle cui diatribe si avverte l'influsso nelle sue satire. Nell'insieme, la morale di O. è utilitaria ed è diretta dall’esigenza dell’equilibrio e della misura. La sua non è una teoria filosoficamente fondata e perciò non manca di incoerenze. Nell’"Arte Poetica" si riconoscono abitualmente riflessi di teorie del “Lizio” e particolarmente di Neottolemo di Pario, che assegna alla poesia il duplice ufficio di dilettare e di giovare. Da Panezio si fa provenire il concetto del "decorum", che ha un posto centrale nella dottrina estetica che O. propugna. He is sent by his father to study philosophy. His studies are cut short when civil war breaks out after the assassination of GIULIO (si veda) Cesare. His works, frequently advocate the simple country life, and a number of letters he publishes indicate a continuing interest in philosophy. Although he has friends that followed the doctrine of The Garden, and he is clearly familiar with these doctrines, it is not clear that he belongs to any particular ‘school.’ In an examination of O.’s philosophy, we should not look for that comprehensive love of wisdom generally termed philosophy by the ancients, including science, ethics, and speculative thought. O. Is not the speculative type of man to be interested in the composition of the universe. Quae mare compescant causae, quid temperet annum, Quid velit et possit rerum Empe 00168 at Stert tan doddret acunen, fre Wetaer the pLanete wander ad rol Fone spontareduer) 18 pedoedes or subt1e dtortinius that Is Crazed."). O. Is a realist, concerned with the ethical side of wisdom -- with the conduct of life. O. is thoroughly Roman, and the Romans, except only a few lofty souls such as Lucrezio, Cicerone, and Virgilio, are of a practical, mundane nature. The Roman philosopher cares little for the abstractions of speculation. The Roman is born to rule -- parcere subleatio et debellare superdos.*2 than oupire, titg Shail be tnite are, to ozdain the law of peace, to be merciful to the conquered andbeat the haughty down. The philosophy which appeals to the Roman is that which would give him mastery over self, and hence over the world. But everywhere around him O. sees the tremendous waste of human energy, struggling nen, feverishly pursuing the bubbles that do not satisfy, frittering away their man-hood, consuming time and not achieving the mastery of life to which their heritage entitles them. For such an audience, then, in which the will to live is the dominant characteristie, O., the sane, tolerant, and sympathetic man of the world, with the insight which comes from contemplation and the inspiration which comes from a realization of the dignity of his task, formulates his philosophy of living, a simple, practicable code of ethios, to help men to saner, worthier, happier lives -- a code which furnishes a solution to the problems of life. It is not an explanation of life, but a way of life, something tangible, a touchstone by which the Roman man may test his own worth and contentment. How keenly he feels the importance of his mission we may know from "Sic nihi tarda fluunt ingrataque tempora, quae spem Consitiumque, morantur agendi naviter id quod alike to the poor, alike to the rich, and the neglect. O. Is unusually well qualified to undertake this office of sage, monitor, and guide, for he is the product of unusual home training, thorough training 1n the schools of philosophy, and a very varied experience. O. is very fortunate in his home influence. Born of a freedman father, who knows life from the point of view of the toiler, O. early aoquires the common sense which is the basis of sound living. His father gives him an insight into the things worth seeking, by pointing out the conspicuous failures in his own vicinity. Instead of merely advising his son to live frugally, he calls his attention to a certain well-known fellow who squands his patrimony. Others he indicates as shameful examples of the effects of lust. By taking as a precedent the action of certain Romans whose lives are an example to the wole comunity, and shunning the practices which had made others infamous, he may always have a criterion of conduct. Further than teaching his son to distinguish clearly between vice and virtue, keep his eyes open to the lives of those arourd him, and profit by their mistakes, his father could not go, saying that others could explain to him the reasons for shunning vice, and that he might learn these reasons, O. is sent to the best possible schools, no doubt at no small sacrifice. It is the finest possible tribute to the fundamental worth of this rustic freedman that  O. speaks ever gratefully and without shame of his humble birth and boyhood training. Just what O.’s life at the 'University' of Athens may have been, we do not know. But he gives ample proof of his entire familarity with both L’ORTO and IL PORTICO. The former, so ably expounded by LUCREZIO, must have made a profound impression on O., the lover of life. That he had a sympathy with their doctrine of impassiveness -- to them the duty of man being to increase to the utmost his pleasure, decrease to the utmost his pain, and the highest pleasure being peace of mind -- is proved by Tempora momentis Tapora potent. Oat qua gordine Dulla -- Not to be exoited about anything, Numicius, is almost the one and only thing that can make and keep a Ion sun and stars and the seasons departing in fixed course there are who view with no tinge of and again -- Gaudeat an doleat capiat metuatre, quid ad rem ntere 1, -- ral eerento ne has esea beeter oat matters it, worse than BotE In body and soudii, hs eyes stare and he ds dased. In another place he allies himself playfully with the more material enjoyments of L’ORTO. Once he admits, half shamefacedly, his weakness for the hedonism of Ceristippus -- Now imperceptibly I slip back to the terets of et, tot ne to the worla ate the rorta to. And in a second passage he praises the adaptability of Aristippus, contrasted with the cynic. But a man with the rigid training of O.s early years could not be completely satisfied with the superficialities of L’ORTO and Cyrenaism. He values happiness, but he has too much moral fibre to find it either in impassiveness or pleasure for its own sake, and so in spite of his repugnance to the sternness of IL PORTICO, and the severity of its "Sapiens", he is drawn toward the positive virtue of IL PORTICO. No utterance could ring more clearly of IL PORTICO than the following: "Vir bonus et sapiens audebit dicere: 'Pentheu, 'Adiman bona.''Nempe pecus, rem, Comed bas entro toste httote tenth maniodsette sub custode tenebo.'hoo sentit, 'Moriar.' -- The good and wise man will make bold to say, 'Pentheus, Ruler of Thebes, what will you force an undeserving man like me to suffer and endure?' 'I will take keep you under the charge of a grim "The deity himself will free me as soon as I I suppose thig is what he means, 'I will die.' Death is the final goal of things. Although he appreciates the value of the tenets of IL PORTICO, he cannot take its asceticism altogether seriously, nor adopt them in their entirety, and fling this jest at them: "Ad summem; sapiens uno munor est cove, dives, Liber, honoratus, pulcher, rex Denique Pree iple sanus, nisi oun pituita molesta est. -- To sum up, the philosopher is inferior to jove alone; tingo inga aborea noalthg, sare winen troubied Thus we see that O. is an eclectic, sifting from all the schools of philosophy what wis finest, sanest and best adapted to his needs. If there appear to be inconsistencies in his system of ethics, and there are countless ones, we must remember that he regards himself as the physician of morals, ministering to many kinds of ailments, each one demanding a different prescription, and he knows all too well that life is too complex to be reduced to a simple formula. To IL PORTICO O. owes his positive dootrine of self control, of a life in accordance with nature and controlled by virtue, and his superiority to misfortune. To L’ORTO, O. owes his theory of the wise enjoyment of life, and to the Cyrenaics his theories of moderation. Of his own foibles and changeableness he says Cone todtur t tale thdate pocune – I  commend the safe ana humble when funds are low, brave enough in a poor environment; but when aught better and more sumptuous falls to my good fortune. O’s life experience ia a kaleidoscopic one. His youth is spent in association with the sons of the wealthy and well-born, and thus he acquires that tact and urbanity which are so valuable in his later relationships, and which enable him to give advice on matters of social conduct. Then follow his attachment to the hopeless cause of the Republicans, with the disillusionment, loss of property, position, and purpose. such a complete alteration of nis entire life scheme could not but have a tremendous effect. Any faith that he might have had in politics as worthy of a man's best efforts, is of course completely shaken. From that time on he philosophises with thorough conviction of the insubstantiality of "ambitio". Besides he realises keenly the moral evils that follow the civil ware, and pessimism and general contempt for nis shameful countrymen. His fresh beginning in kome in a most humble position, gives him the first taste of the real struggle of the great mass of men for the mere means of existence. From this position he sees the weaknesses of the poor, their unrest, and idle craving for the wealth which they fail to see is not conducive to happiness. It is perhaps from this phase of his existence that O. gains an appreciation of the simple joys of life wich are attainable for all -- sunshine, the shade of tree, the river, wine, etc. Lastly nis friendship with MECENATE (si veda), coming after the bitterness of life, affords him the leisure to devote himself to philosophy. He learns too well the instability of position to value it over highly, but from this relationship he draws the principles which he lays down as guides for patron and client.The burthen of O.'s PHILOSOPHY OF LIFE – cf. H. P. GRICE, “PHILOSOPHY OF LIFE” -- is the attainment of HAPPINESS – H. P. GRICE, “HAPPINESS”. Since he tastes of the sweetness and bitterness of life, and now by virtue of his devotion to philosophy is somewhat removed from the toil and moil of the world, he thinks that he has a better perspective, oa. better judge of the eternal values than the great majority of men, blinded to the larger view by the details, and hence first undertakes an explanation of the NATURE of happiness. Ultimately happiness is the product of a definite attitude toward life. It is not a mere matter of chance. It is within the reach of all who care enough for it to pursue it in the right way. An idle, aimless, drifting existence will never attain the goal. the thoughtless, short sighten so man world must be brought to realise this, must be aroused to a contemplation of the issues of life, for he who neglects them suffers for his neglect -- et miPosces ante diem librum cum lumine, si non -- and if you will not call for a book with a light before dawn, if you will not apply your mind to the pursuit of honorable ends, you will be kept awake and racked with jealousy and 1ove. Men's bodily well-being, in wich they take such a keen interest, is not half so important as right living. Si latus aut renes morbo temptantur acuto Quaere fugen morbi. Vis reate vivere: Quis non?"l who does not? -- And yet they place every other interest before the wise regulation of life, either because they are too ignorant to realise its importance, or because they are too slothful and cowardly to face the issues. Nam our Bet andaum, ditters Surand tompue inatun -- When you make haste to remove what hurts the eye, Then let every man take thought of whither his life 1s trending -- Inter cuneta leges et percontabere doctos, Qua ratione queas traducere leniter sevum -- In the midst of all you must read and question the what lessens care, what makes you your own friend, we aud walk, and tae pata of a iise mo 10e4. -- When once men do come to acknowledge that happiness in not an accident, but the logical outcome of & well considered and consistently pursued course of life, they should give prompt attention to these matters of vital moment, and thus H. indicates the first step toward the new life. Multit e arttase fygere et sapteatia prine And once aroused it will not seem so difficult, for -- Dope up taot que coopst habit; aapeze aude; If a man really desires happiness he must have an aggressive attitude toward it, for what is worth achieving can be won only at the expense of vigorous effort. -- Sedit qui timuit ne non succederet. -- osame has beer afraid of fallure, has remained And again -- Ho onus horret,10oodt at persert, ro cospore matus. One shudders at the load as too great for his fueble spirit and feeble frame; another takes it on his back and carries it to the end. Lest anyone should think that because his past life has not been a worthy one it is useles or ridiculous to attempt any serious reformation. O. invites him to draw inspiration from his own altered ideals. Quem tenues decuere togae nitidique capilli, quem sois immunem Cinarse placuisse rapaci,Quem bibulum liquia1 media de luce ralerni,, Cena brevis luvatet prope rivum sommus in led luglise puaet, sed non incidere ludum. "Leroa -- I, whom fine togas ana perfumed hair became, I whom you know witnout a gift pleased grasping leinars,the rill; I am not ashamed to have had my sport, but would be, not now to out it short. Inconsistency is no disgrace, if you have veered to a wiser course, jut whatever you do, do not delay, but act at once! -- Qui recte vivendi prorogat horam("He wao postpones the season of upright living is like It gidea and will glide, rolling on to all time.""out down. With this awakened interest, O. thinks it well for each man to test to the fill each of the things wich men from time immemorial have deemed the sunmum bonum – OPTIMVM – Grice: OPTIMALITAS --  [Indeed, Piso makes this assumption, and it leads him erroneously to the conclusion that THE PORTICO values scientia as its own end, as “QVOD IN EO SIT OPTIMVM”, as that which is highest in one. Antiochus then attributes to IL PORTICO, whether rightly or wrongly, the very LIZIO valuation of theoretical over practical life that we, his readers, know IL PORTICO would refuse. When it comes to accurately portraying IL PORTICO as philosophical movement, the fact that Antiochus, a character in Cicero's dialogue, elides the difference between IL PORTICO and Aristotle serves as no indication of the reliability or unreliability of Cicero's or his sources. Cicero simply wants to show that, whatever the original truth of orthodox PORTICO might have been, it lent itself to this Antiochean interpretation. As he proceeds, the question he asks is whether the PORTICO can indeed be accused of valuing theoretical over practical life despite the fact that THE PORTICO would refuse the very distinction.] with a view to adopting as HIS one, whichever one seems to have the most real VALUE, to bring the calm and contentment that are significant of a life well lived. The decision is a momentous one -- Non qui Sidonio contendere callidus ostro lescit Aquinatem potantia vellera fucumOcrtius accipiet damnum propiusque medullis, Quan qui non poterit vero distinguere falsun. -- He who has not skiil to know now to distinguish from the purple of sidon, fleeces steeped in Aquinun, will not sustain a more certain loss or one nearer his heart than he who will not be able to discriminate the false from the true. Try virtue first of all. Si VIRTUVS [andreia]  hoc una potest dare, fortis omissisHoo age delioiis -- If virtue alone can bestow this, manfully give up pleasures, and make her your aim. Or try the pursuit of wealth;1 Tme tepates ous, 108 postrene ontts. 2part that squares the heap." Or try ambition:"Si fortunatum species et gratia praestat, Meroemur servum qui diotet nomina, laevum Qui fodicet latus et cogat trans pondera dextram Porrigere. If pomp and popularity secure bliss, let us buy a slave to tell us the names, to nudge our left side, and force us to stretch our hand over the counter. And"Caude quod spectant ocull te mille loquentem. "elonge that a thousand eyes gaze on you as you Or test the pleasures of food and wine--Ne let fileen Cruad Tumaigue trons, Quad deceat, guid non, oblitt."b10tus 0 mere apetie eadenith tod unagesteproper, witt not "gt us takebaths, forgetful what 18 Or the satisfaction of mirth--jests.")Then, having advised each man to try for hinself, for each must be the best judge of his own life. Metiri se quemque suo modulo ao pede verun est. "2 a 100t-leht For caoh one to measure hamsel or hie And he will never be sure that one of these thinge might not have proved the key to happiness until he has used it and found its futility, O. sings up the decision which each is bound to reach. Abstract virtue is a hollow thing,"Virtutem verba putas etLnoun 11gna, -- You think virtue words, and a holy-grove sticks. As CICERONE says, 4 suitable for a community of disembodied spirits, but hardly fitted to men who consist of both body and soul. It is too cold, too remote, andVre guan satte ca virea, ge petat naen-s Nor will men find wealth any more satisfactory than virtue as a "summum bonun" (strictly, OPTIMUM, not ‘goodest'), for its weaknesses are all too evident. Even granted that it does have many undoubted advantages -- Soilicet uxorem cum dote fidenque et amicosL  Bone numa doret Suadele eaus due, w2 -- For of course queen Cash bestows a wife with a dowry,ney tan le acornid mith Sua bon and Lode .ho man ofhundred; so you will be one of the masses. Yet how fleeting wealth 1s!"Quiequid sub terra est in apricum proferet aetas; Defodiet condetque nitentia. And the summum bonum must be a permanent thing. rurther-more peace of mind and good health are not conferred by it--Non animo curas."4ind poia gat ar res tover son the asting oods bratheir lord, or troubles from his soul. Nor is pleasure a necessary accompaniment of riches. Nam neque divitibus contingunt gaudia 80118. "I'or pleasures do not fall to the rich alone. And his advice is bad who bide you get money rightly or not, by hook or crook, just so that you may get a nearer view of the plays of PUPIO, for after all, they are lachrimose plays, and why see them nearer? Besides, in the gest for wealth alone, you are prone to lose the sense of all other values -- "He has lost his armour, has deserted the post ofполог, who is always slaving, entirely absorbed in augmenting his fortune. Ambition cannot satisfy any more than virtue or wealth, for see the ignominy that it carries with it. One must seek the favor and the gifts of the fickle Roman mob "Plausus et antoi dona Quiritis, "and make friends of all sorts of people Ut oulque est atra, Tia quengue deotus adopta teand although the world applauds a man today, tomorrow its fickle favore may be given to someone else, leaving 1ts former favorite stranded, so that only a small taste of the pursuitof ambition will convince a man that"Nex vixit male, qui natus moriensque fefellit. " pass de not de bad life whose barta and deata have Furthermore the unrestrained indulgence of theappetite is sure to result disastrously to both body and mind,there is no ultimate good to be derived from a life of excess, so men must rejectit, too, as the "summum bonum.""Sperne voluptates; nocet empta dolore voluptas, "I•("Scorn delights; delight bought with pain is hurtful."). None of these external things, then, can be regardedas the "summum bonum" – OR OPTIMVM – quid in eo sit optimum --, since not only do they fail to bring the happiness all men are longing for, but are the osuse of so much of the uncertainty and distress which plague the world. Qui timet hig adversa fere miratur eodem Quo cupiens pacto; pavor est utrobique molestus,Improvisa simul species exterret utrumque.Sa guto ue ast mette poutare sie ofe ad romDeflixis oculis animoque et corpore torpet? He who fears their opposites excites himself much in the same way as he who covets them, the flurry in both cases is a torment,whenever the unexpected appearanceagitates the one or the other. Whether one joys orif at every-It is not that in themselves these things are wrong--only that they are externals and one must not attach too much significance to them. It is because men have overestimated them that the three greatest ourses of the age have come upon the world--superficiality, restlessness, and greed. Since men are always looking for something tangible as the secret of happiness they have bedome shallow, have grown to care far too much for outward appearance, and far too little for inward appearance, and far too little for inward worth. Si curatus insequali tonsore capilloslee mediai credis neo curatoria egere -- If I have met you with my hair dressed by theha hare & hreed fa be ants beeatt a fosey tuno,or if my toga sits unevenly and awry, you laugh; whole round of life, pulls down, builds up, exchanges the square for the round?lou think mine an ordinary madness and do not laugh, nor yet imagine I want a leech, or a trustee appointed tortune 8, and tume aboutn 12-out na1102 thean ill-out nail of the And this same belief that happiness lies in externals makes men restless -- a feverishness that manifests itself in the iorm of travelling, forever pursuing the happiness which forever escapes them. now foolish it is to try to escape the things which batfle one by seeking another clime! -- Sed neque qui Capua romam petit imbre lutoque Aspersus volet in caupona vivere; nee qui Frigus collegit, furnos et balnea laudat Lt fortunatam plene praestantia vitam. leo si te validus lactaverit Auster in alto, Idcirco naven trans Aegaeum mare vendas. Incolumi Rhodos et mytilene pulohra facit quodr ben 11078, Sextl nonae oantnusrs. Dum licet et volutem servat fortuna benignum, Romae laudetur, samos et Chios et Fhodos absene. "2 AAQpraise bake-houses and baths as fully making up thebe praised, and uhois, and far-off Rhodes. The peace for which men are searching may be attained anywhere if they only know the secret. Nam si ratio et prudentia curas, Non locus effusi late maris arbiter aufert.Caelum non animum mutant qui trans mare currunt.Strenua nos exercet inertia: navibus atque("So that in whatmay Bay You have lared a pleasent Lite, tor seineit is common sense and wisdom that remove cares, and not a spot which commands a wide sweep of sea, their climate, not their mind,they change whorun across the sea.An active idleness busies us,in ships and carswe seek to live aright.Te Por totH at u20ra0, 1 a contented sptrit The people are merely consuming time, not living, who are forever on the march. They exhaust their energies and gain nothing but discontent. And of these curses of looking to externals for happiness perhaps the worst is the curse of avarice. Why seek for much in the world when one can use so little and more cannot delight? Quod satis est ous contingit ninil amplius optet. "2' dia to whose lot 1a118 a competency, desire nothingThe grasping continually after more only breeds dissatisfao-tion. There can be no tranquillity so long as one is subject to an ever-increasing desire. Semper avarus eget; certun voto pete finem. 3 praye iser 18 ever in want; aot a fixed 80a1 to your What a misshapen monster avarice is anyway -- Belua multorum es capitum. Nam quid sequar aut quem? A many-headed monster you are; for wnat or whom shall I follow: As soon as one head is cut off new heads appear, so that it seems inconquerable."Verum Ta de po sun horan turare preantes, How helpless men are in the olutch of such a power as this, which never gives them a moment's real rest and peace of mind!How wretched the heat of their desires has always made mankind, and how heroie 1g the figure of the man who has risen above them, is well illustrated by Homer's tale of the Trojan war, wherein the struggling, feverish, dissatisfied Agamemnon and Achilles and Paris arecontrasted with sane, calm, and prudent men like Ulysses and Nestor. Nestor componere litesInter Peliden festinat et inter Atriden; Huno amor, ira quidem communiter urit utrunque Seditione, dolis, scelere atque libidine et ira Iliacos intra muros peccatur et extra.Rursus quid virtus et quid sapientia possetUtile proposuit nobis exemplar ulixen,aspera multa Pertulit, adversis rerum immersabilis undis. "I ("Nestor makes haste to settle the strife between the son of Peleus and the son of Atreus; the one is fired by love and both in common by wrath.and anger There as Bannin nithin the valls o ofun and with-Again as to what efficacy there is in virtue in Ulixes.many a hardship over thewide ocean, a man not to be sunk in the adverse wave of things.") If the seoret of happiness lies not in wealth, ambition, mirth, or any of these external things, which in a limited measure may contribute to the richness of life, but beyond the golden mean – AVREAS MEDIOCRITAS -- , pursued as an end in themselves, are the cause of so much misery, discarding all such inoidentals men must look for the real source of happiness within themselves. When men are dissatisfied, it is not the world which is wrong, but their own attitude toward the world. In culpa est animus, qui se non eifugit unquam. "Ihates his own. with the harmless place; it is the mind that is at fault which never escapes itself.") Two great doctrines O. presones -- the wise control of  life and the wise enjoyment of life. the first thing men must learn is to adapt themselves to circumstances, to frankly face the fact of the evil and injustice in the world, to realise that such a thing as periect happiness is nowhere existent and that all life 18 an adjustment. -- solue puae posot eret estare beatum, Saost the one ate ony thng Lhat on rate and keep a man happy. Chafing and fretting against the established order of the universe, against life's seening inequalities, only serve to augment their hardships. When once men do face the facts of life and bring themselves  Into accord with them, things wich fornerly seemed of greatest moment will be looked upon with indifference. Yon sun and stars and the seasons departing infixed courses there are who view with no tinge of dread.") And it 18 not only for his individual well-being, but for the benefit of the state as well, that he have this philosophical outlook upon life. and Bet, to take up beae, Ios nen to are deer toour country, dear to ourselves.")for ii we are dissatisfied with our fortunes, our bitterness will taint every relationship in life, but if we are sane, life will look back at us with the same calm expression. Sincerum est nisi vas, quodoumque infundis acescit."?Brow Sout,, ressel 18 olean, Whaterer jou pour 1aOf prime importance i8 integrity of life. It is not enough that a man assume all the outward appearance of goodness and make a great parade of virtue. Qui consulta patrum, qui leges iuraque servat;Quo multae magnae que secantur iudice lites; Quo res sponsore et quo causae teste tenentur. sed videt huno omnis domus et vicinia tota introrsum turpem, speciosum pelle decora. "3evidence cases are gained.but all his household and theNo Bod thout he 18, Wit beautoous brtn) taz Unless the people no know him best find him honourable and sincere, he need lay no olaim to worth. Low senseless 1t 18 to delight in being called good by the world in general, forthat very world will perhaps tomorrow call him a thief, or unchaste, or say that he strangled his father. de deserved the commendation they gave him yesterday no more than the slander they heap upon him today.caliny terig put ede manwao te Fosous and Leedeto be reformed? It is perfectly clear how pernicious this false praise is and to what lengths it leads men."Leu, si te populus sanum recteque valentem Dictitet, occultam febrem sub tempus edendi Dissimules, donec manibus tremor incidat unctis. If the people keep saying you are in sound and perfect health, you conceal a hidden fever up to the hour ofR2E2™E60atill paralysis seize your hands wile filledIn order to deceive the world they offer sacrifices publioly to the gods, while secretly they are praying to the gods of trickery to shield their crimes from detection. 3ecause one is not a thief or a murderer he has no right to demand praise, for he has his reward already in freedom from pun-ishment. or is it virtue to avoid evil merely for fear of the consequences--"Iu nihil admittes in te formidine poenae. "*("You will commit no crime through fear of punishment.")Good men desire virtue for calm and peace that it brings them--"Oderunt peccare boni virtutis amore."("Good men hate sinning through love of virtue.")For it is what you are that really counts, not what the world thinks. Even the school boy realizes this.("Yet the boys at their games say: 'You will be king if you act rightly. However many of the externals of life fortune man have given a man, if he is weighed down by the sense of his own guilt or unworthines, he cannot enjoy them. But the man conscious of his own rectitude fears neither loss of property or of life. Si forte in medio positorum abstemius herbiscontestin 1lquidus sortunae ctrus inauret;vel quia naturam mutare pecunia nescit, Val quia cunota putas una virtute minora. "2forward, even though Fortune's clear stream wereFreedom is another element in this wise regulationof life--freedom from all these externals which so often bring disaster."Ne cOtia divitiis Arabun liberrima muto. Lor the riones or the drabs,"t freedon of my ledsuz1oon oiet etterr sede fehe tbao edntere: when hestoops down for a copper fixed in the orossings, not see; for he who shall desire shall also fear: further, the man who shall live in fear, I will never regard as free. Once the love of riches has fastened itself upon a man he cannot escape it. If he only realized what a hard master it was he would flee from it as the fox did from the lion in the old fable.Omnia te angersue pattent a renta retroraum."tad, an oe be aai0, a2 polateIf then, he have wealth, he must place it in its proper position, else it may take out of his hands the direction of his life--it will either be his master, or his slave."Imperat aut servit collecta pecunia culgue, "3("Each man's hoard of money is his master or his slave. O.  boasts of his own freedom from the opinionof the masseg-- Noamai ons anotre trote ot putpite afeo, I do not hunt for the suffrages of the fickle crowd by expensive banquets, and a gift of threadbard olothes.Not only must a wise man control externals toattain perfect freedom, but he must practise self-control.He must restrain his anger lest it be a source of shame and humiliation to him."Qui non moderabitur iraeinfectum voletesse dolor quod suaserit et mens, dum poenas odio per vim festinat inulto.Tiperat, hune ente, hune Tu oupese oatera, 2t.that whion vexation and passion nace prompted, waitoehurrying on with violence the punishment for his unavenged hate.Ilese 1t 1f the elave, It' 18 theo1ourb it with the bit, yea, curbAnd his envy, too, must be mastered, or it willmake him utterly miseraole. Invidus alterius macrescit rebus opimis, invidia Siouli non invenere tyranni maius tormentum."2("The envious man repines at his neignbour's goodly• treater foreat than atos t hare not dtscoveredFor while he is covetous of others' material blessings, he poisons his enjoyments of what is his own.auriculas citharae collecta sorde dolentes. "3Bre he sane peaure ta pantie faro to theateof filth.")Let no man surrender to envy of his neighbor's lot, as did the ox and the nag in the fable."Optata ephippia bos, pigre optat arare caballugQuan soit uterque libens densebo exerceat artem. "IWhen men do yield once to the domination of avarice, envy, anger, public opinion, they have lost their freecom just as did the horse which summoned man to help him drive out the stag, and then could not shake the rider from his baok.?And of no less importance is self confidence.A man will accomplish only so much as he feels himself oapable of. Let hin therefore trust in his own ability and others will have faith in him.Dux reset examen,n3"Qus elb1 fldot,("Whoso has self-confidence, will be king and head the swarm.")The second doctrine is the wise enjoyment oflife. Happy indeed whould you be 11--"Di tib1----dederunt artemque fruend1. The gods have given you the art of enjoyment.")But at any rate men may develop their powers of enjoyment. Life 13 so uncertain and so brief, death so final and always imminent --"Ire tamen restat Numa quo devenit et Anous. "5("It remains for you to go where iuma and Anous have descended. There is no hope of a life after death in norade--it ig an eternal exile. Yet he is not pessimistic about 1t. Death18 Inevitable; accept 1t as such, and since there is only this brief span of years for every man, ending all too soon in oblivion, let him on that account make the best possible use of each day -- Carpe Diem -- so that the doom of death will appear only as a dark background enhancing the bright foreground of life. Looking foward, looking backward breed discontent. Think only of the present. The surest way to get all the possible joy out of life is to live every day as though it were the last. Grata superveniet quae non sperabitur hora. Amid hope and care, amid fears and passions, believe every day has dawned for you the last; so, welcome shall arrive the hour your will not hope for.")If men keep this thought ever in mind they will f1ll each moment so full of the richness of living that there will beno regrets, no joys postponed to a future day which will never be theirs, when the summons of death does come.This means that to avoid disappointment men mustenjoy right now whatever the gods may have given them--"Tu quamcumque deus tibi fortunaverit horam grata sum manu, neu dulcia differ in annum;HE 200619e 2000 Ter18 133e 21beater. Whatever hour the deity has blessed you with, dosoever you have been, you may say you have lived apleasant life.If among these blessings wealth is numbered, let men not hoard it, but enjoy its benefits--("Po what end have I a fortune if I am not permitted The man who spares in anxiety for hisneima., no 18 all too severe 18 next door to a For there is much to enjoy in ine world--andmost of the really worth while sources of pleasure are within the reach of all. shere 18 health. There are all the delights of the country and out-of-door life. Ego laudo ruris amoenirivos et musco circumlita saxa nemusque.brown rocks and wood.king, as soon as I have lorsaken tnose soenes you extol to the skies with loud acclaim. And--"Novistine locum potiorem rure beato? Tenat ef Taoe conle er onete ont ura Cumsemel accepit Solem furibundus acutum? Est ubi divellat somnos minus invida cura?Deterius Mbyois olet aut nitet herba lapillis?"4("Know you a place preferable to the blessed country?I nore Leasant bree2e allays ailke te tury of treDogstar and the commotions of the Lion, when once he has gone mad by receiving the stings of the Sun?Is there a spot where envious care less distraots our slumbers? Is the scentThere is simple food which nourishes without distressing--"Pane egeo iam mellitis potiore placentis. "I"Besad, is what I want now more pleasant than honded There is sunshine, free to all, of which norace is 8o fond--"golibus aptum. How foolish it is to want more when these things, if properly regarded, will make one's life rich and blessed--The wise nan will learn to value and employ what is within his reach.Not the least of the joys of life is friendship.There is a deal of the utilitarian point of view in orace's advice about sooial interoourse. The life of a reculse cannot be the richest one, contact with other people is both necessary and valuable. Ae Epicurius said, "Friendship enhances the charm of life; it nelps to lighten sorrowe and heighten ine joys of fellowship." Hence it is to a man's advantage to make himself as agreeable as possible. temust not pry into people's secrets--"Arcanum neque tu sorutaberis illius unquam. "1nYou must never po dato secret on the meetbut when they have been confided to him, he must keep them--"Commissumque teges et vino tortus et ira. "2"a teraladon a trust, thouga plied alike mita vineFor"Et senel emissum volat irrevocabile verbum. A word once let slip, flies beyond recall.")He must not be boorish, merely to prove that he 18 a man of Independence and stannia, for thereby he simply makes himself Obnoxioug~~"Asperitas agrestie et inconcinna gravisque. A boorish rudeness, at once unlovely and offensive.") When he takes up the oudgels in defence of some trifle--"Alter rixatur de lana saepe caprina, Propugnat nugis armatus. Equally disgusting is the fellow who slavishly bows to every opinion of his host merely to keep his favour--"Sic iterat noces et verba cadentia tollit, Ut puerum saevo credas dictata magistro Reddere vel partes mimum tractare secundas. "6actor in a farce handling the seoond part.")Horace gives a deal of sound advice about the relationship of client and patron. There are numerous duties whioh a client owes to his patron in return for his favor.First, he should be grateful for the gifts he receives:-An rapias. "Pistat, sunasne pudenteror tense a tans erence waether you take with modestySeoond, he should be willing to share cheerfully in his patron's chosen pastimes.or blamebe you for composing poetry.")"¿u cede potentia amici"So do you give way to the mild requests of your power-Because even the closest bonds of friendghip have been broken because of dissimilarity of tastes and unwillingness to compromise. It is foolish to try to dress and live in anextravagant way as one's patron does. The patron knows only too well his client's ciroumstances and will despise him for trying to imitate him when he cannot afford it. By all means let him not complain of trifles, but bear hardships without grumbling."Brundisium comes aut Surrentum ductus amoenumQui queritur salebras et acerbum frigus et imbres, Aut cistam effractam et subducta viatica plorat, ("He who has been taken as a companion to Brundisium, or lovely Surrectum, and complains of the jolting roadsSion one ote 1059 014 Ba11 ao an ance,Beatet.-poon erer her real 10sse8 and sortowe get noAnd further he should try to appear cheerful for the benefit of those around, for--"Demesupercilio nubem; pleurumque modestus Occupat obscuri speciem, taciturnus acerbi."3If the client finds that he is humiliated by patronage, loses his independence and his self respect, if his patron i8 the sort of man no makes presents only of what he cares nothing ior and dislikes, as the host woo pressed upon his guest pears that were so plentiful that wat he refused, went to the pigs, then he had much better break off therelationship, for it is degradation.Wen should be most careful of their choice offriends, so that when accusations assail one who is well known, they may protect him and back him up. I and it pays to have a rezard for the wishes of others, even if it costs a little effort, for--"Vilis ancorun est annona, bonis ubi quid desset."? went are & of arlends  Low, when those who wantAnd it is a source of shame to a man to be mock-modest and refuse to help another when it is in his power to do so--("But I was afraid I might be thought to have undervalued my influence, a dissembler of my true power, profitable to mygelf alone.") Tact is absolutely necessary to success in a social way. There is a proper time for everything, as Horace warns Vinius Asina when he commissions him to present books to Caesar. One must be careful not to intrude upon the great, but must await a suitable opportunity, lest by his excessive zeal he offends the one he would please. Conceit is unbearable and will destroy friendship. Ut tu fortunam, sio nos te, Celse, feremus. "5("As you bear your fortune, so shall we yourself, Celsus.") Just how highly dorace valued social interoourse isshown by his careful instruotions to orquatus on the duties of host and guests. The host should be most discriminating in his choice of guests so that all may be congenial--Jungatur que part, "loeat par("That like meet and be associated with like.") and that all be the kind which will not make friendly table conversation a matter of gossip outside--sit qus atota forae edemthet. andoos("That amidst our faithful friends there be none to carry our talk abroad.") A friendship of long standing is an invaluable thing and not lightly to be broken, as he warns Florus, who has become estranged from lunatius. The best possible summary of O.'s philosophy of life is his own prayer. Sit mihi quod nuno est, etiam minus, et mihi vivamQuod superest aevi,si quid superessevolunt diSit bona librorum et provisae frugis in annumneu fluitem dubise spe pendulus horae.Sed satis est orare Iovem quae donat et aufert;Det vitam, det opes, aequum mi animum ipse parabo. "4Inay ire 2or aselt the renaindes ofidarg, 1onsI may live for myself the remainder of my gods will any to remain for me.May I havegood stock of books and of provisions for each year, trembling on the hopes of the man.  DIEQO RAPOLLA     VITA     DI     CON RAGGUAGLI NOVISSIMI     E CON NOTE DIFFUSE     SULLA STORIA DELLA CITTÀ DI VENOSA     •-'; ' -r: ~ :*     ^; '     POR TIOI   Premiato Stabilimento Tlpografloo Vesuviano   1892      - \'        e;. \*     \ 1*1     V *L '*^      ^S^è» «&• •&• «è» «A* «A* «A» «^ •'1^ •e* *-.'»     SU''     'X»     i I     I i     sJ-     Sì-     I^*     •.     VITA     DI     QVISTO OBAZIO FLACCO     DI     DIEGO RAPOLLA     o     VITA     DI        CON RAGGUAGLI NGVISSIBO E CON NOTB DIFFUSE  SULXiA 8TOBIA DBLLA OITTÀ DI VE1708A   DI   DIEQO RAPOLLA   MOBILB VKN08IMO   CAVALIKSB DELL*0RDI1CK DELLA CORONA D'ITALIA   CITTADINO OMOKARIO DI POSTICI   PXOrSSSOKB OMORARIO B SOaO DI VARIB ACCADBMIB      PORTICI   pTABILIMENTO JlPOQRAFICO yESUVIANO   Corso Garibaldi, 173  1893     L'ijf.S'^     : \   j  /        Riproduzione e traduzione vietate.   Proprietà letteraria dell'autore, che si riserba tutti i dritti   che gli concedono le leggi vigenti.      'jfr^j^ **y^sP' ^^i^^'? '%S0^'-'''''*S^ '^S^     Dtnique quid psalterio canorius ? Quod in morem  nostri Flacci et Gratci Pindari, nunc Jamòo  CHrrit, nuHC Alcaico personal^ nunc Sapphico  tumet, nunc semipede ingreditìtr.   8. SlroUmo, pref. Cronaca ad Eusebio     Sommo di poesìa mastro e di vita.  Pisdnnont*, ad Orazio     Venosino cantor, sci tu ì t'ascolto !   D'un si vivace   Splendido colorir, d'un si fecondo  Sublime imagjnar, d'una si ardita  Felicità secura,  Altro mortai non arricchì natura     Xetattailo, Canto ad Orazio.     Et tenuit mastras Humerosus Horatius aures,  DutH ferii Ansonia carmina eulta lyra.   Ovidio, Trist. 4. Elegia to.     il mastro dei poeti, Orazio   La cui lira per tutto manda il suono,  E qual Pindaro Grecia, egli ornò Lazio.   Tansillo, Canto al viceré di Napoli.     Mais fapprend qu*aujourdhui Melpomene propose  D'abaisser son cotAurne, et de parler en prose,   Voltaire, EpItre à Horace.     Sume superbiam   Quaesitam meritis     VenoBino.       AI LETTORI     Dauti - //. Cult. XIV.     // cittadino di Venosa sentir devesi som-  mamente orgoglioso per esser nato in così  celebre terra, pili antica di Roma: splendida  civitas, anche nel tempo dei Romani, splendi-  dissima nei medio-evo, e patria, il che più  monta, di Quinto Orazio Fiacco.   Del grande Venosino smisurate innume-  revoli sono state le produzioni letterarie che  ne hanno decantato il nome, criticata F opera     eterna, postillato e glossato ciascun verso o  parola   Non havvi paese al mondo che non abbia  offerto suir altare del culto della poesia per-  fetta di Orazio il suo attestato di reverente  omaggio: Sopratutto in Germania, hi Fran-  eia, in Inghilterra si son fatti studi prò fondi  sulle opere del gran poeta italiano, e bio-  grafie e ricerche storiche pregevolissime su  tutto quello che riguarda la sua vita, ed i  luoghi ove vissse. In Italia, ed in Roma par-     ticolarmente, si cmiservano reliquie preziose  di severe e dotte lucubrazioni su tal subietto.  Duole non poco però che in Venosa, fra  tanto lume d ingegni preclari che ha dato  quel paese, non vi sia stato scrittore che ab-  bia inneggiato ad Orazio con serietà e pro^  fondita, e con opera particolarmente a lui  dedicata; ed era un dovere attraverso i se-  coli venir lodato Orazio da gente venosina.  Neppure un bronzo od una lapide parlava  di lui sin oggi. '^     Ed invero il dottissimo cardinale Giovan  Battista De Luca venosino perchè nei suoi  quaranta volumi in folio non trovò il posto  per seguire quello che un S. Girolamo iniziò?  Luigi Tansillo, Orazio de Gervasiis, Donato  de Brunis, sommi poeti venosini, Giovanni  Dardo, anch' egli da Venosa, scrittore di bel-  lissimi e maestrevoli carmi (ingeniosa et ve-  nustissima carmina scripsit, disse M. Arcan-  gelo Lupoli), perchè non composero poema  sult immortale loro concittadino ?     Che anzi giustamente Francesco Fioren-  tino j nelle sue note ai sonetti del Tansillo,  redarguisce costui, perchè « discorre di quello  ix^che chiamava suo concittadino con un certo  « risentimento che non è giusto, perché Ora-  « zio non sdegnò altiero il soggiorno di Ve-  « nosa: nei carmi del poeta latino ci è anzi  (( un certo compiacimento nel ricordare la sua  a patria ». Orazio fuggì da Venosa, sia per  fini politici^ sia perchè stretto dalla necessità,  sia perchè ogni genio sublitne sorvolando     per forza arcana, trova pure in tutto il ter-  restre spazio angusto confine!   In luogo di e alitare tante vuote lodi ad una  componente r aristocrazia di quei tristi tempi  di feudalismo, che anzi lo sprezzava, non  poteva il Tansillo toccare la sua lira can-  tando di Orazio, stella che illumina il mondo  e che egli stesso chiama ^maestro deipoetiy^ ?   Hanno voi/ do forse rispettare il suo testa-  mento: (( Mitte supervacuos honores ». Ma  non è lecito negligere i sommi.     Io, benché non degno di venir noverato fra  cotanto senno, ho composto questo lavoro con  gran fatica, con gran sudore, con gran reli-  gione, essendomi prefisso con esso diradare  molte idee oscure circa la vita e le opere di  Orazio, riferire coti la maggiore esattezza  quanto ad esse si associa, mettere in luce  tutto quello che sin oggi si è scoperto, e che  formava pel passato delle lacune negli scritti  dei biografi anche più esatti italiani e stra-  nieri.     Ho pure aggiunto dei cenni storici sulla  celebre Venosa, che si commettono con la vita  del suo immortale concittadino.   Tutto ciò mi è riuscito lieve, e mi è venuto   »   strenuamente compensato col fatto, che ho  aggiunto, io venosino, un fiore al serto, che  immarcescibile cinge la fronte sublime del  grande italiano.   Oggi fra tanto tramestio di sentimenti di-  sparati, atti a spegnere ogni entusiasmo, ri-  temprare gli animi alla fonte delle opere lei*     terarie immortali come quelle di Orazio, ed  il seguirne le norme che da esse emanano,  o cittadini^ è quanto di meglio si può fare.  Si respira così aura piti pura ; si resta an-  negato in un Lete morale dolcissimo: si guar-  da con occhio impassibile la vertiginosa corsa  del torbido torrente della vita umana, da una  sponda secura e tranquilla.  Valete.   Portici— Granatello 1892.   DZE&O BAPOLLA      PROLEGOMENI     L mondo, questo pianeta, che pare  sin oggi abbia il primato sul si-  stema universale dei pianeti, perchè in  esso vive l'uomo, il re della creazione,  avverti , circa duemila anni or sono,  una di quelle trasformazioni , uno di  quegli avvenimenti, che segnano date incan-  'cellabili, e che forse non più si verificheranno  nei secoli futuri, tranne quando avverrà la  fine -dell' età. Neil' aria pregna dì densissimi     vapori guizzavano folgori rossicce ; reboava  il tuono ; poi appariva luce sfolgorante, bian-  chissima, divina. Le nefandezze, le turpitudini,  la mollezza, la superbia, la degenerazione del  genio del bene in quello del male erano  giunte all'estremo limite del possibile. Era  prossima l'ora delle rivendicazioni, della re-  denzione, della riscossa voluta dalla ragione.  Era vicina la nascita dell' Uomo-dio , an-  nunziato, già da secoli, come apportatore di  pace ed amore. Roma, caput mundi, impe-  rava. Le aquile svolazzavano in liberi campi,  ghermendo prede facili in difficili e remoti  paesi. La potenza e la protervia dell'uomo si  disegnavano al massimo grado. I grandi ed  i piccoli, i padroni e gli schiavi, i senatori al-  bagiosi , i cresi onnipotenti ed i gladiatori  morituri.   Roma già da sette secoli esisteva, quando  l'umanità parve potersi paragonare al vapore  chiuso in forte e potente recipiente che sem-  bra prossimo a scoppiare. La civiltà dei Greci,  le gesta ed il ricordo degli altri popoli, come  i Cinesi , i Babilonesi ed i Persi , che vanta-  vano maggiore e più antica coltura, eran pres-     sochè cancellati da questi violenti conati di  gente che era barbara e volea divenire inci-  vilita. Neir immensa Roma, per la quale po-  poli al sommo grado belligeri pugnavano  sanguinosamente per potersi dire cittadini  romani^ vagavano uomini quasi nudi, ed  appena ornati da toghe e preziose porpore,  che ne lasciavano scovrire i poderosi garetti  e le erculee braccia ; e le altiere fronti pare-  vano non use a piegarsi alle volubili e spesso  avverse disposizioni del destino. Da Roma  partiva quella voce imperiosa che comandava  alle schiere invitte la conquista del mondo  intero.   Tutto pareva nascer gigante in quel tempo,  e con l'impronta del misterioso e del sublime.  Mario, Siila, Mitridate, Ottavio, Cinna, Giu-  gurta, Pompeo, Cesare, Bruto, Antonio, Cleo-  patra; Roma, Atene, Cartagine; Virgilio, Ti-  bullo, Properzio, Ovidio, Sallustio, Cicerone,  Giovenale , Tito Livio , Orazio , Mecenate ,  Augusto I   Gli uomini, dalla civiltà, che lentamente in-  vadeva, resi più chiaroveggenti, mal soffriva-  no la schiavitù più abbietta. Fremevano e le-     vavano ruggiti di leoni. E Mario era un leone  della foresta : nato da vilissima gente, sorbì  sin dall'infanzia il veleno dell' odio contro i  potenti ed i gaudenti. Era smilzo, altissimo,  nervoso, brutto, di volto terreo, come se quel  colore della pelle dovesse indicarne la mal-  vagità dell'animo, come dopo molti secoli in  Marat. Di quei che vantavansi di nobile stirpe  solea far aspro maneggio.   Gridava fremente alle turbe spensierate e  lussuriose : O voi altri, che vantate imagini  lettighe e porpore, ne avrete di giorni tristi;  verrà Y ora della rivendicazione sociale. II  vostro cammino trionfale sarà arrestato da  un fiume di sangue. Le vostre pompe su-  perbe saranno oscurate da montagne di ca-  daveri deformi 1   Eppure Mario avea sortito dalla natura il  genio uguale a quello di Cesare, suo grande  nepote. Era guerriero nato. Vinse i Cimbri,  aggiogò Giugurta, si unì con Siila. Con Siila  stesso si misurò a suo forte discapito. Corse  vagolante sulle rovine di Cartagine. Dipoi  iniziò la fatale guerra sociale. Morì atterrito  da visioni tremende 1     A Siila scorrea nelle vene sangue gentile di  patrizio. Avea fierissimo e troculento aspetto;  era vendicativo oltre ogni credere, ma celava  in petto cuor generoso e forte.   Non poche migliaia di Sanniti restarono  sgozzati al semplice muovere del suo soprac-  ciglio, e nel sangue restò affogato anche lui,  che invano entrava nel cotidiano bagno di es-  senze per torsi di dosso la miriade di paras-  siti e microbi che lo dilaceravano e lo spen-  sero. E la lotta ferveva sorda, quasi ne fosse  infetto il sangue degli umani, tra i servi e  gli strapotenti. I mirmilloni ed i reziarii,  nelle barbare e sanguinose lotte, formicola-  vano, per appagare la sozza cupidigia di vec-  chi lussuriosi e donne ben pasciute e coronate  di rose, e briache e spossate dalla crapula  e dal piacere. Era il preludio delle guerre  servili. Dugentoventimila servi e Spartaco  con centoventimila gladiatori produssero uno  scoppio ed uno schianto formidabile, come  potentissimo vulcano che erutti lapidi e lave.  Licinio Crasso, quegli che rappresentava l'or-  pellata repubblica, ne fece crocifiggere sei-  mila.     ^( 6 )»-   A spaventoso movimento, repressioni più  spaventose. Licinio Crasso fu favolosamente  ricco per le opime spoglie e per V oro rag-  granellato con la confisca dei beni delle sue  vittime e dei milioni di proscritti.   Ma quell'oro di nefando acquisto vennegli  fatto ingoiare fuso e bollente dinanzi agli  stessi suoi figli. E trentamila Romani sgoz-  zati dai Parti, ad Harron nella Mesopotamia,  furono quelli che espiarono con lui V inau-  dita ferocia. Spartaco gladiatore, di razza nu-  mida e di regio sangue , morì da eroe nella  fiera mischia sulla riva del Sele in Lucania,  condottiero di stanche e poche agguerrite  schiere di uomini oppressi. Fra Spartaco e  Crasso, tra il gladiatore ed il potente, tra quel  povero oppresso e quel ricco oppressore, es-  servi dovea odio mortale. Perversi però e  scelesti ambidue !   Cicerone e Catilina, sommo oratore ma  ambiziosissimo l'uno, patrizio romano disso-  luto l'altro. Dalla congiura del secondo, che  mirava in realtà al nichilismo dei nostri giorni,  e dalla fine del primo si videro strani risul-  tati. Catilina cadde trafitto nel campo tra le     sue schiere pugnaci per un ideale. Cicerone  ebbe il capo e le mani mozzi e confitti ai ro-  stri del foro romano, e la lingua foracchiata  dall' aureo spillone della proterva Fulvia.  Splendidi esempii agli ambiziosi I   Mentre che alla magnifica Atene non re-  stava che il primato nel mondo per le let-  tere e per le scienze, e mentre V immensa  Roma repubblicana si affraliva e s* incrude-  liva tra la mollezza, i vizii, le congiure, i mas-  sacri e le guerre , nasceva Cesare.   Cesare lo si disse dapprima congiuratore  con Catilina. Gli scorreva però nelle vene il  sangue vile di Mario. Era rinfocolato da am-  bizione smodata e livore. Fu uno dei più  grandi uomini che nacquero nel mondo. Lottò  da atleta gigante con Pompeo, nato da eque-  stre famiglia e partigiano del nobile Siila, e  Io vinse. Ma pianse quando i vili cortigiani  gliene recarono la testa mozza, e volle punita  la barbara adulazione. Era letterato di gran  talento. Era generoso, ma sotto il mantello di  leone ascondeva animo felino , vendicativo,  dissimulatore. Catone preferì trapassarsi di  propria mano il corpo con la spada, piutto-     ^( 8 )»^   sto che rendersi servo di Cesare. Cesare am-  biva air imperio, alla tirannia. Vinse i Ger-  mani, i Galli e Scipione, ma venne pugnalato.   Bruto, il fiero repubblicano, il prediletto di  Cesare, s' intinse pure del sangue di lui; si  macchiò di parricidio, perchè la dittatura lo  premeva come incubo, anelava alla libertà,   E tale fu la progenie umana sin da che  vide la luce.   Cristo, r Uomo-dio, venne al mondo colla  missione di pace tra gli uomini. Fatalmente  però gli uomini si mantennero sempre gli  ' stessi.   Adamo ribelle al Dio creatore; Caino fra-  tricida per invidia e per sete di dominio. E  da questi a Cesare, a Crasso, a Spartaco, a  Bruto, tutti ambiziosi e ribelli; e da questi  a Tiberio ed a Nerone, che ricreavansi degli  spaventosi dirupi di Capri e delle fiaccole  umane. *)   E da questi ai Torquemada, agli autori  degli auto-da-fè, dei roghi ove bruciarono  Bruno, Savonarola, Arnaldo, Vanini. E da  questi a Luigi XI, il compare di Tristano,  ed a Carlo IX che dalle finestre del Louvre     ( 9 )»^     aizzava le orde a fare strage, e permise la tre-  menda notte di S. Bartolomeo , a Robespierre  che allagò il bel suolo di Francia col sangue  delle vittime del Terrore ; al prigioniero di  S. Elena, che seminò di stragi, rovine e morti  buona parte del mondo ; sino a quelli, innu-  merevoli, che in questo nostro secolo avven-  turoso han messo a soqquadro l'universo con  lotte ferocissime.   Una è perciò la linea che appare precisa:  l'odio dell'uomo contro il suo simile, contro  qualsivoglia supremazia, servaggio od oppres-  sione; mista a malvagità ammantata, sia dalla  porpora, sia dai cenci; in diverse guise, nel-  l'alto e nel basso, tra plebei e nobili, tra so-  vrani e sudditi, tra volgo profano e menti  elette, e persino tra letterati e tra i sacri mi-  nistri delle diverse religioni; il quale odio  malvagio personificato potrebbe raffigurarsi  quale Encelado premuto dall' Etna.   La scala della nequizia in tutti i tempi ha  toccato i cieli, come quella biblica. . . .   Tale era lo stato del mondo allorché nac-  que Quinto Orazio Fiacco; e nelle sue vene  scorreva sangue di schiavo.      II.     LA FAMIGLIA DEL POETA      I ELLA vetustissima Venosa [Venu-  sid), città situata tra la Puglia e la  Lucania 3) , nel dì 8 dicembre dell'anno  689 dalla fondazione di Roma, sessan-  tacinque anni prima dell' era cristiana,  essendo consoli L. Aurelio Cotta e L.  Manlio Torquato , essendo Cesare compro-  messo con la prima congiura di Catilina, per-  chè sognava la caduta della repubblica e la  dittatura, nacque Quinto Orazio Fiacco. Il     nome di Quinto se lo appropriò lui stesso nel  libro secondo delle satire. Orazio ognuno lo  chiamò, ed egli stesso così sempre si nomò  nei suoi scritti. Plutarco lo disse Fiacco  nella vita di Lucullo, cioè orecchiuto, ed egli  stesso, nell'Epodo XV e nella prima satira  del secondo libro, così si cognominò.   Ma tale soprannome non indicava che  avesse orecchie deformi, bensì può riferirsi  a lui, quello che egli stesso dice di essere  di facilissima audizione, oppure che quelli  di sua famiglia fossero distinti con tal no-  mignolo, tra le non poche famiglie della  tribù oraziana, della quale si discorrerà in  appresso.   In un antico manoscritto che si conserva  nella Biblioteca Nazionale di Napoli, che  vuoisi opera del dottissimo Jacopo Cenna,  venosino, si asserisce che Orazio nacque  nelle case dette, al tempo nel quale il Cenna  scriveva, dei Plumbaroli, presso le mura della  città, e presso certi molini, che in appresso  (come rilevasi . nelle note del Cimaglia) ap-  partennero ai Pironti venosini, e che oggi  son quasi di fronte alla cattedrale, venendo     ^( 13 M^   dalla via di^S. Rocco, presso al luogo detto  /e Sa/me.   Suo padre era uno schiavo fatto libero. La  quale condizione se non era tanto miserevole  quanto quella dello schiavo, poteva dirsi av-  vilitiva oltre, ogni credere; imperocché il li-  berto ripeter doveva quella larva di libertà  dal suo antico padrone; come cittadino ve-  deasi privato del diritto al suffragio; aspirar  non potea agli alti uffizii civili, e neppure a  coprirsi le braccia e le dita di anella d' oro  perchè venivagli rigorosamente proibito. Lo  stesso matrimonio era per lui limitato nella  cerchia dei suoi pari, perchè un liberto spo-  sar non poteva sia la figliuola d' un senatore  o d* un patrizio, sia altro essere nato libero  od ingenuo, come diceasi allora. Viveva il  liberto sotto la tutela del passato padrone, e  lui malaugurato se a questo si fosse ribel-  lato: ridiveniva schiavo. Spesso il suo pas-  sato padrone se ne avvaleva per servizii ono-  rifici, mediante lieve mercede. Malamente  taluni vollero sostenere che il padre d'Orazio  fosse libertino nel senso voluto da Svetonio  in altri suoi scrìtti, e non nella biografia di     -«( 14 ))^   Orazio, cioè figliuolo di liberto o figlio di  schiavo fatto libero. Orazio, alludeìtttea suo  padre, usa sempre la parola libertinus^ ma nel  senso detto dapprima, volendo intendere che  suo padre era stato schiavo, ed aveva avuto  poi la libertà. Non vi pjiò cader dubbio al-  cuno. \   . Il padre di Orazio prestava il servizio di  riscotitore di tasse del comune di Venosa e  di banditore, era un servus pubKcus; il Che  dimostra che il suo passato padrone essere  dovea di alto grado sociale, assegnandogli  tali uffizii rimunerativi e non bassi, ed a ser-  vizio della città. Nel suo stato perciò dirsi  potea felice ed agiato, stantechè possedeva  presso la Rendina, luogo neir agro di Ve-  nosa, un fondicello che gli dava ( sebbene  Orazio dicesse esser suo padre macro pan-  per ugello) un conveniente provento, e  quindi potette unire al suo impiego anche un  negozio di salsamentario, o salumiere; e come  vuoisi da Svetonio, Tunico biografo, così la-  conico, ma purtroppo veritiero, veniva scher-  nito il giovanetto Orazio dai suoi compagni  di scuola così: Quottes ego, vidipatrem tuum     ( 15 )     brachio se emungentem ? ^) Ingiuria solita in  quei tempi ai figli di salumaio, e che Cice-  rone riferisce così: Quiesce tu cujus pater cu--  aito se emungere solebat. 5)   Certa cosa è che non può ricavarsi da tutto  ciò che Orazio ha scritto sopra i suoi geni-  tori, né da altri scrittori suoi contemporanei,  compreso lo stesso Svetonio, né il nome di  suo padre, né il nome e la condizione di sua  madre.   Il Fabretto, celebre raccoglitore di iscri-  zioni e sigle, riporta un frammento d' iscri-  zione che dice leggersi sopra una casetta in  Venosa, che erroneamente fu detta esser la  casa di Orazio, così concepita:   HORATI C. L. Dio ....   MlTULLEIAE UX. . . .   e che sì è voluta decifrare così:   HoRATio DioDORo Caji Liberto  MiTULLEjAE Uxori 6)   La quale interpretazione importerebbe che  il padre di Orazio nomar si dovesse Diodoro  o Diocle, e sua madre Metulla. Ma é questo     -«( i6 ))^   un falso indìzio, poiché in Venosa furonvi  non pochi che si dissero Grazi, ed a qualcuno  di questi è riferibile l'iscrizione funeraria.   I due eruditi Grotefend, il Franke nei  suoi Fasti Horatiani, ed il Milmam nella sua  splendida opera The works of Q. Horatius  Flaccus illustrateci , opinarono il padre di  Orazio poter esser un discendente dell' il-  lustre famiglia romana degli Orazii, e che ri-  divenuto libero, avesse ripreso, secondo il  costume del tempo, il proprio nome. Ma il  Mommsen, nella sua opera Inscriptiones Re--  gni Neapolitani, riporta tredici iscrizioni rin-  venute in Venosa indicanti l'esistenza di una  tribù Hofatia, colonia romana, nella quale  erano allistati gli abitanti della città di Ve-  nosa. Il padre di Orazio faceva parte di que-  sta colonia, non discendeva però dalla fami-  glia degli Orazii, nel qual caso farebbero op-  posizione le continue lamentazioni del figlio  di vii nascimento.   Né si potea concepire che , fra tanta chia-  rezza di prosapia, da darsi pure il lusso di  un' iscrizione sepolcrale , Orazio poi non  enunziasse neppure il nome di quelli che gli     -«( 17 )f^   aveano data la vita. Ed è poi noto, come si  vedrà in appresso, che tutto venne confiscato  alla famiglia di Orazio dopo la disfatta di Fi-  lippi. Era anzi quella gente tenuta in bando,  e del tutto sprovvista di mezzi, il che per-  metter non poteva ad essi il foggiarsi lapidi  con iscrizioni commemorative.   G. Batt. Duhamel, nella sua opera Philo-  sophia vetus et nova ad usum scholae, opina  che un avo del poeta Orazio, assoldato nel-  r esercito di Mitridate, venne nelle guerre del  Ponto fatto prigioniero, e tradotto in Roma,  e comprato da un questore venosino, dal  quale si ebbe la libertà. Ma tale idea fanta-  stica, come moltissime venute fuori dalla pen-  na del letterato e filosofo del Calvados, non  ha fondamento, mancando della parte princi-  pale, cioè del nome del prigioniero, schiavo  fatto libero, dal quale deriverebbe il padre di  Orazio (di cui neppure sa dire il nome), che  per tal guisa sarebbe stato figlio di liberto,  non liberto, come era infatti; Orazio chia-  mando sempre suo padre liòertinus, non nel  senso voluto da Svetonio, e mostrando sem-  pre rammarico per tale causa.   3     ( i8)     Altri poi (come rilevasi da vecchissime  edizioni del gran poeta ) credettero assegnare  al padre di Orazio il nome di Tubicino; ma  pure questo va chiaramente emendato, stante-  che si è voluto confondere il nomignolo del-  l'uffizio che il padre di Orazio si aveva in  Venosa, cioè di banditore. E siccome i ban-  ditori in quel tempo solcano annunziarsi a  suon di tuba, diceansi trombettieri ( tubicen^  tubicinis) quindi Tubicino ! Può quindi asse-  rirsi che s'ignora del tutto il nome del padre  di Orazio e quello della sua genitrice: se ne  conoscono solo del tutto la condizione e lo  stato del primo. Orazio disse essere stato suo  padre uno schiavo, al quale venne concessa  la libertà. Tale origine del suo casato lo mo-  lestava acremente. E qui cade in acconcio  notare che mentre Orazio non ha mai indi-  cato il nome di suo padre e di sua madre,  non ha mai nominata la città di Venosa. Con  molta lucidità indica il luogo della sua na-  scita e ne fa un piccolo cenno storico topo-  grafico così concepito: Io non so con preci-  sione se son Lucano o Pugliese, perché il  colono venosino suole volgere l'aratro tra i     ( 19 )     due confini di queste due regioni. E che Luigi  Tansillo venosino cosi traducendo imita nel  suo canto al viceré di Napoli:   Io non so se Lucani o se Pugliesi  Siam noiy però ch'il venosin villano  Ara i confini d'ambidue paesi..,,.   Ed una colonia romana fu spedita in tal  luogo, abitato prima da Sanniti, per iscacciar-  neli, e per impedir poi che tale infesta gente  corresse sopra Roma a molestarla come pel  passato. Ed invero i Sanniti furono infesti non  poco ai Romani come le storie luculentemen-  te asseriscono. E tale colonia romana spedita  in Venosa, secondo attesta Tito Livio, formar  dovea guarentigia a tutta la regione pugliese  e lucana, e mostra ad evidenza V importanza  della città di Venosa in quei tempi.   Orazio volle con precisione dichiararsi ap-  partenente alla colonia ronìana che discac-  ciava da Venosa i Sanniti.   Eppure i Sanniti furono di razza Sabina,  ed Orazio non pensava che la Sabina, cioè  la patria prima dei Sanniti, formar dovea la  sua seconda desiderata patria, la sua aspira-     ^ 20 >»^   zione. Oh coincidenze misteriose! Oh lumana  commedia !   Eppure i costumi dei Sanniti furono qual  si conviene a popolo belligero, sobrio e buo-  no. Governavansi in austera repubblica, ed il  sistema democratico formava la base delle  loro istituzioni. Pei servigi resi alla patria  davan persino le avvenenti compagne e le  figlie come premio. O sacrifizio memorabile \  Nelle lunghe guerre coi Romani mostraronsi i  Sabini più destri e valorosi. Venne però l'ora  definitiva della sconfitta, e nell'eterna guerra  tra le genti, il più forte li debellò. I Romani  290 anni prima di Cristo li espugnarono del  tutto. A questo ricordo allude Orazio allorché  dice che la colonia venosina, debellati i San-  niti, divenne propugnacolo contro le ossi-  dioni di tal forte e belligera gente. Convien  quindi notare che Orazio per quanto asserì  esser nato sul suolo venosino, per tanto sem-  bra mostrarsi superbo di appartenere alla co-  lonia romana ivi residente: che anzi bisogne-  rebbe assegnargli meritevolmente la taccia  d' ingratissimo, perchè oltre a non nominare  una sola volta in tutte le sue opere la patria     •^ 21 )»-   sua, come non precisa il nome ( e li avrebbe  immortalati) né di suo padre, né di sua ma-  dre, bensì il nome del suo primo maestro  Flavio venosino e della sua castalda, Fidile^  cosi sacrilegamente si esprime: Sic quod--  cumque minabitur Eurus Fluctibus hesperiis,  venusinae plectantur silvae, te sospite.....   E Gargallo, quasi arrossendo, in tal guisa  traduce, cangiando le venosine selve in lucani  boschi:   Còsi qualunque netnbo Euro Minaccia^  Ai flutti esperii^ di là ratto il muova  A* lucan boschi^ e n'abbi tu bonaccia, 7)   E per giunta in tutte le sue opere Orazio  non nominando mai, come dissi, Venosa,  spesso nomina Forenza, Acerenza, Banzi,  TAufido (l'Ofanto odierno), il Vulture, il Ma-  tino, Benevento, e con aspirazione invidiosa  Taranto e Tivoli 1 E pure Venosa, lantichis-  sima Venusia, era bella, com' è tuttora, su-  perba, attraente, forte più del suo Tivoli , e  dei luoghi dei monti Sabini. I grandi hanno  tutti gravi e non poche mende, ma bilanciate  con le qualità individuali, superiori e rare,     -«( 22 )»-   vanno cancellate. Salve perciò, o Orazio,  sovrano poeta, onore della razza umana!  Venosa, la patria tua, perdona tale non-  curanza, e tale al certo involontaria irricono-  scenza. L' hai ricolmata di gloria imperitura,  indicando a chiare note che sorbisti le prime  aure della vita sulle sue opime colline ; e ciò  bastar deve per fare scomparire ogni traccia  di livore o sdegno verso di te, se pur può  albergare nell'animo di alcun tuo concitta-  dino livore o sdegno, come invece alberga  venerazione e maraviglia ! Salve, sommo poe-.  tal Tu certo vivi ancora. Il tuo spirito im-  mortale aleggia benefico genio del luogo su  quella ancor bellissima terra; oppure da qual-  che stella lucente gitta raggio amico che mo-  stra la via al viandante in quelle selve lucane,  od al nocchiero la via nera dell'antico mare  Jonio, ove il bollente e rumoroso Aufido an-  cora oggi si annega !  Orazio scrisse :   Che qual figliuol di libertin trafitto  Soft da tutti. 8)   Invero Guerrazzi da savio sostiene: La     -«( 23 )»-   ignobilitàpiù che la chiarezza del Itg^taggio  riuscire stimolo acuto a ben meritare; aven-  do la natura concesso all'uomo maggiori po-  tenze per acquistare, che non per mante-  nere. ^^   L'assillo nonpertanto che tormentava Ora-  zio era la sua nascita: perché non potendo  schermirsi dai vili ma pur tormentosi frizzi  della plebe che lo dicea discendente da schia-  vo, rinfocolato dall'odio naturale di cui più  su si è discusso, che gli bolliva in seno, e che  il padre vieppiù incrudeliva, estolle la ma-  gnanimità del suo genitore per averlo fatto  educare, istruii^e e porre a livello dei giovani  di buone famiglie ed agiate. Che anzi con  boria e sicumere che mal velava lo struggersi  interno, asseriva potersi porre a pari, egli  figliuol di schiavo, coi figli dei senatori e dei  cavalieri di quel tempo anche nella superba  Romal   Si vedrà in appresso quanto fosse ampollo-  sa questa sua assertiva, allorché si noterà co-  me egli stentar doveva per accaparrarsi sia  l'amicizia di altri poeti più fortunati, sia dei  grandi, che un solo fortuito caso gli permise     avvicinare, e come molte volte ingiustamente  ne restava mortificato, mendicandone le  grazie, ed attendendo nove lunghi mesi per  meritarsi l'onore di venire annoverato tra i  commensali di Mecenate ! Giunse a rendersi  maestro in cortigianeria a parecchi suoi gio-  vani amici ed ammiratori !   Non è lecito credersi di più di quello che  si è in realtà, né fidar troppo sul proprio me-  rito, per quanto incontrastabile esso sia, in  questa commedia umana nella quale regna  sovrana V ingiustizia ! Il suo orgoglio come  poeta diveniva ridevole quando si rivolgeva  circa la sua condizione nella società nella  quale viveva. Ma quel marchio che al solo  presentarselo alla mente lo straziava a morte,  il marchio di esser figliuolo di uno schiavo,  gli faceva talvolta aver le traveggole. Riesce  sublime quando esclama:   Io disdegno e allontano  Da me il vulgo profano   Tacciasi ognun   Vo*cantar^ de le Muse io sacerdote. »o)   Egli lodò grandemente il padre, perché     -«(25 )»-   questi gì* inculcò dì fuggire dal luogo ove  molto era conosciuta la sua origine, e di af-  francarsi dalle prepotenze dei ricchi, dei se-  natori, dei cavalieri e di ognuno con Y i-  struzione, col coprirsi di gloria: e tanto ot-  tenne.   Orazio nacque, come si accennò, dodici  anni prima della congiura di Catilina. Cele-  bri erano in quel tempo tra i poeti Valerio  Catullo, Licinio Calvo e molti altri. E tra i  filosofi Terenzio Vario e Numidio Fegulo.  E per l'arte tribunizia Cicerone, Ortensio e  Quinto Catulo. In Venosa in quei tempi  eravi pure una classe sociale che si distin-  gueva dalla volgare, la quale frequentava la  scuola di un maestro Flavio, del povero  Flavio, che non avrebbe potuto mai augurar-  si di divenir celebre per l'eternità, vedendosi  consacrato nel libro di Orazio, che pur non  dice il nome del suo genitore, della genitrice,  della patria. A questa scuola attinse i primi  rudimenti il piccolo Orazio. I suoi compagni  lo schernivano; ed egli si vendicò ad oltranza  col farsi in seguito beffe di essi e dei loro  parenti nobili venosini I La povera nobiltà     -«( 26 ))^   venosina, ") quella nobiltà che ebbe incisa  in pietra pelasgica tale enfatica iscrizione :   Ex LUCULLANORUM PrOLE RoMANA   Aelius Restitutianus Vir Perfectissimus   CORRBCTOR ApULIAE ET CaLABRIAE IN HONOREM   Splendidae Civitatis Venusinorum  Consecravit ")   resta schernita e vilipesa dallo stile del sommo  satirico. Quei rampolli di famiglie nobili ed  agiate della città di Venosa dovean tenere a  vile accumunarsi con Orazio e famiglia, stante  che ne conoscevano Torigine. Fu questa una  delle ragioni per cui il padre decise condurlo  in Roma. Dovette poi notare nel giovanetto  un ingegno precoce e svegliato che promet-  teva alcun che di grande, e pensò abbiso-  gnargli più ampli orizzonti e pabolo più ade-  guato e conveniente. Orazio aveva circa otto  anni o dieci al massimo, secondo il computo  di Andrea Dacier, nella sua Chronologia an-  norum Horatii, allorché giunse col padre  in Roma, e cominciò a frequentare quelle  scuole romane. Ed è caro quel vanto che     -«( 27 )»-   trasse Orazio quando nei suoi canti, ricor-  dando il padre ed i felici giorni della pueri-  zia, e sentendosi nella folla della scolaresca  deir immensa città susurrare airorecchio di  esser creduto di alto lignaggio, dice :   Ma d'alti sensi osò condurre a Roma  Me fanciulletto^ ad apparar quell'arti  Che un cavaliere che un senatore insegna  Ai propri figli, Allor se, come avviene  In un popolo immenso^ avesse alcuno  Gli abiti visto^ ed i seguaci servii  Certo creduto avria spese sì fatte  A me apprestarsi da retaggio avito 13)   La quale ingenua confessione dimostra   che il padre di Orazio, sebbene appartenente  alla bassa condizione di liberto, non doveva  essere scarso a pecunia, anzi bastevolmen-  te ricco. Quanti miseri studenti , figliuoli  di coloni agiati e signori delle provincie^ non  vanno oggi in Napoli o nell'alma Roma ad  apprender lettere o scienze ? Ma ben pochi  vivono certo vita allegra, vestono panni di  lusso, e possono farsi seguire da servi e  staffieri con panieri ricolmi di succulenti ma-  nicaretti od altre costose leccornie ! Orazio     però per generoso e riconoscente sentimento  riferisce al padre il potersi istruire con tanta  comodità, né può tacciarsi di parabolano o  falso, né molto meno di orgoglioso, lui, che  abborriva dall'orpellato fastigio, e mordeva  con denti velenosi i prodighi, i ricchi ed i  centurioni venosini! Sotto l'usbergo d'una  morale istintiva covava Tira repressa del  figliuol del liberto 1       ni.   ORAZIO IN ROMA ED IN ATENE     L padre d' Orazio condusse suo fi-  " glìo in Roma nel 699 , cioè cin-  quantacinque anni prima dell' era cri-  stiana, non raggiungendo questi ancora  i dieci anni di età. Forte baleno dì or-  goglio e di stupore dovette abbagliare  il piccolo venosino, ma pur cittadino romano,  nel calpestare le aboliate strade della magnì-  fica Roma.   Ergevasi la città , che imperava allora su     buona parte dell' orbe terraqueo, sui dodici  celebri colli, dei quali il Vaticano, il Citorio,  e quell'altro dove Tazio venne a fissarsi coi  suoi Quiriti , rifulgono oggi maggiormente  nel mondo , perchè dominio di validissime  potenze: la tiara, e la monarchia costituzio-  nale deir Italia unita e libera. Aveva ponti  lunghi e meravigliosi, porte monumentali,  mura che potean vantarsi più durature e in-  concusse delle ciclopiche o pelasgiche o delle  cinesi. Avea più di quattrocento templi ador-  nati di colonne preziose, archi trionfali, obe-  lischi fatti trasportare con ingentissime spese  dalle più remote regioni del mondo onde si  fosse palesata la grandezza delle vittorie ro-  mane dalle spoglie ricavate dai potenti e  riottosi nemici.   Se però Roma mostravasi tanto superba e  potente alla vista, il che poteva lusingare i  sensi del piccolo viaggiatore (il quale poi non  proveniva da paese barbaro e povero , bensì  da Venosa, caput Apuliae, città monumen-  tale e stupenda, siccome attestano le antiche  carte e le lapidi che hanno sfidata la corro-  sione dei secoli, "^)) non cessava di ascondere     ( 31 )     nella sua ampiezza e magnificenza gente av-  vilita dalle discordie civili. Pel triunvirato di  Cesare, Pompeo e Crasso (quel Crasso di cui  più sopra si delineò la proterva jattanza),  quel popolo, dapprima così forte e generoso,  vedeva sfuggirsi, pel libertinaggio prepon-  derante, la libertà che offriva ai cittadini la  repubblica di Catone, repubblica ormai mo-  ribonda. La mollezza ed il mal costume tor-  cer facean lo sguardo ad ogni onesto e probo  romano. E perciò Orazio stesso, allorché co-  minciò a balenargli in mente il vero, scrisse  che le cure del suo buon genitore, che gli fu  guida permanente, fra tante grandezze e fra  tanto scompiglio morale lo ritrassero dal ca-  dere in brutture ed ignominie e dal venir tac-  ciato di cattivo cittadino ; che anzi gli procu-  rarono la stima dei buoni e dei veramente  grandi.   Il padre soleva giornalmente condurlo dai  maestri più celebri della città, ed ai banchi di  quelle scuole famose sedevano con lui figliuoli  di senatori e di altre famiglie nobili ed alto-  locate dell'alma Roma. Era sicuro il padre  che non si sarebbe rinfacciato al giovanetto     ( 32 )»-     Quinto Orazio la nascita vilissima, perchè  s' ignorava donde fosse venuto : Y emporio  immenso, oceano nel quale rifluivano tutti i  popoli della terra, lo assorbivano. E lo schiavo  fatto libero superava per lusso e per criterio  sicuro moltissimi ingenui e gentiluomini.   Orazio gliene fu gratissimo ; e scrisse che  se avesse dovuto rinascere, ed avesse potuto  scegliersi un padre, avrebbe scelto quello  che gli die natura, non trovando altro uomo  più coscenzioso, più perspicace, più amore-  vole di questo ! Desta ammirazione e mera-  viglia questa confessione, se si rifletta che il  padre di Orazio era illetterato, e che era stato  soggetto alla schiavitù 1   Ed Orazio nel parlar di suo .padre include  pure la madre sua, perchè dice:   . ... io pago a' miei (genitori), di fasci  E di sedie curuli avoli adorni  Saprei spezzar . . . . »S)   Le prime lettere gli furono apprese da Pu-  pilio Orbilio da Benevento, che, come narra  Svetonio, fu dottissimo grammatico in quel  tempo e tra i migliori maestri sotto il con-     solato di Cicerone. Visse centenario; morì  povero , solita fine dei non pochi lavoratori  coscenziosi ed indefessi. Era severissimo e  non risparmiò la sua sferza allo stesso Ora-  zio, che se lo rammentava con satirica soddi-  sfazione.   L'uso delle sferzate nella palma delle mani  degli scolari, antico più del tempo del quale  si discorre , formava sin negli ultimi nostri  giorni un genere di punizione che la civiltà  invadente va oggi disperdendo, siccome si è  tolto il barbaro uso di bastonare e torturare  i poveri folli ! Le cure morali debbono sosti-  tuirsi a quelle corporali e costrittive.   Alla scuola di Orbilio Pupilio cominciò  Orazio ad alimentarsi della poesia latina; me-  nando a memoria e tratteggiando le scene  drammatiche del poeta Livio Andronico ed  altri illustri. Come più sviluppavasi negli anni,  cominciò ad attingere alle fonti delle lettere  greche, che egli stesso poi definì le più pure  e che dovevano occupare i dì e le notti degli  scrittori. Omero, Anacreonte, Saffo , Archi-  loco, Alceo, Stesicoro, Simonide, e non tra-  lasciando i latini, a cominciar da Lucilio, che   5     gli fece acquistar gusto alla satira, furono i  suoi modelli nel bello scrivere, e da essi ap-  prese quell'arte divina , quella melodia am-  maliatrice, che lo fecero addivenire il prìftio  tra i lirici del mondo. Ed egli solea paì-ago-  narsi all'ape industre del monte Matino (ser-  vendosi per similitudine del nome d* un monte  della sua Puglia, ma non del Vulture *^^ presso  del quale spento vulcano ebbe la 'Cuna), cfee  svolazzando di fiore in fiore ne suggeva da  ciascuno quel tanto di dolce e poetico da for-  mar xumti immortali 1   Ed invero potrebbe qui riferirsi senza de-  rogare l'aurea massima di Ovidio del prin-  cipiis còsta, nel senso inverso, per umU, privo del tetto  «npic.1, eha Bud«t    var»(EUr bnpuko   . SctDW col cV»l.    Io rad-     che, essendo gli scribi addetti al contenziose  amministrativo, od alla pubblica contabilità,  formavano un' autorità speciale, siccome la  Gran Corte dei Conti dei nostri giorni. Essi  formavano un collegio a parte e la carica era  vitalizia ed inamovibile.   Dalle antiche iscrizioni scoperte in Tivoli,  e presso la via Nomentana in Roma nei pri-  mi anni del secolo decimonono, come da altre  che vennero con esattezza riportate e com-  mentate dal Gruter, da Fabretto, da Donati,  da Tommaso Reinesius, nella sua Syntagma  inscriptionum, da Creili, da Mommsen, e da  Visconti, si rileva appunto l'importanza del-  Tuffizio di scriba.   Hawene una di un Tito Sabidio Massimo,  scriba della questura, ed appartenente al sur-  referito collegio, al quale i Tiburtini innalza-  rono un monumento in riconoscenza dell'alta  protezione accordata da lui a questa città:   T. Sabidio T. F. Pal. Maximo Scribae.   Q. SEX. Prim. Bis. Praef. Fabrum. Pontifici.   Salio. Curatori Fani Herculis.   Tribuno. Aquarum. Q. Q. Patrono, Municipii.   Locus Sepulturae. Datus,     •^( 69 )»-   VOLUNTATE. POPULI. DECRETO. SeNATUS.   TlBURTIUM.   Siccome quest'altra seguente iscrizione a  Manio Valerio Basso antico tribuno di legio-  ne come era stato Orazio, pubblicata nel 1854  nel Giornale di Roma dal comm. Visconti,  rende noto che la carica di scriba della que-  stura soleva assegnarsi alla miglior classe  dei cittadini, e talvolta solevasi contraccam-  biare con la carica di tribuno delle milizie,  acciocché se qualcuno fosse stato esonerato  o per età o per volontà, trovar potesse un  appannaggio adeguato al proprio valore, ed  un meritato guiderdone:   Man. Valerio. Man. F. Quir. Basso.   Trib. Mil. Leg. III. Cyrenejae Scrib. Q. VI.   Primo. Harispic. Maximo.   Testamento. Fieri. Iussit. Siri Et.   Fratri. Suo.  Hs. L. M. N. Arbitratu. Heredum.   Erroneamente quindi gli antichi interpreti  della parola scriba e dell' impiego ottenuto  da Orazio, e molti scoliasti e glossatori e  biografi attribuirono solo il senso di copia-     tori di pubblici atti, oppure notai o redatt  di atti privati, all'ufficio di scriba.   Tale dignità elevata, ottenuta solo per ii  pegno di altissimi personaggi, rese ad Oi  zio più facile V accesso ed il conversare e  grandi ed i potenti di queir età, come si \  drà in appresso.   U importanza poi di tale impiego ott  nuto dal poeta si rileva anche da quello ci  egli stesso scrisse nella satira sesta del libi  secondo :   Quinto ,   Ti pregano i notai che non ti scordi   Di tornar oggi pel noto affare   Al collegio d* altissima importanza ... 32)   Anche il Gargallo spiega la parola scribi  con la voce notato; ma non credo aver voluta  egli intendere quello che oggidì importa h  carica di notaio, bensì componente il collegio  degli scribi questorii suddetti.   Il sommo poeta trascorse dunque i primi  anni della sua dimora in Roma tra Toccupa-  zione che gli offriva tale dignità onorifica e  lucrativa e tra i diletti della poesia.   Non può asserirsi con piena conoscenza  quanto Weichert, uno dei più indefessi il-     lustratori del poeta, nella sua opera Poe-  tarum latinorum, vuol sostenere, cioè che  Orazio avesse solo ventisette anni allorché  venne presentato a Mecenate, cioè nel 715  di Roma. La cronologia diventa un mito  quando si ravvolge in date così lontane e  senza testimoni oculari. Volendo però se-  guire tale opinione, adottata pure da Andrea  Dacier, la presentazione di Orazio a Mece-  nate successe quattro o cinque anni dopo  la sua dimora in Roma. E Mecenate, il gran  protettore degrillustri letterati di quel tempo,  non lo ammise nella propria corte se non dopo  averne conosciute le virtù, i pregi dell'animo  e l'ingegno portentoso, e dopo aver giudicato  se Vario e Virgilio, che glielo raccomanda-  rono, avessero imberciato nel segno propo-  nendolo pel novero dei suoi favoriti, quando  era a sua conoscenza che Orazio aveva so-  stenuto la carica di tribuno nelle legioni di  Bruto, ed era fiero ed ardente repubblicano.  Riesce quindi logico noverare la satira quarta  del primo libro di Orazio come scritta poco  prima che fosse a Mecenate presentato, stante  che in essa si scusa con quelli che lamenta-     •^( 72 )»-   vansi delle sue punture, e gliele rimprove  vano come poco coerenti per uno che int(  deva guadagnarsi la stima dei grandi. ]  egli vuol farsi credere semplice moralista  filosofo che castiga, ridendo, i costumi,  perciò egli si esprime presso a poco coi  Il leggere satire, il veder frizzata la catti  gente non riesce certo piacevol cosa a colo  che hanno la coscienza poco monda. Ma e  è puro ed integro ed onesto, non teme  scudisciate del poeta, siccome disprezza  calunnie dei malvagi. Poi non soglio io ai  dar divulgando le mie composizioni nel  piazze, nei trivii, nei simposii od anche nel  accademie. Scrivo per semplice diletto, spini  da forza arcana e per pura intenzione di ù  del bene e purgare la società inondata d;  vampiri, dai viziosi, dagli scelesti, dagVinv  diosi, dagli scialacquatori di patrimoni eh  costarono sudori a generazioni di lavorator  Confesso d' aver anch' io dei difetti; ma ci:  può mai tacciarmi d'aver tradita l'amicizia  d'aver calunniato chi merita lode, d'aver  scemato il merito, anzi non aver abbastanz;  lodato i cittadini eminenti ed onesti?     Un uomo che parla così di se stesso me-  ritava venire annoverato tra quelli la cui ami  cizia è un guadagno, un pregio, un onore.   Vario e Virgilio lo presentarono a Me-  cenate.      IO         VI.   MECENATE     iur> nurmi; • Kt» pu prtgjo la noa.   cliL nciFBnlI iDroliJ. poicha ftllm lla^iu  k ÉufanUl pad or nada td kncluopv.   Gaxoallo — Trmd. di Oraiìa     AIO Cilnio Mecenate nacque in  Arezzo l'anno di Roma 686, e  68 prima di Cristo, ai 13 d' aprile,  - dalla nobilissima famiglia Cilnia, di-  ì scendente dai re dell'Etruria, che erano  quei guerrieri etruschi venuti a soc-  correre Romolo nella guerra contro i Sabini.  Nacque tre anni prima di Orazio. Visse i  primi anni legato di amicìzia col giovane Ot-      taviano, e fecero insieme gli studii delle h  tere e delle scienze in Atene.   Egli pure, seguendo le orme degli avi,  intrepido guerriero, e seguì sempre il vitt  rioso Cesare in tutte le battaglie per demoli  la repubblica e difendere Roma dai nemi  interni ed esterni.   Non fu affetto dal morbo dell' ambizion   Allorché Augusto divenne padrone del v  stissìmo imperio, a Mecenate vennero ofFei  i primi onori, i più ampii poteri; ma tutto eg  rifiutava. Accolse solo le premure di Augusl  di rappresentarlo quando si allontanava e  Roma.   Preferiva il sistema governativo a regim  monarchico assoluto, piuttosto che quell  retto a repubblica, e riuscì a far determinar  col suo savio consiglio Augusto a conservar  quel potere sovrano che per suoi fini particc  lari avea deciso abbandonare. Si avvalse dell  propria influenza, dei suoi disinteressati am  monimenti e del suo credito per rendere Au  gusto, imperatore e pontefice, proclive ali  clemenza ed a far più manifesto il fastigio  della monarchia. Amante del lusso, egli stes     ( 71 >-     so spronava Augusto severo, economico e  restio al grandeggiare, al rendersi sovrano  per magnificenza e per sublimi intraprese edi-  lizie e monumentali.   Sposò Terenzia, donna di grandissima  bellezza, ma altezzosa ed infedele. La ripudiò:  ritornò ad essa sommesso: che non hawi  grande uomo esente da mende , principal-  mente dipendenti da procacia donnesca. So-  stenne lotte atroci per dimenticarla, e non ne  ebbe la forza. U illustre tedesco Meibom ^^^  la dipinge nel vero suo aspetto.   Era scrittore forbito, piacevole ed erudito.  Compose ( ma non sono giunte fino a noi )  una Storia naturale, la Vita di Augusto, e  diverse tragedie e poesie.   Possedeva enormi ricchezze, potendo quasi  competere con Lucullo: largheggiava con ma-  gnificenza regale. Ma quello che lo rese pro-  verbiale nei secoli si fu \ aver protetto e be-  neficato i sommi letterati del suo tempo.   Virgilio, Vario, Terenzio, Tibullo, Catul-  lo, Marziale ed il nostro grande poeta furono  i suoi favoriti. Né la sua protezione si limi-  tava a piccoli sussidii, ad inviti ai suoi son-     tuosi conviti od a sterili raccomandazioni  Bensì soleva rendersi splendido per largi  zioni tali da bastare ad assicurare l'agiatezze  per tutta la vita del protetto. Pochi sovran  si sono succeduti sulla scena del mondo pro-  dighi come Mecenate, e tanto avveduti nei  dare ed innalzare chi realmente possedeva  meriti personali così insigni da immortalare  il protettore, considerandolo nei frutti del lorc  ingegno. Solo in questi ultimi anni nelle ro-  vine di Carseoli nel Lazio si rinvenne un bu-  sto marmoreo di Mecenate. Le rovine della  splendida sua villa a Tivoli non sarebbero  bastate a rischiarare la sua vita e la sua gran-  dezza senza la Lucerna venosma, che lo ha  fatto rifulgere di luce splendidissima ed eterna.  Il vero monumento imperituro a Mecenate  glielo ha innalzato Orazio Fiacco venosino.  Virgilio nelle Georgiche così decanta il suo  insigne protettore: « O Mecenate, o decoro  nostro e parte massima della nostra fama. »  Ma Orazio si mostra più virile. Ritiene Me-  cenate gloria, presidio, sostegno e forte scu-  do della sua persona; ma non attribuisce a  lui, bensì al proprio ingegno la propria im-     -«( 79 )^   mortalità. La superbia Oraziana (superbia  derivante dai meritati allori ) non comportava  servilità comuni al volgo.   Poteva forse il ricchissimo aretino forjiir-  gli una sola favilla di quel genio che il gran  cittadino di Venosa stesso definì particella di  aura divina?   Tutti i tesori di Golconda non equivalgono  a quegli slanci di lirica sublime che non han-  no avuto eguale in nessun mortale quaggiù !   Come si accennò innanzi, Orazio venne  presentato a Mecenate mentre vivea occu-  pato neir ufficio di scriba questorio, e nel  comporre satire ed altre poesie, che aveano  già richiamato l'attenzione degli altri eruditi  del giorno. E ciò dovette succedere neir an-  no 717 di Roma, cioè avendo egli già sor-  passato il ventisettesimo anno. Egli stesso  così descrive questa presentazione:   r ottimo Virgilio   Da pria^ poi Vario dissero chi fossi,   ' Né me figliuol di genitor preclaro  Né me opulento possessor che scorra  Suoi vasti campi su destrier pugliese^  Ma quel eh* io m* era espongo: accenti pochi^  Giusta tua usanza^ tu rispondi: io parto. '«)     ( 8o )m^     E dice pure:   Fattomi al tuo cospetto, singhiozzando  Pochi accenti succiai^ poiché alla lingua  Era infantil pudor nodo ed inciampo . . . ^s)   Donde nacque mai in Orazio tanta umiltà  tanta bonomia e tanta confusione vedendos  al cospetto dell' erudito e ricchissimo e pò  tente Mecenate, se non dallo scorgere in lu  un amico sincero che cordialmente e senzc  vedute interessate lo proteggeva, e lo 'ponevc  nel novero dei suoi favoriti, ciò che formava  l'orgoglio di altri in quel tempo più in fams  di lui, mentre pel contrario molti altri lo di-  sprezzavano e lo invidiavano, e per tal fine  cercavano fargli il maggior danno possibile?  Aggiunger poi si deve che la magnificenza  che circondava Mecenate, il suo palagio, la  fila dei cortigiani che colle teste curve sino  a toccare le lastre marmoree del pavimento,  il suo prestigio dovettero colpire Orazio, che,  per quanto impavido fosse, dovette risentirne  certamente imbarazzo e confusione.   Ti è occorso mai, o lettore, di presentarti,  dopo un' aspettativa lunga ed ansiosa nelle  anticamere, ad un sovrano? E se sei italiano.     ^( 8i )]»-   ti trovasti mai alla presenza del gran Re Vit-  torio Emanuele ? Quella figura atletica, chiu-  sa nella cornice che cinge i re nelle reggie,  colla divisa brillante di generale italiano, con  quelli occhioni vividi e fieri che ti scendeano  come saette sin nelle intime latebre dell'ani-  mo, quasi a scrutarne le più riposte idee e  sentimenti, non ti produsse alcuna emozio-  ne ? Nulla avvertisti ? E se quel sovrano ti  avesse di sua mano largita un' alta onorifi-  cenza, od una lode schietta, non ti hai sentito  sussultare il cuore di gioia, riconoscenza e  compiacimento? Se nulla hai provato, dir  debbo che l'animo tuo è insensibile come pie-  tra fi-edda di sepolcro! Garibaldi, Cavour,  Thiers^ lo stesso Bismark ed il grande taci-  turno tedesco ebbero fieri sussulti dell'animo,  quando la mano del gran re strinse la loro !   Discordanti ben vero appaiono le opinioni  circa il tempo e l'età nella quale Orazio fu da  Virgilio e da Vario presentato a Mecenate.   Molti sostengono (e si riscontra nelle me-  morie dei suoi moderni biografi) che siffatto  avvenimento accadde nell'anno 735 o 736 di  Roma, così che fanno succedere nel 737 il     II     •^( 82 )»-   viaggio di Orazio con Mecenate a Brindisi  e quindi pochi mesi dopo questa data la pub  blicazione della satira quinta del libro primo  che ne descrive facetamente il viaggio , l  evoluzioni, gì' incontri avvenuti ed altri fat  terelli piccanti.   Ma nella Cronologia del Dacier, che devt  stimarsi la più esatta disposizione degli av  venimenti e degli anni nei quali Orazio com  pose le sue poesie, attenendosi ai diversi con-  solati sotto i quali Orazio accenna scrivere,  viene indicato il viaggio di Brindisi nel 716,  od in quel torno di tempo, cioè quando Ora-  zio avea ventinove o trent' anni, e riesce ciò  più presumibile. Poiché nelle opinioni con-  trarie il poeta avrebbe fatto quel viaggio por-  tando sulle spalle mezzo secolo: ed avuto ri-  guardo alla sua salute un po' malandata ed  alla circospezione a conservarsi, ed alla sua  vita ritiratissima allorché vivea in Sabina e  rifiutava perfino gli inviti di Augusto, non  appare verosimile. Sia però come si voglia,  certa cosa é che Mecenate riserbossi nove  mesi per poterlo ammettere nel novero dei  suoi amici stretti.     ( 83 )     Orazio, giovane ancora, erudito, giovialis-  simo, baldo, perchè adusato agli esercizii  aspri della milizia: sperto del mondo, perchè  provato dalle sventure e chiaroveggente: a-  mante del vivere allegro, buontempone, re-  sistente alle libazioni dei cecubi e dei falerni,  uccellatore esimio di donzelle e facile ad ade-  scarle col vischio della poesia, dovea venir  ricercato nelle brigate e nelle accolte dei dotti  e dei viveurs di quel tempo.   Era bel giovane, se non bellissimo, e ne  menava vanto; ed i malanni della precoce se-  nilità (dovuta agli studii indefessi), siccome la  cisposità degli occhi ed i reumatismi, non  aveanlo ancora reso solibus aptum, né biso-  gnevole delle stufe calde di Cuma o delle  fredde docce di Chiusi e di Gubbio. Tutto ciò  fé' propendere la bilancia a suo favore.   Mecenate, gran conoscitore degli uomini,  ed indagatore minuzioso, specialmente trat-  tandosi di quelli che doveano essergli sempre  vicino e sui quali doveva fidare, lo volle con  sé, dopo nove mesi di prove ed indagini, com-  mensale ed ospite nelle sue splendide reggie.   Si sostenne (al dir di Svetonio) da taluni     -«( 84 )     detrattori del sommo poeta, che nel temp  in cui Orazio fu presentato a Mecenate, ve  nisse pubblicata in Roma una lettera sua i  prosa, e dei versi elegiaci supplichevoli, co  quali, adulando il ricchissimo Mecenate, n  implorasse la protezione e l'accoglimento. Ms  calunnia (e Svetonio stesso lo asserì) apparv  più atroce e vile; tutto era apocrifo, si trat  tava di libelli infamanti. Orazio non piatì sup  plice nessun onore, provando in petto senti  menti di fiera libertà; sentiva troppo di sé  tanto che in luogo di adulare sferzava i cor  tigiani e lo stesso Mecenate sino a dargl  dell'effeminato e del Malchino. Il seguirsi de  fatti di sua vita e le proverbiali espression  di superbia che si notano nei suoi scritti, at  testano lalto grado della sua alterigia , fie-  rezza ed indipendenza. E non aveva poi h  carica autorevole e redditizia di scriba que-  storio in Roma ? E a lui, cui bastava tante  poco, a lui nemico del lusso e delle albagie  boriose dei grandi, come potette addebitarsi  tanta viltà ? Molti scrittori dissero Orazio es-  sere traduttore dei poeti greci. Frontone chia-  mò Orazio memoriabilis poeta, e nient'altro.     -«( 85 )   È noto del resto che il gran Venosino nei  più antichi tempi non fu tenuto in quella no-  minanza altissima, come ora si tiene. *^)   Oh che gli uomini sogliono vedere sem-  pre il male nel prossimo, e fingono non ve-  derne il bene I   L'adulazione, gli omaggi resi da Orazio a  Mecenate ed Augusto, sono, derivati dal suo  animo riconoscente e buono. Mecenate lo  colmò di doni e favori. Orazio se l'ebbe a  gran fortuna ed insperata, e per aver ester-  nata la sua riconoscenza procacciossi la tac-  cia di pettegolo e vile adulatore.   Gotthold Lessing ^7) così si esprime : « La  malizia regna sovrana negli apprezzamenti,  come nelle altre cose. Che un letterato espri-  ma le proprie idee sulla divinità in maniera  da rendersi sublime, esponga le massime più  belle sulla virtù, il volgo si guarderà bene  dair ammirare il cuore da cui partono siffatti  sentimenti, bensì gli si assegnerà la taccia  di stravagante. Se poi, al contrario, allo  scrittore sfugge il benché minimo biasime-  vole fatto , lo si dirà derivante da un cuore  cattivo, da un animo perverso. »     -«( 86 )     Così giudicano gli uomini!   Le massime così morali ed istruttive d  Orazio, la sua circospezione, la sua religio  ne, la sua integrità, la sua indomita fierezza  il suo animo generoso ed affettuoso insieme  la sua amicizia, che si svelava sempre sin  cera e disinteressata, non furono bastevoli e  liberarlo dal dente della calunnia e dai vita  perii degr invidi ed ipocriti suoi ammiratori   Quando altro i suoi nemici non potetterc  fare, stabilirono la lega del silenzio, creden-  do che Toblio l'avrebbe ricoperto; ed infatti  ben pochi scrittori di quel tempo e soltantc  qualcuno dei sommi furono quelli che ricor-  darono Orazio.   Oh stolti ! Orazio era stella sfolgoreg-  giante di propria luce!   Oh quanti avrebbero spedito (e ne spe-  dirono certo, perché pregavano Orazio stesso  a presentarle, ed Orazio negavasi) suppliche  e petizioni a Mecenate per aversi quello  che Orazio ottenne per suoi meriti straor-  dinarii, e perchè forse a sua insaputa venne  aiutato da Vario e Virgilio, i quali indi-  pendenti e sommi non mercanteggiavano     ( 87 )     sulla virtù e suiramicizia ! Orazio conservò  sempre una virile dignità, né fu mai pa-  rassita o cortigiano di Mecenate, ma suo  amico fedele, e fedele gli fu sino alla morte  che li colpì, per istrana fatalità, insieme !   Svetonio riporta l'epigramma faceto ed  amichevole che Mecenate ad Orazio diresse,  che molto spiega e rischiara :   Ni te visceribiis meis, Morati^  Plus jam diligo^ tu tuum sodaUm  ninno me videas strigosiorem,   (( Se io, o Orazio, non continuerò ad  amarti più di me stesso, possa tu vedermi  ridotto più sfiancato del mio muletto. » ^^)  Al cardinale Ippolito d'Este, che non era  certo al livello di Mecenate, né per inge-  gno, né per ricchezza e potenza, e che ri-  volse all'Ariosto quell'esclamazione avvili-  ti va: « Donde traeste fuori, messer Ludo-  vico, tante fanfaluche ? » Ariosto scriveva :   Fa che la povertà meno m*incresca^   E fa che la ricchezza sì non m*ami   Che di mia libertà per suo amor esca.   Quel ch'io non spero aver fa eh* io non bramii   Che né sdegno ne invidia mi consumi ... '9)     -«( 88 )»-   Si noti differenza di sentimenti !   Orazio così risponde al celebre giurecon  sulto Caio Trebazio Testa, che lo consi  gliava a celebrare coi carmi suoi immorta]  le gesta di Ottaviano :   Trebazio di Cesare tinvitto   Osa le gesta celebrar^ sicuro   Che ne otterrai ricca al lavor mercede,  Orazio cedono ineguali   A tanto desio le forze inferme.   . . . . fuor che in propizio istante . .   Mai non Jìa che di Fiacco accento voli, » 30)   Ma questa è apologia bella e buona, chse, sed  c( si tibi natura deest, corpuscolum non  « deest. ))   Dai quali brani si rileva che Augusto non  solo stimava Orazio al massimo grado, tanto  da temere che essendo le sue opere immor-  tali, non curasse d'immortalarlo in esse,  quanto eragli amico intrinseco e con lui so-  leva scherzare come con un suo pari. Ed  Augusto non addivenne l'erede testamentario  del poeta? Sono fatti che riescono incom-  prensibili a quelli che non vogliono riflet-  tere quanto grande sia la potenza del genio,  dell' arte ! Il volo sublime spiccato dal vate  venosino è un fenomeno che merita uno stu-  dio speciale, e non altrimenti possono spie-  garsi quelle poesie nelle quali la superbia  e lo sprezzo del volgo profano fanno ma-  nifesta quella grandezza sua, che chiarissima  a lui stesso appariva.     ( no )     Di bronzo più durevole  Ho un monumento alzato.,.^  Non Jta che basti a chiudere   Me breve tomba intero   Dair imo suolo alt etere  Diran eh* io seppi alzarmi  Primier su cetra italica  Cigno d* Eolii carmi,,,..  Superba or va^ Melpomene   Dei meritati allori   Tutto il terrestre spazio  È angusto a me confine,...   Non io   Da r urna e da la stigia  Onda sarò ristretto^  Già del figliuol di Dedalo  Io spiego ala piti ardita....  Laude fra tardi posteri  Farà ch'io, guai per fresca  Aura, arbuscel piti vegeto  Ognor m^ innovi e cresca..,.  La pompa è a me soverchia  Che r altrui tombe onora,.,. 34)   Colui che si esprimeva in questi termin  sentir doveva di essere di gran lunga supe  riore a tutto il resto degli uomini, e non rieso  incomprensibile che abbia potuto divenire i  favorito del potentissimo Augusto, siccom(  lo era del generoso Mecenate.   E che la superbia di Orazio fosse stafc     -^ III )»-   sprone ad acquisto di ricchezze ed onori e vuo-  ta supremazia sui suoi simili, patentemente  vien diniegato dal suo metodo di vita, dalle  sue massime radicate di sobrietà e morigera-  tezza, dal suo contentarsi del poco e godere  della parsimonia. Mecenate ed Augusto po-  teaii certo offerirgli più che un podere in Sa-  bina, potean delegarlo proconsole in terre lon-  tane, dove sarebbe ritornato ricco come Lu-  cuUo; ma ciò sarebbe stato un offenderlo, un  ferire la sua suscettibilità, un recargli fastidio,  un attendersi un reciso rifiuto, perchè non  eran questi i voti del venosino.   È notorio che Orazio non usò altri di-  stintivi di onorificenze se non lanello e gli  ornamenti di giudice, ^5) ma valevasene sol-  tanto per accompagnare Mecenate nei pub-  blici ritrovi, perchè non amava certo che si  fosse detto che l'amico del potente signore  fosse un figliuol di liberto, bensì un cava-  liere che comandato aveva una legione ro-  mana!   Un poderetto in luogo ameno, salubre,  tranquillo e lontano dai rumori della gran  città, un tetto sicuro, la certezza di vivere     ( 1J2 )     agiato, la vicinanza ai suoi sinceri amici   protettori, ai quali dimostrava ad ogni p   sospinto la sua riconoscenza: ciò gli era ne   solo sufficiente ma sovrabbondante, e ne rii   graziava le divinità!   Ah che daddovero era una grand' anim   quella di Orazio venosino ! O divino Verd   o sommo Cantù, voi siete oggi esempi vi   venti di uomini immortali aborrenti dalla st   perba jattanza, e modesti, e cari ai popoli e   all'Essere eterno che vi stampò ! Riesce fs   cile notare nel passato, fatte le dovute ecce   zioni, taluni pure letterati od artisti, ai qual   riuscì appena in certa guisa a far risonar   pel mondo la tromba della fama, che non pii   si appagarono di piccoli poderi o rustich-   casette, ma bramarono s'innalzassero monu   menti a loro stessi viventi. Vollero onor   sommi , castelli , parchi , magnificenza , fra   stuono di accademie e di teatri, e scialo à  superare i re della terra !           IX.   LA VILLA SABINA     SvsTomo — Vitt ili Orma   L'ooohka eoM DgU kiL mlil non ibiHa,   Qu«l oh* poHl*d«: PIA qaaL poco i mto^...  Cari rfciuip « M mtJ crvLI. immL   Gaioallo — Tra4. ili Orati     I ell' esposizione della Promotrice  del 1878 in Napoli si ammirava un  cjuadro ad olio, segnato Orazio in viiia,  dell'illustre pittore Camillo Miola, mio  amico, autore della Sibilla, del San-  sone al torchio, delle Danaidi, del  Plauto^ e di altre pregevolissime tele riguar-  danti r antichità, e dì cui l' Illustrazione ita-  liana del 16 luglio 1882 faceva elogio som-      ( "4 )     mo, dichiarandolo uno dei migliori artii  moderni d' Italia.   Ed invero chi esamina quel quadro st  pendo yien compreso d' ammirazione p  l'arte e per la precisione storica che vi  nota. Non palagio cinto da portici, o i  parco, o da aiuole fiorite, non statue né ca  celli con grifoni e sfingi di bronzo; ma ui  modesta costruzione nascosta da un altissin  albero, sul quale si arrampica un cespo g  gantesco, che lo fa assomigliar ad un eno  me roseto; con semplicità di colore, con pi  cola corte, con finestrette modeste, da un  delle quali pende una gabbiolina con un  capinera, e da cui compare il busto di On  zio che maschera una vaga donzella, dell  quale si distinguono solo le belle fattezz-     rini e Batillì imberbi con lunghe chiome, che  saltellando ed agitando nacchere e tirsi, si  versan dalle anfore colme vini prelibati rac-  colti nel podere. Una capretta randagia presso  il rustico cancello di legno, apparisce spetta-  trice innocua di quelle piacevolezze campestri.  Basta veder quel quadro per formarsi una  idea della proprietà che Orazio si ebbe in  dono da Mecenate, unico dono che la sua  modestia aggradì, e che confaceva al suo  ideale.   Orazio cosi enunzia la topografìa del suo  podere rustico:   Tutto di monti una catena il forma^  Se non che t interrompe opaca valle  Ma così^ che sorgendo^ il destro lato  Ne copre il sole^ e con fuggente carro  Cadendo^ il manco ne vapora. Il clima  Ne loderesti »7)   Nella terza satira del secondo libro per  la prima volta parla di tal dono che gli venne  fatto da Mecenate nell' anno 721 , quando  cioè Agrippa fu edile. Perchè, siccome opina  il Dacier, nella sua Cronologia delle opere  oraziane, tale satira in quel tempo fu scrit-     ( ii6 )»^     ta. Ed Orazio ringrazia cordialmente Mece-  nate per tal dono che gli giungeva nel suo  trentesimosecondo anno di età.   La voracità del tempo che ogni traccia  di opera distrugge ed oscura, fece del tutto  scomparire le vestigia della villa di Orazio  in Sabina. Solo la pertinace ricerca dei suoi  ammiratori, e la religione che accompagnò  i dotti archeologi nel voler rintracciare i ru-  deri di tal fabbricato e podere, guidati dal  lume nello stesso Orazio nelle descrizioni  che ne fa nelle sue opere, fece in questi ul-  timi anni stabilire il luogo preciso, la con-  formazione e r area dove quella villa sor-  geva, e dove il gran poeta, al dir di Sve-  tonio, visse molti anni nel ritiro fin secessu)  e nella quiete.   Ch. Guill. Mitscherlich, dotto filologo prus-  siano, nelle sue Racemationes venusinae ,  stampate nel 1827; Obbario, nelle sue no-  te sulle epistole oraziane; e principalmente  r opera che X illustre letterato abbate Cap-  martin de Chaupy pubblicò in Roma nel  1767-69, nel terzo volume, sulla Scoperta  della casa di Orazio, possono offrire pre-     -«( 117 )     zìose notizie sulle ricerche pazienti e sulle in-  vestigazioni profonde e minuziose fatte per  dar luce chiara a tale obbietto.   Orazio disse che al suo piccolo fondo ba-  stavano cinque lavoratori per menarlo a col-  tura, i quali andavano a smerciarne le der-  rate a Varia, piccola città lambita dall' Aniene,  ed avean tutti alloggio nei fabbricati adia-  centi a quelli che lui stesso abitava, e dove  ciascuno soleva vivere con la propria fami-  glia, tanto che dai fumajuoli delle cucine, sul  far della sera, sprigionavansi cinque nuvo-  lette azzurrognole che ne indicavano il ru-  stico convito (cinque fuochi), ed il soggiorno  tranquillo.   Si costuma tuttodì dagli agiati proprietarii  di terre nelle province meridionali di vivere  nel proprio fondo circondati dai rispettivi  coloni, e r occhio vigile del padrone non  nuoce alla prosperità di esso.   Si comincia pure oggi a comprendere dai  ricchi possessori di latifondi che la pigra vita  delle popolose città non ridonda a vantag-  gio della loro fortuna. Si creino pure ca-  stelli, e si viva in essi, ma si faccia dimora     -«( ii8 )     presso la sorgente, donde si ricavano quel  ricchezze che rendono disuguali gli uomii  fra loro. Si renderebbe così possibile e pei  donabile tale disuguaglianza!....   Il principale castaido di Orazio dovev  nominarsi Davo, marito forse a quella Fi  dile alla quale dirige consigli savissimi  salutari con una sua epistola. Davo esser do  veva un cattivo castaido, come lo son per h  più quei villici che abituati da tempo a fa  da padroni nel fondo, mal vedono un nuo  vo signore venire ad imporre ad essi leggi (  dettami ed a sorvegliarli. Orazio lo rimbrotta  acremente in una satira, ^s) perchè nelle fe-  ste saturnali, solendosi concedere ai subal-  terni piena facoltà di esternare i proprii sen-  timenti senza poter venire redaguiti dal pa-  drone, ancorché gliele cantassero amare,  (e tal costume si è conservato sin negli ul-  timi secoli scorsi, e Tansillo, venosino, nel  suo sudicio e laido poema, che intitolò //  yendemmtatore^vciostvò quanto quella libertà  possa degenerare in licenza) svela il suo  animo protervo, indocile e poco amante delle  rusticane usanze e prosperità derivanti dalle     ( 119 )^     buone e fertili annate, e dall' amor del suolo  opimo; che anzi si svela amante dei piaceri  della città per quanto spregiatore delle gioje  campestri, e sotto la veste del campagnuolo  si nasconde un guattero tralignato, ed un  operajo invido ed infingardo.   Davo prima di entrare nel podere aveva  servito dei signori romani nell* ufficio di  mediastmus. Si figuri il bel tomol   Il fondo si componeva di una selvetta ce-  dua (dove al poeta successe quel fiero in-  contro col lupo, ed un dio propizio lo fé'  restare incolume) ricca di elei ed altri alberi  ghiandiferi che servivano ad alimentare le  piccole greggi. Vi si godeva nell* estate fre-  scura e raccoglimento. Eravi un pomiere, ed  un orto, nei quali pruni, susini e cornie ab-  bondavano, con diverse altre specie di frutta  delicate : né mancavano ulivi; tanto che ben  potea dirsi di ritrovarsi a Taranto. La vite  poi formava la parte più ricca del fondo, e  dalla quale Orazio solea distillare quel cele-  brato vinello che non disdegnava far gusta-  re al palato di Mecenate.   Nel mezzo del fondo scorreva un rivolo     ( I20 )»-     di acqua freschissima, che ricascando in gt  terelli e piogge, e purificandosi lungo le ghi  je, formava poi una fonte limpida e crisfc  lina da potersi paragonare al celebre fon  Bandusia, che versava le sue pure linfe pres;  la patria del poeta, e che ancora oggidì qu  di Palazzo S. Gervasio chiamano Fontah  di Venosa, presso il bosco di Banzi. La   fontana   D* acqua perenne a la magion vicina,,, '9>   è appunto \ attuale fontana degli Oratir  presso Tivoli. Il fonte Bandusia sta press  Venosa nella strada che mena a Palazzo £  Gervasio, e X ode ad esso fu improvvisai  da Orazio in una gita a Venosa per cacci,  o diporto.   Erroneamente si confondono queste du\ cioè morirà il mio  corpo marcescibile, ma Y anima mia soprav-  viverà I In che cosa si discosta dalle credenze  del cristianesimo, se si cangiano i nomi alla  divinità che dall' alto dispone, assiste e pro-  tegge ?   O Jehova, o Dio, o Giove, uno è il prin-  cipio, r esistenza d' un essere soprannaturale  che tutto vede e dispone, e che premia o  punisce. Non è la sommissione buddistica,  bensì la virile sommissione ad una forza on-  nipotente. Orazio diceva:   Che Giove fra celesti   Tien regno ^ il tuon creder ci feo primiero. ^^   E Vittor Hugo in questi ultimi tempi, ben-  ché ammantato di scetticismo volteriano, gri-  dava: // est, il est, il est! **)   A tali credenze religiose mescolandosi la     -c(a più dolce salsa alle vivande  Procaccia col sudor. 5^)   Soleva in compagnia dei suoi familiari ed  alle vezzose ancelle od amiche, aggiungere  a queste semplici vivande un buon bicchiere  di vino schietto e leggiero, che essi mede-  simi avevano manipolato dopo la gioconda  vendemmia.   La sua mensa era linda, lucente, bianca,  sulla quale campeggiava un vasello emble-  matico ripieno di sale: e V aveva per caro  auspicio e quale usanza religiosa.   Il sale ha avuto grande importanza in tutti  i tempi, persino nei culti. Presso gli Israe-  liti serviva per purificare e consacrar la vit-  tima nei sàcrifizii. L' acqua santa nostra è   19     ( H6)     mista al sale. Questa sua grande mondezza,  non lo dissuadeva dall' invitare a convito  amichevole, oltre ai suoi amici di condizione  eguale alla sua, siccome Torquato, Settimio,  LoUio, Quinzio Irpino, oppure delle donzelle  di vita allegra ed avvenenti, come Fillide,  Glicera, Cloe, Tindaride, anche il gran Me-  cenate, al quale scriveva:   n nauseoso lusso   ammirar cessa.   Grato ben giunger suole  Sovente ai grandi il variar di scena.  Cerca mensa frugai^ là dove ammessa  Non è pompa d^ arazzi^ e non di porpora  In pover tetto fa sparir le impronte  Che affanno incide in accigliata fronte.  Viriti m' è schermo^ ed il seguir m' è pregio  Povertà senza fasto e senza sfregio. 53)   Ed in tali circostanze straordinarie mo-  strar si soleva galante a modo suo. Inco-  minciava col prevenir gli amici che se con-  servavano vino miglior del suo, Io portas-  sero pure alla sua mensa che non se ne  sarebbe offeso, anzi ne avrebbe bevuto un  bicchierino di soverchio alla salute del do-  natore.     ( H7 )     Orazio ammetteva che il vino rinfocolasse  l'estro poetico, e perciò mal soffriva sedessero  al suo desco gli astemii, sostenendo che pu-  tirono di vino sin dall' alba le dolci muse.   Prometteva ai commensali che li avrebbe  collocati nel triclinio ciascuno presso a per-  sona che non gli riuscisse antipatica o me-  ritevole di troppe cerimonie. Né disdegnava  riservare il posto ai più gai, ai più giovani  e baldi, presso quelle generose donzelle ro-  mane di bellezza e brio regine. La gentilez-  za, poi, formava il principale suo pensiere.  Così scriveva a Torquato:   Già il focolare da un pezzo e le stoviglie   Splendon rigovernate a farti onore   A bere^ a sparger fiori io già son primo,.,.   Che sozza coltre   Che sordido mantil non giunga il nc^so  Ad aggrinzarti^ che il boccale eh' il piatto  Tal non sia che specchiarviti non possa 54)   Né gli piacevano numerosi convitati, ma  pochi, cari e buoni:   Che caprino sentore ammorba i troppo  Folti conviti. 55)     -«(148 )     Riesce in vero gradito e dilettoso figi  rarsi in mente il nostro Orazio, re del coi  vito, con quel suo faccione pieno e rose^  ilare, faceto, coronato di rose, levigato  terso colla cute, da sembrare un majaletl  lustro e pinzo.   Levatosi da letto, soleva andarsene a zoi  zo per la sua terra, e dilettavasi a smuover  glebe e sassi, adocchiare i filari delle vit  curare gì' innesti delle piante e degli albei  da frutta; della qual cosa solcano ridere  vicini, 56) i quali conoscendo come Grazi  frequentasse la corte, e che di Augusto e e  Mecenate e di altri potenti fosse familiare  non poteano persuadersi di questo suo amor  per così rustiche e basse faccende campe  stri. Non riflettevano essi che nella ment  del venosino eravi fisso, incardinato il « m  admirari y> secondo l'opinione di Laerzic  e di Democrito. Orazio era dotato di « aia  raxia » e le grandigie, il fasto, il lusso nor  lo lusingavano punto, anzi ne era al somme  disgustato, siccome ritrovava diletto in quelle  sue. umili occupazioni. Ecco il suo savie  consiglio:     ( H9 )     Alma al ben fare accorta   Tu serbi •   inflessibile   A V oro abbagliator d* ogni pupilla. 57)   E dopo le escursioni nel podere ponea  mano a coltivar lo spirito, scrivendo, leg-  gendo, meditando.   Solca poi di tratto in tratto recarsi nella  gran città, in Roma, sia pel disimpegno della  sua carica di scriba della questura, sia per  altre faccende, sia per coltivare le amicizie  di Augusto, di Mecenate e di altri che egli  stimava, principalmente versati nelle lettere  e nelle scienze. Ma sen ritirava sfinito, perchè  la folla dei postulatori, degl'intriganti, dei  finti amici invidi e malvagi, degli zingani,  dei ciurmatori, ruffiani, baratti e simili lor-  dure, e dei molestissimi e garruli falsi lette-  rati non lo avevano risparmiato.   villa, e quando io rivedrotti^ e quando  Potrò dei prischi saggi or fra i volumi  Or tra il sonno e le pigre ore oziose  Trarre de V egra vita un dolce oblio ì  Li fave^ al Sannio, in parentela aggiunte  E i buoni erbaggi come va conditi  Nel pingue lardo, oh quando avrò sul desco I     -«( I50 )»-   notti I cene degli dei^ dov* io  Presso il mio focolar coi miei m' assido^  E mangio^ ed alla vispa famiglinola  Dei servii nati dai miei servii io stesso  I già libati pria cibi dispenso! S^)   Della sjpa persona soleva avere som  cura, perchè quasi giornalmente immerge  nel bagno, e dopo ungere si solea di o  profumato e finissimo. Nel vestire most  vasi dimesso e noncurante, ma non pe  privo di gran pulitezza o da potersi dir  come vuole san-  to Attanasio, al dir dello stesso Lupoli e del  Farao. ^^) Non mi è quindi riuscito straordi-  nario ed inesplicabile quanto in appresso  verrò esponendo circa le consuetudini do-  mestiche di Orazio.   Nelle molteplici edizioni delle opere del  sommo poeta, le quali riportano la sua bio-  grafia redatta da Svetonio Tranquillo, ho  rilevato che si è tralasciata una notizia in-  teressante che riguarda una sua pratica oc-  culta, la quale può ben riferirsi al culto sur-  riferito di misticismo caldaico.   La vita di Orazio composta da Svetonio  Tranquillo, che fu V unico che scrisse del  gran venosino pochi anni dopo la morte di     ( IS7 )     lui, e che fa accrescere certezza alle investiga-  zioni fatte neir analizzarne le opere, si com-  pone non più di una sessantina di versi di  stampa. Tutto è laconico e scritto fugace-  mente, come se si trattasse d* un cenno ne-  crologico. Sembra che Svetonio abbia vo-  luto far notare con certa diffusione Solo l'a-  micizia intima che legava Orazio ad Augusto,  ed in essa si dilunga, fornendo preziosi brani  di lettere. La quale riproduzione di brani di  lettere di Augusto ad Orazio dirette forma-  vano forse il soggetto che per la maggior  parte dei contemporanei destar doveva in-  teresse maggiore, e far di Orazio un uomo  agli altri superiore per tanto onore. Il brano  della biografia che è stato cancellato ( forse  per purgarla), V ho rilevato da un' edizione  olandese delle opere di Orazio del 1663, pub-  blicata dal filologo inglese Giovanni Bond,  che la prima volta comparve in Londra nel  1614, e dopo se ne riprodussero diverse al-  tre edizioni intere, ed è il seguente :   (( Ad res venereas (Horatius) intemperan-  tior traditur nani speculato cubiculo scorta  dicitur , habuisse disposila , ut quocunque     -«( 158 ))•-   respextsset, tòt et imago e re f erre-  tur....... ))   Formava adunque per Fiacco un culto  (( / ars Venerea » , ed egli addimostrava-  sene tanto fervente, perchè nato nel luogo  ove sorse il primo Succoth-Benoth. Nella  cennata antica cronaca venosina del Cenna ,  il quale era pure investito della prima di-  gnità del capitolo dell' insigne cattedrale di  Venosa, si leggono i seguenti versi che rin-  forzano la mia assertiva: « Alcuni, e spe-  tialmente Nicolò Franco nelli suoi Dialoghi,  vanno dicendo che Horatio Fiacco fusse stato  in sua vita di costumi osceni, il che tutto  è falsissimo, siccome lo testifica Ludovico  Dolce nella vita di esso Horatio. » E Luigi  Poinsinet de Sivry, eccelso poeta francese  del 1700, nel suo poema. « L Emulation »  va all'eccesso contrario, proclamando Orazio  (( modéle de bravoure et de chasteté. »   Ciò che forma adunque l'addentellato al  dispregio di molte produzioni oraziane, viene  per tal riguardo distrutto ; considerando che  la sporcizia e l'oscenità, non erano poi in quei  tempi una qualifica essenziale dell' immora-     ( 159 )     lità e della disonestà. Egli stesso ripetuta-  mente bersaglia, bistratta, dispregia e colpi-  sce gli adulteri, i violatori delle vergini,  gl'incestuosi I Eran questi per lui grimmo-  rali ed i disonesti. E se non è questo il cor-  reggere i costumi, qual altro fondamento di  morale, mancando la cristiana, poteva offrir-  gliene sostegno ?   Egli rampogna acremente i Romani d' ir-  religione e lascivia. Egli volle vivere sempre  celibe. Del nodo d'Imene aveva tale concetto  d' alta responsabilità che non volle allacciar-  sene, né restarne tenacemente avvinto. La  moglie di Mecenate gli forniva un esempio  troppo splendido d* incostanza, infedeltà e  disonestà. Terenzia seguì Augusto in Asia  abbandonando lo sposo. E non parea conve-  niente al sagace venosino far la triste figura  di Mecenate, intendendo professare V opi-  nione di Seneca a tal riguardo, quando com-  pose la biografia del marito dell' infedelis-  sima Terenzia. (^^)   Il suo celibato vien confermato dal non  aver scritto mai carme o verso per donna  che fosse stata sua moglie.     ( i6o )     E lo dice esplicito e chiaro nell'ode 8* del  libro 3^:   Te Mecenate il rimirar sorprende  Che vivo cespo ardente^ e incensi^ e altari^  Io cèlibe^ di ?narzo a le calende   E fior prepari.    E solo ad un celibe sarebbe convenuto far  pompa di tante conoscenze di cortigiane e  donne allegre. Lagage, Gige, dori, Barine,  Foloe, Leuconoe, Noebule, Lidia, Neera,  Glicera, Tindaride ed altre dimostrar posso-  no, essendo state amanti riamate di Orazio,  che se egli non aveva moglie, godeva non  poco del benefizio inapprezzabile di essere li-  bero e celibe.      ìÀjiS^Ì      se. "*-Sj     XII.     GLI ULTIMI ANNI DEL POETA     GuOALio — Tml. di Orm     , N moltissimi punti delle opere di  Orazio appare che nella sua mente  elevata si presentava l'immagine della  morte, questo indecifrabile, nebuloso,  oscurissimo problema, questo fatto in-  cognito, pauroso e spaventevole. E dir  ch'egli covava in petto un cuor di ferro, e so-  steneva che :   Con impavido ciglio   Se delteteree spere in pezzi infrante     ( l62 )     Valta compage piombi   Sotto il suo minar Jia che s* intombi, ^^s)   Non poteva con tutto ciò esimersi da quella  paura istintiva, da quel senso di terrore in-  generato dal dover mancare alla vita, dal do-  ver brancolare nelle tenebre dell'ignoto.   ...... Nato a morir ^   Tutti attende alfin quella profonda   Che non conosce aurora unica notte . .   Hctssi un giorno a calcar la stigia sponda . . .   Presto rapì t inclito Achille morte   E a me ciò farse offrir vorrà la sorte   Necessità di morte   Getta sovra ciascun   Legge crudeli Ma pazienza mitiga   Ciò che non ha riparo   Tutti spigne tal forza ad ugual meta   Che a pugnar seco è mortai forza inabile. 66)   Tutta la sua filosofia: le massime di De-  mocrito e di Epicuro, che facean precetto  essenziale di dispregiare e non curare gli  orrori del sepolcro, non bastarono a toglier  questo pensiero ftinestissimo dalla mente di  lui. In mille maniere lo rimuginava, lo com-  mentava, compiacevasi tormentarsene. La lu-  ce ed i fulgori delle verità cristiane non gli  rischiaravano l'intelletto e non gli molcevano     ( i63 )     il dolore, promettendogli una patria lassù,  sulle sfere, patria immutabile, bella d' ogni  godimento ed allietata dalla vista di quel Dio  rimuneratore e buono ed onnipotente.   Ammetteva Y Èrebo e Y Olimpo, come so-  levansi ammettere quei miti inverosimili ed  incredibili, che acchetavano la bramosia di  quei popoli privi di una fede consolatrice,  che prometteva la beatitudine ventura come  compenso alla vita onesta e laboriosa.   Dato che il piacere terreno formar do-  vesse la meta della felicità, che poteva spe-  rarsene dalla vita futura? Il nulla, la distru-  zione completa, la particella della materia  andava a ricongiungersi alla materia:     Noi cadendo  Nella notte che non sgombra  Più non siatn che polve ed ombra .  Degli anni il breve termine  Vieta ordir lunga speme:  V ombre favoleggiate e la perpetua  Notte già già ti preme, 67)     Nella distruzione completa del suo essere  Orazio ammetteva che soltanto una parte di  se stesso sopravviver dovesse eterna: cioè il     (J60   frutto dei suoi sudori, il suo monumento:  r anima sua.   E tale credenza, che non era dubbio, gli  scusava la fede nel!' immortalità dello spi-  rito umano.   L* (( omnis moriar », espressione tanto  concisa per quanto chiara, spiega che non  eravi dubbio in lui neir immortalità del-  lanima. La paura della morte comune a tutti,  sebbene con tanta jattanza, dalla maggior  parte apparentemente sfidata, più che Ora-  zio vinceva il suo protettore , Mecenate. E  siccome la paura è attaccaticcia e conta-  giosa, Orazio non addimostravasi meno al-  larmato di lui. E tal pensiero dominante  trapela nelle sue opere, come quell'altro,  che lo mordeva sordo, della nascita vile ; né  bastavagli a frenargli la lingua, la sua for-  tezza e valentia. La paura della morte era  così possente in Mecenate da fargli dettar  quei versi riportati da Seneca, che non  fanno grande onore al valoroso romano:   Vita dum superest, bene est  Hunc mihi vel acuta  Si sedeam cruce^ sustine ! 68 ^     -«( i65 )»-   Tanto grave e scoraggiante riusciva per  lui tale idea, che avrebbe meglio amato ve-  nire inchiodato in croce come l'ultimo dei  malfattori e vivere, che farsi tragittar da Ca-  ronte nella palude Acherontea.   Orazio venivalo consolando con teneris-  sime espressioni, perchè Orazio non era co-  dardo, né intendea scoraggiarlo maggior-  mente. Ma le sue espressioni non appro-  davano gran che. Tentò alfine porre in ope-  ra il savio consiglio, che la pena gli sa-  rebbe venuta scemata sapendolo compagno  nel dolore, ed è perciò che gli dice senza  essere scevro di paura :   , Non piace ai numi   Che i tuoi si spengano pria dei miei lumi  Un dì medesimo fia d* ambi estremo  Ne il voto è perfido, inseparabili  Andremo^ andremo. Che pria se muori  Pur teco air ultimo comun mi trovi  I nostri unanimi fuor S ogni esempio  Astri consentono 69)   E tale profetica consolazione, per istrana  fatalità, si verificò pur troppo. Non è lecito  veder tutto con tinte soprannaturali. Buona  parte di quello che molti direbbero spirito     -«( i66 )»-   profetico attribuir si deve alla paura della  morte che premeva così Mecenate come O-  razio. E la paura, il dubbio dell' ignoto, non  è vigliaccheria, bensì è innata nella natura  umana. Anzi prode è colui che questa paura  affronta, e guarda imperterrito quella figura  armata di falce, sfidandola sui campi delle  battaglie, al letto degli appestati.   Se non vi fosse terrore e spavento istin-  tivo del morire, quale prodezza, qual valentia  sarebbe affrontare impavido la mitraglia e le  pesti, il mare irato ed il baleno delle armi  nelle tenzoni cavalleresche ?   L' amistà che legava Mecenate ad Orazio,  il sentirsi quel grande consolato da lui così  coraggiosamente lo fecero memore del poeta  che l'assisteva nelFora estrema a preferenza  degli altri. Nel suo testamento scriveva ad  Augusto, al dir di Svetonio: (c Prendete cura  di Orazio Fiacco come prendereste cura e  terreste memoria di me stesso I »   E riesce veramente straordinario come,  morto appena Mecenate, che era già soffe-  rente e presentiva la propria fine , dopo  pochi giorni, un subitaneo malore colpì il     ( i67 )»-     sommo poeta, da non lasciargli neppure il  tempo di dettare in iscritto le sue ultime vo-  lontà. Andonne misteriosamente a raggiun-  gere r amico neir ima notte, siccome aveva  promesso.   Orazio morì neir anno di Roma 746, es-  sendo consoli Caio Mario Censorino e Caio  Asinio Gallo, nell'età di anni cinquantasette,  due mesi e qualche giorno, cioè nel dì 27  novembre.   Già da qualche tempo varcati i dieci lu-  stri, Orazio non senti vasi sano: accusava sof-  ferenza ai nervi e malinconia che accom-  pagnar sogliono per lo più quelli che tra-  scorrono molte ore del giorno a logorarsi  la mente coi severi studii. Perchè i visceri si  rendono sofferenti per le occupazioni men-  tali, e defatigata la mente, la tetraggine  invade il cervello , principalmente quando  gli anni incalzano.   In una lettera che il poeta scriveva ad  un compagno d'impiego nella questura, Cel-  so Albinovano, suo amico, ma che giunto al-  l' apogeo della grandezza, perchè ben ve-  duto e careggiato dal giovane Nerone, erede     ( i68     dell' imperio, mostravasi altezzoso e superbo  (sebbene non manchi la nota sarcastica, ben-  ché infermo , per questo favorito di ven-  tura) così diceva :   Dritto né ameno è di mia vita il corso^   Perché men della mente sano   Che delt intero corpo^ udir vo' nulla,  Nulla imparar che il morbo sgravi, I fidi  Medici fanno orror, gli amici restia  Perchè al sottrarmi al rio letargo intesi. 7o)   Ed a Mecenate . scriveva :   Ma di cor debil troppo e troppo infermo  Me conoscendo^ chiederai tu quale  Il mio far possa al tuo periglio schermo ?... 70   Col corpo affranto dal peso degli anni,  dalla vita trascorsa nelle fatiche mentali e  nelle avventure e nei godimenti venerei,  sopraggiunse ad Orazio la nuova della mor-  tale malattia del suo Mecenate e la fine dì  questo. Il colpo fu troppo violento e dovea  riuscirgli fatale. La sua fibra debole non  poteva resistere. Pomponio Porfirio, che con  lo scoliaste Elanio Acrone, dilucida le la-  coniche note di Svetonio, circa la vita di  Orazio, dice che lo stato suo di salute era     ( i69 )     deteriorato assai con gli anni, che non gli  conveniva più restar l'inverno nelle monta-  gne della Sabina, nella sua cara villa : che  svernar soleva a Tivoli (ed egli stesso lo  scrisse) come il luogo più aprico: ce Tiburi  enimi fere otium suwn conferebat , ibique  carmina conseribebat.ì) E Tivoli desiderava  Orazio infermo e pensava morirvi là. Così  egli scriveva al fido amico Settimio:   Oh tregua al vecchio fianco   Tivoli dia   Quivi piagnente di pietosa stilla   Spargerai la calda delt amico vate favilla. 7^)   Certuni erroneamente attribuirono la mor-  te di Orazio a suicidio, tanto apparve strana  la coincidenza della sua con la morte di Me-  cenate. Ma deve venire del tutto bandita  tale idea per le seguenti ragioni. Orazio  dei suicidi soleva fare aspro maneggio, so-  leva dileggiarli; e la storia di Empedocle,  che ricorda ntìV^rfe poetica, chiaramente  lo dimostra. Empedocle per desio di molta  vanagloria e prodezza, invano precipitossi  neir Etna. Ma la sua pantofola ne tradì la  inutile bravura.     22     ( I70 )     Esaminando imparzialmente e con co-  scienza la vita di Orazio, si nota che ogni  sua cura si volgeva a conservarla, sia che  militasse a Filippi, sia che vivesse in Sa-  bina. Era poi tarchiato ed obeso, e quindi  facilmente proclive all' apoplessia. Che era  già fiacco e malandato in salute nel suo  undecimo lustro. Che il dolore della per-  dita del suo più caro amico e protettore  Mecenate (egli così amante degli amici e  riconoscente) doveva avergli prodotto tale  un rincrudimento dei suoi malanni da dar-  gli la morte con colpo apopletico. E son  numerosi gli esempii di fratelli od amici  ancor forti e vegeti , che, toccati dalla re-  pentina disparizione d* un fratello o d' un  amico, li han seguiti immantinenti nella  tomba sopraffatti da colpo di malore vio-  lento.   Non altrimenti deve pensarsi di Orazio. E  che fu tale il suo genere di morte lo prova  poi chiaramente il non avere avuto il tempo  di tesser un elogio funebre al suo sommo  protettore Mecenate, che aveva assistito negli  ultimi momenti, mentre lo fé' con Virgilio e     -«( 171 )»-*   con altri. Eppoi non ebbe forza di scrivere  il proprio testamento.   Svetònio dice: (c Quum urgente si va-  letudinis non sufficeret ad obbligandas testa-  menti tabulas . )) 73)   Dovette avvalersi di quello che, dice Giu-  stiniano, prescrivevasi dal giure civile di  quel tempo, cioè della prova testimoniale di  sette cittadini, che dinanzi notaro provarono  esser volontà del moribondo Orazio che l'im-  peratore Augusto fosse il suo erede, Orazio  per decidersi a lasciare erede \ imperatore ,  che consentì ad accettare \ eredità, doveva  esser fornito di non pochi beni di fortuna.  Che di fondi, che di valsente doveva aversi  senza manco veruno un buon dato, stante  la sua parsimonia. E lo certifica Svetònio  quando accennando alle largizioni di Me-  cenate e di Augusto dice: (( Unaque et al-  tera liberalitate locupletavit. »   Ma delle sue sostanze rimaste non ap-  pare vestigio od accenno, meno della villa  e del podere in Sabina, che han formato,  come si disse, la paziente investigazione  dei dotti archeologi e degli ammiratori     ( 172 )     del grande poeta. L' aver lui posseduto po-  deri in Taranto, a Tivoli od a Roma, non  è che una supposizione dei comentatori  delle sue opere, che di. ciascuna sua aspi-  razione han formato un dominio. Mentre  chiaramente Orazio, nella sua diciottesima  ode del secondo libro dice: (c Satis beatus  unicis sabinis. » La quale esplicita dichiara-  zione formò la base delle rimunerate inve-  stigazioni archeologiche del Capmartin de  Chaupy, siccome si accennò parlandosi della  villa oraziana. Che anzi in Taranto è comune  r idea falsa che Orazio si avesse colà un po-  dere nel luogo detto ce Le Leggiadrezze ».  Ma per quante ricerche siansi fatte dai dotti,  principalmente dal Tommaso Nicolò d' A-  quino, autore dell'opera Delle delizie Taran-  tine, da Giambattista Gagliardo nella sua  Descrizione topografica di Taranto, e da Ate-  nisio Carducci, illustre letterato tarantino,  nella sua versione dell' opera del D'Aquino,  con note, non si è potuto affermare che Orazio  avesse dominio in Taranto, ma soltanto ohe  vi avesse fatto delle brevi escursioni per  isvago. In Venosa poi, sua patria, non evvi     ( 173 )     vestigio di casa o podere a lui od ai suoi  appartenuta, dovendosi credere erronea V as-  sertiva di Jacopo Cenna, venosino, nella sua  cronaca manoscritta, più volte mentovata,  della città di Venosa del 1500, nella quale si  dice aver posseduto Orazio una casa presso  le antiche mura della città, a levante, forse  alludendo a quella che si accennò nei capi-  toli precedenti, appartenente ad uno della  tribù Grazia romana, e di cui ritrovossi iscri-  zione. E da tale ipotesi lascia derivare che  dalle finestre di quella sua abitazione in Ve-  nosa, Orazio spaziasse con lo sguardo sopra  vastissime campagne, e da quella veduta  venisse ispirato a dettare i versi : « Lauda-  turque domus longas quae prospicit agros. »  Perché non riferire invece con maggiore pro-  babilità air agro Sabino ? Ciò si dimostra  chiaramente erroneo, quando si riflette a tutto  ciò che si è riferito nei capitoli precedenti  circa la dimora di Orazio in Venosa, ove  si trattenne solo adolescente : circa la con-  fisca di tutti i beni della sua famiglia, perchè  seguace di Bruto, e particolarmente per non  averne fatto il menomo indizio in tutte le     -«( 174 ))^   sue opere. Venosa ai tempi di Orazio era  cinta da fitte boscaglie, e la lunga esten-  sione dei campi asserita dal Cenna è un  sogno.   Che Orazio abbia fatto in Venosa qual-  che rara apparizione , forse per diletto ed  in compagnia d'amici, lo lascia desumere  soltanto r ode al fonte di Bandusia, che  rumoreggiava con polla cristallina ed ar-  gentea nei fitti boschi di Banzi , dove es-  sendosi recato Orazio a cacceggiare od a  merendare, dovette improvvisare quei versi.  Ciò a seconda dei pareri dei più dotti illu-  stratori delle sue opere.   Orazio, come si disse, nacque a dì 8  dicembre del 689 dall' edificazione di Roma,  essendo consoli Lucio Aurelio Cotta e Lu-  cio Manlio Torquato. Morì a dì 27 no-  vembre del 746 di Roma, consoli C. Mario  Censorino, C/ Asinio Gallo , cioè nell' età  di anni cinquantasette. Acrone scambia però,  per errore dei copiatori delle sue opere , il  numero LXXVII per LVII, assegnando ad  Orazio anni settantasette. Ma Pietro Cri-  nito asserisce: « Alti supra septuagesimum     ( 175 )     annum vixisse scribunt, quod ego tamen fai-  sum existimo. »   Ed Eusebio, nelle sue cronache, siccome  Svetonio, ritengono con precisione gli anni  della vita di Orazio essere stati cinquanta-  sette, il primo dicendolo morto nel XXXIV  anno di Augusto, il secondo asserendolo  morto nelle date surriferite, e riportando i  consolati rispettivi sotto cui nacque e morì ;  dai quali limiti precisi estremi non è lecito  discostarsi.   Il suo cadavere venne trasportato , tra  il compianto universale, in Roma, (non è  indicato da alcuno antico scritto il luogo  preciso ove morì), e rinchiuso nella tomba  della famiglia Cilnia. Dacier sostiene, nelle  sue annotazioni alla vita di Orazio di Sve-  tonio, che Mecenate possedeva un superbo  palazzo suir Esquilino, e presso ad esso  una tomba monumentale. In questa ripo-  sarono Mecenate ed Orazio. Mecenate ed  Orazio vissero amicissimi, intrinseci, vera-  mente uniti di pensieri e di amore ; benché  l'uno nato di reale famiglia e di sangue  purissimo, e X altro figliuol di liberto.     -«( 176 )     Una possanza inesplicabile ed onnipotente  li fece incontrare, divenire tra loro stretta-  mente simpatici, e quindi insieme dormire  nello stesso Ietto V ultimo sonno I   Di Mecenate i tardi posteri ricorderanno  le gesta e la gloria pel suono reboante della  tromba della fama procacciatasi col proteg-  gere generosamente quella schiera immor-  tale di uomini che vissero nel secolo di Au-  gusto. Il gran venosino vivrà eterno pel suo  nionumento. È tutta sua la gloria che fa  semprepiù, col trascorrer dei secoli, stupire  l'umanità, e che non cesserà sinché traccia di  vita sarawi sul globo.   Del sommo poeta non si conservano sta-  tue antiche o figure nei monumenti da po-  terne precisare la struttura corporale ed i  lineamenti. Ma dalle sue opere ne appare  tanto chiaro il ritratto, che basta coordinare  le parole che si riferiscono al suo fisico, per  vederselo innanzi vivo e parlante. Egli de-  scrive con certa vanagloria la lussuria dei  suoi capelli d' un bel color d' ebano , che  ombreggiavangli la fronte virile e balda, ma  che gli anni e le cure aveano resi argentei.     -«-   Questi hanno improntata una certa tinta di  pazzia benigna, che in luogo di ammira-  zione suol destare compatimento, antipatia e  ribrezzo. Le cellule del cervello, Y involucro  osseo che le ricopre, il corpo umano, non  han bisogno di quella veste esterna non  naturale, oppur naturale, sian cenci o por-  pore, adipe, globuli rossi, magrezza estrema,  capelli o calvizie per foggiare un genio od  un cretino I Si può essere profondo filo-  sofo, saggio come gli antichi della Grecia,  e conservar forme aristocratiche, linde, ma-  nierose, affabili, con un corpo formato al  pari di Antinoo. Orazio ne sia esempio lu-  culento, e Foscolo e Byron e Leopardi  negli ultimi scorsi anni così difformi tra  loro.   Assicura Giuseppe Ilario Eckhel, celebre  antiquario austriaco, nella sua opera « Doc-  trina Nummorum » e lo conferma Masson  nella sua vita dì Orazio, nel capitolo inti-  tolato « De Horatii effigie », essersi rin-  venuti dei medaglioni di metallo, terminati  nella loro circonferenza con un cerchio da  tre a quattro millimetri di larghezza, e che     ( i8o )     possono ben rassomigliarsi alle nostre me-  daglie commemorative o di onore, nei  quali si vede inciso in un lato un busto ,  ed intorno ad esso la scritta chiarissima  (( Horattus », mentre nell' altro lato la scritta  n' è illegibile e consumata. Il busto anzi-  detto è modellato esattamente a tenore di  quanto più sopra si è esposto. Uno di essi  si conserva nel museo del Louvre. E certo  appaiono riproduzione di busti o medaglie  d' onore di Orazio vivente, eseguiti nel  quarto secolo dell' era volgare. Tale almeno  è r opinione del dottissimo barone Walke-  naèr. Nessun busto marmoreo, come si disse,   «   o di bronzo si è rinvenuto che ricordi il gran  venosino. Deve però convenirsi che un uo-  mo che ha da poco varcati i cinquant' anni,  raro è che si renda deforme e barbogio.  Anzi la razza umana generalmente suole  giungere a questa età ancora atta a buona  vegetazione, e ad abbellirsi e conservarsi.  Se r aureola che circonfuse Orazio non  fu il (( nomen imitile » e neppure X opi-  nione che i suoi contemporanei ebbero di  lui ( opinione poco proporzionata ai suoi     -«( i8i )>9^   meriti, secondo che dottamente asserisce  Leopardi, ^s) e negli anni seguenti non ebbe  tra i dotti il primo posto, perchè Dante  stesso chiamò Virgilio Aquila ed Orazio  Satiro), maggiormente risulta la sua vera  gloria dal sempre fecondo entusiasmo che  per r eternità gli uomini risentiranno per   lui   Trascorsi appena nove anni dalla morte  di Quinto Orazio Fiacco, nasceva Gesù Cri-  sto, il rigeneratore dell'umanità. Oh età por-  tentosa !      t»**.**^!-*-^*»**-*»*-*^-*-!        ^'^-^•S-^-f-fxf-****^»!**-?-^     XIII.  L'ETERNO MONUMENTO ORAZIANO     Ouao - za. I/I. - Ode XXX.      HE dire di Orazio poeta, creatore  nella letteratura latina di due ge-  neri di poesie del tutto nuove, e che  seppe far giungere ed elevare persino  I la lettera all' eccelsitudine dì un ge-  nere poetico?  Quintiliano dice : '*' « Dei lirici Orazio è  quasi il solo che merita di esser letto, poiché  s'innalza talvolta con slancio ammirevole: è  pieno di dolcezze e di grazie, e nelle varietà     -«( i84 )»-*   delle figure, delle espressioni, d' una felicis-  sima audacia. » E Petronio ^7) continua as-  serendo che (( fra i romani Virgilio ed Ora-  zio sono accuratemente felici, come Omero  ed i lirici greci. Perocché gli altri o non vi-  dero la strada che conduce al lirico stile, o  non ebbero il coraggio di batterla. » E que-  st* opinione distrugge la miserabile assertiva  di Frontone, ^s) al dir di Leopardi, ^9) che  chianja Orazio Fiacco , siccome accennossi,  appena poeta non isprezzabile [memorabilts  poeta). Tanto potevano in questo possessore  degli orti mecenaziani V invidia ed il livore, .  che tra certi letterati sono solite malattie I   Ma Lucano, Marziale, Virgilio, Vario, Ti-  bullo, Ovidio, Petronio, Sidonio Apollinare,  S. Girolamo, Venanzio Fortunato, Persio ,  Giovenale, Lattanzio , Alessandro Severo ,  Dante, Voltaire e cento altri, a coro una-  nime, gridarono le lodi del gran venosino.   Moltissimi eruditi si sono occupati di stu-  diare precisamente le opere di Orazio. I più  celebri fra essi nel mondo, siccome il Bent-  lejo, il Masson, il Dacier, il Sanadon, il  Passow, il Kirckner, il Franke, il Weber,     ( i85 )>9-     il Grotefend, THart, il Milmon, lo Stalbaum,  il Weichert, il Jahn, il Mitscherlich, il Dab-  ner, il Jacòbs, il Leissing, il Margestern,  il Walckenaer, il Siringar, il Manso, V O-  relli, si avvalsero degl' interpetri antichi delle  opere oraziane, Elenio Acrone, Pomponio  Porfirio, e dell'altro che prendendo nome  dal suo editore, si disse Scoliaste Cruchiano,  non meno che di Emilio e Terenzio Scauro.   Ciascuno di essi ha cercato desumere con  pazienti ricerche il tempo nel quale Orazio  scrisse le singole parti del suo eterno monu-  mento. Cercherò notare le più interessanti  investigazioni.   Orazio dapprima scrisse le satire e ne   compose il primo libro negli anni di Roma   713-718 , non avendo ancora raggiunto il   trentesimo anno. Pare che la prima di tutte   sia stata la settima fatta neir inverno del   713-714. In essa, siccome si accennò, irrompe   con impeto sarcastico contro un tal Rupilio   che con lui aveva militato nell'armata di Bruto,   Segue poi la seconda scritta nell' autunno del   714, nella quale parla in generale dei vizii di   cui la società romana era infetta. La quarta   24     ^ i86 )     satira fu scritta nell'estate del 715, ed in  essa cerca scusarsi col pubblico dell' essersi  mostrato un po' virulento nello sferzare la  cattiva gente, e secondo il parere di Wei-  chert fu questa la satira che i suoi amici  Virgilio e Vario presentarono a Mecenate,  avendo inculcato al poeta di scriverla per  cattivarsi l'animo di quel potente. Scrisse  la terza nel principio del 716, ed in essa fa  vedere che mentre gli uomini sogliono cri-  ticare i vizii altrui, son ciechi a vedere i  proprii. Il Vangelo dice : « Tu suoli ve-  dere il fuscello nell'occhio del tuo prossimo,  e non vedi la trave che è lì lì per acce-  carti ? )) Dopo poco tempo da che tale satira  venne pubblicata, Orazio fu ammesso tra i  commensali di Mecenate; infatti la satira  quinta che descrive con gran lepidezza e pre-  cisione un suo viaggio da Roma a Brindisi,  vi fa risaltare la figura di Mecenate come  attore principale e come uomo politico, spe-  dito dal governo per delicati maneggi a quel  luogo di sbarco ad abboccarsi con altri per-  sonaggi influenti, e che compagni insepa-  rabili di lui furono Orazio, Virgilio, Vario,     ( i87 ))^     Cocceio e Tucca. Compose poi la prima  satira in omaggio al suo gran protettore, e  pubblicando il libro nel 717-718, la pose  come principale, perchè a lui dedicata e per  testimoniargli la sua stima ed il suo affetto.  Scrisse la nona dopo circa un anno per cor-  reggere quei miserabili che invidiandogli la  protezione di Mecenate, mostravano, .mor-  dendolo col dente velenoso della livida in-  vidia, di non esserne a parte. La bellissima  satira sesta, nella quale pone la virtù come  il vero blasone che onora gli umani, e l'ottava  con la quale schernisce i superstiziosi e le  donnacce, furono scritte, secondo l'opinione  di Spohn, nel 719.   Il libro degli Epodi era già stato com-  posto da Orazio prima del cennato primo li-  bro delle satire, ma fu pubblicato non prima  del 729.   Vuoisi che abbia preso il nome di Epodi  dai versi Epodois di Archiloco, che fu l'in-  ventore dei giambi, al dir di Diomede gram-  matico. Sebbene altri sommi scrittori, com-  preso il Gargallo nelle note, ammettano che  epodi si dicesse il libro compilato da odi pò-     ^ i88 )m^   stume di Orazio, fondandosi sul termine gre-  co epodem, che significa sopraccantare.   Benteley, Weichert e Jahn sostengono che  il secondo libro delle satire sia stato com-  posto negli anni 719 a 729. E la terza del  secondo libro delle satire sostengono essere  stata scritta nella villa Sabina, nel 721, dimo-  strando che già poco più che trentenne Orazio  avea avuta donata quella proprietà.   Riguardo alle odi, furono scritte, se-  condo il parere di Butman, del Dacier e  di altri dotti, nel 726 al 732 sino al 734,  E da quest'anno ed i seguenti sino al 744,  cioè nella sua età di anni cinquantacinque,  solo l'ultima ad Augusto, come omaggio  al più grand' uomo del secolo e suo insi*  gne benefattore.   Orazio dalla sua villa aveva spedito ad  Augusto diversi scritti e molte delle let-  tere surriferite, e gliele indirizzò con un  viglietto umoristico consegnato ad un Vinio  Frontone Asella, che è proprio l'epistola  decima del primo libro. Augusto dopo aver  letto tali componimenti, gli rispose così:  (( Sappi che io sono teco sdegnato , per-     -^( 189 )»-   che in molti di cotali scritti (come sono le  satire e le epistole) tu non parli principal-  mente con me. E forse che temi non ti sia  per tornare ad infamia nella posterità, se tu  mostri d'essere stato mio amico ?» A questo  onorevole ed amorevole rimprovero Orazio  rispose colla prima epistola del secondo libro,  che è invero un capolavoro nel genere sotto  ogni rispetto.   Il primo libro delle epistole venne com-  posto prima del quarto libro delle odi.   Il carme secolare scritto per condiscen-  dere al volere di Augusto fu composto nel  737, cioè nel quarantottesimo anno d'Orazio.  L'Arte poetica, che deve ritenersi il suo ca-  polavoro, e che può dirsi una lettera di-  dasailica indirizzata ai fratelli Pisoni , può  benissimo classificarsi come terza nel secon-  do libro delle epistole , e venne composta  nel 741-742, mentre la prima epistola del  secondo libro indirizzata ad Augusto vuoisi  essere V ultimo lavoro del poeta, e fu com-  posta nel 744, avendo il poeta V età di anni  cinquantacinque.   Nessun autore al mondo ha ottenuto tanta     ^ 190 ))^   pubblicità e diffusione e celebrità dalla sua  opera, quanto Orazio Fiacco. È qualche cosa  che sa quasi dell' inverosimile.   Basta però per convincersene notare il  numero straordinario delle edizioni delle sue  opere, dacché ci furono tramandate, siansi es-  se rinvenute in tavolette, papiri o palinsesti.   Nessun erudito scrittore ha saputo sin oggi  precisare chi sia stato il primo scopritore dei  canti immortali di Orazio, né dove rinven-  gasi la prima edizione di essi nei tempi re-  motissimi composta. Vuoisi da taluni che  in un museo inglese se ne conservi vestigio.  Certissima cosa é che da molti secoli, sia  in Italia che in Germania, in Francia ed in  Inghilterra principalmente, le edizioni delle  opere del gran poeta possono contarsi a cen-  tinaia. Ed in ciascun anno sempre ntìove ne  sorgono, unite a nuovi commenti , chiose e  note illustratrici. È proprio l'arboscello pro-  fetizzato da Orazio :   Laude fra tardi posteri  Farà ch'io guai per fresca  Auray arbuscel più vegeto  Ogn* or m* innuovi e cresca, 80 "i     Quante opere insigni di altri uomini nati  in Caldea, in Babilonia, in Cina, in Grecia  ed altrove sono state composte nei secoli  scorsi I E sono ignorate o perdute e scom-  parse per sempre. E dei monumenti sanscriti  di Persia, delle opere eccelse degli arabi che  scrissero nei tempi del califfi e dei sultani,  e dei codici vetusti dei dottissimi scrittori  armeni, che invano i Mechitaristi tentarono  illustrare, che cosa rimane ? O sono cadute  neir oblio, o hawene un labilissimo ricordo,  o giacciono ignorate in fondo a qualche pol-  verosa biblioteca. Soltanto la Bibbia ha pro-  dotto un fenomeno superiore, se pure non  uguale, a quello del monumento oraziano.  Alle opere di Orazio avvenne un simile me-  raviglioso fatto.   Sembrarono piccoli granelli di seme, che  fruttificando, e dapprima poco curati (che dai  suoi contemporanei, come si disse e lo con-  fermò Leopardi, non furono tenute in quella  stima che meritavano) divennero poi giganti.  Le radici dell'albero, ormai reso smisurato, si  distesero nelle viscere della terra, per tutte  le latitudini, con gagliardia non mai vista.     -^( 192 )»-   E per disperdersene le tracce, per abbat-  tere tale fenomenale vegetazione, bisogne-  rebbe che la terra universa andasse in fran-  tumi.   Dalla nostra Italia, avventurosa patria del  poeta, sino ai più ignorati angoli dei poli,  appaiono vestigia del portentoso volume,  in tutte le lingue tradotto e glossato.   Ciascuna edizione, ciascun libro che tratta  del monumento oraziano è una fronda fre-  sca e vegeta che ci ricorda uno dei più  grandi italiani.   Non era scorso un secolo dopo la morte  di Orazio , siccome attesta Giovenale, che  già le opere di lui, dai suoi contempora-  nei poco apprezzate, servirono in presso  che tutte le scuole di Roma come libri di  testo, unite a quelle di Virgilio; sicché deve  arguirsi che non poche edizioni dovettero  farsene in quei tempi remoti. Ma il primo  editore conosciuto si è Vezio Agorio Ba-  silio Mavorzio, che nel 527 studiò, con Fe-  lice grammatico, sui manoscritti e ne fece  redigere non pochi esemplari riveduti e cor-  retti.     ^( 193 /»-   Riuscirà tuttavia interessante Tenumerarne  le seguenti edizioni principali antiche e mo-  derne, che sono sparse pel mondo, sopra tali  esemplari condotte:   Edizione primaria, senza luogo ed anno,  con 'caratteri romani, di fogli 147, di linee  26, in folio piccolo.   Altra che non porta data, né firma del ti-  pografo che s' ignora. Si compone di un vo-  lume in quarto di a 57 pagine, stampate in  lettere rotonde, di forma poco graziosa. An-  tichissima. Se ne conoscono solo due o tre  esemplari in Inghilterra.   Edizione pure senza luogo, senza data e  senza tipografo conosciuto. Forma un volu-  me in quarto di 125 pagine, pure in caratteri  rotondi, ma molto belli, come quelli che si  usavano verso la fine del 1400.   1474. — Edizione di Napoli. In quarto per  Arnauld de Bruxelles, pagine 168.   1474. — Edizione di Milano. In quarto.  Ant. Zarolus. Fatta sopra quella dì Napoli.   1476-1477. — Milano. Filippo di Lavagna.   1477-78-79. — Venezia. Filippo Conda-  min.   25     ( 194 )     1481. — Venezia. Senza nome di tipo-  grafo.   1482. — Milano. In folio. Per Antonio  Miscomini, col comentario di Cristofaro  Lantini.   1482-1491. — Milano. In folio, con co-  menti di Antonio Mancinello e degli antichi  scoliasti. Edizioni ripetute molte volte.   1495- — Strasburgo. In quarto. Grunin-  ger. Opere di Orazio in latino, con testo  stabilito sopra manoscritti preziosi antichi.  Con molte incisioni.   1501. — La prima edizione Aldina. Ver  nezia. In 8.° (primo formato piccolo) Aldo  Manuzio. 146 pagine. Rarissima e preziosa.   1503. — Firenze. La prima dei Giunti in  8.° Filippo Giunti. Rarissima.   1505. — La prima Ascenziana in 8.°   1509-1519-1527. — Venezia. Aldo Manu-  zio. Riproduzioni.   1521.-^1^^^11^. In 8.° Paganini.   1553- — Venetiis. In quarto grande, di  228 fogli. Petrum de Nicolinis de Sabio.  Con note erudite di Erasmo de Roterda-  mo, Angelo Poliziano ed altri. Rara.     1555- — Venezia. Con postille di Gior-  gio Fabricio di Basilea in 8.^ Antonio Mu-  reto.   1561. — Lione. Due volumi in quarto di  Dionisio Lambino, che corresse ed interpretò  magistralmente Orazio, avvalendosi di dieci  antichi codici. Edizione ripetuta con molte  correzioni ed aggiunte in Parigi nel 1567,  in Francoforte nel 1577, ed in Parigi nuo-  vamente nel 1577 e nel 1587.   1566. — Anversa. Teodoro Pulman con  critiche rinomate.   1577. — Parigi. In 8^ Henry Stefano;  anche con critiche.   1578. — Anversa. In quarto. Alfonso Cru-  chio.   1597. — Leida. Con lo Scoliaste. Da un  manoscritto Blandiniano antichissimo, ed  altri della biblioteca dei benedettini di Gand  andata in fuoco nel 1568, manoscritto ac-  creditatissimo.   1605. — Anversa. Daniele Heinsius. Due  volumi in ottavo.   1606. — Londra. Giovanni Bond. Stu-  penda, bellissima I     -^( 196 )»-   1608. — Anversa. Sevino Torrenzio. In  quarto con dottissimo comento.   161 2. — Anversa. Edizione elzeviriana  con note di Daniele Heinsius. Con disser-  tazione dotta di tale letterato sopra le sa-  tire.   1629. — Anversa. Nuova edizione del  medesimo, riveduta con note.   1653. — Leida. Variorum, Editore Cor-  nelius Schrevelius.   1663. — Lugdunum Batavorum. Ex of-  ficina Hackiana. Con comentari sceltissimi  di varii per Giovanni Bond. Rara. Corne-  lius Schrevelius accurante. Riproduzione.   1670. — Anversa. Variorum. Sulla pre-  cedente di Schrevelius, corretta.   1681. — Parigi. In 12.°. Volumi dieci di  Andrea Dacier.   1681. — Tolosa. In 8.°. Pietro Rodellio,  molte volte ricopiata.   1681. — Parigi. Ad usum Delphini. Stu-  penda.   1696. — Parigi. Jouvensy.   1 700-1 728 — Cambridge. Di Riccardo  Bentley.     ^ 197 )»-   171 1. Cambridge. Di Riccardo Bent-  ley. Con gli studi i di tale scrittore sopra  Orazio. In quarto. Monumento immortale  dell'arte critica, lacerato dai contemporanei  per livida invidia. Ripetuta l'edizione in  Amsterdam nel 171 3 più volte, ed in Lipsia  nel 1826.   1729. — Parigi. Due volumi in quarto.  Stefano Sanadon, con traduzione delle opere  di Orazio molto stimata.   1752, — Londra. Con note del Dacier.  Ad usum Delphini. Rarissima e preziosa.   1756. — La suddetta in Amsterdam, ri-      veduta e corretta. Otto volumi in ottavo.   1752. Lipsia. In ottavo di Mattia Ge-  snero ripetuta con aggiunzioni di Zeunio e  Both nel 1822.   1770. — Parigi. Edizione classica in ot-  tavo di Giuseppe Valart.   1774. — Napoli. Michele Stasi, con note  di Ludovico Desprez. Due volumi in ottavo.  Molto stimata.   1778-1782. — Lipsia. Due volumi in ot-  tavo, contenente solo le odi, con note ed  illustrazione di Ch. D. Jhan.     -^( 198 )     1783. — Edizione Bipontina. Ripetuta in  Milano nel 1792.   1791. — La stupenda edizione del Bo-  doni in Parma.   1794. — Londra. Due volumi in ottavo  di Ghilberto Wakefield, con critica eccelsa.   1799. — La più stupenda e magnifica si-  nora edita di F. Didot. In folio.   1800. — Lipsia. Due volumi in ottavo  di Guglielmo Mitscherlinch. Mancano in essi  le satire e le epistole, ma sono eruditissimi  pomenti e note sulle altre opere e partico-  larmente sul carme secolare.   1802. — Lipsia. Di Guglielmo Baxter con  note di Gessner e Zeunio. Composta sulla  prima edizione dello stesso editore in Londra.   1802-1824. — Lipsia. Ti^ volumi in ot-  tavo del Doering. Riputatissima edizione per  uso delle scuole.   181 1. — Roma. Due volumi in ottavo di  Carlo Fea. Con critica e note riputatissime.  Edizione bellissima.   181 2. — Parigi. Due volumi in ottavo di  Charles Vanderbourg. Contiene solo le odi  e gli epodi. Ma è superba.     ^ 199 )«-   1815. Breslavia, In ottavo di L. Fed.  Heindorf, con conienti eruditi e note. Con-  tiene solo le satire.   1820. Maneim-Baden. Due volumi in  ottavo di F. Both.   1821. Heidelberga. Ristampa dell'edi-  zione di Carlo Fea di Roma con molte ag-  giunte.   1821. — Heidelberga. Due volumi in ot-  tavo di Grevio. Contiene le sole odi.   1823. — F. C. Jahn. Lipsia. Con scel-  tissime note ed aggiunte.   1828. — E. F. Schmid. Due volumi in  ottavo. Contiene solo le epistole.   1833. — Lugdunum Batavorum. Un vo-  lume in ottavo. Edizione di Perlkamp.   1838. — Zurigo, Gaspare Creili. Con  biografia di Orazio e note. Libro erudi-  tissimo e molte volte riprodotto, e partico-  larmente l'ultima edizione quarta, accura-  tamente emendata e corretta, sicché con ra-  gione può dirsi la migliore.   1838. — Venezia. Premiato con meda-  glia d'oro. Di Giuseppe Antonelli, e con  traduzione in versi e note del celebre mar-     -^( 200 )>»-   chese Tommaso Gargallo. Un volume in  ottavo, preziosissimo.   Della vita e delle opere di Orazio scris-  sero pure con profondità di vedute e som-  ma dottrina:   Crist. Fred. Jacobs, Lecttones Venusinae,  5 volumi in ottavo. Berlino 1817.   Gotthold Leissing, De Horatio, 1 871, Ber-  lino.   Giovanni Masson, Vita di Orazio. Un vo-  lume in ottavo. Leida 1703.   Eichstedt , Critica ed osservazioni stille  opere di Orazio. Jena, 1810, 181 1.   Eusebio Baconiere de Salverte. Osserva-  zioni sopra Orazio. Un volume in 8^. Pa-  rigi, 1823.   Cristofaro Martino Wieland, Traduzione  delle opere di Orazio^ con note. Quattro  volumi in ottavo, Berlino 1 824-1 827.   Morgesten, Le satire e le epistole ora-  ziane. Un volume in quarto, Lipsia 1801.   E fra tutti primeggiano gli scrittori fran-  cesi che convien notare:   C. Boudens de Vanderbourg, Traduzione  delle odi di Orazio in versi francesi con     -«( 201 )l^   biografia ricavata da vecchissimo mano-  scritto.   Andrea Dacier, Horace. Opera latina-fran-  cese. Dieci volumi in dodicesimo. Parigi,  1 68 I-I 689. Più sopra mentovata, essa può  definirsi una delle più dotte e belle edizioni  delle opere del poeta.   Sanadon, Les Batteux, Binet, Campenon,  Goubaux, Barbet, Patin, Janin, Cass-Robi-  ne, Daru, Ragon, Duchemin, Goupil, Cour-  nol, Boulard, De Wailly, Halevy, Michaux,  Lacroix, Dabner, Boileau, e l'insigne poli-  grafo barone Walckenaèr, che nel 1840  compilò una Storia della vita e delle poesie  di Orazio, Parigi, due volumi in ottavo,  opera dottissima ed insuperabile.   E redizione grandiosa del Didot del 1855  in Parigi, con tavole topografiche e note e  biografia, che può asserirsi la più perfetta  edizione del secolo. Riproduzione con ag-  giunte di quella suddetta del 1799.   E tra gr italiani il Metastasio, il Leo-  pardi, TAlgarotti, il Corsetti, il Bertola, il  Galiani, \ Alfieri, il Cesari, il Tommaseo,   il Cesarotti, il Pagnini, Anton Maria Sal-   26     ( 202 )     vini, il Pallavicini, il Colonnetti, il Bindi,  il Gligerio Campanella, Emmanufele Rocco,  ed altri molti scrittori di comenti e studii  e saggi critici.   Ma in Italia tra le molte traduzioni delle  opere oraziane, la più perfetta e completa  è quella del marchese Tommaso Gargallo,  e le edizioni ne sono innumerevoli. In essa,  facendo risaltare la bellezza della frase ora-  ziana, tale ammirevole letterato ha cercato  inciderne il concetto, abbellendola con versi  armoniosissimi, che sembrano ispirati dalla  musa stessa del gran poeta venosi no.   Mi sono avvalso in questa mia opera ap-  punto della traduzione del Gargallo, prin-  cipalmente in quei passi della storia, nei quali  era necessario dar luce alla dicitura con le  stesse parole di Orazio, le quali forma-  no, al dir del gran Fénélon, uno dei pregi  massimi del poeta : « Jamais homme n'a  donne un tour plus heureux à la parole  Pour lui /aire signifier un beau sens, avec  brteveté et deli e atesse. » ^') E perciò ser-  vendomi dei versi sublimi frutto del forte  ingegno del Gargallo, e dettati in purissima     lingua italiana , per illustrare uno dei più  grandi italiani, ho creduto far còsa grata ai  miei concittadini, ai quali, per questo mio  lavoro, chiedo venia e benevola approva-  zione.     M^ihr^^yr^'-i      NOTE           «li^^illl^^^l     ?^««j&>s>a«ji£iì^»ii^iufe«wuai';     (i)Da1 Municipio di Venosa nel 1 890 venne emesso  il seguente proclama: « L'idea di onorare la memoria    deità orientale anteriore     r^( 212 y»^   all'epoca del frammento ove è incisa l'iscrizione, e che  nelle notizie sull' etimologia del nome della città di  Venosa si disse da Benoth -' Benotsa'- Venosa^ siccome  riferiscono Francesco M. Farao, nella lettera apologe-  tica riguardante la Menippea di Pasquale Magnoni (Na-  poli MDCCXCV), ed il sommo Lupoli, dal quale dovet-  tero essere dal primo attinte molte preziose idee, perchè  scrisse due anni innanzi. Ed il Markolis del frammento  trova riscontro nell'iscrizione sopra pietra esistente in  una antica casa della nobile famiglia Rapolla in Venosa,  riportata dal Pratillo, dal Corsignani, dal Lupoli , dal  Cimaglia, da Mommsen e da altri storici e raccoglitori  di sigle, che viene così tradotta :   MbKCUKI tMVIC. 8ACR.   pro salute  Pbassbmtis mostri   Agaris Acnc.   Come pure trova riscontro in una pietra di corniola  incisa per anello, scoperta in Venosa ed appartenente  alla famiglia Lupoli, siccome attesta il Farao nella cen-  nata sua opera, che raffigura Mercurio coi calzari alati,  con borsa a destra e caduceo a sinistra ed al disotto  la scritta  di Michele Arcangelo Lupoli? Che cosa ag-  giungervi da stenebrare il passato? Chi desidera perciò  aver piena conoscenza di Venosa antica studii e pon-  deri r e Iter venusinum » di cosi eccelso scrittore.   Il tradurre in buona lingua italiana tale stupenda  opera scritta in latino sarebbe una fatica vantaggiosa  e meritoria.   (4) Svetonio Tranquillo — Vita Morati,   (5) Cicerone. Op. Lib. IV. Atl Herennium.   (6) Fabretto. Cap. 9 — Num. 272. Inscrip.   (7) Gargallo Tonìmaso — Traduzione delle opere  di Q. Orazio Fiacco — Lib. i.®, ode 28.*"   (8) Idem Loc. cit. lib. i.* satira 6.*   (9) Guerrazzi G. D.— Orazioni. A Cosimo Delfante.     r^( 217 )»-   (io) Gargallo. Trad. di Orazio, lib. 3* od^ i.*   (11) Della nobiltà venosina. — Non è conveniente  avvalersi deirautorità del Summonte circa il fastigio della  nobiltà venosina, perchè erroneamente si attribuisce al  Summonte quel brevissimo e misero accenno sulla to-  pografìa e sulle famiglie nobili di Venosa e privilegi  annessi, il quale è opera di Tobia Almagiore, che per  mezzo del libraio Antonio Bulifon nel 1675 in Napoli, fece  inserire dopo Topera del Summonte « Istoria della città  e Regno di Napoli » un trattatello intitolato « Raccolta  di varie notitie historiche >, mentre con precisa diffu-  sione si rilevano ragguagli in altre opere di altri autori.  Ed invero, si rileva dal manoscritto antico più volte ci-  tato, e che si conserva nella Biblioteca Nazionale in  Napoli, redatto nel terminare del 1500, e che vuoisi  opera dell' U. I. D. Jacopo Cenna, venosino, essere stata  tradizione dei vecchi, che le mura della città di Venosa,  mura raffìguranti quasi le costruzioni ciclopiche e che im-  portarono spese colossali, fossero state innalzate da Lu-  cullo, il celebre milionario del tempo dei Romani, e  che fii lui che fece trasportare in Venosa buon numero  di statue e preziosi marmi serviti di decorazione ai  monumenti di quell'illustre città, sicché videsi creata  per la conservazione di tali ricchezze artistiche, una carica  onorifica che vien riportata dal Corsignani, dal Lupoli,  siccome dal Cimaglia, dal Pratillo e da altri molti (non  però dal Cenna suddetto^ nelle seguenti iscrizioni esi-  stenti in Venosa.       Bemusbi    . MOMUMRNTUlf.          POBLICX    . rACTUM D. D.        M.    . MUTTIBMUS .    L. F. C. Vibius .    l.    F.    M.    Bfsssius . F.   OB    F. M. Camillius   . HONOREM.    . l.    F.     28     ( 2l8 >•-     M. Mumnius « L*. F.   C. Vmn» . L. F.   n . Vis . J. D.   Statuas . KZ   D. D.  Rbficivmdas   e.   Fece pure LucuUo stabilire in detta città, attratte  dalla magnificenza, salubrità e bellezza di essa, non po-  che nobili famiglie romane, dalle quali poi derivarono  quei componenti la nobiltà fiorente, che sino all'inva-  sione dei barbari formavano il lustro di quella bellissima  terra italiana. Né col seguirsi degli anni quella nobiltà  scemò in prestigio, fasto e decoro, perchè sin nel 1 500  e proseguendo poi fmchè fu abolito ogni privilegio, nei  prìncipii del secolo presente, si vantò in Venosa un ti-  tolo di. nobiltà da potersene fregiare con orgoglio.   I sovrani che si successero nel regno di Napoli arric-  chirono la nobiltà venosina di prerogative straordinarie,  tra le quali primeggia quella concessa dall'imperatore  Ludovico I con la quale si definiva non poter Ve-  nosa venir data in feudo ad alcun signore o barone del  regno ( il che poi per la instabilità di fede o per fini  politici dei sovrani che si successero, non venne man-  tenuto, siccome ad altre città è avvenuto), ma restar  dovesse autonoma e libera di sé, governata dai suoi  patrizii illustri, scelti dal popolo.   E Ferdinando I di Aragona, che fece lunga dimora  in Venosa, vi mandò l'illustrissimo suo figlio Don Fe-  derigo, a visitarvi quei gentiluomini, ai quali poi diresse  la seguente lettera : e Nobilibus et egregiis viris univer-  « sitatis et hominibus civitatis Venusii, fidelibus nostri  e dilecti. Come altre volte vi abbiamo scritto, noi de-     E già precedentemente Ludovico II, il giovane, im-  peratore d'Occidente, era venuto in Venosa a ripristi-  narla dalle soflerte devastazioni; e della sua venuta v*ha  memoria in un'antica lapide esistente nell'attuale semi-  nario, un dì castello, prima che Pirro del Balzo avesse  edificato quello che tuttora si ammira, coi ruderi dello  splendido tempio della SS. Trinità, ove riposano le ce-  neri di Roberto Guiscardo e di altri sommi guerrieri e  duci , sovrani e bali dell' ordine supremo di Malta, il  che fece dire a Giulio Cesare Scaligero : Gens Venu-  Sina, nitet tantis honorata sepulcrisì   L'iscrizione è la seguente :   StIRPS LuDOVICUS FKANCOItUM  UftBIS AMICUS DUM FUKHIS   Sbupbr Rxgmabis   Jums POTKNTEB   E nella venuta in Venosa (riporta sempre il Cenna)  del cardinal Consalvo, i nobili venosini si mostrarono  magnifici e splendidi quanto dir non si può, e formarono  un'accademia, che può porsi al pari delle più insigni ed  illustri del regno.   In detta accademia presedeva lo stesso cardinal  Consalvo, con suo fratello, nel luogo detto Monte Albo,  o MoQte Aureo, o Monte doro^ titolo della nobile casa     -«( 220 )ì9^     Porfido venosina, (volgarmente oggi Montalto) che rap-  presentava l'Olimpo.   E che la nobiltà venosina fosse fiorente e riuscita  insigne per tutto il regno, convien trascrivere quanto  riferisce il Cenna suddetto, l'unico cronista del 1500  per quanto disadorno scrittore :    e così si enumerano molti  doni che i sovrani solevano assegnare, per testimoniare  fatti di valore e degni di stima e compenso.   Trascrivo V elenco delle famiglie nobili venosine  riportate dal surriferito Cenna, sino al terminare del  1500, e quelle riportate da Pietro Antonio Corsignani  nella sua opera « De Ecclesia et civitate Venusiae —     -«( 221 )•-   Historica monumenta selecta > edita, come si disse, ^el  1723, che rimontano sino al precedente secolo deci-  mosesto:   Barbiani. — Dai quali nel 1434 derivò il conte di  Cuneo, Alberico Barbiano, gran contestabile del Regno  di Napoli, e condottiere di cavalieri venosini, del quale  diflusamente parla il Giannone, nel quarto volume della  sua Storia civile del regno di Napoli ed altri storici.   Deitardis.   Gomiti.   Plumbaroli. — Da cui nel 1484 derivò un Corrado  Plumbarolo , duce preclaro di cavalieri venosini sotto i  re aragonesi.   Maranta. — Che ebbe tre giureconsulti insigni, lu-  minari del foro, nel 1600, e due illustri vescovi, dei  quali quello di Calvi, di cui discorre a lungo il Gian-  none, nel voi. 5^ lib. 32, in occasione della scandalosa  e celebre causa di suor Giulia di Marco da Sepino,  agitata nel 16 14 tra i teatini ed i gesuiti. E si dissero  Roberto, Lucio, Fabio e Carlo.   Cenna. — Da essa derivò quel Jacopo Cenna defi-  nito dal Corsignani « Vir sapientissimus >. Era U. L  D. e si dice autore della cronaca antica di Venosa,  che, manoscritta, si conserva nella Biblioteca Nazionale  di Napoli.   Cappellani. — Una Laura Cappellano fu madre del  celebre poeta venosino Luigi Tansillo, il cui padre era  nobile nolano.   Porfidi. — Celebre famiglia fregiata del titolo di  conte di Montedpro, ed imparentata con la nobile casa  Sozzi di Venosa, che tenea la gerenza del principe di  Venosa, Nicolao Ludovisio, nipote di Gregorio XV.   Fenice.     -«( 222 ))^   Solimene.   Casati,   Consultnagni.   Giustiniani,   Caputi,   Simone.   Moncelli.   Costanzo. — Famiglia proveniente da nobili vene-  ziani. Fuvvi un Costanzo/ vescovo di Minervino, la cui  nipote sposò nel 1641 1' U. I. D. Giustino Rapolla della  nubile famiglia Rapolla di Venosa, dei quali il figlio  Nicolao fu nel 1693 protonotario apostolico.   De Bellis.   De Luca. — Da cui derivò queir insigne cardinale  Giovan Battista de Luca, onore della città di Venosa,  autore di opere preclare in circa quaranta volumi in folio.   Bruni. — Donato De Bruni fu celebre poeta ve-  nosino. E Giordano Bruno o de Bruni, figlio del nobile  Giovanni de Bruni da Nola, intrinseco del Tansillo (Gior-  dano Bruno scrisse un epitaffio sulla sepoltura di Gia-  copon Tansillo, figliQ del poeta venosino Luigi Tansillo,  siccome attesta Minieri Riccio) non è forse da questa  famiglia venosina derivato ?   Fioriti.   Tramaglia.   Ttsct.   Tommasini.   Palogani.   Pagani.   Balbi.   Sperindeo.   Berlingieri.   Violani.     -«( 223 )»^   Gervasiis. — Orazio de Gervasiis fu il più insigne  membro della celebre accademia venosina, e poeta fa-  moso.   Abenanti,   Grossi.   Protonotabilissimi,   Capibianchi,   Campanili.   Ferrari,   Faccipecora,   Leonetto   Troni, — Antonello Trono fu esimio nella legale  palestra.   Aloisiis,   Rosa.   Biscioni.   De Vicariis.   Rapolla. — Dalla quale derivarono il Clarissimus  D. Venanzio U. I. D. vicario generale nel 1663 — Diego ^  U. I. D. Il Corsignani parlando di lui dice : « Romae  triginta fere Annis Curiam laudabiliter prosecutus in  legali f acuitale excellentissimus fuit. Ib idem anno j*joi  ex hac vita discessit.^ — Donato U. I. D. — Ed il celeber-  rimo D. Francesco giureconsulto, presidente della Regia  Camera della Sommaria nel 1760, senatore del S. Con-  siglio del regno di Napoli, uno dei settemviri del regio  erario. Le sue principali opere furono: De Jureconsulto  (1730) Difesa della Giurisprudenza. Risposta all'opera  di Ludovico Antonio Muratori (1722) De jure Regni  (1750). Opera eccelsa in quattro volumi in ottavo.   Vitamore.   Moncardi.   Lauridia.     ( 224 )     De Jura o Thura.   Sprioli,   Leoparda,   Sozzi.   Altruda, . — Vito Altruda era cavaliere deirordine  di Malta.   Delle quali famiglie nobili riportate dal Cernia e  dal Corsignani , due sole compaiono tuttavia esistenti  in Venosa: la Rapolla e la Lauridia. Della seconda di  essa si legge nella cattedrale di Venosa la seguente  epigrafe, riportata dal Corsignani.   JOANMi Baptistab Lauridia, Blasio, U. I. D. Patutio Venusino   Et Ammae Fbrrabi Nobili Sbkbmsi   Prognato   MaTMBMATICIS, PMILOSOPHXaS, LeOAUBUS, ThKOLOGICIS ASTIBUS  OPTIMB IMSTBUCTO U. I. LaUBBA, AC VbNUSIMAB ECCLBSIAB   Canonicatu Insignito, humanab salutis  Ann. oca. abtatis suab xxyii ad Supbbos  Evocato, Dobunicus, bt Hibbonimus Fratbi   DIGNI8SIM0 P   •   E la famiglia Rapolla imparentata sin dal 1 566 con  la casa Cappellana e con la Casati, ed in appresso coi  Costanzo nel 1641, con la Sozzi, con T Altruda, iscritta  neir ordine di Malta, e con la Lauridia, conserva nella  vetusta e stupenda cattedrale di Venosa V altare gen-  tilizio, che il Cenna bellamente esalta come uno dei  più degni di quel sacro luogo, e che appartenne prima  alle nobili famiglie de Bellis e Tisci, e nel quale si am-  mira un quadro pregevolissimo di S.^ Maria di Costan-  tinopoli, e vi si leggono le seguenti iscrizioni :   Sull* altare :   HOC. S ACRU. BEAT AB .VIRGLNI. DIC AtEsCIPIO. DE3ELLA.U.LD.BT.HOR.   DE . BELLA . A. EF. M. D. EQUES . DE . ORDINE .VICTORIAE .TISCI . EORUM.   MATRIS . RESTAURANDUM . CURAVER . BIDCXVI.     -«( 225 )»^     àACELL . HOC . MENSE . EPLÌ . DEVO LUTO . AEHUTAU . EPO . VSNO.   FUrr . CONCESSO . VENANTIO . RAPOLL A . U . I . D.   PRIMICERIO . VICARIO . GENLI . SUISQUE . HBREDIB . LT.   SUCCESSO . ET . PATRONI . CONSENSUS . ACCESSIT . ANNO.   MDCLXVU.     Sotto l'altare:   SACELLUM . HOC.  NOBIUS . FAMILIAE . RAPOLLA . VENUSIMAB. .  IN . VENUSTIOREM . QUAE . CERNITUR . FORMA.  RSDIGrr . U . I . D . DIDACUS . RAPOLLA.   Ed in un istrumento redatto da notar Nicola li  Frusci di Venosa del dì 28 gennaio 1722 si rileva che  dinanzi al magnifico giudice regio della città di Venosa,  D. Saverio Compagno, e del vescovo del tempo ed  altri molti, nel monastero di Santa Maria la Scala si  volle inaugurare un'abitazione per uso esclusivo e pri-  vilegiato delle monache educande della famiglia Rapolla,  e vi si fé* innalzare inciso su pietra in fronte dell* ar-  chitrave della porta che dà nel giardino di tal luogo,  (e vi si vede tuttora) e sotto lo stemma della famiglia  Rapolla, la seguente iscrizione:   CUBICULUM . HOC . PROPRIO . SUO . ABBB.   U . I. D . AX.OISIUS . Rapolla . Patritius . Vbmosinus.   EkBGI . CUItAVtT . 121 . CRAT1AM . D. MaUAB . AnDRSAB.   Rapolla . Momcalis • Profkssas . suak . kx . rmA-ntc.   MXPOTXS . OmnOMQUB . SDCCBSSOBUM . DB . FAIIIUAB.   UTBIUSQUB . SBZUS . QUAMDOCUMQUB . CASUS . OCCIDBBIT.   ANNO DOMINI MDCCXXII.   La casa Rapolla poi si è mantenuta sempre no-  bilmente, tanto che nel 1807, essendosi recato a visi-  tar Venosa, nel suo viaggio nelle provincie del reame  il re Giuseppe Bonaparte, venne ospitato con gran ma-  gnificenza per due giorni con tutti i generali e gli altri   personaggi della sua splendida corte, dal nobile Venan-   29     •^( 226 )»^   zio Rapolla, al quale rilasciò certificato di sovrano com-  t>iacimento per la ricevuta accoglienza, non avendo vo-  luto quel fiero gentiluomo, già capitano sotto la repub-  blica partenopea, e tornato da poco tempo da emigra-  zione politica in Francia, accettare titoli, onori od altro  compenso. Walckenaer nel 1° voi. pag. 4 della sua opera  « Histoire de la vie et des poesies d' Horace^ dice: « La  Venouse moderne à, malgré sa faible population , con^  serve quelque chose de plus que son nom et sa position  antique^ pouisqu* elle est le siege d' un eveché, » Ormai  ò noto, ed il Lavista nel suo opuscolo: Notizie istoriche  degli antichi e presenti tempi della città di Venosa^ Po-  tenza^ tipi Favata^ 1868 e Frediano Fiamma, rettore del  seminario vescovile venosino, nelle sue note alla necro-  logia del nobile Giuseppe Rapolla (Napoli, tipi Giannini  1883) riportano, che essendosi disposto nel 181 8 di tra-  sportare la sede del vescovado da Venosa a Minervino,  con grandissimo nocumento alla patria di Fiacco, Ve-  nanzio Rapolla tanto seppe destreggiarsi ed agire nella  capitale del regno, ove venne trattato l'affare in Con-  siglio di Stato, con impegno di illustri avvocati, da far  distrarre tale improvvida risoluzione; ed anzi vi spese  a tale scopo più di lire ventimila, che non volle per  sua generosità gli venissero rimborsate. Veramente no-  bile animo ) Splendido esempio di filantropia 1   (12) Riportata da M. A. Lupoli nella sua opera  9^   quel preclara gentiluomo, mio defunto genitore, nobile  Luigi Rapolla, direttore degli scavi di antichità nel di-  stretto di Melfi, si legge quanto segue : « Mi aflretto  parteciparle che non lungi da Venosa un terzo di  miglio, mentre si attendeva allo scavo di arena in  una grotta messa sul ciglione di una collina verso  oriente, sovrastante al fiume che scorre nella vallata  sottostante al tempio della Santissima Trinità, si è  rinvenuto un lungo corridoio con altre strade la-  terali, con una quantità di sepolcri scavati nel tufo,  coperti da grossi mattoni antichi, con delle iscrizioni  indecifrabili, fra le quali se ne osservano talune, cui   soprasta una palma ed un'ampolla > E tale luogo   si dice il Piano della Maddalena^ e scovronsi dintorno  ad esso dei resti di fabbriche che indicano come un  forte nucleo di abitanti viver doveva in tale spianata ,  che aveva il suo tempio dedicato alla Maria di Magdala,  ed in quelle grotte scavate nel masso vi avevano la  loro necropoli. Da tutto ciò può benissimo e con cer-  tezza arguirsi che Venosa, chiusa nei limiti anzidetti, che  si estendevano verso le colline, che oggidì diconsi Monte  e Montalto sino al fiumicello divento, formava una va-  sta città abitata da più di ottantamila uomini. Che ai  tempo dei Romani era splendida per monumenti, statue  e nobiltà, e conservossi tale sin presso al 1500, quando  andò mano mano assottigliandosi per danni solTerti dai  tremuoti, dalle pesti, dalle guerre e dall'aprirsi dei di-  versi sbocchi a centri che cresceano in importanza, gran-  dezza e magnificenza sia in Puglia che in Lucania. E  venne tanto assottigliandosi da divenire un tempo un  borgo, fortificato però, di poche centinaja di fuochi, sin-  ché poi non risorse a novella vita. Quei pochi fieri abi-  tanti, che avevano per emblema il basilisco che si morde     -«( 231 )»-   la coda, e la scritta: Respublica Venusina^ si conservaro-  no però sempre eguali a loro stessi ed alla loro origine.   In essa nacquero e vissero baldi guerrieri, come si  disse, e letterati insigni e sommi giuristi ed eminenti  ecclesiastici, sempre altieri, nobili e pieni di genio, de-  stinati a grandi imprese.   L' antica grandezza lasciò uno stampo in ciascun  abitante di tale ameno e forte luogo. Ciascun abitante  porta con sé una particella dell'aura divina, che emana  da questa terra benedetta dal cielo, e tra le più belle  e feraci dltalia. Il Bestini, nella sua opera Monetarii  antiqui^ sostiene essersi coniate in Venosa delle monete  raflìguranti Giove che gitta fulmini. Come esprimere me-  glio figuratamente la potenza della città di Venosa ? Oggi  Venosa colla libertà e col progresso è nuovamente ri-  fiorita, e per ricchezze e lustro non è inferiore che a  poche città meridionali d'Italia.   (15) Gargallo Tommaso. Traduzione delle- opere di  Quinto Orazio Fiacco — Lib. i." sat. 6*.   (16) Il Vulture. — I due versi di Orazio nella sua  ode quarta del libro terzo  ed il « pios  errare per lucos > han dato campo a non poche dispute  tra i dotti e gli antichi scoliasti. Fuvvi tra gli altri per-  sino il Bentley, il quale sostenne essere esistita una  balia di Orazio nomata Apulia^ che in quel sogno del  pargoletto prese parte, tenendolo addormentato in su le  ginocchia, fuori la porta della sua casa rurale in Ve-  nosa. Gargallo traduce :   Da pueril trastullo  Mentre io lasso, e dal sonno oltre alla soglia     -«( 232 )»-     De r Apula nutrici, amar faruimllo  Giaceva sul V\lL?r appulo, di faglie  Tutu a nuazi arhuscelli  Fer siefe int4fniù a wu, gt idal^ mmgelli.     Ma ben considerando questo bisticcio di Voltar  appulo oltre la soglia (i confini) delt Apula nutrice^ si  chiarisce che T Apula nutrice per Orazio era Venosa ,  usando il tutto per la parte, cioè la Puglia Daunia.  Plinio, (libro 2. capo 12.) disse e Dauniorum colonia  Venusia >, ed il Voltar appula alla soglia indicava la re-  gione del Vultore, mentre il Vulture era situato nella  Puglia Peucezia , quindi fuori dei confini della Puglia  Daunia, patria di Orazio. Con tale criterio resta dilu*  cidato questo passo di Orazio, il certo un po' oscuro  per chi ignora la topografìa delia regione pugliese. È  certo che Orazio intese parlare, nominando il Vulture ,  della catena appenninica minore dopo il Vulture, cioè  i monti alle cui pendici Venosa era situata, che in quei  tempi erano copèrti da fitte boscaglie, come una buona  parte lo sono tuttora (contrada Monte, Monte Alto ecc.).  Infatti accenna in seguito alla foreste di Banzi, {saltu-  sque bandinas\ ad Acerenza {celsa nidum Acherantiae)^  a Forenza {humilis Ferenti)^ che son tutti luoghi che  fan seguito anche oggi a tali boschi, che bisogna tra-  scorrere per giungervi partendo da Venosa. Se Orazio  avesse inteso parlare delle pendici del Vulture, come  oggi s' indicano, avrebbe dovuto far cenno di Atella,  RapoUa, Rionero, Barile, e di altri paesetti, che se non  esistevano in quei -tempi , certo in tutto il perimetro  della pendice del Vulture doveva esistere qualche traccia  o zona di terra abitata, come la Rendina attuale, ove  la taberna celebre è anteriore all'epoca romana della  quale si discorre.     I     (J33j   Del Vulture hanno ampiamente e dottamente trat-  tato r abate Tata {Lettera sul Vulture 1778), Dau-  beny {Narrative of on excursion to mount Vultur in  Apulia— Oxford 1835), il prussiano Ermanno Abich, ^.. ^. .. g .É|..^ ^ .y ^, .ly.., ».^ ..^ ^ ^. | ^^ >.. ^ .L.. ^IfcHiilnlfcjtUlt^     3     ^     :     '^     ''     7     '3     P     PERE DELLO STESSO AUTORE     n Patrizio e l'Abate Un volume in i6», pag. 250,  Tipi Di Angelis Napoli, 1870.   XTobiltà e 1)0rgh68ia Un volume in 8*, pag. $00, Tifi  Tarnese Napou, 1877.     Uemorìe storiche di Portici 3* edizione Un vo-  lume in 8^ pag. 176 Stabilimento Tipografico  Vesuviano Portici, I891.     Presso Tautore Napoli, Riviera di Chiaja, N. ijo        Dei Conti Sì Bavoja Un volume, in g*. pag. 109, Tipi   Giannini — Napoli, 1886. ì Quinto Orazio Flacco. Orazio. Keyword: Il Giardino. Luigi Speranza, “Grice ed Orazio” – The Swimming-Pool Library. Orazio.

 

Grice ed Ordine: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di BRVNO al rogo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Diamante). Filosofo italiano. Professore a Calabria. Rriconosciuto come uno dei massimi studiosi del Rinascimento e Bruno. Ben noto ai lettori per i suo eccellente saggio su Bruno, è anche uno dei migliori conoscitori attuali del milieu sociale, artistico, letterario e spirituale dell'età del Rinascimento e degli inizi dell'Età moderna.Sigillo d’Ateneo dell’Urbino. Centro  di Studi Telesiani, Bruniani e Campanelliani. “L' utilità dell'inutile” (Milano, Bompiani). Opere: “La cabala dell'asino”, “Asinità e conoscenza in Bruno” (Teorie & oggetti, Napoli, Liguori, Collana I fari, Milano, La Nave di Teseo);  “La soglia dell'ombra -- Letteratura, filosofia e pittura in Bruno” (Venezia, Marsilio); “Contro il Vangelo armato: Bruno, Ronsard e la religione” (Milano,  Cortina); “Teoria della novella e teoria del riso” (Napoli, Liguori); “Tre corone per un re. L'impresa di Enrico III e i suoi misteri” (Milano, Bompiani). Classici per la vita. Una piccola biblioteca ideale, Collana Le onde, Milano, La Nave di Teseo, Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere” (Milano, La Nave di Teseo). Grice: “Some like Bruno, but I don’t – for one, he was a PRIEST before he was burned – no philosopher *I* know is a priest. Being a priest, as A. J. P. Kenny well knows, disqualifies you as a philosopher. Campanella was a priest too, and I’m not sure about Telesio. I mention the three because while there is a Keats-Shelley Association in Rome, only the Italians can think of ONE centro di studi TELESIANI, BRUNIANI e CAMPANELLIANI – enough to have a triple split personality!” Nuccio Ordine. Ordine. Keywords: Bruno, futilitarianism, riso, risus significant laetiia animae – il sorriso di Macchiaveli, centro di studi telesiani, divenne centro di studi telesiani, bruniani, e campanelliani! – telesio not a priest!--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ordine: l’inutilita dell’utilitarismo di Geremia Bentham” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Orestada: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean cited by Giamblico. He frees Senofane from slavery – as cited by Diogene Laerzio.

 

Grice ed Orestano:  all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’opzione eroica –  filosofia siciliana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Alia). Filosofo italiano. Self-described as a ‘Federalista siciliano’ --. Grice: “There is something pompous about Italian philosophers and their isms – Orestano’s ism is the superrealism!”  Grice: “When I was invited to deliver my lectures on the conception of value, I was hoping it was a first, but Orestano had written two big volumes on it!” – Studia a Palermo. Insegna Palermo, Pavia, e Roma. Collabora con Marinetti nella concezione del futurismo, e lavorando ad alcune pubblicazioni comuni. E inoltre vicino alle idee politiche, collaborando tra l'altro con “Gerarchia.” Invitato da Balbo nella Libia italiana, difende gli ideali e gli intenti italiani in contrapposizione al nazionalismo. E eticista, fenomenologo e promulgatore d'un'idea filosofica positivista che egli stesso denomina “super-realismo.” Si ritira a vita privata nel su palazzo di Roma per dedicarsi alla sua opera principale “Nuovi principi” (Milano, Bocca). Membro dell’Accademia d'Italia e della Società filosofica italiana e dell’Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici. Autore di noti aforismi, a lui sono intitolate una via di Roma e una scuola di Palermo. Saggi: “Opera omnia” (Padova, C. E. D. A. M.); “Comenio”, Roma, Biblioteca Pedagogica de “i Diritti della scuola”, Angiulli, Roma, Biblioteca Pedagogica de “i Diritti della scuola”, A proposito dei principi di pedagogia e didattica” (Città di Castello, Alighieri);“Un'aristocrazia di popoli -- saggio di una valutazione aristocratica delle nazionalità” (Milano, Treves); “Verità dimostrate, Napoli, Rondinella); “Opera letteraria di Benedetta, Roma, Edizioni Futuriste di Poesia); “Esame critico di Marinetti e del Futurismo” (Roma, Estratto dalla "Rassegna Nazionale"); “Civiltà europea e civiltà americana” (Roma, Danesi); “Nuove vedute logiche” (Milano, Bocca); “Il nuovo realismo” (Milano, F.lli Bocca); “Verità dimostrate, Milano, Bocca); “Idea e concetto” (Milano, Bocca, Celebrazioni I, Milano, Bocca Editori, Celebrazioni, 2, Padova, MILANI, “Filosofia del diritto” (Milano, Bocca, Gravia levia, Milano, Bocca); “Saggi giuridici, Milano, Bocca); “Verso la nuova Europa” (Milano,  Bocca); Prolegomeni alla scienza del bene e del male, Milano, Bocca); “Leonardo, Galilei, Tasso” (Milano, Bocca); “La conflagrazione spirituale e altri saggi filosofici” (Milano, Bocca); “Pensieri, un libro per tutti”; Studi di storia della filosofia”; “Kant”; “Rosmini-Serbatti”; “Nietzsche”; Contributi vari, studi pedagogici, studi danteschi; Aligheri e saggi di estetica e letteratura; conversazioni di varia filosofia; corsi, ricerche e conferenze, studi sulla Sicilia, Filosofia della moda e questioni sociali,  Dizionario Biografico degli Italiani, E. Guccione, L'idea di Europa in  Federalisti siciliani, A. R. S. Intergruppo Federalista Europeo, Palermo, Guccione, Da un diario una nuova pagina di storia, in  La politica tra storia e diritto, Scritti in memoria di L. Gambino, Giunta” (Angeli, Milano);  Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Quando i vincitori scrivono la storia della filosofia: il caso di Lamendola, Arianna, O.  Castellana, Il rapport tra stato e Chiesa nel pensiero politico, Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici. I valori egoistici risultano espressi con le lettere T e e te1 Hay Ja, Un Un,, Tv Uy. Gli valori altruistici sono espresso con le lettere: i. I valori neutrali sono espresso colle lettere : Ym. Siccome non si propone di dare una teoria compiuta dei fatti concomitanti di questo o quello valore, ma solo di ANALIZZARE tal unicasi va   speciali, così, quando adopera i simboli senza l'indice soscritto, intende significare il valore egoistico – con la lettere ‘e’ sottoittesa. Questi simboli possono esprimere questo o quello BENE, ma anche questa o quella volizione a questo o quello BENE riferentisi. Per indicare una volizione, si adopera il stesso segno *fra parentesi quadratti*. Infine, si suppone, di regola ceteris paribus,che la circostanza concomitante sia sempre una sola, la quale, insieme alla volizione, formi ciò che chiamamo il “bi-nomio” della volizione. Se le circostanze sono più, allora si forma un “poli-nomio” della volizione. La precedenza di una lettera in un binomio o un polimonioindica il valore principale, sia desiderato o sia attuato. In che modo i fatti concomitanti del valore sono connessi collo scopo della volizione? Siccome ogni scopo di volizione è anche un oggetto di valutazione, la domanda può formularsi così. Come i valori possono entrare in connessione tra loro? Si noti però che la connessione deve stabilirsi prima del cominciamento della volizione, giacchè questa volizione deve tenerne conto. Le co-esistenze casuali restano naturalmente escluse. Tra lo scopo dellla volizione e l'oggetto della valutazione concomitante possono correre varie relazioni. C’e una relazione d’identità. Ciò che il  artista o un politico come Mussolini crea non soddisfa lui SOL tanto, apparirà sempre in qualche modo come un BENEFICATORE di tutta una sfera di uomini – la nazione italiana. C’e una relazione di CO-ESISTENZA di più qualità di una stessa cosa, o anche di più cose. Per esempio, un tale VUOL comprare un piano che ha (+) un bel tono. Ma il piano ha anche (-) una cattiva meccanica. O un cane da guardia molto vigile (+), il quale però morde (-). O una macchina automobile che lavora bene (+), ma che fa rumore e fumo (-) ,ecc. C’e un nesso causale, nelle sue due forme: a) lo scopo è CAUSA di conseguenze valutabili. Il politico chi, per esempio, promuove il movimento e l' industria dei forestieri, mira ad arricchire la sua nazione (+), ma anche la de-moralizz (-). b) lo scopo non si può raggiungere che come EFFETO di dati valori morali. Per esempio: un fabbricante per  . Ora torniamo alla domanda principale. In che modo il valore morale di una valutazione dipende dai valori concomitanti, e,in caso di un simple bi-nomio della volunta, dal valore concomitante? Abbiamo distinto quattro categorie di valori, “g”, “T”, “u”, e “u”, le quali si applicano anche ai fatti concomitanti. Però il caso u si può omettere, perchè non accadrà mai, CHE SI VOGLIA UN PROPRIO NON-VALORE PER sè stesso. Rimangono così tre possibilità, le quali, liberamente combinate, dànno *dodici* casi che costituiscono la tavola dei valori. Per l'esame di questi casi bisogna pensare che ad un oggetto di volizione si aggiungano gli altri come fatti concomitanti, e osservare le variazioni di valore che questo intervento produce. La VOLIZIONE ‘POSITIVAMENTE ALTRUISTICA’ (benevolenza e beneficenza) è data da una formula. Il momento più importante è qui l'associazione della circostanza concomitante u, IL PROPRIO DANNO. È evidente che l'aggiunta di questo secondo momento accresce il valore di (i) e di tanto, quanto più grande sarà il sacrificio proprio. Indicando il valore con “W” ,si avrà dunque: W(ru) > WV. Se invece si aggiunge “u”, IL DANNO ALTRUI, sia dello stesso beneficato (quando il beneficio produce pure un MALE al beneficato), sia di persone estranee al rapporto (quando per beneficare uno si danneggia altri), allora il valore della volizione con questa circostanza concomitante diventerà minore. E la formula sarà: W(ru) < W(r). Se la circostanza concomitante è pure in favore del beneficato, allora la formula sarà indubbiamente: guadagnare di più deve migliorare la condizione materiale dei suoi operai. W (rr)> Wr.   glianze. Invece L’AGGIUNTA DEL VANTAGGIO PROPRIO AL BENE ALTRUI nè diminuisce, nè aumenta il valore. La volizione egoistica è espressa dalla formula, la modificazione più grave qui si ha, quando al caso si aggiunge la circostanza del  MALE ALTRUI. Allora si avrà: W(gu)<W(9). Se la circostanza concomitante è invece “r”, il valore della volizione egoistica si eleva: W(gr) > W(g). Che poi alla volizione egoistica si aggiunga la circostanza secon aria di un ALTRO PROPRIO VANTAGGIO (plusvalia) o anche di un proprio danno, non modifica il valore di (g). Si avranno quindi le due egua W (99)= W (g)= 0 W(gu)= W(9)=0. Così pure si aumenta il non-valore, se oltre al danno principale si aggiungono altri danni. Epperò: W (UU)< W (U). Per quanto il caso sia inusitato, si può prevedere anche, che al male altrui si associ una qualche conseguenza buona, indiretta,  W (rg)= Wr. La volizione altruistica negativa o anti-altruistica è espressa con una formula. Se per attuare il danno altrui, si fa anche il danno proprio u, questa circostanza aggrava il male e aumenta il non-valore: W (uu) < W (u). W(UY) > W(u). Il fatto concomitante della propria utilità non aggiunge nè toglie al valore della volizione principale anti-altruistica. Si avrà quindi l'eguaglianza: W (ug)= W u. La somma dei risultati ottenuti si può disporre in un Quadro. W(rr) > W(v)? W(gr )> W(g)? W(ur)> W (U)? W(yg)=W(r) W(99)=W(g)=0 W(ug)=W(U) W(ru)<W(Y) W(gu)<W(g) W(UU)<WU) W(ru)>W(V) W(gu)=W(g)=0 W(uu)<W(U). Da questo quadro si rileva che le circostanze concomitanti con segno negativo non sono più feconde di effetti di quelle con segno positivo. Di queste ultime, “g” non modifica nulla, e “r” non dà risultati sicuri, come indica il punto interrogativo. L'influenza dei fatti concomitanti si può dunque riassumere così. Agisce aumentando debolmente il valore. ‘g’ non modifica nulla. ‘u’ diminuisce grandemente il valore. ‘u’ opera secondo lo scopo della volizione -- ora aumentando, ora diminuendo e ora non-modificando il valore. Si è già detto che sarebbe uni-laterale il voler giudicare del valore morale di una volizione dallo scopo ;che però, in quanto lo scopo prende parte alla determinazione del valore, l'altruismo positivo è buono, L’EGOISMO è INDIFFERENTE. L’altruismo NEGATIVO (malevolenza e maleficenza) è cattivo. Ora è importante constatare, che il senso in cui i tre momenti valutativi operano sui fatti concomitanti è completamente lo stesso La validità della tavola dei valori, dianzi tracciata, ma pure prevista. Allora il non-valore si ridurrà, nel modo indicato dalla in-eguaglianza: subisce variazioni, se cambia la qualità della volizione? Itendendo per qualità la differenza tra appetizione e repulsione, che però non deve equipararsi a una contra-posizione logica tra affermazione e negazione, i cui termini si escludano a vicenda, ma considerarsi come una doppia possibilità psicologica, di cui l'una abbia altret tanta realtà indipendente, quanto l'altra. Un'analisi della NOLIZIONE mostra, che esse si comportano egualmente come la volizione, solo che si applicano di regola ai valori “T”, “u” ed “u”, RITTENENDOSI ASSURDO (IRRAZIONALE) IL NON VOLVERE IL PROPRIO VANTAGGIO ‘g’. Indicando le nolizioni con (T) (ū) (T) = (non- T) = (U) (U = (non-- U) = ( ) (ū)=(non u) = (g). Lo stato subbiettivo di rappresentazioni ed i predisposizioni anteriore alla volizione è indicato con il concetto di “Progetto”. E siccome in questo stato abbiamo supposta anche la cognizione delle circostanze concomitanti valutabili, così al binomio della volizione o al polinomio della volizione corrisponde un binomio o un polinomio del progetto. Per indicare questi stati si adopera gli stessi simboli *senza la parentesi quadratti*. Osservando le volizioni in rapporto agli stati predisposizionali, l'analisi delle valutazioni dei fatti concomitanti può rendersi più esatta.  (ū) si possono fare le seguenti sostituzioni, che aiutano a trovare il corrispondente valore nella tavola relativa alle volizioni. Si ponga, per esempio, un bi-nomio iniziale della volizione “uu”, che esprima il mio desiderio di far male, al momento opportuno, a una persona, ma che non mi sia possible evitare, ciò facendo, conseguenze dannose pe rme,u. Se ildesiderio di non danneggiarmi prevale, allora non si avrà più il binomio (uu), ma l'altro (ūr), il quale dice che la volizione è risultata nel senso di non volere il male proprio, pur ammettendo che questa volizione abbia per circostanza concomitante y, cioè il bene altrui. In forma positiva la volizione finale sarà (gr). E così da una situazione iniziale negativa “vu” si riesce nella opposta gr (1). Questi sono i co-ordinati fra loro due bi-nomi di progetti, dai quali procedano due volizioni formalmente concordanti. Anche i due bi-nomi di queste volizioni saranno coordinati fra loro. Essaminemo la coppia dei due binomi yu-gu, dei binomi, cioè, che hanno la maggiore importanza pratica. Il primo bi-nomio esprime l'altrui bene col proprio danno. Il secondo bi-nomio esprime il bene proprio col danno altrui. Nel primo rientrano, nel senso o grado *massimale*, tutte le occasioni in cui si può affermare la grandezza morale di un uomo (magnanimita). Nel senso o grado minimale, i casi della più comune fedeltà al proprio dovere (to do one’s duty). La sezione di linea dei valori morali che comprende il MERITORIO e IL CORRETTO è tutta espressa da questo bi-nomio del Progetto. Laddove la sezione che va dal punto d'INDIFFERENZA al TOLLERABILE e al RIPROVEVOLE corrisponde alla negazione di questo binomio del progretto. Nel binomio “gu” sono espressi tutti i casi che vanno dal più SANO EGOISMO alle negazioni più delittuose dell'altruismo. Reciprocamente, la rinunzia a siffatte volizioni va dal semplicemente dove ROSO ALL’EROICO. Le volizioni che procedono da questi due bi-nomi comprendono adunque tutte le quattro classi di valori, caratterizzati in principio. I due bi-nomi anzidetti suppongono un CONFLITTO (non coooperazione) fra l'interesse proprio e l'interesse altrui. È evidente che dalla grandezza di questi interessi, dalla portata di “g” e di “Y”, dipende il valore morale della valutazione. I momenti “u” e “u” s'intendono compresi nella negazione di “g” e “y”. Intanto è certo che il VALORE EGOISTICO in cui “g” è congiunto con “u” , “W(gu)”, si trova sempre al di sotto del zero della scala, ed ha segno negativo. Mentre il valore altruistico in cui è congiunto con “u”, “W(ru)”, si trova al di sopra del zero ed ha segno positivo. Ciò posto, la funzione valutativa tra i termini dei due binomi dei pogretti si può scoprire agevolmente con una semplice osservazione. Sacrificare un piccolo interesse proprio a un grande interesse altrui ha un VALORE POSITIVO MINORE che il sacrificare a un piccolo interesse altrui un grande interesse proprio. D'altra parte chi non pospone a un grande interesse altrui un piccolo interesse proprio produce un non-valore morale più basso, che non colui il quale per una utilità propria rilevante non tien conto di utilità altrui tras curabili. Questo abbozzo di una LEGGE del valore si può esprimere nelle formule, nelle quali “C” e “C'” indicano le costanti proporzionali sconosciute, condizionate dalla qualità delle due unità “g” e “r”. Nell'applicazione di queste due formule all'esperienza si rendono necessarie talune modificazioni. Se poniamo I valori “r” o “g” eguali ai limiti 0 e 0 ,allora i calcoli diventano molto esatti. Per g per g. L’ESPERIENZA NON è però SEMPRE D’ACCORDO CON QUESTE FORMULE. Ognuno ammetterà che l'adoperarsi nell'interesse altrui si accosti l punto morale d’INDIFFERENZA, quanto più grande è quest'inteesse; e che il trascurarlo divenga nella stessa misura RIPROVEVOLE, “u” pposto costante e limitato l'interesse proprio da sacrificare. È F ,  1 W(ru) = Cg -0 Y Y g W (gu) = - C per r = 00 per r = 0 lim W (ru) = 0, lim W(ru)= 0, lim W (ru)= 0 , , limW(ru)= 0, lim W (gu) = - 0 0 limW (gu)= 0 lim W (gu)= 0 lim W (gu)= – 00.   pure evidente, che la trascuranza di un interesse altrui diviene tanto più INDIFFERENTE quanto più IRRILEVANTE è questo interesse. Epperò non si ammetterà da tutti, che il valore dell'altruismo di venga allora infinito, come nella seconda formula. Osservando però bene, questi casi non rientrano nel campo della morale. Si contrasterà pure che il valore del sacrificio di un bene proprio per l'altrui, cresca colla grandezza del bene sacrificato (formula terza). Ma l'esperienza prova che l'esitazione al sacrificio si fa maggiore quanto più grande è il bene cui si sta per rinunziare. Invece è da riconoscersi che non è esatta la quarta formula. Non si può negare ogni valore al bene che si fa ad altri, solo perchè NON si determina un CONFLITTO con un bene proprio. Le formule anzidette si debbono mitigare nella loro assolutezza, perchè si accostino di più alla realtà. Per far ciò, basta attenuare il valore di “g”, il che si può ottenere aggiungendo a “g” ogni volta una costante “c” o “c '”.  Queste formule non modificano i limiti funzionali dianzi ottenuti, ponendo r = 00, T = 0 0 g = 00. Cambia bensì la formula del quarto limite. Se g= 0: lim W (ru) = C , lim W (gu) = - ' Sin qui abbiamo considerato l'una variabile IN-DIPENDENTE dall'altra. Che avverrà però, se le variazioni si compiranno in entrambe le variabili congiuntamente, supponendo che “r” e “g” rimangano uguali fra loro per grandezza di valore? Sostituendo a “g” il simbolo “r”, le formule diverranno altri. Si avranno così le formule. T r W (ru) = 0 9 + c g +di  e Y W(gu)= W(gu)=-C' ito Y W(ru)= C y- to' . Da questo risulta che il non-valore deve crescere e diminuire nello stesso senso o grado limite di “r” e “g”, e il valore in senso o grado di limite contrario. Consultando l'esperienza, si può riscontrare agevolmente che un oggetto, per esempio un dono, abbia lo stesso valore per chi lo dà e per chi lo riceve. Ora si domanda, regalare di più avrà un valore più alto o più basso del regalare di meno? Senza dubbio più alto. E se si contrapponga vita a vita, CHI SACRIFICHI LA PROPRIA VITA per conservare quella di un altro, suscita di fatto grande ammirazione. QUESTO è però IL CONTRARIO DI ciò che quelle formule esprimono. O “c” corre adunque correggere le formule e per far ciò introducemo un esponente di “g”, più grande dell'unità, e lo indicamo colle lettere “k” e “k'”. Le due formule diverranno così, rimettendo “y” al posto di “r”.  Sicchè si avranno i seguenti limiti. A questo punto, il concetto di limite non hanno più bisogno di alcun'altra correzione. Per semplicità di espressione ponendo C= 1ek =2, la formula del binomio divienne W(gu)= T. È questa una formula a discuttere. . g2+1 ghto Y gkilt o W(gu)= W (ru)= C per r= 9 perr= g= 0  T g2+1 W (ru)= e Y e limW(ru)=00 lim W(gu) = 0 limW(ru)=0 limW(gv)=0. Preliminarmente non si ne ricava alcune conseguenze. Ogni pr getto offre a colui, che dovrà reagire con una volizione,l a doppia possibilità di fare o di tralasciare. Le due volizioni staranno, secondo la formula principale or ora  ricavata, in un rapporto di RECIPROCITà negativa, per ciò che ri guarda il loro valore morale. In secondo luogo, siccome una volizione di grande valore (positivo o negativo) o e MERITORIA O RIPROVEVOLE. Quella volizione di piccolo valore o e CORRETTA o TOLLERABILE, così potrà dirsi in generale che quanto PIù DISTANTI sono il NUMERATORE E IL DE-NOMINATORE della formula in una scala ordinale (1, 2, 3, … n), tanto più il valore della volizione e indicato dalle parti estreme superiore o inferiore della linea dei valori. Quanto più vicini o meno distanti sono invece quei numeri, tanto più l'indice del valore cadde verso il punto di mezzo di detta linea. La formula si applica inoltre anche ai casi di una volizione I cui scopo non siano accompagnati da circostanze concomitanti. Basta ridurla. W(9)=0(1). UU. Mentre la prima coppia esprime il caso di CONFLITTO D’INTERESSI, la caratteristica della seconda formula è la CONCOORDANZA O INTERSEZZIONE O COOPERAZIONE O CONDIVIZIONE gl'interessi propri con gli altrui, positive, o, come nella guerra o il duello, negativi.  Se il progetto offre l'occasione di congiungere con la mia utilità l'altrui, o se mi rappresenta un pericolo altrui nel quale scorgo un pericolo mio, la volizione corrispondente e espressa con (gr). V'è però anche la rappresentazione del desiderio di un male altrui, cui si associa anche la previsione di un danno proprio. La corrispondente volizione e espressa con “(uu)”. Il conflitto qui non esiste fra “g” e “y”, ma fra “g” e”v”, cio è fra “g” e -Y Questa riflessione ci fa subito applicare al caso attuale la formula principale del primo binomio. Così, go+1 Y. W(uu)= W (Y)= >.  Passamo ora ad esaminare un'altra coppia di binomi: gr g+1 1 T   (go+ 1)r. Mantenendo anche in questo caso il principio della RECIPROCITà negativa dei due binomi di progetto, l'altro binomio diverrà epperò la seconda formula principale così ottenuta e (1): W(uu)= -(g2+ 1)r. Le costanze rilevate in queste formule dimostrano sufficientemente che il valore morale è in relazione tanto con lo scopo principale della volizione quanto con i fatti valutabili concomitanti, com’era di sperare! Recenti studi sui valori morali in Italia. TAROZZI comunica al congresso di psicologia (Roma) un programma di etica scientifica, sotto il titolo: Sulla possibilità di un fondamento psico logico del valore etico. I risultati dell'indagine psicologica sono capaci di assumere importanza di fondamento e di criterio nella determinazione del valore etico delle azioni umane e nell'apprezzamento etico degli individuiumani? Questo il problema.Tarozzi crede possibile una risposta affermativa, e ne dà le ragioni. Il valore etico è il risultato di un apprezzamento morale. L'apprezzamento morale è funzione della coscienza morale, che si forma in noi storicamente e psicologicamente. E siccome lo studio della formazione storica si risolve pure in un'indagine psicologica, così la vera sede della dimostrazione del valore etico è la psicologia. A ciò non si può opporre, che il valore etico dipenda direttamente dal fine etico, e che questo per l'assolutezza sua (o teologica o categorica) sia indipendente dalla causalità psicologica e antropologica. Giacchè, anche ammessa questa indipendenza del fine etico, nulla vieta che essa riceva una interpretazione psicologica e antropologica. Si può cioè voler sapere come sia possibile nella realtà (umana) il fine etico, e ciò conduce anche a interpretare la relazione dei valori etici con quei fini, e a trovare il criterio per la valutazione morale degl’individui umani. Fra il principio assoluto e l'atto concreto,più ancora fra quel principio e l'individuo, intercorre la eterogeneità più radicale. Per giudicare quindi se l'atto compiuto o da compiersi stia in un giusto rapporto col principio, è necessaria una interpretazione psicologica. Senza questa interpretazione la valutazione etica alla stregua dei principi assoluti non può farsi. Ove poi si abbia un concetto non teologico, nè categorico del fine etico, la psicologia può darne non solo l'interpretazione, ma anche, coll'aiuto dei dati dell'antropologia e della sociologia, una vera e propria dimostrazione. L'ufficio della psicologia nella dimostrazione del fine etico è anzi assai più rilevante, perchè da questa dimo strazione dipende. Primo se il principio sia ammissibile oppur no. Secondo, quale valore etico abbiano le azioni e gl'individui in base al principio dimostrato. Ma non a questo si ferma l'ufficio dellapsicologia nella morale. Volendo fondare un'etica, umanistica nelle sue basi,e umanitaria nelle sue norme, un'etica cioè rispondente alla concezione di un significato morale della vita umana,la coscienza del quale giusti fichi, non in senso di fine, m a in senso di fondamento, i particolari propositi delle volizioni umane, la psicologia porterebbe i più decisivi elementi a una tale concezione della umanità. La psicologia è scienza sovrana nell'àmbito dell'etica umanistica. Senza di essa è impossibile la ricerca di un significato morale della vita, che assuma valore di fine dopo essere stato fondamento e criterio, e risponda alle tendenze onde la moralità positiva si svolge nella storia dell'umanità. Oltre a questo contributo diretto della psicologia all'etica, vi sono gl'indiretti, consistenti nella difesa,che solo la psicologia può fare contro lo scetticismo morale. La legittimità di una valutazione etica, che abbia forza di per sè, si suole negare da chi crede che il bene e il male siano risultato di convenzioni sociali più o meno inveterate, mutabili secondo i vari tempi e I bisogni, e non rispondenti a una costante necessità della vita e della natura umana. Per riparare dallo scetticismo si è ricorso o all'utilitarismo o alla metafisica. Ora,allo scetticismo e anche ai suoi falsi rimedi (l'utilitarismo e la metafisica) non può opporsi efficacemente che la ricerca psicologica. Essa sola, riuscendo a determinare positiva mente le concezioni fondamentali del valore morale, porge argo menti di difesa sia contro la negazione di un fondamento reale e necessario del valore etico, sia contro le affermazioni erronee od arbitrarie di esso. Un esempio importantissimo dà Tarozzi dell'ufficio della psicologia nell'etica, accennando ai problemi concernenti la ricerca dei fondamenti psicologici della solidarietà o dei fondamenti naturali di essa, come li chiama GENOVESI, opportunamente ricordato dall'autore. Questo esame particolareggiato comprende la crudeltà e le sue varie forme, la simpatia, così in generale, come nelle sue due manifestazioni principali, gl’atti di cortesia e di protezione. Le dispute sulla natura umana, così conclude Tarozzi, attendono la loro decisione non dagli argomenti del razionalismo, ma dai fatti che la psicologia può rivelare e valutare. Quando fosse dato di stabilire, che non è generale nell'uomo l'avversione al potente, ma allenatureavare, fredde, crudeli, quando si potesse esplorare in un àmbito sempre più vasto l'estensione dei fatti e degl'istinti della simpatia, sì da rendere legittimo il costituire con essi il concetto dell'umanità, questa umanità sarebbe il fondamento di una morale immanente, estranea, benchè non opposta, all'utilitarismo. Quando si potesse attribuire positivamente, cioè psicologicamente e antropologicamente, un valore definitivo al rapporto di solidarietà, e stabilire che esso risponde a un istinto originario, valido per se stesso,e non per l'esperienza della sua utilità, sarebbe tolta all'utilitarismo quella base consistente nella proposizione universale, che l'uomo agisce per il suo utile. Ne c'è da temere che i dubbii della ricerca psicologica si riflettano nella morale, perchè i risultati che la psicologia ci potrà offrire non avranno valore di modificazione del contenuto normativo della  morale, ma bensì tenderebbero a modificare il carattere formale di essa, come dottrina del dorer essere e come scienza. Al Congresso medesimo Calò presenta una comunicazione intorno alla Calderoni ritiene che l'assenza della ricerca e della sufficiente analisi di quello ch'è il fatto ultimo e irriducibile su cui poggia tutta la vita morale, il giudizio etico, ha impedito il costituirsi dell'etica come scienza. Molto ha anche nociuto “la nessuna, o quasi, distinzione che si è fatta tra il giudizio etico e il giudizio teoretico o conoscitivo, La morale deve invece ricercare come ogni altra scienza, dei fatti ultimi, elementari, irriducibili su cui fondare l'edificio autonomo delle proprie investigazioni. L'elemento irriducibile, la realtà ultima, da cui deve prendere le mosse ogni dottrina morale, è un fatto psicologico, un sentimento,  non uccidere per esempio, apparterrà sempre al contenuto normativo della morale, qualunque conclusione possa trarre la psicologia intorno agl'istinti di pugnacità e di ferocia. Ma se le conclusioni intorno al fondamento umano delle tendenze alla solidarietà e alla simpatia saranno negative, l'etica e un sistema dottrinale, la cui imposizione presenta i caratteri della accidentalità e della fluttuazione dei fatti sociali, oppure i caratteri trascendentali metafisici o religiosi; e perciò la valutazione etica e una gradazione fondata su altra base, non su quella della realtà effettiva dei fatti umani. Se invece quelle conclusioni saranno positive, l'etica, assumendole come sue proprie, avrà a fondamento il significato psicologico e antropologico dell'umanità morale e potrà scientemente stabilirei valori umani in relazione conesso. Infine TAOROZZI ri-assume il suo credo in queste parole, che tutto si debba attendere dalla scienza, e che essa sola possa spiegare un giorno perchè abbiano universale valore massime conversazionali come queste: Non uccidere u ‘non mentire,’ “Ama il tuo prossimo. Ogni qual volta noi giudichiamo del valore morale d'un sentimento, d'un'azione, d'una determinazione volitiva, tale giudizio si presenta alla nostra coscienza con un sentimento particolare di approvazione o di disapprovazione. L'esame retrospettivo ci dice, che quel giudizio non risulta da un meccanico sovrapporsi dei concetti del soggetto e del predicato (buono, giusto, ecc.), dal paragone delle loro estensioni e connotazioni rispettive, dalla rivelazione pura e semplice del loro rapport. Ciò che interviene, e ciò che più importa, è il sentimento di approvazione o di disapprovazione, di adesione o di ripugnanza. Qui si presenta un problema fondamentale. Trattasi di vedere se il sentimento di approvazione o di disapprovazione accompagni semplicemente, come effetto o come carattere, la rivelazione del rapporto in cui l'obbietto considerato è con quel predicato. O se quel sentimento appunto renda possibile la costituzione del predicato e quindi, mercè la capacità di riferimento propria della ragione, l'enunciazione del rapporto. Questo problema non può essere risoluto senza una analisi comparativa del giudizio conoscitivo e del giudizio valutativo. E quest'analisi mostra appunto che, mentre nella funzione conoscitiva il sentimento è un sopraggiunto, nella funzione valutatrice è, al contrario, costitutivo del rapporto. Conoscere è constatare, attingere ciò che è; mentre nel valutare, l'atteggiamento dello spirito non è di chi constata, ma di chi reagisce. Non di chi afferma e riconosce l'essere, ma di chi vi aggiunge qualcosa risultante da ciò che in lui non corrisponde, ma risponde alla realtà conosciuta. E l'atteggiamento non di chi afferma o nega, ma di chi si sovrappone alla realtà, o che le assenta o che le si ribelli, sia che lodi, sia che condanni. Mentre, per il teoretico, il sentimento è un accessorio trascurabile, per il moralista, esso è la vera realtà etica, poichè il senti mento serve a caratterizzare qualsiasi obbietto di giudizio etico. In ultima analisi, ogni giudizio etico si riduce ad approvazione o disapprovazione d'un sentimento, d'un istinto, d'una volizione, d'un'azione. Ora l'approvazione e la disapprovazione non sono che due speciali sentimenti, due forme diverse d’uno stesso sentimento, il sentimento del valore. Il giudizio etico, dunque, intanto è possibile in quanto si compie una sintesi fra l'obbietto conosciuto e la ragione valutativa ch'esso suscita in noi. E, insomma, questa stessa reazione che costituisce tutto quanto noi diciamo di quel fatto qualsiasi ch'è assunto come soggetto del giudizio. Si direbbe che quel fatto tanto ha di realtà etica quanto e come vive nel senti mento valutativo. Questo poi varia e quasi si determina e si atteggia diversamente secondo gli obbietti a cui si riferisce, e di venta volta a volta sentimento del giusto, del buono, del santo, dell'eroico o dei loro contrari, di rimorso o di auto-sodisfazione, di rimpicciolimento o di stima di se stessi,di pace dell'anima, ecc.; di modo che può dirsi che ognuna di queste determinazioni del sentimento di approvazione e di disapprovazione ha una sua individualità e che l'analisi di esse ci dà l'analisi di tutta la coscienza morale. Il sentimento del valore, come fatto fondamentale della coscienza etica, si pone a norma della realtà interiore e dispone gerarchicamente i vari istinti e le varie tendenze. Un'altra sua proprietà è anche quella di avvertire ogni atto che rappresenti un non-valore come un'intima contradizione, il che dà luogo al sentimento particolare dell'obbligazione. Il sentimento del valore è dunque di sua natura tale da assumere, di fronte al resto della realtà psichica, un'attitudine speciale e da contrapporre all'esistenza di fatto un'esistenza di diritto. Esso si distingue profondamente dal piacere e dal dolore, perchè questi sono stati subbiettivi interessanti semplicemente l'individualità del soggetto, mentre ilsentimento del valore è obbiettivo anche rispetto alla individualità del soggetto che giudica. Il sentimento del valore oltrepassa la sfera della mia utilità o del mio benessere individuale; sono io che sento, ma non perme. Altro carattere differenziale è questo, che nei sentimenti di piacere e dolore lo stato subbiettivo è confuso con l'oggetto della rappresentazione, mentre nel sentimento del valore, l'oggetto è nettamente distinto dall'atto valutativo e può essere rappresentato come obbietto di conoscenza teorica. Ciò ch'è piacevole e spiacevole non esiste che nel sentimento e per il sentimento, mentre ciò ch'è valutato è chiaramente rappresentato di fronte all'atto giudicativo, è insomma conosciuto. Non si può valutare se non ciò ch'è ben noto, tanto è vero che la valutazione si presenta spessissimo sotto forma di preferenza e il valore viene appreso comparativamente ad altri come plus-valore o come minus valore. Sebbene il giudizio di valore abbia il suo punto di partenza nel sentimento,esso non esclude, anzi richiede necessariamente l'intervento della funzione conoscitiva, la quale prepari il terreno su cui possa esercitarsi la funzione apprezzativa. La grande varietà dei giudizi morali osservabile fra individui diversi dipende appunto dal diverso modo come sono appresi e considerati gli obbietti,dai diversi elementi che ci pone in luce la funzione conoscitiva. Così, mentre l'analisi del processo della valutazione etica è compito della psicologia morale, gli obbietti a cui le nostre valutazioni morali si riferiscono non possono esser tratti analiticamente dalla natura stessa dei nostri sentimenti di valore. Essi possono essere determinati in parte in base alla considerazione di rapporti for mali della volontà, in parte in base all'esperienza storica e sociale, quale è studiata dall'etica storica comparative. CALDERONI, nelle sue Disarmonie economiche e disarmonie morali, si è recentemente proposto di porre in rilievo talune concordanze fra le leggi economiche del valore e della rendita e le valutazioni morali sociali. In tal modo egli crede che l'economia politica possa apportare un contributo positivo alla scienza della morale e aiutarne il definitivo costituirsi. La vita morale può considerarsi, così Calderoni, come un vasto mercato, dove determinate richieste vengono fatte da taluni uomini o dalla maggioranza degli uomini agli altri, I quali oppongono a queste richieste una resistenza, secondo i casi, maggiore o minore, e richiedono alla loro volta incitamenti, stimoli, premi e compensi di natura determinata. Questi stimoli o incitamenti prendono la forma sociale di approvazione e di biasimo, di lodi, di gloria, di premio e punizione. Premesse alcune nozioni intorno alla legge dell'utilità marginale e alla formazione della rendita, non soltanto fondiaria, ma anche, in generale, del consumatore e del produttore, CALDERONI accenna più particolarmente a due specie di disarmonie economiche che si verificano nei fenomeni di rendita. La prima è conseguenza del principio che, data la unicità del prezzo in un mercato, il compratore e il venditore realizzano un vantaggio, rappresentato dalla differenza tra ciò che sarebbe bastato a indurli a comprare o a vendere la singola dose in questione, e ciò che, per effetto del mercato, vengono a ricevere. Ora, se i prezzi sono proporzionali ai costi marginali delle merci, essi non sono proporzionali ai costi di tutte quelle dosi che non sono al margine. Tutti coloro che si trovano più o meno lontani dal margine di produzione o di i mezzi di produzione si trovano infatti in quantità limitata e variano grandemente per qualità ed efficacia, sicchè la produzione si compie in condizioni differentissime da diversi individui,e l'au mento di produzione fatto con mezzi più costosi, mette quelli che impiegano i mezzi più facili in una posizione privilegiata, ch'è poi quella da cui la rendita deriva. Queste e altre considerazioni mostrano, che il fenomeno della rendita non si può correggere mai assolutamente, e che dà luogo a vere e proprie disarmonie economiche. La seconda specie è descritta da CALDERONI così. Supponiamo che sia raggiunta in un modo qualsiasi l'abolizione dei più stri denti ed evidenti fenomeni di rendita. In tal caso tutti iprodut  consumo si trovano a fruire di un prezzo, che basta soltanto a rimunerare quegli individui, i quali cesserebbero dal produrre se il prezzo ribassasse; e godono perciò di un vantaggio differenziale, o rendita, più o meno grande. Nè è possibile la correzione automatica del fenomeno della rendita, mediante aumento di produzione da parte di quelli che guadagnano di più, e conseguente ribasso di prezzi, perchè non sta ad arbitrio dei produttori di ottenere in quantità indefinita le merci in quistione. tori riceverebbero retribuzioni equivalenti, per ciascun loro pro dotto, a ciò che è necessario e sufficiente per indurli alla loro produzione. E nondimeno non si potrebbe ancora affermare che all'eguaglianza di retribuzione per i produttori dei diversi prodotti corrisponda una intima ed effettiva eguaglianza nei sacrifizi o nel lavoro che il prodotto costa a ciascuno. La misurazione di questo rapporto implicherebbe la conoscenza dei bisogni e dei desideri più intensi, dei sacrifizi più gravi per ciascun individuo e porterebbe a risultati assai diversi. Dal fatto che due individui sono disposti a dar la medesima somma per una merce o a contentarsi di una data somma per un servigio, nulla può dedursi intorno alla in tensità del desiderio che hanno o del sacrificio che fanno : come dal fatto che due individuisi scambiano una merce, non puòde dursi che chi la cede la desideri meno di chi l'acquista. Dal persistere di queste differenze è condizionata un'altra serie di disarmonie economiche più sottili e più intime e per loro na tura irriducibili, perchè persisterebbero anche quando si riuscisse a stabilire rapporti equivalenti o eguali sul mercato. Dopo questi cenni CALDERONI passa a rilevare le analogie tra fatti economici e fatti morali, le quali renderebbero, a suo giudizio, possibile una concezione economica della morale. Anzitutto, non meno in morale che in economia, ciò di cui effettivamente si giudica è, non il valore complessivo o generale degli atti e delle attitudini, di cui s'invoca l'adempimento o l'osservanza; ma il loro valore marginale e comparativo, valore atto a variare e col numero di questi atti effettivamente compiuto dagli uomini,e col numero altresì di quegli altri atti, cui si rinuncia per compierli  Vi è nella vita una gran quantità di atti ed attitudini, che pure essendo di una incontestabile utilità, puressendo essen ziali alla conservazione ed al benessere della convivenza umana, non entrano nell'ambito di ciò che noi chiamiamo la morale. Perchè? Con ciò CALDERONI vuole opporsi a tutta quanta la tradizione intuizionistica e kantiana in filosofia morale. Gl’atti morali non hanno alcun valore assoluto, ma un valore esclusivamente marginale e comparativo. Perchè nonostante la loro desiderabilità astratta, nonostante i vantaggi totali che la società ritrae dal loro adempimento, vantaggi certamente assai maggiori, nel loro complesso, a quelli degli atti che la morale esalta; essi sono tuttavia atti di cui non è deside rabile un ulteriore aumento, la cui DESIRABILITA marginale comparata, in altre parole è zero o addirittura negativa. Gl’atti prodotti dall'istinto personale di conservazione o da quello della riproduzione della specie non sono considerati virtuosi, perchè, ben lungi dal richiedere un incitamento, essi richiedono freni, gl’uomini essendo piuttosto proclivi ad eccedere che a difettare in essi, e a sacrificar loro l'adempimento di altre funzioni che sono marginalmente o comparativamente PIU DESIRABILI. Le nostre tavole di valori contengono tutte quelle cose, per ottenere un aumento delle quali, in noi stessi o negli altri, siamo disposti a de terminati sacrifice. Ma non già tutte le cose che possono apparirci DESIRABILI. Col crescere delle azioni virtuose esse tendono a diminuire di valore, come analogamente il diminuire delle azioni viziose tende a render meno disposti a far dei sacrifici per diminuirle ulteriormente. Ond'è sempre concepibile un limite, naturalmente molto diverso, secondo i casi, oltre al quale il vizio, di verrebbe una vizio, viene infatti per la domanda e per l'offerta etica lo stesso che per la domanda el'offerta economica. In una società di completi altruisti avrebbe pregio l'egoista. L'ALTRUISMO è una virtù il cui valore è strettamente connesso colla presenza di egoisti o almeno di non altruisti nella società. Queste considerazioni confuterebbero la legge morale di Kant, che prescrive di seguire massime capaci di divenire universali. Nessuna virtù e nessun dovere resisterebbe ad un esame fatto rigorosamente in base a questo criterio. Moltea zioni sono per noi un dovere, appunto perchè gl’altri uomini non le fanno e rimangono tali a condizione che non siano troppi gli uomini capaci e volonte rosi di imitarle. Come in una barca sopraccarica, l'opportunità di sedersi da una parte o dall'altra dipende strettamente dal nu  e la un virtù, virtù, mero di persone sedute dalla parte opposta. Se qui fosse seguito un imperativo kantiano qualsiasi, il capovolgimento della barca porrebbe tosto fine ai consigli del pilota e alle buone volontà dei passeggieri. Si può credere che si possa ovviare a questi errori particola reggiando quanto più è possibile i precetti e le sanzioni, individualizzandole in grado estremo. Ma alla stessa maniera che in un mercato non si può variare il Prezzo secondo gl’avventori, così alla legge d'indifferenza del mercato, corrisponde una legge d'indifferenza morale, per cui sono stabilite regole comuni non troppo discutibili e sanzioni precise, non atte troppo a variare e applicabili alla media dei casi. La necessità di dare precetti e sanzioni generali dà luogo a fe nomeni analoghi ai fenomeni di rendita. Alla generalità e rigidità della legge morale farà contrasto la varietà delle condizioni individuali, per le quali si verificheranno vantaggi e svantaggi differenziali da individui a individui. Il dovere per ciascuno sarà di fare, non già quello che nel suo caso è il meglio o l'ottimo, ma ciò che in media è meglio che gli uomini facciano di più,di quanto ora non facciano. Non agendo così egli si attirerà una sanzione, che nel suo caso, potrà anche talvolta essere immeritata. Le pene e i premi hanno un costo marginale che cresce col cre scere della loro severità e grandezza,e colla loro estensione; mentre colla loro estensione diminuisce la loro efficacia marginale. La gloria e l'onore, come l'infamia, diminuiscono rapidamente di efficacia quanto maggiore è il numero degl'individui che ne frui scono o soffrono. Così alcuni si troveranno a godere di lode o gloria molto superiore al loro merito, individuale, per avere compiuto azioni, poniamo, talmente conformi al loro carattere che sarebbe piuttosto stato necessario punirli, se si fosse voluto di ciò premesso, Calderoni trova le analogie fra le disarmonie economiche e morali. stoglierli dal farle. Altri subiranno invece biasimo o infamia di gran lunga sproporzionata alla loro colpa. Se poi i precetti e le sanzioni fossero più particolareggiate e commisurate a ciò che è necessario e sufficiente per indurre ciascuno al ben fare, rimarrebbe ancora una gran diversità nelle condizioni individuali, delle quali non si potrebbe tener conto senza diminuire l'efficacia dei precetti e delle sanzioni medesime. E questo dà luogo all'altra specie di disarmonie morali analoghe a quelle che persi sterebbero nel campo economico,se si correggesse la legge d'indifferenza del mercato. Queste disarmonie morali infatti persiste rebbero,anche se le prime si venissero a eliminare,analogicamente a quello che è stato osservato nei fenomeni di rendita. Grice: “I love Orestano loving Benedetta” – Grice: “Orestano takes Meinong very seriously – as he should! Few outside Austria do! Meinong symbolses the I with ‘e’ from Latin ‘ego’ (Italian io), and the other with a, for Latin ‘alter, Italian altro. So we have W for value (worth), and the possibilities that ego desires the evil for alter – sadism. When ego desires the good, he is altruism. Altruism can be reciprocal. In a purely altruistic society, things go well – but Pound knows who’s against that! That’s why Orestano finds sympathy for Meinong, and so do I” --.  Francesco Orestano. Orestano. Keywords: l’opzione eroica, Alighieri, Galilei, Tasso, Vinci, concezione aristocratica della nazionalita, l’eroe Mussolini, l’eroe Enea, Weber e la teoria dell’eroe carismatico, l’ozione dell’eroe non e una ozione. It’s not an option, Calderoni.  Luigi Speranza, “Grice ed Orestano”.

 

Grice ed Grice ed Oribasio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Marte, o la scuola di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) Filosofo italiano.  – Giuliano’s personal philosopher. He shares Giuliano’s enthusiasm for paganism. His treatises survive, as does paganism – “Only you shouldn’t use that vulgar adjective,” as Cicerone says!” – H. P. Grice.

 

Grice ed Orioli: l’implicatura conversazionale nella logica della monarchia romana – i sette re – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vallerano). Filosofo italiano. Grice: “Only in Italy, a philosopher, rather than a cricketer, is supposed to take part in a revolution and write a book about his shire!” -- Fondatori della Repubblica Romana. “De' paragrandini metallici”  (Milano, Fondazione Mansutti). Il padre, medico, lo condusse a Roma, dove si laureò brillantemente. La professione non lo attraeva molto: lo troviamo, infatti, professore di filosofia nei seminari e nei licei dell'Urbe. Da Roma si trasfere a Perugia, dove si laureò. Insegnò a Bologna. Partecipò con gli allievi all'insurrezione delle Romagne; successivamente fu eletto membro del governo provvisorio di Bologna, che fu sciolto in seguito all'intervento militare dell'Austria. Tentando di mettersi in salvo,salpò da Ancona diretto in Francia con un altro centinaio di rivoluzionari; ma il brigantino Isotta sul quale viaggiava venne catturato dall'allora capitano di vascello della marina austriaca Francesco Bandiera (padre dei due famosi fratelli Attilio ed Emilio) e tutti i rivoluzionari furono arrestati. Venne incarcerato a Venezia. Poco dopo venne liberato, forse per mancanza di risultanze gravi sul suo conto.  Iniziò così l'errare, costretto a fuggire da terra in terra, inneggiando sempre all'Italia unita. Fu professore di archeologia alla Sorbona. A Bruxelles insegnò. Soggiornò anche a Corfù, dove tenne un corso dnell'università della città.  Quando Pio IX concesse l'amnistia, poté tornare a Roma, dove tenne la cattedra di archeologia. Le sue attitudini per il giornalismo non attesero molto per farsi notare, e così fondò un periodico politico che ebbe però vita breve, La Bilancia.  Fu eletto deputato al parlamento della Repubblica Romana. Quando il governo pontificio fu restaurato, in riconoscimenti dei suoi meriti, fu nominato consigliere di stato. Pubblica molti saggi di filosofia. Tra i più famosi sono da menzionare “Dei sette re di Roma e del cominciamento del consolato” (Firenze), “Intorno le epigrafi italiane e l'arte di comporle” (Roma). Prese parte alla polemica sui sistemi di prevenzione contro i fulmini e la grandine, che coinvolse anche Bellani, Beltrami, Demongeri, Lapostolle, Normand, Majocchi, Contessi, Molossi, Nazari, Richardot, Scaramelli, Tholard e Volta. Le compagnie assicurative usarono questi studi per valutare rischi e premi per i campi agricoli.  Riconoscimenti Il comune di Vallerano lo ha onoratocon l'intitolazione di una delle vie principali del borgo antico, quella del Teatro comunale, e con l'apposizione di una lapide commemorativa sulla facciata della casa in cui lo scienziato nacque. A Viterbo un Istituto Statale di Istruzione Superiore -che comprende il Liceo Artistico e diversi indirizzi di Istituto Professionale, A. Ghisalberti, nella voce della Enciclopedia Italiana, vedi, riporta queste date di nascita e morte, A. Ghisalberti, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fondazione Mansutti, Quaderni di sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, M. Bonomelli, schede bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa, Polizzi, Alla ricerca dello «specioso» e dell’«insolito». Leopardi, «Lettere Italiane», Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  -- rità assai leggieri, e, se grandemente non m'inganno, assai consentanei alla ragione, de'quali ho stiinato aver bisogno, l'enunciazione de'puri fatti che costruiscono l'istoria della dignità regale nella città de’ sette colli, ha dovuto essere da  me corretta, e ridottasotto la forma seguente. La successione al trono mai non appartenne in Roma a figliuoli maschi de' re precedenti. Essa appartenne sempre a' generi loro, quando ve n'ebbe di viventi -- Numa, Servio, Tarquinio il Superbo. Lo sposo della figliuola Maggiore e a tutti gl’altri preferito -- Servio. Quando i generi sono morti, la successione passa ai primogeniti del primo genero -- Tullo Ostilio, secondo la mia correzione della leggenda che lo concerne; Anco Marcio. Quando si tratta di DUE RE, in luogo di un solo, e di quella magistrature binaria ed a vita che si surroga ne primi tempi alla dignità regia, parimente non si rinunzia a queste medesime regole, e se non trovansi due generi che potessero elevarsi al potere supremo, si'elevano egualmente a quello, secondo l'ordine legale DUE FIGLI DI GENERO --- REMO E ROMOLO -- Bruto e Collatino. La figliastra del re e equiparata alla figlia nel dritto di dare il trono al marito, o a’ suoi discendenti maschi, in un tempo in cui probabilmente figlie proprie non esistevano -- Tullo Osti. Quando non v'hanno, nè generi, nè figliuoli di generi, il trono passa a’ nipoti che s'a mò riguardare, in sì fatta contingenza, come legittimi eredi de’dritti degl’ascendenti loro -- Tullo Ostilio, se si preferisce l'ipotesi , nella quale egli è NIPTE D’UNA FIGLIA DI ROMOLO -- maritata ad Osto. Fuori della serie deʼre, o de 'magistrali che ne tenner le veci, tra gli stessi pretendenti che, senza ottenerla, dimandano la dignità suprema, uno di quelli, de' quali l'antichità ci ha trasmesso la memoria, è stato ugualmenle un genero di re -- Numa MARCIO -- ; due altri, ne'quali' non ci è dato riconoscere questa qualità, non hanno dimandato il trono per le vie legali ma cercarono d'ottenerlo con un delitto -- i figliaoli d'ANCO --; due di che solo si parla presso Plutarco se si ricusi di considerare l'Ersilia dalla quale discende, come FIGLIA DI ROMOLO, e se si rispetta la tradizione, secondo la quale l'ultim re non è che il patrigno o al più il padre adotetivo della SECONDA ERSILIA. In un caso, nel quale il capo supremo non potè far valere il dritto di successione alla sua dignità negl’eredi maschi delle sue figliuole, ne in altro modo potè effettuare la trasmissione della suprema autorità per via d'altre donne sue discendenti, almeno tramanda il suo grado nell'erede necessario della moglie – BRUTO rispetto a LUCREZIO TRICIPITINO, suo successore nella pretura massima, o vogliam dire nel consolato. Quando non vi furono eredi quali che si fossero di lato di donna, il trono, sempre messi in non cale i maschi, ricadde in una persona estranea, cioè non legata di piirentela colla famiglia reale -- Tarquinio Prisco. Quando, non ostante l'aversi eredi legittimi per parte di donna, una persona estranea consegue la dignità regia, ciò avvenne contra il dritto, per la forza dell'armi: Tazio. Non altra è l'espression' rigorosa de' fatti, cosi come sono riferiti dagl’antichi, o come io dovetti correggerne la sostanza e l'enunciazione, secondo le regole di una critica, se posso dirlo, in nessun modo 'temeraria.' Le mie autorità , i miei ragiovamenti , non sofferirono contraddizióve ne’loro particolari, eme nechiamo felice. Si volle solamente avvertirmi che nel mio sistema sono alcuni fatti dubbiosi, e ricavati per conghiettura.  stato . co: Voleso e Proculo, sono stati proposti senza gran fatto fermarsi sopra la proposizione; non hanno preso sul serio la lor qualità di candidati, e sembrano avervi rinunziato essi stessi; finalmente sono messi innanzi in un tempo nel quale tutto che concerne le leggi relative alla successione regia era evidentemente suggetto di controversia, e dispuldvasi intorno alle basi stesse di questa parte della costituzione organica dello Io risposta, io vi ho presentato l'analisi, per così dire più condensata, delle tradizioni; lebo prese da prima quali si leggono; mi sono per 'messo unicamente qualche volta. o. Spesso la successione al trono in Roma s' è fatta contra ogni principio d'equità, d'utilità, e di convenienza reciproca de' cittadini. Perchè -- per qui contentarmi d' un solo esempio il quale abbraccia un lungo periodo d'anui -- non certamente a vantaggio del partito latino, o di quel deʼ sabini, sotto la dinastia etrusca, la dignità regia resta sempre nella fazion toscana. Grice: “Orioli philosophised on many topics. To Italian philosophers, who are OBSESSED, during their unstable political history, with political philosophy, his ‘research’ on the consulate proves helpful. He notes that Romolo had no son – so who to succeed him? Other than that, he was almost shot (Orioli, not Romolo) after trying to oppose what he called the Roman theocrazy – or theocracia – For Orioli there are various cracies: theocracia, democrazia, TIMOcrazia, and ARISTO-crazia.  PATRIZIO VITERBESE; CONSIGLIERE ORDINARIO DI STATO DI 3. S. P. DI M. MEMBRO DEL COLL  F1LOSOF. DELLA UNI V. DI ROMA, PROF. DI STOR. ANT. ED ARCHEOLOG. NELLA STESSA UNIY  fclA* PROF. DI FISICA NELLA UNIV. DI BOLOGNA CC. CC. MEMBRO CORRISPOND. DELL* A.   SC. MOR. E POL. DELL’lSTIT. DI FRANCIA, ACCAD. BENED. DELL’ ISTIT. DI BOLOGNA ,  UNO DE'TRE SOCI ATTIVI DELLA CL.DI LETT. DELLA REALE AC. DI SC. E LETT. DI PALERMO .  SOC. ONOR. DELLA IMP. E R. AC. DI SC. E LETT. DI PADOVA. SOC. CORRISP.   E R. IST. LOMBARDO DELLE SC. DI MILANO E DELL* IMF. E R. IST. DI VENEZIA , DELLA  AC. DELLE SC. E LETT. DI TOAINO...E DI MOLTISSIME ALTRE ACC. DI FRANCIA , GRECIA,  E ISOLE IONIE , NAPOLI E REGNO , ROMA E STATI PONTIF. , FIRENZE E TOSCANA ,  LOMBARDIA CC. CC. CC.    : M l' ì(? 0   POLITICI    FRANCESCO ORIOLI     j\r rro vjl    Con giunte dell' A.        NAPOLI   STAMPERIA DEL KIBRENO   18 51    « Faites , mon garcon, faites, ré{K>nd lo vìeux radicai, et dites-leur aussi à ces hotnwes qui  ont cbassé et. ..et tous ceni qui ont osé ex printer un mot de se ns commun et d'humanité,  qui lapident Ics prophètes et éteignent l’esprit de Dieu, qui aiment le mensonge , qui  pensent ameoer le rógne de l’atnour et de la fraternité aree des piques , des bouteilles de  vilriol , aree le meurtre et le blaspbéme , dites-leur à eui et à tous ceux qui pensent  comme eux qu’un vieillard...dont les ebeveux ont bianchi au Service de la cause du peu-  ple..., qui contempla lecraquement des nalions en g'3 et qui entcndit les premieri cria  d’tm monde au berccau, qui, lorsqu’il était encore un enfant , vit venir de loin la liberté  et qui se réjouit en la voyant comme devant une fiancée, et qui pendant soixante pé ni-  bles années , l’a suivie à travers les soliludes ; - diles - leur que cet homme leur eovoie  le deraie r message qu’il envcrra sur cetle terre; dites-leur qu’ils soni les esclaves de leurs  convoitises et de leur r message qu’il envcrra sur cetle terre; dites-leur qu’ils soni les esclaves de leurs  convoitises et de leur r message qu’il envcrra sur cetle terre; dites-leur qu’ils soni les esclaves de leurs  convoitises et de leur s passioni, les esclaves du premier coquin venu à la laogue reten-  tissante , du premier charlalan veuu qui dorlote leur opinion pcrsonnclle ; dites-leur que  Dieu les frapperà, Ics fera renlrer dans le néa nt et les dispenserà jusqu’à ce qu’ils se soi-  ent repentis , qu’ ils se soieot fait des coeurs purs et de nobles ames , et qu'ils aieut re-  lenu les lecons qu’il s’ efforce de leur donner depuis quelque soixante ans ; dites-leur  que la carne du pcuple est la cause de celui qui créa le peuple, et que le malhcur toin-  bera sur ceux qui prennent les armes du diablc pour accomplir l’ceuvre de Dieu ? »   Sandy Mackate nel Romano Alton locke di Kingsley  Revue des deux Monde* i, Mai i85i p»g. 447    Digitized by Google     DUE PAROLE A CHI È PER LEGGERE    Stampo ancora una volta , cedendo alle lusinghevoli  istanze di parecchi amici miei, questi Opuscoli , a' quali  m’è altresì parulo bene d' aggiungere qualche annotazione  nuova dove V argomento s embravami o richiederlo , o me-  ritarlo.   Certo, che, s'io pongo mente, non alla benigna acco-  glienza soltanto , la quale a essi Opuscoli fecero que' che  m' onorano da lungo tempo della loro pregiata amicizia ,  e le mie povere cose hanno abito di giudicare con molta  indulgenza , ma sì a quel che altri , a me per lo addietro  ignoti, o ,per fermo, non congiunti d' alcun vincolo di an-  tecedente amistà, ne scrissero ne' giornali , o con priva-  te lettere me ne significarono , io debbo tenermi come ba-  stantemente ricompensato della quale che siasi fatica dura-  ta nel comporre le pagine che qui appresso seguitano.   Tra coloro che più contribuirono alla buona fortuna della  mia impresa ho debito di noverare principali i dotti e bene-  meriti scrittori del Giornale che ha titolo — Civiltà Catto-  lica — E so la mina degli sdegni a’ quali questo atto di  franca gratitudine è per metter fuoco nel campo nemico ,  poiché campo nemico non manca. Ciò non mi sarà impe-  dimento al fare lealmente il mio dovere di render loro pub-  bliche grazie.   .    Jligitized by Google     — 4 —   II Giornale — la Civiltà Cattolica — è a troppi , e in  troppe sue parli un osso non poco duro da rodere. Nel di-  fetto d' argomenti logici , si può a libito dirigere contro  al valoroso drappello de' dieci o dodici campioni che vi  brandiscono cotidianamenle la penna, batterie, da ogni  lato , di que’ pessimi argomenti rettorici, che si chiamano,  in arte , argomenti ad odium , e ad invidiam : resisterà  però illeso ed invulnerabile agli strali spuntati de' loro sar-  casmi , come le legioni romane restavano salde ed immote  agli urli co' quali i barbari , nella loro impotenza , ten-  tavano spaventarle. Quando si sarà detto e ridetto , fa-  cendo l’ alto dello scherno e del vilipendio — È opera dei  rugiadosi — che si sarà provato con ciò ? Si sarà lascia-  ta una prova di più della misera e svergognata dialettica  del nostro secolo, rotto a tutte le perversità, ed avvezzato-  si a dare alle villanie valore di ragioni.   Tornando al mio proprio libro , censure fino ad ora ,  le quali valgano la pena d’ una speciale risposta, non le  ho vedute , nè udite.   Sunt quibus in dictis videar nimis acer, et ultra  Legem...   e , rileggendo a mente fredda , conosco l' acrimonia di  certe espressioni , la qual forse sarebbe stato meglio tem -  perare un po' più. Tuttavia , ben ponderata ogni cosa ,  ho creduto dover lasciare tutto come stava ; e ciò , in pri-  mo luogo, perchè questa in somma è una ristampa , la qual  non dee mentir al suo titolo ; in secondo luogo , perchè ,  al postutto , muri può dire che , contro ad alcuno sin-  golarmente, abbia combattuto e combatta con armi ripas-  sate alla còte samia. Il mio proposito fu ed è, non di fa-  re duelli, ma battaglie. Le persone io le ho sempre rispet-    Digitìzed bV Google     — 5 —    tate e le rispetto , perciocché ho voluto , e voglio , esser  libero ( ed esco ornai dalla metafora ) di trattare /’ errore  pervicace e spavaldo con tutta quella severità ed austeri-  tà di forme eh' et merita , e che un uomo , , il quale ha  sentimento di sua dignità , rifugge dall’ adoperar contro  all’errante. L’errante è, quanto alla carne ed allo spi-  rito , consanguineo e fratello nostro. Niun può sapere s'e i  non sia più presto un fanatico ed un illuso , che un perver-  so , od almeno un gran perverso. Ha sempre diritto al fare  in sé rispettare la santa emanazione del soffio divino ri-  cevuto , od ereditato , nella fronte. È sempre la creatura  celeste, che, se cadde , può rialzarsi , e che, quand’an-  che , per propria colpa, è in terra , e più al basso che in  terra , esser dee per noi , più ancora subbietto di compas-  sione , che obbietto di collera. Ma V errore staccato dalla  persona , l' errore lasciato in tutta la sua schifosa nudità,  non ha diritto ad alcun riguardo , e vuol essere trattato  senza discrezione , senza misericordia. Quanto a colui che  avendolo in sé incorporato, sé da quello non distingue, ed  a sé stima dette le ingiuriose parole, che quello solo feri-  scono , tal sia di lui.   Più di cosi non aggiungo. E forse non era nè manco  necessario dir così : tanto più , che , nell’ antica prefazio-  ne , ciò stesso, comechè più brevemente , aveva significato.  1 discreti perdonino. Gl'indiscreti riconoscano che queste  ciance premesse per lo meno non hanno il torto della pro-  lissità.    zefl by Google     Digitized by Google     wmmm      PARERE D’ UN AMICO   INTORNO 11 MIO LIBRO    Ho Ietto attentamente la prefazione , e le due dissertazioni  vostre. Io credo che abbiate ragione. Avete però del pari  prudenza? - II mondo è oggi troppo malato. Certe verità  dette con durezza qua e là soverchia fanno l’effetto del dito  stropicciato sulla piaga viva. Il meglio che vi possa accade-  re è di non esser letto. Se leggeranno , le grida saranno al-  te .... terribili. Perchè stuzzicare il vespaio? Ciò non è de-  gno della vostra vecchia esperienza. Il passato non vi ba-  sta? Pensateci.   RISPOSTA   Ho pensato .... e stampo la prefazione, e le dissertazio-  ni. Le considerazioni che mi schierate innanzi hanno molta  verità, ma non mi rimuovono dal mio proposito.    Jigitized by Google    La prudenza ! - Sta ottimamente. La prudenza è però  spesso il soprabito della vigliaccheria ; e in questo caso non  è niente altro che un belletto dell’egoismo.   Per non incorrere nel male proprio .... per non turbare  la propria pace .... per non tirarsi addosso disturbi o peg-  gio .... per non guastar, come suol dirsi, i fatti suoi, s’ban  da lasciare, senza darsene per intesi, le menti umane sem-  pre più travolgersi , le opinioni sempre più corrompersi ,  certa gente accrescer la pervicacia nell’errore, e propagar-  lo a tutto potere.   Sentendosi bollire in corpo la verità utile, ed affacciarlasi  alla bocca , s’ha da ringhiottirla , o sputarla ( scusate la pa-  rola ) nel fazzoletto e poi rimettersela in tasca, quand’an-  che s'è persuasi, che a gittarla là alla palese sarebbe bene ;  che questa verità messa in pubblico sgannerebbe alcuni r  eh’ essa suonerebbe alto all' orecchio d’altri, e servirebbe a  svegliarne il coraggio addormentato , o gioverebbe almeno  a restare come testimonio a’ futuri che v’è, pur tra noi,  qualcuno , il quale ricusa le complicità , protesta virilmente  contro alle cattive e rovinose dottrine, se ne sdegna com’è  il suo debito, ed è disposto a mostrare, che chi sproposita  e minaccia scompigli e rovine, invano si confida d’avere il  monopolio della franca ed ardita parola.   Io vi ringrazio, caro amico: ma voi m’amate troppo.  Non pensando , che al mio privato materiale vantaggio, ave-  te dimenticato a mio prò il resto del mondo. Io sento d’ a-  marmi men di quel che voi mi amate.   Intendo benissimo , che scrivere com’ io scrivo , è pre-  pararsi disgusti .... e forse peggio. Ma considero ch’io son     — 9 —   vecchio, e nell’ ordine naturale poco ancora mi resta a vi-  vere. La mia povera e caduca persona non è ornai di tal  prezzo che siavi interesse per me a risparmiarla. È lungo  tempo da che ho perduto il sapor delia vita , e che le sue  dolcezze non mi fanno gran gola , nè le amarezze grave of-  fesa al palato. La lode è un amo che non mi passa la pelle.  Il biasimo ( dove creda non meritarlo ) è un’ortica che non  mi punge. La minaccia è contro a sì poco che a tenerne con-  to è una miseria. Di me sarà quel che piace alla Provviden-  za. Nella minuzia di tempo che a vivere mi rimane , vorrei  pur fare il bene nella maggior misura che posso, a qualun-  que mio costo. E poiché il pubblicare queste mie carte mi  sembra, che o in una guisa o nell’altra qualche bene possa  recarlo, perciò le pubblico. Al mio male quale che siasi,  dunque, non ci badate, com’io non ci bado. Fate conto  ch’io sia soldato. Sarebbe pur bella che al soldato si consi-  gliasse di pensare alle ferite, alle quali battagliando s’es-  pone !   Per altra parte, a me tocca ricomperare il tempo perdu-  to, ed affrettarmi a farlo. Troppo mi dorrebbe il lasciare di  me tal memoria in questo mondo che dia giusto diritto a  suppormi quale certe antecedenti particolarità della mia vi-  ta possono aver fatto credere ch’io mi sia.   Non nego, e sarebbe ridicolo il negarlo, d’avere avuto  anch’io le mie politiche illusioni ( certo però non quelle di  gran lunga , le quali oggi corrono il mondo , e sono in gran  favore presso tanti ). Sento il dovere di far conoscere a  qualunque prezzo ch’io non sono mai stato da confondere  col più de’ cosi detti liberali d’ oggidì, e che istruito ornai    "* Digitized by Google     — io-  ti all’ esperienza, non sono nemmen da confondere con quel-  l’io che già fui, e molte mutazioni ho in me fatto. Costi  ciò tutto che s’abbia da costare al mio amor proprio, vo-  glio che Io si sappia. Gli altri posson tacere ; io non lo pos-  so, nè Io debbo.   E so che dirassi da taluni ch’io adulo que’che regnano.  Veramente crederei che tutta la mia vita passata m’avesse  da essere scudo contro alla bassezza di questa accusa ; tanto  più che quegli stessi i quali la daranno (dove tuttavia que-  sto ardiscano ) , dovrebbero ricordare , se quando essi re-  gnavano pur testé , io li adulava. Sarebbe avere aspettalo  un po’ troppo tardi a mutar natura. . . .   Ma voi dite eziandio , che il mondo è troppo malato , e  che le sue piaghe non vogliono esser toccate com’ io qua e  là le tocco , senza molta discrezione. Caro amico ! la vostra  seconda proposizione distrugge la prima. Se accordate che  la malattia del mondo è grave , pretendete voi di curarla  coll’acqua di gramigna? Eh si: vi son medici che non curano  le malattie, ma si contentano di guardarle. Se morte soprav-  viene, tanto peggio pel malato. Il medico se ne lava le mani.  Io non sono di questa scuola. Vi sono piaghe che han fatto il  callo, evoltano tutta la malignità aldidentro;ed allora l’arte  insegna di trattarle col caustico. Si fan cerimonie, e si ri-  sparmia la sensibilità quando il male é leggiero; e questo ,  per vostra confessione , non è il nostro caso.   Da ultimo io vi prego a considerare ch’io mi guardo scru-   *   pelosamente dall’attaccare le persone. Il mio dogma é -  Parme personis , dicere de viliis. Contea il male non mai  congiunto al nome di tale o (ale altro, credo mio diritto, e    Digitìzed by Google    — li —   mio debito scagliarmi con tanta più veemenza quanta mi  sforza ad usarne l’animo grandemente commosso. Delle per-  sone io non sono, non voglio, e non debbo essere il giudi-  ce; nè v’è il prezzo dell'opera ad esserne il pubblico accu-  satore. Per altra parte il pubblico non perde nulla per ca-  gione delle mie reticenze. Le persone s’accusan da sè. La  loro moda è di non dissimulare quel che pensano , quel  che vogliono, quel che van facendo.    Oigilized by Google      SLsl^.    PREFAZIONE    Per chi scrivo? Pei popolo? Il popolo non legge. Tra  que che leggono , gli uni non han bisogno di leggere ciò  chio scrivo , perchè ciò eh io scrivo è quello che essi me-  desimi scriverebbero se avessero a scrivere. . . quello che  sanno già , e di che sono persuasi tanto quanl io lo sono.  Gli altri , nel maggiore lor numero , son oggimai venuti a  tale, che, quand’anche io fossi aitr’ uomo da quel che so-  no , cioè, quand’anche fossi più eloquente oratore di De-  mostene e di Cicerone, e più stringente ragionatore di Zeno-  ne, e d’ Aristotele , non si lascerebbero smuovere dalle opi-  nioni loro, delle quali han fatto carne e sangue. . . una  (falsa) religione... un culto... una necessità... una parte prin-  cipalissima , e la più soave, delia lor vita interiore ed ester-  na. Ove fosse pur possibile che consentisser d’aprire gli  occhi dell’ intelletto alla luce de’ ragionamenti , e si lascias-  sero illuminare nella cecità alla quale son venuti di deli-  berato e volontario proposito, e vedessero, perciò vinti, il  bisogno d’ abbiurare la politica fede in che Guor vissero e  giurarono di morire , non oserebbero farlo, vincolati, co-    Digitized by Google     — 14 —    me sono (impavidamente diciamolo), alle sette che li tiran-  neggiano e ne tengono in catena ogni libertà. Cosi , solo a  pochissimi , posso io rivolgere la parola con qualche spe-  ranza che sia per tornare non inutile; e son que’ pochissi-  mi, i quali non tanto innamorarono del creder nuovo, che  di questo credere abbiano a sè fatto una passione , e non  un legittimo atto della facoltà intellettiva, al quale sian  giunti per lavoro di ragionamento , soggetto , come tutti i  legittimi atti di ragione , alla necessità di sottostare alle  leggi che governano la potestà raziocinante , e che debbono  dominarla.   Io m’inganno però anche rispetto a essi ultimi. Noi vi-  viamo in un secolo , nel quale la ragione stessa è come mor-  ta dell’abuso che se n’è fatto esagerandone i diritti , e fal-  sificandoli.   Due già erano , dal tetto in giù ( e voglio dire nelle que-  stioni dove rivelazione non ha luogo ) gli elementi neces-  sari — coessenziali.... tendenti a rafforzamento reciproco,  per dare fermezza alla morale governatrice delle volontà e  delle azioni umane, ragione (d’individuo) , ed autorità (col-  lettiva dei più savi , la cui ragione siasi guadagnata , per  ogni correr di secoli , maggior fede presso l’universale, che  le spicciolate ragioni di tale o tal altro o di stuoli compara-  tivamente piccoli, e d’un opinar dissonante ). Il qual se-  condo elemento ( l’ autorità ) è dunque ( a ben considerarlo  nella sua vera e giusta natura c quiddità ) ragione aneli’ es-  so, ma una ragione preponderante e superiore , come quel-  la che non è il giudicare soltanto d’ alcuni separatamente  presi , e ristrettisi nella lor propria e privata impotenza ,  fallibilità e pochezza, ma è la quinta essenza delle ragioni  dei più ( chè questa sola, dai tetto in giù, pur sempre , in  certe questioni di senso comune , è l’ autorità vera o legit-  timamente sovrana ). £ dico dei più , o sia che si contino  nel numero, -o che si pesino nel valor loro intellettuale: i  quali perciò , quanto son maggiore stuolo nel lor consenso    Digitized by Google     prestato a equipollenti sentenze .... quanto rappfesentan  meglio, colla lor somma , tempi e scuole e popoli diversi...  quanto hanno maggiore e più costante comunion di pareri,  non ostante la diversità di sangue, di luogo, d’educazione,  e di tutte le secondarie influenze, tanto fan più sicuramen-  te una forza morale, clic è forza di natura, non d’arte , e  che è qualche cosa più potente e più salda che la tanto og-  gi predicata sovranità del popolo; poiché èia sovranità,  non d’un popolo, ma la sovranità della specie umana tutta  intera , esprimente il suo voto colla più legittima e la più  autorevole delle maggioranze possibili ad ottenersi.   Or noi, uomini del secolo XIX, de’ due soprannominali  elementi, uno e il più gagliardo, ripudiammo... Y autorità-,  ed abbiamo chiamato sovrana unica la ragione (d’individuo),  cioè V anarchia!   Noi , tutti o quasi tutti (dico noi ragionatori nel popolo ,  e consenzienti a ragionamento ) abbiamo stabilito in cuore  questo primo articolo del nostro atto di fede politica. Io  non crederò mai che quello che persuade il mio proprio in-  telletto; e quel che pèrsuade il mio proprio intelletto io io  crederò conira ogni persuasione degli altri , contra ogni dot-  trina di sapienti o di popoli , contra ogni sperienza di pre-  senti, di passati , o di futuri, contra ogni domma di reli-  gione, contra ogni legge di governi... E stabilita una volta  questa democrazia delle fedi... decretato anzi , che, in ar-  gomento di fedi d’ogni genere , non è governo alcuno pos-  sibile, ma gli uomini han tutti naturale e iualienabile di-  ritto d’indipendenza reciproca ed assoluta . . . dove ornai  vassi , ed a che? posto che le fedi , cioè le persuasioni del-  l’ intelletto , sono il perno, sul quale s’appoggiano per muo-  versi le volontà umane. C’è più possibilità di leggi? C’è  più speranza d’obbedienze, altre che tirate colla forza ma-  teriale? C’è più virtù di logica? C’è più società ? (1)   (li ISullius addiclus jtirare in rerba mtigtstri  ama ogni giovane dire di sè slesso uscito ap|»ena dalle scnole di quella filoso-    — 16 —   Persuadetemi , noi diciamo , e mi piegherò ad obbedire ,  senza combattere il vostro comando con ogni mio mezzo.  Persuadetemi che quel che m’insegnate è vero, e quel che   lia , che oggi , sotto Dome d’ eclettica, invade un grandissimo numero di scuo-  le , e quel eh’ è il peggio , anche colla innocente approvazione , e sotto il pa-  tronato , di maestri ottimi , i quali mostrano di non aver ben compreso a  quale indirizzo con ciò guidano gl' illusi discepoli. Se l'avesser compreso , si  sarebbero accorti , che professare eclettismo è professare la negazione d’ogni  vera certezza, riducendo quella maniera di certezza , che pur si concede, ad  un fenomeno d’individuo senz’alcun valore per gli altri individui liberissimi  di preferire ciascuno la stia propria certezza alle opposte altrui , comechè  d’un numero quanto sì vuol grande, c consenzienti in una medesima oppo-  sta sentenza.   L'eclettismo non è una filosofia, ma una negazione della filosofia quale  scienza altra che opinativa. Essa è anzi peggio che ciò , perchè mentre nega  una certezza intrinsecaad ogni filosofia d'individuoo d’individui (per numerosi  eh’ essi siano nel consentimento ad una stessa filosofìa) , e mentre non s’ av-  vede , che con ciò viene a negare, per conseguenza, ogni autorevolezza in-  trinseca a tutte le certezze individuali, confessandole tutte intrinsecamente  incerte , accorda non pertanto a ciascuno il diritto di fidare nella propria  certezza , e , quel eh' è il più, il diritto di regolare le proprie azioni a detta-  to di questa incerta certitudine : ciocché viene a dire , che , nel tempo stes-  so nel quale afferma la fallibilità di tutte le certiludini individuali, afferma  nondimeno f infallibilità loro nell’ applicazione all' individuo , dando a esse  il diritto d’ingannarlo , e all’individuo il diritto di seguitare unicamente que-  sta guida fallace, quando , a proprio esame , non gli paia tale. E cosi , in luo-  go d’ una morale , viene a stabilire e farne legittime tante quante piu vuoisi  o non vuoisi.   L'eclettismo non è nè manco un metodo, come alcuni spropositando dis-  sero , perchè non indica- una speciale strada da seguire nella ricerca del ve-  ro. Esso è niente più che una professione di libertà e d' indipendenza nell’opi-  nare ; è un assoggettamento a niente altro , che alla ragion propria.   Filosofia eclettica è parola che non ispiega nulla quanto alla natura delle  dottrine. Dice solo che il libro , il quale reca in fronte questa parola , è scrìt-  to seguitando il dettame della ragione dello scrittore , fattosi giudice supre-  mo d’ ogni ragionamento ed opìuamento altrui. Cosi , tutte le filosofie , per  diverse che siano , c 1’ una all' altra contraddicenti , possono intitolarsi , del  pari, eclettiche, e tanto più eclettiche, quaulo più professanti indipen-  denza.   Messo taluno alte strette , crede d'aver salvato a bastauza la mala parola  si fecouda d’errore, rispondendo che il filosofo eclettico, quando accorda  alla ragion propria l' autorità che pur le accorda secondo il canone fonda-    Digifized Wf Google     17 —    che nii comandale è giusto . ... Ma siam noi tutti atti ad es-  sere persuasi? Gl’ingegni nostri son tutti di quella virtù, di •*  quell’addestramento, di quella purità e serenità, che li fa  esser buoni a intendere un raziocinio , a non lasciarsi illu-    men late dell’ eclettismo , parla della retta ragione, cioè convenientemente  usata e normale; e non s’ accorge, che , colla sua risposta o rinega la scuo-  la eclettica e la disdice , o ne lascia interi tutti gl’ inconvenienti ed i difetti.   Che cosa è la retta ragione, e la ragione convenientemente usata, e nor-  male ? Ad esclusione de' notoriamente pazzi ed universalmente tenuti per  tali , e perciò per non uomini , o per non più uomini ; e de’ rozzi ed incolti ,  che riscuotono risaie da tulli, e son tenuti universalmente per incompetenti,  ossia per non ancor uomini (i quali ultimi tuttavia del ticchio dell’ eclettismo  non vanno immuni , nè si di leggieri della loro autocrazia e indipendenza si  lasciano spodestare ; e il fatto odierno di tutte le filosofìe di piazza più che  troppo lo prova ) , ognuno di noi , che abbiamo il mesticr d’ occuparci di  studi e di stampa, crediam d’ usare la ragion retta, e convenientemente usar-  la con ogni normalità, e troviam facilmente, con poco impiego di senno ed  industria, un coro grande o piccolo di lodanti, il qual basta per darci persua-  sione, che la ragion nostra è per lo meno tanto retta e normale quanto quel-  la di chicchessia. Peggio è che vi son uomini , di ragione , per fermo , squi-  sitissima , e universalmente riconosciuta come tale, de’ quali, per conseguen-  za , mal si potrebbe dir che non hanno la ragion retta ed a ottima norma , e  non sanno usarla ; e pur mostrano , col fatto , che le loro ragioni li conduco-  no a dottrine opposte....   0 vuoisi dire che la ragion retta e normale si riconosce a certi criterii  suoi , che non sono della ragione d’ individuo , ma sono d’ una universale  ragione, a' quali criterii debbono le ragioni individuali commensurarsi, accet-  tandoli per una norma estrinseca alla quale debbano affarsi ? Ma ecco dunque  rinegata allora e disdetta veramente la scuola eclettica , e confessato il biso-  gno d’un dommatismo,' al quale debba soggiacere ogni opinar privato, per-  duta la libertà della ribellione c l' indipendenza....   Facciasi tutto che vuoisi , ci è appunto nella filosofia necessità d’ un dom-  malismo dominante i capricci e le contraddizioni degl' ingegni in certe fon-  damentali questioni costitutive del viver morale e civile. L 'eclettismo potrà  permettersi all’ amor proprio d’ognuno nelle altre questioni , come una con-  cessione di poco o niun nocumento. E nondimeno , anche in quelle , il giu-  dizio dell’ individuo dee sottostare al senato degli uomini che si chiaman  competenti . . ..   Ma questo non è un argomento per una nota, per la quale il poco che se  n’ è detto 6 troppo , mentre ciò che ad una nota è troppo , ad una trattazione  conveniente è men che poco .   2    •o    M    Digitized by Google     — 18 —    dere da un sofisma , da un paralogismo , a por nell’ esame  * delle questioni la necessaria preparazione di scienza, a spo-  gliarsi di tulle le prevenzioni dell' intelletto , dell' affetto ,  dell’interesse? Siam tutti veramente uomini ed uomini ma-  turi; o molti di noi non sono, e non restano, fanciulli sem-  pre , e non sono , e non restano , bruti , o quasi-bruti ?   A tutto questo nessun pensa a rispondere. Il primo arti-  colo del simbolo de’ nuovi pseudo-apostoli sta pur fermo.  Io non crederò , se non mi persuadete; e non farò di buon  accordo , e senza resistenza , che quello che sarà conforme  al mio credere !   Dirassi eh’ io esagero gli errori del tempo presente. J)i-  rassi , che non tutto alla sovranità del proprio intendi-  mento è dato , ma non è , nel fatto , chi non fortifichi , an-  cor oggi , le suggestioni del proprio intendimento coll’ au-  torità di numerosi stuoli d’ amici e d’ uomini del proprio  partito , ovunque sparsi , e in più d’un paese predominan  ti. Aggiungerassi , che la fede nou è atto di libertà , ma di  coazione morale , alla quale l’ intelletto-, che nou è po-  tenza libera , non può resistere : ma faci! cosa è dare ri-  sposta.   Si , per fermo. Contro alle necessità imposte da natura  non cosi di leggieri vassi. O vogliasi , o non si voglia, non  si può restar soli del proprio parere , se nou s’ è monoma-  niaci , che è dire malati di cervello. L’istinto stesso ci spin-  ge a metterci all' unisono con altri , verso i quali ci attrag-  gono simpatie naturali o artificiali, e a’ quali si crede, per-  chè si crede a noi medesimi : e v’ è in noi tendenza al for-  marci un mondo di que’ che ci accostano , e che accostiam  noi , magnificando ed esagerando il valore e il numero lo-  ro. Cosi, quando il mondo che ci siaui fatto pensa e crede  come noi , e noi crediamo e pensiamo come quello , ci pal-  elle qiiesta universalità parziale e locale valga la vera uni-  versalità potente a vincere tutte le contraddizioni. Ma può  ella esser questa l'autorità destinata a fare spalla alla ragion    Digitiz^fy Google     — 19 —   privala di chicchessia, o ad essere uno de’ due puntelli del  I' uomo , postigli da due lati per impedirgli il cadere ? La  specie umana è forse un partito, ed è una ragion di partito  la ragione umana? I partili forse non s’ingannano , e non  ingannano? Non hanno passioni che velano il giudizio? Non  hanno interessi che muovono le passioni? O nou v’é obbli-  go , nelle grandi questioni umanitarie , non di misurare il  proprio deliberare e credere col deliberare e credere di ((ud-  ii , o pochi o molli, a’ quali ci stringono i nostri interessi e  i nostri affetti, ma di misurarlo con quel che delibera e cre-  de la sola legale maggioranza del genere umano, cioè quella  che si raccoglie in una somma, comprendendo nel computo  i popoli di tutte le età, di tutte le stirpi, di tutte le regioni, e  dando particolar valore a que’ che si reputaron sempre i più  savi, i più probi; e riguardando un po'nella verificazione delle  dottrine ( in virtù di quell’argomentazione che i dialettici  chiamano ab absurdo) ai grandi ed ultimi conseguenti loro, i  quali , se contrari alla perfezione della specie intera, signi-  ficano , con ciò stesso, efficacemente, la falsità d e’ principii,  donde que’ conseguenti discendono? E istituita questa misu-  ra e questa comparazione , non bassi egli obbligo, per una  generale norma , di dar sempre più valore all’espressione  ultima di quel sentimento della vera maggioranza degli uo-  mini, che al sentimento suo proprio, e de’ suoi colleglli ed  amici, per numerosi che paiano e siano? o siani venuti a  tanto stravolgimento di logica , che ornai l’ autorità di ciò  che si chiama il senso comune , ed è appunto il da noi de-  scritto in ultimo luogo , è distrutta ed annullata ?   Dopo di che, qual forza ha più l’altra obbiezione dedotta  dal supposto, che l’inlelletto non soffra violenza, e che, ri-  spetto al credere, non si è liberi di credere quel che si vuole,  ma si è costretti a regolare la propria fede secondo la luce in-  teriore, d’onde essa fede ha unico procedimento? Ammetto  il fallo: sebbene, anche in ciò, molto dipende dalle prepara-  zioni estrinseche della monte, e dalle disposizioni del cuore.    Digitized by Google    Pur liberalmente lo ammetto. Ma, dal fatto cosi ammesso, qual  diritto scaturisce ? Forse che regolar dobbiamo le nostre a-  zioni interne cd esterne, secondo la suprema norma di quel  che all’ intelletto nostro pare unicamente vero? Non già.  L’obbligo è d' umiliarci , e di riconoscere , una volta per  sempre , l’inferiorità del nostro intelletto, quando ci accor-  giamo che i privati opinamenli nostri son contraddetti dalla  grande universalità degli opinamenti dell’umana famiglia ,  considerata nella totalità sua presente e passata; e di lasciare  allora da parte il falso lume del proprio intendimento per  diriger noi e le cose nostre coll’altro lume tanto più si-  curo , eh’ è il lume a cui demmo il nome di cornuti senso.   Ed intendiamoci bene , a evitar tutte le ambiguità. Qui  non parliamo delle questioni , intorno alle quali il cornuti  senso non ha luogo, ne competenza, nè autorità... di quelle  questioni , che non son fatte per esser trattate da tutti , e  che non bisognano a tutti per la -loro normale esistenza e  sussistenza... Qui si tratta di quelle questioni, le quali pos-  sono e debbono chiamarsi le grandi questioni del genere  umano: le grandi questioni teoriche, fondamento sommo   da fatti appartenenti ad un tem-  po di tralignamento , a svantaggio e discredito delle aristo-  crazie , non può in nulla percuotere le dottrine che qui si  professano. La questione allora sarà al più , se i ceti aristo-  cratici possano mai realmente preservarsi dalle mutazioni  che li fan perniciosi più presto che utili , e ridursi a tale di  conservare piena conformità col tipo migliore , o di rigua-  dagnarla ; ciocché per me non è nemmeno una questione ,  e non può esserlo per alcuno , il quale tutta la potenza del-  le buone arti educatrici conosca.   Risaliamo dunque , ripeto , al tempo di certe vere ed an-  tiche aristocrazie cavalleresche , normalmente condotte a  quella natura , che aver denno per essere dell’utile specie  da noi voluta , e spesso stata e vedutasi nel mondo. In esse  voi troverete familiari alcune virtù sommamente utili al  popolo , e diffìcilmente reperibili altrove nel numero e col-  l’abbondanza che più sono desiderabili.   Chi noi sa ? Nelle prosapie aristocratiche , principalmen-    Digitized by Google     te , se non unicamente , può sperarsi- di trovare , ad ogni  necessità , i veri patres palriae , preparati a tutti i bisogni ;  cioè quegli uomini autorevoli , potenti , coraggiosi , avvez-  zi a mettersi fuori si dignus vindice nodus , godenti già il pri-  vilegio d’essere ascoltati con riverenza , con effetto , assen-  nati , sperimentati , periti , probi , pe’quali è fatto naturai  dono, ancor più che artificiale , tutto che è generoso , no-  bile , magnanimo , eminentemente civile ed utile a civiltà ;  e prima la lealtà oggi si rara , il eaudore , la fede , la in-  corruttibilità , la fermezza , il disinteresse , la franca ed in-  violata parola , quella che proverbialmente pereiò si dice  parola di cavaliere ; il mantenere a qualunque costo i patti e  le promesse ; il non mai mentire ; il religioso astenersi da  ogni cosa vile o brutta...   Non è la santità de'perfelti in religione , nobil dono di  Dio , e privilegio sommo di grazia , sdegnoso per solito di  queste cose terrene e caduche ; è la virtù antica e civile ,  una cosa illibata , ingenita , uscita dai paterni lombi , ed  avuta da natura , più ancora che da innestato ammaestra-  mento ; che perciò non costa fatica, nè sacrificio, ma è ab  ovo e per traducem, fin dal primo impasto dell’uomo e della  razza. — Con questo, è l’abitudine dell’ anteporre l’interesse  pubblico ed altrui al proprio e privato... è la naturale ge-  nerosità e larghezza... è il preferire quasi istintivo del retto  all’ utile... è la disposizione avita di tutte le cosi fatte stirpi  a eminenza di cittadine virtù ed attezze... il primeggiare  nel ci vii senno e consiglio... il gittarsi innanzi, come il ’  prode destriero al romore delle battaglie , anche non chia-  mati , nè pregati , né desiderati , in tutti i grandi e solenni  bisogni della cosa pubblica , senza risparmio di sè e delle  sue fortune... il trovarsi pronti e preparali a soccorso , a  protezione , a sosteguo , a sovvenzione , a incoraggiamen-  to , a guida , a ufficio di capitani e di porta-bandiera. E  I’ esser sempre caporioni agli altri nel bene , e caporioni  efficaci , ascoltati , sentiti , rispettali , obbediti... l’aver co-    Digitized by Googt     — 63    raggio civile o militare secondo clie fa d'uopo... il guarda-  re dall'alto al basso il puro e vile materiale interesse , e il  cercar sempre nelle questioni il lato della moralità e della  giustizia...   Non mi state a dire che queste qualità preziose son rare  come le mosche bianche. Rare forse oggi , vi ripeto : ma  non rare in ogni tempo ; non rare quando gli uomini s’e-  ducavano a modo antico. E se si riusciva ad ottenerle ,  quando a quella forma s’ educavano essi , io non veggo ,  perchè richiamando le stesse cagioni , non s’abbiano ad ot-  tenere , e non si possauo , gii stessi effetti.   Non mi venite a soggiungere , che altrettanto e meglio ,  per forza di conveniente educazione, puossi ottenere fuori  delle privilegiate caste. L’educazione è cosa sempre troppo  artificiale , e troppo perciò difficile a condursi a buon ter-  mine , se natura non agevola , e condizioni intrinseche non  favoriscono ; e l’una e l’ altre non favoriscono , se fin dai  primi istanti non concorrono ; e dai primi istanti non con-  corrono che assai di rado , e solo con qualche frequenza ,  quando certe disposizioni son fatte dono abituale per lunga  serie di generosi avi , e quando ogni cosa che è intorno le  seconda. Imperciocché indipendentemente da quel che allo-  ra è dato per una felice armonia del fisico col morale im-  prontata per concepimento , v’è lo spontaneo innesto che  nou può mancare a chi è uato in mezzo alle morali qualità  che si voglion generate ; a chi le ha trovale in casa , e n’è  stato cinto da ogni parte fin dalla prima infanzia -, infine a  chi non ha incontrato , anche uscendo" di casa, che quelle ,  come cosa propria della casta in mezzo a cui vive. Le quali  cose tutte non sono , per fermo , allo stesso modo , in uno  stato dove non è che democrazia, pe'figliuoli degl’ingenliliti  da un giorno , e degli arricchiti. Perchè in questi per solito  le ricchezze e l’innalzamento è dall’industria mercantile o  quasi-mercantile ; e l’industria delle mercature e de’com-    Digitized by Google     — fu-    merei, pur troppo , a esser promossa, e tanto da generare  tesoro , ha bisogno d’accompagnarsi con amor di guadagno ,  e d’ esserne preceduta come da suo naturale stimolante :  amor di guadagno , che è passione per sè , non dirò vile ,  ma certo un po’ bassa , e non troppo generativa di virtù po-  litiche. Ed ha radice d’egoismo e d’interesse materiale e per-  sonale , due interessi che non poco penano a subordinarsi  all’interesse morale , tanto da contentarsi sempre delle se-  conde parti. Donde poi viene , che nelle case di si fatti (non  ch’io neghi molte onorevoli eccezioni) gli esempi non soglio-  no esser quali in quelle della vera e buona aristocrazia ; e  colla rarità di questi esempi va proporzionata la difficoltà  della fruttuosa educazione di che favellavamo.   Che se, pe’fin qui discorsi argomenti , s’ è dunque cercalo  di provare, che utile pertanto è l’aristocrazia, rispetto al crea-  re , con un buono e conveniente indirizzo , una schiera di  cittadini egregi, quali con arte di speciale istituzione appli-  cata a’ primi che presenta il caso , o la fortuna , è difficile ot-  tenerli; già possiamo a un altro argomento venire, e sarà l’ar-  gomento di un secondo e ancor più elevato interesse politi-  co, il qual consiglia a mantenere, quantunque dentro giusti  contini, un ceto aristocratico nello stato; c questo è l’inte-  resse cornai at or e. Il quale interesse, naturale antagonista del-  V interesse riformatore , molti non vogliono conoscere utile ,  perchè non vi pongon mente : e , non avvertendolo , non se  ne fanno una chiara idea. Ma non perciò non esiste; e non è  rilevantissimo, e tanto anzi più importante, quanto le forme  del governo son più liberali, e tengono delle repubblicane,  o delle rappresentative e democratiche, e quanto v’è più  grande l’autorità delle turbe popolari.   Perchè il proprio delle democrazie, come in generale dei  popoli e de’tempi tendenti a democrazia , è, in politica, il  moto perpetuo. Un paese dato o soggetto alla dominazione,  od alle forti influenze de’ capricci , di quello che fu e sarà    Digitized by Google    — 65 —    sempre varium et mutabile vuigus , è come dire un terreno in  man d’una compagnia d’ agricoltori , ognun dei quali vuol  coltivare a suo modo ; e dove , secondo che uno riesce a  prevalere sull’ altro nella lotta delle volontà, e nella perti-  nacia e nella validità de’ contrasti, distrugge l’opera de’com-  pagni, e rilavora, e risemina a suo modo. Il qual terreno la-  scio decidere a chicchessia se può mai prosperare , e dare un  frutto che valga le spese, e le fatiche periodicamente aborti-  ve. Un tal paese è sempre sul disordinarsi, e riordinarsi per  disordinarsi di nuovo, e tornare ad ordinarsi: come ciò ac-  cade del mobile campo del mare a ogni nuova aura che spi-  ri , non importa da qual parte. Le leggi non vi durano. L’e-  spcrienze lunghe non vi si maturan mai. Le fortune vi sono  instabili , come le dignità , come le influenze , come le ric-  chezze, come le risoluzioni. Ora un tal paese, per avere una  qualche speranza di requie, e di rallentamento negl’impeti  inconsiderati del moto, ; per non lasciarsi perpetuamente al-  lucinare da false apparenze di mali, da false apparenze di be-  ni, giudicate secondo la prima impressione, e guidanti a fatti  spesso inconsiderati e rovinosi, ha bisogno che sia , nel po-  polo, un certo numero di cittadini saldamente potenti (cioc-  ché non vuol dir prepotenti), i quali mettano nella bilancia  disposizioni opposte ; cioè appunto quelle disposizioni che  si chiatnan conservatrici , com’é il proprio delle aristocra-  zie, alle quali tutto fa invito a temere i troppo rapidi mu-  tamenti , e a temperarli , facendo per propria essenza l’offi-  cio del regolatore nell’ orologio , e della scarpa nel carro,  non per arrestare l’ andamento, o per voltarlo io contrario,  ma per fare necessario contrasto alle accelerazioni dissenna  te, e per impedirne le aberrazioni pericolose. Né voglio, a  provarlo , altra dimostrazione che quella delle prove stori-  che, dalle quali risulta che nessun paese prosperò mai lun-  gamente, dove un robusto ceto aristocratico non si ponesse  in mezzo tra le facili velleità delle plebi e de' municipii, tra  i piccoli e gretti interessi del terzo stato ... tra le tenden-   5    Digitized by Google     zeagli abusi del potere in più alto luogo; c non concorres-  se con ciò validamente e in modo principalissimo alla costru-  zione diffìcile del buon governo.   Finirò enumerando i beni accessorii , che a lutti i prece-  denti van connessi. Unicamente coll'aristocrazia, che si tie-  ne ancorala sopra una ricchezza immancabile ( non fluttuan-  te , non fortuita , non nata oggi o ieri , c non destinata a  perire domani), e sopra tradizioni antiche di potenza, e so-  pra le aderenze numerose e gagliarde che la corroborano ,  e la fan per cosi dire immortale , sono possibili, od almen  frequentissimi , tanti abbellimenti delie città ; que’ palagi ,  de’quali parlavain sopra, che sffdano i secoli, e che son co-  me reggie; i musei, le ville, i parchi, le splendide ed ere-  ditarie proiezioni alle belle arti di lusso , alle lettere , alle  scienze; i costumi gcutili, il secolo di Leon X, la conside-  razione al di dentro, e al di fuori, la dignità c il decorodelle  nazioni. Solamente coll'esistenza di famiglie, la cui podero-  sa influenza sugli uomini e sulle cose abbia grande ed anti-  co ed esteso fondamento , è lecito sperare ad ogni privato  facili appoggi e saldi nelle solenni necessità d’ogui genere ,  ferma resistenza contra ogni nemico interno od esterno che  minacci lo stato e la città , c perfino la miglior guarentigia  possibile contra gli abusi d'autorità, procedenti da ogni alto  luogo. Questi abusi , possibilissimi anzi dove non sono che  governo e popolo più o meno minuto, e qua c là ricchi sen-  za consistenza e senz’ altra fede che nella loro pecunia, non  possono esistere o sussistere gran fatto dove quel terzo ele-  mento dello stato è fortemente costituito su basi ben radi-  cate che non tremano ; le combinazioni ternarie , in queste  faccende, piu essendo valide ad impedire le abusive preva-  lenze da qualunque parte , c quindi le prepotenze di qualun-  que origine. Ivi i facili rivolgimenti c sconvolgimenti trova-  no remora gagliarda e principalissima, distrutta la quale i Ire-  muoti politici si succedono a ogni piè sospinto ; e dura prò-    — 67 —    va più d’un paese n’ha falla in questi nostri lagrime volissi-  ini tempi. Di qui è che la sapienza antica , per voce di Plato-  ne c di Cicerone, cosi appunto sentenziava ne’ libri De repu-  blica. Si ama favellare soltanto delle soperehierie de’ nobili ,  di certe violenze che alcuni di loro si permettono, di certi  mali ch’essi han prodotto. Bisogna, com’ io diceva, pesar più  giusto, e mettere su la bilancia nell’ altro piatto i vantaggi.  Quando avrete distrutta la nobiltà , e avrete solo tollerato  quella ineguaglianza di fortune , che non siete padroni di di-  struggere, e che resisterà ad ogni vostro tentativo livellato-  re , avrete tanto e tanto le stesse violenze e le stesse soper-  chierie da que’che avranno la prevalenza di fortuna, ma le  avrete senza il correttivo ed il freno che per sua natura è  chiamalo a mettervi il buon patriziato per una dicevole edu-  cazione e tradizione. Servio Tullio, fin dai tempi regii di  Roma , non annullò questo ; ne moderò i poteri ; e provvi-  de con ciò alla fuUira grandezza di quella ch’era destinata  ad essere la capitale del mondo. La elevazione di Roma re-  pubblicana è dovuta principalmente al suo senato di patrizi.  Le successive invasioni della plebe alzaron molli di quesla  sino a quello, cd era giusto ; non abbassarono quello fino  a sè, che sarebbe stato follia. . . distruzione di Roma. I Ce-  sari lolser di mezzo, o snaturarono l’organo politico, pel  quale Roma dominò la terra ; eslcrminarono le grandi fami-  glie, fecer perire l’ antiche tradizioni , tolsero ogni impedi-  mento , ogni potestà tra sè e il popolo , e con quale effetto  non ho bisogno di ricordarlo ad alcuno. Venezia ed Inghil-  terra. . . la Venezia de’ passati secoli , l’Inghilterra d’oggi-  di, son altra prova storica e splendida della mia tesi. I so-  prusi e gli abusi di potere si possono correggere, impedire,  medicare; il male della mancanza della nobiltà è immedica  bile nel materiale e nel morale. . .   E la nobiltà è zero senza ricchezza ; e la ricchezza è labi-  le senza fedecommessi. Dunque i fedecommessi, oltre al non    ftgifeed by Googte     — 68 —    essere ingiusti , oltre all'essere senza detrimento al paese che  li ammette, gli sono necessari (1).    (1) Di qui è , che, a mio senso guardando alla ragion politica , possono nel-  r eredita fidecommissaria difendersi anche certe sostituzioni , e certi passaggi  di famiglia a famiglia come mezzo di perpetuare i gran nomi , la memoria  de’ grandi servigi , e gli obblighi che queste memorie traggon seco. L'argo-  mento è degno per lo meno di nuovi esami. Non è il mio Bne l’intraprenderli.   N- B. Dopo stampale , una prima ed una seconda volta , queste lettere , un  vicino paese fu , nel quale i maggiorati s’ abolirono , disputatone prima , co-  me e quanto lo si poteva aspettare , nella camera dei suoi deputati , e nel se-  nato de’sapienti del luogo. Nè negherò , che , vista la coedizione de'tempì e  delle opinioni , il conservarli sarebbe quivi stato un’ anomalia ; certo una dis-  armonia con tutto il resto. Nel fallo , si guardi meno alla quistione assolu-  ta , che alla relativa ; e meno la relativa al piti o manco di vantaggio del po-  polo, e in generale dello stato, ebe ia relativa all' andamento politico in cui  lo stato s'è colà messo, ed alle necessità che ciò s'è tratte dietro. La questio-  ne giudicata oggi cosi sta donque forse bene. Bisognerà vedere se ugualmen-  te starà bene domani.    Digìtized by Googl   ■■' -1    OPUSCOLO II    DELLA LIBERTA E DELLEGUAGLIANZA CIVILE. -DEL GOVERNO  E DELLA SOVRANITÀ’ IN GENERALE. - DELLA COSI DETTA  SOVRANITÀ’ DEL POPOLO E DELLA DEMOCRAZIA. -DEL VOTO  UNIVERSALE. - DELLE RIVOLUZIONI E DELLE RIFORME NBI  GOVERNI EC.    Digitized by Google     Al REPUBBLICA*! RICOVERATI IH IHGBlLTERRA  E ALTROVE   Il ne faut pas vous le dissiniuler. Le peuple, ainsi que  la bourgeoisie n’a nulle confianee en vous. Le  peuple rii de vos pasquinades politiqueset socia-  les: il vous a connus à l’oeuvre : il a jugé la puis-  sance de vos moyens et la fécondité de vos res-  sources; il a vu poindre , sous volre iniiiative ,  celle réaction que vous condamne/. aujourd'bui,  mais dont le principe est loujours vivant dans   vos vues et pour rien au monde il ne se sou-   cie de riimeltre nne seconde fois ses destinées  eulre vos mains.   Tranquillisez-vous donc , et quoi qu’ il arrive , ne  vous excilez pas le cerveau , ne vous écbaufl'ez  l.oint la bile. Acceptez en tonte résiguation le  repos que vous fait l’cxil , et metlez-vous bien  dans la téle qu’à rnoins d'unc transformation com-  plète de volre esprit, de volre caraclèrc, de votre  intelligence , volre ròte est lini....   Teuez, voulez-vous queje vous dise louie ma pen-  sée? Je ne connais qu’un mot qui caractérise vo-  tre passò, et je saisis celie occasion de le Taire  passer de l’argot populairc dans la langue polili-  que. Avec vos grands mols de guerre aux rois ,  et de l'ralernité des peuples ; avee vos parades re-  volulionnaires , et toutee lintamarre de démago-  gues, vous n’avez été jusqu’à préscnt , que des  blagucurs.    Journ. le Peuple ile l»bO  Articolo di P. /. Prudhon-    Digitized by Google     ARTICOLO 1.    Della libertà nel civile consorzio, e dei limiti che necessariamente  debbc avere.    Che cosa volete , signori maestri del mondo, che si rin-  nova? - « Libertà ed eguaglianza nel consorzio civile, nco-  « nosciute e difese; e , come frutto della libertà e dell’egua-  « glianza , la parte di sovranità nel popolo , che a ognuno  « coegualmente spelta per quel che concerne gl’interessi  « sqoi, e gl’interessi dell’universale in correlazione co’suoi.  « Perchè , se gli uomini sono uguali per natura ( e certo lo  « sono}, è una iniquità il farli disuguali per arte; è una slo-  « Udita il lasciarsi far tali , ed ammettere maggiori di sé so-  ci pra sè quando piace , e quando non piace. E se gli uomini  « sono liberi per natura, è una iniquità il farli più o meno  a schiavi per arte, e stolidità il lasciarsi far tali, ed ammet-  « tere padroni di sè sopra sè , quando piace, e quando non  « piace. » - Ma qui vale la risposta celebre degli spartani a  Filippo re - (1). « SE ».   La libertà! Innanzi tratto, parliamo un po’ sul serio: rac-  cordate voi veramente all’ uomo , voi che pugnate tanto per-  chè vi si lasci interissima , e quasi o senza quasi priva di vin-  coli ? - Ma molti di voi , che chiamano l’uomo una macchi-  na fisica , so che il libero arbitrio, cioè questa tanto richiesta  libertà, dicono non esistere ; poiché tutto che facciamo , lo  facciamo, secondo essi, per coazione prodotta in noi da im-  pellenti motivi, interiori od esterni , che prepotentemente,    (I) Plutarch. fìe g.imililale. Edil. Rnisk Voi Vili, 32.    Digitlzed by Google     benché occultamente , ci spingono a fare o non fare , ed a  fare una cosa piuttosto che un' altra. Dunque , almen per  tutti cotesti negatori del libero arbitrio, le dimande d’ esser  liberi hanno assurdità manifesta , e mancan di senso , es-  sendo in contraddizione perfetta colla loro intima e confes-  sata persuasione di non poter esser soddisfatti nelle loro di-  mande , nè essi , nè chicchessia (1). Essi sanno , o preten-  don sapere , che chiedono quel che non è possibile dar loro ;  poiché quel che chiedono , a lor detto , è un nulla , un  non-ente; e niun può dare ad altrui, se non illudendolo, un  non ente, un nulla, una cosa, che nè ha egli, nè alcun altro  possiede, o può possedere. Dunque la libertà non possono  chiederla, che coloro i quali la credon possibile all’uomo ,  e che non risguardano il mondo morale, ossia il mondo  delle volontà, come un conflitto di forze, ognuna delle quali  non può non esercitarsi , che nel modo col quale nel fatto  s’esercita, senza che alcuno possa iutervenirvi per azioni  diverse da quelle con che ogni volta in realtà v’interviene.  La libertà , in altri termini , non posson chiederla , che gli  spiritualisti ; e già in ciò v’è molto di guadagnato: perchè  cogli spiritualisti , se sono veramenle quel che dicono di es-  sere, si può disputare con ferma speranza di giungere pre-  sto o tardi a spogliarli di certe idee, per così dire, superfetate  ed aggiunte, contro a naturatile loro persuasioni di spiritua-  listi: idee non compatibili con quelle persuasioni, e tali, che  nonèdifficile alla lunga di farle apparir loro quali realmente  sono, riducendole al giusto loro valore. . . (2).   (1) È argomento ad hominem — Ex ore vestro voi judico.   Que’ cbe negano la libertà non solo non posson chiedere questa , ma non  possono , sul serio e da senno , chiedere o pretendere nulla , nè accusar nul-  la, nè lagnarsi o adirarsi di nulla, nè trovare a ridire su nulla. Nella loro ipo-  tesi lutto quel che è o sarà, tatto quel che si la o si farà , non dipende dall'ar-  bitrio 'di chicchessia. È o sarà, à fa o si farà , perchè non puh essere nè farsi  diversamente. Dimande, lagnanze, accuse, saranno, per vero, esse pure atto  necessario, ma un alto senza significato, o d’ un signitìcato che non può stare.   (2) La proposizione non lo che accennarla. Il trattarla ex profitto non è di  questo luogo.     — 73 —   E che cosa è questa libertà ? - « La facoltà ( rispondono }  « d’usare delle proprie forze , fisiche o morali, nel modo  « che più aggrada, la quale ( dicono que’che vi credono )  « è una facoltà primitiva e naturale, e tale perciò che non si  « ha diritto di toglierla. » Intanto , essi che l’ ammettono,  si vergognerebbero di non ammettere però , che alcuni di  si fatti usi della libertà propria son buoni , altri cattivi , e  che i buoni usi ognuno è tenuto a praticarli , e i cattivi ad  evitarli. Dunque coloro che ammettono la libertà, .e che per-  ciò ne chiedono alla congrega civile la maggiore possibile in-  dipendenza e franchigia, concedono almeno una legge inte-  riore, e naturale, e non abrogabile , data al loro intelletto ,  che comanda , consiglia , o proibisce; legge obbligatoria per  ognuno. Dunque concedono, che la libertà, per sua natu-  ra , non è poi cosi sfrenata come lo si suppone , nemmen  nell’uom solitario e sottratto perciò ad ogni coazione estrin-  seca de’simili suoi, da che è limitata e vincolata da una legge  interna, che notabilmente ne restringe pur sempre i poteri.   Anzi, poiché, conceduto il bene ed il male nelle azioni  libere o volontarie, vengono con ciò necessariamente a con-  cedere la distinzione tra l’uomo da bene e perfetto, e l’uo-  mo imperfetto e cattivo, conseguita da questo, che per essi  il migliore ed il più perfetto degli uomini è quegli che più  limita le proprie libertà , e che , per conseguenza , nel fat-  to, è o si fa men libero; e viceversa , che l’ uom peggiore e  più imperfetto è quegli il quale più ai vincoli della libertà si  sottrae, godendo, nel fatto, d’un più illimitato uso della li-  bertà propria (1).    (1) Qual è l'uomo il più libero ? — Il ciallroue , che , senza un riguardo per  sè o per gli altri , va e fa e dice, e si veste o sveste , e s'accompagna o scom-  pagna , e si satolla negli appetiti suoi più disordinati e più bestiali ed immon-  di a tutto suo grado, gitlandosi panciolle o rotolandosi in istrada, ubriacan-  dosi nella taverna, appaiandosi colle sgualdrine, gridando e urlando per via ,  spargendo motti , dileggiamenti , bestemmie , ingiurie a questo ed a quello...    Digitized by Google    — 74 —    Or, se la civil convivenza è ordinata a rendere gli uomi-  ni, non più imperfetti e cattivi, ma sempre migliori e piu  perfetti (ed aspetto che qualcuno voglia con moderna impu-  denza negarmelo), è chiaro, che quello è il consorzio umano  più conforme alle leggi di natura, in che il male è più difficile  a farsi, ed il bene piu facile. Laonde , se un modello di ot-  timo civile ordinamento è a proporsi come un tipo al quale  si debbano conformare, quanto meglio ciò è dato, le uma-  ne congreghe , converrà dire l’ideal naturale ( come lo chia-  mano ) dell’ ottima e perfetta civil convivenza esser quello  dove alle volontà del male è recato il massimo impedimento,  alle volontà del bene il massimo eccitamento e favore, alle  volontà indifferenti quanto a bene ed a male la massima indi-  pendenza : quello dunque dove la libertà ha vincoli molto  maggiori de’ vincoli che le nostre leggi, anche le più rigo-  rose impongono.   Tuttavia confesso, che chi cosi ragionasse andrebbe trop-  po in là col ragionamento, massime ove difendesse l’opinio-  ne, che questo ideale sia immediatamente riducibile ad atto  nella odierna condizione delle aggregazioni umane che si no-  man popoli. Confesso, che, conosciuto il mondo cosi com’è,  e considerato quanto immensamente son gli uomini ancor  lontani, nella lor molta corruttela , dal tollerare universal-  mente d’ esser costretti a farsi ottimi, e ad incontrare osta-  coli ad ogni azion loro men che retta ed a bene rivolta; ve-  duto quindi che la legge troppo rigorosa incontrerebbe in-  numerabili ribelli, i quali sarebbe presso a poco impossibile  frenare, e colla forza ridurre ad obbedienza, o pur solo pu-  nire; infine, richiamalo alla memoria, che Iddio stesso, nella  formazione dell’ uomo , mentre si è contentato di dare ad   — Lo 5cln 'rauo clic corre armalo le campagne taccinlo silo tulio che trova ,  spogliando i viandanti , accoltellandoli.... — E qual uomo onesto , nel senso  che questa parola ottiene in ogni vocabolario di popolo civile, vorrebbe es-  sere cialtrone o scherano ? o eie' specie li ci' il consorzio è possibile ne' cial-  troni , e fra gli scherani?    Digitized by Google     — 75 —    ognuno le norme del bene e del male , ba però voluto la-  sciare, a tutto risico di chi devia da queste norme, la libertà  di si fatta deviazione ; di qui è che , per men danno , e per  men difficoltà , i savi , che dell’ ordinamento degli stati han  fatto particolare studio, avvisarono la necessità di abbando-  nare al proprio libito di ciascuno il più di quegli abusi di li  bertà recanti a tristo o sconveniente (ine, ma che non nuo-  cono altrui, riserbato il vincolare con leggi quegli abusi die  agli altri recauo un più o men grave ed ingiusto nocumento,  od una indebita e non lieve molestia : ciocché accordandosi  a riconoscere e concedere ( e vi riflettati bene i capitani e  i campioni delle nuove dottrine) non credon già di aver, per  si fatti divisamenti, proposto quel che veramente sarebbe il  meglio; ma, proponendolo, o, a dir piu vero, confessando  d’ essere stati costretti a concederlo , compiangono di non  aver potuto proporre c consigliare che un men male. E tut-  tavia questo men male non lo propongono, e non lo accet-  tano, che in modo , per cosi dire , precario , e finché , con  un migliore indirizzo della educazione privala e pubblica ,  sia lecito assai più recidere di questa libertà del non buono,  senza troppa resistenza , e per successivi sempre maggiori  troncamenti giungere alfine a quel minimo di libertà lasciata  al mal fare , che costituirebbe de’ civili ordinamenti la vera  normalità.   Ed ecco ricacciate in gola, io spero, a certi insipienti ban-  ditori del sacro diritto (coni’ essi soglion chiamarlo) d’ esser  padroni delle azioni loro, tante balorde cicalcric di pocosen  so , che vanno eglino ripetendo , e che, se dimostran qual  che cosa, dimoslrau solo quanto è grande la ignoranza di gri-  datori si fatti in lutto che risguarda la vera filosofia delle leg;  gi e la vera natura dell’ uomo. —   Io so però con qual mutamento di linguaggio si sforze-  ranno essi di riguadagnare terreno, se non di fronte, almen  per fianco. Senza osar troppo di negare, presi cosi alle strette,  che quegli usi della libertà , dai quali un altro , e con piu    Digitized by Google    — 76 —   forte ragione più altri, o la comunità intera, possono essere  più o men notabilmente ed ingiustamente pregiudicati, deb-  bono dalla legge frenarsi , diranno però, ed in effetto dico-  no ( abbassato molto il tuono della voce e della superbia ) ,  che la forfattura de’ legislatori a cui si chiede emendamento  è appunto nel giudizio del male , operato o da operarsi , il  qual conviene, o prevenire perchè si tema, o punire perchè  si risguardi come fatto, e delle condizioni che si stima utile  all’ universale di lasciare in potestà de’governanti lo impor-  re a’ singoli , quale un debito comune di violenze fatte o da  farsi alia libertà d’ ognuno pel bene di tutti. Rispetto a che  ricusano il più delle norme stabilite dalla sapienza antica ,  senza un riguardo eh’ ella sia stata sempre una e costante ,  sempre simile a sè fin dalle prime manifestazioni sue, giun-  gendo da gente a gente al nostro tempo ; e trinceratisi so-  pra questo terreno , vogliono , coni’ oggi dicesi , guarentite  almeno certe principali libertà, o salvati certi privilegi di li-  bertà, di che fanno enumerazione, secondochè, per un detto  di detto, impararono (1). E qui non discenderò io a dispu-  tar loro ciascun palmo del nuovo terreno in che s’accampa-  no, questo non essendo per ora il mio proposito. Non ch’io  non voglia, a miglior tempo, a un per uno , espugnare cia-  scun de'baluardi ove atlendon battaglia, impotenti, come si  sentono, a tener la campagna aperta. Ben, fermandomi qui  sulle generali, poche cose dirò, che importa stabilire, come  opportune premesse a tutte l'altre, quasi circonvallandoli in-  torno d’un regolare assedio, per toglier loro qualunque spe-    (1) È degno d’esser notato che si schiamazza e si pugna per si fatte liber-  tà, e per questi privilegi sempre ne’ tempi in cui più si vuole abusarne , e da  que’che di abusarne hanno il proposito deliberato. Que’ che non han bisogno  dell’abuso , e che non lo hanno nell’animo e nel desiderio , è chiaro che sa-  rebbe ridicolo se ciò curassero. Ed altrettanto è a dire de’ secoli in cui raris-  simi sono, o nessuni, gli abusa tori di fatto o d'intenzione. Queste grida allora  non si sa che siano. Si chiede il permesso di quel che si vuol fare, e si muo-  vono lagnanze di quel che , volendo farlo, non sì pub ; non di quello mai, che  non occupa la mente, e che non ispiace di non poterlo operare a suo grado.    — 77 —   ranza di esteriore sussidio, e di futuro scampo. Dove, se per  avventura, io paia a taluno usare, a dispetto, un troppo su-  perbo linguaggio , valgami a scusa la salda fede che ho nel-  l’animo, non veramente del prevalere per senno, ma sì certo  dello scendere a combattimento con tale una soprabbondan-  za di forze, che il far fronte, negli avversari, più mi sembra  presunzione ed insania , che coraggio e bravura.   E prima , prendo , come suol dirsi , atto del concesso , e  dell’ ornai da essi perduto per non poterlo difendere : cioè ,  che tutte le declamazioni, le quali fannosi, a destra e a sini-  stra , suonare sul sacro diritto della libertà umana , cosi in  generale sfrenata , e della intangibilità di questo diritto ( le  quali declamazioni tanto si vanno ripetendo a illusione e per-  vertimento degli sciocchi, e col plauso del codazzo lungo an-  zichenò de’tristi, i quali approvano e fan coro, perchè l’ap-  provazione è come indiretta difesa di molte ribalderie loro);  tutte queste declamazioni , dico , bisogna ringhiottirsele , o  riservarle a’ crocchi degl’ imburiassali a lor forma, e già non  più ragionanti, nè disputanti, ma credenti, e disposti a con-  tendere solo co’pugnali e colle contumelie. Per tutti gli altri  un punto è vinto, ed una verità è conquistata: la libertà, per  sé medesima, dev’ esser vincolala in tutti. Questo non ammette  più disputa.   Or, ciò premesso, io dico poi , che, nelle azioni le quali  necessariamente han , per cosi dire , contatto cogli altri , e  sono usi di libertà che agli altri possono riuscire o molesti o  pregiudice voli, a rendere, non pur possibile, ma solo reci-  procamente tollerabile la consociazione degli uomini, è chia-  ro che l’interesse comune richiede il provvedere a tanto, che  i conflitti delle coeguali libertà siano evitati il meglio che es-  ser può, e siano del pari scansate le cagioni, quant’elle sono,  onde , per fatto delle libertà male-usate, si renda sgradevole  ed intolleranda ad altri, pochi o molti, la convivenza. E poi-  ché nessuno è giusto che sia giudice in causa propria, quando  specialmente la causa propria è in contrasto colla causa de-    Digitized by Google     — 78 —   gli altri, perchè niuno, negl’ innumerabili e colidiani casi di  si fatti contrasti, vorrebbe aver fede nella giustizia e nella di-  screzione d’un che ha interesse a favorire sè stesso (massime  considerando , che il momento medesimo del conflitto , al-  lorché più le passioni sono in presenza , in accensione, ed in  tumulto , dovrebbe esser quello del giudizio ) , perciò è ne-  cessario, che ognuno anticipatamente sappia (da terzi ed im  parziali, e parlanti con autorità in guisa da comandare obbe-  dienza ed ottenerla) quel che può e deve, e quel che non può,  nè dee. Di che poi si conclude, che, innanzi al fatto, egli è  della più grande evidenza , bisognare alcune regole presta-  bilite, ossiano leggi, per le quali si determini efficacemente  il lecito e l'illecito. Resterà dunque solamente a cercare, da  quali, secondo ragion naturale, debbano queste leggi emet-  tersi , ed in che misura.   E la -questione giunta a questo termine, s’allarga. Perchè,  venuto il discorso alle leggi che stabilir denno i confini e la  misura della libertà civile, l’argomento facilmente trapassa  alla non meno astrusa ed importante trattazione del primitivo  stabilimento di tutte l’altre leggi obbligatorie per l’universale,  e si di quelle che fermano, o fermar debbono le originarie con-  dizioni della civile congrega, nelle parti onde si compone od  hassi a comporre l’intera macchina governativa, qual si ha, o  qual si desidera averla, si di quell’altrc, che, a volta a volta,  si van facendo, o si vorrebbero fatte, per nuovi bisogni che  si stimano sopravvenuti, o per correzione d’antichi e nuovi  errori , de’ quali credesi avere accorgimento. Intorno a che  una opinione oggi , e da molli anni, a memoria di noi vec-r  chi , cerca di signoreggiare il mondo , secondo la quale , la  volontà egualmente ed il senno di lutti avrebbe in ciò a con-  sultarsi, e a deliberare, per quella dottrina che troppi pon-  gono a di nostri in cima a ogni altra, e che chiamano il dom-  ala della sovranità del popolo , da cui , come da vecchia sua  radice , sorse già e prese forza l’altro domina del cosi detto  patto , o contratto sociale ; due domini a’ quali dassi appunto    Digitized by Google     per fondamento , come la libertà originaria e naturale del-  l’uomo, cosi l ’ eguaglianza primitiva d’uomo con uomo. Or  poiché, rispetto alla prima già vedemmo, quantunque som-  mariamente , quel che bassi a pensarne , favelliamo adesso  della seconda.     — 80    ARTICOLO* II.    Della eguaglianza in generale, e quanto poco esista  essa nella specie utnana.   Si pretende, che gli uomini, per naturale diritto, sian tutti  uguali , e , al solito , insegnando al popolo questa supposta  fondamentale verità, que’ che la insegnano si guardan bene  dal dichiararla con più esplicite parole , e dallo spiegare in  che senso , a lor senno , questa eguaglianza può affermarsi,  in che senso non lo si può. E il popolo fa di questa propo-  sizione quel medesimo, che dell’altra, la qual die e-Gli uomi-  ni son lutti liberi - Ambedue le accetta così come gli si dan-  no, senza limitazione, e se le stampa bene in mente al modo  che suonano, per poi trarne le conseguenze dirette ed estre- i  me, che oggi pur troppo ne trae... conseguenze che la pace  del mondo da sessanta anni disturbano ed impediscono. Io  spesso ho domandato a que’ difensori di si fatte stolte teori-  che, co'quali è pur possibile tentare un po’ di ragionamento,  qual fondamento dessero ( parlando dell’egualità ) al domma  che stabiliscono ; e i più di loro m’hanno risposto con gran  franchezza , che l’eguaglianza è da legge di natura, perchè la  natura ci ha fatti tutti della stessa specie, e della stessa car-  ne; tutti, gli uni agli altri, fratelli. Ma, quando li ho incal-  zati, chiedendo, se la natura facendoci uguali quanto a spe-  cie e carne , e con questo dandoci una comune fraternità ,  abbia poi col fatto mostrato di averci voluto ad un tempo da-  re anche le altre eguaglianze qualitative e quantitative , ossia  di modo, e di grado, che bisognano per costituire l’assoluta  eguaglianza naturale, la quale intende il popolo, non ra’han    Digitized by Google    — 81 —   potuto più rispondere cosa che valga. Almeno avessero po-  tuto dimostrarmi che queste ultime sono una conseguenza  necessaria di quelle prime! Bisogna compatirli. Essi non po-  tevan fare l’ impossibile.   La natura, certo, non ha voluto farci diversi da quelli che  ci ha fatto. Ora è chiaro, ch’essa ci ha fatto in ogni cosa dis-  uguali. ( E si noti , eh’ io qui uso il linguaggio de’ moderni  filosofanti. Metto da parte la fede, il peccato d’origine, e le  sue conseguenze. Parlo , come oggi usano tanti , della na-  tura acefala , e separala dalle sue cagioni , come se non le  avesse ).   Infatti che vogliamo ricercare? Il fisico, o il morale? Ma,  nel fisico , nessuno, per fermo , avrà l’ ardire d’ affermare ,  che la natura, fabbricandoci tutti della stessa carne, e collo-  candoci nella stessa specie, abbia voluto altro farci che dis-  ugualissimi. Non forse ogni giorno ci schiera essa innanzi  i belli ed i brutti , i dritti ed i bistorti , i contraffatti a ogni  forma ed i ben composti della persona.... i sani e gl’ infer-  micci, i gagliardi ed i frolli , gli svegliati ed i pigri o buo-  ni-da-nulla? Non forse tra milioni di visi nessun ce ne pre-  senta ben simile... ben uguale ad un altro « imprimendo ad  ognuno una fisonomia sua, che è la sua e non d’altrui? Non  forse disuguali dà le complessioni , la fazion generale della  persona, le idiosincrasie ? Pur la carne è una in tulli , e la  stessa : la specie è una e comune.   Più però l’originaria e naturale disuguaglianza fassi palese,  ove al morale riguardiamo, e si a questo nella parte intel-  lettiva e discorsiva, si nella memorativa, si nella immagina-  tiva, nell’ affettiva , nella volitiva, e in quante altre le sotti-  gliezze de’ filosofi distinguono... Ho io bisogno di dire, che  hannovi nati stupidi , e nati con ogni buona disposizione di  memoria, di giudizio, d’ acume... ? Ho io bisogno di ricor-  dare le portentose varietà d’ altezze , di capacità, d’umori ,  di tendenze, infinitamente tra loro disparate e distanti ? Ho  io bisogno di avvertire , che Galileo , Newton, Eulero, La-   6    Digitized by Googl     — 82 —    grangia non nacquero per esser umili ragionieri di lor per-  sona sopra un povero banco di libri tenuti a scrittura-dop-  pia ; Cesare, Carlo Magno, Napoleone, non erano modellati  alta stampa d'un piccolo caporale di milizie ; i Law non fu-  rono mai del legno di che si formano i Colbert , i Turgot ;  Omero non doveva essere Clierilo, nè Virgilio Bavio... , e  tutta la larghezza d’ un oceano doveva separare Marco Tul-  lio Cicerone da Marco figliuolo, Marco Aurelio Antonino da  Commoilo, Tito da Domiziano... Vaucanson da un costrut-  tore d’organucci di Barberia... Giovanna d’ Arco dalla mia  donna di faccende ?   Non favello delle disposizioni di cuore... delle disposizio-  ni di volontà... del più o meno di mercurio, di zolfo, di sali,  che, fino dal primo impasto, è infuso nelle nostre crete; e del  diverso rombo di vento a che si volge l’ago delle nostre tra-  montane. Nel vostro stesso campo , signori maestri del no-  vello mondo, consultate Gali , Spurzheim , Fossati, Combe.  Crederanno leggervi sul cranio, scritto e significato a grandi  rilievi, se siete della pasta dei Tersiti, de’Paridi, degli Ulissi,  de’ Palamedi, o degli Achilli....   E non solo differenti s’esce di prima stampa dall’utero ma-  terno. Altre cagioni soggiungono, da natura pur sempre, e  dal conflitto perpetuo delle sue forze , per le quali alle ine-  gualità fisiche e morali, cominciate fin dai primordi nostri,  se ne vanno altre aggiungendo finché dura la vita, ed alcune  per effetto della stessa vita. Imperciocché a questo lavorano  giornalmente le infermità, e centinaia di fortuiti accidenti che  sopravvengono... le differenze di climi e del tenor di vita...  i nostri spropositi volontari ed involontari... : senza di che  molle cose al vecchio toglie P età , e al fanciullo non le dà  ancora...   E l’arte , eh’ essa medesima è da natura , opera forse , e  conduce, a diverso fine? -L’arte è l’educazione, secondo che  ce la danno, secondo che ce la diamo. Or l’educazione, fac-  ciasi quel che si vuole, è per l'uomo una nuova grandissima     — 83 —   cagione d’ inegualità , la quale niun potrà mai governare in  modo da impedirle il produrre questo ultimo effetto.   E , primo , è una potente cagione d'inegualità dalla parte  degli educatori. Perché come poterli applicare a uno stesso  modo, a una stessa misura, in tutti i luoghi ed a tutti? nelle  città e ne’ villaggi ? nelle campagne e ne’ boschi ? a que’ che  vivono raccolti insieme, e a que’che in solitudine, o grande-  mente spicciolati e divisi ? Come trovarli, da per tutto, uguali  in eccellenza, per dottrina, per zelo, per altezza, per l’allre  molte qualità che aver denno , o dovrebbero ; o come non  piuttosto contentarsi assai spesso di non trovarne, di non a-  verne, o di averne de’mediocri, degl'insufficienti, o decessi-  mi? Come, da per tutto, avere o procacciarsi le stesse faci-  lità secondarie , gli stessi ausiliarii mezzi , senza di che la  bontà degli educatori o fallisce, o men vale? Come non avere  riverberate sugli educati le diversità che provengono dalla  diversa natura de’ maestri, de’ metodi, degli aiuti estrinseci?  E, per tutti questi motivi, come non giungere all’effetto ul-  timo, che, se le differenze predisposte da natura erano già  grandi, più grandi ancora saranno esse fatte, dopoché di ne-  cessità in diversissimo grado e modo l'arti educatrici saran-  nosi adoperate?   Secondo , è un’altra cagione d’ineguaglianze , dalla parte  di coloro che debbono educarsi. Imperciocché le inegualità  già preordinate in ciascuno nell’esser coucetli, come potran-  no non avere accrescimento e moltiplicazione, aggiuntevi le  inegualità avventizie, prodotte dall’azion di coloro, che, più  o men bene, o più o men malamente, educheranno? Dove,  tra inegualità ed inegualità , sarà pur talvolta che accadano  compensazioni: ma sarà più spesso ancora, che le inegualità  si sommino, e s’alzino a maggior valuta...   Terzo, son molte più, accidentali, cagioni, che necessaria-  mente faranno anche maggiore essa differenza : come dire ,  il più o men bene, o male affetto stato di salute, o di vigo-  re , il più o meno di fortuiti ostacoli , o di fortunate agevo-    " "Digifeed by Google     lezze sopraggiuugenti : la nebbia delle passioni viziose che  alcuni offuscalo la loro forza che molti distrae; lo stimolo  delle passioni generose che ad altri é incitamento... cento al-  tri e mille incidenti della vita, che or turbano, or secondano,  e fan mentire in bene o in male ogni anticipato presagio da  natura tratto...   Ma v’ è una piu generai considerazione , che vie meglio  conferma la verità del mio detto. Essa ci è somministrala  dalla ricerca del fine stesso per cui la natura ci diede delle  arti educatrici il bisogno, l’istinto, ed il seme. Questo fine  evidentemente, e per sua essenza, è, sempre, e ogni giorno  più, disuguagliare, anziché uguagliare. Imperciocché la per-  fettibilità umana esse arti han persubbietto sul quale lavo-  rano ; e la perfettibilità è cosa sterminata. L'arte, cioè l’edu-  cazione, perfeziona, che è dire s’ aggiunge alla natura, ac-  ciocché quello che in essa è germe, tallisca, cresca in pian-  ta, e fruttifichi. Ora il germe è d’ineguaglianze: dunque ine-  guaglianze raccoglierannosi dall’ educare, tanto maggiori,  quanto l’ educare sarà più perseverante, e condotto a mag-  giore eccellenza. In ciò sta il progresso, che è pure un altro  degl’ idoli del nostro tempo : in ciò la civiltà, effetto princi-  pale del progresso , che tanto oggi i nuovi dottori dicono di  voler promuovere, non s’accorgendo , che il suo vero fine  è aumentare le differenze tra gli uomini, non già scemarle.  Gara infatti essa è per essenza , e specie di palestra aperta a  tutti, dove arte aiuta natura a far si che ciascuno co’ vantag-  gi che può e sa, si gitti innanzi quanto più può e sa meglio,  lasciando iudietro il compagno o i compagni di quanto piu  intervallo è possibile , nelle diversità di direzione che tutti  prendono. Cosi arte e natura a un medesimo scopo conven-  gono. Quella accresce 1’ effetto di questa. La disuguaglianza  é data all’uomo per legge; il disuguagliarsi per istinto, e per  bisogno. Voi piu facilmente fabbrichereste gli uomini della  favola di Luciano, usciti dalla granata magica , con metodo  di successive dicotomie, che gli uguali i quali sognale...    Digitized biXÌQQgjg    — 85 —    Arroge, die questa è una legge non esclusivamente pro-  pria della nostra specie. Chi ben considera, trova ch’è legge  data all’intero universo, come norma del suo modo d’esse-  re. Tutto in esso è varietà e diversità. Tutto è gerarchia. La  materia è una nella sua sostanza , pur l’oro non è argento,  nè T argento rame, nè il rame piombo , nè il piombo arse-  nico , nè l’arsenico azoto od ossigeno. Vi son dunque caste  nella materia , come nella specie umana ; come nelle specie  degli animali domestici (cavalli , pecore, capre)... V’ è una  gerarchia delle stelle tra le stelle, delle comete tra le comete.  V’é il grande ed il piccolo, il luminoso e l’oscuro, quel che  domina e quel eh’ è dominato. Un carbone è cristallizzato ;  è brillante; è la coli-i noor, la montagna della luce, che brillerà  sulla fronte di Vittoria regina d’ Inghilterra ; un altro car-  bone non è buono che a scaldare la pentola della massaia.  Lo stesso grano, dice il più santo de’libri, è trasportato dalla  piena del torrente nel mare , e vi perisce ; dal vento tra le  sabbie , e non vi nasce ; dall’agricoltore nel campo , e , se-  condo le condizioni diverse del terreno e de’ succhi , v’ in-  tristisce c non viene a spiga , traligna ed è ucciso dalla gol-  pe... prolifica ed è ricchezza della messe e del granaio. Evi-  dentemente queste diversità di sorte furono, sin dalla prima  origine, ne’ disegni del Creatore, nelle necessità imposte al  creato...   Quanto agli uomini, ciò non è solo un fatto cieco ed im-  provvido : è una manifestazione splendente della sapienza  del divino architetto. La vita normale della civil congrega  ha bisoguo di simiglianti radicali disuguaglianze. È forza che  v’ abbia chi non si sdegni d’ esser destinalo ad metalla , alla  coltivazione laboriosa delle terre, alle meccaniche fatiche del-  l’incudine, della sega, della pialla... Come è forza che v’ab-  biano altri ad altro buoni, ed a meglio, secondo tutta la va-  rietà degli uffici e de’ servigi che se ne aspettano. Fede c fi-  losofia s’ accordan poscia a proporci , affinchè nissuno si la-  gni , il sistema delle compensazioni in una seconda vita —    Digitized by Google    Or, se tanto è innegabilmente vero, come s’ osa insegna-  re al popolo l’opposto di queste dottrine? Come s’abusa della  sua irriflessione naturale e della sua ignoranza per falsificar-  gli sino a questo segno il giudizio? Come s’ardisce predi-  cargli ogni giorno il domina supposto delVeguaglianza, o non  fiancheggiandolo con ragioni, o rendendolo credibile con mi-  serabili ragioni di fratellanza universale, d’identità d’origine,  o simile? (1)-E v’ha chi chiama perfino a complicità dell’in-  ganno la religione , come se vi credesse! V’ha chi usa come  argomento: Siamo lutti figli d’Adamo; lutti ugualmente re-  denti sulla croce; tutti ugualmente fratelli in Cristo! - Fra-  telli si certo ; c figliuoli lutti della prima umana coppia , e  della seconda per Noè il diluviano; ed ugualmente ricompe-  rati col prezzo di sangue sul Golgota: ma non perciò uguali;  come uguali non erano, ancorché fratelli, più ancora stretti  tra toro che non un uomo a un altr’ uomo, Caino e Abele ;  come uguali non erano tra loro, ancorché fratelli, Isacco ed  Ismaele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e Beniamino, e gli altri  figliuoli di Giacobbe... Fratelli, e perciò tenuti a reciproca-  mente amarci, ad assisterci, a giovarci; ma non a modellarci  ognuno sull’altro , ma non a metterci tutti a uno stesso li-  vello , ma non a interdirci ogDuno i vantaggi delle nostre  individualità , o a pretender di divider cogli altri gli svan-  taggi. L’ autorità della religione , della quale s’ abusa , non  ha mai consacrato queste massime , o , per dir meglio , ha  consacrato sempre le massime contrarie. Io dimentico però,  che hannovi, a di nostri, cristiani a’ quali par bello servirsi  del vangelo per falsificarlo, e spurii cattolici, i quali s’argo-  mentano d’ insegnare caltolicliesimo alla Chiesa , e teologia  alla teologia!    (1) É facile intendere, se non il come, almeno il perchè. Si cercano nel vol-  go, e nel minuto popolo complici, ed uomini di braccio per l'opera di di-  struzione ebe si medita; e l’adescarli con si fatti miserabili e detestabili ingan-  ni par utile , se non bello.    Digitized by Google    — 87 —   Se non che intendo bene quel che vorrassi rispondermi.  Sorgeranno d’ ogni parte di coloro , che vorranno dirmi ,  nissuno esser si stupido da pretender di negare il fatto visi-  bile e palpabile delle ineguaglianze di natura e d’arte, che son  tra gli uomini, troppe delle quali non possono non essere in un  grado maggiore o minore, si nel morale, che nel fìsico. Solo  chiedersi oggi quell' eguaglianza , che spetta agli uomini , in  quanto congregati in società; e questa esser Veguaglianza che  chiamasi civile, cioè de’ fondamentali diritti della vita di citta-  dino; e pretendersi essa come dovuta per legge eterna di na-  turale giustizia. E avvegnaché, ristretta la proposizione en-  tro si fatti più precisi e più angusti termini , non è poi si  chiaro il comando della legge di giustizia la qual si cita , e  resta sempre a superarsi la difficoltà del concepire come e  perché abbia a credersi di misurar giustamente, applicando  a tanti fra loro disuguali una misura uguale per tutti , fan  prova d’ avviluppare sé e gli altri in un tessuto di ragiona-  menti , che è pregio dell’ opera l’ esaminare- Esaminiamoli  dunque, c cerchiamo di far conoscere quanto essi hanno po-  co del solido, e quanto facilmente s’abbattono, e si riduco-  no a nulla.    Digitized by Google     — 88 —    ARTICOLO III.    Dell' eguaglianza nel civile consorzio e su quali falsi fondameli  ti si pretenda stabilirla.    Si vuole l ' Eguaglianza civile , cioè l’eguaglianza ne’ fonda-  mentali diritti della vita di cittadino! E per che buona ra-  gione ?-Rispondono i pili barbassori: « non veramente per -  « che siavi tra gli uomini l’eguaglianza primitiva di natura ,  « o perché possa l’arte giungere a distrugger mai le diffe-  « renze che natura ha in noi largamente seminate nel tisico  « e nel morale j ma perchè , tra tante che mancano , un’e-  « guaglianza primordiale è pur veramente in tutti, ed è  « T eguaglianza di condizione primitiva , quando la vita civile  « ha per noi , secondo ragione , normale coininciamento. »  E , a meglio spiegare il concetto loro , cosi ragionano ,  tornando un tratto a considerazioni relative alla libertà -  « Sia quel che si voglia de’ limiti che la legge eterna ha se-  « gnato al libero arbitrio d’ogn'uno , e della natura obbli-  « gatoria de’ precetti ch’essa legge dà a tutti ; se potente-  « mente c’invila essa ad unirci in civil convivenza , non ,  « per fermo , l’invito è coattivo (posto che niuu pretende  « esserci disdetto il segregarci per vivere in solitudine ,  « quando ciò ne piaccia) ; e molto meno è obbligatorio a un  « dato modo d’associazione (posto che niun pretende esser-  « ci da ragione naturale vietato il torci all’ associazione , in  « che , per esempio , ci troviamo inclusi dal nascere , per  « entrare , a nostro libito, in un'altra la quale consenta  « di riceverci). Dunque l’entrare , o il restare , in una data  « civil congrega, è , per sé, atto di libertà, rispetto al qua    Digitized by Google    — 89 — •    « le noi conserviamo intero l’arbitrio. Ma lo stesso ragio—  « namento può ugualmente applicarsi ad ogni uomo. Dun-  « que tutti gli uomini , debbono , in ciò , riguardarsi d* li-  ft guai condizione : lutti almeno coloro , a togliere qui ogni  « soGstcria , che hanno sufficiente normalità coni’ uomini ,  « quanto alle facoltà naturali (salvo il diverso grado in che  « le posseggono) , per non dare evidente motivo d’ esser te-  « nuli come non liberi. Ma concessa l’esistenza d’almen  « questa eguaglianza , non v’è poi ragione perche da detta  « eguaglianza non si derivi un’altra eguaglianza , e vuoisi  « dir quella per che , ne’ rapporti generali di cittadino a cil-  « ladino , e da cittadino a tutta la congrega , pesi c benefi-  « zi , cioè doveri e diritti sian parificati. Dunque sì fatta pa-  li rificazione , che è l’eguaglianza la quale aveva a dimo-  « strarsi essere di diritto naturale , lo è realmente. » Dal  qual tenore di discorso è poscia uscita , nel passato secolo ,  tutta la dottrina del palio sociale, c (connessa con quella)  l’altra dottrina , secondo la quale il popolo , cioè la somma  di tutti i concorrenti a civil consorzio, nell’atto del concor-  rervi , c dopo esservi concorsi , ha in sè la vera sovranità  e supremazia, per tal guisa , che ognuno ne possiede la sua  coeguale parte: ciocché costituisce poi quella che si chiama  la sovranità popolare , o la democrazia risguardata come il  solo governo naturale e legittimo. Donde molte conseguen-  ze scaturiscono , c principalmente questa « Che gli entrati ,  « od i liberamente restati in una civil convivenza, se dispn-  ee nendo di sè , come sovrani che ne sono , tutti con egual  « volontà e potestà si spogliano o si spogliarono pacifica-  le mente d’una parte della sovranità di sè stessi , per forma-  le re di queste parti riunite l’altra sovranità posta fuori , e  ee depositata in mani terze , alla quale , in essa convivenza ,  ee liberamente si sottoposero, non però a questa seconda so-  « vranità non si serban sempre superiori. Nè , in quanto è  « artificiale , e procedente dal loro libero arbitrio , da cui  « trae tutto il suo valore su ciascuno , può questa sovra-    Digitized by Google     — 00 —   a nità fattizia distruggere la supremazia delle volontà da  « cui supponsi derivala. E perciò , quantunque soprastante  « per patto , essa è nondimeno in realtà soggetta , e dalla  « stessa volontà onde procede può quindi essere rivocata e  « distrutta ». Le quali teoriche con tanto animo i nuovi  maestri le difendono , che , non potendo non accorgersi ,  ciò , nel fatto , non esser mai , perchè , storicamente par-  lando , l’asserito patto sociale , mai , o quasi mai , non in  terviene , ancorché per diritto dovrebbe , a lor sentenza ,  intervenire « ciò dicono provar solo la spuria origine delle  « civili congreghe in che , per tal guisa , si è inclusi. Don-  « de è poi , che il pacifico e precario restarvi , il qual fac-  « damo , non può , a lor detto , chiamarsi nemmeno un  « tacito consentimento. Imperciocché secondo il proverbio,  « chi non parla non dice niente. Ed , essendo che ogni go-  « verno é intanto una forza di fatto alla quale difficilmente  « si può resistere , cosi il non dir niente esso medesimo è ,  « conchiudon essi , una necessità imposta , piuttosto che  « volontaria. Il perchè , ora massimamente che i popoli co-  « minciarono a parlare , il diritto, il quale non poteva es-  « sere abrogato , o soppresso, risorge , dicon essi , con tanto  « più vigore , e legittimamente pronunzia illegittimi quc’ci-  « vili consorzi , e sentenzia rivendicata e ripigliata da tutti  « quella sovranità di sé , che natura diè loro , per esercitar-  « la congiuntamente , dove ciò aggradi , nella formazione  « di consorzi nuovi e di nuovi governi , a tal forma , e con  « tali leggi , che il libero ed effettivo consentimento prece-  « da consorzio e governi , e li accompagni , o , cessando ,  « cessi l’autorità di questi , c sia come se non fosse. Donde  « tornan di nuovo alla tesi , che la democmzia è nel diritto  x di natura , in quanto almeno poter supremo, cioè alto ed  « indeclinabile potere , che sovrasta ad ogni maniera di go-  « verno , la quale il libero consenso degli uomini abbia sta-  « bilito , o sia per istabilire ; e che tutte le altre maniere di  « governo, anche consentite , sono artificiali e transitorie ,    Digitized by Googte     — 9t —   « mentre quell’ una , o esista o no in alto , è permanente ed  « imprescrittibile... »   Cosi presso a poco ragionano , quanto a tutto cotesto  domma dell'eguaglianza , e a’ corollarii che ne traggono , i  più logici tra costoro, e nondimeno ragionano pessimamente  e con una molto povera logica. Perchè , in tutta l’esposta  tela di raziocinii , s’afferma , più che si provi , quella sup-  posta egualità di condizion primordiale , che , o realmente ,   0 per una finzione giuridica , precede , o debbe precedere,  l’ingresso consentito d’ognuno nella civil convivenza , e  che è data come fondamento di tutta l’eguaglianza civile in-  torno alla quale si disputa. In questa vece facilissimo è  dimostrare che il fondamento , assunto per postulato non  ha sussistenza alcuna. Imperciocché sia pur dato e non con-  cesso a’cosi ragionanti d'assumer l’uomo nel momento d’en-  trare con perfetta libertà di sè in una associazione nuova ,   1 cui patti abbiano allora allora da stringersi , e, come mol-  ti oggi dicono , da formularsi (ciocché , nel fatto , non è  mai) ; certo , anche in questa immaginaria ipotesi , di che  direm poi quel che è a dirne , falsissima cosa è , che , nella  turba de’ concorrenti a costituire la nuova congrega , cia-  scuna arrechi , non una quale che siasi equipollenza , od  eguaglianza di requisiti , ma quella equipollenza od egua-  glianza che sarebbe necessaria per venire alla conclusione  a cui vuol venirsi. L’equipoHenza o l’eguaglianza che v’è ,  è quella delle individuali libertà degli ancora sciolti, ossia è  l’eguaglianza nella autocrazia, o nella signoria di sè , che  ciascuno , per ipotesi , conserva ancora , e in virtù delia  quale , come padrone della propria individualità , concorre  e consente per la sua parte alla formazione d’ un sociale con-   - sorzio (1). Ma da che si viene all’inventario ed alla ricogni-  ti) E tuttavia del rigore di questa stessa speciale uguaglianza potrebbe di-  sputarsi , cercando deulro quali termini, e sotto quali condizioni ogni uomo  è sui juris nel fatto. Ma il cercarlo sarebbe un'iucidentu questione, la quale  ci porterebbe troppo lungi.    Digitized by Google     — 92 —   zione de’ capitali e de’ requisiti che ciascuno con sè reca ad  associazione, l’equipollenza o l’eguaglianza subito cessa , e  cominciano le disuguaglianze... tutte quelle disuguaglianze,  che noveravamo nel precedente articolo , e che non posso-  no non essere messe in conto rispetto al reciproco interes-  se degli stipolanti , c a quanto esso comanda.   Imperciocché sia pure un contratto quel che trattasi di  formare , e sia pure in libertà d’ognuno il preordinarne gli  articoli a suo proprio grado , o il ricusare la stipolazione.  Ma si abbia in memoria , che qui si domanda al postutto ,  a stipolazione da farsi , non quello che ognuno , con un  pensiero egoista di superbia , d’invidia , e di gelosia , non  volendo esser da meno degli altri , pretende a perfetta pari-  tà cogli altri , per prezzo d’adesione , o sia o no interesse  degli altri il concederlo ; ma quello che gli eterni principii  di ragione c di giustizia in questo proposito consigliano ed  ordinano. Perchè , insomma , bisogna ricordare quel che  dicevamo nel nostro primo articolo. Non è il libero arbitrio  puro e semplice la norma direttrice degli atti umani , e non  esso è l’autocrate, oil sovrano legittimo; nè alcuno ci ven-  ga a dire , secondo filosofìa , stai prò ralione voluntas. Il ve-  ro e legittimo sovrano è il Xòyos", e il Xòyos , cioè la ragio-  ne , non di tale o tale altro individuo , ma si l’universale ;  quello che è la espressione del senno raccolto dalle ragioni  più squisite di tutte l’età e di tutti i luoghi. Rispetto a’ cui  precetti non si può nemmen dire che nel caso nostro siavi  oscurità , o incertezza , chiari essendo e non contrastati  i principii generali regolatori de’ contratti di società , non  secondo tale o bile altra legge scritta , ma secondo il natu-  rale diritto. Insegna esso , che se un individuo contribuisce  al bene della società men clic altri , non può pretendere  d’essere accettato alla stessa dose di beneficii che gli altri.,  i quali contribuiscon più. Nè se , quanto aU’amministrazio-  ne della società intera , sono in essa e capaci ed incapaci ,  è giusto che gl’ incapaci pretendano il diritto dell'avere al-    Digitized by Google     — 93 —   Ira parte che indirettissima nella direzione e nel governo  degl’interessi sociali. Di che l’applicazione al caso nostro  non ha bisoguo d’altre parole. E tuttavia l’ altre parole, che  qualcun chiede a maggiore schiarimento saran dette a suo  luogo. Qui basti per ora t’avere indicato in che giace la fal-  sità del ragionamento su cui la pretensione all’eguaglianza  civile si vuol fondata ; e- basti chiudere il discorso facendo  riflettere , che , dopo le cose dette , resta almeno a tutto ca-  rico ornai de’difensori di cotesta domandata eguaglianza il  provare , che realmente , nell’ ipotesi del libero convenire  degli uomini a costituire una nuova civil convivenza , tutti  arrechino in contributo , non una parziale ed apparente ,  ma una totale e conveniente egualità di condizione primor-  diale , e nè più , nè meno di quella che il caso nostro ri-  chiederebbe a rigore di legge.   Ma è una seconda parte , che non vuol esser passata sot-  to silenzio. Questa è l’esame di quel che si vuol dare per  conchiuso ed accettalo ; cioè che gli umani consorzi , come  sono fin qui stali c sono , abbian da considerarsi tutti ap-  punto per illegittimi , e spurii, perchè non consentiti nor-  malmente da ciascuno nel popolo , ed anomali , e non for-  mali secondo quelle che sole si giudicano essere le regole  veramente razionali , destinate da natura a presiedere al  nuovo patto sociale , e a servire a stabilirlo. Intorno a che  veggiamo un po’ quanto , ugualmente, e con quanto perico-  lo , vanno errati coloro i quali cosi predicano , e cosi s’osti-  nano a pervertire il piceol senno delle turbe.   • Sta bene mettersi in capo di sovvertire tutto ciò che è  stato , ed è, in fatto di civili convivenze , e volere sconvol-  gere da cima a fondo lutti gli stati , perchè vi sono alcuni  (e sian pur molti ) , che gridano che , negli stati , cosi come  sono , la distribuzione de’diritti civili non è esatta ! Sta  meglio che questi medesimi , i quali cosi propongonsi di tur-  bare violentemente la pace del mondo , giurino di non vo-  ler cessare la guerra da essi intimata , e già flagrante dal la-    Digitized by Google     — 94 —   to loro , contro alle congreghe umane oggi esistenti , e di  non posare le armi , e di non finire le cospirazioni , finché  non solo a una riforma in ciò siasi giunti , ma quel , che è  più , finché uon siasi pervenuti alla maniera di riforma , la  quale , a lor senno , è la sola giusta ! Peccato che vi siano  certe difficoltà teoriche e pratiche , le quali combattono  questo bene e questo meglio... £ so che delle difficoltà oggi  non s’usa occuparsi dai proseliti delle nuove scuole. Chia-  mali vigliaccheria, strettezza di spirilo l'occuparsene. Chia-  mano oscurantismo il proporle. Chiamano forfattura il dir-  le al popolo. Noi , che non siamo proseliti di quelle scuo-  le, diciamone alcuna cosa. Non saremo da essi ascoltati. Non  mancheranno tuttavia gli ascoltatori in tempi piu tranquil-  li , se non oggi. Questa è almeno la nostra fiducia.    Digitized by Googli    ARTICOLO IV.    Considerazioni contro al preteso diritto di rinnovare le società  umane per accomodarle alle proprie idee preconcette , e contro  alle tentale riduzioni ad allo di questo diritto.    « Il mondo'( vuoisi dirci ) ha bisogno di riforma , e di  « quella riforma che noi da lungo tempo andiamo indican-  « do : e , poiché n’ha bisogno, non resteremo colle mani in  « mano. - Giovandoci d’ogni mezzo, tanto faremo , finché  « avrem pur conseguito quel che ci siamo proposto. » -  Quante proposizioni incluse nelle precedenti parole, ognuna  delle quali proposizioni, in argomento si grave , richiede-  rebbe un libro a parte per trattarla come si conviene, e per  porre ben in chiaro quel che debba pensarsene! -   « Il mondo ha bisogno di riforma. - La riforma che bisogna  è quella che le scuole democratiche oggi insegnano, e non altra. -  Questa maniera di riforma si ha diritto di cercare immediata-  mente il tradurla ad atto , senza lasciarsi trattenere da quale si  voglia opposta secondaria ragione. - Tutti i mezzi son buoni e  leciti , se a sì fatto fine paian conducenti. » - Ecco quel che  vale il discorso con che abbiamo incominciato questo arti-  colo! -   Non tutte , per vero , le dette proposizioni s’ osa dirle da  tutti : ma tutte son professate con cieca ed ostinata fede. Pro-  fessarle, in questo caso, è metterle in pratica, perchè la lo-  ro natura c tendenza è pratica più ancora che teorica. Due  fini si hanno. Uno è terribile. Da maniaci e per maniaci ;  impossibile, grazie al cielo , a conseguirsi interamente, ma  purtroppo tale, che il camminare verso esso è impresa fe-    Digitized by Google     — 96 —    conda de piu gran mali che melile umana possa immaginare.  Laltro è un castello in aria verso il quale non è pallon vo-  lante che possa condurre, perchè tutti i palloni son condan-  nali a precipitare prima di giungervi: castello senza base ,  altra che di nuvole; castello posto nella regione de turbini,  e del fulmine; dove niuno durerebbe tranquillo, e senza pe-  rirvi alla lunga, corps el biens. Il primo è mettere a soqqua-  dro ogni cosa : città , terre, castelli , e ville, per distruggervi  gli ordini stabiliti , e, se bisogna, tutti che s’oppongono alla  distruzione. Il secondo è dare alla specie umana un altro or-  dinamento: ordinamento repubblicano; ordinamento di pura  democrazia, interpretata e stabilita nel senso il più largo. Se  ne spera per gli uomini d’un altro secolo (certo, non pe’vi-  venli oggidi, e, men che per tutti, pèr quegli stessi che ciò  tentano ) quasi l’inaugurazione d’un’ era nuova tra gli uo-  mini , era di felicità , di ragione, e di giustizia! Cerchiam di  mostrare quanto questa speranza è vana, temeraria, fallace,  e quanto questa impresa è colpevole, sottoponendo ad una  ad una, ma brevemente, ciascuna delle proposizioni a cri-  tico esame. -   1. Il mondo ( morale ) ha bisogno di riforma ? - Eh si. Ma  la perfezione, in ogni cosa umana, è un punto di mira piut-  tosto che una meta. Vi si guarda, ma non si pretende ar-  rivarvi. Vi si guarda per prendere la direzione, e per ac-  corgersi se si sbaglia nell'andare, come si guarda alla stella  cinosura dal navigante, non che il guardarvi significhi spe-  ranza di raggiungerla.   E bello è accorgersi di quel che merita riforma. Per gran  disgrazia - judicium difficile , experitnenlum periculosum - Si  prendono spesso de’ be’ granchi a secco, in questo mare,  piu che in altro, e con più danno.   E conosciuto il bisogno vero di riforma , bello è spesso il  tentare di operarla. Spesso, ma non sempre. Perchè vi sono  in medicina certe malattie, che a volerle curare si fa peg-  gio ; e ciò nel morale, come nel fisico. Perciò un medico    Digit    sd by Googte    — 97 —    savio , prima cerca di ben conoscere la malattia , e di non  ingannarsi nel giudicarla ( cosa, come testé notavamo, non  facile ). Poi cerca se si pnò medicare. Se si può intrapren-  derne la cura subito. Se non giova invece differire il rime-  dio, e far vero il dinotando restiluit rem. Od ancora se a tut-  to non è preferibile il rassegnarsi per non isdegnare il mafe  ed intristirlo. E il medico savio al cito preferisce il tufo; e ,  salvo pochi casi estremi , e disperati, che scusano le più  grandi temerità, non mai dimentica lo jucunde d’Asclepiade.   Gli stati sono grandi corpi , ne’ quali un'intera sanità è  impossibile. E guai se tutti pretendono di tastar loro il pol-  so, e di trattarli alla risoluta con ferro e con fuoco, alla  Browniana , od alla Rasoriana , dandosi patente di dottori  senza diploma. Turba medicorum occidit Caesarem , e Cesari,  in subiecta materia siamo tutti. Figuriamoci poi quel che de-  v’essere, quando i medici non sono che empirici. . ! Quel  che è peggio, nel caso nostro que’ che si gittano innanzi a  tastare il polso, non sono nemmeno empirici; perchè empiri-  ci sono quelli che se non han teorica, almeno han pratica :  e che pratica possono avere di cose amministrative e poli-  tiche tutti cotesti innanzi tempo usciti, o piuttosto scappati,  di scuola , a’ quali l’età troppo giovanile e il non essere mai  stati in faccende nega ogni esperienza. . . ?   2. La riforma che bisogna è quella che le scuole democratiche  oggi insegnano , e non altra? Stimo la franchezza colla quale  in piazza questo è spaccialo come assioma , che non importa  dimostrare. V'ha egli in ciò buonafede? Quando lutti colo-  ro ette studiano a queste cose fossero d’ un medesimo avvi-  so, potrebbe ben dirsi a chi non lo sa : Ecco la verità in po-  che parole. Le prove sono inutili. Si tratta di quel che è con-  sentito generalmente. Ma qui la dottrina che si va spargen-  do è contro a ciò che i più grandi Statisti e Politici sempre  ed uniformemente insegnarono. Trova oggi stesso una forte  opposizione nelle scuole e fuori delle scuole , presso il più  gran numero di coloro che a queste materie han volto Fa-   7    M    - — Xligitized by Google     — 98 —   nimo preparato da forti studi. Noi medesimistiam per pro-  vare, che è dottrina palpabilmente falsa; e lo proveremo,  se al eie! piace.E si tratta d’ana dottrina che minaccia gran-  di interessi stabiliti , dottrina gravida di sconvolgimenti e di  rovine .... forse e senza forse di stragi : e affermo anzi  senza forse, perché quei che la professano , stragi senza re-  ticenza minacciano a ogni terza lor parola. Con che corag-  gio dunque persi fatto modo s’inganna il povero popolo in-  vasandolo a questa guisa di supposte certezze, che non sono  che grossolani e pericolosissimi errori , atti a scaldare le sue  passioni le più accensibili, le più feraci di mali quando sono  accese ; o che , per Io meno, son dottrine in nessun modo  dimostrate?   3 La riforma, la cui necessità si v# predicando con parole,  si ha diritto di cercar di tradurla immediatamente ad atto senza  lasciarsi trattenere da qualunque ostacolo d’opposta ragione? Ciò  è ben qualche cosa di peggio. Tal diritto in una proposizio-  ne incerta , combattuta , negata da troppi ed autorevolissi-  mi I Bella legislazione iu materia di diritti ! Ciò è il diritto in  causa grandemente controversa ( e non tornerò ad aggiun-  gere , nella quale non è difficile dimostrare che si ha torto  marcio ) di sentenziare, non solo , in proprio favore, som-  mando in sé le parti di contendente e di giudice; ma ezian-  dio quello d'eseguir subito la sentenza che si è pronunziata  dando a sé ragione ! S’ardisce dire : « Se gli altri negano la  « certezza della opinione nostra, noi ne siam persuasi, e  « non possiamo permetterci di dubitarne, ed operiamo co-  « me persuasi e non dubitanti ». - Ma gli altri che nega-  no, negano perchè, con più persuasione ancora , od almanco  con pari fermezza di persuasione, hanno una certezza in sen-  so contrario. V’è dunque, per lo meno, lotta teorica e coe-  guale di certezze contro a certezze, delle quali nessuna ,  cosi di leggieri, cede alla sua contraria (1). Or perchè, e   (1) Io indebolisco l' argomento . e mi lo torlo. Gli altri che uegano hanno    Digitized by Google    — 99    per qual ragione, la certezza vostra dee prevalere alla no-  stra, e non la nostra alla vostra? Per la ragion della forza,  o per la forza della ragione ? Se per la forza «Iella ragione ;  dunque ragionate, e vincete ragionando, cioè persuadendo,  ciocché solo è vincere in fatto di ragionamenti. Ma > finché  ragionando non avrete vinto, e non avrete guadagnato quella  generai convinzione degli intelletti, nella quale sola può con-  sistere la vittoria , confessate almeno ch’ei v'é la sola cer-  tezza del non v’ esser certezza, e ciò colla solenne forinola,  Nonliquei; e lasciate le cose, nel generale, come stanno ,  finché alla certezza clic si cerca non siasi veramente giunti.  Se poi la certezza vostra volete che alla nostra prevalga per  Tunica ragione della forza, abbiate almeno il pudore di non  parlar più di ragione. . . abbiate almeno il pudore di non  parlar più d'eguaglianza civile de’ difilli- Voi rinegate quest'ul-  tima col vostro fatto medesimo, mentre la difendete col det-  to, e mentre pugnate ( solete dice) per conquistarla ad uni-  versale vantaggio. Voi la rinegate, perchè vi fate superiori,  e prevalenti , per forza , a lutti coloro che credono e vo-  gliono il contrario di quel che voi credete e volete. Voi la  rinegate, perchè, prima di contar quanti siete, senza legit-  timamente poter sapere ancora se siete la pluralità , o il mi-  nor numero, vi tenete padroni di venire ai fatti, e di com-  battere contro ai dissenzienti da voi, pochi o molti che sia-  no , sforzandovi di tirarli a voi men colle ragioni , che ado  perandovi le cospirazioni , e a vostro libilo le armi , cioè la    una certezza ben altrimenti salila die la vostra. La vostra è ertezza di parti-  lo, o di setta : quella degli altri è certezza fondata sul senso colmine, cioè sul  credere presso a poco universale degli uomini di lutti i luoghi , e di tutti i  tempi; di quelli che si son sempre giudicati i più sapienti, ed i migliori ; de-  gl’ interi popoli , i quali tra gli altri ebbero la riputazione di più savi, e che me-  glio prosperarono finché a questa certezza furono fedeli nella direzione della  loro azienda politica. Si può egli dunque istituir confronto giusto fra la vostra  certezza , e la certezza degli altri ? Chi non ha il senno velato da passione ri-  sponda e giudichi.     — 100 —   frode eia violenza. Voi rinegate, perché non vi vergognale  di dire, clic, se anche una maggiorità evidente e contata ,  dissentisse in modo esplicito da voi, voi minorità non più  dubbia , pur seguitereste la guerra per vincere, cioè per fare  che il numero minore soperchiasse il maggiore, e per con-  seguente acciocché voi che costituireste il primo dei due  numeri aveste a valere ciascuno più che ciascuno degli altri,  costituenti il secondo numero. Voi finalmente la rinegate ,  perchè, divenuti ancora maggiorità manifesta , nel voler  tradurre ad alto la opinion vostra, se voleste esser ben d’ac-  cordo colla dottrina vostra d’ universale eguaglianza ne’di-  ritli civili, dovreste concedere che il vostro solo diritto non  potrebbe esser che quello di formare un consorzio civile del  modo che a voi piace con coloro che con voi concordano ,  lasciando a’ discordi di formare un altro consorzio a lor gu-  sto , ma non di sforzare le volontà de’ discordi a soggiacer-  vi ; non di comandare ad essi , e di disporre delle lor cose :  ciocché è misconoscere il loro diritto, individualmente pari  a quello di ciUscun di voi . . . ciocché è dare alla forza il  diritto supremo d’annullare l’eguaglianza. . . ciocché é con-  fiscare in ognuno de’dissidenti I’ autocrazia di sé e delle sue  cose , e ciò a profitto d' una sovranità vostra su voi e sugli  altri . . .   E so che risponderete : — « I dissidenti , che riescon mi—  « nori di forza e di numero, sgombrino il suolo, e se ne va-  « dano altrove; o se voglion rimaner tra noi, s’assoggettino  « colle persone e colle cose loro. » — Ma qual è il principio  di ragione , col quale giustificate questa vostra massima di  governo ? Un patto reciproco di cosi fare , tra maggiorità e  minorità ? No : perché questa massima non può esser parie  d’ un patto, che non é fatto né consentito ancora, e per con-  seguenza che non esiste altrove che nel paese delle vostre spe-  ranze e de’ vostri desiderii ; donde poi si deduce, che non è  obbligatoria per que’ che ai patto da voi proposto non si son  fatti spontaneamente ligi , e che , come uguali a voi , sono    _ — Digitized. b^Xàoogle    perfettamente indipendenti da voi. O volete insegnarci, che  così dev’ essere per un diritto realmente superiore ed ante-  riore a quello dell’ eguaglianza... per un diritto antecedente  ad ogni patto... diritto naturale... diritto che attinge la virtù  efficace e la sanzione dal fatto, in quanto è fatto; e dal fatto,  in virtù di clic i più numerosi , i più forti, i più destri est in  fatis, che faccian sempre la legge alle minorità di numero, di  destrezza, di forza? Guardatevi dall’insegnarlo. Quei che sa-  ran per avventura disposti a concederlo, potran per virtù di  logica dedurne ben altro da quello che voi ne deducete. Sic-  come numero maggiore, violenza, destrezza non sono lo stes-  so che ragione ; siccome sovranità di numero, di violenza, di  destrezza non è lo stesso che sovranità di ragione ; siccome ,  secondo la ipotesi assunta, numero maggiore, violenza, de-  strezza non han bisogno di consentimenti e di patti per co-  mandare ; siccome l’essenza di questa virtù di comando è di  misconoscere il principio dell'autocrazia nell'uomo, e quanti»  a sè, e quanto alle sue cose, e d’assoggettarlo, per cosi dire  a posteriori, ad una forza che gli viene dal di fuori , trasfor-  mando il fatto in diritto ( c sia poi, nella pratica, questa for-  za , quella d’una maggiorità, d’una minorità scaltra, o d’un  solo ) : cosi, ammessa una volta si fatta dottrina, s’accorge-  ranno ch’ella assorbe ed annichila tutte le altre. S’accorge-  ranno, che non vi sono più , con essa , nè uguaglianze , uè  autocrazie di persona, nè patti che tengano. Sentenzieranno  che la forza, razionale od irrazionale, è l’unica padrona...  la tiranna degli uomini : la forza che ha la ragione di sè in  sè, o piuttosto in nessun luogo, ma che non ne ha bisogno.  E sarà con ciò giustificato non solo il vostro fatto, ma quello  d’ogni despota felice, d’ogni governo forte, qualunque sia-  ne la natura, l’origine, e la forma ; o sarà dispensato almeno  dalla necessità di giustificarsi, perchè sarà annullata la giu-  stizia. E voi che avrete messa in onore questa terribile mas-  sima , n’ avrete guadagnato al postutto di metter in onore  un principio, che potrà esservi ritorto contro da ogni for -     — 102 —    tunato avversario; e ridurrà tutto il diritto pubblico al dirit-  to d’una guerra perpetua tra gli uodiìdì ; senza mai speran-  za di concordia o di pace.   Nè ho qui toccato l’altro punto della proposizione la quale  esamino , contenuto nella seconda parte di essa proposizio-  ne , dove si dice dai nuovi riformatori del mondo , eh’ essi  non son disposti a lasciar di cominciare o di seguitare l’ opera  per qualunque ostacolo d' opposta secondaria cagione: ciocché,  mi si perdoni d’ esser costretto a risponderlo , è favellar da  mentecatti. Imperocché i soli insensati dancominciamentoalle  imprese , e s’ostinano a continuarle, senza punto attendere  alle circostanze, alle opportunità, agl’ impedimenti. Povera  gente! Questo lo chiamano bravura! la bravura di Storlida-  no nella Gerusalemme liberata. È un amor idolatra della  propria opinione , la quale ha toccato i termini della infa-  tuazione e della mania. Per essi è vero Audaces fortuna ju-  vat; non è vero — La fine de’ temerari e degl’improvvidi è fiac-  carsi il collo. Come tra tutti gl’ innamorati, le difficoltà non  servono ad essi ebe a far crescere in loro le furie cieche del-  1’ amore. Caloandri fedeli , andranno per montagne e per  valli, colla lancia sempre in resta, contro a rupi e burroni,  se non basti contro ad uomini , e contro a giganti. La pre-  videnza la chiamano codardia, tiepidità, sacrilegio. Sacrile-  gio, perchè questo amore è per loro una religione ( perdo-  nino la parola le orecchie pie). Son sacerdoti dell’ idea, della  quale si son fatti un idolo interiore ; e purché l’ idolo so-  pravvinca, muoiano tutti, e la patria stessa perisca. E sorga  un'altra patria, se lo può, e sia rifatto il mondo a pieno lor  grado... o sia disfatto!!! — Aspetto, intanto, che mi si pro-  vi, gl’innamorati ed i fanatici esser mai stati , o poter essere  uomini atti ad amministrare le cose umane, private o pub-  bliche. Governali essi male sé medesimi : può immaginarsi  come governerebbero gli altri ! — Gran miseria de’ nostri  giorni, il dover perdere il tempo a confutare monomanie si  mostruose! Il meglio che si possa fare sul loro proposito è  non dirne altro.    Digitized by Google     — 103 —    4. Ed ultimo — Qualunque mezzo dee tenersi per buono e  lecito, se al fine conduca della universale Riforma che vuol ten~  (arsir — Egregiamente , come il resto! L’assassinio... per-  chè no? Questo s’ usa. Questo non radamente è necessario.  Ha spesso una efficacia molto sbrigativa ed unica. Dunque è  bene. E se è bene I’ assassinio... un pugnale dietro le spal-  le... un assalto a tradimento... un’aggressione di quindici  armati cantra uno disarmato, perché non il veleno? perchè  non l’ incendio ? perchè non la calunnia ? perchè non » li-  belli infa manti? perchè non le falsificazioni di carattere? per-  chè non il furto, o la rapina? #alum ad bonum ErgobonumH!  E ciò sarà chiamato riformare in meglio il mondo !...   Togliete a! popolo ogni sentimento religioso. La religione,  eh esso ha, favorisce i tiranni. Toltagli questa religione , il  volgo sarà materialista ed ateo... M’inganno. Alzerà altari  Deo ignoto , come già in Atene ; ma ad un Dio , che non ha  fulmini per punire, non ha che indulgenze per chiuder gli  occhi sui male che fanuo gli uomini ; e gli uomini faranno  il male allegramente, e con piena sicurtà di sé. Ma per (sra-  dicare nel popolo la fede nel Dio de’ Cristiani , nel Dio che  lo ajutò ad esser buono colle sue speranze, co’ suoi spaven-  ti , volete adoperar le scaltrezze d’una filosofia sofistica e  trascendente? Esso non la capirebbe, non la gusterebbe. Me-  glio vale creargli il bisogno di non crederla. Si renda vizio-  so , e tanto che disperi del perdono, e trovi più comodo il  negare le pene d' un’ altra vita, che il paventarle. Si seduca-  no perciò le donne, e s’infiammino d’illeciti amori. Si cor-  rompa la gioventù... Debbo io seguitare questo tristo inven-  tario di pratiche atte a pervertire? O non qui scrivo un pic-  colo brano della prima pagina delia storia contemporanea ?  Cosi, non è tanto una proposizione astratta, quella che qui  discorro , quanto un’ opera avviata a compimento e coti-  diana. Già non c’ è più bisogno di prediche. Le prediche son  fatte, ed han fruttificato. È in pien corso il nuovo insegna-  mento. Aspettando la universale Riforma, a chi minacciata    Digitized by Google     — 104 —   *   sotto forma d'una ghigliottina, (o d’una delle tante eleganze  inventate 60 anni fa in Francia, coggi pronte a risuscitare:  u«e fournée, une noyade, una passeggiata di colonna inferna-  le) , a chi presentata nell’ abito verde della speranza come  un secol d’oro che si prepara a nascere per condurre in ter-  ra la perfezione fin qui ignota a’mortali; noi poveri contem-  poranei vivemmo, invecchiamo e morremo tra le delizie d’un  presente tutto pieno di perturbazioni. Ora i benefizi che si  promettono agli eletti son per lo meno nella schiera de’ fu-  turi assai contingenti. Il male che s’ opera , e che si soffre  purtroppo, è da lungo tempo una funesta realtà. Per torna-  re all’ argomento nostro , gli scrupoli si van togliendo. La  bella morale del fine che giustifica i mezzi corre il mondo ,  c lo conquista. Noi siam cattivi abbastanza. I nostri figli, se  Iddio nella sua misericordia uon ci provvede, saran peggio-  ri di noi. Qual riforma della umana convivenza possa dive-  nir possibile con si fatta educazione degli uomini , altri mcl  dica. Io non so indovinarlo. Il mio stomaco si solleva dalla  nausea veggendo i costumi nuovi, le abitudini nuove, uden-  do le bestemmie nuove. L’istoria ha sempre insegnato, che  tutte le volte nelle quali un popolo è stato condotto a que-  sti estremi, esso ha rapidamente degenerato, e finalmente è  perito. Cosi fu spenta la gloria di Grecia e di Roma antica.  Cosi la gloria più antica ancora delle Monarchie de’ Babilo-  nesi, de’ Medi, de’ Persiani, degli Egizi. Le stesse cause hau  sempre prodotto nel mondo gli stessi effetti ... e sempre li  produrranno !   E qui fo punto. Fo punto; ma poche altre parole mi per-  metto d’aggiungere su tutto l’argomento di questo articolo.  Si vuol distruggere gli antichi ordinamenti del mondo caule  que conte, facendo sempre la vista di partire dai due princi-  pii, della libertà e della eguaglianza. E vedemmo quanto l’una  e l’altra si rispettino in tulli gli sforzi che si fanno per fas et  nefas a fin d’ affrettare l’ ora della riforma. V’ é però ancor  peggio di quel che ho detto, sebbene ho detto molto. Ripi-    Digitized by Google    — 105 —    gliando da un’ altra parte il principio de\Y eguaglianza , dopo  averlo calpestato c manomesso, e ripigliandolo a scapito del  principio della libertà, si parla d’abolire lutti i diritti acqui-  stali anche per vie le più oneste. Gli uguali ban da essere  uguali, perdendo tutto quello per che con arti anche degne,  e coll’ industria, e co’meriti, e colle fatiche, s’eran fatti mag-  giori , e non han da esser nè uguali nè liberi quanto al di-  ritto di contrapporre il loro no all’allrui si. Gli uguali s’tian  da potere non solo spogliare dagli altri uguali, ma da questi  si ban da potere anche sterminare ed uccidere , se voglion  conservare intatta tutta la loro autocrazia , se non voglion  piegarsi a dar mano a queste spogliatrici dottrine... -Un con-  tratto sociale tra eguali ha da esser fondamento della società  nuova per libero consentimento di tutti; ma il patto, o con-  tratto sociale non dee poter aver forza , e il libero consenti-  mento non ha da esser libero di non consentire ai patti che  vogliono i preparatori della nuova libertà ed eguaglianza. E  queste contraddizioni palpabili e nauseose si dissimulano da-  gli uni ; e dette agli altri non li commuovono, ed è come se  non fosscr dette, tanto è fermo il proposito di non ragiona-  re, c d’ostinarsi. Ecco a qual grado d’ accecamento e di de-  pravazione s’è giunti.... ! Con che torna vero quel che già  notavamo, chiudendo il 3. articolo. Cercar di confutare co-  storo è spendere parole ed inchiostro a pura perdita. — Scri-  viamo a preservazione dei non corrotti ancora, o ad emen-  dazione di chi sta tra due nè ben sano, nè tutto guasto. Gli  altri Iddio li illumini. E ripigliamo dal suo principio il dis-  corso delle ricostruzioni , delle costruzioni , o delle ripara-  zioni dell’ edilizio sociale.    Digìtized by Google     106 —    ARTICOLO V.    Altre considerazioni sulle riforme nel reggimento delle conviven-  ze umane in generale , e sul diritto e il modo di tentarle.   Quantunque d’un argomento si importante oggi tutti par-  lino in tuon di dottori , e quasi anche i fanciulli , qui «on-  dimi aere lavanlur , pur non è men vero , che il dire intor-  no ad esso quel che veramente la ragione insegni è cosa  grandemente difficile per tutti , ed anche pei più periti nel-  le scienze dello Statista.   Due sono i casi. O alcuni inclusi in una convivenza civile  già stabilita , e soggetti alle sue leggi, se ne stancano , vi si  trovan male, vogliono sottrarsene, e ciò non collo staccarsi e  irsenealtrove in cerca d’un’associazion nuova, ma coi riformar  l’associazion vecchia e spiacente, resistendo a questo gli altri  che pur vi sono ; o i venuti a desiderio di rinnovazione del  politico ordinamento, nella civile congrega alla quale s’appar-  tiene , non sono alcuni , ma presso a poco tutti , cosicché  nessun degl’interessati in ciò resista , e faccia notabile osta-  colo. Nel secondo caso, difficoltà gravi , quanto all’iniziare  le riforme , di che si crede aver bisogno , non possono es-  servi (1) , perchè si suppone non esservi lotta ; ed aversi ,   (t) Noq saranno le difficoltà quanto al consenso nelle riforme , ed alla loro  attuazione. Resterà peri) a vedere pur sempre, se le riforme in che consentirono ,  avranno quel sommo genere di legittimità che sola puh dar la giustizia e ra-  gionevolezza loro , o se uon l'avranno. E resterà a cercar se , non avendola ,  siano ciò non ostante obbligatorie , ed in che senso , e fino a qual grado , o  dentro quai limiti lo siano : questioni difficilissime a trattarsi , ma che non e  questo il lungo di trattare .    Digitized by Googli    — 107 —   presso a poco , universalità di consenso. (Le difficoltà co-  minceranuo , quando si tratterà del modo , se vogliasi che  questo modo sia il più ragionevole , ed il più profittevole  a tutti). Ma , nel primo caso , non si può dire altrettanto.   Quando un governo è stabilito, e un ordine quale che sia-  si già esiste... quando in tutto il numero dei componenti la  civile congrega i sufficientemente contenti sono di gran lun-  ga i più , e i veramente gravati , e giustamente malcontenti  sono di gran lunga i men numerosi , il vero diritto non è  quello di turbare tutto lo stato tentando novità , e con ciò  disturbare tutti i contenti e tranquilli , rimescolando e rin-  novando ogni cosa , e scomponendo e disordinando ogni  privato interesse , per fare ragione ai pochi che si lagnano  perchè stan male ; ma è il diritto di cercare , senza punto  incomodar gli altri , o comunque gravarli nelle persone e  negli averi , che sia fatta ragione ai pochi che lo dimanda-  no , e che lo meritano. £ questo può esser difficile ; può  essere anche talvolta impossibile senza rovesciare intera -  mente la costituzione dello Stato. Tuttavia ci vuole un bel  coraggio per mettere innanzi la proposizione , che , dove  ciò accada , la giustizia negata a’ comparativamente pochi ,  debba essere ad essi buono e legittimo motivo di spinger la  reazione immensamente più in là di quel che porta il loro  diritto ; cioè , affinché questa sopravvinca , di scomporre e  distruggere tutta la macchina costitutiva della civil congre-  ga , della quale i più si trovan paghi , mentre ogni turba-  mento un po’ generale dell’ordine stabilito tutti inquieta ,  molesta , e danneggia (1). Maggiore però fa d’uòpo che sia  questo coraggio , se quei che si fatta proposizione mettono   (1) Può bene io questa ipotesi ater luogo il principio (ed il più spesso lo de-  \e)-Expedit unum hominem mori prò cunctopopulo.-l pochi gravati, opera-  to per ottener giustizia tutto quello che non pub operarsi senza manifesto e  mollo maggiore danno deli' universale , se ascoltano la voce della coscienza,  il meglio che possan fare è rassegnarsi, come è forza rassegnarsi alle malattie,  alle disgrazie fortuite , ai tanti altri mali della vita.    Digitized by Google     — 108 —   innanzi , nessuna ingiuria , nessun (orlo ricevettero , e so-  no unicamente duellanti , per cosi dirlo , di malcontento , i  quali non si lagnano per proprio conto , ma si lagnano per  conto di quelli che a loro spiace di non udire lagnarsi , e  eh’ essi vogliono che si lagnino per forza ; o di quegli altri  che , pur lagnandosi a buon diritto , nondimeno par loro  che non si lagnino abbastanza , e non sian disposti a spin-  ger le querele fino agli estremi che a lor piacerebbero. Ven-  gan di nuovo que’ehe cosi vogliono e fanno , a parlarci d’e-  guaglianza , e di tutte l’ altre loro frottole di libertà , di giu-  stizia , di ragione ! La loro eguaglianza diventa , come al-  trove riflettevamo, superiorità de’ pochi su i molti. La loro  libertà diventa licenza di nuocere agli altri per giovare a sé,  o per soddisfare la propria passione. La loro giustizia è non  tener conto del diritto altrui , per non aver occhio che a  quello che si crede essere il diritto proprio , od il proprio  talento. La loro ragione è la ragione del più forte ; una ra-  gione egoista , ostinata , feroce , senza pietà , senza discre-  zione , senza riguardi... una ragione che ricusa di ragiona-  re, e che vuol esser tiranna delle ragioni altrui... 1   Si difenderanno con dire , che , ncll’operare quel che ten-  tano , il fine loro non è contentare sé stessi , pregiudicando  indebitamente gli altri , c dando loro motivo legittimo di  querelarsi ; ma è proporsi cosa in sé buona : cioè , consi-  derato che gli stali son oggi , dove più , dove meno , in tal  mala guisa ordinali da render possibili per tutti , e inevita-  bili per molti , una gran quantità d’ ingiustizie , d’avanie ,  d’oppressioni cotidiane , senza facile riparo , e sovente sen-  za alcun riparo ; considerato per conseguente , che il mal-  contento il quale per gli uni è attuale , per gli altri è virtua-  le , e che il danno da tale o tale sofferto oggi , può percuo-  ter domani , o doman l’altro , a volta a volta , quelli anco-  ra che or sono contenti ; considerato perciò , finalmente ,  che , a distruggere il vizioso edificio delle odierne macchine  politiche per sosliluirvene un altro migliore , è meno anco-    Digilized by Google    — 109 —    ra contentare sé , che rendere servizio all’universale , e a  quei medesimi che ora per poca previdenza , per indolen-  za , per egoismo rifuggono dalle riforme e che ciò è poi  promuovere la causa sempre bella ed onesta della giustizia :  per tutte queste ragioni far essi cosa degna d’ approvazione ,  anziché di biasimo , perseverando nella impresa alla quale  si danno. Ma l’apologià nulla vale.   Primo : hanno eglino ben pensato , cotesti temerari scon-  volgitori delle civili convivenze, la massima gravitò del fatto  a cui s’adoperano? Uno stato è una somma immensa d’in-  teressi distribuiti e collegati tra tanti quanti sono in esso  gl’individui che sono, e que’che prossimamente , o più tar-  di , saranno. Ogni interesse si risolve esso medesimo in in-  numerabili subalterni interessi di cose e di persone , ed ha  sempre due parti : una che risguarda i privati , l’altra che  risguarda il pubblico , ossia 1’ universale. Quanto più una  umana congrega è matura a civiltà , ed in essa progredisce,  tanto più questi interessi crescon di numero e d’importan-  za. La prosperità privata e pubblica è tutta principalmente  fondata sul rispetto , sulla protezione , sui favore che otten-  gono si fatti interessi. È pur troppo certo (colpa delle im-  perfezioni umane !) , che non v’ha umana congrega , non  v’ha stato, dove gl’interessi qui mentovati riscuotano tut-  to il favore , tutta la protezione , tutto il rispetto che aver  dovrebbero, acciocché la prosperità fosse massima. Per con-  seguenza è purtroppo certo , che tutte le umane congreghe ,  tutti gli stati han sempre bisogno di qualche riforma , e di  molte riforme , e questo è bisogno che mai non cessa , per-  chè mai non cessano di rivelarsi e di generarsi i difetti di  rispetto , di favore , e di proiezione di che parlo. Qualche  umana congrega , o qualche stato , tanto alle volte soprab-  bonda di difetti di si fatto genere , che il riformarli si fa un  bisogno generalmente , e fortissimamente sentito. Ma , do-  po lutto ciò , può egli dirsi che sia cosa lecita e convenien-  te (per lo sdegno delle riforme che non si fanno da que’che    -©tgitized by Google     — llO-   lo dovrebbero , polendole fare) l’opera cbe , con privala au-  torità , vogliono alcuni collocare in promuovere tali con-  vulsioni politiche , dalle quali , secondo le maggiori proba-  bilità umane , queste immediate conseguenze sian per di-  scendere , che tutta, o quasi tutta la massa degl’interessi  privati e pubblici sia improvvisamente e grandemente tur-  bata-che moltissimi di essi patiscano enorme ed irreparabi-  le offesa , od anche intera rovina-e cbe , per un tempo più  o meno lungo , e sovente lunghissimo , nata , e durando ,  la lotta tra que’cbe si difendono, e que’ctie offendono , in-  nanzi alla vittoria decisiva , la quale di soprappiù non si può  mai prevedere per chi sarà , non s’abbia altro spettacolo  cbe di fortune ile a soqquadro , di famiglie desolate , di uo-  mini esterroinati , di civili battaglie e guerre... del commer-  cio rovinato , dell’industria spenta , degli studi intermessi ,  d’ abitudini d’ozio , di turbolenza , e di licenza introdotte ,  e di lutti gli altri mali di cui gli annali contemporanei trop-  pi esempi da più cbe mezzo secolo ci somministrano ? Per  poterlo dire , sarebbe almen necessario aver fatto un bilan-  cio: il bilancio de’ danni a’quali vuoisi portare riparo , e di  quegli altri, che , col fine d'arrivare a questo riparo, certa-  mente si genereranno. Ma questo bilancio , che , ne’ singo-  li casi , i temerari sconvolgitori odierni delle civili convi-  venze non fanno , e non han fatto , l’ba già fatta per tutti  la storia , e lo ha pubblicato. Essa da lungo tempo ha inse-  gnato agli uomini , che , di tutte le calamità , le quali pos-  sono cadere sopra un popolo , nessuna calamità pareggia  quella di ciò cbe si chiama una rivoluzione , massime dei  modo di quelle che oggi si macchinano , e si hanno in pen-  siero , od apertamente si minacciano. I cattivi governi... le  tirannidi d’ogni nome offendono gravemente alcuni , od an-  che molti ; ma , salvo certi casi rari come le mosche bian-  che , lascian sufficientemente tranquilli i più , e , nel loro  proprio interesse (voglio dire nell’interesse de’ governanti)  risparmiano il massimo numero : di guisa che le angherie ,    - -Pigifoedb y Goo gle    — lil-  le ingiustizie , sodo enormi iu pregiudizio d' alcuni; per  molti sono grandi , ma pur tollerabili e pazientemente tol-  lerate , per non pochi nessune. Al contrario , le rivoluzio-  ni , a quel modo che oggi s’ intendono , se pur non siano ,  come suol dirsi , colpi di mano , a coi per miracolo succeda  un immediafo e tranquillo riordinamento, per poco che du-  rino (e durano spesso una o più generazioni d'uomini) , of-  fendono tutti... anche que’che le han fatte , i quali , d’or-  dinario , finiscono col perirvi , essi e i loro. Finché si pu-  gna , è strage dalle due parti... la strage delle guerre civili ;  strage accompagnata di crudeltà mostruose e ferine , d’ec-  cessi contro a natura. Sono incendi , saccheggi , brutalità  d’ogni nome, e senza nome. Que’che non combattono , so-  no vittime spesso delle due parti combattenti. E chi può  prevedere quanto durerà il combattimento , quanto sarà  esteso , quante volte ripullulerà , or dall’un lato , or dall’al-  tro ? Chi può dire a priori , se vincerà Bruto, o Tarquinio...  se interverrà Porsenna.... se si troverà sempre un Muzio  Scevola , un Orazio , una Clelia... o se piuttosto Roma non  finirà per servire al re di Chiusi , come pur troppo la storia  rettificata oggi dice? Habenl sua sidera lites.-E intanto le fe-  licità dell’anarchia per que’che non pugnano ! Le felicità  delle dittature militari nel campo , o ne’ campi di battaglia ,  o dovunque armati stanno o passano ! Le terre le coltiverà  chi può, ossia non le coltiverà più alcuno 1 mercatanti po-  tran chiudere i loro fondachi , se tuttavia lo potranno , e  se non li vedranno messi a ruba ed a rapina prima del chiu-  derli. I ricchi fuggiranno , se lor torna fatto , ma fuggiran-  no in farsetto , se nou perdano la testa per via. Palagi , mo-  numenti , sa il cielo come saranno malmenati. Il danaro  rubato si dissiperà , come si dissipa sempre il danaro del  furto. L’altro sarà nascosto, o mandato all’estero. Poi la  penuria , la carestia , la fame , e seguace della fame la pe-  ste o l’epidemia. De’ costumi non parlo, né della gioventù  falciata innanzi tempo , o perduta ad Ogni buono impiego    Digitized by Google     — 112 —   per l’avvenire... Succederà , quando Iddio vuole , la villo-  ria ultima a chi Iddio vorrà darla (spesso nè agli uni , nè  agli altri , ma a' terzi venuti di fuori... ai Porsenna : secon-  do il proverbio , che tra due litiganti il terzo gode ; con che  sarà perduta l’autonomia , e da popolo che obbedisce a sé  stesso ed a’suoi , si sarà trasformati in popolo conquista-  to , in popolo assoggettato , in popolo profeto, in popolo-co-  lonia , in popolo vaceg-da -mungere ) , e colla vittoria ultima  sarà una specie di pace. Che pace però? La pace accompa-  gnata qualche volta da amnistie per tutti , se può sperarsi ,  che , come è disposto a dimenticanza vera il Vincitore , co-  si sia disposto il vinto : ma , se a questa seconda dimenti-  canza non si crede da esso vincitore , mancherà d’ordinario  la prima , e mancherà , alle volte , indipendentemente da  ciò , s’cgli creda che bisognin giustizie ed esempi , e se le  collere non calmate cosi consiglino , o le circostanze paia-  no cosi comandare. Ed allora s’avrà un altro tempo , più o  meno lungo , che sarà di terrori più o meno grandi , e di  severi gastighi , od anche aspri , che i gastigali chiameran-  no reazioni e persecuzioni , i gastiganti chiameranno neces-  sità , e opere di prudenza ; e chi oserà dire , in massima  generale , da qual parte sia la ragione ? — E questa vittoria ,  e questa pace , e i migliori lor frulli , per chi poi saranno?   10 l’ho già detto. Per chi vorrà Iddio : cosicché è possibile  (si torni bene a pensarvi sopra) , mollo frequentemente è  probabile , e facile a prevedere , se non si è ciechi , che non  sarà dalla parte di chi tentò la rivoltura : ma , o di quelli  contro a’quali fu tentata , o d’altri e d’altri, diversi , e non  aspettati , c non voluti , e non utili. Nel qual caso agli altri  mali s’aggiungerà quello che non s’avrà nemmeno il con-  tento d’aver guadagnato ciò che si cercava ; e s’avrà invece   11 dolore e la pena di avere aggravato il male che voleva al-  lontanarsi, o d’ esser caduti, come s’usa dire , dalla gradella  nelle brace. - Anzi non basterà a’rivoltuosi nemmeno l’aver  essi per sè guadagnata la vittoria : perchè aver vinto è po-    Digili^fid by Google    — 113 —   co. Ciò significa essere riusciti a distruggere , non significa  avere edificato , e poterlo e saperlo fare. L'opera della rie-  dificazione resterà ad intraprendersi : opera più difficile sem-  pre che non quella della distruzione : opera , che , ne' pae-  si , ove gli ordini antichi , colla violenza , si spiantarono ,  richiede , per solito , anni moltissimi , e talvolta secoli , in-  nanzi all’ esser condotta a qualche buon termine : opera ,  in questo mezzo , tutta di prove e di errori , tutta d’esita-  zioni , tutta di conti sbagliati e da rifarsi ; vera tela di Pe-  nelope da far disperare del compierla ; e che quando pur si  compie si trova ben altra da quel che s’era immaginato , fi-  nita da altre mani , sotto l’impero d’altre circostanze , so-  vente di altre idee , tale insomma che , per ultima conclu-  sione si riconosce essere un imperfetto sostituito a un altro  imperfetto , dove ciò solo di sicuro che emerge è la certez-  za del male immenso che si è fatto a pura ed inutile perdi-  ta.... (1).   Secondo: e fin qui ho supposto che si parta almeno da un  motivo più o meno evidentemente giusto dell’ operare le ro-  vine che vogliono operarsi, col fine huono , sebbene con    (1) Non si crede vero? — Un’occhiata allo Stato d’Europa ila sopra a 60 an-  ni in qua. Veggasi piti che altro la Francia. Vcggansi poscia le tante repubbli-  che succedute alle mutazioni americane. E mi si opporrà, per avventura, il  solilo modello della repubblica degli Stati Uniti d’America ; cioè un esempio  sufficientemente favorevole contro a molti contrari. Questo è la pruova del  terno vinto , che è la rovina di tutti i dilettanti di giuoco. La repubblica de-  gli Stati Uniti d’America ha incontrato quattro fortune piuttosto uniche che  rare. 1. La fortuna d’ essersi imbattuta in un Washington. 2. Quella d’essere  stata , quando cominciava l'affrancamento un paese nuovo , e d'una popola-  zione assai sparsa In mezzo alla quale le fermentazioni e i conflitti delle idee  meno eran facili. 3. Quella d’averne avuto a progenitori , uomini già educati  a libertà , ed a reggimento presso a poco repubblicano. 4. Quella d’aver do-  vuto lottare contra un potere lontano.... troppo lontauo , e con validi esteri  aiuti. E ancora , prima di giudicare il bene o il male del reggimento che si è  conseguito di stabilire, bisogna la sanzione d’ almeno un paio di secoli. Io non  lo credo fondato su base ferma.   8    Digitized by Google     — 1 ld —    gravo pericolo , e spesso quasi colla sicurezza di successo  non buono, o non proporzionatamente buono. Ma questa  giustizia del motivo v’è ella sempre? Chi la giudica d'ordi-  nario? e quanti sono que’che la giudicano? Uomini d’espe-  rienza? Uomini i più sapienti nel popolo? Uomini che co-  noscou bene lo stato vero delle cose? Uomini, che non si  lasciano illudere dalla passione? Uomini capaci di pondera-  re , non solo se il motivo è vero in qualche grado, ma se  è vero fino a tal grado da richiedere un pronto rimedio, da  non averiosi che per una rivoluzione? e da lasciare sperare  con qualche buon fondamento che per una rivoluzione di  leggieri s’avrà? Diamo un’occhiata al passato, ed al presente  prima di rispondere, e ricaviamo la risposta da quel che s’è  veduto, e si vede. - Ragazzi , e giovinastri, od uomini già  noti per natura torbida, e per naturale inclinazione a no-  vità. Gente impetuosa, violenta, a cui natura toglie il giu-  dizio freddo ed imparziale dei fatti. Persone di mano, e non  di testa, facili a prestar fede al male che si dice di que’che  odiano, e ad esagerarlo, ed a misconoscere il bene: tali che  .a reggimento ed a governo mai non dieder mano, e che  parlano di quel che non sanno, per un dicium de dieta. . .  tali che delle ponderate risoluzioni non hanno nè la scien-  za , nè 1’ abito, nè la capacità ; e il cui maggiore studio non  è curare, se quel che vogliono sta bene o male a volerlo ,  ma cercare come possano cominciare a ridurlo ad atto. E  cotesti formano il fiore dello stuolo. Gli altri son quali pos-  sono accompagnarsi a cosi fatti gonfalonieri , come subalter-  ni. Volgo proletario, che è facile sedurre con immaginarie  speranze, e mettere in fermento con fanatiche predicazioni.  Disperati e perduti per debiti. Piccoli ambiziosi, che consa-  pevoli della loro nullità e turgidi di luciferesca superbia ,  non altro mezzo veggono per sorgere, che il gittarsi a corpo  perduto tra i motori di cose nuove. Giovani entusiasti, po-  veri di mente e di cuore , in cui l’immaginazione prevale  al giudizio, il bisogno d’agitarsi e di fare al bisogno di starsi    Digitized by Google    — 115 —    con uu libro innanzi o Ira le pacifiche occupazioni d’ una  vita di sedentari negozi. Altri che seduce il mistero delle  sette, nati per essere schiavi in nome della libertà , e bruti  in nome della ragione. I seguaci di Calilina , quali ce li de-  scrivono Cicerone e Sallustio.... gli scherani di Clodio ... i  guerriglieri di Spartaco. Ora il senno di questi può con giu-  stizia decidere il tremendo problema delle rivoluzioni , e  della necessità del farle...? Poveri popoli condannati a pa-  tire la costoro malefica influenza! I disordini d’uu governo  cotesti son più atti ad accrescerli che a conoscerli , e a ri-  pararli. ,E il lor costume è di dire che il desiderio loro è il  desiderio di tutti, o almcn de’ più, perchè più di tutti essi  gridano , e s’ agitano , e accendon fuoco da ogni parte! Gli  altri che tacciono, e che col silenzio mostrano che non si  malesi trovano da dover gridare, non li contano. Son essi  il popolo vero; il popolo solo. Gli altri, che coraggiosa-  mente s’oppongono e gridan contro, non li apprezzano.  Chi sta in casa e bada agli affari suoi non fa numero. Chi  s’oppone è zero ! ! !   Tanto basti avere avvertito per giunta ali’altre cose dette  nell’antecedente articolo, e nel principio di questo. Si op-  porrà — Stando al precedente discorso, le rivoluzioni non si  potrebber mai fare ( vedi calamità !) , e i gravi disordini de-  gli stali non mai correggere. E Bruto primo ( po'ni esem-  pio ), e Bruto secondo sarebbero stati o due pazzi, o due  furfanti. E Roma avrebbe dovuto tollerarsi in pace quella  grande iniquità del regno, e quella maggiore di Tarquinio  secondo e di Giulio Cesare. E i popoli dovrebber soflferir  sempre, eie tirannidi sempre trionfare, lo rispondo. — In-  nanzi tratto non si abusi delle autorità. Sappiamo oggi tutti  la verità intorno ai due Bruti, non quale ce l'han trasmessa  menzognere storie, ma quale una bene illuminata critica  cereò di porla in chiaro in mezzo alle tenebre addensate su-  gli antichi fatti. Del primo Bruto poco può dirsi. Esso è mito  più che personaggio certo. Stando a quel che se ne narra.    Digitized by Google     — 116 —    bene addimostrò s’egli amava la libertà o la schiavitù diRo'  ma, nella famosa storia del bacio dato alla terra. Oggi si sa,  e ben sa, che Roma, innanzi alla distruzione dei Galli, non  fu mai si florida come sotto i re etruschi. La rivoluzione di  Giunio Bruto contra il Superbo , se risguardiamo agli effetti,  distrusse per lunghi anni la prosperità della futura capitale  del mondo, e non è sicuro che la preparasse. A essa dovette  Roma i mali d’ una lunga e disgraziata guerra , che condus-  se , come testé notavamo, all’assoggettamento a Porsenna,  il quale altro ferro non lasciò a’ vinti romani se non quello  che agli usi dell’ agricoltura sovvenisse. La città regina deve  la sua rivendicazione in libertà ai fatti della guerra infelice  del re chiusino contro ad Aricia e contro a’Cumani.E senza  Bruto , la tirannide del Superbo finiva al finir di lui : nè le  due catastroG, che successero , pel tentato repubblicano mu-  tamento sarebbero state. Se dal male venne poi bene alla  luoga,ciò non è il merito dell’ autore del male. I provviden-  ziali destini di Roma dovevansi compiere ad ogni modo. —  Quanto al secondo Bruto, si conosce nou meno a che buon  fine usci il cavalleresco, e sufficientemente odioso fatto del-  l’ingrato bastardo del Dittatore. Il fanatico non conobbe nè  i suoi contemporanei , nè i veri bisogni del suo paese. Fu  un povero politico, siccome un povero guerriero. Nè com-  batteva per la riforma, ma a chi ben riflette, contro ad es-  sa , voglioso di richiamare a una vita impossibile la degene-  rata e morta repubblica , la quale Cesare per ben di Roma  aveva distrutta. E il mondo che vi guadagnò? L’aver per-  duto un grand’ uomo qual senza dubbio era il vincitore delle  Gallie e di Pompeo, per fargli succedere un minore di lui,  nè manco despota di quello. — Nondimeno, io non voglio  abusare di questa maniera d’argomentazione. Certe rivolu-  zioni, che , dopo i primi mali prodotti, alla fine son riuscite  ad utilità ( una ogni mille ) io non voglio negarle. Voglio  negare che il massimo numero delle volte siano state atti  considerati e degni di lode, anche quando una utilità se ne    Google    — 117 —    trasse. Voglio osservare ch’elle sono giuocate di lotto , dove  il vincere è un caso assai raro, il perdere è la sorte comu-  ne; con questo di peggio, che il perdere non è mai di poca  cosa, nè d’uno o di due, ma di tutto un popolo , di tutta  una nazione, perchè la posta ( 1 ’enjeu ) è la fortuna di esso  popolo, di essa nazione, nel suo presente, forse nell’avve-  nire; sono le vite, gli averi, gli onori , ogni cosa più cara  che gli uomini s’abbiano. Voglio per conseguenza dire ,  ch'esse possono esser atto di disperazione o d’audacia, non  atto mai, o quasi mai di senno; e che sono un mezzo, e  qualche rarissima volta il solo ( della cui natura lecita od  illecita quanto a coscienza di buon cristiano è questione che  lascio decidere a’casuisti ) per liberare l’universale da mali,  più o men reali, e più o meno intollerandi , son però un  pessimo mezzo; uno di que’ rischia-tutto , che chi sente d’an-  dare a irreparabile ed imminente rovina, tenta qualche vol-  ta, come un’ultima speranza, quia melius est anceps, quarti  nullum experiri remedium , ma che aggiunge un biasimo di  più a chi , andando a rovina , per questa via l’ affretta , e la  rende più grave, più inevitabile.   Or, data, contro alle rivoluzioni in generale, questa sen-  tenza di condanna , qual rimedio dunque avranno i tiran-  neggiati , gl’insoffribilmente angariati , i giustamente e gran-:  demente malcontenti de’ mali ordini politici sotto i quali  gemono ? Vuoisi eh’ io tratti la questione storicamente , o  teoricamente? Se storicamente, dirò, con franchezza, spesso  nessuno. Perciò gli annali del mondo son pieni delle storie  di popoli non solo lungamente malgovernati , e barbara-  mente oppressi , ma sterminati senza rimedio , e cancellali  tutti interi dal libro della vita. Coraggio o viltà ; resistenza  e difesa sino agli estremi, od abbandono di sè, non ci fanno  nulla: chè spesso il tentar di liberarsi e di riscuotersi è sta-  to col proprio peggio , rendendo più tormentosa 1’ agonia ,  più terribile I’ eslerminio. In questa guerra , come in ogni  altra, è quale nel duello. Non vince sempre chi ha ragione.    Digilized by Googte     Cosi le disgrazie dei mali ordinamenti , e le pressure , son  come le pestilenze , come le fami, come gli altri flagelli che  cadono a volta a volta sulla nostra povera specie, a ventu-  ra , come un decreto di calamità e di morte , al quale ci è  forza soggiacere. Se parliamo poi teoricamente , dirò , che  in cielo non è scritto , che la giustizia in terra sempre vin-  ca. È nell’ economia del mondo, che il male non rade volte  domini il bene , e che la specie nostra riceva , a quando a  quando , dure lezioni per imparare umiltà e rassegnazione;  per accorgersi che non è qui il tribunale supremo dove si  giudicano le cause degli uomini in ultima istanza; per Ope-  rare o per temere una giustizia futura ; per credere un’ al-  tra vita. Noi tratteremo altrove questo argomento più alla  distesa.   Il rassegnarci sarà dunque lo scoraggiante unico dover  nostro? nè Iddio nella sua pietà e bontà infinita ci avrà dato  modo per ajutare la giustizia , se non a vincere, almeno a  generosamente difendere le proprie ragioni , a virilmente  protestare contro alla iniquità e al sopruso? Questo io non  pretendo, e nessuno lo pretende. Quel ch’io pretendo, e ciò t  che i savi pretendono , richiede un più lungo discorso.   A chi , senza passione, studia i casi dei popoli quasi sem-  pre appar chiaro, che si fatta specie di mali assai radamente  sono senza manifesta colpa o cooperazione di chi vi soggia-  ce. Si soffre perchè s’è meritalo di soffrire. I figli pagano la  pena degli errori de’ padri. E tuttavia, se par non esservi  rimedio, è che manca le più volte piuttosto la sapienza e  la virtù per emendare il danno, di quello che la possibilità  d’emendarlo. Un popolo che soffre ( giova ridirlo ) , soffre  ordinariamente, perchè è degno di soffrire; ed allora il sof-  frire è una pena meritata, e il non saper liberarsi di questa  pena, e il seguitare di essa è ugualmente sua colpa. Dove i  probi , ed i sapienti, e i fervidi amatori del pubblico bene  abbondano, l'amor del giusto e del vero necessariamente si  prepondera, che l’ingiusto ed il falso non possono alligna-    Digitized by Google     re , od allignando non possono guadagnare rigoglio, e non  finire col diseccarsi fino alla radice , e col perire. Perchè dal  retto apprezzamento , nel maggior numero , di quel che è  buono e cattivo, e dall’avversione per questo, e dal biso-  gno di quello , si genera di necessità ciò che si chiama la  forza della opinion dominante , che è tanta parte della forza  delle cose , la quale, allorché ha saldo fondamento di veri-  tà , dura, e non domina da burla. I cattivi , se vi sono, al-  lora han più vergogna , e a lor malgrado , si nascondono ,  e non osano, o, se ardiscono , sono presto repressi , senza  strepito d’armi, dalla generale riprovazione, la quale, in  innumerabili , prende la forma di coraggio civile , che dice  animosamente, ma pacificamente, e con tulli i modi legali,  il vero : ciocché è possibile, ed alle volte è probabile, che  nuoca a chi lo dice , ma non è possibile , nè probabile, che  non Gnisca col giovare all’universale, secondo che gli esem-  pi di sì fatto coraggio fruttifichino , si moltiplichino , e si  rinnovino. In altri prende la forma di pubblica e franca dis-  approvazione , tanto più efficace, quanto men turbolenta,  quanto meno esagerata. In tutti prende ogni legittima for-  ma , per la quale sia possibile arrivare , senza eccessi mai ,  nè disordini, all’emendazione del malfatto. E il malfatto bat-  tutto da tante parti, ed in modo si misurato, si degno, sì ani-  moso^ nel tempo stesso si prudente, potrà bene sbizzarrirsi  ancora qualche tempo, ma non vincerà la pazienza e la viri-  le e nobile resistenza di quei che giustamente si querelano ,  si bene sarà vinto con assai più prontezza che altri non im-  magini.   Ma dove cittadini della forte e virtuosa tempra ch’io dissi,  o difettano al lutto , o sono in minimo numero, e gli altri  non sono che turba ignobile , impastata d’ egoismo e di vi-  zio , primo (torno a dirlo perchè bisogna) , la perseveranza  e l’ immedicabilità del male a torlo è querelata. Essa è un  effetto le cui cagioni principali sono in chi si querela, come  dianzi affermavamo: secondo, è allora solamente che in mez-    — 120 —   zo a popolo depravato si giltan fuori falsi medici ; cioè quelli  che han fuoco soprabbondante di passioni per isdegnarsi di  ciò che materialmente si soffre, e per accender lo sdegno al  di là d’ ogni equa proporzione col suo fomite ; ma non han-  no , nè senno per conoscere e pesare quel che conviene e  quel che no , nè virtù per saper soffrire quel che non può  evitarsi , nè altro di ciò che bisogna a dar buono indirizzo  al pensiero riformatore. E son eglino che non contenti di  sbagliar essi la strada, traggon fuori di via gli altri, già pur-  troppo , per ipotesi , poco alti a fare saper quel eh’ è il de-  bito. Eglino che screditano la moderazione, i mezzi legali e  pacifici, e tutto che non sia l’impeto loro sconsigliato e paz-  zo. Eglino da cui nasce e prende piede la falsa opinione del-  l’ impossibilità del bene o del meglio senza ricorrere a’ loro  forsennati e pericolosi divisamenti.   E già troppo di questo argomento s’ è favellato. Ma fin qui  noi, per cosi dire, non abbiamo che girato attorno al mas-  siccio delle questioni nostre. Ciò è la trattazione del governo  in sè , che si vuole ostinarsi a considerare come una ema-  nazione pur sempre di quella sovranità del popolo, di che ab-  biamo già detto parecchie indirette parole, ma non le dirette  che si richiedono. Direttamente dunque ornai favelliamone,  e cerchiamo che il discorso abbia l’ estensione che l’impor-  tanza del soggetto richiede.    --Digitized bv Copp ie     ARTICOLO VI.    De’ governi, e delle sovranità in generale.    Si : nessun assioma più oggi è fitto nella mente degli uo-  mini, che quest’ uno , tenuto come principale — La sovra-  nità risiede , per sua essenza , nel popolo — Chiedete intanto  a que’ che cosi pronunziano, qual cosa , in si fatto assioma  delle piazze e delle conversazioni, significa per essi sovrani-  tà , che cosa popolo : chiedete l’ analisi e la sintesi teorica e  pratica dell’ idea che innestano a questi due vocaboli : chie-  dete la spiegazione delle dottrine , che da esso assioma vo-  glion dedotte, od almeno de’suni più immediati conseguenti;  e vi accorgerete esser quello , al maggior numero di loro ,  niente altro che una frase oscura e d’ indeterminata signifi-  cazione, la quale permette interpretazioni le più diverse, e,  purtroppo, lascia sovente libero il luogo alle più strane e le  più assurde.   Come intendete voi , brav’ uomo , questo che oggi tutti  dicono — Il popolo è sovrano ? — dimandava io, son or po-  chi giorni, a un mercenario, il quale, per prezzo, prestava  alla mia casa non so che faticoso servigio — Rispose — L’in-  tendo , che tutti dobbiamo comandare — Io ripresi — Ma ,  se tutti comanderanno, chi dunque obbedirà? — Senza per-  dersi d’animo, egli soggiunse — Que’ che han comandato fi-  nora. I nobili ed i preti. I ricchi e gli usurai. Quei che pos-  seggono e possono, mentre noi non abbiamo fin qui posse-  duto , e potuto nulla — Ed io — Ma non sono essi ancora  popolo , e del popolo , e perciò , almen almeno , cosi legit-     ' — 122 —   (imamente padroni della lor parte del comandare , quanto  I’ han da essere gli altri? — Ed egli — La parte loro di pa-  dronanza l’hanno esercitata e goduta anche troppo, giacché  l’hanno adoperata soli e sempre. Una volta per uno. Adesso  tocca a noi. Essi non eran popolo, nè del popolo , quando  comandavano , e lasciarono esser popolo, e del popolo, so-  lamente a noi poveretti. Dunque , giacché s’ erano separati  dagli altri, ne patiscano la pena... — Ecco come il volgo in-  terpreta la sua sovrana potestà ! Un abuso sostituito ad un  altro abuso : una tirannide ad un’ altra tirannide ( conces-  sogli anche, senza esame, nè disputa, che ogni poter sovra-  no dell’ antico modo sia stato, sia, e non possa non essere,  che abuso e tirannide ; concessione , la quale dicano i di-  screti se possa farsi. Certo , in coscienza , io non posso far-  la. ) — Ritorniamovi sopra.   11 secolo interroga — Di chi è per naturai diritto la so-  vranità ? — E son io questa volta , che voglio rispondere.   Nè tratterò prima la quislione , che chiamano pregiudi-  ciale : se quel che lilosolìcamente parlando , sembri a talu-  no , od a molti , od anche a lutti , di naturai diritto assolu-  o più sono per anda-  re , innanzi , avvegnaché in si fatti popoli , le sempre cre-  scenti disuguaglianze stabiliscono , per legge di ragione ,  una necessità di gerarchie , per le quali vuole giustizia , che  gli uni siano maggiori degli altri a vario grado , e la sovra-  nità s’ attemperi all’ordine gerarchico, il quale natura ed  arte hanno stabilito , o son per istabilire.   Ma essenza della civiltà non è meno un immenso campo  aperto alle passioni ed ai vizi i più detestabili, come alle vir-  tù più nobili. Da una parte avarizia, invidia, rivalità, egoi-  smo , ambizione , tradimento, perfìdia, frode, broglio, se-  duzione, baratteria, truffa, usura, ladroneccio, mariuoleria,  stupro, adulterio, dissolutezza, maltolto, accattoneria , ac-  coltellamento, assassinio , e cento altre mila simili , o peg-  giori, depravazioni e miserie d’una civiltà volta a contrario  fine : dall’ altra filantropia vera , generosità , carità , longa-  nimità , sacrifizio abituale di sè , e delle cose sue , date a  pubblico e privato vantaggio, assistenza a chi è in bisogno,  disinteresse , rettitudine eminente, desiderio intenso del be-  ne, orrore del male , coraggio militare e civile , infaticabi-  lità , zelo, larghezza di consigli, d’indirizzi, d'aiuti... virtù  cristiane. . . virtù civili. Or ciò fa una seconda categoria di  disuguaglianze , maggiori ancora di quelle che precedente-  mente consideravamo in più special modo ; disuguaglianze    Digitized by Góogle    — 153 —    che hanno un gràdo intermedio de'non buoni e non cattivi  abitualmente, ma degli andanti a orza. Donde la convenienza  di tener gli uni come peste del popolo, e come non popolo;  di diffidare grandemente degli altri , c di non aver fede , a  pubblica e comune utilità , che de’ già provati ottimi , nei  quali le altre condizioni pur concorrano. E di qui una nuo-  va ragione perché la democrazia pura a’ popoli civili tanto  men s’ attemperi quanto son più civili , e contenenti perciò  nel loro seno , al fianco di molti ottimi , molti (tessimi , e  molti che stanno tra l’ ottimo e il pessimo. Il perchè , se, a  priori , e secondo le suggestioni astratte dal senso comune ,  in essi popoli avesse a crearsi una sovranità, certo ogni sua  parte sarebbe agli uni negata assolutamente , agli altri non  concessa in ogni cosa, e ridotta , nel generale , a più o men  ristrette proporzioni ; e riservata o interamente, o nella mas-  sima sua dose, a’ soli degni di questo privilegio. In che può  ben essere una difficoltà grande d’esecuzione; ma ciò non  toglierebbe che in teorica ciò avrebbe a giudicarsi il meglio  da ogni savio.   Per ultimo l’essenza della civiltà è il creare innumerabili  maniere d 'interessi , de’ quali non è vestigio nella vita delle  selve , o delle capanne : interessi principalmente materiali ,  odiali e screditati da quei che vorrebbero ricondurre gli uo-  mini alla vita della selva e della capanna ( o lo confessino ,  o no, perchè chi vuole il mezzo vuole il fine ); ma interessi  tanto connaturati a ogni società civile, che il turbarli a qua-  lunque grado è fare a un popolo uno dei maggior mali che  possano farglisi. Tali sono gl’ interessi di possidenza, gl’ inte-  ressi d’industria promossi da qùe’ primi , gV interessi di fami-  glia, gl’interessi di condizione , ed altri che non accade speci-  ficare più a minuto. I quali da due parti si possono riguar-  dare: dalla parte di coloro a chi spettano; e dalla parte del-  I’ universale , in mezzo a cui sorgono, e si moltiplicano. E,  dal primo lato, giova dire, che hanno essi una origine, della  quale , se sono artificiali i modi , è da natura la principale    Dìgitized by Google     — 154 —    radice. Perché è natura l'amare noi stessi , e i nostri con-  giunti , e il nostro e il loro bene ed agio ; natura l’ istinto  della proprietà, o del possesso di quél ciré ci troviamo avere,  e di quel che andiamo procacciando man mano ; natura il  cercar di crescere questo capitale nostro, che non siam pa-  droni di non considerare come facente colla nostra persona  un sol tutto , per tal guisa , che , quanto fa esso maggior  somma , tanto fa più grande la nostra importanza , il nostro  ben essere terreno, il sentimento d’ esser meglio che altri  riusciti a soddisfare il bisogno ingenito d’alzarci con ogni  nostro onesto sforzo , non per soperchiare chicchessia , ma  per obbedire, anche in questo, alla legge di perfettibilità e  di progresso ; natura quindi ( ciò che istintivamente a un  modo medesimo ammise presso a poco ogni popolo ) , il  chiamare ed il credere legittimamente nostro l’ ereditato ,  il donatoci , il comperato , l’ottenuto , si nel peculio , e si  nella superiorità della condizion relativa a che s’ è giunti ,  o in che s’ è nati... il guadagnato e l’avuto dal lavoro, o da  traffichi di buona lega; (ìnalmerite natura il riguardare l'in-  teresse proprio d’ ogni forma come non si esclusivamente  proprio della persona , che non s’abbia a riguardarlo quale  un interesse, ad un tempo , dell’ intera famiglia alla quale  apparteniamo, finché sarà essa per durare e per estendersi.  E di qui categorie di ricchezza più o meq considerabile, in  opposizione colla povertà ; di patriziato più o meno emi-  nente , in opposizione col terzo stato e col volgo. Di qui  tutta la scala delle fortune, per che uno è Grasso, o Luculio;  un secondo è un accattone di strada; un terzo è un che vi-  ve del suo, masotlilmente, con quel che basta, e con nulla  che avanzi — Da un altro lato, se gli effetti di ciò, nell’uni-  versale de’ cittadini, si considerino, quantunque a dì nostri  molta sia la proclività de’ novatori al gridare , questo esse-  re, non pur soltanto ingiustizia degli uni contro degli altri,  ma ( quel ch’è peggio) gravissimo danno, gl’imparziali e  giudiziosi però non cosi vorranno affermare quando ben vi    Digitized by Googte     — 155 —   riflettano, e quando massimamente volgan l’occhio alle con-  seguenze ultime.   Per chi ben guardaci! mondo è fatto in modo, cosi aven-  do il creatore disposto , che non può uscire di questo di -  lemma ; o dell’esser composto di lutti poverissimi , costret-  ti , per sussistere, alla vita selvaggia , e nomade , e di cac-  ciatori ; senza nemmen pastorizia , non che agricoltura ; o  dell’ esserlo d’ uomini, i quali, cominciato a gustare le ma-  teriali e miste dolcezze .d’ un viver più confortevole , più  agiato , meglio congiunto con que’che s’amano, e co’quali  s’ ha strettezza di sangue , più che le gustano , più ne di-  vengono avidi, e più speronano la propria attività per pro-  cacciarsele , ognuno, nella maggior misura possibile , senza  essere impedito o disturbato , e più se ne creano quel che  si chiama un loro interesse individuale, a cui tengon tanto  quanto alla propria vita : ed allora, secondo che un s’ in-  dustria più , un altro meno, uno piu è destro, un altro ha  manco attezza , ecco a poco a poco ricchi e poveri , possi-  denti e proletari , banchieri , mercatanti in ogni ragion di  mercatura e di commerci, agricoltori , fabbricatori, merce-  nari, patrizi, e plebei... uomini accasati e vagabondi , capi  di bottega e garzoni , e manovali , padri di famiglia e sca-  poli ricusanti la briglia delle nozze per amore dell' allegra  e libera vita, quegli che ha la casa e la vigna, e quegli che  non ha nè la casa, nè la vigna... E l’amore di ciò crescendo,  cresceranno le distanze tra gli estremi , o le differenze. —  Or quello è barbarie , questo è quel che sempre s’è chiama-  to la civiltà , il progresso , o della civiltà , e del progresso, .  effetto, ad un tempo , c causa e criterio e simbolo il più  visibile. Volete voi una civiltà , invece , ed un progresso ,  senza questi effetti? Voi vi fate illusione. Avrete un ricadere  infallibile nello stato barbaro.   Imperciocché , si pubblichi , a cagiou d’ esempio , una  legge domani, non dirò che abolisce ogni proprietà, ma dirò  che abolisce, pur solo , la libertà de’ cumuli, e degli accre-    DigifeeobyXìoogle     — 156 —   scimenti , nella possidenza così detta , e che con una nuova  divisione di tutte le terre distribuisce per teste il suolo, as-  segnando a ognuno tanti iugeri, e non più. Aggiungansi al-  tre leggi , che quanto è danaro faccian colare spartito coe-  gualmente , o più o men coegualmente , su tutti. Chi non  vede la conseguenza forzala? — Tu che non puoi coltivare  colle tue braccia , con quali braccia coltiverai? Con quelle  d’ un operaio preso a mercede? Ma l’operaio è possidente ai  par di te , ed ha i suoi propri iugeri da coltivare. Se ad-  doppiando la fatica , pur si darà braccia anche per te , si  contenterà più egli di coltivare il tuo con quello stesso sa-  lario con che te lo coltiva oggi? Vorrà raddoppiarlo, o aste-  nersi , perchè non ha bisogno ; e tu dove troverai questo  doppio danaro che t’ è necessario, se vuoi che i tuoi pochi  iugeri ti faccian mangiare? Dove lo troverai , se sei di co-  loro, i quali s’avvezzarono a vivere col solo frutto della loro  possidenza , e non saprebbero far altro? (Oltre di che, se Io  trovi, c glie lo dai, egli diverrà comparativamente il ricco,  e tu diverrai , viceversa, il povero , ristabilita cosi a rove-  scio , comechè dentro piu ristretti limiti , la differenza di  fortuna , e ripristinato , per contrario verso , un nuovo bi-  sogno di livellazione ).   Ma, educato come sei, non ti basta, pe’ pochi iugeri che  ti son dati , o che ti restano dopo lo spoglio, il trovare col-  tivatori. Ei ti bisogna trovare un che dell’ amministrazione  s’intenda, più di quel che tu ne intendi, tu che, probabil-  mente , non vi pensasti mai , volto ad altro il pensiero , e  solito a farti servire in tutto ; e questi ancora non vorrà  spartire il suo tempo tra l'azienda della propria coltivazione  e della tua, senza esserne ben pagalo egli stesso. Ecco dun-  que per te una nuova necessità di pecunia , che non saprai  donde trarre. Ecco, se tu arrivassi a trovarla su i risparmi  eccessivi che t’ imporresti , una cagione per esso di sopra-  stare a te nell’ avere, e di turbare il livello, quanto almeno  il misero sistema che analizziamocomporta (colla conseguen-    Digitized by Googl    — 157 —    za poi del bisogno di sconvolgere nn’ altra volta la società,  per novamente livellarla, quando il ricco sarà diventato po-  vero, e il povero ricco). Ed ecco, se, non ostante ciò, non  potrai trovarne quanta te ne bisogna, ecco dunque, ripeto,  cbe i tuoi pochi iugeri non ti serviranno a nulla , e re-  steranno incolti , con danno anche pubblico , e tu morrai  di fame. —   « Muori pure, tu fuco nell’alveare della nazione , tu il  « quale non meriti vivere» dirà la legge nuova, che, senza  scrupolo, e senza badare a numero, vuole uccidere una  eletta parte della popolazione a profitto del nuovo mondo,  il quale s’avvisa di fabbricare. « Muori tu, con tutti i tuoi.  « Resteranno , con maggiore utilità, cittadini più laboriosi,  « tra’ quali que’cbe prestan le braccia e la direzione per  « coltivare, saran pagati con quel cbe lucreranno i non col-  « tivanti con altre occupazioni retribuite. » — Ma che oc-  cupazioni potranno esser queste? Arti, per esempio, di  lusso? Tu burli. Queste no : perchè il lusso è una superfluità  per que’gran birboni de’ ricchi, cbe necessariamente costa  cara, essendo cara la materia prima, care le operazioni de-  stinate a trasformarla , e le spese di manifattura ; ciocché  fa , che il prezzo loro è necessariamente alto ed altissimo ,  e perciò irreperibile in un popolo dove ricchi più non sono.  Dunque non più carrozze, non più arredi preziosi , non più  drappi sfoggiati , non più cristalli e porcellane di Sevres ,  non più ori e gemme ed argenti , e per analoghe ragioni ,  non più statue , non più pitture, non più palagi , non  più parchi , giardini di piacere , cavalli di pompa , vil-  le... cose tutte riservate a’ paesi infelici dove duri la servi-  tù degli uomini... Quali pertanto , nella beata tua Sparta,  saranno le arti, a che que’chenon vogliono, o non sanno, o  non possono, coltivar la terra, o fare al più vita di pastori,  potranno darsi , per isperare sostentamento, e possibilità di  coltura alle poche terre, che la legge agraria avrà voluto as-  segnare alla loro incapacità? Siccome la consumazione è quel-    l>p i _ d by Coogle    — 158 —    la che regola sempre la produzioiìe , saranno > salvo poche  eccezioni , le arti che si chiamano di prima necessità , ed  elle stesse ridotte alla loro pili grossolana e più rozza e men  costosa espressione.... E questo non si chiamerà rendere la  spezie umana retrograda , e distruggere la civiltà ! ! ! Que-  sto sarà il secol d’oro ( senza l’oro , e ricacciato nel fan-  go dei consorzi umani che sono in sul cominciare, e  che tengono ancor molto della primitiva creta senza ver-  nice ).   E io qui non parafraso l’argomento, e non lo-scorroper  ogni suo punto, piacendomi a descrivere tutti gli altri con-  seguenti: gli studi scaduti, le occupazioni geniali vegnenti  meno , lo slaucio, il potere degl’ intelletti inceppato ... a  dir breve, la condizione di tutto il popolo condotta solleci-  tamente a quella forma, che oggi, per trovarla, dohhiam  salire le montagne più selvagge, insinuarci ne’ villaggi i più  rozzi....   Pur so qùel che si risponde dai gros bonnels delle nuove  filosofìe politiche. Non son essi cosi bestie da non vedere  tutto ciò , per poco che vi riflettano, cosi limpidamente come  noi lo veggiamo... Ma essi han due lingue in bocca. Una  colla quale parlano al volgo; un’altra colla quale parlano a  noi. La prima delle due lingue favella alla faccia del popo-  lo. — Divisione de’ beni — Distruzione de' ricchi — Abolizione  dell’ odierno ordine di cose col ferro e col fuoco — Sovranità  della moltitudine proletaria.... senza comento , senza restri-  zione. E la feccia del popolo accetta con alacrità questo sim-  bolo della sua fede politica nel senso il più letterale , il più  largo ; e vi crede ; e se ne infatua ogni giorno più ; e affretta  co’desiderii l’ istante , in che la legge agraria sarà promul-  gata; e odia intanto, e minaccia que’ che hanno, consi-  derandoli , come usurpatori del dovuto (!) a que’ che non  hanno ( e che non hanno fatto niente per avere ). Come  potrebbe essere diversamente? — La lingua, in questa  vece, che parla con noi, rinega, o piuttosto maschera    — 159 —    sì fatte enormità. Va per giravolte. Sostituisce alle idee trop-  po urtanti, ch’esse enormità rappresentano, altre idee che  mostran meno quel che è celato sotto. Propone tempera-  menti e sistemi , che creeranno una civiltà nuova, capace  d’ evitare, o d’attenuare Uno ad una proporzione innocua  i precedenti sconci. Utopie. Le Icarie d’ un Cabet ( da an-  dare a cercare in America , lontano lontano dagli occhi di  coloro, che potrebbero screditarne gl’ incunaboli , e rife-  rirne le miserie). I ComuniSmi sotto certe forme. I socialismi  de’Fourieristi e di Considerane diLouisBlanc, e di Prudhon:  sistemi confutati ogni giorno lecento volte da uomini sommi.. .  da uomini i più grandi, i più competenti della Francia, e del-  l’ altre nazioni d’Europa, e pur messi sempre innanzi colla  stessa impavida sfrontatezza , colla stessa subdola destrezza ,  fingendo, che confutazioni nou vi siano. ..che le dispute ab-  biano cessato , o non meritino la pena ’d’ essere intraprese  e siano state vinte ... che il giudizio dell’ universale ( non  quello delle proprie sette soltanto ) sia già intervenuto , e  sia stato favorevole : sistemi , uno de’quali è la confutazione  dell’altro: sistemi, non pertanto, ciascuno de’quali , cosi  ancor controverso, cosi ancor contrastato tra le file stesse  degli odierni rinnovatori del mondo , non si è già contenti  dell'ofirirlo solo all’esame ed alla disputa de’ ginnasi, com’io  pur altrove considerava, ina, prima d’averne posto fuor  d’ogni controversia la certa utilità presso almeno il maggior  numero degl’invitati a subirlo, si vuol pervicacemente tra-  durlo ad alto ; si vuole imporlo a tutti colla forza , e gua-  dagnargli la prevalenza del numero, colla seduzione, e con  arti di cospiratori !   Nè io, deviando troppo dall'argomento principale e diretto  di questo articolo , debbo qui imprendere d’ aggiungere una  confutazione di più alle tante che corrono il mondo, e che  si rimangono senza adeguata risposta. A me, per l’oggetto,  che mi son proposto , basterà fare una dimanda (lasciato da  parte il trattare, se quello di si fatti sistemi, che ciascuno    .ole    — 160 —   de’ parliti nuovi preferisce, e che, ad ogni costo, vorrebbe  sostituito, senza dilazione, al presente ordine di cose, bada  esser liberamente consentito, o si vuol che sia una confisca  violenta delle libertà di troppi a profitto d’ una futura rior-  dinazione degli uomini secondo la prestabilita formola d'al-  cuni, che non si vuol disputata , né sottomessa ad arbitrio  di rifiuto , ma si vuol accettata da chi non la crede buona  ed utile , come da chi la crede , ancorché chi non la crede  s’ostini invece a riputarla un esperimento eminentemente  dannoso ed assurdo, o per lo meno grandemente rischioso,  e pieno di pericolosa incertitudine). — Io farò la dimanda,  che sola qui m’ imporla. — 1 nuovi sistemi di congrega ci-  vile ( si risponda con franchezza ) manterranno si o no , la  diversità , più o meno , di specie e di grado negl’interessi ,  anche materiali, de’ singoli, come in generale, l'ordine  della civiltà mostrammo, per sua natura leudere a produr-  re? — Se no: dunque ( levata pure ogni maschera ) tutti ,  ne’ materiali profitti , avranno lo stesso ; tutti spereranno  lo stesso, o presso a poco lo stesso. Sparirà , o tenderà a  sparire , la libertà del mio e del tuo, almeno quanto alla  misura. L’attività, la solerzia, per ciò che spetta al ben es-  sere fisico d'ognuno, non recheranno alcun maggiore van-  taggio, che l’infiugardia, l’inerzia. La perizia più grande  nello stesso genere sarà materialmente trattata come la mi-  nore. Nella comunità nessuno avrà alcuno di quegli stimoli  stali sempre, che più energicamente e più universalmente  ed infallibilmente son motori al fare, non che al ben fare.  — Vi sarà ( vorrà dircisi ) il premio della maggiore stima  che si godrà da chi la merita, oltre alla soddisfaziou gene-  rosa dell’ animo proprio. Vi sarà il piacere di sentirsi loda-  to j di vedersi onorato, consultalo sopra gli altri. Ma que-  sto é dimenticare, che si fatto premio già c’é nell’ordine  odierno, e pur non basta senza quegli altri che oggi vi sono,  anzi non basta nemmen con quegli altri. Questo é dimenti-  care che noi siam composti d’anima e di corpo, 1' uno e    Digitized by Google     — 161 —    l’altra co’ suoi speciali bisogni , e perciò cogl'interessi , e  co’ diritti suoi ( purtroppo i secondi essendo , di più , me-  glio sentiti che i primi ). Questo è il togliere de’ due ordini  di molle, che natura ci ha dato per impulso al progredire ,  uno de’ più efficaci; il più efficace de’due; il solo efficace  pel maggior numero de’viventi : i quali, se anche colla giun-  ta della potente azione di si fatta specie di molle, si spesso,  tra color pure che son meglio educati e disciplinati, si ri-  stanno , c non progrediscono , o vanno all’ indietro, può ben  prevedersi quanto più si ristaranno dal progredire , od an-  dranno all’ indietro dopo la sottrazione che lor si minaccia.   Ma qui non si fermeranno gl’inconvenienti, poiché biso-  gnerà bene esser preparati al subire molti altresi di quelli  che già di sopra toccavamo , od analoghi a quelli. Tradotto  a pratica, uno od un altro di cotesti sistemi* per ipotesi ,  livellatori , senza bisogno di speciali leggi suntuarie, il na-  turale loro effetto sarà che diverranno per tutti ugualmente  interdetti certi innocenti , ma vivi, piaceri della vita, a che  pur ci ha preparato natura , e non ci è a disgrado che ci  educhi l’ arte ; cioè il magnifico vestire , la buona tavola  con una corona d’ amici del cuore, servita di costosi mani-  caretti , e di squisiti vini , e le altre , o simili cose ch’io di-  ceva ; come dire argenterie , oreficerie , tappeti, arazzi, bei  quadri , le sontuosità de’ palagi , le scuderie popolate da bei  palafreni , o da generosi corsieri .... cocchi , cacce , viag-  gi , villeggiature , libero ed ampio sfogo a’ propri generosi  impulsi , e ad altri , che, per essere men nobili, non ci son  però men cari, nè men sono innocenti.. ; il poter direasè  stesso. — Y’è qualche cosa... v’è molto , di cui son io pa-  drone... di che posso disporre a mio pien beneplacito, e di  che posso , con oneste arti, a me accrescere il godimento ,  quanto a farlo mi basti la volontà e l’ ingegno, chiamandolo  mio senza che altri me ne turbi, o me ne coarti ad una data  invidiosa misura, l’uso ed il possedimento. Questa è la vera  libertà del progresso. Questo è il progresso della libertà.   1 1    _ Dioifeed-bv Google    — 16-2 —    Libertà dell’ industria. Libertà piena «senza limitazioni. Li-  bertà , non della sola persona , ma di quello , che , com’ io  notava altrove, noi consideriamo qual parte , e connaturale  contorno e complemento della nostra persona terrestre, nel  senso che già esponemmo. Or si ponga ben mente alla con-  traddizione. Si dice, che, ne’ sistemi presenti di reggimento  de’ popoli le libertà son troppo vincolate , e non hanno il  loro legittimo slancio, tiranneggiandole soverchiamente tutti  più o meno i governi. Si dice, che il diritto al progresso è  inceppato ; che è giunto finalmente il tempo d’ affrancar  l’uomo dalle infami antiche catene; ed intanto i nuovi siste-  matici preparano al mondo forme di schiavitù inaudite , e  che non sono mai state. — La vita comune è d’ alcuni con-  venti, e si sa quanta abnegazione del proprio volere ed istin-  to costa, e quanto pesa , e quanta virtù esige perchè si giun-  ga a patirla senza lamento. Altrettanto è dello stare a parte  in mano , e del vivere a misura quale che siasi , ed a spil-  luzzico in ogni cosa , secondo che altri assegni o conceda.  Quel dover più o manco, giusta la diversità de’ sistemi, la-  mentare tra sè e sè con queste voci : « La famiglia me la  « usurpa in gran parte lo stato. La rendita me la limita lo  « stato. La nobiltà me l’abolisce lo stato. La eredità me la  « sequestra e me la impedisce lo stato » ( parlo qui special-  mente nella supposizione sempre dalla quale son partito ,  cioè in quella de’ livellamenti , qualunque siane il metodo  e la forma), non è egli un costringere ad esclamare chi cosi  considera « Io non son più meijuris ! — Io mi son fatto servo  « dell’ associazione d’ uomini nella quale sono entrato ! —  « Questo è ben altro che società sinaliagmatica di buona fe-  « de 1 — Questa è una società leonina , o una società da  « volpe ( ripeteranno ) , dove il più poltrone , il più ga-  « glioffo , il più stupido , il più disadatto, iLpiù vivente a  « peso degli altri è il più favorito o il più furbo, ed ha sti-  « polato in suo favore il monopolio del massimo vantaggio;  « mentre il più attivo , il più industrioso, il più ingegnoso,    Digitized by Google     — 163 —    « il meglio animato a fatica, quegli che del suo piu contri-  « buisce , è quegli eh’ è sopraffatto , eh’ è derubato , eh’ è  « vittima ! — Questo è il mondo alla rovescia ! — ? — Cosi  combinisi ogni cosa come lo si voglia, diasi d’ oro alla pil-  lola meglio che si sappia , cuoprasi con tutti i nastri che si  voglia la trappola , mal s'ha fiducia del riuscire a ingannare  altri che i più sciocchi. Da che l’ effetto ultimo sai che ha  da essere l’averti tirato dentro ad una società a capitale mor-  to, dove, nella liquidazione de’frutti , a te principale azioni-  sta , o dei principali , dee toccare un dividendo pari al divi-  dendo di chi non ha messo nulla, per poco che abbi saviez-  za, non si sarai gonzo da lasciarviti accalappiare. Dopo tutte  le quali considerazioni , per ultimo risultato , e per giunta  alla derrata , a si fatta conclusione non si sfugge , che l’al-  zarsi al postutto degl’ infimi , e di essi stessi fino a un limite  poco lontano e di piccola elevazione , gioverà ben poco alla  causa della civiltà e del progresso, e rabbassarsi a precipi-  zio, de’ nati per esser sommi, gioverà a questo ancor meno;  e perciò , che , contata ogni cosa , la conclusione finale sarà  il regresso sollecito degli uomini verso quella che sempre  s’è chiamata barbarie, non certo un’accelerazione di passo  nel verso opposto.   Se poi.ne’nuovi ordinamenti politici, che si ci si vantano,  per salvar la legge di progresso, e di civiltà, e della naturale  libertà di sé e delle cose sue, che alla civiltà ed al progresso  è tanto incitamento , vogliansi conservate le diversità negli  interessi di vario nome, si quanto a specie, sì quanto a gra-  do (ch’era la seconda parte del mio dilemma), dunque co-  stituirà ciò una terza categoria di disuguaglianze , crescenti  col grado del progresso e della civiltà ; e ammessa la realtà  di queste nuove disuguaglianze, come non dovranno gene-  rare elle ancora una disuguaglianza ne'diritti in ragione delle  disuguaglianze suddette ? Perchè , io non sarò di coloro , i  quali esclusivamente le convivenze umane risguardano sotto  l’aspetto di quelle società A’azionisli eh’ io poco là mentova-    Digitized by Google    — 164 —    va , dove i soli valori de’ puri interessi materiali d’ognuno ,  tradotti nell’ idea del proprio tornaconto , rappresentino le  azioni messe in comune, e quindi le correspettività de’ diritti  politici da godersi. Certo v’è altro eziandio, a che gli eterni  principii della giustizia distributiva comandano che s’ abbia  riguardo , e spesso un maggior riguardo; e alcune delle cose  dette di sopra mostrano in ciò la mia persuasione in questo  senso. Ma non son io nemmen di quegli altri, i quali la som-  ma e l’importanza disi fatti interessi non considerano affatto  nella ripartizione de’ poteri e de’ diritti a’ poteri ; e per que-  sto lato, tanta voce vorrebber data al mascalzone, il quale non  ha interessi di possidenza, non d' industria... non di famiglia  (od ha interessi tutti negativi , cioè tutti in opposizione co-  gl’ interessi di coloro, i quali nell’ alveare sociale sono Tapi  operaie e produttive ; tutti interessi di far guerra alla pro-  duzione, alla possidenza, all'industria... alla famiglia... ; tutti  interessi di disordine per pescare nel torbido) , quanta agli  altri pe’ quali la società va prosperando, cresce in affluenza  di beni, ed è corpo , regolare, utile , e conducente al fine ,  per cui principalmente le convivenze umane sono stabilite.        Digitized by Google     — 166 —   si dato mano , e solamente lo patiro-  no , di che il bene susseguente è poida ricompensa.    Digitized by Google    — 187 —    mili , esso uomo abbia or buono avviamento od indirizzo  alla riuscita , or non l’abbia , e ciò , alle volte per colpa  propria , o rispettivamente per proprio merito , altre volte  senza ciò, e contro a ciò: cosicché l’impiego de’ mezzi  aberra più o meno dal fine , e radamente vi conduce ; e ,  quando vi conduce , lascia sempre molto e moltissimo di  desideralo e non conseguito. Dove le volte , che più o men  si riesce , servono a mantenere l’attività nostra , e la spe-  ranza, e il coraggio, e a preservarci dal precipitare nell’i-  nerzia ; le volte che non si riesce , servono a ricordarci ,  che un potere superiore al nostro è dietro la tela , il quale  regge le coso umane , e con occulta sapienza, or ci dà i be-  ni della terra , or ce li leva , o ce li nega , acciocché pen-  siamo che non son questi il fin proprio e sommo a noi pro-  posto.   Ma poiché insonuna , concedo io pure , che al mal go-  verno l’ opporsi con onesti sforzi , invece di esser colpa , è  anzi spesso dovere , o quasi dovere (l’acquiescenza pura e  semplice , e la rassegnazione , quando fosse di tutti , poten-  do in alcuni casi divenire condannabile , rispetto almeno  ad alcuni: perocché è alto , non di sola virtù , ma di debi-  to , per quelli che han di ciò competenza : 1. l'illuminare,  a il cercar d’ illuminare , i depositari del potere, in quel  che veramente abbiano errato , od errino , massime quan-  di l’errore sia grave ed abituale : 2. l’adoperarsi a promuo-  vere la medicina de’ vizi radicali con indefessi , opportuni ,  e convenienti mezzi) , come dee procedersi iu questa dilli -  cile e delicata faccenda? — 'fiuti is thè qmstion — Ciò sia ma-  teria d’un    Digilized by Google    — 188 —    ARTICOLO XII.    Di quello che al popolo non ispelta , e spelta , in fatto di go-  verno e di sovranità , e del modo e della misura in che gli  spetta.    L’argomento io l’ho toccato qua e là più volle , forse con  un po’ di disordine , ma esprimendo con forza ogni volta  l’opinione della quale sono persuaso. Giova nondimeno  tornarvi sopra in quest’articolo , e dir con più grande asse-  veranza ancora , che in ogni altro luogo — la principal fon-  te degli errori , i quali sul proposito nostro si spacciano ,  e corrono oggi il mondo , stare appunto in questo atto d’u-  niversale superbia , per che , in cosa , la quale tanto è le-  gata a fatti providcnziali che si burlano, per cosi favellare ,  di tutte le previdenze umane ; la quale tanto poco dipende  dalla volontà de’singoli ; la quale tanto è superiore alla in-  telligenza delle turbe ; tanto è diffìcile ad essere trattata co-  me lo si addice ; tanto è poco alla a condursi per sole deli-  berazioni d’uomini quali che siano , a grado delle passioni  loro , e nel conflitto de’loro interessi perpetuamente fra lo-  ro lottanti : s’argomentano di credere tra tutti distribuita ,  ed a tulli appartenente la competenza del trattarla per Io  meglio loro. Don^c è poscia l’opinione si da noi combattu-  ta , che la sovranità , in radice , è di tutto il popolo , inalie-  nabile da esso , reversibile in esso , e rivendicabile per es-  so , tutte le volte che lo vuole ; esercitarle da ciascuno ,  individuatamente , ed individualmente , nella porzione più  o men coeguale che gli spetta ; residente di fatto , come po-  tere attuale ed accidentale nella maggiorità ( più o meno    Digltized by Googte    — 189 —   istabile di sua natura) de’cittadini , che sendosi data la pe-  na di concorrere ad esercitarla , convennero in un mede-  simo voto ; ma non ispettante di diritto normale ad essa ;  perchè la parte non può equivalere al tutto ; perchè chi  non ha parlato , non ha detto niente , e non s’è interdetto  di poter parlare quando che sia ; perchè il diritto delle mi-  norità , tanto piccolo quanto più si voglia , può essere op-  presso , ma non annullato , nè distrutto ; perchè , infine ,  non può non esser lecito a queste il cercar di farsi maggio-  rità la loro volta , acciocché il fatto della sovranità ad essi  o passi , o ritorni.   E , per vero , i fautori stessi delle anzidette sentenze ,  non osapo analizzarle , od almen confessare , i naturali con-  seguenti loro , de’quali conseguenti il principale è , che ,  cosi insegnando essi , vengono a dire, insomma , che la so-  vranità, comunque affidata come potere esecutivo, legisla-  tivo , giudiziario , o quale altro potere che siasi o che si  chiami , obbliga in diritto i soli consenzienti. : quanto agli  altri , li violenta , ma non può obbligarli ; o , ciò che vale  lo stesso , vengono a dire , che la sovranità è obbligatoria  di diritto per nessuno , giacché que’che le obbediscono , in  quanto sono consenzienti , evidentemente obbediscono a sè  e non a quella , cioè obbediscono alla propria volontà di  obbedire, nou alla forza imperante della sovranità, attinta,  in massima parte, dagli eterni principii della ragione e della  giustizia ; ed obbediscono perchè son contenti di farlo , non  perchè si credano obbligati a farlo ; ed , in que’che obbedi-  scono , in quanto , a lor malgrado , vi sono costretti , non  dall’autoriLà , ma dalla forza materiale , in essi ancora l’ob-  bedienza è un fatto sofferto , e non un dovere adempito ; e  un’ obbligazione estrinseca , e non un obbligo di vero nome ;  o , a dir meglio , è violazione di diritto , e non diritto , con-  tro alla qual violazione si ba invece il diritto di mettersi in  istato d’ostilità , di cospirare, di muover guerra flagrante ,  in detto ed in alto. Il che dire è negare la sovranità , e enn-    Digitized by Google     — 190 —   siderarla come ud fallo pur sempre , non come un diritto ;  Tatto di alcuni che soperchiano tutti , non diritto di tutti  contro a ciascuno ; tirannide , e non sovranità , pe’ dissen-  zienti ; cosa inutile , superflua , ed illusoria , o simulacro  di cosa pe' danti libero consentimento : ciocché bene inter-  pretalo , significa poi , che la sovranità , in quanto è pote-  re , pe’soli dissenzienti esiste ; ma esiste per essi soli come  una iniquità ed una ingiustizia , non come cosa mai legit-  tima e normale : verità si vera , che lo spirito logico d’ uno  de’ più sinceri , e de’ più espliciti tra gli antesignani del nuo-  vo liberalismo (Prudhon) non ha dubitato di confessarla e  dichiararla ad alta voce , e per istampa.   In si fatto sistema , pertanto , gli attualmente investiti  della sovrana potestà , e d’ogni sua grande o piccola parte,  quali e quanti pur siano , non sono che semplici incaricati  d’affari , privi di plenipotenza , e quasi direbbesi ad referen-  dum , o piuttosto godenti d’una plenipotenza frodolenta di  l'alto a tutto loro risico , e sotto la loro perpetua responsa-  bilità , come i generali di Cartagine ; sempre revocabili ,  sempre soggetti al sindacato di tutti e di ciascuno ; posti in  una siugolar condizione innanzi al popolo : perchè , ne’pae-  si dove tutto il popolo non è stalo chiamato , e non è con-  corso a farli (messo dietro le spalle ogni diritto di prescri-  zione e d’usucapione) sono come se non fossero; usurpatori  posti fuori della legge ; nemici pubblici , e niente meno di  ciò : ma , ne’ paesi stessi , dove il popolo è quegli che li  elesse negli universali suoi comizi , non hanno , per le ra-  gioni esposte di sopra , solidità e realtà alcuna di potere ;  burattini da filo quanto a tutti , e tali burattini , il cui filo  dev’essere spezzato il più presto , o quando il destro uc vie-  ne , quanto a’dissidenti.   Che se tutto ciò è rispetto alle persone, poco diversamen-  te dee dirsi rispetto agli atti loro , il cui valore intrinseco è  subordinato sempre all’apprezzamento libero e capriccioso  d’ognuno. Ed altrettanto è ancora delle leggi ; o sian pure    Digilized by Google     — 191 —    quelle che si chiamano Costituzioni , Carle , Statuti , o simi-  le... E cosi dislruggesi allatto , e si demolisce l’idea di go-  verno , e si sperperano le convivenze civili , rimettendo  ogni umana congrega nelle condizioni primordiali del viver  selvaggio , ricondotto a’suoi naturali e radicali elementi  d’indipendenza degl’individui , e di forza brutale del più  potente , o del numero maggiore , centra il più debole , o  contra il numero più piccolo.   Io invece , per finirla , riduco a queste non molte propo-  sizioni i dettati della ragion pura in si fatta perplessa mate-  ria, sottoposti nondimeno alcuni di essi, nell’applicazion lo-  ro, al prudente apprezzamento delle circostanze. —   1. Iddio , a farci appunto conoscere, nella presente im-  perfezione ed ignoranza nostra , eh’ egli è il padrone ( domi -  tius dominanlium ) , e che noi , per molto che immaginiamo  di esserlo , non lo siamo punto , o lo siamo assai poco , c  sotto sempre la legge della sua supremazia , dispose , c di-  spone, colla sua direzione occulta del mondo morale, come  del tìsico , le cose in modo , che lo stabilimento de’ gover-  ni , nel materiale , e nel personale , è (storicamente parlan-  do , cioè nella pratica , cosi come dalla storia universale e  particolare de’ popoli ci è dichiarata) un mero previdenziale  fatto , dato o coadiuvalo , sempre , o quasi sempre , da for-  za di circostanze , indipendenti il più spesso da ogni preor-  dinala volontà delle turbe ; per le quali circostanze , o con-  trastato , o no che sia ne'suoi cominciamenti , esso , da  una esistenza precaria , e spesso irregolare , passa , a poco  a poco , ad un'altra esistenza tacitamente consentita dall’uni-  versale , e pacifica , e con ciò legittimata ; rispetto alla qua-  le , l’azione indesinente de’ due principali fattori di quest’or-  dine di fatti ( e voglio dire , 1. il reggimento divino delle  cose umane , 2. quella dose di politico senno , che giunge  per solito , da ultimo , a scaturire da qualche parte) , più o  meri laboriosamente , viene a galla , a traverso d’ogni diffi-  coltà , in mezzo ai popoli , come una manifestazione inevi-    Digitized by Google     — 192 —   tabile alla lunga , dell’idea insita in tutti , ed eterna , tutto-  ché più o meno oscurata , di giustizia, di verità, di dovere;  ed allora quest’azione , or lenta , or sollecita , opera in gui-  sa , che l’intollerabile alla fine si fa tollerabile e tollerato ,  l’ingiusto si fa giusto, o meno ingiusto , l’improvvido o  provvido , o meno improvvido ; e nascono sistemi e vie di  compensazione , lenitivi , palliativi , rimedi ; e il male che  c’è , o che resta , non può superare una certa misura (tran-  ne quando un decreto terribile di Provvidenza vuol che le  nazioni periscano , o si consumino , e decadano umiliate e  contrite) , nè può non avere un contrapposto di beni : co-  sicché di questo misto si componga quella dose d’ infelicità  terrena , più o meno temperata , che è necessariamente com-  pagna di questa vita , punizione meritala agli uni ; scuola  di virtù , e mezzo di merito agli altri.   2. A vie meglio mostrarci la verità di questa dottrina ,  la Divinità ha in tal forma ordinato il mondo morale , che  in que’ secoli di contumace superbia , o tra quelle superbe  nazioni , in cui la verità c la presunzione della propria sa-  pienza più prevale tra gli uomini , e li spinge a voler tutti  fare e non lasciar fare , ognuno mettendosi innanzi , e cer-  cando d’esser primo, o de’ primi , ognuno volendo esser  dio a sé stesso , e governo , e governante ; ivi , ed allora,  è l’infelicità massima , il disordine massimo , lo sgoverna-  melo massimo , la guerra civile imminente o flagrante ,  l’anarchia , lo stato convulsivo , od epilettico , delle umane  congreghe : disordine , sgovernamenlo , guerra , anarchia ,  convulsione , epilessia , che seguitano finché questo perio-  do di presunzione non passa, e finché principii migliori , e  più giusti , non tornano a prevalere la loro volta.   3. Intanto perù è giusto confessare , che , se da un lato,  il Creator delle cose , per le ragioni che più volte adducem-  mo , non ha concesso agli uomini la perfezione in nulla , e  nè manco ne’governi , ed ha voluto tollerare , e permette-  re , a volta a volta, l’imperfezione, anche condotta , in    Digitized by Google     — 193 —   essi governi , fino all'abituale imperizia , imprevidenza ,  inettitudine , ingiustizia , e tirannide ; da un altro lato , ei  non ba voluto , in generale , abbandonare si fattamente la  specie umana all’ impero del male , anche sulla terra , che  non abbiale concesso , nella sua benignità , mezzi normali  di riparo , di resistenza , di rimedio (renduti, egli è vero,  per suoi segreti disegni , ora più , or meno efficaci) , e non  abbia perciò inserito nelle ragioni , le meglio addottrinate ,  de’ saggi in mezzo ai popoli il lume più o manco opportuno  a conoscere in ogni caso quel che è lecito , e conveniente ,  e necessario di fare per tentar diuscire di pena , d’ingiusti-  zia , e d’oppressione. Questa è almeno la regola generale ,  sebbene , purtroppo , convien dire , che talvolta , nel se-  greto della sua sapienza , esso Creatore , permette e tollera,  come altrove notammo, che sì fatto lume in pochissimi splen-  da , e quasi in nessuno : di che poi la conseguenza è , che  il male del malgoverho , o dura , o quel che è peggio, per  gli sforzi inconsiderati di que’che non vogiion patirlo s’ag-  grava , o sia che conservi , o non conservi le prime sue  forme.   4. Or quando a si fatto ultimo flagello non si è condan-  nati (pena , per solito , del lungo tralignare d’una civil con-  vivenza , confermata nel vizio, e nella cecità d’intelletto)  allora il rimedio , e il riparo , c’è , sol che tutti facciano il  dover loro ; e c’è senza le maledette rivoluzioni , senza le  illecite cospirazioni e sette. C’è per la forza pacifica ed in-  fallibile delle persone , e delle cose. Del quale riparo e ri-  medio le massime io le ho sostanzialmente , qui indietro  dette , nell’articolo 5.   5. E non è , che , in si fatto ufficio non abbia ognuno la  sua parte legittima. Solo bisogna confessare, che la parte  non può nè dev’ essere in tutti uguale, e la stessa. La pri-  ma e principal condizione è il coraggio civile (giova ripeter-  lo : il militare guasterebbe tutto, infondendovi dentro le  sue furie), coraggio prudente , ponderato , modesto , man-   13    Digitized by Google    — 194 —   tenuto sempre rigorosamente dentro i limiti del permesso  dalla legge, ma perseverante, istancabile, non in alcuni ,  ma nel maggior numero. Le leggi in nessun luogo son cosi  cattive , che non aprano più di un adito a raddrizzare i  torti, e a far fare giustizia. Bisogna non perdersi d’animo.  I forti debbono aiutare i deboli , dirigerli , farsene avvoca-  ti (1). 1 savi debbon dar mente agl’ insipienti. Questi debbon  ricorrere a coloro che la fama universale indica in ogni luo-  go come sapienti ed uomini da bene , per cercar lume , e co-  noscere se veramente ban ragione e diritto di lagnarsi , e  dentro che misura. Gli uomini da bene e sapienti non deb-  bono negarsi agl’inferiori.Tutti insistendo nelle vie consen-  tite da ragione e da legge , e facendo concerto perpetuo di  sforzi , ciò, senza essere una cospirazione illecita, e di set-  ta , e d' armati , è impossibile che non produca il suo frutto.  Ma non bisogna che i primi , a’ quali questo coraggio sia di  qualche danno personale , faccia» perciò meno il debito lo-  ro, o che l’esempio del loro danno distolga gli altri dali’i-  mitarli. Ciò ha da essere, come nella guerra. 1 feriti, non  perchè feriti, finché possono, lasciano il combattimento, se  aspirano al titolo di bravi : e i non feriti non fuggono per-  ché altri al loro fianco son feriti od uccisi. Solamente biso-  gna ben guardarsi dall’ uscir dalle vie rigorose della legali-  tà , e del rispetto che è interesse di tutti il non dimenticare;  e dall’ immaginare , o pretender gravami e torti, dove non  sono. Cosi adoperando, colla metà della ostinazione che gli  odierni settarii pongono nelle loro inconsiderate e criminose  mene , certo non è abuso di potestà , il quale non debba con    ( I) Ecco mio de' vantaggi innegabili dell' aristocrazia. Dov’ella è in forza ,  e bene e convenientemente stabilita , è 3i grande l' autorità sua , si connatura  to il coraggio civile , si spontaneo f intervento a tutela de deboli , che diffici-  lissimo riesce l'abuso del potere in cbi lo ha in mano , almeno condotto sino  a vizio abituale , ed a quell’eccesso ch'è tirannide intolieranda , od insipienza  equivalente a tirannide. V. pag. 66 , 67.    Digitized by Google    — 195 —   più certezza essere corretto , die tentando pazze congiure  a moderna usanza.   6. Nè nego, perfino , che quando i’ abusare nasca da im-  perfezione di legge , o di leggi, di questa o queste non pos-  sa legittimamente chiedersi il mutamento, e il raggiustamen-  to a più equa forma. Quando veramente costi, per consenso di  tutti tsavi, che le leggi sono cattive , o talmente imperfette da ren-  dere necessario un cangiamento, niun può trovare men che giu-  sto il desiderarne e il chiederne la rettificazione. Il male non  istà nel desiderare , e nel chieder ciò , ma nel desiderarlo e  nel chiederlo in modo illecito, arrogante, e perturbatore. Sta  nel volere a forza cattivo, quel che non lo è manifestamen-  te. Sta nel non andare a rilento in si fatti giudizi , e nei non  ben verificare ogni cosa a norma della sapienza scritta di  tutti i tempi , prima d'avventurarsi a pretendere che la cosa  è come la si pensa. Sta nel non aver occhio alle circostan-  ze, agli effetti probabili , agli scompigli possibili. Sta nel  mancar infine di buone bilance per non trascender mai la  giusta misura in nessuna sua parte : condizione più essen-  ziale ancora, acciocché niuno possa imputare di sedizione,  di ribellione, di fellonia ciò che nel qui discorso senso e  modo va operandosi (1).   7. Da tutte le quali cose vede ognuno che non discende,  nè l’obbligo assoluto di rassegnarsi al male , che evidente-  mente è male, nè l’assoluta assenza di mezzi per medicarlo.  Ma non discende nemmeno la pazza politica massima degli  odierni , che per ultima panacea propongono date forme di   v   (1) Queste sono le teoriche. Ma torno a dire , se i savi mancano, se mancan  d’ accordo , se v’ è funesto li svolgimento negl’ intelletti di que’ che so» cre-  duti tali ; se certi desiderii poco ragionati, e poco ragionevoli, si confondo-  no co’bisogni, solo perchè sono alia moda, e perché sono intensissimi; se  certe lagnanze son di minimi che si giudican massimi , e che fatte suonar  alto più disturbano che non giovino; se...? Allora come non tremare ncl-  P avventurarsi alla pratica? Iddio liberi i popoli dall’ esser condotti agli estre-  mi qui sopra ricordati; e dia loro la sapienza vera che li aiuti a scegliere il  miglior partito.    Digitized by Google     — 196 — ‘   governo applicabili a tutti i casi , come uua calza a maglia.   Delle democrazie pure già dicemmo quanto basta a provare  la loro imperfezione essenziale. L’antica sapienza rappresen-  tata da Cicerone stava per le Monarchie temperate, dove i  veri ottimati , cioè dove le capacità e gl’ interessi han voce  preponderante, e tra gl’interessi , meno ancora i fluttuanti  e transitorii ( sebbene questi eziandio ) , che i permanenti e  più tenaci, d’un buono e lodevole patriziato. S’ è perciò  giustamente levata a cielo la timocrazia di Servio Tullio —  la sapienza del Senato romano e dell’ aristocrazia inglese ,  corroborata dalle tradizioni di più secoli. Ma non tutti gli  ordinamenti ( ridiciamolo ) convengono a tutti i popoli e a  tutti i tempi: e chi non ne fosse persuaso, più d’un esempio  recente potrebbe addurne , fatto per iscoraggiare assai del  supposto valor pratico di certe teoriche, le quali poi,  quando si traducono in iscena, si risolvono in bliteri, e in  peggio che ciò, vale a dire in danno evidentissimo de’ popoli.  Grandissimo ( a miglior prova di ciò ) è il male che s’è  detto , massime nel tempo nostro, de’ governi assoluti ; e i  governi assoluti eglino stessi han poi per loro essenza e na- «   tura il grande ed intrinseco male, che con tanta generalità  oggi s’afferma? ( L’argomento loabbiam già toccato alcune  pagine indietro : pure importa tornarvi sopra un’ultima vol-  ta ). Messi a bilancia con tutte le altre forme di governo ,   e contati , e imparzialmente pesati, i vantaggi egli svantag-  gi , traendoli dalla verità storica d’ogni età e d’ogni con-  trada, e non dalle menzogne sistematiche di tale o tale al-  tro declamatore odierno, io non so se un uomo di delicata  coscienza oserebbe giurare, che la parte degli svantaggi pre-  ponderi, sempre totale contro a totale, cioè somma intera  di fatti contro a somma di fatti , dal Iato delle monarchie  pure, a quel modo che s’ama asserirlo. Per Io meno questo  conto, o vogliasi dirlo bilancio, non è mai stato instituito  colla debita accuratezza, e varrebbe la pena dell' instituirlo:  impresa tuttavia molto più difficile di quel che non si pen-    Digilized by Google    — 197 —    sa, e da più dotti , che non sono di gran lunga i giudici di  strada. Donde poi deduco, che , assai più alla leggiera di  quel che si dovrebbe , si pronunzia la sentenza assoluta di  condanna , la qual suona nelle bocche di tauti , più per mo-  da, che in forza d’ una dimostrazion rigorosa. Le ingiusti-  zie, le improvidità , le tirannidi s’incontrano in tutte le for-  me d’ ordinamenti politici ( cosi insegna la storia ) , e le  forme le più liberali n'ebbero , e possono averne all’ avve-  nire , di non minori che i più tristi degli assoluti governi.  — Quidleges sine moribusvanae profitiunt — (ridirò col poeta)?  Uno o molti che siano gl’ investiti dell’ atto della potestà ,  possono del pari abusarne ; e , se gli abusatori son molti ,  sarà il danno più grave assai , che con un abusatore unico,  tranne se alcun si piaccia del paradosso che più tiranni deb-  bono men nuocere d’un tiranno solo. Le responsabilità mi-  nisteriali , o d'altri ( nome vano ) si dovrebbe ornai sapere  da tutti quel che valgono. Le supposte guarentigie sono  sempre un preservativo, o un rimedio, più illusorio , che  vero. Cb’ buoni sono inutili, co’ cattivi sono insufficienti ,  per grandi eh’ elle sembrino. Dove furono concesse Ano ad  ogni richiesta misura, gl’incontentabili odierni se ne con-  tentarono forse? Le probabilità del maggior senno, che par-  rebber più facili ad incontrarsi nel consiglio di molti , di  quello che in una mente unica , non sono assai spesso , in  tempi di civiltà corrotta, e d’ambizioni flagranti, che un  vantaggio presunto , più che bilanciato, ed annullato dal-  l’ altre probabilità delle discordie intestine tra senno e sen-  no, e delle lotte che quindi nascono. E sovente è più biso-  gno di guarentirai da que’che sono scelti à guarentire, che  ragionevolezza di speranze le quali in questi ultimi si ri-  pongano.   Hannovi poi circostanze ( è giusto il ricordarlo ) , nelle  quali solo le pure monarchie valgono ad operare il bene  delle nazioni; e sonovi beni che soltanto dalle pure monar-  chie possono aspettarsi. Ad esse principalmente, se non    Digitized by Google     — 198 —   unicamente, parche abbia riservato la Provvidenza l'inca-  rico de' grandi mutamenti da operarsi ne’ popoli colla de-  bita rapidità, rovesciando i maggiori ostacoli : perchè il mo-  dificare ampiamente , e radicalmente, con forza, prontezza  e conveniente efficacia , le sorti d’un popoloso dimoiti  popoli a uu tempo, è parte quasi esclusivamente concessa  agli assolutismi de’ Sesostri , degli Alessandri , de’ Cesari ,  degli Augusti, de’ Carli Magni, de’ Federicbi, de’ Napoleoni,  certo non alle disordinate e burascose discussioni de’ sena-  ti, de’ parlamen li, de’tribunali, delle moltitudini deliberan-  ti. Sono sempre, o quasi sempre, gli assolutismi, che ta-  gliano ultimi il capo alle rivoluzioni , e creano ultimi la  stabilità delle paci. Sono essi una necessità pe’ popoli che  vanno in bizzarrie pericolose e distruttive. Sono essi a volta  a volta, grandissimi benefattori della umanità, piuttosto-  cfaè i suoi principali flagelli. £ di questa particolare virtù  de’ governi assoluti, quanto a prevalenza d' efficacia e di  rapidità , tanto hanno persuasione , perfino i moderni per-  turbatori, ( torniamo a dirlo sebbene altrove l’abbiamo già  detto ), clic solamente perciò hanno istituito, essi medesi-  mi, la obbedienza passiva delle sette, e l’assoggettamento  senza discussione, e sotto pene terribili, a’ capi di esse.   Tuttavia non voglio io qui farmi l’apologista esagerato  dc’governi di si fatto genere, e dissimulare gl’inconvenienti  a’quali vanno per solito espósti. Non voglio dare il piacere  a’ miei avversari, di poter dire ch’io sono un assolutista si-  stematico , perchè abbia con ciò bella occasione la rettorica  di certa gente del gittarmi alla faccia questo rimprovero se-  guitato da una mezza dozzina di punti ammirativi. Ho vo-  luto solamente dire che ancora essi governi possono avere  ed hanno il loro tempo, e la loro opportunità; ed in subiecla  materia esaminino (dirò di nuovo) i capi-setta sé stessi prima  di rispondere se è vero o falso. Mi basta avere indicato l’ir—  ragionevolezza della troppo universale condanna la qual di  essi governi è fatta, come di cosa assolutamente contro a    Digitized by Google     — 199 —   natura , e necessariamente riprovevole. Mi basta aver dato  a conoscere, die vale, anche rispetto ad essi, la regola gene-  rale, che non vi può essere una regola generale di proscri-  zione. Le circostanze, anche a loro riguardo , entrano per  molto nel giudizio, come in ogni altra maniera di governo.  D’ altra parte , i governi veramente assoluti dove più sono?  Tutti il tempo li modifica. Addolcisce i più severi. Modera  i più dispotici, e viene più o meno accostandoli alle forme  di temperata monarchia. Siamo giusti. Dove son più i Bu-  siridi, i Falaridi, i Tarquini Superbi, i liberi , i Neroni ?  Se si voglia trovar tiranni, nell'antica significazione del vo-  cabolo , bisogna andar a cercare nel campo repubblicano  ultraliberale i Marat , i Robespierre. I voti del vero popolo,  di giorno in giorno, son più ascoltati di quel che vuol con-  fessarsi; e , se si é di buona fede, non può esser negato ,  che le concessioni cominciate qua e là a farglisi , per tutta  Europa , nell’anno di grazia 1850 son bastantemente grandi  per far dire che nelle altissime regioni non si è tanto sordi,  quanto da alcuni si va spacciando. 1 bisogni reali finiscono  sempre coll’essere ascoltati, non per forza , ma per ragio-  ne. Gli esagerati e falsi può colla violenza costringersi a sod-  disfarli per un momento, ma vale allora il proverbio — Nil  wolentum durabile. —    Digitized by Google    — 200 —    ARTICOLO XIII ED ULTIMO.    Conclusione ed epilogo.   Per chiudere a quel modo che meglio per me si può l’ar-  dua discussione nella quale sono entrato, io Unirò dunque  cosi dicendo a chi tanto si preoccupa del male dei governi  più o meno imperfetti (come se per necessità non dovessero  a, diverso grado tutti esserlo), e a chi perciò, venendo a  conseguenze estreme, niente ha più a cuore ed in mente ,  che farsi autore e cooperatore di riforme radicali , da otte-  ner subito , quasi a tamburo battente, ed a qualunque gran  costo , giuste ch’elle sianolo non siano, purché tali paiano  a quei che le dimandano , avuto a sdegno , e messo in non  cale il più prudente desiderio e consiglio de’ miglioramenti  graduati , bene studiali , ben maturati , e solo predisposti e  promossi ne' legittimi e tranquilli modi che rispettan la pub-  blica pace, e servono ad assodarla, anziché a turbarla. —  Se veramente ami tu il bene del tuo paese , fa senno , e pen-  sa che qui non si tratta d’un trastullo da gioventù , e d’un  balocco da capi sventati, per darsi dell’ aria e dell’importan-  za, ma della somma delle cose pel presente e per l’avveni-  re, od almeno per lunga successione d’anni. Fa senno , e  dà prova d’averlo fatto, giudicando per anticipazione testes-  so , prima d’assumere il terribile incarico di giudicare gl’im-  peri ed i regni.   Discendi , Gracco, nel tuo interno, e chiedi, con buona  fede, a te medesimo se t’è lecito di crederti tale da ben sa-  pere quel che è mestieri sapersi nell’astrusissimo argomento  de’ governi, per islendervi sopra una man temeraria; e se    Digitized by Gùogle    — 201 —    ti puoi , senza farti rosso nel viso, chiamare uomo di stato,  ose , in questa vece, non senti, nel tuo segreto, d’essere  niente altro che un misero pappagallo , il quale ripeti su  ciò, senza bene intenderlo, quel che t’ha insegnato la piaz-  za, o la setta. Non ti lasciare illudere dall'orgoglio, nè dal-  l’assenso lusinghiero de’ niente maggiori e migliori di le,  ma metti l’amor proprio da parte, e dà sentenza su te, co-  me la daresti sopra un altro. Tastati addosso, e cerca im-  parzialmente se trovi sotto il dito l’economista, il dotto nella  filosofia delle leggi , l’intendente ne’ misteri dell’ammini-  strazione e della finanza, il fino conoscitore della storia  umana, l’uomo freddo, ponderato, esperto, che nel giudi-  care questioni si diffìcili , si recondite , si gravi , si feconde  di beni e di mali, come sono tutte queste delle quali stiam  parlando, sa, innanzi tratto, esaminare, prima del giudi-  zio , gl’innumerabili particolari; che concorrer debbono ad  illuminare la mente; a spogliarsi d’ogni passione e d’ogni  opinione preconcetta; e, senza dar peso a insinuazioni d’a-  mici, o di confederati e compagni, discernere, e ben dis-  cernere quel che il luogo, il tempo, le circostanze, gli uo-  mini, gli antecedenti, i comitanti, i conseguenti, oltre ai  principii eterni di ragione e di giustizia, suggeriscono e ri-  chiedono. Va intorno, e parla pettoruto alle genti in questo  linguaggio. — Miratemi , e sentenziate voi. Son io vera-  mente l’uomo da rifare il mondo, e da insegnare agli altri  il come? Son io lo Zaleuco, il Caronda, il Numa, il Licur-  go , il Solone del secolo illustre ; o sono almeno l’uomo da  saper discernere, senza ingannarmi, que’ eh’ io possa e deb-  ba seguitar come capitani in faccenda di si gran momento ?  — O piuttosto la risposta non l’odi aver già preceduto la  dimanda? Povera mosca del carro (tu dei sapere la favola),  va a scuola , e fatti vecchia prima di toccar solo col pensiero  problemi di tanta astrusità. Solamente allora saprai ridurre  al genuino valor loro tanti spropositi di moderne teoriche  assolute , che, messe in prova da già dodici lustri, non ban    Digitized by Google     — 202 —    saputo partorire ovunque che continuati scompigli , e ine-  narrabili guai sempre ripullulanti a doppio cornei capi tagliati  dell’idra! Povera mosca, solo buona ad esser tafano atto ad  inquietare i cavalli che tirano il carro dello stato, finché un  colpo di frusta ti schiacci. Riguarda ( se non hai le cataratte  agli occhi ) nella Francia , prima maestra di sì fatte novità,  e spettacolo e scuoia delle lor conseguenze a ogni gente...  nella Francia già più volte rovinata, e data per queste a scom-  piglio, e le più volte, non da mani forestiere , ma dalie pro-  prie. Riguarda a’ be’frutti delle agitazioni tedesche. Riguar-  da a’ bei fruiti delle agitazioni di questa misera Italia, qual  ella è or fatta per colpa di simili tuoi ! Gusta il Progresso  che han generato i tuoi pari , la ricchezza e la prosperità  eh’ è opera loro...! Basta ornai. Basta. La terra ha bisogno  di tranquillità , e , a tuo dispetto , saprà come darsela.   Cosi ti risponderà , e ti risponde il mondo : non quello  veramente nel quale tu vivi , ma quello in mezzo al quale  dovresti imparare a vivere , per tua istruzione , ed emen-  dazione , e per l’altrui pace.   Ma ti risponderà , e ti risponde anche altro. Ti dirà, e ti  dice. O tu , che ti proponi niente meno che di metterti il  grembiule di Prometeo, cioè di rifare la gran famiglia uma-  na in quella parte che rende a lei possibile il viver socievo-  le , cioè negli ordinamenti de’ suoi governi , comincia col  rifare te stesso. Volendo insegnare a’ tuoi contemporanei  l'arte del comando , insegna a te medesimo l’ arte dell’ ob-  bedienza , che non sai , o non vuoi sapere. Con uomini  quale tu sei nessun arte di comando , e per conseguente di  governo, è possibile , e l’ esperimento s’è visto. È forse  giovato in più d’ un luogo darti costituzioni , e rinnovarle?  É forse giovato accordarti assemblee deliberanti , libertà di  stampa, libertà d’associazione ...tutte le libertà? È biso-  gnato finir col frenarle dal momento che i pari tuoi v’ han  voluto metter mano.   E cosi doveva essere ; perchè ogni governo , anche lar-    Digitized by Google    — 203 —   gbissimo e mitissimo , è legge e dominazione ; e cbe legge,  oche dominazione può esservi per tali come tu sei? Tu  ( quel tu eh’ io m’ intendo ) di Dio non accetti che H nome.  Tu sei di quegli uomini, quorum Deus venler est ( riconosci-  ti ). . ; degli uomini turbolenti, sfrenati , ricalcitranti ...  che chiamano ben pubblico il dar di naso abitualmente ad  ogni autorità , sotto colore di far la guerra agli abusi suoi ,  colla presunzione di giudicarli in ultimo appello secondo il  privato tuo senno. . ; degli uomini che ban distratto ogni  riverenza , ogni fede al senno antico , ai documenti de’ se-  coli passati , alla sapienza accumulata per gli studi comuni  de’ migliori cbe in ogni età vissero. . ; degli uomini che ner  gano ogni efficacia d’ antica esperienza , e che queste massi-  me non si contentano di professarle per sè , ma le promul-  gano giornalmente d’ ogni intorno....! Or con te, e con tali  quale tu sei, qual maggiore pubblico bisogno v’è, del biso-  gno di mettersi in guardia , e tirare a sè le briglie ? É egli  tempo d’allargar la mano alle redini , quando il cavallo dà  continuo cenno di rubarla, e di mettersi alla scappata ver-  so precipizi!? Pur troppo quando un paese ha la disgrazia  d'avere a ridondanza gente del tuo taglio, facilmente arriva  a quella condizione di tempi che o scusano , o rendono ine  vitabili gli assolutismi i più stretti e i più vessatori.   Perchè , non accade dissimularlo. Ecco la massima mise-  ria della condizion nostra. È peggio che al tempo de’ guelfi  e de’ ghibellini. L’ira tien luogo di ragione. Vendicarsi , ed  esterminare sono ornai la parola di guerra. — Sangue! San-  gue! — Ammazza ammazza ! — Quel che non s’ osa fare  aucora, si dice pubblicamente che sarà fatto alla prima op-  portunità. Designane adcaedem unumquemque nostrum... Po-  veretti! S’uccidono gl’individui, non s’uccide la verità e  la giustizia....   Ma anche a’Principi d’Europa rivolgerò finalmente la ri-  spettosa mia voce. Purtroppo hanno essi bisogno d’una ri-  vista severa del passato, e d'una ponderazione accurata del    Digitized by Google     — 204 —    presente a previsione del futuro. Quel che è stato ed é ma-  le, fa d’uopo mutarlo. Quel che è giusto e doveroso in  tanto mare di desiderii , di querele , di mescolate richieste,  bisogna farlo. Mai non ci fu maggior necessità, per chi sie-  de ne’ sommi scanni, d’esaminare gli antichi ordinamenti ,  e di recarvi miglioramenti reali e legittimi. Mai non richie-  sero i secoli che sono scorsi maggior senno in chi regge i  popoli, e per conseguenza più grande opportunità di circon-  darsi di buoni , e probi , e saggi aiutatori, e subalterni. Ri-  forma ! è la parola favorita del nostro tempo. Riforma non  è in sé medesima parola d’errore. Le riforme bisognano  sempre alle congreghe umane , come agl’ individui. Rifor-  ma dunque anch’ essi dicano i re ma non ogni riforma   dimandata.... le riforme che la vera sapienza politica consi-  glia , e vuole. Eruditami qui iudicalis terram. Imparino le  genti col fatto , che amate di cuore il ben pubblico , odiate  il male, e vi studiate per quanto è da voi d’affaticare alla  pubblica felicità correggendo intorno a voi, per aver più di-  ritto , e più facilità a correggere intorno a quei che vi deb-  bono obbedire.    ' Digitized by Google     INDICE    Due parole a chi è per leggere. .... , pag. 3   Parere d’ un Amico intorno a questo libro 7   Risposta   Prefazione   Opuscolo I. De’ Fedecommessi e dell’ Aristocrazia . . .   Due parole al Lettore .   Lettera I. I Fedecommessi sono una istituzione apparte-  nente a più luoghi c a più genti e tempi , che non si   crede. Conseguenza di ciò 27   Essi hanno una principale e giusta difesa nell’interesse con-   venientemente inteso di famiglia 23   Non sono applicabili ai piccoli patrimoni, ma solo ai gran-  dissimi ivi   Perennando lo splendore di tutta una linea principale po -  tentemente soddisfatto a uno de’ sentimenti connaturali   all’ uomo 3 Q   Senza i Fedecommessi , le grandi fortune, di necessità , tra  breve, sminuzzandosi , periscono per V intera fami-  glia , e con ciò essa è condannata a rapido scadimen-  to .... . ai   1 Fedecommessi salvano , per quanto esser può , il patri-  monio dalle imprevidenze, dall'incuria, e da’ vizi dei  temporanei suoi possessori, e lo conservano a que’che  debbono in avvenire possederlo ivi    Digitteed by Google      — 206 —   Discussione delle ragioni de’ cadetti. E maggiore il numero  de'beneficali nel sistema che qui si contempla di quello   che nel sistema opposto pag. ivi   Infatti quei che nel i° sistema godono ( al contrario di ciò   che succede nel 2°) sonpiù numerosi de’ danneggiati. 32   I vantaggi d’ognuno de' favoriti sono più grandi, che i   vantaggi d’ognuno de’ favoriti nell' altro sistema. . ivi  Gli svantaggi de’ danneggiati nel secondo sistema sono più   grandi che quei de’ danneggiali nel primo. ... ivi   Lettera 11. Soluzione d’ alcune difficoltà 35   Si risponde a chi oppone che il testatore dee riguardare al  bene massimo de’ prossimi ed esistenti , e non , collo  scapito di questi , a quello de’ remoti , e non esistenti  ancora, o forse non destinati ad esistere giammai . 3fì  Si prova che, oltre al vero interesse delle famiglie , nel si-  stema de fedecommessi , meglio che nel sistema con-  trario , è provveduto anche all’interesse dello stato . ivi  Risposta alla obbiezione de’ supposti diritti degli altri figli,   che si dicon violali nel sistema da noi difeso . . . 38   Si torna a distinguere tra i fedecommessi utili, e i danno-  si , e si prova come ne’ primi i cadetti non sono pre-  giudicali in modo indebito 19   Risposta a chi oppone l’ accusa di parzialità , e d’ eccita-  mento alle invidie , a’ disamori, alle discordie tra pa -  dre e figli e tra fratelli. — Esposizione de’ rapporti   tra V erede preferito cogli altri posposti 12   Convenienza del preferire il primogenito ai nati poi . . M   Di nuovo sull’ accusa del supposto fomite somministrato    alle invidie reciproche 45   Indirizzo da dare all’ educazione perchè queste temute in -  vidie non nascano . ? . . ? ; r • • . 13   Lettera III. Seguita la soluzione delle difficoltà. ... 18   Non è vero che i fedecommessi , favorendo il celibato lai-  cale , favoriscano i vizi che vi vanno connessi. . . 19   1 matrimoni son più incoraggiati nel sistema qtrì difeso ,    Digitized by    — 207 —    che in quello della divisione dell’ eredità per capita, p. 49  È insussistente il nocumento che la sottrazione di molti be-   ni rustici , in virtù, de’ vincoli fidecommissarii , alle  speculazioni di compra e vendila minaccia di recare  al pubblico ....... - ... . 53   Un certo numero di latifondi legati a fedecommesso , lungi  dall’ essere un impedimento alla buona agricoltura ,  ed alla pubblica prosperità , sono utili e necessari al-   l'unae all’ altra , » . . . , . , . . 54   Risposta alla difficoltà tratta dai creditori dell’eredità de-  fraudali talvolta , quando essa ha il genere di vincolo   del quale qui si tratta. . . . 53   Lettera IV . Difesa dell’Aristocrazia 58   Proposizione premessa , che, distrutti i fedecommessi , è di-  strutto il patriziato . . . . 59   I vizi de’ nobili che sono da degenerata istituzione non vo-  gliono esser contati soli , ma messi a confronto delle   utilità , e delle virtù ivi   Essi vizi possono emendarsi , e le utilità e le virtù accre-  scersi : utilità e virtù le quali difficilmente possono   trovarsi fuori del ceto patrizio ivi   È nella natura stessa della Nobiltà un seme di migliora-  mento nella specie umana , che ne innalza la dignità   e la perfezione 69   Caratteri propri del genuino patriziato 61   La grandezza degli averi in famiglie non patrizie non può  dare i vantaggi eh’ essa dà o può dare nelle famiglie   patrizie .... . . . 63   Necessità politica in uno stalo dell’ esistenza del ceto nobi-  le , e particolari servigi , che ad esso esclusivamente  sono riservati ed appartengono. Conclusione . . 64   Opuscolo II. — Della libertà e dell’eguaglianza civile. —   Del governo e della sovranità in generale. — Della  così della sovranità del popolo , e della democra-  zia. — Del voto universale. — Delle rivoluzioni e    Digìtizedby Google    — 208 —    delle riforme de governi ec paff. G9   Art. I. Della libertà nel civile consorzio , e decimiti , che   necessariamente debbe avere. . 71   I più di qne’ che la dimandano oggi, da ette negano nella  loro filosofia il libero arbitrio, e sono materialisti ,  fanno una dimanda assurda , cioè chiedono quel che   credono non potere esse r loro concesso ivi   Per chiedere la libertà civile , bisogna essere spiritualista ,  e cogli spiritualisti non è difficile giungere ad inten-  dersi in tutte le altre questioni da noi trattate. . . 72   Que’ che chiedono la libertà, quale e quanta la dà natura,  debbon concedere gli usi buoni ed i cattivi della mede-  sima , ed una legge interna che comanda i primi , e  vieta i secondi , e con ciò debbon concedere di fatto e  di diritto che la libertà è limitata per natura ... 73   La convivenza civile essendo ordinata a perfezionare l’uo-  mo , e non a deteriorarlo , la miglior convivenza ci-  vile necessariamente dee dirsi una convivenza ove la  libertà naturale incontra nella legge vincoli grandis-  simi e maggiori di que’ che ordinariamente le si pre-  scrivono 74   È solo la difficoltà soverchia opposta dalla corruttela uma-  na allo stabilimento d’ una piena normalità nelle ci-  vili convivenze , quella che impedisce il comandare  oggi tulli i vincoli che bisognerebbero: ciocché non to-  glie però che il vero progresso è quello il qual favori-  sce essi vincoli , e li promuove, anzi che produrre ef-  fetto opposto ivi   È per effetto di questa difficoltà che le umane congreghe si  ristringono per solilo quasi al solo governo di quelle  libertà , gli usi o abusi delle quali risguardano i rap-  porti reciproci de’ cittadini co’ cittadini , non che il  loro scopo remolo non debba esser quello d’ordinare  a poco a poco le leggi a una sempre migliore siste-  mazione , e per conseguenza a una sempre maggior    Digitized by Google    — 209 —   limitazione, di tutte le altre libertà col fine d’ acco-  star f turno alla perfezione quanto più puossi. pag. H i  Prime parole sulle leggi che legar debbono le libertà , e su '  coloro che debbono stabilirle; c sulla genesi dell’ odier-  no domma della sovranità del popolo , e del patto   sociale . . ... . 16   Art. II. Dèli’ eguaglianza in generale , e quanto poco esi-  sta essa nella specie umana 80   Falsità della massima che al volgo suole oggi insinuarsi  che gli uomini sono lutti uguali per natura. ... ivi  Naturale ineguaglianza fisica tra uomo ed uomo . . . 81   Naturale ineguaglianza morale . ivi   Altre cagioni artificiali ed accidentali d’ inegualità; e prima   per parte degli educatori 82   Degli educandi. . , gj   D’altre accidentali cagioni ivi   E pel fine stesso che l’arli educatrici si propongono , e pos-  sono non proporsi Si   Per ultimo V ineguaglianza è la legge generale della natu-  ra, in tutto il creato So   Una delle principali ragioni, per le quali il Creatore volle   questa disuguaglianza ivi   Vergognoso abuso che si fa della religione per cercar di   persuadere la contraria dottrina Sfi   Passaggio al provare che inutilmente si limitano alcuni ed  difendere soltanto V eguaglianza ne’ fondamentali di-  ritti della vita di cittadino ........ si   Art. III. Dell’ eguaglianza nel civile consorzio , e su giudi  falsi fondamenti si pretenda stabilirla. . , . . 88  Paralogismi con che, dato un quale che siasi appoggio alla  qui combattuta dottrina , cercasi di ricavarne la dot-  trina del palio sociale, della sovranità popolare e  della democrazia ; e conseguenze che se ne deducono, ivi  È falsa l'equipollenza di condizioni pel cui supposto gli  uomini liberamente entrando in una civil convivenza,   i4    Digitized by Google    — 210 —   acquistati pari diritto di fermarmi palli . . pag. 01   Nè lo stabilimento di questi patti è puro atto di libertà, ma  dee conformarsi a certe massime generali di ragione  e di giustizia che impediscono appunto l’affermata   egualità di diritti 92   È non men falso , che gli umani consorzi quali sono e  furono debbano considerarsi come illegittimi e spurii  perchè non individualmente consentiti da tutti e da  ciascuno. Passaggio al provare l'assurdità e i peri-  coli della dottrina che quindi si suol trarre per voler  sovvertire il passato e il presente a vantaggio d' un   futuro ipotetico . . 93   Art. IV. Considerazioni contro al preteso diritto di rinno-  vare le società umane per accomodarle alle proprie  idee preconcette , e contro alle tentale riduzioni ad   atto di questo diritto 95   Confutazione di quattro proposizioni, che corron oggi per  le bocche di molli , e prima , risposta alla i a proposi-  zione , che il mondo ha bisogno di riforma . . . 96   Alla 2. Che la riforma la qual bisogna è quella che le scuo -  le democratiche oggi insegnano , e non altra. . . 93   Alla 3. Che la riforma la cui necessità si va predicando  con parole si ha diritto di condurla immediatamente  ad atto; e che non è da lasciarsi trattenere da qua-  lunque ostacolo d’opposta ragione 98   Alla 4. Che qualunque mezzo dee tenersi per buono e leci-  to, se al fine conduce della universale riforma che vuol    tentarsi. . , s = , , = , . ! . . . 103   Art. V. Altre considerazioni sulle riforme nel reggimento  delle convivenze umane in generale, e sul diritto ed il   modo di tentarle . 106   Due casi che rispetto a ciò possono darsi. E prima, del   caso, in cui tutti consentano ivi   Secondo , del caso in cui siano divisi i pareri , e sia lotta   de' medesimi. Solo e vero diritto che allora si ha 1Q7    Digitized by Google    211 —    Grave torlo dei dilettanti di malcontento , e parole seve-    re ad essi dirette quando tentano le rivoluzioni, pag. 108   Risposta a certi loro sofismi 109   Danni delle rivolture politiche , quanto a interessi di ogni   genere 110   Incertezza de’ loro successi Ili   Difficoltà del ben giudicare i molivi che spingono a rivolte,  e poca fiducia da aversi in coloro che per solito le   tentano . 114   Vanità della querela che alcuni fanno , come se tolta la li-  bertà delle rivoluzioni, il migliore strumento fosse tol -  to del ritorno a giustizia. Esame d’ alcuni esempi so-   lili ad addursi. . . . , s . s , . . . 115   Rimedi più veri e più ragionevoli contro alle ingiustizie an-  che abituali de' gox'emi 117   Certi mali sono conseguenza d’imperfezione della natura   nostra , o decreti di Provvidenza . . . . . .118    Essi sono il più spesso, generalmente parlando , ineritali, ivi  Doveri e diritti de’ cittadini sottoposti a cattivo reggimento. 119  Art. VI. De’ governi, e delle sovranità in generale. . . 121  Ignoranza del popolo quanto alle idee di ciò che è sovra-  nità , e di ciò che è popolo. Esempio ivi   Se un diritto , il quale anche realmente si abbia , sia sem-    pre perseguibile , e da perseguire 122   Idee preliminari sulla socievolezza , come una delle con-  dizioni di natura date all’ uomo 1 2.1   Il bisogno d" un governo è uno de’ conseguenti della neces-  sità d’ associarsi. Definizione del governo . . . . ivi   Distinzione fra governo normale, e governo legittimo in-  dicata 124   Mentre il vivere in società è una necessità ingenita, la for-  mazione d’un governo è un bisogno accidentale, so-  praggiunto , e secondario 125   Dottrina intorno a ciò che discende dalla Fede ivi   Distinzionedi tre stati nell’uomo, cosi come oggi lo cono-    Digitized by Google    — 212    sciamo per sola ragione. E prima dell’ uomo ine-  ducato e selvaggio e delle conseguenze di questa con -  dizione quanto a governo pag. 126   Secondo, del? uomo ipoteticamente perfetto, e di nuovo   del governo del quale è suscettivo 127   Terzo , dell’ uomo nè selvaggio , nè perfetto , cosi come  suol essere , c delle innumerabili varietà delle sue  condizioni , donde si trae che il governo il quale gli  conviene non ha nè può avere generali regole , tran-  ne il principio generico che dee possibilmente esser giu-  sto e ragionevole ivi   Questo principio generico non insegna però,nuUa d’assoluto  guanto a necessità di determinale forme nell’ applicar  zione, e negli altri particolari a cui si suole applicarlo. 129  Niente dunque v’ha di primitivamente fermo e comandalo  intorno alle costituzioni primitive de’ governi da ap -    plicarsi alle diverse genti 131   Art. VII. Della sovranità del popolo, consistente nella de -  mocrazia pura , e rappresentata dal voto universale. 135  Ragionamenti che si fanno per provarla universalmente   fondata sopra giustizia e ragione ivi   foro insussistenza. V’è egli un popolo uno ? Tutto ragio-  nevole? Tulio illuminalo ? Tutto probo ? Tutto una -  nime ? Conseguenze che discendono dalla risposta ne-   galiva a si fatti quesiti. 137   Esame della famosa dottrina circa le maggiorità , e circa   il voto universale 138   Che cosa è il maggior numero ; come si compone , e che cosa  conseguila dai difetti della sua composizione. _ 139  Se sia vero che col volo universale si può almeno ottenere   il massimo contentamento del Corpo Sociale . . .141   Fino a qual segno le maggiorità siano maggiorità reali- . 1 44  Ari. Vili. Continuazione deli articolo antecedente . La  democrazia de moderni non può convenire ad alcun  popolo 147    , *    Digitized by Google    213 —   Essa twn conviene a un popolo selvaggio. . . . pag.   143   Non a un piccolo popolo di pastori e d agricoltori. . .   118   Non a un popolo piti o meno provetto in civiltà. . . .   U9   per cagione delle disuguaglianze , che la civiltà tende sem-    pre ad accrescere , e delle loro conseguenze . . .   150   per cagione della lotta delle virtù co’ vizi — delle altre ine-    guaglianze che da ciò derivano — e delle necessità    che ciò crea .   152   per cagione di ciò che costringono a mettere a calcolo nella    formazione delle società le diversità enormi d’ inleres-    si tra cittadini e cittadini   153   Conseguenze funeste ed assurde del sistema tanto da deu-    ni idolatrato della divisione de’ beni secondo le leggi    della livellazione universale   155   Differenza sleale di linguaggio che usano i propagatori del-    le dottrine nuove quando parlano col volgo , e quan-    do colle persone educale a ragionamenti «_   JL58   Dilemma ad essi proposto. Vogliono essi o non vogliono ri-    spettata la differenza di grado negl’interessi, e tenu-    lane ragione? Se no , conseguenze necessarie e lui-    (uose della neqativa   160   Se si , dire conseguenze di ciò diametralmente opìwsle a    quel che pretendono e vanno spacciando .....   163   Art. IX. Continuazione dello stesso argomento. Traltazio-    ne d’ deune obbiezioni die quali si cerca rispondere.   165   Risposta die lagnanze di que’ che lamentano il vilipendio e    l’ oppressione del povero popolo , e agli eccitamenti    che gli danno a redimersi a ogni patto   166    Leggierezza , e spesso insussistenza de’ giudizi che su que-  sto proposito s avventurano ivi    Mate usanze introdotte rispetto a ciò , e perniciosi effetti   di esse 167   Diritti esorbitanti che si vorrebber dati alle turbe a fine di  prevenire gli abusi dell’ autorità imperarne , c di' farli  efficacemente cessare , ed estirpare radicalmente. . 1 1Q    Digitized by Google    — 214 —   Catastrofi inevitabili alle quali non potrebbe non condur -  re la riduzione a pratica di tutto questo ordine (Videe. 172  Parere intorno a ciò di Cicerone e di Platone ed esempi   moderni pag. 173   Contraddizione con sè stessi de’ difensori delle dottrine fin  qui impugnate , i quali mentre affermano di combat -  tere per la libertà, impongono servitù inlolleranda ai  loro proseliti, e cosi mostrano che colla libertà da  essi predicata il governare comunque le volontà uma-  ne è impossibile anche a lor giudizio 175   Le stesse ragioni colle quali lentan essi di scusare questa   contraddizione provano contro di loro 176   Art. X. Di nuovo delle ragioni, per le quali la formazio-  ne a priori d' un ottimo governo , e lo stabilimento il  più ragionevole della sovranità non ha regole gene -  rali , e costituisce un problema di difficilissima e qua-  si impossibile soluzione , massime quando la soluzio-   ne al popolo s’abbandoni 177   Pochissimo , e quasi titilla , rispetto a ciò, può attinger-  si, ne’ particolari casi , dalla sapienza generale , e  quasi lutto esige in essi le deliberazioni ad hoc d’uo-  mini i più saggi ivi   Or 1. Alcune volte quest’ uomini non sono presso il po-    polo del quale si tratta • 178   2. Spesso non in sono in sufficiente numero, e tale da es-   sere facilmente trovati ed utilmente ascoltali . . . ivi   3. Diffìcilissimo è distinguerli dai cerretani che simulati   sapienza ed esperienza , e tendono con male arti a  mettersi inmnzi e prevalere 179   4. Non dirado, anche cotisultati, rendono intralciatissima   la deliberazione, non essendo tra loro accordo di pa-  reri ivi   5. Spesso ancora accresce la difficoltà il tnescolar che   ' essi fanno all’ interesse della causa pubblica , quello  delle private loro cause, delle loro passioni e simili, ivi    Digitized by Google    1    E tuttociò vale, quando , a società non costituita an-  cora in alcun modo, trattasi di costituirla. Peggio è  che il più spesso le società umane sono già costituite,  e v’ è la question preliminare , se sia giusto , con-  veniente , e possibile il disfarle per rifarle . pag. 180  Lotte per solito che in tal caso nascono tra conserva-  tori , e riformatori, e discussione de diritti degli uni e  degli altri e delle contitigenti conseguenze di esse lolle, ivi  Art. XI. Del perchè e del come il problema del governo  e della sovranità è presso a poco insolubile a priori    por V umana sapienza 1 82   Cardine della questione. Doppia natura dell'uomo. . . ivi   Bisogni ed istinti numerosi della vita terrena, che non son  fatti per ottenere la soddisfazione loro durante essa   vita 183   Motivo e fine occulto , e non troppo occulto , di ciò. . 181  Applicazione di questa dottrina anche al particolare pro -  blema qui discorso .183    E nondimeno non può dirsi che un qualche rimedio alla  frequente imperfezione degli ordinamenti civili non  sia dato in terra all’ umana specie. Ritorno , rispetto  a ciò , a una quislione già altrove trattata. . . 186   Art. XII. Di quello che’ al popolo non ispella , e spel-  ta , in fatto di governo e di sovranità, e del modo    e della misura in che gli spetta 1 88   Principal fonte delle false opinioni che intorno a ciò cor-  rono tra’ moderni ivi   Si torna all’esame della presunta distribuzione tra lutti  del diritto competente a trattare e risolvere sì falle   questioni ivi   Una conseguenza ultima ed inevitabile di si falla dottrina  è che la sovranità non obbligherebbe dunque che t ~  soli consenzienti , o piuttosto non obbligherebbe alcu -  no , e cesserebbe d’ esistere in altro modo , che come  una cosa da giuoco ed assurda 1 89    r.    Qigtized by Google    216 -    li altrettanto sarebbe di tutte le leggi .... pag. t90  Teoremi più veri eh’ io credo doversi sostituire alle opi-  nioni dominanti delle turbe male istrutte. Proposi-    zione i , 2 , 3, 4, S » 6 ,7. , ' 191   Due parole su i governi assoluti 197   Protesta 198   Art. XIII. ed ultimo. — Conclusione ed Epilogo. . . 200   Esortazione ai predicatori di rivoluzioni e di novità poli-  tiche ivi   Poche parole a’ Principi 203   Indice ragionato ,. 206    P3K.   Lin.   ERBATA   CORRIGE   21   6   Urliamo   Gridiamo   22   8   fili   le   23   6   ristampa con emendazioni edizione 3.*   2U   0   di lilosolia   di buona tilosofia   30   1   collaterali )   collaterali almeno prossimi )   IVI   40   in quella società   in quel consorzio   ivi   27   nipoti nostri   nipoti nostri , e, se non di tulli alme-  no di (pianti più ci è lecito   31   3   civil società   civil congrega   33   28   all'opposto, per   all' opposto (almen quanto alla linea  privilegiala), tra  pe’ fratelli poi-nati   lTl   30   pe" cadetti   34   24   quello dico .   quello dico , pur mentovalo , conte-  chè alla breve ,   35   ir   società   consociazioni   48   28   son le difficoltà   son difficoltà   53   3   le propensioni   le agevolezze   IVI   IVI   pii uomini   gli uomini senza rovinarsi   Kit   24   de' Babilonesi   degli Assiri   117   10   c clic   e che se    CONSIGLIO GENERALE DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE   Napoli 4. Luglio iH5i   Vista la dimanda del Tipografo Raffaele Marotta con che ha chiesto ri-  stampare il primo volume dell’opera intitolata = Opuscoli politici del  Professore Francesco Orioli. = Visto il parere del Regio Revisore Signor  D. Giulio Capone. Si permetta che la suddetta opera si ristampi, però  non si pubblichi senza un secondo permesso che non si darà se prima lo  stesso Regio Revisore non avrà attestato di aver riconosciuto nel confronto  essere 1* impressione uniforme all’ originale approvato.   il Presidente interino: Francesco S averio j4 puzzo,  ìl Segretario interino : Giuseppe Piktrocola . Francesco Orioli. Orioli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Orioli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Ornato: la ragione conversazionale o dell’implicature conversazionali nella conversazione d’Antonino con Antonino – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Carmagna). Filosofo italiano. Visse vita ritirata, modesta e schiva d'onori e ricchezza intesa soltanto allo studio. Coltiva le scienze fisiche e matematiche, la filologia, la poesia, la musica e con singolare amore le discipline metafisiche. Sii trasferisce a Torino dove frequenta alcuni esponenti dell'aristocrazia sabauda. Tra le sue amicizie più importanti Santarosa, Sabbione ed i fratelli Balbo. Dei concordi è insegnante di matematica nel collegio dei paggi imperiali, impiegato nella segreteria dell'Accademia delle Scienze di Torino e successivamente professore presso la Reale Accademia Militare. In seguito ai moti rivoluzionari e nominato da Santarosa Ministro della Guerra della giunta rivoluzionaria. Si rifugia in esilio a Parigi. Nella capitale francese stringe amicizia con Cousin e la sua casa è frequentata da numerosi patrioti italiani. Ottiene di poter rientrare in Italia e si ritira a Caramagna dove riceve le visite dei patrioti Pellico, Provana, Gioberti e Balbo. Si trasferisce a Torino dove morirà e verrà sepolto nel cimitero monumentale. Saggi: traduzione di Ode a Roma di Erinna, traduzione dei “Ricordi di Antonino, Picchioni, Vita, studii e lettere inediti di Leone Ottolenghi, E. Loescher. Biografiche e risultati di ricercheo, Becchio  Calogero, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ulteriori approfondimenti possono essere reperiti nei seguenti siti: Comune di Caramagna Piemonte, su comune.caramagnapiemonte.cn. Associazione Culturale "L'Albero Grande", su albero grande. Due difetti o cattivi abiti, nota qui e contrappone Antonino. L’uno, del lasciarci guidare unicamente dalla IMPRESSIONE che fan su di noi l’oggetto esterno, divagando da questo a quello secondo che quello ci attrae più fortemente che questo. L’altro del lasciarci guidare unicamente dal pensiero o idea che ci vengono in mente a caso, seguendo quelli che eccitano più la nostra attenzione. Due stati passivi, dove l’uomo non esercita punto la volontà nè l’intelletto, ma segue ciecamente, nel primo, il caso esterno, o nel secondo, il caso interno, cioè quella che è stata nomata di poi legge di associazione di due idee: due stati quindi dove l’uomo non ha scopo. Il primo de’ quali ha luogo nella vita puramente ANIMALE, e il secondo nel sogno. Quello,  proprio del giovane troppo dedito al  senso. Questo, del vecchio rimbambito. E quindi, dopo avere esortato sè stesso a fuggire il difetto del giovane si esorta  a fuggire quello del vecchio. Il carattere  che fa riconoscere il vecchio per rimbambito è il vaneggiare, cioè il parlar senza costrutto, ripetendo il già detto. Ma avverte sè stesso che l’uomo può essere rimbambito già anche quando non parla ancora senza costi itto, non vaneggia ancora in parole, se egli fa delle azioni senza costrutto, o vaneggia nelle azioni: il che ha luogo  ogni volta che esse azioni non sono collegate tra sè, non hanno unità, cioè non sono riferite tutte ad uno stesso ed unico scopo. Questo lodare la compassione senza aggiungere con Epitteto che  ella debba essere puramente esteriore e non di cuore, è certamente una contradizione al principio stoico. La compassione essere come tutti gli altri affetti un moto irragionevole dell’anima, e contrario alla natura, il saggio non essei'c  accessibile alla compassione; una contradizione a ciò che è detto in questo medesimo §, dovere il saggio mantenere il suo genio interno netto da passione. Ma è una di quelle contradizioni magnanime per le quali IL CUORE corregge  talvolta gli errori dell’INTELLETO. Sul  punto particolarmente della compassione, come su quello dell’affezione verso gl’amici e i congiunti e verso tutti gli  uomini e Antonino uno stoico poco fedele al  principii della sua scuola, e segue  piuttosto gl’accademici e i liceii, i quali insegnavano il sentimento della pietà  essere il carattere distintivo delle belle e grandi anime; e quel detto di Focione, conservatoci dallo Stobeo: non  togliete nè Voltare dal tempio y nè dalla  natura umana la compassione. Fu in questa  deviazione, almeno in pratica, dal rigore dell’antica dottrina del Portico Antonino e stato preceduto da altri romani illustri del PORTICO. Il che non potea non avvenire, perchè secondo un antico senario greco, il cuore soltanto del malvagio non è capace di  essere ammollito. E però il severissimo CATONE minore, già deliberato in quanto a sè di morire, pianse, come narra Plutarco, per pietà di tutti quelli amici e concittadini suoi che eransi pur dianzi affidati ad un maro procelloso per non lasciarsi cogliere in UTICA da GIULIO (si veda) Cesare vincitore, come avea pur pianto alcuni  anni innanzi per un fratello amatissimo, quando trovandosi esso CATONE minore al comando di una legione in Macedonia, alla  novella che il detto fratello era moreute in Enos città della Tracia, salpa immantinente con piccolo e fragil legno da Tessalonica, contro l’avviso di tutti i nocchieri, per un mare tempestosissimo, E GIUNTO IN ENOS TROVA IL FRATELLO GIA SPENTO (Plut., vita di Catone).  E pianse certamente TACITO, benché del PORTICO anch’egli, quando, dopo aver narrato come e vissuto e morto, non senza sospetto di veleno, Giulio AGRICOLA suo suocero, aggiunge queste  patetiche parole. Beato te. Agricola,  che vivesti sì chiaro e moristi sì a tempo. Abbracciasti la morte con forte cuore e lieto. Quanto a te, quasi scolpandone il principe. Ma a me e alla  figliuola tua, oltre all’acerbezza dell’aver perduto un tanto padre, scoppia il cuore che non ci sia toccato ad assistere nella tua malattia, aiutarti mancante, saziarci di abbracciare, baciare, affissarci nel tuo volto. Avremmo pure raccolti precetti e detti da stamparli nei  nostri animi. Questo è il dolore, il coltello al nostro cuore. Senza dubbio. o ottimo padre, per la presenza della  moglie tua amatissima, ti soverchiarono  tutte le cose al farti onore. Ma tu se stato riposto con queste meno lagrime,  e pure alcuna cosa desiderasti vedere  al chiudere degl’occhi tuoi. Fra le varie divisioni dei beni  appo IL PORTICO, l’una è questa, che dei beni altri sono finali, altri efficienti,  altri e finali insieme ed efficienti. I beni finali sono parte della felicità e  la costituiscono. Gli efficienti solo la  procurano. I finali ed efficienti insieme  e la procurano e sono parte di quella. Del primo genere sono la letizia, la libertà dell’animo, la tranquillità, ecc. Del secondo, l’uom prudente ed amico. Del terzo, tutte le virtù. L’uom prudente ed amico è un bene efficiente,  perchè muove con la sua dispozione  razionale la tua diapoaizion razionale , cioè è occasione a te di buone azioni. E nello stesso modo è un  bene di quel secondo genere ogni cosa,  o sia pensiero o altro, che è occasione  a te per camminare verso la perfezione. Di questo bene parla ora ANTONINO (si veda). Il quale, per l’esser solo efficiente, e non finale, cioè pel non essere accompagnato  ancora da quel sentimento intimo di gioia perfetta che costituisce la felicità,  non attrae invincibilmente il tuo volere;  ed è necessario quindi, perchè operi veramente sull’uomo, che questi si sottragga da tutte le altre cose che ne  lo possono sviare -- conferisci quello che  ne insegna la teologia intorno alla grazia. E quando ANTONINO chiama questo bene razionale -- che è attributo generale  del bene appo IL PORTICO -- il fa per opposizione al preteso bene dell’ORTO, che è sensibile. Seneca, epistola ultima. Chi riguarda il piacere come sommo  bene – o OTTIMO --, giudica che il bene sia sensibile:  noi il giudichiamo intelligibile. E più  sotto. Non è bene dove non è ragione. Tutte queste cose e necessario notare per ìscliiarimento e conformazione del testo, dove la maggior  parte dei cementatori ed interpreti ha  voluto cangiare la parola efficiente in  “civile” o vuoi “sociale” con manifesto danno  del senso e del pensiero di ANTONINO.  Dispensazione, in greco “eco-nomia”, vale generalmente governo della casa, amministrazione. E perchè molte cose si fanno pel governo della casa, le quali  da per sè sole non si farebbero -- come per esempio il risparmiare certe spese  perchè le sostanze famigliar! sopperiscano al mantenimento di quella -- quindi  è stata applicata questa voce ad ogni  cosa che si faccia con fine provvidenziale, benché sia di nessun pregio in  sè od anche noiosa; come p. e. il gastigare i rei. È usata sovente IN QUESTO SENSO [O IMPLICATURA] dagli filosofi latini di tarda età, e del PORTICO ed altri. È tra noi  disusata perchè è DISUSATO IL CONCETTO ch’ella esprime. Ma per provare la sua antica cittadinanza in Italia alleghera il passo seguente di Cavalca, l’ultimo  dei citati sotto essa voce nel V. della  Crusca (Medicina del cuore). Per divina dispensazione avviene che, per li  pessimi vizi e gravi, grave e lunga tribolazione ed infermitade arda e salvi  l’anima. Da una nota d’O. credo che, quando la scrive, inclina per l’interpretazione di questo luogo, a dar ragione a Xilandro contro i posteriori. Se non muta poi di parere, IL SENSO (O IMPLICATURA) DI QUESTA ESPRESSIONE  con libertà di parole dovrebbe essere liberalmente cioè con  liberalità di parole, o generosamente poiché così anche lo Xilandro intende lo  £À6u0£.'iu)5 del testo. E con questo raccomandare la generosità nelle preghiere, ANTONINO intende di biasimare le preghiere che  non mirano che all’interesse proprio di  chi lo fa. E però loda quella preghiera  degl’ateniesi, i quali, al dire di Pausania, soleno pregare non solo per  TUTTA L’ATTICA, ma anche per tutta la Grecia. Auto nel senso peripatetico del Lizio e  scolastico, è l’affezione costante deWente: e per quel carattere di costanza si distingue dalla disposizione che è variabile. Appo IL PORTICO è la forza o virtù (andreia) che mantien l’ente in quella affezione costante; o, siccome essi favellano, è spirito -- intendi aria -- che mantiene il corpo e il contiene. Perchè l’ente ò  corpo appo loro. La mente dell’ universo, dice Senone, penetra per tutte  le cose particolari e le mantiene e governa: ma non tutte nel medesimo modo: perchè nelle une si manifesta come abito -- pietre, legni --; nelle altre come natura -- intendi principio organico mero: piante,  alberi --; nelle altre come anima -- principio animrle mero: bruti --; nelle altre ancora come mente e+ ragione -- anima ragionevole universale e sociale appo ANTONINO; uomini. Le cose governate dall’abito sono adunque i corpi  dove non è altro principio costituente  che il generale di corpo, dove per conseguenza non è altro carattere distintivo che quella affezione -- modo d’essere -- costante por cui sono il tal corpo  anziché il tal altro. Sono la classe infima e generalissima di corpi, che noi  chiamiamo inorganica. Nelle cose governate dalla natura, oltre al carattere  generale di corpo v’ ha già il carattere  d’organizzazione. Nelle cose governato  dall’anima, oltre al carattere di cor poreità e di organizzazione, v’ha di più  quello di animalità ecc. Le classi si van cosi ristrignendo e innalzando sino all’ultima, che ha per carattere la razionalità. In questo il testo è. in più d’un  luogo corrotto, e verìsimilmente havvi anche qualche lacuna. Non potrei dire  precisamente quali sieno le emendazioni  seguite o fatte da lui, perchè una sua lunghissima nota sulle difficoltà di  questo paragrafo, oltre che è piena di cancellature e in gran parte non intelligibile, è anche manchevole, essendone  stato lacerato via, non so da chi (forse dall’O. medesimo per aver mutato parere), un mezzo foglio. Nel voltare in italiano io mi sono discostato il meno possibile dalle sue parole stesse e ho serbato inalterato il senso della  sua interpretazione. Questo paragrafo, essendo corrotto in più luoghi, dei quali l’emendazione e inutilmente tentata finora, è diversamente inteso dagli interpreti. O. lascia scritto al principio di una lunga nota: Di questo veramente corrotto  paragrafo non so che partito trarre. La sua interpretazione che io seguii  nel volgarizzamento vuol dunque essere accettata con quella medesima riserva con che egli la propose. La parte che segue di questo paragrafo è assai guasta, e fors’anche mutilata.O. non la tradusse in alcun  modo, riserbandosi di farlo quando avesse trovato una correzione che gli piacesse. Intorno a che lascia molte note. Nel  mio volgarizzamento ho letto il testo come fu letto da Schiiltz, non perchè  egli approvasse in tutto quella lezione, mna perchè non seppe trovarne una migliore. Il testo di questo paragrafo è corrotto, e chi corregge in un modo e chi in  un altro, e chi ancora difendo la vulgata. Io ho seguito quella fra le molte e varie emendazioni, dalla quale parvemi almeno di poter trarre un senso chiaro. Poi sensori tutto il paragrafo conf. anche V, 33, e Seneca. More quid est? aut finis, aut transitus. Tutti gli interpreti che io conosco finora, compreso anche Gataker, il quale nondimeno si scosta dal vero meno che gli altri, pigliano qui il granchio (fan pietà Dacier o Joly  che seguono ciecamente Gasauhono,  come fa pure Barberini: iMilano poi  è la stessa pecora sempre, Hoffmann erra men grossamente com Gataker), confondendo insieme, siccome  fossero una sola cosa, la toù 3Xou (fùaiv  e il ToO xóojjiou ’hys.u Qvixdv; quando anzi  nella distinzione di queste duo cose è fondato il senso di tutto il paragrafo. La toO  SXou qjvlcjis è la potenza creatrice o facitrice primitiva; lo •óyepwvixòv toO xóopiou  è la potenza governatrice, dipendente da  quella prima, generata, o formata da quella prima. Siccome la natura dell’ uomo forma l’iomo, cioè la mente dell’uomo non meno che il corpo; e la mente dell’uomo  poi gOTema il corpo. Il senso adunque  di tutto il paragrafo è questo. La natura dell’universo decreta, determina con deliberazione ragionevole il mondo, dan-dogli, per così dire, un corpo ed una  mente. Ora, o questa mente, a cui è  affidato il governo del mondo, segue la  ragione (perchè la mente nel senso dello  ^ìf£|jiovixbv può anche talora essere sragionevole). E allora tutte le cose che ella fa, sono quali le ha determinate  generalmente dà principio la natura formatrice del tutto, sono involute in  quella prima determinazione, sono conseguenza necessaria di quella prima determinazione, ecc.; ovvero essa mente  non segue sempre la ragione, e allora essendo essa soggetta a capriccio, dove accadere che non solamente le cose di  minor conto che ella fa, ma anche le cose principali sieno sragionevoli. Ma noi non veggiamo mai che nelle cose principali ella sia sragionevole. Dunque non può essere sragionevole nè anche  in quelle di minor conto; dunque tutte le cose vanno secondo ragione. Godo di aver potuto deeiferare nel manuscritto d’Ornato e quindi trarre in luce la precedente nota (la cui redazione sarebbe certo migliore se l’ autore  avesse potuto ripulire e pubblicare egli  stesso il suo lavoro); perchè l’interpretazione e illustrazione contenuta in  essa è ingegnosissima, naturalissima e  confermata da tutto quello che conosciamo della fisica degli stoici. La natura universale (n toù óXov (pdcjts), la  potenza facitricc o creatrice è il divino puro, il quale trae l’universo dalla sua propria sostanza, è l’unità assoluta senza distinzioni e diversità di parti, è la natura naturane;  la potenza governatrice, la mente che go-  verna il mondo (TÓrìysixovixóv toù xó^jxou),  generata da quella prima, è all’incontro,  nell’attuale diversità delle cose,' nella  nauìra naturata, nel mondo propriamente  detto e composto di anima e di corpo, è, dico, la provvidenza, l’anima di esso  corpo. Al novero degli interpreti che frantesero questo § è ora da aggiungersi  Pierron. Ed è tanto più  da stupire che il sig. Pierron abbia egli  pure sì mal compreso, in quanto che,  avendo egli già prima tradotto la Metafisica di Aristotele, dovea essere suf-  ficientemente versato nelle dottrine filosofiche delle principali scuole della  Grecia. Quasi tutti i traduttori hanno  franteso questo luogo, pigliando l’iwoia  per intelletto ragione e traducendo quindi: vide ne intellectus hoc feraf.... il senso  letterale, aggiungendo ciò che è sottinteso, è: vedi se la nozione (che tu hai di te  stesso come uomo) soffre cotesto, soifre  cioè che tu dica esser nato a goder dei  piaceri. Pierron, seguendo l’ esempio  di tutti i suoi predecessori, pigliò anch’egli Vhvo'.a per intelletto traducendo: vota a' il y a du bon aena à le  prétendre. Colia bontà delle singole azioni  vuotai procacciare di ben comporre la vita.  Il testo e bravissimo. Talvolta  troppo fedele alla lettera e studioso di  conservare tutta la brevità dell’ origi-  nale, avea tradotto: ai vuol comporre  la vita mettendo inaieme le azioni ad una  ad una; poi comporre inaieme la vita  accozzando le azioni ad una ad una;  poi allogando le azioni ad una ad’una.  Non credo che so avesse potuto ripu-  lire e terminare egli stesso il suo la-  voro, si sarebbe contentato di alcuno  di questi tre modi, che tutti peccano  di oscurità e di ambiguità. A costo dì  essere men breve, io ho creduto di dover  essere piò chiaro non solo in questa  frase, ma in tutto questo paragrafo,  svolgendo un poco il concetto dell’autore siccome io l’intendo. Quasi tutti gli interpreti fran-  tendono. 0.   Nel novero degli interpreti che fran-  tesero questo luogo comprendi ora anche Mr. Al. Pierron, che sdgue docilmente- Gataker e Schultz. L’errore  sta nel legare Io i^’oioy ctv xoti up^rìae  col ófUTw che precede; laddove si   riferisce all’azione alla quale l’animale  ragionevole tendea e nella quale è stato  impedito. E ciò pare che abbia poi capito lo Schultz nella sua seconda edizione del testo greco, avendo egli posto  una virgola dopo il óutù. Se tu vo/eafi ftema la debita ri-  tterva.., che da lei etesaa; cioè a dire:  se tu volesti assolutamente e non a condizione soltanto che la cosa fosse possibile; questo atto della tua volontà  fu veramente un male, perchè, come è  detto altrove, l’ animai  ragionevole non dee voler nulla che non  sìa in poter suo, ed anche il bene re-  lativo, non dee volerlo se non se con-  dizionalmente, cioè in quanto sia possibile; rimpossibilità essendo per gli  stoici sinonimo di non voluto dalla natura e dal destino, al quale il savio  non dee ripugnare. Che se poi la cosa  voluta da te fu una di quelle che non  sono pur buone in senso relativo, e  quindi il volerla fu un appetito, pren-  dendo il vocabolo volere nel significato  volgare, cioè un moto del senso, piut-  tosto che della volontà ragionevole; tu  non ricevesti nocumento nè impedimento veruno: perchè tu non sei «erwo, ma  bensì mento, ragione o volontà razionale, e come tale, in quanto operi secondo  la tua propria natura non puoi essere  impedito da nissuna forza esteriore. Così intendo questo luogo, così certamente è stato inteso dall’ Ornato (assai  diversamente dagli altri interpreti che  io conosco, Gataker, Schultz e Pierron, e questo senso  ho procurato, di esprimere traducendo. O. lascia una breve nota a questo  luogo, ma in essa non fa che avvertire le difficoltà del tradurlo, stante la  povertà dell’italiano,comparativameute  al greco, e scusare l’ oscurità e l’ ambiguità della traduzione tentata da lui. Di tutto questo paragrafo fa quattro tentativi diversi di  traduzione, tutti laboriosissimi, come  appare dalle molte cancellature e correzioni. In margine alla quarta od ultima  prova scrisse: Sta qui fermo, perche  farai peggio se cangi. Non fu quindi  senza molto bilanciare che mi risolsi a  fare io, come feci, una quinta prova,  essendomi sembrato che il miglior par-  tito fosse qui di tradurre letteralmente,  e spiegare i sensi del testo nelle note. Ad illustrazione del senso stoico di  tutto il paragrafo ricordiamoci priiniera-  inente che secondo gli stoici: c Dio, considerato dal lato fisico, è la forza motrice  della materia, è la natura generale, e  r anima vivificante del mondo; conside-  rato dal lato morale, è la ragione eterna  che governa e penetra l’universo, è la  provvidenza benefica, è il principio della  legge naturale che comanda il bone e  proibisce il male. Ricordiamoci ancora  che l’aria, come uno dei due elementi  attivi e parte essa stessa della sostanza  divina, ò dagli stoici considerata come  il principio della vita sensitiva. Dice  adunque Antonino: non contentarti ora-  mai di essere unito con Dio a quel  modo solamente che sono uniti con lui  gli esseri solamente sensitivi, cioè per  mezzo della respirazione; ma fa’ ancora  di unirti con lui a quel modo che si  appartiene agli esseri intellettivi, cioè  con cognizione e accettazione libera  dello scopo che Iddio ha proposto al-  r accettazione libera di quelli. E però, siccome tu traggi dall’aria ambiento  gli elementi della tua vita sensitiva,  traggi ancora dalla ragione ambiente  gli elementi della tua vita intellettiva. L’esistenza delle' cose dissolvendotù (Tràvxa èv [xerai^oX-^. K«ì ocùrCg  cù év ^'.r,v£xet à^.Xoicoasi, \at xaxa ti (JiOo-  p^). Qui mi pare che fosse il caso  di dovere assolutamente abbandonare  la lettera e contentarci di esprimere il  senso del testo, piuttosto che cercar  di tradurne le parole, che non sono traducibili in italiano. L’Ornato avea detto: tutte le, cose vanno soggette a mutazione.  E tu stesso ti alteri continuamente, e  peì'^isci, per cosi dire. Ma egli non era  contento, come appare dall’usato segno.  E in vero che significa quel tutte le cose  vanno soggette a mutazione f Significa, e  non può significare di più, che tutte le  cose possono essere mutate e lo saranno  effettivamente quando che sia; ma ciò  liou esprime quella condizione delle cose,  per cui non hanno stato, o modo di essere che perduri pure un istante senza  mutamento, che è la vera condizione  delle cose secondo la filosofia di ANTONINO e voluta esprimere da lui. Chi dovesse tradurre questo luogo in tedesco,  lo potrebbe fare, parmi, benissimo dicendo: Alle (Unge aind in unaufhorlichem  anclera-werden; come si dice in werden  non solo dai filosofi, ma anche nel linguaggio famigliare, quando di una cosa  che non è ancora, ma si sta incominciando 0 si va facendo, si suol dire:  Die Saehc iat noch ini werden. Ma la  nostra lingua italiana non ha tutta la flessibilità del tedesco, uè sarebbe chiaro, uè  permesso il dire in italiano: tutte le coae  sano in un continuo mutarai. È una singolare coutradizione  di Marco nostro e di altri del PORTICO poateriori il venir cosi spesso parlando con  tanto dispregio della materia che aottoatà  alle cose (tt,? ii7:oy.e'.[xi\rng uXin?, — A"edi  anche YI, 13, e altrove). Il mondo è tuttavia per essi un animale perfetto e  bellissimo, il cui corpo è la materia, e  l’anima, Dio. Le rughe sul volto  del vegliardo, le screpolature delle ulive  e del fico vicini ad infradiciare, la bava  del cignale ed altre sì fatte cose hanno  pure una certa grazia e venustà, perchè il mondo è perfetto, e nulla è  nelle suo parti che non conferisca alla  bellezza del tutto. Perchè dunque ora  tanto dispregio non solo per tale o tale  altra parte, ma universalmente per tutta , la materia che sottosta, quando questa  materia, che non è poi altro per gli  stoici se non se il suhstratum indeter-  minato di tutto il contingente sensibile,  è essa pure sostanza divina secondo la  scuola?  Intendi: « o tu voglia dire che  il mondo sia stato formato di atomi.  ed abbia quindi origine dal caso; o che  sia stato formato di nature (essenze,  entelechie, monadi), ed abbia quindi  per origino l’ intelligenza, o la natura,  che qui è sinonimo di intelligenza; que-  sta cosa pongo io certa anzi tutto, come  tratta dalla mia osservazione immediata,  che io sono attualmente parte di un tutto  governato da una natura. » Con altre  parole: « o tu faccia venire il mondo  dalla pluralità, o tu lo faccia venire  dall’unità, ella è cosa di fatto che io  ci ravviso attualmente una pluralità  governata da una unità. » Il qual me-  todo di filosofare, per cui, lasciata stare  la disputa intorno all’origine delle cose,  si viene ad esaminare la realtà attua-  le di esse; lasciato stare il lontano e  mediato, si viene ad osservare l’ imme-  diato e prossimo; lasciata stare la co-  gnizione dedotta, si viene a far capo  alla cognizione di fatto acquistata per  osservazione; è solenne ad Antonino. Ricordi il lettore che appo  stoici mondo, tutto, natura, Dio sono   V  sostanzialmente la stessa cosa, e però  quelle che poco innanzi furono chiamate  parti del tutto, qui sono dette della  natura. Dìo, natura, mondo, tutto sono  espressioni diverse che corrispondono a  modi diversi di considerare una stessa  cosa, e questa diversità è relativa alla  mente finita dell’uomo che non può si-  multaneamente contemplare gli aspetti  e momenti diversi delle cose, e non alla  realtà obbiettiva. Quindi ò che le espressioni soprascritte sono non di rado usate  runa per l’altra, poiché sostanzialmente  significano la medesima cosa. Il mondo  KÓrfixog), dice il Laerzio, er DAL PORTICO considerato: 1® come causa  0 pbtenza informatrice di tutte le cose  che sono {natura nuturans, i; t£-   Xvtxfi, -ij ToO òlo\j q>0ai<é ), la quale, come  artefice e informatrice di sé medesima,  trae da sé stessa e informa tutte le coso con suprema saviezza e divina necessità,  cioè secondo le sue leggi che sono quelle  della ragione; 2" come la totalità delle  cose informate e ordinate dalla potenza  informatrice immanente in esse e go-  vernatrice di esse (dotta allora  xòv Toù xd^fjLou) e quindi come l’opera  vivente, il vivente organismo, o corpo  organato da quella {natura naturata);   finalmente come l’unità dei due, cioè  dell’ organismo vivente e della forza or-  ganatrice e governatrice, in quanto l’uno  non si distingue dall’altra se non se  per la contemplazione della mente finita  deU'uomo. Vedi i Prologo nell’edizione  di Torino. Fa che tu vi sottoponga col pensiero di che io ragiono. Ho conservato tutte le parole della interpretazione dell’O., perchè non avrei  saputo quali altre più chiare sostituir  loro; atteso che io non son sicuro di  intendere qui nè che cosa abbia voluto dire r O., nò che cosa Antonino. Ornato volea faro a questo luogo una  nota; ma non la fece, e non trovo altro,,  che si riferisca a questo luogo, ne’suoi  manoscritti, se non se un cenno pel  quale è indicato che egli lesse qui ò, ti  risolutamente^ ove tutti gli altri, che io  conosca, lessero &ti; e che egli intese  r Ù7TÓ0OU diversamente da tutti gli altri  interpreti. Gataker e Schultz  che lo segue da vicino, non sono più  chiari. Le quali tu apprendi»,, considerazione del tutto. Così O. svolge ed  illustra la filosofia di ANTONINO espresso brevissimamente e, parmì anche, poco  chiaramente nel tosto. Non ho mutato  quasi nulla alla versione di questo paragrafo lasciata d’O., sia perchè ho  motivo di credere che ne fosse già poco  meno che contento egli stesso, trovando  io questo paragrafo nettamente ricopiatom sia perchè non avrei voluto correr pericolo -- li alterarne benché minimamente il  senso, trattandosi di un luogo che egli  intese assai diversamente da tutti gli  altri interpreti. Vuol dire che non bastano le  impressioni buone che noi riceviamo per  mezzo della sensibilità, le quali possono  e sogliono venir cancellate da impressioni contrarie, ma ci vuole anche il lavoro deir intelletto che riduca quelle ad  unità e le fermi cosi nel nostro spirito,  formandone come un corpo di scienza. Non basta l’osservazione, l’applicazione dello spirito alle cose di circostanza,  ma ci vuole ancora la contemplazione,  l’ applicazione dello spirito alle cose  permanenti, al generale immutabile.  Solo col ridurre ad unità il moltiplice,  a generalità il particolare, si possono  radicare le cognizioni nell’ anima, la  quale si compiace dell’unità, e quindi della scienza: compiacenza cui la semplicità del cuore dee far rimanere se-  creta naturalmente nel cuore, ma non  artatamente celata; ed allora è l’ani-  ma veramente grave e soda e come chi  dicesse, veneranda. Sul fine del para-  grafo fa la enumerazione delle diverse  categorie alle quali si dee riferire l’oggetto osservato. Questa nota d’O. che per le  troppe citazioni del testo greco non  può qui darsi che in parte, trovasi intera nell’edizione di Torino. Grecismo, per suole accadere. Non  era possibile il tradurre altrimenti. Del resto vada a rilento chi per la sola ragione del non potersi tradurre  sempre colla stessa voce una stessa  parola del testo, accusa ANTONINO qui  ed altrove di arguzia. IL PORTICO crede che, là dove è una stessa parola,  debbe essere anche una stessa idea. Ed  anche Platone (vedi il Cratilo) il credette; e il credette VICO (si veda): e tanti j  altri il credettero: e noi il crediamo. Se quella idea generalissima che l’antichità avea attaccata al:p:?.eìv non si trova più annessa al nostro amare, ciò j  non prova altro se non che il greco d’ANTONINO e  l’italiano sono due lingue diverse. E  sap evadicelo. Il passo di Platone è nel Teeteto dove parlando dell’ uomo filosofo liberalmente educato, dice, udendo egli lodare e magnificare un  tiranno od un re, gli par di udire lodato  e magnificato un pastore, perchè egli  munga di molto latte; e l’animale cui  pasce e munge il re, gli pare anche più  ritroso e più infido di quello cui pasce  e munge il pastore; nè men rozzo nè  meno ineducato stima egli l’uno che  l’altro, mancando ad amhidue il tempo  per badare a sè, e vivendo il primo fra  le mura della reggia a quello stesso  modo che l’altro nella capanna sul monte. Del resto, il senso generale di tutto  questo paragrafo, non bene inteso, secondo me, dagli interpreti, mi pare che  sia: Tu dèi farti capace sempre pih cho  tu puoi vivere da filosofo in questa tua  corte come faresti in. quella tua villa .che agogni. Non incontri tu ad ogni passo esempi di quel che dice Platone:  uomini che vivono nei palagi come farebbe un rozzo pastore in sul monte:  ingolfati cioè quelli e questo nelle cure  materiali del governo dell’armentoV E  sottintende: se per costoro il palagio  non è altrimenti che una capanna, non  può ella con più ragiono essere la reggia per te come un ritiro filosofico? Gran ragione ha qui ANTONINO di raccomandare a sè medesimo anche  ' questo genere di contemplazione, cioè  a dire lo studio dei fenomeni, e delle  maraviglie, come egli dice sapientemente, dell’organismo corporeo degli animali e deir uomo massimamente: perchè non è  altro studio il quale possa per via più  compendiosa e sicura condurre alla cognizione della infinita sapienza, e provvidenza infinita della causa reggitrice  del mondo. Nè l’uorao può presumere  di conoscere sè medesimo, sé non conosce almeno un poco di queste maraviglie, cioè come si formi, cresca, si  conservi, si rinnovi e deperisca il suo  corpo, quale sia la natura e il modo di operare della causa o principio a  cui dehbonsi riferire questi fenomeni,  quali le relazioni di questa vita organica del suo corpo con quella del principio che in lui sente, vuole, e pensa,  e come possano questo due vite modificarsi fra loro scambievolmente. In vero  chi aspira a conoscere sè medesimo,  per quanto sia dato all’uomo di pur  conoscere sè stesso, e non cura di conoscere un po’intimamente anche questa delle due parti di che si compone l’esser suo, porta gran pericolo di errare nel vano, e di prendere astrazioni  por realtà, il che avvenne appunto ai filosofi del PORTICO, ignorantissimi di anatomia o  quindi più ancora di fisiologia. Perchè  uno appunto degl’errori fondamentali  della loro filosofia, quello por cui mutilavano la natura umana escludendo  da essa la sensibilità che riferivano al  corpo come a cosa straniera all’ uomo  propriamente, il quale per essi non e  altro che ragione e volontà; questo errore, dico, è in gran parte da attribuire  alla imperfezione delle loro cognizioni,  ai loro errori circa la costituzione fisica dell’uomo e le relazioni in che ella  si trova colla sua costituzione morale  e intellettuale; o per dire più veramente, alla loro totale ignoranza dello  leggi che governano i fenomeni dell’organismo corporeo dell’uomo, delle relazioni intimissime della vita di esso organismo corporeo con quella della mente,  e della natura egualmente spirituale di  ambidue. Questi versi sono d’Omero e  sono dei più famosi nell’antichità, dei  più spesso citati e ripetuti, imitati dai  poeti posteriori; o però ANTONINO non  li scrive per intero, ma solo quei brani  che sono stampati in corsivo, bastando  quelli a richiamare alla memoria i versi  interi, alle diverse sentenze contenuto  in essi alludendo egli poi nella parte seguente del paragrafo. Con questi versi GLAUCO, (opo aver  detto magnanimo Tidide a che mi chiedi  il mio lignaggio?, incomincia la sua risposta a Diomede, il quale, prima di  accettare il combattimento con lui,  aveagli chiesto qual fosse la sua stirpe.  Io li ho tradotti letteralmente, giovandomi in parte della traduzione di Monti,  la. quale, come nota a tutti i lettori,  avrei volentieri dato qui inalterata, se  in essa fosse più fedelmente espresso,  e nell’ ultimo verso non interamente  guasto il senso delle parole d’Omero. Il qual verso, voglio dire il 149\ è tradotto da Monti come segue: CosxVuom  nasce e così muor: il che fa fare un falso  sillogismo a Glauco, il quale secondo  la traduzione del Monti, concludendo,  affermerebbe dell’wo/ Ho ciò che dovea  affermare delle schiatte umane, mutando,  come direbbero i loici, nella conclusione  il piccolo termine, che nella premessa  minore- non era uomo ma schiatta o  stirpe, come disse Monti. E pure il  verso d’Omero ò chiarissimo. Questo  strafalcione Monti non fa se, come quasi ignorante del greco, con  tante altre traduzioni avesse saputo consultare quella mirabilissima, non  solo per eleganza di stile ma ancora  per fedeltà, precisione e chiarezza, del  Voss, il quale in cinque bellissimi esametri tedeschi traduce letteralmente i  cinque esametri greci. Anche Pope,  sebbene i suoi lavori sui poemi d’Omero,  tutto die pregevolissimi per altri rispetti, non meritino il nome di traduzione,  non fa qui lo sproposito di Monti. Ed altri ancora potrei nominare dei  nostri che con nobilissimo intendimento  si diedero all’ardua impresa di recare  nella nostra lingua italiana chi l’una e chi l’altra  di quelle poche reliquie che ci rimangono della greca poesia -- dico poche  rispetto a ciò che fu divorato dal tempo --; i quali avrebbero meglio inteso e  meglio tradotti moltissimi luoghi se  avessero potuto consultare, se non tutti  gl’interpreti, cementatori ed espositori,  almeno i traduttori tedeschi. Ma basta che io nomini il più valente, a parer  mio, di tutti, Belletti, al quale, tranne  forse una più intima notizia del greco,  nulla mancava, non valor d’arte, non  felicità d’ ingegno, a poter fare una traduzione perfetta, o prossima alla perfezione, dei tragici greci. E in vero,  leggendo io le traduzioni del Bcllotti e  riscontrandolo diligentemente cogli originali, ebbi in moltissimi luoghi ad ammirarne la eccellenza, anzi direi quasi  in tutti quei luoghi dov’egli capì ab-  bastanza intimamente il suo testo e non erano difficoltà insuperabili a qual sivoglia traduttore. Ma anche in molti  altri luoghi io ebbi a lamentare che  egli pure non abbia saputo o potuto  giovarsi delle eccellenti traduzioni fatte  da* suoi predecessori alemanni. Nel solo  Agamennone, che anche considerato in  sè stesso e non come parte di una  grande e sublime trilogia, è forse il  più bel monumento della scena antica,  e certamente il più grande di tutti per  sublimità tragica, recondita filosofia,  splendore di immagini e copia di alti  e forti pensieri, quanti errori avrebbe  evitati il Belletti, quante meno scempiaggini avrebbe fatto dire a quella  grande anima e colossale ingegno di  Eschilo, so egli avesse solo potuto pro-  fittare della traduzione e dei Prolegomeni di Humboldt? Non dirò  del libro di Welcker sulla Trilogia di Eschilo^ che forse non era an-  cora pubblicato quando il Bellotti traducea l’Agamennone. Ed è tanto più da  lamentare che a Bellotti siano mancati questi sussidi, quanto è meno da sperare  che sia presto per sorgere un altro ingegno italiano, il quale possa fare quello  che avrebbe potuto Bellotti. Ritornando al paragrafo di ANTONINO  e al luogo citato d’Omero, è da notare  come siffatti pensieri intorno al poco o  niun valore della vita considerata in sè,  e di tutte le cose umane e dell’ uomo  stesso, così frequenti nei poeti ebraici;  frequentissimi in questo scritto di An-  tonino e divenuti quasi abituali nei  cristiani dei primi secoli, si trovino  pure non di rado anche nei poeti greci  più antichi, voglio dire in quelli delle  prime e più splendide epoche della greca  letteratura, sebbene i greci fossero un  popolo di allegra immaginazione. Forse  non dispiacerà al lettore il vederne  qui raccolti alcuni esempi: nell’ Odissea la terra non nutre nulla  di più infermo che Vuomo. Nell’ottava delle pitie di Pindaro Che  siatn noi dunque o che non siamo f Leggiero veder d’ ombra che sogna. Letteralmente la seconda parte. L’uomo è l’ombra di un  sogno. Nel Prometeo di Eschilo  e non vedevi l’imbecille natura a  vano sogno eguale onde è impedito il cieco  umano gregge? Nell’Aiace di Sofocle,  perocché veggo  non essere noi, quanti viviamo, altro che  larve ed ombra vana. Nel Filottete del . medesimo Sofocle, Filottete  chiama sè medesimo: ombra di un  fumo. Nella Medea di Euripide -- non ora soltanto incomincio a stimare  tutte le cose umane come un' ombra, E  vuoisi notare come appo i tragici ed  anche appo i) lepidissimo Aristofane la parola effimeri, cioè quelli che durano  un giorno, è spessissimo usata come sinonimo di uomini. A queste, o ad altre simili sentenze d’ antichi ed illustri poeti, le quali erano nella memoria di tutti gli eruditi del suo tempo,  allude evidentemente ANTONINO con  quelle sue parole: il più breve detto,  anche di quelli che sono i più noti ecc., accennava poi per esempio quelli d’Omero. Questa nota e scritta in tempo che  io, quasi appona ripatriato, e mandato a stare in  un cantuccio al tutto vacuo di studi e  di lettere (prendendo i vocaboli in un  senso un po’ alto), e ridottomi a passare  nella solitudine i pochi momenti d’ozio  che r esercizio di un pubblico ufficio mi  lascia, avea potuto, non saprei diro perchè, immaginarmi che il valentissimo Bellotti fosse già del numero  di quei felici che più non vivono altrimenti sulla terra che per la memoria  di opere egregie che vi lasciarono. Avvertito ora del mio errore, non  cangio nulla a quello che ho scritto di  lui; ma aggiungo l’espressione di un voto,  che deve esser quello di tutti gli amatori  delle buone lettere desiderosi di vedere  vie più chiara e più grande la rinomanza di un nobilissimo ingegno: ed è che l’esimio sBellotti, come sta  ora, da quanto mi dissero, rivedendo o  migliorando il suo volgarizzamento di  Sofocle, così possa egli poi rivedere ed  emeudare quello ancora di Eschilo, il  quale, a parer mio, ne ha maggiore bisogno; perchè quello, tranne forse al-  cune eccezioni, non pecca gravemente  che nella parte lirica; laddove in questo  trovai, 0 parvemi certamente trovare,  molti luoghi da dover essere emendati  non solo nella parte lirica troppo spesso  non traducibile in italiano (come è intraducibile Pindaro, secondo che fu sentenziato anche da LEOPARDI  non ismentito dal tentativo più audace  che felice di Borghi); ma  eziandio nel dialogo. Ella comjyie nondimeno..», si avea  proposto. Mi sono scostato, anche nel  senso, interamente dall’ Ornato, il quale  avea tradotto: ella rende intero e com-  piuto quanto ella avea fatto fino allora;  primieramente perchè il senso voluto  esprimere d’O. non mi sembrava  abbastanza chiaro; e poi, e principal-  mente perchè mi parve troppo grande  licenza il tradurre per quanto avea fatto  fino allora, il tò irpoTcOiv, il quale mi  sembra qui usato nel senso il più ovvio  del verbo “7rp.oT{6T)|ju”, che è quello di  proporre, e così l’ intende anche lo Schultz contrariamente al’Gataker seguito d’O. Veggo bene le ra-  gioni che possono avere gl’indotto a interpretare a quel modo. Ma  non mi persuadono. Il pensiero di An-  tonino mi sembra chiaramente, l’anima razionale, la quale non si propone  altro che di operare sempre secondo  ciò che richiede il momento presente, e di aver caro tutto ciò che le interviene, come cosa voluta dalla natura,  in qualunque istante le sopravvenga la  morte, compie sempre interamente il  compito che ella si avea proposto, e  in modo soddisfacente a sè stessa; ella  ha tutto ciò che potea desiderare, ha  totalmente esaurita la sua parte come  attrice sulla scena del mondo; e appunto il morire quando la natura lo  vuole, è la conclusione, il compimento  della parte a lei assegnata e da lei liberamente accettata nel gran dramma  della vita universale. Bone avverte qui Gataker aver già  Socrate usato il medesimo argomento  per indurre Alcibiade a disprezzare la  moltitudine, alla quale peritavasi di  farsi innanzi a concionare: qual è, diss’egli, di costoro quegli che ti impau-  risce? forse Micillo il ciabattieref Trigaió  il conciatore f Trochilo il ferravecchio?  ora non sono costoro quelli dei quali si  compone V adunanza del popolo? Che se  non temi di favellare a ciascuno di essi  separatamente, che è dò.che ti fa timido  a parlar loro riuniti insieme? Il ragionamento di Socrate era giustissimo applicato ad una moltitudine di popolo riunito, e avrebbe anche potuto ricor-  dare ad Alcibiade l’antico detto di Solone ai:li Ateniesi conservatoci da Plu-  tarco: preni ad uno ad uno »iete tante  volpi; riuniti insieme siete tanti allocchi.  Ma il medesimo ragionamento applicato  allo cose di cui parla Marco nostro non  ò molto concludente. E una melodia,  per es., come qui avverte opportunamente Pierron, è qualche cosa di più  che una semplice successione di suoni,  e Antonino dimentica di considerare  ciò appunto per cui le note musicali  hanno potenza da commovere T anima  sì intimamente. Avverta il lettore che idea tragica fondamentale ai poeti greci era la  lotta infelice della volontà e liberta  morale dell’ uomo contro l’ inflessibile  necessità; o per dir più veramente,  quella fatale retribuzione di giustizia  che risulta inevitabilmente alla vita  umana dalle leggi necessarie dell’ordine morale. Perchè quella necessità che non era punto upa cosa cieca secondo gli stoici, apjio i quali il /«<o  non era altro che la concatenazione  delle cause secondo le leggi della na-  tura, cioè della ragione e quindi della  giustizia; quella necessità, dico, non  era punto una cosa cieca neppure nella  mente dei poeti: sendo che a Nemesi  figlia appunto di essa necessità e particolarmente incaricata di vendicare i  delitti e rovesciare le troppo grandi e-  immeritate prospérità, a Nemesidico,  e alla Giustizia (5“tx-ri), che erano i due  concetti più puri fra tutte le divinità  immaginate dall’ antico politeismo, il  semplice, ma sublime buon senso dei  Greci riferiva tutto ciò che risguarda  il supremo governo del mondo. L’idea  dunque della giustizia era congiunta  con quella della necessità^ sebbene in  modo diverso, anche nella mento dei  poeti, come in quella degli stoici. Cho  se Antonino non fa qui esplicitamente  alcuna allusione a quella retribuzione  di giustizia, che era l’elemento morale  della tragedia greca, ma solo allude alla inutilità della lotta contro alla necessità, e sembra così impicciolire l’idea nobilissima dell’antica tragedia;  egli è perchè questa inutilità intendeano  gli stoici e i poeti allo stesso modo, e  quasi esprimevano colle medesime pa-  role; laddove intendeano in modo diverso quella retribuzione: e non erano  forse i poeti quelli clie la intendeano  in modo men vicino al vero. Benissimo il Gataker ricorda qui  alcuni detti memorabili di Pocione, conservatici da Plutarco, ai quali alludea  probabilmente Antonino in questo luogo.  Già condannato a morte per giudizio  iniquo de’ suoi cittadini, in proposito.  di uno che non ristava dal dirgli vil-  lanie, disse Focione: non sarà alcuno  che faccia costui cessare dal disonorar  «è medesimo? E già vicino a morire,  questa sola ingiunzione fece al figliuolo:  dimenticasse il fatto ingiusto degli Ateniesi. Quanto alle parole che seguono  di Marco nostro: mpposto che non e in fingenac, non debbono esser prese come,  espressione di nn sospetto nel caso  particolare di Focione, ma bensì in un  senso generale, quasi dicesse Antonino  con istoica riserva, non bastar sempre  le parole a dar certo fondamento a un  giudizio sulle disposizioni interne dell’animo altrui, nè doversi mai fingere,  neppur quando il fingere potesse gio-  vare a bene edificare gli uomini. Da stólto (à|*vu/jiov). Traduce inìquo, seguendo lo Schultz  che tradusse iniquum. Ma non e ben risoluto di aver bene interpretato quello “ayvofxov,” come appare dal  consueto segno. E veramente non parmi  che lo ayvcofjLov possa esser preso in  questo senso, sebbene abbia quello  ingrato, disleale, disamorato. Il senso  più ovvio di questo aggettivo è privo  di senno, stolto, inavveduto, e parmi che  41 1 reo Aurelio questo senso quadri benissimo in questo , luogo, meglio che non faccia quello di  inìquo. Dopo aver detto ANTONINO essere da pazzoy cioè a dire da stolto, il  volere che ì malvagi non pecchino; aggiunge che lo ammettere in tesi gene-  rale ed assoluta, poiché non si può fare  altrimenti, che essi debbano di neces-  sità peccare, e il volere ad un tempo  che essi facciano una eccezione a favor  tuo, è cosa non solo às. stolto ma anche da tiranno: da stolto perchè l’eccezione, anche di un solo caso non è  possibile ai malvagi;.da tiranno perchè  vuoi esser distinto e che ti si abbia  maggior rispetto che agli altri uomini.  Anche Gataker intende 1’ àyvwi^ov  così; iPierron segue lo Schultz. Parole di Epitteto malissimo interpretate da Pierron, che riferisce l’àiro OavTi al padre,  quando deve essere riferito al figliuolo,  corno fece O., seguendo Gataker e Schultz. La medesima sentenza  si trova anche nel Manuale del medesimo Epitteto con parole poco diverse, e fu benissimo tradotta dal Leopardi. Se tu hacer<fi per avventura un tuo Jigliolino o la moglie, dirai teco stesso:  io bacio un mortale. Manuale, Tutto è opinione. Il lettore com-  prenderà facilmente come il senso stoico  di questa frase, tante volte ripetuta  da Marco nostro, è al tutto alieno da  quello della famosa sentenza del sofista  Protagora: V uomo è misura di tutte le  cose. La sentenza del sofista si riferiva  ad ogni cosa, alla verità obbiettiva, alla  moralità come alla sensibilità, e tendea  quindi a distruggere la possibilità' di  ogni cognizione teorica, la morale come  la religione. La sentenza di Antonino al  contrario, il quale, per un errore direi  quasi magnanimo, riduceva, seguendo gli  stoici anteriori, tutta l’essenza dell’ uo-  mo alla ragione e alla volontà ragionevele, non si riforisce ad altro che alla  sensibilità, cioè ai piaceri e ai dolori  di cui essa sensibilità è soggetto. Intendi raziocinio nel senso proprio dei loici, cioè facoltà del sillogizzare, operazione propria dell’intelletto;  e nota qui il carattere esclusivo del  Portico, il quale considerava e stimava  un nulla, non che la sensibilità ma l’in-  telletto stesso, a paragone dei buon  uso della volontà, cioè della moralità  della ragione. Traducendo ho usato il vo-  cabolo raziocinio piuttosto che intelletto,  perchè in italiano il senso della parola  intelletto può essere troppo facilmente  confuso con quello di ragione, la differenza fra i due non essendo così ben determinata nella nostra lingua, come è fra i  due corrispondenti tedeschi Verstandnis e  Vernunft. Ornato. Keywords: implicatura, Antonino, ad seipsum, ricordi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ornato” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Oro: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Grice e Trissino – la difficoltà dei segni di Trissino non favorì la diffusione della sua filosofia – filosofia italiana  (Vicenza). TRISSINO-DAL-VELLO-D’ORO -- or ORO (Vicenza).  Filosofo italiano. Ritratto di Vincenzo Catena. Persona di spicco della cultura rinascimentale, notissimo al tempo, il Trissino incarnò perfettamente il modello dell'intellettuale universale di tradizione umanistica. Si interessò, infatti, di linguistica e di grammatica, di architettura e di filosofia, di musica e di teatro, di filologia e di traduzioni, di poesia e di metrica, di numismatica, di poliorcetica, e di molte altre discipline. Nota era, anche presso i contemporanei, la sua erudizione sterminata, specie per quel che riguarda la cultura e la lingua greche, sull'esempio delle quali voleva rimodellare la poesia italiana.  Fu anche un grande diplomatico e oratore politico in contatto con tutti i grandi intellettuali della sua epoca quali Niccolò Machiavelli, Luigi Alamanni, Giovanni di Bernardo Rucellai, Ludovico Ariosto, Pietro Bembo, Giambattista Giraldi Cinzio, Demetrio Calcondila, Niccolò Leoniceno, Pietro Aretino, il condottiero Cesare Trivulzio, Leone X, Clemente VII, Paolo III, e l'imperatore Carlo V d'Asburgo. Fu ambasciatore per conto del papato, della Repubblica di Venezia e degli Asburgo, di cui fu un fedelissimo, come tutta la sua famiglia da generazioni. Scoprì e protesse l'architetto Andrea Palladio, appena adolescente, nella sua villa di Cricoli, vicino Vicenza, che venne da lui portato nei suoi viaggi e fu da lui iniziato al culto della bellezza greca e delle opere di Marco Vitruvio Pollione. O. nacque da antica e nobile famiglia. Suo nonno Giangiorgio combatté nella prima metà Professoreil condottiero Niccolò Piccinino, che al servizio dei Visconti di Milano invase alcuni territori vicentini, e riconquistò la valle di Trissino, feudo avito. Suo padre Gaspare era anch'esso uomo d'armi e colonnello al servizio della Repubblica di Venezia e sposò Cecilia Bevilacqua, di nobile famiglia veronese. Ebbe un fratello, Girolamo, scomparso prematuramente, e tre sorelle: Antonia, Maddalena, andata in sposa al padovano Antonio degli Obizzi, ed Elisabetta, poi suor Febronia in San Pietro nel 1495 e dal 1518 rifondatrice insieme a Domicilla Thiene di San Silvestro.   Targa marmorea che Trissino fece realizzare a ricordo del suo maestro Demetrio Calcondila in S.Maria della Passione a Milano Trissino studiò greco a Milano sotto la guida del dotto bizantino Demetrio Calcondila, sodale di Marsilio Ficino, e poi filosofia a Ferrara sotto Niccolò Leoniceno. Da questi maestri imparò l'amore per i classici e la lingua greca, che tanta parte ebbero nel suo stile di vita. Alla morte di Calcondila, fece murare una targa nella chiesa di S.Maria della Passione a Milano, dove fu sepolto il suo maestro. Sposa Giovanna, figlia del giudice Francesco Trissino, lontana cugina, da cui ebbe cinque figli: Cecilia, Gaspare,  Francesco, Vincenzo e Giulio.  Trissino sostene l'Impero come istituzione, come d'altronde era tradizione nella sua famiglia da generazioni, ma ciò venne interpretato in spirito antiveneziano e, per questo, egli fu temporaneamente esiliato dalla Serenissima. Nel 1515, durante uno dei suoi viaggi in Germania, l'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo lo autorizzò all'aggiunta del predicato "dal Vello d'Oro" al proprio cognome e alla relativa modifica dello stemma gentilizio (aurei velleris insigna quae gestare possis et valeas), che nella parte destra riporta su fondo azzurro un albero al naturale con fusto biforcato sul quale è posto un vello in oro, il tronco accollato da un serpente d'argento e con un nastro d'argento tra le foglie, caricato del motto "PAN TO ZHTOYMENON AΛΩTON" in lettere maiuscole greche nere, preso dai versi 110 e 111 dell'Edipo re di Sofocle che significa "Chi cerca trova", privilegi trasmissibili ai propri discendenti.   Stemma di Giangiorgio Trissino dal Vello d'Oro come appare nel volume dedicatogli da Castelli. In quegli stessi anni intraprese diversi viaggi tra Venezia, Bologna, Mantova, Milano (dove conobbe Trivulzio, comandante francese) e Padova (dove riscoprì il De vulgari eloquentia di Dante Alighieri). Poi si recò a Firenze ed entrò nel circolo degli Orti Oricellari (i giardini di Palazzo Rucellai) in cui si riunivano, in un clima di marca neoplatonica e di classicismo erudito, Machiavelli e i poeti Luigi Alamanni, Giovanni di Bernardo Rucellai ed altri. Qui il Trissino discusse il De vulgari eloquentia e compose la tragedia Sofonisba. Questi anni agli Orti Oricellari furono centrali, sia per quanto il poeta ricevette intellettualmente, sia per la forte impronta che lasciò sui suoi sodali: si vedano le tragedie di Giovanni di Bernardo Rucellai e il poemetto le Api (in endecasillabi sciolti, concluso dalle lodi del Trissino, cfr. il paragrafo sul Profilo religioso del Trissino) o le poesie pindariche di Luigi Alamanni, o ancora i punti di contatto fra le tante digressioni erudite sull'arte militare contenute nell'Italia liberata dai Goti che rimandano all'Arte della guerra del Machiavelli, elaborata proprio in quegli anni. Anzi, le idee linguistiche del poeta spronarono lo stesso Machiavelli a scrivere anche lui un Dialogo sulla lingua, nel quale difende l'uso del fiorentino moderno (cfr. il paragrafo Opere linguistiche).  In seguito si recò a Roma, dove stampò la Sofonisba -- dedicandola papa Leone X -- la prima tragedia regolare, e la famosa Epistola de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana (dedicata a Clemente VII), un arditissimo libello in cui si suggeriva l'inserimento nell'alfabeto latino di alcune lettere greche per segnalare alcune differenze di lettura. Intanto il figlio Giulio, di salute cagionevole, venne avviato dal padre alla carriera ecclesiastica e, dopo il suo soggiorno a Roma sempre presso papa a Clemente VII, divenne arciprete della cattedrale di Vicenza.  Sempre a Roma, O. diede alle stampe alcuni testi fondamentali: la versione riveduta della Epistola, la traduzione del De vulgari eloquentia, Il castellano (dialogo sulla lingua, dedicato a Cesare Trivulzio ed ispirato a quello dantesco), le Rime (dedicate al cardinale Niccolò Ridolfi) e le prime quattro parti della Poetica (il primo trattato ispirato alla Poetica di Aristotele, da poco riscoperta), con le quali il programma di riforma letteraria classicheggiante avviato con la Sofonisba può dirsi quasi concluso. Per i prossimi 20 anni il poeta non stamperà più nulla.  Queste opere sollevarono un grande clamore per la loro arditezza e disorientarono (o meglio: orientarono diversamente) la nascente letteratura italiana: nessuno aveva osato finora riformare addirittura l'alfabeto, né aveva avuto ardire di cancellare l'intero sistema dei generi in uso fin dal Medioevo (le sacre rappresentazioni e il poema cavalleresco, in primis) per farne sorgere dal nulla dei nuovi, cioè poi quelli antichi (la tragedia, la commedia e il poema epico). Da questi libelli prese avvio la secolare questione della lingua italiana. A Bologna, nel corso dell'incoronazione di Carlo V a Re d'Italia e Sacro Romano Imperatore, egli ebbe il privilegio di reggere il manto pontificale a Clemente VII e Carlo lo nominò conte palatino e cavaliere dell'Ordine Equestre della Milizia Aurata.  Secondo quanto riportato dallo storico Castellini, Trissino rifiutò posizioni di potere offertegli dai pontefici a seguito dei successi riportati come diplomatico (Nunzio e Legato), ad esempio l'arcivescovado di Napoli, il vescovado di Ferrara o la porpora cardinalizia, in quanto desideroso di una propria discendenza ed essendo il figlio Giulio avviato nella gerarchia ecclesiastica. Rientrato a Vicenza sposa Bianca, figlia del giudice Nicolò Trissino e di Caterina Verlati, già vedova di Alvise di Bartolomeo O. Da Bianca ebbe due figli: Ciro e Cecilia. Alla nomina di Ciro come erede universale, si scatenarono le ire di Giulio che per lungo tempo lottò in tribunale contro il padre e il fratellastro per poi morire in odore di eresia calvinista. Anche a seguito delle divergenze causate dai cattivi rapporti con Giulio, la coppia si divise quando Bianca si trasferì a Venezia, dove morì. Trissino manifestò il proprio fervente sostegno all'Impero dedicando, qualche anno prima della morte, a Carlo V il suo poema in 27 canti L'Italia liberata dai Goti, il primo poema regolare destinato, come si vede fin dal titolo, ad essere importante per la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Stampa anche la commedia I Simillimi, anch'essa la prima commedia regolare.  Villa O. di Cricoli (VI) Intanto nella villa di Cricoli alle porte di Vicenza, già dei Valmarana e dei Badoer e acquistata dal padre Gaspare, si radunava una delle più prestigiose Accademie vicentine. Qui Trissino scoprì uno dei più grandi talenti della storia dell'architettura, Andrea Palladio, di cui fu mentore e mecenate, che portò nei suoi viaggi con sé ed educò alla cultura greca e alle regole architettoniche di Marco Vitruvio Pollione.  Morì a Roma l'8 dicembre 1550 e fu sepolto nella Chiesa di Sant'Agata alla Suburra. Vennero alla luce le ultime due parti della sua Poetica, la quinta e la sesta (dedicate ad Antonio Perenoto, vescovo di Arras), che erano comunque già pronte, come si evince dalla chiusura della quarta parte. Progetta e attua una imponente riforma della lingua e della poesia italiane sui modelli classici, cioè la Poetica di Aristotele da poco riscoperta, i poemi di Omero, e le teorie linguistiche esposte di Alighieri nel “Della volgare eloquenza” riscoperto da lui stesso a Padova. Un programma in piena antitesi sia con la moda del petrarchismo di P. Bembo, sia con quella del romanzo cavalleresco incarnato supremamente dall' “Orlando furioso” di L. Ariosto, che allora infuriavano.  Il programma di riforma venne esposto attraverso saggi diversi, cioè un saggio di orto-grafia e di orto-fonetica (Epistola dele lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana, dedicata a Clemente VII), un saggio di teoria della lingua italiana (Il castellano, dedicato a C. Trivulzio), due saggi di grammatica (“Dubbii grammaticali” e la “Grammatichetta”) e un manuale di teoria dei generi letterari (“Poetica”). Tali proposte (specie quella di modificare l'alfabeto inserendovi alcune lettere greche così da rendere visibili le differenti pronunce di alcune vocali e di alcune consonanti) e la riscoperta del “Della volgare eloquenza” di Aligheri) sono clamorosi e fa esplodere in Italia la secolare questione della lingua, idealmente chiusa da “I promessi sposi” di Manzoni.  Questa intensa speculazione teorica ha il suo sbocco fattuale in quattro saggi poetici, tutte molto importanti: la Sofonisba (dedicata a Leone X), la prima tragedia regolare della letteratura moderna (regolare si definisce un'opera costruita secondo le norme derivate dai testi classici, essenzialmente la Poetica di Aristotele e l'Ars poetica di Orazio), L'Italia liberata dai Goti (dedicata a Carlo V), il primo poema epico regolare, e I simillimi (dedicata al G. Farnese), la prima commedia regolare. Si aggiunga un volume di poesie d'amore e di encomio (Rime, dedicato a N. Ridolfi) di gusto anti-petrarchista e ispirato ai poeti siciliani, agli Stilnovisti, ad Aligheri e alla tradizione del Quattrocento, tutte cassate dal Bembo. Anche queste opere sollevarono un grande dibattito, ma saranno destinate ad avere un ruolo centrale nello sviluppo degl’umanita italiana ed europea, se si considera l'importanza che la tragedia e l'epica, ad esempio, hanno in tutta Europa. A lui si deve anche l'invenzione dell'endecasillabo sciolto (cioè senza rima) ad imitazione dell'esametro classico, anche questa un'invenzione destinata a fama europea. La sua produzione comprende diversi generi: innanzitutto un Architettura, incompleto, ricerche sulla numismatica, traduzioni, ed orazioni varie. Se ci si concentra solo sugli studi di teoria del linguaggio, si ha a che fare con pochi testi, ma tutti rilevantissimi, attraverso i quali struttura un coerente programma di riforma del linguaggio sui modelli classici e sul linguaggio d’Alighieri ispirato alla Poetica di Aristotele, ad Omero e al “Della volgare eloquenza”, un sistema da opporre sia alle Prose della volgar lingua del Bembo di qualche anno prima, che aveva dato come modelli solo Petrarca e Boccaccio (riducendo, quindi, i generi letterari solo alla lirica e alla novella), sia all'”Orlando furioso” di L. Ariosto, che è un romanzo cavalleresco e non un poema epico. Attraverso il proprio programma iverrà a creare una tradizione di gusto classico del tutto nuova che nei secoli a venire si affiancherà al bembismo sebbene agli inizi gli fu avversario. Il suo sistema iinfatti, vuole sopperire ai vuoti lasciati dal petrarchismo bembesco e proseguire lo sperimentalismo della tradizione antica e quattrocentesca (la cosiddetta docta varietas). Né egli e l'unico convinto di queste idee, come si dice ancora oltre, ma era affiancato da Speroni, Tasso (padre di Torquato), Brocardo, Tolomei, Colocci, Equicola e altri ancora.  Volendo sintetizzare, le sue opere si raccolgono intorno a tre date:  Dà alle stampe a Roma la tragedia “Sofonisba” (composta prima agli Orti Oricellari) e l'Epistola sulle lettere da aggiungere all'alfabeto. Tutte le sue opere stampate in vita sono scritte secondo l'alfabeto da lui congegnato e non con l'alfabeto usuale. Vengono date alle stampe sei opera: “Della volgare eloquenza”, le prime IV parti della Poetica, il dialogo “Il castellano, le Rime, i Dubbi grammaticali e la Grammatichetta.  Dà alla luce il poema L'Italia liberata dai Goti, e la commedia I simillini. Passeremo in rassegna le principali opere poetiche, tranne gli Scritti linguistici, che hanno un paragrafo apposito. La Sofonisba è in assoluto la prima tragedia regolare della letteratura europea, destinata a vasta fortuna specie in Francia. Secondo il modello antico, Trissino compone una tragedia in endecasillabi sciolti, che imitano i trimetri giambici (il verso a questa data fa la sua prima apparizione), divisa in quadri da cori rimati: alcuni cori sono canzoni petrarchesche mentre altri, invece, canzoni pindariche (che fanno anch'esse qui la loro prima apparizione e si ritroveranno nella poesia di Luigi Alamanni e poi ancora di Gabriello Chiabrera). L'argomento (con sensibile differenza dai classici antichi) è storico (preso da Tito Livio), non fantastico, mitico o biblico. L'azione, come poi sarà canonico nel teatro regolare, si svolge nello stesso posto (unità di luogo) e nello stesso giorno (unità di tempo) e prevede in scena un numero limitato di persone. Venne recitata durante il carnevale di Vicenza, messa in scena dall'amico e allievo Andrea Palladio. La proposta piacque, tutto sommato, e riscosse successo: l'endecasillabo sciolto, metro nuovo, fu approvato anche dal Bembo (come ricorda Giraldi Cinzio) e divenne da allora in poi il metro quasi canonico del teatro italiano, specie tragico (vedi sotto). Anche nelle Rime si mostra uno sperimentatore e il Petrarca, modello obbligatorio a prescindere dal Bembo, si fonde con immagini derivanti da altre epoche e da altri autori, in special modo la poesia occitana, quella siciliana, gli stilnovisti e Dante, i poeti quattrocenteschi. Nel sistema del Trissino è possibile usare ancora metri come, ad esempio, i sirventesi e le ballate (cassati dal Bembo) o anche introdurre particolari nuovi come gli occhi neri di guaiaco della donna amata, immagine inventata dal poeta su un referente quotidiano della cultura cinquecentesca e non in linea con le immagini tipiche del Petrarca (occhi di stelle e simili).  Il Castellano è un dialogo sulla lingua dedicato a Cesare Trivulzio, comandante francese a Milano. Si ambienta a Castel Sant'Angelo e ha per protagonisti Giovanni di Bernardo Rucellai (il castellano, appunto) e Strozzi, amici degli Orti Oricellari. Il Trissino espone per bocca del Rucellai il suo ideale linguistico, preso dal De vulgari eloquentia, cioè quello di un volgare illustre o cortigiano, mobile ed aperto, fondato in parte sull'uso moderno e concreto della lingua, e in parte sugli autori della tradizione letteraria. Questi autori sono soprattutto Dante e Omero poiché dotati di enargia, cioè della capacità di rendere visibili a parole ciò di cui stanno narrando. Le idee linguistiche del Trissino sollevarono grande clamore (fondate com'erano su un testo la cui paternità dantesca non era ancora assicurata) e fecero scoppiare il secolare 'dibattito sulla lingua italiana' concluso, come detto, almeno idealmente, dal Manzoni tre secoli dopo. Fra i molti che parteciparono al dibattito si ricordi il fiorentino Machiavelli al quale il Trissino aveva letto il De vulgari eloquentia sempre agli Orti Oricellari, il Bembo, ovviamente, Sperone Speroni, Baldassarre Castiglione.  Poetica Le teorie che soggiacciono a questo vasto programma vengono esposte nella Poetica, libro fondamentale non solo per il Trissino, essendo in assoluto il primo libro di poetica in Europa ad essere modellato sulla Poetica di Aristotele, destinato a fama secolare in tutto il continente. Né banale né senza rischi era, come potrebbe apparire, l'idea di resuscitare dei generi letterari di fatto morti da millenni e lontani per gusto e ispirazione dalla società rinascimentale.  Sul piano linguistico immagina una lingua di ispirazione dantesca e omerica, cortigiana e illustre, che contempli l'innovazione e la tradizione, che sia aperta a una collaborazione ideale fra varie regioni italiane e non sul predominio esclusivo del toscano trecentesco, che ottemperi anche l'inserimento di neologismi e di dialettismi.  Nella poesia lirica si appoggia, sempre dietro Dante, alla tradizione occitana, siciliana, stilnovista e dantesca e anche petrarchesca. Nella metrica saccheggia ampiamente il trecentesco Antonio da Tempo che ancora contempla ballate e sirventesi, generi cassati dal Bembo, come detto, e si mostra vicino allo sperimentalismo della poesia quattrocentesca. Discorre, inoltre, della possibilità di utilizzare in italiano metri di stile greco e latino, come fatto da lui nei cori della Sofonisba, proposta che avrà grande successo nei secoli a venire, specie nella poesia per musica e nel melodramma.  Discorre poi della tragedia, della commedia, dell'ecloga teocritea e del poema omerico, i generi resuscitati dal mondo classico. A ogni genere vengono date ovviamente le proprie regole tratte da Aristotele, cioè le unità di tempo e di luogo, per la tragedia e la commedia, e le unità narrative, per il poema epico. Vengono quindi stabilite le nette differenze fra il romanzo cavalleresco e il poema epico. Mentre il romanzo cavalleresco narra una vicenda fantastica costituita dall'intreccio di molte storie diverse (alcune delle quali destinate a non chiudersi nel poema poiché non necessarie alla conclusione generale della vicenda), nel poema epico, invece, la vicenda dovrà essere di matrice storica e dovrà essere unitaria e conclusa: essa cioè dovrà venire raccontata dall'inizio alla fine, e i pochi protagonisti dovranno ruotare tutti attorno ad essa, tutti per un solo scopo, e le loro vicende dovranno venire concluse entro l'arco del poema, non lasciando nulla in sospeso. Il genere epico, inoltre, secondo una caratteristica che gli diventerà propria, viene dal Trissino investito di un alto valore morale e politico, profondamente pedagogico, ignoto al romanzo, che lo trasformano in un percorso di formazione morale e culturale.  Per questi tre generi nuovi, il poeta propone l'endecasillabo sciolto, corrispettivo moderno dell'esametro e del trimetro giambico classici (vedi paragrafi sottostanti).  Sul piano dello stile e dei registri il poeta rimanda alle teorie dei greci Demetrio Falereo e di Dionigi di Alicarnasso, che ponevano come vertice dello stile poetico l'energia, cioè la capacità di rappresentare visivamente con le parole le cose di cui s sta narrando, prerogativa, per il Trissino, dello stile di Omero e Dante. Sempre dietro Demetrio e Dionigi, divide la lingua italiana in quattro registri stilistici e non tre, come voluto dalla tradizione medievale e bembesca (la cosiddetta rota Vergilii, secondo la quale esistono 3 registri stilistici soltanto: quello basso, esemplificato dalle Bucoliche, quello medio dalle Georgiche, e quello alto o tragico dell'Eneide). Questo veniva a reimpostare daccapo i rapporti ormai consolidati fra genere letterario e registro stilistico, e fu una novità che avrebbe causato non poco l'insuccesso di un poeta il cui punto debole fu proprio lo stile. Tornò in scena con L'Italia liberata da' Gotthi, un vastissimo poema di endecasillabi sciolti in 27 canti, iniziato intorno nell'età di Papa Leone X. Esso è di fatto il primo poema epico moderno e sarà destinato, come la Sofonisba, a inaugurare un genere del tutto nuovo, in dichiarata antitesi alla tradizione medievale del romanzo cavalleresco che in quegli anni stava sfondando con Ariosto.  L'idea che soggiace alla composizione dell'opera è illustrata nella famosa Dedica a Carlo V che precede il poema, dove O. dichiara di essersi ispirato ovviamente ad Aristotele e all'Iliade di Omero. Con la guida di Omero e di Demetrio Falereo (e non di Dante, si noti), inoltre, reclama l'uso di un volgare illustre che contempli l'inserimento di voci dialettali, arcaiche o anche latine e greche, come infatti nel poema avviene. Come detto più volte, inoltre, lo scopo del poema è 'ammaestrare l'imperatore', non solo attraverso dei modelli cavallereschi, ma anche attraverso conoscenze tecniche di architettura, arte militare e via di seguito.  Il poema è ligio, insomma, a quanto stabilito nella Poetica: la trama è tratta da un accadimento storico cioè la guerra gotica tra l'imperatore bizantino Giustiniano I e gli Ostrogoti che occuparono l'Italia (per la quale il poeta segue lo storico bizantino Procopio di Cesarea), che viene raccontata dall'inizio alla fine, e i (relativamente) pochi protagonisti ruotano attorno ad essa. I personaggi, a loro volta, saranno specchio di altrettanti vizi e virtù da correggere, in questa crociata che sarebbe anche un percorso di formazione bellica e morale del suo lettore ideale, cioè Carlo V stesso. Il poema, atteso da vent'anni dai dotti italiani, fu uno dei più clamorosi fiaschi della storia letteraria italiana, come noto, anche se ebbe un impatto profondissimo. Critiche violente vennero da Giambattista Giraldi Cinzio (che ne parla nei suoi Romanzi) e da Francesco Bolognetti, ma non solo. I quali derisero il poema per la sua imitazione pedissequa dei valori dell'eroismo classico (grandezza e generosità d'animo, nobiltà e gloria), per l'attenzione estrema alla corretta applicazione delle regole aristoteliche, più che alla fluidità della narrazione o al dare un rilievo psicologico ai personaggi, assolutamente frontali. Inoltre, la ripresa parola per parola del modello omerico (ma in generale di tutte le moltissime fonti tradotte dal poeta) fu ritenuta noiosa, e la solennità dell'argomento venne a scontrarsi con la prosaicità dello stile trissiniano, del metro senza rima costruito in maniera formulare (come quello di Omero ovviamente) che rende il dettato fiacco e stereotipato. I lunghi intervalli eruditi, inoltre, in cui il poeta si dilunga nelle descrizioni degli accampamenti, dei monumenti della Roma medievale, di città, architetture, armature, eserciti, giardini, mappe geografiche dell'Italia, precetti morali, massime e apologhi eruditi e via di seguito, soffocano la narrazione epica (nella prima edizione il poema è addirittura corredato da tre cartine geografiche) e rendono il poema di difficile lettura.  Ciò non toglie, tuttavia, che l'Italia liberata abbia un posto di rilievo nella letteratura: la visione di un mondo superiore di eroi solenni e composti nella dignità del loro ideale e della loro missione, tipicamente aristocratici, anticipava le preoccupazioni morali della Controriforma.  Sarà proprio alla fine del secolo, infatti, che il poema trissiniano avrà la sua fortuna, col Tasso ma non solo.  “I simillimi” w l'ultima opera stampata dal poeta e i modelli sono indicati da lui stesso nella dedica a Farnese: Aristofane e la Commedia antica -- Menandro è stato riscoperto solo nel Novecento) -- sul modello della quale il Trissino ha fornito la favola dei cori (con l'appoggio anche dell'Arte poetica di Orazio) ma non del prologo. Dichiarata è anche l'ascendenza da Plauto (essenzialmente i Menecmi). Il testo è costruito in versi sciolti, ovviamente, mentre i cori sono costituiti anche da settenari e sono rimati.Le opere linguistiche  Frontespizio del Castellano di Giangiorgio Trissino, stampato con lettere aggiunte all'alfabeto italiano da quello Greco. I suoi saggi di filosofia del linguaggio sono essenzialmente quattro: l'Epistola, Castellano, Dubbi, Grammatichetta, oltre, ovviamente la Poetica. Accese discussioni suscita il suo esordio letterario, cioè la proposta di ri-formare l'alfabeto classico italiano, di radice latina – Lazio -- contenute nell' “Ɛpistola del Trissinω” delle lettere nuωvamente aggiunte nella lingua italiana”, dove suggerisce l'adozione di grafia dell’abecedario di vocali e consonanti della fonologia greca al fine di “dis-ambiguare” un segno diversi resi allora, e ancor oggi, con il medesimo segno grafico: e e o aperte (“ε” ed “ω”) e chiuse, z sorda e “z” sonora (“ζ”) – “Speranζa” -- nonché la distinzione dell’“i” e dell’ “u” con valore di vocale (i, u), o di consonante (j, v).  Ri-propone questa idea, sebbene ricorrendo a segni diverse, anche l'accademico della Crusca (cruschense) Salvini, sempre senza successo. Accolta fu nei secoli a venire, invece, la sua proposta di utilizzare la “z” al posto della “t” nelle vocaboli latini che finiscono in “-tione” (implicatione > “implicazione” -- oratione > orazione) e di distinguere sistematicamente il segno “u” dal signo “v” (uita > “vita”)  I punti principali dell'abecedario riformato sono i seguenti: carattere fonema Distinto da Pronuncia “Ɛ”, “ε”; E aperta [ɛ] E e E chiusa [e] “Ω” “ω” O aperta [ɔ] O o O chiusa [o] V v V con valore di consonante [v] U u U con valore di vocale [u] J j con valore di consonante J [j] I iI con valore di vocale [i] “Ӡ” “SPERANӠA” “ç” – Sperança -- Z sonora [dz] Z z Z sorda [ts]. Tali idee vengono confermate. Nel Castellano, propone il modello di una lingua cortigiana-italiana formata dagli elementi comuni a tutte le parlate dei letterati della penisola, non solo nel lessico ma anche al livello della fonetica (visibile ormai grazie al suo abecedario ri-formato). La sua teoria si appoggia ad Omero e soprattutto alla sua traduzione del “De vulgari eloquentia”, e vede amplificata nella “Poetica”, in riferimento a tutti i generi letterari, ed e illustrata materialmente nella sua Grammatichetta messa a disposizione da Trissino stesso e i Dubbi grammaticali. Alla sua tesi si dimostrano particolarmente ostili i toscani, ovviamente, visto che Aligheri stesso asserisce nel trattato che il toscano non è il volgare illustre. Tra di essi spicca il Machiavelli, come accennato, che compose un “Dialogo sulla lingua” nel quale reclama la specificità del fiorentino in opposizione a Bembo e anche a Trissino, che nella grammatica di base parte sempre dalla lingua letteraria, anche perché l'unica in grado di assicurare a livelli profondi una similarità fra i vari parlari italiani. Un esempio: se nel toscano di Poliziano è normale usare “lui” in funzione di soggetto, Bembo invece rispolvera “egli” e lo stesso fa Trissino. Machiavelli, invece, difende l'uso di “lui”, normale a Firenze. La riforma trissiniana dei segni dell’abecedario italiano, applicata sistematicamente da lui in tutti i suoi saggi (anche negli appunti!), è un prezioso documento delle differenze di pronuncia tra il tosco toscano e la lingua cortigiana, fra la lingua letteraria e la corretta pronounia Nordica (e vicentino) perché applica i propri criteri nel pubblicare i suoi saggi o nell'interpretare alcuni segni del toscano. La conseguente maggior difficoltà non favoresce la diffusione della sua filosofia e porta diverse critiche da parte dei filosofi suoi contemporanei. Sebbene sia noto come esegeta aristotelico, il Trissino si era formato, invece, sul finire del Quattrocento e nei primi del Cinquecento nelle capitali culturali italiane sature di cultura neoplatonica e mistica: non ci riferiamo solo agli anni a Milano presso il Calcondila (amico di Marsilio Ficino) o a Ferrara presso il Leoniceno, ma soprattutto a quelli trascorsi agli Orti Oricellari fiorentini e nella Roma di Leone X, figlio di Lorenzo de' Medici. Importanti sono i due ritratti che ci vengono lasciati da due contemporanei. Il primo è il quello di Giovanni di B.  Rucellai, che nel poemetto in versi sciolti Le api, dopo aver discusso dell’armonia cosmica e della dottrina ermetico-platonica dell’Anima Mundi, specifica: «Questo sì bello e sì alto pensiero / tu primamente rivocasti in luce / come in cospetto degli umani ingegni O., con tua chiara e viva voce, tu primo i gran supplicii d’Acheronte ponesti sotto i ben fondati piedi / scacciando la ignoranza dei mortali». Insomma il Trissino viene riconosciuto come un interprete del pensiero platonico e, si direbbe, democriteo. Il secondo, invece, riguarda le esposizioni rilasciate al'Inquisizione, dopo la morte del poeta, da parte del Checcozzi, il quale dichiara che il Trissino «faceva discendere le anime umane dalle stelle ne’ corpi e diede a divedere come i passaggi di quelle di pianeta in pianeta fossero stimate altrettante morti e dicesse essere pene infernali non le retribuzioni della vita futura ma le passioni e i vizi» (in B. Morsolin, O.. Monografia di un gentiluomo letterato, Firenze, Le Monnier). A questo si aggiungano ancora la ripetuta ammissione di credere nella salvezza per sola Grazia (Morsolin, confermata nell'Epistola a Marcantonio da Mula), cioè di essere a rigore un luterano, e la lunga requisitoria contro il clero corrotto contenuta contenuta nell'Italia liberata, requisitoria che però, come rilevato da Maurizio Vitale (in L'omerida italico: Gian Giorgio Trissino. Appunti sulla lingua dell'«Italia liberata da' Gotthi», Istituto Veneto di Scienze ed Arti, ), non figura in tutte le stampe del poema ma solo in quelle indirizzate forse in Germania.  Anche quindi, auspicava un riordino interno della Chiesa e una sua restaurazione morale, in linea con il generale movimento di riforma che scoppio' nel Rinascimento, con Lutero, Erasmo etc.... senza per questo farne un luterano in senso stretto. Insomma, è un tipico esponente della tradizione religiosa pre-tridentina, in cui il fervido sostegno alla Chiesa romana e la vicinanza coi papi non escludono forti iniezioni di filosofia idealista e della scuola di Crotone, di stoicismo e di astrologia, di tradizione bizantina e millenarismo, in cui Erasmo da Rotterdam, M.Lutero, Agrippa von Nettesheim, Pico, Ficino si fondono in una forma religiosa eclettica e ancora tollerata prima dell'apertura del Concilio di Trento. Le persecuzioni inizieranno dopo la sua morte  e vi verrà coinvolto, invece, il figlio Giulio, vicino al calvinismo, che subirà l'Inquisizione.  Il suo poema, una vera enciclopedia dello scibile, è molto interessante a riguardo, e queste venature di pensiero religioso inquiete ed eclettiche sono evidenti in maniera palese. Si ricordino gl’angeli che portano nomi di divinità pagane -- Palladio, Onerio, Venereo etc... -- e che non sono altro che allegorie delle facoltà umane o delle potenze naturali (Nettunio, angelo delle acque, ad esempio, o Vulcano come metonimia del fuoco) come indicato nel De Daemonius di M. Psello e nel pensiero idealista o accademico. E questo uno dei punti più bersagliati dai critici contro lui, per primo, ancora una volta, Cinzio. Di Palladio cura soprattutto la formazione di architetto inteso come filosofo umanista. Questa concezione risulta alquanto insolita in quell'epoca, nella quale all'architetto era demandato un compito preminentemente di tecnico specializzato. Non si può capire la formazione filosofica ed umanistica e di tecnico specializzato della costruzione dell'architetto Andrea della Gondola, senza l'intuito, l'aiuto e la protezione di lui. È lui a credere nel giovane lapicida che lavora in modo diverso e che aspira a una innovazione totale nel realizzare le tante opere. Gli cambia il nome in Palladio, come l'angelo liberatore e vittorioso presente nel suo poema L'Italia liberata dai Goti. Secondo la tradizione, l'incontro tra lui e Gondola ha nel cantiere della villa di Cricoli, nella zona nord fuori della città di Vicenza, che in quegli anni sta per essere ristrutturata secondo i canoni dell'architettura classica. La passione per l'arte e la cultura in senso totale sono alla base di questo scambio di idee ed esperienze che si rivela fondamentale per la preziosa collaborazione tra i due "grandi". Da lì avrà inizio la grande trasformazione dell'allievo di G. Pittoni e Giacomo da Porlezza nel celebrato Andrea Palladio. E proprio lui a condurlo a Roma nei suoi viaggi di formazione a contatto con il mondo classico e ad avviare il futuro genio dell'architettura a raggiungere le vette più ardite di un'innovazione a livello mondiale, riconosciuta ed apprezzata ancora oggi. Il sistema letterario inventato dal lui non e il solo tentativo di preservare un rapporto diretto con la cultura degl’antichi con Aligheri e con l'umanesimo del Quattrocento, che il sistema bembiano esclude. Molti altri condividevano le sue idee, infatti, come A. Brocardo, B. Tasso, anche loro intenti a inventare nuovi metri su imitazione dei classici. Tuttavia, se si eccettua forse S. Speroni, e uno dei pochi che struttura nella sua Poetica un sistema totale, onni-comprensivo, aristotelico in senso pieno, dove ogni genere è regolato in maniera specifica; e questo gli permette di essere un punto di riferimento privilegiato.  Bisogna fare a questo punto una distinzione essenziale fra le sue produzione filosofica e le sue teorie letterarie. Le opere poetiche, forse con la sola eccezione della Sofonisba e delle Rime, sono notoriamente brute. Lo stile è fiacco e prosaico e la narrazione dispersa in mille meandri eruditi, ragione per cui furono conosciute da tutti, lette e ammirate, ma non apprezzate né imitate dal punto di vista stilistico. L’invenzione del verso sciolto, che e centrale nella storia letteraria europea, infatti, non e destinata a fiorire con lui ma solo alla fine del secolo perché venisse accettata entro un poema di genere e di stile alto come quello epico. La sua filosofia, invece, trova un successo secolare, non solo in Italia ma in molti paesi europei specie nel Settecento, con la nuova moda del classicismo. Questo specie per quel che riguarda i due generi principali del mondo degl’antichi, la tragedia e l'epica, e con essi anche il verso sciolto. In Italia si può dire che ha grande fortuna col verso sciolto e col poema epico, ma minore col teatro tragico. La Sofonisba, quando usce, non era in Italia l'unica tragedia di imitazione antica, anche se era la prima: vi erano, infatti, anche quelle di Giovanni di Bernardo Rucellai, composte sempre agli Orti Oricellari. Ma la tragedia ispirata ai modelli antici non trovò terreno in Italia e fu soppiantata presto, già a metà del secolo, da quella 'alla latina' -- cioè piena di fantasmi, conflitti, colpi di scena e sangue, shakespeariana insomma), riportata in auge a Ferrara dalle Orbecche di Giambattista Giraldi Cinzio -- una linea di gusto che, alla fine del Cinquecento e nel Seicento, si sposerà in pieno col teatro gesuita, di ispirazione anche esso stoica e senecana.  Non così nell'epica e nel verso sciolto. Il poema del Trissino è nominato infatti da tutti i principali autori epici dell'epoca (e spesso in mala fede), da Bernardo Tasso (intento anche lui alla realizzazione del poema Amadigi, che nella prima stesura era in versi sciolti) e Giambattista Giraldi Cinzio (che compose contro l'Italia liberata il volume Dei romanzi), F. Bolognetti e via via fino a Tasso. Quest'ultimo parla spesso dell'Italia liberata nei Discorsi del poema eroico e, sebbene ne rilevi i limiti, la tiene presente chiaramente come modello teorico e anche in molti passaggi della Gerusalemme liberata (fra cui la famosa morte di Clorinda, ripresa da quella dell'amazzone Nicandra, ad esempio). Vale la pena specificare che il titolo di “Gerusalemme liberate”, infatti, non fu deciso dal Tasso (che nei Discorsi chiama sempre il suo poema “Goffredo”), ma dallo stampatore A. Ingegneri, che doveva aver notato la somiglianza dell'opera tassiana col poema trissiniano.  Mentre nel Rinascimento i critici iniziavano a discutere dei rapporti fra poesia epica e romanzo cavalleresco, si assiste a un lento processo di 'acclimatazione' del verso sciolto nei poemi narrativi. Dapprima viene usato nei generi minori, come le ecloghe pastorali, i poemetti georgici, gli idilli o le traduzioni, ma alla fine del secolo sarà impiegato in opere imponenti come l'”Eneide” di Caro, o nel poema sacro del Mondo creato di Tasso, o nello stile fastoso dello Stato rustico di G. Imperiale o quello classico di Chiabrera  in pieno Barocco. Anzi, proprio Chiabrera (non a caso allievo di Speroni) si può dire che sia il suo grande erede, animato come lui dal desiderio di riformare la metrica e di ricreare i generi letterari sui modelli classici. La Poetica è citata dal Chiabrera in punti importanti, sia in difesa del verso sciolto, sia dei generi metrici non bembeschi o nuovi, sia, implicitamente, nella ripresa del mito di Dante e di Omero (cfr. il paragrafo apposito in Chiabrera). O. ebbe ancora fortuna anche nel XVIII secolo, con l'edizione in due volumi Scipione Maffei di Tutte le opere (Verona, Vallarsi, ancora oggi punto di riferimento indispensabile), e con nove tragedie intitolate Sofonisba, una delle quali d’Alfieri. Grande fu l'influenza anche nel melodramma: si contano ben quattordici Sofonisba, una delle quali di Gluck e uno di Caldara. Ma a parte la fortuna della Sofonisba, considerando che la riforma poetica dell'Accademia dell'Arcadia si ispira dichiaratamente alla poesia e alla metrica del Chiabrera, possiamo dire che il Trissino sia stato uno dei fondatori della poesia arcadica e capostipite di una tradizione letteraria, anche quella del melodramma settecentesco. Non a caso è uno degli autori più presenti nella ragion poetica di Gravina, maestro del giovane Metastasio, la cui prima opera sarà la tragedia Giustino, una riproposizione quasi parola per parola del III canto dell'Italia liberata dove si narrano gli amori di Giustino e di Sofia. PCastelli dedica la poeta una intera monografia (La vita di Giovangiorgio Trissino oratore e poeta). Si può dire, quindi, che non solo nell'epica il Trissino abbia avuto fortuna, ma anche nel teatro italiano, anche se nelle forme del melodramma e non quelle della tragedia, come tipico della tradizione italiana. Questo grazie, soprattutto, alla mediazione del Chiabrera, che seppe rendere le forme metriche del Trissino (prima fra tutte il verso sciolto) di insuperabile eleganza.  Nell'Ottocento si ricordino l'Iliade di Vincenzo Monti e l'Odissea di Ippolito Pindemonte, che proseguono la grande storia del verso sciolto nella traduzione italiana, e le considerazioni di tre grandi scrittori. Il primo è Manzoni che, meditando sul romanzo storico, rifletté anche sui rapporti fra creazione poetica e verosimiglianza storica date da Aristotele nello scritto Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione. Il secondo è Carducci che stronca  il poema ne I poemi minori del Tasso (in L’Ariosto e il Tasso) e il terzo è B. Morsolin che compose la biografia del poeta (Giangiorgio Trissino o monografia di un letterato) che ancora oggi è indispensabile.Francia In Francia, invece, si assiste in un certo senso alla situazione opposta e le teorie del Trissino trovarono vasta eco più nel teatro che nel poema epico, questo anche perché in generale il teatro classico francese ha sempre prediletto i modelli greci ai latini e il teatro, in genere, al melodramma. Nel teatro francese l'influenza della Sofonisba sarà forte: la prima rappresentazione documentata in francese è nel castello di Blois, davanti alla corte della regina, Caterina de' Medici, non a caso una fiorentina. La corte di Francia era già abituata d'altronde alla poesia italiana di stile classico da almeno trent'anni, dopo il soggiorno presso Francesco I di Francia di Luigi Alamanni. Da qui in poi si conteranno otto Sofonisba fino alla fine del Settecento, una delle quali di Pierre Corneille. Non così invece nell'epica, genere che in Francia trovò poco seguito, e nel verso sciolto, che non si acclimatò mai nella poesia francese, poco adatta per suo ritmo naturale a un verso senza rima. Il Voltaire, che amava l'Ariosto, ricorda l'Italia liberata nel suo Saggio sulla poesia epica più che altro per rilevare le pecche del poema. In Inghilterra si ricorda la fortuna del verso sciolto (blank verse) che avrà la sua consacrazione nel Paradiso perduto di Milton, e le lodi tributate al Trissino da Pope nel prologo alla Sofonisba di Thomson. In Germania si ricordano tre Sofonisba. Anche Goethe possede una copia delle Rime trissiniane  Opere: “Sofonisba, tragedia Ɛpistola del Trissino de le lettere nuωvamente aggiunte ne la lingua Italiana; De vulgari eloquentia di Alighieri; traduzione Il castellano, dialogo: Daelli; Poetica; Dubbi grammaticali; Grammatichetta; L'Italia liberata dai Goti, poema epico I simillimi, commedia Galleria d'immagini  Gian Giorgio Trissinoincisione da Tutte le opere non più pubblicate di Giovan Giorgio Trissino, Miniatura di O.. Incisione da Castelli La vita di Giovangiorgio Trissino, Targa a O., in piazza Gian Giorgio Trissino. Targa posta sulla casa natale di Gian Giorgio Trissino, in corso Fogazzaro 15 a Vicenza, opera di Bartolomeo Bongiovanni.Medaglione posto nel salone di Palazzo Venturi Ginori, a Firenze, raffigurante Giovan Giorgio Trissino, membro dell'Accademia Neoplatonica che lì ebbe sede.  Bernardo Morsolin O. o Monografia di un letterato del secolo XVI, Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino. Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI,Margaret Binotto, La chiesa e il convento dei santi Filippo e Giacomo a Vicenza, Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino, Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato. L'incisione recita: DEMETRIO CHALCONDYLÆ ATHENIENSIIN STUDIIS LITERARUM GRÆCARUM EMINENTISSIMOQUI VIXIT ANNOS MENS. VET OBIIT  JOANNES O. GASP. FILIUS PRÆCEPTORI OPTIMO ET SANCTISSIMOPOSUIT. Castelli, La Vita d’O, ernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato; Morsolin O. o Monografia di un letterato del secolo XVI, Giambattista Nicolini, Vita di Giangiorgio Trissino, Nell'originale sofocleo "τὸ δὲ ζητούμενον ἁλωτόν", letteralmente "ciò che si cerca, si può cogliere".  Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato, Pierfilippo Castelli, La vita di Giovan Giorgio Trissino, Pierfilippo Castelli, La vita, Antonio Magrini, Reminiscenze Vicentine della Casa di Savoia. Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato. Bernardo Morsolin, O. o Monografia di un letterato, Silvestro Castellini, Storia della città di Vicenza.  Castelli, La vita d’O, nota. Morsolin, O. o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1Come i saggi di Lucien Faggion ricordano, per preservare il patrimonio famigliare non era inusuale sposare cugini di altri rami della medesima famiglia.  La decisione di scegliere Ciro come proprio erede ebbe ripercussioni drammatiche per diverso tempo. Oltre al trascinarsi della causa civile intentata da Giulio al padre e a Ciro, nacque una vera e propria faida tra i discendenti Trissino dal Vello d'Oro e i parenti del ramo dei Trissino più prossimo alla prima moglie, Giovanna. Le voci che fecero risalire a Ciro la denuncia anonima alla Santa Inquisizione delle simpatie protestanti, spinsero Giulio Cesare, nipote di Giovanna, a uccidere Ciro a Cornedo nel 1576, davanti a Marcantonio, uno dei suoi figli. Quest'ultimo decise di vendicare il padre, accoltellando a morte Giulio Cesare che usciva dalla cattedrale di Vicenza il venerdì santo del 1583. R. Trissino, altro avversario dei Trissino dal Vello d'Oro, s'introdusse nella casa di Pompeo, primogenito di Ciro, e ne uccise la moglie, Isabella Bissari, e il figlioletto Marcantonio, nato da poco. Si vedano al proposito vari saggi sull'argomento di Lucien Faggion, tra cui Les femmes, la famille et le devoir de mémoire: les Trissino aux XVIe et XVIIe siècles. Dovette affrontare una causa civile intentatagli dai Valmarana: negli ultimi decenni ProfessoreAlvise di Paolo Valmarana perse villa e tenuta, giocandosele col patrizio Orso Badoer, che rivendette la proprietà a Gaspare Trissino. Gli eredi Valmarana tentarono di riprendersela ipotizzando un vizio all'origine, ma il tribunale diede ragione ai diritti del Trissino. Si veda Lucien Faggion, Justice civile, témoins et mémoire aristocratique: les Trissino, les Valmarana et Cricoli au XVIe siècle,.  Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, voce O. nel sito Treccani L'Enciclopedia Italiana. Achille, Trissino, Giangiorgio, in L'Enciclopedia dell'Italiano.  "Palladio" è anche un riferimento indiretto alla mitologia greca: Pallade Atena era la dea della sapienza, particolarmente della saggezza, della tessitura, delle arti e, presumibilmente, degli aspetti più nobili della guerra; Pallade, a sua volta, è un'ambigua figura mitologica, talvolta maschio talvolta femmina che, al di fuori della sua relazione con la dea, è citata soltanto nell'Eneide di Virgilio. Ma è stata avanzata anche l'ipotesi che il nome possa avere un'origine numerologica che rimanda al nome di Vitruvio, vedi Paolo Portoghesi, La mano di Palladio, Torino, Allemandi, Dal volantino della mostra dedicata a O., in occasione dell’anniversario della promulgazione dello Statuto del Comune, organizzata dalla Provincia di Vicenza, Comune di Trissino e Pro Loco di Trissino.  L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, Giachetti, Losanna, 1824. Sull'autore in generale si vedano almeno tre testi fondamentali:  Pierfilippo Castelli, La vita di Giovangiorgio Trissino, oratore e poeta, ed. Giovanni Radici, Venezia, Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o monografia di un letterato del secolo XVI, Firenze, Le Monnier, Atti del Convegno di Studi su Giangiorgio Trissino, Vicenza); Pozza, Vicenza, Neri Pozza, Sulla Sofonisba:  E. Bonora La "Sofonisba" del Trissino, Storia Lettaliana, Garzanti, Milano, M. Ariani, Utopia e storia nella Sofonisba di Giangiorgio Trissino, in Tra Classicismo e Manierismo, Firenze, Olschki, C. Musumarra, La Sofonisba ovvero della libertà, «Italianistica», Sulle Rime:  A. Quondam, Il naso di Laura. Lingua e poesia lirica nella tradizione del classicismo, Ferrara, Panini, C. Mazzoleni, L’ultimo manoscritto delle Rime di Giovan Giorgio Trissino, in Per Cesare Bozzetti. Studi di letteratura e filologia italiana, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Sull'Italia liberata si vedano almeno (in ordine di stampa):  F. Ermini, L’Italia liberata dai Goti di Giangiorgio Trissino. Contributo alla storia dell’epopea italiana, Roma, Romana, A. Belloni, Il poema epico e mitologico, Milano, Vallardi, Ettore Bonora, L'"Italia Liberata" del Trissino,Storia della Lett. italiana,Milano, Garzanti, Marcello Aurigemma, Letteratura epica e didascalica, in Letteratura italiana,  IV, Il Cinquecento. Dal Rinascimento alla Controriforma, Bari, Laterza, Marcello Aurigemma, Lirica, poemi e trattati civili del Cinquecento, Bari, Laterza, Guido Baldassarri. Il sonno di Zeus. Sperimentazione narrativa del poema rinascimentale e tradizione omerica, Roma, Bulzoni, Renato Bruscagli, Romanzo ed epos dall’Ariosto al Tasso, in Il Romanzo. Origine e sviluppo delle strutture narrative nella cultura occidentale, Pisa, ETS, D. Javitch, La politica dei generi letterari nel tardo Cinquecento, «Studi italiani», David Quint, Epic and Empire. Politics and generic form from Virgil to Milton, Princeton, Princeton University Press, Tateo, La letteratura epica e didascalica, in Storia della letteratura italiana,  IV, Il Primo Cinquecento, Roma, Salerno, Sergio Zatti, L'imperialismo epico del Trissino, in Id., L'ombra del Tasso, Milano, Bruno Mondadori, aRenato Barilli, Modernità del Trissino, «Studi Italiani», A. Casadei, La fine degli incanti. Vicende del poema epico-cavalleresco nel Rinascimento, Roma, Franco Angeli,  D. Javitch, La nascita della teoria dei generi letterari, «Italianistica», Gigante, «Azioni formidabili e misericordiose». L'esperimento epico del Trissino, in «Filologia e Critica», Stefano Jossa, Ordine e casualità: ideologizzazione del poema e difficoltà del racconto fra Ariosto e Tasso, «Filologia e critica», S. Sberlati, Il genere e la disputa, Roma, Bulzoni, Jossa, La fondazione di un genere. Il poema eroico tra Ariosto e Tasso, Roma, Carocci, M. Pozzi, Dall’immaginario epico all’immaginario cavalleresco, in L’Italia letteraria e l’Europa dal Rinascimento all’Illuminismo, in Atti del Convegno di Aosta,  N. Borsellino e B. Germano, Roma, Salerno, M. De Masi, L'errore di Belisario, Corsamonte, Achille, «Studi italiani», Claudio Gigante, Un'interpretazione dell'«Italia liberata dai Goti», in Id., Esperienze di filologia cinquecentesca. Salviati, Mazzoni, Trissino, Costo, il Bargeo, Tasso, Roma, Salerno Editrice, E. Musacchio, Il poema epico ad una svolta: O. tra modello omerico e virgiliano, in «Italica»,  Valentina Gallo, Paradigmi etici dell'eroico e riuso mitologico nel V libro dell'‘Italia' di Trissino, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», Alessandro Corrieri, Rivisitazioni cavalleresche nell'Italia liberata da' Gotthi d’O., «Schifanoia», A. Corrieri, La guerra celeste dell'Italia liberata da' Gotthi di Giangiorgio Trissino, «Schifanoia», Claudio Gigante, Epica e romanzo in O., in La tradizione epica e cavalleresca in Italia, C. Gigante e Palumbo, BruxellesI. E. Peter Lang,  Corrieri, Lo scudo d’Achille e il pianto di Didone: da L’Italia liberata da’ Gotthi di Giangiorgio Trìssino a Delle Guerre de’ Goti di Gabriello Chiabrera, «Lettere italiane»,Alessandro Corrieri, I modelli epici latini e il decoro eroico nel Rinascimento: il caso de L’Italia liberata da’ Gotthi d’O., «Lettere italiane», Sul dibattito sui generi letterari e la Poetica (in ordine di stampa):  E. Proto, Sulla ‘Poetica’ di G. G. Trissino, Napoli, Giannini e figli, C. Guerrieri-Crocetti, Giovan Battista Giraldi Cintio e il pensiero critico del secolo XVI, Milano-Genova-Napoli, Società Dante Alighieri, Mazzacurati, La mediazione trissiniana, in Misure del classicismo rinascimentale, Napoli, Liguori, Mazzacurati, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, A. Quondam, La poesia duplicata. Imitazione e scrittura nell'esperienza del Trissino, in Atti del Convegno di Studi su G. Trissino, N. Pozza, Vicenza, Accademia Olimpica, G. Mazzacurati, Il Rinascimento del Moderni. La crisi culturale Professoree la negazione delle origini” (Bologna, Il Mulino); M. Pozzi, Lingua, cultura, società. Saggi della letteratura italiana del Cinquecento, Alessandria, Dell’Orso, Per il rapporto fra l’epica del T. e quella del Tasso (in ordine di stampa):  E. Williamson, Tasso’s annotations to Trissino’s Poetics, «Modern Language Notes», M. Clarini, Le postille del Tasso al Trissino, «Studi Italiani», G. Baldassarri, «Inferno» e «Cielo». Tipologia e funzione del «meraviglioso» nella «Liberata», Roma, Bulzoni, R. Bruscagli, L’errore di Goffredo, «Studi tassiani», S. Zatti, Tasso lettore del Trissino, in Torquato Tasso e la cultura estense, G. Venturi, Firenze, Olsckhi, Sulla lingua e il dibattito dei contemporanei si vedano almeno (in ordine di stampa):  B. Migliorini, Le proposte trissiniane di riforma ortografica, «Lingua nostra» G. Nencioni, Fra grammatica e retorica. Un caso di polimorfia della lingua letteraria, Firenze, Olsckhi, B. Migliorini, Note sulla grafia nel Rinascimento, in Id., Saggi linguistici, Firenze, Le Monnier, B. Migliorini, Il Cinquecento, in Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni [e ristampe]. E.Bonora, "La questione della lingua", Storia Lettaliana, Garzanti, Milano, C. Segre, L’edonismo linguistico del Cinquecento, in Lingua, stile e società, Milano, Feltrinelli,  O. Castellani-Pollidori, Il Cesano de la lingua toscana, Firenze, Olschki, O. Castellani-Pollidori, Niccolò Machiavelli e il Dialogo intorno alla lingua. Con un’edizione critica del testo, Firenze, Olschki,  Franco Subri, Gli scritti grammaticali inediti di Tolomei: le quattro lingue di toscana, «Giornale storico della letteratura italiana», I. Paccagnella, Il fasto delle lingue. Plurilinguismo letterario nel Cinquecento, Roma, Bulzoni,  M. Pozzi, Trattatisti del Cinquecento, Milano-Napoli, Ricciardi, Richardson, Trattati sull’ortografia del volgare, Exeter, University of Exeter,  Pozzi, O. e la letteratura italiana, in Id., Lingua, cultura e società. Saggi sulla letteratura italiana del Cinquecento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, A. Cappagli, Gli scritti ortofonici di Claudio Tolomei, «Studi di grammatica italiana», Maraschio, Trattati di fonetica del Cinquecento, Firenze, presso l’Accademia,  C. Giovanardi, La teoria cortigiana e il dibattito linguistico nel primo Cinquecento, Roma, Bulzoni, M. Vitale, L'omerida italico: Gian Giorgio Trissino. Appunti sulla lingua dell'«Italia liberata da' Gotthi», Istituto Veneto de Scienze ed Arti,. Sulla traduzione di Dante e l'importanza del De vulgari eloquentia si vedano almeno (in ordine di stampa):  M. Aurigemma, Dante nella poetica linguistica del Trissino, «Ateneo veneto», foglio speciale,  C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi,Floriani, Trissino: la «questione della lingua», la poetica, negli Atti del Convegno di Studi su Giangiorgio Trissino, etc...(ora in Gentiluomini letterati. Studi sul dibattito culturale nel primo Cinquecento, Napoli, Liguori, I. Pagani, La teoria linguistica di Dante, Napoli, Liguori,  C. Pulsoni, Per la fortuna del De vulgari Eloquentia: Bembo e Barbieri, «Aevum», E. Pistoiesi: Con Dante attraverso il Cinquecento: Il De vulgari eloquentia e la questione della lingua, «Rinascimento», Per le trafile del codice dantesco posseduto dal Trissino, oggi alla Biblioteca Trivulziana di Milano, cfr. l'introduzione diRàjna alla sua edizione del De Vulgari Eloquentia (Firenze, Le Monnier) e G. Padoan, Vicende veneziane del codice Trivulziano del “De vulgari eloquentia”, in Dante e la cultura veneta, Atti del convegno di studi della fondazione “Giorgio Cini”, Venezia-Padova-Verona, V. Branca e G. Padoan, Firenze, Olschki, Tutti i testi d’O si rileggono nei due volumi intitolati Tutte le opere Scipione Maffei (Verona, Vallarsi), che non riproducono però l'alfabeto inventato riformato. Alcuni testi hanno avuto delle edizioni moderne:  La Poetica si rilegge nei Trattati di poetica e di retorica, Weinberg, Bari, Laterza, Il testo è riprodotto con l'alfabeto inventato d’O. Scritti linguistici, A. Castelvecchi, Roma, Salerno (che contiene la Epistola delle lettere nuovamente aggiunte, Il Castellano, i Dubbii grammaticali e la Grammatichetta). I testi sono riprodotti con l'alfabeto inventato dal Trissino. La Sofonisba è stata curata da R. Cremante, nel Teatro, Napoli, Ricciardi, Il testo è riprodotto con l'alfabeto inventato d’O ed è dotato di un vasto commento e introduzione. La traduzione del De vulgari eloquentia si può leggere in D. Alighieri, F. Chiappelli, nella collana “I classici italiani”, G. Getto, Milano, Mursia, oppure, assieme al testo latino, nel 2 tomo dell’Opera Omnia curata da Scipione Maffei (vedi sotto). Per l'Italia liberata dai Goti e per I Simillimi si deve ricorrere, invece, alle prime edizioni o all'edizione del Maffei o alle ristampe sette-ottocentesche. Per l'elenco completo di tutte le stampe, ristampe, studi ed edizioni sul Trissino vedi Corrieri, O., consultabile (aggiornata al 2 settembre ) presso// nuovorinascimento. org/ cinquecento/trissino. pdf.  A. Palladio O. (famiglia). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia. Encyclopædia Britannica, Inc. O. Open MLOL, Horizons Unlimited srl. O. Opere di Gian Giorgio Trissino, su Progetto Gutenberg. O. Catholic Encyclopedia, Appleton. Italica Rinascimento: O, L'Italia liberata dai Gotthi. L’uomo solo ha il COMERCIO del parlare. Questo è il nostro vero e primo parlare. Non dico nostro, perchè altro parlar ci sia che quello dell'uomo. Perciò che fra tutte le cose che sono SOLAMENTE ALL’UOMO E DATO IL PARLARE ,sendo a lui necessario solo. CERTO NON A a gl’angeli non a GL’ANIMALI INFERIORI e necessario parlare. Adunque sarebbe stato dato invano a costoro, non avendo bisogno di esso.  E LA NATURA certamente abborrisce di fare cosa alcuna invano. Se volemo poi sottilmente considerare la INTENZIONE del parlar [parabola] nostro, niun'altra ce ne troveremo, che il MANIFESTARE all’altro questo o quello CONCETTO della mente nostra. Avendo adunque gl’angeli prontissima e neffabile sufficienzia d'intelletto da chiarire questo o quello gloriosi concetto, per la qual sufficienza d'intelletto l'uno è TOTALMENTE  NOTO all'altro, o per sè, o almeno per quel fulgentissimo specchio, nel quale tutti sono rappresentati bellissimi e in cui avidis simi sispecchiano. Per tanto pare che di ni uno SEGNO DI PARLARE ha mestieri. Ma chi oppone a questo, allegando quei spiriti, che cascarono dal cielo; a tale opposizione doppiamente si può rispondere. Prima, che quando noi trattiamo di quelle cose, che sono che Q a bene esser , devemo essi lasciar da 3 parte, conciò sia che questi perversi non vollero aspettare la divina cura. Seconda risposta, e meglio è, che questi demoni a MANIFESTARE fra sè la loro perfidia, non hanno bisogno di conoscere se non qualche cosa di ciascuno, perchè è, e quanto è 1 : il che certamente sanno; perciò che si conobbero l'un l'altro avanti la ruina loro. Agl’ANIMALI INFERIORI poi non e bisogno provvedere di parlare. Conciò sia che per solo ISTINTO DI NATURA sono guidati. E poi, tutti quelli animali che sono di una medesima specie hanno le medesime azioni, e le medesime passioni; per le quali loro proprietà possono le altrui conoscere. Ma aquelli che sono di diverse specie, non solamente non e necessario loro il parlare, ma in tutto dannoso gli sarebbe stato, non essendo alcuno amicabile comercio tra essi. E se mi fosse opposto che IL SERPENTE che PARLA alla prima femina, e l'asina di Balaam PARLA, a questo rispondo, che l'ANGELO nell’asina e IL DIAVOLO nel serpente hanno talmente operato che essi animali mossero gli organi loro. E così d'indi la voce risulta distinta, COME vero parlare; non che quello de l'asina fosse altro che ragghiare e quello del serpente altro che fischiare. Il testo ha: non indigent, nisi ut sciant quilibetde quolibet, quia est, et quantus est. Parrebbe più proprio il tradurre cosi. Non hanno bisogno di conoscere, se non ciascheduno di ciaschedun altro, che è,e quanto è: ossia l'esistenza e il grado. Se alcuno poi argumentasse da quello, che OVIDIO (si veda) dice nella Metamorfosi che LE PICHE parlarono, dico che dice questo FIGURATAMENTE, intendendo altro. Ma se si dices che le piche al presente e altri uccelli parlano, dico che è FALSO, perciò che tale atto NON è parlare, ma è certa imitazione del suono de la nostra voce; o vero che si sforzano di imitare noi in quanto SONIAMO ma non in quanto PARLIAMO (cf. ‘talk,’ ‘speak’, ‘speak in tongues’). Tal che se quello che alcuno espressamente dice, ancora la pica ride, questo non sarebbe se non rappresentazione , o vero imitazione del SUONO di quello, che prima ho detto. E così appare agl’UOMINI SOLI e dato dalla NATURA il PARLARE. Ma per qual cagione esso gli e NECESSARIO, ci sforzeremo brievemente trattare. Che e NECESSARIO agl’uomini il COMERCIO, la CONVERSAZIONE. Ovendosi adunque l'uomo NON PER ISTINTO DI NATURA, ma per *ragione*. E essa ragione o circa la separazione, o circa il giudidizio, o circa la elezione diversificandosi in ciascuno; tal che quasi ogni uno de la sua pro [La voce del testo, “discrezione”, sarebbe resa meglio dalla parola discernimento. del parlare, pria specie s'allegra; giudichiamo che niuno intenda l'altro per la sua propria AZIONE o PASSIONE, come fanno le bestie. Nè anche per speculazione l'uno può intrar ne l'altro, come gl’angeli – JARMAN, La conversazione angelica --, sendo per la grossezza e opacità del CORPO mortale la umana specie da ciò ritenuta. E adunque bisogno che,  volendo la generazione umana fra sè COMUNICARE IL SUO CONCETTO, avesse qualche SEGNO SENSUALE e *razionale*; per ciò che, dovendo prendere una cosa dalla ragione, e nela ragione portarla, bisogna essere razionale. Ma non potendosi alcuna cosa di una ragione in un'altra portare, SE NON PER IL MEZZO DEL SENSUALE, e bisogno essere sensuale, perciò che se 'l e *solamente* razionale, non puo trapassare. Se *solo* sensuale, non puo prendere dalla ragione, nè nella ragione de porre. E questo è SEGNO (SENNO) che il subietto di che parliamo, è nobile; perciò che in quanto è suono, il SEGNO (SENNO) è per natura una cosa sensuale. E inquanto che, secondo la *volontà* di ciascun, *significa* qualche cosa, egli è razionale 1. Iltestoha: Hoc equidem SIGNUM est, ipsum subjectum nobile, dequo loquimur. Natura sensuale quidem, in quantum sonus est, esse. Rationale vero, in quantum aliquid SIGNIFICARE videtur ad placitum. A noi pare più giusto l'interpretare questo passo cosi. Questo segno, l'aliquod rationale signum et sensuale di cui ha parlato poche righe più sopra, è per l'appunto il nobile soggetto di cui parliamo. Sensuale per natura, in quanto è SUONO. Razionale, in quanto che, se A che uomo e prima dato il parlare, e che dice prima, et in che lingua L’UMO SOLO e dato dalla natura il parlare. Ora istimo che appresso debbiamo investigare, a che uomo e prima dato dalla natura il parlare, e che cosa prima dice, e a chi parlò, e dove e quando, e eziandio in che linguaggio il primo suo parlare si sciol se. Secondo che si legge ne la prima parte del Genesis, ove la sacratissima Scrittura tratta del principio del mondo, si truova la femina, prima cheniunaltro, aver parlato, cio è lapre sontuosissima EVA, la quale al DIAVOLO, che la ricercava , disse , ‘Dio ci ha commesso , che non mangiamo del frutto del legno che è nel mezzo del paradiso, e che non lo tocchiamo , acciò che per avventura non moriamo. Ma a vegna che in scritto si trovi la donna aver pri mieramente parlato, non di meno è ragionevol cosa che crediamo, che l'uomo fosse quello, che prima parlasse. Nè cosa inconveniente mi pare condo la volontà di ciascuno, significa qualche cosa. Contro la quale interpretazione stala punteggiatura, e la voce esse del testo, che sarebbe di troppo ; ma ,per com penso, il brano riesce più chiaro, e si collega meglio col senso di tutto il Capitolo. Anifesto è per le cose già dette , che a pensare, che così eccellente azione de la il generazione umana prima da l'uomo, che da la femina procedesse. Ragionevolmente adunque crediamo ad esso essere stato dato primier mente il parlare da Dio, subito che l’ebbe formato. Che voce poi fosse quella che parla prima, a ciascuno di sana mente può esser in pronto e io non dubito che la fosse quella, che è Dio, cioè Eli, o vero per modo d'interrogazione, o per modo di risposta. Assurda cosa veramente pare, e da la ragione aliena, che da l'uomo fosse nominata cosa alcuna prima che Dio; con ciò sia che da esso,& in esso fosse fatto l'uomo. E siccome, dopo la prevaricazionedel'u m a n a generazione , ciascuno esordio di parlare comincia da heu ; così è ragionevol cosa , che quello che fu davanti , cominciasse da alle grezza, e conciò sia che niun gaudio sia fuori di Dio,ma tuttoinDio,& esso Dio tuttosiaal legrezza, conseguente cosa è che 'l primo p a r lante dicesse primieramente Dio. Quindi nasce questo dubbio,che avendo di sopra detto, l'uomo aver prima per via di risposta parlato, se risposta fu,devette esser a Dio; e se a Dio, parrebbe, che Dio prima avesse parlato, il che parrehbe contra quello che avemo detto di sopra. Al qual dubbio risponderemo,che ben può l'uo mo averrisposto a Dio, chelointerrogava, nè per questo Dio aver parlato di quella LOQUELLA, che dicemo.Qual è colui, che dubiti, che tutte le cose che sono non si pieghino secondo il voler di Dio,da cuièfatta, governata, econservata ,  ciascuna cosa ? É conciò sia che l'aere a tante alterazioni per comandamento della natura in feriore si muova, la quale è ministra e fattura di Dio, di maniera che fa risuonare i tuoni, fulgurare il fuoco, gemere l'acqua, e sparge le nevi, e slancia la grandine ; non si moverà egli per comandamento di Dio a far risonare alcune parole le quali siano distinte da colui, che maggior cosa distinse?e perchè no? Laon de & a questa, & ad alcune altre cose credia mo tale risposta bastare. Dove,& a cuiprima l'uomo abbiaparlato. ta così da le cose superiori,come da le in feriori), che il primo uomo drizzasse il suo primo parlare primieramente a Dio , dico, che ragionevolmente esso primo parlante parlò s u bito,che fu da la virtù animante ispirato: per ciò che ne l'uomo crediamo,che molto più cosa umana sia l'essere sentito che il sentire, pur che egli sia sentito,e senta come uomo. Se adunque quel primo fabbro, di ogni perfezione principio & amatore ,inspirando il primo uomo con ogni perfezione compi , ragionevole cosa mi pare, che questo perfettissimo animale non prima cominciasse a sentire, che 'l fosse sen tito. Se alcuno poi dicesse contra le obiezioni,  11 Iudicando adunque (non senza ragione trat, che non era bisogno che l'uomo parlasse, es sendo egli solo ; e che Dio ogni nostro segreto senza parlare, ed anco prima di noi discerne ; ora (con quella riverenzia , la quale devemo usare ogni volta,che qualche cosa de l'eterna volontà giudichiamo),dico,che avegna che Dio sapesse, anzi antivedesse (che è una medesima cosa quanto a Dio) il concetto del primo parlante senza parlare, non di meno volse che esso parlasse; acciò che ne la esplicazione di tanto dono, colui, che graziosamente glielo avea do nato,se ne gloriasse.E perciò devemo credere, che da Dio proceda , che ordinato l'atto de i nostri affetti, ce ne allegriamo. Quinci possiamo ritrovare il loco, nel quale fu mandata fuori la prima favella; perciò che se fu animato l'uomo fuori del paradiso, diremo che fuori: se dentro , diremo che dentro fu il loco del suo primo parlare. Ra perchè i negozii umani si hanno ad esercitare per molte e diverse lingue, tal che molti per le parole non intesi da molti, che se fussero senza esse; però fia buono investigare di quel parlare, del quale si crede aver usato l'uomo, che nacque senza sono altrimente 1 Di che idioma prima l'uomo parld, e donde fu l'autore di quest'opera.   madre, e senza latte si nutri, e che nè pupil lare età vide,nè adulta.In questa cosa,sì come in altre molte, Pietramala è amplissima città, e patria de la maggior parte dei figliuoli di Adamo .Però qualunque si ritrova essere di cosi disonesta ragione, che creda, che il loco della sua nazione sia il più delizioso, che si trovi sotto il Sole, a costui parimente sarà licito preporre il suo proprio volgare, cioè la sua materna locuzione,a tutti gli altri; e conse guentemente credere essa essere stata quella diAdamo.Ma noi, acuiil mondo èpatria, sì come a'pesci il mare , quantunque abbiamo bevuto l'acqua d'Arno avanti che avessimo denti,e che amiamo tanto Fiorenza,che pe averla amata patiamo ingiusto esiglio, non dimeno le spalle del nostro giudizio più a la ragione che al senso appoggiamo. E benchè se condo il piacer nostro , o vero secondo la quiete de la nostra sensualità, non sia in terra loco più ameno di Fiorenza;pure rivolgendo i vo lumi de'poeti e de gli altri scrittori, ne i quali il mondo universalmente e particularmente si descrive , e discorrendo fra noi i varj siti dei luoghi del mondo , e le abitudini loro tra l'uno e l'altropolo,e'lcircolo equatore, fermamente comprendo, e credo, molte regioni e città es sere più nobili e deliziose che Toscana e Fiorenza, ove son nato, e di cui son cittadino; e molte nazioni e molte genti usare più dilette vole, e più utile sermone , che gli Italiani. R ir   tornando adunque al proposto, dico che una certa forma di parlare fu creata da Dio insie me con l'anima prima ,e dico forma, quanto a i vocaboli de le cose,e quanto a la construzione de'vocaboli , e quanto al proferir de le con struzioni; la quale forma veramente ogni par lante lingua userebbe, se per colpa de la pro sunzione umana non fosse stata dissipata, come di sotto si mostrerà. Di questa forma di par lare parlò Adamo , e tutti i suoi posteri fino a la edificazione de la torre di Babel , la quale si interpreta la torre de la confusione. Questa forma di locuzione hanno ereditato i figliuoli di Heber, i quali da lui furono detti Ebrei ; a cui soli dopo la confusione rimase, acciò che il nostro Redentore , il quale doveva nascere di loro,usasse,secondo laumanità,dela lin gua de la grazia, e non di quella de la confu sione 1. Fu adunque lo ebraico idioma quello, che fu fabbricato da le labbra del primo par lante . ' Il testo ha: qui ex illis oriturus erat secundum humanitatem , non lingua confusionis, sed gratiæ frue retur.E deve tradursi:ilqualedovevanascere di loro secondo l'umanità , usasse della lingua della grazia , e non di quella della confusione.   Hi come gravemente mi vergogno di rin  15 e per  De la divisione del parlare in più lingue. A en ta nerazione umana: ma perciò che non possia mo lasciar di passare per essa, se ben la fac cia diventa rossa , e l'animo la fugge , non starò di narrarla. Oh nostra natura sempre prona ai peccati , oh da principio , e che mai non finisce, piena di nequizia; non era stato assai per la tua corruttela, che per lo primo fallo fosti cacciata, e stesti in bando de la p a tria de le delizie? non era assai, che per la universale lussuria, e crudeltà della tua fami glia, tutto quello che era di te, fuor che una casa sola, fusse dal diluvio sommerso , il male , che tu avevi commesso , gli animali del cielo e de la terra fusseno già stati puniti ? Certo assai sarebbe stato; ma come prover bialmente si suol dire,Non andrai a cavallo anzi terza ; e tu misera volesti miseramente andare a cavallo.Ecco,lettore, che l'uomo , o vero scordato,o vero non curando de le prime battiture, e rivolgendo gli occhi da le sferze, che erano rimase , venne la terza volta a le botte, per la sciocca sua e superba prosunzio ne. Presunse adunque nel suo cuore lo incu rabile uomo, sotto persuasione di gigante, di  ,  superare con l'arte sua non solamente la na tura,ma ancora esso naturante, ilqualeèDio; e cominciò ad edificare una torre in Sennar, la quale poi fu detta Babel, cioè confusione, per la quale sperava di ascendere al cielo, avendo intenzione, lo sciocco,non solamente di aggua gliare,ma diavanzare ilsuo Fattore. Oh cle menzia senza misura del celeste imperio;qual padre sosterrebbe tanti insulti dal figliuolo? Ora innalzandosi non con inimica sferza, ma con paterna, & a battiture assueta , il ribel lante figliuolo con pietosa e memorabile corre zione castigò. Era quasi tutta la generazione umana a questa opera iniqua concorsa ; parte comandava, parte erano architetti,parte face vano muri,parte impiombavano,parte tiravano le corde ", parte cavavano sassi, parte per ter ra, parte per mare li conducevano. E cosìdi verse parti in diverse altre opere s’affatica vano , quando furono dal cielo di tanta con fusione percossi, che dove tutti con una istessa loquela servivano a l'opera , diversificandosi in molte loquele , da essa cessavano , nè mai a quel medesimo comercio convenivano ; & a quelli soli, che in una cosa convenivano una · Il Witte osserva che in luogo di pars amysibus tegulabant, pars tuillis linebant, come leggeva erro neamente la volgata nel testo latino , si deve leggere : pars amussibus tegulabant, pars trullis (o truellis) linebant, e si deve tradurre : parte arrotavano sulle pietre i mattoni,parte con le mestole intonacavano. istessa loquela attualmente rimase , come a tutti gli architetti una , a tutti i conduttori di sassi una,a tuttiipreparatori di quegli una, e così avvenne di tutti gli operanti; tal che di quanti varj esercizj erano in quell'opera , di tanti varj linguaggi fu la generazione umana disgiunta. E quanto era più eccellente l'arti ficio di ciascuno , tanto era più grosso e barbaro il loro parlare. Quelli poscia, a li quali il sacrato idioma rimase, nè erano presenti nè lodavano lo esercizio loro; anzi gravemente biasimandolo, si ridevano de la sciocchezza de gli operanti.M a questi furono una minima parte di quelli quanto al numero ; e furono , sì come io comprendo , del seme di Sem , il quale fu il terzo figliuolo di Noè , da cui nacque il popolo di Israel, il quale usò de la antiquissima locu zione fino a la sua dispersione. e specialmente in Europa. Er la detta precedente confusione di lin gue non leggieramente giudichiamo , che allora primieramente gli uomini furono sparsi per tutti iclimi del mondo e per tutte le re gioni & angoli di esso. E conciò sia che la  P Sottodivisione del parlare per il mondo, principal radice dela propagazione umana sia ne le parti orientali piantata , e d'indi da l'u no e l'altro lato per palmiti variamente diffu si, fu la propagazione nostra distesa; final mente in fino a l'occidente prodotta , là onde primieramente le gole razionali gustarono o tutti,o almen parte de ifiumi di tutta Europa. Ma ofussero forestieriquesti,cheallorapri mieramente vennero, o pur nati prima in Europa, ritornassero ad essa; questi cotali por tarono tre idiomi seco ; e parte di loro ebbero in sorte la regione meridionale di Europa, parte la settentrionale, & i terzi, i quali al presente chiamiamo Greci , parte de l’Asia e parte de la Europa occuparono. Poscia da uno istesso idio ma,dalaimmonda confusione ricevuto,nac quero diversi volgari , come di sotto dimostre remo ; perciò che tutto quel tratto, ch'è da la foce del Danubio, o vero da la palude Meotide, fino a i termini occidentali (li quali da i confini d'Inghilterra, Italia e Franza, e da l'Oceano sono terminati), tenne uno solo idioma: ave gna che poi per Schiavoni, Ungari , Tedeschi, Sassoni , Inglesi & altre molte nazioni fosse in diversi volgari derivato ; rimanendo questo solo per segno, che avessero un medesimo prin cipio , che quasi tutti i predetti volendo affir mare, dicono jo. Cominciando poi dal termine di questo idioma,cioè da iconfini de gli Ungari verso oriente,un altro idioma tutto quel tratto occupò. Quel tratto poi, che da questi in qua  si chiama Europa, e più oltra si stende,o ve ro tutto quello de la Europa che resta , tenne un terzo idioma 1, avegna che al presente tri partito si veggia ; perciò che volendo affermare, altri dicono oc, altri oil, e altri sì, cioè Spagnuoli , Francesi & Italiani .Il segno adunque che i tre volgari di costoro procedessero da uno istesso idioma,è in pronto; perciò che molte cose chiamano per i medesimi vocaboli, come è Dio,cielo,amore,mare,terra,e vive,muore, ama ,& altri molti.Di questi adunque de la meridionale Europa , quelli che proferiscono oc tengono la parte occidentale, che comincia da i confini de'Genovesi ; quelli poi che dicono sì, tengono da i predetti confini la parte orientale, cioè fino a quel promontorio d'Italia, dal quale comincia il seno del mare Adriatico e la Sicilia. Ma quelli che affermano con oil,quasi sono settentrionali a rispetto di questi ; perciò che da l'oriente e dal settentrione hanno gli Ale manni , dal ponente sono serrati dal mare in 1 Il testo ha : A b isto incipiens idiomate , videlicet a finibus Ungarorum versus orientem aliud occupa vittotum quodabindevocaturEuropa,necnonul terius est protractum. Totum autem , quod in Europa restat ab istis , tertium tenuit idioma. E deve essere tradotto cosi: A cominciare da questo idioma, cioè dai confini degli Ungari verso oriente, un altro idioma occupò l'intero tratto che da quei confini in là si chiama Europa , e che si protrae anche più oltre. Tutto il tratto poi della rimanente Europa tenne un terzo idioma. 19  glese, e dai monti di Aragona terminati , dal mezzo di poi sono chiusi da'Provenzali,e da la flessione de l'Appennino. Noi ora è bisogno porre a pericolo 1 la ' Il verbo periclitari del testo latino qui vale mettere alla prova, cimentare, ragione, che avemo, volendo ricercare di quelle cose ne le quali da niuna autorità siamo aiutati, cioè volendo dire de la variazione, che intervenne al parlare , che da principio era il medesimo. Ma conciòsiachepercammininoti più tosto e più sicuramente si vada , però so lamente per questo nostro idioma anderemo,e gli altri lascieremo da parte , conciò sia che quello che ne l'uno è ragionevole , pare che eziandio abbia ad esser causa ne gli altri. È adunque loidioma,deloqualetrattiamo(come ho detto di sopra) in tre parti diviso , perciò che alcuni dicono oc , altri si, e altri oil. E che questo dal principio de la confusione fosse uno medesimo (il che primieramente provar si deve) appare, perciò che si convengono in molti vocaboli,come gli eccellenti dottori dimostrano; De le tre varietà del parlare, e come col tempo il medesimo parlare si muta , e de la invenzione de la grammatica. A   la quale convenienzia repugna a la confusione, che fu per il delitto ne la edificazione di Babel. I Dottori adunque di tutte tre queste lingue in molte cose convengono, e massimamente in questo vocabolo, Amor. Gerardo di Berneil , « Surisentis fez les aimes Puer encuser Amor.» Il re di Navara, «De'finamor sivientsenebenté.» M. Guinizelli, « Nè fè amor , prima che gentil core, Nè cor gentil,prima che amor, natura.» Investighiamo adunque , perchè egli in tre parti sia principalmente variato,e perchè cia scuna di queste variazioni in sè stessa si varii, come la destra parte d'Italia ha diverso par lare da quello de la sinistra, cioè altramente parlano i Padovani , e altramente i Pisani : e investighiamo perchè quelli,che abitano più vi cini,siano differenti nel parlare,come è iMila nesi e Veronesi, ROMANI e Fiorentini;e ancora perchè siano differenti quelli,che si convengono sotto un istesso nome di gente,come Napole tani e Gaetani , Ravegnani e Faentini ; e quel che è più maraviglioso, cerchiamo perchè non si convengono in parlare quelli che in una medesima città dimorano , come sono i Bolognesi del borgo di san Felice , e i Bolognesi   della strada maggiore.Tutte queste differenze adunque,e varietàdi sermone,che avvengono, con una istessa ragione saranno manifeste. Dico adunque , che niuno effetto avanza la sua ca gione, in quanto effetto,perchè niuna cosa può fare ciò che ella non è.Essendo adunque ogni nostra loquela (eccetto quella che fu da Dio insieme con l'uomo creata) a nostro benepla cito racconcia,dopo quella confusione,la quale niente altro fu che una oblivione de la loquela prima, & essendo l'uomo instabilissimo e va riabilissimo animale , la nostra locuzione ne durabile nè continua può essere ; m a come le altre cose che sono nostre (come sono costumi & abiti), simutano;cosìquesta,secondo ledi stanzie de iluoghi e dei tempi,è bisogno di va riarsi. Però non è da dubitare che nel modo che avemo detto,cioè,che con la distanzia del tempo il parlare non si varii, anzi è fermamente da tenere ; perciò che se noi vogliamo sottilmente investigare le altre opere nostre, le troveremo molto più differenti da gli antiquissimi nostri cittadini, che da gli altri de la nostra età, quantunque ci siano molto lontani. Il perchè audacemente affermo che se gl’antiquissimi Pavesi ora risuscitassero, parlerebbero di diverso parlare di quello, che ora parlano in Pavia. Nè altrimente questo, ch'io dico, ci paja maraviglioso che iI qualici siano molto lontani (magis....quam a coetaneis per longinquis). ci parrebbe a vedere un giovane cresciuto il quale non avessimo veduto crescere. Perciò che le cose che a poco a poco si movono, il moto loro è da noi poco conosciuto; e quanto la variazione de la cosa ricerca più tempo ad essere conosciuta, tanto essa cosa è da noi più stabile esistimata. Adunque non ci ammiriamo se i discorsi di quegli uomini che sono POCO DALLE BESTIE DIFFERENTI, pensano che una stessa città ha sempre il medesimo parlare usato, conciò sia che la variazione del parlare di essa città non senza lunghissima successione di tempo a poco a poco sia divenuta , e sia la vita de gl’uomini di sua natura brevissima. Se adunque il SERMONE nella stessa gente successivamente col tempo si varia, nè può per alcun modo firmarse, è necessario che il parlare di coloro, che lontani e separati dimorano, sia VARIAMENTE VARIATO; sì come sono ancora variamente variati i costumi e abiti loro, i quali nè da natura, nè da CONSORZIO umano sono firmati, ma a beneplacito, e secondo la convenienzia de i luoghi nasciuti. Quinci si mossero gl'inventori de l'arte grammatica; la quale grammatica non è altro che una inalterabile conformità di parlare in diversi tempi e luoghi. Questa essendo di comun consenso di molte genti regulata, non par suggetta al SINGULARE ARBITRIO di niuno – GRICE, Deutero-Esperanto, High-Way Code --, e consequentemente non può essere variabile. Questa adunque trovarono, acciò che per la variazionee del parlare, il quale  DE LA VOLGARE ELOQUENZIA. De la varietà del parlare in Italia dalla destra e sinistra parte dell'Appennino.   LA VITA   D I   Gl OVAN GIORGIO   ' TB.ISSINO.   k •    t     l   [   V   j ' , /      Digitized by Google    I     Digitized by Google        LA VITA     Gl OVAN GIORGI O  T R ì S S I N O,   ORATORE, E POETA  SCRÌTTA   DA PIERFILIPPO CASTELLI  VICENTINO.     IN VENEZIA,   Per Giovanni Radici.  M D C C LI 1 !   Con Licenza de Superiori , e Trtvììegio.    Digitized by Google    Digitized by Google      sAlli Kob. Kob. Sigg. Co Co.   PARMENIONE,   ED ALESSANDRO   trissini,    ^ier-Fuippo Castelli.     **t «1 & egli fu fempre le-   cita non fo lamento , ma lodevol  cojaa chiunque ha fatto penite-  lo di mandar a luce un qualche  Juo componimento , lo fceglìero   a alca-    Digitized by Googl    alcuno illujlre e ragguardevole  perfonaggio , a cui intitolarlo ;  non fola mente per acquijlargli  col nome di lui pregio e ornamen-  to y ma ancora per poterlo col  favore di lui mede fimo dagl vi-  vidi morti de' malevoli difende-  re , e ajfìcurare : mafiimamente  di ciò fare a me fi conviene , il  quale avendo dìliberato di dare  alle luce il già condotto a matu-  rità primaticcio frutto del poco  e debile ingegno mio , voglio dire  la V ita del nobili fimo , e dottijfi-  mo Poeta e Oratore Gì ovan Giorgio  T rissino, decoro e fple udore am-  pli filmo di que fi a no fi r a Città  di Vicenda s a nobile e buona  guida con pili di ragione debbo  accomandarlo , onde poffa fi cura-  mente ufcir fuori , Me migliore  per tanto , nè piu fidata fo ritro-  varne di quella della molta Vo-  fira Umanità , e Genti legga ,   Jllu-   *   Digitìzed by Google I    Illustrissimi , e Nobilissimi Sigg. Conti-,  concio [fi ache Voi Germe fiele di  queir amie hi filma , e fempre co-  spicua Famigliai Voi alla tefifi-  iitra , e alla pubblicazione di  quejì Opera ni avete piu volte  inanimito , e follecitato ; e Voi  per fine dotati fiete di sì illu-  Jlri prerogative , le quali ( come-  che un largo campo me fe ne pa-  ri davanti ) per lo timore di for-  fè non offendere la fingolar Vo-  Jlra moaejlia ometterò. Non vo-  glio tuttavia la f dar di accenna-  re V amor Vojlro alle lettere , e  a chi le coltiva , il quale ficco me  dà a co no fiere quanto nobile fi a  la Vofira indole , e quanto colto  il Vojlro ingegno , così Vi fu e fi-  fere in Patria e fuori fingo tar-  me nt e chiari. In fatti e chi e tra per la bre-  ' ' C vita    Digitized by Google    vita, e per ?ion piu fajlidirvi  la f ciò di dire , io umilio e dedico  a Voi,. Nobilissimi* e Chiarissimi  Cavalieri, quejia mia prima  Operai la quale y perciocché la  V ita contiene del non mai ablct-  Jlan^a lodata Giovangiorgio Tr is-  sino, fon ficuroy che da Voi ,  che con lui comuni la patria , il  cognome , e le virtù avete , beni-  gnamente e gratamente farà ac-  cettata . E qui nella pregevol  grafia Vojlra r accomandandomi  Vi faccia umilijftma riverenza ,    PRE-    PREFAZIONE    l    A Vita di GIO V ANGIORGIO  T RISSINO , poeta e orator ce-  lebre , ficcome per alcuni: è Rata  già fcrirta, così parrà a prima vi-  lla , che inutii cola ila Hata Io  /crivella .di nuovo ; ma perchè que-  lli tali Scrittori han di Lui molte cole dette, le  , quali o non fono Rate per eflì .bene difeufle , o  forfè .anche furono dette a capriccio, perciò non  Lenza ragione rilolvemmo .di così fare . Tra efii  uno fi fa eflere Rato il Signor ApoRolo Zeno, di  chiariffima memoria , il quale nella fine del le*  colo paflfatodiede jh luce la Vita del TRISSINO  inferita nella terza parte della Galleria di Minerva  in Venezia prejj'o Girolamo jilhrivjj 1 696. in fo-  glio ; ma ficcome gli uomini 'veramente dotti ed  ingenui non fi vergognano di ritrattar quegli er-  rori , che nelle proprie Opere conofcono aver  commefiì , così non ifdegnò egli non pure di  dirci a bocca , ma di farci fàpere eziandìo per  lettera , mandataci da Venezia addi iv.  di Giu-  gno dell’anno 1749. , che nè quella Vita , nè  ciò , che col fuo nome fu Rampato e in quel  tomo , e negli altri ancora della detta Galleria  di Minerva , riconofccva per cola fua : e quelle     Digitized by Google     ii PREFAZIONE,   fono le fue parole . Sono cinquanta e più anni ,  ch'io fcrijjì quella Vita dell' infigne Giangiorgio  T rijjìno , la quale fi legge nella Galleria di Miner-  va. Sappia però V. S. , ch’io prefentementc , an-  zi da gran tempo in qua non ricono feo per mio la-  voro y ma per aborto della immatura mia età tan-  to . la medejima Vita , quanto tutto quello , che col  mio nome fi legge flampato in quel tomo della Gal-  leria di Minerva , e in tutti i Jeguenti , Ci fono  qua e là V'arj punti effendi ali e importanti , che  allora mi parvero con vero e fame difcujfy , e che  ora per migliori lumi fopr avvenuti ritratto , e con-  danno . Di tutto ciò mi è paruto avvi far la per fua  regola , e mia giufìife azione .   Sebbene quali lo Hello avea egli fcritto affai  prima al P. D. Pier-Caterino Zeno, Somafco, fuo  fratello , di fèmpre celebratiffima ricordanza ; men-  tre tra le fue Lettere , di frefeo fìampate in tre  volumi in 8. col titolo di Lettere di Apoftolo Xe-  no ec. I n Venezia , apprcjjo Pietro Valvafenfe ;  nel z. Volume a car. 91. ve n’ha una a lui di-  retta, fegnata di Vienna 14. Dicembre 1719., in  cui in proposito della riftampa dell* Opere del  Triffino allora ideata da’ Sigg. Volpi, così gli diC.  fe : Vinti i fono , eh' io diedi fuori nel /. Volume  della Gallerìa la Vita di effo ( Triffino ) : ma Je  orai avejfi a ferriere, la riformerei tutta da capo  a piedi : onde fe io ne fo ora sì poco conto , av-  vertite anche i Sigg. Volpi a non far fopr a efja  alcun fondamento .    Allor-    PREFAZIONE. in  Allorché in Verona preflò Jacopo Vallarli fi fece  la ri Rampa delle Opere del noflro TR ISSINO,  proccurata dal chiariamo Sig. Marchelè MafFei , ma  primieramente ideata da 1 rinominatiifimi Sigg.Vol.  pi di Padova, tanto delle Lettere benemeriti (co-  me appare e dalle parole della lettera furriferi-  ta dei Sig. ApojRolo Zeno, e dal Giornale de’ Let-  terati d' Italia , Tom. XXXII. a car. jj 3 . ) noi  lappiamo edere Rato pregato il liiddetto Signor  ApoRolo, che vi lalciaflè premettere la detta Vi-  ta ; ma non avendo egli allora avuto tempo di  r: correggerla , «Rendo occupato in altro impiego ,  non volle acconientire . Ne fu tuttavia fatto un  breve Rjfìretto dal mentovato Signor Marchele ,  e fu alle Opere luddette premeflo ; nel quale egli  pur prele qualche sbaglio, eflendofì (come a noi  pare ) attenuto alla Vita inferita nella Galleria di  Minerva, e a MonEgnor Jacopo-Filippo Tomma-  fini, che fu il primo a feri ver del TRI SS INO  a lungo , teifuto avendone un latino elogio Ram-  pato in un cogli altri fuoi Elogia Virorum literis ,  & f apienti a illuflrium : Patavii , ex T ypographia  Sebajtiani Sardi , 1644. in 8.   Datici per tanto con lollecito penfiere a racoorrc  le cole fparfe qua e là in varj libri , ed anche a cer.  carne di nuove, trovammo a calo in un Difcorfo  intorno aìl'Opere del noRro Autore, del Sig. Cava-  liere Michelangelo Zorzi (Rampato nella Riaccol-  ta dOpufcoli Scientifici , e Filofojìci , toni. 3. a car.  398.) la quale cominciatali a pubblicare per opera   b del    Digitized by Google     IV PREFAZIONE,   del P. D, Angelo Calogero. M. Carnai, in VencTja  appreJJ 0 Crifioforo Zane 1730. in 1 z. leguitandoll  tuttora a produrre da'torchj di Sirnone Occhi è già  arrivata alTomoXLVII.) citato a car.441. una dia  manulcritta Vita del TRISSI NO i per la qual  cofa torto ricercatala con molta diligenza , ci ven-  ne fatto , per mezzo del Signor Abate Don Bar-  colommeo Zigiotti , non pure di ritrovarla , ma  di averla eziandìo cortefemente in noftra cala ,  Quella Vita rt conferva di prelentc appiedò i  Sigg. Conti Triflìni dal Vello di Oro, dilcenden-  ti del noftro Autore , ed ha quefto titolo : Rag-  guaglio Jftorico , e Letterario intorno alla Vita di  GIOVA NG IO RG IO TIUSSJNO Nob .  Vicentino , Co., Cav ., Poeta, ed Oratore infìgne ;  con un Efame delle Opere da Lui fiampate , e col  giudicio fatto delle medefme dagli Uomini più cele-  bri di quc' tetri pi , e con una ccnfura J opra il fuo  Poema Erpico intitolato L A ITALIA L 1 -  BERATA DA GOTI, eftratta da Cri-  tici allora più famojì , e più intendenti della Poe-  tica Difciplina . Aggiuntovi un ,e fatto Catalogo del-  le Opere tanto pubblicate , quanto MS S. dello fìe f-  fo T RI S S INO , ed un Indice copio (0 d' Au-  tori, che parlano di Lui, e che fomminijlraron no -  tifi e per compilare la Vita prefente , Il Manofcrit-  to è in 4., e comprende 653. facce.   Da quello titolo sì fpeciolo e pieno credeva-  mo invero, che invano ci foffimo medi all’opera,  c che avedìmo perduta la fatica inutilmente ; ma   più    Digitìzed by Google    V    PREFAZIONE,  piu cuore ci facemmo a profeguirla, ed a com-  pierla , allora che letta e riletta la Vita fleflà  trovammo ella poco piu in se contenere di ciò,,  che detto aveano i predetti Autori r oltreché o-  gnuno recherebbe!! a noja il leggerla a cagione  delle parecchie lunghe digreffioni , che F Autore  vi frappofe , lontane affatto dalla materia , che  e’ fi propofè di trattare ( vizio Colico nel Cava-  liere Zorzi, ma pure fcufabile in lui per la va-  lla raccolta di letterarie erudizioni, che egli, come  in preziofà confèrva, nel teforo di fila mente fer-  bava ) , benché per altro cotali digreffioni in sé  contengano molte curiofe notizie . Non polliamo  tuttavia non confeflàre, averci quello Manufat-  to varie cofè fommini firate , per cui vie più. ar-  ricchita abbiamo quella noilra fatica ;la quale  ficcome cola nuova e vera, fperar vogliamo ,  che non abbia ad eflère fèr non di diletto.   V'abbiamo per entro fparfe alcune notizie lette-  rarie ed ifloriche fpettand a varj perfonaggi, che  fiorirono nell età del noflro T RISSINO, oa  qualche fatto notabile de! tempo fleffo , lenza  però dilungarci granfatto dal hlo principale dal  racconto; le quali notizie vogliam parimente cre-  dale, che non faranno difeare.   A non oltrepafiare la brevità, che ci fiamo pre-  fifla, abbiamo a bella polla tra lafcia te alcune co-  le di non tanto conto/ perchè altrimenti fé avefà  fimo voluto dir tutto ciò , che al TRIS SI NO 1  può. appartenere, di tanto fi farebbe quella Vita.   b z afiim-    Digitized by Google     VI prefazione.   allungata, che, anzi che diletto, noja e fafiidio  apportato avrebbe .   Quanto poi alle Opere del noRro Autore , cre-  diamo di non averne tralafciata pur una , come  apparirà dal Catalogo , che fi pone in fine di que-  lla Vita y dove molte fé ne vedranno regiRrate ,  che non furono mai Rampate , ed al Compilatore  fopraccennato o non venute a cognizione, o dalui  per avventura non curate: e di molte eziandìo fi  favellerà, che da qualche Scrittore da fallace tra-  dizione ingannato a GIOV AN GIORGIO fu-  rono attribuite . Tutti i Titoli per altro delie  Opere fleffe non ci fiamo curati di riferire ap-  puntino , come Ranno ne’ Frontelpic) delie edi-  zioni , non ci parendo cofa di grande importan-  za > e fimilmente se fatto nell’ allegare , e cita-  re qualche pafso di fue fcritture: e abbiamo tra-  lafciato eziandìo i Caratteri Greci dal noRro Au-  tore inventati , non avendogli giudicati quivi to-  talmente neceflàrj , e non già credendo di reìidcr  così molto buon fcrvigio alla memoria di quel grand’  uomoy come fi lafiiò ulcir della penna il per altro  tanto benemerito dottiilìmo editor della rifiam-  pa delle Opere dei Trillino fatta in Verona j im-  perciocché tenghiamo per fermo, che Te il Trif-  lino folle vivo, figurerebbe a afare nelle proprie  fcritture quelle lettere da se con tanto Rudio ri-  trovate , ulate, e difcle.   Dopo di avere così Icritto ci confoliamo , pa-  rendoci di elserci in quefio particolare uniti alla   oppinio    Digitized by Google    PREFAZIONE. vir   ©ppìnione del fu Signor Apollolo Zeno, che nel-  la più fopra citata Lettera al P. D. Pier-Caterino  fuo fratello così Icrilse : Lodo /'edizione di tutte /'   Opere del T riflino . Ma fi farà ella con gli Orni -  cron , e cogli Omega , e con la foli t a ortografia  di quel grand’ uomo?   Si farebbe potuto regiftrar anche il catalogo di  quegli Autori'*,. che di Lui fecer menzione ; ma  liccome molti lì troveranno già citati per entro  quella Vita , e gli altri non ne parlarono più  che tanto, così noi ci lìamo dilpenlati da .quella  forfè dilutile fatica . A quello però può abbon-  dantemente lupplire la Tavola delle cofe notabili ,  che alla fine del libro abbiamo aggiunta ; la qua-  le altresì mette in un tratto lotto l’occhio del let-  rore tutte quelle notizie letterarie ed illoriche ,  che, come lopra è detto, abbiamo fparfe qua e là:  Tavola che lenza quelli ragionevoli motivi ,  lì larebbe dovuta certamente lalciare in un’Opera  di pochi fogli, liccome lì è quella nollra.   Circa poi le correzioni ed ofservazioni critiche  per noi fatte lòpra gli errori d’ alcuni de’ detti  Autori, lì vuol qui dire, che non s’intende giam-  mai d’olcurar punto la fama , che e£Iì godono  più che chiara tra’ Letterari, ma fola mente di far  apparire il vero nella lua luce; e le allo ’ncontro  qualche errore lì troverà in quella Vita da noi in-  navvertenremente commefso , lì feulì la piccolezza  della nollra luffìcienza ; riflettendo maflìme , che  rari lon quegli, i quali vadano in tutto efenti da   que’   Digitized by Google    vm PREFAZIONE..   que’ difetti,, che ( come dicea l’Abate Anton Ma-  ria Salvini ) fono patrimonio e retaggio di nofircc  fievole umanità.   Finalmente fe vedremo y che quello primo par-  to del noftro rozzo ingegno lìa gratamente rice-  vuto,. come ci giova iperare , dagli uomini lavji  ed eruditi ,. noi allora con maggiore follecitudine  attenderemo a profeguire la già da parecchi anni  incominciata faticolìllima Opera delle Notizie Let-  terarie ed I (loriche degli Scrittori Vicentini da altri  pure , ma Tempre infelicemente ternata (a ) ;  nella quale ,. le non andiamo errati r fperiarno di  inoltrare ,. che ( come lalciò Icritto il nollro Ba~  flian Montecchio nel- fuo- Trattato; De Inventario’  tLeredis , & c . Venetiis apud Fransi feum Zilettum  1 574. in 4. a car. 160. a tergo, num, joz.- J Vi-  ceda foecunda fuit JvLxter & jiltrix poetarum  philofopborum , or a forum ,, thcologorum ,. jurif con-  fiti forum y ant i queir iorum medicorum , atque in   qualibet facultate eruditorum ; e che per ciò elsa  noa è. a verun altra città inferiore ..    KOI!    (4)Spcriarao prròdi vedere a luce rra fonazioni intorno all a forte miilio-  poeo tempo un’Opera ddl’cruditif»..! re della Storia Ecclefiaftica r eSe~  Sig, Dr. D. Franccfco Fortunato Vi- J colare della medefima noftra Patria,,  gna, la quale conterrà V /fiorite Let- ! promclTe col dottifsimo fuo Preli-  /er 4 r/ e  ricca del pari di facoltà» e di Sog-  getti » che in ogni genere di profeffione illuftri  ella ha prodotti in ogni tempo . Ella è in parec-  chie linee divifa » e tra effe con particolar luftro  fplendc quella , che conofce per fuo gloriofiflimo  afeendente quel Giovangiorgio, di cui fcrivia-  mo la Vita ; il quale alla nobiltà del legnaggio   A aven-     Digitized by Google    1 L A VITA   avendo accoppiate le più eminenti prerogative#  che render pollano un perfonaggio e’n rarità di  dottrine, e’n cavallerelche virtù fplendentiflimo,  non fedamente tra’ Letterati, ma in una gran par-  te del Mondo celcbratiflìma, ed oltremodo chia-  ra lafciò la fama del fuo nome.   Nacque adunque Giovangiorgìo Trissino'  in Vicenza il fettimo, o, fecondo altri , l’ottavo  giorno di Luglio dell anno 1478. ( 1 ). Suo Padre  fu Gafpare Trillino, uomo d’armi, e colonnello  di trecento fanti alToldati col proprio danajo a fer-  vigio della Repubblica di Venezia, appo cui ac-  quiftò (ingoiar merito; e fua madre fu Cecilia di  Guilielmo Bevilacqua, nobile di Verona. L’anna   1487,    ( 1) Non pure da un Epica- 1 luogo fi favellerà) cioè) che P  fio delle geftc del noftro Tms- anno 1487. per la morte di fuo  SINO , collocato in S. Lorenzo j Padre egli rimafe orfano di fette  di Vicenza, di cui a fuo luogo ' anni . Ma liccomc egli non in    diremo didimamente > ma da  mohiflimi Scrittori appare edere  egli nato l'anno fuddetto 1478.,  c fpczial mente da Monfignor Ja-  copo Filippo Tommafini nel fuo    tuteli luoghi di fue feri tture fida  l’epoca del fuonafeimemo in un  medefimo anno, fccondochè lui  bene tornava , e in utilità de*  fuoi dcmeftici affari ( come ci fe    libro intitolato ; Elotia rirornm certi il Sig. Abate Don Barto-  Littris & ftpitntia illuftrium lommeo Zigiotti , che tutte vi'  &c. Patavii ex 7 ypo{rapkia Se- J de , e rivide le private Scritture  bacioni Sardi 1644. in 8. a dell’Archivio de’Sigg. Co. Co.  pag.48. Quello tuttavia potrebbe [ Tri dì ni di lui eredi); cosi ci è  non crederli, quando fode vero! paruto miglior cofa edere lo ac-  ciò, che il T r issino medefi- tenerci anzi alle autorità, e air  irto dica in una fua mirini* far- 1 unanime confentimento dei pre-   fic"  come fu fuo maefiro quel Demetrio Calcondila  Ateniefe, la cui fama è sì chiara tra’ Letterati  (5); al quale appreflb fua morte erger fece il  Trissino un bel Depofìto, ed Epitafio Scolpi-  to in marmo bianco nel facrario della Chiefa  della Paffione della Città Aefifa di Milano, co-  me dicono Paolo Beni ( 6 ), c'1 P. D. Francefco  Rugeri Somafco (7), cd altri, il qual Epitaffio   non    (4) V’ha un’epiftola addet-  to Giraldi in vedi Latini del  Sacco di Roma, polla nel 2.  tomo delle fue Opere della edi-  zione di 8 Mfilt.it per T nomar»  Guarinmn , 15I0. infol.pag.624.  che autorizza il noftro detto  cosi dicendo;   tt Aec dttfet Bembus , q*o  » nere pr e fi art hot alter    „ A«e q»cm Ntbilitar gene .   tt rit, f ac media triplex  » Irejigreem fAcit , & viridi  mihi notr s ab avo    „ T r 1 * s t N U s , In fibra dum  tt Grecai difeimm Urbe.   (5) Da una Lettera aliai lunga  del Trusino, fcritta da A-ii-  lano li 26. Novembre 1507. all'  txc cliente Medie» ( così Ha ferir-  lo ) M. Uini tritio da Afalgra-  dt , fi ha, che egli non pure  era fcolare del Calcondila, ma  che anche abitava in fua cafa.   (6) Tratt . dell' Origin. della  Famiglia Trijf. lib. 2. a car.33.   (7) Nella Declamazione la-  tina intitolata : Trutina JOelpb»-  htdrki Tabellariatui Traiani   1 Boc-    Digitized by Google    del TRissino. 5   non pur fi conferva manufcritto con altre fue  compofizioni fin ora non date a luce, appretto  i Sigg. Co. Co. Fratelli T riflìni di lui eredi*, ma  fu anche ftampato nella Biblioteca degli Scrittori  Milanefi pubblicata dal Sig. Filippo Argelati Bo-  lognefe (8), e poi riferito fulla fede di quefto  autore da Criftiano-Federigo Boernero nel libro  de' Dotti Uomini Greci riftoratori della Greca  letteratura nell’ Italia (p); ed è quefto.   p. m.   DEMETRIO CHALCONDYLyE ATHENIENSI  IN STUDIIS L1TERARUM GR^CARUM  EMINENTISSIMO  QUI VIXIT ANNOS LXXVII. MENS. V.   ET OBIIT ANNO CHRISTI MDXL  JOANNES GEORGIUS TRISSINUS GASP. FILIUS  PRAICEPTORI OPTIMO ET SANCTISSIMO  POSUIT.   E di    fiat cui ini ice. Alon.ìchii fuisfor-  mis, CTfumptibmt cuffie Nicola hs  tìmricHs , t6aa. in 4. pag.xxi 1 1.  e xxiv. ove dice: „Hic ( JojGeor-  u gius ) a viro do&ìllìmo De-  „ inetrio Cbalcondyla Athc-  ,» nienti , tanca ingenii foclici-  „ tace, Gricci fcrmonis latices,  » haufic ut.... Attici cognomen,  „ paucorununenfium cuiriculo,  „ ex fui prseceptoris fententia,  „ verius proineruit : Magiftro  i) benemerenti gratiflìmu, , cui  », McdioJani vita fun&o , mo-    » numentum marmoreum in  „ tempio Paffioni Servatoti, no-  „ ftri facrum excitavit.   (8) Philip pi Arie lati Bono,  nienfis Bibliotheca Scriptorum  Alcdiolancnjìnm , five Alla, &  Elogia Virorum omnigena or odi.  tionc illuflrium , qui in Metro,  foli Infubrie , Oppidifquc circum.  jacentibut orti funi lice. Medio.  Uni 174J. In JLdibus Palatini t;  Tom. ix. in fol. l’ Epitelio é nel  Tomo 2. col. 1091.   ( 9 ) Chriftiani Frid. B temer i  De    Digitized by Google     6 L A V I T A   E di ciò non .contento Giovangiorgio volle j  in fegno di gratitudine maggiore allo fteflò Tuo  grande maeftro, farne altresì lodevole menzione  nel predetto fuo Poema (io).   Donde fi deduce, che molto lontana è dal  vero la opinione di Giovanni Imperiali, Vicen-  tino, il quale fcrifse eflere fiato il Tassino af-  fatto ignaro di lettere fino all’età di ventidue  anni; e che dipoi andato a Roma, al folo udì*  re colà le aringhe de’ Letterati, tanto fi accen.  defle in lui la brama di fapere, che giugnefle  in breve tempo a quella letteratura , che lo  rendette poi così celebre, e così illuftre (11): il  che difsero anche Paolo Beni (i z), ed un altro  autore (13).   Allo    De dotti* Hominibn i Gr tris Li- Il Calcondilt , che farà, che   t trarum Gracarum in Italia in- ditene   (taur attribuì Libtr. Làpfi* in Bi- Verrà ftco in Italia , t pian-   tliopolie Job. Frid . Sledijtchii terawi   1750. in ii.gr. Qui l’ Epitaffio è II feme elette della lingua   a car. 185. Greta ,   (10I Ita!. Libtr. da' Goti , lib. fit ) Gio. Imperiali Mufxum  *4. nella fine con quelli verli . Hiftortcum óiC.Venetiù apuajun-  Vtlgett gli occhi a luti pre- ; ttai . 1640. in 4. pag. 43.   dori ingegni ; ( li ) Tratt. dell' Orig. della   Quello è BeJJarion , quell' altro Famigl. Trzff. lib. 2. a carr. 33.  i’I Gaxjt ; ( 13 ) Qiiclli fu un certo G»-   . leazzo Trillino in una Genea-   QnelV altre t'I Gemijle col 1 logica Narrazione della fu a fa-  Trapeftnxj», miglia, da effo iraslatata di la-   £ 'l C aleni dii e , fI Lafcari, e[ tino involgare. Di quefto vol-  *1 Muffure, 1 garizzamento fi trovano parec-   * chic.    Digitized by Google    DEL T R ISSINO. 7   Allo ftudio delle Greche lettere uni il noftro  Triss ino quello delle feienze Matematiche} e  tifiche (14), e quello ancora dell’ Architettura,   in   èhie copie, c una è appretto il perfona del noftro Giovan-  rnentovato Sig. Co: Parmcnione | G 1 o r gì o, c che da edo ci fu-  ‘Triflino, della quale ci fiamo rono pare con umanilTima gcn-  ferviti a fcrivere queftaf'it.», e tilezza trafmede a. Vicenza. For-  ciceremla col nome di Gemalo- I le che detta Raccolta di Scric*  già delia Cafii Triffino di Galeaz. • ture queUa era, che da Paolo  zj> Triffino . Quello autore di- Beni viene citata nel predetto  ce nel proemio di avere ac- {no Trattato Manufcricto della  trefeiura eda Narr Azione da (e Famigl. Trifs. a car. 26. Ann.  tradotta a inchieda di parco» 1404. con quelle parole: Gic:  chi fuoi amici e parenti , i qua- Giorgi o Tr issino» il  li voleano i che c’ia defle an- Poeta , di chì ragioneremo , nelP  che in luce. Orazione che fece nel green Con -   Un’altra copia nc ha il Sig. figlio di Tentila fer ricupera  Abate D. Bartolommeo Zigiotti Alone delle fue Decime nella Til-  in tutto limile alla predetta . Un Im di Tal d’ Agno , che fi legge  Tello poi di quell’opera era già fcritta a penna nelC Archivio  appretto i p. P. Somafchi della del Sig. Co. Bonifacio Triffino  Salute in Venezia! e queftonoi j nel libro , che ha per titolo  Rimiamo, dite potefte ctTcrc I'IPrisca Triisjne^ Fami-  originale. Con ctTo era unita) ti .€ Monumenta.* & c..,  la citata Aringa di G 1 o v a n- facendo egli menzione delle  Giorgio, c ’1 Trattato mano- Scritture defle anche a car. 29.  fcritto della Famigl. Triff. di I del primo libro dello Aedo fuo  Paolo Beni, ed altre feri t tu re Trattato della Famigl. Triff . ,  concernenti alla detta Famiglia: che è dampato, di cui più in-  tutto in un libroin foglio, fui nanzi faremo menzione. Dilli,  cui cartone al di fuori lì legge- j che era nella Libreria de’ P.P. del-  Vano quelle parole: P r i se a t la Salute in Venezia, perchè og-  Trusinea Familismo-! gidi certamente ivi o non vi fono  hu menta. Le quali Scrittu- j ìe dette fcritture, o difficilmen-  te prima erano appredo il P.D. te fi podono ritrovare : conciof*  Pier-Catcrino Zeno Cher. Rcg. fiachè io col mezzo anche del  Somafco, di gloriofa memoria} | P. D. Jacopo Maria Paltoni, che  come ci dide il Sig. Apoftolo j con tutta bontà mi favorì di di-  Zeno, fuo fratello, che di ede ligentemente cercarle, non abbia  tutte nc eflraflc quelle notizie, mai quivi potuto ritrovarla,  che credette più fpettami alla) (14) Che il Tr issino fof-  — - - , fc    Digitized by Google     8 La Vita   in cui molto fece di profitto, come ne fa fede  non pure un piccolo ir aitato in cotal materia  da lui comporto (15)» ma la fabbrica del fuo  Palazzo nella Villa di Cricoli a mezzo miglio  lontana da Vicenza, che è tutto di fuo difegno  fulle regole di Vitruvio (i Quia 1 ri* del nome loro. Non fi può *  ,, Parthenius multaruni (cien-' veramente farne altro gìudicio,  >» tiarum homo, diù literas ibi i confederata con la prontezza di  „ docuit, erudivitquc canqu 3 m j cotefii ingegni , che voi harete  », in Lyceo Juvcnes nobiles Vi- da e fer citare , la finezza delle  », cetinos maximè, ac Vcnctos. veftre lettere, e la gentil manie-  ri) Queita lettera, che fi ra, propria di voi filo nel di-  lcgge tra la Lettere di xiu. mojtrarle . Entrate pure, Sig.Com -  Uomini illuftri ec. In Venezia pare con franco animo in quefia  per Comin da T rino di Alonfer - eroica imprefa , e commutile at e  rato, 1561. in 8,, a car. 180. e altrui i tefiri della vera dol-  che fu anche inferita nella terza trina , parte con la voce , e  parie del V Idea del Segretario di parte, ancora con la penna, che  Bartolommeo Zucthi, In Vene- non ho dubbio, che nell’ ameni-  z.ia prcjfo la compagnia minima tà di quella vaga fan zia non vi  léso, in 4. a car. 8 1. ; Quella let- fi defti defiderio di qualche bel -  tera, dico, vogliamo qui rife- la poefìat al che doveri fifpi-  CÙe; cd £ quella.. ( [ gntrvi la rimembranti , che ogni   trat-    Digitized by Google     ti L A Vita   S’era già ammogliato il noitro Tassino nel  1504. in età di 26. anni a Giovanna Tiene,  nobile Vicentina (24) , da cui avea avuti due  figliuoli, l’uno chiamato Francefco, che morì  giovane, e l'altro Giulio (25), il quale fu poi  Arciprete della Chiefa Cattedrale di Vicenza  (26)$ ed eflfendo effa morta, di tanto egli fi   ram-    tratto il luogo vi darà del dot -  tijfimo Trisjino; in cui a  giudicio mio chiiirijftmo efempio  ha veduto Reta noftra delle tre  più pregiate lingue, cc»   Di Venetia olii xx. dì Maggio MDLV,  Compari e fratello Paolo Mariano .   Ciò» clic della Villa (addet-  ta di Cricoli lafciò fcritto il  Sabellico nel Poemetto intitola-  to Crater yiccntinus, porto nel to-  mo iv. delle fue Opere, a car.550.  ( nominato dal P. Rugcri nella  ìua Declamazione a car. xxv.)  fu molto prima che ella fofsc  ridotta alla perfezione, c va-  ghezza, che oggi fi vede; la  qual cofa fu osservata ezian-  dio dal Beni nel luogo citato.   Nel Palazzo iftcfso di Crico-  li ebbe diletto di foggiornare  parecchie volte 1 ’ Arcivcfcovo  di Rofsano Monti?, nor Giovam-  batirta Cartagna » nobile Roma-  no, Genovefc di origine , nel  tempo , che era Nunzio di Gre-  gorio .irti, in Venezia; come  dicono il P. Rugeri Trutina&c.  pag. xxv., c Paolo Beni Tratt.  dell' Orig. della Famigl. Trift.  rtampato, a car. jj., e’lTom-{    I mafini Elogia &c. pag. 49. e 50.,  ed altri; U qual Prelato fu poi  [addi li. del Dicembre dell’anno  1583. creato Cardinale, e poi  a’ 15. di Settembre 1590. fatto  Papa col nome di Urbano vii.   | Onde in memoria di ciò fu la  I cornice d’una porta d’una Ca-  | mera del mcdeìimo Palagio vi  tu incifaquertaifcrizionc; B E a-  t issi m 1 Urbani VII. Hos-  pitium ; e fovrappoftovi il  Bufto dello ftefso Pontefice.   (14) Nel Ri/fretto della Vi-  ta dei T r 1 s s 1 n o prcmcfso al-  le fue Opere dell^ rirtampa di  Verona, quella fua prima mo-  glie è chiamata erroneamente  Giovanna T r 1 ss 1 n a, quando  ella fu veramente (come conila  dagli Arbori) della Famiglia de k  Cor Co: Tiene.   (15) Di quello Giulio avre-  mo occaGonc di fare pcculiar  menzione , a cagione de’ fuoi lun-  ghi litigj contro al Padre.   (26) Che due figliuoli avefsc  il Tr issino della detta fua moglie»  lo dice ilTommafini negli Elogi  pag. 30., cd altri; ma il Tr issi-  no irtclfo nella citata lettera al  Reve -    Digitized by Google    del TR-Issino. 13   rammaricò, che non volle più dimorare nella  Patria 5 ma partitofcne tornò a Roma , dove  già era ftato effe ndo giovane; e quivi col cuore  ingombrato da quello fanello penliero fi diede  a telfere la celebre -Tragedia della Sofonisba,  della quale innanzi parleremo minutamente.   Frattanto eflendo morto il Pontefice Giulio 11 .  gli fuccedette Tanno 1513. a dì xi. di Marzo,  o fecondo altri addì xv. , il gran Cardinale  Giovanni de’ Medici» che fi fece chiamare Leo-  ne X., il quale, ficcome quegli che era princi-  pal protettore de’ Letterati , avendo conofciuto  il Tris sino, s'innamorò ardentemente del fuo  raro ingegno, e poi lo amò fempre quanto ciaf-  cuno illuftrc Perfonaggio del fuo tempo, c l’ono-  rò fommamente, impiegandolo eziandio in varj  uffizj affai riguardevoli. Godea egli pertanto in  quella Corte tutti gli agi, e gli onori tutti, che  a un Perfonaggio diletto al Pontefice fi conve-  nivano; quando venutogli nella mente il già go-  duto rìpofo nella fua Villa di Cricoli, deliberò   di    Reverendo Prete Francefco di j ra poi del medefimo, che non  Gragnuola, che fu fuo macftro , c fra le (lampare, fcritta da Aiu-  dandogli ragguaglio delle cofe ' ratto al detto Giulio addì iS.  della fua cafa, d’altri non par- M*rz,o 1542., fi ha, che elio  la, fuorché dell’ Arciprete con Giulio fu primamente Cameriere  quelle parole: Hebbì della yri- di Papa Clemente vii. > c clic  ma moglie un figliuolo , il qua- da lui fu poi fatto Arciprete del.  le è fatto-, ed è Arciprete di la Cattcdtale della Cittì no-  quefia Città. Da un’altra lette- j ftra .    Digitized by Google     14 L A V I T A   di rimpatriarli : laonde prefo commiato dal Pa»  pa, tornò a Venezia, dove fuori di rutto il fuo  penfamento trovò materia, per la quale e’ dovet-  te per lungo fpazio di tempo anzi inquieta, che  ripofata menar fua vita.   Ciò fu una per altro temeraria infolenza di  alcune Comunità di certe Ville del Territoria  Vicentino, fpecialmcnte di Recoaro, e di Val d  Agno, che prefa l’occafione delle turbolenze e  rivoluzioni , che travagliavano in que'tempi non  pure la noftra Patria, ma tutta la Lombardia,  aveano dal 1511. fupplicata la Sereniffima Signo-  ria di Venezia (27) fotto palliato colore di one-  ftà, che volefle (gravarle dellobbligo, che aveano  di dare le Decime delle loro ricolte a'CorC.o: Trif-  fmi della linea del noftro Giovangior.gi.o , i  quali n erano i foli Proprietarj e Padroni, co-  me quelli, che dalla Signoria ilefsa ne erano (la-  ti invertiti l’anno 1406. a di 3. di Settembre. E  benché addì 6 . di Ottobre dell'anno 1512. le  dette Comunità avefsero avuta fopra ciò con-  traria fentenza in foro civile, non però di me*  no tentarono , fe favorevole giudicio ottener po-   tefsero io foro ecclefiallico: e perchè ne furono   molto    (27) Della Repubblica di Ve-  nezia fi gloria d’ cfscrc volonta-  ria prima fuddita la Città di  Vicenza - , la quale anche però è  chiamata dagli Scrittoci Pri-    mogenita d’cfs a Repubblica ,  perche la Piuma fu, che fra tut-  te le Città fudditc le fi donifse  fpontancamcnte: il clic fu l’ an-.  no 1404. addì 28. di Aprile.    Digitizèd by Google    DEI TRISSINO. 15   molto torto impediti (28), però efli per forza  dal fuddetto obbligo fi efentarono. Ma in que-  llo mezzo per giurto motivo quefte Decime ap-  plicate furono al Fifco Pubblico (29).   Tornato adunque Giovanciorcio in Patria, co-  me dicemmo (il che fu o verfo la fine dell’an-  no 1514., o nel principio deiranno 1515.) e  trovati sì fatti difordini, de’ quali dicea egli di  non averne avuta, dimorante in Roma, veruna  •relazione (so)-, pensò di ricorrere alla Signoria  medefima, perchè almeno gli fofle redimita del"  le fuddette Decime la fua propria porzione- Se  poi egli efFettuaffe perfonalmente quello fuo pen-  famento, o fe altri in fuo nome facefse la fup-  plica, noi noi fappiamo di certo: comunque ciò  fofse, fatto ila, che cfsendo Hata conofciuta la  fua innocenza, e a riguardo fpecialmente di Pa-  pa Leone , il quale la iatercertìon fua in ciò   frap-    (28) Ottennero i Co; Co;Trif-  flniaddi ia.di Novembre Lettere  Ducali proibitive del non do-  verli trattare in foro ecdefiaBi-  co quella lite.   (29) 11 Tommafini negli E-  legi pag. 51. dice, clic furono  confricati i fuoi Beni ita urgen-  te belli fortuna : c poco appref-  fo parlando della refiituzionel  fattagli de’ Beni Beffi dai Vene-!  ziani, accenna la cagione d’cf-|  fa confifcazione, dicendo: fai ,    cognita ifjìut innteentìa , Veneti  Bona ab / enti jujìa confanguinto-  rum culpa ob defetHoncm erepra,  benigni reflituerunt . Noi vera-  mente fappiamo qual folle cotal  colpa} maonefii rifpetti, e ne-  cefsarj giuBi motivi non ci per-  mettono di riferirla.   ( 30 ) Tanto egli afferma nel-  la fua siringa-, di cui diremo  più datatamente a fuo luo-  go.    Digitized by Google     15 L A v I T A   Irappofe (31 ), gli fu Tanno fuddetto 1515. re-  flituita ogni cofa.   In quello tempo medefimo fu egli dallo ftef-  fo Pontefice in aliai importanti affari impiega-  to; e primieramente finché folfe palfato il verno  di quell’anno, (dopo cui gli ordinò medefima-  mente, che, prendendo la volta di Dacia, fe n*  andafsc Nuncio a quel Re (32)), lo mandò fuo  Ambafciadore all’ Imperator Maffimiliano ; nel  quale impiegò fi portò con tale prudenza, che  e da ognuno in molta llima tenuto fu, e all*  Imperatore caro sì, che ne riportò grandilfimi  onori (35): anzi è fama, che da lui conceduto  gli fofse, che nell’Arme gentilizia Tlmprefa del  Fello d'oro inferir potefìc, e che altresì Tri ss ino   • dal    •( 31 ) Che Papa Leone frappo-  nt(Tc in quello fatto la Tua in-  tercezione , non folamente lo  dice Monfignor TommaGni ne-  gli Elogi , pag. 51., ove regiftra  un frammento di una fua lette-  ra al Conte di Cantati, con cui  gli raccomandava quefto affare;  ma lo accenna Giovangior.  Gto fieffo nella già citata fua  lettera al Revtr. Prete di Gra-  gnuola con quefte parole: Io fo-  no flato per varj cafl: prima per  qitcfle guerre fletti ot Panni exu-  le, e privato di tutte le tuie fa-  cult à, che per la benignità de  la felice ricsr dazione di P.P....  (il nome non è quivi cfprelfo,  ma fu Leone) mi fu reflituito    ogni cofa, nel tempo, che if ero  Legato di Sua Beatitudine a  Maxìmiliano Imperatore ; e nel-  la fua Aringa dice, che ciò fu  de l' anno 15 1 5., che erano tre  anni a ponto dopo che li Commu-  ni aveano occupate le Decime.   ( 31 ) La Dacia, dove il Tris-  sino dovea andare, quella non  è, che anticamente era unagran-  diflìma e vada Provincia dell’  Europa, c che oggidì c laTran-  fil vania; ma quella, che oggi sì  appella Dania, o Danimarca, la  quale giace a fetrenttionc dell, a  Germania.   (33) Tanto afferma egli (Icf-  fo nella Dedicatoria del fuo Poe-  ma dell’ Italia Liberata eia'Goti.    Digitized by Googl    D E i. TASSINO. 1 7   dal vello d,' oro potefse denominarli .. Ma per-  chè alcuni dicono eSsergli flato conceduto ciò  anche da Carlo V.» pero ci riferbiamo a par-  larne altrove a minuto.   Di tutto ciò, che Giovan Giorgio operava nel  tempo di detta legazione, avvisò il Pontefice  -con una lettera inclufa in un’altra diretta a Gio-  vanni Rucellai, Tuo grande amico, e confidente,  il quale poi addi 8. di Novembre del Suddetto  anno 15-15^ gli riSpoSe da Viterbo, che avea con-  gegnata al Papa la fila lettera; che elfo l'avea  letta molto 'volentieri ,5 e che non pur dai motti e  gefti fatti nel leggerla conofciuto avea effergli  -molto piaciuta, ma più affai da quelle fue pre-  xile parole: egli hi fino a qui proceduto bene y &  non poteva meglio exequire li mia volontà dì quello   Jl * Soggiungendo appreffo aver dal mede-  lìmo commiffione di Scrivergli , che feguitaffe  P ure , come avea fatto, a conferir col Vefcovo FeU  trenje gli affari che maneggiava; Siccome il Papa  fleffo gliel’ ordina-va col Brieve , che gli tras-  metteva in un con quella Sua lettera di rifpofta  (34)* Dalla qual lettera appare ancora avere  avuto il Trissino ordine dal Pontefice di trat-  tare la pace universale, e l’impreSa contra degl*  Infedeli; poiché il Rucellai gli Scrive così: Per   C li pie e    ( 34 ) Quella lettera del Ru-  celiai fu ftampata a car. xv. del-    la citata Prefazione alle Opere  del Trissino.    Digitized by Google    iS L A v I T A   U pace univerfale , e l* impre fa c intra Infedeli vi ha-  •ucte a d «per are totis v/ribut , perché Sua Santi ita t  ba mi In 4 cuore , come fapete , e crediate certo , che  ne/funa altra caufa particolare non lo muove , fi non  la unione della Crifianitì 3 £ t/uefta fan ti firn a Impre-  C*> benché fi, che vi ricordate la COMMISSIONE fua y  e con che affezione vi PARLÒ di t/ue/la cofa (35).   Ettèndo già intanto pattato il verno del pre-  detto anno 1 5 1 5» volea Giovamgiorgio profe-  rire il Tuo viaggio verfo la Dacia , giufta la  committionc dei Pontefice; ma ne -fu impedito  dalflmperadore, il quale volle, che invece al  Papa ritornatte, come Tuo proprio ambafeiatore,  e lo pregafle in Tuo nome, che volette fermare  una nuova lega tra sè, el Re d’Inghilterra, e’1  Re di Spagna contro a'Franzefi, i quali dittimu-  lando la brama di vendicarli, voleano pattare in  Italia; giacche la confederazione altra volta con-  chiufa tra sè, e’1 Re cT Aragona, s*cra fciolta  per la morte di quello Re; mandandogli anche  per Giovan gidroio medefimo una ben lunga   Jette-    (jj) Il Rucellai finifee detta j de’ Medici, cugino di Papa Leo-  lcttcra con quefte patolc: Credo ine; il quale poi anch’egli fu  haremo pre/t 0 il Cardinal de' Medi- '.(aito Pontefice col nome di Cle-  ri, il quale è tanto vo/fro , quanto | mente VII.; abbiamo però rife-  dir fi pojfa ,pcr qualche lettera ,rér|rite le parole fuddette del Ru-  ha /cripto qui , dimojìra , che molto celiai , perchè avremo occaftonc  v ama perchè ha fallo fempre ho- ', di dire gli onori da quello Papa  rtorevtle menzione di voi. I fatti al Tr issi no nel tempo   Quello Cardinale era Giulio | del fuo Pontificato.    Digitized by Googte    DEL TRISSIN'O. 1 9   lettera, pregandolo primamente, che Lui fcuCaf-  fe, fé invece d’andare in Dacia, come era Tua  mente, alla Santità £ua ritornava* perchè ne 1*  avea egli coftretto; lignificandogli pofeia il pe-  ricolo imminente, e la necefiìtà dell’affare   G z Rice-    (3 6 ) Contenendo quella let-  tera dell’ Imperatore al Papa  alcune curiofe particolarità ,  fpczialmente intorno al noftro  Tr issi n Oj abbiamo (limato  bene di qui traferivcrne buona  parte; tralafciando di dire ciò,  Che punto o poco fa al noftro  propofito. La qual Lettera ci fu  comunicata dal Sign. Apoftolo  Zeno, di Tempre cara memoria.   >, Maximiliamus Di vi-  « na favente Clementi^ Roma.  „ norum Imperator S. A. &c   >, Io. G e o r g 1 u s de T m s-  „ sino San&itatis fu. e apud  ,» Nos Nuncius , Se Orator .  », &c. ... In primis idem Ora-  ,, tor cxhibitis Litcris noftris  >, credentialibus Beat. Pònti fi-  ,» ci, cum omni filiali reveren-  ,, tia. & obfcquiolàlutabitSan-  ,, «Sitarmi fuam , Se commcn-  », dabit Nos , Screnifs. Caro-  », lum Regem Hifpaniarum , Se  „ alios Filios noiiros ad Suam  ,, Beatitudinem. Deinde deda*  „ rabit banditati Sua: , quod  „ licet idem Orator ftatuiffet  » iter fuum continuare juxta  », mandata Beat. Ponti ficis ad  „ Screnifs. Regem Dacia:, fra-  „ trem , Se gcncrum Noftrum  ,, cariftimum nihilominus Nos    „ confidcrantes longè plus ex-  ,, pedirc rebus Sux Sancfcitatis ,,  „ Se fuis, ac univerfx Reipub.   „ Chriftiana* redirc propter oc-  „ currenda* ad S. San&itatem ,   ,, quàm profequi iter emptum,   „ ob fingularem obfervantiam,   „ Se affeàum , quem No* habe-  „ mus ad San&ic. Pontificis,   „ Se )us , quod prxfumimus  „ in omnibus miniftris, Se fer-  „ vitoribus S. Beatitudinis ,  ,, ipfum Oratorem cùm venia  „ noftra defeendentem ab itinere  „ retraximus, & ad S. E. redi-  » re computi mus, quo clarius».  „ Se apertius rerum omnium  ,, Sancitati Sux per Creaturam  „ fuam tàm Ei affe&am deda»  „ ramus. Ideo Bcatitudo Ponti-  „ ficis hxc sequo animo accipiat,  „ Se fi in errore erracunv fit ,  ,, quod tamcnnonciedimus, id  „ Nobis imputet.   „ Caufaautcm hujufmodieft  „ quod cum jam Ser. Rex An-  „ glia: fratcr nofter cariffimus  „ per Litcras , Se Oratorem fuum:  „ apud Nos degentem , Se Or a-  „ torem Noftrum apud Se ref-  „ fidentem dcclaraverit Beat.  „ Pontificis, cognito periculo,  ,, quod imminer, nedum Ita-  ,, lise, fed univerfx. Reipublicf  m> Chri-    Digitized by Google     2© La Vita   Ricevette volentieri il Papa quefte (cute, e ac-  colfe il noftro T rissino colla folita benignità»  e ( omettendo di riferire ciò, che Tulle richie-  fte dell’ Imperatore egli riiòivefse , come cofa   poco    „ Cbriftian* ex magnitudine ,  », Se infoientia Gallorum forc  », optimè contentimi, & idem  „ maxime defiderare , quod  ,» iidem Galli hunjilientur , Se  n rebus fuis contcntcntur : qux  „ quidem fentcntia Sandlitatis  », Su*,cùm Nobis fempernedum  „ opti ma, fed valdè neceflaria  „ vifa eli, ex periculo, quod  „ omnibus imminet , Se prxfer-  » tim Beau Pontificis, & fu*  „ Patri*, Se Familix, cùm il-  ,, lud antiquum odium, quem  » Galli babucrunt ad Eum ,  », quùm fecerint ipfum extor-  », rem, & per xviil. annos.cr-  », rare à Patria, cùm maxime  », calamitates compulcrint, nul-  „ latenus remiferint, td omni-  „. nò auxerint, licei imprxfen-  „ tiarurn negant , & compri-  „ mane , cxpedtantes tempus .  „ vindidlx: Itaque cogiraverit  », SandlirasSua comprimere eos,   » Se ad illum terminum redige-  ,» re, quod non liceat plus eis  „ inSandlitat.Suam,quàmfiui-|  » timos fuos, Se quam juftum fit . |  >, Et cùm Nos, & Scr. Rex j  n Angli*, & Ci. mcm. olimj  n Rex Arngonumid apertd pcr-l  « fpiceremus , fapienter cogita- j  „ vimus de una confxderatio- '  », ne ad inumani defenfionem !  », ad inviccm, Se etiam offèa-J    ,3 fionem cantra eofdem Gallos,  ,, etiam crat Lex imer Nos , Se  », ipfos conclufa : fed morte  ,3 ipfius clar. mera. Regis Ara-  „ gonum dilata. Se interrupta  I ,» eft •, fed tamen cùm ex hoc  „ pcticulum > ncc fublatum »  ,3 ncc diminutura» immò nia-  „ ximcaudtum fit, vidccurNo-  „ bis omnino in eadem dclibc-  „ tatione perfiftendum, Se ro-  », gamus Beat. Pontificis ut  , confiderata nccdlitate hujus>  3, rei, vclit fpfà quidem intra.  3 , re foedus hoc,. Se tranfmitte-  3 , re mandatum fuum apud Scr.  >> Regfm Angli* » ut ibidem  ». contradletur» Se conciudatuu  » Efficiamus autem , quod in.  „ locum Clar. mcm. Regjs dc-  ,» fundìi fuccedar Se r. Carolus  ,, Rex Hifpaniarum , Se qui  „ quidem in ca te proficerc  poterir, idem Orator admo-  „ ncbit Nos. Agct autem di-  ,» dus Orator, tee.   „ Dar. iu Civitare noftr*  „ Tridentina die odiava  ,, Menfis Marti] MDXVI.   „ Regni noflri Romani  „ triccfimo ptimex.   ,, Locus 4 . Sigilli .   „ Ad Mandatum Ccfa-  „ re* Majcflatis prò.   „ prium ]o. de B&-  », KL'ljjS- •    Digitized by Google    DEI TRISS i n O. 12  poco alla preferite materia confacente) pensò in-  di a poco tempo di occuparlo in altri impieghi •  In fatti l’anno ftefso, che fu il lo inviò   fuo Nunzio alla Repubblica di Venezia (37) per  maneggiar forfè 1 affare della Crociata contro a  Selim Gran-Signor de Turchi , la quale gli flava  molto in fui cuore (38).   Nel tempo di quella lua ambafeeria trovò il  Tr issino? che le Comunità, di cui s’è fatta men-  zione, pagata aveano 3I Fifco Pubblico la rendita  della fua porzione delle Decime fopraddette; ne-  gando in oltre coftoro di riconofccrne lui per Si-  gnore: laonde egli ebbe novamente ricorfo alla Si-  gnoria di Venezia, la quale fubito con fue lettere  in data de’xvu f. Dicembre 15 itf. commife ai Ret-  tori di Vicenza ( che in quel tempo erano Er-  molao Donato, Podeftà , e Girolamo Pefaro >  Capitano') che nel pofsefso dello Decime flefse  lo riponefsero, come lo era innanzi la pafsata  guerra (39). Dalle quali lettere ebbe poi co-   mincia-    (37) Lo dice il Tri ss imo  Hello nella Tua Aringa, d me-  glio nella lettera al Prete di  Cragmtol a con quelle parole :  Sua Beatitudine mi mandò ....  Legato a Venezia, ovt fui molto  ben veduto da quella Jlluflr : f.  Signoria .   (38) Al Papa quello affare  premeva si, che perciò maneg-j  giòj c tlabilì una lega tra mol- j    | ti Principi Crifliani ; ma por  per la morte di Maffimiliano li  difciolfc, e di sì alta e pia im-  presi fvant 1 effetto defidera*  to.   (3 9 ) MTr issino in pro-  pofito di ciò nella fua Aringa  dice cosi : Per effer abfente la  mia facoltà fu tolta nel Fifcho ;  & detti Comuni però , quantunque  ritmtjfero tutte le farti di que-   fic    Digitized by Google     DEL TRISSINO. 2.J   tro Bembo, fuo Segretario, la quale opportuno  crediamo di qui trafcrivere (40).   JO: GEORGIO TRISS1NO   y I C 1 H X I 11 o.   ,, Cationi am opera, & diligentia tua , atquc  „ virtute certis in meis, & Reip. rebus uri quam-  „ plurimum volo, quarum rerum caufa, te ut  » alloquar, magnoperè oportet: mando tibi, ut  quod tuo comodo fiet, Leonardo Lauredano   „ Principe Venetiarum falutato , ad me confe-  „ ftim revertare.   ,, Dat. Non. Januarii M. D. XVII. Anno  „ quarto. Roma.   Andovvi egli prettamente, niente penfando,  che perciò iettar dovette in pendente l’efito del-  la Tua lite. Non lappiamo precifamente a che il  Papa lo aveffe richiamato a Roma: del retto non  molto egli quivi dimorò, perciocché nello ftef-'  io anno 1517. ritornò a Venezia-, e fé fi vuol  dar fede a Paolo Beni, xitornovvi anche a que-  lla volta come Nuncio Apoftolico per trattare  di ftabilire una lega contra 1 Imperio de’ Tur-  chi (41) . Vero è tuttavia', che il Papa in tale  • ; occafio-    (40) Quella lettera fi legge ' Simonìe Vinctntii fin fine ) Dù-  ncl libro intitolato : Ferri Bembi , niftus ab Harfioexrndebat Lugdu •  EfiftoUrnm Ltonis Decimi Ton- j ni. M. D. XXX! r I 11 . in 8 ed è  tif. Max. nomine fcriptarum Li- ! la 35. del lib. xlll. pag.  bri xvi. Ledimi apud Hercdts \ (41 ) Paolo Beni nel T ratent.    Digitized by Google     24 L a Vita   occafione inviò per lofteflò Tr issino una let-  tera al Doge Leonardo Loredano, dalla quale  appare, che egli avea a trattare col Doge a no-  me della -Santità Sua cofe di fomma importanza:  la qual lettera non vogliamo lafciare parimente  di qui traferivere, ed è la feguente (42).   Leonardo lauredano   Principi Venetiarum.   ,, IP Roficifcenti Venetias Jo:Georgio TrissinoVì*  5, centino; quem quidem propter bonarum artium  „ do&rinam , & politiores literas , excellentem-  >, que virtutem unicè diligo; mandavi, ut tibi  „ falutem nuntiaret mcis verbis; tecumque cer-  tis de rebus ageret, quae cùm mihi cordi flint,  „ tùm noftra utriufque intereft ea confieri : tibi  „ vero edam hone fiati, atquegloriae funt futura-  „ Dat. prid. Non. Septemb. Anno quarto .   jj Ronitif   Non oftante che in tanti e si diverfi negozj     notò del titolo di Legato ApoA (4») Quella lettera fi legge  Jlolico inviandolo a Adajpmilia-ìahicsì nel citato libro delle Lct-  no Cefare. Ritiratofi alla Pa- 1 tere fcrittc a nome di PapaLio-  tria, fa di nuovo chiamato a &>-I nc dal Bembo, lib. XI II.  ma nel principio dell' anno IJ17. ; 16. pag. jiy.    Digitized by Google    0EL TRISSINO. 2f  Ciovangiorgio occupato forte, avea condotta*  a fine la fbprammentovata Tua Tragedia della So-  fonìsbti y cui ( dopo eflere flato lungamente in for-  fè y come dice egli fteflo nella Dedicatoria) in-  dirizzò al luddetto Pontefice con lettera , che  in poi flampata colla ftefla Tragedia l'anno 152^  in Roma. Leone gradì fommamente qucfto com-  ponimento r e ficcomc egli era giudiciofiflìmo e.  fapientiflìmo letterato , ne fece tanta. Rima, che  volle forte con reale magnificenza, e con tutto  lo sfoggio degno di se rapprefentata (43 K  Non può negarli, che il Tr issi no non ab-  bia comporta quella Tragedia con tutto lo sfor-  zo dell’ingegno fuo; perchè quanto al Suggct-  to, fcelto avendo l’ avvenimento funefto di So-  fonisba Regina di Cartagine r fi fece conokcrc  giudiciofo sì, che per teftimonianza (44) di Nic-   D colò    (43) Di ciò veramente altra !»» mationibus adjudicarus fuit.-  ficura pruova addurre non pof- j Benché dalle infraferitre pa-  camo, fuor folamente la fama role , che Giovanni Rucellai ag-  c la tradizione, che fe ne hn; | giunfc in fine della fopraccitata  e in oltre l’ aurorità ( fe pur va- j fua lettera al Trmsino fogna-  le) dclTommafini, il quale ne. | ta addi 8. Novembre 1515. di  gli Elogi, pag. 50., cosi lafci b- yiterbo , fi potrebbe ancora con-  ferino : » Summa duksdine , I ghietturar quello fatto. Abbiate  Se majeftatis pondero calami - 1 a mente ( dice egli ) Sophonitb. 1  rofum Sophonisbi Regine voflra , che forfè Phalijco fari  evtntum drnmatc exprcfiit .'ratto fuo in qutfla venuta del  Quod cùtn Leone X- li cera.- j Papa a Fiorenza .   ,, rum Moecenatc benignifiìmo I ( 44 ) Difcorfi intorno alla  in Scenam magno apparata T rag* dì a . /n P’icenz.a , appreffo  „ eficc projuitum, primus illc Giorgio Greco 1690. in 8 . c. 14»  „ Italia: puòiicis lauree accia, [a tergo .    Digitized by Google    2  che (non oftante che ad alcuni quefto compo-  nimento non -fia perfettamente piaciuto, come  vedremo) elfo fu ftimatiflìmo, e non fidamente  vivente il fuo Autore, ma appreffo fua morte,  e d’ogni tempo r e i noftri Accademici Olimpi-  ci elfo feelfero a rapprefentare l’anno 1562. nel-  la Sala del Palazzo della Ragione in occafione  di provare il modello del famofo Teatro Olim-  pico di Andrea Palladio ( 45 ); e ciò fecero con  sì ricca magnificenza , che, fecondo che dice  Jacopo Marzari (47 1 , vi ccncorft quafi tutta la   Nobil m    (45) Il Sig. Marchefe Maffci',» rem Siphaci». filiam Afdru-  nei preambolo a quella Trage-j„ bali», captam Satina adama-  dia riftampnea uri primo tomo „ vie, & nuptiis fa&is nxorerrt  del Tuo T entro Italiano, che d-|„ babuit ; caftigatufque a Scr-  1 tremo a fuo luogo, dice intorno J „ pione » venenum tranfmific*  al Soggetto di dia, che chi leg- „ quo quidem baufto illa de-  gerà il trtnttjìmo libro di T . Li- [ ,, ceflir .  vio , ravviferà y come ninna fe\ ( 46 ) Di quella notizia ci con-  n' è fatta mai , che fervafft fi* ( fediamo unicamente debitori al  fide all' iftoria , e che jì nel S ig. Abate D. Bartolommeo Zi-  tnttoy come nelle farti fi* infi- grotti , femprc intento a cercali  fiejfe in effa : aggiugnendo, che nuove cofc, onde ampliare la  le fcgucnci foche farole dell ’ . fua bell’ Opera delle Memorie  antico Efitomatore fremevo ne , del detto Teatro.  ffiegano i' argomento a ba]l alila : ( 47 ) Jft orla di Pie enza CC.   u Macinili.» Sophooiibam , uxo- | In Piceni,* > affreffo Giorgio   Qn-    Digitized by Google    DEL TR 1 SSINO. 27   Nobiltà dell* Lombardia , e delU Marca Trevigiana . E   da Manofcritti dell’Accademia Olimpica fi viene  anche in chiaro, non (blamente effere fiata ella  Tragedia l’anno fuddetto 15 61. magnificamente  rapprefentata» ma tale e tanta efsere fiata la ma.  gnificema , che alcuni Accademici penfarono  non doverfi mai più fare tali fontuofe rapprc-  fentazioni, temendo, che l’Accademia non fof-  fe per riportarne mai più lode e ftima si univer-  fale. Ma gli altri più giudiciofi Accademici a sì  fatto penfamento non aflfendrono; laonde meglio  penfata quefta faccenda, e gravemente pondera-  ta, tutti in fine conchiufero, (e ciò fu l’anno  I57P-) che moderata in buona parte la fpefa, fi  dovettero pure dall’Accademia fare tali pubbliche  i-apprefentanze . E’n fatti a’X. d'Agofto dello  fletto anno fu ordinato , doverfi fare feelta d*  Lina Favola PajìoraU da recitarli pubblicamente nel  Carnovale dell'anno appretto 1580. (48): ben-  ché per altro fotte differito il recitarla ad altro  tempo.   Di Ma ri-    Greco , 1604. in 8. lib. 1. a ferratori delle Leggi, Contradi -  Cai. 160. c 161. 'centi. A: adertici, & Secretar j   (48) Per ripruova di ciò G deli' Ac adorni* delti Olimpici ,  vuol qui traferivere intero in- \& delle Parti prefe nel Configli»  tero l’atto deli’ Accademia , che di ejfa Academia. Qual inco -  fi legge \m un Litro manoferit- , mincia adi 3. Maigio 1 579. An-  ta pteJTo di me, Legnato » c no terno della fejfa Olimpiade  intitolato; Libro delle Crtatio- 'fino 7. Aprile 1581. L’Atto è  r-tdc Prencipi,Confalicri t Con- \ quello . j> Adi X. Agofto 1 5 79. In   Cou-    Digitized by Google     i-S La Vita   Ma ripigliando il lafciato filo, eflendo morto  l'anno 152,1. addì 2. di Dicembre il lodato Pon-  tefice Leone X.., il quale? come s'è veduto,  Sommamente amo il Tris si no, e ne fece moltif-  fima ftima ( anzi fu detto per alcuni , come ri-  ferisce    , Coniglio , dove inrervencro  » il Sign. Prencipe , Conlìglic-  •99 ri doi , cioè il Sign Hicroni-  >, mo Schio follituto per il Sign.  ,, Marco Brogia, & ilSign. Fau-  >9 fio Macchiavelli, il Teforic-  9, ro contraddente foflituco, il  „ Cavalicr CriHoforo Barbaran  per nome del Co. Leonardo  M Tiene, & il Sign. Antonio Ca-  „ mozza confervator delle Lcg-  gì foftituito per il Sign. Antp-  nio Maria Angiolcllo , con  ,, aie Secretano; in tutti al nu-  mero di 14.   ,, Par che, la rapprefentazio-  ,, ne della Sofonisba Tragedia  .*, dell’ Eccellerli ifT. Sign. Ciò:  ,9 Giorgio Trjssino già no-  ,, flro Patricio fatta l’anno 1562.  „ pel Palazzo publico per la rip-  „ feita Tua non purcon fodisfa-  „ tione, ma con meraviglia di  9, chi ne furono fpettatori, hab-  .9, bia caufato fin fiora in quell’  Accademia un quali continuo  9, filentio a fpcitacoli publici,  „ come che potendoli diflficil-  „ mente fperare più da lei im-  „ prete tanto illuBri,fofire meglio  9, per non declinare non rcetterfi  » più a veruna anione tale peri’  avvenire . Ma certamente cf-    99 fendo l’Acadcmia noflra fon-  9, data fopra i continui cfercizf  ,9 virtuofi, &c dalFclperienza di  ,9 molti anni, elfendo già co-  ,, nofeiuta tale, che può fpcra-  9, re fempre d’ operare fe non  ,9 cqfc uguali 9 almeno degne di  99 fe mede lima, & della Patria j  99 non deve da quello .troppo  ,9 fevero rifpctto lafciarfi impe-  99 dir quel sì lodevol corto, a  99 cui dal genio > dallo (limolo  9, virtuofo, dal debito della pro-  ,t feflìone, dal defiderio, & dall’  « afpettatione altrui lì fenteee-  „ citata. Laonde andari Parte*  „ che quello proffitnocarnafcia-  le venturo lia recitata publi-  „ camente a Cafa dell’ Acadc-  9, mia con quella minor fpefa,  ,9 clic fia poflìbilc, atccfa Isde-  9, gnità, una Favola Ptjlor ale ,  „ come cofa nuova & non più  „ fatta fin’ ora da quell’ Acad.  „ quelii cioè 9 che farà eletta  „ dal Sign. Prencipe nolìro, & da  „ 4. Acadcmici , che per quello  „ CanGglio faranno a tal cari-  ,9 co deputati, i quali habbiano  „ ancoinfieme cura d’informar-  » lì da perfone perite della fpefa ,  9, che vi potrà andare, acciochè  ,, fi porta f.\r la provi (ione dei  den».    Digitized by Google    DEL T RISSINO. -29  ferifce Ciò vanni Imperiali (4 9 ), che efso volea  conferirgli il -Cardinalato-» ma che da lui fu ri-  cufato per poter nuovamente prender moglie )  a cui fuccedette Adriano VI. ; il noftro G10-  •vangiorgjo fece da Roma a Vicenza ritor-  no • Quivi attendendo à’fuoi ftudj , e fpecial-  mentc alla Poefia, compofe tra le altre cofe una  Canzone in loda d’ Ifabella Marchefa di Man-  tova (50) , a cui mandolla, ed ella poi ne   lo    -a» denaro io tempo, & dar prin-  ” cjpio ad imprcfa cosi hono-  ,, rata , rifervata poi la elettio-  •'»» nc di  Accademici , coni’  », è detto di /òpra , la qual paf-  » sò di tutti i voti.   »> l'or ballottati i fottoferitti.   »> 11 Sign. Paulo-Cihiapino .   • -• • • « . . prò 1 1. 3.   »9 -II Sign. Criftofano Darbaran   .Cavai ier .... prò p. 4.  »» 11 Co. Leonardo Thiene .   • • » • • • - prò 8. 5.   » Il Sign. Hicronimo Schio   • - . ... prò io. 3.   -9, Il Sign. Antonio Maria   9» Angiolello . . prò ri. 1.   »» 11 Sign. Alfonfo Ragona    * ..... j>ro 16. j.    „ Rimate il Sign. Paulo Chi*-  », pino, il Cavalier Barbarano,  „ il Sign. Hieronimo Schio, &  „ il Sign. Antonio Maria An-  ,, giolcUo » come fuperiori di  ,, voti.   ( 49 ) Mufeum Hifloricum 8cc.  pag. 43.,, Munito libi ad Leo-  „ nis X. gratiamaditu, infplcn-  „ didiflìmo Mularum & virtù»  ,, tum atrio fic vixit, ut Non-  „ nulli delatum fibi purpurar ho-  „ norem prolis gratia rejc&utn  ,, ab ipfo prodiderint.   Da alcune Lettere man uteri t«  te del Tris si no appare vera-  mente, avergli voluto il Papa  varie ecclefiadiche Dignità con-  ferire, che ivi non fi fpecifica-  no, e che tutte da lui furono  ricuf.ite.   (jo ) Quella Principefla fu fi-  gliuola d’ Eccole I. Duca di Fer-  rara, cd è quella ideila , cui  tanto efalta il nodro Autore  nc’ Ritratti -    Digitized by Google     }0 L A v I T A   lo ringraziò con Tua lettera in data di Mantova  del dì ics. di Dicembre 1521. (51); e l'anno ap-  preso 1522. addì 1 9. di Luglio gli fcriflc pur  da Mantova un* altra Lettera (52) , pregandolo,  che volefle a fuo agio colà andare dov ella era,  perchè diGderava fornai amente di vederlo non   tanto per godere e gufi gre U amenità dell’ ingegni , e  dottrina fu* y ma perchè volea, che nelle fcienze  e nelle lettere ammaetìxafle Ercole fuo figliuo-  lo» da che fegno dava di buona docilità, e di  buon ingegno, e d’eflere allo Audio letterario  mirabilmente inclinato i pregandolo in fine, che  pel mcfso a polla mandatogli volefse farla av-  viata del tempo della fua andata, acciocché lo  poteJGfe afpettare; noi per altro non abbiamo fi-  cura contezza, s’egii v’andafse. Sappiamo ben-  sì» che l’anno apprefso 1523. addì 20. di Mag-  gio efsendo flato eletto a Doge di Venezia  Andrea Grilli, di glori ofiflìma memoria (53)»    ( 5 1 ) Quella Lettera c Rampata San Francefco della Vigna di  nella citata Prefazione alle Opere , Venezia entro un fuperbo depo-  dcl noftro Autore a car.xvm. fito, fopra cui fu fcolpitoquc-  ( ji) Anche quella Lettera Ito .Epitafio: •   Ha nella fuddetta Prefazione, a Andre* dritto , Duci Opti -  car. in. | mo , & Reipub. Amantijfimo , pa-   ( 53 ) Non folanicnve nelle (ij terra, mari^hepart* A*&*-  ftorie di Venezia, ma in altre ri, ac Veneti terejìris imperli  ancora fi poflono leggere le ge- Vindici, & Conferva! ori, Ha-  fte di sì invitto e gloriofo Pria- rcdtt pientiffmi . Vixit A»,  cipe, che mori dcì 1538. in eràLXxxui. Mtnf. vili. Dici xt,  di anni 83., e fu feppcllito in; Lecejpt V Cai. Jan. mdxxxvui.    Digitized by Google    DELTrISSINO. 3 r  ed efscndo cortume di que* tempi, che le Città  fuddite mandafsero Oratori a congratularli col  Principe eletto , fu dalla noftra Patria a ta-  le uffizio feelto il T rissino, unitamente con  due altri ragguardevoli Cittadini (54^ il quale  avendo comporta perciò una elegante Orazione  jn lingua Italiana, in pien Collegio allo ftefso  Doge la recitò \ della quale orazione , che fi leg*  ge tra quelte raccolte dal Sanfovino (55}, e che  fu anche più volte rift. rapata, favelleremo afuo  luogo.   Nell'anno medefimo 1523. a dì 19. di No-  vembre efscndo flato afsunto al Pontificato il  Cardinale Giulio de’ Medici, col nome di Cle-  mente VII., il quale (come già fi è detto) ama-  va grandemente il noftro Trissinov quertri una  lettera gli fcrifse di congratulazione (e forfè al-  lora medefimo gl'inviò la Canzone (56), che  fece in fua lode ) facendogliela confegnare in  proprie mani pel Cardinale Giovanni Salviati ,   fuo    ( J 4 ) Quefti furono Aurelio  dai!’ Acqua, e Piero Valmarana  amendue gentiluomini Vienici- j  ni.   ( 55 ) Oraziani di Divtrfi  Huotnini Jlluftri raccolte da  Franctfca Sanfovino , in Pene-  zia per AltobeUa S alleato 1584. .  in 4. Pait. 1. a car. 1 jy. !   (5 6 , Qucfta C tenzone ( che fu j  {Unipara da prima in Penezja j    per T olomeo Janicolo da Bref~  fa, in 4., fenz’anno; c poi it-  Rampata più volte come in fi.  ne fi dirà) comincia cosi.   SIGNOR , che fofii eterna-  mente elette   Nel Conjìglio Divi n per  il governa   De la fua fianca e trava-  sata nave ;   Or thè novellamente ec.    Digitized by Google     32 L A * v ITA   fuo amici filmo , a cui mandolla con altra Tua  letrcra. Aggradì Clemente la officiofità di Gio-  va n giorni o sì fattamente, che, dopo aver let-  ta con molta giocondità d’animo la pillola di lui  ordinò- allo ftefso Cardinale , che gli fpedifsc  tolto un fuo Breve, col quale lo chiamava a  Roma ( 57) Tenendo egli lo invito del Papa r  fi partì lubito , di confenfo eziandio della Si-  gnoria.    (57,) Affinchè meglio appa-j  ja la verità' di quante s’è ora  detto, vogliamo qui traferi vere  la Lettera del fuddetto Cardi-  nale ferina al Trksino,  entro cui tirandogli il Brtve  del. Pontefice } cd è quella.   „ Magnifice Aniice, & tan*  quam Frater Garifllme.   „ Io era ctrtiffimo della  „ molta allegrezza di V. S. pei  „ la felice affunpuone della  „ Santità di Nollro Signore,  ,, come fe preferite mi fulTì    „ che mi Benderei molto più,.  „ fe- non fuffi certillìmo, che  „ la S.V. per fc medefima lo -  „ cognofce. Del bene, & fc-  ,» licita mia non le voglio di-  ,, re altro , fenonchè quanto*  »> più farà , di tanto più qucl-  » la potrà a-ogni fuo benepla-  „ cito difporre; & quanto nc  ,, difporrà più , farò io tanto 1  „ più contento . La Lettera-  » fua detti in mano propria  » di fua Santità, là quale con  >, fornirlo piacere la lede : &c  „ flato, come quello, che al- j » più mi diflcndOrci intorno  ,, cuno non cognofccvo, clic'»» aqucllo» che amortvolmen»  ,, più meritamente fe ne do-j», tc mi rifpofe , fe Sua Beati*   „ vedi rallegrare; perchè la-'» tudine con uno Breve ( il   „ feiamo Bare lo univerfal be* [ ,» quale con quella fari) non-  „ ne, che tutta la Criftianità | ,, avelie ordinato di rifponde-  „ ne afpetta, &: quali mani fe- », te- alla S.V. , la quale cec-   ,, (lamento ne vede » il che », tifico , che fetnpre che ver--   „ tutti e buoni & virtuofi , 1 », rà, farà vcdutadaSua-Bea-  „ come è V. S. debbono fom- titudine come dolciilimo;  ,, mamente deftderarc; chi più j»- amico; & da me come dol-  ,, di G-i anc! orcio è da ,, ci (Timo fratello; &• a quella»  „ fua Beatitudine amato ? ! « mi offero. Se raccomando*..  „ Chi più di lui fc ne può , Roma XI. Decembris Mdxxiii.  „ ogni cofa promettere ì In j ,, lo. Cardin.dc Salviate ,,   Quc-    Digitized by Google    DEL TRISSINO. 33   gnoria di Venezia (58 ); e giunto a Roma fu  da Clemente accolto con fegni di ftraordinario  affetto , e apprefso anche fu deftinato a rag-  guardevoli impieghi, come diremo più fotto.   Ma avendo egli intanto fatto pubblicare nel  Luglio dell’anno 1524. colle ftampe di Roma la  fua Tragedia, pensò di dar fuora nuove cofe a  -utilità della noftra favella; e però fcarfo paren-  dogli l’Italiano alfabeto di caratteri atti a figni-  fìcare tutti i varj fuoni delle voci , inventonne  di nuovi , o a dir di più vero , ne tolfe alcuni  dall’alfabeto Greco , e all’ Italiano proccurò di  aggiungerli. Ma non tenendofi pago di aver ciò  nelle propie fcritture ufato , diftefe nel Dicem-  .bre dello fteffo anno 1524. cotale fuo penfa-  mento in una lettera al predetto Pontefice inti-  tolata ^59).   Circa il principio del Secolo XVI. vi fu ve-  ramente nell’ Accademia di Siena chi avvisò di  aggiugnere all’alfabeto Tofcano alcuni Elemcn*   E ti per    Quella lettera fu flampata a \fubito mi fcrifft uno Brieve , ri-  car. xv ir. deila Prefazione alle j cercandomi che io dovtfft andar  Opere del Tr issi no più voi- a Berna-, & io con il confenfo ,  te citata . I  (he  d'Jft fuori fìmil pcnfìcro. Gli venne non per tanto  fallita in buona parte quella fua bella intenzione  (come chiamolla l'Abate Anton Maria Salvini  di chiariflìma ricordanza): imperocché ol-  tre allo avere egli fteflo a rovefeio, e non nel-  la dovuta maniera, ufate da prima le nuove let-  tere, e così per lo modo del linguaggio Lom-  bardo indicando falfa pronunzia , ebbe più loda-  tori, che feguaci, come accenna Giovanni Im-  periali (62) y del quale errore avvedutotene poi  egli Hello n € Dubbj Grama ricali , ftampati appref*  fo a difefa del fuo ritrovamento? fe ne amrnen*  dò U3),   Da    ( 60) Corr.ment. all' ]ftoria\  della Polgar Poefìa-, Vol.i.Lib.vi. ;  a car. 408. della ediz. di Venezia . j  Fra l’ altre Lettere dal Tris-  sino tolte dal Greco alfabeto , !  due fono più offervabili, cioè  Fi, ci’ a,   (6l) Pro/e Tofane, Par. 1,  Lcz.xxxi. a car.i9i. dcH’cdizio-  ne di Firenze, apprejfo O'infep-  pe Manni , 1735. in 4.   ( 6 1 ) Mufaum Hi/ioric. pag.  4Z.„ Rem paritcr molitus per-  „ arduam, charaftercs Graecos  „ noflris immifeendi litetis ad i  » varios fonos aptius fignifi-j  candos, ut repente multosad    » fui vel laudem , vel iurgi*   „ traxit Reclamante Do-   „ ètorum ccetu , quod in tan-  »> tis dodtrinarum momcntis,  ,, monftruofa elemcntorum no-  „ vitate animos haudquaquam  „ turbandos putaverint.   (63) Protelìa egli in quefti  Dubbi d’avere aggiunte le det-  te Lettere al noftro alfabeto a  fine folamcntc di giovare agli  ftudiofi della noftra lingua; c  foggiugne, che non tralafcerà^  fuo potere coti bello , e coti no-  bile injlituto : ringraziando i  fuoi riprenfori , come quelli ,  che per lo avergli fcritto con-  tro    Digitized by Google    del Trissino. 3?   Da alcuni Scrittori fu il noftro Autore per  tal fua invenzione rigidamente appuntato; e pri-  ma da Lodovico Martelli? Fiorentino , il quale  mandò fuori una Rìfpofta all* Epì fi ola del Trissino  delle Lettere nuovamente aggiunte alla Lìngua volga -  te Fiorentina (64); nella quale s' ingegnò di ino-  ltrare, che vana era Hata, ed inutile la di lui  invenzione , allegando fpezialmente , che non  doveaA punto alterare la maniera dell'antico fcri-  vere Tofcano. Indi comparve Agnolo Firenzuo-  la, Monaco Vallombrofano, il quale oppofe al  Tr issino tra l’ altre cofe, che poco lodevole tra ,  e poco ncieffario , e infofficiente lo aggingnìmtnto del-  le nuove Lettere al fcmpliciffimo alfabeto Tofcano , per-  ette con effe gli fi toglieva la fua naturai femplicità .   In quella fua opera il Firenzuola trapafsò per  verità i limiti di quella moddtia , con cui fi  vantò nel principio di voler riprendere la inven-  zione del Trissino, perchè fì moftrò nel fuo  dire alquanto appallìonato , non curandofi di ap-  parir tale ancora nel frontifpizio ( 65 ), taccian-   E i . dolo    tro furon cagione» che fi fa- 1 nell’ Eloquenza Italiana ec.....  ce (Te paltfe la natura, t la uti- \ In Venezia appreffo Criftofor »  lità di effe lettere. Zane 1737. in 4. c.ir. 27J. Nell'   (64) Non dille il Tu 1 s s r- Operetta del Martelli, chcè in 4.  no d’aggiugner le nuove Let - 1 non v’ha il fuo nome, nèqucl-  tere alla lingua volgare Fioren- lo dello ftamparore , nè l’anno;  tina, come avvisò il Martelli; 1 nel fine però fi legge pompata in  ma alla lingua Italiana r il che Fierenzji .  fu notato anche dal Montanini ! (6 5) Quell’ Opera c così in-   filo-    Digitized by Google      16 L A V 1 T A   dolo in fine d’ufurpatore degli altrui ritrovamen-  ti, con dire, che prima d’efia e l’Accademia  Sanefe aveva avuti limili penfieri, e alcuni gio-  vani Fiorentini pi» per e fcr citare i loro ingegni , che  per metterla in Optra della medefima imprefa par-  lato aveano ; i ragionamenti de’ quali efsendo fiati  naf cefi amente uditi dal T rissino, da eflo poi co-  me ftto proprio trovato fenza far di loro alcuna men-  zione , furono meli! in luce ( ) . Finalmente   Claudio Tolomei, fiotto nome di Adriano Tranci ,  ftampò egli ancora un libro l’opra quella mate-  ria, e lo intitolò U volito (67),   Rifpofe il Tr issino a’ Tuoi Oppòfitori colla  fuddetta opera de’ Dubbj Gramatìcali j ed anche  col Dialogo intitolato il c aftcllano , e molto bene  fi difefe -, ma non fu fiolo in ciò, che anche Vin-  cenzio    titolata : Difcacciamento delle  nuove Lettere inutilmente ag-  giunte nella Lingua Tofana ;  fenza efprcflìone di luogo , c di  ftampatorc. Trovali anche tra  le Prtfe del Firenzuola ifteflo a  car. 306. della edizione di Fio-  renza , apprejfo Lorenzo Tor-  rentino, mdlii. in 8. Fu poi al-  tre volte riftampata, ed ezian-  dio nel Tom. 2. delle Opere  dei Tr issino della edizio-  ne di Verona.   ( 66 ) Non può negarfi » che  l’Accademia di Siena non avvi-  litile ella prima, che il T R 1 s-  si no pubblicane la fua Lette-    ra , di aggiugncrc ( come già  dicemmo ) nuovi elementi al  noftro alfabeto; ma che egli fi  valeflc interamente di quello di  lei penfiero, come dille il Fi-  renzuola, non è da credere ,  che troppa ingiuria fi farebbe  al fuo gran nome. E ’n fatti il  Varchi nell’ Ercolano dell’ ulti-  ma edizione di Padova , apprej-  fo il Cornino, 1744. in 8. a car.  468., dice avere il Firenzuola  ferino contra il T rissino  piuttofto in burla , e per giuoco ,  che gravemente , e da dover 0.   ( 6 ~ ) La (lampa di quell’ O-  pera fu fatta in Roma , per Lo-  dovico    Digitized by Google    DEI Trissino. 37  cenzio Oreadino da Perugia flampar volle a di  fefa del di lui ritrovamento un dotto latino  opufculo, il quale eflendo flato per lungo tem-  po fmarrito, fu ritrovato per diligenza del Sig.  Marchefe Maffei, che Io fece ritlampare nel to-  mo fecondo delle Opere del medefimo noftro  Autore per lui raccolte (tf8).   Che    dovico Vicentino i j 30. in 4. Ve- vifato dall' Accademia Sane/e *  di fopra di ciò il Foncanini nel- per quel che fcrive il Firenzuo-  la Eloquenza Italiana , a car. la nel Trattateli del Difcac-  37 6. ciamento delle Lettere , impref-   11 Crefcimbeni nc’ Commenta- fo tra le fue Profe. Tutto ciò  rj al! Jffor. della Volg.Poef. Tom. abbiamo noi voluto riferire ,  r. lib. vi. a car. 408. dice, che acciocché (ì vegga quanto po-  pcrché andò r Accademia indù- co a ragione fia (lato il Tris-  giando di pubblicare lì fatto av- sino dal Firenzuola tacciato di  vifo, Giovanciorgio Trissiwo ufurpatore. La qual cofa più  fu il primo che de ff e fuori un fi- evidentemente appare in riflcc-  mil penfiero : indi regiftra FAI- tendo, che il Tr i s s 1 n o avea  fabeto Italiano coi caratteri dal già medi in opera i Tuoi carat-  Tr issino aggiunti , che è ceri anche prima di dar fuori  quefto; abcdtfgche gh j quello fuo penfamento ; cioè  kiljmnopqrustfu nella Sofonitba , fcritta , e far.  z v q x 7 th ph h: e poi dice I ta leggere, come dicemmo, fot-  cosi: In quel medefimo torno , 0 to il Pontificato di Leone X.lad-  poco dopo, M. Claudio T olotr.ei dove folamente nel principio del  non gli parendo, tra l’ altre co - Secolo XVI., come dice ilcita-  fe , buono il penfier del Tris- to Crefcimbeni , 1 ’ Accademia  sino, ritrovò un'altra manie- diSiena avvisò lo aggiugnimcn-  ra, togliendo la forma de'Ca- \ to di nuovi caratteri.  rat ieri, che avevano a duppli- ( 68 ) Il fuddetto Opufcolo  carfi, dagli fi effi caratteri del no- dell’ Oreadino in detta riftampa  fico alfabeto , Cime appare dall' è cosi intitolato : Vincentii Orca-  alfabeto , che fiegue : a (T c d dini Perufini Oprfeulum , in  ecf^gh lilmneopqr 1 quo agit utrum adjcìtio no va rum  sftv-t/uz z . E quefio | litter aratri Italica Lingua all-  (foggiugne il Crefcimbeni) noi quam utilitatem peperit : Ad  crediamo, che fia l’ alfabeto av-^Thomam Severum de Alphamt   Vi-    Digitized by Google     3$ La Vit a   Che alquanti dementi di Greco alfabeto pren-  dere egli per aggiungerli al noftro Italiano, non.  era certamente per mio avvifo quella fconvcne-  lezza, che gli antidetti Scrittori (69) credetter-  fi> condolila cola (come già notò il foprammen-  tovato Abate Salvini (70)) che l’Italiano alfa-  beto fia ftato altresì di parecchi altri caratteri  Greci formato. Tuttavia non riufcì affatto inu-  tile il di lui penfamentoi perchè due delle nuo-  ve Lettere da lui propofte, cioè H, e Kv con-  fonanti, veggonfì oggidì univerfalmente abbrac-  ciate dagli Scrittori, anche Fiorentini, come ne-  celfarie a torre ogni equivoco delle voci: onde  a ragione diflc il predetto Signor Marchefe Maf-  fei (70j che * Luì » han» obligo’ le Jlampe dì tut-  ta C Italia , che le u fatto perpetuamente . Laonde non  bene fi appofe il celebre Signor Domenico Ma-  ria Manni , Letterato per altro eruditismo , e   dìgniflì-    Virum eruditijpmum , & Cenci- I la noftra lingua habbia bi fogno/  vcm Optimum . Girolamo Ru- 1 delle Lettere aggiunte dal DRts-  ccllai nelle fue note all’ Orlon- sino, & dal Tolomei cc.  doFuriofo dell’Ariofto della cdi-| ( f>9 ) Cioè il Tolomei, e  zionc di Penez.ia > aM re J[° ] Firenzuola nelle Opere loprac-  Eredi di rinccnz.io Talgrìfio , ' cerniate..   1580. in 4 . a car. il. facendo! (7°) Profe Tofcane , In Ft-  un’ ofT.rvazionc gramaxicale fo - rence , nella Stamperia diS.f.  pra la voce corrò ( accorciato A. -per I Guiduecit e Franchi »  dal verbo coglierò) con cui l’A- 17 2 5 « 4 * P ar * P 1 * 012 Acz. 48.   liofto comincia la danza 5 8. del ; a car. 523.  primo canto*, dice cosi : Et in j ( 7 1 ) lucila Prefaz. alle Ope-  qutjtt tai voti Ji cottofee quanto , re del noftro Autore a car.xxx.    • Digitized by Google    DEL TRISSINO. 39   dignifTimo Accademico Fiorentino > in dicendo  nelle , fue Lezioni di Lingua T ofeana ( 7 l)j che 1 ’ /  confonante i cioè quello , che j lungo fi appella , conte  trovato dal T RISSINO , e da Daniello Bar t olì po/lo in  ufo , non è ricevuto da per tutto : e pure egli ftefio   Io usò nelle medefime Tue Lezioni (73)* Mon-  fignor Fontaninij da cui fu UTrlssino chiama-  to    (72) In Firenze 1737. nella] sintonie Muratori , legnata dì   Stamperia di Pietro Gaetano , Venezia li 12. Marzo 1701; fì-  Viviani. in8. a car. 43. 1 gnificandogli la allora frefea e-   (73) Bene è vero, che l’ufo I dizione delle Poche degli anti-  di quello j lungo , o fia con - 1 detti d*ue poeti Vicentini, dif-  fonance , ritrovato dal T r i s- 1 fc , avere quelli in dette loro  sino, fcfu abbracciato univcr. poefic pretefo di ravvivare l’ or-  falmente nel plurale de’ nomi , I 1 agrafia fcrupolofa del vecchio  che nel numero del meno fini- Lr Trijftno , ftnza però quelli  f cono in io di due fillabe , in epfilon , e quegli omega , co' qua-  cui Vi non lìa gravato dall’ ac- li voleva imbrogliare iinejlro al-  enato, come vizio t vario , eli- fabeto Italiano. Colle quali pa-  mili, i quali nel maggior nu- ! cole troppo veramente difprez-  mcro più rettamente il ferivo- jzòe quelli poeti, e la buona vo-  no col detto j lungo in ifcam-llontà del Trillino, la quale, co-  bio de’ due ir, come a dir vi- me è delio, non riufeì affatto  zj , varj ; fu rifiutato l’ ufario do- I inutile , vcggendoli abbraccia-  po l’L in luogo del G c dell* E | te dall' Accademia medefim*  nella voce EGLI, c in luogo del | della Grufca le due fopraddettc  G nell’articolo GLI, feri vendo ; Lettere J, e F* confonanti , come  LJI, come fece fempre il Trissi- ' fi può vedere nel fuo Focabola-  no. La qual maniera di fcrivere fu I rio alla lettera I. §. xi.j e alla  poifeguitata, ma con poca lode, j Lettera F. La lettera poi delZe-  da Andrea Marana, e da Antonio no è Hata ultimamente pubbli-  Bergamini, amendue di Vicen- cara in un coU’ altre lue erudi-  za, uomini per altro di lette- 1 udirne lettere in tre Volumi, ed  ratura Italiana, Latina, e Gre-| è a car. 44. del primo , che ha  ca molto intendenti. Il Sign. I quello titolo : Lettere di jìpo-  Apoflolo Zeno, di Tempre glo- fole Zeno , Cittadino Fcnezia-  riofa, e a me cara memoria in ! no , Iftorico e Poeta Cefareo. ec.  una fua lettera al Sign. Lodovico I Folumt primo in Fenezia 1752.   I * 1 -    Digitized by Google     40 -La Vita   tO (74) Novello Cadmo , C Cadmo Italiano , fu di  oppinione, edere ftata altresì invenzione del  medefimo noftro Letterato 1* ufare la z j n cam-  bio del t dopo vocale , e innanzi all’ /, cui fegue  altra vocale, come nelle voci vìzio , malizia , e  fomiglianti(75).   Ma, per pigliare il filo principale del noftro  racconto, l'anno 1525 . ( nel quale il Re France-  sco I. di Francia eflendo ritornato in Italia, don-  de l’anno avanti era ftato cacciato , e avendo  già prefo Milano , attediava la Città di Pavia,  la quale fu appreflò liberata dall’ efercito di Car-  lo V- > che mife in Sconfitta 1* ofte Franzefe , e   fece    affrtff» Pietro Falvafenfe . i n 8.   (74,) Nella Eloquenza Italia-  na a car. 36. e 339.   (75) In proposto delle Let-  tere aggiunte « Valerio Ccntan-  nio. Medico Vicentino, di cui  parla lodevolmente il Marzari  ella tua Jftoria di licenza, a  car. 183. fcriffe al Trissino il  feguente curiofo Sonetto , che ci  fu comunicato dal più volte men-  tovato Sign. sportolo Zeno .   ì’O grande A» tji Urici nominato.  A dijfertnlia Ai quel, cb i tu ir. a    rii   VE difl' ignudo i 1 di pie» valo-  ri,   A luta ai Alph' al Giet" accorti  pugnato i   Ch* nel fcnvir Tofcan ha ritrova •  to   Voflr’ alt’ ingegno i facindo maggiori  Numcr di Lettre : eh’ in vano ti-  no’i   Si anno a chi nin ha 'l cervi ! fia  catoi 1    Verrei faptr t Si noi Urica Scrittu-  ra   Leggenda > dtbben ritener* il futi-,  no,   Che nel Uggir Tofcan Kiara fi fin-  ti.   Ri ff tendete Signore che la cenfura.   Et gran judicio vofira , a mt tal  fono,   Qual Sol ad g orno : a nette fio-  co ardiate.   Andar mi vi in a minte   D' addimandar 1 fi l' Ita Gri't »  timi   La voce t eh' a V E Taf co fi ceti «   m».   Et forfè dicttn bini   Quelli, che voljan pir ditti d' Hv  miro   L' Ita fuonar s cimi il Taf cu E pri-  miera .   Bramo faper il vero.   Adunque fa- fi l' O Tofcan antico   Terrà ’l fuun d' il Grt co 0 :cht mi-  nor dico.   Il Servo di Veflra Magn.   Valido Cintannio-    Digitized by Google    DELtRlSSINO. 41   fece prigione il Re fte{fo(7 Papa Clemente  impiegò in varj negozj il notlro Giova n gì orcio.  e intra gli altri lo mandò una volta Oratore al-  la Repubblica di Venezia C 77)» e ' [ferma per la concordia degli   Ma quel [degnato , horntil-vente fiero * Scrittori , c per lo Elogio, che   Con Pungine, ri rofiroil batti , elo '^tfU Chiefa di San Loren-  dìmtna   Si fai lamenti , eh' ci fuggendo a fina  Hcrfer lo [campo f ho trova fenderò .   Tal che aebaffata in lui fi» con gran  fretta ,   Et forfè affatto fjenra l'arroganza ,   Che tutta Europa già foft in itlanza: ! dal Papa folte il T R I SJ I II O  Ottd'io tengo nel cor ferma fgtranza , mandato Nunzio prima alla Rc-  Che il Citi farà dei torti afpra ve »• pubblica di Ve.'CZÌa, e poi all’  detta | Imperatore: ecco le fue parole:   ACriflo fatti ,§ a tuttala fua fetta .1 >} Clemcr.tis Septimi acerrimi  (77) Cosi afferma il Tris-',, teftimatoris nutu ex Romana  sino medefimo nella fua Ari».',, Curia ad Carolum Carfircnt  ga, dicendo: Papa Clemente fu' „ Nuncius cfl elc&us : inde ad  eletto al Pontificato,.,. S. Santità ,, SapicntifTìmum Vcnetorum  fubito mi fcriffe uno P, rieve , ri- „ Scnatum . « In ciò fu egli  cercandomi , ch'io dove/fi andar (e guicato dal Signor Marchefe  a Roma , & io col confenfo, CT I Maffciìad Ri fretto deila P'ita   del    I zo di Vicenza allato all’altare  idi detto Santo fi legge, e die  I di fotto tra feri veremo . Gio-  ivano! Imperiali nel Afufeo Jflo -  \rico a car. 44. lafciò fcritto, che    Digitized by Google     42 La Vita   gno dì parttcolar menzione fi è un altro pubbli-  co contralfegno deiramore , che gli portava. Ciò  fu l’anno 1530. in occafìonc che dovea corona-  re folennemcnte in Bologna l’Imperatore fud-  detto (79)1 imperciocché, fecondo che affer-  mano alcuni Scrittori (80), e appare chiaro da   una    del T r i s j i n o , e da altri : ma  ficcome quelli Scrittori non ci  daono il tempo di corali Lega-  zioni , cosi noi non ci facemmo  fcrupolo in notarne pri ma una  che l’altra; e tanto più, quan-  to che può edere veramente ,  clic andafle egli Nunzio a Sua  MaclU Cefarea molto tempo  dopo di edere dato Oratore a  Venezia , cioè dopo il Sacco di  Roma fatto dagl’ Imperiali nel  IJZ7. , in cui effendo dato di-  tenuto Io Bello Pontefice, e poi  liberato per commillìonc dell’  Imperatore, edo lo mandò a  ringraziare per un fuo Nunzio,  accennato folamente in una Let-  tera di congratulazione, che Io  Redo Imperadore al Papa riferir-  le in data di Burgos addi xxn.  di Novembre di detto annoi 517.;  la qual lettera Ci legge nei to-  mo primo delle Lettere di Pria-  dpi » ecv raccolte da Girolamo  Rufcclii , Ja Veneti a appre/fo  Giordano Ziletti, 1564. in 4.  a car. no. a tergo; fe pure ciò  non fu l’anno 1529., cioè do-  po la pace tra loro fatta in Bar-  cellona, di cui parla, tra gli al-  tri , il Guicciardini nel terzo  degli ultimi quattro litri della fua    Ifi$ria\ avendovi una lettera di  Sua Madia al Papa in data di  Genova addi xxix. di slgo/lo  1519., che fi legge nel citato  tomo delle fuddette Lettere di  Prinnpi a car. 123.» nella qua-  le fa menzione di un fuo  Nunzio con quelle parole : Ha-  vendo intefo dal detto Duca ,-  & da' Reverendijfmi Cardinali .  fuoi Legati ...., & dal SUO  NUNZIO ,. & Zmbafiiatore ,  cc.....; il quale può perle fud-  dette cofc fondatamente creder-  li , foflTe Giovangiorgio.   ( 79 ) Carlo V. fu coronato  da- Clemente il giorno di San-  to Mattia Apoftolo, cioè a dì  24. di Febbrajo: ed è JlTervabi-  le, che nei mede^mo* giomcr  egli e Ila nato , ed abbia prefo  i fegni e gli ornamenti d’ Im- -  peratore. Si vegga Alfonfo Ul-  loa nella Vita di Lui molto eru-  ditamente feri tra-   ( 80 ) Gio: Imperiali , Mh-  faum Hi/l or. a car. 44. Toirmia-  fini Elogiaste, a car. 53. e Pao-  lo Beni Trattato dell' Orig. del-  la Famigl. Trijf. lib. 2- manu-  fcritto, a car. 34., ove nota  anche di malevolo il Giovio,  che riferendo paratamente tale  folcn-    Dlgitized by Google    DEI T R I S S I N O. 45  una lettera manufcritta del noftro Autore mede-  fimo (81), da tanti Principi e Cavalieri, che a  tale folennità fi trovavano , Clemente tralcel-  fe il TiussiNoa portargli lo ftrafcico Pontificio;  .onore» che per innanzi era /olito farli a Perfo-  naggi di nobililfima Schiatta, e molto qualificati.   Si trova fcritto apprelTo qualche Autore (Si),  che Carlo V. facefie conte e cavaliere fi noftro  Giovangiorgio» e lui co’ Tuoi difendenti privile-  giaffe, che potefse mettere nd/arme dellaFamiglia  la Imprefa del Tofone , c fi potefle in oltre dinorni-  nare dal vello d'oro. Noi non vogliamo ora di-  làminare, fe ciò fia vero, anzi il crediamo; che  conte e cavaliere egli fteflò in qualche Tua lette-  ra s intitolò (83), e alzò la detta Imprefa» con  foprapporvi il mòtto Greco to zhtotme.  ;non aax2ton (84), prefo dall’ Edipo di Sofo-   F 1 eie    folennkà , nulla facefle del  Tri jliN o menzione.   ("8 1 JvQucfta lettera di prò.  prio pugno* del noftro Autore |  c tra le altre lue manuferirte,  cd è 'quella, che diramino più  d’una volta in quefta Vita ,  fcritta da Marano all’Arcipre-  te Giulio fuo figliuolo, fegnata  18. A/arz.0 IJ42. In effa egli  parla cfprcffamentcdi quefto ét-  to , ricordandolo al figliuolo  qual /ingoiar h*neficiodal Pon-  tefice a fe ufato.   ( 8a_) Cioè approdo il Tom-    mafjni, Elogia cc.-, a car. 54.  c ’1 P. Rugeri , T ratina ec. a car.  xxxin.   ( 83 ) Veggafi la lettera di lui  al Reverendo Prete Francefco di  Grugnitola già fopracciiata, all’  annotazion. 3.C 26.   ( 2 4) Il Fontanini nell’£/tf-  quentLa Italiana a car. 380. rife-  rire e fvariatamctwequAlo motto,  rcrivendo in quefta guifa T o  2HTOTMENON A A ftTON*  diche fu appuntato dal Signor  Marchcfe Ma fife i a car. 8j. dell’  Fiume d’ elio libro del Fontani-    Digitized by Google     44 La Vita   eie (85)} che lignifica conftguir chi cerca ma nsn  chi trafeura ; ed anche ftamparc la fece o ne’  frontefpizj, o in fine delle fue Opere. Si vuole  bensì avvifare, che fe egli ebbe dall’Imperatore  Maflìmiliano primieramente» come abbiamo ac-  cennato al di fopra, e poi ancora da Carlo V.  il privilegio di potere l’arme gentilizia adorna-  re di detta Imprefaj come tengono alcuni (86),  e come forfè volle dire il Signor Marchefe Maf-  ie i, quando difle (87), che il Trissino  imperaci ere Maffìmilian » riporto il Tofon d’ Or o\ e fe  ; egli fu    ni, che approdo citeremo, trat-  to delle fue OffervaiÀoni Lette-  rarie , fn Serena nella Stampe-  rìa del Seminario per Jacopo Sal-  tar fi 1738. in la. Articolo VII.  a c.vr. 103.   ('85. Verfo 110.   (86) Nel fopraccinnaro Elo-  gio, che è in San Lorenzo di  Vicenza, fi legge: Aurei fuci-  lerie infìgnibui , & Corniti* di-  gnitate prò fe, & Pojlerit ab  iifdem Impp. ( MaKimiliano ,  & Carolo) decorato . Il Padre  Rugcri nella Trotina &c. a car.  33. pare che affermi , avere il  T rissino avuto il fuddetto  privilegio da Carlo V. , poiché  gli t cbbc niarfdatoa donare (co-  me diremo ) pel fuo figliuolo  . Ciro il Poema dell'Italia Li-  berata da' Coti. Quelle fono le  fue parole : T itm vero P o s T-  Q.U A m ledi 1T1 mai cjtjitm fiiius    Cyrus , poema iliaci eidem Caro-  lo V. patrie nomine donariam  confccrauit , Aurei Velie-  ri s Agalma dimidiato in  Umbone fui Aviti Stemmati! ,  Imperai or is auttoritate , & con-  cezione appingi voluìt , quo fa.  cilius hac velati tejjcra, è fuo  Pipite dedali a Sobolet, ab aliis  & Laude, & Vice ti * , f amili*  nobilijfm*, & numcro/tjfimafur-  culit dignofeerentur . Contutco-  ciò noi troviamo* erteti* Gio-  va» Giorgio denominato dal  Vello d' Oro ^rima che Ciro prc-  feniaffc il detto Poema all’Im-  peratore. Può effere bensì, che  avendo egli avuto da Maflimi-  liano il detto privilegio, con-  fermato poi gli forte da Car-  lo V.   { 87) Nel Riflretto della Vita  del noffro Autor , preme fl o  la rirtìmpa delle fuc Opere.    Digitized by Google    DEL T R I S S I N Ó. 45  egli fu veramente da Monarchi medefimi fatto  Cavaliere; non dee perciò dirfi, che forte egli da  efli fatto Cavali er del Tofo» d'oro: concioflìac»-  fache non fia mai fiato il T rissino arrolato in  quell’ordine (88).   Le fa-     f88) Che ciò fia vero, ba- Trissino, che non era da  fievolmente è provato dal Fon- trafeurarfi , quando veramente  canini nella Eloquenza Italia- vi [offe fiato; e ciò tanto meno,  va , ove a car. 380. dopo regi- che in quefio affare ci entrano  Arata la primiera edizione del anche gli Araldi, 0 Re £ Armi ,  Poema dell’ Italia Liberata da' per ajfegnare a ciafcun Cavalie-  Goti, così lafciò fcritto. Qui re lo Scudo, e /’ Infegne , tutte  in fine, e in altri fuoi libri fi le quali Ji leggono efprejfe dal  vede la pelle, 0 vello d'oro del C biffi elio . E a car. 474. dopo  Montone di Friffo , da lui fof- j aver regi fi rato i Difcorfi ini or -  pefo a un Elee in Coleo, e cu- f no alla Tragedia, di Niccolò   fi adito dal Drago Volendo | Rolli., tornò a dire, come fc-   il T R 1 ss 1 n o con quefia fua 1 guc ; Effendofi già mofirato non  Imprefa alzata all'ufo di que' \fujfi fiere, che il T rissino,  tempi alludere alle fue lettera - 1 comecnè talvolta fi dicejfe oAr.  rie fatiche , e da fe ancora in- \ Vello d’oro, e meritaffe per  - titolanàofi dal Vello d’Oro . j altro ogni onore, foffe perciò Ca-  .Ala non per quefio egli intefe di valier del Tofone , perchè meri -  far fi Cavaliere dell'Ordine del 'tare non vuol dir confeguire , qui  T ofone - E poco apprelTo ; L'\fi può aggiugnere , che quefio Su-  • Ordine del Tofone fu conferma- premo Ordine , detto in latino  to dai Sommi Pontifici Eugenio Vclleris Aurei , nelle lingue voi -  IV. e Leone X. ; e Gianjacopo gari fi chiamò del Tofone . ...  Chifflezio ha data la ferie de' Nè può effere inutile il ridurfi  Cavalieri » e de' Uro fupremi a memoria, come ne’ tempi del  Capi dalla prima fua ifiitud-o- Trissino fiorì /’ Accademia  aie fino a Filippo I v. Re di Spa - degli Argonauti conquifiat ori del  gna, erede àe’ Duchi di Borgo- Vello d’Oro, poco fipra acc ca-  gna: e ne ba fcritto ancora un , nata* Se poi egli fi diffe Co-  temo in foglio Giambatifia A/au-j me; & Equcs , ciò nulla impor-  rizio e altri pure han- ita, petchè non fu foto a chia-  na pubblicati gli Statuti dell' ' mar fi in tal guifa . 11 Mar-   C'rdine, e gli Elogi de' Cavalle - 1 cii'eje Maffci nell’ E fame del  ri: ma fenza alcun merlo del [ (udektto. Libro del Fontanini ,    Digitized by Google     4 fìccome l’altra volta, la fentenza incon-  tro. Tuttavolta collo ro infiftendo, agli Auditore  Vecchi appellarono di ella fentenza, dai quali fu  poi rimeffa la Caufa al Configli dì xl, civìl-Nuo-  vo. Ma quella volta Gì ovan Giorgio delibero  di orare elio pubblicamente , e dire in Configlio  le fue ragioni : per la qual cofa comporta in  comunal dialetto Lombardo una forte Aringa  (pi)» sì bene, e con tale efficacia davanti ai  Giudici la recitò, che all’ultimo (pi), con gran-  de feorno e rabbia degl’ incaparbiti Comuni, egli  fentenziarono a di lui favore (p$).   Sera egli ammogliato la feconda volta a Bianca  (P4). figliuola di Niccolò Trillino, e di Cateri-  na Ver-    »    ( 9 1) Quella è l'Aringa da  noi citata sì fpctfo nella prefen-  tc Vita-, e Cc nc conferva copia  nella Libreria de’Cherici Re-  golari Soraafchi della nolìra  Città di Vicenza.   (92) Avvitatamente s r è det-  to all' ultimo , perciocché non  tappiamo, che il Tri ss ino  per la narrata cagione piatile  più colle dette Comunità : ben  è vero, che i di lui Poderi ap-  po fua morte ebbcro«a foffrir da  colloro per lo ftctTo motivo nuo-  vi difturbi .   (93) Crediamo ciò fofle o'  nel principio dell’anno x 5 3 1. ?    'o nella fine del precedente; e  | lo argomentiamo da ciò che e*  'dice nella citau Lettera al Pre~   ! re di Grugnitola , ed è; Le cofe  | della [acuità mia dopo molti tra-  | valji fono quaji tutte rajfcttate,  e trovami manco povero ch'io  ' fojft nati,   I « quella .ftponda fua   | moglie fa il T r iss 1 no ono-  ratole njènzione nc fuoi Ritrat-  ti > Citila» Re (fa fi parla altresì  con lo.Je’nel libro intirolaro:7" at-  te U Dgnne maritate , Vedove,,  è’ I)ongeil/ \ ptr Lugrezio Bec-  candoli Bologne fé *»/ magnanimo’  Ai, Fr ance [co elei Scolari , Ere-  siano ,    Digilized by Google     j   N -   4? L A V I T A   na Verlati (p?), e già vedova di Alvife Tri Ar-  no (ptf): la quale partorì a Giovangiorgio u n   figliuol    [ciano, [no Signore . in 4» fcn-  za efprcffione di luogo» anno,  e ftampatore.   (9 5 ) Se il Tommafini negli  Elogi, a car. 53. dicendo:,, De-  ,, funóto Leone X. in Pacriam rc-  „ diic.... Anno mdxxiii. fe-  » cundas cum Bianca fui Sxcu-  3, li Helena , Nicolai Triffini  », Vidua nuptias contraxit : «  volle dire , che Bianca, quan-  do fi fposò a Giovangior-    g 1 o foffe vedova di Niccoli  Trillino» prefe certamente uno  sbaglio , come lo prefe il Sigi  Apollolo Zeno nella Galleria,  e gli altri , che ciò affermano  apertamente. Imperciocché Bian-  ca non fu vedova , ma figliuola di  Niccolo Tuffino, come dalli fc-  guenti Alberi dal Sig.Co: Anco»  nioTriffino del Sig.Co:Piero, corr  umaniflìma gentilezza fommini-  llratici, evidentemente appare»    1. i. . i .   Birtolommeo Trillino. NICCOLO' Tullio©» Cafparc Trillino»  in in in   Chiara Mirtinengbi. Caterina Verlati» Cecilia Bevilacqua.   1 L 1   ALVISE BIANCA. CIOVANGIOR.GIOPoet.ec»   in in in   BIANCA di Niccoli 1. ALVISE di Battolar»- BIANCA di Niccoli  Trillino ; da cui la li- mio Trillino . Trillino , da cui li Nob»   nei del Nob- Sig.Co: a. GIOVANGIORGIO Nob. Sigg. Co. Co. Ci-  Piero. Tuffino Poeta ee. r® , e Nepoti Trillino •   Senza di che Paolo Beni ncljwe/rfe, figlio unico (cioè di Ma-  Trattato dell' Ori*. della Fa ! fchi ) ec. In oltre dalla Scrittu-  migl. Triff. lib. 2. Manofcritto, ! ra nuziali d’ effa Bianca , fe-  dove parla delle Donne illufiri | gnata addì 18. di Febbrajo....  della detea Famiglia, venendo | fatta col fuddetto Alvife Trif-  a Bianca, dice; Bianca peri fino, fi ha non pure che effo  la fuafingolare belletta merita-' fu il primo fuo marito, madie  mente chiamata l' Helena della j il valore della fua Dote fu di Du-  fua età, hebbe due mariti dell’ | cali tremillccinqucccnto , cioè  ifteffa famiglia: fu il primo . di lire Vi niziane 21700. ; Dote  Luigi figliodi SartoiomeoTrif-' affli Cofpicua 3 quc’tcmpi. EJ  fino , & di Chiara Martine ri ] anclie di q-uefta notizia ci con»  ga, a cui partorì 6. figli mafihi, fediamo debitori al predato Si-  ti' 2. fenmine : fu il fecondo gnor Conte Antonio Trillino.  Giovangiorgio, Poetaf (96) Alvif: Triflino fe te»  Gr Oratore, & hebbe Ciro-Cl>- \ ttamento del ijìi, , c poco di   poi    t    I      Digitized by Google    del Trissi.no. 4P   figliuol mafchio, appellato Ciro, ed una fem-  mina . Ora dopo qualche tempo nacquero dif-  fenfioni tra Bianca, e l’Arciprete Giulio, fi-  gliuolo della prima moglie d’effo Giovangior-  gio: delle quali principal cagione fi fu , che  amando ella teneramente, ficcome è naturai co-  ti , il fuo proprio figliuolo Ciro , s’ adoprò in  guifa , che il marito Umilmente facefle, e fee-  mando l’affezione fua verfo Giulio, lui più cor-  dialmente inchinalfe ad amare . Le quali cofe  diedero apprelfo motivo all* Arciprete di piatire  lungamente col padre, da cui prctefe* e in fine  poi confeguì non poca parte di fua facoltà.   In quello mezzo la Patria impiegollo in un  affare molto importante . Ciò fu fpedirlo fuo  Oratore (in uno con Aurelio dall’Acqua e Pie-  ro Valmarana, Gentiluomini Vicentini,) a Vene-  zia per contrapporre ad una troppo altiera ri-  chieda degli Uomini della Terra di Schio, Di-  llretto di Vicenza. Volevano coftoro non iftar  più foggetti al Gentiluomo Vicentino, che reg-  gevagli, e regge ancora con titolo di Vicario;  e però nel principio dell’anno 1534. ardirono di  chiedere al Senato Veneziano, che rimolfò quel-  lo, un fuo Nobile Patrizio defse loro a Retto-  re . Ma sì giulle furono le ragioni da’ Vicentini   G Ora-   poi fopravviffe; ficcome colla \o in quell’ anno, o l’anno ap-  iolita gentilezza mi fc certo il preffo Bianca fi farà a G iovan-  Sig. Co: Antonio Trillino fud- ciorcio rimaritata,  detto, fuo difendente; laonde    Digitized by Google    50 L A Vita   Oratori addotte in prò della Patria , che non  ottante che Baftian Veniero, gentiluomo Vene-  ziano, incontra nringifse, i Giudici conferma-  rono la giurifdizione della Città noftra, e con-  dannarono gli avverfarj a rimborfarla delle fpele  dovute fare pel detto motivo: loro davvantag-  gio vietando penalmente di più contravvenire a  tale deliberazione (57).   E per dire di altri onori , a cui fu egli dallaPa-  tria elevato, troviamo, che nel 1536. addì 27. di  Maggio era uno dei Deputati alle cofc utili della  Città (p 3 >; ficcome nel mefe fufleguente era  Confervatore dette Leggi ( 99 ) : e pochi anni  appretto, cioè nel 1541. (100), fu ricevuto nel  numero di que’ Nobili, che formar doveano il  Configlio centumvirale > detto anche Graviffìmo ,  dcll^ Città , allora allora riformato..   Morì in que’ tempi il celebre Poeta Giovanni  Rucettaii tanto amico delnoftroTiussiNoi il qua-  le fin dall’anno 1524. (nel qual tempo era Cartel-  lano di Caftel Sant’Angelo in Roma) avendo   com-    (97 ) Veggafi io Statuto no-| ( 9 8) Statuto noftro fuddet-   firo lib. 4. pag. 176. a tergo . to, Lib. Novm Partium , pag.  Noi ci fiamo ferviti dcli’cdizio- : 197. a tergo. Qui il Trissino  nc fattane l’anno 1567. con ! è schiantato Dottor , &£qnes.  quello titolo ^ Jhs À/nnicipale \ (99) "Statuto noftro, ivi »   l'iccntinum , cum sìddit ione Par- png. 19H. a tergo..  tium Jlluftrijfimi Dominii . Vt - 1 (loo)Statuto cc.. Ivi, pag.  nttiit , Motxvii. ad infiantiam I 185. c 186. a tergo, cdanchcqui  BartMomei Centrini. infoi. | il Trissjno è detto Cavaliere.    Digitized by Google    DEL T R 1 S S I N O'. 51   compiuto il belliflìmo luo Poema delle /#/>/, non  volle pubblicarlo infinoattantochè il Tassino  da Venczia> ove era Legato di Papa Clemente,  non foffe ritornato, perchè volea farglielo rive-  dere.. Ma non avendo' potuto ciò effettuare fo-  praggiunto dalla morte , al fratello Palla , nel  raccomandargli prima di morire tra gli altri Tuoi  componimenti il detto Poema, notificò tale Ilio  penfamento : onde quelli poi fauna 1 5 39. mandan-  dolo alla luce, al Tm ss ino lo intitolò (101).   Intanto effendo la fopraddetta feconda fua  moglie Bianca pallata di quella vita l’anno 1540..  C102), le liti già incominciate tra fe e’1. figliuol’   G 2. Giu.-    ( IO * ) La Dedicatoria di Pai- 1 Antonio Volpi , il quale poi lai  ta Rucellai al Tr issi no è . fece pubblicate in un col Poc-  fegnata *li Firtnzj addi li. di ma ftdlbdelle Api, ecollaC*/-  Gennajo 1539.5.6 in e(Ta affer- ] tivazione di Luigi Alamanni „  ma di efeguite in  Dirar ai templi di Ciprigna ,  e Marte   Le mie vittoriofe , e chiare  palme ,   ( l0 5 ) Cosìdiceegli nella De-  dicatoria del Poema fletto a  Carlo V.; ma in una Lettera  al Cardinal Madrucci , che ap-  pretto allegheremo, accenna d"  averne Cpcfi xxv.    Digitized by Google    L A. V I T A   glieli, per efsere anch’efso malato di quartana;-  accomandando con fua lettera al Cardinal Cri-  ftofano Madrucci, Vefcovo e Principe di Tren-  to, il Dottore medcfimoi e pregandolo, che ali'  Imperatore lo facefse introdurre-  Quelli sì fece; el dono fu fommamente gra-  dito alla Maellà Sua, che moftrò nello flefso-  tempo gran delìderio d’ averne: ancora il rcftan-  te.. La qual cofa da Giov angiorgio intefa,  ritornò prettamente a. Venezia, e gli. ultimi di-  ciotto libri, colla maggior, follecitudine: a perfe-  zionar fi diede; e poi fattigli ttampare l’anno^  1548., a quella volta pel figliuol Ciro gliel’in-  viò; elfo altresì al. lùddetto Cardinale raccoman--  dando con maggiore affetto-,, dicendogli, che per  la fua giovanezza egli più abbifognava di con-  liglio, e di ajuto (106): i quali libri da fua.   Maellà.    ( 106 ) Vegganfi le Lettere \ fiche fùe cTAnhi Venticinque*.  dall' Autor noltro fcritte a Sua ! che le avea dedicate c manda-  Macftà , e al predetto Cardina- te, grate le foffero Hate, e ac-  le in propoli to di ciò, inferite ! citte . foggiuogendo*. che nont  nella, già citata Prefazione del | a vendo ardi mento a chiedere co-  Sig. Marchefe Maffei alle Opere j fa alcuna , al perfetto giudici»  di lui a car.xxt. xxn.. xxit 1 . 1 della Maefià Sua, come fapien-'  c xxiv.; in una delle quali , I tiflìma , c liberali/fma che era,,  che è a car. xxwi. al Cardina* | fi rimetteva .  le indiri eca * fegnata di Venezia I Qui vuol novamente notar-  Giovcdì, addì x.. di Dicembre fi ,. che dalPcHferfi il Trissino  1548., dice , che dcfiderava ,! in quelle Lettere foferitto. Dal  che da Sua Maefià fojfe noti fi- ; Ve ilo d’OKo, chiaro» appare,  cato ai Móndo per qualche ma- ! non aver egli avuto da Carlo  nifeflo fegno , che le vigilie e fa- [ V. per la Dedicazione del det-  to    Digitized by Google    DEL T.RISSINO. 55   Maeftà furono ricevuti collo itefso .gradimento ,  che i primi.   Ma per pafsare ad altre cofe, fu il noftro  T r issino familiare eziandio del Pontefice Pao-  lo III., a cui nel .1541. efsendo per andare  (come in fatti vandò) ad abboccarli la fecon-  da volta con Carlo V. a Lucca, indirizzò «un  fuo Sonetto ( 107 ) : e altra volta certo vino  mandoglf ,3 donare ; del qual dono, e deH’efser-  fi ricordato di fe , il Papa Io fece ringraziare  pel Cardinale Rannuccio Farnefe (108), grande  amico del Trissino (iop).   Nel tempo, che il noftro Autore era lontano  dalla Patria, ed infaccendato nel mandar a lu-  ce i proprj componimenti, l'Arciprete Giulio,  che pure continuava la fiera lite contro a lui -,  •tutte le fue rendite fece ftaggire: il perchè in   fran-    to Poema la conceflfìonc di co-  si denominarli , comcpare, che  voIeOTc il P. Rugeri nella citata '  Declamazione; ma fc pur da lui !  l’cbbe, come dicefi anche nell’  Elogio dianzi mentovato, che  in San Lorenzo di Vicenza fi  legge, certamente molto rem»,  po avanti la ebbe, cioè quan-  do in Bologna alla Coronazio-  ne dell' Imperatore medcfimo fi  trovò prefente.   (107) Quello Sonetto, che  incomincia:   Padre , fot to' l citi Scettro al-  to rifofa, cc.    | e che non è tra le fue Rime  dcllà prima edizione , eflcndo  j Hate molto tempo avanti ftam-  pare^ fi legge nella Raccolta  dell' Atanagi , par. pr. a car 89,  a icrgo \ e nella edizione di Ve-  ronaTom.i.a car. 377.   (108) La Lettera di quello  Prelato al T rissino (cricca  d’ordine del Papa, c in data  di Roma a dì jy. di Febbraio  ,548.   (109) Nella citata Raccolta  dell’ Atanagi a car. 90. fi vede  un Sonetto del T r i s s i n o al  predetto Cardinale indirizzato.    Digitized by Google    5 r> L a V i t a   granditfima ira montato egli, fe tc-ftamento, e in  tutto e per tutto Giulio difereditando , Ciro inftitui  erede d’ ogni Tuo avere; aggiungendo, che moren-  do quelli fenza dipendenza, gli fuccedelfero nell’  eredità del Palazzo di Cricoli i Dogi di Vene-  zia, e nel rimanente de’fuoi beni i Procuratori  di San Marco con ugual porzione . Dichiarò  CommelTarj del detto Tellamento il Cardinal  Niccolò Ridolfi , allora Vefcovo di Vicenza ,  Marcantonio da Mula, e Girolamo Molino; or-  dinando, che appreffo la morte di fe, folle il  fuo corpo feppellito fui campo di Santa Maria  .degli Angeli di Murano in un avello di pietra  ijiriana: la quale volontà mutò dappoi in un co-  dicillo, ordinando invece, che volea cfsere fe-  polto nella Chicfa di San Baftiano di Comedo *  territorio di Vicenza, ce» ornamento di rofe , e  lidia fepoltura 'vi fofsc polla quella fempliee  breve iscrizione; £uì giace ciò : G io AG io t ris-  sino . (iio)   Pur finalmente anche quello piato ebbe; fine   ma Giovangiorgio fuori di tutto il fuo penfie-   ro n’ebbe la fentenza incontro, e dal figlio fi vide   fpo-    (llo) Si può credere fonda- \Janiculo, 1548. in 8., introdu-  t. -urente, che per aver egli do- ì cede il perfonaggio nominato  vuto (offerire tante c si fiere ; Sìmitlimo Rabbatti a così fda-  liù , avvifatamentc nella fualmare contra gli Avvocati ; c  Commedia de' Simulimi* contro a ogni forte di Im-   para in Venezia , per T olmmeo j gio .   O rra-    Digitized by Googl    DEL TRlSSI.NO. 57   fpogliato d’una gran parte de' propri beni. Del-  la qual cofa sì fi crucciò} e difpettò che rifol-  vette di abbandonare affatto la Patria* e lafciati  prima fcritti due molto rifentiti componimenti  in fegno di fua indignazione (ni) , andofsenc   H dirit-    O maledette fian tutte le liti »   JT uni i garbugli , e tutti gli  Avvocati ,   Nati a ruina de f umane  Senti,   . Che fi nutrifeon degli altrui  dif canài   * Difendendo i ribaldi con  gran cura'.   Et opprimendo i buoni ; che  i feelefii   • Gli fon più cari , e di mag-  gior guadagno:   Nè cofa alcuna è federata  tanto ,   *Che non ardifean ricoprirla ,  e farla   Rimanere impunita da le  Leggi ,   Di cui fono la pefie , e la  ruina .   Sono rapaci , e fraudolenti , e  pieni   ~D' in fidie , di perjuri , e di  bugie ,   S end alcuna vergogna , e fen-  z.a fede ,   Servi de l'avarizia , e del  denaro .   Mentre che fiato fon f, opra  7 Palaz.zo   Quafi tutt' oggi in una lite  lunga   D' un mio Parente , l' Avvo-    cato awerfo  : Tanto ha ciarlato tc.   Da quelle ultime parole fi  può dedurre , aver egli in ciò  avuta la mira alle proprie liti.   (ni) I Componimenti die  c fece avanti la fua ultima par-  tenza dalla Patria, fono primie-  ramente il feguente Epigramma  latino , che fi legge eziandio  llampatO' negli Elogi di Monlìg.  Tommafini pag. j 6., ed anche  tra le OpcTe del noftro Auto-  re della riftampa di Verona Tom.  1 . in fine.   „ Quatramus terras alio fub   1 , cardine Mundi,  f Quando mihieripitur frau-  de paterna T)omus.   „ Et fovet hanc fraudem Ve-  netum fententia dura ,   ,, Qux Nati in patrem com-  probat infidias:   >» Qux Natum voluit confe-  &um xtate Parcntem,   „ Acque xgrum antiquis pel-  lcre limitibus.   „ CharaDomus, valea*, dulcef-  „ que valete Pcnates,   „ Nam rnifer ignotos cogor  adire Larcs.   Indi un Sonetto, che fu in-  ferito nella Biblioteca Potante  del Cinclli, Scansìa xxn. ag-  giun-    Digitized by Google    58 L A V I T A   dirittamente all’Imperator Carlo V. , al quale  cariflìmo era* da cui apprefso licenziatofi , da  Trento, fenza purpafsare per Vicenza, fe n’andò  a Mantova r e quindi da capo, tuttoché vecchio  fofse, e molto gottofo , fi ritorno a Roma, do-  ve era Rato tanto onorato, ed amato ( 112 ).  Ma poco quivi fopravvifse, concioflìachè l’an-  no 1550. tra per lo cruccio, e per la vecchiez-  za, pafsò di quella vita in età di fettantadue  anni (113). Non fi fa veramente ove fia di   prefen-    giunta da Gilafco Eut elide» fc,  Pafiore àrcade , ( cioè dal P.Ma-  nano Rude Carmelitano cc. In  Roveredo frego Pierantonio Per-  no , 1736. in 8.: a car. 82. e 83.  il qual Sonetto fu comunicato  all' autore di quella S con zia dal !  Cavaliere Micbelagnolo Zorzi , |  di cuifeperciòa car. 8+. lodevol  menzione,   E' notabile l’errore cotnmef-  fo da Luigi Groto , fopranno-  minato Cieco d’sldria, in pro-  poli to di quello Sonetto nelle  tue Lettere familiari. In Vene-  zia , preffo Gioì sintonia Giulia-  ni , 1616. in8.a car. 124.; per-  che quivi parlando del Tr is-  si no lo chiama Brlsci ano, e  Padre deir Jtalia Illustrata.   (na) In alcune manoferitte  memorie intorno al noltro Au-  tore, comunicateci cortefcrr.cn-  te dalla gentilezza del lodato  Sig. Apoftolo Zeno , dopo 1 '  Epigramma e Sonetto fuddetti ,    ili legge come fcguc. M. Zan-  ! zorzi fece ciò per una lite, che  \ veniva tra ejjo , & P Arciprete  | M. Giulio fuo figliuolo di la Ca -  \fa di licenza , ove dillo M.  Zanzorzi hebbe una fententia  centra in Quarantia , & con  queftà opinione andò a P Impera-  tore, e ritornato in Trento fen-  za venir di qua per la via di  Mantova, Ticchio , pien di got-  ta Il rimanente non s’   intende per edere rofo il foglio.   ( 1 1 3 ) Che il Trissino  moridc l’anno 15 jo. conila non  folamente dal concorde confcn-  fo degli Scrittori, ma da una  Lettera di Giulio Savorgnano ,  fcritta a Marco Tiene, gentil-  uomo Vicentino , fegnata di  Belgrado addì 29. di Dicembre  1150.: della notizia della qua-  le al già mentovato Signor Aba-  te Don Bartolommco Zigiotti  ci confefflamo unicamente de-  bitori.    Digitized by Googli     del TRissino. 59   preferite il fuo monimento } ma Autóri parecchi  hanno fcritto, eflergli ftata data fepoltura in Ro-  ma medcfimo nella Chicfa di Sant’Agata entro lo  ftefso Depofito, in cui era ftato fepolto molto  tempo innanzi il famofo gramatico Giovanni  Lafcari (114); e Jacopo- Augufto Tuano nelle  lue Morie) facendo di Giovangior.gio molto  onorata menzione) accenna) che gli fofse ftata  anche fatta una lapida» poiché dicc 5 che efsen-   H. 2 do    ^114) Tra gli altri Scritto - 1 della Città coltra, di cui il P,  ri , che addurre li potrebbono, Rugcri avea fatta menzione  avvi Paolo Beni , che nel T rat- nella detta fua Opera a car. xxvr.  tato àell'OrigMlla P amigl.Triff. | dice come fegue . ,, Quoniam    lib. 2. manoferitto, a car. 34.  cosi dice : Partitofi ( il noftro  Autore) nell' A. 72. della fua  et 4 per di f gufi 0 dalia Patria-, il  che egli efpreffe con alcuni verfi  latini & volgari ( cioè l’ Epi-  gramma, c*l Sonetto predetti)  li quali ferini a penna nella li-  breria Ambroftana di Alitano  con altre molte fue compojìtioni  non ancora fiampate fi conferva .  no , andò in Germania a ritro-  vare l' Imp. Carlo r., & ritor-  nato in Italia per la via di  Trento , e Mantova pafsb a Ro-  ma , ove morì , & fu il fuo Ca-  davere poflo in Depofito nella fe-  poltura del Lafcari.   E Olindro Trillino in fine  della DeclamazJone latina del  P. Rugeti, citata di fopra, da  elfo fatta (lampare, traferi ven-  do il già mentovato epitaffio,  che fi legge in San Lorenzo    „ meminit Au&or Epitaphii ,  „ Cenotaphio loann. Georg.  •„ Trifiini Vice ti* infculpto  „ (Relliquum cnim tanti Vi-  ,, ri, quod Claudi poterat, Ro-  ,, M.C in Tempio S. Agatb* in  „ Suburra Conditu.m Fuit) il-  lud hic &c.“ E finalmente an-  che lo Beffo Rugeri nel citato  luogo afferma , che Eius offa-,  ( di G 1 o V A N G IORG I o ) ,  Roma cum Jo. Lafcari cineribut  affervantur . Comunque lia di  ciò, fatto fta che al prefentc in  S. Agata di Roma tuttoché fuf-  fiffa il fepolcro del Lafcari , non  fuffifte più veruna memoria del  Tr issino; come ci fe certi  il P. Girolamo Lombardi della  Compagnia di Gesù con fua  lettera fcrittaci da Roma addi  11. di Novembre di queft’ an-  no 17} 2.    Digitized by Google    tfo La Vi t a   do diroccato il monimento nella reftaura2ione‘  del Tempio (non ifpecifica quale^, ove era Ila*-  to feppellito, gli eredi Tuoi un altro gliene pofe-  ro in San Lorenzo di Vicenza nell’avello de’  fuoi Antenati ( 1 1 5 ) -   In fatti in San Lorenzo fi vede l’infrafcntto e-  pitafio, opiuttofto elògio, tante volte in queft3  VitA citato, da Pompeo Trillino , e da’ fuoi affini'  fatto ivi fcolpire , non veramente fa 1’ avello'  degli antenati fuoi , come erroneamente ha la-  rdato fcritto ilTuano, ma allato all’altare dr  detto Santo , a perpetua decorofà memoria di;  un sì grande uomo.-    IOAN-    ( 1 1 J ) lllujhis Viri J m obi Au~  Xufii T hunni Hiftoritrum fui tem.  pori s Ab Anno Domini i J43. nfque  Ad annum 1607. libricxxxvt 1 I.  Gcnev* apud Heredet Pctri de  U Roviere 1616. in fol. Tom.  I. lib. vi. pag. 100. Ann. 1550.  Lite. D. „ Obli c & hoc anno  « I. Georgius Triflinus peran-  » tiqua, nobiliquc Vicetise fa.  » milia, ad virtuccm, Se lite-    „ ra* natus , linguarum periti f-  j> fimus» Se omni Scienciarum   ,, genere exercitatiffimus   »> Roma laboriofz virar finem  „ impofuic anno xtaris lxxii.  >» Diruto Monumento» dum  „ Templum inftauratur , in quo  „ conditus fuerac , Hacrcdes al iud  i» ei ad S. Laurentii in Majo-  „ rum Scpulchro Vicctia pò-  » fuerunt.    Digilized by Googli    61   IO' ANNI GEORGIO TRISSINO   Putriti o Vicent.   tAtn nobilitate , quarti dottrina , (fi integt itato  Leoni Decimo , & Clementi VII. p 0 „t. Max.  necnon Alaximil. (fi Car. V. Impp. aliifique  Pfincipibus acceptijfimo , Legationibus prò  Cbrifiiana Repub. temporibus difficillimit  fattici cum oxitu apud eofdem  per alì is :   Dacia inde Regi desinato . Jn Coronai ione  Caroli Imperatorie ad Sacra Palla  Pontificia nitentis ferendi Syrmatis  Munus , infignioribus Principibus  ad hoc ipfum afpirantibut  pofi habitis , Bononia  eletto .   Aurei Ve Iter ij Infignibus » (fi Comitis dignitate prò fi »   & Pofieris ab eifdem Imperatori b. decorato.   Apud Ser. Remp. Venetam fapixs Legati  nomine de Clodianis Satin ù , de Ve.  rona refi itut ione ( 116 ), De Pace ,   Deq\ aliis negotiis gravibus re  ad votum tran fatta.   Sublimiori gradu Sobelis ergo r confato. Operibut plurimi e  cum antiquitate ceri antibus elucubrati s. Rebus finis*   & Pofieris eidem Inclyta Reipublìca Ven.  ex tefi amento commendatis .   Vitaq; religiofijfimì funtto Anno Aitai is   Sua LXXII. Virgìnei vero  Partus A4. D. L.   P ompejus Cyri Comitis , & Eq. fil. unicus  Superfies, Nepes, (fi Hares , AJfinefq;   T anti Antecefioris Memores  pii, gratiq; animi A4. P.P.   An. Salu. A4. DC. XV.   Non   (116) Di ciò non facemmo [nc abbiamo trovate tipruovc più  fpecial menzione, perchè nonjficure.    Digìtized by Google    61 L A V I T A   Non dee tralafciarfi di qui trafcrivere altresì  l’ Oda latina da Giufeppe Maria Ciria fatta in lau-  de del noftro Trissino ( 117) -   j) FAma centenis animata linguis  » Aureo pergat refonare cornu  3> Trissini Busto fuper 5 & jaccntés  33 Excitet umbras.   33 Fas ubi trilli gemuere lu e Lamino Perugino nel MDXXjy   in 4.   . e C^enza luogo > anno> e ftampatore ) in  in 8. (120).   e (Cón la SofonUba , i Ritratti , e l'Orazione al  Principe Oritti ) In renezJat per Girolamo Penzio da Le.  che, MDXXX. in 8.   C Venezia per Agoftino Sindoni MDXLIX. in 8   e finalmente in rerona coll’ altre Tue Opere   ( 1*1 )•   li. EPISTOLA de le Lettere nuovamente aggiunte ne la   1 2 > Lin-    (120) Nel Catalogo della Li -  oreria Capponi, 0 Jta de' Libri  del fa Afarchcfe Alejf andrò (ire.  gor io Capponi, Patrizio Roma-\  no ec. C on Annotazioni in di- j  verfi luoghi cc.. .. i n R oma ap-  preso il Bernabb, e Lazza. :  rmi 1747. in 4. a car. 377 .|  vedcfi regillrata tale edizione;)  ma farà forfè quella fleila, che  fic fu fatta unitamente co’ Ri- !  tratti, e colla Sofonisba , cd al- ‘  tro, da noi per altro non ve-|  duta, che ha quelle note in fi-|    j ne P. Alex. Benacenses F. Be-  na. V. V.; fecondo che dice il  j Cavaliere Zorzi nel Ragguaglio  ! JJlor. della rita del T r 1 s s 1 n o  manoferitto, in fine> cd anche  nel Difcorfo fopra le Opere di  lui , llampato nel tomo 5. della  Rac colta A'Opufcoli ec. in Venezia  apprcjfo Crijtoforo Zane, i 7 jo.  in la. car. jp8. Di quella Rac-  colta ne è benemerito Autore il  celebre P. D. Angelo Calogerà.   ( 121) Tom. a. a car. 2 7 p.    . Digitized by Googlc    -.  rugino nel MDXXIIII. di Ottobre, in 4.   e m Venezia ( Tenz’ anno , e ftampatorc  ( 13*)) in 8.   e ( COn la Sofonisba , l'Epiflola de la Vita ec. ,   ed al-    (*27) Tom. 3. a car. 993.   ( ia8 ) Tom. 2. a car. 201.   { 12 9) Il Fontanini nel regi-  ftrare nella tua Eloqu. hai. a car.  * 75 - la fudJetta edizione, prete  uno fbaglio, notando Venezia  in vece di Vicenza.   (130) Tom. 2. a car. 243.  ( l ì*J Nella Prefazione alle    I Opere del rioftró Autore a car.  xxx.   ( 1 3 2 ) Si legga il Difcorfo del  I Cavaliere Zqizì {opra C Opere  j del noftro Autore a car. 440.  Nel Catalogo della Libreria Cap-  [poni, a car. 377. Ih regiftrata  [un’edizione di qucft’Opcra in  j 8. lenza nota di ftampa, ma  quella    Digitized by Google    70 L A V l T A   ed altro ) In Venezia per Girolamo Pernio da Ischi   mdxxx. in 8.   e V* net. per Ago/lino Bindoni MDXLIX. in 8.   e finalmente in Verona colle altre Tue Ope-  re (133).   Il T rissino fcrifle quell:’ Opera a mòdo di  Dialogo , e in ella lodò parecchie Donne rag-  guardevoli del fuo tempo i facendo tra le altre  menzione )come fopra è già detto) di Bianca  fua feconda moglie, chiamandola beiuffima giovinetta .  Vi. Il Castellano, Dialogo , nei quale jì trae.   ta de la lingua Italiana . In Vicenza ( fenza nome dello  ftampatorc, nè anno della ftampaj ma ter Tolomeo  Janiculo IJ29. ) in foglio.   e ( colla Volgar Eloquenza di Dante) in Ferrara   per Domenico Alammarelli M D L XX X 1 1 K in 8.   Fu riita mpato anche tra gli Autori del ben parlare  (134), e in Verona coll’altre fue Opere (135).   II TrissiNO mandò quello fuo Dialogo a lo ili ufi re  Signor Cefare Trivulzio , fottO il nome di Arrigo Dori a ;   e iperfonaggi, che v’introdulfe a favellare, fono  Giovanni Ruceiiai col nome di Ca/iciiano, il quale di-  fende l’Autore da quanto gli fu fcritto contro  circa le nuove lettere } Filippo Strozzi , che lo Cdlfura,   e gli    quella forfè farà, che abbiamo] (133) Tom. 1. a car. 267.   accennata al di fopra nell’anno- . ( 134) Tom. r. a car. 41.   (azione 120. I (133) Tom. 2. a car. 2 19.    Digitized by Google     71    DEL T R I S S I N O.   .c gii oppone le parole medcfime de’fuoi avver-  sari ; e Jacopo sannazx.aro y che difende le ragioni  del Trissino.   VII. Della Poetica; Divisone i. n. m.*iv,   Jfu riceva perT olomeo Janiculo da Bretfa MDXXIX. di Aprile.   in foglio .   Monfignor Fontanini regiftrò nell’ Eloquenza ita.  liana ( 136 ) quelle quattro prime Divijìoni in tal   guifa : Dalla Poetica di Gìangiorgio Trijfmo , Divijìoni iy.   in Vicenda per Tolommeo Janicolo 1563. in foglio: ma flc-   come noi non abbiami vedute altre edizioni ,  che la fuddetta del 152 p. , e quella di Verona  ( «37 ); e di altre non facendo menzione nè  il Fontanini medefimo, nè l’Autore del Caia -   lego della Libreria Capponi , nè ’1 Cavaliere Zorzi in   nefliina delle due fue Opere intorno al Traino,  (138), nè finalmente chi compilò la Biblioteca  italiana (i 39); così crediamo agevolmente , che  egli in ciò fi fia ingannato . Lo Hello diciamo  parimente della feguente impresone delle altre  due Divijìoni , da lui notata i 140) fotto il   1564.    (136) A car. 354. j 1718. in 4. a'car. 191. num. 16,   ( 1 37 ) Coll’ altre fue Opere, e 17. e nell’Indice: Il Com-  Tom. a. a car. 1- ! pilatore di quella Biblioteca fu   (138) Cioè nel Difcorfo /o-jNiccoIa Franccfco Haym Ro-  pra le Opere di lui, e nella Vita mano.   del medefimo manuferitta. ! ( 140) Neil’ Eloqnjtal. a car,   { li9)Biblioteca Italiana cc. In 354.   Venezia prejfo Angelo Geremia . |    Digitized by Google    7 2- La Vita   , 5 che pure non farebbe il folo errore conv  meflfo dal Fontanini in quella fua Opera.   Vili. Della POETICA; V. e VI. Divifione . In Ve . -  per Andrea. Arrivatene , MDLXIII. in 4.   Sono fiate tutte ultimamente riftampate ì* a?»»*  coll’ altre fue Opere ( 141 ).   Quelle ultime due Divìfioni furono dedicate dall*  Autore ad Antonio Perepoto Vefcovo di Aras ?  con dirgli > non aver loro data 1' ultima mano   per effere fiato in quel tempo grandemente occupato nella teffi.-  tura del fuo Poema dell’ Itali * Liberata da Goti ,  Nelle prime quattro Divìfioni tratta egli de’ Ver-  fi , delle Rime , e delle varie maniere de’ Li-  rici Componimenti volgari : e dice in princi-  pio » che fé bene da molti Poeti tra fiato pot tic amen*  te Jcrittoy e con arte , pure nefiùno fin al fuo tempo  avea deir^r/ a voffra Reve-   ( 147 ) Furono più volte flant-j rtndìffìm a Paternità molto , &  pata. V. fopra car.31. annor 55. | molto mi raccomando.  ove s’c favellato di quefta Ora- i Da Cric oli-, di luni, cin-  cone . V‘t di Marza del mille cinque -   ( 148) Tom. 2. a car. 28?. cento trenta/ette, il tutto di  (149.) In fine di quefta Let- \ Fopra RevcrenditfmaTatermta.  tcra fa il Tris sino menzio - 1 Giovanceougio Trissino.  ile fuccinta eziandio di certi al - 1 Quefta lettera non (apremmo  tri Villaggi del Territorio di perchè non fi a (lata inferita nel-  Viectiza ; c poi termina con | la edizione di Verona ,  quefte parole: A 1 on faro più I ( 15° ) ^ P inrgia appreffo   lungo , perciocché effondo Monf,-\ Pietro dei Nicolini da Sabbio  gnore Brevio noftre lo apporta- \ mdm. in 4 * * Car> 3 ^ 1, a tcr S 0,  tare di quefta, egli fupplirà a I (iji) Ivi» ed anche a car.  bocca a quello , che io bavero [383. in fine.    Digitized by Google    DEL T RISSINO. 75   XI. GRAMMATICES introduci ionie Libcr Primus .  Verona afkd jintonium Putellettum MDXL. in 8.   Fu rijtempato quello Trattatello in Verona uni-  tamente coll’altre fue Opere ( 152.) dove fi pre-  mette un breve avvilo al Lettore , dicendo in  eflb, che la detta Operetta forfè è quella, che fittone.   me di Grammatica fi cip* da quelli , C hanno fatto U Catalogo  dell'onere del *oJItq T*is«no, e forfè ancora nella prima edi.  itone fi è dallo Stampatore coti nominata > Libro Primo 5 per  rifletto 4' altro giceiolo Libretto » che contiene le inflituzioni  della Grammatica del celebre Guari» Veronefi , e che figuitando-  gli immediatamente , fui far le veci di Secondo diquejfa materia .   Non fi fa in fatti che il Tri ss ino altri ne fa-  cefle i e certamente altri non ne avrà compofti ,  concioffiacofachè nulla manchi alla perfezione  dell’Operetta medefima* in cui egli attenendoli  alla Italiana Grammatùhetta, tratta compiutamente  delle otto parti dell’ Orazione .    K i OPE-    1 — . . . „   (iji) Tota. i.acar.197.    Digitized by Google    7 «   OPERE   i   DEL TRIS SI NO   >. In Verlì Stampate.   XII. T A SOFONflSB A. ( in fine } Jfampata in   I v Rama per Lodovico Scrittore , & Lautitio Pe-  rugino intagliatore nel MDXXllU- del Me fé di Luglio con  p rohibitione , che nefsuno poffa Jfampare queft opera per anni die-  ce t - come appare nel Brieve concedo al prefato Lodovico dal San .  tifiimo Noflro Signore Papa Clemente VII. per tutte le Opere  nuove che 'Iftampa. in 8.   Laltefià. Jn Vicenzjt per T olomeoj articolo MDXXIX.   in 4.   e In Venezia ( con li Aitratti I* Epiftola a   Margherita Pia Sanlevenna y f Orazione ai Doge   Gritdj e la Canzone a Clemente VII.) per Girolamo  Pernio da Lecbo MDXXX. in 8»   e ivi ( lenza la Canzone ) per Agoflino Bìndoni   MDXLIX. in 8.   Ivi ancora (reparatamente) prejfo u Gioliti   mdliii. in 12.   c Ivi per Francefco Lerenzini MDLX, in 8#   * e Ivi P” u Gioliti ( tratta dal fuo primo   efemplare) mdlxii. in n.   - *' £ Jn Gntovrfapprtffo Antonio Bellone MDLXXII. in  * e Venezia per Ginfeppe Guglielmo MDLXXVl-   in 12,   >s T UO-    Digitized by Google    DEL TASSINO. 77   * Nuovamente ** Venezia prejfo Altobello Salica-   io MDLXXXI. in 12.   Poi In Vicenza prejfo Perin Librar o t e Giorgio Greco   compagni MDLXXXV. in 12.   e in V me zia prejjo li Gioliti mdlxxxv. e mdlxxvi-   in n.   e Ivi per Domenico Cavale «lupo MDLXXXV. ili 8.   e Ivi preffo Michel Bocobello MDLXXXXV. in 12.   " Poi ancora inVicenzA appreffo il Brefcia MDCIX-   in i2.   e in V inezia per Gherardo Jmbcrti M D C X X.   in 12 .   Fu riftampara eziandio unitamente con   la Dpijtola de la Vita ec. (con li Ritratti , e X Orazione   al Doge Gritti) fenza nota di ftampa, con cer-  te note in fine, in 8. (15?)   Finalmente fu impreffà tre volte , in re.  rena prej/b Jacopo raiUrji, F una nel 1728. nel primo  tomo del 7 Wr» italiano (154), l’altra nel 1729,  colle altre Opere del noftro Autore, (155 ), e   la ter-    (153) V. fopra annotazione  l2c. a car. 67.   ( >54 J Di quell’ Opera ne dob-  biamo laper gradoni Signor Mar-  chefe Maffei, il quale v' ha pre-  mevo ancora una dotta Prefa-  zione , da noi altrove accenna-  ta, in cui difeorre molto eru-  ditamente della Sofonisba, che  occupa il primo luogo. Quell’  Opera è cosi intitolata t Tea-\    tro Italiano , o Jìa Scelta di Tra-  j gedie per ufo della frena ; ec. i  in reron a prefso Jacopo Vallar fi  171S. in 8.   { 155) Tom. 1. a car. 297.   Tralafciando di riferire le vcr-  fiotti fatte di quello Tragico  Componimento in altre lingue,  fedamente vuol di rii , efTere cf-  fo fiato tradotto in metro Jam-  bico latino da Giulèppe Trilli-  no    Digitized by Googl    1    7$ b A Vita   la terza nel prima toma del fuddetto Teatro ita-  liano ultimamente rillampato-  Qui dovremmo ftenderci a defcrivere a minu-  nuto le bellezze di quella Tragedia, aia per non  dilungarci troppo, ci riftringeremo (blamente a  riferire ( come di fopra prometto abbiamo ) le  oppenioni di parecchi illuflri e chiari Scrittori  fopra la fletta , £ primieramente Niccolò Rotti,  tanta ftima ne fece* che non pure ditte ( 1 5 .  che ella tra tutte le Tragedie de’ Tuoi tempi te-  neva il primo luogo? ma la fcelfe di più per  materia de’ Tuoi Dimorfi intorno alia t rogo dia. Angelo  Ingegneri? Veneziano, laido lcricto (157), non   efler troppo agtvol cofa P arrivar P Arìoflo nella Commedia ,  atrissimo nella Tragedia r del qual fentimentO fu  pure Giovambatilla Giraldi da Ferrara , per al-  tro rigido appuntatore del Trissino, dicendo  ( 158 ), che tra’ noftri Comici è recito p Ariofio   eccellentijfmo , & il TrHsino nelle Tragedie ha riportato,  & ragionevolmente grandijfmo honort . Benedetto Varchi  poi, uomo di molta erudizione fornito, non  dubitò di dire nelle fue Leudoni > là dove trattò   dei    no, Cherico Regolare Soma- 1 meffaa* fuoi Difeorfi intorno alla  (cor la qual traduzione fta ma- j Tragedia . V.’car. 1j.aonot.44.  nufcritta nella Libreria de' P. P. I (157) Della Poefia Rappre-  Somafchi di Vicenza con que- 1 fentativa , & del modo di rap -  fta femplice ifcrizione: Sopho- I prefentarr le Favole Sceniche cc.  NUB/t Tragedia metrico-latina 1 In Ferrara per littorio Baldini  Paraphra/ìt . IJ98. in 4. a car. a.   (156) Lettera a’ Lettori pre -1 ( 1 j8 ) Ne' fuoi Difeorfi in-  torno    Digitized by Google    DEL TRISSINO. 79  dei Traici Tofani (159), edere ftato il noftro  CjIOVANGIORGIO il P R 1 AIO » che fcrivejfe Tragedie in  queJU lingua degne del nome loro. E flOIl pure il Vàrchi  gli diede quella lode* ma eziandio il fopraddet-  toGiraldi, il quale nel fine della Tua Orbecche in-  troducendo la Tragedia a favellare a chi legge,  le fece dire cosi:   £’l Tr ISSINO gtWtH , che col fno canto  Prima d Ognhn dd Tebro , e dall UH f so  Già trajje la Tragedia all’ end e et Arno .   E a tralafciar altri autori , non fu minore la  ftimaj che d’efia fe il Signor Marchefe Maffei ,  il quale nella fua raccolta di tragedie date a lu-  ce Col titolo di Teatro Italiano , dando all 1 Sofonisba   nel primo tomo il primo luogo, dille ( 160 ) ,  che ella il primo luogo altresì occupa fra tutte  quelle Tragedie, che dopo il rinafeere delle bell' arti in mo-  derne lingue apparsero ( 161 ); foggiungendo cfler mira.   HI    terno al comporre dei Romanzi,] (160) Nel principio della  delle Commedie , e delle Trage-i Prefazione, o Difcorfo, che vi  dte , cc. in Vinezia appejfo Ga - premette .  briei Giolito de' Ferrari , &\ ( 161 ) Avverte qui dottameli.   Fratelli , 1554. in 4 . acar.14jr.Jtc il Signor Matchefe, che ben-  ( l 5 9 ) Legioni di A 4 . Bene- j che vero fia, clic avanti la So-  detto Varchi Fiorentino lette da' fonisba il nome di Tragedia in  lui pubicamente nell' Ac ademia J Italia fia ftato a’ componimenti  Fiorentina, ec. in Fiorenza per | volgari impofto , poiché, die’  Filippo Giunti 1590. in 4. a car.J-egli, con queji' ijtejjo belliffmo  681 • , argomento una Tragedia abbia-   ' mo ,    Digitized by Google    83 L A V I T A   è il ctfa, come la [rim a Tragedia riufcifle cui eccellente: C po-   CO apprell'o a fieri , che chiunque no n abbia » come in  molti accade , il gufo del tutto guafto da certe Romanzate ftra-  mere, non [otrà certamente non fentir/ì maravigliosamente com.  muovere dalle belle vue di queftaTragedia, e da' p a fi tenerijfimi,   c Singolari , che in ejfa fono. E finalmente in un altro  luogo ( 162 . ) lafciò fcrittOj'che vera e regolata Tra-  gtdia in quefla , o in altra volgar lingua non fi vide avanti la  Sofonisba del T R i s s i N o » a cui il bell' onore non dee invi -  diarfi d'aver innalzate le nofir.e /cene fino a emulare i fiamofi  efemplari de' Greci*   Ma degno di (ingoiar lode 5 e d’eterna memo-  ria fi rendette il noftro Giovangiorgio per  aver ufata in quefta Tragedia una nuova ma-  niera di verfi, e da veruno non prima ufata,  dico i verfi fciolti , cioè non legati dalla rima*,  di che e il Giraldi  e per la  condotta tanto fi allontanano  dal regolato ufo del Teatro , e  dalla furia degli antichi Mae-  flri , che non hanno fatto confc-  guir luogo agli slutori loro fra ^  Poeti Tragici; onde la gloriaci'  aver data al Mondo la Prima    ! Tragedia , dopo il riforgiment»   1 delle lettere , e delle bell' arti,  è rimafia al T r 1 s s 1 n o .  i (162) A car. iv. della fud*  j detta Prefazione , o Difcorfo  p.renjeflfo al detto T entro Italia *  no .   I ( 1 63) Difccrfi cc. a car. 23 6.   ! Di f par crebbe non altrimenti ap*   1 preffo noi una Tragedia fe di ver-  1 fifo tutti rotti , 0 mefcolati cogl’  ! intieri , o co gl' intieri foli c'h.u  j veffero le rime, fifle tutta compì-  fi a , che havtrebbe fatto appreflo i  Greci , & i Latini , fefujfeft at a  1 ccm .    Digitized-by Google    del T Ri s s i n o; . ‘ Si  Ivlaffei (154) afsai lodatilo, e dicono, che per-  ciò gli debbe fentir molto grado la noftra lin-  gua. Ben’è vero, che vi fu (16 5 ) chi a Luigi  Alatnanui., famofiilimo Poeta Fiorentino , attribuì  la gloria d’aver prima d’ognuno pofto in ufo co-  .tal Torta di verfii e ciò perchè egli -nella Dedi-  catoria delle lue opere To/cane dille d aver mejfi in   ufo i .ver fi fenza le rime non ufati ancor mai da' noftri migliori.   ,Ma come notò molto giudiciofamente l’eruditif-  fimo Signor , Conte Giovammaria Maz 2 uchelli  [166) , o che l' Alamanni contezza non ebbe  della Tragedia del Trissinoj e però fi pensò d‘  efsere il primo a fcrivere in detti verfi , o che  accennar volle colla voce migliori qué’foli anti-  chi fcrittorij .che fon venerati per primi Maeftri   L della    é   compofia di Dimetri , di Adonii,\ Fiorenti* 15S 9. in 4. a car. 7.  di Jindec afill ahi , ovtro di éjfa- come pure il Bocchi nc’ fuoi E Io-  metri, perchè le fi leverebbe con' gj a car. 68., ed altri allegati  la gravità il verifimile ; le qua- \ dal Sig. Co.'Giovammaria Maz-  li due cof* levatele , firimarreb-\ne ucheìli nella Pira dell’Ala-  re ella fenz.a pregio. Et però manni per etto dottamente ferie—  debbono aver molto grazia gli' ta , e (lampara • in Verona per  huomini della nqfira lingua al ! Pierantonio Berno , 174 j. in 4.  T R 1 s s ino , eh' egli quefli ver- j unitamente colla Coltivaz.icne  Ji fcielti lor dejje, ne' quali la j dello ftcflfo Alamanni, c colle  Tragedia pigliale la fede della \ Api di Giovanni Rucellai ,  fu* Maefià con vera fembianzut amendue gentiluomini Fioren-  atl parlar communi* I tini .   (164) Nella Prefazione al j (166) A car. 47. della pcc’  Teatro italiano. I anzi citata Tita di Luigi Ala-   ( 1 65 ) Il Poccianti nel Cata-j manni.  logo Scriptcr, Florentitiorum , I    Digitized by Google     Sz L A V I T A   della Poefia. Fatto fta però avere il T rissi no»  come già è detto» la Tua Tragedia comporta vi*  ventc Leone X. a cui la dedicò » cioè a dire  prima che l’ Alamanni fcrivefle le Tue Opere»  che furono ftampate nel in 2 * (*^7)*   E perchè v'ha una Commedia di Jacopo Nar*  di, Fiorentino, intitolata amicizia (j e dell' ortografia antica   della predetta Commedia , e fu Taverla il Nardi  chiamata nel Prologo fabula nuova , c primo frutto di  Ytvovo autore in Idioma Tofco , decife francamente > ef-  fcr la piti antica , e la prima di tutte le Commedie, che  fi vedeffe feruta in 1/crf, Italiane: aggiungendo, che dal-  le quattro stante ftampate in fine di efla Com-  media ( 172), appar chiaro efier efifa finta compo-   L 2 fila   * I. " L - - u j , j   (170) Il Crefcimbejoi nella [che egli verarnente prete yno  Star, della l^olg. Poef. dell edi- 1 sbaglio, perchè il Varchi dille  zione di Venezia* tom. r. lib. folamcnre, che il Nardi usi in  lib. J. a car. 1 1 V parlando del ! una fua commedia i verfi fciolti.  verfo fciolto j dice, cheiIVar| (171 ) A car. 4J5. e fcg.  chi, lafciando indubbio, fe il J (171) Quelle Stanze fono le  Tris e dì  guerre accefe in Tofcana, e per tutta l' Italia : il che (dice   egli) pienamente corriffondt all' annoi 494. in congiuntura del.  la venuta del Re Carlo Vili, in Italia-, e della cacciata de' Me-  dici da Firenze .   Ma quanto egli favellale a capriccio? ognuno-,  che fiore abbia di letteraria erudizione , può  agevolmente chiarirfene. Conciolfiacofachè quan-  tunque    Da quel-, da cui ogni falute  pende   Letitia & paco: a cui fitto-  il tuo fogno   Si pofa : & lieto ogni tuo be-  ne attende:   j Et ceffi il Martial furore &  /degno:   Cbe fa tremare H Mondo :  Italia incende ,   Chel clanger delle tube , & il  fuon dettarmi   Non laffa modulare i dolci  carmi.   Ma quello Dio , che olii alti in-  gegni afiira:   Et ogni opera dif prezza abie-  tta dr vile:   Tanto- favor benigno oggi ne   fint-  eti pur la fronte extollt il  ficco umile.   Ma fi lodore antiquo non re-  fi™   Stufate lo idioma : & baffo  fHle.   Et fcujt il tempo Ihuom fag.  gio & difereto   Che molto importa il tempo  fri fio 0 lieto . ]_   Quando farà che in porto al |    ficco lido   Salva (Fiorenza mia ) tua  barca vegna   Secura in tulio homai dal  mare infido:   T efio : Se il Sacro -Apollo il  ver minfegna   Segua pure il Nvcchkr ac-  corto & fido :   Et viva, & regni pur Chi  vive & regna-,   -Allhor (fé alcun difir dal Citi'  s impetra)   Diro le laude tua con altra  Cetra .   -Allhor mutato il Cielo in altro  afielìo   Renoverà nel Mondo il Secol  dauro-.-   si libar farai degni virtù re-  cepto :   Cipta felice: & di mirto, &  di Lauro   Coronerai chi honore ha per  obietto.   Et nota ti farai dallo Indo  al Mauro.   Ma hor eh' il ferro & il fico it  Mondo a in preda  Convita eh' a Marte ancor  Minerva ceda*    Digitized by Google    I    DEI TKISSIMO. 8$  tunque di ciò, che il Nardi dice in principio   delle fud dette Stanze , (cioè che elle fi cantarono falla  lira davanti alla Signoria» Quando fi recitò la predetta Conr   media) racC ogli e r fi poflìi e (Ter efsa fiata rapprefen-  tata in tempo che Firenze non avea cefsato anco-  ra d efsere Repubblica ; nientedimanco nè da  quefte parole > nè dalle stanze fiefse può dedurli  che il tempo della recita d’efsa Commedia cor .   rifa onde Piènamente all'anno 1494 . in congiuntura de-  gli avvenimenti fuddetti. E fe egli in dette stanze  fe menzione di guerre moleftillime a tutto il  Mondo, non che all'Italia, non ne fpecifica pe-  rò il tempo j anzi le accenna in maniera che  fi potrebbe più verifimilmente conghietturare  aver egli voluto in efse indicare le guerre dell'  anno 1527. in cui dall’ armi ddl’Imperator Car-  f lo V. Roma fu prefa, e Taccheggiata, il Papa   (che era Clemente Vii. di cafa Medici) fatto pri-  v gione , l’Italia molto travagliata , e tutto il Mondo ,   dirò così, afflitto da gravilfime turbolenze.  Oltreché non è probabile, che la signoria in tem-  po di guerre e di turbolenze inteftine fi fofse  data bel tempo, e fe la fofse pafsata (comefuoi  dirli) in allegrie, e in divertimenti di Gomme*  die. Laonde con migliore probabilità fi può dire,  che la Commedia del Nardi fofse rapprefentata  nell’anno 1530. giacché in queft'anno e Clemente  , Vii. ritornò a Roma dopo la pace fatta col fud.   detto    Digitized by Google    t A V I T A   detto Imperatore, e dopo averlo anche folenne-^  mente coronato nella Città di Bologna; c Aleflan-  dro de Medici fu fatto Duca di Firenze dal mede-  fimo Imperatore; fotto il Dominio del quale la  Città non lafciò in certo modo d’eflere tuttavia Re-  pubblica. E verifimilmente un de’ due accennar  volle il Nardi nella voce Nocchiero , ufata nel quinto  verfo della terza ftanza, e ad uno de’ due pari*  mente, o fors’ancbc a tutti e due pregò egli  PitA t Rtgn? nel fedo verfo della ftanza medeilma r   E viva > & regni pur Chi vive & regna. Se poi egli chia-  mo la Commedia fabula nuova i e primo frutto di nuovo   uè ut or e in idioma t ofeo , volle con ciò indicare la  novità dell’Argomento, ma non mai la novità del  verfo, come pretefe di farci credere il Fontani-  ni nel citato luogo : c perciò fu giuftamente cen-  furato dal Dottore Giovannandrea Barotti nella   fila JOifefa delti Scrittori Ferrar e fi ( l 7 $ ) *   A quel che fi è detto fi può ancora aggiungere *  che non fi troverà certamente , che lo Zucchetta,  per cui fi crede, che fofle anche fiata fatta la pri-  ma edizione della predetta Commedia * libro al-  cuno ftampato abbia avanti! 1517.» 0 al più al   più avanti il 1515. > quando il Trissino avea già   com-    ( 175 ) Parte feconda A car.n j. I tutori / opra P Eloquenza Italia-  Queft’ Opera del Sig. Bacotei faina del F anfanivi , Roveredo[ ma  Campata tra gli Ejfami di Tarj veramente Venezia) 173 9- in 4*    Digitized by Google    D E L - T R 1 S S I N O. 87   comporta là fua sofonhba (174) . Ma per-  chè più chiaro appaia l’errore del Fontanini ? e  del Guidetti altresì nella fua relazione al Var-  chi, e come a torto vuol toglierli al Tr issino  da alcuni moderni la gloria della invenzione dei  Verfi fcioltij vogliamo qui riferire ciò ? che al  medefimo noftro Autore dille Palla Rucellai  nella lettera ? colla quale gl’ intitolò il Poema  delle Api di Giovanni Rucellai ? Ilio fratello? che  che è fegnata di Firenze addi lì. 4i Gennaro MDXXXIX-  Voi fofte il Primo (gli dille) che quejio modo di fcrivere in  •verfi materni liberi dalle rime ponefte in luce , il q»al modo fa  Voi da mio fratello in Rojmunda primieramente, e poi nell' ji-  pi » 0 nell' Orefie abbracciato , ed ufato: e apprellò chia-  mò f Opere dello fteflo fuo fratello Primi frutti  della Invenzione del Trissino. Per le quali cofe  tutte forza è, che conchiudiamo? che a gran ra-  gione non pure dagli antidetti Scrittori? ma dal  Tuano ( 175 ) ? e da altri ( ìycr ) fu il noftro Au-  tore .    ( 174 ) Veggafi la foprallega- ! ( 175 ) FHJlor. &c. Toni. 1. lib,   ta lettera di Giovanni Rucellai vi. Ann. 1550. pag. 200. lctt.  ai Trissino fegnata di Fi - \ D.„ Jo: G e or g i U s Tbis>  terboaddt 8. di Novembre mdsv. j », sihi's .... P ri m u s genu $  ftampata nella Prefaz. alle Ope-',> canninis foluti foelicitcr ufur-  re dello fteflo Trissino a car. ‘ „ pavit, cum a temporibus Fr.  xv.} e a car. xvm. v’ha una „ pcirarchae Itali Kythniis ute-  Lettera della Marchcfa Ifabclla ,, rcntur.  di Mantova al nollro Autore; ( 176 ) Filippo Pigafctta, Vi-  de* di 24. di Maggio 1514. in ccntino, nel Difccrfo mandata  cui gli dice, che avea ricevutola Celio Malafpina in materia  una fua Lettera , Ferfi , & Ope- ‘ dei due Titoli del Poema di  retta, la quale fi può crede- Torquato Tallo , premeflò al  re, folTc la Sofonìsba, Poema fteflo delia edizione di   Fette-    Digitized by Googl    SS •' La Vita   torc chiamato Primo inventore di qucfti  verfi .   Ma per tornare alle opinioni degli Scrittori  fopra la Tragedia del Tassino» non fu ella efen-  te da’fuoi critici, rare eflfendo quell’ Opere, in  cui non fia ftato notato qualche difetto. Il Var-  chi nel citato luogo (177) volendo darne giu-  dizio, la oenfurò fpezialmente per la locuzione ,  dicendo COSÌ: Io per me quanto alla favola , e ancora in  molte cofe dell'arte non faperrei fe non lodarla -, ma in molte al*  tre parti , e fpezialmente d’ intorno alla locuzione non faperrei ,  volendola lodare, da qual parte incominciar mi dovejfi . E nell*   JErcolano ( 1 78 ) diflfc: La La Sofonijba del Tr isslno,  c la Rofmunda di mefier Giovanni Rucellai , le quali fono loda -   tijftme, mi piacciono sì , ma non pia quanto a molti altri. 17 al   C k    Venezia per Francefco de' Fran- j che come fi avea d aver grazia,  cefchi 1583. in 4., dice, che \\\al Tr 1 s j i N o, c'havejfe dati  T r 1 s s 1 n o fu il Primiero; que verfi ( fciolti ) alla Scena ,  che in italiano abbia ofato, e | così cc. Finalmente il Giti di  faputo ..., camminare per fen - 1 medefimo in una delle fueLet-  tiero erto, non più calcato da terc.tra quelle di Bernardo l af-  ' vernn altro dal tempo antico in fo. In / 'a dova . , 1 7 3 ? apprefi  quà , faivendo in Verso dal- fo il Cornino-, in 8.; toni. a. a  la rima Sciolto , con avvefttu- | car. 198. apertamente chiamo 1  rato ardimento, la Sofor.isba Tra - ITr.ssino Inventore di tali  tedia ce.. HGiraldi poi ne* Di fi ! verfi : la qual cofa fu olTervata  cor fi cc. a car. 92. favellando dei anche dal predetto Sig. Co: Maz-  Verft Sciolti , chiama il noftro ! zuchelli , a car. 47. annotaz.  Gì ovangiorgio loro in- j 1 22. della fuddetta l'ita di Lui-  ventore-, e approdo dice qucdc' gi Alamanni,  parole: Veramente mi pare , che | (17 7 ) Lezjzioni ec. a car. 68 r,.   Monfignor il Bembo, giudiciofo 1 (178) A car. 393. e 394 del-   Scrittore ..... il vero dice fio, | la ciraw edizione di Padove  quando a Bologna mi diffe, che I 7 -H - ,n    Digitized by Google    X» "E L T RI S S,I N O.   Giraldi poi fu appuntato il nollro Autore (179);  per eflcrfi in quella Tragedia più dato (come £   dlfle) a fcrivtre i co fimi , e- le m Anitre de i Greci, che nonfi  conveniva ad uomo, che firiveffe cofa Romano, nella quale tn.  traffe la maejlà. delle perfine, ch'entra nella Sofinisba, Alla   quale obbiezione veramente potrebbe nlpondcr-  fi colle parole del fuddetto Signor Marchefe   Maffei (180), cioè che certe azioni, 0 detti, che ci pa -  jonoJn Per finali grandi aver talvolta troppo del famigliare >  .non danno dif gufi 0 a. chi . ha cognizione de' Tragici Greci, egra*  ttìca de' co fi unti antichi *   E sì . parimente altri difetti furono appuntati  an erta Tragedia, che per dir breve fi ommet>  tonoi ma con tutto quello farà elfa da tutti i  dotti Tempre in grandilfimo pregio tenuta: per-  chè quantunque lì creda lontana da quella per-  fezione, a cui fi può condurre un componimen-  to teatrale! (oltreché Tiftelfo potrebbe forfè dir-  li delle Greche Tragedie ancora, come dice il  predetto Signor Marchefe '('81 ) \) egli è per al-  tro certo, no» molte prelfo chi ben intende an-  noverarli Tragedie in lingue volgari, che porta-  no gareggiar con la Sofinuha, la quale fola fareb-  be ballante a tener tempre viva gloriofamcnte   M appreC-    f 179) Difiorfi del Giraldi e. liane luog. cir,  car. 179. in fine, e a car. 180. j ( 1 8 1 ) Prcfaz. alle Opere de  ( lio) PreCaz. al Teatre Jta.\ Trissino a car. xxvii.    Dìgitized by Coogle    5>S 'La Vita   apprcfso i letterati la memoria del Tuo Autore-  A ciò che abbiam detto fi può aggiugnere an-  cora il giudicio del mentovato Signor Cavaliere  Zorzi, il qual dille (182), che la Sofonùba ì u n   Tragico Poemetto, migliare de’ Greci, e /nitriere ai Latini , Ita-  liani » e Franzefi Scrittori.   ' XHL LA ITALIA liberata tia i Goti. Stampata in Roma  per Valerio , e Luigi Dorici a petizione di plutonio A/aero Vicen-  tino MDXLV1I. di Maggio, con Privilegio di N. S. Papa Paulo  Jll, di altri Potentati. Voi. I. in 8. (183)-   Rarif-     (182) Difcorfo fopra l’ Opere \ al Clcmentijfimo ed Invit tijfimo  del Trissino a car. 415. 11 ^Imperatore Quinto CARLO  Quadrio nella Storia e Ragione > Maffimo : e quelli primi nove  d' ogni Poefia Voi. 3. libi 1. Dift. ì libri fono di carte 175 I fc-  I. cap. iv. Particcl 2. a car. 65. condì nove, che contengono  regimando quella Tragedia, ac- carte 181, furono Rampati l’an-  Cenna i difetti fuddetti in clfa no approdo nel Mcfe di Novem -  notati dai predetti Varchi cGi- bre , come appare da quelle pa-  llidi ; ma apprelTo foggiugne , fole , che in fine fi leggono :  che efla ciò non cjtantc ha fem- Stampata In Pene zia per T 0-  pre avuta ejiimazJone non poca: torneo Janiculo da Brejfa nell' an-  nominando anche la traduzio- no MDXLV 111 . di Novembre .  ne Iranzcfc di detta Tragedia Con le grazie del Sommo Fon-  fatta per Claudio Mcrmctto, c tifico , e de la JlluHriJfima Si-  imprcfla in Lione l’anno 1583. gnoria di Venezia , e de lo Illu-  ( Quello Poema fa dal Jlrìjfimo Duca di Fiorenza, che  Trissino, come è detto di ninno non la poffa riftamparc  lopra, mandato in luce in più per anni X. fot za efprejfa licen -  tempi. 1 primi nove Libri » i za de l’Autore. Gli ultimi no-  quali hanno il titolo fuddctto,;ve finalmente furono llampati  ma co’fuoi nuovi caratteri, fu- janch* effi in Venezia P anno  rono llampati l’anno 1547. nel Hello MDXLVII . per Io Redo  Mcfe di Maggio ; attorno il qual Janicolo, ma di Ottobre (cioè  titolo v’ ha eziandio il motto un mcfe innanzi a'Scconai no.  della, imprcla da lui alzata TO ve) collo Hello privilegio. E  / HTOTvevon A auto >1 i e tutti quelli XXV II. Litui (che  dopo fegue la fua Dedicatoria XXVII. fono, non già XXXVM.   come    Digitized by Google    DEL T R1SÌIN Ov pi  Rariflìma è quefta edizione } e due fole copie  n’abbiamo noi vedute in Venezia y una nella ce-  lebre Libreria Pifani? e l’altra nella preziofa Li-  breria del fu Signor Apoftolo Zeno (184) 5 ap-  prefso cui Vera anche un efcmplare dell’ im-  presone feguente.   — — J tali a &c. riveduta e corretta per /’ Abate Antonini ec. in  Parigi nella Stamperia di Ciovanfrancefco Rteapen AIDCCXXiX.   Tom. 3- in 8.   Fu anche riftampata unitamente colle altre Ope-  re del noftro Autore nell’edizione tante volte  da noi citata j (ma fenza i caratteri da efso in-   inventati) in Verona preffo Jacopo PalUrfi 1729. i n   e tiene il primo luogo nel tomo primo •   Ma Anche    ionie diflero erroneamente il  Fonranini nell’ Eloquenza ita-  liana à car. 580. . e 1 Autor del  Catalogo della Libreria Cappo-  ni a car. 377.) fono uniti in un  volume in 8. Il Cavaliere Zor-  zi nel fuo Dif offa intorno alle  Opere del Tkissino a car.  4 y). sbaglio prefe in dicendo,  che i primi XVIII. libri furono  ìmprtfft in Roma , e gli airi IX.  in Venezia .   ( 184 ) Dal Signor Apoftolo  Zeno fu la detta fua Libreria  donata con teftamento a P. P.  Domenicani della flrctta offer-  vanz.a di Venezia nel mefe di  Settembre dell’anno i7jo.» nel  quale poi addì xt. di Novembre  placidamente p.ifsò di quefta vi-    ta. Della cui perdita li dorran-  no mai Tempre i Letterati , ed  tifa da noi non pure in quel  tempo, in cui appunto eravamo  in Venezia, ma continuamente  farà compianta. Cinqui abbiam  voluto dire., per Iafciare un pub-  blico arredato, della noftra gra-  titudine alle molte cortcfie ufj-  tcci dal meiefimo. Per altro un  elogio alla memoria di sì grand’  uomo col Catalogo delle fuc  Opere ha pubblicato l’erudito  Autore della Storia Letteraria  d'Italia (il P. Francefco Anto-  nio Zaccaria Gcfuira ) nel Voi.  3. lib. 3. cap. V. num. 1. c fegg.  pubblicata in Venezia nella  Stamperia Polttiv 1752. In 8.    Digitized by Google    La Vita   Anche quefto Poema fu da varj letterati ITomi-^  ni e Iodato? e cenfurato in molte cofe. E quanto  alle cenfure, il Titolo primieramente non è affat-  to piaciuto ad alcuni, giudicandolo dii troppo  lungo, e ravvolto, diròcosì* dicendo, non bene  diftinguerfi, fe i Goti, o pure altri da' Goti ab-  biano liberata f Italia (18*) . Scipione Erriccy  Poi nelle fue Rivolte di Parnafo (l8tf) Criticò 1 - AtJ-  tore noftro, che fece fare fenza necelfità veru-  na ai Perfonaggi del Poema lunghi ragionari, e  che introduce la gente nella Zuffa, parlante a-  guifa di Dialogo, facendo che l’uno ricominci  dove l’altro terminai il che è lontano affatto  dal verifimile j concioffiacofachè nelle guerre non  s’odano che poche voci, e folamente fi fenta,  il fragore delTarmi : e in altro luogo (187) ky  criticò, perchè troppo alto cominciamento die.  de alla guerra i dicendo , che meglio avrebbe  fatto', fe avefse porto Belifario o dentro a Ro-  ma, o per lo meno in Italia v e tacciando in ol-  tre gli amori di Giuftiniano di troppo goffi c  lafcivi, c d’indegni del fuggetto, a cui furono-  appropriati (188): delle quali cenfure dell’Erri--   CO fi      (185 ) Veggafi Udcno Nificli  tic' Proginnafmi ec.   (18 6) Rivolte di Parnafo di  Scipione Errico . In Me finn per  gli Eredi di Pietro Urea 164.1.    in iz. acar. 63.   (187) Rivolte di Pam a fe a  car. 64.   ( 188 ) Rivolte ec. a car.  581.    Digitized by Googli     DEL T R ISSINO'. pj  to fi dolfe poi non poco Gafpare Trillino colla  Lettera a lui indiritta ? la quale fi legge nelfè  efse Rivolte di Pimi/,, (i8p). Attché il Fontanirri  nella Eloquenza Italiana ( jpo ) notò qnefto fallo  commefso dal Tr issino, foggiugnendo, che egli  Poi ravvedutoli, ne fece l’ammenda, riftampan-  do le carte, e mutando i verfi già fcritti (ip r ; s  pafiando appreffo a riprendere chi riftampò le  Opere di lui, perchè avendo tralafciata l’ortogra-  fia dal Tri ss ino fieflb inventata, v’ avelie poi  inferite le cofe ** M medefmo volontariamente ritrai -  utt (ipi).    Da    S * ÌV r ° lte J C - * car - «o-. | eolie parole, e le parole io' ben-  (iyo) A cai. 581. 1 fieri: le quali fofto perciò fem-   so^Aelìa Ubr^'r ^ C * ! * lo \t lici e P«re, e di quando in quan.  go della Libreria Capponi a car. | do con virgìnal modeffia trasfe   &Y.T„“fT ''jT'I’t'v" 4 CanonTo G fZt  d I Rissino, die*; nelle An- : ni Checozzi nella fùa dotta Ltt-   TZntL C alcll q0Cl1 ’ \ *»* di,enfiva ’ «tata al di fopra   An!dli r q '"'"^ont all 1 annotazione 101. , dice che   {jù 1 ; isst { ;j:zz:iu f :rr ir ™ s -   ìz o ìvT cho t bcmì   ! 2 *’ 119 J. \ io ’ » ,iche > àoveglifcherzi qualche  e 1 31. , che fi e tentato di leva - 1 volta p affano aver Inaio ma   UaVitìc *‘ r l ÌC l n ?*** }"**•{ molto pia nelle ferie, & ed ora-  Ma Vincenzio Gravina nella fua tcrie. *   Opera intitolata Della Ragion   Poetica libri due cc. Jn Venezia   frejfo singioio Geremia 1731. in   4. lib. a. a car. 106. non dubitò   di lafciarc fcrirtó non foiamen-    (i?s) Le parole delFontanini  nel luogo citato fono quelle z  Reca gran maraviglia (dic’egli j  che ojjendendofi la memoria , e  riputazione dd Tritino nel ri-   fi n 1. ^    te chela Qifd. -r riputazione del J njf.no nel ri -   te che lojhle del Tassino \fiamparfi le fue Opere ( non pe-   e caffo e frugale; ma ancora che] ri con l'ortografìa da lui fi tifo  tatti ifitoi penfien fon mi furati j inventata ) fiafi voluto in onta   fua »    Digitized by Google    94 LA .Vita'   Da Gio: Mario Crefcimbeni nella Stiletta dil-  la Fdgar Totfm { ipj), fu il Tr issino cenfurato di  troppo efatto nella deferizione delle parti ,• e  particolarmente del veftire dell’Imperatore Giu-  ftiniano; concioflìacofachè gli abbia fatto metter  prima la camicia, e poi 1* altre robe di mano in  mano fino alli calzari; foggiungendo, che l’efem-  pio d’Omero inventore di cotali foverchio dili-  genti narrazioni, non lo dee in ciò feufare. In  fatti l’avere Giovangiorgio troppo efattamente  imitato quello Greco Poeta, fu la cofa princi-  paliflìma, che. gli ha nociuto. Di che eziandio  Giovambatiila Giraldi ? Cintio , Ferrarefe , ap-  puntollo, dicendo (194)5 che £ energia non iftà ì co-  me il noftro Autore fi credette, nel minutamente feri,  vere ogni copicela , qualunque volta il Poeta fcrive eroicamente;   ma nel-    fla, e non fenza contumelia del-  la Chrefa Romana fargli l' oltrag-  gio di preferire alia giufta fua  correzione le cofe , volontaria-  mente da lui meclefimo ritratta-  te , cantra le quali da onorato  gentiluomo-, e da buon Crifiiano  altamente fi fdcg -crebbe , Je foffe  in vita. Con quelle parole ac-  cennò il Fontanini la rillaihpa»  che delle Opere del T n i s‘s i n o  fi fece in Verona ; del che il  Marchefc Maffci fe ne rifenri  nell’ E fame fopraccirato, a car.  73., dove dice, che il detto  Boema fi è ristampato a Verona    | fecondo /’ impresone con Privi-  legio di Papa Paolo Terzo ufii-  I ta . lo certamente non ho vo-  ; Juro darmi la briga di con-  frontare la primiera edizione  ; colla riftampa' del Poema fief-  fo, per chiarirmi» fe vere ric-  ino quelle mutazioni predicate  dal Fontanini .   (193) Bellezza della Volgar  ' Poefia di Gio: Mario Crtfcim-  j beni ; In Venezia , preffo Loren-  \zo Bafeggio, 1730. in 4. Dialog.  Vili, a car. 157.   (UH) Ne’ Di f cor fi ec . a car.  6 a.    Digitized by Googlc     DEL T R I S S I'N Ó. 9?   ma nelle cofe, che fono degne della grandezza della materia*   if'ha il. Poeta per le mani: e prima ( 195 ) dille quelle   parole: Come l'età di Omero e i collumi di que' tempi, e le  fingo lari virtù, che fi trovano in queflo divino Poeta , fecero to-  ler abili quelle- cof e in lui', così l'averle il Trijsino in ciò  imitato ne/r Italia, .altro non fece , che ffiegliere dall'oro del  componimento di quel poeta lo fi creo , (il quale non per fuo vi-  zio , ma dell età ci fi trapofe ),.e imitare i viz,j , ( parendogli di  avere affai fatto , fe bene gli efprimeva ) , e accogliere tutto quel-  lo, che i buoni giudicii vollero trai affiate, moftrandofi in ciò   foco grave. Oltreciò lo Hello Giraldi (i 96 ) notò  in quello Poema, vìziofe eflere le invocazioni; e   ( 197 ) la favola di Farlo e di Lìgridonia elTervi introdot-  ta, e fuori dì ogni bifogno, e fuori d'ogni dependenza ; aggiun-  gendo, quell’allegoria efler tolta da altri, e in parte dall'  Ar lofio nella favola et Ale in a, e di Logifiill * * C finalmente  in una. Lettera a Bernardo Tallo (198) dille , chele il   Tr ISSINO fiecome era dottiamo , così foffe fiato giudiciofo in  eleggere cofa degna delle fatica di venti anni , avrebbe veduto ,    che così fcrivere , com'egli ha fatto , era uno fcrivere Smorti ]   inferir volendole il Poema non era letto.   Ma chi dogni appuntatura de'Critici a quello  Poema parlar volette , llucchevole forfè e nojo-  fo riufeirebbe ; elfendo già flato fatto que-  flo dal    ( 195 ) Difcorfi ec. a car. 33 .[quelle d’effo Taffo , ( Voi. a.   t 9f> \ ^r 0T r cc ‘ 3 car ' 49 - a Car. 196. e fegg. ) (lampare  — l J cor fi cc  e fopra  i Poemi di alcuni più chiari Epici non dubitò d’,  innalzarlo. Nè minor conto ne fece Benedetto  Varchi, poiché in una deile fue Leeoni (20 6)   dille , che 1 Italia Liberata da Goti fe bene era lodata  da pochijfimi meno che mezzanamente , e da molti in finii amen.  t e biafimata ,.e quafi derifa , pareva a fe nondimeno , che  -Quanto a quello , che è prof rio del poeta , ella mcrìtdffc   tanta lode, anzi tanta ammirazione , quanta altra potft* , che   JSj fia dogo    fico , ed a teffer lavoro Somiglian-  te a quei di Virgilio , a d' Ome-  ro, e di quejlo fpezialmente eh'  egli prefe a imitar del tutto.   (204) Lettere , Voi. 2. acar.  416. Il T rissino > la cui  dottrina nella noftra età fu de-  gna di maraviglia, il cui Poe-  ma non farà alcun» addito di  negare che non fia dijpojlo fe-  condo i Canoni delle leggi d'  lArift utile, e con la intera imi-  tazione d' Omero , che non fia  fieno d erudizione atto a infe-  gnar di molte belle cofe ec. 11  Trissino medefimo nel 1. libro  di quefto fuo Poema, a car.22.dcl-  l’cdizione di Roma così dice ;   „ Ma voi beate Vergini, che  „ fofte   „ Nutrici , e figlie del divi - 1  a> no Homcro,    [ „ Ch’i ammiro tanto , e vo   feguendo Torme  „ Al me’, ch’io fo, de i fui  „ veftigi eterni;   Reggete il faticofo mio  viaggio:   „ Ch’ io mi fon pofto per  „ novella ftrada,   „ Non più calcata da terrc-  .^nc piante .   E in quefti ultimi verfi po-  trebbe crederfi , che avefle egli  voluto indicare non pure d’eflere  flato il primo a comporre Poe-  mi a imitazione d’Omero, ma  d’effere anche flato il primo in-  ventore del verfo fciolto » in  cui il Poema è dettato.   ( 205 ) Lib. 2. acar. ioj. 106.  e 107.   I ( 206 ) Lezzioni di M. Bcne-  | detto Varchi a car. 634.    Digitized by Google    s8 L A V I T A   f‘* dopo Omero fiata firitta, e dopo Virgilio: foggiungcnclo  appreflo, che deve molti fi ridono del T n. i ss i n ® > che  confi fio d'aver penato XX. anni a comporla » a luì pareva,  che ciò a gerle giudizio porre , e attribuire fi gli doVcHè >   Finalmente ( a tralafciare il fentimento di altri  Scrittori circa quello Poema, e fpecialmente del  Tommafini (207), e dell’Imperiali (208)) l’Aba-  te Anton - Maria Salvini, che fu uno de’ più be-  gli ornamenti, che abbia avuto in quelli ultimi  tempi la Città di Firenze, così fcrille (2op) in  torno al Poema Hello, e al fuo Autore: 11 nofiro   leggiadrijfimo Rutilai tefii in verfi fiiolti il fuo poemetto dell'  Api dedicandolo al Trissino, che nello fiejfo tempo del-  lo Alamanni » che la celebratifiima f u a Coltivazione mife in  verfi fiiolti > compofe alla gran guifa Omerica I'Itau a Liberata  dai Goti, il qual Poema fu tanto da un drappello diPaftori Ar-  cadi confidar ato ripieno di bellezza, e virtù poetiche , che ave a-  no a varj /oggetti dato un Canto per uno , per metterlo in otta-  va rima , per farlo più leggibile con quefio lenocinlo alle fihiz,.  zìnafiy per dir , coti , orecchia Italiane ( 2 to) • ed in Un     e nel  primo tomo delle fue opere della riftampa di Ve-  rona j e con altre fue poefie nella prima Parte   della Scelta di Sonetti e Canzoni de' pi* eccellenti Rimatori  d'ogni fecolo (alj).   XV. RI-    Jm      ^214) Mi pare, che qui da  tralafciar non fia il Sonetto da  Benedetto Varchi mandato al  noftro Giovangiorgio j  giacché con dio non pare lui  lodò, ma avendo forfè la mi-  ra alle altrui critiche fopra il  di lui Poema, inanimillo a?pro-  feguire gl’incominciati fuoi Au-  di . 11 Sonetto è qticfio, e fi   è traforino dal libro intitolato:  J Sonetti di M. Benedetto Var-  chi , ec. In Venezia per Plinio  Pietra Santa , 155-5. in S.acar.  109.:   Trissino altero , che con chia-  ri inchiojtri   T e ’nvoli a morte , e 7 fo-  co l noftro bonari ,   Rendendo Italia a' fuoi pajfa-  ti honori.   Di man de' fin crucici barba-  ri moftri    Tu con nuovo cantar l'antico'  moftri   Sentier di gire al Cielo , e  tra'migliori   Le tempie ornarfi dì honorat i  allori   Pi* cari a cor non vii , ohe  gemme & oftri.   Per te l' Adria , la Brenta, e  ’t Bacchillone   Al dolce fuori de tuoi graditi  accenti   Vanno al par di Pento , del  T tbro , e d'Arno .   Deh, fe 'i gran nome tuo ftnt-  pre alto fuone,   £ faccia ogni gentil pallido 1  e fcarno ,   Tuo corfo l'altrui dir nulla  rallenti.   (215 ) Scelta di Sonetti e  Canzoni de’piìt eccellenti Rima-  tori dì ogni Secolo ec. Parte pri-  ma    Digitized by Google     DEL TRI'SsrN'O- roi   XV. RIME. In Vicenza per Tolomeo lanicc-  io MDXXiX. in 4.   Diccfi j che l’anno medefimo fofler ivi riftampa-  tc per lo Hello janicoia in 8>; ma quella edizio-  noi non l’abbiamo veduta. Furono bensì riftam-  pate 1» Verona coll’ altre lue Opere (215) .   Il Tris si no dedicò quelle Rime al Cardinale  Niccolò Ridolfi, Velcovo di Vicenza in quel  tempo ( non a Leone X. , come fcrifle erro*  nearnente il Signor Canonico Conte Giovam-  batifta Cafottì ( 217) , che fu perciò ne[  Giornale de' letterati £ Italia (218), modcllarrrente cor-  retto) e nella Dedicatoria, la quale non ha da-  La, egli dice, che gli mandava w'ft* Tuoi giovanili  componimenti per ubbidire alle fue molte infianze . Di quelle  Urne, non meno che del loro Autore , favellò  con molta lode il Quadrio nella più volte ci-  tata Opera fua della Storia e Ragione di ogni Ree*  (219): c Federigo Menini lafciò fcritto et*   fere     W4, che contiene i Rimatori an- ( ( 21 6 ) Tom. prim.acar.349i   fichi del 1400. e del 1500. fino j (217) Nella Prefazione alle  al 1 5 50. In Venezia r 1739. Vrofe e Rime de'due Buonaccor-  preffo Lorenzo Rafcggio . in 12. 1 fi « Rampate In Firenze nella  Voi. iv. La Canzone è a car. ! Stamperia di Giufeppe A/anni  303. del Vol.i.e di efla se fatta 1 1717.   menzione al di fopra all’annot. ! { 218 ) Tom. xxxvl. Arde*   56. Olitila Scelta , che era fiata ix. a car. 224. in 12.  prima in Bologna Rampata, fu poi j (219) Voi. 2. lib. I. Difi»  riprodotta in Venezia inpiùVo-’i. Cnp. 8. Parriccl» s. a car»  lumi.    Digitized by Google    IOÌ L A V i f A   fere i Sonetti del" noftro Autore e buri , fentenzàoft, e'  patetici (220).   Sette Tuoi sonetti , i quali mancano nelle fud-  dette Rime , furono ftampati nella già citata Rac-  colta delle Rime di diverfi nobili PeetiTofeani fatta dall*   Atanagi (22O: il primo de’quali fu da Giovan*  Giorgio indirizzato al Pontefice Paolo Terzo > e  l’abbiamo accennato altrove (222); il fecondo  a Ottavio Farnefe, allora Duca di Camerino} e  poi di Parma c Piacenza* il terzo a Margherita  dAuftria* il quarto al Cardinal Farnefe fopram-  mentovato (223); il quinto a Girolamo Verità,  gentiluomo Veronefej il fefto a Paolo Giovio»  Vefcovo di Nocera, e Storico di chiaro nome»  il fettimo finalmente è il fopraferitto, da eflo  fatto poiché terminato ebbe il fuo Poema dell 5   Italia Liberata da Goti. Ancora Un fuO Sonetto, fcrittO   al Cardinal Pietro Bembo (224;, fi legge tra le  Rime di quefto Autore (225)5 il quale un altro   Sonetto    (220) Nel Ritratto del So- j cenza fua Patria. Sono chiarii  netto 1 e della Canzone In Vene- \ fent trizio ft , e patetici,  zia apprejfo il Bertoni > 1678.' (231 ) A car. 8?. a tergo, e   in il. , a car. io?. Ecco le fuc , feguemi.  parole Giovan - Giorgio! (222) V* fopra & car. 55. al.  T rissino, nobile Vicentino , l annotazione 1 07.  oltre alla Tragedia delta Soft- j ( 223 ) V. ivi.   nisba e oltre all'Italia' ( 224 ) Quefto Sonetto C0-   Liberata , Poema Eroico , che \ inincia :   fu il primo ad ejfer dettato fe- j Bembo , voi ftet e a qne bei  condo It regole d'^driftotele , e ftadj intento .   fatto ad, eferr.pio di Omero 1 fe J ( 22 j ) Rime di M. Pietro  molti Sonetti ftampati in Vi- Bembo: In Bergamo appretto Pie-  tro    Digitized by Googk     DEL, TRI5SIN Q. j ^  .Sonato nelle medefime definenze gli mandò in ril-  pofta (22 6).   Altre lue Rime poi dono fparfe nelle Raccol-  te del Varchi» del Rufcelli, e d’ altri: ma dal  Signor Marchefe Maffei tutte adunate furono, e  poi fatte Rampare in un colle altre di lui opere  (227), colla giunta ancora di altre poefie del  mcdefimo (ma non di tutte), non prima date  in luce, e di alcuni Sonetti da altri Poeti a lui  fc ritti.   Ma perchè alcune poefie , che fono tra quel-  le del noftro Autore, veggonfi altresì tra le ri-  me o de Buonaccorfi, o di qualche altro Poetai  però egli è ragione, che diciamo intorno a ciò  qualche cofa, avendone già diffufamente parla-  to altri Scrittori , e fpezialmente il Cavaliere  Zorzi (228). Tra le Rime adunque de’ Buonac-  corfi Ieggonfi quattro Sonetti interi, e cinque  foli verfi di un altro Sonetto (225?). 11 fuddetto   Signor   w      tro Lanccllom 174 J. > in 8 . a car.  140.   ( 2*6) Quello Sonetto comin-  eia:   Così mi rentU il cor page ,  e contente .   e fi legge in dette Rime a car.  94 -   (127) Tom. l. a car. 377. e  fegg.   ( 218 ) Difcorfo /opra l Opere'.  del T r 1 $ $ t n o , a car. 404. e !  feguenti .    ( 219 ) 11 -primo ^i queftiSo-  nerti , che a car. 1. delle Rime  del noftro Autore fi legge; ed  a càr. 2 96. di quelle dc'JBuonac.   1 corfi , della mentovata edizione  di Firenze 1718. in 12., co-  mincia coste   La bella donna, che in vir-  tù d" Amore .  il fecondo che principia:   Li occhi foavi , al cui gover-  no Amore ;   nelle Rime de’ Buonaccorfi c  a car.    4   Digitized by Google    io4 La vita   Signor Conte Cafotti incaricando (2jo) mode-  fìamente il noftro Trissino , favoreggia i due  Poeti: e nel domale de' letterati tf /taiu (13 1 ) fi accen-  na folamente, ma non fi feioglie cotal viluppo »  Il Cavaliere Zorzi dice (232), che perciò fare  converrebbe andare a Firenze, ed ofservare fc  Antico, o no, fia il carattere, onde fono fcritte  le poefie de’ poeti fuddetti •, concioffiacofachè  pofsaefsere, che da'copifti, (le copie fono)> o   come    a car. 299. , cd in quelle del ine allenirne de’ Buonaccorfi a   Trissino a car. 4. Il terzo , car. lvi.   che ha quello principio: j (231) Tom. xxxvr. Artic.   Qando 'l piacer, che’l defia-   to bene; \ b o> he 1 Sonetti^/ III. IX. X.   ; non fieno del piovane Buonaccor-  ,è a car. 4. a tergo delle Rime fi , offendo firitti a Palla di  del noftro Autore, cd a car. 300 Noffcri Strozza, ea'fioi figliuo-  li quelle de’ Buonaccorfi . 11 li > tutti fuoi coni empcr enei - I  quarto finalmente, clic fi leg- '.y chc| (234) DelLi edizione di Ve-  ti legge tra quelli di qucfto \nez.ia 1546. in 8. a car. 7..; la  Autore dell’edizione di Firenze * qual Canzone, che nelle Rime  1529. e comincia: (del Trissino è a car.' 5.   Quanto più mi dijlrugge il ( principia.-   mio pen fiero-, . Amor, da eh' e' ti piace   nelle Rime del Trissino cl -Chela mia lingua parli-, cc  a car, 18. j    Digitized by Google    IOJ La Vita   con vcrfi di Tette, e di undici fillabe, tutti Tciol-  ti, e ufolla in una Cantone indiritta al Cardinal  Ridolfi (235) : il qual modo ftravagante e fcon-  figliata cofa parve al Crelcimbeni (i* ma,  come dille il Signor Marchefe Maffei (2.37)» Tu  bizzarria d’un iblo componimento.   XVL I Simulimi (Commedia in verfo fcioi-   to) In P rnezja per Tolomeo J unitola da Breffa ne tanno  MDXLVIII. di Ottobre in 8.   Quella Commedia ( dì cui non Tappiamo eflerci  altra riilampa , Tuorchè quella Tatta in Perona unita-  mente coll' altre Tue Opere) Tu da lui compoftaa  imitazione dei Mtnemmì di Plauto, aggiungendovi  il coro-, e varie coTe mutando-, Teguitando in effe  altresì le tracce degli Antichi, ed accoftandofi  Tpezialmente ad Arifto/ane . Nella Dedicatoria  al Cardinal Farnefe dice, che avendo in quefia lingua   Italiana compoJ} 0 e l 4 Tragedia, e lo Eroicoy gli ' t* rut ° oU  tra futili di abbracciare ancora qaefb' altra farle di $“fia , cioè   la Com .    (135) Quella Canzone end  nd primo tomo ddla riftampa  di Verona,. a car. 371. cola..,  c comincia;   Paghi , fu feriti , * venerandi  Colli i cc.   ( 23 ma non Tragedia,  fi il TafTo, che non compofe Commedia, fua  non eflendo quella, che fu imprefla col nome  di lui (23P). A che volendo noi alludere abbia-  mo fatto di quattro differenti poetiche corone  adornare il Ritratto del noflro Autore , che in  fronte di quella Vita fi vede.    O 1 XVII.    ( 3 3 8 ) Nella Prcfaz. alla ri- |  Rampa di Verona a car. Xxv.   ( a 3? ) Tra’ lodatori della'  Commedia del noftro Autore , j  uno fi fu il P. Rugcri , cosi  parlandone nella citata Decla-  mazione a car. xxiiù  ,1 Hic fior Georgivs) anti-  „ quorum poetarum , qui Co—  n mie® Poefis lauream adepti,!  » Slori® termino* pofteris cir. j    » cumfcripfifle videbamur, Rre-  ,» nui adeò coocertationc inge-  j„ nii adarquavir , eruditiflìmo  !» PoCmatc , metro jfcripto ,   | „ quod Sim itL r mos infcripfit   » * ut quonefeumque   >» Comicum illuci Carmen le-  » ftionc parcarro , ipfa fe mihi  » antiqure Poefis facies verert-  ,, do, gravique afpc&u referar  ,» contemplanda.    Digìtized by Google    jo8 La V r t a   XVIL Egloga fafitrAie (in verfo Italiano) nel-  la quale Tìrfe pallore invitato da Bauo capraro»  piange la Morte di cefAre Trivuiào fotto nome di  DAfm bifolco.   Quello componimento fu inferito coll’ altre fue  ogere nella riftartipa di Verona (240).   XVIII. Altra Egloga (parimente in verlo Ita-  liano), in cui parla Batto Capraro folo.   E quella altresì fu llampata coll’ altre fue Ope-  re (241)-   XIX. Pharmaceutria U4* )• De mtTU   (*43 )•   Anche quella Compofizione , che è di clxxvil.  verlì Latini, fu unita alle altre fue Opere nella  riftampa di Verona (244): e perchè nel Codice   v’era-     (240) Tom. I. a car. 373. \ffripfft , quifquis ille fiat , qm   (241) Tom. I. a car 375. \titulum aididit, non ertim ei,m À   (242I Gli eruditici ini Signo- arbitror effe a manu Io. Gìor-   rì Volpi diPadova, i quali fic- gii Trissini , quei»  come aveano ideata Una edizio- ÌGracas litteras egregie caUuìJ-  ne delle Opere del Th iss l»o|/f. apud The ocn-   ( comc è detto nella Prefazione) J tum  che ineptì hanc E- Fracaftoro.  tlogam PiiAUM aceutri am in- (T 440 Tom. U a car. 393.    Digitized by Coogle     DEL TRISSINO, IOS   V’ erano alcuni vani? perciò dal foprammentova-  to Gafpare Tri ss ino eruditamente furono em-  piuti > e quivi fi veggono contraflegnati con ca-  rattere diverfo.   XX. Encomium MAximUiàni ctfarit . Sta quefto al-  tresì coll’altre fue Opere della detta riftampa{245) .   XXI. Due Epigrammi latini.   11 primo di quelli Epigrammi (i quali furono dati  a luce parimente in detta riftampa (245); fu fatto  dal Trissino in morte di Pulifena Attenda, Ce-  lcnate, piagnendo egli in perfona del Marito*  Quefto fu tratto da un libretto ftampaco in Ve-  nezia» in cui fi legge anche un’Orazione di Jo-  vita Rapicioj da Rrefcia (247), detta in Vicen-  za in morte della ftefla. L’altro Epìgramm* è quel-  lo, che s’è riferito al di fopra (248), fatto da  lui prima della ultima fua partita dalla Patria.  • XXIF.   ( 2 45 ) Tom. 1 . a car. 389. più nella Seconda Parte, a car.  Qucùo Encomio è di CHI. Vcrfi 63.efeg.91.eieg. 192. c fcg. dello  eroici latini , e comincia Cosi. Specimen Paria Ut ceratura, &c.  Heor.rn Jì fatta mihi , laudcfvo Btixia 173 9. 4. pubblicato dal  -Dei-rum non meno per dignità, che per   Quandoq; ut ctlebrem permit - virtù inorali , cd intellettuali  tii carmini Phàebe , Eminentiffimo Cardinal Qui.   En tempus , ncque fallar , a- fini : e nella Libreria Ere -  defi} &c. feiana di Lion ardo C o^z^ando ,   (246) Tom. 1. a car. 398. \in Brefciu\ 6 vq. per Gio: Maria   ( 2 47 ) Di Jovità Rapicio ' Rizxxrdi in S. a car. 131. ove  fi trova latta menzione neli , £’r-|è chiamato Raviz.zat, c fr dice,  colano del Varchi a car. 427. o che fu lcctore di umanità in Vi-  li ella Scan zia xx 1 1. della Biblio- j ccnza .  tcca Polamcz car.120.121. mal (248) all’ annotazione m.    Digitized by Google    tio L a Vita   XXIL Alcune poetiche Latine Compofizioni  del Tr issi no non inferite nella fuddetta riftam-  pa di Verona, furono ftampate nella Scambia XXIL  della Biblioteca Volante- di Giovanni Cinelli ( MW •  Quelle fono primieramente due ode (250); dopo  cuifeguitano due evitati in morte dì Vincenzio  Magre, fuo caro amico j e appreflfo feguita un epi-  gramma ad fonticuium /»*« (251): e finalmente  una Compofizione intitolata leges conviva les .  L’Autore di efia scam.i a nel luogo citato dice»   che quefie Poefie ad intelligenti, che le hanno vedute , fembra-   \   no cofe fatte dal TnissiNO ne'fuoi pii* giovanili anni: ag>»  giungendo, che il il Codice, onde le trajfe , benché fia  ferie to net 1500;, mofira che già inclinava al fine il fecole , ed  in confcgutnz.a molto tempo dopo l A di lui morte. DÌCC 1U  oltre, che U Copifia era poco intendenti del Latine -, per.  che vi fi trovano > alcuni errori, che mai fi poffono ’ attribuire a   n illufire Autore.   xxxrn.'    (249J A car. 76. 77. 78 . 79- 80.  c 81. E‘ mentovata da noi all’  annotazione in.   { ajo) La prima di quelle O-  de comincia:   Du&urus aurum nobile per  Mare   Carafve gemmai n avita   fluttibus   Non ante fe cautus mari .  nis   Crederet , & rapidi s pro-  cella 8 cc.   L'altra' ha quello principio:    Pulcher o Sol, qui nitido s dies &'  Das , & idem fubtrahis ,  a eque ter rie   Humidam noSlem *. & pla-  cidam quietone   Riddi: avarie Sic.   (151) Quello Epigramma è  diverfo da un altro dal noftro  i Aurore Grecamente compollo  fopra il mcdcGmo fuo Fonti-  cello di Cricoli , il quale di  fotto regiftriamo tra le fuePoe-  fie non ancora date a luce, al  num* xxxi 1-    I    Digitized by Google     I II    D E L T R I S S I N O.   XXIII. VOLGARIZZAMENTO .dì alcune Ode MQrazio*  Quelle noi non le vedemmo» ma follmente ci  atteniamo .all’autorità del Fontanini {252), e del  •Quadrio (253)1 il primo de'quali dopo avere  regiftrato un libro intitolato: Odi diverfe d' Orario   volganzjzate da Memi nobilitimi ingegni , e raccolte per Giovan-  ni Nar ducei da Perugia : fy Venezia , per Girolamo Polo, 1605.   in 40 foggiugne fubito come fegue. Q*tJH vdga-    fi datori fora XIJ. ai le f andrò Cofanzo , Annibal Caro   Co fimo Mortili , Curzio Gonzaga , Domenico Ve-  nitro, Francefco Veranda, Francefeo Crìftiani , GiovangIOr-    cio Tri «ino, Giulio Cavalcanti,, Marcantonio T ile fio. Sir .    Jorio     (152) Eloquenza Italiana , a alleai»»? di luì ftampate in 5er-  ‘ Car * 5 35 * falla fola autorità del gemo per Pietro Dance dotti I7JX  quale viene riferito quello libro in 8. a car. xxtv. tra le opere  anche nella Biblioteca degliauto- del Vcniero regiftrando anche la  ri Greci e Latini volgarizzati traduzione di alcuneOde dtO-  «nferita nel tomo jcxii. c fegg. hrazio da lui fatta, taluna dice,  » della Raccolta Calogeriana alla di quefte fi trova fiammata in un   yoceOrazio, dovr ai tomoxxiv. I libro, che io mai non ho potuta  3 ° 7 * f' sggiange ; libro avere, e che ha penitelo : Odi  rari fimo , che non ancora abbi*. .diverfe ec. che è il libro da noi  mo avuto incontro di vedere . ; fopraeckato,   E pure grande Tappiamo cffcrc 1 ( 25+ ) Veramente il Signor  ìiata la diligenza del P. Paico- j Anton.Fcdcrigo Seghezzi , di  m, autore di detta Biblioteca, 'chiara memoria, nella Vita del  per ritrovar un tal libro. [Caro per lui dottamente ferir*  V 2 J 3 ) Storia e Ragione dì ta, e premcfTa alle lettere delio  ogni Poefia-, tom. 2. lib. t, Dift ! ftcflfo dell’ultima edizione di  I. cap. vili. Particcl.iv. a car. I Padova, apprejjo Giufeppe Comi*  394. e falla autorità di lui il|m> 1742. in 3. tomo primo,  benemerito delle lettere Sig. Ab. niente dice , che il Caro tra-  1 icr-Antonio Serrani nella Virai dotte aveffe Odi eli Orazio,  di Domenico Venterò , premeffa I    Digitized by Google    uà La Vita   torio Quattr ornarti, e Tiùerio Tarfia. L'altro pòi riferì'  fee medefimamente quefta Traduzione, cd edi-  zione, e i nomi degli fteftì Volgarizzatori.      OPERE   DEL T RISSINO   In Profa non iftampate.   YV IV T\ UE ORAZIONI di Sereniffidee Mente di re.  JL) mrje, ter ifirevere le Ci, ed dir*"™ *>“•   imgoftn riedificazione delle J*e Mora..   XXV. ORAZIONE , ovvero ARINGA ( dettata   in lingua Lombarda) de, e. 2   M*U, ter ridare U D„m‘ * rei d ‘ ^   V,.ni,d di de,,. Terre. Di quella Orazione s e già   favellato a baftanza per entro quella r „. .   XXVI. Breve Trattato ài Architettura, coirai   cune Piante di Edifizj fecondo le regole di Vi-  travio.. Di quello Trattateli, abbiamo fatta meu-  zione nel principio di quefta r,ta IMD*   XXVII. TRATTAT O intorno *1 Mero Arbitrio.   XXVIII- Due lettere latine a Monlignore  Jacopo Sadoleto. XXIX .    (>5J) V. fopra paj- 8. annot. IJ.    Digitized by Google     D EX T RISSINO. :I7$   XXIX. Un Volume di lettere , fcritte a mol-  ti ragguardevoli Perfonaggi del fuo tempo , tra  le quali molte ve n’ha da Soggetti cofpicui, e  da dottiflìmi Letterati fcritte al T RrssINO ; ficco-  me altresì ve ne fono di Principcfle, e di Da-  me illuftri di quel fecoio . Da quello Volume  fono -Hate eftratte dal Signor 'Marchefe Maflfei  quelle , che leggonfi inferite nella iu a Prefazione  alla riftampa delle Opere di Giovangiorgio» nella  •quale egli nomina anche alcuni di que’Soggetti*  2e Lettere de’quali indiritte al T RlS jrN© tro-  vanfi nello ftelfo Volume* e di quelle Lettere-,  tanto llampate, quanto manuferitte , ci fiamo noi  fpezialmente ferviti per compilare quella vita .  Gli Originali di tutte le fuddette opere in Prof a  manuferitte (fuori de\Y Aringa) > e delle feguenti  pur manoferitte in Verfo, fi confervano di prefen-  te apprelfo i mentovati Signori Conti Trilfini  dai vello d'Oro , difeendenti dal nollro Letterato 1  le quali tutte fono Hate con molthTima diligen-  za raccolte, cd unite in due volumi in foglio  dai Signor Abate Don Bartolommeo Zigiot-ti ,  che colla Lolita gentilezza* e benignità -ce ne  •ha data contezza* e ci ha proccurato la como-  dità di vederle.   XXX. Due LETTERE Volgari al molto Reverende  Mejfer Hieronymo di Gualdo Canonico . L’Originale di  quelle Lettere , (le quali purcnon fono tra le fud-  dette)* fi conferva prefentemente nella Libreria   P de    Digitized by Googl    u 4 L A V I T A   tfc’PP, Somafchi della Salute in Venezia, in una  raccolta di lettere di diverfi fcritte ai Co: Co:  Gualdi ; donde anche furono eftratte quelle che  fono ftate pubblicate col titolo di Lettere dPUomini  Jlluflri del Setolo decimo fettimp non fin fiampate ( 2 5 5 • L’  una di quefte due Lettere è fegnata di Roma adi XXII.  dì Aprile MDXVlt; l'altra è fenza data (157)-    OPERE     (356 ) he Venezia, nella li della Madre di Dio a canili.  Stamperia Baglieni, 1744.108. della Prefazione al fuo S. Pier  edizione p roccarata , e di note Grafologo ltampato Venetiis a-  corredata dal più volte nomi- pud Thomam Bettinelli 17$**  nato P. Paitoni. fol. „Ne... ingratiffìmis quibuf-   ( 257 ) La notizia di quefte «quevidearaccenfcndus, illau.  due Lettere ci fu comunicata «datura iri non panar ci. &  dal fuddetto P. Paitoni, a cui „do  ut dr eorum fibi gratiam cónci-  liarit y & magnani apud omnet  auiloritatem .    Digitized by Google    del Trissino; 117   Ìli Italiano ) In Vicenza per T olomeo Janiculo da Brejjfa >   mdxxix. in foglio.   e ( col Dialogo del CafielUno ) In Ferrara   ter Domenico Mammartlli MDLXXXIII. in 8.   e (nella Galleria di Minerva , parte fecon-  da , a car. 3 5 *) InVi inezia preffo Girolamo Albrix.z& > 16 $6.   in foglio;   e finalmente coll* altre fue Opere in j 5 ?   tona (261 ).   H Libro è dedicato da Giovambatifta Dona  a l Cardinal de’ Medici.   Si dubitò per lungo tempo ^ fe Dantè fia ve*  ramente fiato autore del tefto Latino di queft*  Opera, di cui a tempi del Tr. issino niuno v’  era, che ne a vette contezza. Egli fu il primo a  pubblicarla in Firenze, allora quando vi fu con  la Corte di Leone X., come dice il Fontanini,  il quale anche lungamente favella di molte let-  terarie contcfe , alle quali die motivo la pubbli-  cazione del Libro fteflb (252), che finalmente  fu riconofciuto per vera fattura di Dante . Ma  cosi non poniamo noi dice del Volgarizzamen-  to, di cui e fi dubitò, e fi dubita tuttavia, f e  fia del Taissinq: e non oftante che tra le fue   Opere    (a6i) Tom. 2. a car. 141. 1   ( 262 ) V. il Fontanini nell’  Eloquenza lui. dalle car jjy. I  tino alle car. 246. e ndl'Amin-\    ta di Torquato Tajfo difefo ec.  In Venezia 1730. per Stbaftia •  noColeti , in 8. a car. 623. c fegg.    Digitized by Google    r*8 LA VITA   Opere d annoveri , molti letterati vi Tono , i  quali affermano non effere di lui . Tra quefti  fpezialmente v’ha il Cavaliere' Zora, il quale  nel Difcorfo /ofra r- opere del noftro Autore {26$ )>  dopo aver regiftrate le Opere di lui in Profé) dice  di ommetter la verfione de’ libri de vvlgari   ELOQUENTI A di Dante, torchi non li giudica tra-  dotti dal Tri ss ino, nté fatalmente da Lui fatti /lampare',   aggiugnendo, provar egli ciò con buone ragioni  nella «m del me defimo Tjussino da lui fcritta  ( 2 (*$5 ) A car. xj>o. a tergo »   ciò riferito il titolo nella Prefa- ,c feguenti»    Digitized by Googk    DEL T-RIS.SINO. Jljj   ;altro ci fcmbra affai frivola, perciocché moke  altre opere del noftro Autore han tralafciato di  regiftrare quefti Scrittori.) Oltre a ciò dice, che  effendo detta -verfione malamente dettata in Ita-  liana favella, farebbe!! perciò «* affronto patente ai.   la fempre verter abil m (moria del T r i s s i n o , aggravando , . e  sfregiando ing'mfiamente la fua reeognizione , col? attribuirgli un  lavoro male intefo, t malamente tradotto-, facendo anche   offervazione , che non dal T RISSINO , ma da  Giovambatifta Doria, Genovefe, è ftata quella  Traduzione dedicata l’anno 1519. al Cardinale  Ippolito de' Medici, con dirgli nella Dedicato-  ria, che Dante Jiccome ave a ferino f Opera fieffa in Latino  idioma , cosi la trafportaffe nell'Italiano (2 65). Soggjll-   gne di più lo fteffo Signor Cavaliere , che fe  Giova NG ioRGio foffe flato l’Autore di quella ver-  fione, e’ non l’avrebbe poi allegata nel fuo dia-  logo del Gabellano a fua difefa, come fe foffe fia-  ta Opera di penna altrui (257).   Que- *   . - • X \ v '   ^ B   , . .1 M —    ( 266 ) II Fontanini neH’£/e-  quenza Italiana a car. 10A. dif-  fc , eflere ftata la detta veriio-  nc pubblicata dal Trjssino ; c  ’l Muratori nella Prefetta Poe-  fta Italiana tom. prim. a car.  2 3. della edizione di Modena    ( 267 ) Il T r 1 ss 1 ho nell’  accennato Dialogo fa , che Gio.  vanni Rucellai lotto nome di  Caffettano dica ad Arrigo Do-  ria quelle parole: Deh per vo -  fra gentilezza M. irrigo guar-  date un poco nel mio ftudio , e    1706. in 4. fende, che il libro portate qui il Libro della Vol-  De Volgari Eloquenti* trafporta-\gar Eloquenza di Dante tradot-  to in Italiano , fu dato alla Ite- J to in Italiano .  et dal Trissimo. !    Digitized by Google    no L A V I T A   Quelle, ed altre rimili ragioni adduce il Si-  gnor Cavaliere a provare» che il Tlissi no non  fia {lato l’Autore di tale Volgarizzamento i alle  quali aggiugner fé ne può un’altra piò torte,  cioè, che fé egli non ebbe alcun riguardo a  pubblicare, come è detto, in Firenze il tefto  Latino di queft' Opera col nome di Dante, Tuo  vero autore, molto meno l’avrebbe avuto a iar  fapere? che fua propria era la traduzione Italiana*,  e manco avrebbe comportato , che il Doria nella  Dedicatoria al fuddetto Cardinale dieeffe, che  Dante (il quale, fecondo il Tuo dire, l’Opera ftef-  fa in Latino compofe , affinchè intefa [offe dagli Spagniuoì  li, Provenzali, e Pranzo fi) la TRASPORTASSE ancora nel  r.oftro Idioma.   Anche il Fontanini U, con  aggiugnere, che il noftro G io va n Giorgio net  pubblicare quella ver bone; fi f* r ì fervùo de\ fuoìcarat.   t tri Greci, perchè da lui creduti migliori per Pefprejfione perfet-  ta di noftra Italiana favella .   Con quelle ragioni, e con altre, che ommet-  tiamo a motivo di brevità, foltengono i predet-  ti Scrittori, non elfer del nollro Autore la fud-  detta verdone; e ’1 Signor Marcitele Maflfei fe la  fece (lampare, come abbiam detto, tra l’ altre  lue Opere, non però di meno non dice» elfer  cflà fattura di lui. Comunque fi fia, abbiamo  giudicato miglior cofa elfere e non porla tra le  Opere da lui fenza dubbio compolle, e non  tralafciare affatto di regillrarla , sì perchè va at-  torno col nome di lui» e sì ancora perchè avvi  qualche fcrittore> che la cita come di lui fattu-  ra (271).   XXXVII. R ERUM ricent irtarnm Compendiane a Io.  Georgio Trusjno confcriptum . In fine leggonfi quelle  parole : Ha* fìrhfi t*fi dtpepulationtmUrUt Rome, dum Le.  lattee tram apud Remp. renet am prò Clemente rii. P.M. Que-  llo Componimento non è mai flato Rampato 5 cd   una    ( 270 ) rita del Tr I s* 1 n o fima» ed utilidìma Stor. e Re.  manuferìt. a car. 294. a tergo, gion. d'ognì Paef. Tom. I. lib.   ( 271 ) VeggaG il Qua dr   nè da niuno certamente fi sa, dove effe fi tro-  vino di prefentev e non oftante che abbiano  detto i predetti Tommafini, e Beni, che allora   fi con-    (*76) V. fopra a car. jr. f { 179 ) Trattar, dell' Orig.  ( 377 ) Prefazione alle Opere * ec. tib. a. manoferitto a car.  tc. z ar. xxxi. jj.   (178) Elegia &c. a car. (180 ) Difcorfo ec. a car. 44»»    Digitized by Coogle     DEL TRISSINO. ;i2,y  fi conferva vano preflfo i fuoi credi (28O? pure  quivi certamente non fono. Anche il Doni vera-  mente ne regiftrò il titolo fenza più nella seconda lì.  ireria ( 2.8ì )* ma con quella differenza? che T  ultima d’efle Opere fu da lui chiamata Frontefpi-  xio delle clone. E benché nel principio di quella  fua Opera ^284) dica il Doni di aver mejfo infie-  mt tutti i Cicalai tri da sé veduti a ferma, de’quali 11 C  aveva avuta notizia j e benché foggiunga? che  di tali litri etmfofii (e regiftrati in detta fua Libre-  ria, fochi c’credeva fodero per elfere ftampati»  con con ciò fofle colachè erano libri rari , e inma.   no di per fané , thè non li voleane dar fuori , mapiuttofio ardergli :   nondimeno ci accordiamo volentieriflìmo colla  opinione del Sig* Marchefe Maffei (183 ) intorno  a tali Opere? cioè che non fi fono vedute mai ; ma che   iono Hate alcune per equivoco , altre ridicolmente intitolate.   E crediamo parimente, che lo fteflfo fi debba  dire d’un altra Opera dal medefimo Doni (185),   e dal    (281) Tommafin. loog. eie- ! ( 18 j ) Nella Lettera , die egli   jQfud Comitcs T rijfnos iffius i' colla fua lolita bizzarria intito-  Fi are ics affervantur : La Bafe la A coloro che non leggono , a  del Chrifiianoì ec.Beni Trattar. car. io. eli.  fc. lQ0g.cit.L4 Bafe del Chri- 1 {'184) Prefazione alle Opere   Jtianoec.con altre Operette ferie. 1 ec. a car. xxx 1.  te in prò fa, fono in Caf a de fuoi' (285) In un altra Opera, io   Utrcdi. cui regiftra le Opere ftampatc   (282 ) La Seconda Libreria ài Autori Volgari , intitolata.'  del Doni ec. Jn Vincgia 5 jj. La Libreria del Doni Fiorenti.  in 8. a car. 91. i no , nella quale fono ferini cut -   ti ili    Digitized by Google    I2 c dove ftampata  47 -»-? 4 -   Meliini ( Giovanni) pittor cele-  bre non fece il Ritratto del  Trillino. 64. effo Ritratto  premefTo a quella noftra Ope-  ra perchè adornato di quat-  tro differenti corone poetiche  107. fua morte 6J.   Bembo (Pietro Cardinale,) lo-  dato 4. ». 4. fue EpiftoU do-  ve Rampate 23. ».40. citate  24. «.41 due di effe fcritte  a nome di Leone X. riferite  a 3. e feg. fcrivc regole di  noftra lingua 69. fa autore  il Trifsino del verfo fciolto  88.». 17 6. fue Rime pubblicate  per opera del Sig. Ab.Sertaf-  fi citate 102. ». 225. rifponde  nellemedefimedefinenzea un  5onerto del Trifsino. 103.  c feg-   Beni ( Paolo ) fi crede autore  di certo libro. 3. ». 2. filo  Trat-    Digitized by Google     Favola delle Cofie Notabili. 12.9    T ruttata del? Origine della  Famiglia T rijfino dove Ram-  pato . ivi. iua erronea opi-  nione incorno al Trillino 6. e  intorno all’ ifcrizione dclfuo  palazzo nella villa di Cticoli  io. nora di malevolo ilGio-  vio 4*. n. So. fa il Trillino  autore di «ree opere . 51. ».  xoi. 1 1 J.a fegg. fina al fine .  lo fa fepolto pel Depofuo  del L afe ari 59. n. 114. parla  con lode di Bianca feconda  moglie del Trillino 48. ».  95. citato 4. ia. ». 23. 23.  w.41.   Benrivoglio( Ippolita ) a lei c  indirizzata un’ Ode latina  dal Trillino 115.   Bergamini ( Antonio ) imitò  .con poca lode la manieradi  Ceri vere tifata dal Trillino •    Bragia ( Marco ) , Con Agli e  dell’ Accademia Olimpica vi  mette un SoRituto ». 28.48.  Buonaccorfi . Vedi Montemagna.   c   C Arco trote, a ( Demetrio ) fu  macftro del Trillino nel-  la Greca letteratura. 4. dopo  morte gli è dal medefimo e-  retto un Depofico con Epita-  fio in Milano ivi. lodato dal-  lo RefTo nel fuo poema dell*  Italia Liberata . 6. ». io.  Calogeri ( P. D. Angelo ) lodato  per la fua Raccoltad'Opufcoli  Scientifici , cc.lll.e / allog.  già nel Palazzo del Tri di no  nella Villa di Cricoli * e  quando . 12. ». 23. fatto  Cardinale * e poi Papa col  nome di Ufbano VII. ivi .  Suo Bullo in pierra colloca-  to in detto palazzo con ifcri-  zione, e quale, ivi.   Cartellano , uno degli interlo-  cutori del Caflellano del Tuf-  fino , chi Ha ? t perche così  detto 70. • ‘    Cavalcanti ( Bartolommeo )fu®  Giudizio /opra la C anace cc.  dove ftampato 52. «.103.   ( Giulio ) fuo volga-  rizzamento d' alcune Ode d*  Orazio, tu.   Centanni/) ( Valerio ) fuo curio-  fo Sonetto al Trinino , rife-  rito 40. ». 7J.   Checozzi (Canonico Giovanni)  illuftta un luogo- del Poema  delle Api di Giovanni Ru*  celiai, a difefa del Trillino -  51. rat 01. chiama pio e ca/ti-  gato il Trinino 93. ». I9T.   Chiapino ( Paolo ) Vedi Bar-  bar ano .   C biffi ezio l GiovanjaCopo ) (nell*  Infatti* &c. Antuerpix ex  officina Plantinian* 1632. in  4. ) -non mette tra’Cavalieri del  Tofon d Oro il Trinino 4J.  e fegg. ». 88.   Cindli (Giovanni) Vedi Raf-   ie.   Ciria{ Gìufeppe Maria) Tua Ode  latina in lode del Tuffino ,  ri-    Digitized by Googl     I    Tavola delle Cofe Notabili .   •*.#*** -H   CUt^ntt vi' Papa . Vedi &A D y 0 'J?%tfix doic^ftLpata  ledici antt t ,cn .' - f :i te _   CoRoza, Villaggio deiscenti- , arre poetica - J »* « £lo ,   ' A m famo'o Covolo vie- Ilo latino de   c.^1uon a «I"f |i 11-1   breria Brtffiann love Rampa- »o. * 4- da cbi .Btoccurateiw. «•»**•   Coment* j dove Rampati }4-| e /^' , . pentiluomo   ir. 6o. fa il T tiffino il primo, Dw-tfo ( Ermolao U Martbcfa di !   Mantova ringrazia il TrifTi- 1  no per certa Canzone man  datale . 29. e feg. lo invita  a fe , e perchè . ivi. efaltata nei  Ritratti del Trillino. 39. »  50. lettera a lei fcritta dallo  ftclTo , citata 87. ». 174.   F   F arnese ( Duca Ottavio ) a  lui viene indirizzato un  Sonetto dal Tuffino, c dóve  fi legga. 102.   * — ( Rannuccio Cardinale )  grande amico del Tuffino, j j.  icrive allo fieflb una lettera  d’ ordine di Paolo HI. ivi ».  108. dal Tuffino gli è dedi-  cata la Commedia de’ Simu-  limi. io 6. Sonetto dal Trif-i  no a lui dove fi legga 55.  ». 109.   fioretti (Benedetto) V. Nifieli  (Udcno).   Firenzuola ( Agnolo ) fuo Dif-  (acciamente cc. dove Rampa- !    to 35. e feg. feri ve contro a!  Tuffino . ivi. e 37. ». 67.  lo taccia di ufurpatore . 36. e  fg. n.6j. quanto falfamcntc .  ivi. fcriffe piuttofto per giuo-  co, che daddovero. 36. ». 66.  è citato nell’ Ercolano del  Varchi ivi . citato 68*   Fontane delia Villa di Cricoli  lodate dal Triffino con lati-  na poefia. ito. e con un c-  pigr .mma Greco ivi ». 251.   Fontattini ( Monfignor Giulio)  fuo libro dell' Eloquenza Ita-  liana dove, Rampato 35.» 64-  Efami fopra d'effa ftampati 86.  ». 173. cenfurato giuftamentc  dal Si g. Marchcfe Mattici. 43.  »j 84. difefo da ccnfura dello  lìdio 46. ». 88. chiama Novell   10 Cadmo, e Cadmo Italiano •   11 Trillino 39. giudica in-  venzione di lui 1’ ufare la Z,  in vece del T. ivi. fuoi sba-  gli. 69. ». 129. 71. e feg. 83.  e f e ii- 9i- »• 183. critica V Da-  lia Liberata 93. non viene  confermata la fua ccnfura dal  Catalogo della Libreria Cap-  poni ivi. ». i9i. riprende il  Marchefe Ma Aci 94. « 1s2.il  quale gli rifponde ivi. Vol-  garizzamento d’ Orazio da lui  riferito , dubbiofatnente da noi  riportato . ni. Aminta del  7 affo da lui difefo ion le  Offervazietti d' un Accademi-  co Fiorentino dove Rampato  li 7. ». 262. luogo ambiguo  di quell' Opera lai. ». z6g.  fua oppimene circa il iraduc-  tor del Libro de Volgari Elo.  quentia di Dante. 120. e feg.   Fortunio (Francefco) feri ve re-  gole di nollta lingua. 69.   Fracafioro ( Girolamo) amicif-  fimo    Digitized by Google     1    Tavola delle Cofe Notabili. 1$;   fimo di Giovambatifta della loda la Sofonùba ivi . la bi*.   Torre. 10S. ». 24.3. fimaS9. come gli rifpondail   Francefco I. Re di Francia , è Malici ivi. critica/’ balia li-   fatto prigione dell’armi dell* berata 94. nell’ Orbecchc la au-   Imperator Carlo V. e ’1 fuo torc il Trillino delle Trage-   cfcrcito feonfitto. 40. gedic ferine in Italiano 7 9.   Erancefì, feonfitti dall’ armi di come pure del verfo fciolto   Carlo V. Imperatore , c cac. 88. ». 17 6. fua lettera dove   ciati d’Italia, ivi. fi legga ivi , citato 90. ».   Franti ( Adriano) V. T t tornei. 182.   ( Lilio-Gregorio ) fu con-   G difcepolo del Trillino nel-   lo Audio delie lettere Greche.   G aza (Teodoro ) nominato 4* ne fa menzione in certo   con lode nell* Italia lite- \ fuo Latino poema . ivi. ». 4.  rata 6. ». io. ! Giulio II. Pontefice , fua mor-   Gemi/lb ( Giorgio) nominato al- ! te quando fucceduta 13.   tresi con lode nella Refluivi. 1 G abbi ( Agoftino ) fua Scelta  Ghilini ( Girolamo ) (nel fuo' ài Sonetti cc. dove publicji-  Teatro d'Uomini letterati. Ve-\ t» 100. ». aij. 106. ». 137,  nezJa perii G aerigli 1627. 4-) ; Gonzaga ( Curzio ) fua tradu-  non regiftra tra le Opere deli zione d’alcuncOde d’Orazio,   Trillino il Volgarizzamento j citata ni.  di Dante de Fulgori Eloqucn~ j ti Gragnuola (Prete Francefco)  tia. 118. j fu il primo maeftro del Tril-   Gilafco Eutelidenfe . Vedi Lue- j fino. 3. lettera a lui fcritto  le. , | dalTriffino ove fi legga ivi.   Giorgi ( Monfig. Gio: Domcni- { citata 13. ». 26. ai. ». 37.43   co ) Compilator del Calalo- 1 ». 83. 46. ».8p. 47. v.93.   go della Libreria- Capponi . Gravina ( Vicenzio ) fua Ka >   Vedi Capponi. , ' ' I adone Poetica dove ftampata   Giorgio (Gio: Lorenzo) Noda-| 93* »• 191. in efla loda il   ro Veneziano 52. » 101. Trillino itti, fa grande ftima   Giornale de’ Letterati d’Italia del di lui poema dell’ Ita-  ccnfura il Cafoni 101. «.228. 1 Un Liberata. 97.  non decide fc alcuni Soneui Gritti ( Andrea ) Doge di Ve-  fieno del Triffinoio4. 9.231.) nezia , quando vi tulle elcr-  lo fa bensì autore dell' in- 1 to . 30. gli è recitata in tal  venzionc del verfo fciolto occaltone un’Orazione con-  82. n. 167. gratulatoria dal Trilfino a   Gìovio (Paolo) tacciato di ma- nome della città di Vicenza,  levolo da Paolo Beni, c per- 31. citata 67 . 73 e feg.76. fua  che . 42- ». 80 gli è fcritto morte quando feguita 30.  un Sonetto dal Triffino. 102. »-JJ. dove fepolto , e con   Giraldi (Gio: Battila ) fuoi Dif- qual Epitafio ivi.  cerji dove Campati 7S. ». tj8- Grato (Luigi) fuprannominat»   i Cie.   Digitized by Google     1 3 Tavoli, delle   Cieco. £ Adria , filo grotto  sbaglio . 58. ». in.   Gualdo (.Girolamo) due lettere  dal Tuffino aldi' fcriue » ove.  liano - 11 3. e feg..-   - ( Paolo ) fua Vita- di   Andrea Palladio dove fi leg-  ga 9. n.19.   — . . Lettere Originali a’ Guai*  di dove fi. confcrvino- IV}-  e feg.   Guarirti ( Guarino ) Vcronefc 5  fcriflc colè gramaricali io lin-  gua Latina. 7J.   Guicciardini- ( Franccfco ) fuoi  Quattro libri della fua Storia  ( nott pia fiammati.. Venezia  ftr Gabriel Giolito 1564. 4.) 1  ciati 41. ». 78.   Guidetti. ( Franccfco ) fua rcla-  zioae a Benedetto. Varchi ,   . ccnfurata. 83..   H   • . .   I ! .   H a y m (-• Nicola- Franccfco )  fua Biblioteca Italiana do-  vei Rampata 71. ». 13?*   I   , ' , *** **S‘ ( • » .» .   I liingo , o fia confonante ,  trovato dal Trillino > e ab-  bracciato dagli Scrittori an.  che Fiorentini. 39. ». 73  Jjenicol» ( Tolommeo ) folito  Rampato» del Trinino .lai.  Imperiali ( Giovanni )' fuo Mu-  faum Hifioricum dove Ram-  pato . 6 . ». 11. dove il fuo  Mufaum Phyficum 8. ». 17-  fua erronea opinione intorno  ai primi Rudj. del Triffino.6.  e intorno ad Andrea Palla,  dio . 8., loda il. Tuffino .  éj. ». lift. c il di lui poema    Co fé Notabili.   deli Italia Liberata . 98. ci-  tato- 29. *.4S*. $4- »• bt. 4**'   ». 78 42- «.80.62.»; 117. 118..   Ingegneri ( Angelo ). fua Opera  della Poe fia Rapprefentativa  ec. dove Rampata 78.». 157-  loda la Sofonùba. del Tuf-  fino.. *»»•   licrizione al Sepolcro del Cal-  condila 5*   — dell’Accademia Triffina  attorno alla porta del Pa-  lazzo del Tuffino inCri-  coli io., a che fine vi. fotte  collocala .   . al BuRo di Vrbano Vil-  la. »•»?••   — «1 sepolcro di Andrea   Gritti Doge. 30. ». J3-   — al Sepolcro del T tifiino  da lui fòrmatafi , ma non.  metta in ufo» e perchè. 56..   , altra, in forma diElogioéi-   IL   L ascari ( Giovanni) nominar-  lo con lode nell Italia /*-  barata ». io. ove fia. fqr-  polto. 59. »• 114-  àttere di XIII - Uomini illit~-  ftri dove Rampate n. ». 23.   d' Uomini Illuftri dei Se.   colo XVII. dove» per cui ope.  ra pubblicate» c donde cavan-  te XM* »• Z S 6,   Libreria Arobrofiana 52^ ». io».-  108. »• 14*- iij.   - Bertoliana di Vicenza 3.  ». a. chi nc è. Bibliotecario  ivi .   — dei Nobili Uomini Pi-  fanj in Venezia ; conferva  la prima edizione rariffima  della Italia liberata da’ Goti -  PI..   de’    Digitized by Google     T avola delle Co/e Notabili. 13 '   de’PP.Somafchi della Sa* I Maffei ( MarChefe Scipione ) >b*    Iute di Venezia, confervava  un MS.-de'Trifftni, ed uno  del Beni originale7. ». 1 5. con •  fervagli originali di . olcilfi-   • me Lettere fcrittc a’Gualdi   .114. '• j   - dei detti PP. di SS. Fi-  lippo , e Jacop > di Vicenza  conferva 1” Aringa MS. del  Triffino 47. n.91. e una era-  dazione in latino . MS. del-  la Sofoniiba78. «.157. Vedi  C Apponi . Colando . Plutoni .  Rude. Zeno ( Apportelo ).  Lombardelli (t'razio ) lettera di  Torquato Taffo a lui fcritra   • dove fi legga 96. n 101  Lombardi (P.Giroiamo ) Gefui-   ta, citato 59. n. 114.  Loredana \ Leonardo ) Doge di  Venezia. Lettera del Ponrefi-  . ce Leone X. a lui ferina , -e  prefen taragli dal Trifòrio, rife-  rita. 24.   Leone X. Papa. Vedi de' Medi,  ci (Giovanni).   M   M acchiaveui (Faufto) Ac-  cademico Olimpico , in.  xerviehc a un Configlio. della  fua Accademia . 28. ». 48.  Madrucci ( Criftofano ) Card ni.  Vcfcovo , Principe di Trento,  introduce a Carlo V. un mef-  fo dei Triffino. 54. lettere a  lui feriteci citate ivi 1 06. al  lui c raccomandato Ciro 1  Triffino da 'Gioan.Giorgio  fuo Padre. 54.   Mairi (Vicentino^ due Epi-  grammi latini fatti dal Ttif- 1  fino, per la mòrte di lai do-,  • ve fi leggano no.    dizione delle Opere del Trif.  fino da lui procurata, pre-  mefiòvi un Riftretto della  Vita dello fteffo, citata 111.  3. 8. ». 14. 12. ». 24. 30. ».  51. e feg. 33. ». 57. 37- 41*  «..78. 44.».87. 54.». 106.55.  ». 107. 67. ». lai. 68. ».  123. 69. ». 131. 7c. e fegg.  74. e feg. 77. 87. ». 174*  89. ». 181, 91‘ 99 • e fegg.  1103. 106. ».»35- e 237.107.  e fegg. 113,117. 123. »•> 74*  x»4-».-S77. 1 25. foftiene, che  il Trillino valeffc nella Filo-  fofia Platonica e Pitagorica 8.  ». i^enore nel fuddetto Ri-  ftrettodi luicommcflb 12. ».  24. fuo Teatro Italiano ci.  tato 26 . ». 45. 79» c feg. n.  161.89.». 180. più volte ftam.  paro 77. loda la Sofonisba.  26. ». 47. 7 9. 99. la difende  dalle altrui cenlure 89- loda  la Gramat iebetta del Triffi-  no 69. e la Italia liberata 96.  ». 203. e la invenzione dc’nuo.  vi caratteri 38, fua falla cp-  pinionc intorno 1’ ufo che ne  avrebbe fatto il Triffino . VI.  la fa autore del verfo fciòL  to8l. lo difende dalCrefcim-  beni per una nuova maniera  di Canzoni da lui ufata 106.  interpreta fi ni Riamente un  dettodcl Fontanini 46. ». 88.  lo ccnfura giufiamente 43.  ». 84. cenfurato da lui fc ne  Tifcnte 94. fuo E fame fatto  all* Eloquenza Italiana dello  fteflo dove Rampato 44. ». 84.  4 6. ». 88. '94- »• 192. fue Offer.  vazMtni letterarie dose ftam*  pare 44. ». 84. lodato 77. ».  154. afferma non efierdi Tor-  qua~    Digitizcd by '    joogle   i    I J/j Tavola delle Co fe Notabili.    quato Taflb certa Commedia  che è ftampata col nome di  lui 107. Vedi 7 'ajfo (Torqua-  to ) . prova non effer del  Triflìno certa opera Latina  123. nè certe altre ridicole  compolmoni 125.   dn Malgrado (Vincenzio) a lui  fcrive il Trillino una lettera  4. ». 5.   Mattiti ( Domenico Maria ) fuo  detto cenfurato 39. lue Lezioni  dove (lampare, ivi. n.72.   Mattux.it} ( Paolo ) fua lettera a  Bernardino Parremo riferirà.  11. ». 13.   Marana( Andrea) imita con po  ca lode la maniera dì fcrive.  re ufata dalTriffino. 3». ».  73 -   Martelli ( Lodovica ) fcrive  contro al Trillino in propo-  sto de Tuoi nuovi caratteri.  35. fuo deteo coytrctto. ivi.  ». «4.   Martintngo (Chiara) madre di  Luigi Trillino primo marito  di Bianca feconda moglie di  Giovan-Giorgio. 48. «.95.   Martiri ( Jacopo ) fua Jfioria  di ricetta, dove ftampata z6.  ». 4".   Maj]tmiiiatto , Imperatore, ono-  ra il TrifGiro. 16. fi crede ,  gli abbia conceduto il Vello ef  Oro . ivi . non gli falcia pro-  fdguir Certo viaggio 18. lo  rimanda fuo amb afe Latore a  Papa Leone X. ivi . fua let-  tera latina al detto Pontefi-  ce . 1 9'.»?-»47._fuo  Specimen varia litttrattcra dó-  ve ftampato. ivi.   ' R   R aoona ( Alfonfo) Accade-  mico Olimpie o. Vedi An-  gioiello . •   Rapido (Jovita) fua Orazione  accennata 109. menzionato da  più autori . iviy ». 24.7. fu  Lettore di Umanità in Vi-  cenza ivi. vicn chiamato Ra    Cofe Notabili.   vizza dal Cozzando . ivi .   Rccoaro, villaggio del Viccnti-  no.Vedi Comuni diRccoaro ec.   Ridolfi ( Cardinal Niccolò ) ,  Vcfcovo di Vicenza, eletto  dal Trillino per uno de'Com-  miffari del fuo teftamenco .  J6. gli fono dedicate dallo  Aedo le fuc Rime 101. Can-  zone del Trillino in di lui  lode, accennata . 106.   Roma, Taccheggiata a’ tempi del  Trifsino. 42. ». 78. 85.   Rojp ( Niccolò ) fuoi Difcorfi  interno alla Tragedia dove  ftampati 2j. ». 44. citati 45.  »• 88. loda la Sofonisba del  Trifsino. 2J. 7S.   Rucellai ^Giovanni) fuo Poema  dell ' sìpi quando ftampato 51.  ». 101* io elfo loda il Trif-  fino. 8. ». 14. volea fotte ri-  veduto da lui prima di darlo in  luce. 51. e 124. cosi le fuc  tragedie dell' Ore/?*, e della  Rofmunda 123. e feg. luogo  ofeuro di detto Poema dell'  Api illuftrato dal Signor Ca-  nonico Giovanni Checozzi  51. ». 101. è grande amico del  Trifsino 17. rifponde a una  lettera di lui ivi. dove efta  rifpofta fi legga ivi . ». 34.   f*i. è Caftellanodi Caftel  S- Angelo 50. * e con que-  llo nome c uno degl’ inter-  locutori dell’ Opera del Tuf-  fino , che per ciò s’ intitola  il Cafiellano. 70. a lui è in-  titolato il Poema dell’ Api.  V. Rucellai ( Palla ). la fua Rau  fmunda non piace affatto al  Varchi 88. corretta dal Trif-  sino 123. e feg. fua morte jo.  lodato dal Salvini 98. citato  2J. ». 43. 87. ». 174.   $ % ( Pai-    Digit ized by Google    •- . V    140 1“ avola delle Cefe Notabili»   — — ( Palla) dedica al Trillino li |   poema delle Api di Giovanni 1 S   filo fratello, c quando 51.». '   101. 87. lo fa autore del ver- qabellico ( Marc’Antonio) lo-  fio fciolto 87. O dò in un fuo poemetto la   £uele (P. Mariano) Carmclita- Villa Cricoli , c quale 12.  no, fua Stanzia aggiunta al- 23.   la Biblioteca Colante di Gio Sadoleto ( Jacopo ) gli fono  vanni Cinclli, dove Rampata fcritte due lettere latine dal  $7' c f e t' n ' in. regiftra alcune Trifsino. iti.  compofizioni dei Trifsino non Salviati ( Cardinale Giovanni )  più Rampate ivi . e 1 1 o. fa meta- prefenta al Papa una Canzo-  zione di J ovita Rapido 109. ne del Trifsino 31. fua lette.  ». 247. ra al Trifsino , riferita. 32.   Ruderi ( P. D. Francefco ) Soma- n. 57. gli manda un Breve dà   feo . Sua 7 'ratina cc. dove Clemente VII. ivi .   Rampata 4. rt.’j. da chi fatta Salvini ( Anton-Maria) citato  Rampare 59. ». 114. accenna Vili. 38. loda il Poema dell’   T alloggio d’Vrbano VII. nel Italia liberata 98. e feg. e P   Palazzo di Crico/i 12. ». 23. Api del Kucellai, e la Col-   vuole che Carlo V. f»cefle tivazione dell* Alamanni ivi.   Conte, e Cavaliere il Tri fsi- fu c Profs To/cane dove ftanv   no 43. e quando 44. ». 86. paté 34. ». 61. 38. «.70.   quanto in quello egli s’ in- Sannazzaro (Jacopo ) uno de-  ganni 55. ». 106. loda il gl lnterlocutori del CaJleUa-  Trifsino 6 J. e la fua Poeti. no del Trifsino 71.  ca 73. «.145. e la fua Coni- Sanfevcrina ( Margherita Pia) a  media Ì07. ». 239. accenna lei è dedicata un’Opera del  aver il Trifsino icritti Infe- Trifsino 67.  gnamenti Rettorici 116. ». Sanfovino ( Francefco ) edizio-  260. come debba!! intendere ne della fua raccolta di Orat-  ivi. zioni di diverfi Uomini Ulte-   Bufcelli ( Girolamo ) loda P /tri divifa in due parti, cita-   invenzione de’nuov! caratte- ta 31. ». J$. fa volte più   ri del Trinino , c del Tolo- volte pubblicata 74. ». 147.  mci.38. «.68. fua raccolradi in e da ha luogo un’Orazio-  Lettere di Principi , ec. cita- ne del Trifsino, e quale ivi .  ta . 42. ». 78. nelle Rime Sajp (Giufeppc Antonio) loda-  pcr lui raccolte lì trovano to 108. Je. 243.   delle compofizioni del Trif- Savorgrtano (Giulio). una lette-  fino . 103. fuc note al Fu. radilui a Marco Tiene ftabi-  riofii dcH’Arioflo, citate ivi. | lifcc l’anno della morte del   Trifsino. j8. «.113.  Scaligeri (Mattino, e Antonio)  in qual tempo vi veliero. 71.  Scamozzi (Vincenzio) chiarif-  fimo     Digitized by Google    4      Tavola delle   fimo Architetto . io. ». «.  difcepolo del Palladio ivi . di  che non ne fa menzione nei  Tuoi libri ivi.   Schio ( Girolamo ) Configliere  dell’ Accademia Olimpica, a  chi foftituito 28. ». 48. . Ve-  di Angiolello .   — — Terra del del Vicentino,  manda Oratori a Venezia a  a chiedere un fattizio Ve-  neziano in Rettore in vece  del Vicario Vicentino . 49,  difefo da Baftian Venicro Gen-  tiluomo Veneziano. 50. per.  de in tutto, e per tutto, ivi.   degli Scolari ( Franccfco). Ve-  di Bcccanuoli .   Scotto (Franccfco) nd fuo hi.  nerarium ec. parla dtlh Acca-  demiaTriflìna. m. ». 22. Ve-  di da Cap ugnano.   Stghezii ( Anton-Federico ) fcri-  ve la Vita di Annibai Caro  in. ». 274. dove flampata  ivi. non regiftra tra le Òpe-  re di lui alcuna traduzione  dell’ Odi d’ Orazio . ivi. fu a  edizione delle lettere diBcrnar-  do Taffo, citata 88. «.178.   Serra# ( PìcriAmoqiQjjpubbli.  ca le Rime del Bembo io».  ». 21J. e quelle de’ Venie»  ledendo la Vita di Domeni-  co, HI. ». 2 JJ.    Co fé Notabili . I4I   Speroni ( Sperone ) Sue Opere  dove ftampatc.. 52. ». 103.  Giudizio fopra la fra Canate  da chi comporto , vedi Cavai,  canti ( Bartolotnmeo ) .   da Somacampagna ( Gidino )  primo Scrittoredc 11 arte Poe-  tica, in Italiano. 72. inqual  tempo viveffe. ivi.   Statuto Vicentino citato 50. *,  97- ' feSS-   Strozzi (Filippo) uno degli In-  terlocutori nel Cartellano . 70.   Sub a f ano . Vedi degli Aroma-  tari.   T   T Asso ( Bernardo ) edizione  delle Tue lettere ( proccurara  da Anton-Federico Seghezzi )  citata 88. ». 176. 95. ». 198.  99. ». aia. loda 1 ’ Italia li-  berata. 97. ». 204.   " (Torquato) fue Lettere  dove ftampate . 73.». 144. 96.  ». 200. lodala Poetica del T tif.  fino 7j. edizione della Aia  Gerufrlemme citata 87. e frg.  ». 176. edizione di altre fuc  Opere 96. ». aot. loda i’ Ita.  ,, Ha liberata . 96. non è Au-  rore ( feconde il Sign. Mar-  ohefe Maffci (a) ) della Com-  media ("intitolata gl' Jtrichid'  -S } Amo-    (a.) Facendo però il Taffo menzione di certa Commedia, che andava lavo-  rande in, Tua Lettera a Giovambaiti'fta T.icinio, la quale fi legge a car.  iff. del Libro intitolato: Lettere del Sig. Torquato Tuffo, non più ftam .  fate ec. Bologna. por Bartelomto Cocchi 1616. 4. quand’anche non fia  egli l'autore della Commedia degl' Intrichi d" Amore , di che per forti  ragioni (e ne moftra.anzi dubb>ofo, che no, l’autore della Prefazione  alla nobiiillìma edizione dell’-Qprrr di Torquato Tuffo in Firenze per li  Tariini e Franehi 1714. iti VI. Volumi m fol. viene a renderli affai  vacillante la decisiva temenza del Signor Marcitele , cioè non avere il  Taffo compofte Commedie.    Digitized by Google    14 *. Tavola delle Cofe Notabili.   Amore) febbene porta il fuo ne X. H. n. 31. vuole che il  nome 107. fno Amine» da • Tri /Tino foffe fatto- Conte ,  chi difcfo, vedi Font /mìni. t Cavaliere da Carlo V.  T»rji» (Tiberio) fuo volgnrìz- 43. fua cfpreflìone dubbio-  zamento d’ alcune Ode d'Ora- fa. 48.». 95. riferifce unepì.  zio citato uà. gramtna del Triffìno. 57. ».   di Ttmfo (Antonio) fcrifle in rii. non fa menzione del  ItalianodcH’ Arte Poetica. 7a. Volgarizzamento dell’ Elo.   c quando ivi. quenza di Dante fatto dal   T ibride » ( Antonio ) fua Lettera Trillino 118. attribuifee al   dìfcnfìvAi citata ( della qua* Trillino molte Opere non   le fi tiene eflcre Autore il mai vedute. 124. loda laSo-  Sig. Arciprete Girolamo Ba- fonisba 98. afferma effere fta-  ruffaldì ) 98. ». 1 io. ta rapprefentata con grande   Tiene ( Giovanna) prima mo. apparato per comandamento   glie del Trillino . 12. fua di Leone X. 25. ». 47. «itato   morte ivi . 12. ». 26. ij. ». » 9. 42. »..   ( Leonardo ) Accademico 80. 98.   Olimpico * foflnuifcc ano » della Torri ( Giova rrbattifta )  che intervenga a fuo no- fua mone pianta dal Tri/fì-   me a un configlio dell’ Ac- no . 108. ». 243. fu amico di   cademia. 28.0.48. citato 29. Girolamo Fracaftoro. ivi.   0. ifteffa. ; j T rape futi z.io (Giorgio ) noroina-   — ( Marco ) .. Vedi Saver- 1 to con lode nell Italia libe-  &»»no* ! rata. 6. ». io.   Tilefio ( Marcantonio) fuo voi- Triffina Famiglia. Sua antichi-  garizzamento d' alcune Ode tà, e nobiltà. 1. divifa in più  d’ Orazio citato ni. linee. ivi. Autori, chen’han-   Tolomci (Claudio) fcrive con- no fcritto . 3; ». 2. Alberi  tra il Trillino in- propofito tre di quella Famiglia alle»   dei nuovi caratteri fotto no- g«*i . 48. ». 9 J. i difecndenti   me di ^idriono -f ranci fuo della linea di GioVan-Giorgio   alfabeto > e caratteri da lui inveititi delle Decime di ai-   trovati . 37. ». 67. citato 38. cune Ville del Vicentino. 14.  »• 69. 1 fan lite per rifcuotetle con-   Tomafini ( Monfig. Jacopo Fi- tro ai Comuni d’effe Ville.,  lippo) fuoi E log. yirar. Lit - ivi. vengono loro confifca-   ter. t ir fafitnt. Jlluftr. do- te effe Decime , e perchè . 1 j..   ve ftampati . 1 1 J. ». ». 1. fu pofledono l’ Opere manofcric-  il primo a parlar a lungo te del detto GiotGiorgio.nj.  del Trinino . 111 . lo fa ftu- Trijftno ( Co: Aleffandro) lodato,  diofiffìmo dell’ Architettura . Vedi la noftra Dedicatoria .  8 .». 16. accenna l’alloggio di — — . (Alvifej primo mari.  Urbano VII. nei Palazzo di to di Bianca Triflino . 48.   Cricoli. ta. ». 23. regiftra un quando abbia fatto il fuo Te.   franamento di lettera di Leo» fomento , ivi. ». 96.   , Co: An.    Digitized by Google ]    7 avola delle Ceft Nut abili. 143    __ . (Co; Antonio ) Iodato  48. ». 9 j. e 96.   (Bartolommeo) Padre di  Alvife, primo marito di Bian-  ca feconda moglie di Giovan- J  Giorgio. 48. ». 9j.   — — (Bianca) feconda Moglie  di Giovan Giorgio, fuoi ge-  nitori 47. e 48. ». 9 fua  dote . ivi . fuo primo Marito  chi folle ivi. di fomma bel-  lezza. ivi. detta V Eleva del-  la fua età. ivi. di lei parla  il Beccanuoli , e dove. 47.».  194- f“o Teftamento. 51. ».  102. da chi rogato 52.». 102.  lodata da Giovan-Giorgio 70.  — - (Bonifacio ) confervava  on MS. appartenente alla Fa-  miglia Triflina. j. n.tj.   *— • (Ciro) figliuolo di Gio-  van Giorgio Trillino . 49.  ammalato. 53. , e feg. porta  allTmpcrator Carlo V. gli ul-  timi diciotto libri dell’Italia  liberata di fuo Padre. 44. ».  8 < 5 . 54. raccomandato da Gio-  van-Giorgio al Cardinal Ma-  drucci. ivi.    — — LEranccfco ) figliuolo di  Gì ovan-Giofgto^aaoti^io va-  ne. za.    (Galeazzo), fuo sbaglio  intorno a Giovan-Giorgio  Trinino. 6 . ». zj. fuo trac-)  tato della fua Famiglia, cita-  to. ivi. e h. 18.   ( Gafpare ) padre di Gio-  van Giorgio Trifsino. 2. mi-  lita a fue fpefe per la Repub-  blica di Venezia . ivi. fua mor-  te. 3.   — fP.D. Gafpare Somafco)  traduce in metro latino la j  Sofonisba di Giovan-Giorgio !  Trifsmo. 77. h.ijj. dove fi    cenfervi. ivi. fi lamenta con  Scipione Errico, per aver que-  lli criticato l 'Italia liberata  93. una lettera di lui dove fi  legga . ivi . riempie alcuni va-  ni d’ un’ Egloga latina di  effo Giovan Giorgio. 109.  — (Giovan-Giorgio) non  llabilifce fempre nello fteffo  anno la fua nafeita. 2. ». 1.  nominato nell’ ulpi del Ru.  celiai. 8. ». 14. fuo Sonetto  riferito, e in qual occafione  fatto. 41. ». 7 6. fu creato  da Mafsimiliano, c daCarlo  V. Conte, e Cavaliere , ma  non del Tofon d’ Oro con  altri privilegj. 43. c feg. ».  86. quando. 54. ». 106. altro  fiso Sonetto riferito . 53.  ». 104. quanti anni abbia fpc-  fi nell' Italia liberata . 53.  e feg. ». 106. Suo Epi-  gramma latino riferito 5 7. ».  in. fatto Brcfciano erronea-  mente dal Cieco d’ Adria. 58.  ». ilteffa. La fua Italia libe-  rata è chiamata erroneamen-  te dallo Hello Italia il latra-  ta. ivi . da una iferizionc  Sepolcrale riferita, appare ef-  fe re flato Nunzio per le iali-  ne di Chiazza, e per la refti-  tuzione di Verona, diche in  altri luoghi non ne abbiamo  trovata memoria. 6 1. ». 116.  Catalogo delle fue Opere ftam.  paté, e MS. tanto in Profa,  quanto in Vc.tlo.67 . , e fegg.  la fua Italia liberata, come  e quando Rampata. 53. e feg.  90. ». 183. di quanti libri  compofta. ivi . errori in que-  llo dclFontaniai , e del Com-  pilatore del Catalogo della Li-  breria Capponi, ivi. ia pri-  mi    Digitized by Google    14 4 Tavola delle  ma volta ftampata per Privi-  legio di Papa Paolo IV. 94.  w. 192. fi tentò vetfione del-  la fiefia in ottava rima. 98. ».  210. le lue Rime dedicate non  al Cardinal Ridotti , ma a Leo-  ne X. 101. lue Opere ad altri  attribuite, cioè lette Sonetti  a' BuonaccorfiJ. 101. -e feg.  uno a Guittone d' Arezzo  ioj. ed una Canzone all’  Ariofto ivi . fuo Ritratto in-  tagliato dal Sign. Franccfco  Zucchi perchè adornato 'di  quattro CoroncPoetiche 107.  fila Opera imperfetta da chi  compiuta. 108. e feg.   — ( Giulio ) figliuolo di   Giovan-Giorgio -natogli dal-  la prima moglie. 12. lette-  ra di fuo Padre a lui , cita-  ta. 43. ». gì. ja. ». 103. fu  Cameriere di Clemente Vii.  13. ». 26. poi Arciprete della  Cattedrale di Vicenza, ivi.  litiga contra il Padre, e per-  chè 49. cui fa ftaggire le ren-  dite . 55. viene da lui di-  fendalo . 5^. vince la lite con  tro di lui. ivi.   ——( Niccolò ) Padre di Bian-  ca , feconda moglie di Gio-  van-Giorgio . 47. , e feg. ».   95-   ( Olindro ) pubblica un'   Opera del P. Rugeri, c qua-  le. }9.«.ii4. dove facciafc-  polto Giovan-Giorgio . ivi.   ■■ ( Co: ParmcMiotie ) Bi-   bliotecario delia Bere oliana di  Vicenza. 3.». 2. confcrvaco-  pia del Volgarizzamento di  certa Genealogia di fua Fami-  glia 7. n.i 3. Vedi la Dedica-  toria .7   — ~ (Pompeo) Nipote diGio-    Cofe Notabili.   van-Giorgio fece in un cogli  alrri fuoi affini fcolpirc un  Elogio allo Zio , e dove  60. , c feg. lo Beffo Elogio  riferito. 61.   T r inizio (Ccfare) a lui manda  il Trillino il fuo Cartellano  forco il nome di Arrigo Do-  na . 70. fua morte pianta in  un’ Egloga da Giov.n-Gior-  gio^ xo8-   V   V Consonante , invenzione  del Trillino , abbracciata  dalla Crufca 39. ». 7}.  Faccari (Tommafo) avea traf-  pottato in . ottava rima un  Canto dell’ Italia liberata 99.  ». 2 io.   Val d.’Agno. Vedi Comuni di  Recoaro cc.   Fate» ararla (Piero) va col Tuf-  fino a Venezia Orator per  la Patria. 31. ». 54- 4 9 -  Farchi ( Benedetto ) edizione  -del fuo Ercolano citata. 3 6.  ». 66. afferma c!- e il Firenzuola  fende contro il Trifsino per  giuoco, ivi . loda la Sofo-  nisba. 79. la biafima . 88.  fue Legioni) dove ftampate  79. ». 159. loda l’ Italia libe-  rata. 97. , e feg. no» decide  la quertione circa l’ invento-  re del verfo ftiolto-82. feg. mal  intefo dal Fontanini 83. ».  170. edizione de’ fuoi Sonet.  ti , citata 100. «.a 14. Sonet-  to al Tri (Tino riferito ivi.  loda Jovita Rapido 109. •»•  247. citato 90. ». 182.  F'ewimi (Bartiano) Nobile Vene-  ziano , avvoca in Venezia a fa-  vor della Comunità di Schio  con-    Tavola delle Cofe Notabili. 145   contro Vicenza , e perde . I  50. I Z   «— ' ( Domenico ) tuo Vol-  garizzamento di alcune Ode rvr In cambio del T da chi,  di Orazio citato ut. fue Ri- j / j e come fi cominciò ad ufa-  »< da chi pubblicate ivi. n. 1 re 40.   253. \ Zaccaria ( P. Francefilo- Anto-   Verità ( Girolamo) Sonetto ai nio)Gefuira, fua StoriaLet-  lui foriero dal Trillino, ove) teraria, dove ftampata9i. »•  fi legga roi. I 184. fa 1 * Elogio di Appofto-   Verlati ( Caterina ) madre di; lo Zeno ivi .   Bianca , feconda moglie del ' Zeno ( Apposolo ) ritratta la  Trillino 47. e feg. n.9^. fua Vita del Trijftno inferi.   Vicenza, perchè detta Primoge- ta nella Galleria di Miner -   vita della Repubblica di Ve- va I. e feg. fue Lettere dove   nczia 14. n. 27. quando fi fia Rampate II. 40. ». 73. citate   donata alla flefla ivi. manda Vii. 98. c feg- «.210. fquarci   Oratori di congratulazione al j di lettere ferine all’Autore   Doge Andrea Gritti , e chi 30. j di quella vita II 4 6. ». 88. co*   e feg. «. 54. c ne invia contrai munica all’ Autore varie noti-  la Comunità di Schio 49. do- zie per telTtrc quella Vita 7. ».   ve manda un Vicario a go- ! 13. 19. «.36. 40. «.75. 41.».   vernarla ivi . è fatta piena | 7 6. j8. WI12. donde l’abbia   giuftizia alle fue pretefe 50. J eflratte 7. ». 13. fuo sbaglio   conlerifce al Trillino varie 48. ». 95. lodato L 39. «.73.   dignità, e quali . ivi. 38. ». 112. 91. ». 1S4. fua   Vigna ( Dottor D. Franccfco ) fue | Libreria a chi donata ivi.   Differì azioni promeffe Vili. | fua morte quando feguitam.   (a ) . fuo Preliminare dove lodato dal P. Zaccaria con   Rampato ivi. I lungo elogio, ivi . non tcn-   Volpi (Giovan-Antonio) lettera) ne, che il Trillino folle piti  a loi fctitja dal Sign. Cano- j per ufare i caratteri da lui  nico Checozzì iir-tèifcfa del' inventati VII. non tenne per  Trillino , dove fi legga 51. 1 fattura del Trillino certa ope-  ri. ioi. | ra latina 123. citato 82. ».   — ( Giovan-Antonio (il fo j 168. Vedi Giornale de’ Let-  praccennato)eGaetano fratelli) I rerati d’Italia, (del quale cf.  furono i primi a idear una edi- clfedone egli il principale un-  zione di rottele Opere delTrif- tore con ragione a lui fi at-  fino U. u feg. 108. «.242. Io- 1 ttibuifee tuttociò, che inef-  xo ( Ifcrvazionc erudita fopra j fo fi contiene).   il titolo d’ un’ Egloga del Trif- ; ( P. D. Pier. Caterino So,   fino m. | mafeo) lodato II. 7. «.13.   Vrbano VII. Vedi Cafiagna. j Zigiof ti (Abb. D. Bnrtolommeo)   1 cfamina P Archivio de’ Co:  Trilfini 2. ». 1. conferva co-    Digitized by Google     (    14 # Tavola delle   pia del volgarizzamento di  certa Genealogia della fami-  glia Triflina 7. ». 13. lede un’  Opera delle Memorie del Tea   tra Olimpico di Vicenza 26.  «.46. citato 58. ». 113. rac.  coglie tutte le Opere MS. del  Trifsino 113. lodato ivi.   ZorzÀ ( Cavaliere Michelange-  lo ) fuo Ragguaglio Jjlonco  intorno al Trifsino MS. ci-  tato IV. fuo Difcorfo intorno  alle Opere dello Kctfo , do.  ve fi fcgga III. 67. ». tao.  citato 103 ». 228. nominato  con lode del P. Ruelc , c  dove 58. ». in. fuoi sbagli  6 5. 91. ». 183. difende il  Trillino per l’invenzione de'  nuovi caratteri 68 . loda la  Sofonisba 90. numera le cen-  . fare fatte alle opere del Tri f.  fino» e dove 96* ». 1 99- at-    Cofe Notabili .   rribuilce certa Opera al Tril-  lino ufi- ». 259. fua opinio-  ne circa alcuni Sonetti, at-  tribuiti a’ Iluonaccorfi 104.  non vuole il Trifsino Auto,  re del Volgarizzamento dell’  Eloquenza volgare di Dame  118. e fegg. nò d’ un’ altra  Opera latina 123. lo crede  bensì Autore di certe Ope-  re , che mai non fi fono ve-  dute ivi. ». 275. 124. ». 280.    Zucchetta ( Bernardo ) ftampa-  torc quando cominciò a pub-  blicare Opere dai fuoi torch)  86 .   Zucchi ( Bartolommeo) fua Idea  del Segretario ,ec. dove ftam-  ta 11. »• 23.   _____ ( Franccfco ) intaglia il  Ritratto del Trifsino premef-  fo a quella Vita 107.    il Fine della Tavola Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro. Oro. Keywords: la riforma della lingua italiana, filosofia del linguaggio, Alighieri, lingua e linguaggio, codice di comunicazione, il parlare umano, il parlare solo umano, la prima lingua, la parlata dei genovesi, la filosofia del linguaggio in Alighieri, l’eloquenza, la filosofia del linguagio, only man speaks. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trissino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Orrontio: la ragione conversazionale e la scuola di Roma – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A senator and follower of Plotino – cited by Porfirio.

 

Grice ed Orsi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia fascista – filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palma di Montechiaro). Filosofo italiano. Grice: “Orsi uses ‘psicologia speculativa’ where I would use ‘psicologia filosofica,’ since speculativa opposes to prattica, rather!” --Allievo di Ottaviano, insegna a Catania. Pubblica nella sua attività di ricerca scritti minori di autori italiani  e il saggio “Gl’hegeliani di Napoli.” Cura l'edizione dell'opera di Ottaviano su Campailla; “La psicologia filosofica di Spaventa” – e stato nella segreteria della rivista “Sophia”. Altri saggi: “Lo spirito come atto puro,” “La filosofia moderna,” “L'uomo al bivio: immanentismo o cristianesimo? Saggio di realismo esistenziale, “Antropologia”; “Psiche e meta-fisica” “Psicologia speculativa” “Sulla psico-patia”. Grice: “The D’Orsi – and indeed a Domenico D’Orsi, back in the 1700s, are a very noble family in Sicily. D’Orsi is associated with “Sophia”, founded by Ottaviano. His interests have been many and varied – but most notably philosophical psychology, which the Italians call ‘psicologia speculativa’ as opposed to cheap scientific psychology. They have the great Spaventa, who philosophized on the most abstract issues concerning the old Roman idea of an ‘animo’. Compared to what Ryle’s and Watson’s psychological behaviourism is a no-no-no!” D’Orsi has philosophized on democracy. I democratici can be ingenuii, as I prefer them, or critici. He has also ‘cured’ the edition of Ottaviano on Campailla, and went continental to study Napoli!” Grice: “Orsi has done a lot to allow us to understand Spaventa. As most Italians, Spaventa was fascinated by the Hun, and cared to trasnalte a book that the Hun never cared to read: Lotze’s Elementi di psicologia speculativa. I can imagine Spaventa wondering what he was doing, bringing Lotze’s ‘seele’ as ‘animo’. The ‘elements’ by Lotze, as translated by Spaventa, are elementary enough – but the section on the ‘soul/body’ (anima/corpo), ‘animo/corpo, corpo animato, corpo inanimate) is interesting. But far more interesting is Orsi’s unearthing Spaventa’s “Psiche e metafisica” – not to be confused with LABRIOLA’s essay by the same name. This is a hodge podge of reflections. But mainly anti-materialistic. While an emergentist, Spaventa (as discovered by Orsi) struggles to understand the connection between ‘sentire’ and ‘sentito’ and more generally, between the ‘sentire’ as a processo fisiologico – Spaventa goes on to distinguish three levels of the ‘sentire’ – the first is the processo fisiologico itself, the second is what Spaventa, as unearthed by Orsi, calls the ‘unita distintiva del sentito’, and the third is the ‘unita reflessiva del sentito’ or ‘raprresentazione’. So if you feel cold, there’s cold qua processo fisiologico of a ‘corpo animato’ – ‘uninanimated bodies cannot FEEL cold’ – second there is the unity of COLDNESS as distinctive from say, HEAT. And third there is the concetto ‘’freddo’ – so that there is a ‘unita reflessiva del sentito’ – the expression ‘freddo’ now NAMES or represents, or stands for the sensation itself. Domenico D’Orsi. Orsi. Keywords: animo, amore, Ottaviano, Campailla, Spaventa, gl’hegeliani di Napoli, Sophia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Orsi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Ortensio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher.

 

Grice ed Ortes – la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del verso -- filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Venezia). Filosofo italiano. Grice: “Being English, I was often confronted with that very ‘silly’ song by Cleese and Idle, but then they were never the first! Which is good, since they are Cambridge and Ortes is Oxonian! Viva La Fenice!”. Considerato uno dei più dotati tra i filosofi veneti settecenteschi, precursore nell'analizzare dal punto di vista della produzione complessiva alcuni aspetti come popolazione e consumo. La sua impostazione filosofica si fonda su un rigoroso razionalismo. Nel mercantilismo vide far gran confusione fra moneta e ricchezza. Fu un sostenitore del libero scambio pur con alcune restrizioni della proprietà che interessavano il clero, anche se appartenevano al passato ed è considerato per questo un anticipatore di Malthus, ma con qualche contraddizione. Malthus prevede l'aumento della popolazione, in trenta anni, in modo esponenziale, quindi molto di più dell'aumento delle sussistenze. Altre saggi: “Grandi, abate camaldolese, matematico dello Studio Pisano, Venezia, Pasquali, “ Dell'economia nazionale” (Venezia); “Sulla religione e sul governo dei popoli” (Venezia); “Saggio della filosofia degli antichi” -- esposto in versi per musica (Venezia); “Dei fedecommessi a famiglie e chiese,” Venezia, “Riflessioni sulla popolazione delle nazioni per rapporto all'economia nazionale: errori popolari intorno all'economia nazionale e al governo delle nazioni” (Milano, Ricciardi), Donati (Genova, San Marco dei Giustiniani). Catalano, Dizionario Letterario Bompiani. Milano, Bompiani, Citazionio su Treccani L'Enciclopedia. Quanto i suoi studi matematici influissero sul suo metodo economico, vedremo; qui, brevemente, come in fluissero sulle sue considerazioni filosofiche. Così, scrive egli delle opinioni ed ecco si studia di ridurre a “Calcolo sopra il valore delle opinioni e sopra i piaceri e i dolori della vita umana”, Venezia, Pasquali, ristampato dal Custodi, degli ECON. MOD. FILOSOFIA IN FORMULE MATEMATICHE numero determinato il valore dell'opinione, che alcun gode, per possedere certa qualità che lo pone innanzi agli altri nella scelta degli oggetti piacevoli. Questa buona opi nione nasce o dai natali,come la nobiltà,la patria ecc., o dallaprofessione,come la milizia, le lettere ecc.,o da qualche prerogativa, come dall'autorità, dal merito ecc. Ciascun uomo fornito di alcuna di queste qualità gode di qualche cosa che non godrebbe se ne fosse privo. Ortes si studia di determinare il valore di questi beni recati dall'opinione. Valga un esempio. Se si chiede quanto aggiunga di valore alla nobiltà l'opinione della stessa, O. ragiona così: postoche larenditagiorna liera di tutte le famiglie nobili sia 20,000, quella che proviene da cariche, magistrature, commende ecc. 3,300, quella che vien data dall'opinione,cioè coll'autorità di disporre di più posti, e colla riputazione dei grandi sul volgo, a 700, posto che il numero di tutti i nobili sia 10,000, il valore di tutta la nobiltà sarebbe espresso da 20,000 + 3,300 + 700 = 2. Falo stessocoin 10,000 puto per le altre opinioni,di cui dice esser pretesto la virtù, ma vero fine l’interesse proprio, poichè, dipendendo il valore delle opinioni dalla ricchezza attuale o possibile, è manifesto che si deve prima d'ogni altra cosa cercare l'utile proprio. Avverte che v'ha sempre un'opinione predominante che varia col variare dei secoli: ai tempi di ROMA libera e la conquista; sotto OTTAVIANO illusso; il platonismo ai tempi di Costantino; l'investitura ai tempi di Gregorio VII; le lettere sotto Leon X ; finalmente l’ozio a tempi dell'autore! Strana è questa classificazione,  PIACERI E DOLORI. tuttavia 1?O. mostra come il pretesto della virtù coprisse basse mire di privato interesse. Lo stesso ozio ha il suo pretesto dell'ordine, benchè sia figlio di vana alterigia. L'uomo che dee servire a molte di queste opinioni sarà più civile, ma più timido e finto; chiapoche; sarà più rozzo, ma anche più sicuro e più libero. E come O. si studia di ridurre a calcolo le opinioni, così parimenti i piaceri e i dolori. Meno originale e meno astruso è O. in questo saggio. Con molta inesattezza di idee e di lingua, espone da principio la dottrina che tutto ciòche è conforme alla conservazione e sviluppo del nostro essere, genera piacere; il contrario, dolore. Parla dei dolori e piaceri del senso, dei dolori e piaceri dell'opinione. Mostra l'uomo naturalmente soggetto al dolore, e che il piacere non è che un sollievo del dolore; con ragionamento curioso studiasi mostrare che il piacere non può mai superare il dolore, perchè il piacere essendo preceduto, secondo O., dal dolore, sopito che questo sia, tutto quel di più di piacere che si volesse applicare generera dolore contrario -- come l'indigestione dopo la fame cessata, la stanchezza dopo la danza ecc.  Il calcolo del piacere e dei dolori dipende dal grado della elasticità delle fibre onde alcuno è fornito, e, quanto ai piaceri e dolori d'opinione, dalla stima che ciascuno fa degli stessi. L'autore non pretende a novità di dottrina, professa di avere scritto secondo la propria esperienza, con un temperamento indolente é coi suoi sensi in un'età di mezzo.Vedrem poi com’egli stesso ne abbia dato un giudizio severo. Due altre opere filosofiche si hanno di O.: un   ragionamento delle scienze utili e delle dilettevoli per rapporto alla felicità umana; —  e riflessioni sugl’oggetti apprensibili, sui costumi e sulle cognizioni umane per rapporto alle lingue. Ma si può dispensarsi dal tener dietro a questi discorsi, che, a dir vero, son pesantissimi. In sostanza l'uno si riduce a mostrare l'ufficio delle umane facoltà nella scienza e nelle arti belle, anche queste intitolandole scienze ma dilettevoli, in contrapposto delle altre che chiama scienze utili. Nelle scienze tiene il campo l'intelletto, nelle arti belle l'imaginazione. Quelle hanno per oggetto il vero com'è, queste il vero ma elaborato dalla fantasia. Quindi discorresi in quali termini sia concesso il lavoro dell'imaginazione e concludesi sul tenore dell'epigrafe: Sol la scienza del ver giova ed alletta. L'altro ebbe occasione dalla traduzione di Pope, perchè volendo ragionare delle difficoltà del tradurre, si trova così accresciuta in mano la materia, che piuttosto d’un proemio s’appiglia a farne un saggio a sè. In fatto prende la cosa da alto, e filosofeggia sulla varietà reale degli oggetti e sulla varietà nel modo di rappresentarseli, onde s'apre l'adito a discorrere delle lingue e delle loro diversità, quindi intorno l'uso della parola, e particolarmente intorno all'eloquenza. Infine ritorna donde era partito, e conclude che se il traduttore può benissimo esporre le verità apprese da altra lingua, non potrà tuttavia produrne tale impressione negli animi, come ne è prodotta dall'originale, se non facendo sene come nuovo autore, esprimendole cioè inmodo; tip. Pasquali. SUL MODO DI TRADURRE. Non si può negare che osservazioni argute si tro vino spesso in O. anche in queste riflessioni sugli oggetti apprensibili, sui costumi, e sulle cognizioni umane per rapporto alle lingue; ma pur troppo è d'uopo cercarsele in una lettura assai noiosa. Qualche volta dà risalto a quell'idea che vedremo poi sua prediletta in economia, che cioè quello solo riesca ove siavi la pubblica persuasione, non già ove questa non corrispondaagliimpulsi; e però egregiamente dice, che allora un ammiraglio potea condurre gli’inglesi in  America, come un tempo un romito potea condurli in Soria, perchè gl’inglesi stessi voleano e avean voluto così. Qualche volta, faticosamente sì, ma pur si conduce a qualche sentenza netta e perspicua, come, p. es., dopo  GOLDONI, COLTURA ALLAMODA, PUB. OPINIONE. Adatto all'indolee ai pregi della propria  lingua. Chi volesse calcare l'autore straniero sarebbe come chi cre desse ricopiare un ritratto con soprapporvi isuoi colori, coprendone così e confondendone letinte,ecangiando il quadro in un mascherone o in un empiastro. necessità invece che gli scrittori s'accordino sempre col carattere nazionale de'lettori; e qui O. osserva, che il miglior poeta comico italiano de'suoi tempi potea bensi starsene in Francia per passar quivi meglio i suoi giorni, ma non giammai perchè il suo talento comico fosse così ben rilevato nella lingua francese a Parigi, come il e già in Venezia nel dialetto suo veneziano. Qualche volta sembrerebbe anche gaio,come quando si lagna che, temendosi la fatica dello studio, si trascurassero le cognizioni vere, contentandosi di dizionari, giornali, compendi o altri repertori per dilettare, divertire, o come diceano, per amuseare! È  USO DELLA PAROLA PEI GOVERNI avere deplorato che il mondo governisi da chi più ciarla , non da chi più sa, egli conclude: se chi pretende governar altri senza render ragione del suo governo, e uomo assai vano; il sarebbe non men certamente chi pretende governarli per sola copia ed eleganza di voci. Qualche volta infine dimostrasi d'animo aperto e sollecito per le innovazioni. Qui cade a proposito, così egli, d'avvertire l'errore di quelli che si figurano di richiamar nelle nazioni la verità e la ragione comune, cioè gli interessi comuni, pubblici, universali in contrapposto ai particolari, privati, speciali) perquantovi sifosse smarrita, col rinovar quelle leggi che ne prescrivevano le modificazioni a'tempi de'loro bisavoli, progetto al tutto assurdo e impossibile. La verità e la ragione comune potrà ben richiamarsi per leggi, per quanto a'tempi trasandati fosse stata più riconosciuta per sè stessa in quei costumi, di quel che il sia ai tempi presenti per costumi che la modificassero in contrario di sè medesima; giacchè essa in sè stessa è una sola di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Ma il richiamarla al presente per le sue modificazioni antiche, quando tali modificazioni debbon ad ogni tempo esser diverse, non può essere che una miseria di mente, per cui si creda la natura non più capace d'invenzioni in sua natura, di quel che siasi un po vero consigliere segreto che creda operar in sua rece. Chi declama contro i nuovi costumi che si vanno in troducendo, e deplora gli usati che si van disusando; ha molta ragione se inuovi costumi son modificazioni di una ragion men comune, di quel che siano gl’usati che a quelli dan luogo. Ma seinuovicostumi son » tanto buone modificazioni della comun ragione, quanto gli usati che siperdono; ei declama inutilmente, come se ciò fosse contro il variar de venti, essendo l’una e l'altra cosa quanto innocente, tanto inevitabile e necessaria, e potendo, anzi dovendo, quella comun ragione, per disposizione di natura e per sapienza illimitata del supremo suo artefice, praticarsi sempre per modificazioni diverse, e comparire in sembianze ché non siano giammai le stesse, essendo nondimeno la stessa per sè medesima. Senza questo una simile verità o ragione correrebbe rischio di non esercitarsi che per inganno; ed è ancor vero che talvolta con richiamare la verità, la ragione, e la religione stessa per le sole loro modificazioni esterne di tempi molto remoti, si riesce a perdere tutto il senso reale ed interno di queste virtù, incariabili per sè stesse, riducendole a quelle materiali loro modificazioni esterne, senza alcun rapporto a quell interno lor senso e significato. Si pigli intanto O. in parola, poichè avrem campo di trovarlo in seguito così reluttante a certe modificazioni che non sembra quel desso. Meglio avremo occasione di riandare alcuni suoi pensieri dello stesso libro, che con certo apparato filosofico mettono innanzi quell'armonia degli interessi, da lui tanto raccomandata nelle sue opere economiche. Ma lasciamo per ora queste meditazioni di filosofia.  Errori popolari intorno all'economia nazionale considerati sulle presenti controversie fra i laici e i chierici in ordine al possedimento dei beni, 1771 ;  Della Economia nazionale, parte prima, libri sei, 1774;  Lettere concernenti la stessa (oltre quelle che si hanno nel  • Custodi, quelle publicatesi in questo libro);  Dei fedecommessi a famiglie, a chiese e luoghi pii, in proposito del termine di manimorte introdotto a questi ultimi tempi nella econ. naz., 1784;  Lettere in proposito;Riflessioni sulla popolazione delle nazioni per rapporto alla econ. naz., 1790;  Dell' ingerenza del governo nell'econ. naz., publicato da  G. Fovel. Venezia, 1863, tip. del Commercio ;  Della eguaglianza delle ricchezze e della povertà nel comune delle nazioni, 1853, publicato dal Cicogna. Portogruaro;  Riflessioni sulle rendite del Principato e sulle rendite publiche in proposito di economia nazionale; Discorso sull' economia nazionale; Popolazione perchè non cresca per l'agricoltura, per le arti e pel commercio; Vari pensieri economici sull' interesse del denaro, etc. Tra gli scritti d'Ortes nella Marciana.  LETTERARI.  Traduzione del saggio di Pope sull'uomo, 1771 ;  Saggio della filosofia degli antichi esposto in versi per musica, 1757 ;  Riflessioni sopra i drammi per musica e l'azione dramma-tica, Calisso spergiura, 1757 ;  Sonetti; Melodrammi; Traduzione dei treni di Geremia (nella Marciana); dei sonetti, ve n'ha anche di publicati in raccolte.  FILOSOFICI.  Delle scienze utili e delle dilettevoli per rapporto alla felicità  umana, 1785 ;  Calcolò sopra il valore delle opinioni, e sopra i piaceri e i dolori della vita umana, 1757;  Riflessioni sugli oggetti apprensibili, sui costumi e sulle cognizioni umane per rapporto alle lingue — 1775; Lettere relative;  Calcolo de' vizi e delle virtù (nella Marciana).  ATTINENTI A MATEMATICA E FISICA.  Vita del P. Grandl, 1764 ;  Calcolo sopra i giuochi della bassetta e del faraone, con un estratto di lettera sul lotto publico in Venezia, 1757 ;Calcolo sopra la verità della Storia; post 1815, Venezia;  Sulla probabilità di vincite o perdite nel giuoco delle carte;  Problemi geometrico-matematici; ed altri di matematica e fisica (nella Marciana). Parmi che molte sien cose scolastiche; in ogni modo, non da trascurarsi per gli storici delle scienze fisiche e matematiche nel secolo scorso.  RELIGIOSI.  Della religione e del governo dei popoli per rapporto agli spiriti bizzarri e increduli de' tempi presenti, 1780; Lettere di estratto;  Della confessione fra i cattolici; Delle differenze della Religione cattolica da tutte le altre (nella Marciana).  POLITICI.  Dell'autorità di persuasione e di forza fra loro divise;  Della scienza e dell'arte politica; tutti due publicati dal  Cicogna. Portogruaro, 1853.  Inoltre lettere, in parte stampate, in parte inedite presso il Cicogna, e le memorie autobiografiche, publicatesi dal Cicogna.  Ometto gli scritti, che il Cicogna indica solo come accennati da altri; e ometto pure alcuni scritti, che il Cicogna indica nella Marciana, ma che in parte sono manifestamente cose scolastiche, in parte mi sembrano ricordi sceltisi dall' Ortes per suo studio, senza che si possano sicuramente dir cose sue, in parte son cose del momento.  L'anno che ho aggiunto qui sopra dei vari scritti, è l'anno della prima publicazione. Del resto non importa aggiungere se non l'osservazione, che volendosi ripublicare scritti dell'Ortes, converrebbe far collazione delle edizioni coi manoscritti, che servirebbero a correggerle e completarle.Gianmaria Ortes. Ortes. Keywords: verso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ortes” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Ostiliano: la ragione converazionale e il portico romano -- la filosofia romana sotto il principato di Vespasiano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A follower of the Portico. His claim to fame is that Vespasiano (si veda) banishes him from Rome. Ostilliano.

 

Grice ed Otranto: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Otranto). Filosofo italiano. Grice: “Otranto wrote a tractatus ‘de arte laxeuterii,’ which is an art of ‘divination,’ as when we say that smoke divinates fire!” -- Grice: “Had Otranto not written ‘scritti filosofici’ we wouldn’t call him a philosopher!” – Filosofo. Sull'infanzia e sulla formazione poco è noto. Non si sa dove oggiorna e studia, né chi siano stati i suoi maestri. La sua filosofia, però, lascia immaginare una formazione molto solida. Insegna a Casole. Tradusse la liturgia di Basilio ed altri testi liturgici per volontà del vescovo. Le sue competenze linguistiche gli valeno inoltre degli incarichi diplomatici. Interprete al seguito dei legati papali Benedetto, cardinale di Santa Susanna, e Galvani. E a Nicea al seguito del re Federico di Svevia. Saggi: “L'arte dello scalpello”, con una raccolta di testi geo-mantici ed astrologici; traduzioni di testi liturgici; “Dialogo contro i giudei”; Tre monografie o syntagmata “Contro i Latini” -- su questioni dottrinali significative nella polemica fra cattolici ed ortodossi (quali la processione dello spirito santo o il pane azzimo); un'appendice ai tre syntagmata; lettere e frammenti di  lettere;.  J Hoeck-R.J. Loenertz, Nikolaos-Nektarios von O. Abt von Casole. Beiträge zur Geschichte der ost-westlichen Beziehungen unter Innozenz III. und Friedrich II., Ettal. M. Chronz: Νεκταρίου, ηγουμένου μονής Κασούλων (Νικολάου Υδρουντινού): « Διάλεξις κατά Ιουδαίων». Κριτική έκδοση. Athena,  L. Hoffmann: Der anti-jüdische Dialog Kata Iudaion des Nikolaos-Nektarios von O.. Universitätsbibliothek Mainz, Mainz, Univ., Diss., Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Homosexuality in a textual gap in what was going on in Italian Byzantine convents under Roman rules. Longobards being raped, or raping Greek monks. Nicola Nettario d’Otranto. Otranto. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Otranto” – The Swimming-Pool Library. Grice ed Otranto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.

 

Grice ed Ottaviano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nel secolo d’oro della filosofia romana sotto il principato d’Ottaviano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. il primo principe. Historia augusta, scritta d’Ottaviano. His philosophical teachers are well known. The education of a prince. O. lascia alla sua morte un dettagliato resoconto delle sue opere: le Res Gestae Divi Augusti. Svetonio in particolare racconta che una volta morto, lascia tre rotoli, che contenevano:  il primo, disposizioni per il suo funerale, il secondo, un riassunto delle opere, da incidere su tavole in bronzo e da collocare davanti al suo mausoleo, il terzo: la situazione dell'Impero. Quanti soldati sono sotto le armi e dove erano dislocati, quanto denaro era nell'aerarium e quanto nelle casse imperiali, oltre alle imposte pubbliche. Il testo dell'opera è tramandato da un'iscrizione in latino. E incisa sulle pareti del tempio, dedicato alla città di Roma e ad O., situato ad Ancyra -- l'odierna Ankara, la capitale della Turchia -- e pertanto è stata denominata Monumentum Ancyranum. Altre copie, molte delle quali sono giunte frammentarie, dovevano essere incise sulle pareti dei templi a lui dedicati.  In uno stile volutamente stringato e senza concessioni all'abbellimento letterario, Augusto riportava gli onori che gli erano stati via via conferiti dal Senato e dal popolo romano per i servizi da lui resi; le elargizioni e i benefici concessi con il suo patrimonio personale allo Stato, ai veterani di guerra e alla plebe; i giochi e le rappresentazioni dati a sue spese; infine gli atti da lui compiuti in pace e in guerra.  Il documento non menziona il nome dei nemici e neppure quello di qualche membro della sua famiglia, con l'eccezione dei successori designati: Marco Vipsanio Agrippa, Gaio Cesare e Lucio Cesare, oltre al futuro imperatore Tiberio. O. e totus politicus, fin dall'adolescenza. Forse lo rivendica egli stesso nelle sue memorie. L'unico frammento di una certa ampiezza in cui leggiamo esattamente le sue parole racconta di lui men che diciannovenne alle prese con una imprevista e imprevedibile circostanza esterna, prontamente messa a frutto in termini politici. Si tratta di un miracolo ed egli capì subito che anda capitalizzato. Durante i giochi da lui organizzati in memoria di GIULIO (si veda) Cesare, in un momento di massima incertezza politica, tra liberatori perplessi e cesariani frastornati - apparve una cometa e rimase visibile per ben VII giorni. Il fenomeno fa molta impressione. «l volgo – scrive O. nelle sue memorie - credette -- “vulgus credidit -- che quella stella significa che l'anima di Cesare e stata accolta tra gli dei immortali. Usando tale pretesto (quo nomine) feci subito (mox) aggiungere quel simbolo al busto di GIULIO Cesare che fa consacrare nel foro. Il brano è citato da PLINIO nella Naturalis Historia, il quale commenta. Queste furono le sue parole, destinate al pubblico, ma una gioia intima gli suggere che quella stella era NATA PER LUI e che lui nasce in essa. L'episodio ha avuto una eco imponente nella letteratura poetica e storiografica, coeva e successiva. La formale decisione del Senato romano - che stabili essere GIULIO Cesare ‘divino’ - ha luogo. Divus lulins. In tal modo O. diventa ope legis, figlio di Dio, Divi filius. C'è chi pensa che già in concomitanza con la conquista a mano armata del consolato, O. ottene tale prezioso riconoscimento. Ma di fatto le premesse O. le aveva poste con l'operazione «cometa», alla quale del resto si richiama una vasta tradizione superstite: da Seneca a Svetonio a Plutarco a Dione Cassio. Ma al benefico astrum Caesariso fa già riferimento VIRGILIO, e ormai rinfrancato, nell'Ecloga. La carriera d’O. e incominciata già l'anno prima, quando, neanche allora in ottima salute, aveva raggiunto GIULIO Cesare in Ispagna per esser presente all'ultima durissima lotta contro i pompeiani, culminata nella battaglia, fino all'ultimo incerta, di Munda. Difficile stabilire se GIULIO Cesare lo avesse già allora notato, se Azia - madre di O. - abbia attratto l'attenzione di GIULIO Cesare su di lui, se O. forza la situazione superando le esitazioni materne. Quanto ci sia di riscrittura post eventum e quanto invece di autenticamente vero in questo passaggio, che i biografi cortigiani d’O. esaltano come premonitore, forse non si potrà mai accertare. In ogni caso spicca la capacità dimostrata da GIULIO Cesare di scegliere un successore. In politica non accade quasi mai. I capi carismatici hanno, oltre che l'idea della propria indispensabilità, anche la certezza della propria superiorità. Di qui la loro sospettosa sfiducia verso il proprio entourage, nel quale pur debbono pescare chi verrà dopo di loro. A sua volta O. cerca per anni, e resta tra gli arcana delle sue ultime ore di vita se sia stato davvero pago della scelta compiuta (Svetonio, Vita di Tiberio). E ben si comprende. GIULIO Cesare sceglie un figlio adottivo ed erede che puo, se si e confermato capace, diventare un capoparte; O., invece, pur avendo restaurato la repubblica cerca un successore. Anche dal modo in cui risolse questa tormentosa difficoltà degli anni finali viene fuori il ritratto di un politico totale dotato di una visione in cui la certezza della propria insostituibilità' -- che rende, tra l'altro, ancor più disperante la ricerca di un successore -- si sposa con la tenacia nel perseguire l'attuazione di un disegno; coniugare conservazione e rivoluzione, dare alle istanze fondamentali della rivoluzione cesariana una salda cornice di conservazione. Il che era molto di più, e molto più complicato, di una riproposizione aggiornata del principato di Pompeo. Gli anni della lunga pace non sono facili. Non sono mancati, in quei lunghi anni di governo solitario, congiure, insidie, e persino il rischio che i conflitti si riaprissero. Da qualche cenno di Seneca si deduce che ce ne furono e non irrilevanti. E se Seneca ne e informato vuol dire che ne trova la traccia nelle inedite Historiae ab initio bellorum civilium che suo padre continua a scrivere e ad aggiornare ma non se l'era sentita di pubblicare. E anche questa prudenza di uno storico accorto, che fa a tempo a intravedere «il mondo di ieri», ci fa capire che per O., alla fine, l'unica scelta possibile era quella della storia sacra. Perciò, quando la lunga pace civile del suo interminabile governo non ha più bisogno di una ravvicinata e puntuale messa a punto aderente alla quotidianità politica, egli inventa un altro strumento che affermasse in modi essenziali e monumentali, sperabilmente per sempre, la sua verità: il solenne e sacralizzante ri-epilogo dei propri successi, da trasmettere a tutti i sudditi, non soltanto ad una cerchia più o meno larga dell'élite dirigente. Così nasce in lui l'idea delle Res gestae, diffuse su supporto durevole per tutto l'impero e perciò salvatesi: covate e limate nel corso degl’anni, e alla fine pronte, oltre che per l'impiego monumentale, per la lettura postuma, davanti al Senato intimidito e allenato ormai alla servitù spontanea, attraverso la bocca dell'erede designato, anzi, con ulteriore ricamo rituale, del figlio di lui Druso. Per Roma e una radicale novità. E la via epigrafica alla storia sacra, sul modello delle grandi epigrafi regie del mondo iranico -- Dario a Bisutun -- e del mondo egizio, faraonico e poi Il ruolo delle Res gestae e quello non solo di dichiarare chiuse per sempre le guerre civili, ma di spiegare anapoditticamente ai posteri, la perfetta riuscita di quel disegno e di fare accettare questa verità come l'unica vera nel momento stesso in cui la successio dinastica ne rivelava la principale crepa. Nel che risiede la loro grandezza e, insieme, la loro fragilità.   « VOX AUGUSTA »    Francesco Petrarca, nel secondo capitolo del primo  libro delle Res memorandae, racconta d’essergli avve-  nuto, ancora giovinetto, di leggere un libriccino con-  tenente gli epigrammi e le lettere agli amici dell’im-  peratore Cesare Augusto, conditum facetissima gravitate  et luculentissima brevitate « adorno di forbita dignità  di stile e di eloquente brevità »; un volumetto quasi  intonso e mezzo divorato dalle tarme, che andò per-  duto, e che, per quanto disperatamente cercasse, il  Petrarca non riuscì più a trovare. I dotti dubitano  della veridicità della notizia, ma forse dubitano a torto,  giacchè nessuna ragione poteva avere Petrarca di men-  tire la notizia, e da nessun’altra fonte che dalla diretta  lettura avrebbe egli potuto derivare un giudizio così  vero e preciso sulle doti stilistiche degli scritti di  Augusto. Non resta, dunque, che dichiararci contenti  che a rivelare al mondo la grandezza di Cesare Augusto  scrittore sia stato il primo umanista d’Italia, e che a  nessun altro sia riuscito meglio che a lui di definire,  in fresco e saporoso latino, le caratteristiche dello stile    del figlio adottivo di Giulio Cesare.    202 I GRANDI ITALIANI    Molti secoli passarono prima che si ponesse di nuovo  mente ad Augusto scrittore, e solo quando fu ritrovata  l’iscrizione di Ankara in Anatolia i dotti si diedero a  raccogliere i frammenti degli scritti imperiali e a ripro-  durli più volte in edizioni belle e brutte, rintracciando  meticolosamente il benchè minimo frammento. Sulla  iscrizione dell’ Augusteo d’Ankara storici e filologi discu-  tono ancora, voglio dire che ancora non si sono messi  d’accordo sulla natura e significato di uno dei quattro  documenti che Augusto, nel 14 dopo Cristo, nel set-  tantesimo sesto anno di vita, consegnò, insieme col  testamento, alle vergini Vestali perchè alla sua morte  fossero letti in Senato. I quattro documenti erano le  disposizioni per i funerali, il resoconto delle sue gesta,  una relazione sulla situazione militare e finanziaria  dell’Impero, i consigli a Tiberio sul modo come reggere  e amministrare la cosa pubblica. Ci è giunto intiero  il secondo dei quattro documenti: ma non già nell’esem-  plare che Tiberio, obbedendo alla volontà di Augusto,  fece scolpire nel bronzo dei due pilastri collocati innanzi  al grandioso Mausoleo, che sorgeva, nella parte setten-  trionale del Campo Marzio, tra il Tevere e la via Fla-  minia; bensì nella copia che fu incisa nella pietra  dell’Augusteo di Ancyra, capitale della Galazia, cioè  nell’Augusteo di Ankara, capitale della nuova Turchia.  Ivi, nel capoluogo di una provincia romana, le Res  gestae Divi Augusti furono incise nel testo latino det-  tato dall’Imperatore e nella traduzione greca fatta ese-    AUGUSTO 203    guire dal successore Tiberio, perchè le parole di Cesare.  Augusto sonassero più intelligibili alle popolazioni  orientali.   Questa è l’iscrizione nota col nome di Monumentum  ancyranum, da venti anni a questa parte riprodotta  in un testo sempre meglio corretto, essendo stata rin-  venuta un’altra copia dell’originale latino nella colonia  imperiale di Antiochia di Pisidia. Ma, come ho detto  innanzi, i dotti discutono ancora sul significato del  documento, nel quale Augusto volle rendere pubblica  ragione delle cariche ricoperte, dei donativi elargiti e  delle imprese operate. E, purtroppo, anche in questo  caso, taluni critici, per cercare di scoprire i diversi  momenti della redazione dello scritto, hanno affermato  che il piano generale dell’opera è disorganico e disor-  dinato, che molte sono le incoerenze di alcune parti,  e che però Cesare Augusto ha redatto il documento  ampliandone uno precedente, più modesto e meglio  ordinato. Insomma... una quistione omerica, che, a  parer nostro, è facilissimo distruggere nelle sue false  ed ingannevoli argomentazioni con poche parole.    DI    Il documento di Augusto non è un bilancio, non  è un testamento politico, non è un'iscrizione del tipo  degli elogia; ma è rendiconto, testamento ed elogium,  perchè Augusto l’ha redatto quando si appressava il  giorno della morte. Per ciò stesso non rientra in nessun  genere. La solennità del latino del documento augusteo    DI    non è soltanto nello stile, ma è nei fatti che vi sono    204 I GRANDI ITALIANI    LI    esposti, e soprattutto è nel fatto che al Senato e al  Popolo di Roma parla il fondatore dell’Impero, il Padre  della Patria, Augusto, e non per esaltare la sua propria  opera, ma per proclamare che essa rimarrà in eterno  legata alla fedele collaborazione del Senato e del Popolo  di Roma.   Svetonio afferma che Augusto soleva scrivere tutto  ciò che dovesse dire, che scriveva perfino quello d’im-  portante che dovesse dire a sua moglie Livia; e che  si era assuefatto a scrivere meticolosamente i suoi  discorsi al punto che, quando la troppo cagionevole  gola gl’impedisse di arringare la folla, un araldo leg-  geva ad alta voce il suo manoscritto: praeconis voce ad  populum contionatus est. Perciò io dico che anche questo  documento è un discorso al Popolo di Roma: l’ultimo  discorso nel quale il Padre della Patria, Cesare Augusto,  rende conto dell’opera sua.   E le prove della mia affermazione sono la presunta  incoerenza e il presunto disordine scoperti e biasimati  dai critici. Ma non sono malinconicamente ridicoli quei  critici i quali cercano di dimostrare in « sede scientifica »  che Cesare avrebbe copiato da Posidonio molti capitoli  di un libro dei commentarii della guerra gallica (e sono,  purtroppo, Italiani); o questi altri (e fortunatamente  non sono Italiani) che scoprono in Augusto un errore di  cronologia? Giacchè, se dovessimo dar retta a costoro,  « Augusto avrebbe commesso l’errore di menzionare alla  fine del documento i due maggiori titoli del Pater    AUGUSTO 205    Patriae e di Augustus conferitigli dal Senato e dal  popolo negli anni 27 e 2 avanti Cristo. Invece che  nel trentaquattresimo e trentacinquesimo paragrafo,  Augusto avrebbe dovuto ricordarli, a giudizio di cotesti  critici, molto prima: chè insomma avrebbe dovuto fare  opera di storico mediocre e dimenticare di essere  Cesare Augusto. |   Leggete il documento. Esso comincia: annos unde-  viginti natus exercitum privato consilio et privata impensa  comparavi, per quem rem publicam a dominatione fac-  tionis oppressam in libertatem vindicavi: « all’età di  diciannove anni, di mia iniziativa e con danaro mio  apparecchiai un esercito, e con esso restituii libertà  allo Stato oppresso dalla prepotenza di una fazione ».  E si chiude così: « Tra il sesto e il settimo consolato  mio, dopo ch’ebbi soffocate le guerre civili ed assunto,  per universale consenso di tutti i cittadini, il supremo  potere, trasferii dalla mia persona all’arbitrio del Senato  e Popolo romano il governo della cosa pubblica. Per  questa mia benemerenza, mi fu conferito, con decreto  del Senato e Popolo romano, il titolo di Augustus...  Durante il tredicesimo mio consolato, il Senato, l’ordine  equestre e il Popolo romano mi acclamarono Padre  della Patria, e decretarono che questo titolo dovesse  essere iscritto nel vestibolo della mia casa e nella curia  Giulia, sotto la quadriga che per decreto del Senato  fu eretta ad onor mio. Quando redigevo questo docu-  mento, avevo settantasei anni ».    206 I GRANDI ITALIANI    Comincia: annos undeviginti natus...; finisce: annum  agebam septuagesimum sextum. Non dimentichiamo  questa chiara e significativa corrispondenza tra l’inizio  e la chiusa del documento, nella quale sono compresi  i cinquantasette anni della vita politica di Cesare  Augusto. O sembra, forse, strano che per sublime  orgoglio il primo cittadino della Roma imperiale, acco-  miatandosi per sempre dalla plebe romana, di tutti i  titoli e honores ch’egli ebbe in vita, voglia ricordare  alle generazioni avvenire il nome di Augustus e il  titolo di Pater Patriae? |  » Augusto era infermo, la morte si appressava non  temuta, ma serenamente attesa, chè infatti morì di  «bella morte». Egli parla per l’ultima volta al Senato e  Popolo di Roma, come un cittadino, che, amministrata  la cosa pubblica, dimesso dall’ufficio, consegni al suc-  cessore l’incarico e chieda, con coscienza onesta e proba,  il benservito. C’è in questo documento un crescendo  di tono, che verso la fine raggiunge il maestoso: dal  venticinquesimo paragrafo in poi esso si fa solenne  come litania: ... mare pacavi a praedonibus...; omnium  provinciarum populi romani fines auxi...; Aegyptum  imperio populi romani adieci...; colonias deduxi...; signa  militaria reciperavi...; Pannoniorum gentes imperio po-  puli romani subieci...; ad me ex India regum legationes  saepe missae sunt...; ad me supplices confugerunt reges...;  a me gentes Parthorum et Medorum reges habuerunt...;  e finalmente i due ultimi paragrafi sopratradotti. Sui    AUGUSTO I | 207    «mari ha debellato i pirati, ha allargato i territori di  tutte le provincie dell’Impero, ha aggiunto la nuova  provincia di Egitto, ha fondato nelle più lontane regioni  colonie di Roma, ha recuperato bandiere e vessilli: a  lui hanno fatto ricorso in atto di supplica i re di tante  nazioni, da lui le genti di Oriente hanno avuto i re  che avevano dimandati. Col trentesimo terzo paragrafo  si chiude il rendiconto delle imprese operate da Cesare  Augusto; nel trentaquattresimo e nel trentacinquesimo  paragrafo risuona il ricordo del nome di Augustus e  del titolo di Pater Patriae. Al Senato e Popolo romano,  alle genti tutte dell’Impero, alle generazioni avvenire  Augusto si raccomanda e consacra, prima che la sua  terrena giornata si chiuda, con quel nome solo e solo  con quel titolo.  *  ws   Cesare Augusto affidò il manoscritto alle vergini  Vestali perchè fosse consegnato dopo la sua morte al  Senato e inciso sul bronzo. Il successore Tiberio fece  riprodurre il testo com’era, con una brevissima appen-  dice e in ortografia un tantino diversa da quella prefe-  rita da Augusto, ma certo senza nessuna sostanziale  modificazione. Dunque, noi possediamo un’opera intera  di Augusto, la quale ci rivela la sua grande personalità  di scrittore.   Il latino di Augusto non è quello di Cesare. Augusto  scrive in prima persona, ma si può dire che in questo    208 I GRANDI ITALIANI    scritto egli raggiunga la stessa efficacia dei Commen-  tari. Non giudica, non aggiunge nessun commento ai  fatti che espone pacatamente e senza enfasi, ma dalla  secca enumerazione dei templi fondati, degli edifici  pubblici restaurati o costruiti, delle somme elargite  all’erario e alla plebs, delle genti soggiogate, dei nemici  sconfitti, delle terre conquistate, delle leggi promulgate,  spira il calore dell’epopea e della leggenda. La sua  opera appare, quale fu, colossale; e vien fatto di ripen-  sare ai primi quattro versi della prima epistola del  secondo libro di Orazio: «Se io tentassi di rubarti un  po’ di tempo con una lunga chiacchierata, o Cesare,  peccherei contro l’interesse dello Stato, giacchè da solo  sostieni tante e così gravi cure, e l’Italia difendi con  gli eserciti, e ne incivilisci i costumi, e con leggi la  emendi... ».   Epico è il tono di questo scritto di Augusto, anche  là dove sono riassunte in brevissime parole imprese  che durarono anni: « Colonie militari ho inviato in  Africa, in Sicilia, in Macedonia, nelle due Spagne, in  Acaia, in Asia, in Siria, nella Gallia Narbonense, in  Pisidia. E l’Italia diciotto colonie possiede; dedotte  per ordine mio, le quali, per tutto il tempo ch'io vissi,  sono state assai popolose e prosperose ». Leggendarie  appaiono le legioni, che, guidate da lui o dai generali  suoi « sotto ì suoi auspici», marciano, di conquista  in conquista, verso confini sempre più lontani; e avvolte  nella leggenda sembrano le triremi sue che fanno vela,    =_= 1 -:-—=- esse poni    “bi ski    AUGUSTO 209    audaci, verso nuovi lidi: « La mia flotta corse l’Oceano  dalla foce del Reno fino al territorio dei Cimbri ad  Oriente, dove, nè per terra, nè per mare, nessun Romano  prima di allora era giunto... ».   Augusto ha uno stile sobrio, nient’affatto enfatico,  e tuttavia solenne. Egli adopera vocaboli che sono  sempre esatti e tecnici, censuit, decrevit, ussit, creavit,  per dire che il Senato e Popolo romano ordinò, decretò,  comandò, nominò. La collocazione delle parole è sem-  plicissima, lineare, chiara, antiretorica, come in questo  periodo che è uno dei più ricchi sintatticamente: nomen  meum senatus consulto inclusum est in saltare carmen,  et sacrosanctus in perpetuum ut essem et, quoad viverem,  tribunicia potestas mihi esset, per legem sanctum est: « Il  mio nome per decreto del Senato fu compreso nel  carme dei Salii, e che inviolabile io fossi in perpetuo,  ed a vita avessi il potere tribunizio, fu per legge sancito».   Non fa mai il nome degli avversari suoi; tace quello  dei congiurati che assassinarono il padre suo Cesare:  qui parentem meum interfecerunt, eos in exilium expulsi  iudiciis legitimis ultus eorum facinus et postea bellum  inferentis rei publicae vici bis acie: «Quelli che assas-  sinarono il padre mio li cacciai in esilio punendo con  procedimento legale il loro delitto, e, in seguito, quando  essi portaron guerra allo Stato, per due fiate li sconfissi  in campo ». E continua, pacato e grave:   « Guerre per terra e sui mari, civili ed esterne,  in tutto il mondo più volte ho combattuto, e vincitore    14 — Coppota.    210 I GRANDI ITALIANI    risparmiai tutti i cittadini che dimandarono grazia.  Le genti straniere alle quali fu possibile, senza peri-  colo, perdonare, preferii conservarle anzi che distrug-  gerle. Sotto le mie bandiere circa cinquecentomila cit-  tadini romani militarono. Di essi più che trecentomila  mandai nelle colonie o feci ritornare ai loro municipi,  dopo ch’ebbero compiuto gli anni di servizio, e a tutti  assegnai terre oppure donai danaro a ricompensa del  servizio prestato. Seicento navi catturai, non inclu-  dendo in questo numero quelle di tonnellaggio inferiore  alle triremi.   « Entrai in Roma ovante, due volte: tre ebbi trionfi  solenni e ventuna volta fui acclamato imperator, seb-  bene il Senato mi decretasse un maggior numero di  trionfi, ai quali tutti rinunciai. L’alloro dei fasci lo  deposi in Campidoglio, e così sciolsi il voto che avevo  solennemente fatto in ogni guerra. Per le imprese feli-  cemente da me o dai miei generali sotto i miei auspici  operate in terra e sui mari, il Senato cinquantacinque  volte decretò che si rendessero grazie agli dèi immor-  tali. Ottocentonovanta furono i giorni nei quali, per  decreto del Senato, s’inalzarono pubbliche preci. Nove  re o figli di re furono nei miei trionfi condotti innanzi  al mio cocchio ». |   Ascoltatelo quando riassume in un periodo solo la  sua opera di legislatore: « Con leggi nuove da me  promulgate richiamai in vigore le consuetudini antiche  dei padri, che già cadevano in oblio nella nostra gene-    AUGUSTO 211    razione, e io stesso ho lasciato alle generazioni avvenire  esempi di molte cose, degni d’essere imitati ».  Sentitelo quando ricorda gli onori che il Senato e  Popolo di Roma conferì ai suoi due figli adottivi, e  leggerete in un brevissimo inciso il dolore del padre  per l’immatura morte di Gaio e Lucio Cesare, e l'umano  e affettuoso compiacimento suo nel ricordare che appena  quindicenni essi furono acclamati principi della gio-  ventù romana e designati consoli: « I due figli miei,  che il destino mi strappò ancor giovani, Gaio e Lucio  Cesare, il Senato e Popolo romano per farmi onore li  designò consoli appena quindicenni, che entrassero in  carica dopo cinque anni. E il Senato decretò che dal  giorno della loro presentazione nel Foro partecipas-  sero ai pubblici consigli. E tutti i cavalieri romani li  acclamarono principi della gioventù, e offrirono in  dono scudi e lancie di argento ». E, infine, ascoltatelo  quando ricorda gli anni di Azio e dell’ultima guerra  civile: « Mi giurò fedeltà l’Italia tutta intera, spon-  taneamente, e mi volle condottiero della guerra nella  quale vinsi ad Azio. Mi giurarono fedeltà anche le pro-  vincie delle Gallie, delle Spagne, d’Africa, di Sicilia,  di Sardegna ». I |  Augusto è scrittore accortissimo, che aborre da ogni  lenocinio sintattico o lessicale, ma che nel giuoco delle  congiunzioni, del polisindeto e dell’asindeto, riesce a  far leggiero o grave il tono della voce, più lento o più  celere, ma non mai concitato il movimento della frase.    14* — Coppota.    212 I GRANDI ITALIANI    Abbiamo letto or ora un esempio di asindeto, in cui  le pause tra un nome e l’altro delle provincie rendono  più solenne l’immagine del mondo romano stretto nel  giuramento intorno al suo Duce; eccone, invece, un  altro di polisindeto, là dove Augusto ricorda l’iscri-  zione dello scudo d’oro offertogli dal Senato il 27  avanti Cristo.  — Il testo originale dell’iscrizione era il seguente: « Il.  Senato e Popolo di Roma offrì ad Augusto questo  scudo per il suo valore clemenza giustizia pietà »:  ... virtutis clementiae iustitiae pietatis caussa (e natural-  mente virtus sta a significare l’opera del condottiero  di eserciti, e pietas il profondo ossequio alle istituzioni  religiose). Ma Augusto riunisce più efficacemente in  due endiadi le quattro virtù, essendo le due prime  proprie dell’opera sua di condottiero, le altre due del  magistrato civile e supremo amministratore dello Stato:  virtutis clementiaeque, iustitiae et pietatis caussa.  Perciò io dico che è molto difficile tradurre bene i  trentacinque paragrafi delle res gestae di Cesare Augusto.  A questa grande iscrizione, che Teodoro Mommsen  chiamò la regina delle iscrizioni latine, è mancato chi  la traducesse nella lingua del « Principe », perchè è stata  rinvenuta troppo tardi. Nei tempi moderni avrebbe  potuto tradurla solo il Tommaseo, ma non l’ha fatto  perchè non la conosceva. Ha tradotto solo le sette  parole che son citate da Svetonio nella vita di Augusto,  ed io le ho ripetute nella mia traduzione copiandole dal    AUGUSTO 213    Dizionario d’estetica, e le ripeto di nuovo con accanto  il latino di Augusto: bis ovans triumphavi et tris egi  curulis triumphos... « entrai in Roma ovante, due volte:  tre ebbi trionfi solenni». Solo la collocazione delle  parole semplice ed efficace, e un raro accorgimento  nella scelta dei vocaboli e dei sinonimi potrebbero  soddisfare il desiderio nostro di una traduzione ita-  liana che riproducesse gli effetti del latino di Cesare  Augusto. I   Augusto fu scrittore elegante e temperato. Svetonio  riferisce che egli scrisse molte cose in prosa di vario  genere, alcune delle quali leggeva nella conversazione  degli amici, quasi dinanzi a un uditorio come le Ri-  sposte a Bruto intorno a Catone, che da vecchio essen-  dosi messo a leggere, giunto un pezzo innanzi, final-  mente stanco dovè farne terminare a Tiberio la lettura;  le Esortazioni alla filosofia, ed alcune notizie Della sua  vita che espose in tredici libri giungendo fino alla  guerra cantabrica e non più in là. Compose anche  qualche verso. Rimaneva, al tempo di Svetonio, un  volumetto in esametri sulla Sicilia e un altro di Epi-  grammi, i quali egli era andato componendo durante  il bagno. Aveva anche incominciata con grande ala-  crità una tragedia, ma non essendo contento della  forma la distrusse, e agli amici che un giorno gli diman-  davano che facesse di bello il suo « Aiace », rispose  che il suo Aiace s’era buttato non sulla spada, ma  in una spugna.    214 I GRANDI ITALIANI    Spregiava di fare uso di vocaboli dotti e difficili   o com’egli stesso li definiva reconditorum verborum feto-  ribus. Aveva a noia i leziosi e gli arcaizzanti, ciascuno  vizioso nel suo genere, e talvolta li metteva in deri-  sione e sopra ogni altro il suo Mecenate di cui conti-  nuamente riprendeva «i riccioli stillanti unguento »,  come li chiamava. Non la perdonò neppure a Tiberio  che andava a caccia di parole stantie, e dava del  . matto a Marco Antonio, come colui che scriveva più  per farsi ammirare che per farsi intendere. Nei di-  scorsi, di alcuno dei quali leggesi in Cicerone menzione  entusiastica, sappiamo che si preoccupò di riuscire  eloquente senza mai ricorrere alla verbosità e pesante  sentenziosità dell’allora decadente oratoria. In una let-  tera alla nipote Agrippina, lodando l’ingegno di lei,  l’ammonisce che si studi di non scrivere o parlare in  modo disgustevole e lezioso. E per riuscir chiaro, sì  che tutti potessero capire, preferiva una sintassi lim-  pida ad una sintassi più armoniosa e serrata, e adope-  rava le preposizioni anche dinanzi ai nomi di città,  facendo cosa che un diligente maestro dei nostri tempi  sottolineerebbe con frego azzurro nel compito del ma-  laccorto scolaro. Svetonio, che ci racconta questi parti-  colari della grammatica e sintassi di Augusto, e che  ebbe modo di consultarne gli autografi, ricorda anche  che egli non divideva mai le parole in fine di riga per  terminarle nella riga seguente, ma le ripiegava. sotto  chiudendole con una linea curva. E aggiunge che    — AUGUSTO 215    l'ortografia di Augusto, abituato a scrivere per parlare,  era quella di chi scrive come pronunzia.   Se dobbiamo credere agli antichi, di Cesare Augusto  restarono famose le lettere. Raccolte per tempo in più  volumi e alcune di esse rimaste vaganti, non costitui-  rono mai un vero e proprio corpus, ma andarono a  poco a poco disperse. Esse non ebbero la buona e  cattiva ventura di entrare nelle scuole come libro di  testo, e neppure l’altra d’essere raccolte in antologia.  Restano però i giudizi degli antichi e alcuni frammenti  degni d’essere ricordati. Augusto discorreva alla buona,  familiarmente, sia che scrivesse di affari politici, sia  che si rivolgesse ad amici e parenti. Sollecitava Vir-  gilio che gli mandasse almeno l’abbozzo dei primi versi  dell’Eneide; scherzava con Orazio rimproverandolo che  non parlasse mai di lui, e chiedendogli se per caso  non credesse di rimanere infamato presso i posteri,  qualora dagli scritti suoi apparisse chiara la loro inti-  mità. All’amico Mecenate un giorno scrisse che essendo  infermo e tuttavia indaffarato in più cose, chiamava  e fargli da segretario il suo Orazio; lo richiamava  cioè dal parassitico desco del nobile etrusco alla sua  mensa di pontefice massimo: veniet ergo ab ista para-  sitica mensa ad hanc regiam, et nos in epistulis scri-  bendis adiuvabit. E un’altra volta gli scrisse una let-  tera che si chiudeva con questa forbita apostrofe:  « Salute o mio ebano di Medullia (città etrusca), avorio  di Etruria, laserpizio di Arezzo, perla tiberina, sme-    216 I GRANDI ITALIANI    raldo dei Cilnii, diaspro degli Iguvini, berillo di Por-  senna, carbonchio di Adria, e, per dirle tutte in una  parola, céccolo delle meretrici... ».   Suo nipote Gaio Cesare era da lui chiamato in  segno di affetto, asellus tucundissimus; e al figliastro  Tiberio egli scriveva lettere gonfie di tenerezza e con-  fidenza, raccontandogli come avesse passato il giorno,  quanto avesse perduto al giuoco, parlandogli dei suoi  digiuni imposti dalla cagionevole salute, e d’aver sboc-  concellato in lettiga, tornando al palazzo, un’oncia di  pane e pochi acini di uva secca. E quando Tiberio, il  quale militava lontano con gli eserciti, scriveva di essere  smagrito per le continue fatiche della campagna, ei lo  supplicava di riguardarsi, chè, alle cattive notizie della  sua salute, et ego et mater tua (Livia), expiremus et summa  imperti sui populus romanus periclitetur. Alla figlia Giulia  voleva un gran bene, e la licenziosa vita ch’ella condu-  ceva amareggiò assai l’animo suo: soleva dire di aver  due figlie, tutt'e due delicatissime, la res publica e Giulia;  e molto spesso nelle lettere, come riferisce il vecchio  Plinio, recriminava penosamente la dissolutezza di lei.   Umano egli era sempre e ricco di sentimento: qua-  lunque cosa scrivesse, politica o familiare, alieno da  ogni lenocinio di forma e incline piuttosto ad acco-  gliere espressioni còlte sulla bocca del popolo. Non  scriveva die quinto ma diequinte, chè così comune-  mente dicevasi; e, per esprimere la celerità di un  avvenimento, diceva ch’esso era accaduto più presta-    AUGUSTO 217    mente che non cuoce uno sparagio, celerius quam aspa-  ragi coquuntur; e per dir « stolto » adoperava baceolus  che corrisponde al nostro « baggeo »; e per dire che  stava male in salute diceva vapide se habere.   ‘+ Abbiamo poco dei suoi scritti, di intero la sola  iscrizione delle res gestae in latino, e alcuni decreti  ed editti in greco, non tradotti da lui direttamente,  ma certo da lui corretti e controllati. Svetonio racconta  che Augusto, sebbene conoscesse il greco e sempre lo  leggesse e studiasse, tuttavia non si provò mai a scri-  verlo, chè temeva di non conoscerlo abbastanza. Egli  aveva studiato con retori greci, i quali gli appresero  cose di larga erudizione; ma scrittore, come ci appare  nel lapidario latino della iscrizione delle res gestae,  egli s'era formato sull’esempio di Cesare, nell’azione ed  esperienza militare e politica di tutti i giorni. Aveva  innanzi tutto imparato ad evitare non la facondia, ma  la loquacità, e a reputare perciò che l’eloquenza con-  siste nel non far mostra di eloquenza: partem esse  eloquentiae putabat eloquentiam abscondere: che è poi  la grande virtù della parola destinata a commuovere  i popoli e a guidarli alla vittoria e all’impero.    *  * *    I contemporanei lo salutarono coi versi di Virgilio:  « ecco Cesare Augusto, l’eroe che ci era stato pro-  messo e che resusciterà nel Lazio e nelle campagne    218 I GRANDI ITALIANI    d’Italia, dove in antico regnava Saturno, l’età del-  l’oro; e l’Impero di Roma amplierà fino al Fezzan e  all’India, di là dalle vie delle stelle, fin dove l’instan-  cabile Atlante sostiene sulle spalle lo splendente astro  dei cieli». Lo avevano veduto « entrare tre volte in  trionfo nelle mura di Roma, e pagare agli dèi d’Italia  l’immortale tributo dei suoi voti consacrando più di  trecento templi », e fra l’applauso della folla e i canti  delle vergini e delle matrone, mentre sugli altari fumanti  cadevano immolati migliaia di tori, l'avevano ammi-  rato, « sulla soglia di marmo e di alabastro del tempio  di Apollo, ricevere dall’alto del trono i doni dei popoli  sottomessi per abbellire le magnifiche colonne del  superbo porticato ».   Sono passati duemila anni, e l’immagine virgiliana  dell’apoteosi di Augusto si è trasmessa, di generazione  in generazione, come l’immagine della pace romana  creata dall’eroismo e dalla vittoria delle legioni, e  . dalla volontà pura di uno spirito umanamente libero  trasformata in religione politica e ideale di civiltà:  riformatore della costituzione, difensore del territorio,  organizzatore dell’amministrazione e della società, Ce-  sare Augusto rappresenta la maestosa dignità dell’Im-  pero e il diritto fondamentale dello Stato. I simboli  del suo destino, l'adozione di Cesare, la battaglia di  Filippi, la vittoria d’Azio annunziano, nel tramonto  di Roma repubblicana, la luce di Roma imperiale;    più chiaramente ancora, il 16 gennaio del 27 avanti       AUGUSTO | 219    Cristo, l’annunzia il nuovo suo nome di Imperator Caesar  Augustus, che è un simbolo anch’esso e riunisce in un  solo destino l’eroe creatore e la volontà implacabil-  mente lucida del fondatore dell’Impero.   Religiosa eredità fu quella di Cesare: e infatti  duravano ancora le leggi, le istituzioni e gli ordina-  menti, coi quali Cesare era salito al potere e il culto  del Divus Iulius era diventato il culto dello Stato,  garanzia e patrimonio dell’Impero. Ma rafforzando e  difendendo la Romanità così che niente mai potesse  distruggerla, Augusto risolveva a favore dell’Occidente  l’antitesi tra l'Oriente e l'Occidente che Cesare aveva  drammaticamente vissuta negli ultimi anni della vita  sua, e che s’era ripresentata, fortunosa e tragica, nella  lotta tra Ottaviano non ancora Augusto e Marco An-.  tonio. È però costruendo in Occidente la Roma impe-  riale sognata e creata da Cesare, Augusto che aveva  da Cesare ereditato la legittimità aggiunse alla gran-  dezza del padre suo la gloria d’aver tenuto a battesimo  la civiltà europea.   Insieme con Cesare, egli è il simbolo della dignità  imperiale, e il nome suo di Imperator Caesar Augustus  consacra da duemila anni l’identificazione dell’Impero  con l’Occidente. Il titolo di Cesare dava il diritto di  successione al trono, quello di Augusto concedeva la  dignità imperiale: il rito iniziato dai Flavii e ufficial-  mente inaugurato da Adriano fu poi consacrato nelle  formule del protocollo. Creatore dell’Impero era Cesare,    220 | O I GRANDI ITALIANI    fondatore era Augusto, il quale era riuscito a far  sopravvivere l’opera e la gloria di Cesare in cinquan-  tasei anni di regno, e della santità di Cesare aveva  fatto il patrimonio e il fondamento dell’Impero. Appa-  riva dunque ricco di conseguenze per il mondo l’atto  di adozione, col quale Cesare aveva proclamato suo  erede il nipote di una sua sorella, quel giorno che in  terra di Spagna, alla vigilia di una battaglia, mentre  faceva tagliare un bosco per costruirvi il campo delle  legioni, ordinò si risparmiasse una palma come augurio  di vittoria, e quella sùbito gittò polloni alti e fiorenti.  Sul finire del Medioevo, all’albo della Rinascenza,  quando si inaugura la ricerca storica e si annunzia  fecondo di civiltà il quasi voluttuoso amore del passato,  e la Romanità risorge nella cultura e nell’arte nutrite  dalla possente vita dei sensi; allora i due nomi di  Cesare e di Augusto tornano ad essere creatori della  religione dell’Impero. Allora il romanticismo eroico del-  l’Umanesimo celebra ed esalta l’idea imperiale di Roma  con tanto devota ammirazione che gli Italiani dei  secoli futuri ne trarranno motivo di orgoglio e di  serena fede, quando il predone straniero spoglia e  insozza le loro terre; e da quel grido di amore per  l’antica grandezza romana nascerà un appassionato  libro del Risorgimento, sul primato della nostra gente  e sulla universale missione d’Italia. |  Allora, all’alba della Rinascenza, fiorirono le leg-    gende sui monumenti ch’erano rimasti segni tangibili    AUGUSTO 221    della sua presenza, a testimonio della grandezza di  Augusto. Ed Egli apparve garante del miracoloso destino  d’Italia, come nella formula dell’ultimo Impero che  salutava il nuovo imperatore con l’augurio che fosse  più fortunato di Augusto: felicior Augusto. E si divulgò  la fama che nel Mausoleo comunemente noto col nome  di Austa sorgesse circondata dalle tombe un’abside,  e Ottaviano e i sacerdoti suoi vi celebrassero sacrifizi  solenni, fra sacchi di terra raccolti d’ogni parte del  mondo a perpetuo ricordo delle genti sottomesse all’Im-  pero. L’Austa divenne una fortezza inespugnabile, la  fortezza più contesa di Roma, e « fu strascinato allo  campo dell’Austa » il cadavere di Cola di Rienzo e là  fu bruciato «in un fuoco di cardi secchi », in quegli    ‘anni che Francesco Petrarca scopriva e vaticinava    nella grandezza di Roma imperiale l’ideale politico  italiano, distruggendo ogni antitesi tra il passato e  l’avvenire. E dopo che nel duecento il maestro Mar-  chionne di Arezzo ehbe costruita presso il Mercato di  Traiano l’alta Torre delle Milizie, allora nacque, più  suggestiva e più vera, anche l’altra leggenda: che    ‘sotto la torre fosse un palazzo incantato e Augusto    vi riposasse da secoli. E un giorno si desterebbe dal  sonno e tutto armato uscirebbe con milizie e legioni,  quando Roma fosse pronta a reggere e guidare per la  seconda volta le sorti del mondo. Ottaviano. Keywords: vox augusta. Ottaviano. Luigi Speranza, “La ragione conversazionale: Grice ed Ottaviano,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “ The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice ed Ottaviano – la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e il collettivismo – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Modica). Filosofo. Grice: “Perhaps with Holllinghurst, and Hogarth, of course, Ottaviano is one of the few who have cherished in the analysis of ‘la curva’ or ‘la linea’ – and it has revived a debate which should fascinate a few!” Diplomatosi a Modica, si laurea a Milano. Straordinario di Storia della Filosofia a Cagliari, poi a Napoli, ottenne la cattedra, conseguendovi la libera docenza ne passò poi a Catania, dove fonda e diresse l'Istituto di Magistero, insegnandovi. Fonda la rivista “Sophia”. Grande conoscitore della filosofia del periodo medievale, di cui peraltro ritrova e studiò molte opere inedite, elaborò una propria teoria.  Delle due saggi, “Critica dell'Idealismo” (Napoli,) e “Metafisica dell'essere parziale” (Padova), la prima ma fu ben presto censurata e poi bruciata pubblicamente a causa della sua dura critica all'Idealismo di Gentile. Questa sua opposizione a Gentile, nonché le sue critiche a Croce, gli valeno dure vessazioni accademiche.  Compone inoltre un ampio e comprensivo Manuale di storia della filosofia (Napoli). Membro dell'Accademia d'Italia, si occupa, per primo, della filosofia di Gioacchino da Fiore, esaltato d’Aligheri nella Commedia, pubblicandone un saggio. Pubblica il codice di Oxford “Joachimi Abbatis Liber contra Lombardum,” che attribuì a qualche seguace della scuola di Fiore. Mentre celebrava, a Novara, Pietro Lombardo, riprese a parlare di Fiore, presentandolo come un romantico "ante litteram" e un fautore della nazione italiana. Segnalò pure due ignorati codici gioachimiti della biblioteca Casanatense di Roma, occupandosi altresì della condanna di Gioacchino da parte del Concilio Lateranense ed evidenziandone lo sgomento suscitato. Inoltre, nella rivista Sophia, diretta da lui ed allora edita dalla MILANI di Padova, diede spazio a vari studiosi gioachimiti. Sempre sull'argomento, ritenne dapprima Gioacchino un triteista, ma, dopo aver visionato le tavole del Liber figurarum, scoperto da L. Tondelli propese invece per un'ortodossia trinitaria. Fonda e diresse un partito nazionale d'impronta social-liberale, che però non ebbe seguito. Opere principali: Pietro Abelardo. La vita, le opere, il pensiero” (Poliglotta, Roma); “Il "Tractatus super quatuor evangelia" di Fiore, Archivio di filosofia, Padova, Testi medioevali inediti. Alcuino, Avendanth, Raterio, Anselmo d’Aosta, Abelardo, Incertus auctor” (Olschki, Firenze); Joachimi abbatis Liber contra Lombardum (Scuola di Gioacchino da Fiore), Reale Accademia d'Italia Studi e documenti, Roma, Un documento intorno alla condanna di Gioacchino da Fiore” (Rondinella, Napoli); Pier Lombardo, in Celebrazioni piemontesi, Istituto d'Arte per la Decorazione e la Illustrazione del Libro, Urbino); “Critica dell'Idealismo” (Rondinella, Napoli); “Metafisica dell'essere parziale” MILANI, Padova); “La tragicità del reale, ovvero la malinconia delle cose. Saggio sulla mia filosofia” (MILANI, Padova); Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note D. D'Orsi” (MILANI, Padova); E. Scarcella, Dizionario Biografico degli Italiani, D. D'Orsi, Il filosofo della quarta età: ricordo di O., quotidiano “La Sicilia”, Catania, di. D.'Orsi, Tra Socrate e Gesù: quattro anni fa moriva, quotidiano “La Sicilia”, Catania,. E. Scarcella,  Dizionario Biografico degli Italiani, stituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma,. Gioacchino da Fiore  Massimiliano Pace, Info Magazine. Grice: “I love Ottaviano: he had three main interests: philosophy, philosophy, and philosophy. More specifically, as a Sicilian he was not interested in Italian philosophy, which he found too continental; he loved a mediaeval – and he loved Gentile – he corresponded extensively with him! La visione cristiana di Ernesto Buonaiuti, F. Campitelli, Foligno. A proposito di un libro sul Prepositino, in «Rivista di filosofia neoscolastica», Traduzione, prefazione e note di: Anselmus Cantuariensis, Opere filosofiche, trad. pref. e note di O., Carabba, Lanciano. Metafisica del concreto. Saggi di una Apologetica del Cattolicesimo, Angelo Signorelli editore, Roma. Ricerche lulliane, in «Estudis universitaris catalans». Pietro Abelardo. La vita, le opere, il pensiero, Tipografia Poliglotta, Roma. Otto opere sconosciute di Raimondo Lullo, in «Rivista di cultura»; L'Ars compendiosa de R. Lulle, avec une étude sur la bibliographie et le Fond Ambrosien de Lulle, Paris; ristampata sempre in francese: L'Ars compendiosa de R. Lulle, avec une étude sur la bibliographie et le Fond Ambrosien de Lulle, O., Librairie philosophique Vrin.  Guglielmo d'Auxerre. La vita, le opere, il pensiero, Biblioteca di filosofia e scienze, Roma. A proposito di un libro su S. Anselmo, in «Rivista di filosofia neoscolastica». I problemi del realismo, in «Giornale critico della filosofia italiana». Le “Quaestiones super libro Praedicamentorum” di Simone di Faversham, in «Memorie della R. Accademia dei Lincei». Roma. Traduzione, prefazione e note di: Tommaso d’Aquino, Saggio contro la Dottrina averroistica dell’unità dell’intelletto, Carabba, Lanciano. Traduzione, prefazione e note di: Tommaso d’Aquino, Saggio sull'essere e l'essenza e altri opuscoli, prefazione, traduzione e note critiche di C. Ottaviano, Carabba, Lanciano. Frammenti abelardiani, in «Rivista di cultura», Prof. P, Loescher, Roma. Il "Tractatus super quatuor evangelia" di Gioacchino da Fiore, in «Archivio di filosofia», Padova. Osservazioni critiche sui presupposti del problema della conoscenza. Il superamento dell'immanenza sulla base della nozione di individuo, in «Archivio di filosofia». Il pensiero e il suo atto, in «Archivio di filosofia». La riforma della logica di Aristotele, in «Archivio di filosofia». Nota polemica, in «Rivista di cultura». Le opere di Simone di Faversham e la sua posizione nel problema degli universali, in «Archivio di filosofia». Traduzione, curatela e note di: Tractatus de Universalibus attribuito a San Tommaso d’Aquino, a cura di O., Reale Accademia d'Italia, Roma. Introduzione, traduzione, prefazione e note di: Anselmo d'Aosta, Il Monologio, Palermo 1932.  Antologia del pensiero medioevale. Per le scuole medie superiori, Ires, Palermo. Testi medioevali inediti. Alcuino, Avendanth, Raterio, S. Anselmo, Pietro Abelardo, Incertus auctor, a cura di O., Olschki, Firenze.  Riccardo di San Vittore, la vita, le opere, il pensiero, in «Atti della Reale Accademia dei Lincei», Traduzione, prefazione e note di: Bonaventura da Bagnoregio, Itinerario della mente verso Dio, traduzione, prefazione e note di O., Antologia del pensiero medievale per le scuole medie superiori, Palermo. Il pensiero di Francesco Orestano, Ires, Palermo. Il superamento dell'immanenza in B. Varisco, in «Archivio di filosofia», Traduzione e note di: P. Abelardus, Epistolario completo. Contributo agli studi sulla vita e il pensiero di Pietro Abelardo, trad. it. e note critiche di C. Ottaviano, Ires, Palermo. Joachimi abbatis Liber contra Lombardum. La Scuola di Gioacchino da Fiore, a cura di Carmelo Ottaviano, Reale Accademia d'Italia - Studi e documenti, Roma. Critica del principio d'immanenza, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», Il perduto “Liber de potentia, obiecto et actu” di Lullo in un manoscritto romano, in «Estudis franciscans», Un documento intorno alla condanna di Gioacchino da Fiore, Rondinella, Napoli (poi ripubblicato in "Siculorum Gymnasium", Università di Catania).  Storia, filosofia della storia, scienza della storia, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», Un brano inedito della Philosophia di Guglielmo di Conches, A. Morano, Napoli. Il cosiddetto “riferimento necessario alla coscienza” nell'idealismo, in AA. VV., Atti del IX Congresso nazionale di Filosofia, (Padova), Padova, Novità in filosofia, Milani, Padova.  Pier Lombardo, in Celebrazioni piemontesi, Istituto d'Arte per la Decorazione e la Illustrazione del Libro, Urbino. Critica dell'Idealismo, Rondinella, Napoli (Pubblicato nuovamente da Milani, Padova 1948)  Traduzione, prefazione e note di: Pietro Abelardo, L'origine delle monache; e La regola del Paracleto, traduzione, prefazione e note di Carmelo Ottaviano, Carabba, Lanciano.  L'unica forma possibile di idealismo, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», La scuola attualista e Scoto Eriugena, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», Riflessioni sulla polemica Orestano – Olgiati, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», Curatela di: Campanella, Epilogo magno (Fisiologia italiana). Testo inedito con le varianti dei codici e delle edizioni latine, a cura di O., Reale Accademia d'Italia, Roma 1Kritik des Idealismus, mit einer Einfuhrung von Fritz-Joachim Von Rintelen: Realismus-Idealismus?, Aschendorff, Munster. Metafisica dell'essere parziale, MILANI, Padova.  L'unità del pensiero cartesiano e il cartesianesimo in Italia, MILANI, Padova. Scritti  con giudizi della critica italiana e straniera, Tipografia agostiniana, Roma. Panteismo o trascendenza, in «Humanitas». Il problema morale come fondamento del problema politico, Milani, Padova. L'idealismo trascendentale e la metafisica classica, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica». La soluzione scientifica del problema politico, Rondinella editore, Napoli. Le incertezze della scienza moderna, Padova. Progetto di un disegno di legge per salvare la Democrazia dalla dittatura, MILANI, Padova. Dalla democrazia ingenua alla democrazia critica, MILANI, Padova. Che cosa è il social-liberalismo, MILANI, Padova,  Lineamenti programmatici per una riforma della scuola italiana, MILANI, Padova. Presentazione di: Agostino Sepinski, Cristo interiore secondo San Bonaventura, presentazione O. trad. di Orgiani, Politica popolare, Napoli. La tragicità del reale, ovvero la malinconia delle cose. Saggio sulla mia filosofia, MILANI, Padova. Critica del socialismo: ossia Introduzione alla teoria della proprietà per tutti, MILANI, Padova. Introduzione alla teoria delle proprietà per tutti, ovvero la mia soluzione al problema economico-politico, MILANI, Padova. Didattica e pedagogia. Ovvero la mia riforma della scuola, MILANI, Padova.  La legge della bellezza come legge universale della natura. Considerazioni teoretiche e applicazioni pratiche, MILANI, Padova. Manuale di Storia della filosofia, La Nuova Cultura, Napoli. Manuale di storia della filosofia e della pedagogia, La Nuova Cultura, Napoli. Appunti di pedagogia contemporanea. Personalismo e collettivismo. Introduzione alla teoria della proprietà privata per tutti, Solfanelli, Chieti. Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note a cura di Domenico D'Orsi, MILANI, Padova. «Sophia: fonti e studi di storia della filosofia» Palermo: Ires, Il complemento del titolo varia in: rivista internazionale di fonti e studi di storia della filosofia; poi in: rassegna critica di filosofia e storia della filosofia. Luogo ed editore variano in: Napoli, A. Rondinella; poi in: Padova, Milani. Alcuni degli articoli più significativi scritti da Ottaviano per Sophia:  Le «rationes necessariae» in S. Anselmo, in Questioni e testi medievali , in «Sophia», nNovità abelardiane, in Questioni e testi medievali , in «Sophia». Storicismo attualista, in «Sophia», Storicismo attualista, seconda puntata, in «Sophia». Controversie medievali. A proposito della paternità tomistica di un “Tractatus de universibus”, e della data del “De unitate intellectus”, in «Sophia», Intorno al IX Congresso nazionale di Filosofia di Padova, in «Sophia». Intorno alla critica dell'immanenza, in «Sophia», Critica del principio di immanenza, in «Sophia», A proposito della storia, in «Sophia». I grandi idealisti contemporanei, in «Sophia». L'idealismo sulla via di Damasco, in «Sophia». Contraddizioni idealistiche, in «Sophia». La fondazione del realismo, in «Sophia». Postilla alla “Difesa del principio di immanenza”, in «Sophia». Postilla a “Immanenza, idealismo e realismo”, in «Sophia». Idealisti per forza, in «Sophia», Ancora sulla fondazione del realismo, in «Sophia». Fanatismo idealista, ovvero l'agonia dell'Idealismo, in «Sophia». Nuova illustrazione del documento intorno alla condanna di Gioacchino da Fiore. Postilla, in «Sophia». Intorno all'idealismo e al realismo, in «Sophia». Postilla all'art. di Chiocchetti: “A proposito dell'idealismo di C. Ottaviano”, in «Sophia». Anti-moderno, in «Sophia». Intorno alla critica all'idealismo, in «Sophia». Intorno alla valutazione della filosofia moderna, in «Sophia». La teoria delle “species” e l'idealismo immanentistico, in «Sophia». La natura della sensazione e la fondazione del realismo, in «Sophia». Referendum ai nostri Lettori in occasione della ripresa delle Rivista, in «Sophia», «Sophia», Il vero significato della relatività galileiana nel movimento, in «Sophia». Natura pura e soprannaturale, in «Sophia». I fondamenti logici della relatività, in «Sophia». Gli argomenti probativi dell'evoluzionismo, in «Sophia», Intorno al significato storico dell'idealismo italiano, in «Sophia». Intorno alla legge di conservazione dell'energia, ossia del materialismo, in «Sophia», Intuizionismo e logicismo in matematica, in «Sophia», Intorno alla gratuità dell'ordine soprannaturale, in «Sophia». Postilla a E. Riverso, Aporie e difficoltà del Positivismo logico, in «Sophia». Valutazione critica del pensiero di B. Croce. 1) L'estetica, in «Sophia», Valutazione critica del pensiero di B. Croce. 2) Lo storicismo assoluto, in «Sophia», Bilancio di Benedetto Croce, in «Sophia». Einstein filosofo, in «Sophia», Giudizio intorno alla Logistica, in «Sophia», Logica, matematica, poesia, in «Sophia», Crolla l'idolo einsteiniano, in «Sophia», Il “compagno Scioccherellov”, ossia la tragicommedia del comunismo, in «Sophia», Mi intrattengo ancora con il “compagno Scioccherellov”, in «Sophia», “Individui di tutto il mondo unitevi”, ossia Critica della democrazia come idea-forza, in «Sophia», Giudizio su Benedetto Croce come uomo politico, in «Sophia». L'assalto alla diligenza, ossia la scuola privata ecclesiastica e laica all'assalto del tesoro della Stato, in «Sophia», Difesa della scuola statale, ossia l'Antistato contro lo Stato, in «Sophia», L'“ordine della scuola italiana”, in «Sophia», In difesa dell'umanità Abbasso gli scienziati, viva i filosofi!, in «Sophia». Come integrare la dottrina relativistica di Einstein, in «Sophia», AA. VV., O. nella filosofia del Novecento, Atti dei convegni tenuti a Milano e Catania, a cura di Francesco Rando e Francesco Solitario, Prometheus, Milano 2008.  A. Cartia, Tempo, memoria e infinito. I temi del tragico nell'opera di O., a cura di Ghisalberti e Francesco Rando, Prometheus, Milano/ Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia. Coniglione, «Sophia». Nel segno di Ottaviano: una rivista a tutto campo, in AA. VV., La cultura filosofica italiana attraverso le riviste, a cura di Piero Di Giovanni, Franco Angeli, Milano, Croce, Conquiste filosofiche a passo di carica e a suon di tromba, in «La Critica», Orsi, Il filosofo della quarta età: ricordo di Carmelo Ottaviano nel trigesimo della morte, quotidiano “La Sicilia”, Catania, Orsi, Tra Socrate e Gesù: quattro anni fa moriva il filosofo Carmelo Ottaviano, quotidiano “La Sicilia”, Catania, Orsi, Appunti autobiografici ed evoluzione filosofica di Carmelo Ottaviano, in Archivium Historicum Mothycense, Orsi, Metamorfosi di un'opera quale compendio di una vita filosofica, Introduzione a O., Campailla. Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note a cura di Orsi, MILANI, Padova, Noce, Il problema dell'ateismo, Teismo e Ateismo politici: postulato del Progresso e postulato del Peccato, Il Mulino, Bologna, Noce, Giovanni Gentile, Il Mulino, Bologna, Tommasi, Compendio di una vita filosofica: Carmelo Ottaviano, in Voci dal Novecento, a cura di Pozzoni, Limina Mentis Editrice, Villasanta  Ferro, L'«antimoderno» di O., in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», Garin, Cronache di filosofia italiana, Laterza, Bari, Mathieu, La filosofia del Novecento. La filosofia italiana contemporanea, Le Monnier, Firenze Mazzantini, La riduzione ad absurdum dell'immanenza gnoseologica, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», Vita e Pensiero, Milano.  P. Mazzarella, Il contributo di O. agli studi di filosofia medievale, in «Sophia», Mazzarella, Tra finito e infinito. Saggio sul pensiero di O., Milani, Padova, Mignosi, O., in «La Tradizione», Minazzi, Il principio di immanenza nel dibattito filosofico italiano degli anni Trenta: il confronto tra Giulio Preti e Carmelo Ottaviano, in numero monografico de «Il Protagora», Aspetti e problemi della filosofia italiana contemporanea, a cura di Antonio Quarta, Scarcella, O. in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 79, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, Sciacca, Di una recente critica del principio di immanenza, in «Ricerche filosofiche», Sciacca, Il secolo XX, Bocca, Milano. Carmelo Ottaviano. Ottaviano. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ottaviano” – The Swimming-Pool Library. Ottaviano.

 

Grice ed Ovidio: la ragione conversazionale e l’implicatura convrsazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sulmona). Filosofo italiano. Publio Ovidio Nasone. Muore a Tomi, rivela influssi filosofici assai svariati. A Posidonio, mediato da Varrone, si fa risalire la rappresentazione dell'età dell'oro e dello sviluppo della cultura (“Met.”; “Fasti”). Dalla setta di Crotona deriva in larga misura il libro XV delle Metamorfosi, in cui Pitagora -- di cui si dice che si innalza sino al divino colla filosofia e scorge con l’animo ciò che la natura nega agli sguardi umani -- espone ai discepoli un ampio insegnamento sulla natura, il divino, numerosi problemi naturali oscuri e condanna l’uso delle carni animali, giustificando questa proibizione con la teoria della metempsicosi. Nella tesi che nulla è stabile nella natura e nell’uomo, che anche gli elementi si trasformano gli uni negli altri, si notano invece influssi eraclitei e di Girgenti. La formazione del mondo dal caos (Met.), in complesso, riecheggia il portico, ma include anche elementi che fanno pensare a Girgenti, ad Anassagora e a Lucrezio. For a contemporary Roman reader of Ovid's Metamorphoses – usually just the emperor -- who has made his way through the labyrinth of mythological tales that comprise, one segment becomes in some ways a fresh start. It begins the third and last pentad. As he marks this formal boundary, Ovid introduces what he calls a *historical* emphasis. Troy is founded, and from Troy's story that of Rome arises. Roman matter, settings, and themes occupy ever more of our attention as the thing approaches its end. Ovid includes some of the same tales that he had used in his less successful (less read, not even the emperor read it!)  in the Fasti, his “most Roman work” in terms of its proclaimed matter: the very Roman calendar – “tempora cum causis Latium digesta per annum.” – And the Romans always found a cause to celebrate! As we read of Hippolytus deified as Virbius, or encounter the list of Alban kings, the last pentad of the Metamorphoses, too, begins to resursigate for a more imperial readership the “Fasti.” And yet the latter ‘Roma historical’ part of of the Metamorphoses is fully continuous with the first part, simultaneously a fresh start and a seamless continuation. Ovid’s *Roman* historical emphasis is a development of long-established patterns. First Trojan, then Roman subjects signal the work's conclusion, wherein the large-scale historical progression promised in the work's opening lines will be fulfilled: having set out "from the first beginnings of the world," primaque ab origine mundi Ovid's narrative will now reach "my own times," mea tempora the present for both author and readers. Thus, if we, after reading of so many nymphs and maidens transformed into trees or waterfowl, are surprised to find Romulus and Julius Caesar turning up, Ovid's development and fulfillment of narrative patterns also remind us that from the start we had reason to expect such figures to appear. His vast work of transformative myth embraces even them. Whereas Rome contribute something new to the last pentad of the Metamorphoses, she also functions in a fashion that Ovid has made throughly familiar. Already at the start, the council of the gods, called by Jupiter to discuss Lycaon's crime, offers a striking Romanisation of heaven's architecture and social distinctions, with mention of “atria nobelium,” “plebs,” and the like." When Ovid represents Jupiter summoning the gods to the “palatia Caeli,” Jupiter becomes not only Romanized but a reflection of Ottaviano, whose casino stood on the earthly Palatine Hill. Shortly thereafter, Ovid explicitly addresses Ottaviano in a context that links Lycaon's assassination attempt on Jupiter to contemporary attempts on Ottaviano’s life. Both crises cause astonishment throughout the world. “Nec tibi grata minus pretas, Auguste, tuorum est, quam fuit illa loui.” Thus, in returning to current events Ovid recalls to our minds their heralded arrival near the beginning. Also familiar is the narrative use Ovid makes of the Roman matter. Rome functions largely as a frame for other tales, which are often only tenuously related to the newly-prominent national theme – or rather the theme of the history of the nation. We are well aware, when we arrive at this point, that traditionally important and familiar cycles of myth, such as those concerning Theseus and Hercules function mainly as framing devices that connect tales. Many of these are only tangentially related to the framing narrative, or are even altogether remote from it. No sooner does Ovid introduce Troy than he begins to employ it in this now-familiar narrative mode. The traditional story appears to establish a structural pattern for the progress of the narrative, but it is soon displaced, as tales succeed tales. Troy may be familiar ground, but its familiarity does not enable us to predict our convoluted path through Ovid's work with any confidence. Who could guess, when Laomedon founds Troy, that Ceyx and Alcyone would occupy much of our attention? As we read their tragic tale, we may observe thematic links to other tales in the Metamorphoses, as in the personification of Somnus, which formally recalls those of Inuidia and of Fames. Yet the topic of Troy has disappeared, at least for now, from view. So has the new historical emphasis. For the tale of Ceyx and Aleyone is as mythical, as fabulous, as anything in the preceding material. Indirection and unpredictability remain characteristic of the narrative even as Ovid draws Roman historical material within his scope. One might expect Roman historical themes to alter the Metamorphoses. Instead, the Metamorphosis-motif alters them. An especially powerful symbol of Ovid's transformative language is his last and most ambitious personification, the House of Fame. After Ceyx and Aleyone, Ovid abruptly returns to Trojan subjects with Aesacus, then recounts the sacrifice of Iphigenia and the arrival of the Greek fleet at Troy. But before proceeding with the Trojan War, he introduces a remarkable descriptive passage on Fama, beginning with these lines: “orbe locus medio est inter terrasque fretumque caelestesque plagas, triplicis confinia mundi; unde, quod est usquam, quamuis regionibus absit, inspicitur, penetratque cauas uox omnis ad aures. Fama tenet summaque domum sibi legit in arce.” There is a place at the middle of the world, between land, sea, and the heavenly region, at the boundary of the threefold universe. From here one can see anything anywhere, however distant its place; and every voice comes to one's hollow ears. Rumor holds it, and selected its topmost summit for her house. This is the last and the most ambitious, though not the longest, of the large-scale personifications in the Metamorphoses ambitious because, whereas with Inuidia and Fames Ovid achieves a rich and grimly detailed impression of corporality through his descriptive language, here indistinctness is paradoxically the goal of precise description. The lines just quoted appear to establish theplace of Fama's house, but in a way that defeats definition; for the house occupies a liminal site, hovering at the boundaries between earth, sea, and sky. The structure itself if it can be called a struc-scarcely separates inside from outside, for its porous nature defeats such distinctions: “innumerosque aditus ac mille foramina tectis addidit et nullis inclusit limina portis: nocte dieque patet; tota est ex aere sonanti, tota fremit uocesque refert iteratque, quod audit. nulla quies intus nullaque silentia parte.” She added innumerable approaches to the building, and a thousand openings. With no doors did she shut its threshold: it lies open night and day. The whole house is of resounding brass, produces a roar, echoes and repeats what it hears. There is no quiet within, silence in no quarter. In and out of the house issue personified rumors: atria turba tenet: ueniunt, leue uulgus, cuntque mixtaque cum ueris passim commenta uagantur milia rumorum confusaque uerba uolutant. A throng occupies its halls; they come and go, a light crowd; lies mixed with truth wander here and there by the thousands; and the confused words of rumor roll about. Only when this expansive description is finished do we learn its relevance to its surroundings: rumors of the Greek expedition have reached Troy. This house of Fama and her attendant rumors, "lies mixed with truth," creates a remarkable preface to the beginning of the Trojan War, inviting us readers to consider it as an interpretive comment on all that follows. Feeney connects the passage to themes of poetic authority in the Metamorphoses; indeed, the authority of Ovid's epic predecessors, especially Homer's lad and Odyssey and Virgil's Aeneid, is at issue in the later books of the Metamorphoses, where extensively adapted sometimes severely distorted-versions of their tales are woven into a new fabric. For much of the rest of Book 12, for instance, Nestor narrates the battle of Lapiths and Centaurs, as he did in Book 1 of the liad: but Homer's version is a brief summary, meant to illus-trate a point in its context, Ovid's a vast expansion that engulfs its context, displacing the Trojan War in our attention for hundreds of lines. Fama dominates the rest of Ovid's poem, from Book 12 to the end, not only because of the formal introductory description of the house of Fama, but also because of the increasing role of internal narration in the later books: as the poem proceeds, the epic narrator recedes, and more and more tales are reported by an internal narrator to an internal audience. Fama also forms a boundary for Books 12-15, prominently recurring at the very end of the Metamor-phoses, where fama provides the means of the poet's continued sur-vival: perque omnia saecula fama,/ siquid habent veri uatum praesagia, winam (15.878-79). The recurring presence of Fama serves as a reminder of the fundamental lack of definition and stability characteristic of narrative style throughout the work. Flux remains Ovid's theme to the end, and Fama provides both a symbol and an embodiment of flux within the narrative. Fama resists the tendency toward interpretive simplicity and transparency that the introduction of historical and political topics might lead us to expect. As we proceed through the last pen-tad, historical and historico-political modes of understanding events, however pervasive their presence, ultimately never reduce Ovidian flux to order. Fate, for instance, a cosmic principle beloved of some Greek and Roman historians, whose workings they trace in the unfolding of events, duly turns up from time to time in Ovid's Metamorphoses, and does so as a theme of historicized myth that is likely to remind us of Virgil's Aeneid. Yet, whereas the Aeneid is deeply imbued with a sense of fate, guiding the reader to a teleological understanding of myth and history, fate is an historical prop in the Metamorphoses part of the furniture of historicized myth. Far from dominating its context, the context dominates it, as in the summaries of the Eneide that Ovid employs as framing devices -- non tamen euersam Troide cum moenibus esse/spem quoque fata sinunt.” These lines introduce Enea’'s departure from Troy with unmistakable reference to Virgil's plot and theme. WhereasVirgil integrates fate (fatum, il fato) into the structure and architecture of the “Eneide”, however, Ovid reduces fate and its impact on events to barest summary. Ovid acknowledges Virgil's historical vision without permitting that vision to structure his narrative or his readers' experience of it. Instead, Ovid shamelessly *appropriates* Virgilian turns of phrase in the national epic for a characteristic Ovidian witticism, playing simultaneously on the literal and figurative senses of euersam. Troy's walls are physically overturned, but her hopes, conceptually and metaphorically are not overturned. Sylleptic implicature of this kind saturates the Metamorphoses and embodies its themes of transformation on the narrative surface: the loss of human identity in metamorphosis, the shifting of boundary between human and natural, indeed the obscuring of any such boundary are events typical of the Metamorphoses;. Ovid now sets the plot of Virgil's Aeneid among them, exploiting Virgilian language for his own transformative wit. Although there is a shift to historical and this national theme, and with them a more direct engagement with Ovid's epic predecessors, the Metamorphoses remains the same poem it was. The porous, echoing, boundary-less, and visually indistinct house of Fame incorporates all within it. Ovid's epic predecessors are a conspicuous presence and readers familiar with them may try to understand Ovid's material in similar terms. Yet Ovidian slipperiness remains. Ovid refuses to be pinned down, to yield to interpretive stability, although his readers may crave it. In fact, by introducing interpretive frameworks familiar from his predecessors-Virgilian fate, for instance, in the lines quoted above Ovid takes advantage of his readers' desire for clarity: he invites us to reach conclusions, then fails to sustain them. The concept of fate drawn from the philosophy of the Porch is one interpretive possibility that turns up in the Metamorphoses, yet without the structured development that Virgil gives it; Augustan historical vision is another. By introducing historical and political subjects into his work, Ovid invites readers to consider the relationship of the Metamorphoses to the world outside it -- not only to the Aeneid and earlier Roman epic on historical themes, but also to Augustan ideology and its expression outside poetry -- in the architectural projects, for instance, by which Ottaviano “transforms’ the Romans' physical environment. When he introduces the voyage of Aeneas alluding to the plot and eventhe vocabulary of Virgil's epic, Ovid acknowledges his contemporary readers' awareness that the Aeneid has overwhelmed other versions of this story. Ovid could not retell this story with directing readers awareness from his own text to Virgil's. When Ovid incorporates the apotheosis of Romulus into the narrative of Book 14, readers are likely to find that their thoughts turn unavoidably to Ottaviano’s identification of himself as Romolo – Roma’s first king -- , and to accompanying images and slogans concerning the foundation of Rome. Because Ottaviano eventually gains, like Romolo, a place among the dia, Ovid's apotheosis of Romulus invites his readers at least provisionally to define the relationship between this figure from the remote past and his contemporary embodiment. Ovid presents a parade of heroes in the later books of the Metamorphoses. Hercules leads the way; then Aeneas, Romulus, Julius Caesar, and Ottaviano form a triad of apotheosised mortals. These three figures are already iconic when they turn up in Ovid's poem iconic in the sense that they resemble images that are powerfully identified with meanings, like the statues of these very heroes that stood in Ottaviano's forum. Because Ovid's parade of heroes arrives accompanied by preexisting interpretive baggage, it will be worthwhile to contrast these two fundamentally different sites of meaning, each with its own ways of associating ancient with contemporary heroes. The Forum of Ottaviano an architectural space well designed and equipped to promote a unified and coherent set of messages about the relationship of past to present; and Ovid's Metamorphoses, a fluid narrative on the prevalence of change, whose author enacts his theme by mischievous artistry, establishing patterns of meaning, then disrupting and fracturing them. Historical patterns are among those that Ovid deliberately reduces to incoherence. Each of these sites of meaning is powerfully manipulative, and each achieves its impact by means well suited to the message. Meeting a Roman hero in the “Forum Augusti,” the observer's upward gaze would encounter not only an impressive image, but also a titulus, identifying him, and an elogium, recording his achievements. Furthermore, this experience takes place within an architectural complex, the Forum Augusti, erected by Ottaviano in payment of a vow made while fighting his adoptive father's assassins at Philippi.Within so structured an experience, the observer of its visual images and inscriptional texts is unlikely to go far astray in interpreting them. Although the battle occurred some time ago, the Forum itself, dedicated, is a recent reminder of that event for the readers of Ovid's Metamorphoses. In the parallel exedras along its longer sides stood statues of Enea on one side and Romolo on the other. For Ovid to set the parallel apotheoses of these same heroes near each other is to make inevitable the reader's recognition of Ottaviano’s meanings attached to these deified heroes. At the same time, in the Metamorphoses these figures are iconic in a far less tightly regulated context of meanings than they are in the forum. Though now purely verbal, they resemble ideological statements less than do the forum's statues. Ovid presents his portraits, so to speak, without titulus and elogim to regulate their interpretation. Thus exposed, the portraits lose their interpretive transparency and become vulnerable to incorporation into Ovidian flux. Consistent with the organization and coherence of the Forum Augusti is the fact that its symbolism is easy to interpret. Within the temple of “Mars Ultor,” for instance, stood cult statues of Mars – MARTE LUDIVISI – Romolo’s father, parent and protector of the Romans, and Venus, the ancestress of the Julian gens. Everything about these images directs the viewer's attention away from the adultery of Marte and Venere so prominent in their mythological tradition. Only the irreverent and satirical perspective that Ovid offers in Tristia 2 resists the ennobling abstraction of such figures and drags adultery back into view. There, Ovid describes the cult statues of Marte and Venere, who stood next to each other in the temple's cella, as Venus Vitori ncta (Ir. 2.296), "Venus joined to the Avenger" -- an expression that invites reflection on the sexual significance of “iungere." Venus's husband stands outside the door, wir ante fores."? A myth of political origin, its official representation in art, and resistance to it are prominent also in the Metamorphoses in the tale of Arachne. It is enough to emphasize here that the tale offers rich reflections on official interpretation of art. When Minerva chooses to depict her victory over Neptune in the two divinities' dispute over the naming of Athens, her tapestry, decorously ordered and balanced, promotes its didactic message with unavoidable clarity, while offering an aesthetic correlate to the power of enforcement that lies behind that message. Readers often side with the Arachne and her irreverent depiction of divine misbehavior; yet Minerva does not ask for our approval, nor need she take much thought for the judges of the con-test. Her views of the story are enforceable and will determine the outcome of the plot. Her power allows her to impose her perspective on events. Because the historical subjects of the later books of the Metamorphoses so often bring official interpretations within view, it is worth noting that, according to one political approach to literature currently in favor, only official interpretations are possible. On this view, all activity of writing and reading takes place within a fixed political system, often unrecognized by the participants, that "advances the interests" of "elites."' Proponents of this approach offer a powerfully reductive historicism: nothing is important about literature except the historically determined power-relationships that govern its production and reception; all attention to literary qualities of a text is sentimental and self-indulgent aestheticism. Whereas this view contracts all understanding of literature to the narrowly political, some recent writers on history in Roman literature expand the historical to a larger field that embraces Varro's theologia tripertita and the universal history of Cornelius Nepos, Diodorus Siculus, and others. In the shift, for instance, from mythological to historical subjects in the Metamorphoses, we can see a broad similarity to Varro's “De gente populi Romani.” Wheeler's work on elements of history in the Metamorphoses shows that Ovid's awareness of historical principles is far deeper and more intimate than has been recognized before. For instance, the poem's "alternation between diachrony and synchrony is a narrative technique characteristic of universal history. The poem's chronological framework from first origins to the present also reflects the aims of universal history; yet Wheeler, like most critics today, does not view the poem "as a natural process of evolution from chaos to cosmos, culminating in the peace and properity of the Augustan age."' Arguing for a subtler and less overtly political patterning of events, Wheeler traces historical principles behind the increasingly historical subject matter of the last pentad. The movement from myth to history represents "a shift," in Wheeler's view, "from a theologia fabulosa to a theologia civilis." The terms are Varronian, and invite us to contemplate the Metamorphoses alongside Varro's “Antiquitates rerum humanarum et divinarum” -- a massive and comprehensive work, among whose aims was to organize conceptions of divinity into mythical, natural, and civic (Aug., Ci. Dei). Ovid is known to have used the “Antiquitates” as a source in the later books of the Metamorphoses as well as in the Fasti, and it is surely right to call attention to the presence of Varronian principles in Ovid's work. Yet, Varro's conceptual organization does not structure Ovid's work, and Varro's religio-historical vision only partly informs Ovid's. Ovid brings Varro into the mix just as he does Ottaviano’s mythologizing and the historical mythologizing undertaken by his epic predecessors, especially Homer, Ennio, and Virgil. P. Hardie has recently argued for the presence of Livy in the Metamorphoses, arguing that Ovid's vision is fundamentally historical. Ovid writes the long historical epic that Virgil self-consciously had abjured. Recent emphasis on history in Ovid has much to teach us about his intellectual depth and awareness of contemporary affairs; yet it also runs the risk of presupposing a conceptual tidiness and order that Ovid's work in fact thwarts and defies. The historical vision of the Metamorphoses remains deeply fractured, stubbornly resistant to schematizing, and intentionally incoherent. Ovid acknowledges historical conceptions, but his work escapes their power to shape his material and to govern our responses to his text. Ovid's"historical" books are as strange, perverse, unpredictable, and provocative as the "fabulous" books that precede them.In Book 11, the Metamorphoses suddenly becomes historical: "the 'historical' section actually begins at with Laomedon's founding of Troy. To be sure, the poem has pursued the course of history from the opening lines of Book 1, while Romanization on both a large and small scale has kept contemporary reference, analogies, and allegorical interpretive options before our eyes throughout the progress of the work. Yet the foundation of Troy, which turns up as a narrative topic just after King Midas has received ass's ears, abruptly brings the poem's subject-matter within the boundaries of history. For the Romans, in so far as a distinction was made between history and myth, the Trojan War tended to mark the dividing line. This, with its aftermath, occupies the next three books. Because, however, Rome's origins are in Troy, this also begins a narrative sequence that continues to the end of the poem, and indeed to the moment of reading for Ovid's Roman audience. In the last pentad, "mythical" tales continue unabated, but now jostle with tales from Roman history and even "current events," all brought within the narrative sweep. Among "current events" we may locate the transformation of Julius Caesar's soul into a star. Yet this transformation is thoroughly mythologized, for it occurs among the activities of the goddess Venus. With Troy's foundation, history arrives well integrated into the poem's patterns of mythological narrative. We might expect that lin-carity and clarity of narrative progress would arrive along with historical subjects, and indeed the last pentad is sometimes described as if this were the case. When we reach Laomedon's Troy the principle of chronological sequence takes charge again: it is 'after that' rather than 'meanwhile' that sustains the illusion of reality. But Wilkinson's impression is in fact illusory. The amount of material recounted by internal narrators steadily increases in the later books, so that chronological movement is constantly interrupted and postponed by tales of the past, recent or remote. Even more remarkable is the fact that history arrives together with manifest anachronism. It is often noted that the participation of Hercules in the foundation of Troy -- his rescue of Hesione and his capture of the city after Laomedon refuses him the promised horses -- occurs lines after the hero's death and apotheosis. Ovid makes no attempt to reconcile the chronology. Wheeler has explored Ovid's anachronisms in revealing detail, showing that at Hercules' death. Troy is assumed to exist already in the world of the poem, and that "Ovid could have avoided the anachronism by placing stories about the dead and deified Hercules in the mouths of characters who report retrospective events in inset narratives that temporarily suspend the main chronological thread. Instead, Ovid flaunts his disruption of chronology, first recounting Hercules' death and apotheosis, then introducing a narrator, Alemene, mother of Hercules, to recount his birth. Chronology appears to reverse direction, but chronological dislocation turns out to be more complex than simple reversal. Wheeler's conclusions refute the common notion that Ovid's shift to historical topics results in a more linear narrative explication and greater chronological regularity. The reintroduction of Hercules is therefore part and parcel of a larger web of anachronism involving the foundation of Troy and the marriage of Peleus and Thetis, both of which should have occurred already in the poem's historical continuum. It should be clear, furthermore, that Ovid's transpositions of the foundation of Troy and the marriage of Peleus and Thetis are a deliberate structural strategy to furnish new points of origin for the narrative of the final books of the poem. That is, Ovid deliberately violates his earlier chronological scheme to provide new beginning points for the final pentad i.e., from the foundation of Troy and the birth of Achilles to the present) As a result, the formality and regularity of the pentadic structure produces a paradoxical result: on the one hand, it divides the work symmetrically into thirds and hence to some extent structures the experience of the reader: we may compare the division of Virgil's Aeneid into halves, in allusive reference to the Odyssey and Iliad." On the other hand, in effecting a new beginning for thelast pentad, Ovid reinforces the narrative indirection and unpredictability that have characterized the Metamorphoses from its beginning. The tales that follow the foundation of Troy both illuminate and obscure the newly initiated narrative patterns of the last pentad. At this point, Ovid's readers may expect him to expand upon the origins of the Trojan conflict. He does so in his account of Peleus and Thetis, the parents of Achilles, but hastily summarizes the elements of the story that are traditionally the most important: Thetis receives a prophecy that she will bear a son who will surpass his father; Jupiter, despite his passion, avoids mating with Thetis "lest the universe contain anything greater than Jupiter" (ne quacquam mundus loue maius haberet). Ovid alters the authority for the prophecy, substituting the shape-shifting divinity Proteus for Themis as its source. He then develops the story in his own way, dwelling upon a description of the bay frequented by Thetis, Peleus's attempt to, assault her (which she thwarts by shape-shifting), Proteus's advice to Peleus that he tie her up as she sleeps, and the successful results. Some of this account will remind us of epic predecessors, for Proteus is familiar from the Odyssey as well as from a brief appearance carlier in the Metamorphoses and from Virgil's Georgics. Yet in emphasizing shape-shifting and sexual assault, Ovid flaunts the unedifying nature of his account and its lack of relevance to any of the large-scale themes, providential, historical, and originary, that one might expect at the threshhold of events that lead to the foundation of Rome. An account of origins this may be, with reference to historical subjects, and formally analogous to Virgil's reworking of Homeric material in the Aeneid. Yet Ovid offers it manifestly without the interpretive guidance that would associate it with Virgilian themes. As an account of origins, it explores causes of the Trojan War still more remote than those developed by Ovid's pre-decessors, suggesting a line of interpretation that traces events back to lust, violence, and deception at least as much as to beneficent destiny. Ovid on the one hand traces Trojan subject matter from its origins, and on the other characteristically takes his narrative into unforeseen directions. The tales of Daedalion and his daughter Chione and of Geyx and Aleyone are intricately linked to the matter of Troy; yet in them Ovid pursues free-wheeling digressivevariety that is entirely consistent with the earlier books of the Meta-morphoses, in no way more linear, predictable, or goal-directed than formerly. At the end of Book 11, Troy, chronology, and fate turn up in another tale of amorous pursuit. Ovid attaches his tale of Aesacus, a son of Priam first known from Ovid's version, to that of Geyx and Alcyone, whose unhappy tale of fidelity and loss has long occupied our attention. Observing the royal couple, now transformed to kingfishers, near the shore, an old man and his neighbor shift their conversation to another sea-bird, the diver, who likewise turns out to have a human history and even royal lineage. In a send-up of learned claims to poetic authority," Ovid's narrator cannot tell us which of the two interlocutors is the source for the story: proximus, aut idem, si fors tulit... dixit. The irony of this crisis of authority is especially marked by the genealogical king-list that follows, which approaches annalistic, even inscriptional style: et si descendere ad ipsum ordine perpetuo quaeris, sunt huius origo Ilus et Assaracus raptusque loui Ganymedes Laomedonue senex Priamusque nouissima Troiae tempora sortitus. frater fuit Hectoris iste: qui nisi sensisset prima noua fata iuuenta forsitan inferius non Hectore nomen haberet. And if you wish to follow his lineage down to him in continuous sequence, his ancestors were llus, Assaracus, Ganymede, seized by Jupiter, and Priam, allotted Troy's last days, That bird there was Hector's brother. If he had not experienced a strange fate in early youth, perhaps he would have no less a name than Hector's. Ovid appears simultaneously to claim and to obscure authority for the tale. To complete the paradox, he refers to the king-list as ordo perpetuus, "a continuous list": thus the pretensions of his carmen perpetum to be a universal history, conducted in unbroken sequence from first beginnings to the present, serve to introduce a tale of admittedly indeterminate origin. The tale that follows is primarily a natural actiology, incorporating both historical and epic subjects into an account of how Hector's brother became the origin of a species of sea-bird. Aesacus chasesHesperie, who in her hasty flight steps on a snake, Eurydice-like, and dies of its bite. Her pursuer is introduced as hating cities and devoted to rural life, yet unrustic in his susceptibility to love: non agreste tamen nec inexpugnabile amori/ pectus habens. Amor agrestis is not uncommon in the Metamorphoses and will soon be fully developed in the tale of Polyphemus. What is unusual in Aesacus are his guilt and remorse at Hesperie's death: uulnus ab angue a me causa data est. ego sum sceleration illo, qui tibi morte mea mortis solacia mittam. The wound was given by the snake, the cause by me. I committed a greater crime than the snake, and will send you consolation for your death by my ow. When he throws himself from a cliff, the sea-goddess Tethys pities him and transforms him into the diver; the verb mergitur at the end of the story echoes the noun mergus at its beginning. Thus, the whole story is framed as an aetiology of the bird's name, and so establishes a link between the history of Troy and the origins of the natural world. Trojan history, along with all notions of historical progress to the glorious present, becomes naturalized and incorporated into aetiological explication; natural phenomena, meanwhile, receive a history, and suggest that an historicized understanding of nature is possible. Natural actiologies are prominent in Ovid's integration of Trojan subjects into the Metamorphoses. As he introduces more Roman subjects and Roman heroes into his narrative, his atiological focus turns from the earth to the heavens. The poem's first apotheosis is that of Hercules. A sequence of apotheoses and catasterisms follows. After Jupiter promises Venus to make the soul of her descendant, Julius Caesar, into a star, she, although unable to prevent Caesar's murder, snatches the soul from his limbs and carries it to the heavens. There, having become a star, it rejoices to see its own deeds outdone by those of Ottaviano. When Ottaviano forbids his own deeds to be preferred to his father's, personified Fama reappears to thwart him: hic sua pracferri quamquam uetat acta paternis, libera fama tamen nullisque obnoxia iussis inuitum prefert unaque in parte repugnat. Although he forbids his own deeds to be preferred to his father's, nevertheless Fame, free and not yielding to any commands, prefers him against his will, defying him in this matter only. To attribute modestia to a ruler is standard in panegyric, and equally standard are the exempla that follow;'' but because these lines appear in the Metamorphoses, they invite multiple perspectives on the events described. Readers are already familiar with Fara as the source of "lies mixed with truth," which issue from her echoing house, and have met her also as "the herald of truth," offering an accurate prophecy about the royal succession among Rome's early kings: destinat imperio clarum praenuntia ueri/fama Numam. Later, Pythagoras claims Fama as his authority for predicting the rise of Rome: nunc quoque Dardaniam fama est consurgere Romam. To be sure, any claims of truth for Fama are problematic in the Metamorphoses. The identification of Fama as praenuntia weri occurs in a context of manifest anachronism, the irony of which would have been obvious to Ovid's Roman readers. The succession of Numa, the second king of Rome, was an accepted part of the historical record. But Ovid's readers knew well that the tradition of his visit to Crotone as a student of Pythagoras is chronologically impossible. Cicero (Rep.; Tusc.) and Livy point out that Pythagoras did not come to Italy until the fourth year of the reign of Tarquinius Superbus, years after Numa's death. The Ovidian narrator, however, exploits the audience's awareness of the anachronism to launch one of the greatest non-events of the poem. After Fama's appearance in the tale of Numa, her recurrence as an agent in the tale of Julius Caesar's soul exemplifies the ambiguous natureof the politically charged episodes at the end of the Metamorphoses. Few passages in the work provoke such widely divergent views as the apotheosis of Caesar's soul, and all of them, I would maintain, can find support in Ovid's text and are in fact generated by it: that Ovid introduces the apotheosis and Augustan panegyric "in all seri-ousness," and "employs the official terminology in an entirely loyal fashion", that this material is ridiculous, satirical, even subversive. This is intentionally incoherent, presenting the reader with irreconcilable interpretive options. Certainly there is a striking dichotomy in modern critical positions taken on whether the apotheosis is integral to the larger work or loosely added as extraneous matter. The eulogy of Ottaviano and the account of Giulius Caesar's apotheosis are not the organic end of a persistent thematic development. It should be evident from the numerous examples of apotheosis in the Metamorphoses that Julius Caesar's catasterism is the repetition of a common tale-type, which is associated with the end of narrative sequences, books, and pentads, and the poem as a whole, however. As for the apotheoses of Aeneas and Romulus, we find that they prepare for and introduce not only the apotheosis itself of Caesar's soul, but also the interpretive questions it raises. Ovid resumes the engagement with Virgil's Aeneid that he had begun, and intermittently pursued. Ovid takes over from Virgil the burial of Aeneas's nurse Caieta as an initiatory gesture: in the Aeneid it begins Book 7, and Ovid's version of Aeneid 7-12 begins here, too. Ovid adds an epitaph for Caieta: hic me Catam notae pietatis alumnus/ ereptam Argolico quo debuit igne cremauit. By emphasizing Caieta's rescue from one fire and cremation by another, Ovid calls attention to an etymological explanation of her name from kaiew, glossed by cremare. Thereby Ovid alludes to the derivation that Virgil omitted. Ovid is in a sense commenting on Virgil's text, noting an etymology that would later find a place also in Servius's commentary on the Aeneid. Another effect of Ovid's revision is to fill out the earlier account, suggesting that there is more to the story than what Virgil provides. There follows a severely abridged summary of the Aeneid. After Aeneas's arrival, the subsequent war in Latium up to Venulus's embassy to Diomedes requires only nine lines. Ovid here resumes his earlier procedure in retelling the Aeneid. Most of Virgil's work he reduces to brief, sometimes comically abbreviated, summary. Ovid also adds many tales not in Virgil. In parallel fashion, Ovid had earlier refashioned the lliad, expanding the inset tale of the Lapiths and Centaurs to great length, and adding two tales not in Homer's account: a nearly inconclusive struggle between Achilles and the invulnerable Cygnus, and a verbal battle, the debate over the arms of Achilles. In both of them, Homeric heroism becomes attenuated until it is barely noticeable. Ovid now reworks two tales from the Aeneid that had offered accounts of transformation: the companions of Diomedes, transformed to seabirds (Aen.; Met.), and Aeneas's ships, transformed to nymphs (Aen.; Met.). In Ovid's account, the first of these becomes a tale of unequal justice typical of the Metamorphoses, though thematically remote from the Aeneid: Acmon, recounting the miseries that Diomedes' crew has endured at the hands of Venus, impiously provokes her (Met.). Dicta placent paucis (Met.), "his words picase few" of his com-rades; but Venus punishes both Acmon and those who opposed him with arbitrary transformation. Her power is amply demonstrated; yet the lesson of the tale remains at best ambiguous, and its conclusion seems to transfer its uncertainties into the visual sphere. These are uolucres dubiae, and any attempt to identify them must remain frus-trated: 'si, uolucrum quae sit dubiarum forma, requiris,/ ut non cygnorum, sic albis proxima cygnis (Met. 14.508-9). The alternating pattern of severe abbreviation and vast expansion of Virgilian material provides a context for the apotheosis of Aeneas, an event foretold but not narrated in the Aneid. Jupiter begins his consolatory prophecy to Venus in Aeneid 1 by mentioning the foundation of Lavinium and Aeneas's apotheosis. Both are assurances that fate and Jupiter's established plans have not changed: parce metu, Cytherea, manent immota tuorum fata tibi; cernes urbem et promissa Lauini moenia, sublimemque feres ad sidera Caeli magnanimum Aenean; neque me sententia uertit. Cease from fear, Cytherea: your fates remain for you unmoved. You will see the city and promised walls of Lavinium, and you will carry aloft great-souled Aeneas to the constellations of heaven; my decision has not changed. Jupiter's prophecy, which at this point already has passed well beyond the plot of the Aeneid, embraces all Rome's fortunes within a reassuring teleological vision. Among the events prophesied is the reconciliation of Juno with the Romans, which is to prove important both for the Aeneid and for Ovid's recontextualization of Virgilian topics: quin aspera luno, quae mare nune terrasque metu caelumque fatigat, consilia in melius referet, mecumque fouebit Romanos, rerum dominos gentemque togatam. Furthermore, harsh Juno, who now wears out sea, earth, and heaven with fear, will turn her plans to a better course; along with me she will cherish the Romans, lords of all, the people of the toga. We ought better to call this not the but a reconciliation, for, introduced after Jupiter's mention of Romulus and the foundation of Rome, it appears not to refer to the reconciliation that actually occurs in Aeneid 12. There, shortly before the final encounter of Aeneas and Turnus, Jupiter appeals to Juno to give up her wrath. Juno does so, stipulating that the Latins not be required to give up their language and dress, and that Troy remain fallen (Aen.). In Aeneid 1, however, Virgil follows Ennius's “Anales” in dating Juno's reconciliation to the time of the second Punic War, Ennius's own subject, as Servius notes on the words “consilia in melius referet: quia bello Punico secundo, ut ait Ennius, placata luno coepit fauere Romanis.” Virgil mentions the chronologically later reconciliation long before describing the former. In Book 1 Jupiter takes a longer view of destiny, showing that a conflict introduced but unresolved in the Aeneid, the future hostility of Carthage, will eventually be resolved happily. Whether we take Juno's reconciliation in Aeneid 12 to be incomplete, impermanent, or, limited to only some of Juno's grudges, it contributes only a partial sense of closure to the end of Virgil's poem. Ovid's transformation of Aeneas into the divine Indiges more specifically recalls Aeneid 12 than Aeneid 1, especially the beginning of Jupiter's address to Juno at Am.: 'indigetem Aenean seis ipsa et scire fateris/ deberi caelo fatisque ad sidera tolli' Ovid does not closely follow the chronology of Juno's reconciliation in Aeneid 12, however, shifting it instead to a time beyond Vergil's plot, and just preceding the apotheosis of Aeneas, which indeed it serves to introduce: iamque deos omnes ipsamque Aencia uirtus lunonem ucteres finire coegerat iras, cum bene fundatis opibus crescentis Iuli tempestius erat caelo Cythereius heros. And now Aeneas's virtue had compelled all the gods, even Juno herself, to put an end to old anger, when the resources of rising lulus were well established, and the hero, Venus's son, was ripe for heaven. The thoughts and language strongly recall the Aeneid, but Ovid introduces these lines into bizarre, surreal surroundings of his own making. Their immediate context is one of the strangest transformations in the poem-the tale of Turnus's hometown, Ardea, changed into the heron. Turnus and the town Ardea may be Virgilian in their associations, but Ovid's treatment is remote from Virgil, and takes his own aetiological procedure to new extremes. It is typical of Ovid's natural aetiologies that they account for the first animal of a species, tum primum cognita praspes, and that they stress the continuity of traits and features in the change from the old to the new shape. This case goes beyond the typical in the sheer imaginative effort required to make the shift from a ruined city, with all its attributes, to a heron. Cities, as human social organizations, are characteristically distinct from the natural. This is not just any city, but one embedded in the human history of Rome and Rome's enemies, and familiar in Rome's national epic. Yet Ardea retains even its name in its migration into the avian realm as the first heron -- et sonus et macies et pallor et omnia, captam quae deceant urbem, nomen quoque mansit in illa urbis et ipsa suis deplangitur Ardea pennis. It had the sound, the wasted condition, the pallor everything that befits a conquered city. Even the city's name remained in the bird, and Ardea beats her breast, in mourning for herself, with her own wings. These remarkable lines, which immediately precede the apotheosis of Aeneas, provide no contextual introduction to the apotheosis, no invitation to form a close approximation of Ovid's and Virgil's Aeneas. Aeneas and his virtus abruptly arrive. Yet no sooner do the gods and Juno give up their wrath, introducing a new and impressive array of literary, historical, and political associations, than the tone of Ovid's version of the apotheosis becomes intrusively comic. Venus canvasses the gods like a Roman politician: ambieratque Venus superos. She appeals to Jupiter's grandfatherly pride, and seems to treat numen as a rare and valuable commodity in begging some of it for her son, 'quamus parvum des, optime, numen,/ dunmodo des aliquod. All these details are at least potentially comic, as is the argument wholly successful in the event- with which Venus concludes her speech. One trip to hell is enough: 'satis est inamabile regnum/adspexisse semel, Stygios semel isse per amnes'. These lines are a comic correction of Virgil. Later readers were to be distressed that Virgil's Sibyl, otherwise a knowledgeable prophetess, was unaware of Aeneas's apotheosis, which Jupiter had explicitly prophesied in Book 1 and was to prophesy again later. Otherwise she would not have assumed a second trip for Aeneas to the infernal regions after his death: quod si tantus amor menti, si tanta cupido bis Stygios innare lacus, bis nigra uidere Tartara, et insano iuuat indulgere labori, accipe quac peragenda prius. (Aen.). But if your mind has so great a longing, so great a desire to swim the Stygian pools twice, twice to look upon dark Tartarus, and it pleases you to indulge in an insane effort, learn what must be accomplished first. Servius tries to reconcile the death of Aeneas, implied here, with Ovid's apotheosis of him, though he could have mentioned Jupiter's two prophecies in the Aeneid itself. Servius proposes that simulacra of apotheosized heroes, no less than of ordinary folk, are to be found in the underworld. We do not know whether readers and critics in Ovid's time were already vexed about the Sibyl's evident lack of knowledge, but Ovid's Venus, correcting bis with semel, sets the record straight. Once Venus has asked the help of the river Numicius in washing away all that is mortal in Aeneas, she completes the process of making him into a divinity whom Quirinus's crowd calls Indiges, and has received with altars and a temple (quem turba Quirini/nun-cupat Indigetem temploque arisque recepit). This information is profoundly historical, for how Romans understand the altars and temples of their gods, how they connect the remote to the recent past, depends on the symbolic narrative or narratives that their minds associate with monuments in their city. Ovid's revision of Vergil is the revision of a well known and compelling historical vision. Ovid's concluding lines on Aeneas also, as editors note, offer a parallel to the language of an inscription for a statue of Aeneas found at Pompeii: appel/latus/g.est Indigens (pa)ter et in deo/rum n/umero relatus (CIL = Dessau). Mention of the turba Quirini looks forward to the apotheosis of Romulus later in Book 14, but first there intervenes a king-list an annalistic structuring of the past remarkable in finding a place in the Metamorphoses. Like the renaming of Aeneas, the list of Latin kings also recalls to Roman readers their reading of inscriptions. This king-list also recalls earlier lists in the Metamorphoses, such as the genealogy of Aesacus. His transformation is a natural aetiology, and likewise Aeneas's shift to divine status as “indiges” can be viewed as just another transformation, an addition to the tale of Ardea transformed into a heron. We might almost think of it as an undifferentiated item in a vast accumulation of transformation-tales that could be arbitrarily lengthened by further addition. The reason, however, that we cannot quite do so is the fact that it is not isolated, but participates in a pattern of apotheoses. The apotheosis of Hercules establishes a pattern that is reinforced strongly by the apotheoses of Romulus and of Julius Caesar's soul. Their greater number toward the end of the poem appears to signal both their own importance and their closural impact. Ovid's list of Latin kings does not lead directly to the apotheosis of Romulus, but to the tale of Pomona and Vertumnus, which he dates to the reign of Proca. The tale is rich in closural features, cut from the same cloth as the apotheoses that frame it. Viewed as an incident of deceptive seduction and barely-suppressed violence, the tale of Vertumnus can also appear a distraction, leading the reader's attention away from the transformation of historically important heroes into gods. The tale is a "romantic comedy," yet regards it as compromising its context. It is no secret that it disrupts what might be called the Aeneadisation of what is otherwise far from being a Roman epic just when it begins to show promise (or make fraudulent promises) of turning a new leaf and beginning to be such an epic, and one in the Augustan mode to boot. Coming as it does between Aeneas and Romulus, the tale of Vertumnus defeats closure and deflates any last hope of the poem's imagining Rome’sHistorical Destiny (or imagining the World's destiny as Rome's) because an ample and effective representation of the myth of Romulus would be crucial to a celebration of Rome's place at the end of history as the end of history. When Ovid abruptly returns to his long-interrupted king-list, he remarkably FAILS to mention Romulus. Rome's walls are founded in the passive voice, and only Romulus's enemy, the Sabine king Tatius, receives mention by name -- proximus Ausonias iniusti miles Amuli rexit opes, Numitorque senex amissa nepotis munere regna capit, festisque Palilibus urbis moenia conduntur. Tatiusque patresque Sabini bella gerunt -- Next the military might of unjust Amulius ruled rich Ausonia, old Numitor received, by his grandson's gift, the kingdom that he had lost; on the festival of Pales the city's walls are founded. Tatius and the Sabine fathers wage war. Scholars have attempted to explain by various means Ovid's drastic compression of Rome's origins. Ovid avoids repeating what he writes in the Fasti. The foundation of Rome offers no opportunity for metamorphosis, although Helenus is to represent Rome's foundation exactly in such terms later, in another context. And Ovid wishes to avoid competing with Ennius's account in the Annales. These explanations themselves are speculative, but the text seems to call for explanation because Ovid has so strikingly omitted an obvious opportunity to serve up an account of Rome's origins. Ovid's critics easily fall into the his hermeneutic trap. His text demands interpretation without providing the resources to arrive at one. Romulus and his apotheosis are an especially impressive instance of the self-consciously missed opportunity, the Ovidian narrative tease. Because Romulus was so well-known to Ovid's Roman readers as a mythico-historical parallel to Ottaviano, few topics are richer in potential for allegorical exploitation and panegyric symbolism; and this potential goes almost totally unrealized here. Ovid's approach to Romulus is no approach at all. Ovid omits the founder's exploits and shifts all attention to the divine sphere. The apotheosis of Romulus and, as it turns out, that of his wife Hersilia result from divine actions, whose description is the province of myth. Historians who record their exploits give them standing as historical figures. Deprived of exploits, they re-enter myth. By remythologizing history Ovid incorporates it into the world of the Metamorphoses, in which divinities are active and humans largely are acted upon. He also opposes euhemeristic modes of interpreting the shift from mortal to divinity, in accordance with which a human's heroic actions approach and approximate the divine, resulting in the hero's veneration as divine by other humans, and his reception among the divinities as one of them. Ennius's historical epic, the Annales, reports that, at Romulus's death, Romolo now has a life among the gods -- Romulus in caelo cum dis genitalibus aeum/ degit. Ennius probably took a euhemeristic interpretation of Romulus's deification. Virtue and political merit open the gates of heaven. It is highly likely that the deification of Romulus, who performed the mighty benefaction of founding the city, was the innovation of Ennius. Ennius here will have been placing Romulus in the tradition of the great monarchs who won immortality by emulating Hercules. Although the details of Ennius's account are far from clear, Ovid's non-euhemeristic approach is apparently the reverse of his principal source, the original and canonical version of Romulus's deification. History appears to be going backwards as the divine agents in the Romans' war with Tatius take action. Juno unlocks the gate to the invading Sabines despite having so recently given up her wrath against the Romans -- inde sati Curibus tacitorum more luporum ore premunt uoces et corpora uicta sopore inuadunt portasque petunt, quas obice firmo clauserat Iliades; unam tamen ipsa reclusit nec strepitum uerso Saturnia cardine fecit. Then the Sabines, born at Cures, keep their voices muffled like silent wolves; they assault the Romans, whose bodies are sunk in slumber; they seek the gates, which lia's son [Romulus] had barred; yet one of them Saturnian Juno unlocked. She made no noise as she turned it on its hinge. After all the emphasis on Juno's reconciliation earlier, in the apoth-cosis of Aeneas, her behavior here is glaringly inconsistent. We may try to rationalize Juno's actions by appealing to Ennius's historical framework, by which Juno gives up her wrath at the second Punic War. But Ovid makes no attempt to clarify and so rescue historical consistency; indeed, he appears to mock the tradition of multiplereconciliations of Juno, exploiting it for its comic absurdity. There are serious consequences as well: the equation of history with destiny breaks down. Soon Juno will be favorable to the Romans once again at the apotheosis of Hersilia, but meanwhile two other divinities intervene: first Venus, unable to undo Juno's hostile act in unbarring the gate, entreats the Naiads living next to Janus's shrine in the Forum Romanum to come to her assistance. Their spring, normally cold, they bring to a hasty boil, thus blocking the way to the Sabines and allowing the Romans time to arm themselves. Next, Mars addresses Jupiter, requesting deification for Romulus as the fulfillment, now: due, of a long-standing promise. Mars cites Jupiter's original words, representing them as an exact quotation: tu mihi concilio quondam praesente deorum (nam memoro memorique animo pia uerba notaui) "unus crit, quem tu tolles in cacrula caeli" dixisti: rata sit uerborum summa tuorum. Once, at an assembled council of the gods, you told me (for I remem-ber, and marked the pious words in my retentive mind),there will be one whom you will carry to the blue of heaven.' Let the content of your words be fulfilled. The words Marte quotes appear to gain even more authority by referential confirmation from outside the text of the Metamorphoses doubly cited, as it were: for while Mars cites Jupiter, Ovid cites Ennius's Annales. Readers of Ovid's contemporary Fasti will remember the recurrence of Ennius's line in a third context, for Mars cites it there as part of a parallel appeal for Romulus's deification. Although Marte describes his son to Jupiter as the latter's "worthy grandson" (Met.), Romulus's exploits have no part in the appeal. Deification results directly from Jupiter's promise, so strongly emphasized, and at the beginning of the speech Mars needs only to establish that now is the time for its fulfillment: tempus adest, genitor, quoniam fundamine magno res Romana ualet nec praeside pendet ab uno, praemia (sunt promissa mihi dignoque nepoti) soluere et ablatum terris inponere caelo. Since, father, Roman affairs are well established on great foundations, and do not depend on a single protector, it is time to pay the reward it was promised to me and to my worthy grandson to remove him from the earth and to place him in heaven. In all this there is no mention of Romulus's great benefactions, such as might sustain a euhemeristic interpretation of the hero's advancement to divine status. Far from avoiding comparison to Ennius, Ovid ostentatiously quotes his predecessor's work, as if to flaunt the fact that in stripping the hero of exploits he has eliminated Ennius's interpretation of them. Ennius's words, transferred to so un-Ennian a context, may appear well suited to a familiar allegorical parallel, reminding Roman readers once again of their second Romulus, likewise destined for the skies. Yet Ovid's apotheosis of Romulus functions but feebly as an Ottavian icon precisely because of its lack of historical specificity. Lacking res gestae, Ovid's Romulus offers readers little to go on in drawing conceptual parallels to the achievements of Ottaviano. There are many similarities between the apotheosis of Romulus in the Metamorphoses and that in the Fasti. In both works Ovid makes an emphatic identification of deified Romulus with QVIRINVS, reinforcing relatively recent developments in the story. In both Ovid quotes the line from Ennius and repeats the apostrophe Romule, tra dabas (Met., F.) at the moment when the apotheosis occurs. Yet in their larger contexts the two passages are remarkably dissimilar. While in the Metamorphoses Romulus's apotheosis is his whole story -simply one in a series of apotheoses extending from Hercules to the end of the work, in the Fasti his apotheosis has a context in the life and exploits of the hero. Romulus appears so often in the “Fasti” that the episodes concerning him are numerous enough to trace out a biography of him, even if by installments. Ovid's version of the Roman year gives Romulus an unprecedented amount of space, far beyond the natural occasions offered by tradition (such as, for example, Romulus's involvement in the foundation myths or in the actual rituals of the Parilia or the Lupercalia). The identification of Augustus with Romulus even to the point of his apotheosis demandd a 'positive' picture of Romulus. If the violence and ruthlessness of Romulus's exploits in the “Fasti” make him a problematic parallel to Augustus, we may suppose that Ovid gives himself an easier task in the Metamorphoses by keeping Romulus's deeds out of his narrative. In the “Fasti”, for instance, Marte mentions Romulus's dead brother Remus always a difficulty in positive portrayals of the founder whereas in the Metamorphoses Marte prudently omits *any* mention of Remus. Yet even the attenuated Romulus of the Metamorphoses presents difficulties to allegorical interpretation. As we saw earlier, Marte explains that it is now time for apotheosis because Rome's condition, now well-established, "does not depend on a single protector" (nec praeside pendet ab uno, Met.). Hence, Romulus can be safely removed from the earth. Applied to Ottaviano, this remark makes a poor allegorical fit. It calls attention to problems of succession that afflicted the princes, on whom alone the res Romana manifestly did depend. The apotheosis of Hersilia is even more remarkable, and Ovid's de-euhemerizing revision of Roman history enters upon fresh territory with her. With Hersilia there was probably no euhemeristic tradition for Ovid to work against. Ovid can invent an apotheosis for her, representing it as a purely divine initiative. Tradition granted her notable exploits without apotheosis; Ovid grants her apotheosis without notable exploits. Romolo’s wife was well known to Roman readers for being the Sabine wife of Romulus and for her active role in reconciling her own people to the Romans. In several accounts, after the abduction of the Sabine women and subsequent conflict between Romulus's men and the angry parents, Hersilia sues for peace with Tatius and the Sabine fathers (Gellius; Dio Cass.). Her other signal achievement takes place shortly thereafter. According to Livy, Romulus blames the Sabine parents for the conflict, which resulted from their pride in not allowing inter-marriage in the first place. Ersilia, importuned by the entreaties of her sister Sabines, intervenes with Romulus to argue that their parents ought to be pardoned and allowed to live in Rome: ita rem coalescere con-cordia posse. Harmonious union of Romans and Sabines is, according to Livy's patriotic interpretation, the whole point of the rape of the Sabine women; and this view was widespread. It was not in wanton violence or injustice that they resorted to rape, but with the intention of bringing the two peoples together and uniting them with the strongest ties. So writes Plutarch in introducing Ersilia. Dionysius of Halicarnassus also accepts this pro-Roman motive for the rape. Ersilia's achievements, like those of her husband, disappear entirely from Ovid's account of her apotheosis, as does the whole story of the rape of the Sabines, in which she traditionally plays so important a part. After Romulus's transformation into the deified Quirinus, Juno sends Iris to bring instructions to the grieving widow, addressing Ersilia as "chief glory of both the Latin and Sabine peoples": "o et de Latia, o et de gente Sabina/praecipuum, matrona, decus.’ Has Juno become reconciled to the Romans this time because of their union with the Sabines, a people known for exemplary piety? We might suppose so, especially now that Romulus is identified with the Sabine divinity Quirinus. For whatever reason, Juno offers Ersilia a chance to see her husband again if she will go, under Iris's guidance, to the Quirinale, Quirinus's hill, a place associated with the Sabines' presence in Rome:53 siste tuos fletus et, si tibi cura uidendi coniugis est, duce me lucum pete, colle Quirini qui uiret et templum Romani regis obumbrat:Stop your tears and, if you care to see your husband, under my guidance seek the grove that grows green on Quirinus's hill, and shades the temple of Rome's king. Ersilia follows Iris's instructions and proceeds to Romulus's hill. A star descends, causing Ersili's hair to catch fire a divine portentand she passes into the air. Rome's founder receives her, changes her name and body, calling her Hora, quae nunc dea tunca Quirino est (Met.). Of course, Ersilia's apotheosis, like Romulus's, can be allegorized as panegyric. There’s a parallel to LIVIA, so reinforcing the connection of Romulus to Augustus. Yet if Ovid's goal in this double apotheosis is to promote panegyrical identifications, he has lost an impressive opportunity. Especially after his irreverent, even scandalous, version of the rape in Ars amatorial, Ovid could now have made amends with Ottaviano and with history by serving up a traditionally patriotic rape of the Sabines, including the achievements of Romulus and Ersilia, both available for cuhemeristic treatment. Ovid's version is once again conspicuously remote from Ennius's. It is unlikely that Ersilia's transformation into the divine Hora occurred in the Annales, and Ovid probably originated Ersilia's apotheosis. In doing so, Ovid remythologizes history, reducing human agency and minimizing the potential of his Roman characters to serve as flattering parallels. In evaluating the historical character of the Metamorphoses, we can view apotheosis as part of historical progress in the work. As we saw above Wheeler regards the movement from fable to history, from the heavens to the city of Rome, as "a shift from a theologia fabulosa to a theologia wilis"67 Another view is, however, possible, in accordance with which the fabulous incorporates all else into its domain-including history, politics, and current events. Terms like "fabulous" and "mythological," of course, are not simply descriptive of the subject matter that Ovid has taken up; he has entirely transformed the nature of the fabulous, mythological, and the historical alike. He Ovidianizes them all, Hersilia no less completely than the rest. When Iris reports Juno's words to the bereaved Hersilia, she eagerly asks to see once again the face of her husband, concluding her request with these words: 'quem si modo posse uidere/ fata semel dederint, caelum accepisse fatebor' (Met). Hersilia is using caclum as a metaphorical equivalent for the summit of happiness, as Bömer aptly notes, citing Cicero's letters to Atticus: in caelo sum (Att.); Bibulus in caelo est (Att.). Hersilia supposes Romulus "lost" (amissum, Met.) and evidently knows nothing yet of his apotheosis -certamly nothing about her own. She simply uses a conventional, proverbial form of speech to express her anticipated happiness. But events make her expression literally true, as the star descends and Hersilia rises to the heavens. Ovid's transformative wordplay often operates in just this way: words that initially appear figurative become literal, the conceptual shifts to the physical, and a transformation described in terms of plot is enacted first on the level of style." Hersilia's apotheosis is a fine instance of Ovidian wit, yet is also a typical instance, similar to many others that readers have enjoyed by this stage in the work's progress. As they enjoy another of Ovid's transformative witticisms, they also may reflect on the power of his transformative vision, which now incorporates even their own history. As he exploits Hersilia's apotheosis for so fine a joke, Ovid grants us an ironic perspective on Roman origins, compromising their fated-ness and bringing out their contingent character. Throughout the last pentad, historical events lose their connection to fata and pass under the sway of Fama in its full range of ambiguity and contradiction: "lies mixed with truth" (mixtaque cum ueris... commenta, 12.54) issue from the house of Fama, while "Fame, the herald of truth" (praemuntia uri/ fama), announces Numa's impossible visit to Pythagoras. Fama is a touchstone for the fractured historical vision of the Metamorphoses.  Fasti (Ovidio)Fasti Ritratto immaginario di Ovidio (di Anton von Werner) AutorePublio Ovidio Nasone 1ª ed. Original edal 9 d.C. Editio princeps Bologna, Baldassarre Azzoguidi, Generepoema epico Lingua originalelatino Manuale. I Fasti sono un poema che espone le origini delle festività romane, quindi è un'opera di carattere calendariale ed eziologico di Ovidio, scritto in distici elegiaci, ad imitazione degli Aitia (Cause) di Callimaco, di cui riprende, oltre che il metro, anche alcune soluzioni formali e narratologiche.  L'opera, scritta molto probabilmente per aderire alla moralizzante propaganda tipica dell'età augustea, fu progettata in un totale di 12 libri, secondo l'andamento del calendario. Con essa l'autore, che probabilmente attingeva a Varrone e a Verrio Flacco, si era proposto di spiegare l'origine della differenza tra i giorni fasti (dalla parola latina "fas", lecito) in cui i Romani potevano trattare gl’affari pubblici e privati, e i giorni “INfasti,” nei quali era vietato. Al tempo stesso, Ovidio, parlando con il dio di turno, indaga e rivisita, mese per mese, tutti i molteplici riti, le festività e le consuetudini, tipiche del costume e dell'uomo romano, che, al suo tempo, si praticavano senza ormai conoscerne l'esatta origine o valenza.  Tuttavia, dei Fasti si sono conservati solamente 6 libri, da gennaio a giugno. Questo fatto si spiega con la famosa relegatio (esilio che non comportava la perdita dei beni né tantomeno dei diritti civili) che colpe Ovidio e che non gli permise di terminarla.   Indice 1Struttura 1.1Libro I: gennaio 1.2Libro II: febbraio 1.3Libro III: marzo 1.4Libro IV: aprile 1.5Libro V: maggio 1.6Libro VI: giugno 2Note 3Voci correlate 4Altri progetti 5Collegamenti esterni Struttura Libro I: gennaio Il primo libro doveva presentare una dedica ad Ottaviano. Quest'ultima, ora spostata al secondo libro, è stata sostituita (verosimilmente nell'esilio di Tomi, l'attuale Costanza, in Romania) con una al nipote adottivo di Augusto stesso, Germanico. Dopo la dedica, Ovidio ri-evoca brevemente la nascita del calendario romano e il significato dei giorni fortunati o dies fasti, per poi passare al mito di Giano, esposto dal dio stesso in colloquio con Ovidio, sul modello degli Aitia callimachei e, dopo un distico sulle None di gennaio, modellato sulle sezioni astronomiche di Arato, all'esposizione dell'origine dei riti agonali, dei riti in onore di Carmenta, inframmezzato da una esposizione sulle Idi, che divide questo mini-epillio in due sezioni, la prima delle quali è una lunga profezia sulle origini di Roma recitata dalla stessa ninfa.  Libro II: febbraio Dopo un'apostrofe al distico elegiaco, che Ovidio afferma di aver piegato alla poesia eziologica, dopo che in gioventù fu il suo verso d'amore e ad una dedica a Cesare (forse Augusto), si passa a parlare dell'origine del nome februarius, per poi discutere delle calende, con la rievocazione del mito di Arione, delle none, con il mito dell'Orsa Callisto, di Fauno, dei Lupercali e di Roma arcaica. Ovidio rievoca, poi, le feste Quirinalia, le cerimonie ferali e la festa del dio Terminus e si sofferma a parlare del regifugium, con la leggenda di Lucrezia. Infine, parla della festa degli Equirria. Libro III: marzo Sezione vuota Questa sezione sull'argomento opere letterarie è ancora vuota. Aiutaci a scriverla! Libro IV: aprile  Festività romane Fasti (antica Roma)  I Fasti di P. Ovidio Nasone; tradotti in terza rima dal testo Latino ripurgato ed illustrato con note dal dottor Giambattista Bianchi da Siena, Venezia, Nella stamperia Rosa, 1811 (on-line) Traduzione in inglese dei Fasti, su tkline.freeserve.co.uk. V · D · M Publio Ovidio Nasone Portale Antica Roma   Portale Lingua latina   Portale Religioni Categorie: Opere letterarie in latinoOpere di OvidioOpere letterarie del I secolo. Ovidio.

 

Grice e Paccio: la ragione conversazionale e l’accademia e l’implicatura conversazionale nella Roma antica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An orator and firned of Plutarco. A member of the Accademia.

 

Grice e Pace: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Boezio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Berga). Filosofo italiano Grice: “I love the fact that Pace, like me, is a Protestant, and married one! This should deduce the defeasibility of non-monotonicity: ‘all Italians are Catholic;’ he surely wasn’t --- and neither is Speranza, or Ghersi, two other fervent ‘protestanti’!”  Grice: “I love Pace – in a way he reminds me of myself when I was teaching Aristotle’s Categoriae at Oxford! – A good thing about Pace is that he stopped saying that he was commenting on Aristotle – his Casaubon edition is still very readable – and tried to compose his own ‘Institutiones logicae,’ as he did – As Kneale once told me, ‘This made Pace a logician, and not just a commentator!” -- Italian essential philosopher. Studia a Padova, dove fu allievo di Menochio e Panciroli. Aderì alla religione riformata e intimorito dagli ammonimenti delle autorità religiose patavine, si rifugiò a Ginevra, il principale centro del Calvinismo. Divenne professore. Traduce Aristotele – “In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organum: Commentarius analyticus.”  Ottenne la cattedra  a Heidelberg. Pronuncia una famosa prolusione, De iuris civilis difficultate ac docendi method, È coinvolto in una polemica con Gentili. Gentili, non avendo ottenuto la cattedra di Istituzioni alla quale aspira, accusa Pace di averlo boicottato e gli rivolse delle offese in un componimento poetico indirizzato a Colli. Offeso, lo denuncia davanti al senato accademico, costringendolo infine a lasciare Heidelberg per Altdorf. Ha anch'egli fastidi con le autorità accademiche di Heidelberg per le sue simpatie per il Ramismo. Insegna a Sedan, Ginevra, Montpellier, Nîmes, Aiax, e Valence. Rese pubblica la sua abiuria al protestantesimo. Ha la cattedra a Padova e scrive De Dominio maris Adriatici, un saggio a favore della repubblica di Venezia che gli valse anche il cavalierato. La sua edizione dell’Organon d’Aristotele LIZIO e inclusa in un'edizione  delle opere d’Aristotele edita da Casaubon ed ha ampia diffusione. Pubblica a Sedan le Institutiones logicae e a Francoforte il suo importante commento In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organum, Commentarius Analyticus. Altri sggi: Imp. Caes. Iustiniani Institutionum libri IV, Adnotationibus ac notis doctiss. scriptorum illustrati & adaucti. Quibus adiunximus appendicis loco, leges XII tab. explicatas. Vlpiani tit. XXIX adnotatos; Caii libros II Institut. Studio & opera Ioannis Crispini At. In ac postrema editione accesserunt” Ginevra, Vignon. Ἐναντιόφαν. seu Legum conciliatarum centuriae III, Spirae, Albini; De rebus creditis, seu De obligationibus qua re contrahuntur, et earum accessionibus, ad quartum librum Iustinianei Codicis, Commentarius; accesserunt tres indices, Spirae Nemetum, Albinum; Tractatus de contractibus et rebus creditis, seu de obligationibus quae re contrahuntur et earum accessionibus, ad quartum librum Iustinianei Codicis, doctissimi cuiusdam I.C. commentarius. Accesserunt tres indices, vnus titulorum, eo quo explicantur ordine descriptorum, alter eorundem titulorum ordine alphabetico, tertius rerum et verborum in toto opere memorabilium, Parigi: Lepreo; Isagogica in Institutiones imperiales,  Lyon, Vincent, Oeconomia iuris utriusque, tam civilis quam canonici,  Lyon, Vincent, Methodicorum ad iustinianeum Codicem libri,  Lyon, Vincent, Analysis Codicis, Lyon, Vincent, Artis Lullianae emendatae libri IV Quibus docetur methodus, ad inueniendum sermonem de quacumque re, Valentiae: Pinellum, De dominio maris Hadriatici, Lyon, Vincent. Benedictis, «Gentili, Scipione, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana, C. Vasoli, Scienza, dimostrazione e metodo in un maestro aristotelico dell'età di Galilei: “Profezia e ragione” (Napoli, Morano); Aristotelis Stagiritae peripateticorum principis Organum, Morges, Operum Aristotelis. Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. G. Acquaviva e TuScovazzi, Il dominio di Venezia sul mare Adriatico, Milano: Giuffrè;  Franceschini, Giurisprudenza, Venezia:Ferrari,  Larroque, P., compte-rendu du mémoire de Revillout avec documents inédits, Paris: V. Palmé,  Marine Bohar, P. et sa De iuris civilis difficultate ac docendi methodo oratio, Revue d'Histoire des Facultés de Droit. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera.  Opere open MLOL, Horizons Unlimited srl. Grice: “A very systematic logician, and especially interesting being from Vicenza. In fact, he came from Berga, the centre of Vicenza. Quite unlike our Occam who came from Surrey! My special interest is in the particular treatment of ‘interpretatio’ in general. He is one of the licei, i. e. peripatetics, which is nice. By interpretatio in general he means ‘hermeneia’. And he distinguishes then between the MATERIA – of the vehicle of expression, say, the physical sound – ‘vox’ – or any other physical channel one uses to signify something – and the FORM, the signatum itself. The term he uses is “NOTA”, so a particular bit of something – say, a tear – is a SIGN or NOTA of some affection (pathos) in the soul. On this he builds his whole system of communication. There are two types of NOTA, in terms of subject-predicate terministic logic – conjoined by the copula. He is a practical logician and does not much dwell on the topic of what relation this “NOTARE” is. But he does make the usual point that while a THING (res) gets ‘notated’ by an idea (or passion) in the soul – this notatio is ‘naturalis’. Whereas the notatio between a particular physical bit (say, a tear) and some idea or passio of the soul is artificial, as any cocrodile knows!” Grice: “Lizio is a nice Italian way to avoid the proper-name reference to Aristotle: it’s only his Lycaeum that matters, thus called because of that infamous statue of Apollo Lizio in riposo!” --  CATEGORIA.   V*  .»•  ' w • ■«  •*>■.  I».  ; --  , V m   Prolegometui.   lOciCit  partes  tres  funt.  I.  De  dicionibus.  II.  De  enunciationibus , qua:  ex  diclionibus  , conftant.  III.  De  fyllogifmis,qui  ex  cnuncia-  .  ; •  funt,vt  Socrates.  1.1,1.  At  ^jdc^  yniueriaha,qu*  deTubipnojdifr,yp  album, nigrum!  I V . Accidentia  particularia, qua:  dchubicdo  non  dicuntur,  in  fubie&o  autem  ftint,vt  hoc  album, hoc  nigrum,-  . ,   16  H Ex  ditiis  collige, aliud  efle  fu  b replum.  de,quo , id  cll  Tubitilum  attributionis  j:raUpd:fyJne$H|«  jinqqp , line  yihfC"  rentiajullo  mpjclo  parti ailafie^iftcr/aij ; Kpc  prodo  lublbn}7  tu  accidentibus  fubiicicm,,  .j\  :;q‘ ,,  ,fK..tr   17  f Quoniam  igitur 'in  flfxfq^ja  folum  apeidens  dicitur  effe  in  fubieclouctlc  Arif1o.tpJc,sin  lubip^o  efle  inquq,qpod  ita  in  fubic$o.  cft,vt  ne, « At  cius  pars, ppc  po$q  qfle  liqc  co.c-r  tenim  accidens  non  eft  pars  fubftantix , qua:  cil  ^in^fTubiqj   ftum:nccpor?ftd^c^W^^eot>^Vjtfn  -   18  f Indiuiduuro  a fchy4^fi^5ljqjjiifu^q..vaSum.&:  hT  gnatum  i quorum  illudpjfppri^yaca^ur  gulare.Particiilare  vagum  cli*  quod  nomine  viuucrfali  ligni  -  heatur  adicSa  notaparripuiari,  vt  aiiquisthomo.  nam  homo,  cft  nomen  vn.iuerfaleiaUqqjs^iVnotapafficularis^cl  eft,q{lp7  4it  hominem  hic  n^ccip j ynii^ahtj^   iarc;feu  lignatu  cft,qnod  proprio  nomfuqnpwc^,  yt,SqffaT   tesvei    C TUT  E',G  O H 13E.  u   tcsrvd^rortominc  dcrrianftcatiuo,  aliavc  ccfaatidcmuftratio-  nc-iodicacur,  vt  iduis  Sophromfci,  ii'  folus  Socrates  fit  So-  ptecaiifcufillus.  j .riinc.^bij  rj.;;{   «u.  ?!«u.uik;  ; Ca  p.  I I L c i I d *h  , i . *•*   ao:;.'-  . it.r/  • a.  j * : ;fl vw»r r.i &«nr.n •    11 /'^XYicquid.fimplici  vocabulo  fignificatur , ad  vnarrt  cx  Cap.4.  is^^occra  categoriis  refertur  ;r,-   ■ 14  Sf  Categoria  eft  gertcrum,fpcciefum,  &C  indiuiduorum  oomptchenfioiciorumque  apta  difpofitio,ica  vt  indiuidua  lub.  fuafpccie/pccies fub  luo  genere,  Sc  omnia  fub  vno  gc»0rc  gOBCraliftimc» contincantun  0^3  dJarfidnb » --  • 14  > flf.GatcgOrixfunt.decfcmivt  dii^lumifuit  K4gpgcs  ^.17:,  tubdantia.vt  homo,lapi&:quantita$ivt  deccm:  quali,tas,vp  ai-v  borardata,vtfpatxrii£fihus:vb»,Yc  im  ifo  fq  ::  qua  n do}  v t hcri:fi*  tas,vc  ilcercdwbcx^ytjvcftitumeficiagcrc  , vt  fecarerpati  vt.  fccari.  ..nr  > .m  di.;  n,-;   ita-s  1F  Deeategoriisitria  fantrtQt«ld«h.;  IrVnanijtffccajq-  g®riain  fubftitix,fdiqMXpmini^(rq  acewb?  ntift,  U,   orji  b 1    "fi  C A T&COR.IA   fignificationem  fubftatia  dicitur  ^uod.pcr  fc  fubfiftit,  vtho-  nK>;accide«svci^quodinfuhftanriataquam  in  fubicdo  in-  haerct,vt  albura.Ciim  autem  per  relationem  ad  alterum  acci-  piuntunfubftantia  vocatur,qux  ad  rei  eflentiam  pertinet : vt  animal  pertinet  ad  fubftantiam  liue  eflentiam  hominis , co-  lor ad  fubftantiam  fiue.eflentiam  albhaccidens  vero  appella-  tur, quod  alteri  praeter  eius  eflentiam  accidit,  vt  homo  acci-  dit animali, & album  eoiori  , & color  corpori.Itaquc  ii  homo  perii-  fpcdetur,eft  fhbftantia:  fi  cum  animali  conferatur,  cft  accidcns.conrra  color  fi  per  fe  coniiderctur,eft  aecidcnsrfi  ad  album  referatur, eft  fubftantia.  1 1 1.  Ad  eandem  categoriam  referri  concretum  & abftradum:vt  homo  & humanitas  funt  in  categoria  fubftatix:  albor  &C  album  in  categoria  qualitatis  SC  quahs.vna  cft  enim  categoria  qualitatis, U qualis:ite  quan-  titatis^ quantitfimiliter  rclationis,&  relatorum,  eadem  cft  ratio cqtcrarum  categoriarum.  IV.  Hxc,cum  accipiuntur  per  fc,nec  aftirinare,ncc  negare,vt  homo,  vel  currit:  fcd  horu  compoiitioncfieri  affirmationem  & negationem  , vt  homo  currit,homo  non  currit.Scd  dc  affirmatione  & negatione  po-  ftenus  diffcremusuninc  ipfx  categorie  diftindius  Sicnuclea-  tius  funt  cxplicandx.   CAP.  V.   De  fubtfantia.  *   ^.igOVbftantia  diuiditur  in  primam  Sc  fecundam.  Prima  ^fubftantia  hoc  loco  appellatur , qux  neque  dc  fubicdo  dicitur, neque  in  fubicdo  eft,  id  cft,  fubftantia  mdimdua^-vt  SocraresjBucephalus.Secnn da  fubftantia  vocatur  ea , cui  pri-  ma fubiicitur : id  eft,  fpecies  , vt  homo , equus  : & genus,  vt  animal.  '•  ; ‘ J‘J ■   irj  Prima  fubftantia  eft  omniumaliarutn  rerum  fubic-  dum:fed  refpedu  fecund^  eftffubie6tum!awrrbutiariis,*te^c-  ftu  autem  accidemiseft  fubiedum  inhxrennx.  naorfecun-  .  dxfiibftantix  de  fubiedisfprirors  dicuntur  ,:vt  animal  & ho-  mo dcSocrate  : accidentia  verbm  futrkdisprimis  fubftatiis  infunt,vt  albor  in  cycno.   x8  ^ Species  eft  magis  fubftantia,  quhm  genus:  cum  quia  eft  propinquior  primae  fubftantia , tc  magis  eius  naturam  -SC  dfentiam  dcdatatittOveciM»  qufctipecies-gcnwijaon-genus    CATEGORJ^i  ij   on  tamen'  foli, quia  co-  acnit  etiam  quantis, vt  duobus$tribus.  V.  Subftantia  necdo-  L-.A  b 3    i   Cap.6    14  " CATEGORI  /E.->   teditur.ncc  remittitur, hoc  excepto, quod  fu psJfc dixi,  fpccicm.  dTo  magis  fub  Itantia  quam  genus,.  8c.  minus  cllc  fubikuuiam’  quam  indiuiduum .Hxc  proprietas  non  conuenit  foli  fubilan  tix,fcd  etiam  quantitatnnon  dicitur  enim  magis  vel  minis  rricubitum,ncc  magis  vel  minus  duo.  V I.  Subftantra,  ciim'  vna  ficcade  numero  fit,poteft  contrariafufcipere.vt  idem  ho-  mo modo  eft  indodus.modb  dodus.Hxc  proprietas  coucniri  omni fltfoji lubltatix.Siobiicias liahc proprietatem  tantum  coucnire  primae  lubftatix>qux  fola  videtur  dici  polle  vna  nu-  mcro:refpondcbo,etiam  fecundam  fubftantiavnam  numero*  dici  polfe.vt  homo,&  animal  rationale, funt  vnum  numero:i-»  tem  vcftimentum,8£  indumentum.Pofter.lib.i.cap.j.  particjj.  ScTopic.lib.i.c.7.partic.i.Rurfus  fi  obiicias,  orationem  &c  o- i • qjiiklGlA nPa  VI.  : , I   tf.  j > , atut ) i',  t De  quanto.  jt  '■  \r  •*.  *»’   jjTJf  Xpolica  eftoategoria  fubftantixrfcquuntur  accidentias  riguorum  alia  priora,  alia  pofteriora  dici  poliunt.  Priora  voco  ea^qux  cx  lolaiiibftatia  orruntur.poftcriora autem,  quas  a.lubftantia  cum  aliquo  cx  prioiib-accidentibus  coiunda  or-  tum ducut-PrioEis  generis  fune, quatitas,qual itas, rclatio.Cur»  enim  fubftantia  ex  materia, & forma  confter:  cx  materia  naf-  eitur  quantitas, cx  forma  quahcas,ex  refpcdu  materiar  tc  for-»  mr  relata.  Ad  pofterius  genus  reducuntur  c^terx  categorix.  Nacx  fohftantia  Sfi  quantitate  oriuntur  duq  categori^,Vbi  Quado:iiquidc  Vbi  iumitur  ex  locojin  quo  eft  fubltatu:Qua-*  do,cx  tempore, quo  eft  eadem  fubftantia.Scd  ex  fubllalitia&S  qualitate  proficifountur  adio  & pallio:quia  fubftaria  per  qua-i  litatcm  aginemc  dicatur  do-  mini feruusrctiam  reciproce  dicetur  ferui  dominus.  Sunt  c-  nim  duo  relationis  tcrmini:quorum  primus  ,a  quo  incipit  ac  denominatur  rclatio,vocatur  fundamentum  relationis, alter,  in  quem  definit  relatio, appellatur  correlatiuum,  vt  cum  fer-  uus dicitur  domini  feruus : tunc  feruus  eft  fundamentum  re-  lationis,qux  nominatur  feruitusrdominus  autem  eftcorrela-  tiuum.at  fi  dominus  dicatur  ferui  dominusitunc  dominus  efir  fiindamentum  relationis,  qus  vocatur  dominium:fcruus  au-  tem eft  correlatiuum.  Omne  igitur  relatum, ad  fuum  corrcla-  tiuum  referri  debet.  Sed  correlatiuum  interdu  habet  nomen  diucrfura  a fundameto  relationis;  vt  pater  refertur  ad  filium,  dominus  ad  feruum, fcientia  ad  fcibile: ffttcrdum  habet  idem  nomen ; vt  cum  focius  refertur  ad  focium,  frater  ad  fratrem,  arqualc  ad  aquale, fimile  ad  fimileiintcrdum  nomine  caret, vt  »d*ad  qnod  refertur  caplit.Na  fi  referatur  caput  ad  hominem,  &dicatuf  hominis  caput, nulla  erit  reciprocatio,  nec  dicetur  capitis  homo.Hoc  autem  cafu,quo  correlatiuum  nomine  ca-  ret,nomen  fingendortt  eft, fumpta  appellatione  ab  ipfo  rcla-  tiohis  fondam?td.vc  a capite  dicendtfm  capitatu.ficrecipro-  cabitur,8t:  dicetur  caput  efie  capitati  caput,8c  capitatum  efle  cadite  dipitatura.  1‘VvSiintfimul  haturkVt  duplUtn  & dirm-    Ca.p8.    18    CATEGORIA    dium.Hxc  proprietas  non  couenit  Tolis  relatis,  fed  etiam  iis,  qux  in  eadem  diuifionc  Tibi  inuicem  opponuntur, id  eft,dua-  bus  differentiis  oppofitis,qu^  diuidunt  idem  genus,  vt  ratio-  nali, & irrationali,vt  volucri  &terreftri  &:  aquatih.inf.cap.13.  partic.j.Rurfus  non  conuenit  omnibus  relatis,  vt  ex  **,  • C A P.  I X.   J ' * •'ty  , |;i  •■#»;.,•  fl|1rj34,¥   57  A Ctio  cft,  fecundum  quam  agens  dicitur  in  fubicdam  Cap  materiam  agerervt  calefacere, refrigerare.   58  Adionis  diuiiiones  dux  nocentur.  I.  Velcftimma-  ncns,quq  in  externam  materiam  non  tranfir,vt  contemplari:  vel  tranfiens  in  externam  materiam , vt  lecarc.  1 1.  Aut  cft  naturalis,  vt  ciim  lapis  defeendit : aut  violenta , vt  cum  lapis  adfcendit:  aut  voluntaria,vt  differere:  aut  fortuita,  vt  fodien  -  tem  terram  inuenire  thefaurum/   59  Proprietates  adionis  funt  quatuor.  I.  Recipit  con-  trarictatcm,  vt  calefacere,  &c refrigerare.  1 1 Intenditur,  6C  remittitur.dicituremm  aliquid  magis, vel  miniis  calefacere,  vel  refrigerare. Has  proprietates  etiam  qualibus,  Sc  nonnullis  relatis  fupratribui,&  paflioni  mox  tribuam.  III.  Non  fine  motu  fic,qui  ab  agente  procedit.Hxc  proprietas  conuenit  c-  tiam  paflioni.  IV.  Infert  paflionem.velutifi  quid  calefacit,  neccflc  cft  aliquid  calefieri.  Hxc  proprietas  omni  8c  foli  a-  dioni  conuenit.   60  Paflio  eft,fecundum  quam  fubicdum  dicitur  pati.   61  IT  Paflionis  duplex  diuifio  notetur.  I.  Alia  eft  animi,  vt  triftari,lxtari:alia  corporis, vt  calefieri, refrigerari.  1 1.  A-  lia  cft  corruptiua,qux  fubicdum  de  fuo  ftatu  dimouct,vt  ca-  lcfieri:alia  pcrfediua,qux  fubiedum  non  corrumpit,fed  om-  nino perficit, quantacumque  lit,vtdifcere.   61  U Proprietates  paflionis  funt  quatuor.  I.  Recipit  con-  trarietatcmrvt  caleficri,&:  refrigerari.  II.  Intenditur, & re-  mittitur. dicitur  enim  aliquid  magis , vel  minus  calefiet#,  aut  refrigerari.  III.  Non  fit  fine  aliquo  motu.  Has  pro-  prietates non  conuenire  foli  paflioni , eonftat  ex  his  qux  di-  dafunt  partic.59.  I V.  Infert  adionem.velutifi  quid  calefit,  neccfle  eft  aliquid  calefacere.  Hxc  proprietas  omni  8t  foli  paflioni  conuenit.   63  Quando  eft,  fecundum  quod  aliquid  dicitur  efle  in  cemporezvt  cras,hcri,nudiuftcrtius.   64  Proprietates  huius  categorix  funt  tres.  I.  Nihil  ha-  bet contrarium.  1 1.  Nec  intcnditur,nec  remittitur.Hx  pro-   ; . v ! . . v'  c 5 #    •N    2i  'CATEGORIA   prictates  conueniunt  ctia  aliis  categoriis, vt  fubftantix,quan-  titati,&  vbi.  III.  Ad  cas  tantum  res  pertinet , quae  ortui  8c  interitui  funt  obnoxiae. Nam  Deus  non  e ft  in  tcmpore,quod  fluit, fcd  in  xuo  permanente,  idcirco  omnia  dicutur  cfle  Deo  prxfcntia , nihil  prxteritum, nihil  fururum.  Hxc  proprietas  conucnit  omni  &:  ioli  quando.  ‘   5T  Vbi  cft, fecundum  quod  aliquid  dicitur  cfle  in  loco.   66  IT  Accipitur  autem  tribus  modis:circumfcriptiue,dcfi-  nitiue,&:repletiu£.  primus  modus  eft  phyilcus : reliqui  duo  thcologici.Primo  modo  corpus  eft  in  loco : fecundo  modo  '  angeli, &c  humanus  intellc&us  a corpore  fe paratu s:tcrtio  mo-  do Deus. nam  corpus  a loco  circumfcribitur : angelus  a loco  definitur, ac  terminatur, quia  non  cft  infinitus : Deus,  cum  fit  infinitus, nec  circumfcribitur, nec  terminatur,  fcd  omnia  re-  plet fua  virtute  omnipotente.   67  5T  Loci  phyfici  proprium  cft,  I.  Non  intendi,  nec  re-  mitti, 1 1.  Nihil  habere  contrarium,  III.  Cireunfcnbere  corpus  locatum.Hxc  poftrcma  cft  vera  proprietas  ,•  qux  con-  ucnit omni  &foli.  nam  duas  priores  conuenirc  etiam  aliis  categoriis, patet  ex  fupra  notatis.   Cap.10  . 68  Situs  eft  partium  corporis  apta  difpofitio:vt  ftare,fe-  derc,iaccre.   69  IT  Proprietates  fltus  funt  tres.  I.  Non  habet  contra-  rium. II.  Non  contenditur, nec  remittitur.Ex  didis  conftat,  has  proprietates  conuenirc  etiam  aliis  categoriis.  III.  Par-  tium corporis  inter  fe  refpe&um  fignificat  a pofitione  fum-  ptum:  vt  cum  aliquis  ftat , caput  eft  fuperius  cqteris  partibus:  cum  iacet, caput  non  eft  fuperius,fcd  xquo  loco.   70  Habcre,eft  circa  corpus  vel  partem  corporis  aliquid  adiaccrc.   71  f Eft  igitur  duplex : alterum  in  parte,  vt  habere an-  nulum  in  digito:alterum  in  toto,vt  togatum  efle, armatu  efle.   71  Proprietates  huius  categorix  funt  tres.  I.  Nihil  con-  trarium habet.  1 1.  Non  intenditur, nec  remittitur.Has  pro  prictatcs  iam  fcimus  etiam  aliis  categoriis  coucnirc.  III.  Si-  gnificat relationem  corporis  habentis  erga  externum  corpus  quod  habetur.  Hxc  fignificatio  eft  huius  categorix  propria,  nec  vili  ali;  competit.  *   ...  C A I>.    1    CATEGORIA  C a p.  X.    - • De  oppofitis.   73 /'''XPpofitorum  genera  fune  'quatuor.  I.  Rdata : vt  pa-  Cap.  ii.   V_y  ter, Se  filius.  II.  Contraria:  vt  album, S>c  nigrum.   III.  Priuantia-.vt  videns, & caecus.  I V.  Contradicentia:  vt,omnis  homo  eft  iuftus, non  omnis  homo  eft  iuftus.   ■ 74  f De  relatis  fupra  diclum  fuit  prolixe:  Se  inter  cqte-  ra  di&um  eft,relata  id  ipfum  quod funt,ad  fua correlatiua  re-  ferri: vt  pater  dicitur  relatione  habita  ad  filium , &!  duplum  dicitur  refpcdu  dimidij.   '75  f Contraria  duobus  modis  diuiduntur.  I.  Aut  funt  firaplicia  , vt  album  & nigrum  : aut  in  oratione  fpc-  dantur  , vt,  omnis  homo  eft  iuftus  , nullus  homo  eft  iu-  ftus. II.  Alia  funt  immediata,  alia  mediata.  Immediata  funt,  quorum  alterum  neccffe  eft  inefte  in  fubiedo  ad  ea  recipienda  apto :vt omnis  numerus  neceffario  eft  par,  vel  impar.  Mediata  funt , quorum  vtrumque  afubiedo  ad  re-  cipiendum apto  abefte  poteft.  verbi  gratia, non  eft  neceffe  vt  omne  corpus  fit  album , aut  nigrum  : quia  poteft  effe  ru-  . brum,  aut  viride : hi  namque  funt  medij  colores  inter  album  & nigrum.   7 6 f Poirb  quae  media  funt  inter  duo  contraria , partim  funt  nominata , vt  rubrum  & viride  albo  8 C nigro  interieda:  partim  innominata  , vt  inter  iuftum  Se  iniuftum  eft  id  quod  ncc  iuftum  nec  iniuftum  eft.  Atque  hxc  dicuntur  media  per  negationem  cxtremorum:illa  verb , media  per  participatio-  nem extremorum.   77  Vt  priuatio  r ede  attribuatur , Primo  debet  attribui  fubiedo,  quod  poflit  habitum  recipere : idedque  excitas  re-  tbh  tribuitur  homini, non  lapidi.  Secundo  debet  eo  tempore  attnbui,quo  fecundum  naturam  habitus  inefte  poteft.itaque  vir, fi  careat  dentibus , dicitur  edentulus : infans  ver 6 ne-  quaquam.   78  Aliud  eft  priuatio,  aliud  eft,  priuatum  effe : item  aliud  eft  habitus  , aliud  eft  habere  habitum , fiue  habitu  prxdi-  tura  effe  : fed  idem  eft  oppofitionis  modus  inter  priua-  tum efte  U habere  habitum  , qui  eft  inter  priuationem   • • ' c 4    i4  categoria:   Sc  habitum.Similiter  aliud  cft  affirmatio  &c  negatio, aliud  res  affirmata  vel  negata:  fcd  eadem  oppofitio  cft  inter  rem  affir-  matam ic  rem  negatam , quae  cft  inter  affirmationem  &:  ne-  gationem.   79  1f  Notetur  duplex  diferimem  inter  contraria , &c  pri-  uantia.  I.  Contrariorum  immediatorum  femper  ncceflc  cft  alterum  in  fubietto  ad  recipiendum  apto  inefte;  vt  femper  ncceffe  eft  hominem  vel  bene  valerc,vel  aegrotare.mediato-  runt  autem  vel  vtrumque  poteft  abeffe,  vt  aliquod  corpus  nec  cftalbum,ncc  nigrum,led  rubrum  aut  viride;  vel  defini-  te vnum  femper  ineft,vt  ignis  femper  calefacit,  numquam'  rcffigcratrpriuantium  autem  aliquando  vtrumque  abeft,  ali-  quando alterutrum  inelTc  ncceflc  cft;  vt  homo  recens  natus,  nec  habet  dentes , nec  cft  edentulus;  quando  autem  natura  comparatum  cft  vt  dentes  habeat, tunc  vel  habet  dentes,  vel  cft  edentulus.  1 1.  In  contrariis  cft  regreflus,  vt  idem  ho-  mo poteft  ex  fano  fieri  argrotus , & ex  aegroto  fanus : a priua-  tione  autem  ad  habitum  non  datur  regreflus,  vt  videns  po-  teft afpe&um  pcrderc,fcd  oculis  captus  non  poteft  afpcftum  reciperc.Hoc  intellige  de  priuatione,quse  non  folum  aiftum,  fed  etiam  poteftatem  tollit.alioqui  multa  exempla  obftabut:  vt  tenebrae  funt  priuatio  luminis,  &C  in  acre  lumen  &c  tcnc-  brx  libi  inuiccm  fuccedunt.   80  H Contradicentium  proprium  eft,omnimod6  alterum  c(Te  verum, alterum  falfum:vt  omnis  homo  cft  albus , non  o-  mnis  homo  eft  albus:  item  Socratcscft  iuftus , Socrates  non  eft  iuftus.Nam  oppofitis  fimplicibus,vt  patri  8 C filio , videnti  &:  caeco, albo  Sc  nigro,  neque  veritas  neque  falfitas  conucnit:  contrariae  vero  orationes  poliunt  elfe  ambae  falfae,  vt  omnis  homo  eft  albus,  nullus  hpmo  cft  albus.itcm  mortuo  Socrate,  vtraeque  hae  orationes  contrariae  funt  falfae , Socrates  valet,'  Socrates  aegrotat.   C A v.  XI.   De  eontrurijs.    8irV(   Ufiu    kVod  cft  bono  contrarium,vt  iuftitiac  iniuftitia,ncccf-  [farib  eft  malum.  Quod  autem  malo  cft  contrarium,  modo  eft  bonum , vt  iniuftitiae  contraria  cft  iuftitiarmodd-  malum, vt  profufioni  contrarii  eft  auaritia.   8x11  Vnum    i    CATEGORIA.  1S   8a  IT  Vnum  contrarium  fine  altero  clTc  potcft,  vtfanitas  fine  morbo. nam  fi  omnes  fint  fani, nemo  argrotat:Sc  fi  Socra-  tes bene  valeat, Socrates  non  a,grotat.   8$  f Subie&um  contrariorum  vel  cft  vnum  fpecie,  vt  iu-  ftitia  &C  miullitia  fpe&antur  in  homine : vel  vnum  genere, vt  (anitas  Sc  morbus  fpe&antur  in  animali,  albori  nigror  in  corpore.   84.  ^7  Contraria  vel  funt  in  eodem  gencrc,vt  albor  & ni-  gror funt  fpccics  coloris:vcl  in  contrariis  generibus,  vt  iufti-  tia  cft  fpecies  virtutis, iniuftitia  cft  fpccics  vitij:  vel  contraria  gcnera,vc  bonum,  &:  malum.   Cap.  XII.   De  priori.   8fT)Rius  dicitur  tribus  modisitemporc,  natura,ordine.   Jl  86  IT  Tempore  prius  cft,  quod  eftvetuftius,vt  bel-  lum Troianum  bello  Carthaginenfi.   87  Naturi  prius  accipitur  tribus  modis.  E Id  quod  non  reciprocatur  fccunduin  exiftendi  confecutionem  : vtv-  num  cft  prius  duobus:quia  fi  duo  fint,  vnum  quoque  cft : at  fi  cft  vnum,non  propterca  funt  duo.Hoc  modo  genus  cft  prius  fpccic:  quiafi  fit  ( exempli  gratia ) homo , neccflarib  cft  ani-  mahfcd  fi  fit  animal, non  continui)  eft  homo , ciim  poflit  cite  cquus,vel  afinus.  II.  Quod  cft  prarftantius. qua:  quidem  fi-  gnificatio  cft  maxime  impropria.  IU.  Caufa  cft  prior  cf-  feiftu,vt  fol  lumine.   88  IT  Ordine  prius  cft,quod  priori  loco  collocatur,vt  pro-  oemium narratione,narratio  probatione, probatio  cpilogo.   Cap.  XIII.   ^ De  modi»  Simul.   SpC^Imul  dicitur  duobus  modis.  I.  Tempore: vtCa’far&:   jjPompcius.  II.  Natura:vt  relata, vcluti  pater  &:  filius:  SC  qua:  in  eadem  diuifione  fibi  inuiccm  opponuntur, vt  in  animalis  diuifione  rationale  & irrationale.   Cat.  XII 1 1-   Demotu.   Otus  cft  aftus , quem  mobile , quatenus  mobilc,ha-  bctil  moucnte.   91  Motus  genera  quatuor  funtrquia  fpe&atur  in  quatuor  categoriis.  I.  In  fubftantia  ortus  &C  interitus.Ortus  eft  motus    ’°ME    Cap.ti.    Cap.ij.    Cap.14.    x6  DE  INTERPRETATIONE,  a no  cfic  ad  dTc.  Inccricus  cft  motus  ab  cffc  ad  non  cffe.  II.  In  quantitate  audio  deminutio.  Audio  eft  motus  a minori  quantitate  ad  maiorem-Deminutio  cft  motus  a maiori  quan  titate  ad  minorem.  III.  In  qualitate  variatio , qua:  eft  mo-  tus in  contrariam  qualitatem, vt  ex  albo  in  nigrum,  & ex  ni-  gro in  album.  IV.  In  categoria  vbi,  motus  localis":  qui  cft  h  loco  ad  locum, vt  adfccnfus,8c  defcenfus.   No  eft  ncccffe  id  quod  variatur,augeri  vel  minuirne-  que  id  quod  augetur  vel  minuitur,  variari.  e lf   vt  quadratum  abde,  addito  gnomo-  ne cbg, fit  maius, non  tamen  variatur,  quia  figura  eadem  manet.    e   a    e d g   9}  Motui  opponitur  quies, vt  habitui  priuatio.Sd  fpccia-  li motui  opponitur  fpecialis  quies,  vt  motui  locali  quies  in  loco.   94  % Praeterea  motus  motui  contrarius  cft:  vt  ortui  in-  tcritus,audioni  deminutio,  dealbationi  denigracio,  adfcen-  fui  defcenfus.   CA  XV.   De  modis  habendi.   xv.  95  T T Abere  dicitur  feptem  modis.  I.  Qualitatem, vt  albo-  JnLrcm,velfcientiam.  II.  • Quantitatem,  vt  magnitudi-  nem duorum , vel  trium  cubitorum.  III.  Circa  corpus  , vt  veftimentumjvel  circa  partem  corporis, vt  annulum.  IV.Par-  tcm,vt  manum,vcl  pedem.  V.  Rem  contenta , vt  vas  aquam.  V I.  Rem  pofleffam  , vt  domum , vel  agrum.  VII.  Coniu-  gem,vt  virum,aut  vxorem.  Hacc  fignificatio  fecundum  Ari-  ftotclem  impropria  eft,Sc  tantum  cohabitationcm  notat.  Ex  Ilis  fola  tertia  fignificatio  categoriam  habendi  conftituit.    DOCTRI-    X DOCTRINA  PER  I-    PATETICiE  TomvsI.  Liber  III.   ' LOGICO  RVM  TERTIVS. i>   DE  INTERPRETATIONE.   CAP.  I.  •   De  interpretatione.   Vatvor  fubordinata funtrres, mentis concc- Lib  .j  ptus,vocabula,3c  litcra:  fcu  feriptura.  Res  eft,  vt  £ap  u'  "  equus.mentis  conceptus , funt  rerum  fimulacra,  vt  equi  intelle&io.  vocabula  funt  conceptuum  norx:vtc£im  aliquis  profert  hoc  nomen  equus,'  auditor  equum  me-nte  concipit,  literx  funt  nota:  vocabulo-  ^   rum:nam  quibufeum  loqui  propter  abfentiam  no  poflumus,  erga  cos  feriptura  vtimur.   i IT  Res  & conceptus  funt  h natura, idedque  pro  gentium  * ijj   varietate  non  variant.fed  vocabula  & feripturq  funt  ex  homi-  * ' nam  inftituto,  proindeapud  alios  alia  funt : vt  idem  ab  He-  braeis vocatur tn«.Adam,  i Grxcis  ajfofomos,'A  Latinis  homo.   Loquor  enim  de  vocibus  articulatis,  qualia  funt  nomina  8C  vefrba,qux  feribi  poflunt.  nam  belluarum  voces  inarticulatas  Sc  illiteratx,vt  latratus  canu,&:  vlulatus  luporn,  funt  a natura.   } iT  Cum  vocabula  interpretentur  conceptus  animi  no-  ftri,merit6  ab  Ariftotelc  vocantur  interpretationes.   4 IT  Et  ex  diuifione  conceptuu  fumitur  diuifio  interpreta-  rionis.vr.nxonccptuu  alij  funt  fimplices,vcritatis  &c  falfitatis  experteSjVt  intelle&io  equi, aut  ligni;alij  coniun&i,qui  in  co-  pofitionc  vel  diuifione  fpcdatur,&necc-2arie>  sQt  veri  aut  fal-  ii,vt  homine  currere, homine  no  currcrerita  etia  alia  sut  fim-  plicia  vocabula, nec  veru  nec  falsu  fignificatia,  vt  nome  homo,   ■ & verbu  a/rroiUii  coniuda , in  quibus  veritas  aut  faliitas  cer-   d i    L»    z8  DE  INTERPRETATIONE.   nitur,quia  vel  affirmant,  vt  currit-,  vel  negant,  vt  homo  non   turrit.  Hinc  apparet  aliam  elTe  fimpliccm  interpretationem,  veri  &:  falli  expertfm ; aliam  coniun&am,  qur  eft  vera , aut  'falfa.   5 IT  Simplex  interpretatio  in  nomen  Sc  verbum  fubdi-  /"  uiditur.   C A P.  I I.   De  nomine.   Cap.t.  6 X TOmen  eft  vox  fignificans  ex  inftituto,  fine  tempore,   1 \|  cui9  nulla  pars  feorfum  aliquid  lignificat.vcl  breuius.  Nomen  eft  interpretatio, line  adlignificatione  temporis,  cu-  ius nulla  pars  feparata  fignificac.  Nam  vox  lignificans  exin-  ftituto,nihil  aliud  eft, quam  interpretatio.   .7  5T  Ha:c  definitio  fumitur  a materia,forma,&:  efficiente.  Nam  interpretationis  materia  eft  vox.y.dc  generatione  ani-  malium, cap.  7.  lignificatio  eft  eius  forma:  hominum  inftitu-  tum  eft  efficiens.   8 f Notandum  eft,proprie  loquendo,aliud  elTe  lignifica-  tionem,  aliud  adlignificationem  , aliud  conlignificationem.  lignificatio  eft  principalis-.adligmficati»  fignificationi  acce-  dit:confignificatio  in  oratione  fpe&atur.Nomen  lignificat  a-  liquem  conceptum, vt  curfus.verbu  lignificat  conceptum,  Sc  adlignificat  tcmpus:vt  currit,  lignificat  curfum  in  tepore  prx-  fcnti:&  praeterea  confignificar, quatenus  connc&it  partes  o-  tationisjvt  ciim  dicojiotno  connecto  curium  cum  homi-  nc.lVncatcgoremata  neque  lignificant,  neque  adlignifkant*  fed  tantum  conlignificant,  vt  prxpolitiones  , 8c  coniun&io-  nes:proindc  non  funt  interpretationes.   9 % Quod  igitur  in  nominis  definitione  diftum  eft,  fine  tempore, non  ita  debet  accipi , quali  nullum  nomen  lignificet  tempus:haec  enim  i\omina,tcmp/a,annrusnenJis,dies,{\%nifica.nt  tempus. fed  nullum  nomen  adlignificat  tempusrquia  itarem  aliquam  fignificat , vt  non  adfignificet  quando  illa  res  iit.  vt  hoc  nomen, curfta, non  lignificat  quando  currat  :&  tempta,  vel   p™  lignificat, quando  tempus, vel  nox  Iit.   "JriTFars  nominis  nCH  fianificat  feparatim.necrefcrr.v-  •  trum  lit  nomen  fimplcx,an  compolitum.vt  fyllab  a «5qu$  eft  pars  limplicis  nominis  homo, per  fc  nihil  rignificat:&ni-.apii  coniundi  cum  verbo  eft,  nec  verum  nec  falfum  ligiiificant.   C A P.  III.   De  Verbo.   11T  TErbum  eft  vox, qux  fignificat  ex  inftituto,  Se  adfigni-  Cap.  j  V ficat  tempus, & conftat  ex  partibus  nihil  per  fc  figni-  ficanribus,&  confignificat  nexum  attributi  cum  fubicdo.  vel  breuiiis,  Verbum  eft  interpretatio  fimplex,  qux  adfigni-  ficat  tempus,8c  vim  habet  nededi  attributum  cum  fubiedo.   15  Tres  igitur  funt  verbi  vires:  fignificatio  alicuius  rei  feu  conccptus:adfignificatio  temporis,  Se  confignificatio  il-  lius nexus,qui  eft  inter  fubiedum  Se  attributum.prima  eft  il-  li communis  cu  nomine:reliqux  dux  funt  eius  proprix.  fcd  poftrema  vis  in  oratione  non  apparet.vt  in  hac  oratione,  ho-  mo currit,  verbum  currit,  conncdit  curfum  cum  homine : fed  hic  nexus  non  apparet  in  folo  verbo  currit,  vtin  oratione,  bomo  currit.  »   14  Qux  differentia  eft  inter  nomen  finitum , vt  homo,   & nomen  infinitum, vt  non-homo : eadem  eft  inter  verbum  finitu m,vt  currit,Se  verbum  infinitum, vt  non-currir.  ij  Et  vt  cx  nominis  declinatione  fit  cafus  nominis , ita   d 3    }o  DE  INTERPRETATIONE,  cx  verbi  inflexione  fit  cafus  verbi,  dicitur  enim  proprii  ver-  bum, quod  cft  indi  catini  modi , ac  prxfcntis  temporis , non  habita  ratione  pcrfonx,aut  numeri : vt  curr a>curris, tum i,curr /-  mus , curritis, currunt. Cafus  autem  verbi  appellantur, quicunque  funt  in  aliis  temporibus, &C  modis , vt  currebam , curre , curreret,  currere.   1 6 f Verbum  fum,et,e ytf.quandoqucnon  habet  aliam  vim,  quhmconfignificandi,idcft,nedcndi  partes  enunciationis,  vt  Deus  eft  iuftur.quandocpic  prxter  eum  nexum,figriificat  te-  pus,vt  Socrates  e fi  domi:  quandoque  etiam  fignificat  eflc  in  re-  rum natura, fiue  effe  ens , vt  motus  eft.Deus  cfi , centaurns  non  cft,  chimera non  e/?.Primo , aut  fecundo  modo  acceptum , non  eit  proprii  verbum, fcd  copula  verbalis:  tertio  modo  fumptum,  cft  veri  proprie  verbum.   Cap.  IV.   De  oratione.   17 ^“'\Ratio  eft  vox  fignificans  ex  inftituto, cuius  aliqua  pari   V_y  fignificat  feparatim.vcl  breuiiis , cft  interpretatio  co-  pofita,vt  homo  currit.   18  Partes  orationis  funt  didiones,  &:  fyllabx  ex  quibus  didiones  conftant,&:  interdum  orationes,  nam  ex  pluribus  orationibus  vna  oratio  componi  potcft.cxempli  cauia , huius  orat\onis,guales  funt  in  republica principes , tales  reliqui  ciues  effe  folent,\ arix  partes  fpedari  poffunt.vt  puti  hxc  pars,  quales  funt  in  republua  principes,  eft  oratio:  hxc  pars  funt,  eft  verbum  : hxc  pars, principes,  eft  nomcn:hxc  pars,^mcft  fyllaba.Cum  autem  eft  oratio  fimplex,vt , principes  funt  honorandi , tunc  eius  partes  funt  fyllabx  didiones,non  orationes.   19  Commune  igitur  omni  orationi  eft,  habere  aliquas  partes  nihil  fignificantes,nempe  fyllabas,  Sc.aliquas  per  fe  fi~  gnificantes, nempe  didiones.   20  Enunciationis  fpecics  odo  funt.  I.  Enunciatiua:vr,  Deus  nobis  hac  otia  fecit.  II.  V ocatiua:vt,9  pater , b hominum , di~  uuq-,  aterna poteftas.  1 1 I.Imperatiua,vel  poftulatiua:vt: \Mufa  mi-  hi caufas  memor 4.1  V.Intcrrogatiuaivr,^#*  te  Moeri  pedes ? V.  Ad  miratiua:vt,6  fecula,o  moresi  V I.Optatiua:  vt , b mihi prateri-  tos referat fi I uppiter  annos.  VII.  Coniundiua:vt,S/ fxturagregem  fuppleuerit.  VIII.  Infinitiua:vt,/o/  voluere  cafus.Sc d ceteris  o-  millisjdc  cnunciatiua,qux  folaadlogicu  pertinet, dicedu  cft.   2i  ^FEnun-    D E I KT  ERPRETATIONE.  -31  xi  IT  Enunciatio  eft  oratio, qux  verum  aut  falfum  fignifi-  cat:vt  horno  eft  iustusjiomo  non  eft  initus.   ,Ca  r.  V.  .   ' ■ * . " De  enuntiatione.   11  5T  Enuntiationum  tres  funt  gradus,  in  primo  ponitur  fimplcx affirmatio:vt,&  po-  fterioris  clalfis  non  comparantur  cum  enuciationibus  prio-  ris claflis.In  priori  clalTe  collocantur,qux  habent  fubie&um  finitum:in  pofteriori.qux  habent  fubie&um  infinitumnn  v-  traque  autem  prior  locus  iis  tribuitur  , qux  habent  attribu-  tum finitumrpofterior  iis  quae  habent  attributum  infinitum.  Vtraque  clalfis  vel  ex  indefinitis , vel  ex  definitis  enuncia-  tionibus delcribi  poteft,vt  in  fubie&is  exemplis.   Prima  clalfis  ex  enuntiationibus  indefinitis.    i • x    homo  eft  iuftus.   homo  non  eft  iuftus.   homo  non  eft  non-iuftus.  |   homo  cft  no»- iuftus.   3   4   Prima  clalfis  ex  enunciationibus  definitis.    1 1  Omnis  homo  eft  iuftus  I non  omnis  homo  eft  iuftus.    n»n  omnis  homo  cft  non-iuftus.  | omni  homo  cft  non  iuftus.  3 4   Secunda  clalfis  ex  enunciationibus  indefinitis.    non    I    DE  INTERPRETATIONE.   z   z   non-hoitfo  eft  iuftus.   non- homo  non  eft  iuftus.   non- homo  non  eft  non-iuftus.   non- homo  ejt  non-iuftus   3   4   Secunda  claffis  cx  enunciationibus  definitis.   %   i   Omnis  non- homo  eft  iuftus.   z   non  omnis  non- homo  eft  iuftus.   no  omnis  non- homo  eft  non  iuftus   .|  omnis  non-homo  eft  non-iuftus.   3   4   VthxplafTes  intclligantur,  notanda  funt,qux  fcquuntur.  I*  Enunciationes  prima  & tertia  affirmant.-  fecunda  Sc  quarta  negant.  1 1.  Prima  Sc  fecunda  fibi  inuiccm  contradicunt:  item  tertia  Sc  quarta  fibiinuiccm  contradicunt.  III.  Quar-  ta fequitur  primam  Sc  fecunda  tertiam:  non  e contrario  pri-  ma quartam, aut  tertia  fccundarn,id  eft,  concefla  prima  nc-  ccfTe  eft  concedere  quartam, Siconcefla  tertia  necefTe  cft  co-  ccdere  fecundam,  fcd  neque  coccfla  quarta  necefTe  eft  con*  cedere  primam,  neque  concefla  fecunda  necefTe  cft  conce-  dere tertiam.  IV.  Secunda  Sc  quarta  pofTunt  efTe  fimul  ve-  rr.  V.  Prima  Sc  tertia  indefinitae  pofTunt  efTe  fimul  verx.   V I.  Prima  Sc  tertia  definitae  non  pofTunt  efTe  fimul  verx.   43  V Cum  fubie&um  definitum  conftct  ex  nomine,  Sc  nota,  quam  Grxci «® appcllant,quantitatem  eius;  nominis  definiente:  ( funt  autem  notx,vt  omnis,nullus,  ali-  quis) fi  velis  ex  fubie&o  finito  facere  infinitum, debes  ne-  gandi aduerbium  apponere  nomini,non  notx.  verbi  gratia,  fit  oratio  definita  ac  finita, omnis  homo  currit,  fi  vis  eam  redde-  re infinitam. non  debes  dicere ,non  omnis  homo  currit, fcd, omnis  non  homo  currit,  hoc  enim  modo  cft  affirmatio  infinita : Illo  modo  eft  negatio  finita.   4+  % Affirmatio  & negatio  ,qux  fubie&o  non  diffc-   runt.fi  altera  attributum  finitum  habcat,altera  infinitum,  x-  *  qui  pdllent:vt,w altera  fal(a.Quod  fi  quis  contradidioncm  ponat'  in  dido,  non  in  modo : fequetur  euidens  abfurditas,  enunciationcs  contradicentes  fimul  veras  eflc  pofle : vcluti,  pofiibile  efi  hominem  currere , pefitbile  efi  hominem  non  currere.  Ap-  paret igitur, quam  rationem  in  fuperioribus  enuntiationibus  habebat  verbum, eandem  hic  clTc  in  modo.   i C A P.  X I I I.   De  confecutione  emendationum  modificatarum.   $ IN^TOn  cft  ignorandum.qupmodo  ha:  modificatx  cnun-  JL  >1  ciationcs,  quas  expofui.fe  inuiccm  confequantur.  Id  facile  apparebit  in  fcqucnti  deferiptione , in  qua  enuncia-  tiones  xquipollcntcs  collocantur  in  eadem  cellula , contra-  dicentes autem  funt  c regione  pofitx.    Nece  jfe  efi  e jfe.   Non  pofiibile  efi  non  e jfe.  Non  contingit  non  e jfe.  Impofiibile  efi  non  e(fe.    Necejjie  efi  non  effe.  Non  pofiibile  efi  ejfe.  Non  contingit  ejfe.  lmpofiibile  est  ejfe.    Non  nece  jfe  efi  ejfe.  Pofiibile  efi  non  effe.  Contingit  non  ejfe.   Non  impofiibile  efinon  ejfe.  Non  necejfe  efi  non  ejfe.  Pofiibile  efi  effe.   Contingit  effe.   Non  impofiibile  efi  effe.    Cap.4    4t  'DE  INTERP  RETAT1  ONE.   In  his  exemplis  verbum  ejfe,  habet  rajeipnem  di&i , Se  fubau-  diendum  cft aliquid, vt  oratio  pcrfc&a  fit:vcrbi  rratia , necejfe  eft  hominem  ejfe  tuftum , non  necejfe  esi  hominem  ejfe  iufturn.  Se  ita  de  ceteris  fentiendum.   Ca  p,  XIV.   •.  .«  • «tv.  *\  y   fint  enunciationes  contraria.   59  T"*  Nunciationum  oppofitio  fpettatur  potius  in  affir-  r >matione  St  negatione  ciufdem  attributi  de  eodem  fubie<fto,quam  in  duabus  affirmationibus  contrariorum  at-  tributorum.Excmpli  gratia,  huic  affirmationi , omnis  homo  eft  initus,  magis  contraria  eft  hxc  negatio , nullus  homo  est  tuitus,  quam  haec  affirmatio, omnis  homo  eftiniuftus.  Similiter  huic  af-  firmationi, Socrates ejt tuitus , magis  contradicit  hxc  negatio,  Socrates  non  eft  iufius , quam  hxc  affirmatio , Socrates  eft  intufttts.  Ratio  cft : quia  negatio  eiufdem  attributi  opponitur  per  fe,  affirmatio  verb  contrarij  attributi  non  opponitur  per  lc , fcd  quatenus  includir  negationem  ciufdem  attributi.vcrbi  gra-  tia, cum  per  fe  verum  fit , bonum  efle  bonum : per  fc  falfuin  eft.bonnm  non  effe  bonum:  per  accidens  autem  falfum  eft,  bonum  efle  malumjquia  fi  eft  malum,  non  eft  bonum  : vnde  qui  opinatur,  vel  dicit  efle  malum  j firou.l  opinatur  vel  dicit  non  efle  bonum, St  hac  ratione  aduerfatur  ei,qui  dicit  vel  o-  pinaturefTe  bonum.quoniam  igitur  magis  opponitur  ea  quq  per  fe  opponitur , quam  ea  qux  opponitur  per  accidens : id-  circo affirmationi  magis  opponitur  negatio  ciufdem  attri-  buti,quam  affirmatio  attributi  contrarij. Opere. Giulio Pace. Pace. Keywords: dialettica, Aristotele, Porfirio, Boezio, categoria, praedicamentum, lizio. Giulio Pace. Pace. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pace” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Paci: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e la relazione – filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Monterado). Filosofo italiano. Grice: “Paci’s essay on Vico by far exceeds anything that Hampshire wrote about him – magnificent title, too, “ingens sylva.” -- “There are many things I love about Paci: first, he adored Jabberwocky, as he states in his “Il senso delle parole.” Second, he loved Russell’s theory of relations, as he states it in “Relazione e significati.” Third, he agrees with me that Heidegger is the greatest philosopher of all time, as he states in his masterpiece, “Il nulla.” Grice: “Paci used to say, with a smile, that it was ironic that he was born in Monterado and that he had written an essay on ‘Il nulla,’ seeing that “Monterado is, today, well, il nulla.”” Italian essential philosopher «Avevo ben presto compreso che il costume di Paci era quello di discutere liberamente con chiunque di tutto, senza alcuna prevenzione o pregiudizio.»  (Carlo Sini). Tra i più espressivi rappresentanti della fenomenologia e dell'esistenzialismo in Italia. Nato a Monterado (provincia di Ancona), intraprese gli studi elementari e medi a Firenze e Cuneo. Nel 1930 si iscrisse al corso di filosofia dell'Università degli Studi di Pavia, seguendo soprattutto le lezioni di Adolfo Levi. Nel frattempo collaborò con Anceschi alla rivista Orpheus. Si trasferì dopo due anni all'Università degli Studi di Milano dove divenne allievo di Antonio Banfi, con il quale si laureò nel novembre del 1934 discutendo una tesi dal titolo Il significato del Parmenide nella filosofia di Platone. Collabora alla rivista Il Cantiere.  Nel 1935 iniziò il servizio militare nell'esercito, ma nell'ottobre del 1937 viene congedato. Richiamato nel 1943 come ufficiale allo scoppio della seconda guerra mondiale, venne catturato in Grecia dopo l'8 settembre 1943 e inviato presso il campo di prigionia di Sandbostel. Trasferito successivamente nella struttura di Wietzendorf, qui ebbe modo di conoscere Paul Ricœur, con il quale riuscì in quella sede a leggere Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica di Edmund Husserl e a costruire un rapporto di amicizia.  Incominciò la sua carriera di docente insegnando filosofia teoretica all'Pavia, mentre successe a Barié a Milano.  Dopo aver inizialmente collaborato con la rivista Filosofia, fondò la rivista aut aut, che diresse fino al 1976; il periodico costituisce una testimonianza dei suoi variegati interessi letterari e culturali. Il nome della rivista richiama dei testi più famosi del filosofo danese Søren Kierkegaard, precursore dell'esistenzialismo nel suo proposito di accogliere l'irriducibile paradossalità dell'esistenza e l'ostacolo che questa impone al sapere.  Tra i suoi allievi più famosi ricordiamo Piana, Sini, Veca, Rovatti, Vegetti, Neri.Sini individua l'inizio dell'intera speculazione filosofica di P.  a partire da un saggio In alcune frasi della prefazione vediamo il filosofo marchigiano, esprimere una specifica interpretazione della filosofia dell'esistenza, dimostrandoun grado elevato di comprensione del proprio tempo e delle proprie inclinazioni.  P.  giunge perciò all'esistenzialismo attraverso lo studio dell’Accademia. Base dell'esistenzialismo di P. è la relazione, intesa come condizione di esistenza di tutti gl’vvenimenti che costituiscono il mondo. Evento è anche l'io, che si conosce come esistenza finita ed empirica in rapporto ad altre esistenze. Dalla pura condizione esistenziale del fatto, attraverso la conoscenza, P. define la condizione dell'uomo come persona morale.  L'io conoscente è la chiara forma della legge morale che fa sì che ogni io, in quanto conosciuto e molteplice e in quanto esistenza, possa diventare soggetto singolo come soggetto di scelta etica. Poiché in virtù del principio di irreversibilità che, insieme al principio di indeterminazione impossibilità che il conoscente si conosca a un tempo come conosciuto e come conoscente, è uno dei punti di riferimento del sistema di P. la forma non è mai definitiva, e al contempo ogni questione risolta pone sempre nuovi problemi, ne deriva che il realizzarsi dell'esistente uomo nella forma significa un continuo progresso che va dal passato, il quale non si può ripetere e non è annullato dal presente, verso il futuro. Il non realizzarsi in questa forma, non seguendo il progresso e arrestandosi a una forma di ordine più basso, costituisce l'immoralità, il male. Il negativo come risorsa La riflessione filosofica di P. parte dalla consapevolezza del negativo, della mancanza come base e nucleo iniziale dell'esistenza umana. Un negativo che si fonda soprattutto sulla base del tempo e della sua irreversibilità, che ci costringe a fare i conti perennemente con un passato irreversibile, con un futuro sconosciuto e con un presente inesistente perché continuamente in fuga. Ma il negativo si riflette anche nella soggettività e nella limitazione del nostro punto di vista: non possiamo avere nessuna visione della realtà che non sia filtrata dalla nostra "singolarità", dal nostro essere un io. Tuttavia questa mancanza eterna, questo limite, è nello stesso tempo una risorsa: il tempo, quindi, non è una condanna per l'uomo, ma è ciò che permette la sua esistenza come temporalità; d'altra parte l'alterità è risorsa proprio in quanto altro da sé. L'io infatti si riconosce solo in quanto confrontato con un altro, e sono quindi gli altri a dare conformazione e identità al nostro io, e questo processo è fruttuoso, forte e orientato se il soggetto sa e si impegna a stringere relazioni.  Da qui si possono capire le due definizioni date alla filosofia paciana: l'una dello stesso filosofo che define la sua filosofia come relazionismo, e l'altra invece di ABBAGNANO (si veda) che lo define esistenzialismo positivo: positivo proprio perché cerca di capovolgere l'insensatezza e la mancanza alla base dell'esistenza in una possibilità, una risorsa di riflessione e progettualità. La vita umana per P. si fonda infatti su un bisogno -- bisogno di senso nel tempo, bisogno di altro. Questo bisogno si traduce in un lavoro esistenziale, che implica un consumo: di tempo, di vita, di riflessione. Questo sistema bisogno-consumo-lavoro sta alla base di ogni vita umana. Tuttavia l'uomo ha una possibilità, una possibilità di salvarsi dall'insensatezza -- o di provarci, quantomeno --  e tale possibilità si trova nel lavoro. Il lavoro esistenziale -- inteso come l'impegno che si investe nel condurre la propria vita -- può infatti essere orientato dalla consapevolezza e dal continuo impegno intellettuale di ricerca di senso anche e soprattutto mediante la relazione. Questa ricerca di senso si traduce, alla base, nell'esercizio dell'epoché.  L'epoché Termine fondamentale della filosofia di Husserl, filosofo che P. ha come punto di riferimento, l'epoché si traduce in una ricerca di senso continua e inesausta che presuppone un abbandono di tutte le categorie di pensiero che siamo abituati ad utilizzare. In questo senso è emblematico l'episodio che P. stesso racconta riguardo al suo approccio all'epoché. Studente di filosofia, si reca nell'ufficio di BANFI, il suo "maestro" per eccellenza, per chiedere spiegazioni sul concetto di epoché. Banfi gli chiede di descrivere un vaso che si trova lì vicino a loro. Tuttavia, qualunque definizione P. prova a dare -- colore, forma geometrica, uso -- cade in una categoria di giudizio posteriore all'oggetto stesso, o comunque soggettiva -- il colore dipende dalla luce, la forma geometrica si rifà a categorie astratte che l'uomo ha inventato, l'uso è indipendente dall'oggetto stesso. L'epoché, quindi, si costituisce come ricerca di una visione originaria. Compito difficilissimo -- Husserl lo define impossibile ed inevitabile -- l'esercizio dell'epoché non si deve tradurre in un'impossibilità di giudizio, ma nella consapevolezza che qualunque giudizio è parziale, soggettivo. Se applicata alla vita, all'esistenza, l'epoché si traduce in una continua ricerca dell'originario, della verità, di una verità ulteriore che si annida nel mondo, negl’altri, negl’oggetti, nei luoghi, in tutto ciò che forgia la nostra esistenza. Una verità che l'uomo può cercare, e che si annida nel percorso stesso di ricerca e riflessione, e soprattutto nella capacità di creare relazioni autentiche. In “Tempo e verità” P. individua nell'epoché quasi un carattere religioso, criticando la ridotta disamina del concetto da parte di Heidegger ed Lévinas, che lo considerarono come se si trattasse di un metodo puramente gnoseologico.  Relazione e riflessione La relazione è per P. qualcosa di fondamentale e ulteriore dotato di un profondo significato esistenziale. P. scrive che la relazione prescinde i due soggetti che la intrecciano. È un concetto nuovo, terzo, che è tanto più significativo quanto più i soggetti sono disposti a farsi mutare consapevolmente da essa e dal lavoro di riflessione che ne segue. La relazione va cercata, coltivata, resa e mantenuta continuamente autentica, anche se conflittuale. La riflessione infine, come salvezza dall'irreversibilità del tempo, ricrea e analizza il passato per ricercarne ancora il senso, e proiettare questa ricerca nel futuro di un progetto. Epoché, riflessione e relazione costituiscono, riassumendo, il lavoro esistenziale di ricerca di senso.  La filosofia di P. si traduce dunque in una continua, consapevole e dolorosa ricerca di un senso che possa capovolgere la situazione tragica dell'esistenza mediante il lavoro, l'impegno. In questo P. si distanzia da Sartre e dalle conclusioni del filosofo francese che P. ammira e considera uno stimolo continuo per la sua riflessione. Il negativo, infine, sempre presente nell'investigazione filosofica di P. rimane punto essenziale della ricerca umana, laica e faticosa di un senso, di una verità ulteriore. Altri saggi: “Il Parmenide di VELIA di Platone” -- Milano_ (cf. L. Speranza, “Grice, Wiggins, e il Parmenide di Platone” – Principato; Principii di una filosofia dell'essere, Modena, Guanda; Pensiero, esistenza e valore, Milano Principato; L'esistenzialismo, Padova, MILANI; Esistenza ed immagine, Milano, Tarantola; Socialità, Firenze, Monnier, Ingens Sylva: saggio sulla filosofia di VICO (si veda), Milano, Mondadori; Filosofia antica, Torino, Paravia, “ Il nulla” Torino, Taylor, “Esistenzialismo e storicismo, Milano, Mondadori, “Il pensiero scientifico” Firenze, Sansoni, L'esistenzialismo” in Rognoni e P., L'espressionismo e l'esistenzialismo, Torino, Edizioni Radio Italiana, “Tempo e relazione” (Torino, Taylor, Dostoevskij, Torino, Edizioni Radio Italiana, “Ancora sull'esistenzialismo” Torino, Edizioni Radio Italiana, Dall'esistenzialismo al relazionismo, Messina-Firenze, D'Anna, Storia del pensiero presocratico, Torino, Edizioni Radio Italiana, La filosofia contemporanea, Milano, Garzanti, Diario fenomenologico, Milano, Il Saggiatore, Breve dizionario dei termini greci, in Andrea Biraghi, “Dizionario di filosofia,” Milano, Edizioni di Comunità, Tempo e verità nella fenomenologia, Bari, Laterza, “Funzione delle scienze e significato dell'uomo, Milano, Il Saggiatore, “Relazioni e significati” Milano, Lampugnani Nigri, Idee per una enciclopedia fenomenologica, Milano, Bompiani, Enzo Paci, Fenomenologia e dialettica, Milano, Feltrinelli, Il senso delle parole, Pier Aldo Rovatti, Milano, Bompiani. Sini.  Civita.  Sini.  Pecora Storia, aut aut; Vigorelli.  P..  Civita,  degli saggi di P.i, Firenze, La Nuova Italia, Miele, La cifra nel tappeto: note su P. interprete di VICO (si veda), Bollettino del Centro di studi vichiani. Roma, Edizioni di storia e letteratura, Ercolani, P., il caldo romanzo di una prassi teorica, in Il manifesto, Costantino Esposito, Esistenzialismo e fenomenologia. La crisi dell'idealismo e l'arrivo dell'esistenzialismo in Italia, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Bari, Laterza, Pecora, La cultura filosofica italiana attraverso le riviste, in Rivista di storia della filosofia, Giovanni Piana, Una ricerca ininterrotta. La lezione di P., in L'Unità, Semerari, L'opera e il pensiero, in Rivista Critica di Storia della Filosofia, Sini, P. Il filosofo e la vita, Milano, Feltrinelli, C. Sini,  Enciclopedia ItalianaIV Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Vigorelli, L'esistenzialismo positivo Milano, Angeli, Vigorelli, La fenomenologia husserliana Milano, Angeli, aut aut Husserl Esistenzialismo Scuola di Milano, P., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Contributo per una nuova cultura, Saggiatore; Cenni per un nostro clima, Orpheus, Problema dei giovani. Orpheus, In margine a un'inchiesta, « Orpheus, Appunti per la definizione di un atteggiamento, Orpheus, Croce, Poesia popolare e poesia d'arte, Bari, Orpheus, Il nostro realismo storico, Il cantiere, Valore della polemica per il realismo, Il cantiere, Dialettica, metodo diairetico e rettorica nel Fedro di Platone, Archivio di storia della filosofia, Arte e decadentismo,  Libro e moschetto, Nota sull'ultimo Mann, « Nuova Italia, ósi - Nota sull'Etica dScheler, Nuova Italia, La filosofia del dolore, Meridiano di Roma, La filosofia della vita, Meridiano di Roma, La vita contro lo spirito, Meridiano di Roma,  Filosofia dell'immanenza, Meridiano di Roma, Il mondo come induzione nemica, Torino, Meridiano di Roma, Il significato del Parmenide di VELIA nella filosofia di Platone, Messina- Milano, Principato, I dialoghi giovanili fino al Cratilo; Il Fedone, il Simposio, il Fedro; La Repubblica, Il Par­menide; Il Teeteto. Il Sofista; Politico, Filebo, Timeo e le idee numeri.  Filosofia della natura e filosofia della scienza, Rivista di filo­sofia, Una metafisica dell'individualità a priori del pensiero, Logos, Nota sull'Etica di Scheler, Nuova Ita­ lia, Disegno di una problematica del trascendentale anteriore al pen­   siero moderno, Archivio di storia della filosofia, La scuola di Marburgo, Meridiano di Roma, Appunti, Vita giovanile, Orientamenti del pensiero contemporaneo, Vita giovanile, La logica del tuono, Vita giovanile’ L'idealismo di Banfi, « Vita giovanile »,  Marconi genio latino, in Liceo scientifico Marconi di Parma. Annuario, Parma.  Spinoza, Ethica, passi scelti, collegati e tradotti, introdu­zione e note, Milano, Principato. Ree. di Lombardi, Kierkegaard, Firenze, Nuova Ita­ lia; Principi di una filosofia dell'essere, Modena, Guanda, La dialettica dell'essere; Il pro­blema della fenomenologia; Il mondo ideale e la deduzione dell'unità e del molteplice; Filosofia della natura e filosofia della scienza. La natura come esistenza; L'esistenza dell'uomo, La scelta e la vita degl’altri. L'essere spirituale; La filosofia e le forme dello spirito) La vita morale; La vita dell'arte; La vita religiosa; Orientamenti del pensiero contemporaneo, DOTTRINA DELLA FILOSOFIA FASCISTA, II senso della storia, « Corrente di vita giovanile,  -Parole di Antonio Pozzi, « Corrente di vita giovanile », Pensiero, esistenza e valore, Milano, Principato, L'atto come problema; Idea e fenomeno­ logia della ragione; Temi fondamentali del pensiero di Husserl; La filosofia dei valori; Il pensiero di Lask; Scheler e il problema dei valori; Personalità ed esi­ stenza nel pensiero di Kierkegaard; Il problema dell'e­sistenza; Introduzione all'esistenzialismo di Jaspers; X - Umgreifende e comunicazione nel pensiero di Jaspers; Jaspers e lo scacco del pensiero; Esteriorità ed interio­rità -  La vita come ricerca; Valori ed opere; Concretezza e dialettica dell'essere;  La struttura dell'esi­stenza. Introduzione all'esistenzialismo di Jaspers:, La coscienza infelice, Logos, L'Umgreifende, Logos; LA COMUNICAZIONE, Logos, Il problema dell'esistenza, Studi filosofici, Studi su Kierkegaard, Studi filosofici, L'atto come problema, « Studi filosofici, Arte, esistenza e forme dello spirito, Studi filosofici, Gli studi di filosofia, Meridiano di Roma, Spirito e la filosofia dell'esistenza, Meridiano di Roma, - Esistenzialismo gnoseologico, « Corrente di vita giovanile, Presentazione di K. Jaspers, « Corrente di vita giovanile; Nietzsche, Antologia, introduzione e scelta di E. Paci, Milano, Garzanti. Platone, Teeteto, introduzione, traduzione e note di P., Milano, Mondadori. Ree. di A. Guzzo, Sic vos non vobis, Napoli, Studi filosofici, Ree. Di Volpe, Critica dei principi logici, Messina, Studi filosofici; Ree. di Abbagnano, La struttura dell'esistenza, Torino, Studi filosofici, Ree. di M. 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Spirito, La vita come arte, Firenze, Primato, Ree. di P. Carabellese, Che cosa è la filosofia, Milano « Primato, L'esistenzialismo, Padova, Milani, Kierkegaard; Nietzsche;  Heidegger; Jaspers; ABBAGNANO; Conclusione; Nota bibliografica. Socialità della nuova scuola, Firenze, Le Monnier. L'esistenzialismo in Italia, a cura di N. Abbagnano e E. Paci, Primato, Il cavaliere la morte e il diavolo, Tempo di scuola, Mann e la musica, Rivista musicale italiana, Mann e la filosofia, Studi filosofici, Metodologia e metafisica, Studi filosofici, Nascita e immortalità, Archivio di filosofi, Il proble­ma della immortalità; L'uomo tra razionalismo e romanticismo, Costume, L'uomo di Platone, Costume, Ree. di Scaravelli, Critica del capire, Firenze Costume, Esistenza ed immagine, Milano, Tarantola, pp. 198. Indice: I - Musica mito e psicologia in Th. Mann; II - Th. Mann e la filosofia; Verità ed esistenza in T. S. Eliot; Rilke e la nascita della terra; Valéry o della costruzione;  L'uo­mo di Proust; Verità ed esistenza in Eliot, « Indagine; Umanesimo e forma in Mann, « Indagine, P. Valéry, Eupalinos preceduto da l'Anima e la danza, seguito dal Dialogo dell'albero, introduzione di P., Milano, Mondadori. La storia come arte, Il problematicismo, Firenze, Sansoni, La responsabilità e il problema della storia, Studi filosofici, Unità ed esistenza, in « Atti del Congresso Internazionale di Filosofia, Roma, Milano, Castellani. Huxley, Scienza, libertà e pace, introduzione di E. Paci, Milano, Istituto Editoriale Italiano. Novalis, Frammenti, introduzione di E. Paci, Milano, Istituto Editoriale Italiano. Ingens Sylva, Saggio sulla filosofia di VICO, Milano, Mondadori, L'esistenza e l'opera; Crisi giovanile e dualismo; Medium te mundi posui; Esistenza e immagine; Natura e pensiero; Ada integer vere sapiens; Mito e arte; Mito e filosofia; Storia e metodologia della storia. Studi di filosofia antica e moderna, Torino, Paravia, Mito e logos; Eraclito; Sul Fedro; Lo Stato come idea dell'Uomo nella ' Repubblica ' di Platone; Democrito, Platone, Aristotele; Sulle opere di Vico anteriori alla 'Scienza Nuova; Sulla 'Scienza Nuova; La malinconia di Kant’ Il ' Preisschrift ' di Kant; Negativo finito e fenomenico in Kant; I Frammenti ' di Novalis e il loro significato nella storia della filosofia; Fenomenologia e metafisica nel pensiero di Hegel; L'eredità di Hegel. Filosofia e storiografia, Rassegna d'Italia,  L'altro volto di Goethe, Rassegna d'Italia, La concezione mitologico-filosofica del logos di Eraclito, Acme;  Esistenzialismo trascendentale, Rivista di Filosofia; Ree. di Wilder, THE IDES OF MARCH, Londra, Rasse­ gna d'Italia » Ree. di M. Grene, Dreadful Freedom, Chicago  Rasse­gna d'Italia, Ree. di Lowith, Da Hegel a Nietzsche, Torino, Rassegna d'Italia; Esistenzialismo e storicismo, Milano, Mondadori, Il significato storico dell'esistenzialismo; L'esi­stenza e la aurora dello spirito; L'esistenza e la forma; Poesia e COMUNICAZIONE; L'esistenzialismo di Heideg­ger e lo storicismo; Il metodo e l'esistenza; Giudi­zio e valore; La politica e il demoniaco; Pensiero e azione; La responsabilità e la storia; Filosofia e sto­riografia; Eros e natura; Il problema morale; Le forme dello spirito e il valore;  Il problema critico re­ligioso. Il nulla e il problema dell'uomo, Torino, Taylor, Introduzione all'esistenzialismo; Forme e problemi dell'esistenzialismo; Neokantismo ed esistenzialismo; Mito ed esistenza;  Il nulla e il problema morale; Esistenzialismo positivo. LINGUAGGIO, comportamento e filosofia, Archivio di filosofia, Filosofia e LINGUAGGIO, Antologia del pensiero scientifico contemporaneo, cur. P., Firenze, Sansoni, Il significato dell'irreversibile, Aut Aut,  IL SIGNIFICATO DEL SIGNIFICATO, Aut Aut, Marxismo e cultura, Aut Aut; Sul significato del mito, Aut Aut;  Ripeness is ali, Aut Aut », Moby Dick e la filosofia americana, Aut Aut, Umanesimo e tecnica, Aut Aut, Possibilità della critica e della storia dell'arte, Aut Aut, Problemi filosofici della biologìa, Aut Aut, Il nostro giardino, Aut Aut,  Fondamenti di una sintesi filosofica, Aut Aut, Arte e metamorfosi, Aut Aut , Dialogo e cultura, Aut Aut, Empirismo e relazione in Whitehead, Atti del Congresso Filosofico di Bologna, Milano Ree. di Lion, Cartesio, Rousseau, Bergson, Milano, Aut Aut, . 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Chiodi, L'ultimo Heidegger, Torino; Aut Aut »Ree. di Finetti, Macchine che pensano e che fanno pen­sare, Tecnica e organizzazione, Aut Aut », Ree. di Kelsen, Teoria generale del diritto e dello stato, Mi­lano, Aut Aut; L'esistenzialismo, in L'espressionismo e l'esistenzialismo, a cura di Rognoni e P., Edizioni Radio Italiana, Torino, Introduzione all'esistenzialismo; Hei­degger; Jaspers; Sartre; Marcel, Lavelle, Le Sen­ ne; ABBAGNANO; Esistenzialismo e letteratura. La mia prospettiva estetica, in La mia prospettiva estetica, Brescia, Morcelliana, La criticità della filosofia, « Aut Aut », La relazione, « Aut Aut », La vita come amore, « Aut Aut; Relazione e tempo, « Aut Aut », Un convegno di filosofia, « Aut Aut », Prospettive empiristiche e relazionistiche in Whitehead, « Aut Aut Semantica e filosofia, « Aut Aut », Valéry precursore della semantica, « Aut Aut », Implicazione formale e relazione temporale, « Aut Aut », Sul problema della persona, « Aut Aut », Definizione e funzione della filosofia speculativa in Whitehead, « Giornale critico della filosofia italiana », nArte e comunicazione, « Galleria, Quantità e qualità, « Civiltà delle macchine », Sul primo periodo della filosofia di Whitehead, « Rivista di filo­ sofia », Kierkegaard e la dialettica della fede, « Archivio di filosofia», n. 2 (Kierkegaard e Nietzsche), Ironia, demoniaco ed eros in Kierkegaard, « Archivio di filoso­fia, Kierkegaard e Nietzsche), Sul principio logico del processo, « Atti dell'XI Congresso in­ ternazionale di Filosofia », Bruxelles voi. 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Pa­dovani, Milano, Marzorati, Appunti per i rapporti tra filosofia, scienza empirica e sociolo­gia, Filosofia e sociologia, Bologna, Il Mulino, pp. Interpretazione del teatro, « Aut Aut », Il cammino della vita, « Aut Aut; Appunti sul neopositivismo, « Aut Aut, Kierkegaard contro Kierkegaard, Aut Aut, Angoscia e relazione in Kierkegaard, « Aut Aut; Angoscia e fenomenologia dell'EROS, Aut Aut; Il cuore della vita, « Casabella », Ripetizione, ripresa e rinascita in Kierkegaard, « Giornale cri- tico della filosofìa italiana; Unità e pluralità del personaggio, in Teatro, mito e individuo, Milano, Laboratorio, Whitehead e Russell, «Rivista di filosofìa», Il significato dell'introduzione kierkegaardiana al concetto della angoscia, « Rivista di filosofia », Storia e apocalisse in Kierkegaard, « Archivio di filosofia, Apocalisse e insecuritas; La tecnica e la libertà dell'uomo, « Civiltà delle macchine », Ritorno alla sociologia, « Civiltà delle macchine, Nota sul « Congresso intemazionale di filosofia di San Paolo », « Aut Aut », Kierkegaard, Il concetto dell'angoscia, a cura di E. Paci, To- rino, Paravia. 5420 - Ree. di W. Dilthey, Critica della ragione storica, Torino, Aut Aut,  Arte e linguaggio, in AA. VV., Il problema della conoscenza storica, Napoli, Libreria Scientifica Editrice; Esistenza natura e storia, « Aut Aut », Esperienza conoscenza storica e filosofia, Aut Aut; Sul significato dell'opera di Einstein, « Aut Aut, L'ironia di Mann, « Aut Aut », Due momenti fondamentali dell'opera di Th. Mann, « Aut Aut », Su due significati del concetto dell'angoscia in Kierkegaard, « Orbis litterarum; Critica dello schematismo trascendentale, Rivista di filosofia; Silenzio e libertà del linguaggio nel neopositivismo, Archivio di filosofia (SEMANTICA), L'appello di Einstein, « Civiltà delle macchine; Ree. di P. Romanelli, Verso un naturalismo critico, Torino, Aut Aut », Ree. di Rogers, Perret, Milano 1955, « Aut Aut », Ree. di H. Mayer, Thomas Mann, Torino, Aut Aut », Ree. di C. Cases, Mann e lo spirito del racconto, « No­ tiziario Einaudi », Aut Aut », Ree. di AA. VV., Omaggio a Th. Mann, in « Il Ponte », n. 6, 1955, « Aut Aut », L'opera di Dostoevskij, Torino, Edizioni Radio Italiana,La notte bianca; II - La vita vivente; III - Un nomade a Pietroburgo; IV - Il puro folle; V - Satira ed epica del demoniaco; VI - Voci di fanciulli sulle tombe dei padri; VII - Viva i Karamàzov! Ancora sull'esistenzialismo, Torino, Edizioni Radio Italiana: ntroduzione all'esistenzialismo; Heideg­ger; Jaspers; Marcel, Lavelle, Le Senne; Esisten­ zialismo teologico; Aspetti letterari; L'esistenza negativa in Sartre; L'esistenza diabolica in Mann; La positivizzazione dell'esistenzialismo; ABBAGNANO; Sartre e il problema del teatro; L'esistenzialismo nella filosofia contemporanea; L'eredità di Husserl e l'esistenzialismo di Merleau-Ponty. Hegel e il problema della storia della filosofia, Ve­rità e storia: Un dibattito sul metodo della storia della filosofia, Asti, Arethusa, Nota su «Altezza reale», «Aut Aut; Sul senso e sull'essenza, « Aut Aut, La natura e il culto dell'Io, « Aut Aut », Appunti su un convegno, « Aut Aut; Filosofia e antifilosofia, « Aut Aut; Filosofia e linguaggio perfetto (risposta a una lettera di A. Ve- daldi), « Aut Aut, Funzione e significato del mito, « Giornale critico della filosofia italiana », Processo, relazione e architettura, «Rivista di estetica», Sul concetto di 1 precorrimene ' in storia della filosofia, « Ri­ vista critica di storia della filosofia », Problematica dell'architettura contemporanea, « Casabella », n. 209, Critica dello schematismo trascendentale (II parte), « Rivista di filosofia », Immanenza e trascendenza (Convegno promosso dall'Istituto di filosofia dell'Università di Milano), « Il Pensiero,  Inter­venti di P.: Sulla relazione Dal Pra; Sulla rela­zione Antoni, Sulla relazione Guzzo; Sulla relazione Allmayer; Sulla relazione Spirito, Processo esistenziale, processo naturale, processo storico, « Anais de Congresso Internacional de Filosofia de Sào Paulo »,  San Paolo, La scienza e l’enciclopedia filosofica, « Civiltà delle macchine, Vivere nel tempo, « Civiltà delle macchine », IF. Woodridge, Saggio sulla natura, introduzione di P., Mi­lano, Bompiani; Dall'esistenzialismo al relazionismo, Firenze, Anna: Prospettive relazionistiche; Il fonda­mento storicistico del relazionismo; Il consumo dell'esi­stenza e la relazione; La struttura relazionale dell'esperien­za; Whitehead e il relazionismo; Relazionismo e rela­tività;  Relazionismo e schematismo trascendentale; La verificazione nel neopositivismo; Relazionismo e natu­ralismo; Orientamento estetico relazionistico; Perma­nenza ed emergenza nel LINGUAGGIO; Sul significato del mito; Senso essenza e natura; Tempo e natura. Storia del pensiero presocratico, Torino, Radio, La filosofia greca e i suoi rapporti con l'oriente; Le origini autonome della filosofia greca; La scuola di Mileto o i primi pitagorici; Eraclito di Efeso; Senofane e Parmenide di VELIA; Zenone di VELIA e Melisso di Samo; Il pitagorismo nell'età di FILOLAO; EMPEDOCLE di GIRGENTI; Anassagora di Clazomeno; La scuo­la di Abdera; Protagora di Abdera; Gorgia di LEONZIO; Prodico di Ceo; Antifonte sofista; Ippia di Elide; Logos e natura; Letteratura e pensiero filosofico; Eschilo e la polis; Pensiero e poesia in Sofocle; La visione filosofica in Euripide; Antifilosofia e filosofia in Aristofane; Scienza, tecnica e mito; Natura e cultura; Medicina e filosofia; Filosofia, arte e musica;Filosofia e storiografia; La filosofia contemporanea, Milano, Garzanti, L'eredità di Kant; Spiritualismo, positivismo e neocri­ticismo; Le conclusioni dell'idealismo; Storicismo e filosofia dei valori; Pragmatismo e realismo; Processo e organicità; La fenomenologia e il mondo della vita; Esistenzialismo e ontologismo; Empirismo logico e fenomenologia della percezione; Fenomenologia dei processi in relazione, « Aut Aut », Giallo e nero, Aut Aut, Schematismo trascendentale, Aut Aut, Hartmann e la tradizione ?netafisica, Aut Aut, Banfi, « Aut Aut », n. 42, pp. 499-501. Per la logica di Husserl, « Aut Aut » Sul significato del platonismo in Husserl, Acme, L'architettura e il mondo della vita, « Casabella, Il  metodo industriale, l'edilizia e il problema estetico, « La casa », Roma, ed. De Luca. Scienza ed umanità nella storia del pensiero scientifico italiano, in « Mostra storica della scienza italiana », Milano, Pizzi, Relazionismo e realtà sociale, « Criteri », nAntonio Banfi, « Raccolta Vinciana. Necrologie », L'estetica come richiamo all'esperienza (riassunto), congresso di estetica (Venezia) Torino, Edizioni della rivista di estetica, Recc. di Husserl, Ideen zu einer Phànomenologie und phà- nomenologische Philosophie, Die Krisis der europàischen Wissenschaften und die transzendentale Phànomeno­ logie; Erste Philosophie, Den Haag, Aut Aut », Ree. di C. S. Peirce, Caso, amore e logica, Torino « Aut Aut », Ree. di Beth Mays, Etudes d'epistemologie génétique, Paris, Aut Aut », Ree. di C. Cascales, L'humanisme de Ortega Y Gasset, Paris, Aut Aut »,  Ree. di P. Rossi, Bacone, dalla magia alla scienza, Bari « Aut Aut », Ree. di R. Pettazzoni, L'essere supremo nelle religioni primi­ tive, « Aut Aut »,Ree. Di Mumford, La condizione dell'uomo, Milano, Aut Aut», Ree. di G. Friedmann, Le travail en miettes, Paris, Aut Aut », nDizionario di filosofia, a cura di A. Biraghi, Milano, Edizioni di Comunità. Voci: Eleati; Eraclito; Atomismo; GIRGENTI; Anassagora; Socrate; Cinici; Cirenaici; Megarici; Platone; Aristotele; Romanticismo; Neopositivismo; Relazione; Etica; Libertà; Arbitrio; Bene; Determinismo-indeterminismo; Dovere; Respon- sabilità; Eudemonismo; Virtù; Saggezza; Azione; Violenza; Estetica; Forma; Sublime; Catarsi. In appendice a cura di E. Paci: Breve dizionario dei termini greci, pSamuel Alexander, in Les grands courants de la pensée mon- diale contemporaine, a cura di M. F. Sciacca, Milano, Marzorati, pp. 27-48. Sul mio comportamento filosofico, La filosofia con- temporanea in Italia, Asti, Arethusa, La dialettica in Platone, in Studi sulla dialettica, To- rino, Taylor, e in « Rivista di filosofia, Vita e ragione in Antonio Banfi, « Aut Aut », In margine ad Heidegger, «Aut Aut»,  Meditazioni fenomenologiche, « Aut Aut », Schelling e noi, « Aut Aut », n. Tempo e percezione, « Archivio di filosofia », Il tempo), Ungaretti e l'esperienza della poesia, « Letteratura »,  Fenomenologia e architettura contemporanea, « La casa », Roma, ed. De Luca. Ristampato in 6601, parte prima, cap. XII. Sul significato dei Maestri Cantori di Wagner, « L'approdo mu- sicale », La concezione relazionistica della libertà e del valore, in « Atti del XII Congresso Nazionale di Filosofia, Venezia, Merleau-Ponty, Elogio della filosofia, traduzione, introduzione e note di P., Torino, Paravia. Neopositivismo e unità della scienza, introduzione di E. Paci, Milano, Bompiani. R. Sanesi, Frammenti dall'Isola Athikte, prefazione di E. Paci, Milano, Schwarz. Ree. di G. Pedroli, La fenomenologia di Husserl, Torino,  « Aut Aut », Il nulla e il problema dell'uomo, Torino, Taylor, Tempo, esistenza e relazione. Filosofia e antifilosofia (una discussione con P.), GARIN, La filosofia come sapere storico, Bari, Laterza, Sulla fenomenologia, « Aut Aut », Sartre e noi, « Aut Aut »,Sulla relazione lo-tu, « Aut Aut », n. Esercizio sulla evidenza fenomenologic a, «Aut Aut», Sul significato dello spirito in Husserl, « Aut Aut; Pagine da un diario, « Archivio di filosofia, La diaristica filosofica), Filosofia e storia della filosofia, « Giornale critico della filosofia italiana », Wright e lo « spazio vissuto », « Casabella; Imbarazzi di B. Russell, « Inventario»,  Tempo e riduzione in Husserl, « Rivista di filosofia », Per una fenomenologia della musica contemporanea, « Il Ver- ri », La crisi della cultura e la fenomenologia dell'architettura con- temporanea, « La casa », Roma, ed. De Luca, Whitehead, La scienza e il mondo moderno, introduzione di E. Paci, Milano, Bompiani. L. Actis Perinetti, Dialettica della relazione, prefazione di P., Milano, ed. di Comunità. Husserl sempre di nuovo, Omaggio a Husserl, a cura di P. Milano, Il Saggiatore, Garin, P., Prini, Bilancio della fenomenologìa e del- l'esistenzialismo, Padova, Liviana. I testi di P. sono: Bilancio della fenomenologia; Risposte e chiarimenti; Commemorazione di Husserl, Wright e lo spazio vissuto, in Saggi italiani 1959 (scelti da Moravia e Zolla), Milano, Bompiani, Aspetti di una problematica filosofica, « Aut Aut », n. 55, pp. 1-9. La fenomenologia come scienza del mondo della vita, « Aut Aut, Sullo stile della fenomenologia, « Aut Aut », La scienza e il mondo in A. N. Whitehead, « Aut Aut », Sulla presenza come centro relazionale in Husserl, « Aut Aut », n. 58, pp. 236-241. Il problema dell'occultamento della « Lebenswelt » e del tra­ scendentale in Husserl, « Aut Aut », La fenomenologia come scienza nuova, « Aut Aut », Indicazioni elementari sulla « analisi esistenziale », « Aut Aut; Tempo e relazione intenzionale in Husserl, « Archivio di filo­ sofia », n. 1 (Tempo e intenzionalità), pp. 23-48. Coscienza fenomenologica e coscienza idealistica, « Il Verri, Ricordo di Luigi Stefanini, Scritti in onore di L. Stefanini, Padova, Liviana; Tempo e relazione nella fenomenologia, « Giornale critico della filosofia italiana; Scienza, tecnica e mondo della vita in Husserl, « Il pensiero critico; Doxa e individuazione nella fenomenologia di Husserl, « Rivi­ sta di filosofia; Nulla di nuovo tutto di nuovo, in « Casa editrice II Saggiatore. Catalogo Il problema dell'intersoggettività, « Il pensiero; Tre paragrafi per una fenomenologia del linguaggio, « Il pen­siero », Indicazioni fenomenologiche per il romanzo, « Quaderni mila­nesi », G. Brand, Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di Hus­ serl, introduzione di E. Paci, Milano, Bompiani. E. Husserl, Teleologia universale (manoscritto E III 5), tradu­ zione di E. Paci, in « Archivio di filosofia; Ree. di Hocke, Die Welt als Labyrinth; Manierismus in der Literatur, Hamburg, Aut Aut », Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Bari, Laterza: Il senso della fenomenologia; Il signi­ ficato dell'intenzionalità; Tempo e riduzione; Tempo e dialettica; Tempo e intersoggettività; Mondo della vita e scienza del mondo della vita; Il tempo e il senso dell'essere; La fenomenologia come teleologia universale della ragione. Husserl, Teleologia universale (manoscritto E III 5) trad. P.; La concezione relazionistica della libertà e del valore. Diario fenomenologico, Mi­lano, Il Saggiatore, La phénoménologie, in Les grands courants de la pensée mon­ diale contemporaine, a cura di M. F. Sciacca, Milano, Marzorati, Qualche osservazione filosofica sulla critica e sulla poesia, « Aut Aut; ESPRESSIONE E SIGNIFICATO; Aut Aut », Fenomenologia psicologia e unità della scienza, « Aut Aut », La psicologia fenomenologica e il problema della relazione tra inconscio e mondo esterno, « Aut Aut », Guenther Anders e l'intenzionalità della scienza, « Aut Aut », n. Merleau-Ponty, Lukàcs e il problema della dialettica, « Aut Aut », I paradossi della fenomenologia e l'ideale di una società razio­ nale, « Giornale critico della filosofia italiana, Fenomenologia e obbiettivazione, «Giornale critico della filo­ sofia italiana », Ueber einige Verwandtschaften der Philosophie Whiteheads und der Phànomenologie Husserls, « Revue internationale de philosophie; Relazionismo e significato fenomenologico del mondo, « Il pen­ siero », Tecnica feticizzata e linguaggio, «Europa letteraria», Per una fenomenologia dell'eros, « Nuovi argomenti, A Fhenomenology of Eros, in Facets of Eros, The Hague, Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, avvertenza e prefazione di E. Paci, Milano, Il Saggiatore. Gellner, Parole e cose, introduzione di P., Milano, Il Saggiatore. Ree. di S. Freud, Lettere, Torino,  «Aut Aut », Ree. di S. Freud, Le origini della psicoanalisi, Torino, Aut Aut, Ree. di W. Jensen, Gradiva, Torino,  « Aut Aut », Ree. di F. Fornari, Problemi del primo sviluppo psichico, in  « Rivista di Psicologia », « Aut Aut », L'ultimo Sartre e il problema della soggettività, « Aut Aut », Nuove ricerche fenomenologiche, « Aut Aut », Nota su Robbe-Grillet, Butor e la fenomenologia, « Aut Aut », Problemi di antropologia, « Aut Aut », Per una sociologia intenzionale, Aut Aut, Struttura e lavoro vivente, « Aut Aut », A proposito di sociologia e fenomenologia (risposta a una let­ tera di F. Ferrarotti), « Aut Aut », A cominciare dal presente, « Questo e altro; In un rapporto intenzionale, « Questo e altro, Banfi, GELLNER [cited by H. P. GRICE] e Merleau-Ponty, « Casa editrice II Saggiatore. Catalogo Fenomenologia e antropologia in Hegel, « Il pensiero », Bomba atomica e significato di verità, « Il Verri », In Merleau-Ponty, Senso e non senso, introduzione di E. Paci, Milano, Il Saggiatore.  Funzione delle scienze e significato dell'uomo, Milano, Il saggiatore: Crisi della scienza come crisi del significato della scienza per l'uomo; L'oblio del mondo della vita e il significato del trascendentale. La fenomenologia come scienza nuova; La correlazione universale e la filosofia come trasformazione dell'essere in significato di verità; La fenomenologia e l'ideale di una società razionale; Il paradosso estremo della fenomenologia; La psicologia e la unità delle scienze; Materia vita e persona nella teleologia della storia; La psicologia fenomenologica e la fondazione della psicologia come scienza; La crisi dell'Europa e la storia dell'umanità; La dialettica del linguaggio e il fondamento della storia; Il fondamento fenomenologico della storia della filosofia; Esperienza e ragione; Scienza, morale e realtà economica nella lotta della filosofia per il significato dell'uomo; L'unità dell'uomo e l'autocomprensione filosofica. Natura e storia; Soggettività e situazione; Ambiguità e verità; Prassi pratico-inerte e irreversibilità; Uomo natura e storia in Marx; Il rovesciamento del soggetto nell'oggetto; La dialettica del concreto e dell'astratto. Piccolo dizionario fenomenologico. Il significato dell'uomo in Marx e Husserl, « Aut Aut », Il senso delle parole: Lebenswelt; Struttura, « Aut Aut », nLa psicologia fenomenologica e la fondazione della psicologia come scienza, « Aut Aut, Il senso delle parole: Epoche; trascendentale, « Aut Aut », Il senso delle parole: Alienazione e oggettivazione, « Aut Aut », Sociologia e condizione umana, « Aut Aut », Il senso delle parole: Riconsiderazione; senso; causa; il cogito e la monade, « Aut Aut », Fenomenologia e antropologia culturale, « Aut Aut », Il senso delle parole: Sprachleib; soggettività linguistica; lan- gue et parole; strutturalismo, fonologia e antropologia, « Aut Aut », Memoria e presenza dei Buddenbrook, « Aut Aut », Il senso delle parole: Gradi della alienazione; strumentammo; il corpo proprio inorganico; informale e nuova figurazione; tra­ dizione e avanguardia, « Aut Aut », Follia e verità in Santayana, « Revue internationale de philoso­phie », Problemi di unificazione del sapere, « De Homine », Die Positive Bedeutung des Menschen in Kierkegaard, « Schweit- zer Monatshefte », Alcuni paragrafi sul romanzo contemporaneo, «Europa lettera­ ria, Omaggio a Mondolfo, Omaggio a R. Mondolfo, Città di Senigallia, Atti del Consiglio Comunale, Urbino, S.T.E.U., Problemi di unificazione del sapere, in L'unificazione del sapere, Firenze, Sansoni, A. N. Whitehead, in Les grands courants de la pensée mondia­ le contemporaine, a cura di M. F. Sciacca, terza parte, voi. II, Milano, Marzorati, Annotazioni per una fenomenologia della musica, « Aut Aut, Il senso delle parole: Scientificità; irreversibilità; entropia e informazione; operazionismo; musica e modalità temporali, « Aut Aut », nn. Teatro, funzione delle scienze e riflessione, « Aut Aut », Il senso delle parole: Prima persona; fenomenologia e fisiologia; dualismo teatro e personaggi, « Aut Aut» Le parole, « Aut Aut Il senso delle parole: linguaggio oggettivato; soggetto e com­ portamento; la scienza e la vita, « Aut Aut », Fenomenologia e cibernetica, « Aut Aut », Il senso delle parole: introduzione; cose e problemi; forme ca­ tegoriali, « Aut Aut », Whitehead e Husserl, «Aut Aut», Il senso delle parole: Percezione e conoscenza diretta; struttura, traduzione, e unificazione del sapere; il simbolismo e la possi­ bilità dell'errore, « Aut Aut », Mann, Le Opere, introduzione di E. Paci, Torino, Pomba. Relazioni e significati l (Filosofia e fenomenologia della cultu­ ra), Milano, Lampugnani Nigri, Filosofia e fenomenologia della cultura; Fenomenologia della vita e ragione in Banfi; Il significato di Whitehead; Logica  e filosofia in Whitehead; Empirismo e relazioni in White­head; Whitehead e Husserl; Nota su Russell; Neopositivismo, fenomenologia e letteratura; Ca­duta della intenzionalità e linguaggio; Follia e verità in Santayana; Scienza e umanesimo italiano; Fenomeno­logia e letteratura; Fenomenologia e narrativa; Fenomenologia, psichiatria e romanzo; Robbe-Grillet, Butor e la fenomenologia; XVI - Problemi di antropologia; Struttura e lavoro vivente; Sul concetto di struttura. Relazioni e significati (Kierkegaard e Th. Mann), Milano, Lampugnani Nigri: Ironia, demoniaco ed eros; Estetica ed etica; La dialettica della fede; Ripetizione e ripresa: il teatro e la sua funzione catartica; Storia ed apocalisse;  La psicologia e il pro­blema dell'angoscia; Angoscia e relazione; Ango­scia e fenomenologia dello eros; L'intenzionalità e l'amo­re;  Kierkegaard e il significato della storia. Musica mito e psicologia in Mann; Mann e la filosofia;  Due momenti fondamentali nell'opera di Mann; L'ironia di Mann; Su « Altezza reale »; Ricordo e presenza dei « Buddenbrook ». Tempo e relazione, Milano, Il Saggiatore; Significato del significato; Seman­tica e filosofia; Fenomenologia e cibernetica. L'infanzia di Sartre, in Le conferenze dell'associazione cul­turale italiana, Cuneo, Sasto, Sull'orizzonte di verità della scienza, « Aut Aut », Il senso delle parole: Processo; percezione non sensoriale; il tessuto della esperienza, « Aut Aut », Sulla struttura della scienza, « Aut Aut », Il senso delle parole: Pubblico e privato; genesi, « Aut Aut », Struttura temporale e orizzonte storico, « Aut Aut », Il senso delle parole: Logica forinole e linguaggio ordinario; metafisica descrittiva, « Aut Aut », Antropologia strutturale e fenomenologia, «Aut Aut», Condizione dell'esperienza e fondazione della psicologia, « Aut Aut », Il senso delle parole: i due volti della psicologia; sul principio della economia del pensiero, « Aut Aut », Una breve sintesi della filosofia di Whitehead, « Aut Aut », Il senso delle parole: Sul problema dei fondamenti; esperienza e neopositivismo, « Aut Aut », La voce Sul problema dei fondamenti; Funzione e significato nella letteratura e nella scienza, in La cultura dimezzata, a cura di A. Vitelli, Milano, Giordano, Sul concetto di struttura in Lévi-Strauss, « Giornale critico del- la filosofia italiana, Attualità di Husserl, « Revue internationale de philosophie, Sul problema della fondazione delle scienze, « Il pensiero », Il senso delle strutture in Lévi-Strauss, Paragone, Revue internationale de philosophie, Nota su De Saussure, in « Casa editrice II Saggiatore: Catalogo generale Preceduto da un'inchiesta su ' Strutturalismo e critica ' cur. di Segre, Ideologia, parola negativa, in « Casa editrice il Saggiatore: supplemento a l catalogo generale aggiornato; Husserl, Esperienza e Giudizio, nota introduttiva di E . Paci, Milano, Silva. G. Piana, Esistenza e storia negli inediti di Husserl, prefazione di E . Paci, Milano, Lampugnani Nigri. C. Sini, Whitehead e la funzione della filosofia, prefazione di E. Paci, Padova, Marsilio. Relazioni e significati (Critica e dialettica), Milano, Lampu- gnani Nigri: Sulla poesia di Rilke; Sul senso della poesia di Eliot; L'uomo di Proust; Valéry o della costruzione; Sulla musica contemporanea; Per una fenomenologia della musica; Interpretazione d e l teatro; Teatro, funzione delle scien- ze è riflessione; Sull'architettura contemporanea; -L'architettura e il mondo della vita; Il metodo industriale, l'edilizia e il problema estetico; Fenomenologia e architet- tura contemporanea; Wright e « lo spazio vissuto ». Il significato della dialettica platonica; Dialettica, fenomenologia e antropologia in Hegel; Paragrafi per una fenomenologia del linguaggio; Sulla FENOMENOLOGIA DEL LINGUAGGIO; Dialettica e nalità nella critica e nella poesia; A cominciare dal presente; In un rapporto intenzionale; L'alienazione delle parole. Per un'analisi fenomenologica del sonno e del sogno, Il sogno e le civiltà umane, Bari, Laterza, Kierkegaard vivant et la véritable signification de l'histoire, in Kierkegaard vivant, Unesco, Paris, Gallimard, Il senso delle parole: Sul problema della fondazione, Aut Aut, n. Ancora intenzio-   Psicanalisi e fenomenologia, « Aut Aut », Il senso delle parole: L'archeologia del soggetto; psicologia e problematica della scienza, « Aut Aut », Ayer e il concetto di persona, « Aut Aut », Il senso delle parole: Primitività della persona e azione umana; linguaggio e realtà, « Aut Aut »,Per lo studio della logica in Husserl, « Aut Aut », Il senso delle parole: Ricerca trascendentale e metafisica; espe­ rienza temporale e riconoscimento, « Aut Aut », Tema e svolgimento in Husserl, « Aut Aut », Il senso delle parole: Morfologia universale; prima persona e linguaggio, Aut Aut, Fondazione e costruzione logica del mondo di Carnap, « Archi­ vio di filosofia, Logica e analisi, Modalità, coscienza empirica e fondazione in Kant, « Il pensie­ro », Husserl, Logica formale e trascendentale, prefazione di E. Paci, Bari, Laterza. Ricordo di E. De Martino, colloquio tra E. Paci, C. D. Levi Carpitella, G. Jervis, « Quaderni dellTSSE », Filosofia e scienza, discussione tra P., Caldirola, Arcais, Panikkar, « Civiltà delle macchine », Il nulla e il problema dell'uomo, in E. De Martino, Il mondo magico, Torino, Boringhieri, Il significato di GALILEI filosofo per la filosofia, in AA. VV., Studi Gali- leiani, Firenze, Barberi, Fondazione fenomenologica dell'antropologia e antropologia del- le scienze, « Aut Aut », Il senso delle parole: Fenomenologia della prassi e realtà obiet- tiva, « Aut Aut », Il ritorno a Freud, « Aut Aut », Il senso delle parole: Autoanalisi e intersoggettività, « Aut Aut », Fondazione e chiarificazione in Husserl, « Aut Aut »,  Il senso delle parole: Fenomenologia ed enciclopedia, « Aut Aut », Per un'interpretazione della natura materiale in Husserl, « Aut Aut, Il senso delle parole: Decezione conflitto e significato, « Aut Aut », Natura animale, uomo concreto e comportamento reale in Hus- serl, « Aut Aut », Il senso delle parole: Struttura e contemporaneità al nostro pre-sente, « Aut Aut, Il senso delle parole: La motivazione, « Aut Aut »,  Informazione e significato, « Archivio di filosofia » , n. 1 [Filosofia e informazione), Kafka e la sfida del teatro di Oklahoma, « Studi germanici » Per una semplificazione dei temi husserliani fino al primo vo­ lume delle « Idee », « Studi urbinati », Inversione e significato della cultura, « Aut Aut », Il senso delle parole: L'altro, « Aut Aut », Per una nuova antropologia e una nuova dialettica, « Aut Aut », Il senso delle parole: L'uomo e la struttura, « Aut Aut », Motivazione, ragione, enciclopedia fenomenologica, « Aut Aut », P., Rovatti, Persona, mondo circostante, motivazione, « Aut Aut », Il senso delle parole: Alienazione, « Aut Aut », Keynes, la fondazione dell'economia e l'enciclopedia fenomeno­ logica, «Aut Aut», Il senso delle parole: L'uomo stesso, « Aut Aut », Vita e verità dei movimenti studenteschi, « Aut Aut », Il senso delle parole: Razionalità irrazionale, «Aut Aut», Vico, le structuralisme et l'encyclopédie phénoménologique des sciences, « Les études philosophiques », Domanda, risposta e significato, Archivio difilosofia, Il problema della domanda, La presa di coscienza della biologia in Cassirer, « Il pensiero », The Phenomenological Encyclopedia and the « Telos » of the Humanity, « Telos », Ri Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche, in AA. VV., Orien­ tamenti filosofici e pedagogici, Milano, Marzorati, voi. Antonio Banfi e il pensiero contemporaneo, in Antonio Banfi vivente, Firenze, La Nuova Italia, II senso delle parole: Sviluppo e sottosviluppo, « Aut Aut », Aldilà,«AutAut», Il senso delle parole: Soggetto ed oggetto dell'economia, Aut Aut » L'enciclopedia fenomenologica e il Telos dell'umanità, « Aut Aut», Il senso delle parole: Violenza e diritto, « Aut Aut», Il senso delle parole: Istituzione totale, «Aut Aut», L'architettura come vita, « Aut Aut », Dialectic of the Concrete and of the Abstract, « Telos », Barbarie e civiltà, in « Atti del Convegno Internazionale sul tema: CAMPANELLA e VICO, Roma, Accademia nazionale dei Lincei, Quaderno, La dialettica del processo. Milano, Mondadori. Veca, Fondazione e modalità in Kant, prefazione di P., Milano, Mondadori. Il senso delle parole: Ancora sul marxismo e sulla fenomenologia, Aut Aut, Due temi fenomenologici: Fenomenologia e dialettica, La fenomenologia e la fondazione dell'economia politica, « Aut Aut », Il senso delle parole: La ripetizione, Aut Aut, L'ora di CATTANEO, Aut Aut », Il senso delle parole: Ontico e ontologico, « Aut Aut », Il senso delle parole: Barbarie e civiltà, «Aut Aut», Il senso delle parole: La figura, « Aut Aut », Vita quotidiana ed eternità, « Archivio di filosofia », Il senso comune, Intersoggettività del potere, « Praxis », Fenomenologia e dialettica marxista, « Praxis; Sui rapporti tra fenomenologia e marxismo, in J. T. Desanti, Fe­ nomenologia e prassi, Milano, Lampugnani Nigri, Astratto e concreto in Althusser, « Aut Aut », n. Il senso delle parole: Sostanza e soggetto, « Aut Aut », La « Einleitung » nella fenomenologia hegeliana e l'esperienza fenomenologica, « Aut Aut », Il senso delle parole: La fenomenologia come scienza dell'appa­ renza e della esperienza della coscienza, « Aut Aut », Hegel e la certezza sensibile, « Aut Aut », Il senso delle parole: Storia e verità, « Aut Aut », nn. Considerazioni attuali su Bloch, « Aut Aut » Il senso delle parole: Speranza e carità: l'uomo nuovo, « Aut Aut », Per un'analisi del momento attuale e del suo limite dialettico, Aut Aut », Il senso delle parole: L'homme nu di Lévi-Strauss, Aut Aut , La phénoménologie et l'histoire dans la pensée de Hegel, Praxis, History and Fhenomenology in Hegel's Thought, Telos, Bergson, Le Opere, introduzione di P., Torino, Pomba. E. Minkowski, 17 tempo vissuto, prefazione di P>, Torino, Einaudi, Scarduelli, L'analisi strutturale dei miti, prefazione di E. Paci, Milano, Celuc. P. A. Rovatti, R. Tomassini, Veca, Per una fenomenologia del bisogno, « Aut Aut, Life-World, Time, and Liberty in Husserl, Life- World and Consciousness. Essays for A. Gurwitsch, cur. Embree, Evanston, Northwestern Univ. Press, Ungaretti e l'esperienza della poesia, in G. Ungaretti, Lettere a un fenomenologo, premessa di P., Milano, Vanni Scheiwiller, pIl senso della religione in MaxHorkheimer, in Max Horkheimer, Guerreschi, An Maidom e zum Schicksal der Religion, Milano, Arte Edizioni, due pagine non numerate. A proposito di fenomenologia e marxismo. Considerazioni sul « Dialogo » di Vajda, « Aut Aut », Il senso  delle parole: Lavoro e teologia, Aut Aut, La presenza nella « Fenomenologia dello spirito » di Hegel, « Aut Aut Variazioni su Cattaneo, « Aut Aut, Il senso delle parole: Il federalismo, Aut Aut,  Spontaneità, ragione e modalità della praxis, « Praxis, Che cosa ha taciuto Croce, « Tempo », Ci sono strutture di strutture di strutture..., « Tempo, B. Russell, Le Opere, introduzione di E. Paci, Torino, Pomba. Wahl, La coscienza infelice nella filosofia di Hegel, prefazione di E. Paci, Milano, Istituto Librario Internazionale; Zecchi, Fenomenologia dell'esperienza, presentazione di P. Firenze, La Nuova Italia. Intervista con P., in Parlano i filosofi italiani, Terzo programma, fase. Ili, Idee per una enciclopedia fenomenologica, Milano, Bompiani, Attualità di Husserl; L'eredità di Banfi; L'enciclopedia fenomenologica e il telos dell'umanità. Vico, lo strutturalismo e l'en­ciclopedia fenomenologica delle scienze; Il significato di GALILEI (si veda) per la filosofia; Modalità, coscienza empirica e fonda­ zione in Kant; Hegel e la fenomenologia. I temi husserliani fino al primo volume di Idee; Sul pro­blema dell'INTERSOGGETIVITÀ; Per lo studio della logica in Husserl; Per una interpretazione della natura materiale in Husserl; Natura animale, uomo concreto e comportamento reale in Husserl; Fondazione e chiarificazione in Husserl; Cultura e dialettica; Motivazione, ragione, enciclo­ pedia fenomenologica. Il senso delle strutture in Lévi-Strauss; Sul concetto di struttura in Lévi-Strauss; Antropologia strutturale e fenomenologia; Fondazione fenomenologica dell'antropologia ed enciclopedia delle scienze; Il ritorno a Freud; Psicanalisi e fenomenologia; Keynes, la fondazione della economia e l'enciclopedia fenomeno­ logica; Fenomenologia e fondazione dell'economia politica; La presa di coscienza della biologia in Cassirer. Parte quinta: I - Problemi di unificazione del sapere; Sul pro­blema dei fondamenti; La fondazione delle scienze; La struttura della scienza; Il significato di verità della scien­za; Struttura temporale e orizzonte storico; Infor­mazione e significato; Whitehead in sintesi; Una sintesi di Ayer sul concetto di persona; Astratto e concreto in Althusser; Modalità e novità in Bloch.  Diario fenomenologico Milano, Bompiani, Marxismo e fenomenologia, « Aut Aut, IL senso delle parole: Attualità della « fenomenologia » di Hegel, « Aut Aut » Bisogni, paradossi e trasformazioni del mondo, « Aut Aut », Il senso delle parole: Filosofia analitica e fenomenologia, « Aut Aut », Il senso delle parole: I limiti dell'empirismo, « Aut Aut », La negazione in Sartre, « Aut Aut », Il senso delle parole: L'istante, Aut Aut, Il senso delle parole: Sul relazionismo, « Aut Aut », Cancellare la scrittura morta per trovare la verità viva, «Tem­ po », L'uomo deve imparare a servirsi della scienza, « Tempo », La pelle di leopardo ideologica, Tempo, Cosi vedo Sartre, « Tempo », Amore e morte. Freud e la rivoluzione dell'uomo, «Tempo», L'enigma Ludwig: Visconti e Thomas Mann, «Tempo», L'uomo e la semiotica universale, « Tempo », Ateismo nel cristianesimo e cristianesimo nell'ateismo, «Tempo », Letteratura e reazione, « Tempo, La presa di coscienza dell'eros e la trasformazione della società, « tempo », « Il Capitale » tra Shakespeare e Kafka, « Tempo », Un congresso di filosofi che riscoprono la dialettica, « Tempo », Linguaggio e silenzio in Wittgenstein, « Tempo », Quel superstizioso di Freud, « Tempo »,  Filosofia Arte e Letteratura, « Tempo », Quando la volontà è malata, « Tempo », Colloqui con Sartre, « Tempo », Un messaggio contro il male, « Tempo », La realtà si ritrova nella continua dialettica tra realismo e sur- realismo, « Tempo », Husserl e Marx a Praga, « Tempo », Mito e vacanza della vita, « Tempo »,  Eclisse e rinascita della ragione in Horkheimer, « Tempo », Lukàcs tra la vita e lo spirito, « Tempo », La situazione limite di Bataille, « Tempo », Il progresso economico distruggerà la specie umana, « Tempo », La filosofia della vita e della cultura di Simmel e di Banfi, « Tempo », Trovare l'uomo partendo dalla solitudine, « Tempo », La musica come mediazione tra la vita e il suo significato, « Tem- po », Ter Marcuse la rivoluzione continuerà con l'estetica, « Tempo », Il filosofo del senso comune, « Tempo »,- Il fallimento dell'uomo e la religione, « Tempo », La vera neutralità della scienza, « Tempo », La nuova via tra Pitagora e Darwin, « Tempo », L'idiota di famiglia e la guarigione dell'uomo, Tempo, L'eredità di G. Marcel è anticapitalista?, « Tempo », n. Lukàcs inedito scoperto a Budapest, « Tempo », I cervelli avranno un futuro, « Tempo »,Forse una nuova dialettica con la vittoria del proletariato, « Tempo », L'uomo tra Tolomeo e Copernico, « Tempo », Minkowski: psicopatologia e vita vissuta, Tempo, La costruzione logica del mondo, Tempo, Lenin e la filosofia, Tempo, Jaspers e l'armonia di una nuova storia, « Tempo », Fenomenologia e dialettica, Milano, Feltrinelli, Marxismo e fenomenologia; La nuova fenomenologia; Fenomenologia dell'economia e della psicologia; La   trasformazione del mondo attuale; Fenomenologia e costituente mondiale; Per un'analisi del momento attuale e del suo limite dialettico. La filosofia contemporanea, Milano, Garzanti: L'eredità kantiana e il marxismo; Lenin e la filosofia; Sul marxismo italiano; Lukàcs; Sociologia e scuola di Francoforte; Sullo strutturalismo; Moore e la filosofia analitica inglese. Vérification empirique et trascendance de la vérité, Vérité et Vérification, La Haye, M. Nijhoff, Considerazioni attuali sul problema dell'utile e del vitale in Croce,  Croce, cur. Bruno, Catania, Giannotto;  Il senso delle parole: Sulla fenomenologia del negativo, Aut Aut , Il senso delle parole: Husserl e il cristianesimo, « Aut Aut », Undici studiosi alla scoperta degli Evangeli, Tempo, Osculati, Fare la verità. Analisi fenomenologica di un linguaggio religioso, Nota finale di Enzo Paci, Milano, Bompiani. Intervista con P., in La filosofia dal '45 ad oggi, a cura di Valerio Verrà, Roma, ERI, Dizionario di filosofia, Milano, Rizzoli. Voce: Esistenzialismo. Enzo Paci. Paci. Keywords: relazione, significato del significato, fenomenologia del linguaggio, comunicazione e intersoggetivita. Refs: Luigi Speranza, “Grice e Paci: i principi metafisici di Vico” --. Luigi Speranza, “Grice e Paci: significato e significati” – The Swimming-Pool Library.

 

Biraghi, andrea – “Dizionario di filosofia,” Milano.

 

Grice e Padovani: la ragione conversazionale e l’l’implicatura conversazionale nella filosofia classica – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ancona). Filosofo italiano. Grice: “I like Padovani, especially his focus on what he calls ‘classical metaphysics’ (‘metafisica classica’) for what is philosophy if not footnotes to Plato?” -- essential Italian philosopher. Figlio di Attilio Padovani, generale di artiglieria, e di sua moglie, la ricca possidente veneta Elisabetta Rossati. Mentre, nelle parole stesse di Padovani, il padre "educò i suoi figli ad una rigorosa etica dell'onore e del dovere", ebbe un rapporto privilegiato con sua madre che fu colei che per prima lo introdusse agli ambienti letterari di Padova grazie alla vicinanza dei terreni della sua famiglia che erano posti a Bottrighe, nel Polesine, dove tutta la famiglia si trasferiva durante il periodo invernale. La solerte religiosità della madre, lo spinse a non frequentare la scuola elementare pubblica (che ella riteneva troppo "laicizzata" dopo l'unità d'Italia) ma a servirsi di un precettore, un ex abate che per primo lo instradò alla filosofia. Si iscrisse quindi al liceo di Milano dove ebbe i suoi primi contatti col positivismo che procureranno in lui e nel suo pensiero una profonda crisi nel saper controbilanciare il più correttamente possibile questa visione innovativa della vita con la teologia cattolica. Il padre lo avrebbe voluto ingegnere, ma egli terminati gli studi del liceo si iscrisse aa Milano dove seguì i corsi di Martinetti, pur prendendo a frequentare Mattiussi (convinto tomista) e Olgiati, convinto assertore della necessità di fondere insieme la metafisica classica con il pensiero moderno. Olgiati (a sinistra) con Gemelli (al centro) e Necchi. I primi due furono tra i principali ispiratori. Fu su consiglio di questi due ultimi che il alla fine decise di intraprendere la carriera filosofica, sviluppando una sua corrente di pensiero permeata di tutti gli spunti che nel corso della sua carriera aveva saputo trarre dai pensieri dei suoi insegnanti e ispiratori, basandosi molto anche sull'opera di Schopenhauer. Si laurea con una tesi su Spinoza eproseguendo poi la sua carriera in ambito universitario divenendo dapprima assistente e poi direttore della biblioteca. Divenne membro della Società italiana per gli studi filosofici e psicologici e dell'Università Cattolica del Sacro Cuore da poco fondata a Milano da Gemelli. Grazie all'influsso di Gemelli, P. iniziò a collaborare anche con la "Rivista di filosofia neoscolastica" di cui divenne ben presto uno dei principali rappresentanti.  Venne nominato professore di filosofia della religione e anche supplente di Introduzione alla storia delle religioni. In seguito alla riforma Vecchi, si trasferì a Padova dove divenne professore di filosofia morale, avendo per college Olgiati col quale dimostrò una particolare sintonia.  Sempre affiancato da Gemelli, anche durante gli anni della Seconda guerra mondiale riunì presso la propria casa di Milano diversi filosofi avversi al FASCISMO (noti col nome di "Gruppo di Casa P.") come Dossetti e Fanfani. Si avvicina durante questi stessi anni al pensiero filosofico e teologico di Gemelli che puntava ad un rinnovamento attivo teorico e morale, affiancando personaggi del calibro di Giacon, Stefanini, Guzzo e Battaglia, coi quali diede vita al Centro di studi filosofici di Gallarate da cui poi scaturirà il cosiddetto "Movimento di Gallarate" per il dialogo aperto tra i filosofi. Quando Sciacca fonda il "Giornale di metafisica" egli ne fu il primo redattore.  Venne accolto come professore di filosofia morale e filosofia teoretica a Padova.  Morì ia Gaggiano. Volle per sua espressa volontà che la notizia della sua morte fosse resa pubblica a sepoltura avvenuta come estremo esempio della propria esistenza di stampo ascetico, come tale era stata la sua scelta di non sposarsi.  Il pensiero filosofico  La tomba di Elisabetta Rossati, madre di Umberto Antonio P. e figura ispiratrice del suo pensiero filosofico e teologico. È sepolta nel piccolo cimitero di San Vito di Gaggiano (MI) Durante gli anni del suo insegnamento a Milano, l'attività filosofica fu particolarmente prolifica: egli iniziò col pubblicare “Il problema fondamentale della filosofia di Spinoza” (Milano), poi Vito Fornari. Saggio sul pensiero religioso in Italia nel secolo XIX (Milano), “Gioberti e il cattolicesimo” (Milano) e “Schopenhauer. L’ambiente, la vita, le opera” (Milano). In questi scritti egli dimostrò di saper guardare attentamente non solo alla storia della filosofia, ma anche alle suggestioni provenienti da altri panorami filosofici e religiosi. Pubblica il testo più importante del suo pensiero filosofico, “La filosofia della religione e il problema della vita” (riedito “Il problema religioso nel pensiero occidentale”), dove per la prima volta delineò chiaramente la matrice del suo pensiero, ovvero che la religione era l'unica strada per risolvere il problema esistenziale della vita, ovvero il male, elemento che limita le possibilità umane, rileggendo in questo la struttura originale della storiografia filosofica e della metafisica classica.  Con la pubblicazione del suo Filosofia della storia, egli si espresse anche riguardo allo studio della storia, il quale s ci rivela quotidianamente il male, ovvero i limiti dell'uomo rispetto al mondo che lo circonda, ma non è in grado (come del resto la filosofia) di fornire soluzioni. Tali soluzioni possono pervenire unicamente dalla teologia, magari nella sua declinazione di teologia della storia. Questo pensiero si acuì particolarmente con una riflessione anche sulla morte negli ultimi anni, in particolare dopo la morte della madre Elisabetta col quale egli aveva sempre avuto un forte legame.  Altre opere:  – Grice: “Cf. Hampshire’s Spinoza”) Milano, Vito Fornari; “Saggio sul pensiero in Italia,”Milano,  “La storia della filosofia con particolare riguardo ai problemi politici, morali e religiosi,” Como, “Aquino nella storia della cultura” (Como); “Il fondamento e il contenuto della morale” (Como); “Filosofia e teologia della storia” (Como); “Sommario di storia della filosofia,” Roma, P. Faggiotto,Padova A. Cova, Storia dell’Università cattolica del Sacro Cuore, Milano A. M. Moschetti, Cercatori dell’assoluto: maestri nell'Ateneo padovano, Santarcangelo di Romagna Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia . And then there’s Pagani: essential Italian philosopher  difficult  to find. Padovani. Keywords: implicatura, metafisica classica, logica classica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Padovani,” The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Paganini: l’implicatura conversazionale di Roma – il Virgilio di Firenze -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Grice: “Paganin must be the only Italian philosopher who reads La Divina Commedia philosophically!” --  Grice: “Strawson never read Paganini’s ‘cosmological’ tract on ‘spazio’ but he should, obsessed as he was with spatio-temporal continuity. Grice: “I’ll never forget Shropshire’s proof of the immortality of the human soul – He told me he basically drew it from an obscure tract by Paganini, as inspired by the death of Patroclus – Paganini’s tract actually features one of my pet words. He speaks of the ‘domma’ of the ‘immotalita dell’anima umana’ – Brilliant!” -- essential Italian philosopher.Lucca stava passando dalla reggenza austriaca seguita al collasso napoleonico al diventare capitale del borbonico Ducato di Lucca. Compì l'intero corso dei suoi studi a Lucca, dedicandosi, fin dai tempi delle scuole secondarie, alla filosofia. Insegnò filosofia negli istituti secondari lucchesi. Prtecipò alla prima guerra d'indipendenza. Dopo la fine della guerra, col l'annessione del Ducato di Lucca da parte del Granducato di Toscana fu nominato docente nell'ateneo lucchese. In questo ufficio fu difensore della dottrina rosminiana e nonostante venisse sorvegliato dalla polizia il governo decise poi di offrirgli una cattedra a Pisa a seguito dei buoni uffici di Rosso. Gli ultimi anni della sua vita furono rattristati da due avvenimenti; la espulsione dai seminari ecclesiastici di discepoli a lui carissimi, perché rei di professare le dottrine del Rosmini e la condanna di certe proposizioni tolte ad arbitrio e senza critica dalle molte opere del filosofo di Rovereto. Muore a Pisa. Annuario della R. Pisa per l’anno accademico. sba.unipi/it/ risorse /archivio- fotografico/persone-in-archivio/paganini-carlo-pagano Opere.  COLLEZIONE   DI    OPUSCOLI  DANTESCHI    INEDITI  0  RARI    DA   GT.   L.  PASSERINI    VOLUME  QUINTO    CITTA  DI  CASTELLO   S.   LAPI   TIPOGRAFO-EDITORE  1894    CARLO  PAGANO  PAGANINI    CmOSE  i  IUHI  flSOFICI    DELIiA    DIVINA  COMMEDIA    RACCOLTE    E    RISTAMPATE    DI  GIOVANNI  FRANCIOSI    CITTÀ  DI  CASTELLO   S.   LAPI  TIPOGRAFO-EDITOBE  1894    PROPRIETÀ  LETTERARIA    CARLO  PAGANO  PAGANINI   RICORDATO  DA  UN  SUO  DISCEPOLO    ...  .In  la  mente  m'è  fitta,  od  or  m'accora,  La  cara  e  buona  imagine  paterna  Di  Voi,  quando  nel  mondo  ad  ora  ad  ora   M' insegnavate  come  l'uom  s'eterna.   In/.,  XV,  82-85.   Carlo  Pagano  Paganini,  nell'aspetto  e  nell'a-  nimo, fu  come  uomo  venuto  da  secoli  lontani.  Io  vedo  specchiata  nella  mia  mente,  che  spesso  lo  ripensa  con  riverente  affezione  di  alunno,  la  sua  testa  di  bellezza  antica.  Fronte  larga  e  pensosa,  naso  aquilino,  barba  e  capelli  nerissimi,  labbra  sottili  e  poco  pronte  al  sorriso,  quando  socchiudeva  gli  occhi  e  chinava  il  capo  medi-  tando, era  in  lui  somiglianza  più  che  fraterna  col  San  Paolo  della  Cecilia  raffaellesca;  ma,  nel-  l'atto di  alzare  lo  sguardo  e  la  mano  verso  gli  alunni  suoi,  sillogizzando,  e'  rammentava  piutto-  sto l'Aristotile  della  Bettola  di  Atene.  Rado  e  lento  al  parlare  per  abito  di  raccoglimento  e  per  difficoltà  di  respiro,  sopravvenutagli  nel  col-  mo della  virilità,  persuadeva:  la  parola  viva,  stillando  quasi   dalla  forte  compagine  della  sua    6   parola  pensata  o  deW  interna  stampa,  cadeva  ad-  dentro negli  animi  anche  men  disposti  a  ricever-  la, come  la  goccia,  stillante  giù  dalla  roccia,  a  poco  a  poco  scolpisce  orma  profonda  nel  sasso  sottostante.  Natura  di  pensatore  disdegnoso  e  chiuso  in  sé,  pochi  lo  intesero  e  pochissimi  lo  pregiarono  secondo  verità.  Cittadino  prode,  va-  gheggiò, lontano  dal  volgo,  un'  idea  nobilissima  di  paese  sincero,  di  popolo  giusto  e  sano.  Edu-  catore potente,  ma  non  ricco  di  propria  virtù  creativa,  commentò  dalla  cattedra,  come  forse  niun  altro  seppe  a'  nostri  tempi,  l'alta  dottrina  di  Antonio  Rosmini;  benché  non  possedesse  le  attitudini  del  divulgatore:  recò  luce  nuova,  av-  vivò la  forza  visiva,  ma  nella  mente  di  pochi.  Asceta  del  pensiero,  un  po'  per  indole  e  un  po'  per  fiera  volontà  d'espiazione,  esercitato  in  se-  vere continenze  e  astinenze  di  fantasia  e  di  spirito,  non  ebbe  le  geniali  divinazioni  dell'estro;  né  quel  lampeggiare  improvviso  di  parola  ispi-  rata, in  che  s'aprono  o  s'intravedono  lontananze  ideali,  com'appunto  in  chiarore  di  lampo  lonta-  nanze di  mare  e  di  cielo.  La  sua  prosa,  nell'an-  tica e  salda  semplicità  dell'espressione,  rammen-  terebbe la  linea  degli  edifici  romani,  se  il  pensie-  ro non  vi  apparisse  talora  frastagliato  in  minute  analisi,  in  distinzioni  sottili,  che  tengono  della  scolastica  medievale.   Tempra  di  filosofo,  mente  austera  e  teosofica.    il  Paganini  nel  Poema  sacro  vide  il  tempio,  ove  l'arte  umana,  ispirata  dalla  fede,  fa  sentire  l'I-  neffabile. Questo  egli  principalmente  dimostra,  pur  rendendo  onore  all'  ingegno  sovrano  del  Poeta,  nel  discorso  "  La  teologia  di  Dante  „  ;  di-  scorso, che  qui  non  si  dà,  perchè  fa  parte  di  vo-  lume troppo  noto.  ^  Ma  de'  suoi  forti  studi  danteschi  fanno,  credo,  miglior  fede  le  chiose,  che  qui  si  danno  raccolte  e  ordinate  ;  ^  dove,  cer-  cando, con  occhio  chiaro  e  con  affetto  puro,  dentro  al  fantasma  poetico  l'occulto  e  il  divino,  il  Pa-  ganini riuscì  ad  avvertire  per  la  prima  volta  o  a  far  meglio  palesi  germi  preziosi  di  verità  filo-  sofiche. ^  Cosi  nelle  permutazioni  della  Fortuna  (Inf.,  VII,  61-69)  additò  i  ricorsi  vichiani;  e  nel  sillogismo  delle  vecchie  e  delle  nuove  cuoja  (Pa-    '  Dante  e  il  suo  secolo:    Firenze,  Cellini,  1865,  pag.  515.   *  Ordinate  per  ragione  di  tempo.  Soggiungo  che  questa  ristampa  fu  condotta  con  amoi'e  di  sincerità  anco  nelle  mi-  nime cose.   •''  Ho  caro  che  Tommaso  Casini,  già  mio  discepolo  nel  Liceo  di  Modena,  abbia  rammentato  tre  volte  (Inf.,  IV,  144;  VII,  73;  Purg.,  XVIII,  55),  sia  pure  inconsapevolmente,  il  maestro  del  maestro  suo;  e  una  di  queste  tre  volte  (Purg.,  XVIII,  55)  offerto  a'  letttri  della  sua  diligente  esposizione  del  Poema  la  stillata  sostanza  di  chiosa  paganiniana.   Lo  Scartazzini,  commentando  la  terza  Cantica,  cita  il  Paganini  due  volte  (XXIV,  91-94:  XXIX,  46-63),  ma  la  se-  conda volta,  dopo  averlo  citato,  se  ne  discosta  senza  dir  perchè;  e  noi  Commento  all'Inferno  (VII,  73;  edizione  mi-  nore) attribuisce  a  me,  certo  per  errore  di  trascrizione,  ciò,  che  il  Paganini  argomenta  suU'apodosi  della  comparazione  dantesca  tra  gli  splendori  del  mondo  e  quelli  de'  cieli.    8   rad,,  XXIV,  91-94)  il  sillogismo  della  stona,  che  sì  bene  armonizza  col  sillogismo  del  cosmo  e  col  sillogismo  della  trinità  divina;  ^  cioè  le  tre  grandi  età  della  Preparazione  a  Cristo,  àBÌV Avvento  di  Cristo  e  della  Santificazione  in  Cristo.  Cosi  net-  tamente distinse,  restringendolo  alla  creatura  uomo,  l'amore  naturale  da  quello  à^ animo  ;^  di-  chiarò da  maestro  il  verso  :  "  Averroè,  che  il  gran  commento  feo  „  ;  segnò  il  giusto  valore  della  frase  "  uomo  non  sape  „  là,  dove  si  tocca  dell'o-  rigine dell'idee,  e  dimostrò  da  par  suo  che  cosa  valga  nel  linguaggio  degli  Scolastici  subietto  de-  gli elementi.^  Le  note  dichiarative  non  fanno  una  grinza  :  quanto  alle  altre,  io  già  ne  apersi,  o  diedi  a  divedere,  l'animo  mio  nel  Libro  delle  Ra-  gioni. *     Ma,  pur  dissentendo  in  parte,  riconosco   '  Paolo  Perez,  in  una  sua  lettera  al  Paganini,  scrive:  "  Intendo  assai  bene  la  verità  e  la  bellezza  di  que'  tre  sil-  "logismi  della  Storia,  della  Cosmologia,  della  Teologia;  ar-  "  monia  del  creato  e  dell'  increato,  che  non  vidi  mai  annun-  "  ziata  in  forma  somigliante  „.  Lettera  di  P.  Perez  al  prof.  P.  Paganini  (Nozze  Perez-Fochessati),  Verona,  Franchini,  1884.   ■^  Nicolò  Tommaseo  si  dice  lieto  d'esser  corretto  dal  Paganini,  ch'egli  giudica  uno  de'  più  idonei  a  scrutare  le  intenzioni,  le  dottrine,  le  origini  del  verso  dantesco;  nobil-  mente confessa  d'avere  errato,  restringendo  ai  corpi  Vamor  naturale,  ma  insieme  consiglia  il  Paganini  di  non  restrin-  gere quest'amore,  ch'è  Varco  fatale  nell'inno  dell'ordine  (Parad.,  I,  119),  entro  i  confini  della  creatura  intelligente.  —  Nuovi  studi  su  Dante,  Torino,  1865,  pag.  27.   ^  Il  Giuliani  in  una  postilla  marginale,  ohe  Giacomo  Poletto  riferisce  (Dizionario  dantesco,  VI,  327),  volle  far  suo,  credo,  il  pensiero  del  Paganini.   *  Nuova  raccolta  di  scritti  danteschi,  Parma,  Ferrari  e  Pellegrini,  1889,  pag.  83-89;  183-184.    9   volentieri  che  tutte  queste  chiose  dantesche,  co-  me i  lavori  più  gravi  "  Saggio  cosmologico  su  lo  spazio  „  '  e  "  Delle  più  riposte  armonie  tra  la  filosofìa  naturale  e  la  soprannaturale  „  ^  sono  bel-  lissimo documento  d'intelligenza  acuta  e  serena,  d'abito  di  ragionare  diritto  e  spedito,  di  chiarezza  viva  di  scienza  convertita,  per  lunga  meditazione,  in  nutrimento  del  pensiero,  in  forza  operosa  dello  spirito.  Se  non  che  la  maggiore  e  miglior  parte  dell'uomo,  secondo  me,  non  si  palesò  negli  scritti  e  nemmeno  nell'atto  dell'insegnare  dalla  catte-  dra; si  nel  conversare  casalingo  e  nel  costume.  Tra  le  ricordanze  della  mia  vita  di  scolaro  sempre  mi  sarà  carissima  quella  de  le  veglie  pas-  sate a  Pisa  in  casa  Paganini  :  dove,  spogliata  la  toga  del  professore,  l'uomo  appariva  in  tutta  la  sua  grande  bontà  d'intelletto  e  di  cuore,  e  il  maestro  ci  si  mutava  in  consigliere,  in  amico,  in  fratello.  Quante  dispute  gentili;  quanto  fer-  vore e  quanta  allegrezza,  nella  serenità  del  con-  fidente colloquio,  di  pensieri  e  di  affetti,  sempre  accesi  nel  piacere  del  vero  !  Io  penso  che  la  sua  natura  di  educatore  per  eccellenza  ben  si  pale-  sasse allora.  Chi  lo  conobbe  solo  tra  le  pareti  della  scuola  dovette  averlo  in  riverenza,  ma  forse  non   lo   amò;   chi   lo   conobbe   in   casa,    dovette    '  Pisa,  Nistri,  18G2  (Estr.  dagli  Annali  delle  Università  toscane).   *  Pisa,  Nistri,  186t.    10   amarlo  come  padre.  Semplicissimo  in  ogni  ma-  nifestazione del  suo  spirito,  il  Paganini  pur  ser-  bava costante  dignità  e  non  cercata  eleganza  di  veste,  di  portamento,  di  gesto  e  di  parola.  Quan-  do lavorava  nel  suo  caro  orticello,  spampinando  la  pèrgola,  potando  qualche  pianta  o  zappettando  con  fretta  allegra,  portava  zoccoli  alla  contadi-  nesca, rimboccava  fino  al  gomito  le  maniche  della  camicia  e,  se  la  stagione  lo  consentisse,  stava  contento  a  sommo  il  petto,  come  quel  del  Nerli,  a  la, pelle  scoverta:  chi  lo  avesse  veduto  di  lontano,  poteva  scambiarlo  con  un  forte,  lindo  e  sollecito  massaio  delle  campagne  toscane  ;  ma  da  vicino,  an-  che nell'umile  esercizio  dell'ortolano,  ciascuno  avrebbe  notato  quell'aura,  che  si  diffonde  nel  vol-  to e  nella  persona  da  regale  nobiltà  di  pensiero.  Uscendo  dall'orticello,  lasciava  gli  zoccoli,  indos-  sava una  veste  giornaliera,  ma  (direbbe  un  anti-  co) onesta,  ed  entrato  nel  suo  studinolo,  ripigliava  con  alacrità  nuova  il  lavoro  intellettuale  per  qual-  che ora  interrotto.  Amico  di  solitudine,  mesto  e  pensoso  per  lo  piìi,  terribile  negl'impeti  dell'ira,  ebbe  grande  gentilezza  di  cuore,  accorgimenti  di  bontà  materna.  Innamoratissimo  de'  giovani  e  de'  fanciulli,  in  mezzo  a  loro  si  trasmutava  come  per  incanto  :  sorrideva  amabilmente  e  ama-  bilmente parlava,  temprando  per  affetto  la  sua  gagliardissima  voce  a  modulazioni  soavi;  e  l'oc-  chio, spesso  pieno  d'ombra  sotto  le  folte  soprac-    11   ciglia  aggrottate,  si  aifissava,  tutto  schiarato,  in  quei  visi  ridenti  e  lampeggiava  d'amore.  Edu-  catore di  sé  in  gran  parte,  fidente  nella  virtù  del  volere,  ^  seppe  insegnare  a'  giovani,  che  lo  avvicinarono,  il  proposito  e  l'arte  di  migliorare  il  proprio  spirito.  Io,  mi  gode  l'animo  d'aver  qui  l'occasione  di  confessarlo,  riconosco  intero  da  lui  il  principio  di  un'educazione  intellettuale,  che  a  poco  a  poco  mi  rinnovò, 'distruggendo  o  morti-  ficando i  mali  abiti  della  casa  e  della  scuola.  Né  le  meditazioni  austere  spensero  o  scemarono  nel  Paganini  il  senso  del  bello,  ma  lo  fecero  più  delicato,  più  fine  e  profondo.  ^  Delle  arti  figu-  rative, conoscitore  e  giudice  arguto  d'ogni  lor  passo,  molto  si  dilettò  ;  e  fu  egli  stesso  disegna-  tore corretto.    La  poesia  senti  come  pochissimi  ;  ^    '  Notabili  queste  sue  parole:  "Quello  che  è  difficile,  sia  pur  difficile  quanto  si  vuole,  non  è  impossibile;  e  quello,  che  non  è  impossibile,  o  prima  o  poi,  o  da  un  uomo  o  da  un  altro  si  fa  „.  (Cf.  pag.  99  di  questo  volumetto).   *  Pur  negli  scritti  qui  raccolti  è  qualche  vestigid,  ben-  ché raro  e  fuggevole,  del  suo  sentire  gentile,  come  là  dove  accenna  l'evidenza  pittrice  del  verbo  velare  per  ventilare  (pag.  14)  e  dove  l'armonia  della  terzina:  "Ma  ella  s'è  beata  e  ciò  non  ode  „  chiama  anticipazione  di  quel  nuovo  modo  d%  poesia,  che  l'Alighieri  riserbava  al  Purgatorio  e  al  Pa-  radiio  (pag.  47).   '  Né  soltanto  la  poesia  pensata  ed  eletta,  ma  l'improv-  visa e  campagnuola.  Villeggiando  sui  colli  di  Pistoia,  rac-  colse con  amore  motti  e  canti  popolari,  e  della  Ninna  nanna  "  Quando  a  letto  vo  la  sera  „  disse  cose  nuove  e  belle.  (Lettera  ai  giovani  Alessandro  Morelli  e  Antonietta  Pieranto-  ni  fatti  sposi,  Lucca,  Canovetti,  18G8.)    12   e  due  tra  tutti  i  poeti  predilesse,  perchè  meglio  rispondenti  all'indole  e  all'educazione  del  suo  spirito:  Dante,  di  cui  ho  già  detto,  e  Virgilio.  Peccato  che  tante  sue  belle  considerazioni  su  questi  due  poeti,  onde  nel  conversare  quotidiano  non  fu  punto  avaro  a'  giovani,  sieno  fuggite  con  la  sua  voce,  o  mutate  in  seme  di  troppo  diversa  germinazione  nella  mente  di  chi  le  ascoltò  !  V  hanno  uomini,  che  la  scarsa  loro  ricchezza  d'intelletto  e  di  cuore  spargono  subito  per  mille  rivoletti  fuori  di  sé:  altri,  possessori  di  grande  ricchezza  interiore,  somigliano  a  quelle  nascoste  e  profonde  sorgenti  della  terra,  che  non  si  veg-  gono, ne  si  odono,  ma  si  argomentano  da  la  più  lieta  verzura  e  dal  fitto  fiorire  del  terreno  sovra-  stante. Tra  questi  ultimi  è  da  porre  Carlo  Pa-  gano Paganini,  che  molto  seppe,  molto  e  bene  amò;  ma  parlò  poco  e  pochissimo  scrisse:  eppure  molti  scritti  e  molti  fatti  buoni,  generati  o  cre-  sciuti dalla  dottrina,  dal  consiglio,  dall'esempio  di  lui,  attestano  della  sua  ricca  e  verace  bontà.   Roma,  il  9  gennaio  del  1894.   G.  Franciosi.    Di  un  luogo  del  FargatoHo  di  Dante,  che  non  sembra  essere  stato  ancora  dichiarato  pie-  namente. ^    Eagionando   dell'amore,  Virgilio,   nel    canto  XVIII  del  Purgatorio,  secondo  la  naturale  filo-    sofia, dice:    Ogni  forma  sujtanzlal,  che  setta  -  È  da  materia,  ed  è  con  lei  unita,  Specifica  virtude  ha  in  sé  colletta,   La  qual,  senza  operar  non  è  sentita,  Né  si  dimostra  ma  che  per  effetto  Come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita.   Però  là  onde  vegna  lo  intelletto  Delle  prime  notizie  uomo  non  sape,  E  de'  primi  appetibili  l'affetto,   Che  sono  in  voi  si  come  studio  in  ape  Di  far  lo  mele;  e  questa  prima  voglia  Merto  di  lode  o  di  biasmo  non  cape.   Or  perchè  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia.  Innata  v'è  la  virtù  che  consiglia  E  dell'assenso  de'  tener  la  soglia.    '  Da.IV Araldo  cattolico:  Lucca,  1857,  an.  XIV,  n.  13  (G.  P.).   '•^  II  Pagauini,  lo  avverto  una  volta  per  sempre,  nello  sue  oi-  tazioni  della  Commedia  fu  solito  di  serbar  fede  al  testo  della  Vol-  gata; ma,  venuto  in  luco  il  testo  di  Francesco  da  Buti,  qualche  volta  amoreggiò  con  questo  ;  come  là,  dove  ai  plurali  verdi  /ronde  e  primi  appetibili  sostituì  i  singolari  bellissimi  verde  fronda  e  primo  appetibile.  Cfr.  pag.  75-76  (G.  F.).    14   Quest'è  il  principio,  là  onde  si  piglia  Cagion  di  meritare  in  voi  secondo  Che  buoni  e  rei  amori  accoglie  e  viglia.  '   E  queste  cose  son  dette  per  soddisfare  alla  questione  proposta  da  Dante  colle  seguenti  parole:   Ti  prego,  dolce  padre  caro,   Che  mi  dimostri  amore,  a  cui  riduci  Ogni  buono  operare  e  il  suo  contraro.   Infatti  nel  canto  antecedente  Virgilio,  trat-  tando il  medesimo  argomento,  aveva  pronunziato:   Né  creator,  né  creatura  mai   fu  senz'amore   O  naturale,  o  d'animo   Lo  naturai  fu  sempre  senza  errore;  Ma  l'altro  puote  errar  per  malo  obietto,  O  per  troppo,  o  per  poco  di  vigore.   Mentre  ch'egli  è  ne'  primi  ben  diretto,  E  ne'  secondi  sé  stesso  misura,  Esser  non  può  cagion  di  mal  diletto;   Ma,  quando  al  mal  si  torce,  o  con  più  cura  O  con  men  che  non  dee,  corre  nel  bene,  Centra  il  fattore  adovra  sua  fattura.   Quinci  comprender  puoi  ch'esser  conviene  Amor  sementa  in  voi  d'ogni  virtute  E  d'ogni  operazion,  che  merta  pene.   Ora  di  quella  terzina  del  primo  passo:  Or  perchè  a  questa,  ecc.  trovansi  nei  commentatori   ^  Questo  verbo  vigliare,  che  dal  Biagioli  viene  erroneamente  confuso  con  vagliare,  e  che  forse  ha  tratto  origine  dal  latino,  si-  gnificando esso  pulire  il  mucchio  del  grano  con  una  granata  o  con  un  mazzo  di  frasche  dalle  paglie,  stecchi  e  simili  cose  senza  pregio  (lat.  viliaj,  ce  ne  fa  tornare  alla  mente  un  altro,  che  seb-  bene ci  paia  bellissimo,  e  sia  vivente  in  bocca  dei  oampagnuoli,  con  tutto  ciò,  a  quanto  sappiamo,  non  ha  ricevuto  l'onore  d'essere  accolto  nei  vocabolari.  È  questo  il  verbo  velare,  ohe  significa  nettare  il  grano  dalla  pula,  gettandolo  contro  vento  ;  e  se  pure  non  è  una  sincope  di  ventilare,  conviene  credere  ohe  i  contadini  lo  abbian  tratto  pittorescamente  dall' imagine  d'una  vela,  che  pre-  senta la  pula  fuggendo  via  portata  dal  vento.    15   della  Divina  Commedia  tre  principali  spiegazioni.  Una,  seguita  anche  dal  Venturi  e  dal  Biagioli,  è  del  Daniello,  il  quale  scrive  :  l'ordine  è:  "la  virtù  che  consiglia „,  cioè  la  ragione,  "  v'è  innata  „,  cioè  nata  insieme  con  voi,  "  perchè  „,  affìn  che  ogni  al-  tra voglia,  che  nasca  in  coi,  si  unisca,  accompagni  e  raccolga  a  questa  virtù,  la  qual  dee  tener  la  soglia,  ecc.  Un'altra  è  del  Lombardi,  il  quale  cosi  interpreta:  Or  "  perchè  „,  affinchè  a  questa  prima,  naturale  ed  innocente  voglia  si  "raccolga  „,  si  accompagni  ogni  altra  morale  e  lodevole  virtù,  "  innata  v'è  „,  data  vi  è  fin  dal  vostro  nascimento,  "  la  virtù  che  consiglia  „,  la  ragione  che  vi  deve  con-  sigliare e  regolare  i  vostri  appetiti.  La  terza,  infine,  è  del  Tommaseo,  che,  a  pag.  406  del  Commento,  n.  21  [F],  esprime  il  concetto  dell'Alighieri  in  questo  modo  :  Acciocché  questo  primo  naturai  de-  siderio e  intelligeìiza  sia  quasi  centro  ad  ogni  altro  vostro  volere  e  sapere  acquisito,  avete  innata  la  ragione,  da  cui  viene  il  libero  arbitrio  ;  sicché  tutti  sieno  non  men  del  primo  conformi  a  natura.  Qual  è  il  valore  di  queste  spiegazioni?  Esaminiamole  brevemente.   A  veder  l' improbabilità  della  spiegazione  del  Daniello  basta  considerarla  rimpetto  alla  ragione  grammaticale.  Nel  verso  :  Or  perchè  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia  dei  due  pronomi  questa  e  ogn' altra,  che  essendo  ambedue  femminili  e  uniti  in  un  sol  membro,  ognuno  riferirebbe  ad  un  me-  desimo nome,  egli  al  contrario  riferisce  il  primo  al  susseguente  virtù,  e  il  secondo  al  precedente    16   voglia;  attribuendo  cosi  all'Alighieri  un  co-  strutto non  solamente  ardito,  ma  pur  anco  sì  strano,  che  non  se  ne  trova  esempio  ne  pur  forse  negli  scrittori  latini,  tuttoché  la  lingua  loro  con-  cedesse tanta  libertà  d'allontanarsi  dall'ordine  naturale  delle  parole.   Lo  stesso  rimprovero  può  farsi  pure  al  Lom-  bardi ;  il  quale  non  si  diparte  dal  Daniello  se  non  in  questo,  che  il  primo  di  quei  pronomi  riferisce  a  voglia  e  il  secondo  a  virtìi,  cioè  mette  innanzi  quel  che  l'altro  avea  messo  dopo,  e  pospone  quel  che  l'altro  avea  anteposto.  Ciò  non  ostante  ne  risulta  quindi  un  senso  tanto  differente,  da  ren-  dere la  spiegazione  del  Lombardi  meno  impro-  babile di  quella  del  Daniello;  perchè  lascia  a  soggetto  della  relazione,  accennata  da  Dante  in  questo  verso,  la  prima  voglia,  o  V affetto  dei  primi  appetibili,  come  rettamente  si  dice,  naturale  e  innocente^  sebbene  per  termine  di  essa  relazione  non  si  prendano  poi  le  altre  voglie  od  affetti,  ma  piuttosto  le  morali  e  lodevoli  virtù.  È  vero  che  le  morali  e  lodevoli  virtù  hanno  per  natura  di  dirigere  e  ordinare  gli  affetti  tutti  dell'animo,  e  che  perciò  nella  espressione  usata  dal  Lombardi  sono  implicitamente  contenuti  anche  questi,  ma  ciò  non  basta  a  giustificarlo;  essendo  che  qui  trattavasi  appunto  di  mostrare  come  gli  affetti  diventino  virtù  e  anco  vizi,  e  nella  chiosa  del  Lombardi  questa  dimostrazione  rimane  un  desi-  derio, avendo  egli  preso,  come  abbiam  detto,  per  termine  della  relazione  le  virtù  bell'e  formate.    17   Con  mente  più  filosofica  ha  studiato,  come  gli  altri,  così  questo  passo  della  Divina  Commedia  il  Tommaseo;  ha  riferito  tutt'e  due  i  pronomi  al  medesimo  nome  voglia,  che  li  antecede,  e  ha  scorto  fors'anco  la  vera  relazione,  che  noi  cre-  diamo essersi  inteso  dall'Alighieri  di  porre  tra  l'aff'etto  dei  primi  appetibili  e  ogni  altro  affetto,  che  di  poi  si  svolga  nell'animo  nostro,  senza  che  però  l'intendimento  del  poeta  resti  a  pieno  il-  lustrato. Imperocché,  ritenuto  per  indubitabile  che  questa  valga  questa  prima  voglia,  che  è  in  noi  naturalmente,  e  ogni  altra  valga  ogni  altra  voglia,  che  in  noi  possa  accendersi  nel  corso  della  vita,  v'è  da  risolvere  la  questione,  a  cui  fa  luogo  il  verbo  raccogliersi  ;  che  è  quanto  dire  quale  relazione  precisamente  abbia  voluto  il  poeta  espri-  mere con  esso  verbo  fra  quelle  cose.  E  qual  è  questa  relazione  secondo  il  Tommaseo?  È  una  relazione  simile  a  quella,  che  i  punti  d'una  cir-  conferenza, o  i  raggi  d'un  cerchio,  hanno  col  cen-  tro, giacché  dice  :  acciocché  questo  primo  naturai  desiderio  e  intelligenza  sia  quasi  centro  ad  ogni  altro  vostro  volere  e  sapere  acquisito,  ecc.  E  per  fermo,  raccogliersi  significa  anco  concentrarsi,  e  più  d'un  esempio  ce  ne  offre  lo  stesso  Dante.  Ma  siffatta  spiegazione,  ci  sia  permesso  di  dirlo  francamente,  non  isnuda  il  concetto  filosofico  voluto  esprimere  da  Dante,  lo  lascia  involto  nel  velo  della  metafora,  e  però  non  può  essere  avuta  per  sufiiciente.   Il  poeta  nel    canto   XVII  avea  fatto  dire  a    }i8   Virgilio  che  amore  è  sementa  in  noi  d'ogni  virtù  e  d'ogni  vizio:  nel  XVIII  vuol  fargli  provare  la  verità  di  questo  dettato,  comune  alla  pagana  e  alla  cristiana  sapienza.  A  tale  uopo  egli,  in  persona  del  suo  duce  e  maestro,  risale  col  pen-  siero alla  costituzione  primitiva  dell'essere  uma-  no :  in  esso,  egli  dice,  oltre  la  materia,  v'è  una  forma  immateriale,  fornita  di  una  virtù  o  potenza  specifica,  la  quale  non  si  dimostra  che  ne'  suoi  effetti,  cioè  nelle  sue  operazioni,  come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita.  Questa  potenza  specifica  può  considerarsi  da  due  lati,  in  quanto  è  passiva  e  in  quanto  è  attiva  :  in  quanto  è  passiva  è  Vin-  telletto  delle  prime  notizie,  in  quanto  è  attiva  è  V affetto  dei  primi  appetibili  (S,  Tommaso,  Cantra  gent.,  II,  60  e  IV,  19).  ^  Quindi  non  è  maraviglia  che  l'uomo  non  sappia  donde  gli  vengano  siffatte  cose,  non  essendone  mai  stato  privo  e  apparte-  nendo alla  sua  natura  in  quel  modo  medesimo,  che  all'ape,  per  esempio,  appartiene  lo  studio,  ossia  l'istinto,  di  far  lo  mèle.  Ora  quell'affetto  dei  primi  appetibili  è  senz'alcun  merito,  perchè  non  dipende  dal  libero  arbitrio  ;  il  quale  soltanto  è  principio,  là  onde  si  piglia  Cagion  di  meritare.  Non  per  tanto  esso,  non  avendo  per  oggetto  altro  che  il  bene  conveniente  all'umana  natura,  è  un  affetto  sotto  ogni  aspetto  irreprensibile.  Non  si  può  concepire  non  solo  una  creatura,  ma  né  meno  il  Creatore  senza  amore  alcuno;  sebbene    »  In  Tece  di  IV,  19  era  da  pozze  :  III,  45  (G.  F.)«    1    19   nella  creatura  ragionevole  ne  possano  essere  di  due  sorte,  uno  naturale,  o  istintivo  ;  e  Taltro  à^ animo,  o  deliberato  :  il  primo  dei  quali  è  sempre  senza  errore,  perchè  è  l'opera  della  stessa  sa-  pienza divina,  mentre  il  secondo  puote  errar  per  malo  obietto,  O  per  poco  o  per  troppo  di  vigore,  secondo  che  dalla  libera  volontà  o  è  vòlto  a  ciò  che  è  intrinsecamente  male,  oppure  anco  a  ciò  che  è  bene,  ma  senza  quella  misura  che  risponda  al  suo  vero  pregio.  Come  accade  adunque  che  sia  Amor  sementa  in  noi  d^ogni  virtude  E  d'ogni  operazion  che  merta  pena?  Ciò  accade:  Imper-  ché dal  primo  amore,  che  Dio  medesimo  ha  posto  nell'uomo,  si  svolgono  altri  amori,  come  dalla  forza  vegetativa  delle  piante  nascono  i  ramoscelli  e  le  foglie,  che  le  adornano,  e  dall'istinto  del-  l'ape i  vari  movimenti,  coi  quali  essa  sugge  l'umor  de'  fiori,  lo  converte  in  miele  e  lo  de-  posita nell'alveare;  2°  perchè  questi  secondi  amo-  ri possono  esser  conformi  a  quel  primo  essenziale  all'uomo  e  rettissimo,  ovvero  anche  difformi,  siccome  avviene  ogni  volta  che  o  finiscano  in  oggetto  per  sé  malo,  o  non  serbino  il  debito  modo  ed  ordine  nei  beni  ;  3*^  perchè  la  ragion  pratica,  o  assecondando  o  promovendo  colla  sua  libera  efficacia  cotesti  amori,  fa  che  la  rettitudine  loro  o  la  loro  malvagità  sia  imputabile  all'uomo,  e,  divenuti  abituali,  diano  carattere  alla  sua  con-  dotta, in  altre  parole,  originino  le  virtù  ed  i  vizi.  E  da  tutto  questo  si  fa  manifesto,  che,  quel  primo  amore,  si  rispetto  agli  amori  secondi,    20   come  rispetto  alla  ragion  pratica  (convenientis-  simamente chiamata  da  Dante  la  virtù,  che  con-  siglia, E  dell'assenso  de*  tener  la,  soglia,  dall'uf-  ficio a  cui  è  stata  destinata),  è  come  una  cotal  regola  od  esemplare  ;  cioè,  rispetto  agli  amori  se-  condi, perchè  non  possono  esser  ragionevoli  e  onesti  se  non  seguendolo  e  imitandolo,  e  rispetto  alla  ragion  pratica  perchè  deve  procurare,  che  essi  nel  fatto  lo  seguano  e  lo  imitino.  E  dicia-  mo UE  a  cotal  regola  od  esemplare;  conciossiachè  la  naturai  tendenza  a  quel  bene,  che  conviene  all'esser  nostro,  per  sé  non  è  che  un  fatto,  e  un  fatto,  in  quanto  tale,  non  ha  la  ragion  di  regola  o  di  esemplare,  ma  solamente  può  parteciparne  in  quanto  è  segno  d'un'idea  (San  Tommaso,  ^'ttmwa,  I*  IP*  94,  ^  "-della  legge  naturale^  e  al-  trove). Se  si  vuol  dunque,  commentando  questo  luogo  di  Dante,  andare  al  fondo,  non  bisogna  contentarsi  di  rendere  il  raccogliersi  per  concen-  trarsi, ma  bisogna  di  più  ridurre  lo  stesso  concen-  trarsi al  suo  senso  filosofico,  il  quale  non  ci  sem-  bra poter  esser  diverso  da  quello,  che  abbiamo  indicato,  cavandolo  dal  valor  logico  dei  concetti,  che  Dante  ha  espressi  nei  canti  XVII  e  XVIII  del  Purgatorio.  Che  se  il  nostro  raccogliere  è  dal  latino  colligere,  e  lex  è  detta,  come  pensò  Ci-  cerone, da  eligere,  ognun  vede  la  profonda  con-  venienza che  quel  si  raccoglia  ha  coll'ufficio,  che.    *  Per  tutta  chiarezza  la  citazione  dovrebb'esser   così:  Prima  secundae  S.  theol.,  quaest.  94  (G.  F.)-    21   giusta  la  mente  di  Dante,  noi  crediamo  di  do-  vere attribuire  al  primitivo  e  immanente  atto  della  parte  affettiva  dell'anima  umana.  La  in-  terpretazione da  noi  proposta  non  oontradice  adunque  quella  data  dal  Tommaseo,  ma,  se  non  c'inganniamo,  la  compie,  recandola  fino  a  quel  termine  dov'egli  avrebbe  ben  saputo  recarla,  e  in  maniera  a  pezza  più  conveniente,  solo  che  avesse  fatto  colla  riflessione  qualche  altro  passo  nella  via  medesima  in  cui  si  era  posto.  ^   Ma  se  la  nostra  interpretazione  e  quella  di  Tommaseo  si  possono  cosi  accordare,  è  però  vero  che  in  ciò  che  la  nostra  piglia  a  suo  fondamento  dal  canto  XVII  non  si  accorda  punto  colla  chio-  sa quivi  fatta  dall'illustre  critico.  Perocché  dove  il  poeta  dice,  che  creatura  non  vi  fu  mai  senza  amore,  o  naturale  o  d'animo,  egli  spiega  l'uno  per  amor  di  corpi,  l'altro  per  amor  di  spiriti  ;  noi  al  contrario,  come  abbiamo  accennato  di  sopra,    '  L'OzANAM,  che  alcuni  noa  sanno  stimare  senza  esagerarne  i  meriti,  il  principale  dei  quali  per  noi  è  di  avere  coll'opera  sua  additato  agi'  italiani  che  vi  è  un  lavoro  da  fare,  intende  ■p&s  prima  voglia  il  primo  moto  o  dell'irascibile  o  del  concupiscibile,  che  i  moralisti  insegaano  esser  privo  di  merito  e  di  demerito.  *  Dio  sa  dunque  in  che  strano  modo  intendeva  a  collegare  colle  precedenti  la  terzina  che  qvà  abbiamo  esposto.   *  Dante  et  la  philos.  catholique  aa  XIII  siede  fParis,  1872;  pag.  207-210).   L'Ozanam.  a  proposito  di  due  luoghi  del  Convito  (IV,  22  e  IV,  26)  commen-  ta: «Il  y  a  trois  sortes  d'appetits.  Le  premier,  naturel,  qui  n'a  point  conscience  de  soi,  et  qui  est  la  tendance  irrésistible  Je  tous  les  ètres  physiques  a  la  satl-  sfactiou  de  leurs  l>esoins;  le  second,  sensitif,  qui  a  30n  mobile  externe  dans  les  choses  sensibles,  et  qui  est  concupisaiife  ou  irciscible  tour  à  tour;  le  troisième,  intellectuel,  dout  l'objecr.  a'est  appróciable  qu'à  la  pensée.  Ces  appótités  eux-mè-  mes  peuvent  se  réduire  a  un  seul  principe  commun,  l'amour.  »  Ma  la  prima  vogliu  di  questo  luogo  del  Purgatorio  è  a  lui  «  premier  acte,  instantané  et  irra-  fléchi  »  della  virtù  speeipcu,  «dispositiou  «pécitìque,  natureUe,  qui  ne  se  révèle  que  par  ses  eftets  »  (G.  K.)    22   intendiamo  pel  naturale  l'amore  istintivo,  e  per  quello  d'animo  l'amore  deliberato.  E  ci  pare  che  giustifichi  questo  nostro  modo  d'intendere  il  contesto  del  canto  suddetto,  e  l' insegnamento  comune  degli  scrittori,  da  cui  Dante  traeva,  fra  i  quali  a  noi  basti  il  menzionare  san  Bonaven-  tura, che  nel  Breviloquio  distingue,  appunto,  due  guise  di  operare  delle  nostre  affezioni,  cioè  per  un  moto  naturale  e  per  iscelta  deliberata.  Di-  remo pertanto,  senza  timore  di  offendere  il  gran-  d'uomo,  che  la  sua  chiosa  di  questo  sublime  luogo  di  Dante,  il  quale  può  dirsi  in  germe  un  intero  sistema  di  filosofia  morale,  pecca  nel  punto  di  partenza,  non  afferrando  la  giusta  distinzione  tra  l'amor  naturale  e  gli  amori  deliberati,  e  pecca  nella  conclusione,  lasciando  qualche  cosa  d'in-  determinato sulla  relazione  del  primo  verso  coi  secondi.  Di  che  però  non  tanto  vogliam  fargli  biasimo,  quanto  rendergli  giusta  lode  d'aver  sa-  puto più  addentro  d'ogni  altro  vedere  nel  pen-  siero di  Dante.    Sopra  un  luogo  della  Cantica  del  Paradiso    1.  Beatrice  nel  canto  XXIX  del  Paradiso^  narrando  filosoficamente  la  creazione  delle  cose,  dice  degli  angeli:   Né  giugneriesi,  numerando,  al  venti  Si  tosto,  come  degli  angeli  parte  Turbò  '1  subietto  de'  vostri  elementi.   Tutti  gli  interpreti,  per  quanto  io  mi  sappia,  per  subtetto  de^  vostri  elementi  hanno  inteso  la  terra.  Peraltro  alcuni  hanno  inteso  la  terra  co-  me elemento j  altri  la  terra  come  corpo.  È  de'  primi,  per  cagion  d'esempio,  Francesco  da  Buti,  che  spiega  la  sentenza  di  questa  terzina  colle  seguenti  parole  :  Da  chi  numerasse  da  uno  in  vinti  non  si  giungerebbe  sì  tosto  al  vinti,  come  tosto  parte  delli  angeli^  poi  che  furono  creati,  in-  contanente cadder  di  deìo  in  terra,  e  mutò  o  vero  turbò,  secondo  altro  testo,  lo  subietto  de^  vostri  elementi,  cioè  di  voi   omini,  cioè   la   terra    '  Dall'  Istitutore  :  foglio  ebdomadario  d' istruzione  e  degli  atti  ujjicifdi  di  essa.  Torino,  tip.  scolastica  di  S.  Franco  o  figli,  1861,  an.  IX,  n.  32  (G.  F.).    24   che  è  subietto  dell'acqua,  delVaere  e  del  fuoco,  poiché  a  tutti  è  sottoposta  /  e  bene  lo  mutò  e  tur-  bò, imperò  che  prima  era  pura,  e  poi  fu  infetta.  (Così  il  codice  Magli abechiano).  De'  secondi  poi  è  il  Tommaseo,  perchè  dopo  aver  dato  terra  per  equivalente  di  subietto  de'  vostri  elementi^  ag-  giunge questa  ragione:  La  terra  è  soggetto  dei  quattro  elementi^  aria,  fuoco,  acqua  e  terra.  Do-  ve è  chiaro  che  terra  la  prima  volta  significa  il  corpo  o  globo  da  noi  abitato ,  e  la  seconda  volta  r  infimo  de'  quattro  elementi  distinti  da-  gli antichi.  Mi  sia  permesso  di  dire,  che  né  i  primi  né  i  secondi  mi  paiono  aver  colpito  nel  segno.   2.  Il  nome  subietto  o  soggetto,  come  sostan-  tivo, appartiene  alla  lingua  filosofica,  ed  ha  un  senso  dialettico  ed  un  senso  metafisico.  Nel  senso  dialettico  indica  uno  de'  termini  del  giu-  dizio o  della  proposizione,  quello  cioè  del  quale  l'altro,  che  chiamasi  predicato,  isi  afferma  o  si  nega.  E  di  qui,  per  estensione,  nasce  un  altro  senso,  esso  pure  dialettico,  quando  di  questa  voce  si  usa  a  dinotare  ciò  su  cui  verte,  non  una  sem-  plice proposizione,  ma  molti  ragionamenti  ordi-  nati e  connessi,  siccome  sono  nella  scienza.  In  metafisica  poi  subietto  ora  significa  la  causa  ef-  ficiente di  qualche  cosa,  come  in  quel  luogo  del  Purgatorio,  canto  XVII  :   Or,  perchè  mai  non  può  dalla  salute  Amor  del  suo  subietto  volger  yiso,  Dall'odio  proprio  son  le  cose  tute;    26   ora  invece  significa  la  causa  materiale^  come  in  questi  versi  del  Paradiso,  canto  II:   Or,  come  ai  colpi  degli  caldi  rai  Della  neve  riman  nudo  il  suggetto  E  dal  colore  e  dal  freddo  primai,  ecc.   E  quest'ultimo  è  il  significato,  che  io  credo  debba  attribuirsi  alla  parola  subtetto  nella  ter-  zina, di  cui  è  questione;  cosicché  altro  non  s'in-  tenda aver  voluto  Dante  esprimere  in  essa,  se  non  che  alcuni  degli  angeli,  partitisi  dal  divino  volere,  colla  naturale  loro  potenza  indussero  di-  sordine nella  materia  degli  elementi,  de'  quali  è  composta  questa  parte  a  noi  destinata  del-  l'universo.   3.  Ciò  si  parrà  chiaro  considerando  che  il  nostro  poeta  parla  qui  da  teologo  e  da  filosofo,  uffici  ai  suoi  tempi  inseparati,  e  che  ne'  tempi  posteriori,  per  grande  sventura  delle  due  scienze  sovrane,  non  fu  stimato  assai  di  distinguere.  Ora  che  insegna  la  teologia  a  proposito  degli  angeli  ribelli  a  Dio?  Ella  insegna  che  ministri,  anche  dopo  la  loro  caduta,  della  Provvidenza  divina,  si  aggirano  in  questo  nostro  mondo,  tri-  bolandoci non  solo  colle  malvagie  istigazioni,  ma  eziandio  colle  tempeste,  colle  pestilenze  ed  altri  mali  di  tal  genere.  Sono  notissimi  i  passi  dell'epistola  di  s.  Paolo  agli  Efesini  (II,  2;  VI,  12);  dove  cotesti  spiriti  sono  chiamati  principi  aventi  potestà  su  quest'aria.  Ma  i  padri,  appoggiati  ad  altre  autorità  della  scrittura  ed  ai  fatti  in  essa    26   raccontati,  ritennero  che  la  potestà  loro  si  esten-  desse su  tutta,  in  generale,  la  materia  ed  i  corpi  terrestri.  Valga,  per  ogni  altra,  la  testimonianza  di  sant'Agostino,  lib.  II,  cap.  23,  "  De  doctnna  Christiana  „:  Hinc  enìm  fit,  ut  occulto  quodam  iudi-  cio  divino  cupidi  malarum  rerum  homines  tradan-  tur  illudendi  et  decipiendi,  prò  meritis  voluntatum  suarum,  illudentìhus  eos  atque  decipientibus preva-  ricatoribus  angelis,  quibus  ista  mundi  pars  infima  secundum  pulcherrimum  ordinem  rerum,  divinae  providentiae  lege,  subiecta  est.  Ora  gli  scolastici,  come  ognun  sa,  non  fecero  che  ripetere  le  dot-  trine teologiche  dei  Padri,  dando  loro  una  forma  scientifica,  secondo  i  principii  e  il  linguaggio  della  filosofìa  aristotelica;  la  quale  per  essi,  al-  meno per  nove  delle  dieci  parti,  era  pura  e  pret-  ta verità.  Quindi  il  miscuglio,  che  trovasi  nei  trattati  di  teologia  degli  scolastici,  degl'incon-  cussi dommi  della  fede  colle  fallaci  opinioni  del-  lo Stagirita.  Del  qual  miscuglio  n'abbiamo  un  esempio  in  questo  stesso  argomento,  che  qui  toc-  chiamo.   Gl-eneralmente  gli  scolastici  dietro  ad  Aristo-  tile pensarono  che  altra  fosse  la  materia  dei  cieli,  altra  la  materia,  onde  è  fatto  il  mondo  sul-  lunare;  quella  fosse  immutabile  e  incorruttibile,  questa  soggetta  a  mutamento  e  corruzione;  pe-  rocché, dicevano,  quella  è  in  potenza  alla  sola  forma  che  ha,  questa,  al  contrario,  è  in  potenza  a  molte  forme  e  diverse.  Dal  che  san  Tommaso  di  Aquino  conchiude  che  fra  la  materia  de'  corpi    27   celesti  e  la  materia  degli  elementi  del  nostro  mondo  non  vi  ha  una  comunanza  ohe  di  con-  certo: Non  est  eadem  materia  corporis  coelestis  et  elementorum,  nisi  secundum  analogiam,  secun-  dum  quod  conveniunt  ratione  potentiae  (Summa,  p.  I,  qusBst.  LXVI,  art.  2).  E  per  questo  ap-  punto Dante,  nel  citato  canto  II  del  Paradiso,  appella  preziosi  i  corpi  celesti.   Ora,  che  cosa  è,  conforme  queste  dottrine  co-  smologiche degli  scolastici,  il  subietto  degli  ele-  menti? Il  subietto  degli  elementi  è  la  materia  prima  del  mondo  sullunare,  subiettata  ad  una  certa  forma,  prima  nei  corpi  semplici,  aria,  acqua,  ecc.,  e  di  poi  nei  corpi  misti,  minerali,  piante,  ecc.  Imperocché  gli  scolastici  per  materia  e  su-  bietto intendevano  la  medesima  cosa  colla  sola  differenza,  la  quale  trascuravano  ogni  volta  che  loro  non  bisognasse  di  procedere  con  tutto  il  rigore  dialettico,  che  il  subietto  ha  relazione  con  una  forma  attuale,  mentre  la  materia  ha  re-  lazione con  una  forma  potenziale.  Ista  videtur  esse  differentia  inter  materiam  et  subiectum  (dice  Alessandro  d'Ales,  In  Metaph.  Aristotelis,  Vili,  13),  quia  materia  dicit  rem  suam  in  potentia  ad  formam,  ut  transmutabilis  est  ad  ipsam  per  viam  motus  et  fieri,'  et  ideo  quae  sine  fieri  introducun-  tur,  non  proprie  habent  materiam  ex  qua:  subie-  ctum autem  dicit  rem  suam  ex  hoc,  quod  substentat  formam;  et  ideo  omne  quod  substentat  formam  potest  vocari  subiectum,  licet  aliquo  modo  possit  vocari  materia.    28   4.  Pertanto  ciò  che  Dante,  ne'  versi  rife-  riti, chiama  il  sìibietto  de^  vostri  elementi,  corri-  sponde a  capello,  a  ciò  che  Aristotile,  nel  libro  II,  cap.  1,  Della  generazione  e  della  corruzione,  chiama,  con  parole  affatto  equivalenti,  uTioxsifisvYjv  \ìh]v.  Nel  qual  luogo,  se  il  filosofo  rigetta  l'opi-  nione di  quelli,  che  ponevano  un  unico  subietto  di  tutti  gli  elementi,  è  però  manifestissimo  che  la  rigetta  solamente  in  quanto  quel  subietto  pre-  tendevano essere  un  cotal  corpo  separabile  e  stante  da  sé,  awjAa  xe  òv  xat  Xopiaióv.  Ed  invero,  più  sotto,  divisando  l'ordine  delle  entità,  che  con-  corrono a  costituire  i  corpi  primi,  ossia  gli  ele-  menti, pone  in  primo  luogo  la  materia,  in  se-  condo luogo  la  contrarietà  ed  in  terzo  luogo  gli  elementi:  Ma  poiché  i  corpi  primi  son  fatti  in  questo  modo  di  materia,  di  essi  pure  conviene  de-  terminare qualche  cosa,  supponendo  che  una  ma-  teria inseparabile,  ma  soggetta  a  qualità  contra-  ria, sia  il  loro  primo  principio;  perocché  non  è  il  calore  materia  del  freddo,  ne  il  freddo  del  ca-  lore, ma  ciò  che  sottostà  ad  entrambi.  Laonde  primieramente  che  il  corpo  sensibile  esista  in  po-  tenza, è  il  principio:  di  poi  vengono  le  stesse  qualità  contrarie,  come  il  calore  e  il  freddo:  da  ultimo  il  fuoco  e  l'acqua  e  le  altre  cose  di  tal  sorta.  E  questa  ò  la  costante  dottrina  degli  sco-  lastici, e  a  tenore  di  questa  vuoisi  intendere  quel-  lo che  Dante  accenna  del  termine  dell'azione  perturbatrice  degli  spiriti  perversi.  Imperocché  da  una  parte  troppo  è  inverosimile  che  egli  non    29   abbia  parlato  a  tenore  di  tal  dottrina,  solendo  egli  esprimere  nei  suoi  mirabili  versi  le  dottrine  filosofiche  della  scuola  e  colle  stesse  formole  da  lei  celebrate:  dall'altra,  ritenuto  che  la  cosa  sia  così,  dal  passo  controverso  esce  un  senso,  che  a  pieno  si  accorda  coli'  insegnamento  teologico  cir-  ca la  presente  potenza  degli  angeli  rei.  All'op-  posto nelle  altre  due  interpretazioni  codesta  loro  potenza  si  limita  a  capriccio  a  farsi  strumento  dell'odio  loro  contro  Dio  e  gli  uomini  la  sola  terra,  o  vuoi  come  elemento,  o  vuoi  come  corpo  ;  né  si  tien  conto  del  linguaggio  filosofico  dell'au-  tore, quanto  è  giusto  che  si  faccia,  poiché  la  pa-  rola subietto,  mi  si  conceda  di  ripeterlo,  appar-  tiene al  linguaggio  filosofico,  e  qui  precisamente  al  linguaggio  metafisico,  nel  qual  linguaggio  su-  bietto non  significò  mai,  se  la  memoria  non  mi  fallisce,  un  ordine  di  più  cose  per  la  loro  collo-  cazione nello  spazio,  siccome  sembra  che  vogliano  coloro  che  hanno  subietto  de^  vostri  elementi  per  una  perifrasi  di  terra.   Finalmente  osserverò  che  coll'assegnare  per  termine  all'azione  degli  spiriti  angelici  ciò  che  di  primo  si  concepisce  ne'  corpi  come  corpi,  non  si  attribuisce  all'Alighieri  un  pensiero  frivolo  da  sbertarsi,  ma  degno  delle  più  serie  considera-  zioni del  filosofo.  Il  dominio  degli  spiriti  puri  sulle  cose  materiali,  e  l'origine  di  certe  forze,  che  su  esse  si  manifestano,  sono  due  grandi  mi-  steri; i  quali  forse  si  compenetrano  in  uno,  e  quest'uno  è  riserbato   di  vedere  svelato,    quan-    30   to  all'intelligenza  nostra  è  possibile,  allorcliè  i  metafìsici  s' intenderanno  un  po'  più  di  fisica  e  i  fisici  di  metafisica  e  tutt'e  due   di  teologia.   Pisa,  14  luglio  1861.    L*Averroè  della  DiTina  Commedia'    È  notissimo  che  Dante  fra  i  saggi  sospesi  nel  primo  girone  deW  Inferno,  o  per  non  avere  ri-  cevuto il  battesimo,  o  per  non  avere  adorato  Id-  dio debitamente,  colloca  ancora   Averrois,  che  il  gran  commento  feo.   (Inf.,  o.  IV,  V.  U4).   Ora  l'editore  pisano  delle  Lezioni  di  France-  sco da  Buti  sulla  Divina  Commedia  a  questo  verso  fa  la  nota  seguente:  Averrois,  sebbene  commen-  tasse Aristotile,  professò  dottrine  opposite  al  greco  filosofo;  onde  i  commenti  di  lui  non  furono  in  molto  credito  appo  degV  Italiani.  Qui  dunque  "  il  gran  commento  „  potrebb' esser  anche  detto  con  iro-  nia (T.  I,  pag.  141).  Noi  non  possiamo  pregiare  la  novità  di  questa  osservazione,  perchè  ci  sem-  bra mancare  affatto  di  verità.  E  non  intendiamo  come  il  benemerito  editore  non  si  sia  accorto  di  un  difetto  sì  grave,  quando  lo  stesso  contesto  assai  chiaramente  esclude  il  disprezzo  e  lo  scherno  dell'ironico  parlare.     Invero,  dopo  aver  detto  il    '  DaUe  Letture  di  famiglia,  tomo  III,  decade  seconda  (G.  F.).    32   nostro  poet  Qnaest.  Disput.  2>e  Mente,  quaest.  VI.    87   ne,  quanto  semplice  altrettanto  sublime,  di  Dio  che  si  legge  neìV Esodo  :  ^  ^  Io  sono  l'Essere  „  cioè  l'Essere,  che  essenzialmente  ed  assolutamente  è.  Quanto  poi  alla  natura  dell'intelletto  umano  egli,  confrontandone  le  operazioni  con  quelle  del  sen-  so, che  solo  coglie  gli  esterni  accidenti  delle  cose,  veniva  a  ravvisare  che  l'operazione  sua  propria  è  circa  l'essenza  delle  cose;  e  poiché  quelle  es-  senze ci  riducono  all'essere  in  comune  coll'ag-  giunta  di  varie  determinazioni,  il  suo  proprio  og-  getto consiste  appunto  nell'essere  in  comune.  Ora  se  da  un  lato  l'essere,  in  quanto  è  essenzial-  mente ed  assolutamente  essente,  è  Dio,  e  dall'al-  tro, in  quanto  è  appreso  universalmente,  è  l'og-  getto proprio  dell'intelletto  umano,  è  piano  come  l'Aquinate  potesse  dire,  che  il  lume  dell'intel-  letto umano  sia  una  certa  partecipazione  o  simi-  litudine di  Dio  o  dell'increata  verità.  Io  non  credo,  debbo  pur  dirlo  si  per  non  essere  frain-  teso e  si  per  amor  di  schiettezza,  io  non  credo  che  Tommaso  di  Aquino  giungesse  mai  a  ren-  derai cosi  esplicitamente  ragione  di  ciò  che  in  tanti  luoghi  delle  sue  opere  ripete  sulla  natura  del  lume  dell'intelletto  e  sulla  sua  attinenza  con  Dio.  Ma  qualunque  siano  state  le  cause,  che  ne  lo  impedirono,  certo  è  che  questa  spiegazione  giace  implicita  nel  complesso  delle  sue  dottrine  e  si  fa  innanzi  quasi  spontanea  a  chiunque  pro-  fondamente   le  mediti   e   senza  la   stolta  paura    •  Etodo,  oap.  Ili,  V.  14.    88   che  alcuni  dei  suoi  studiosi  oggi  paiono  avere,  di  dire  una  parola  di  più  oltre  quelle  dette  da  lui,  come  se  la  scienza  potesse  star  tutta  rac-  chiusa nelle  parole  di  un  sol  uomo.  Del  resto  la  storia  dell'umano  intelletto,  giusta  il  modo  on-  de Tommaso  d'Aquino  se  la  rappresenta,  è  in  sostanza  la  seguente.  L'intelletto  umano  è  un'at-  tività, che  ha  due  movimenti;  coU'uno  si  costi-  tuisce come  potenza  di  conoscere,  coli 'altro  si  svolge  e  perfeziona.  Col  primo,  onde  si  costitui-  sce come  potenza  di  conoscere,  incontra  l'essere  in  universale  e  l'apprende.  Da  tale  apprensione  in  cui  sono  virtualmente  contenute  tutte  le  ap-  prensioni e  tutti  gli  altri  atti,  che  in  queste  si  fondano,  incomincia  il  secondo  movimento  del-  l'intelletto e  in  esso  si  possono  distinguere  tre  principali  momenti,  per  ciascuno  dei  quali  nel  linguaggio  della  scuola  tomistica  vi' è  una  frase  particolare,  che  ne  esprime  il  carattere  distinti-  vo. Imperocché  innanzi  tutto  nell'apprensione  dell'essere  in  universale  sono  virtualmente  con-  tenuti i  sommi  principi  della  ragione,  che  si  ri-  solvono nei  concetti  universali  dell'^wo,  dell'e-  denticOj  dell'assoluto  e  cosi  via.  Ora  questi  con-  cetti si  fanno  attuali  nell'intelletto,  quando  gli  è  somministrata  una  materia  di  conoscere,  lo  che  è  ufficio  proprio  del  senso.  Allora  l'intelletto  mediante  quei  concetti  :  l**  illustra  i  fantasmi  cioè  la  materia  somministratagli  dal  senso,  per-  cezione intellettuale  dei  sensibili  ;  2"  astrae  dai  fantasmi  le  specie  intelligibili,  concezione  per  via    89   di  riflessione  delle  idee  astratte  delle  cose,  ossia  delle  specie  e  dei  generi  ;  3"  compone  e  divide  le  t^pecie  astratte,  giudizi  e  raziocini,  coi  quali  la  riflessione,  comparando  le  idee  astratte,  si  viene  formando  una  scienza  più  o  meno  perfetta  delle  cose,  secondochè  discopre  più  o  meno  delle  loro  relazioni.   Ma  in  qualunque  di  questi  momenti  della  sua  evoluzione  si  trovi  l'intelletto  nostro,  è  pur  sempre  vero,  che  tutto  quello  che  egli  conosce,  conoscendolo  per  la  verità  dei  primi  principi,  e  quelli  essendo  come  i  primi  raggi  di  quel  lume  che  fa  di  lui  una  potenza  intellettiva;  e  questo  venendo  da  Dio,  anzi  essendo  una  certa  parte-  cipazione del  lume  stesso  di  Dio  a  noi  in  parte  comunicato,  ne  segue  che  pur  nell'ordine  natu-  rale "  Dio  solo  è  quegli,  che  internamente  e  principalmente  ci  ammaestra  come  è  anche  la  natura  quella  che  principalmente  risana  „.  Cosi  l'Aquinate  nelle  Questioni  Disputate  de  Magi-  stro,  '  dove  anche  stanno  quell'altre  belle  paro-  le :  "  Che  alcuna  cosa  si  sappia  con  certezza,  av-  viene per  il  lume  della  ragione  divinamente  in-  fuso, col  quale  Iddio  in  noi  favella  „  ;  "^  parole,  colle    *  Quaest.  I,  nel  corpo  dell'articolo  in  fine.   *  Ivi,  nella  risposta  all'obiezione  13.  Si  considerino  bene  quelle  frasi  dell' Aquinate  :  "  Utiiversales  conceptiones,  quaruni  co-  gnitio  est  nobìs  naturaliter  insita  „  (Qiiest.  cit.  de  Magistro  nella,  risposta  alla  obiez.  5)  —  "  Lumen  rationis  ....  per  quod  principi»  cognoscimus „  (Tbid.,  nella  risposta  alla  obiez.  17) —  '^  Mediantibas  tmiversalibus  conceptionibus,  quae  statim  lumine  intellectus  agcn-  tis  cognoscuntur  „  (Quest.  cit.  de  Mente,  nel  corpo  dell'articolo  in  fine):  e  poi  si  dica,  se  secondo  la  mente  di  S.  Tommaso  d'Aquino    90   quali  si  pone  espressamente  una  cotale  rivela-  zione naturale,  come  rimota  preparazione  a  quella  soprannaturale  rivelazione,  che  si  fa  nell'anima  del  Cristiano.   Io  m' immagino,  ohe  mentre  veniva  cosi  nar-  rando in  compendio  i  pensieri  del  nostro  grande  filosofo  sulla  questione  dell'origine  del  sapere,  la  mente  del  lettore  mi  abbia  spesso  abbando-  nato e  sia  volata  ora  a  questo  ora  a  quel  luogo  della  Divina  Commedia,  dove  si  leggono  sotto  forma  poetica  dei  pensieri  somiglianti.  E  se  ciò  è  veramente  accaduto,  naturai  cosa  è  che  si  sia  intanto  rafforzata  in  lui  la  persuasione,  che  il  nostro  gran  Poeta  nei  versi,  che  danno  argomen-  to al  mio  dire,  non  può  avere  avuto  l'intenzione  di  esprimere  la  impossibilità,  da  cui  neppure  il  filosofo  vada  essente,  di  scorgere  la  sorgente,  donde  viene  l' intelletto  delle  prime  notizie.  Certo  è  che  codesti  pensieri  somiglianti  nella  Divina  Commedia  vi  sono  e,  ciò  che  ora  io  de-  sidero che  si  avverta  e  che  importa  al  mio  pro-  posito sommamente,  i  più  somiglianti  si  trovano  appunto  nel  passo  del  Purgatorio,  che  altri  ha  interpretato  cosi  diversamente.   In  vero,  se  non  si  guarda  che  alla  sostanza  della  soluzione  di  Tommaso  d'Aquino,  egli  in-  segna che  la  cognizione  dei  primi  principi,  don-  de proviene  ogni  altra  cognizione  dell'uomo,  è    il  lume  dell'intelletto  o  della  ragione  possa  esser  altro  ohe  un  massimo  universale,  come  appunto  dimostra  che  è  il  Eosmini  nel  Nuovo  Saggio  sulla  origine  delle  idee  e  in  altro  sue  opere.    91   una  cognizione  in  lui  innata,  in  quanto  che  in  lui  è  innato  il  lume  della  ragione,  per  il  quale  tali  principi  conosce.  E  non  ripete  Dante  in  sostanza  il  medesimo  nei  terzetti  del  canto  XVIII  del  Purgatorio,  che  furono  riferiti  da  principio  ?  Infatti  quivi  egli  dice:  1"  che  la  specifica  virtù  dell'anima  umana,  forma  sostanziale  che  nel  tem-  po stesso  è  scevra  di  materia  ed  unita  con  lei,  è  la  virtù  del  conoscere  e  la  virtù  dell'amare  ;  2"  che  ciascuna  di  queste  virtù  ha  i  suoi  propri  oggetti,  cioè  la  virtù  del  conoscere  certe  prime  notizie,  che  la  dirigono  nelle  sue  particolari  ope-  razioni e  la  virtù  dell'amare  certi  primi  appeti-  bili, che  similmente  la  muovono  e  la  guidano  nelle  sue  particolari  operazioni,  e  che  1'  intelletto  di  tali  notizie  e  l'affetto  di  tali  appetibili  pre-  cedono perciò  di  loro  natura  tutte  le  particolari  operazioni  di  esse  virtù  ;  3"  che  queste  due  virtù  per  una  legge  generale,  a  cui  sottostanno  tutte  le  forme  della  stessa  specie  dell'anima  nostra,  sempre  si  rimarrebbero  occulte,  se  uscendo  nelle  loro  particolari  operazioni  non  si  facessero  in  queste  sentire  e  per  queste  non  si  dimostrassero,  come  per  verde  fronda  in  pianta  vita;  4°  che  conseguentemente,  quando  l'uomo  opera  o  col-  l'una  o  coll'altra  di  queste  virtù,  gli  si  rende  bensì  sensibile  e  gli  si  dimostra  quella,  con  cui  opera,  ma  non  anche  quell'atteggiamento  prece-  dente di  essa,  per  il  quale  è  causa  al  tutto  pro-  porzionata e  pronta  al  suo  operare,  quindi  non  anche  l'intelletto   delle   prime   notizie  nell'epe-    92   rare  della  seconda;  6"  finalmente  che  quest'in-  telletto e  quest'affetto,  solo  discopribili  nel  se-  greto dell'anima  all'acuto  sguardo  d'una  tarda  riflessione  filosofica,  sono  tanto  connaturali  al-  l'anima, quanto  le  sono  connaturali  le  specifiche  virtù,  delle  quali  non  sono  che  proprietà,  e  da  paragonarsi  perciò  agli  istinti,  che  differenziano  le  varie  classi  di  animali,  allo  studio  per  es.  che  è  nell'ape  di  far  lo  mèle.  Lascio  il  resto,  perchè  non  legato  strettamente  col  tema  del  mio  discor-  so, e  dall'esposto  raccogliendo  quel  che  ne  se-  gue, dico  :  che  tanto  è  lungi  che  l'Alighieri  nel  passo  riferito  del  Purgatorio  dichiari  insolubile  la  questione  della  origine  delle  umane  cognizioni  e  più  precisamente  dei  primi  principi,  che  al-  l'opposto egli  proprio  in  quel  passo  stesso  ne  dà  una  soluzione,  e  questa  sostanzialmente  è  quella  che  già  ne  aveva  dato  il  Dottore  di  Aquino.   Che  se  vi  ha  qualcuno  che  non  consenta  meco  nel  modo  d'intendere  o  la  dottrina  filosofica  del-  l'Aquinate  o  quella  corrispondente  di  Dante  o  tutte  e  due,  io  ora  non  gli  contrasterò.  Intenda  egli  pure  a  suo  talento  coteste  dottrine;  a  me  basta  finalmente  che  riconosca  il  fatto ,  che  in  questo  canto  del  Purgatorio  Dante  una  ne  pro-  fessa, qualunque  ella  sia.  Imperocché,  ricono-  sciuto questo  fatto,  bisogna  risolversi  ad  una  di  queste  due  cose  :  o  bisogna  tener  Dante  per  uomo  di  tale  grossezza  e  stupidità  di  mente  da  non  accorgersi  della  contraddizione,  in  cui  cade,  sen-  tenziando, come  pretende  la  nuova  interpretazio-    93   ne,  che  all'uomo  non  è  dato  di  sapere  là  onde  vegna  lo  intelletto  delle  prime  notizie^  e  nell'atto  stesso  esponendo,  sebbene  brevemente,  una  dot-  trina intorno  a  questa  questione  :  oppure  bisogna  rifiutare  la  nuova  interpretazione,  e  credere  la  intenzione  di  Dante  lontana  le  mille  miglia  da  quella  sentenza.  In  verità  io  non  so,  se  oggi  neppur  un  Bettinelli  prenderebbe  il  primo  par-  tito.   A  questo  punto  mi  pare  eh'  io  potrei  tenere  per  sodisfatto  il  mio  debito  e  quindi  far  fine.  Pure  mi  piace  di  aggiungere  due  altre  conside-  razioni che  mi  sembrano  attissime  a  far  sentire  sempre  più  quanto  sia  iuammissibile  la  discussa  interpretazione.  Si  consideri  dunque  in  primo  luogo  che  Dante,  comecché  uomo  straordinario,  tanto  che  possa  dirsi  di  lui  quello  che  egli  disse  di  Omero,  cioè  che  sovra  gli  altri  com' aquila  vo-  la, ciò  non  ostante  è  un  uomo  del  secolo  XIII,  e  tutti  si  riscontrano  in  lui  i  caratteri  generali  degli  uomini  dei  tempi  suoi.  Uno  di  essi  è  la  fede,  presa  questa  parola  nel  senso  j)iù  ampio  ;  cosicché,  oltre  la  fede  soprannaturale  propria  del  Cristiauo,  abbracci  pur  quella  meramente  natu-  rale dell'uomo,  per  la  quale  egli  fortemente  as-  sente a  tutto  ciò,  che  la  ragione  gli  mostri  co-  me vero  o  come  buono.  I  fatti  pubblici  e  pri-  vati, le  lotte  delle  fazioni  politiche,  le  dispute  delle  scuole,  i  monumenti  sacri  e  profani,  i  libri,  che  si  leggevano  a  istruzione  o  a  trastullo,  tutto  in  una  parola  ciò    che    appartiene  a  quei  tempi    94   concorre  a  farci  intendere,  che  un  uomo,  che  non  credesse  con  fermezza,  sarebbe  stato  allora  quasi  un  assurdo.  Per  questo  fra  i  diversi  modi  di  pensare,  che  anche  nell'età  di  mezzo  regnavano  nelle  scuole,  restò  ignoto  del  tutto  quello,  che  torna  in  fine  in  distruzione  d'ogni  scienza  e  dello  stesso  pensiero,  voglio  dire  lo  scetticismo.  Ora  che  altro  è  che  puro  e  pretto  scetticismo  il  dire  là  onde  vegna  lo  'ntelletto  delle  prime  notizie,  uomo  non  sape,  se  questo  si  ha  da  togliere  nel  senso  che  la  nuova  interpe trazione  propone?  Imperocché  le  prime  notizie  son  pure  quelle,  sulle  quali,  come  su  fondamento,  s'innalza  tutto  il  sapere  dell'uomo;  onde  il  dubitare  del  suo  va-  lore si  fa  inevitabile  a  chiunque  s'attenta  di  pas-  sar i  confini  della  riflessione  volgare,  se  la  ori-  gine delle  prime  notizie  è  impossibile  a  disco-  prirsi. Imperocché  come  potrebbe  egli  abban-  donatamente affidarsi  a  principi  d'origine  non  pure  ignota,  ma  avuta  da  lui  per  inconoscibile  ?  Non  potrebbero  essere  altrettante  misere  illusioni  della  sua  mente?  E  per  qual  via  liberarsi  di  questo  terribile  sospetto,  se  tutti  i  giudizi  della  mente  si  fanno  a  norma  di  quei  principi?  S'im-  magini pure  chi  vuole  maestro  di  dubbio  il  no-  stro grande  Poeta:  io  per  me  non  potrò  mai  farmi  un'  immagine  tale  di  nessun  uomo  dei  suoi  tempi  e  dell'Alighieri  anche  molto  meno,  se  l'Ali-  ghieri è  quello  che  lo  dicono  le  storie  e  che  lo  manifestano  tutte  concordemente  e  le  sue  prose  e  i  suoi  versi  immortali.     Appoggiato   invece  a    95   questi  documenti  certissimi,  dai  quali  tanta  fede  traluce  nella  ragione  e  nella  scienza  umana,  io  me  lo  immaginerò  pieno  di  sdegnoso  disprezzo  per  cotesto  genere  di  mendace  filosofia,  quale  egli  si  mostra  nella  prima  cantica  della  Divina  Commedia,  quando,  entrato  appena  nella  città  di  Dite  incontra   l'anime  triste  di  coloro,   Che  visser  senza  infamia  e  senza  lodo.  Mischiate.  ...  a  quel  cattivo  coro  Degli  Angeli,  che  non  furon  ribelli,  Né  fur  fedeli  a  Dio,  ma  per  sé  foro.  '   Non  è  già,  ed  eccomi  all'altra  considerazio-  ne, non  è  già  che  Dante  creda  illimitata  la  sua  ragione  umana  o  che  ne  esageri  comecchesia  il  potere:  no,  egli  riconosce  i  suoi  confini  e  al  di-  sopra di  questa  naturale  sorgente  di  cognizione  ne  pone  un'altra  soprannaturale,  la  fede,  desti-  nata per  dono  grazioso  di  Provvidenza  ad  esten-  dere e  compire,  quanto  quaggiù  è  possibile,  la  cognizione  derivata  dalla  prima.  Però  egli  am-  mette due  scienze  distintissime,  corrispondenti  a  quelle  due  potenze  o  principi  subiettivi  del  nostro  sapere,  la  filosofia  e  la  teologia;  e  come,  menato  dall'istinto  d'un  animo  eminentemente  poetico,  che  tutto  contempla  nella  forma  del  bello,  pren-  de Virgilio  come  simbolo  della  filosofia,  così  Beatrice  prende  per  simbolo  della  teologia.  Quin-    •  Inf.,  canto  III.    96   di  quelle  parole,  che  servono  d'introduzione  ac-  concissima ai  ragionamento,  con  cui  Virgilio  nel  canto  XVIII  del  Purgatorio  si  fa  a  dissipare  diffi-  coltà sorte  nella  mente  di  Dante  :    quanto  ragion  qni  vede   Dir  ti  poss'io:  da  indi  in  là  t'aspetta  Pure  a  Beatrice,  ch'è  opra  di  fede.   Ora  in  questa  introduzione  sta  appunto  una  nuova  buona  ragione  per  riprovare  la  interpe-  trazione,  che  fa  dire  a  Dante  indefinibile  per  umano  ingegno  là  onde  regna  lo  intelletto  Delle  prime  notizie.  In  vero  qual  era  precisamente  lo  scopo,  a  cui  mirava  il  ragionamento  di  Virgilio?  A  Dante,  non  avendo  inteso  bene  il  principio  da  cui  era  partito  il  suo  Maestro  nel  ragiona-  mento antecedente,  con  cui  questi  aveva  voluto  spiegargli  la  natura  dell'amore,  era  venuto  a  tur-  bargli la  mente  e  ad  impedirgli  di  comprendere  come  l'amore  potesse  essere  la  radice  di  ogni  merito  o  demerito  dell'uomo  che  opera,  questa  obiezione  :   Ohe  se  amore  è  di  fuori  a  noi  offerto,  E  l'animo  non  va  con  altro  piede,  Se  dritto  o  torto  va,  non  è  suo  merto.   Ora  Virgilio,  perchè  la  mente  di  Dante  ve-  desse chiaro  come  il  merito  e  il  demerito  del-  l'operare dell'uomo  stesse  insieme  con  quello  che  egli  aveva  detto  circa  il  principio  del  suo  operare,  cioè  circa  l'amore,  non  doveva  aggiun-    97   ger  nulla  di  nuovo,  ma  solamente  ritornare  sulla  natura  dell'amore  e  più  spiegatamente  dirgliene  l'origine.  E  questo  infatti  è  quello  che  egli  fa,  quando,  dopo  averlo  avvertito  che  da  lui  non  si  aspetti  che  quanto  in  questa  materia  può  sa-  pere la  naturale  ragione  dell'uomo,  prende  a  dirgli:  Ogni  forma  sustanzial,  con  quel  che  se-  gue. Ora  qui  è  da  riflettere,  che  conoscere  e  amare  sono  cose  cosi  connesse,  che  un  subietto  privo  di  conoscenza  è  impossibile  che  ami,  e  privo  di  amore  è  impossibile  che  sussista  ;  perchè  col  solo  conoscere  non  sarebbe  intero,  e  un  subiet-  to non  intero  è  lo  stesso  che  un  frammento  di  subietto.  Dante  la  sapeva  bene  questa  con-  nessione strettissima  dell'amare  e  del  conoscere,  che  era  uno  dei  più  comuni  insegnamenti  dei  filosofi  dei  suoi  tempi  e  dei  più  incontroversi;  onde,  se  la  opinione  sua  quanto  al  conoscere  fosse  stata,  che  non  se  ne  può  sapere  l'origine,  si  sa-  rebbe sentito  obbligato  a  professare  un'opinione  simile  anche  quanto  all'amare,  e  per  conseguen-  za in  questo  luogo  del  Purgatorio  non  avrebbe  indotto  Virgilio  ad  ammonirlo  :  Quanto  ragion  qui  vede  Dir  ti  poss'io,  ma  questi  gli  avrebbe  dichiarato  a  dirittura  e  senza  andare  in  troppe  parole,  che  non  poteva  dirgli  nulla,  perchè  nulla  la  ragione  ne  vede,  e  che  per  tutta  questa  bi-  sogna gli  conveniva  aspettare  i  più  alti  ammae-  stramenti di  Beatrice.   Pertanto  quell'womo  non  sape  del  luogo  esa-  minato del    Purgatorio  non  è  da  intendersi   se-    98   condo  la  nuova  interpetrazione,  ma  si  in  quello  stesso  stessissimo  significato  che  lia  l' noni,  non  se  n^avvede  in  un  altro  luogo  della  medesima  cantica,  dove  il  nostro  Poeta,  esprimendo  una  delle  più  note  leggi  dell'attenzione  intellettiva,  dice:    Quando  per  dilettanze  ovver  per  doglie  Che  alcuna  virtù  nostra  comprenda,  L'anima  bene  ad  essa  si  raccoglie;   Par  che  a  nulla  potenzia  più  intenda,  E  questo  è  contra  quell'error,  che  crede.  Che  un'anima  sopr'altra  in  noi  s'accenda.   E  però,  quando  s'ode  cosa  o  vede,  Che  tenga  forte  a  sé  l'animo  volta,  Vassene  il  tempo,  e  l'uom  non  se  n'avvede.   Ch'altra  potenzia  è  quella,  che  l'ascolta,  Ed  altra  è  quella,  che  ha  l'anima  intera;  Questa  è  quasi  legata,  e  quella  è  sciolta.    In  ambedue  i  luoghi  ci  significa  la  mancanza  di  una  cognizione  propria  della  riflessione;  ma  ne  l'una  né  l'altra  cognizione  manca  all'uomo  per  un  invincibile  ostacolo,  che  stia  nella  sua  stessa  natura,  bensì  per  una  accidentale  condi-  zione in  cui  si  trova.  Onde,  finche  egli  rimane  in  questa  condizione,  necessariamente  rimane  anche  privo  di  quella  cognizione;  ma  egli  può  pure  uscirne  e  il  potere  uscirne  non  consiste  in  altro,  che  nel  potere  riflettere  su  di  se  e  su  quel-  lo che  in  sé  avviene.  Fin  qui  i  due  casi,  a  cui  si  riferiscono  i  due  luoghi  del  Purgatorio,  sono  eguali  del  tutto;  la  loro  dififerenza  comincia  solo  a  mostrarsi,  quando  si  prende  a   considerare  la    99   natura  dell'oggetto,  del  quale  si  tratta  d'acqui-  star cognizione  per  via  di  un  ripiegamento  del  pensiero  su  noi  stessi.  Perocché  nel  caso  con-  templato nel  canto  IV  quest'oggetto  è  lo  scor-  rer del  tempo,  e  nel  caso  contemplato  nel  canto  XVIII  è  invece  la  provenienza  delV  intelletto  delle  prime  notizie.  Or  chi  non  vede,  che  il  ri-  piegare il  pensiero  su  noi  stessi  per  avvertire  la  successione  delle  nostre  modificazioni  e  il  mo-  vimento del  tempo,  è  assai  più  facile  che  il  ri-  piegare il  pensiero  su  noi  stessi  per  risalire  fino  all'origine  prima  di  ogni  nostro  conoscimento?  Chi  non  vede,  che  d'ordinario  ogni  uomo  adulto,  eccettuate  le  circostanze  di  breve  durata,  a  cui  l'Alighieri  accenna  nell'esporre  il  primo  caso,  è  capace  di  fare  e  fa  realmente  quella  semplice  riflessione,  che  è  necessaria  per  accorgersi  del  tempo  che  passa;  ma  che  all'opposto  pochissimi  degli  stessi  uomini  adulti,  o  per  nativa  ottusità  di  mente,  o  per  difetto  di  conveniente  educa-  zione intellettuale,  o  per  impedimento  posto  dai  casi  e  negozi  della  vita,  sono  capaci  di  fare  le  molte  riflessioni  e  complicate  ed  astruse,  colle  quali  soltanto  è  possibile  di  elevarsi  fino  a  quel  fatto  primo,  in  cui  s'inizia  la  potenza  stessa  del  conoscere?  Ma  quello  che  è  difficile,  sia  pur  difficile  quanto  si  vuole,  non  è  impossibile;  e  quello,  che  non  è  impossibile,  o  prima  o  poi,  o  da  un  uomo  o  da  un  altro  si  fa;  e  cosi  si  va  effettuando  quella  idea  di  progresso,  che,  se  per  i  singoli  uomini  ha  il  valore  di  una  legge  mo-    100   rale,  per  tutta  insieme  l'umana  famiglia  ha  quel-  lo d'una  legge  ontologica,  voglio  dire  d'infalli-  bile necessità.  E  a  chi  quest'idea,  in  sui  primi  albori  della  civiltà  moderna,  più  che  al  nostro  Poeta  illuminò  la  mente  e  die  potenza  a  operare?    Luoghi  del  Poema  di  Dante   CHIOSATI     O    CITATI     DAL     PAGANINI.    Jnf.       I,  30.   y,        III,  35-39.   «        IV,  144.  VII,  73-96.  Pura.   IV,  1-12.   XVII,  91-96,   127.   XVIII,  46-66.  XXI,  28.   XXIV,  49-54.   XXV,  63.  Par.     I,  103-126.    Par.     II,  19,  107,  140.  X,  82-139.   XIII,  58.   XIV,  1-9,  29.   XXIII,  25-30.   XXIV,  91-94.   XXVIII,  54.   XXIX,  49-51.   XXXII,  2.   XXXIII,  115,  124.    Autori  0  libri  allegati  nelle  chiose.    Agostino  (S.),  pag.  26, 54, 64.  Aristotile.  26,  27,  28,  33,  34,   35,  37,  38,  39,   40,  42,  43,   80,  81,  85.  Alessandro  Afrodisiaco,  36,   41.  Alessandro  d'Ales,  27.  Apocalisse,  66.  Atti  degli  Apostoli,  6'i.  Averroè,  31,  33,  35,  36,  38,   39,  41,  44,  81,  82.  Bartolo  da  Sassoferrato,  57.  Bettinelli  Saverio,  93.  Biagioli  N.  G.,  14,  15.  Bonaventura  (S.),  22.  Bossuet,  63,  64.  fiuti  (Da)  Francesco,  13,  23,   34,  52,  53,  76.  Oano  Melchior,  36.  Cesari  Antonio,  74.  Condorcet  (de)  M.  G.,  60.  Conti  Augusto,  73.  Daniello  Bernardino,  15,  16.  Epicuro,  48.  Esodo,  87.  Evangeli,  60,  84.  Fichte  G.  T.,  61,  68.  Fracastoro  Girolamo,   82.  Giustino  Martire,  84.  Hegel  Giorgio,  68,  69.  Ippocrate,  84.  Livio,  57.  Lombardi  Baldassarre,  15,   16,  74,    Lucrezio,  pag.  48,   Muratori  Lodovico,  36.   Cenerò,  93.   Orazio,  54.   Ovidio,  54.   Ozanam  A.  F.,  21.   Pacuvio,  45.   Paolo  (S.),  25,   Petrarca,  36,  37,   Platone,  36,  48,  80.   Renan  Ernesto,  38.   Retorici  ad  Erennio,  45.   Rosmini  Antonio,  42, 61,  90.   Sartini  Vincenzo,  73.   Scoto  Michele,  38.   Schelling  Peder.  Gugliel-  mo, 68.   Seneca,  54.   Socrate,  80.   Tolomeo  da  Lucca,  3G.   Tommaseo  Nicolò,  15.  17,  21,  24,  54,  55.   Tommaso  d'Aquino  (S.),  18,  20,  26,  35,  39,  40,  43,  49,  81,  83, 84,  85,  86,  88,  89,  90,  92.   Varchi  Benedetto,  74.   Venturi  Pompeo,  15.   Vico  Giambattista.  41,  55,  58,  59,  60,  61,  62,  63.   Vigne  (Delle)  Piero,  38.   Virgilio,  54.   Vives  Gian  Lodovico,  36.    INDICE    Cablo  Pagano  Paganini  bicordato  da  un  suo  di-  scepolo   Pag.  5   I.  Di  un  luogo   del  Purgatorio  di  Dante,  che  non   sembra  essere  stato   ancora  dichiarato  pie-  namente    „  13   II.  Sopra  un  luogo  della  Cantica  del  Paradiso     .  „  23   III.  JuAverroè  della  divina  Commedia „  31   IV.  Alcune  osservazioni  sulla  Fortuna  di  Dante.  „  45   V.  Sopra  un  luogo  del  canto  XXIV  del  Paradiso.  „  63   VI.  Di  un  luogo  filosofico  della  divina  Commedia.  „  73   Tavola  dei  luoghi  del  Poema  di  Dante  chiosati  o   citati  dal  Paganini „  101   Tavola  degli  Autori  o  libri  allegati  nelle  Chiose.  „  ivi cf. Alessandro Paganini. Carlo Pagano Paganini. Paganini. Keywords: Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paganini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pagano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’eroe – filosofi agiustiziati – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Brienza). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Uno dei maggiori esponenti dell'Illuminismo ed un precursor edel positivismo, oltre ad essere considerato l'iniziatore della scuola storica napoletana del diritto. Personaggio di spicco della Repubblica Partenopea, le sue arringhe contornate di citazioni filosofiche gli valsero il soprannome di "Platone di Napoli". Nato da una famiglia di notai,  si trasfere a Napoli. Studia sotto l'egida di Angelis, da cui apprese anche gli insegnamenti del greco. Frequenta i corsi universitari, conseguendo la laurea con il “Politicum universae Romanorum nomothesiae examen” (Napoli, Raimondi), dedicato a Leopoldo di Toscana ed all'amico grecista Glinni di Acerenza. Studia sotto Genovesi, il cui insegnamento fu fondamentale per la sua formazione, e amico di Filangieri con cui condivide l'iscrizione alla massoneria. Appartenne a “La Philantropia,” loggia della quale e maestro venerabile. Inoltre, i proventi dell'attività di avvocato criminale gli consenteno di acquistare un terreno all'Arenella, dove costitue un cercchio, alla quale partecipa, tra gli altri, Cirillo. Insegna a Napoli, distinguendosi come avvocato presso il tribunale dell'Ammiragliato (di cui diviene poi giudice) nella difesa dei congiurati della Società Patriottica Napoletana Deo, Galiani e Vitaliani pur non riuscendo ad evitarne la messa a morte. Incarcerato in seguito ad una denuncia presentata contro di lui da un avvocato condannato per corruzione che lo accusa di cospirare contro la monarchia. Venne liberato per mancanza di prove. Scarcerato ripara clandestinamente a Roma, dove e accolto positivamente dai membri della Repubblica. Insegna al Collegio Romano, accontentandosi di un compenso che gli garantiva il minimo indispensabile per vivere. Tra i suoi seguaci e allievi, il  rivoluzionario Galdi.  La libertà è la facoltà di ogni uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli piace, colla sola limitazione di non impedir ad’altro uomo di far lo stesso. Il Giudice Speciale lo schernisce dopo avergli letto la sentenza di morte. Ritratto di Giacomo Di Chirico. Lasciata Roma, si sposta per un breve periodo a Milano e, dopo la fuga di Ferdinando IV a Palermo, fa ritorno a Napoli, divenendo uno dei principali artefici della Repubblica, quando il generale  Championnet lo nomina tra quelli che doveno presiedere il governo provvisorio. La vita della repubblica e corta e molto difficile. Manca l'appoggio del popolo, alcune province sono ancora estranee all'occupazione francese e le disponibilità finanziarie sono sempre limitate a causa delle sovvenzioni alle campagne napoleoniche. In questo breve lasso di tempo, ha tuttavia modo di poter realizzare alcuni progetti. Importanti in questo periodo sono le sue proposte sulla legge feudale, in cui si mantiene su posizioni piuttosto moderate e il progetto di Costituzione. Essa per la prima volta stabilisce la giurisdizione esclusiva dello stato napoletano sul diritto civile e, tra le altre cose, prevede il de-centramento amministrativo. Prevede inoltre l'istituzione dell'eforato, precursore della corte costituzionale. Il suo progetto rimase tuttavia inapplicato a causa dell'imminente restaurazione monarchica. Si distingue sostenendo altre leggi di capitale importanza come quella sull'abolizione dei fedecommessi, sull'abolizione delle servitù feudali, del testatico, della tortura. Con la caduta della repubblica, dopo aver imbracciato le armi che difendeno strenuamente gl’ultimi fortilizi della città assediati dalle truppe monarchiche, e arrestato e rinchiuso nella "fossa del coccodrillo", la segreta più buia e malsana del Castel Nuovo. E in seguito trasferito nel carcere della Vicaria e nel Castel Sant'Elmo. Giudicato con un processo sbrigativo e approssimato, e condannato a morte per impiccagione. A nulla e valso l'appello di clemenza da parte dei regnanti europei, tra cui lo zar Paolo I, che scrive al re Ferdinando. Io ti ho mandato i miei battaglioni, ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea. Non ammazzare P,, il più grande filosofo di oggi. E giustiziato in Piazza Mercato, assieme ad altri repubblicani come  Cirillo,  Pigliacelli e  Ciaia. Salendo sul patibolo, pronuncia la seguente frase. Due generazioni di vittime e di carnefici si succederanno, ma l'Italia, o signori, si farà. Italia si fara. Italia, o signori, si fara. Proclami e sanzioni della Repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione, Colletta. Esponente fra i più rilevanti dell'Illuminismo merita di essere preso in esame dalla nostra prospettiva per la visione consegnata ai Saggi politici, un'opera a carattere filosofico -- di ‘filosofia civile' per l'ispirazione complessiva e il disegno di fondo in cui i diversi elementi della sua multiforme natura sono orientati verso un unico obiettivo. E anche per la filosofia politica, che emerge in tutta la sua peculiarità da un lavoro pur dai caratteri tecnici obbligati come il Progetto di Costituzione della Repubblica napoletana, da lui personalmente redatto.  Saggi: “Burgentini”, “Oratio ad comitem Alexium Orlow virum immortalem victrici moschorum classi in expeditione in mediterraneum mare summo cum imperio praefectum”; “Gli Esuli tebani. Tragedia” (Napoli); “Contro Sabato Totaro, reo dell'omicidio di Gensani in grado di nullità aringo” (Napoli); “Il Gerbino tragedia” e “Agamennone: monodramma-lirico” (Napoli, Raimondi); “Considerazioni sul processo criminale (Napoli, Raimondi); “Ragionamento sulla libertà del commercio del pesce in Napoli. Diretto al Regio Tribunale dell'Ammiragliato e Consolato di Mare” (Napoli); “Corradino: tragedia” (Napoli, Raimondi); “De' saggi politici”(Napoli, aRaimondi); “L' Emilia: commedia” (Napoli, Raimondi); “Saggi politici de' principii, progressi e decadenza della società” (Napoli); “Discorso recitato nella Società di Agricoltura, Arti e Commercio di Roma nella pubblica seduta del di 4 complementario anno 6° della libertà, Roma, presso il cittadino V. Poggioli. “Considerazionisul processo criminale” (Milano, Tosi e Nobile); “Principj del codice penale e logica de' probabili per servire di teoria alle pruove nei giudizj criminali”; “principj del codice di polizia” (Napoli, Raffaele). Le opere teatrali  non furono mai rappresentate in pubblico. Le mette in scena privatamente nella sua villa dell'Arenella. Sono caratterizzate da temi prevalentemente sentimentali mascherando i temi civili che pur in esse sono presenti, con funzione quindi pedagogica nei confronti del popolo.  Intitolazioni e dediche  Statua di P. a Brienza. Al giurista lucano sono state dedicate alcune opere letterarie come Catechismo repubblicano in sei trattenimenti a forma di dialoghi di Astore e P., ovvero, della immortalità di ROVERE Nella Corte d'Assise di Potenza fu collocato un busto marmoreo in suo onore, opera di Antonio Busciolano. Gli venne dedicato il Convitto nazionale P. di Campobasso, con regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II. Alcune logge massoniche furono intitolate a suo nome, come quella di Lecce e di Potenza.. Nel Venne inaugurato un busto in marmo ai giardini del Pincio (Roma), realizzato da Guastalla. Il suo personaggio apparve nel film Il resto di niente di Antonietta De Lillo, interpretato da Mimmo Esposito. Elio Palombi, Pagano e la scienza penalistica; Giannini, Tessitore, Comprensione storica e cultura, Guida; Gorini, Ricordanze di trenta illustri italiani, Minerva, Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, A. Pace, Annuario, Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo Kluwer Italia, Addio, Le Costituzioni italiane: Colombo, Lazzari: una storia napoletana, Guida, Cilibrizzi, I grandi Lucani nella storia della nuova Italia, Conte, Alessandro Luzio, La massoneria e il Risorgimento italiano: saggio storico-critico, Volume 1, Forni, Vittorio Prinzi, Tommaso Russo, La massoneria in Basilicata, Angeli, Carlo Colletta, Proclami e sanzioni della repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione di P., Napoli, Stamperia dell'Iride, Dario Ippolito, il pensiero giuspolitico di un illuminista, Torino, Giappichelli, Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio, Venturi, Illuministi italiani, Riformatori napoletani, Milano-Napoli, Ricciardi, Repubblica Napoletana Repubblicani napoletani giustiziati  Deo. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Considerazioni sul processo criminale, su trani-ius. Progetto di Costituzione della Repubblica Napoletana, su repubblica napoletana. Principii del codice penale, su trani-ius. Relazione al Convegno di Brienza su P., dsu trani-ius. Dell origine delle pene pecuniarie. De' progresivi avanzmenti della sovranità per mezzo de’ giudizi. Del maggior estabilimento de' giudizi. Pruove storiche. Preso de' Creci giudica della Socieeta. Del duello. Degl’altri modi aduprati ne’ divinigiu dizj. Della Fortura. Prüove storiche. Coltura inquest 'ultimo periodo della barbarie. Dello sviluppo della macchina; e del miglioramento del costume, dello Spirito, e delle 79 quanto elle conferial miglioramento del costume ca, e della origine del commercio,  di antichitd LINGUE de’ popoli. De’ giudizj degli’aprichi Germani, e de' Scioglimento di una opposizione alleco Se dette. De principi della giurisprudenza de'bar De divini giudizj. Nuova explicaziure di un famoso puntu della legislazione di questi tempi, dello stato delle proprietà , e dell'agri. Dell;origine dell'ospitalitita, e come, delle arti e delle scienze di cotest'epur 78 barbari della mezza età  della religione. de principi e progressi delle società colte. L'estinzione della indipendenza privata , la liberta civile, la moderazione del governo formano l'esenziale coltura delle nazioni. Dell'origine della plebe, e de' suoi drit 'ti. Delle varie cagioni, dalle quali nascono gono dalla varia modificazione della macchina.  De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al valore Ea lerge non frena la libertà, mala garantisce e la difende  vi e polite.  i diversi governi , e primieramente delle interne. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali, che sul diverso governo hanno influenza, Del clima. diversi. Del rapporto della società colle potenze straniere; della libertà, e delle cagioni , che la tolgono; come la legge civile pofanuocere alla De'diversi elementi della Citta. Della legge universale, e dell'ordine cosi fisico, come morale. Come le forze, ed operazioni morali for. Come secondo i varj climi nascono governi libertà, inducendo la servitù. Della liberta politica. Delle due proprietà di ogni moderato, Del dritto scritto, delle leggie giu e regolar governo risprudenza de' colti popoli,  La moltiplicazione degli uomini è maggiore negli stati guerrieri, che ne'commer. del gusto e delle belle arti, del piacevole. Del rafinamento del gusto,de varj fonti del piacere. Delle leggi agrarie dell'antiche republiche. Della galanteria de popoli colti. Della galanteria de barbaritempi. Delle arti di lullo de’ populi politi, Dela monetate dele Finanze, dell'oggetto delle belle arti, e del gusto, dell'ingegno creatore, delloSpirito, e costume delle colte nazioni. Delle sorgenti del Genio. Quali governi fieno per loro natura guerrieri, equali commercianti Quali cose forminu la bellezza nelle arti imitative. L'unit. forma e la bontd , e la bellezza degl’elleri. Proprieta. bliche, e della violentari partizione de poderi. Di due generi di stati o'conquistatori, o commercianti, di unterzogenere distato nè. com , Divisione delle belle arti. De' contrasti, opposizione, antitesi, Del dilicato, del forte, del sublime, dela delle grazie , e dell'interesse sempre vivo, decadenza delle belle arti delle nazioni, e della prima di elle , cive dello sfibramento della macchina dell'uomo, e delle zioni dalla prima, e del novello stato selvaggio. Generale prospetto della storia del regno. Del progresso e perfezione delle belle arti. Dell'epoche progresive de'varii ramı delle belle arti. Del corso delle belle arti IN ROMA, e nella moderna Italia, conseguenze morali; della corruzione de' regolari governi, la quile rimena la barbarie. La grandezza ne' popoli colti ne'barbari, la dilicatezza, e sublimitd è maggiore. Delle Scienze , e delle arti delle nazioni corrotte. Divisone dal dispotismo; della decadenza delle anzioni; delle universali cagioni della decadenza. Diversità della seconda barbarie delle na; del corso delle nazioni di Europa. Dell 'inondazione de'barbari, e delri Jorgimeuto dell'europea costura. Le note segnate colle pa Dello ftata degl’uomini, che sovravissero alle vi. focievole. cende della natura . liare . Del secondo stato della vita selvaggia. Dei varii doveri, e dritti de'compagni, coloni, Del primo stato della vita selvaggia. Del terzo fato della vita selvaggia, delle cagioni che strinfero la sociesà fami Del vero principio motore degli uomini al vivere. Delle due specie de' bisognififci, emorali. Della distinzione delle famiglie, dell'origine della nobiltà, dell'incremento delle famiglie e dell'origine de famoli, e delle varie lor classi. fervi. Del quarto stato della vita selvaggia.  re Società . Della domestica religione di ciascuna famiglia, Dell'origine dell'anzidetta religion domestica; Si Ricapitulazione de'diversi stati della vita selvago.  Degli affidati, e de'vafalli della mezza età. ST Paragone tra compagnoni de’ Germani , fooj de Greci, e i cavalieri erranti degli ultimi barba L'impero domestico ficonrinnòneleprime barba, dell'antropofagia y o fia del pasto delle carni u m d ri tempi. 64 gia. Della religione de'selvaggi, de'costumi de'selvaggi, Del secondo periodo delle barbare nazioni.  e di coloro, che  ghi .  ins 116 se de'pa V. blici militari consigli, dello stabilimento del le città e del primo periodo delle barbariche società. conviti . Chene'tempi degli Dei fi tennero iprimi pub, della teocrazia, dello stato della religione del le prime società, dell'influenza della religione in tutti gli affari de'barbari. la componevano.  Del primo passo dele selvagge famiglie nelcorso civile , ossia dell'origine de vichi. Dell'origine de' tempj, é di'pubblici, ésacri Della sovranità della concione, i20 СА. Dell idee degli antichi intorno allamonar·  Della forma della romana repubblica nel secondo, del governo de primi greci, de'costumi, del genio di questa età, e della tral de'costumi di questa età della fo Dell'arti. Saggio. Dell’origine e stabilimento Dello stabilimento delle città e del primo period, Che ne'tempii degli Dei si tennero i primi pubblicimilitariconsigli, della teocrazia, dello stato della religione delle prime società Dell'influenza della religione in tutti gli affari dei barbari componevano. Dell'idee degli antichi intorno alla monarchia Della forma della romana repubblica nel secondo Del governo feudale di tutte le barbare 'nazioni, della sovranità della concione e di coloro che la Del governo de’ primi Greci. De 'giudizi nel secondo periodo della barbarie di periodo della barbarie ROMA. De'costumi,del genio di questa età edellatrasmi. Continuazione de costumi di questa età della so, Del progresso delle barbare società : del terzo ed ultimo loro periodo. De’ progressivi avanzamenti della sovranitàper mezzo bari tempi esercitato da're. De'principii della giurisprudenza de'barbari. Del diritto della proprietà . grazione delle colonie de barbari Il potere giudiziario non venne negli eroici e bar. de'giudizi . cietà Delle arti e cognizioni di questa età. Del maggiore stabilimento del giudiziario potere. Del duellil degli’altri modi adoprati ne'divini giudizi. Dello stato della proprietà e dell'agricoltura in Dello sviluppo della macchina e del miglioramento del costume, DELLO SPIRITO ROMANO E DELLA LINGUA ROMANA. dconferi al miglioramento del costume de popoli . Dell' arti e delle scienze di cotest'epoca, dell'ori quest'ultimo periodo della barbarie . gine del commercio . De'divini giudizi Della legislazione di questi tempi . Dell'origine dell'ospitalità, e come e quanto ella Della tortura Della religione o dest civile, la moderazione del governo formano l'essenziale coltura delle nazioni. Dell'origine della plebe e de'suoi diritti verni, e primieramente delle interne. Delle varie cagioni dalle quali nascono idiversi go hanno influenza. Come le forze ed operazioni morali sorgono dalla Della società colta e polita. L'estinzione dell'indipendenza privata, la libertà De'diversi elementi della citt. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali che sul diverso governo Del clima varia modificazione della macchina De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al valore. Secondo i vari climi nascono governi diversi. Della libertà e delle cagioni che la tolgono Della legge universale e dell'ordine cosi fisico co Delle varie specie della legge , e della legge civile . La legge non toglie la libertà, ma la garantisce. Vera idea della libertà civile. Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile. Della legge relativamente alla proprietà. Del rapporto della società colle potenzę straniere me morale, Della libertà politica. Della giusta ripartizione delle possession. Delle leggi agrarie dell'antiche repubbliche,edella forme degli stati cianti commercianti Di un terzo genere di stato né commerciante ne varia ripartizione de'poderi . Leggi ed usi distruttivi della proprietà Delle varie funzioni della sovranità e delle varie. Di due generi di stati, o conquistatori o commer. Quali governi sieno per lor natura guerrieri e quali. La moltiplicazione degli uomini e maggiore negli stati guerrieri che ne commercianti conquistatore. Partizione della legge civile, qualità delle leggi Della moneta e delle finanze   Dell'arti di lusso de'popoli politi zioni  Dello spirito e costume della nazione italiana. Della passione dell'amore de'popoli colti. Della decadenza delle na. . Della corruzione delle società . Stato delle cognizioni in una nazione corrotta. Costumi e carattere delle nazioni corrotte. Della galanteria de'tempi cavallereschi . Cagioni fisiche e morali della decadenza della sociela Divisione del dispotismo. Del civile corso delle nazioni d'Europa Dell'inondazione de'barbari e del risorgimento del Discorso sull'origine e natura della poesia. Del metodo che si tiene nel presente discorso Dell'origine del verso e del canto.  Le barbare nazioni tutte son di continuo in una vio leuza di passioni, e perciò parlano cantando Origine ed analisi delle prime lingue dei selvaggi e Diversità della seconda barbarie delle nazioni dalla prima, e del novello stato selvaggio l'europea coltura barbari Dėll'interna forma ed essenza poetica, è propria mente della facoltà pittoresca de primi poeti , Della maniera di favellar per tropi , allegorie e caratteri generici; ANALISI DI ALQUANTE VOCI LATINE le quali fu rono traportate dalle prime sensibili nozioni a rap  Della personificazione delle qualità de'corpi nata dalle prime astrazioni della mente umana. Per quali ragioni tutte le cose vennero animate Continuazione universale Della qualità patetica dell'antica poesia e de'co  Ricapitolamento di ciò che si è detto  presentarne dell'altre . La poesia è un genere d’istoria, ossia un'istoria. rica dell'antica poesia. Dell'origine della scrittura. Dalle vive fantasie de'selvaggi lori dello stile. Più distinta analisi della lingua allegorica e gene. Dell'origine della pantomimica , del ballo e della Dell ll'origine delle feste. Commedia , tragedia , satira , ditirambo furono in Conferma dell'anzidetta verità musica principio una cosa sola . Saggio del Gusto e delle belle arti Dell'oggetto delle belle arti e del gusto. Della nascita della tragedia Della tragedia. Dell'origine delle varie specie di poesia Delle belle arti. Divisione delle belle arti. Del piacevole e dell'interesse sempre vivo Dell'ingegno creatore. Quali cose formino la bellezza nelle arti imitative. L'unità forma e la bontà e la bellezza degl’esseri. Del raffinamento del gusto ed e vari fonti de lpiacere. De'contrasti, opposizione, antitesi. Del dilicato, del forte, del sublime e delle grazie. Delle sorgenti del genio. La grandezza e sublimità ċ maggiore nei barbari; la dilicatezza ne'popoli colli   Decadenza delle belle arti. Del corso delle belle arti in Roma e nella moderna Continuazione. Del maggior estabilimenta del giudiziari opotere. mente  De progres sivi avanzamenti del la Sovranità per wieszo delGiudizj. De principj della giurisprudenza di barbari. Del Duello  Degli altrimodi ad opratine' d'ùinigiudizj. Della Tortura . Della legislazione di questi tempi. Dello stato della proprietà, e dell agricoltura in; Dello sviluppo della macchina, & del migliora; il potere giudiziario non venne negli eroici; e bara bari tempi esercitata da re . quest'ultimo periodo della barbarie. De divini giudiz].mento del costume, dello spirito, e dellelina gue. Dell'arti, e delle scienze dicorest'epoca, dell origine del Commercio . L'estinzione della indipendenza privatą, la liber: D e diversi elementi della città nità per Della Religione Ultimo Dell'esternecagioni locali,che suldivariopovera Dell'originedellaplebe,ede'suoidritti. 7wotere. 20 94 iebare Delle variecagioni dalle quali nascono i diversi governi, e primi eraniente dell"interne. Della educazione rà civile, la moderazione del gover formand l'essenziale coltura delle nazioni; Dell originedell'ospitalità, e come, e quanto ella confert al miglioramento del costume de popoli . leforzeed operazioni morali sorgono dala Come modificazione dellamacchina. la varia lore i ed al vas P. X. Secondo i varj climi nascono governi diversi. Delle varie specie della legge, e della legge ci vile . La leggenon togliela libertà, ma carentisce la vera idea della libertà civile . Della libertà politica.  Del clima . De climipiùvantaggiosi all'ingegno, CA Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile . Dellaleggeuniversale, edell'ordinecasi fisico, come morale, Della legge relativamente alla proprietà. no hanno influenza: Del rapporto della società colle potenze stranie. Della libertà, e delle cagioni, che la tolgono, Quali governi sieno per lor natura guerrieri ,e quali commercianti , Della passione dell'amore de popolicolti. Delle varie funzioni della sovranità , e delle varie forme degli stati. Di due generi distari, o conquistatori, o coma mercianti. Di un terzo genere di stato nel commerciante nd conquistatore . La moltiplicazione degli uomini a maggiore negli stari guerrieri, che ne commercianti. Partizione della legge civile , qualità delle Lego gi. Dellagiust:ripartizionedelepossessioni. Dello leggiagrarie dell'antiche repubbliche, e del la varia ripartizione de'poderi. Leggi , ed usi distruttivi della proprietà . Della moneta delle Finanze. Dello spirito e costume delle colte nazioni.  Della galanteria de tempi Cavalereschie. Dell arti di lusso de'popoli politi, Costumi , e carattere delle nazioni corrotte . Diversità della seconda barbarie delle nazioni dala laprima, è del novello stato selvaggio , Del civile corso delle nazioni di Europa . Dell'inondazione de barbari, e del risorgimento delloeuropea coltura seri e delle crisi, per mezzo delle quali si Dell'estrinseche morali cagioni, che turbano il naturaleedordinariocorsodelleNazioni pag. Della varia efficacia delle anzidette cagioni orientale Delle varie fisiche catastrofi. Delle differenti epoche delle varie fisiche cata Ragioni del Vico contra l'antichità e la Sapienza. Dell'antichissima coltura degli Egizie de' Caldei» De 'Caldei. strofi della terra Della contesa delle nazioni sulle loro antichità. Dellà successione di varie fisiche vicende  Del disperdimento degli uomini per mezzo delle naturali catastrofi  Delle morali cagioni attribuite dagli uomini igno ranti a'fisici fenomeni Delle diverse cagioni delle favoleDelle diverse affezioni degli uomini nel tempo delle crisi Delle crisi di fuoco -- continuazione dell'analisi degli effetti prodotti nello spirito dallo sconvolgimento del ce Della verosimiglianza del proposto sistema.   VIantichissime nazioni orientali. Del modo come sviluppossi l'uomo dalla terra Dello stato primiero della terra e degli uomini , e delle varie mutazioni sulla terra avvenute »Seconda età del mondo Originė degli uomini secondo il sistema delle . Sviluppo dell'anzidetta platonica dottrina sui due Della favola di Pandora. Dello spirito delle prime gentili religioni periodidelmondo. Prima età del mondo » 140 9 142 ed origine della secondo l'antichissima teologia Sviluppo dello spirito umano , ·religione   Dell'invenzione dell'arti,e degli usi giovevoli L'ordine della successione delle varie catastrofi Dello stato de popoli occidentali dopo 1°Atlantica catastrofe Del diluvio di Ogige , e di Deucalione Delle morali cagioni che diedero all'anzidetta favola l'origine,ed'altre favole eziandio porto. Ricapitolazione Diunaparticolarecrisidell'Italia alla vita si ritrova solo nella mitologia Dell'Atlantica catastrofe . che alla medesima catastrofe hanno rapDello stato degli uomini, che sopravvissero'alle vicende Del terzo stato della vita selvaggia . Delecagioni,chestrinserolasocietàfamigliare, Del vero principio motore degli uomini al vivere socie Della distinzione delle famiglie, o dell'origine della  Pag. 5 della natura .  yole .Del primo stato della vita selvaggia. Del secondo stato della vita selvaggiaDelle due specie de' bisogni fisici , e morali . nobiltà.   Dell'incremento dele famiglie, e dell'origine defa Dei varjdoveri, ediritti de’ compagni, coloni, eservi. Degli affidati, e de vassalli della mezza età. Paragone tra'compagnoni de'Gerinani,socj de Greci, eicavalierierranti degliultimi barbari tempi. Del quarto stato della vita selvaggia . L'impero domestico si continuò nelle prime barbare  Dell'anıropofagia, o sia delpasto delle carni umane . Ricapitolazione de diversistatidellavitaselvaggia.moli , e delle varie ior classi.  Della religione de' selvaggi . Della domestica religione di ciascuna famiglia .' Dell'origine dell'anzidenta religion domestica.  e ' . società . De costumi de'selvaggi. Del primo passo delle selvagge famiglie nel corso civile, ossia dell'origine de'vichi,ede'paghi. Dello stabilimento delle città , e del primo periodo delle Del secondo periodo delle barbare nazioni Dell'origine de tempj , e de'pubblici , e sacri con. viti. Chene tempjdegli Deisitenneroiprimi pubblicimi Dello stato della religione delle prime società . Dell influenza della religione in tutti gli affari de' baru Della sovranità della concione , o di coloro , che la componevano.  Del governo de primi Greci , litari consigli. Della Teocrazia. bari barbariche società. 1ell'idee degli antichi intorno alla monarchia; DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo periodo della barbarie, Del governo feudale di tutte le barbare nazioni. Di costuini, del genio di questa età, e della trasmi Continuazione de’ costumi di questa età della società; Dell'arti, e cognizioni di questa età; del dritto della proprietd;  Della sorgente de dritti in generale, e di quello della proprieta; Del progresso della proprietd, e dell'ori De’ costumi, del genio di questa età, e del  Delle arri, e cognizioni di questa; Del progresso delle barbare società, ossia del terzo; DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo -- Parlando LIVIO (si veda) dell'elezione, che dove a farsi del re per LA MORTE DI ROMOLO (si veda), adopra sì, fatta espressione. Summa potestate populo perinissa. E soggiunge. Decreverunt enim (Senatores), ut cum populus jussisset, id sic ratum esset si patres auctores fierent. Quindi tu convocata la concione, e VENNE ELETTO NUMA (si veda). E l'istesso autore dell' elezione di Tullo Ostilio dice: regem populus jussit, patres auctores facti. I senatori fiebant auctures. Perchè tutte le cose prima eran proposte nel SENATO, indi alla concione recate. Auctor è l'inventore, il proponitore , il principio , ed origine della cosa .periodo della barbarie. Questi furono i QUIRITI, cioè gl’armati di asta : avvegnachè, come gl’altri popoli barbari uella concione, ne’ comizi on differente affatto dal regno eroico è il governo de’ primi ROMANI. ll re ad un SENATO prese deva, e con senatori prende le deliberazioni, le quali nella grand'assemblea del popolo ricevevano la sanzione di legge. Il POTERE de' primi re di Roma è  LIMITATO così -- come quello di tutti i riegnanti de' tempi eroici. La sovrana dello stato era la concione, che compone sida que' capi delle tribù e delle curie, i quali sono detti decuriones e tribuni, che, uniti, votano per le di loro curie, e tribù, come ne'parlamenti nostri I baroni rappresentano le di loro terre , e città. E serva, E tal antico costume VIRGILIO (si veda) dipinge negl’eroici compagni d'ENEA (si veda). DVCTORES TEVCRIM PRIMI ET DELECTA IVVENTVS CONSILIVM SVMMIS REGNI DE REBVS HABEBANT SCANT LONGIS ADNIXI HASTIS ET SCULA TENENTES -- e poi per varj gradi , e dopo molto correr di tempo alla libertà pervenne, e tardi assai acquista il diritto alla magistratura. Prima ottenne di es Da più luoghi di Omero si ravvisa il costume medesimo de’ greci. Ed è questo un generale costume di tutte le barbare genti adoprato nelle generali assemblee. Perché i barbari, temendo ognora le sorprese de’ nemici, stanno sempre in su l'armi, nè confidano la di loro sicurezza personale, anche tra’ cittadini, alla legge, ma al di loro braccio soltanto, TACITO de' Germani: ut turbae placuit, considunt armati. Tum ad negotia, nec minus suepe ad convivia procedunt armari – LIVIO 1. De’ Galli dice, In his nova, terribilisque species visa est, quod armati -- ila mos gentis --  in concilium venerunt, OVIDIO (si veda) ci attesta l'istesso de' Sarmati, degl’Umbrici STOBEO (si veda) radunavansi que' capi coll'ASTA alla mano, la quale portano per SIMBOLO del loro impero, non che per la propria difesa. La plebe è tanto serva in ROMA quanto presso i germani, i galli, i greci. La plebe non ha parte nella concione. Questo argomento è dal nostro gran VICO (si veda) ampiamente trattato. VICO sviluppa l'intero sistema del governo romano, e dispiegando il corso della storia di quel popolo dimostra che per gran tempo in Roma la plebe è dell'intutto ser affrancata, poi consegui il bonitario dominio, cioè l'utile, e dipendente dal diretto, che i nobili possedeno. Quindi fa acquisto del perfetto e compiuto dominio, detto QUIRITARIO, perchè è pria de' soli quiriti, ossia de’ PATRIZJ e NOBILI ROMANI; e finalmente ha voto nell'assemblea, e partecipe divenne della REPUBBLICA, CHE DA RIGIDA ARISTOCRAZIA IN POPOLARE ALLA FIN SI CANGIA. Come nel prin [Populus de’ Latini valse da principio , quanto “laos” de' Greci, che significa una tribù, una popolazione. Quindecim liberi homines populus est. Apuleius in Apol. E GIULIO CESARE dice nel de bello Gall. si quisant privatus, aut populus eorum decreto non stetit. Ove dinota “populus”, popolazione, tribù. Ma se “populus” da principio dinota una speciale popolazione, e tribù, nel progresso si prende tal voce per la radunanza di tutte le tribù, che componeno la città. Ma venneno rappresentate queste tribù da’ capi detti tribuni, nome che resta per dinotare militari magistrati, come tribuni milia Eum. Ma prima significa anche i civili, cio è i giudici, onde “tribunal” si dice il luogo ove amministravasi giustizia. I Latini filosofi, che vennero in tempo, che ogni orma dell' antico stato e si perdut , ed e si colle cose cambiato il vampulus trasse il nome da “populus” pioppo . Perocchè questa popolazione radunasi sotto di un pioppo quando di comune interesse trattasi, secondochè in alcune terre del regno ancor oggi si usa, quando parlamentasi. E tal costume di radunare sotto degl’alberi il popolo è ben antico, e secondo la semplicità delle prime genti. Ateneo scrive che sotto di un platano i primi re della Persia davan udienza a' litiganti, e decidevano le liti. E per avventura pocinio la plebe puo avere il diritto di suffragio ne’ comizj, non avendo proprietà nè reale, nè personale. Tale è il corso che fa la romana repubblica, come quel valentuomo dimostra, non dissimile da quelle dell'altre barbare nazioni. Egli è però vero che un'intempestiva tirannide turbo per poco il corso regolare di quella città. I re presero in Roma sin dall'albore de’ suoi giorni vantaggio “grandissimo su gl’altri prenci, e capi. Il popolo romano e più tosto un esercito, e la città un campo, e un militare alloggiamento, quella feroce, e marziale gente e sempre in guerra, e, come il lupo, verace emblema del suo genio nativo nutrivasi di sangue e distruzione. Or se come ben anche Aristotile osserva parlando degl’eroici regni, era nella guerra maggiore il poter del re presso tutte le barbare nazioni, meraviglianonè, se il capitan dell'armi, il duce della guerra, il usurpato una straordinaria potenza in Roma. Il potere esecutivo sempre ne’ empi di guerra, come il mare nelle tempeste diffondesi sulla terra, guada gpa sul poter legislativo. Ma i re di Roma sforniti di straniera milizia in vanu tentarono ritenere colla  re lor delle parole, ricevendo la tradizione, che il popolo ne' cominciamenti di quella repubblica nell'assemblea radunato dispone della pubbliche cose, s'ingannarono credendo che la plebe ben anche quivi votasse. Nella Scienza Nuova avesse forza quel potere, che avean acquistato coll’autorità. Vennero discacciati da quella repubblica, ed ella ben tosto ri-entra nel suo ordinario cammino. De’ giudizj nel secondo periodo della barbarie di Roma. Le due ispezioni della publica asemblea sono in Roma in questa epoca della barbarie la guerra esterna e la persecuzione de’ ribelli cittadini. Ma le cose private, la personal difesa, la particolar vendetta venne per anche ai privati affidata. L'impero domestico conserva il suo vigore. I feroci padri di famiglia non cedeno ancora la di loro sovrana e regia autorità, se non per quella parte che rimira la pubblica difesa, onde venne composto l'unico sociale legame. Ma rimane intatta, ed illesa la di loro sovranità riguardo alle loro famiglie, e alla privata difesa ed offesa. Viveno ancora nello stato di privata guerra. Il ferro decide delle loro contese, e col privato braccio prenden rendetta delle private offese. Il popolo dunque, che radunasi in Roma in quest'età nell'assemblea,  è quella popolazione, o truppa de’ servi, clienti, e compagni guidata dal suo capo, e il voto suo è quello del suo signore che dove sostenere, e difendere, ubbidire, e seguir nella guerra, da cui non forma persona diversa secondo le cose già dimostrate. Niun'altra nazione ci conserva monumenti più chiari dello stato della privata e civile guerra del popolo romano. Il processo romano è la storia del duello, per mezzo di cui terminano que' barbari abitatori dell'Aventino le loro contese, tutti gl’atti, e le formole di tal processo altro non che i legittimi atti di pace sostituiti a que' primi violenti modi. Quando la concione, ossia il governo, comincia a mischiarsi nelle private contese, a poco a poco il duello abole, e cangia il modo d i contrastare, rilasciando in tutto l'apparenza medesima, le formole, e gl’atti stessi: la guerra armata in LEGALE COMBATTIMENTO è tramutata. Secondo che altrovesi è deito, i riti, e le formole sono la storia dell'antichissima età delle nazioni. Ciocchè l'acutissimo VICO (si veda) al proposito di alcune formole dell'antico processo romano osserva.  Sono. Ma il processo civile ci conserva le formole dell'antica barbarie, e non già il criminale. Il civile nasce ne'tempi alla barbarie più vicini. Più tardi  ha l'origine il giudizio criminale. I barbari soggettano prima i loro averi all'arbitrio altrui che le proprie persone. L'ultima cui si rinunzia da costoro è la vendetta personale. Meno si sacrifica della naturale indipendenza, rimettendo nelle mani di un terzo i diritti della proprietà che quelli della persona. Quindi i pubblici giudizii essendo sorti nel tempo della coltura, non serban gran vestigii dello stato primiero. Francesco Mario Pagano. Mario Pagano. Pagano. Keywords: eroe, massone, Italia si fara, Roma, Aventino, Vico, Livio, Romolo, Numa, Giulio Cesare, patrizj, nobili Romani, forma aristocrazia della prima repubblica, tribu, curia, tribuni, diacuriani. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pagano” – The Swimming-Pool Library.  

 

Grice e Paggi: la ragione conversazionale e l’implicature conversazionali degl’ebrei -- ffilosofia ebrea – “Ebrei d’Italia” – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Siena). Filosofo italiano. Grice: “C. of E. folks are all over the place – but how many of them actually KNOW Hebrew!?”” -- essential Italian philosopher. Filosofo. Insegna a Lasinio, Tortoli e a Ricci. Svolge per diversi anni l'attività di mercante nella sua città natale. Abbandona il commercio ed aprì un istituto. Insegnante ed educatore nello stesso istituto, sviluppando un metodo logico, facile ed ameno insieme. La Comunione israelita lo volle a Firenze, dove Paggi si trasfere con la moglie e i cinque figli. Insegna nelle Pie Scuole fiorentine, mentre i figli Alessandro e Felice avviarono una casa editrice. Tra i testi pubblicati vi furono anche le opere del padre, apparse nella collana «Biblioteca Scolastica». Scrive inoltre una grammatica e un lessico ebraici per i suoi figli. Per opera della moglie sorse a Firenze un istituto. “Ebrei d'Italia” (Livorno, Tirrena); “Una libreria fiorentina del Risorgimento” (Firenze, Ciulli). Mordecai Paggi. Paggi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paggi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pagliaro: la ragione conversazionale e l’implicature conversazionali dei siculi – filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Mistretta). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Linceo. Fu uno dei fondatori della scuola di romana. Fra i padri della semiologia, ha introdotto gli studi sul pensiero linguistico. Dopo il diploma al Regio Ginnasio di Mistretta, si iscrisse al corso di laurea a Palermo, dove ebbe, tra gli altri, come docenti Nazari, Pitrè, Gentile e Guastella. Si trasfere poi a Firenze dove subì l'influenza di Vitelli, Antoni e Pistelli. Partecipa volontario come sottotenente del Corpo degli arditi, e fu insignito della medaglia d'argento al valor militare. Si iscrisse all'Associazione Nazionalista Italiana e  prese parte all'Impresa di Fiume al seguito di Annunzio. Si laureò discutendo con Parodi e  Pasquali la tesi Il digamma in Omero. Trascorse un periodo di studio in Germania, seguendo corsi di linguistica latina di Meister. Seguì i corsi di Kretschmer a Vienna. Ritornato in Italia, conseguì la libera docenza in indoeuropeistica, quindi fu chiamato da Ceci ad insegnare, per incarico, storia comparata delle lingue romanzi a Roma. Vinto un concorso a cattedre, divenne ordinario di glottologia, nuova disciplina che ereditava il corso di Storia comparata delle lingue romanzi. Insegnò anche "Storia e dottrina del fascismo"  e "Mistica fascista.” Aderì al Partito nazionale fascista e ne fu uno degli intellettuali di spicco, presiedendo anche alcune edizioni dei Littoriali della cultura, che ogni anno raccoglievano i migliori universitari italiani. Fu primo capo redattore dell'Enciclopedia Italiana, dove curò numerose voci, fin quando non entrò in contrasto con il conterraneo Gentile, che dirigeva l'opera. Non figura tra gli accademici d'Italia, ma fu eletto al Consiglio superiore dell'educazione, dove rimase fino allo scioglimento.  Fu voluto da Mussolini alla guida del “Dizionario di politica” dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, una ponderosa opera che raccolse le migliori intelligenze del fascismo, ma anche qualche intellettuale "eretico". Il suo nome compare tra i 360 docenti universitari che aderirono al Manifesto della razza, premessa alle successive leggi razziali fasciste, anche Mauro scrive che egli dissentì dalla politica razziale del fascismo. Con la caduta del Regime fascista, è sospeso ndall'insegnamento. Reintegrato nella cattedra, insegna Filosofia del linguaggio a Roma. Presidente della sezione "Archeologia, Filologia, Glottologia" della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. Presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e prima socio corrispondente poi, socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Fu anche direttore editoriale, per la Fabbri, della Enciclopedia di Scienze e Arti. Fu rieletto, con larghissimi consensi, al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Nel comitato scientifico dell'Istituto nazionale di studi politici ed economici. Promotore e direttore della rivista Ricerche linguistiche e presiedette la sezione filologica del Centro di studi filologici e linguistici siciliani. Candidato alla Camera per il Partito Monarchico Popolare nella circoscrizione Sicilia orientale  e al Senato nel collegio Roma ma non e eletto. La Rai trasse un sorprendente sceneggiato per la televisione da un suo testo che dava una nuova interpretazione della vicenda di Alessandro Magno. Membro della giuria del premio Marzotto. Lascia anticipatamente l'insegnamento universitario. Palermo e la città di Mistretta hanno istituito, in sua memoria, il “P.”.  Esplora soprattutto l'antico e medio persiano, la lingua della Grecia classica, quindi il LATINO classico e medievale, nonché l'italiano dei tempi di ALIGHIERI cui ha dedicato varie opere e della scuola siciliana. Come critico letterario e glottologo, diede nuove, originali interpretazioni di VICO, ANNUNZIO e PIRANDELLO.  In ambito linguistico, già nel suo Sommario di linguistica ario-europea, che comprendeva oltre le lezioni dei suoi corsi universitari anche innovative linee di ricerca e nuove idee, delinea una nuova prospettiva di approccio e di indagine delle varie questioni linguistiche la quale viene condotta parallelamente ad un confronto storico-critico con l'evoluzione del pensiero filosofico dalla grecità alla filosofia classica tedesca. Al contempo, P. abbozza in esso prime idee sulla NATURA DEL LINGUAGGIO INTESO fondamentalmente come TECNICA ESPRESSIVA, allontanandosi così dall'idealismo crociano per avvicinarsi piuttosto al positivismo, ed analizzando in modo approfondito, ma al contempo trasversalmente alle varie discipline, la natura e la struttura dell'atto linguistico fra due inter-locutori basandosi sia sull'indagine semantica -- mediante un metodo che egli chiama "critica semantica" -- che sull'interpretazione storico-critica, fino a considerare il linguaggio come una forma di inter-azione semiotica condizionata storicamente da una tecnica funzionale, la lingua. Nel simbolismo linguistico -- soprattutto fonetico -- poi, afferma P. ne” Il segno vivente” riecheggiano non solo l'individualità ed il vissuto dell'inte-rlocutore ma anche la storia dell'intera umanità a cui egli appartiene come soggetto storico.  In estrema sintesi, si può dire che la sua teoria linguistica è una posizione unificata tra lo strutturalismo saussuriano e l'idealismo hegeliano. Altri saggi: “Epica e romanzo, Sansoni, Firenze; Sommario di linguistica ARIA, Bardi, Roma; “Il fascismo: commento alla dottrina” Bardi, Roma; “La lingua dei Siculi, Ariani, Firenze, Il comune dei fasci, Monnier, Firenze, La scuola fascista” (Mondadori, Milano); “Dizionario di Politica,” Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma); “Insegne e miti della nazione italiana, la nazione romana: teoria dei valori politici – la romanita e la razza romana, Ciuni, Palermo; Il fascismo nel solco della storia” (Libro, Roma; Le Iscrizioni Pahlaviche della Sinagoga di Dura-Europo” (R. Accademia d'Italia, Roma; Storia e Dottrina del fascismo” (Pioda, Roma); “Teoria dei valori politici” (Ciuni, Palermo; Logica e grammatica” (Bardi, Roma); “Il canto V dell'"Inferno" d’Alighieri” (Signorelli, Milano); “Il segno vivente” (ERI, Torino); “La critica semantica” (Anna, Firenze); “Il contrasto di Cielo d'Alcamo e poesia popolare” (Mori, Palermo); “Linguistica della "parola"”(Anna, Firenze);  “I primordi della lirica popolare in Sicilia” (Sansoni, Firenze); “La Barunissa di Carini: stile e struttura” (Sansoni, Firenze); “FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO (Ateneo, Roma); “La parola e l'immagine” (Scientifiche, Napoli); “Poesia giullaresca e poesia popolare” (Laterza, Bari); “La dottrina linguistica di VICO” (Lincei, Roma); “Il Canto XIX dell'Inferno” (Monnier, Firenze); “Linee di storia linguistica dell'Europa” (Ateneo, Roma); “L'unità ario-europea: corso di Glottologia,” Ateneo, Roma, Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia,  Anna, Firenze, “Forma e Tradizione,” Flaccovio, Palermo, “La forma linguistica,” Rizzoli, Milano, Vocabolario etimologico siciliano, Pubblicazioni del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo, Storia della linguistica, Novecento, Palermo. Commento all'Inferno di Dante. Canti I-XXVI, Herder, Roma); Romanzi Ceneri sull'olimpo, Sansoni, Firenze, Alessandro Magno, ERI, Torino, Ironia e verità, Rizzoli, Milano (raccolta di elzeviri). Sottotenente di complemento, 32º reggimento di fanteria Aiutante maggiore in 2a in un battaglione di riserva, vista ripiegare una nostra colonna d'attacco, riordinava i ripiegandi e li guidava al contrattacco, respingeva il nemico che già aveva occupato un tratto della nostra linea. In un successivo attacco, sotto un intenso bombardamento e il fuoco di mitragliatrici avversarie, dava mirabile esempio di coraggio e di fermezza indirizzando intelligentemente i rinforzi nei punti più minacciati e facilitando così la conquista di ben munite e contrastate posizioni. Monte Asolone. Cfr. M. Palo, S. Gensini, Saussure e la scuola linguistica romana: da Pagliaro a Mauro, Carocci, Roma,.  La scuola linguistica romana. Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia. Cfr. Gabriele Turi, Sorvegliare e premiare. L'Accademia d’Italia, Viella, Roma,  Cfr. Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, Cit.  Cfr. Riunioni, Cfr. Riunioni Accademia Nazionale dei Lincei  Centro di studi filologici e linguistici siciliani » La storia, su csfls. Cfr. Mininterno Camera  Mininterno Senato //opar.unior//1/Filologia_dantesca_di_P. .pdf  Cfr. D. Cesare, "Premessa", Lumina. Rivista di Linguistica Storica e di Letteratura Comparata,  Cfr. pure E. Salvaneschi, "Su Attila Fáj, maestro di «molti paragoni»", Campi immaginabili. Rivista semestrale di cultura, Cfr. Tullio De Mauro, Prima lezione sul linguaggio, Editori Laterza, Roma-Bari, Tullio De Mauro, La fede del diavolo  Istituto Nastro Azzurro   Studia classica et orientalia. Oblate, Casa Editrice Herder, Roma, Münster, M. Palo, Stefano Gensini, Saussure e la scuola linguistica romana. Da Pagliaro a  Mauro, Carocci Editore, Roma, Vallone, "La „Lectura Dantis” di Antonino Pagliaro", in Deutsches Dante-Jahrbuch, Edited by Christine Ott, Walter Belardi: studi latini e romanzi in memoria di Antonino Pagliaro, Pubblicazioni del Dipartimento di Studi glottoantropoligici dell'Roma La Sapienza, Roma, Aldo Vallone, Enciclopedia Dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma, M. Durante, T. De Mauro, B. Marzullo, Pubblicazioni dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, Palermo, Bonfante, Antonino Pagliaro, Pubblicazioni dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, Belardi, Pagliaro nel pensiero critico del Novecento, Calamo, Roma,  D.  Di Cesare, Storia della filosofia del linguaggio, Carocci, Roma, Mauro, Formigari (Eds.), Italian Studies in Linguistic Historiography. Proceedings of the International Conference in Honour of Pagliaro. Rome, Nodus Publikationen, Münster, Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto. Il Dizionario di politica del Partito nazionale fascista, prefazione di Lyttelton, Unicopli, Milano, Tarquini, Gentile dei fascisti: gentiliani e anti-gentiliani nel regime fascista, Mulino, Bologna, Battistini, Gli studi vichiani di  P., Guida, Napoli, Mauro,  Dizionario biografico degli italiani, Roma, Enciclopedia Italiana Dizionario di Politica Linguistica Semiologia Filologia Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere d La Scuola linguistica romana, su rmcisadu.let.uniroma.  GRICE E PAGLIARO: IMPLICATVRA ARIA  LINGUA E RAZZA  Schlòzer da per primo il nome di  «semitico » al vasto dominio linguistico che ha il suo centro originario fra la Mesopotamia e il Mediterraneo, le montagne dell’Armenia e le coste meridionali dell'Arabia, e che per successive migrazioni  e conquiste si è allargato su una notevole parte del continente africano. Tale denominazione si richiama alla tavola dei popoli tramandata nella “Genesi”  nella quale si distinguono i popoli  discendenti da Sem, primogenito di Noè, dai popoli discendenti dagl’altri due fratelli, Cam ed Iafet. La parentela linguistica fra l'arabo e  l'ebraico, le due lingue più vitali del gruppo, e già stata notata  dai grammatici ebrei ma la precisa nozione di unità semitica, concordante con quella che se ne ha nel  mondo ebraico all’epoca in cui e redatta la Genesi è ben più recente e, nella sua formulazione scientifica, è un riflesso della precisa nozione di unità ario-europea costituitasi nel nostro tempo. Oggi il gruppo semitico si  suole distinguere in semitico orientale che comprende il babilonese  e l’assiro, e in semitico occidentale. Quest'ultimo si distingue a sua  volta in semitico nord-occidentale -- che comprende il gruppo aramaico,  di cui la più importante manifestazione è il siriaco, e il gruppo cananco, a cui appartiene l'ebraico --, e in semitico sud-occidentale, di  cui fanno parte l'arabo settentrionale e meridionale e l’etiopico.  Ad indicare la vasta unità linguistica comprendente quasi tutta  l'Europa e buona parte del continente asiatico, scientificamente accertata per primo da Bopp in uno studio comparativo sulla coniugazione, appare per la prima volta nell'Asia polyglotta di Klaproth il termine ‘indo-germanico.’ Tale termine, divenuto usuale, intende riunire i  due punti estremi del dominio linguistico considerato e si è affermato in tedesco, nonostante che le più vaste conoscenze posteriori  pongano come estrema zona ad Occidente quella del celtico e ad  Oriente il tocario. Fra tutte le denominazioni altrove usate, e cioè  “indo-europeo”, “ario-europeo”, ed “ario”, questa ultima è forse la più propria,  poichè, se non nome unitario di popolo, è certo una denominazione  che parecchi popoli del gruppo usano darsi nei confronti degl’altri  popoli. Purtroppo, in linguistica l'uso di «ario» in senso così vasto  può ingenerare confusione, essendo esso abitualmente riservato al  gruppo indoiranico. Noi tuttavia l’accogliamo come il meno impro-  prio e anche per avere una terminologia uniforme con altre discipline,  ' come la paletnologia e l'antropologia che l’usano già stabilmente  nell'accezione più vasta. L'unità linguistica aria comprende oggi i  seguenti gruppi storicamente accertati: in Asia l’indiano, l’iranico, il  tocarico, l’hittito, l’armeno, il traco-frigio; in Europa l'illirico, il  greco, lo slavo, l’italico, il baltico, il germanico e il celtico. In Asia  delle lingue arie sopravvivono soltanto l’indiano, l’iranico e l’armeno;  in Europa tutte le lingue oggi parlate sono di derivazione aria, fatta  eccezione dell’ungherese, del finnico, dell’estone e del basco.  Nessuna scienza storica opera con metodo così sicuro come la  linguistica, la quale dispone di un materiale di osservazione vastis-  simo, sia attuale sia documentato nel tempo. L'unità linguistica aria  e quella semitica sono verità acquisite, assolutamente incontroverti-  bili, anche se le lingue che ad esse partecipano siano ormai profon-    594    damente differenziate. Compito della linguistica storica è per l’appunto, una volta riconosciuta l’unità genetica originaria, di seguire  nel quadro di essa le modalità e, vorremmo dire, le leggi degli svi-  luppi e delle differenziazioni, che hanno determinato la fisionomia  delle singole lingue come noi oggi le conosciamo; compito a volte  arduo, specie quando dalla ricognizione dei fatti si voglia risalire alle  loro cause, cioè ai momenti umani che danno origine all'innovazione;  ma tuttavia ricco di risultati grandissimi, i quali dal campo della  glottologia si estendono a tutte le altre discipline, che studiano l’u-  manità nelle manifestazioni concrete della sua storia. Il linguaggio  è una delle forme più importanti, anzi la più importante, in cui l'u-  manità realizza se stessa come realtà spirituale, e perciò le lingue  costituiscono gli archivi, in cui si traducono con incomparabile ricchezza e fedeltà gli eventi, le esperienze, le creazioni dei popoli at-  traverso i secoli ed i millenni.    Le nozioni di razza aria e di razza semitica, come nozioni scientifiche, sono certamente posteriori alle nozioni dell'unità linguistica  rispettiva.   Per quanto si riferisce agli Ari, prima della scoperta della loro  unità linguistica non si ebbe nemmeno la nozione empirica di una  parentela etnica fra i popoli che la compongono. L'affinità etnica è  grossolanamente intuita presso i Greci, soltanto in base alla comu-  nione linguistica per cui «barbari», probabilmente « balbuzienti »,  sono coloro che parlano un’altra lingua. I ROMANI, che pure ebbero  così vivo il senso della loro stirpe, non ebbero mai la percezione che  quei Galli, Germani e Parti, contro i quali strenuamente combatte-  rono, discendevano dallo stesso loro ceppo. L'autorità della tradizione  biblica con la babelica confusione delle lingue tolse poi del tutto  la possibilità di pensare ad un legame linguistico fra popoli diversi  e ad un legame etnico che non fosse quello indicato nella Genesi. Tanta fu l'autorità delle Sacre Scritture, anche nel campo degli inte-  ressi linguistici, che, se tentativi si ebbero per ricercare la derivazione  di questa o quella lingua, furono sempre diretti a stabilire la priorità  e la paternità dell’ebraico, come avvenne nel corso del Seicento e del  Settecento; tentativi di nessun valore, al pari degli altri diretti alla  creazione di una « grammatica razionale », che valesse per le lingue  di tutti i tempi e di tutti i luoghi.   Anche presso i popoli semitici, se se ne toglie il peso che la tradi-  zione religiosa contenuta nella Bibbia potè avere nel mondo giudaico,  mancò il senso di una propria reciproca parentela, mentre fu quanto  mai vigoroso proprio presso gli Ebrei il senso della propria indivi-  duazione come popolo, legato alla coscienza di popolo eletto.   La scoperta e la fissazione in termini scientifici di unità lingui-  stiche originarie come quella aria e quella semitica, a cui seguirono  scoperte abbastanza numerose di altri gruppi linguistici, aprirono la  via al problema se a tali unità linguistiche rispondessero unità etniche  più o meno nettamente definite. In un primo tempo, com'è noto, ad  opera del De Gobineau, del Chamberlain e di altri, si assunse senza  discussione l'identità fra unità linguistica ed unità etnica, fra lingua e  razza, e si procedette alla ricerca delle caratteristiche differenziali fisiche e psicologiche, che potessero ancor meglio individuare sul piano  razziale i diversi gruppi linguistici. Tale procedimento, ispirato in  genere a criterio polemico, è stato condannato come dilettantesco  e prescientifico tanto dai linguisti, quanto dagli antropologi, asse-  rendo gli uni e gli altri che la lingua è patrimonio facilmente tra-  smissibile da individuo ad individuo, da gruppo a gruppo e non può  essere quindi assunta a caratteristica etnica preminente ed esclusiva.  A rinsaldare questa convinzione, contribuirono tentativi, come quello  fatto da Federico Miiller, di far coincidere una classificazione delle  lingue con una classificazione antropologica, destinati all’insuccesso,  anzitutto per l'incertezza delle classificazioni antropologiche, poi per  l'intervento del fattore storico che fa talvolta assumere da individui    596    e da gruppi lingue di popoli etnicamente diversi. A questo riguardo,  si suole richiamare il classico esempio dei Bulgari, che dal punto di  vista etnico sono genti turaniche e dal punto di vista linguistico sono  slavi, cioè ari.   D'altra parte, questo negare l’esistenza di ogni rapporto fra razza  e lingua con l’attribuire valore discriminante nella classificazione delle  razze ai soli caratteri strettamente biologici, non soltanto è contrario  alle nostre reali esperienze, ma verrebbe a togliere ogni valore a  quelle distinzioni ormai acquisite come fra razza aria e razza semi-  tica, le quali, come si è visto sopra, hanno come precedente storico e  come fondamento il riconoscimento della rispettiva individualità lin-  guistica.   Dato ciò, sembra qui opportuno chiarire in quale misura sia  possibile fare valere il criterio linguistico nella discriminazione  delle razze.    Esiste certamente una differenza sostanziale e profonda fra la  linguistica e l'antropologia, sia nell'oggetto sia nel metodo, che ne  rende difficile e poco proficua la collaborazione. La linguistica è di-  sciplina essenzialmente storica, tanto che le sue classificazioni hanno  vero valore solo se abbiano fondamento genetico. Ciò si vede soprat-  tutto nel campo della linguistica aria, che fra tutte le discipline lin-  guistiche è certamente la più progredita. Qui dalla comparazione  fra le lingue storiche si riesce a postulare con sufficiente sicurezza la  struttura originaria della lingua comune da cui esse discendono; si  riesce a fissarne i caratteri propriamente genetici, liberandoli dalle  modificazioni successive determinate--da molteplici cause, fra cui  principalissimi j contatti e le mistioni con popoli di altra lingua. Così  noi sappiamo con relativa sicurezza qual’erano la struttura fonetica e  morfologica e il patrimonio lessicale dell’ario dell’epoca comune, all’incirca come potremmo ricostruire dalle lingue romanze LA LINGUA LATINA, se non l’avessimo documentata. E’ una ricostruzione che ha  quasi una realtà matematica, fondata com'è su norme di sviluppo  fonetico che, se non sono leggi ineccepibili, come si credeva alcuni  decenni or sono, hanno tuttavia una vastità e regolarità di applicazione che non ha riscontri in altri campi delle creazioni umane.   L'antropologia, invece, per insufficienza e discontinuità del ma-  teriale d'osservazione, è costretta a gravitare sul presente cercando di  classificare le razze umane in base ai caratteri morfologici attuali, e  solo eccezionalmente qualche importante trovamento apre ad essa la  possibilità di rintracciare precedenti sporadici, generalmente assai di-  stanti, di questo o quel tipo umano. Il materiale antico rinvenuto  è così scarso e frammentario che le conclusioni che se ne possono  trarre sono molto tenui e malsicure. Così avviene che, mentre del-  l’unità aria dal punto di vista linguistico noi abbiamo una sicura no-  zione, poichè la comparazione ci consente di risalire oltre i confini  della storia, della struttura somatica degli Ari nulla di sicuro sap-  piamo, poichè nell’osservazione delle caratteristiche somatiche degli  Ari attuali l'antropologia non è ancora in grado di distinguere i  caratteri geneticamente originari da quelli acquisiti in seguito a me-  scolanza. Oggi non si è davvero:in grado di dire se gli Ari fossero,  ad esempio, dolicocefali e biondi o mesocefali e castani, a capelli lisci  o a capelli ondulati. La ragione di ciò è dovuta al fatto che non esiste  un’antropologia genetica, la quale consenta di chiarire, dato un tipo  capostipite, quali siano i caratteri, permanenti nel corso delle ge-  nerazioni e quali quelli che si mutano o si acquisiscono. Teorica-  mente, nel confronto fra i vari tipi di probabile discendenza aria  dovrebbero potere risultare i caratteri specifici da attribuire ad un  Ario astratto della preistoria; praticamente ciò non è possibile per la  insufficiente conoscenza che si ba, delle modalità con cui si traman-  dano i caratteri biologici, sia ifisici, sia psichici.   Avviene così, ad esempio, ghe: l'Europa, mentre è fondamental-  mente unitaria dal punto di vista linguistico, da quello antropologico  annovera numerose razze, la mediterranea, l’alpina, la dinarica, la  nordica, nè le differenze, che caratterizzano tali razze, combaciano  con le differenze che caratterizzano i vari gruppi linguistici determi-  natisi in seno all’originaria unità.   Nonostante questa mancata concordanza di dati fra la linguistica  e l'antropologia, le due discipline maggiormente impegnate nella  definizione delle razze umane, è certo che razze esistono con carat-  teri ben precisi e differenziati e che, nella pratica, anche al più mo-  desto osservatore non sfugge l’esistenza di tipi umani diversi, i quali  assommano i caratteri di unità razziali diverse. Nell'ambito stesso  dell'unità aria, a nessuno sfuggirà l’esistenza di una unità aria medi  terranea e di un'unità aria nordica, c, a un più attento esame, nel-  l'ambito di queste unità, sarà possibile rintracciare altri tipi umani i  quali danno fisionomia ai diversi popoli che le compongono. Fuori  di ogni dubbio è poi, nell’ambito della razza bianca, la distinzione fra  razza aria e razza semitica, anche se, per la prima più che per la  seconda, non si riesca a individuare i caratteri biologici originari.   Questo fatto è prova che non il solo dato antropologico ha va-  lore nella determinazione della nozione di razza. Poichè, come sopra si è detto, la nozione di razza aria e razza  semitica ha avuto come suo precedente la nozione di unità lingui-  stica aria ed unità linguistica semitica, è indubbio che il fattore lingua  deve avere un valore determinante nella costituzione dell’unità raz-  ziale. Qual'è dunque il fondamento dell’obiezione in contrario, alla  quale si è sopra accennato, che la lingua, essendo facilmente domi-  nata da fattori storici e culturali, non sia elemento stabile nella conti-  nuità delle generazioni, per il fatto che può essere sostituita con  quella di altri popoli, e perciò sia inadeguata a fornire criterio nella  discriminazione delle razze? Bisogna, anzitutto, tenere presente che dalla nozione di razza  come dalla nozione di lingua esula ogni idea di purezza in senso as-  soluto, specie quando si tratti di popoli di cultura che hanno dietro  a sè una storia lunga e complessa. Gli stessi Ebrei possono conside-  rarsi razza pura, e relativamente pura, solo dal momento in cui hanno  cominciato a volerlo essere deliberatamente, a tradurre il loro istinto  dell'isolamento come popolo in norma di carattere religioso. Tutti  i popoli ari dell'Europa e dell'Asia sono, senza eccezione, risultati  dalla mistione fra la minoranza dei conquistatori ari e la vasta massa  delle popolazioni preesistenti nelle zone occupate. Non è certo pre-  sumibile che gli Ari al loro arrivo nelle loro sedi storiche abbiano  distrutto le popolazioni preesistenti, le quali, ad esempio in Grecia,  in Italia e sull’altipiano iranico, erano in possesso di civiltà notevol-  mente progredite. D'altra parte, di tali mescolanze ci danno sicura  testimonianza, oltre che i dati dell'archeologia preistorica, lo inte-  grarsi della lingua aria comune in nuove unità, che sono quelle a  noi storicamente note. 1 profondi rivolgimenti che alcune lingue  hanno subìto anche nella struttura fonetica, ad esempio le rotazioni  delle consonanti in germanico, non si possono altrimenti spiegare se  non riferendole all'influenza di un sostrato alloglotto. E' noto che una  parte non trascurabile del lessico del latino e dei volgari romanzi  non si spiega nell’ambito dell’ario e deve essere riportato al fondo  linguistico non ario su cui il latino venne a distendersi.   Orbene, che un popolo, come è il caso di quello bulgaro, abbia  assunto una lingua diversa non è altro se non un fatto di sincretismo  in cui prevale la civiltà di maggiore prestigio. Quello che importa te-  nere fermo è per l'appunto che il sincretismo, cioè la creazione di  un risultato nuovo non inferiore agli elementi che vi hanno concorso,  si ha solo quando la mescolanza sia guidata da un senso più o meno  vivo di affinità elettiva. Ciò si può osservare con sufficiente sicurezza sia nel senso posi-  tivo sia in quello negativo. Nella penisola greca la civiltà minoica si  è confusa con quella degli Ari sopravvenuti ed ha dato origine alla  meravigliosa civiltà ellenica. In Italia il senso di conquista degli Ari  nomadi e guerrieri si è trasfuso nell'ordine civile delle popolazioni  stanziali ed ha dato origine alla mirabile e grandiosa civiltà romana  che è poi la civiltà dell'Occidente. Evidentemente, fra le genti arie  sopravvenute e le popolazioni mediterranee si determinò una facile  intesa, dovuta al fatto che non vi dovettero essere fra esse sostanziali  differenze di ordine fisico e spirituale e tali da produrre una corru-  zione anzichè un miglioramento, dal punto di vista etnico e cultu-  rale. In Italia, in Grecia, e dovunque si affermò la lingua aria, i ca-  ratteri dominanti furono indubbiamente dati dalla stirpe aria e per  questo, nonostante le differenze che si osservano fra i diversi popoli  di questo gruppo, è facile cogliere in numerosi e cospicui tratti gli in-  dizi della comune origine.   Vi sono invece casi in cui questa affinità elettiva che dà la premi-  nenza ai caratteri del tipo superiore non ha luogo, per motivi che  non è sempre facile individuare. La storia di alcuni millenni di-  mostra, per esempio, come fra gli Ari e i Semiti essa sia comple-  tamente mancata e che le due stirpi si sono sempre tenute in reciproca  difesa, quasi istintivamente conscie che da una fusione si dovesse  avere la perdita da una parte e dall'altra dei rispettivi caratteri dif-  ferenziali. Dovunque Semiti ed Ari si sono trovati in contatto si  sono sempre scontrati in lotta senza quartiere: gli Irani contro  l'impero di Assiria, Roma contro Cartagine, il mondo cristiano con-  tro l'Islam. Sia che vincessero gli uni, sia che vincessero gli altri  la barriera fra i due mondi non fu mai superata. Da una parte e  dall’altra, tranne sporadiche infiltrazioni, due mondi diversi hanno  conservato tenacemente la loro autonomia, e gli stessi apporti culturali che l'uno ha dato all'altro sono stati da ciascuno svolti, interpre-  tati ed elaborati secondo la propria natura. Il Cristianesimo è diven-  tato universale nell’interpretazione romana. Il senso ario della con-  quista e dell'espansione assume nella coscienza e nella prassi giu-  daica aspetti e modalità, per cui non è quasi più riconoscibile.   Ed è certo bene che sia così, che cioè la barriera sussista, poichè  il suo abbattimento non è, come la storia categoricamente dimostra,  nella natura delle cose. Ciò si potrà rilevare in molti campi, ma a  noi preme rilevarlo proprio nel campo della lingua, che oggi è senza  dubbio uno dei più importanti fattori differenziali degli aggruppa-  menti razziali. Difatti, quando noi attribuiamo questo o quel popolo  al gruppo ario o al gruppo semitico lo facciamo soprattutto in base  al criterio linguistico che è alla base di tali gruppi, e dove tale cri-  terio sia reso fallace, com'è il caso dell'elemento giudaico che ha  assunto a propria lingua la lingua nazionale dei popoli presso i quali  vive, vi si sostituisce un criterio pure di ordine storico, quello religioso.   Per l'appunto, nel campo linguistico la differenza costituzionale  fra il semitico e l’ario, sia dal punto di vista fonetico per il prevalere  in quello di suoni laringali ignoti all’ario, sia dal punto di vista mor-  fologico per la diversità sostanziale della rispettiva flessione, si rivela  così profonda da non consentire un sincretismo produttivo. L'elemento  arabo, penetrato nel persiano in larga misura in seguito alla conver-  sione della Persia zoroastriana all’islamismo, si è limitato al lessico e  non ha intaccato la struttura fonetica e morfologica squisitamente aria  di quella lingua; vi è rimasto così estrinseco, che, a seguito della ri-  presa nazionale avutasi con la nuova dinastia, l'elemento arabo viene  progressivamente sostituito con elemento propriamente iranico. Quan-  do poi una lingua semitica è stata assunta da popoli di stirpe aria i ri-  sultati che se ne sono avuti sono, nel loro aspetto negativo, profonda-  mente significativi. Questo è, come è noto, il caso di Malta in cui  il primitivo idioma romanzo venne per effetto della lunga occupa-  zione musulmana sostituito con un dialetto arabo magrebino: l'arabo, forzato in una impostazione vocale completamente estranea, ne è  uscito così malconcio e così, come si suol dire, corrotto, da giustifi-  care quasi le interessate fantasie della pseudo-scienza linguistica bri-  tannica, che nel dialetto maltese voleva riconoscere, anzichè un dia-  letto arabo storpiato da bocca romanza e sempre ricco di elementi  italiani, nientemeno che la sopravvivenza di un antico idioma fenicio.    Se ora ci poniamo il problema concreto della formazione del-  l’unità etnica, ci appare chiaro che il processo non è diverso da quello  della formazione dell'unità linguistica. Per l'una e l’altra unità è er-  rore gravissimo partire dall'immagine dell’albero genealogico dal cui  ceppo, quasi per virtù interiore di linfa, si siano venuti staccando  tanti rami, integralmente fedeli alla natura e alla struttura di quello.  Niente di più falso, poichè se ciò fosse si dovrebbe avere, tanto nel  caso delle lingue quanto in quello delle razze, propagazione uniforme  e non formazione di nuove unità più o meno nettamente differen-  ziate. L'albero genealogico sarebbe giustificato solo se in esso potesse  risultare il complesso degli apporti e delle cause che hanno determi.  nato la figura particolare di ciascuna unità. %   Prendiamo il caso della lingua. Non esistono lingue, specialmente  a larga diffusione, che non siano costituite da una più o meno grande  varietà di dialetti. L'unità neolatina, ad esempio, è divisa in tante  lingue, italiano, francese, spagnuolo, provenzale, rumeno, per dire le  maggiori, e queste sono alla loro volta distinte in varietà dialettali  più o meno nettamente individuabili. Qual'è il motivo di tanta dif-  ferenziazione, quando è noto che alla base di tante e così varie lingue  e dialetti vi è l’unità latina, cioè una lingua di cultura, affermatasi per  forza d’armi e prestigio di civiltà? Anzitutto, come causa di trasfor-  mazione appare la reazione del sostrato etnico-linguistico su cui il  latino si è venuto a sovrapporre, sicchè non di latino volgare bisogna parlare, bensì di tanti volgari, per quante sono le zone linguistica-  mente individuate in precedenza, di cui il latino s'impossessa. Inter-  vengono poi i contatti che ciascun gruppo già delineato ha con popoli  di altra lingua, germani, slavi, ecc., e gli sviluppi particolari di cia-  scuna cultura che necessariamente si riflettono in ciascuna lingua, so-  prattutto attraverso il convergere delle varietà dialettali verso la lin-  gua comune, cioè verso una più piena e precisa unità. In altre parole,  il processo per cui le lingue sì determinano non deve essere guardato  nel suo aspetto di disintegrazione di un’unità, bensì piuttosto in quello  integrativo che la nuova unità veramente determina. Ciò ha ancor  maggiore valore, quando non si tratti, come è il caso del latino, di  una lingua di cultura, quindi chiaramente unitaria, che si sovrappone  con il peso della civiltà di cui è espressione su lingue di minore prestigio, bensì di unità linguistica naturale, in cui il processo integra-  tivo, lento e faticoso, costituisce la modalità stessa di essere della lin-  gua. Le unità linguistiche, come si è detto, non esistono mai interna-  mente indifferenziate e ciò deve essere inteso come il risultato di  quella necessità naturale per cui il comprendere, e perciò l’esprimersi,  avviene prima fra i membri di una famiglia, poi fra i membri di  una gente, di una tribù, di un popolo, di diversi popoli, ed è questa  necessità sempre più vasta di esprimersi e di intendersi che costituisce  quelle vaste unità alle quali noi diamo il nome di unità aria e di  unità semitica. Da queste considerazioni deriva che nessuna teoria è  tanto assurda quanto quella della monogenesi del linguaggio, non  meno assurda, o almeno altrettanto poco giustificata, quanto quella  che volesse scientificamente riportare tutti i caratteri delle attuali  razze umane nella loro infinita varietà ai caratteri di una coppia  capostipite. Come per questa altra realtà non si può postulare se non  quella dell'essere uomini, così per la lingua originaria altra qualità  non è possibile postulare se non quella di essere mezzo espressivo di  uomini.   Ora, identico processo integrativo è quello che dà origine alle diverse unità razziali. Anche qui si ha uno slargarsi per accrescimento  e mistioni: dalla singola gente si arriva alla tribù, al popolo, alla na-  zione. E’ chiaro che l’accrescersi naturale delle generazioni amplifica  al tempo stesso la natura del processo e fa che i caratteri dominanti  del nucleo più vitale guadagnino sempre più vasto spazio. Vi è certo  qualche cosa di misterioso in questo propagarsi di caratteri superiori  per cui l'umanità ci appare in una continua ascesa, e ancor più grande  mistero è quello che avvolge l’occulta forza da cui ogni unità razziale  è guidata nella sua istintiva difesa da quei contatti e da quelle mi-  stioni che ne altererebbero la genuina struttura. Poichè l’uomo è  essere spirituale, tale modalità del suo divenire anche dal lato fisico  ha forse la sua ragione nell’esigenza di una maggiore spiritualità che  si rifletta anche nella struttura fisica, e in ciò è appunto il grande  mistero dell’uomo, nell’indissolubile legame che in lui si realizza fra  vita biologica e spirito.    Da quanto si è detto appare chiaro che il fattore lingua concorre  in maniera dominante, almeno sino a quando le conoscenze antropo-  logiche non forniranno dati biologici più sicuri, a determinare la  nozione di razza; anzi essa costituisce il mezzo principalissimo di  coesione per cui una comunità più o meno vasta di individui sente di  essere popolo e nazione. « Le caratteristiche spirituali e la struttura  della lingua di un popolo -— ha scritto Guglielmo v. Humboldt —  sono l’una con le altre in tale intreccio che posto l’un dato, l’altro si  dovrebbe poter derivare completamente da quello ». La lingua, in-  fatti, riflette anzitutto l'ambiente fisico e una maniera nativa, natu-  rale di sentire il reale e di esprimerlo. Essa è fatto fisiologico e psi-  cologico al tempo stesso e, come tale, è legata intimamente con la  struttura psicofisica del popolo che la parla, è anzi la modalità più  essenziale con cui tale struttura si manifesta. Il complesso dei costumi,  delle tradizioni che si tramandano di generazione in generazione,  tutto ciò insomma che concorre a dare a ciascun popolo la sua pro-  pria fisionomia, trova espressione fedele e categorica nel linguaggio.  Poichè la nozione di razza non è in sostanza altro se non la nozione  di un'appartenenza ad una determinata comunità genetica, la co-  scienza della razza trova nel linguaggio uno dei suoi più forti so-  stegni.   Non è senza significato il fatto che l'esigenza alla purezza,  quanto all’e4ros e quanto alla lingua, si manifesta presso i popoli  nei momenti della loro maggiore vitalità. Un popolo che ad un de-  terminato momento della sua storia voglia riconoscere i suoi carat-  teri differenziali e voglia segnare una netta linea di demarcazione  fra sè ed altre unità etniche, portatrici di caratteri spirituali ed etnici  non congeniali ai suoi, altro non fa se non riportarsi coscientemente  alle sorgenti più genuine della sua vita. Un aspetto di tale esigenza  è il desiderio di tenere immune la propria lingua da influenze stra-  niere e di eliminare le infiltrazioni che si sono verificate in momenti  di indebolita o distratta coscienza. Antonino Pagliaro. Pagliaro. Keywords: i arii; la lingua degl’arii, la favella degl’arii, I fasci littori, dal lictor al littore, il littorio, l’uso dei fasci nell’Etruria non-aria, la dottrina linguistica di Vico, “scienze filosofiche – lincei” , ossesso dalla latinita della Sicilia, Cratilo, discussion di Storia Romana, Romolo, proprieta private, Cicerone, Empedocle, il fascino dei fasci – enciclopedia del fascismo, fascisti gentiliani ed anti-gentiliani, l’uso di ‘ario’ – latinita, arieta, romanita – il linguaggio, sessione sul linguaggio -- filosofia del linguaggio --.Tullio. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pagliaro” – The Swimming-Pool Library.

 

Palazzani essential Italian philosopher female?

 

Grice e Palladio: la ragione conversazionale a Roma antica – Roma – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Known to have been a philosopher from references to that effect in letters of Theodoret.

 

Grice e Panella: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sublime – filosofia italiana -- Luigi Speranza  (Benevento). Filosofo italiano. Grice: “Panella’s conceptual analysis of the sublime poses the implicatural question: “x is ‘bello’; e SUBLIME’ – The Romans talked of ‘pulcher’ which complicates things!” Grice: “Panella also wrote of ‘l’incubo urbano,’ to which I’ll add “l’incubo suburbano’, and ‘l’incubo exurbano’!” essential Italian philosopher. Si laurea a Pisa, dove è stato insegnante. Si è occupato di filosofia politica e storia del pensiero politico, ha insegnato Estetica nella stessa università.  È stato presidente della giuria del premio letterario "Hermann Geiger" e membro della giuria del premio letterario "ArtediParole" riservato a studenti delle scuole medie. Si è distinto anche come poeta pubblicando otto volumi di poesia, da ricordare Il terzo amante di Lucrezia Buti pubblicato a Firenze con Editore Polistampa. In collaborazione con David Ballerini ha girato due documentari d'arte, La leggenda di Filippo Lippi, pittore a Prato trasmesso da Rai2 n e Il giorno della fiera. Racconti e percorsi in provincia di Prato. Ha vinto il Fiorino d'oro del Premio Firenze. Gli è stato assegnato il premio concesso annualmente dal Ministero dei Beni Culturali per attività culturali e artistiche particolarmente rilevanti.  Collabora con l'associazione Pianeta Poesia di Firenze guidata da Franco Manescalchi nella presentazione di poeti e incontri letterari. Giuseppe Panella con Franco Manescalchi alla Biblioteca Marcellina di Firenze. Saggi:” Monografie Robert Michels, Socialismo e fascismo” (Milano, Giuffré); Lettera sugli spettacoli di Rousseau, Aesthetica. Palermo, Il paradosso sull'attore di Diderot, La Vita Felice, (Milano Saggi); Elogio della lentezza. Etica ed estetica in Valéry, Aesthetica, Palermo); “Del sublime, Frosinone, Dismisura Testi, “Il sublime e la prosa. Nove proposte di analisi letteraria” (Firenze, Clinamen, Zola: scrittore sperimentale. Per la ricostruzione di una poetica della modernità” (Chieti, Solfanelli); “Pasolini. Il cinema come forma della letteratura” (Firenze, Clinamen); “Il sosia, il doppio, il replicante. Teoria e analisi critica di una figura letteraria” (Bologna, Elara) – cfr. H. P. Grice on P. H. Nowell-Smith as J. L. Austin’s ‘straight man’ in their Saturday mornings double-acts! – il ‘replicante’ -- , I piaceri dell'immaginazione, Firenze, Clinamen, Rousseau e la società dello spettacolo” (Firenze, Pagnini); “Il mantello dell'eretico. La pratica dell'eresia come modello culturale” (Piateda (Sondrio), CFR Edizioni (Quaderno 1), “ L'incubo urbano,” Rousseau, Debord e le immagini dello spettacolo in La questione dello stile. I linguaggi del pensiero, Bazzani, Lanfredini e Vitale, Firenze, Clinamen); “Ipotesi di complotto. Paranoia e delirio narrativo nella letteratura” (Chieti, Solfanelli); Il secolo che verrà. Epistemologia, letteratura, etica in Deleuze” (Firenze, Clinamen); “Storia del sublime. Dallo Pseudo-Longino alle poetiche della modernità” (Firenze, Clinamen); “La scrittura memorabile. Leonardo Sciascia e la letteratura come forma di vita, Grottaminarda, Delta); “Arbasino e la "vita bassa". Indagine sull'Italia n cinque mosse, Prove di sublime. Letteratura e cinema in prospettiva estetica” (Firenze, Clinamen); “Curzio Malaparte autore teatrale e regista cinematografico” (Roma, Fermenti); “Introduzione al pensiero di Vittorio Vettori. Civiltà filosofica, poetica "etrusca" e culto di Aligheri” (Firenze, Polistampa); “Le immagini delle parole. La scrittura alla prova della sua rappresentazione” (Firenze, Clinamen); “La polifonia assoluta. Poesia, romanzo, letteratura di viaggio di Vettori” (Firenze, Toscana); “L'estetica dello choc. La scrittura di Malaparte tra esperimenti narrativi e poesia” (Firenze, Clinamen); “e Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide, L’'estetica dell'eccesso” (Firenze, Clinamen); “Le maschere del doppio: tra mitologia e letteratura” (Editore libri di Emil); Diario dell'altra vita. Lo sguardo della filosofia e la prospettiva della felicità, Firenze, Clinamen.  Panella. Keywords: “socialism e fascismo” del sublime, cura di Mosca, Mosca, l’influenza di Mosca in Torino, Michels, il fascismo di Michels, Mussolini e Michels, Michels ed Enaudi, la radice proletaria di Benito, dal socialism al fascismo, pre-ventennio fascista, il socialismo, l’ordine del risorgimento, la rivoluzione, la dittadura dell’eroe carismatico, l’assenza di mediazione nel duce come proletario lui stesso, l’aristocrazia del fascismo, applicazione della teoria di Mosca sull’aristocrazia, l’aristocrazia della nazione italiana, la razza italiana, la razza Latina, I latini e l’oltre razzi italici – latini, etruschi, sabini, uschi, umbri, liguri, la questione della razza nel fascismo, la questione della razza nel ventennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panella” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Panfilo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del bello -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Panfilo Filoprammato – ‘busy body.’ He writes on art. Pamfilo Panfilo Filoprammato.

 

Grice e Pannico: la ragione conversazionale nella Roma antica – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An epigram by MARZIALE (si veda) addresses P. as someone versed in the doctrines of various philosophical sects.

 

Grice e Pansa: la ragione conversazionale e l’orto italiano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A consul, and a follower of the doctrines of The Garden. Gaio Vibio Pansa

 

Grice e Panunzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- la filosofia italiana nel ventennio fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Molfetta). Filosofo italiano. Grice: “There’s S. Panunzio and there’s S. Panunzio – Italian philosophy can be a trick!” -- Essential Italian philosopher. Tra i maggiori esponenti del sindacalismo rivoluzionario, in quanto amico intimo di Benito Mussolini, contribuì in maniera decisiva al suo passaggio dal neutralismo all'interventismo nella Grande Guerra. Divenne in seguito uno dei massimi teorici del fascismo.  Nacque a Molfetta da Vito e Giuseppina Poli, in una famiglia altoborghese, tra le più illustri della città: «un ambiente familiare intriso tanto di sollecitazioni all'impegno civile e politico quanto di suggestioni e stimoli intellettuali».  Il periodo socialista e il sindacalismo rivoluzionario Il suo impegno politico nelle file del socialismo incominciò molto presto, quando ancora frequentava il liceo classico locale, ove ebbe come maestro il giovane Pantaleo Carabellese.  Nel dibattito interno al socialismo italiano — diviso tra "riformisti" e "rivoluzionari" — Panunzio si schiera tra i cosiddetti sindacalisti rivoluzionari, cominciando al contempo a pubblicare i suoi primi articoli sul settimanale «Avanguardia Socialista» di Labriola, quando era ancora studente dell'Università degli Studi di Napoli. Durante i suoi studi universitari il contatto con docenti come F. Nitti, N. Colajanni, I. Petrone e G. Salvioli contribuì alla formazione del suo pensiero socialista. Il suo percorso intellettuale fu altresì influenzato da Sorel e Francesco Saverio Merlino, i quali avevano già da tempo incominciato un processo di revisione del marxismo. Pubblica il saggio “Il socialismo giuridico,” in cui teorizza l'opposizione alla borghesia solidarista e al sindacato riformista da parte del sindacato operaio, il quale è destinato a trasformare radicalmente la società. Il fulcro dell'opera era costituito dalla formulazione di un "diritto sindacale operaio", spina dorsale di un nuovo "sistema socialista" fondato non su una base economica, bensì su una base etica, solidaristica:  «Il socialismo giuridico non sarebbe dunque che l'applicazione del principio di solidarietà, immanente in tutto l'universo, nel campo del diritto e della morale: in se stesso non è una idea astratta balzata ex abrupto dal cervello di pochi pensatori, ma efflusso e irradiazione ideale di tutta la materia sociale che vive e freme attorno a noi. Si laurea in giurisprudenza discutendo una tesi su L'aristocrazia sociale, ossia sul sindacalismo rivoluzionario, avendo come relatore Arcoleo. Consegue presso lo stesso ateneo la laurea in filosofia. In questi anni di studi ed esperienze intellettuali, intensifica altresì il proprio impegno giornalistico in favore del sindacalismo rivoluzionario, collaborando — oltreché con «Avanguardia Socialista» — con «Il Divenire Sociale» di Enrico Leone, con «Pagine Libere» di Olivetti e con «Le Mouvement Socialiste» di Hubert Lagardelle.  Il sindacato ed il diritto La concezione panunziana del sindacato quale organo e fonte di diritto — non eusarentesi quindi in mero organismo economico o tecnico della produzione — fu approfondita  allorché vide la luce la sua seconda opera, La persistenza del diritto, in cui egli «coniugava i princìpi della sua formazione positivistica con una ispirazione filosofica volontaristica». P. prende quindi le mosse affrontando il problema del rapporto tra sindacalismo e anarchismo: la differenza tra i due movimenti risiedeva — a detta dell'autore — sul ruolo dell'autorità (fondata sul diritto) che, negata dall'anarchismo, non era invece trascurata dal sindacalismo:  «Il sindacalismo è d'accordo con l'anarchia nella critica e nella tendenza distruttiva dello Stato politico attuale, ma non porta alle ultime conseguenze le sue premesse antiautoritarie, che hanno un riferimento tutto contingente allo Stato presente. Il sindacalismo, per essere precisi, è antistatale per definizione e consenso unanime, ma non è antiautoritario. Le premesse antiautoritarie dell'anarchia hanno invece un valore assoluto e perentorio riferendosi esse a ogni forma di organizzazione sociale e politica. Il sindacalismo non è dunque antiautoritario»  (P.) In sostanza, Panunzio sosteneva l'importanza fondamentale del diritto (ancorché non "statale", ma "operaio") per il sindacalismo e la futura società, dall'autore vagheggiata come un regime sindacalista federale sostenuto dall'autogoverno dei gruppi sindacali, riuniti in una Confederazione, così da formare quella che l'autore stesso chiama «una vera grande Repubblica sociale del Lavoro», retta da una «sovranità politica sindacale. Fu poi dato alle stampe Sindacalismo e Medio Evo, in cui l'autore indicava al sindacalismo operaio il modello dei Comuni italiani medievali, esempio paradigmatico di autonomia, la quale doveva essere perseguita anche dai sindacati contemporanei.  Dopo un periodo difficile, dovuto a problemi familiari ma anche a un ripensamento delle sue teorie politiche, grazie all'interessamento di Nitti, abbandonò l'attività di avvocato, inadeguata per mantenere la famiglia (aiutava principalmente — raramente pagato — i suoi compagni di partito), divenendo docente di pedagogia e morale presso la Regia scuola normale di Casale Monferrato. Nello stesso anno pubblicò inoltre la sua importante opera Il Diritto e l'Autorità, in cui erano messe a frutto le sue rielaborazioni teoriche: oltre al passaggio da un orizzonte positivistico a una concezione filosofica neocriticistica, egli ripensava lo Stato non più quale organo della coazione, ma quale depositario della necessaria autorità. Con la fine della guerra libica, cominciò a prender corpo la svolta "nazionale" del suo pensiero.  Dopo aver insegnato per un anno a Casale Monferrato e un altro a Urbino, passò alla Regia scuola normale Carducci di Ferrara, ove insegna,  conseguendo al contempo la libera docenza presso l'Napoli (l'anno successivo gli fu trasferita nell'ateneo bolognese). È di quegli anni — poco prima dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra — l'inizio di stretti rapporti politici e intellettuali con Mussolini, direttore dell'Avanti! e leader dell'ala rivoluzionaria del Partito Socialista Italiano. Panunzio incominciò dunque una regolare e intensa collaborazione con il quindicinale «Utopia», appena fondato dal futuro capo del fascismo per far esprimere le voci più rivoluzionarie, eterodosse ed "eretiche" dell'ambiente socialistico italiano. In questo periodo Panunzio comprende il potenziale rivoluzionario che il conflitto europeo poteva esprimere, sicché manifesterà sempre più esplicitamente il suo appoggio all'interventismo, che era invece inviso al Partito Socialista:  «Io sono fermamente convinto che solo dalla presente guerra, e quanto più questa sarà acuta e lunga, scatterà rivoluzionariamente il socialismo in Europa. Altro che assentarsi, piegarsi le braccia, e contemplare i tronconi morti delle verità astratte! Alle guerre esterne dovranno succedere le interne, le prime devono preparare le seconde, e tutte insieme la grande luminosa giornata del socialismo, che sarà la soluzione e la purificazione ideale di queste giornate livide e paurose, macchiate di misfatti e di infamie. Quest'articolo di Panunzio, apparso sul quotidiano ufficiale del Partito Socialista, suscitò una grave polemica, sicché Mussolini dovette rispondere sul numero del giorno dopo. Tuttavia la replica di MUSSOLINI, il quale si sta convincendo dell'opportunità dell'intervento, fu «debole, sfocata, piattamente dottrinaria, per nulla all'altezza del miglior Mussolini polemista». Infatti,  «al momento di questa polemica, Mussolini era psicologicamente già fuori del socialismo ufficiale ed è indubbio che le argomentazioni di Panunzio, sia per il loro spessore teorico sia perché provenienti da un uomo di cui egli aveva grande considerazione intellettuale, furono probabilmente l'elemento decisivo che lo spinse a compiere il grande passo, il voltafaccia dal neutralismo assoluto all'interventismo. La Grande Guerra All'entrata dell'Italia nel conflitto mondiale, si arruolò volontario come quasi tutti gli interventisti "di sinistra" (come Filippo Corridoni e Mussolini); tuttavia, in quanto emofiliaco, fu immediatamente congedato, sicché dovette concentrarsi sulla lotta propagandistica e pubblicistica, soprattutto sulle colonne del Popolo d'Italia (i cui articoli erano sovente concordati con lo stesso Mussolini), in favore della guerra italiana, ritenuta dal Panunzio una guerra non «di difesa e conservazione, ma di acquisto e di conquista; non una guerra ma una rivoluzione». Una guerra anche popolare, come avevano dimostrato le grandi mobilitazioni del «maggio radioso», in contrapposizione alle posizioni conservatrici di Antonio Salandra e della classe dirigente liberale. Anche da un punto di vista più propriamente militante, Panunzio si impegnò nel ruolo di membro del direttivo del neonato fascio nazionale di Ferrara, il quale diede vita altresì al giornale Il Fascio. Oltre all'analisi politica e all'impegno giornalistico, Panunzio lavora anche a una sistematizzazione filosofico-giuridica delle sue idee riguardo al conflitto, con le opere Il concetto della guerra giusta, Principio e diritto di nazionalità in Popolo, Nazione, Stato), La Lega delle nazioni e Introduzione alla Società delle Nazioni. Nel primo saggio, egli sosteneva l'utilità e la legittimità di una guerra anche offensiva, purché essa fosse il mezzo per il conseguimento di un fine più grande, ossia la giustizia e la creazione di nuovi equilibri più giusti ed equanimi. Nella seconda, invece, individuava nel principio di nazionalità la nuova idea-forza della società che sarebbe scaturita dalla guerra, una volta conclusa. Molto importante è inoltre la terza opera (La Lega delle nazioni), poiché in essa è sviluppato per la prima volta il concetto di sindacalismo nazionale. La Nazione deve circoscriversi, determinarsi, articolarsi, vivere nelle classi, e nelle corporazioni distinte, e risultare «organicamente» dalle concrete organizzazioni sociali, e non dal polverio individuale; ed essa esige, dove le nazionalità non si siano ancora affermate, e dove esse non ancora funzionino storicamente, solide e robuste connessioni di interessi e aggruppamenti di classi, a patto, però, che le classi, e le corporazioni trovino, a loro volta, la loro più compiuta esistenza, destinazione e realtà nella Nazione. Ecco la «reciprocanza» dei due termini, Sindacato e Nazione, e la sintesi organica tra Sindacalismo e Nazionalismo, e cioè: Sindacalismo Nazionale»  (P.) Dalla fine del conflitto alla Marcia su Roma Terminata la guerra, Panunzio partecipò attivamente al dibattito interno alla sinistra interventista, intervenendo in particolare su «Il Rinnovamento», quindicinale recentemente creato e diretto da Alceste De Ambris. Il suo scritto più importante, che ebbe notevoli conseguenze, apparve: in questo, P. sostene l'organizzazione di tutta la popolazione in classi produttive, le quali dovevano essere a loro volta distribuite in corporazioni, a cui doveva essere demandata l'amministrazione degli interessi sociali; affermava altresì la necessità di creare un Parlamento tecnico-economico da affiancare al Parlamento politico. In tale testo programmatico era chiaramente abbozzato il futuro corporativismo fascista, tanto che l'amico Mussolini, nel discorso pronunciato a Piazza San Sepolcro (alla fondazione cioè del fascismo), riprese le tesi di P. per il programma dei Fasci Italiani di Combattimento:  «L'attuale rappresentanza politica non ci può bastare; vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi, perché io, come cittadino, posso votare secondo le mie idee, come professionista devo poter votare secondo le mie qualità professionali. Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna verso le corporazioni. Non importa. Si tratta di costituire dei Consigli di categoria che integrino la rappresentanza sinceramente politica»  (Mussolini) A Ferrara, P. assisté alla nascita del fascismo locale (e delle squadre d'azione), intrattenendo rapporti di amicizia con Balbo (che sarebbero durati per tutta la vita) e Grandi (che era stato suo allievo), pur non aderendo ufficialmente al movimento, a causa dei rapporti di quest'ultimo — per lui ambigui — con gli agrari. Risale a quel periodo, infatti, la pubblicazione delle due opere Diritto, forza e violenza e Lo Stato di diritto. Nel primo, riprendendo la tesi delle Réflexions sur la violence di Sorel, l'autore precisava il suo discorso distinguendo una violenza "morale", "razionale", "rivoluzionaria", la quale doveva essere il mezzo per l'affermazione di un nuovo diritto (veicolo, dunque, di uno ius condendum), da una violenza invece gratuita e immorale. Critica da un punto di vista neokantiano il concetto hegeliano di Stato etico, lasciando intravedere tuttavia margini di sviluppo per una visione totalitaria dello Stato. A seguito dell'uscita dei fascisti dalla UIL e della conseguente creazione della Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali per opera di Rossoni, Panunzio collaborò con il settimanale ufficiale della Confederazione, cioè «Il Lavoro d'Italia, vergando un importante articolo sul primo numero, nel quale ribadiva le sue tesi sul sindacalismo nazionale. Dopo essersi speso invano, con l'aiuto di Balbo, per una conciliazione tra Mussolini ed ANNUNZIO, appoggiò la politica pacificatrice di Mussolini, sostenne la «svolta a destra» del PNF (cioè per un ristabilimento dell'autorità dello Stato) e caldeggiò — con la caduta del primo Governo Facta — la costituzione di un governo di "pacificazione" che riunisse fascisti, socialisti e popolari (prospettiva ritenuta possibile da Mussolini stesso), scrivendo un importante articolo che individuava nel capo del fascismo l'unico in grado di stabilizzare e pacificare il Paese:  «Benito Mussolini — uno dei pochi uomini politici, checché si dica in contrario, che abbia l'italia — ha molti nemici e anche molti adulatori. L'uomo non è ancora bene conosciuto. Chi scrive può affermare con piena sincerità e obbiettività che la storia recentissima dell'Italia è legata al nome di Mussolini. L'intervento dell'Italia in guerra è legato al nome di Mussolini. La salvezza dell'Italia dalla dissoluzione bolscevica è legata a B. Mussolini. Questi sono fatti. Il resto è politica che passa: dettaglio, episodio. Anche prima di Caporetto, anche dopo Caporetto, Mussolini (è vero o non è vero?) disse dall'altra parte: tregua. Non fu, maledettamente, ascoltato. La fine della lotta ormai è un fatto compiuto. Eccedere più che delitto è sproposito grave. Ed ecco perché un Ministero in cui entrino le due parti in lotta — per la salvezza e la grandezza dello Stato — è un minimo di necessità e di sincerità. (P.) Tuttavia, con il reincarico di Facta e il seguente sciopero generale del 1º agosto indetto dall'Alleanza del Lavoro (il cosiddetto «sciopero legalitario»), scrive a Mussolini mostrando la sua delusione nei confronti dei socialisti confederali, ritenendo quindi impossibile una convergenza d'intenti con il PSI e reputando ormai sempre più necessaria una svolta a destra:  «Anch'io pensavo unirci con i confederali che «senza sottintesi siano per lo Stato». Dopo lo sciopero un ultimo equivoco è finito. Bisogna mirare a destra. Diciamolo, con o senza elezioni. Confido in te e nel Fascismo, per quanto il difficile, dal lato politico, viene proprio ora. Di lì a breve, il fascismo salì al potere.  L'impegno politico e culturale durante il fascismo Una volta costituito il governo fascista, P. stringe legami sempre più stretti con il movimento mussoliniano, ottenendo la tessera del PNF (su iniziativa dell'amico Balbo) e venendo eletto deputato. Nello stesso anno divenne membro del Direttorio nazionale provvisorio del PNF, che lasciò dopo neanche un mese in quanto chiamato alla carica di sottosegretario del neonato Ministero delle Comunicazioni (diretto al tempo da Ciano).  In questo periodo, inizia a interrogarsi — assieme ai massimi teorici fascisti — sulla vera natura ed essenza del fascismo, per il quale coniò la definizione di «conservazione rivoluzionaria», che sosterrà per tutta la sua vita. La filosofia fascista non è unicamente conservazione, né unicamente rivoluzione, ma è nello stesso tempo — beninteso sotto due aspetti differenti — una cosa e l'altra. Se mi è lecito servirmi d'una frase che non è una frase vuota di senso, ma una concezione dialettica, io dirò che la filosofia fascista è una grande conservazione rivoluzionaria. Quel che costituisce la superba originalità della rivoluzione italiana, ciò che la fa grandemente superiore alla rivoluzione francese e alla rivoluzione russa, è che, ricordandosi e approfittando degli insegnamenti di VICO, di Burke, di CUOCO e di tutta la critica storica della Rivoluzione essa ha conservato il passato, realizzato il presente e orientato tutto verso l'avvenire, nei limiti della condizionalità e dell'attualità storiche. Per certi aspetti il Fascismo è ultraconservatore: ad esempio, nella restaurazione dei valori famigliari, religiosi, autoritari, giuridici, attaccati e distrutti dalla cultura enciclopedica, illuministica, che si è trapiantata arbitrariamente, anche nell'ideologia del proletariato, vale a dire nel socialismo democratico, che è il più grande responsabile della corruzione contemporanea. Per altri aspetti, il Fascismo è innovatore, e a un punto tale che i conservatori ne sono spaventati, come per esempio per la sua orientazione verso lo «Stato sindacale» e per la suademolizione dello «Stato parlamentare. Partecipò inoltre attivamente al dibattito incentrato sull'edificazione di uno stato nuovo, fornendo importanti spunti, alcuni dei quali avranno un seguito costituzionale, come ad esempio il "sindacato unico obbligatorio", l'attribuzione della personalità giuridica (istituzionale, non civile) ai sindacati, o l'istituzione di una Magistratura del Lavoro che si ponesse quale arbitro nelle controversie tra capitale e lavoro. Fornì anche, al contempo, le basi teoriche del futuro Stato sindacale (poi corporativo):  «La nuova sintesi è l'unità dello Stato e del Sindacato, dello Statismo e del Sindacalismo. È lo Stato il punto di approdo e lo sbocco, superata la prima fase negativa, del Sindacalismo. È di questi tempi altresì l'evoluzione del pensiero panunziano riguardo a una concezione organicistica dello Stato, attraverso una critica serrata dello Stato democratico-parlamentare, uno «Stato meccanico, livellatore, astratto» (sorretto dal «principio meccanico della eguaglianza e cioè il suffragio universale»), che doveva portare a uno «Stato organico, gerarchico», fondato su un sistema sindacal-corporativo, giacché «chi è organizzato pesa, chi non è organizzato non pesa. In quest'ottica deve essere considerata, infatti, la definizione panunziana del fascismo quale «concezione totale della vita. Tutta la riflessione teorica politico-giuridica di questo periodo fu riassunta e sistematizzata nel suo saggio, Lo Stato fascista, il quale accese grandi dibattiti in ambiente fascista, tanto che l'autore ebbe modo di confrontarsi su questi temi — spesso polemicamente — con importanti personalità intellettuali come Costamagna, Gentile e Curcio. n virtù di queste premesse teoriche e operative, appoggiò Mussolini durante la crisi causata dal delitto Matteotti, al fine di incrementare il processo di riforma statuale avviato dal fascismo, che si sarebbe di lì a poco concretizzato nelle leggi fascistissime volute da Alfredo Rocco e, soprattutto, nella Legge n. 563, che istituzionalizzò i sindacati, e nella redazione della Carta del Lavoro, il documento fondamentale della politica economica e sociale fascista.  Terminata l'esperienza di governo, si dedicò all'insegnamento: dopo aver vinto il concorso per un posto da professore straordinario in filosofia del diritto presso l'Università degli Studi di Ferrara, divenne ordinario e si trasferì a Perugia, di cui fu Rettore nell'anno accademico. Chiamato a insegnare dottrina dello Stato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Roma, cattedra che detenne sino alla morte. Non appena insediatosi nell'ateneo romano, incaricato dal Duce di organizzare, in qualità di Commissario del Governo, la neonata Facoltà Fascista di Scienze Politiche di PERUGIA, che doveva essere la nuova Bologna (la piu antica universita europea) – e fascista. In tale veste, chiama a insegnare a Perugia docenti quali Orano, Michels, Olivetti, Maraviglia e Coppola. E ancora deputato. Malgrado gli impegni accademici, Panunzio continua a sostenere l'edificazione dell'ordinamento sindacale corporativo del nuovo Stato fascista attraverso i suoi articoli giornalistici, partecipando agli intensi dibattiti degli anni trenta sulla legislazione corporativa. Più precisamente, egli si situava in quell'ala sindacalista del fascismo che, nella nuova struttura statuale, perorava un potenziamento dei sindacati all'interno del sistema corporativo, affinché essi potessero intervenire più decisamente nella direzione economica del Paese. In questo periodo, grazie a opere teoriche fondamentali, Panunzio sistematizzò e definì organicamente il suo pensiero. In sostanza, lo Stato fascista, che è sindacale e corporativo, si contrappone allo «Stato atomistico ed individualistico del liberismo. Inoltre lo Stato fascista è caratterizzato dalla sua «ecclesiasticità» (o religiosità), intesa come «unione di anime, al contrario dello Stato liberal-parlamentare «indifferente, ateo e agnostico». Il giurista molfettese introdusse anche il concetto di funzione corporativa in quanto quarta funzione dello Stato (dopo le tre canoniche: esecutiva, legislativa e giurisdizionale), proprio per fornire il necessario fondamento giuridico ai cambiamenti costituzionali in atto, con la creazione dello Stato corporativo. Lo Stato fascista, infine, si configura come uno Stato totalitario, «promanando direttamente e immediatamente da una rivoluzione ed essendo formalmente uno "Stato rivoluzionario". Con l'istituzione delle corporazioni (attraverso la Legge) e la creazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni (Legge), P. redasse la Teoria Generale dello Stato Fascista, che rappresenta la summa del suo pensiero in materia di ordinamento sindacale corporativo: in questo, egli sosteneva la funzione attiva e propulsiva del sindacato, al fine di evitare un'involuzione burocratica delle corporazioni; sosteneva altresì il suo concetto di economia mista — la quale all'intervento pubblico affiancasse una sana iniziativa privata — «ordinata, subordinata, armonizzata, ridotta all'unità, ossia unificata dallo Stato, in quanto il pluralismo economico e la pluralità delle forme economiche sono un momento ed una determinazione organica del monismo giuridico-politico dello Stato. Partecipò, con notevole peso specifico, alla riforma del Codice di procedura civile e del Codice civile. Riguardo a quest'ultimo, in particolare, il suo contributo fu decisivo, soprattutto per il terzo (Della proprietà) e quinto (Del lavoro) libro: fu lui ad ottenere che un intero libro fosse dedicato al lavoro; volle che la Carta del Lavoro fosse posta a base del codice; definì un più circostanziato concetto di proprietà, in cui se ne enfatizzava la "funzione sociale. Divenne consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Morì a Roma, in piena guerra. L'archivio di Sergio Panunzio è stato digitalizzato ed è attualmente disponibile alla ricerca presso la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice in Roma. Altri saggi: “Il socialismo giuridico” (Moderna, Genova); “La persistenza del diritto -- discutendo di sindacalismo e di anarchismo” (Abruzzese, Pescara); “Sindacalismo e Medio Evo” (Partenopea, Napoli); “Il diritto e l'autorità” ((POMBA, Torino); “Guerra giusta” (Colitti, Campobasso); “Lega dei nazioni” (Taddei, Ferrara); “Nazione e Nazioni” (Taddei, Ferrara); “Diritto, forza e violenza” (Cappelli, Bologna); “Stato di diritto” (Taddei, Ferrara); “Lo stato nazionale e sindacati” (Imperia, Milano); “Che cos'è il fascismo” (Alpes, Milano); “Lo stato nazionale nel veintennio fascista” (Cappelli, Bologna); “Sentimento di stato” (Littorio, Roma); “Dittatura” (Forlì); “Stato e diritto: l'*unità* dello stato e la *pluralità* degli ordinamenti giuridici” (Mdenese, Modena); “Leggi costituzionali del regime italiano” (Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, Roma); “Popolo, Nazione, Stato: un esame giuridico” (Nuova Italia, Firenze); “I sindacati e l'organizzazione economica dell'impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “Sulla natura giuridica dell'Impero italiano” (Poligrafico dello Stato, Roma); “L'organizzazione sindacale e l'economia dell'Impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “La Camera dei fasci e delle corporazioni” (Trinacria, Roma); “Teoria generale dello stato” (MILANI, Padova); “Motivi e metodo della codificazione dello stato italiano” (Giuffrè, Milano); F. Perfetti, “La conversione all'interventismo di Mussolini nel suo carteggio, Storia contemporanea»,  “Il sindacalismo ed il FONDAMENTO RAZIONALE DELLO STATO ITALIANO  (Volpe, Roma). Non c'è dubbio che tra i molti scrittori che tentarono di articolare l'ideologia del fascismo italiano e il più competenti e intellettualmente influenti, come Gentile. H. Matthews, Il frutto del fascismo” (Laterza, Bari). Fornisce con le sue teorie una patina di legittimità rivoluzionaria alla dittatura. Z. Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista” (Milano). Il filosofo più importante del fascismo.  Perfetti,  Il socialismo giuridico, LModerna, Genova, Sindacalismo e Medio Evo, Partenopea, Napoli. G. Cavallari, Il positivismo nella formazione filosofico-politica in «Schema»,  L. Paloscia, La concezione sindacalista, Gismondi, Roma, Guerra e socialismo, in «Avanti!», Mussolini, Guerra, Rivoluzione e Socialismo. Contro le inversioni del sovversivismo guerrafondaio, in «Avanti!», Mussolini, La guerra europea: le sue cause e i suoi fini, in  Ver sacrum, Taddei, Ferrara. Sergio Panunzio, I due partiti di oggi e di domani, in «Il Popolo d'Italia», Perfetti, La Lega delle nazioni, Taddei, Ferrara, Un programma d'azione, in «Il Rinnovamento», Mussolini, Diritto, forza e violenza: lineamenti di una teoria della violenza” (Cappelli, Bologna); “Lo Stato di diritto, Taddei, Ferrara). Il settimanale e diretto da Rossoni e annove, tra i collaboratori più attivi e competenti, A. Casalini.  Il sindacalismo nazionale, in «Il Lavoro d'Italia», Perfetti, Renzo De Felice, Mussolini il fascista,  La conquista del potere, Einaudi, Torino. L'ora di Mussolini, in «La Gazzetta delle Puglie», «Popolo d'Italia» per espressa volontà di Mussolini.  Lettera citata in Perfetti, Che cos'è il fascismo, Alpes, Milano, Stato e Sindacati, in «Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto», gennaio-marzo Forma e sostanza nel problema elettorale, in «Il Resto del Carlino», Idee sul Fascismo, in «Critica fascista», L. Nucci, La facoltà fascista di Scienze Politiche di Perugia: origini e sviluppo, in Continuità e fratture nella storia delle università italiane dalle origini all'età contemporanea, Dipartimento di Scienze storiche Perugia, Perugia. Loreto Di Nucci, Nel cantiere dello Stato fascista, Carocci, Roma,  Renzo De Felice, Mussolini il Duce,  I: Gli anni del consenso, Einaudi, Torino, Il sentimento dello Stato, Libreria del Littorio, Roma; Il concetto della dittatura rivoluzionaria, Forlì, Stato e diritto: l'unità dello stato e la pluralità degli ordinamenti giuridici, Società tipografica modenese, Modena. Leggi costituzionali del Regime, Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, Roma,  Perfetti,  XXX Legislatura del Regno d'Italia. Camera dei fasci e delle corporazioni / Deputati / Camera dei deputati storico  Il Fondo Sergio Panunzio. Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.  Giovanna Cavallari, Il positivismo nella formazione filosofico-politica, in «Schema», Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, Roma-Bari, Sabino Cassese, Socialismo giuridico e «diritto operaio». La critica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico, in «Il Socialismo giuridico: ipotesi e letture», in “Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno”, Renzo De Felice, Mussolini, Einaudi, Torino, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi, Torino; Gentile, Le origini dell'ideologia fascista, Il Mulino, Bologna, Laterza, Roma-Bari). A. James Gregor, Sergio Panunzio: il sindacalismo ed il fondamento razionale del fascismo, Volpe, Roma. nuova edizione ampliata, Lulu.com,. Benito Mussolini, Opera omnia, Edoardo e Duilio Susmel, La Fenice, Firenze-Roma, Leonardo Paloscia, La concezione sindacalista di P., Gismondi, Roma, Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna. Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista,  II: Dalla grande crisi alla caduta del regime, Bonacci, Roma, Perfetti, Il sindacalismo fascista,  I: Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo, Bonacci, Roma); Perfetti, La «conversione» all'interventismo di Mussolini nel suo carteggio con Sergio Panunzio, in «Storia contemporanea», Francesco Perfetti, Introduzione, in Sergio Panunzio, Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci, Roma, Francesco Perfetti, Lo Stato fascista: le basi sindacali e corporative, Le Lettere, Firenze. Zeev Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista, tr. it., Baldini e Castoldi, Milano 1993.  Fascismo Sindacalismo rivoluzionario Sindacalismo nazionale Sindacalismo fascista Corporativismo Italo Balbo James Gregor Francesco Perfetti. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Sergio Panunzio,.  Sergio Panunzio, su storia.camera, Camera dei deputati.  Sabino Cassese, Socialismo giuridico e «diritto operaio». La critica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico modern” (Giuffrè, Milano). Fervono oggi in Italia, nel campo polìtico e filosofico, le discussioni e le polemiche molto vivaci su Hegel, sulla idolatria dello Stato ovverosia sulla sua statolatria, sullo Stato considerato da Hegel come l’Ente supremo. Forti correnti antihegeliane si deiineano in Italia nel Fascismo contro le correnti e le scuole idealistiche facenti, cora’è noto, capo al Gentile e alla sua interpetràzione attua- listica, dopo (piella storica del Croce, dell’hegelismo. Non si vuole e non si deve qui parlare di filosofìa. Il concetto « hegeliano » dello Stato si prende qui nel suo aspetto sociale e politico, e da questo punto di vista è indubbio il suo nesso storico ed ideologico con lo Stato fascista. A conferma di ciò, basti notare che lo Stato fascista nega innanzi tutto e soprattutto Marx e Io Stato marxista. Non a torto e significativamente il movimento hitleriamo in Germania è e si chiama antimarxista e non antisocialista e si denomina anzi nazionalsocialista. Ora Marx, per costruire ia classe, negò il suo maestro, Hegel, e di Hegel prese il concetto della « società civile», risolvendolo analiticamente nelle classi, donde la lotta di classe centro del suo sistema teorico e pratico, riducendo anzi in ultima istanza la società civile in blocco alla pretesa unitaria ed omogenea classe operaia, e negò lo Slato. Se, contro la classe marxistica, si deve ricostruire e riabilitare lo Stato, è evidente, per ciò solo, il ritorno necessario da Marx ad Hegel. Sta tutta qui, per me, la parentela fra Stato fascista e Stato hegeliano. Riconosco, e lo disse, prima di tutti, un nostro filosofo, MASCI, La libertà nel difillo e nella Sloria secondo Kant ed Hegel, in Atti della R. Accademia di Scienze Morali e Politiche, Napoli, che l’ideologia statale di Hegel si presta molto bene, nelle mani delle classi reazionarie e fondiarie tedesche, alla fonda­ zione dello STATO PRUSSIANO reazionario e conservatore. Ma altro sono le dottri­ne, altro l’uso e lo sfruttamento che di esse tanno le classi sociaii secondo i loro bisogni ed il loro spirito di classe; per quanto sia anche giusta l’osservazione dello stesso MASCHI che LO STATO di Hegel per gran parte — rlducendosi la sua Filosofia del diritto molte volte e in molti punti a mera trattazione empirica di diritto costituzionale positivo germanico — non fa che, abbandonata la fliosofia pura e speculativa, trascrive in termini di filosofia la realtà di tallo dello STATO PRUSSIANO [citato da H. P. GRICE, ACTIONS AND EVENTS: the only thing that exists is the kaiser of Prussia]  del suo tempo. Per cui LO STATO di Hegel si presta per questo verso a quel tale giuoco dic lasse, di piegare LO STATO filosofico ed ETICO del gran­de filosoo alla propria situazione psicologica di classe. Ma questi in dubbi aspet­ti stona e poiitici empirici dello STATO di Hegel, che lo fanno passare -- non si di­ mentichi che Hegel vive e scrive dopo l’esperienza IMMEDIATA DELLA RIVOLUZIONE francese, in un periodo, come oggi IL FASCISMO, anch’esso accusato dai superficiali e dagli stolti d, reazionarismo, di restaurazione, e appartenne al ciclo appunto della Restaurazione postrivoluzionaria -- per reazionario e per il filosofo dello Stato rea­zionario non devono farci perdere di vista gl’elementi filosofici essenziali non accidentali e fossili, e specialmente il profondo vivo e vitale concetto della società civile di corporazione e del NESSO FRA LA SOCIETA CIVILE E LO STATO. Ho piacere di notare qui che un filosofo Bindek, Stato e Società nella filosofia poltlica, in Rio. Inlernaz. di Filosofia del dirtto, fase. Ili, a proposito del mio saggio: Slato e Sindacali, rileva il mio rifferimento a Hegel per la com­ penetrazione della SOCIETA con lo STATO. Gl’elementi vivi e vitali non devono non separarsi attraverso la critica e la scienza dagl’elementi morti e superati di Hegel. Per questi ultimi non dobbiamo dimenticare i primi; anche se, per il suo tempo m cu. signora, prima di Marx, la prassi e la teoria sviluppata poi dopo e fino a un certo punto anche offre Marx da Sorci, del Sindacalismo. la concezione hegeliana della Società e BUROCRATICA, e la concezione del governo, ossia dello Stato AUTOCRATICA. Vedi su ciò le acute osservazioni e critiche a Hegel di CAPOGRASSI, già da me c tate in questo saggio. Questo il giudizio obbieilivo sul Hegel politico A non dire qui -- vedi su ciò il mio volume Lo Stato di diritto, Lo Stato noumeno immanente di Hegel, Città di Castello, che la prima fase della filosofia politica di Hegel e tutfaltro che reazionaria. Come pure non mi sembra che SI possa e SI debba dire che lo STATO hegeliano, per la sua STATOLATRIA e uno Stato panteistico. Non solo antico, ma addirittura uno Stato asiatico indiano, meno nspettoso della libertà umana dello stesso Stato pagano platonicc»-aristoteìico o ROMANO! Ve- di su ao, contro l’opinione di MASCI, l’appendice al mio citato Stato di diritlo: Se lo Stato hegeliano sia Stato moderno. C'è si diflerenza fra STATO FASCISTA o STATO NAZISTA e Stato hegeliano. Anzi è questo il punto fondamentale per cui non si può e non si deve ridurre al tipo dello Stato hegeliano LO STATO FASCISTA o nazista: che mentre, per MUSSOLINI, TUTTO E NELLO STATO, NULLA FUORI DELLO STATO, NULLA CONTRO LO STATO, non è vero che nulla, non dal lato politico, ma da quello filosofico e MORALE, E *SOPRA* LO STATO. Per Hegel, invece, NULLA E SOPRA LO STATO per la semplice ragione che lo Stato è tutto ed anzi Dio stesso realizzato nel mondo. Ma da questo a dire che lo Stato di Hegel è più che antico asiatico, ci corre. Si può e si deve dire invece che LO STATO FASCISTA appartiene al ciclo della filosofia idealistica trascendente mentre lo Stato hegeliano è basato sull’immanenza, donde esso è Dio stesso. Del resto, a questo proposito, sono anche note, nel campo filosofico, le premesse trascendenti ed anche le interpretazioni net senso della trascendenza dell’idealismo hegeliano. Vedi su ciò, in conformità dell’interpretazione trascendente dell’idealismo hegeliano, il mio saggio Diritto Forza e Violenza, parte IH. Orientata verso la trascen­denza è la fase della filosofia idealista ITALIANA, donde la dissoluzione t in­terna della posizione idealistico-attualistica visibile nei rappresentanti dì questa scuola discendenti da GENTILEG. L ’idealismo attualistico, capovolgendosi la posizione del Gioberti, che dalla trascendenza anda verso l’immanenza, da Dio alla Storia, fa oggi il cammino inverso DALL’UMANO AL DIVINO, dalla storia d’ITALIA all’idea d’ITALINAITA. Vedi su ciò sinteticamente ed efficacemente la prefazione di Giuliano al saggio di Rinaldi, Gioberti e il problema religioso del Risorgimenlo, Firenze, Valleechi. Sulla filosofia del diritto di Hegel, dal lato sociale e per le sue connessioni ideologiche con il corporativismo fascista attuale, V., oltre ì miei saggi citati, par­ ticolarmente, Lo Stato di diritto, Passerini D’Entreves (si veda), La filosofia del diruto di Hegel, Torino, Sui rapporti fra LA VOLONTA DI TUTTI di Rousseau e la società civile di Hegele fra la volontà generale dei primo e lo Stato del secondo, vedi il mio Sfato di diritto, Rousseau e lo Stato di Hegel. Sui rapporti fra società e Stato nella concezione fascista in rapporto aile mie idee in poposito, vedi Leibholz, Zu den problemen des lascistisehen Verfassangsreclds, Leipzig. Nessuna delle tre forme di dit­tatura sopra analizzate, comprende LA DITTATURA DEL DUCE. Che cosa essa è? Essa è una forma ideale a sé. Essa è uno sato di grazia  dello spirito italiano. È quella che io credo si debba chiamare la DITTATURA EROICA CARISMATICA, figura storica o se vogliamo FILOSOFICA, non figura giuridica; ed in quanto tale, eccezionale e soprannaturale, non ordinaria e comune. Di essa non si occupano e non parlano i trattati di Dottrina dello Stato e di Diritto costituzionale. Dovete, per comprenderla, se me lo chiedete, aprire un saggio, il saggio su NAPOLEONE BUONAPARTE, EROE ITALIANO, degl’Eroi di Carlyle. Un acuto filosofo, Michels, richiamando il concetto di Weber, parla; di Uomo e di Capo CARISMATICO. La dittatura eroica è spirituale, non materiale, SOGGETIVA, o INTER-SOGGETIVA, non oggettiva, prodotta e posta dal popolo; non imposta al popolo, per cui essa è considerata dal popolo che la genera e ne è li geloso proprietario e custode, come la cosa sua più intima preziosa e personale. Dobbiamo, se mai, per inquadrarla in qualche modo in una delle forme stabilite, ricollegarla, come si è dimostrato, alla dittatura rivoluzionaria. La rivoluzione è un’idea; e la dittatura rivoluzionaria è la dittatura dell’idea. Ma questa idea deve trovare il suo Uomo, il suo corpo, l’Eroe. Onde può dirsi che la dittatura eroica è la soggettività, la coscienza del­l’idea di un popolo, nella sua marcia e nel suo cammino nella storia. LO STATO FASCISTA NELLA DOTTRINA DELLO STATO. LO STATO NUOVO. Genesi dello Stato fascista. La natura ideale del Fascismo. Il Fascismo come conservazione revoluzionaria. Gli elementi dello Stato fascista. La restaurazione politica e rinstaurazione sociale nello Stato fascista . Sindacalismo; Nazionalismo; Fascismo. Il lato politico ed il lato sociale dello Stato. Il rapporto fra lo Stato e 1 Sindacati. Lo Stato-società ; lo Stato^asse ; lo Stato-popolo ; Io Stato-nazione. In nota; rapporti fra lo Stato fascista e lo Stato di Hegel. Struttura e funzioni dello Stato fascista. Lo Stato sindacale-corpo rativo . Stato ed economia. La Corporazione. Lo Stato fascista neirordiiiamento giuridico. Leggi costituzionali sociali ; politiche. La Carta del Lavoro. Le istituzioni e gli organi fondamentali. Legislazione ed esecuzione. Lo Stato-Partito. Lo Stato militare ed il cittadino-soldato. I caratteri, la qualilìcazione, e la denominazione dello Stato fasci sta. La statocrazia come formula ideale dello Stato fascista. La difesa penate dello Stato fascista.. LO STATO FASCISTA NEL DIRITTO PUBBLICO POSITIVO. CONCETTI GENERALI E GL’ISTITUTI FONDAMENTALI. Criteri di metodo e dì studio. Il diritto costituzionale fascista: le leggi ; la prassi ; la dottrina ; la storia. Il metodo giuridico ed i suoi limiti. Le leggi costituzionali ; le leggi costituzionali rivoluzionarie. L ’in­ staurazione rivoluzionaria. L ’atto fondamentale della rivoluzione ; il Proclama del Quadrumvirato. I! diritto rivoluzionario: organi provvisori ; costituenti ; costituzionali. . Il Potere politico o corporativo dello stato ed i suoi presupposti so­ciali politi« e giuridici. La crisi della democrazia parlamentare. Re­gime parlamentare e Regime fascista. La divisione dei poteri come specificazione di organi e di funzioni, e la coordinazione dei poteri. Critica della teoria dei tre poteri. La fun­zione di governo, ossia corporativa o politica dello Stato. Natura dì questa funzione e sua denom inazione. L’Organo supremo. Dalia funzione politica alla determinazione del titolare di essa. La gerarchia degli organi costituzionali. 11 Capo dello Stato ; il Capo del Governo ; il Gran Consiglio del Fascismo. L ’ Or­gano supremo come organo complesso. Le relazioni statiche e dina­miche fra i tre elementi dell’Organo supremo. La Monarchia e il Partito Nazionale Fascista.. La forma di governo: il Regime fascista de! Capo del Governo. La forma di governo desunta dalla posizione costituzionale dell’Organo supremo. Confronto fra il Regime fascista e l’attuale regime inglese superparlamentare a • Premier ». Perfezione e superiorità del Regime fascista nell’evoluzione delle forme di governo, in quanto piena realizzazione del regime popolare. Il Capo del Governo ; ampiezza ed intensità dei suoi poteri e delle sue attribuzioni. Sua posizione gerarchica rispetto agli altri Ministri, suoi puri collaboratori tecnici. Gerarchia in senso amministrativo e in senso costituzionale. La dinamica delle relazioni fra il Capo del Governo e gli altri organi dello Stato, ed il Partito come fulcro giuridico ed istituzione-cardine del Regime fascista. Nesso organico fra la Monarchia e il P. N. F.. L’unità sostanziale fra il Re, il Popolo, il Partito. Il Gran Consiglio. La prerogativa suprema del Re : la scelta e la nomina del Capo del Governo. (In nota; la progressiva delimitazione della competenza legislativa materiale del Parlamento e la crisi della legge formale. I gradi del potere legislativo ed il problema della gerarchia delle nor­ me giuridiche e della relativa Giurisdizione costituzionale). LE CORPORAZIONI E TEORIA GENERALE DELLA CORPORAZIONE. PRINCIPI GENERALI. Il Corporativismo concepito come principio filosoflco. Corporativismo economico e Corjiorativismo politico. Errore <1i ridurre il Corporati­vismo al puro piano economico. Unità di Fascismo e di Corpora­tivismo. La corporazione e le Corporazioni. Sindacato e Corporazione. Sinda­calismo corporativo e Corporativismo sindacale. CHE COSA SONO E COME SONO COSTITUITE LE CORPORAZIONI. L’essenza delle Corporazioni e le loro proprietà costitutive. I,a costituzione organica delle Corporazioni. Le lunzjoni delle Corporazioni. Preponderante rilevanza della loro funzione normativa ed esame di quest’ultima. Il funzionamento pratico delle Corporazioni. Il reale e l'ideale nella Corporazione. CHE COSA FANNO LE CORPORAZIONI. I compiti e i problemi delle Corporazioni. La funzione corporativa come esplicazione della potestà d’impero dello Stato. L ’unità deH’attività dello Stalo. Le funzioni; gl’atti dello Stato. Attività economica in senso materiale, ed in senso formale dello Stato. L ’attività giuridico-economica dello Stato. I destinatari delle norme corporative. Che cos’è la produzione. L’ese­cuzione produttiva. Sua differenza dalla esecuzione amministrativa. Lo Stato e la produzione. Piano economico e piano produttivo. Dire­zione e gestione. L’autarchia. Autarchia economica in senso formale. L’economia corporativa come economia mista. Il diritto economico. Iniziativa privata ed autarchia. IniziaUva pri­ vata e libertà economica. La libertà come categoria spirituale e filosofica. Iniziativa privata e proprietà privata. Personalità e proprietà; lavo­ro e proprietà. LE CORPORAZIONI ISTITUITE. IL PIANO DELLE 22 CORPORAZIONI. Il quadro delle Corporazioni ed i loro tre gruppi. Il ciclo produttivo per grandi rami di produzione come criterio co­stitutivo delle Corporazioni e della loro distinzione in tre gruppi. 154 3. La relatività come criterio per la costituzione e la classificazione del­le Corporazioni. Esplicazione di questo criterio di relatività in due leggi : la organicità decrescente e la generalità crescente delle Corporazioni. Natura strettamente « sperimentale dell’ordinamento delle Corporazioni. Il Sindacato come elemento attivo delle Corporazioni. Statica e dinamica delle Corporazioni. Mozione presentala dal D U C E ed approvata dall'Assemblea Generale del Consiglio Nazionale delle Corporazioni. TEORIA GENERALE DEL PARTITO. CONSIDERAZIONI GENERALI DI METODO SUL PARTITO NELLA DOTTRINA DELLO STATO E NEL DIRITTO PUBBLICO. Il partito rivoluzionario nella Dottrina dello Stato e suo posto siste­matico in essa. Il procedimento di formazione dello Stato fascista, ossia il Partito rivoluzionario come origine immediata e formale dello Stato fascista. Delimitazione dello studio de! Partito sotto l’aspetto politico e sotto l’aspetto giuridico. Criteri di metodo e degli organi dello stato. Le varie teorie sulla natura giuridica del Partito, particolarmente sul Partito come istituzione politica autarchica e come organo dello Stato. Le varie specie di istituzioni pubbliche. Nuovo concetto delTautarchia. IL PARTITO RIVOLUZIONARIO, OSSIA IL PARTITO-STATO. Il partito rivoluzionario come nozione pubblicistica a sè. .Il partito rivoluzionario nella Storia e nella Dottrina dei partiti. Se il partito rivoluzionario sia ancora un partito e de. bba chiamarsi partitoIl partito rivoluzionario come partito di regime. Partiti di governo e partiti di regime. lì partito socialista ed il Partito fascista come partiti rivoluzionari. Partito rivoluzionario e partito unico. Il partito unico nella concezione socialista e nella concezione fascista. Stato dì partiti ; Stato-partito. Il partito totalitario ed il partito unico. Differenza, non identità fra le due nozioni. Il partito unico può intendersi in due sensi: in senso giuridico o formale come ente processuale ossia come organo della rivoluzione. In senso sostanziale come ente politico ossia come organo dello stato. La giustificazione del partito rivoluzionario. Il partito rivoluzionario come organizzazione militare . passaggio dal Partito-Stato allo Stato-partito. LA DITTATURA RIVOLUZIONARIA. Considerazioni generali sul fenomeno storico-politico della dittatura. Esposizione e critica di alcune opinioni sulla dittatura. Le crisi dello Stato e le rivoluzioni. Distinzione, classificazione e analisi delle varie forme dì dittatura. La dittatura costituzionale. La dittatura rivoluzionaria.. La dittatura polìtica. La dittatura eroica . PARTITO - REGIME STATO. Posizione e determinazione critica e metodica del concetto di regime. Il concetto di regime nella recente dottrina politica e giuridica ita­liana . Il concetto di regime in rapporto a quello di rivoluzione. Il movimento interno ossia la dialettica del regime. Le istituzioni del Partito e quelle del Regime : le istituzioni del Regime e quelle dello Stato . IL CONCETTO DI STATO-PARTITO. Lo Stato-partito. Lo Stato dei partiti; delle leghe; dei sindacati (Partitismo; Leghismo, Sindacalismo). Il partito rivoluzionario; il Partito-Stato; la formula politica. Modernità del concetto di rivolurione e di partito rivoluzionario. L ’unità e la continuità dello Stato ; la vicenda e la successione del­le forme di governo. Socialismo rivoluzionario; riformismo ; bolscevismo ; Fascismo. L’esperienza sovietica russa. La classe. La Nazione. Lo Stato-oggetto; il partito-soggetto. L’esperienza fascista. Contraddizione sovietica; verità fascista. Il problema giuridico del P. N. F.. Dal Partito-Stato allo Stato-par­tito. Insurrezione e dittatura come torme logiche della Rivoluzione. Lo Stato-formae lo Stato-sostanza. Natura e scopo del P. N. F,. Istituzione ed organo dello Stato. Nuovo concetto degli organi dello Stato. L'uno politico: lo Stato; il pluralismo sociale. Sindacati. Il Partito e i Sindacati . L’università del Fascismo; suo presupposto: il partito unico .  SCRITTI FIL030F1GO-GIURIDICI E DI DOTTRINA DELLO STATO. Il Diritto e l’autorità, Torino, Pomba. Le ragioni della Giurisprudenza pura, Roma, Rio. Inier. di Sociologia, Il concetto della guerra giusta, Campobasso, Coluti, Lo Stato giuridico^ nella concezione di Pelrone, Campobasso, Coluti. Introduzione alla Società delle Nazioni, Ferrara, Taddei. La Lega delle Nazioni, Ferrara, Taddei. Lo Stato di diritto. Città di Castello, lì Solco. Il socialismo, la Filosofia del diriilo e lo Staio, Città di Castello, il Solco, Lirillo, Forza e Violenza. Bologna, Cappelli. Staio e Sindacati, Roma, Rio. Inter. di Filos. del Dir. Consenso ed apatia, in Annaii dell'Universilà di Ferrara. Filosofia e Polilica del diritto, Milano, Rio. di Dir. Pubb. La Politica di Sismondi, Roma, Rio. Inlern. di Filos. del Dir.,  Il Sentimento detto Stalo, Roma, Libreria del Littorio, Diritto sindacale e corporaliuo, Perugia, La Nuova Italia, Stalo e Diritto, Modena, Le leggi cosittuzionu/i del Regime {Relazione al F Congresso giuridico italiano) Roma, Popolo, Nazione e Stato, Perugia, La Nuova Italia, Allgemeine Theorie des faseslischen Staales, Berlino, Walter de Gruyter, SCRITTI POLITICI Il Socialismo giuridico, Genova, Libreria moderna, Il Sindacalismo nel passalo, Lugano, Pagine Libere, La persistenza del diritlo, Pescara, Casa Ed. Abruzzese, Sindacalismo e Medio Eoo, Napoli, Casa Ed. Partenopea, Stalo Nazionale e Sindacali, Milano, Imperia,  Che cos’è il Fascismo, Milano, Alpes, Lo Stato Fascista, Bologna, Cappelli, Il riconoscimento rivoluzionario dei Sindacati, Roma, Il Diritto del Lavoro  Sindacalismo, Torino, Pomba, Rivoluzione e Costituzione, Milano, Treves, La fStoria» del Sindacalismo fascista, Roma, Quaderni di segnalazione, Riforma Coslltuzionale {Le corporazioni; il Consiglio delle Corporazioni, il Se­ nato), Firenze, La Nuova Italia, Economia mista {dal Sindacalismo giuridico al Sindacalismo economico), Milano, Hoepli,Alighieri esalta nel suo De Monarchia 1’ordinamento gerarchico del mondo conchiuso nell’idea imperiale; pocoappresso Marsilio da Padova fonda sulpopolo 11diritto didarsiunproprioordinamento giuridico, secondo le speciali esigenze di ogni gruppo sociale, e Bartolo espone nel trattato De regimine sivitatis le varie forme dei governi, secondo l’autonomo diritto  delle cittàe dei regni; finché Enea Silvio Piccolomini avanti il definitive tramonto dell’idea imperiale, traccia a grandi linee, nel Libellus de ortu et auctoritate imperli, il disegno dell’ordine politico dell’ universo, secondo la disciplina dei gruppi so¬ vrani gerarchicamente congiunti nell’impero. Solmi. Sull’autonomia nel DIRITTO ROMANO, si veda Marquardt, ORGANISATION DEL’EMPIRE ROMAIN, PARIS, e per il concetto giuridico moderno Regelsberger Pandekten, Leipzig, e la letteratura ivi citata. Le dottrine dei giuristi medievali sono esposte dal Gierke Deut. Genossenschaftsrect BerlinSuDante, sarebbe da vedere il mio scritto in Bull, della Soc. Dantesca;su Marsilio e Silvio, cfr.Rehni Gesch. Staatsrechtswissen schaft, Ereiburgi. su Bartolo, lo scritto del Salvemini, Studi storici Firenze Solmi, la cooperazione, lo stato come cooperazione – lo stato come la cooperazione ideale – cooperazione volontaria – cita. Sergio Panunzio. Panunzio. Keywords: stato, nazione, razza, popolo, popolo e nazione sono cose distinte – la nazione ha una valore plus sopra popolo. Razza e distinto a nazione – una rivoluzione basata sulla razza – la concezione della razza e della nazione, l’italianita, la romanita, il ventennio fascista – la filosofia giuridica previa al ventennio fascista – morte di Sergio Panunzio. L’altro Sergio Panunzio. Concetti. Citazione della teoria dell’aristocrazia di Mosca, non di Pareto, citazione di Labriola, critica al stato prussiano di Hegel, l’ordine di 1848, Mazzini, la revoluzione causata per comunisti, la dittatura fascista, il dittatore eroe, cita de Martinis, l’eroe non e senso sociologico di Martini, ma filosofico. Il concetto di la nazione italiana, il concetto di Roma, la luce di Roma, la storia italiana, il concetto di stato-nazione, il concetto di stato-razza. Citazione di “La mia battaglia”, citazione di Mussolini. Scritti sistematici, evoluzione della teoria dello stato fascista – positivismo, assenza di elementi mistici. La revoluzione de perturbi e morbidi comunisti al ordine del reglamento de 1848, la dittadura come reazione alla revoluzione, il concetto di stato, popolo, nazione, antichita romana, i sindicati nella antica roma, i sindicati nella Firenze medievale, il comune del comune, la citazione della Monarchia di Aligheri, Marsilio di Padova, e Machiavelli. Il concetto di ‘stato’ nei romani. Definizione concise. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panunzio” – The Swimming-Pool Library. Panunzio.

 

Grice e Panunzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- ventennio fascista – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ferrara). Filosofo italiano. Grice: “I like his ‘contemplazione e simbolo,’ for what is a symbol for if no one is going to contemplate it!?” -- Essential Italian philosopher. FIGLIO di Sergio, il più noto filosofo del diritto e teorico del sindacalismo rivoluzionario. Ligato alle correnti conservatrici e contro-rivoluzionarie italiane.  Studia a Roma sotto ZOLLI. Insegna a Roma. Come Grice, alla Regia Marina, partecipa ad operazioni di guerra nel mediterraneo contro Capt. H. P. Grice, e viene insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia. Collabora con “Pagine Libere”, “L'Ultima”, “Carattere” e altre riviste specializzate in studi filosofici. Si muove nella direzione di un simbolismo esoterico pieno di sacrali e regali elementi. Fonda a Roma la rivista del tradizionalismo, “Meta-Politica”. Pubblica saggi in una collana a cui darà il nome di "Dottrina dello Spirito Italiano". Il concetto di “meta-politica” è al centro del dibattito sulle radici europee da parte degli esponenti della destra e il culto del pagano (anti-cattocomune) di Benoist. Cerca di ri-condurne l'orientamento tradizionale, iniziatico, e simbolico. L’imponente biblioteca del padre è donata a Spirito che ne custodisce in gran parte anche l'archivio di famiglia.  Altri saggi: “Contemplazione e simbolo”; “Summa iniziatica occidentale” (Volpe, Roma); “Simmetria, Roma); “Metapolitica, “Roma eterna”, Babuino, Roma); “Luci di iero-sofia” (Volpe, I Classici Cristiani, Cantagalli, Siena); “La conservazione rivoluzionaria. “Dal dramma politico del Novecento alla svolta Meta-politica del Duemila”,  Il Cinabro, Catania Cielo e Terra, “Poesia, Simbolismo, Sapienza, nel poema Sacro,  Metapolitica, Roma ; Cantagalli, Siena Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis”, Gl’Eroi, Cantagalli, Siena, Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis” Siena, Cantagalli, Princípio, Appello. Storia ed Eségesi Breve. Precedente Storico e Agiografico, Roma, Scritti remoti  L’anima italiana, Sophia, Roma,  Difesa dell’aristocrazia: Pagine Libere, Roma Gismondi, Roma, Foscolo tra VICO e MAZZINI nello spirito italiano, Gismondi, Roma, Sull’esistenzialismo giuridico” (Bocca, Milano); “Tradizione, L’Ultima, Firenze; “Cosmologia degl’antichi romani, Dialoghi, Roma, Ispirazione e Tradizione -- Città tradizionali e Città ispiratrici --, Carattere, Verona  Lo spiritualismo storico di Sturzo, Per una rettificazione metafisica della Sociologia, Conte, Napoli Scritti, S. Benedetto, Parma   La Pianura, Ferrara, Atanor, Roma. Schena, Fasano,  Ristampe e nuove antologie  Difesa dell’Aristocrazia, Quaderni di Metapolitica,  Roma  I Quaderni di Metapolitica, Roma  Vecchie e nuove cosmologie, Avviamento alla “Scienza dei Magi), Per una rettificazione metafisica della sociologia, Lo spiritualismo storico di  Sturzo, Sull'autore:  Testimone dell'assoluto, “L'itinerario umano e intellettuale di Silvano Panunzio”, (Eségesi di 12 noti Scrittori Italiani), Ed. Cantagalli, Siena, Dalla metafisica alla metapolitica: omaggio, Simmetria, Roma.  Inediti. In corso di stampa Note  Olinto Dini, Percorsi di libertà, Firenze, Polistampa, Scirè, La democrazia alla prova, Roma, Carocci. Combattente nella guerra, rimane chiaramente,  un teorico del fascismo. S. Sotgiu,  in Il Giornale, Tradizionalismo (filosofia. Silvano Panunzio. Panunzio. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panunzio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Paolino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- dizionario filosofico portatile per ginnasti -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “In England, we have it easy: we have Oxford and we have Oxford. In Italy, small a country as it is, they have Bologna, Bologna, Bologna, and Nappoli, Venezia, Roma, etc.” Autore di quattro trattenimenti De' principj del dritto naturale, stampati a Napoli presso Giovanni di Simone, di un supplemento al Dizionario storico portatile di Ladvocat, ma è noto soprattutto per i due volumi della sua Istoria dello studio di Napoli, uscita anch'essa dalla stamperia di Giovanni di Simone. Si tratta della prima storia compiuta dell'Napoli, nella quale l'autore dimostra con buoni argomenti (come ricorda Tiraboschi nella sua Storia della letteratura italiana), che quello studio non e veramente fondato da Federico II di Svevia, ma, prima di lui, dai Normanni, benché questi non le dessero veramente forma di università e non la onorassero dei privilegi che a tali corpi convengono, cosa che invece fu fatta da Federico, che così meritò la fama di suo vero fondatore.  Opere: Giangiuseppe Origlia, Istoria dello studio di Napoli,  Torino, Giovanni Di Simone, Girolamo Tiraboschi. Grice: “Paolino is a quasi-contractualist. His contractualist treatise is very accessible. Man is the political animal, so politics is in the essence. Polis means civil, so a man who is not civil is not a man. Paolino analyses a contract – in general, and then the social contract in particular. This sets him to analyise such duties which are addressed to the other members of the civitas. Paolino is alo the author of a dictionary of antiquities, which has the nice alphabetical touch about it, if you are into a first  thought on Julius Caesar or Cicero! He also traced the stadium tradition to the ‘gym,’ ‘nudare’ as he notes. And notes that it started in the cities where such as Athens or Rome where the athletes needed a place to get undress and practice. He mentions Plato’s Academy (after Hekademos) and Aristotle’s Lycaeum, after the statue of Apollo Liceo, reposing after extercise. It is good to call Platonists accademici and Aristotelians liceii then. The gyms were particularly popular in Italy – even before the great expansion of the Latins and Romans over other ethinicities. In the South of Italy especially, due to the weather, it is more natural for an athlete to feel the need to get undress as soon as possible, and philosophers followed.” Di tutte adunque le società del mondo non e ch'una ftetia l'origine , perchè tutte, giusta il vostro avviso, nonsìmisero inpiè, nèsi formarono, se non secondo le diverse nécessità, e bisogne degl’uomini. Anzim in tutte altre sìsi ha un istesso fine perchè non si risguardò ad altro, se non al commodo, e dutile commune de socii. Ma quali sono le società particolari, che sarebbero state mai nel Mondo inufo, semante nuta si fofle ben falda, e stabile la società Universale (A )? (A) Egli è fuor di dubbio che gl’uomini, essendo tutti in obbligo ed in dovere d'amarsi u vicenda; el'uno come non nato, per se medesimo, dovendo non che al proprio anche all’altrui commodo badare, quando ciò tutto esattamente osservavano, non venivano a comporre che una società universale in guisa che niun diefi considerarsene potea al di fuor. Quindi divero io non  M. La  271 safidica l'Eineccio, il quale tutto scaglian, dosicontro il Puffendorfio, che trattiavea, e deafai malamenge inferiti tutti gli obblighi, e gl’umani doveri della società, soggiugneto, jto ch'era uom tenuto soddisfara tuttiquegli che Uella ,ch'è la più vera, e la più saggia, antichità del e la sola infallibile maestra dell'umana Ginnasio Na   II. Cosa fossero  prudenza si lasciarono in dietro di gran lunga ogni altra nazione. Quindi, giustache scrive Dion Crisostomo agl’Alessandrini sull'autorità d'Anacarside, non vi fu città della Grecia, che non avesse avuto il suo Ginnasio. Questo solo basta di presente supporre per farci sicuramente acredere, che Napoli Città oggi dall'eterna divina provvidenza maravigliosamente fornitadi quanto in una ben nobile, e doviziosa potrebbe mai l'uom brą mare; e sopra tutte l'altre ben culte città dell'Europa, e per le scienze,e per l'armi, e per lo Erano presso de Greci questi Ginnasj alcuni grandi, stati i Ginnasi e magnifici edifizii con ampii portici, e stanze d'ogni ca onde venifer opacità, luoghi coverti, e scoverti, ombre, ed altrepref così deti: eso che infinite comodità, ove la gioventù ammaestravasi qual fosse la lor forma. Oppinio non meno nell'ARTE GINNICA che nelle scienze, e nelle fa  pari celebre gran trafficodi essendo stata, come tutti fuor versia asseriscono, fondata di ogni contro l'altre da Greci, ha anch'ella come della Grecia il suo ginnasio finda' suoi cominciamenti Infatti STRABONE, che vise che a’ suoi al tempo di OTTAVIANO, scrive, giorni questa città avea ancora ti che Greche costumanze molte dell'an , come le Curie, le l'Efebeo,e altre d ital Fratrie, fatta. E con queste ha il Ginnasio. Né v'ha scrittore al tresì osi su questo muover di buon senno, che ombra di dubbio e ne di coloro che arti liberali; onde sotto uno stesso tetto venivano a c o m avuto il luogo prendersi, per così dire, due diverse accademie proprio per le, e due Scuole, ribut ta varj, e diversi generi di Scuole, cioè: quelle dell'arte ta comefavolo- bellica , e quelle delle scienze, e delle belle lettere. E niodi molti çe perchè a coloro, che applicatierano alla Ginnica, e per lebri scritori. Io gran novero loro, e per gli esercizi, che far doveano, come il corso, la lotta, il salto,il pancrazio, il di Strab. 1.s. fco,   . “γύμνοω”, det idioma, senza aggiugnimento d'altro, semplicemente O ti Ginnasj. Per la qual cosa alcuni nel progresso del tempo non badando che al semplice suono del vocabolom con cui chiamavansi, li credettero non per altro essere edificati, che per un tal mestiere: opi stati esi prima , forse il primo, Crasso presso CICERONE che porta la ne, e tra gli altri , che in questi ultimi secoli sostennero fi furono MERCURIALE, e Pier L a però avendo per certo, per quel, che ne scri sena. Noi Ginnica non e pove Galeno a Trafibolo, che l'arte sta in voga nella Grecia, che alquanto prima dell'età di Platone, e che in Grecia, come manifestamen te fi ravvisa nell'ingegnoso, ed ammirabile poema di visselungamente prima di quel cele Omero, il qualee da molti celebri scrittori, come bre filosofante avanti lo Lino, Filamone, Tamiride , e altri fioriti stesso Omero, sono vị le Scuole delle belle lettere fino da’primi tempi; stimiamo più ragionevole il credere, che s'introdussero i giuochi Ginnici, ed Atle che dopo fatto, che amtici, I Greci altro allor non avessero pliare que’ medesimi edifizj, fatti molto tempo prima non per altro fine, che per le scuole, e chiamatigli per le ragioni, che testè noi accennammo, Ginnasj:poichè Crasso steso, il quale e il primo, ed A2 inge sco, facea mestieri d'uno spazio maggiore, e asai più grande diquello,che bisogna percoloro,che istrụi vansi nell'arti liberali, e venivano per questo ad occupare buona parte di tali edifizii; sono questi dal modo, con cui in es si faceansi quegli esercizj, cioè dalla voce greca yújrow , che tanto vale quanto NUDARE nel nostro e . CICERONE De orat. Apud Anson.Vandal differt. 8. de Gymnasiarcb.  ingenuamente egli anche lo attesta, a metter in campo un sentimento a questo del tutto opposto. Parlando del suo tempo dà atutti a conoscere, che le pubbliche scuole delle scienze non era allora in costume d'aprirsi in altro luogo, che ne' Ginnasi; e che per quanto egli si studialle, non potea in niun modo fisar in cui queste erano colà state erette. Ego alio modo interpreter (dice egli) qui primum Palæstram e sedes deporticusetiam ipsos, Catulé, Grecos exercitationis, eg delectationis causa, non disputationis invenisse arbitror; et sæculis multis ante gymnasia inventa sunt, quam in his FILOSOFI garrirecæperunt; hoc ipso tem porecumomnia Gymnasia FILOSOFI teneant tamen eo rum auditores discum audire, quam Philosophum malunt etc.  Per verità non v'e ginnasio nella Grecia, in cui non vi fossero queste Scuole. Cosi leggiamo,che in Atene nel “CINOFARGO”, il quale e un Ginnasio eretto molto prima del tempo di Platone, sono vi tra l'altre Scuole, quelle della setta “cinica”, dalle quali egli anche ha il nome, e nell'ACCADEMIA e vi l'uditorio di Platone come nel LIZIO quello d'Aristotele. Anzi accolto, ovvero al di dentro d'alcuni celebri ginnasii trovavansi non meno delle scuole, che delle famose, e celebri biblioteche; come sappiamo diquello parimente in Atene, che avea dappresso la celebre BIBLIOTECA di Pisistrato, rammentata da Girolamo, e da altri, e quello in Rodi, della cui celebre Biblio Schol. Ariftoph. Pace Xenophont. In Hippar. Plutar. Symphofilo vi11. q. iv. Suid. Pauf. in Artic. Hieron.de Beat. Pompbil. martyr. ep. Ad Marcel.14. Gell. l.vi.c.17. Lucian. adverfus indo&um. Pauliin Atricis. Ifidor. orig.hiv1.3. a Р ерос Suid. Pauf. in Attic. Schol. Ariftoph. ad Nubes ec. Ammon. vit. Aristot. Plutarch. De exilio. CICERONE . q. TUSCULO] teca parla Ateneo; é per questa stessa ragione per cui sempre ai ginnasii accoppiavansi le scuole delle lettere, troviamo che molti valenti uomini, e dotti scrittori applicarono in molti luoghi delle lor opere questo vocabolo, a significar non altro, che queste, quasi per eccellenza; essendo lo studio delle scienze molto più nobile, e sublime di tutti gli esercizi ginnici. – l’archi-ginnasio di Bologna – la prima universita --. III. che h una con quello nello stesso tempo le Scuole nide le Scuole Atben. Biblioth. l.1. dipnofoph.c.1. Senec. epift.76. ut 0 1, Supposto adunque pervero, come lo è infatti, Tenimonianza che Napoli, come città greca, ha il suo ginnasio fin di Seneca, e di da' suoi primi principi, egli convien credere anchevero, tri autori Lati . di Napoli : delle belle lettere; senza le quali nella Grecia, come Scienze che vi abbiam detto, non si forma Ginnasio; e certamente s'insegnarono; di queste, di cui è solo or nostro assunto il favellare ,vifiorirono. parla Senecainuna sua pistola, nella quale, come dalle parole, che poco fa da noi fi allegarono di Crasso, con lui filagna presso CICERONE di que’ giovani, che al meglio delle lor lezioni lasciavano i lor maestri nelle Scuole per correre frettoloji a veder il disco, la lotta, e gl’altri ginnici esercizi. Così egli fiduole fortemente col suo LUCILI, che nelle scuole della nostra città visto avea far cerchio ai filosofi, giovani in nove romolto pochi al paragone di quelli, che a calca tra ftullavansi nel Teatro, il quale, come egli narra, e in questa Città non guari distante dello stesso ginnasio, Pudet autem me generis humani -- scrive egli -- Quoties Scho lam intravi, prater ipfum theatrum neapolitanum  Il fcis, transeundum eft, Metro nacti spetentibus domum lud quidem farctum est: hoc ingenti studio, quis fit Pithaules bonus, judicatur. Habet tibicen quoque Græcus du præco concursum: at in i lo loco, in STAL: quo ritur, in quo vir bonus discitur, paucis simisedent; et bi plerisque videntur nibil boni negotii babere, quod agant, inepti cu inertes vocantur. i più nobili della Città non isdegnavano neppur d'inviarvi per tal fine i propri figliuoli; poichè egli scrive, che portatosi in Napoli con Giuliano, professor di rettorica udito vavea un giovinetto molto riccocum utriusque lingua magistris -- per valerci delle stesse sue parole 00 meditans, exercens ad caul'as Roma orandas eloquentia Latina facultatem. Quanto alla Filosofia, la dottrina dell’ORTO, la quale venne da'più dotti dell' antichità ricevuta con applauso, e fu universalmente se guita da tutti que'grandi uomini del tempo d'Ottaviano; e quella , che in queste medesime scuole avea MAGGIOR VOGA; come par che si conobbe da una iscrizione,che fi rinvenne in un Cimiterio fco verto nella Valle della Sanità , non guari distante da quella Chiesa sopra alcune urne, che state sono per quel che n'appare, dell’ORTO.. Poichè in alcune di quelle vedeası il nome di alcuni celebri filosofanti di questa setta, scritti con caratteri Latini leggevasi; manonbene, e oscuramente. E come apprendiamo da Gellio, che fa anche di questo ginnasio onorata memoranza vir bonusque. 3 DELLA e fiori al quanto dopo Seneca; al suo tempo in queste scuole nell'istessa guisa, che in quelle del ginnasio di Cartagine rammemorato da molti Autori, s'istruivano i giovani non meno nelle scienze che nelle lingue; e I più  Salvion. Hieron. In Catbalog. Jone Proph. Aug. conf. fc. Celan. Giorn. 3. delle notizie di Nap. STALLIVS.GAIVS.SEDES HAVRANVS.TVETVR EX EPICVREIO.GAVDI.VIGENTE CHORO Quindi tra' maestri , che in tali Scuole insegnarono le lettere umane e le lingue si conta Stazio Papinio nativo di Silta, Città dell'Epiro, che fiorì circa al tem po dell'Imperadore Domiziano; padre di Publio Stazio; il quale, come dal costui poema fi ravvisa espose in queste Scuole l'opere de'più celebri poeti Greci, come Omero, Esiodo, Teocrito, ed altri di questo genere; e tra coloro, che v'insegnarono le scienze filosofiche, deve annoverarsi senza dubbio quel Metronatte,di cui, come prima abbiam fatto vedere, fa motto Seneca; e fimorì molto giovine,che glifu contemporaneo, co me questi medesimo attestainun'altra pistola diretta al lo stesso fuo Lucilio;e febbene degli altrimaestri, e professori, che vi furono in questi, o in altri più anti chi tempi,dato non ci siaora di tesser un ben lungo,e distinto catalogo , poichè i lumi , e le memorie della Storia totalmente ci mancano ; non però egli è certo , che essi furono tutti di tanto sapere adorni,e di sì rara dottrina,che abbondando perciò laCittà digiovani let terati venne ella d’ ROMANI concordemente non con altro titolo chiamata , che di dotta, e studiofa ; e così per tralasciar degli altri,che cið fecero COLUMELLA in parlando di Napoli, non con altro epiteto nominol la>,che con questo: Doftaque Parthenope, Sebethide roscida lympha. E'l medesimo fece anche Marziale col seguente verso: bi  di 00 .1 >1 li al Papir. Star. flvar. s. epiced. inpatr. Senec. ep. Er Oras. Epod. Ad Canid. Sil. Italib. Stor. Syluar. Ovid. Metamorpb. is.  Napoli, quanto Illo VIRGILIO me tempore dulcis alebat mente cari; ond'è,che niuna altra Città più della loro Costantino. Sen.ritroviam nellaStoria, che avessero eglinofino nel cadi li, che vogliomento dellor Imperio maggiormente frequentata; equel no, aver Titali sopratuttolafrequentavano, se vogliam prestarfe in rifateleScuo-de a Strabone che impiegavano ilpiù del lor tem le,con allega re'inpruovailpo allostudio delle lettere, edelle scienze. marmo,cheog  Et quas d o &t a Neapolis creavit. Anzi Virgilio e riguardo scienze Parthenope, studiis florentem ignobilis oci. E tra perquelto conto i Napoletani, e per laGin comebenrifletteil Bembo inunasua pistola, fu mandato , e mantenuto da Augusto in questa Città a proprie spese per farvi i suoi studj. E in fat ti nella prima Egloga de' Buccolici, scrit ti anche in Napoli , egli riporta a' favori di quel Principe il suo Napoletano ozio, cioè, studio con quelle parole: Deus nobis hæc otia fecit. E confessa nella fine de'Georgici, che: che visicolei nica , la quale nel si. lor Ginnasio esercitavano anche con vavanofofefta somma diligenza e con tutta la magnificenza del Mon ta FREQUENTATA DA’ ROMANI; edo,divennero universalmente agli stesiRomani somma anche dagl'Imperadori fino a gi fi conserva Quindi LUCILIO, che fu ilprimo tra’Latini a scrive fopra la fontere delleSatire, non solo visse, ma anche morir volle tra' .An nunziata;mo:Napoletani, comeattefta Quintiliano,e Cicerone, il strato falso ; e quale v’ebbe anche un'abitazione e Virgilio, dicui di che propriamente in efoabbiam favellato, Orazio, Livio, Marziale, Silio Italico - fac cialimenzio --, Claudiano , e tutti gli altri tra gl’antichi , ne mar che mo rapportato mercè dellor saperelasciarono a'posteriillornome im in cuilafenzamortale, abitarono in Napoli perpiù tempo; anzi dubbio fi parla delle Scuole . molti Bemb. lett. 27. Strab.l.3.infin. Quintil. CICERONE ep. famil. Crinit. de Poet. Latin. Philoftr. Icon. Sil. Ital. per  9 molti,come dal Poeta Archia narra Cicerone  brama rono ben' anche di esservi ricevuti per Cittadini; cosa, che i Greci non erano molto larghi a concedere; feb bene su ciò non tuttiusassero lastesa moderazione: Ma non meno de’ privati CITTADINI ROMANI,visita rono questa nostra Città glistesiImperadori ; poichè sal vo Celare, il quale, come scrisve CICERONE inalcun tempo ebbe a sdegno i Napoletani, forse perchè infer matosi fra esi Pompeo nelprincipio della lor guerra, gli mostrarono,come scrive Plutarco,moltisegnid'af fezione, gli altri tutti fino a Costantino, lebbero per le stese ragioni anche molto cari: così che eglino molte prerogativen'ottennero. Il perchè TITO, chesuccef se a Vespasiano circa l'anno 79.. dell'era Cristiana, essendo pe'violenti tremuoti accaduti al suo tempo , a cagione di unobengrande incendio del Monte Vesuvio rovinati molti luoghi vicini ; e traquelli, come scrivonoalcuni de'noftri Storici,in Napoli anche il Ginnasio: egli pose ogni studio per farlo con pubblico danajo ristorare: e comunalmente fivuole, che di questo fatto ne faccia anche oggi giorno una chiara, e certa testimonianza quella Gre. eLatina Inscrizione, la quale tuttaviaravvisiamoin questa città in un marmo elevato nel muro della Fonta na dell'Annunziata , ch'è la seguente, riferita anche dal Grutero, non cheda tuttiinostri Istorici, li quali vogliono, che in essa fi faccia parimente una espressa memoria delle scuole, ch'esistevano nel Ginnasio. 100 Jens 1 CI, 22 > 1 00 TO са, fuz a . B  Cic. pro Archia. Ezechiel. Spanhem. Orb. Roman.  CICERONE Ad Attic.l.10. ep.11. Plutar.inPomp. V. l'Autor della Stor. Civil. Del Regn. lSueton.in Tit. cap.12.b.i. Gruter. Infcript. oper. & locor. publicor. Capacc.ift. l. 1. c.18. Bened. di Falco Antich. Di Nap.&c. TI  ΙΤΟΣ -ΚΑΙΣΑΡ ΕΣΠΑΣΙΑΝΟΣ: ΣΕΒΑΣΤΟΣ ΚΗΣ ΕΞΟΥΣΙΑΣ ΤΟΙ OE TIIATOE TO H TEIMHTHE OETHEAE·TOT: TYMNASIAPXHEAE ΥΜΠΕΣΟΝΤΑ ΑΠΟΚΑΤΕΣΤΗΣΕΝ NI ·F ·VESPASIANVS ·A V G .COS.VIII.CENSOR.P. P. IBVS .CONLAPSA ·RESTITVIT Ma senza che quì noi ci distendiamo molto nepo co in far riflettere agli abbagli, ed agli errori, che co munalmente han preso tutti nella sposizione di questo marmo ; basta, che con qualche diligenza per uom si legga , per dubitare se in esso si tratti del Ginnasio; o v ver più tosto dell'antiche Terme , come più probabil cosa essercrediamo, nel fito delle quali eglifu trovato ; ed ; il numero delpiù,il quale si vede in esso adoperato a notare gli edifizj rifatti per ordine di Tito ,par che troppo chiaramente lo ci additi ; nè per qualunque ftu dio vi fi faccia, potrà mai scorgervisi parola, che colle Scuole, o cogli esercizj letterarj abbia coerenza ; onde quanto su ciò fi dice sono tutte pure,e prette immagi nazioni de'nostri; egli v'ha però un altro marmo rife rito dal Capaccio, ove espressamente leggasi: SCHOLAM. CVM. STATVIS ET IMAGINIBVS  ORNAMENTISQVE. OMNIBVS SVA: IMPENSA FECIT Capacc. Ift. tom.I.h.1.6.18. . E per   .I. 11 E perverità ebberoi Greci in costume di adornardi statue, e d'immagini ilor Ginnasj, con riporre quellede più celebri Atleti, ed icoloro, che si erano più nella Ginnica refi immortali, ne’luoghi, ove l'arte esercitasi. E quelle de’ gran FILOSOFI nelle Scuole; come del Ginnasio diTolommeo celebre in Atene narra Pausania Per la qual cosa se non a Tito , sicuramente ad Adria no , che nell'anno 117. dell'Era volgare successe nell Imperio a Trajano. Di quanto narrasi in questo marmo convien darsi il vanto. Poichè questo Imperadore, come scrive Sparziano  inomnibus pæne urbibus,com aliquid ædificavit,o ludosedidit:efucotantoamatoda'Na poletani, che volontariamente lo elessero Demarco; ch' è quanto dire Pretore della lor Repubblica. Come prug va il Reinesio  contro il Capaccio, ed altri,che cre dettero esser questo un Magistrato:Greco;avendo avuto le colonie a fomiglianza diRoma parimente un talMa giftrato. Orciðne fa chiaramente conoscere, che il Ginnasio, e le scuole in NAPOLI sono ugualmente celebri di queste Scuo non meno prima, chedopo che questa città fi: sottolefinoa Costan mise aldominio de Romani; poichè febbene i Napole tanidall'anno diRoma,come sostienetraglial triil Reinefio finoad Augufto, edanche molto tempo dopo, toltone il tributo, che pagano a’Romani, essendo stati trattati da quelli con ogni piacevolezza,ed. amore ,e reputati amici anzi, che soggetti ; fossero stati dopocircail tempo di Tito,o diVespasiano,se si vuol credere al Caracciolo, ridotti in forma di Colonia, Paulin Attic. Cic. De finib. Spart.in Adrian. Reinef. var. le&t. l.3.0.13. Lo Meliovariar, bection 6.3. 6.16 20 CO) 210 eto 7h OV V. Continuazione CIT per col ied che cole :ftu. onde magi 0 rife : e refi B 2 Cih   e refi più soggetti,preso avessero a dismettere gl’antichi greci inftituti. Tutta volta seguirono pur eglino, come manifestamentedaquantoabbiam dettoappare,adeser citarsi nella Ginnica , e tener te loro Scuole ben ordi nate ; con mantenervi ottimi professori in ogni genere di scienze. Ma in quale regione della nostra città situato esse le, e del Ginna-questo Ginnasio, molto'vario è il sentimento degli Au tori. Alcuni credettero, che le Scuole state foffero ove nel corso degli anni edificosi la Chiela di S.Andrea; non però questa oppinione quanto sia folle, e vana di leggieri si mostra ; poichè o fi vuole, che queste scuole sono divise dal GINNASIO. E ciò quanto sia lungi dal Summon.  le cole che di sopra abbiam detto,bastante mente lo appalesano; o fivuol credere,che queste era no , come in fatti furono,accoppiate,ed unite, anzi in corporate con quello; e giammai si verrà a mostrare esservi in tal luogo apparse vestigia di tali edifizj. E' ben vero,che essisupposero laddove fuinappresso eret to ilCollegio de'RR.PadriGesuiti,vifossestatoun altro Teatro, diverso da quello, che di sopra divisam mo; ma questo anche quanto sia inverisimile, anzi impossibile chiaramente appare da quel che in tutti i noftri İftoricisilegge; come dire: che Napoli a tempo parimente di Ruggiero Normanno dopovarj, e diversiac crescimenti diedifizj, ediabitanti, nonera, che'una Città molto picciola, etale,chefatta da quel Remi. surare, non li rinvenne il fuo giro maggiore, che di pallil;onde ove:mai figurarvifi voglia notanti diversi Teatri, e Ginnasi di quella magnificenza,ed a m piezza , ch'era solito dagli antichi edificarsi, non po trem VI. Sito delle Scuo vero ,   tremmo mai concepire; senza che in sì picciolo spazio non vi farebbe rimasto luogo per abitarvi. Seguente sillogismo. Appare eglidicono da Platone,che: il luogo proprio per li Ginnasj esser debba il mezzo della Gittà: aveano questi, secondo gli antichi, il più dappresso le Terme; e come si deduce da Stazio nel Ginnasio de’ napoletani era vi un tempio dedicato ad Ercole. Orduppo Ito, che in Napoli il Ginnasio occupasse questa regione, veniva egli ad aver tutto ciò; perchè ella quafiil mez: zo occupava dell'antica Città; avea nel suo distretto le  chi IK er qual sopra tutti ik prese a difenderla, avendo preso, a scrivere di questo GINNASIO, che per la morte sopraggiun tagli, non potè terminare; fi appoggiano del tutto sul Altri all'incontro furono di parere, che il Ginna fro occupasse propriamente quella regione della Città, la quale per le Terme, ch'erano nelsuo distretto, chiamossi Termense; e si vede anche dagl’antichi filosofi chia mata Erculense, come chiamola Gregorio nelle fue pistole perloTempio,cheiviancheera inonor di Ercole oveoggièla Cappella detta S. M. Ad Ercole e dopo fu chiamata,comeparimente or fichiama,di Forcella. Non già come vogliono alcuni,ch'è troppo follia il credere dalla scuola di Pittagora,che quivi era, la qualeavea per insegna la lettera biforcata Y ;ma si bene , giusta che fu il sentimento de'più favj, da un antico Seggio, il quale facea per avventura per sua im-. prela, quelta lettera, che finoggimiriamo scolpita in un antico marmo sopra la porta della Chiesa Parrocchia ledi S.Maria a Piazza; e diede ilnome a tutto il quartiere. Quegli,che'fifostengono inquesta oppinione, come sivede da quel dotto libro, che Pier Lalena, 1 Gregor. Terme, Terme, ed un Tempio ancora consecrato ad Ercole. Dunque, eglino conchiudono,deve credersi di necessità, che questo così fosse. Pur tutta volta, posto che Platone non parli di quel che in fatti costumavasi nella Grecia al fuo tempo, ma soltanto di quel che bramava, che si costumasse. Poichè sappiamo per certo che tutti i GINNASJ eretti erano fuora delle porte della Città, o a can to a quelle , come lungamente pruova Meursio, e tutti gli altri, che dottamente hanno le cose deGreci co'lo roscrittiillustrato;e perchèleTerme esser potevano, come realmente sono anche in altri luoghi di Napoli, e cosi pure il Tempio in onor di Ercole , il quale ove fifuppone accoppiato al Ginnafio,figurar non fideve moltoampio,e magnifico, ma per ben picciolo,e come un nostro Oratorio, o Cappella; nè creder, che questo fosse stato solo, ma con esso insieme congiunti, o dentro lo stesso ben molti altridellamedesima formaerettiinonordiMercurio,di Apollo,di Cupido, e di altro Dio di questo genere, del Teatro, e Somma piazza. E per verità quiviiveg gonfi! ancheoggienellecase, che diciamo dell'Anticaglia , e in tutta quella vicinanza, ove dopo fu eret: to il Tempio in onor de'Principi degli Apostoli S. Pie tro , e Paolo infino al vicolo della Porta piccola della Chiesa della Vergine Avvocata, volgarmente detta l'A nime del Purgatorio, infiniti pezzi d'opera laterizia, e condo costume era di farsi universalmente da Greci ne' Ginnasj; devequestosentimentoanche con tutta ragione: ributtarfi. più koNon pochi finalmente contesero, eforsecon saldo giudizio,econ maggior fondamento,che ilGinna fio, e 'l Teatro stati fossero in questa città in una stessa,verso quella contrada, che anticamente dicevasi saparte fe secolo, quella di Berito  e quella di Costantinopoli eretta teflandrini;te del pra Viil Celan. notiz. di Nap. Giorn, 2.  V.Plutar.inopusc.viramepicur. non esse beatam.Strab.l.s.& Philostr. in Po lemon.] Spartian. In Adrian, Sueton. in vit. Claud. Gronov. dissertat. de Museo. Juftinian. Conftitut. Ad Anteceffores $.7.6 Dioclet. h.n.c.quietate velprofeffione fe excufat.6 l.10.c.eod. V.l'Autor della Stor.Civile del Regnol.s.  dur NON Comunque però ciò sia, rientrando in nostro sentiero. Dopo che Costantino trasfere la sede dell’imperio dele Scuolede nellanuova sua Città, non vihadubbio, ch'egli, echedopotraj. Lita ove crediamo noi essere stato il Ginnasio , viene ad essere per avven tura fuor delle mura, ovvero accanto a quelle. Continuazione quelli, che lo seguirono, tralasciaffero perla lorlonta-dpeolrl'taItmapelraifoe de nanza, di frequentar Napoli alla guisa, che ilorante - Costantinopoli. ceffori avean fatto; e che perciò venne ella anche me- Womenerico da no da’ private cittadini romani frequentata. Ma non per tempo di NERONE questo il suo Ginnasio fcemò dipregio :erano allora in letani, eglio an di marmi Orientali di una maravigliosa bellezza,in gui fa , che in niuna altra parte di Napoli se ne rinvenga tanta copia ; e vi si discuoprono parimente le vestigia d’alcuni edifizj, che pajono non aver fervito che per leTerme. Questo sentimento vien confermato oltre modo non solo da quelche scriveSeneca a Lucilio,che come di sopra abbiam riferito,suppone in fatti ilGin nasioaccanto alTeatro;ma benanchedalcostume di già ricevuto nella Grecia, il quale come testé da noi notossi, e d'erigere questi Ginnasj fuora, o vicino le 1 porte della Città; poichè comunque tra levarie op 0 pinionide'scrittorifisupponga, che fosseilsitodell' anticaNapoli,questo luogo veramente Oriente le scienze in un molto sublime grado. Per tro-rientali, accre varsi in molti luoghi delle famose Università degli Studj,  etonelIV.eV. delle celebri Academie , di cuiquella d’Alessandria Coʻ Leterati A stimonianza dal medesimo Costantino il Grande portavano 10-fa Agostino bilito netrai Napo 3 ita qual cosamoltidiquesti, ed egli altri Orientali soprattutto in questi tempi, ne'quali trovandosi la Sede dell'Imperio in Costantinopoli; rela era la‘nostra Città a quella fu bordinata , capitando continuamente in essa; questo gran cambiamento delle cose non solo non apporta niuno im pedimento alla letteratura napoletana. Ma moffii Na poletani dall'emulazione di superar gli Orientali , che è troppo naturale tra gli uomini,egli è incredibilequarto maggiormente ella fosse venuta ad accrescerli. Ciò tanto è vero, che anche nel V. secolofiori vano perciò in queste Scuole mirabilmente le scienze; e vi fioriva soprattutto lo studio dell'eloquenza, come attesta Agostino, che allora altresì ,vivea. Perchè scrivendo egli contro gli. Grice: “You can see the difference between Rome and other civilisations in that the philosophical gatherings – as Austin’s were at my St. John’s – or the Athenian dialectics’ were at the Lizio, the Accademia, and the Cinargo – the Romans preferred to meet at Scipione’s! Call it Roman gravitas!”  DE’ PRINCIPI   %   DEL DRITTO   NATURALE   TRATTENIMENTI IV; **    D I    G I A NG I USEPPE   ORIGLIA , PAULINO  Filofofo,e Giureconfùlto Napoletano*     IN NAPOLI MDCCXLVL  Predò Giovanni di Simone  CON HCSNZJ P*’ SVfS RIQKl.    by Google    Digitized     AL SIGNOR   D. NICCOLO’ MARTINO   " %   Pubblico Profeffore di Matematica  ne’Regg j Studj di Napoli, &c.   v.   LETTERA   Dell ’ Autore , che ferve anche cP introdu-  zione all * Opera.      • *   Uefta picciòla operet-   ta , che ora ho rifo-    luto di efporre al  pubblico , Stimatif-  fimo Signor mio  , fìt  da me comporta, fono già quattro  anni , per foddisfare al defiderio di  \ina Dama , che per fu a propria   a a i itru-    f    Digitized by Google     irruzione con premuro!! , ed au-  torevoli impubi mi avea coftretto  a darle in ileritto una chiara , e  generale -contezza di tutte le parti ,   della Filofofia , di cuiella fu.  preifo che la conchiufìone . La ra-  gione più forte , per cui mi fono  mcflb a farla comparir fola , lèn-  za , che vi liano unite Y altre ope-  re fi lo fo fi che , delle quali fu par-  te , ella è la lpéranza di poter col  fùo mezzo , più , che colle altre  contribuire in qualche parte , e  per quanto fia poffibile al profitto  de* giovani , eh' è fiato fèmpre  mai, e farà’ il termine unico de'  miei ardentifiìmi defiderj: poicchè  conofeendo quanto abbondevoL  mente datanti valentuomini fiali   • «k 4 * *,   travagliato a prò de’giovani, faci-*  litando con tante lodevoli manie-;    *    4    Digitized by Google     re tutte le più intricate q milioni  della fcienza fìlofofica , pareami ,  che quella fu blimc , enobiliflìma  Tua parte della r agion Naturale ,  che pur contiene non men’ una  buona parte della Morale , e della  Politica, che la vera origine di  tutte l’umane obbligagioni, man-  cale di un’ ordine facile, e propor-  zionato alla capacità de’ Scolari $  lo che pareami non eil’erfi fatto fin  ad ora in tante Opere di eccellenti  Giureconfulti  , e fapientiffimi Fi-  lofoii , che tanto bene han tratta-  ta quella materia , eflèndo gli di  loro libri certamente e foltanto  adatti , e proprj per gli uomini  provetti , e molto avanzati nelle  buone cognizioni . Onde rifletten-  do meco fleffo a queir occulta im-  percettibile forza, che difpone per   a 3 mez-    Digitized by Google    tnczzo di tanti improvifi avveni-   , e fapientiffimi Fi-  lofoii , che tanto bene han tratta-  ta quella materia , eflèndo gli di  loro libri certamente e foltanto  adatti , e proprj per gli uomini  provetti , e molto avanzati nelle  buone cognizioni . Onde rifletten-  do meco fleffo a queir occulta im-  percettibile forza, che difpone per   a 3 mez-    Digitized by Google    tnczzo di tanti improvifi avveni-  menti di -noi, e di noftre forti, e che  firn dal momento in cui giunfi in  gualche modo a comprendere per '  quelche a coloro, che fon racchiufi  Nel tenebrofo carcere , e  nell * ombra  Del mortai velo ;  vien permelfo , qualche cola dell*  ordine, e del decreto delfeterna , e  di vina prò videnza, determina varai  alf elercizio della lettura, che dopo 4   tante variazioni di mia fortuna,  ho profeflhto per otto anni} a ni un’  altra cola mi ftimai obbligalo di  porre maggior Studio , che in prò-»  vedermi d’idee le più chiare, e  nette , come quelle che fono le più  neceifarie per ben comunicar a’  giovani gli precetti di quelle  fcienze , che vogliono apprendere,   e lo-    Digitized by Google    e lor tutto dì s’infegnano . E per-  chè a ben* illuminar la mente di  coloro, ches’applicano allo Studio  > delle leggi tanto nella Città noStra  coltivato, e giustamente tenuto in *  pregio, utiliffima, e quafi necefla-  ria pareami la notizia di tutte le  rnaffime generali del Dritto Na-  turale , come quelle , che fcuopro-  no la. vera Sorgiva delle Società, de’  commercj , de’ contratti , de* pat-  ( ti , ed’ una infinità dì altre cole  di tal fatta , profittevoliffime all’  intelligenza delle leggi medefime,  ed aj buon regolamento della vita  umana, -credetti, che non efiendo-  vi ni un’ opera per quel , che io mi  fappia , che ne tratti , e tratti in  modo , che ficuràmente dar fi pof-  fa in man de’ giovani , il profi tro  de’ quali fopratutto ho avuto   a 4 lem-   t   w ’   \    Digitized by Google     'lèmpre a cuore , non farebbe data  fuor eli propofito la mia fatiga .  Quindi proccurai di metter ciò ,  che avea penfato , e fcritto per  la divifata occafione nell’ ordine  il più naturale , e facile, 'eh* è  quello de* Dialoghi , come dalla  tavola de' trattenimenti , e de’ lo-  ro fommarj giunta qui da predo  lì vede , Icrivendo colla maggior  polli bil chiarezza 5 febbene per  tju cl , che riguarda lo Itile delìde-  rato 1* avrei più puro e femplice ,  di che farò compatito da Voi , c  da tutti coloro, che fanno in qua-  li didurbi , e rancori io me ne vif-  lì per più tempo nè men dinanzi  di badar a tale opera , che dopo ,  cd in quedo ideilo tempo , che hò  imprefo di darla alla luce 5 e con  tal mia proteda gentilmente farò   altresì    Digìtized by Googl    ■i    altresì fcufato preffo coloro , che  non fanno il tenor di mia vita.   Ma comunque ciò fi a 5 e fe nel  defideriò di giovare a tutti io l’ab-  bia fallita, pur non farà dannevo-  le quella mia volontà di procura-  re f altrui profitto , poiché colui,  che fi affàttica per il pubblico be-  ne , ancorché non vi riefca , pus  non deve privarli del premio di  effer creduto uòmo di buona vo-  lontà . Eccovi in poche parole fve-  lato il mio pen fiero , e quella mia  fatica quafella fiali, sì per impul-»  fo d* oflèquio al fuo merito , sì per  ragion di debito per tanti buoni  infegnamenti datimi , sì per infi-  niti altri motivi ad altri non do-  vea prelèn tarla , che a Voi Stima-  tilfimo Signor mio , perchè fem-  pre con una fomma , ed ineffabile   gca».    Digitized by Google    gentilezza avete riguardato me , e  favorite le mie cofe . Tanto più ,  ch’eflèndo Voi dotato d’una men-  te fubiimc, che T avete arricchita *  di tante cognizioni coll’ indefejflò  Studio , per cui liete giuftamente  reputato per uomo di profondo  lupere, e.di politiflìma letteratu-  ra , di che fanno chiara teftimo-  rianza gli dottiffimi Libri delle  • Icienze Matematiche dati alla lu-  ce, potrete ben garantire queft’ope- j  retta dalle punture inevitabili del-  f invidia , eh’ elfendo la più abo-  minevole tra tutti gli vizj,pur  Tempre inforge a mordere chiun-  que li arrifehia di fottoporre alla  pubblica cenfura le fue fatiche.  Contentatevi di ricevere in buon  grado quelT attefhto del mio rif- ,  petto , c di quella profonda vene-   raz o-    Digitized by Google     razione , con cui ammiro Ja vo-  ffra virtù, perche accurato della  voffra protezione mi lulingo di  non incontrar difagio , e fac end o-  le riverenza mi raffermo .   i   Napoli i8.Novembre 1745*      «   Di V.S.    !    ^ Dhotifi. Obbligati y?. Servidore  Giangiufèppe Origlia Paulino,   1    Digitized by Google     TAVOLA   i t ' ' . -   ^ De* Trattenimenti, e de’lor fomrnarj;   trattenimento I.   I   De’ principi del Dritto Naturale  in .Generale .   SOMMARIO.   I. Definizione del Dritto Narrale.   II. Sua immutabilità , o cojianza .   III. GiuJHzia , o ingiufiizia de IP azioni dell*   uomo .   IV. Divario , che v* ha tra quefio , # r7 drit-  to umano .   v. della fua pojfibilità , e fua oh-   v libagione , avvegnacchè non vi avejje un  ente necejfario , e increato .   VI. Obbligatone definita , e dìfiinta in va-  rie , e diverfe fpecie .   VII. Modo, con cui un si fitto Dritto fu  da Dio a noi trafmejjo .   Vili. Norma Naturale dell ’ azioni degli uo-  mini   e alcune opprfzioni dileguate .   TRATTENIMENTO II.   De* doveri deir uomo lòlo nello dato della   Natura .   SOMMARIO.   I. & uomo confi derato in diverf , e ben dif-  ferenti fati .   II. Qt/anto comprenda , e f fenda mai que-  Jìa fetenza del drittO'Naturale .   III. Del modo con cui V uomo fa tenuto di  conofcer Dio , e di amarlo 9 e venerarlo   in    Digitized by Google     in ogni fu a azione i e degli altri obbli-  ghi , e doveri dell * uomo inverfo qucjìo  ejjèr fovrano .   IV. Obblighi , e doveri dell ’ uomo verfo se  medejìmo di/iinti in varie fpezie,   V. Necejjìtà di tonófcer se medejìmo .   VI. Uffìzj , obblighi , e doveri deir uomo  Verfo del fuo fpirito .   VII. Modi , e vie da perfezionar V intel-  letto , e dalle virtù intellettuali in par-  ticolare .   Vili. Della perfezione della'nojìra volontà  e delle virtù morali , di cui P uomo era  tenuto guernirf in quefto flato della Na-  tura , non che della cura del proprio corpo .   IX. In che al fin fi riducono , e fl reflrin-  gono tutti quefli obblighi , e doveri dell'  uomo , e le fue virtù .   TRATTENIMENTO III,   Degli uffìzj dell’uomo confìderato di bri-  gata con gli altri uomini nello flato  Naturale .   SOMMARIO.   I. HeceJJltà et un Filofofo et attender ere allo   fin-    Digitized by Google    Jì ndio di quello dritto ; e obbligazione di  ci afe uno d' ijiruir ferie .   II. Fondamento degli uffizi umani ifeambie-  voli degli uni verfo gli altri , e quali  quefti Jì Jìa no .   III. " Seguito delle virtù Morali .   IV. Patti , e lor Natura , e origine.   V. Contratti come rinvenuti ; in che con -  . fìjìono , e naf cimento de ’ dominj .   VI. Della compra , e vendita in particola*  re , e d' alcuni altri contratti .   TRATTENIMENTO IV.   De’ Principj dell’ Economia, e delia Poli-  tica , ovvero degli obblighi , uftìzj ,  e doveri dell’ uomo nelle fòcietà  particolari . 1   SO M M A R IO.   I. Dejìnizìone generale della focietà ; ori-  gine di ben differenti fccietà ; e lor f-  ne.   II. Obblighi , e doveri de' f oc j .   HI. Della focietà coniugale .   IV. Della fccietà paterna.   V. Origine , e doveri de' Tutori.   VI. Della focietà infra padroni , e /irvi .   VII. Dei-    Digitized by Google     VÌI. Della famìglia ,   Vili. Definizione , e origine della focietà ci-  bile .   IX. Doveri de' Regnanti , e lor potenza , e  maefià .   X. Delle Varie , e diverfe forti di gover-  ni , de ' regolamenti , che lor appartengo-  no , focietà mifìe , c fijicmatiche ^ e  della forma dell' Impero di Germania.   XI. Necefiìtà , che v' abbia in ogni Rep-  pubblica de' magiflrati ; ed obblighi ,     ,* * /    TRATTENIMENTO I. ' :   '  ,DP PRÌNGIPJ;   VII. cui un sì fatto Dritto fu da   Dio a noi trafmeffo . ’ '   Vili. Norma naturale de ir azioni degji Uo-  mini , e principio del Dritto della Na-  tura definito .   IX. Come debba effer sì fatta norma , e qual   ella fi fa. i .;*•   X. Qualità differenti (P un vero principio.   XI* Oppinioni dì molti intorno ciò rifiutate, e ,   » . quelche realmente fi debba aver per tale,   i ytqbiHto:. «   xu. Oneftà , e dofid delle nofire azioni   XIII. Doveri diverfi figli Uomini , e svra  pietra da paragone delli lor andamenti , .   XIV. Pruove delle cqfe di /opra- offerite  tolte da' libri j agri .   XV. Sentimento e dfe7/’ Ei neccio intorno al  pr\ncipio del Dritto Naturale ripro-  vato , e alcune oppofizioni dileguate .   24. Èrche il Perfonaggio, chea   fé 30 Voi conviene rapprefèntar nel  fl Mondò , egli altro al fin non   fa r$(fe non m’inganno) che di  un Giureconfalto, o Avvocato, guitta che la  voftra natura, o inclinazione, che dir voglia-  mo, e l’ educaziojrede* propri Genitori, non   fAoas^4 tyòxots M Òr' aJ$j  ine ’ e che non è la  ‘ qt !i aIe **’ * ^ »*   In/Ta*™ J l j mh fi nza ampiezza afille ,’   M“ i« alcun dì mi mortali d temi „,/ J   9 » e»trant Jìa-,t oppojla alle fu*   .Jan-    «**£•«* J/ r:> ikf'fr .ym^ A T * ^ .. 4   O) InftÙ DiVro. vi. S.   , i 4 ; Grot. de indul^. «$•««* '    TV V  *•;   *.i fck» 5   4r    • u   ¥    . ^ Digitized by Googlè,    * V   • . k   DEL DRITTO NATURALE. 7   di più oltre pafiando fi potrebbe altresì qon  ogni naturalezza arguire , che la giustizia,  o ingiuftizia dell’ umane operazioni , in   A4 fin    fanti tà , 0 bontà , non pub a patto alcu-  no , dalle ojfervanze di si fatta legete in  modo veruno difobbligarci ( f ) . Il per-  che agevolmente quindi pojfon tutti appren-  der quanto diffidi cofa fa , e malagevole  il giugner per Uomo alla cognizione non men  delle leggi de 9 Romani , che più di tutte V al-  tre barbare Nazioni al Mondo travagliarono  nello Jiadio del Dritto della Natura , che de-  gli fiatati , e delle confuetudini , 0 leggi del-  la propria patria , fenza effer fuperfdalmen -  te almanco di ciò frutto , eh' è la fola , e la  vera guida , che aÌP interpr et amento di quello  può mai condurlo , e con divilupparne il lor  Vero Jfenfo fargli conofcere , e capire quante  elle giujìef ano , 0 ingiujìe . Quindi Ulpiano .  quel che fopr atutto Jìimò nelle fue injìituta  tieccjTario da faperf per un Gìureconfulto ,   •* b° ni » & «qui notitiam ( 6 ) , lodan-  do Celf > 9 che defnito avea al dinanzi lui il   Gius :   C r ) Idem de indulg. c. a. & Uh. 1. c. I. de jur. Bell.   & pac. Pufendorf. c. ;.T. 2. §. 4. J. N.   C 6 ) L. i.de jud. Se jur.    Digitized by Google    8 DE’ PRINCIPJ-'  fin altro non fia , che quella conformità ,  e convenienza , che pofiòn mai quelle ave-  re , o non avere con sì fatte regole naturali  a tale, che confiderate lenza un tal ri/guar-  do, e di per se lòie , puramente come dall*  Uomo fatte ( come che ciò fi fofiè una me-  ra ipotefi,ed un puro liippofto ) totalmente  meritino d’ averfi per indifferenti (C) .   M. Co-    Gius : ars boni , & aequi : Cosi fecondo attefa  Seneca ( 7 ) appellarono gli antichi Giare con-  flitti il Gius della Natura , il perche Cicero-  ne imputava a fomtno pregio , e gloria di  Sulpizio che : ad aequitatem , facilitatemque  omnia referebat , & tollere controverfias ma-  lebat , quam conftituere , per valermi delle  parole del dottijfmo Vive s ( 8 ) .   (C) Egli ha ciafcuna delP Umane azioni  una tal qualità , e condizione , che per fua  natura , giujìa il fenlimento di Platone nel  fuo convito , non fa in guifa alcuna nè turpe,  nè cnefa ; cosi , egli dice , è quanto adejjb  noi facciamo : il bere , per ef empio , il canta-  re , il difputare ; nulla di si fatte azioni  racchiude in se fconcezza alcuna , 0 onefà ,  I . . , ma   ( 7 ) Apud todovic. Vives coranaent, sd lib» xtx.  c. ai. Ani?;, de Civit.   ( 3 ) DvLoco . !.. xix.    Digitized by Google     DEL DRITTO NATURALE. 9   ria dal modo filo con cui vien fatta , appren-  de ella il cognome , che ha , 0 di buona , 0 di  cattiva ; imperocché quanto noi facciamo fag-  giamente , e con rettitudine egli non è fi non  buono , e onejìo ; come quanto da per noi vi-  zìof amente fi opera non è , che turpe , e ifcon-  cio : T* in diverf l-oghi delle fue opere cer-  cò Jiabilire , e mojhare il medefmo Platone ,  come è molto ben noto a chi che non fa in quel-  le del tutto forajìiere . Il perche /ebbene a-  zioni veramente indifferenti fano il dìfpu-  tare , il ragionare , il camiuare , e altre si  fatte , non fi deve però il medefmo dell* altre  umane azioni afferire ; imperocché di tutte  quelle dalla cui nozione , o idea fi poffa con  ogni ragione per Uom ritrarre , e dimojìr are,  che faccino , o no mai a nqfìra perfezione , e  vantaggio , o utile , eh* è quell* appunto, per  cui a ciafcuna di effe V intrinfeca bontà, o  malignità s* attribuire , e imputa , non f può  per niun ver fi mai da chiunque penfi, siffatta  bontà , o malignità recar in dubbiezza ; comec-  ché   ' ( T ? A D 1 omen]co Bernino Iflor. dell’ Ercfie . Tom. i.  c. a. del leccio 2.    Digitized by Googl ■ v -   • C Wt } D * luogo fopra.   ( ^ Heinec. v. nel luogo di fopra .    • * f\ - v».* »•* -■* 1    * ‘ ^ DE’ PRINCI P J   dijcorfiy e del ragionare insìangujii termi k  m rijtretta ad altro per lui frvir non var-  rebbe $ che a fomminifìrargli una certa Spedi-  tezza per cosi dire , e dejìrezza vie maggiori  di quella i che fi ojjerva , e nell' operar   de' bruti ,eper aggrandir in ejjò in parte , «  accrefcer le fue forze naturali , «w non miga  ?.. ;> per indurre nelle fite assoni , è recarvi la  vera moralità , come cofa del tutto imponìbile,  fenza lo ftirito della leg0 , 0 un' infinità dii: vite dinanzi , che non  incìfe in noi quella ; egli e meJHeri dall * altro    DEL DRITTO NATURALE. U   • lerfo , che da fernoi Jì affermi , /z Ani , che per di-  fetto di que/fo firgget to , che ingiufo , o ma-  lignò avjfe potuto e fervi mai , o che quefa  .gi ufi zia , o malignità aveffe pur potuto ri-  durre in atto , non f pofi'a quefia al meri in  afratto concepir , da queìi'ijiejfo mentre ejfer *  rifiata , in cui la fantità vi fu , e la bontà f  come ccfa a quefa diametralmente, oppofìa %   e con -     14 DÉ* P R INC I P J   $ contraria ; e ciò tanto più , che non ci Jì per-  mette in guifa alcuna dubbitare , che l idee  di tutte quejì'e cape thè qua giù noi leggiamo  4 . fiate non vi fojjero nel divino Intelletto fin  * ab eterno ; é che per . ragione in quefio mede-  V fimo fi ebbe altresì accoppiata 9 e unita all  - idea deir Uomo , ch\in tempo a crtàr fi aveq 9 •  come un Sacerdote proprio della natura 9  !. r idea parimente del male , xhe quefii , cerne  creatura affai imperfetta» e finita potè a , g  dove a fare . Al dinanzi però dar fine a quefio  ,• avvertimento , avvegnaché fii alquanto più  lungo del convenevole. y non tyalafciamo qui  avvertir di vantaggi 0 » che fèbbene , que ’ mot-  ti deir*Apofiolo,da noi al di fi òpra recati', pec-  catimi non cognovi , nifi per lesero &st. alcu-  ni I interpretino per la legge Mofaica , vo-  lendo , che in noi per lo peccato la legge della  natura ottenebrata alquanto , pria della leg-  ge di Mose JìaveJJ e ciafcun portato a peccare  fienza certa , e ferma feienza , e che di quello  fiato dell Uomo favellaffe in vqrj luoghi  rApoflolo dicendo : che (\£ ) iìnejege pecca-  ta t , fine lego erat , fine lege puniebatur : non  già per al fermo perche molte delle fu e azio-  ni dinanzi ìa legge non erano in, guifa alcu-  na peccaminofiè., mafoltantq perche : non im-   . V V ,./* V ’ f. ’g'ri .,A.i A V"V P9 T '-«fr   r ( ré ) .Ad Ronwa.vv r. ad GopqtN.P*?.; v. ai.    4    •r«rr-r- « ygn» ■ y yr - 1 .. .*“   ' ■ • * -& ’ - 4 » . ^ : a f| HPani-itn 1 o por meglio dire : 177.  dell’ultima edìzion' r. iG. e io.   ( 1 3 ) Hiftor. verer.teftàm. diili • \   1 9 ) ChrifolU hic. Aug. !ib. u contra duas epift, Pe.   P ecu,n Artibrofiaft. Eli. Giop «c. recati cìaCalmet.  tield. luogo. ‘ ‘ • 1   C *0 ) .Hierorj. ep.ad Hedibaro.q.S. Paraeus gMa Cai-  meu d. l.> " ’ ’ ■' ' v '"' f *'       •v.    a      DE 9    I» " • ■'. . «» ';■. .’ -    PRINCrPJ    •}-*} M. Così egli è appunto j anzi da quello nd-  * IV. l’ ifteflà guila parimente Ilom vede mol-  to manifedamente , che H dritto Civile ,  e il dritto pubblico, non che, quello delle  Genti , o qualunque altro, vai io , e diver-  tì) dritto j eh 9 è tra noi , altro in effetto e  non Ira , o comprenda , che quelle ideile  regole della Natura diverfamente alle bi-  fògne , e necefiità degli Uomini applicate ,  e alle lor vàrie , e diverle operazioni adat-  tate , cpnfiderati or come membri di una  lòcietà univerfalc , or come membri di una  V - . : '*v lo-    f ^ \ . * • • ,   credere il S. Apofioln avèffi' in quejh luogo  voluto figurarci uri tlomo'at dinanzi degli an-  ni , in cui comincia ad ttfiar della ragioni ,  dìfiinguerla j e che perciò non opera tutto , (he  indifferentemente queir ifieffo , che in appreft  fio , e per la ragione gli fiàrd imputato a pec-  cato y e a vizio y dicendo egli di lui meàejimo  non guari dopo : ego autetn fine lege vivebamt  aliquando ( il ) * Onde fifa chiaro , che Pilo-  mo figurato da noi dopo il Grosdo , e il Puff  fendorfio fienza alcun In**? della ^oo,” r n - on  fi debba aver miga in effetto , e tener per  V , mcraipotefi . ' / ,   . '* ( zi )• V.9. è. ep.id Rotti, «bf v. Ang. Ics contri Ju-   liamum c. 1 1. Hicron. &t. apud Corndium'a I «pwt o.   » Vi •* . .•    ù’ a    DEL DRITTO NATURALE. j 7  focietà particolare , or altamente in altro  diverfo flato , e fortuna.   D. Si bene : ma come provarefte voi mai la   V. poflìbilità , e l’cflflenza di sì fatte rei  gole ?   M Egli è, vaglia il vero, colà certiflìma, e   • che non li può miga per niun verlò da Uo-  mo , che facci di fu a ragione un buon ul&  recar mai in dubbio ; *   I. Ch’ ogni un di noi nell* operare egli fia Ifw  bero totalmente , e padrone della propria  volontà: e che per una sì fatta libertà  nulla mai di vero , o di fermo unqua nell!  giudizi delle cofe, che naturalmente noi  avertiamo , o appetiamo dal canto noltro  richiedendofi ( effondo pur il noflro intel-  letto affai dappoco , è fievole ) egli fi polla  per buono , e pier utile , o per onerto , e per  retto, che dir vogliamo , agevolmente  eleggere da cialcuno, e avere non meu  quel che in effetto e’ fia in fe tale; m 9 altre-  sì tutto altro, purché fi prezzi da noi , e  fi reputi come tale ( D ; .   B IL Ch 9    ( D ) Due adunque fon le verità , che  qui da noi fi propongono, e me t tonfi al dinanzi  de nojtri leggitori come ben certe, e Mimo -   fra -    18 DE’ PRINCIPJ   Jìrabili;come che ne ’ nofiri trattenimenti fulla  Metaffica fio no pur fiate elleno dffuf amente  mojìrate appieno # provateci quejìe fi è la pri-  ma la libertà , eh' ha ciaf c un di noi da poter  fare#d eleggere quanto mai gli sa buono # gli  và a grado , eh' è quello per V appunto , che da'  Scolajiìci dicefi d'ordinario indifferenza cPefer*  tizio; la feconda ella è, che non da altro y fal-  vo dalla fodere hi a , e molto gran limitazione  del noftro proprio intelletto n avvenghi il fe-  guir noi ben furente, ed eliggere un bene falfo  del tutto , ed apparente per un ben vero# rea-  le . Ad ogni modo per quel che può mai ri-  guardare alla libertà della nofira volontà ,  non tralafciamo qui pur di notare , ch' egli  non v' abbia a noftro credere tra le majfme  pejiilenziofe , e nocivi: allo fato , e al gover-  no di una Monarchia , o Keppubblica y ch' ella  ipeggior di quella , con cui fi vie n quejìa  a dinegare , o metterla in guifa alcuno in for-  fè j II perche per niun verfo mai ciò permet-  ter fi deve da Principi , e da Regnanti , giufia  rinveniamo , che dinanzi ogni altro fi fu l' av-  vi fo di Platone ( 22 ) ; devendofi di neceffttà ,  ciò pofio per vero , riconofcer Dio altresì  per Autore , e per propagatore de' peccati , e  de ' mali degli Uomini , non che annullar to-  tal*    C ** ) De Republ. lib. ili    Digitìzed by Google    V    ►    DEL DRITTO NATURALE. j 9   talmente , e derogar ogni legge , ed umano fa-,  tuto ; Qgindi noi queir Ere/te piu di tutte  E altre offerii amo , che fatto e'aveffero mag-  gior guerra alla Chiefa di Dio> e recato mag-  gior /pavento alla Reppubblica di Chrijìo ^  in cui una sì empia affirzione Jì //enne mai ,  c difefe ; imperocché non v' ha al Mondo , va-  glia il vero , chi non /oppia , per tralafciar  di far motto degli altri di tal fatta \ quanto/  fu mai quel fuoco , che v' accefe nel primo fe-  cole r empio Mago Simone , da cui la fetta  de' Simoniaci ebbe il fuo principio ; e quan-  to/ fu quello , recatovi da Carpocrate , nel  fecondo fecole , autore dell' abbominevol fet-  ta de' Gno/i ci , non che gli agitamenti gran-  di , che ella fffetfe in quell ' ijìefo fecola  per un Cerdone , e per un Alarcene; e per un  Curbico , o Manes in appre/b nel terzo , Capo  de' Manichei (21 ); del rcjto per quelche ri-  guarda all ’ intelletto , egli fi ha altresì altro-  ve moftro molto alla dijlefa>e nella nojira Me-  ta/fica ; I.Ch' in ogni , e qualunque azione  nojtra libera non men quejìo vi abbia la fua  parte , che la volontà • non potendo/ per la  volontà inguija alcuna defiar altro mai , 0 ap-\  petere , /alvo ciò che dall' Intelletto pria gli   • B * 2 . . /re-   ( »? ) V. Il Semino nell» Ilìor. dell ’erefie ci. Se;, ^   c. 6 . Sec. II. c. 1 ». Sec. HI. . , . -    Digitized by Google    io DE’ PRINCIPI   II. Ch’ a tutte le colè qua giu create , le  quali dal vero , giufto , e dritto fentiero fi  *- partano , faccia medieri che fi reggano in  ogni tempo , e continuamente fi regolino  giuda qualche norma ( E ) .   Il    Jt recò , e mofirò per bene e per utile ; ne da el-  la evitare , o ifchifare altro mai Jappiendofì  che quello , che per quejìo le gli vene r appre-  stato come malo e cattivo . 11. Che non Jt  pojfa Uom mai dar in colpa, ne accagionar di  altro, che delle azioni Tue libere , come quelle ,  che fono le Jole che pojfono per leggi regol arf ,  giujia da quello , che qui al di fopra fi diffe ,  ciafcuno imprende ; Il perche in quefo tutto ,  fenza più ci rimettiamo noi a ciò , che n ab-  biamo ivi favellato .   * ( E ) Chi che porrà mente mai , e vorrà  attentamente confderar le cofe del Mondo ,  conofcerà , fenza dubbio , agevolmente la veri-  tà di quanto qui noi diciamo , niuna ejjendo -  vene in realtà per cui Dio non abbia preferit-  to y e formato certe , e proprie leggi , e  una qualche norma proporzionata totalmente  alla fua natura , e c^njìituzione ifiabilito ; co-  fa che fopr atutto miriamo in quelle di cui qui  Jt tratta , inguìfa , che non fembra fopra ciò   pun-    Digitized by    DEL DRITTO NATURALE, ’ir  Il perche fe pur quello egli è fi vero , e certo  come noi lo abbiamo , egli fa meftieri al-  tresì aver come tale , che tutte 1* azioni  dell’ Uomo libere, e dipendenti da lui,  debbano qualche norma avere , e giu-  da quella per l’appunto efier mai fèmpre  difpofte , e ordinate ( F ) : lènza che l’ Uo-  mo fomigliantiflìmo a colui eflèndo , che   B 3 creo!-    punto fia mefieri il pili dffufamente difen-  derci , e di vantaggio .   ( F ) Per quel che ben faggiamente egli  vien notato per un autore ( 24 ) abbiam noi  due ben diverfe , é- differenti fpezìe d' lnfìtu-  zioni ; r una delle quali eli * è del tutta.  arbitraria , e dipendente da noi medefimi ;  r altra come nella natura della cofa ijiejfa  conffente del tutto , e fondata., altro non è }  che una fegvela ben molto neceffaria di quan-  to f ebbe al dinanzi penfato , dove pur coll* .  operar al r over fcio totalmente di ciò , che pria  fi abbia avuto in mente d'operare, non fi vo-  glia fe medefimo metter in /memoratine X  e obblianza ; un Architetto per efemploavve-'-    •*•«•■ .•••'*! gna •> 4   ( 24 ) Pufendorf. fpecim cofltrov. Cf. Joan. &rW.ùÌ  fw* 1. J. N. c# ij, *v* ‘ 5 * • » V' > --‘A ...    Digitized by Google     1    aa DE’ PRINCIPJ   l creollo dapprincipio , c a colè infinitamen*  te , c da troppo più al di fopra di quelle,  che qua giù guardiamo di detonarlo fi  compiacque , e contotuirlo , egli è per al  fermo una fconvenevolezza grande oltre  mifiira figurartelo , che polla mai da te,  lènza qualche norma , o legge operare , la  cui ofièrvanza , o rifpetto dagli altri ani-  mali divitendolo, gli vaglia non men per  indurre nelle lue azioni , oltre l’ ordine , e  decoro , molto altresì di bellezza, e di    leggiadria , che per un gran argine , e ri-  tegno alle file sfrenate pa filoni , e alli fiioi  licenziofi affètti ; cote che vie più per cer-    ta, e ferma deve egli averfi, che te non   ■» • * D v. x   v * ho    gnache in fio arbitrio , e potefià egli abbia dì  f ridare , o non fondar e , giufia , eh' a lui vie  più aggrada un Edificio , o P alaggio , cF egli  fia> affai magnifico , ed eccellente , dopo aver  «li iifpjb , e ordinato da vero fabbricarlo  fa mejiieri metta in affetto y e in punto degli  materiali tutto altrimente , che s* egli ne vo*  leffe mai un mero , e puro difegno ordinare , e  difporre ; poiché fetiza fallo apparirebbe un  matto univerfalmente a tutti , e un melerfo y  fe fatto , e formato et? egli ri* avejfe qufi”,vo%    Digitized by Google     DEL DRITTO NATURALE. 2*  hò delle traveggole in sù gli occhi della  mente, la libertà, che all* uomo compete  come a creatura molto è diver/à , e diffe,  rente da quella afioluta, e indipendente  propria di quell’ efier fùpremo , e increato  che qui quanto noi veggiamo confòmma  providenza eterna regge pel continuo , e  governa ( b ) .   B 4 . D. Ma   ( b ) Puf end; c. i . /. J. N. & Cic. de LL.    lejje egli mai tenerlo per quello ; comeche tut-  t avolta ciò non impedifchi punto , che la di -  fpofizione , e P ordine de* materiali JteJJi non  fi riguardi come un vero effetto del difegno ,  e del libero volere de IP Architetto ; or dell '  ijtejfo modo appunto dir pojfiamo di Dio , e  prejjò poco per una fintile ragione lìberamente  offerire , eh 1 egli febbene aveffe avuto la li-  bertà tutta di crear , 0 non crear P Uomo , e  formarlo animale razionale , e fociabile ; per  tutto ciò dove egli fi dì fpofe pur di venir a IP  opera , e di metterlo al Mondo , non potea non  imporgli , ne addoffargli tutti quegli obblighi  e doveri , che dì necejfità convenivano alla co -  fctuzione, e alla natura di una si fatta crea-  tara ; il perche dicendofi , che la legge della  natura dalla divina Inflazione ne dipenda^   : : ■ do ’ -•    Digitized by Google    t    . I   14 DP-PRINCfPJ • 1   D» Ma le di quello mai avvenifle , che ne il  - dovefie render perfuafò un Ateo , qual  modo tener fi potrebbe ?   M. Egli farebbe quefio di certo per Uomo  una cofa a fare molto agevole , e facile ;  imperocché non bramandoli da noi per na-  tura , fe non ciò , che utile ci fembra , o  buono , e tutto altro , che malo , o per noi  di poco vantaggio Io fi crede , eh* e* fìa,  nulla prezzando , anzi ilcanlàndolo via to- \  talmente , ed evitandolo , non polliamo  naturalmente, e per una propria nofira  inclinazione non operar quelche riputia-  mo mai per noi fruttuofò , e utile , e gio-  . vevole: e isfiiggir all’ incontro , e ifchifare  che che tale non fèmbri , efièndo non che  del nofiro appetito fènfitivo , del razionale  parimente proprio , ed eflenziale rivolgerfi  . vie Tempre, verfo l’utile, edaciò, che  alla natura umana pofià alquanto di con-   fòr-    thnon è da intenderli miga di una incitazione  avviti aria , come f fu quella , da cui ne prove*   ** ia n j » a , ma * ìnfiituzione fondata ,   epojta del tutto nella natura medefma dell *  uomo , e nella fapie n za di Dio increata ,  .quale vi modo alcuno mai non pub un fine prò •'  porfi, o volere 9 fenza li mezzi altresì jg*  giungervi neceJJarj . v      Digitized by Google     DEL DRITTO NATURALE, ap  forto recare , ed alleviamento , come della  iioftra averfione al rincontro egli è l’appar-  tarfi da tutto ciò, che mai può a diftrugger-  la valere , o a nuocerle in modo alcuno ; li  perche nella natura ideila dell* Uomo , e  delle colè create fi veggono mille , e mille  ben differenti ragioni", e motivi per cui a  quello egli anzi vadi appreflo* e lègua, che  a quello, o a quello vie più, che a querto;ciò  che per verità, è (ufficiente , e baftevole  per obbligarci , e per trarci a quello , che  mai potrebbe , o varrebbe in modo alcuno  a ripolirci , e a darci una perfezione mag-  giore aflài di quella, ch’or abbiamo , e  tutto altro , che contrario abbiamo mai co-  nolciuto effèrci , e che nacevole , e di lini-  ero abbiamo unque potuto elperimentare,  lalciar via in abbandono , ch*è quello ap-  punto in cui confide il dritto della Natura  (c); Verità, che conolcere , e compren-  der fi deve da chi , che nello Audio della  Filolòfia altresì mezzanamente venghi  verlàto, giufta pur liberamente Icriffe il  Maeftro della Romana eloquenza Cicero-  ne ; fa fi: etiim nobis , (egli dice nell* au-  reo fuo libro de’ Tuoi Uffici ) (d) f modo   m   (e) Gr»t. Prolef. I. B. P. $. xi. VPolf, Pbilof, Zittiva/,  f. t. Hrìnre.c. i. 7. JV. $. XI 1 1. XIV,   ( d) %Àb, j. ( V. l. Quante , e quali dunque fono le diverfe   fpe-   ( k ) De LL. natur. c, f. §. 17.    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE, 33  fpezie d’ obligagioni , che noi abbiamo f  M. Molte moltifiime ; ma due però fono le  principali : le naturali , e le divine; poiché  a quelle due lòie /pezie , come a proprj  fonti e 5 par, che fi pqliòno mai dedurre  1 * altre tutte infieme.   J>. Quali: fono l’obbligagionì naturali ?   M. Quel le, ch’anno pera vventura l’origire,  e la dependen^a dalla ftefia natura del i’uo-  mo , e delle cofe create , o per meglio dire  da’ motivi nell* ifìeffà bontà , o malignità  ' delle azioni confidenti .   D. E quali abbiate voi per Divine ?   M. Quelle al rincontro , che ne provengono  da* motivi diverfi del tutto , e differenti  da quegli , che il più gir fogliono al  di dietro delle naturali ; come fono per  efomplo li favori , e le contrarietà tutte ,  che diconfi , ( ma non molto piamen-  te , anzi con gran improprietà del linguag-  gio Cattolico ) della fortuna ; imperocché  io mi credo, che chiunque mai fia ben per-  fàafo, e certo , come pur dalla ragione, non  che dalla noftra veneranda Religione , eh’  efpreflamente lo c* infogna , imprendiamo,  v neppur le foglia , e le chiome degli alberi,  e delle piante fi fouotano in modo alcuno ,  ofi muovano fonza il voler divino , dine-  » gar egli non potrà per verità , che quanto  1 C di    34 DE’ PRINCIPJ  di fecondo mai , e di defilo ci avven-  tili al Mondo, o di traverfò e di fènidro  * fi rincontra , non che giuda la bontà, o ma-  lignità ifleflà delle nodre azioni da noi il  piu delle fiate fi fperimenta , come tutto  dì la fperienza altresì ( G ) lo ci dimodra,  da quell’ idedò immenfò , ed eterna fonte  di tutte cofè non derivi ,* e confèguente-  ' mente tutti li nodri profperi , ocattivi av-  venimenti guardar fi debbano come tanti  diverfi motivi , di cui accoppiati , e uniti  alle nodre azioni , o inazioni , che dir vo-  gliamo , quell* efier fòvrano e eterno fi va-  glia ben fovente , e ferva per obbligarci di  ben in meglio operare , e per trarci a que-  do anzi , che a quel genere di vivere di  ■ gran lunga vie più limile , e conforme al  fuo fànto volere ( l).   T). Ma la natura delle cofe , come altresì  quella dell’ uomo provenendo da Dio, non   • po-   ( 1 ) W' o!f. FhUtf. Prati, Univerf. c. 3 *    4 G ) Nel notar qui noi , che il piu delle  fiate gli uomini al Cren in quefio Mondo ven-  gano da Dio trattati bene , o male giufia la  malignità , o bontà delle proprie azionici fi am  rattenuti alla /rafie di ÀuguJìino^ì^xumcpic %   {egli    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE.  potrefcbomo noi parimente con ragione  i’obbligagione naturale dir divina?   M. Senza alcun fallo nondimeno i motivi  dell’ una efTendo molto differenti da quel-  li , e varj , che in conflituir l’ altra concor-  rono , come ben voi con far alquanto di ri-  flefiione ne’ cafi fpeciali alli buoni , o ti idi  avvenimenti , che entrano in luogo de*  motivi delle azioni noftre libere compren-  der potete, non dà bene ad uomo il confon-  derle ; il perche molti vi fono, che sì fatte  obbligagioni naturali per difiinguerle an-  che totalmente dall’ eflerne , eh’ eglino   C a me-    ( egli dice ) ( 2f ) & malis mala eveniunt ; &  bonis bona proveniunt; ma non ( femper ) tut-  to il giorno ; perche ben fruente Reggiani noì %  per un occulta difpofizion divina, co* avven-  ghi tutto al contrario , e diverfamente , come  notollo anche Seneca ( 26 ) .non che il mede fi-  mo ( 27 ) ; /ebbene molti /furono d' avvifio ,  che nella dijìt ibuzione, che fi 'fa mai tutt ’ ora  dalla divina provvidenza de'benì , e de' mali  tra gli Uomini ad ojfervar fi venghi fempre e  mantenere un ben perfetto , e vero equità   . brio;   (ir ) De Civìt. 1 » 10. c. t.   ( i6 ) Senec. eie provid.   t 17 ) Auguft. d. 1 .    3 6 DE* PRINCIPJ   medefimi ammettono, le dicono altresì ob-  bligagioni interne ( m ) ,   D. Ma fpìegatemi didimamente quali fiano  quelle alti e .   'M' Quelle che ne pofiòno mai provenire  da motivi , che non fi arredano , che  nella volontà di un ente , che avendo  sù di noi tutta la podefià , e la mano, può  egli , e vale a qualche cofa buona in fe \ e   one-   ( m) Tbo'n.if.fund.jur.Tkit.fy §.LxV'&fe£U»    brio ; nondimeno convien confijjare , che quel-  lo , che malo apparifce agli occhi ncjìri , egli  non fa veramente tale , e che quanto noi mi-  riamo come un difordine , e un /componimen-  to della natura , egli Jìa in fe un ordine mol-  to ben injìgne , ed eccellente , non potendo mai  colui , che quejìo Univerfo regge , e governa  com * Ente fommamente perfetto , cE egli è , e  la fefd fapienza , eJJ'er V orìgine , e la caufa  di male alcuno ; come altresì par che fi fife  fiato di fentìmento Epiteto : S>  roÒis xapàt'ods, cioè r.eVuori, e ne’petti degli  uomini, fcritto , e incifo ; peroche non dob-  biamo sù ciò dar a audienza del Grozio  ( o ) e del Clerico (p ) , li quali detorcer  trattarono cotali motti , e prenderli, per  quanto e' potettero in altro , e diverfò  fenfò, giuda, che pria d’ogni altro rin-  veniamo alla difHifà, che provato avefle il  Budeo ( q ). Per la qual colà fi vede e com-  prende chiaramente la milenfaggine di  quegli antichi Giurifti, non che di coloro,  che negli ultimi tempi mifero ogni lor ttu-  dio , e cura in difènderli , o alla cieca fè-  guirli , lì quali divifàndo il dritto Natura-  le in primario , e fecondano ( r ) , e’ volea-  noche peravventura del primo cosipar-   te-   ( n Row. 11 . 14»   Po') Ibid.   C }> ) ArK crìtit. p. 2. feci. i. c. ir. r.   ( q ) in flit. Thenlog. Murai, p. 1. c. z, $   e cojìringerci di quelche al fammele all'eterno  Monarca compete , in cui in ogni tempo , e del  continuo ,giujìa che ben dijje V Apojìolo agli  Ateniejì (33) : vfaimm , & movemur , $  fumus ?   ( 3 ì ) A&. 1 7-1 v. i 5 .    Digitized by Google      (    ?   DEL DRITTO NATURALE. 49  vero come è in effètto ; bramando or noi,  ed andando in traccia fapere qua! fia il vero  principio de! Dritto Naturale , o per mè-  glio dire , una verità-, o proporzióne prin-  cipale , da cui trar li debba , come da tónte  pór via di giufle conlèguenze , e difcorfi  tutto quello, eh 4 è giuflo , e al’a norma  della Natura conforme , che giuda teffe  noi detto abbiamo , è la volontà ideila di-  JXI. vina , non fi può, miga con molto buon  raziocinio un cotal principio dedurre né  dalla convenienza , che può mai effèrvi fra  le noffre operazioni , e la làntità di Dio ; o  dall* imrinfèca bontà , e malignità , giufti-  zia , ed ingiultizia dell* azioni dell* uomo;  ne dal ben dubbio , e incerto coniente) delle  Nazioni , o delle Genti ; o dagli precetti,  di cui ne fanno , ma con una grande inve-  ntimi laudine , l’autore Noè, giuda gli  Ebrei ; o dalle diverfe , e varie convenziCH  ni degli uomini , o per meglio dir , dal  Dritto , che può mai a cialcqno in guilà al-  cuna Ipettarc in tutte colè , come veggia-  monoi, che fatto egli abbia TObbelìo,   ( t ) o dalle leggi dell* umana locietà, giu- >  fla al Grozio , ed altri ; ne dallo flato deli 4  innocenza , fecondo 1 * Alberti Teologo , e   D -fi-   [ t > L:b . de Ove & in Leviatb*    v    jo • D E’ P R I N C I P J   Filofofo di Lipfia ; o finalmente da quell  ordine naturale , che il fòmmo fattor del  tutto nel creare , e formar il Mondo lì può  credere , che fi àVefiè mai propofio , fecon-  do che dopo lo Sforza Pallavicini fece il  Codino ( u ) . Poiché quelli , e altri fcmi-  f Pianti , e belli , e dotti trovati tutti par.  che difettino in ciò ( L ),che in qualunque  di efTi aggraderà mai > o piacerà ad alcuno  contendere , che quello principio del Drit-  • - . • . : • j . • to    ( u') Dìflert. de Jur. Mundi.     ( le) Egli r- uopo con tutta /incerila e  nettezza confejfamo , che vifi rinvengano non  pòchi nella focietà degli uomini , citi non deb-  ba premer troppo lo /ìndio delle Jcienze fpec il-  lative , e che pojjdno in buona fede kj ciarlo ;  ma non pojfamo con ragion alcuna offerirli  me deiimo della Triorale ? della Colitica j e di  oucjìafeienza del Dritto della Nat in a, ef-  fendo ogni uom tenuto fornir fene almanco Jtn  a un certo fegne^dove egli pur voglia far buon  ufo di fua ragione. Il perche conforme in quel  cenere di Jcienze alcune fottigliezze molte fia-  °tc fon tolerabìli , e laudevoli , purché non na-  no di Soverchio fantajìiche , e fuor del cornuti  ufo : così in que/ìe ultime , non fio ncn meri-  tano    Digitized by Google    •r    v **    DEL DRITTO NATURALE, fi  tordella Natura confida , non mai egli po-  trà tutti li doveri dell* uomo , come fi con-  verrebbe veramente per far E uffizio di  vero principio, ritrarne; lènza che fon egli-  no ofcuri del tutto , ed incerti, ed in nulla  evidenti ; il perche lafciando in non cale  (lare quanto ad uom mai intorno quello ar-  gomento piacque dirne , o lcriverne,fenza  metterci così alla cieca l’altrui orme a le-  gume , egli non mi pàr , che vi fii meglior  mezzo per conofcerlo e dilcoprirlo che  considerar alquanto attentamente, e a fpi-  luzzo la natura dell’ uomo , e tutte le lue'  'inclinazióni; perche perni fermo ciò fa-  cendonoi , lo rinvenimmo, lènza fallo, fin  dalla culla per così dire , e da’ lùoi primi  anni, in cui egli è cofa alfai lieve conofcere,  e vedere quejche gli fia naturale ( x ), e da  Da - qual«   (. x ) Cic.dt fin.bonor.& malor.lli-.z. (    tanó da veruno ejftr approvate , e lodate , ma  Jì devono altresì oliremo do fempre mai come  ben fofpette , vituperare ; poiché avendo sì gran  bìfogno e necefjìta d'ijtruircene , come tejie noi  diffmo ) debbono elleno con tutta naturalezza  trattarti, e /empiitila ; cofa che bajìa (fui no-  tare per far cono f cere ad ogni uno il mot ivo',    Digitized b    yi DE’ PRINCIf J   qualche abito, o cofiumanza in lui non  provenghi, fi porti mai fèmpre verlò ruti-  le (y), ne altro unqua vi fii , che quello ,  che meriti con ragione , e da fènno per  vero principio del Dritto della Natura  d’ ayerfì ; lènza che le vi piace paflar più  oltre , e dar parimente una qualche oc-  chiata aerò, che n’imprendiamo dalle  Sagre Carti nel mentre , eh’ e’ fi rinveniva  nello fiato dell’innocenza, il limile noi  -rinveniremo , e non altrimente ; avvegna-  ché allora, giufia che comunalmente fi  vuole , avuto egli non avefiè , come per  al prefente il cuore di mille, e mille paffio-  ni , e di varj , e diverfi movimenti, e affet-  ti ingombro , e ilmoflò . Quindi lo fiefiò  Dio alla prima fiata , che favellò all’uo-  > mo nel Paradifò terrefire , per obbligarlo  all’ ofiervanza de* luci divini comanda-  menti, altro non lappiamo noi avergli pro-  pòfio , che l’ utile , che da ciò potea egli  ’ ‘ , mai   ( y ) EpMetus ErXEIPlAlON c. ;S..   r t , .    e la ragione , che Jì ebbe in quejìa Operetta , di  non feguir ninna deir altrui oppinioni circa  al princìpio del Dritta della Natura , fenza  darci la briga di piu a dijiefo rifiutarle , c con   pili   Digitizedby Googl    DEL DRITTO MATURALE, h  mai trarne , e ’l danno , e difvantaggio*  (2) che dal contrario operare gii farebbe  unqua avvenuto favella ufàta da lui con  l’uomo altresì in ogni , e qualunque altro  ‘tempo dopo il peccato , non men per mez-  zo de* faoi Profeti , che per Io fuo fig Muo-  io, Giesù Chriflo , com’ è ben noto a chi-  Chc abbia letto pur una fol fiata li làgri li-  bri; nè fappiamo noi, per al certo, altroché  quello lòlo mezzo da Dio praticato a de-  terminar l’uoraògiufta alla fua divina vo-  - lontà ; anzi io non mi credo , che tra noi fi  rinvenghi perlòna alcuna, che dovendo al-  tri pervadere , e* naturai mente non penfi,  che perciò altro meglior modo non v’abbi,  o fi rinvenghi al Mondo , che di propor-  ; ,V ; > D 3 f ; \. > gli   ( 2 y Gene/, c* z. 1 6. 17. èc .   — ■■ , " 1 1 * \ *   pih motti impugnarle ; rinvenendojì di già ,   ch'abbiano in ciò foditfatto appieno^ed appaga-  to ciafcuno fujjicientemente molti al dinanzi -,  noi(ia)con una fomrha e rara loda veramente^   td‘ g   ( ) Puffèndof. fpecim. controver. iv. 4. iz. Henri.   Coccei. drfE de jqr. omn. in omn.Thom.fondam.f. N»   I. 6. 1 8. Jurpr. Divin. IV. 40. feq.& de fundam. defmiend.  canfs. Matr. haet. recept. infufK XVllf.S.M.de Cocceis de  princ. I.N. di/T.I.q. U.$.IX. feq. & q. III. § . VlII.Petr. Dan.  Huet.q. Alnetan. II. p. 173. &c.  e eh * imperò prenda alcun il  motivo di accagionarci , avvegnaché Jì trat-  ti:    Digitized by Google    f 6 D E» P R INC I P J /  no pur per il dritto iltefiò delia Natura,  non fia miga da metterli in dubbio ; Ad  ogni modoconvien confeflarc, 1* uomo lia  totalmente quafi incapace dell* acquilo  delle vere vir;ù , le quali di vero non  fon da reputarti d’ altri proprie , che di  Dio ; imperocché le l’uomo opera cola  che onefta , e giufta , o di decoro ella  fia , lo fa lòlo , perche vien egli tratto a  farlo , e portato dal guadagno , e dall’ uti-  le, eh’ egli mai riconolce poter ritrarne,  e non già per la bontà lòia e l’ oneflà dell’  Azione,* colà che per i’ appunto è quello,  che rende Tazion dell’uomo imperfetta  alquanto, e difettofa , perche della vera  onefià , e della vera bontà non par eh’ ella  nè porti in effetto , eh’ affai picciol fegno ,  a tale , che più non fembri d’efia • Al con-  trario Iddio operando con motivi infinita-   . * rnen-    tìdicofa mera arbitraria , dì jlr alagli nza\  ■poiché lafciando pur da parte Jìare , che da  malti degli antichi (3 f ) tifato JiJoffe altresì  in qucjìo modo , che noi f t/Jìamo , non che   ' da*   / *   C Jt ) Cic. lib. rie offic. ;• . * j    Dìgitized by Gòojjlc"    DEL DRITTO NATURALE. S 7  mete d’ affai piu alti dell* uomo , non fi  lafcia così portare , ne trar mai le non dal  giufio , e dall’^onefto proprio dell’azio-  ne , eflèndo quello giufio medelìmo , e  quello anello, lo fteflò Dio . E così con-  fórme l’operar dell’Onnipotente, egli è  come un acqua , che chiara , lucida , e  crifiallina ifcorrendo tutt’ ora da un ben  terlò , e limpido , e polito micelio , total-  mente d’ ogni lòzzura , e laidezza, monda  fi mira e netta , così quello dell* nomò al  rovelcio è come un acqua torbida , e pia-  cevole , che da una diverlà fingente deri-  va   S   ' A ’ 1   * _ ^ . t _ j . , .   *   da' Padri della Chiefa (36)5 rinviene  comunalmente in quefio Jfènfo adoperato nelli  fagri libri , come per alcuni pajfi, che apprefio  ne riferiremo agevole fa il riconof cereali per -  che per dir tutto in un motto , non deve recar  maraviglia ad alcuno , che da noi non fi ammet-  ta mai dell' utile dij cip agnato è dif unito dalla  pietóso fa nonefiendovi ne pii* certame pili ve-  ra di quefia gran majfima dell' Epitteto ( 37 )   0718 to' cvpyófop , **« to’ ìw'tfft* cioè l ubi Ut!» "   litas, ibi pietas.   (3 6 ) DeGivit. Iib. 19. c. ai. Si &c.   ( 37 ) EFXEIPIAION C.3S.    58 D E’ PRENCI PJ   va , Cozza, in fé tutta € fporca, non potendo  egli mai , per quanto fappia , e vaglia, non  commanicarle delle lue imperfèzzioni , e  laidezze j verità , che la conobbero , e  comprefèro altresì li Gentili , fcrivendo  Cicerone in parecchi luoghi delle lue  opere, e confed'ando., che nell’ uomo non  s’ ileopriva altro    (b ) Gerttf.c.i, v. z6. ire, . /•; t    Digitized by Google.    DEL DRITTO NATilR ALE . T9  propria , e fòia d’ un Ente lùpremo , e infi-  nito ; poiché al certo doverebbomo noi te-  • ncrci pur troppo beati , e avventuro!! al  Mondo , quando ciò ottener da noi fi po-  tette ( M ) ; Non confittendo veramente in  altro la lèmma felicità , che per T uomo fi  può in quella vita avere che in un gran  agio , e deftro , da poter del continuo in  tutto il corfo del viver luo vie meglio  Tempre perfezzionarfi, e giu&here con ogni  aggevolezza , e lènza intoppo a far tutto  dì progreflì maggiori in ogni genere di  virtù . Quindi il non mai abbattanza loda-  to    ( M ) Per quanto mai tratti V uomo dì -  ne fiegue lènza dubbio , che dove purvo-  • - gliamo noi le nolìre azioni regolare a  » nolìro utile, e vantaggio, damo obbligati  altresì quell’ iftelfe determinarle a gloria  di Dio , acciò chiaramente da quello ap-  parila di conolcerlo , e quanto mai a noi  è pennellò in quella mortai vita com-  prenderlo , e adorarlo ; onde I* uomo è te-  nuto non folo a molti obblighi e doveri  verfo di le (ledo , ma altresì verlò Dio, luo  fattore , e Creatore.   III. E per al fine elTèndo ogni uomo natural-  mente tocco da un gran piacere , e diletto  - per T altrui perfezione , dove egli pur  non vengfii da ben contrari affetti impedi-  to ; e T azioni libere dovendo Tempre cor-  rifpondere , e convenir totalmente con le   na-    cofcienza godere , che maggiore nè decelerare,  nè bramar Jì potè [fé unque da uomo al Mon-  do , chi negar mai potrebbe da fenno non effer  ‘noi li piu felici , e benawenturati del Mon-  do , ne a morte , ne a ccrruzzione alcuna fog .  a etti ? poiché giufta il faggio (41 ) , Cuftodi-  tio legum , confumatio incorruptionis eli,   in-   C 41 ) Sij). c.\n,    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 6f  naturali , abBifògna conchiudere * eh’ ogni  uno debba operar non meno per lo proprio  Tuo vantaggio, ed utile, che per l’altrui ; e  ch’imperò abbia a conofcerlì V uomo obbli-  gato a molti doveri e uffizi altresì verfò gli  altri. Il perche effendo egli colà ben certa,  ed infallibile , chedovepur ci aggraderà  con tutta la diligenza , e 1* accuratezza  del Mondo gli enti tutti, che ci danno  dappreffo , o allo ihtorno confiderà re , non  iè ne rinvengano , che quefìi e tre fòli ca-  paci d’ uffizi ; ciò è : Iddio , noi medefimi,  e gli altri uomini , a noi per natura total-  mente uguali , e fimili ; fi può con ogni ra-   *• g io *    incorruptio autem facit efie proximum Deo ;   cofa che fa vedere , e concfcere quanto faggio  Jifrffe il di /correre , e il raggiera?' di coloro  tra gli antichi , che voleano , la vita beata  fri nella virtù fi conìengki , gjujìa Grifone,  Senocrate , Speu/ìppo , e Polentone ; come quel-  la ydf era la fola , che un bene ben Jì abile , e  fjfo , e durevole comprende a ; come eh e Epicu-  ro altr etì , che fcritto avea la voluttà e/fer  il fine de ’ beni , negava , che per alcuno f  avejje potuto mai giocondamente vivere fe  onejìa , e /ozia mente } c con gitjìizia vivuto   non    Ditjjtized by Google     gione da per noi diftinguer T utile , e divi-  dere in tre generi diverfi , o fpezie , eh’ el-  leno fi liano molti differenti alle quali  tutte e’fà meftieri,che per uomo fi raguar-  > - di , dove egli brami d’ operar veramente   bene , e giufia il Dritto della Natura, im-  perocché fècondo.il numero degli enti , te-  ttò noverati, capaci di Aever da noi uffizi,  altro è l’utile, e ’1 vantaggio, che noi  tragghiamo da Dio, altro quello, che abbia-  mo dagli uomini , e altro finalmente quel-  lo , che provenir ne può mai dalla noftra  fletta per fona .   D. Oliali dunque di quelli meritano il primo  lu^o.   M. Ettendo ciafcun di noi , per quel chedif-   fimo     non Jì avejfe ; fentenza veramente grave , e  degna dì un vero Filofofante , s' egli viuji a  feirive Cicerone (42 ), riferito non avejfe alla  voluttà quejio medejìmo c neramente , favi a -  mente , e con giujiizia; Ma che che però di cil> y  ne fi conchiudiamo con queir aureo detto di S,  Augufino ( 43 ): Pax noftra propria, &hic   eft   ( 41 ) Tufcul. qu. 1 . 4”,   ( 4? ) Ds Civic. 1 . xix. c. 17.    Digilized by Google     DEL DRITTO NATUR ALE.  fimo al dinanzi , tenuto far tutto ciò , eh" e*  conolce ellèrgl i di vantaggio. , e d’ utile , e  - non eflendovi Ente alcuno , Che maggior  giovamento recar gli poffà giamai , o va-  glia di Dio , da cui dipende ogni noflro be-  ne , ed avere , e come Ente perfettiflìmo  mira fino all’ interiora del noflro cuore ; ip  ogni nofira opòrazione che che /òpratutto  fiam in obbligo guardare , egli fi è qdefto  Ente fupremo , ed eterno., cui con tutte  le potenze del noflro fpirito fiam obbligati  nonché nell’ efierno, nell’interno ancora  tutt’ ora oflequiare , e in ogni momento  compiacere , e venerare . In apprefiò per-  che egli è affai più l’utile , che da noi me-  defimi poflìam ricogliere,di qualche da al-  tro uom mai ricogfiamo , egli è meftieri ,  che apprefso Dio nel noflro operare da  ciaf un di noi fi miri molto piu al proprio,  che all’altrui commodo, o per meglio dire,  • alli diverfi doveri, che dobbiamo verfo noi   E ' ' ftef-   • • *■ i .*    eft cum Deo per fidem , & in asternum erit  c um ilio per fpeciem; fed hìc ftve illa com-  munisjfive noftra propria talis eft pax , ut fò-  latium mi/èriae fit potiùs , quam beatitudi-^  nisgaudium, . \   (N) Niu-    T    v    r    -A    D E* P R INCIPJ   fieflì vie molto più, ch’a quel li, che dobbia-  mo alla perfora altrui(N).Il perche per dir    s 9 egli a fi la finità del prrjjìmò membro   traef-    \    Digitized by Google     DEL DRITTO NATURALE. 6?   , come da ciò , che fin qui hò detto , e diro-    vi in appreflo-potrete voi da voi medqfimo  comprendere; poiché quanto da quefto  mai fè n’ inferire , ad altro infin non fi ri-  duce , che aquefto fòlo: ciò è : Che la per-  fezione dell* uomo in nuli* altro mai porta  confifier , ne fondarli , che nel temer  Iddio , ed ofièrvar a /piluzzo , e con ogni  efàttezza del Mondo ( giufia Pinfègnamen*  to ( e ) del Savio ) li ìuoi divini comanda-  menti . Il perche non fà miga contro noi  quel che difputano il Grozio , il Purtèn-   - dorfio , ed altri contro Cameade , e fuoi  lèguaci , da cui fi veniva il proprio utile ad  ammettere per principio del Dritto della  Natura; pigliandoli da noi quefio vocabolo  in altro, ediverfo lignificato d’afiai più  (ubi ime , ed eccellante ; anzi le non vado   E 3 . . er-   *. C « ) Eccl. C, XII. I3,    ’ .  Omnia mihi licent ,* at non omnia  protent, (fcrive F Apcftolo ) omnia mihi li-  cent $ at non omnia aedificànt. Or appunto  gìujìa queflo infegnamento abbiam noi ere --  fiuto , che nel mifurare F utile di ciafcuna  delle nojìre azioni guardar fi debba , e aver  la mirali, alti nojìri doveri verfo Dio , eh ' è il  nojìro Vero Padre , e la ver a origine d'' ogni  n offro bene , poiché fecondo faggi amen te feri *  ve Auguflino (47) , fi diligenter attendas nec  ntilitas fit ulla viventium , qui vivunt im-  piè , ficut vivit omnis , qui non tervic Deo ;   **l   ( 47 ) De Ciyit. 1 * i?.c. xù -    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE, 7*  nulla più ,* imperocché pochi giorni fono,  ch’intefi peravventura un giovine far gran  pompa, e moftra delfoppihione delì* Ei-  neccio all’intorno quello particolare, e  ' per dir il vero , come eh’ egli dille molte  colè delle buone ; in nulla però valle egli  a rendermi ben perlualò , e convinto.   M. Il coftui parere non è miga men vero ,   • edifettófodiquel che lo fono, quelli de-  gli altri , da noi poco al dinanzi cennati ;  non efiendo il Itio principio di tutte quelle  qualità e condizioni ben fornito, eh’ in Un   E 4 vero   *   r   nel qual luogo Jl 'Vede il vocabolo d' utilità  prefò nel medejìmo f e nzo , e fgnijkato , che gli  dbbiam noi imputato } e gì ufi a che altrove con  ben falde pruove altresì dimojira il Santo ,  niuna delle nojìre azzi ó ni per giujia e buona  aver .fi pojfa mai , o debba , dove ella fatta  non Jìa a lode , e gloria di colui , eh* è il no -  jìro bene , e che perciò le virtù de* Gentili Jt  furono realmente anzi vizj , che vere virtìt  (48); lhGh J egli fra meflieri conjxderar in  apprejfo , e ben dif aminare fe /’ azione , eh *  imprendiamo a fare pojfa mai recar qualche   , ' incorna   ( 4S ) De Givit. L ip. c. xi. &    Digitized by Google    N»    7 z D E’ F R I N C I P J  vero principio , per qudch 9 egli medefimo  c ^ confefia , fi richièggono; anzi è egli meftie-  ri di necefiHà ammetterne un 9 altro , da  quello del tutto divello, da cui e’ ne di-  penda ; imperocché efièndo egli quefio   • _ l’amo-    ìncommodo , e dannaggio ad altri , giujta li  ■precetti Vangelici , non men che naturali , e  perciò fin d Gentili per quel , che Jì notò al  dinanzi affai ben noti ( 49 ) e pale fi : e III.  Che al dafezzo Jì debba guardare fe quejie  ifteffe conformi e' favo, 0 no alli doveri , che  debbiamo a noi medejìmi ; Il perche dove an-  che un Jì rinvenghi per dir così povero in can-  na , edagrandiffma fame cojìretto , non de-  Ve per niun utile , cheritorne mai potrebbe ,  rapir il cibo all 1 altro uomo , anche che fìfof-  fe qnejti un Falere , per cosi dire , un fc etera-  co , un tirando , 0 un uóm dappoco ; e tnelenfo>  giujiaf fujìn il fent mento di Cicerone ( fo );  perche in niun modo più grata , e cara a me  deve effer la vita mia , che tale dìfpjìzìone  dd animo yCÌf io non nuoccia ad altri per pro-  prio mio agio , 0 commodo   •• ‘ * $) Egli   C 49 } V. Not. . .   ( r° ) De ofl; 1. j. c.j. • • . .    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. , 79 ,  l’ amore (f) ; chi di api-mai- ad amar una  colà. , o appeterla può da lènno afferire  d* elferfi unqua portato , lenza un qualche  motivo ,.o ragione quale per l’appunto fi  farebbe la bontà ifteflà della colà , o l’one-  fià , o 1’ utile ? Chi è colui , eh* operando  da uomo, ama , e delia , o quella , o quell’  altra colà, lènza che prima non la jicono-  (ca in qualche foggia del fuo amore , e  delle lue brame ben degna ? E lè ciò egli è  vero , come lo è in effetto, 1* amore non fi  può miga in modo alcuno tener per princi-  pio del noftro operare, ma fi benetutt’  altro da cui la noftra volontà fi vegga, ven-  ghi mai a quello determinata tèmpre , eri-  fòfpinta ( P) .   D. Or    e amare venne filo da Pia  • Può-    Digitized by Google    4    DE* PRINCIPJ  - ftro bene ,• io non sò mai comprendere i nò  * capire , come f obbedirlo , non che il pre-  dargli tutt’ ora omaggio a noi non fi fof-  fè connaturale j imperocché lalciando da  parte dare , il dritto , che a Dio compete  , sudi noi, e tutto altro, che intorno ciò  fi potrebbe mai dire, confèrvandoqi egli  per lo continuo , ed in ogni momento quali  che novellamente creandoci , nè moftran-  dotì giamai refiio , e fchifo di beneficar-  ci così abbondevolrnente , che per quello  conferò un Pagano medelìmo : (g ) non  che provvede egli a tutte nofire bifogne,da  Jui noi , ufque in deliriti amamur ; tot ar -  bufi a mon uno 'modo frugifera { foggiungc  egli ) tot herbce fai ut ar et , tot varictatet ci-  borum, per totum annum digejia: ......   ut omnti rerum naturce part tributum ali-  quod nobii confert ; ancorché non avefiè    ( g ) Seneca de Bene f. lib.iic.ydt I.    r uomo formato , ed creato ; e in con f egri erosa  per unirlo , è ajjoeiarlo con qualche oggetto ,  la cui con f cerna, e 7 cui amore vai effe a prò -  dargli qualche felicita , e ripofo ; echéverfo  quejìo egli tuttora portar f debba ed incarni -  narfi \ Il perche la prima, legge dell' uomo y per  . . ’ quel    Digitized by Google    — ■«!    DEL DRITTO NATURALE . 77  domandato mai da noi olTequio , o ubi-  dienza alcuna, pur dove conofcelfimo e£  lèrgli cotanto tenuti , e obbligati , per • ,  gratitudine almanco , doverebbono in tut-  te le noftre azzioni fa r in modo , che non  vi apparile nulla , eh* aver fi potefiè per  legno di non temerlo , o non adorarlo , nè  compiacerlo incoia del Mondo.   D. Ma di vantaggio : febbene dubbitar noti  polliamo , Dio niuna cola c’ im pónghi ,  re’ comandi, s* ella nello ftelTò mentre per » v  noi non fii a noftro prò , e utile ; non però  egli lèmbra ,* che come tale da lui ella ci  venghi comandata , o importa , mia lòlo  perchè e’ fia alla lùa làntità, e volontà con-   fbr-   ’ ' • w . .   enei eh' egli crede Jl è la pia derivazione al •  la ricerca , ed all' amor di quejt * ometto , che  altro unqua non pub ejfer , eh' Iddio ,, eh' è il  fola , che può , e naie fidi far lo , e renderlo  di tutto ben f atollo ; legge la quale , confor-  me egli ferine , effendo di tutte l' umane ob-  bligagioni P unica regola , e lo fpirito,e il fon-  damento di tutti li precetti del Vangelo , è al-  tresì di tutte P umane leggi bafe , fojiegnc , e  principio ; anzi pere F ella obbliga tutt' uomi-  ni fenza eccezzione alcuna di perfona a unirfi   tra    gitized by Google    •4    *8 D E* PRINCIPJ  . forme i e ip confèquenza parcheconven-  ghi dire che il giufto Ila affai al dinanzi  dell’ utile j-   M. Quello non è men falfp e vero j imperoc-  ché niuna cofa fi può mai fingere al Mpn-  do , o imagi nar da noi, nè contra,nè oppofta  alla fantità divina , o al divin volere , che  parimente ella non fia d’utile, e di van-  taggio per noi; e quefto in niun conto fi  può mai dalla giuftizia fèparare,e dividere,  o quella da quefto ; perchè Dio cpme en-  . te perfettififinao , e fàpientiffìmo , eh’ egli   è, non    tra ejfi, e ad amarfi vicendevolmente , ne rac-  chiude in f e fiefià un ’ altra , eh * è la feconda;  imperocché t fìtti noi pef natura al pojfefiò di  un unico , e foderano bene defiinati , e per li -  , game si fretto e fido uniti ejfendo , che giu-  fta fi legge in S. Giovanni non comporremo ,  ne fot'maromo altro mai , che una fila per-  fona (s i ) non pojfiatno giugner giamai a far-  ci degni di unità tale nel peffedimento del com-  mun nofiro , ed unico fine fi non col comincia-  te dianzi , e in quefia firada appunto , che per  colà giugner e fiam tutti tenuti battere , ad  • •  ..    Digitized by Google    >     *o DE* »P RING! P J  fri. Balli dunque quello pef oggi ; imperoc-  ché eflendolì illòle da gran pezza ritirato:  domattino per tempifiìmo , dove vi piac-  cia , altresì in quello ilìeflò luogo , tratta-  - remo più agiatamente quélche vi rimanga  intorno quello particolare^ Addio .         , : de*   . 1 * ; , ■ • •   ■—   . • . 1   */ ■ • ’deffo ; non lafciano perb elleno di fujfifiere , ed  ejjer immobili ; t come tali far che tutte le  leggi per tui la focietà degli uomini Ji regola  nel prefente fiato non fiano ^ che una ben fe-  guela di effe ; onde non guari egli, in quejlé>  Jlabìlìfce un piano di tutta T umana focietd .  f- ;    V- . - _   Digitized by Googh    f •    Sr     DE’ PRINCIPI   DEL DRITTO   r * '    NATURALE ,   TRATTENIMENTO II.   •jk   De* doveri deir Uomo folo nello flato delle)   Natura   SOMMARI O.   t   I. V Uomo conjìderato in diverf , ebendiffe  di amarlo, e venerarlo in  ogni fua azione , e degli altri obblighi ,  e doveri delP Uomo inverfo quefo ejfer  fovrano ,   IV. Obblighi, e doveri delP Uomo verfo se me-   le de*    Digitized by Google    Si D E’ P R I N C I P J   defimo dijiintìin varie fpezie . .   V . Neccjfità di conofcer se ntedefimo .   VI. Uffizj , obblighi , e doveri dell ’ uomo ver -  fo delfuo fpirito .   VII. Modi , ? da perfiezzìonar P intellet-  to , ? delle virtù intellettuali in partico-  lare .   Vili. Dilla perfezzione della nojìra volontà ,  e delle virtù morali , dì cui P uomo era te-  nuto guernirfi in quefio fiato della Natu-  ra , che della cura del proprio corpo . .   IX. In Che al fin fi riducano , e fi refiringa-  no tutti ctuefii obblighi , e doveri delP uo-  mo , e le fue virtù .   Dunque avete voi con  maturezza, e diligen-  za le cofe , di cui jer  qui ebbomo ragiona-  mento , tra voi me.  defimo ben di lamina-  to ?   V. Senza dubbio , e vi dico con ifchiettezza,  eh* elleno mi ferr.brano regalmente , ab-  bino una grande aria dolce , e maefiofà di  femplieità , e di naturalezza .   M. Or via alle corte,* oggi tratterò a tutto  mio potere di farvene conolcere e com-  prendere 1* applicazione , e Tufo, non   che     Digitized by Google    4    DEL DRITTO NATURALE. 83  , che T agevolezza , e la f cilità , con cui li  doveri , gli obblighi , e gli ufrzj un, ani  tutti polloni] da chi che lia mai da quelle  dedurre. A . «■ 1   D. Ma con qual metodo, od ordine in ciò voi  procederete ?   M. Elfendo pur convenevole certamente  ch’io m’ingegni favellarvi di tutto sì aper-  to , e chiaramente , che niun dubbio ri-  fletto a quello particolare d’aver mai vi  rimanghi , vi rapprelènterò 1* uomo in va-  ri , e divel li rincontri di lùa vita , e in ben  mille , e mille differenti fùoi flati ; impe-  rocché figurandomi io mirarlo da pria nel-  lo fiatò naturale , or tutto fòlo , e lènza  altri in compagnia , or di brigata con tutti  pii uomini , ed in una lòcietà univerfa-  le, or con la tua moglie, e con li fùoi  figliuoli, ovver con li lùoi fervi * e con  le Tue fanti , ed or al fine con quelli tutn  ti uniti infieme ; in apprellò dilcende-  rò , e verrò paflò , palio a confiderarlo  tra *1 riftretto , e tra li termini di una Cit-  tà , o Repubblica Ha come capo , o rettor,  di quella , fia come un membro , o infe-  riore ; colà che fàcendofì , le non vado er-  rato, verrò a rìifpiegarvi molto diffùlàmen-  te, e trattarvi alla dillefà tutto ciò , a cui  Vien ferialmente per altri quello Dritto '   F 2 del-    «    Digitfced by Google     «4 D E» P K I N C I P J  II. Della Natura diftefo, cioè * l’Etica , P E-  conomia , e la Politica per non lafciar co-  là alcuna da farvi su quello argomento of-  fèrvare ( A ) .   V. Che intendete voi per Etica ?   Una Icienza , che non (i arreda *in altro ,  che in quelle fole regole , che pofTon mai  - riguardar l’uomo confidcrato o folo, o di  brigata con gli altri Uomini nello dato  ./ della Natura. .   V* Co-   » - — 1 ■ 1 ■ ■ ■   • • # * . .   ( A ) Non v’ ha piu laudevol co fa , nè  piùfruttuofa , o piu utile in una faenza, che  uom mai imprende a trattare , d? if covrir -  ne da pria , e fvelarne li fuoi principi , ed in  apprejfo pajfar al particolare , che di là ne ri-  finita . Il perchè avendo nei nel nojiro primo  trattenimento favellato de'veri principj delle  leggi naturali , difendiamo ora alle regole ,  che da quegli Jfe ne pofono unqua per alcuno  inferir eycof a che varrà altresì, fenzafallo,per  facilitar li ncjìri leggitori , ed in un tempo  medefmo per un ben molto acconcio modo age-  volarli a render di quelli un affai fermo , e  perfetto giudizio non effendovi per quel che  noi fappiamo , per metterli in quejio fato, al-  tro metodo , o Jìrada miglior di quejìa .    DEL DRITTO NATURALE. 8f   D. Colà è Economia ?   M. Ella fi è un altra fcienza molto diver-  • fa dall’antecedente , in cui'fì compren-  dono ’foltanto quelle regole, che apparten*  gono alla condotta dell’ Uomo nelle focie-  tà fèmplici , non che in quelle che fi an-  no per men compofie. Chiamiamo noi  iòcietà fèmplici quelle , che non fi forma-  no, che di fole, e (empiici perfone , co-  me la paterna , ch’è tra genitori , e figli  la coniugale tra marito , e moglie , e T e-  rile tra padrone , e forvi ; diciamo men  compofie al contrario quelle fòcietà , che  non formanfi, che delle fole fèmplici , qual  appunto fi è tra quefte la famiglia , che  non vien compofìa , che di quefie fole , di  cui qui or noi favellammo , rinvenendole-  . ne dell’al tre molte afiài eia quefie diverte,  e differenti, e molte vieppiù compofie,  perchè non formanfi elleno , nè fi coflituifo  cono , che delle fole compofie , come per  efemplo fi fono le contrade , o li borghi ,  che compongonfi di più famiglie unite in-  fieme in una fol fòcietà pe *1 comun lor  mantenimento , o per la confèrvazione de*  lor dritti Gentilizi , fo per avventura e’di-  foefcroda un folo , ed unico fiipide , come  pur fi crede , che avvenuto mai fofiè nella  prima ifiituzione di tali fòcietà; o le Cit*  F 3 tà a    s    Digitized    86 DE’ PRINCI P J-  tà , e le Repubbliche , o i Regai , Pane de’  quali fòrmanfi di più. borghi , o contra le;  e Paltre di più Città , rette e governate da  un folo •   D. Difpiegatemi il termine Politica ?   M- Egli appunto quello è il nome proprio di  quella facoltà , o fcienza, che infogna Pob-  , bligo , e li doveri dell* Uomo in queff ul-  ti me locietà .   JX Dividete voi adunque , fe non vado er-  rato , tutto il Dritto Naturale in Etico ,  Economico , e Politico ; ma rinvengono  pur per'altri parimente quelli e tre voca-  . boli adoperati alla fletta guifà?   M* Mai sì , come che quelli fiano molti po-  chi ; poiché afsai più d’ordinario s’ ufano  eglino a fpecificare , ed a diftinguere tre ,  e diverle parti di Filofolìa , in una di cui li  tratta delle virtù Morali, nell’altra del  buon governo delle colè domeniche , e fa-  migliati , e nella terza, ed ultima di quel-  le di uno Stato , o Repubblica, giuda fi  leggono , che adoperati furono da’ Greci,  da cui travalicarono a noi ; come che con  ciò, vaglia il vero, lì venghi per poco a far  il medefimo , e lì noti lo ftefso .   JD. Or via prendendo il filo di quel che dir  dobbiamo-, figurandovi al dinanzi d’ogni  altro mirar Puorno lolo nello Stato di Na-      Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 87  tura, (piegatemi quali erano mai gli ob-  blighi , e li doveri di coftui in quello Sta-  to (B). j .   Egli fi riducono quefti e tutti, lènza fallo,  Iil.come U può di leggier comprender da chi  che penlà , a due (òli capi ; il.primo di cui  lo riguarda come a creatura , e opera di  • Dio ; e il fecondo come a creatura, ma ra-  gionevole , che opera per la confervazion  di se medefimo , e delle (ùe parti .   D. Spiegatemi didimamente gli obblighi,   F 4 v e li . ^    (B) Lo fiato d' una per fona non confjte in  altro , falvo che in alcune qualità , che rif-  guardandofi,ed avendo]! come proprie fue,ven -  gon acofiituire la differenza , e il divario,  che v' abbia infrajei , e un altra ; tali per  efemplo fi fono ì’efier di majchio , 0 di donna,  di giovine ,0 di vecchio , di libero , 0 dì fer-  vo , di figlio di famiglia , 0 dì padre , di ric-  co , 0 di povero , ed una infinità d'altre di  cotal fatta . Il perchè altre di quejfe ejfendo  naturali, ed in nulla da noi dipendenti, ed al -  tre al rincontro avventizie , e del tutto in no -  jìra propria balìa, ed arbitrio , altro è lo  fiato naturale ,fifico, e morale di ciafcuno , al-  tro quello, eh' è puramente civile, od avventizio .    V    Digitized by Google    V   *   ^8 DK' PRINCIPJ   e li doveri del primo capo , che tra tutti  ' gli altri , cui per natura 1* uom è tenuto ,  giuda , che da voi jer apprefi, fon li primi .  M. Qual fia la baie, ed il fondamento di que-  lli , e come noi li conolciamo , le voi ben  vene rinvenite , alla diffhlà vi moflrai al-  tresì io nel ragionamento pafiàto ,* il per-  chè dipendendo eglino totalmente da que-  gli principi , che in quello per quanto  valli di ftabilir m’ ingegnai , non (limo colà  molto fuor di propofito , ed infruttuosi ,  ^ per voi, che pria di più oltre paflàre*  quanto ri fpetto a quella materia sì dille  fe pur così vi piaccia , mi ripetiate .   D. Ecco tutto in pochi motti ; fùppofto,che  fi ebbe da voi per ben certo , e fermo  I. Che l’uomo, ogni qualunque volta ,  che d’ operar delia, lènza fallo , giuda la  propria natura, venghi obbligato, e tento  to di regere, e regolar se medefimo in gui-  fà , che tutt’ora col far per quanto fappia ,  e vaglia , qualunque cola per menomilfi-  ma , eh’ è ila a fuo utile , e vantaggio vie  più fempre mai ottenghi , ed acquilìi del-  la perfezzione . II. Che le da lènno quelli  ■ portar fi voglia , e trattar in sì'fatto mo-  do , e con aver un cotal fine al dinanzi di  se ftefio , metter e’ debba tutta la cura e  la diligenza di ragione in ordinar del con*  i tinuo    Digitized by Google    t »    DEL DRITTO NATURALE. 89  tinuo le proprie azioni , e regolarle sì fat-  tamente ,^che mai fèmpre e* giungano  quello Hello fine ad avere , od ottenere 4  di cui Dio , eh* è 1 * autor della Natura ,  per quanto noi comprender polliamo ,  fi valle mai nel regolamento delle lue  azioni puramente naturali , e non dipeni  denti dal lui ( -C ) .   III. Che v     ( C ) La Concozicne , per ef empio , e lo  fmaldimento de' cibi , eh' in noi Jì vede far  del continuo mediante il ventricolo , e f fendo '•  uri * operazione , 0 azione , che dir vogliamo f  del tutto naturale , ed imperò il farla , 0 non  farla non dipendendo da noi , altro fine giu*  fa , che dalla ragion ? imprende , non fi ere -  de , Dio avejfe avuto mai al dinanzi in or di’-  vi aria , e infìituirla in ciafcun di noi , che di  far per quefia firada , e con quefio mezzo , al  nofiro corpo ricoverare , e riacquifiare quel  che gli era mefiieri per poterfi ben fofienere , e  mantenere al Mondo , non che per la continua  tranfpir azione , e per l' inf enfiti le trapela -  mento delle fue parti da momento in momen-  to egli veniva mai a perdere , e logora-  re . Al rincontro /’ ufo de ' cibi , e della  vivande y come cofa eh' è totalmente in nofira   ha-    Digita    by Google    *    9 o DE* PRINCIPJ  III. Che quell’ efier fovrano l’ ultimo , e il  principale fine , che fi propofe , ed ebbe  mai al dinanzi nell’ ordinanza delle noftre  azioni non naturali egli fi fofie fiata la   pro-    balia , ed arbitrio , elP è ut? azione in tutto  libera , e dipendente da noi ; Or dove pur ci  Venghi in grado , ed abbiam vaghezza , o vo-  glia alcuna d* operar a nojìra confervazione ,  ■’* e di reyveref e regolar una colai ncjira azio-  ne in “ Tal fatta foggia , egli è meftieri ab -  • biamin ejfa quelVìfiejJb rifguardo , e quel me -  defimo fine che fu quello ( giujìa la nojìra  credenza ) di Dio nel creare , e nel formar  del nojiro ventricolo , cioè , la JteJJa nojìra  confervazione ; coJa> che produrrà f enza fal-  lo ^ infra queJV azione , e quella del nojiro  ventricolo un certo concerto , ed una certa ar-  monia tale , cui non f vide mai da uomo altra  pari ; imperocché arr.endue qnejie verranno  elleno a riguardare un medejimo fegno f ed un  JiefJb fine ad ottenere ; Il perchè non fi deve in  niun modo qui pafar fitto filenzio , che pro-  priamente azioni diconfi da noi non men que-  gli movimenti , che in noi provengono da noi  *** ovruv , /gì ìioixiy-  ‘itov rù oKot Koiktùf /gì S ' inaio f , v, gì (Teano v eie rivo xeimnvK-  X^au , '7Ò irtifaStcu ocùvo'ts , /gì «xay ir ieri vaie ytvof/ivoie, ygi  et'xi\hòéiy ix,óvmuàf imo rijs etp Irne yyeùfjuif '/y'reXvtiìvoii .   \ ale a dire. Il lòmmo , e il principale capo  deila Religione egli fi è il far opera, e proc,  curare ad ogni Ilio collo di riempier se me.  defimo di buoni opinioni intorno gli Del  immortali, (parla egli da Gentile) per poter  giugnere a vivere ben perliialò,e certo, eh’  eglino di vero efiflano; che con ogni retti-  tudine^ giufìizia tenghino la fignorìa dell*  Univerlò : Che fi debba loro preftar alla  cieca ubbedienza in tutto , e contentarli di  quanto eglino ci comandano , come pro-  veniente da quegli, che lono di lunghi!!  fimo Ipaz io vieppiù fàggi e vieppiù intelli-  genti. di noi ; perchè così non oferai nel  corlò del viver tuo giamai accaggio-   nar-   (a) ErXEIPIAION cap.tf.    Digitized by Google    94 D E’ P R I N C I P J  narli di nulla , o . rr.tr mancarti in mo-  do alcuno , che venghi da efio loro meflo  in abbandono , e negletto ( E ) .   II. Ch’    ( E ) La necejftà , ha V uomo di fod -  disfare a queji' obbligo , o dovere , mani-  fefiamente fi ccnofice da ciò , che com e egli f  vedrà , Je ne ritraggono per poco , fi filo ,  quafi che come una confeguenza tutti gli altri  doveri , od obblighi di qnefio genere , che lo  riguardano come a creatura Quindi ab-  biavi gran ragione da poter con franchezza  ajjerire , che dalla negligenza , e trafcura -  t agì ne grande tifata da noi in quefio , egli  venghi , che fi mettano quafi , che del tutto in  non cale , e fi trofie urino tutti gli altri , come  imprendiamo altresì dair Apofiolo in uno non  molto diverfo propofito ( i ) . Il perche come a  Santi Uomini la contezza grande , ch'eglino  ebbero , per quanto mai venne lor permefiò ,  e pojjederono de' divini attributi , valje di  lunghijfimo fpazio nel Mondo per portarli ad  un grado di perfezzione , in cui affai dirado  uom giugne ; così la mancanza eh' è in noi di  quefia , egli è cagion fovente del noftro o-  perar al rovefeio , e del contrario procedere ,   la   ( i ) Ad Rom. c. i. n.zo. Sex 3,    \    Digitized by Google    • V fi   DEL, DRITTO NATURALE. 9 f   IL Che gli convenghi per ogni verfò,e fia in  obbligo d’ operare , e trattar gii fia al di-  vin volere, non che fervirfi di qutfio prefc  fo che per motivo delle lue proprie azioni  efiendo cola pur troppo certa , e fuor di  dubbio , eh’ Iddio chiegga da Jui , eh’ e’ fi  regga , e governi fecondo le leggi della  Natura : Quando mai pur da te fi com-  prende , che sì abbiano difpofio li Dei ( di-  ce un Gentile (b) ) sì fi facci « to'*  Stois  ■ .» -   IV. Che fia tenuto di neceffità amarlo^impe-  rocche dalla cognizione delledivinè per-  r , fèzioni provenendone lènza dubbio nei  cuor dell* uomo f -e derivandone un cotal  ‘ guftq, o diletto , che dir vogliamo e pia*  cimento , che non abbia chi. lo pareggi  . quindi nafee in lui certamente della bene-  volenza, e dell 4 amore in. verfò quefìo etfèr  . . Supremo . ■ \ *   ,V.Che quett’amore,e quefta benevolenza, che  Lanino è in obbligo , ed m doVer’ di porta-  : rea Dio,convenghi,che Tuperi di ìunghiffi-  molpazio , ogni , e qualunque altroché a  .cofa mortale fi può da lui . portare i (F)  ‘ r /c ■ G im-   ( ,C ) ZX l.fupr. , • .    ,( F ) Quefto appunto è quetV amore , che  in ptu luoghi di J agri libri (%) ci fi accoman-  dai   (3 ) Matt.ii.D^iter.c.^.é.exo3.io.icvìt.a().&c.    Digitiaed by Google    f    D £’ P R -I N C I V J  imperocché ;1* amore, in noi provenendo  . dal pi acere , e d^l diletto, eh’ abbiamo deb   . Fai- •   • .... •. : • -.. '• ••• v •’> *   r ■■■■ — » r f   f .. ■ , •. V •• ... • ; . •• ' • \   da, e con tuie motti del Decalogo : Dillges do-  minum Deum tuum &c. Quindi il Vive: (4):  erutti* dicendo: ut paucis verbi s magnus il le  Magifter quemadmodum unicùique viven-  dum fit docet , ama quem potes tnaxime ,  qui (òpra te eft , & non ajiter , qui prope te  eft , quam te, quod fi Feceris , tu fòlus leges  omnes , juraque feies , & fèrvabis ,* quae alii  magnté Ihdoribus vix difeunt . . . , * Di-   liges, inquit , quid potefb effe dulcius dile-  zione , non metuere , non fugete , non hor-  rere praeceperis , ( Domirium ) ut fcias illuni  effe reverentlum*, nam dominus eft ; ,   ( tuum ) etfi multorum eft,tamen uniufcujuf-  que *fit per cultum proprius . . , Ex toto  còrde diligere praeceperjs , utomnes cogi-  tationeS tuas , ex tota anima , ut omnem vi-  tami tuamyex tota mente tua, utomnepi  , intelle&um tuum in jllum confèras , a quo  babes ea , quae confers . Il celebre Lcibnizio  in un fu 0 trattai elio (f)( intitolato . Trito-   ■ ti- -   f 4 ) Tri not.ad lih.io.de CivIt.Dci c. 4.   ( r ) C,i fecft. Ep.li fi ha rei voi. 1. de Recveil de  dlverfcs P5ec;sfur la philpfophie , !a Jteligion d*c.    DEL DRITTO NATURALE.   (bit peint fenfibile à nos fens exteroes , il ne*  laifie pas d- étre très-aimabile , & de donner  un tres-grand plaifir . NoUs voyons combien  les honneurs font plaifir aux Hotnmes, quoi-  qu’ils ne confiftent pokit dànsles qualitez des  fens extèrieurs . . . . E non guari apprejfo i  Gn peut méme dire , que dès à prèfent T A*  mour de Dieu nous fuit jov’ir d’un avant-goiìt  de. la felicitò future .i„ CaV il nous donne lune ’  perfaite confiance dans la bontè de notre Au-  teur & Maitre, laquelle pro&uit ime vèr*-  table tranquilitè dè P efpric i . . Et  outre le plaifir prèfent , rien ne fauroit étre  plus utile pour T avefiir , car 1* amour di  Dieu remplit encore nos ef^èrances , & nous  méne dans lechemin dù fopreme Bonheur  &c. ' i        IOO DE’ PRINCl P ]■  le di tutte le create cofe, qualunque pur el-  leno .fi fiy.o , coltri , che fi bene giugne a  conolcerle, ed a comprenderle , come ad  nom conviene ; rincontrandovi egli un  piacimento ed un diletto difmilurato , e  . grande oltre mifura , e fenza comparagiò-  ne alcuna vie più di quello , che nel cono-  Icimento delle perfezioni delle creature  '• può egli peravventura rincontrare , e a  ■ quel co l’amore proporzionatamente- Tem-  pre mai guagliar dovendolgegli fà mefiieri,  che altresì fia tale , e non men grande ; e  ; confcguentememe , che non abbi altro  “ mai al Mondo,che in modo alcuna lo lupe-  7 ri , o adequi . ’ * • . . • .   VI. Ch’ogni fua follicitudirie, ed attenzione  impiegar e’ debba , e collocar tuttora in  * non far colà., che polla io gui là alcuna a  quello lòmmo, ed unico Bene dilpiàcere, o  • /gradire, l’ amor in altro veramente non  confìftendo , che in godere , e gioir ,  ’ per l’altrui felicità. , non che in paven-  tar del continuo , e oltre modo di conv  - metter colà, che dilàggradi , p pefi all*  aggetto amato ; còli che per l’ appunto^  ciò che^iù ferialmente appellafi timor fi-  liale ( timbr filiali: ) oppofio diametral-  mente a*quello , che dicefi lervile ( metti:  fervili:) che da gafiigo provenir luole ,   o da    Digitized by Google    DEL DRITTONI ATURALE, jot  *o da fùpplicio ; irqperocche* Iddio, febbenc  altresì di quefto pei: iftimular E uòmo ad  operar rettamente , e lòllecitarlo .al' ben  fare fovente fi vagii , e che dalla cofìui  gravezza (pèdo (pedo quegli atterrito , .  ed ifgomentàto ; venghi da mille , e mille  laidure e tèonvenevolezze a ritraerfi;   " tutta volta quello non hà vertm luogo , do-   * ve aiutila pur dall’uomo quel amor por-  tato vero e reale , che naturalmente a*   * Genitori gli proprj figli logliono portare,  e eh’ egli dev.e ,e convien che gli fi porti*   y jl. Che 1* abbia altresì a riverir , e vene-   '* rar lòpra tutto ; - imperocché in grado   - emjnentiffimo in le contenendo , tutte le   - perfezioni.,- che nelle loda nze , che da lui  derivano , come effetti provenienti dalle   - caule, fi contengono» e imperò ellèndo egli * .   ‘ un Ente infinitartiente perfètto, onnipo-  tente , giufto , e buono eftremamente , ed  amabile; di ragione deve egli preferirli   - tèmpre mai * ed anteporli a che che lia nel   "novero delle colè create , nonché aili ftek :  fa noftra perlòna . ; •   VIIE Ch’ in lui lòltanto mettere e’ debba   ' tutta la iùa fiducia , e confidenza , e col  darli pace in tutte le cote del Mondo , che  o delire , o finiftre peravventura l’av-  veftgono , moflrarfi tèmpre mai làido in   G 3 lui    DE’ PR'INCIPJ  lui , e tutto tempo reguiarvi ; imperocché  da efiò lui gli averi , e le fortune notf re  tutte provenendo -e’ può e vale , come pur  l’efperienza loc’ infegna,che tutto dì egli  facci , dove di farlo pur gli viene aggra-  do , rivolgere , ^ contorcere a noftro prò,  ed utile quanto mai di malo i e di  qattivo c’ avvenne , o può unqua av-  venirci . Per verità egli hà troppo di bel-  lezza,^ di gravità, per non eflèr paflàto in  filenzio quel che fcrive Epitteto a quello  propofito . C.egli dice ) ( f ) ’   wroxac'W^ « s.aì   • &P*X ' as xòv ìmrx&nSaì ire  6ÌM , * vx usti wìnov tù '• ErXEIPlAION. c. xj.     -,     * ’*    ‘  ••••,.•' y. / 1   M, Senza fallo ; anzi egli e quello una con-  feguenz'a ben cej^ta , e ferma di quanto al  dinanzi noi didimo ; comeche non fia fuor  di propofito , che voi dHà altresì ne rico-  giiate , che le formole , eh’ in ciò ufiamp,  debbano efler da noi ben intefe , e capite , '  e che elleno dovendo dettar in noi degli  affetti , e dellarnemoria de’ benefici diri*   •-ni non fi debbano comporre, ne fòrmarda  altri , che da coloro, di’ anno un intera , e ■ , .1  ben rara cognizione delle colè divine.   D. Non vi fono altri doveri, e altri obbli-  . ghi., che quelli dell 5 uomo comp crea-  ? tura ? • '   M* Altri , che quefli Hfcn riconolciamo noi ;  con li lumi foltanto dèlia Natura ; per il di  più, come altresì per quel che fi richiede  per determinar i modi di bpn fodisfar ■-  a quelli iftefii , troppo più fi ricerca di lu-  me , e di cognizione ( D {toiefi* per in?-  >• • ■; ; -./tera-   S ' s   (P ) Leibnizio in una   • re     Digitized by Google    io 3 ... D E* P IU N C I p J  teramente fidar qu-dloculto di ficonolcen-   * Z a dovuta peb f uomo al vero , e fhpre-  mo edere, abbifogna pur., che confeflìa-  itk) con ingenuità; cheli lumi della natu-  ra, lenza 1* ajuto della rivelazione , nonfia-  tio in niun modo di per fé baftevoli , e lùf-  ^cienti ; ónde fa egli intieri dériggerci,   ' in ciò , e regolarci , giufta quel che. im-  prendiamo da quella . :   D. Degnatevi adunque d’udirmi, al dinanzi,   • che non fi venghi ad'altro,lè pur tutto fep-  pi ben comprendere ; Pobblighi, e li doveri  HelP uomo , come creatura , o per meglio  dt-e , il' culto di riconolcenza , che P uom  deve a Dio * egli non confille , che nel Po-  lo efercteio , e nelPufo di quelle aziqni ,  eh’ anno pur per mira , e per motivo K di -   - vini attributi . Or fe quelle azioni fono el-  leno    .* v    ré( 6 ) fcrUta alla PrincipeJJif^di Gali?* nel  me/} diNo~)embre 1,7 if . mfirò fehza dubbio  arem dolore , ed un vivo fentimento di rama -  fico , chela Religìon Naturale fi vede a da dì  in dì in Inghilterra indebolire , e corrompere;   • ~ ‘ . -   ( 6 ) Si legge nti voi. i. de recueil de divttfos l’ie-  ces far la l%flofophie;> el re fio io non dubbilo eh* alcuni aver ebbero  fior f e qui dejìderatò , che w favellando feMct  ♦ ' ddeligies naturale mi avejjè alquanto . vie pile  * difiefo, e tratto dimojirare l'armonia maràvi-  ' \ gfiofayChe il abbia tra quejìa , e la revelata t  / Ora il Regno della Nat ur fi , e quello della  " . ì@ré&a,f£0fcjqr por mente paratamente , e  : ^fervane gcowe la natura ci vaglia per guida   ' ‘ - v; ‘ “ alla    DigitizeclbyC    V    DEL DRITTO NATU R ALE. i r $  adoperi non meno 1’ uno , che P altro di  quello culto , e che facendone ufo del con-  tinuo , cosi coni’ e* conviene, non gli polfa  di lunghifiìmo fpazio fèryire a renderlo  tranquillo , e lieto in tutto il corto del vi-  ver Tuo , ed ad accrefcerlo da momento in  momento, e vie più tèmpre aggrandirla   H nelle    alla Grazia , e come quefia venghì quella a  ripolire , e perfezionare valendo f ne { agge-  voli cofe Veramente tutte , e facili a mofirarfi  volendo ) poiché f ebbene dalla ragione impren-  der non fi pojjd il di piu , che dalla rivelazion  s* imprende , vai ella d? affai per renderci ben .  certi e ficuri , che le cofe fan fatte in modo,  che non giungano ad ejfer comprefe da umano  intendimento . Ma mio principal difegno egli  è di dilungarmi il men , che fa pojfbile fuor *   de ’ termini , che m ’ hu io in quefi operetta  prefijffó ; e regalmente affai ben faggio reputo  r avvifo di coloro , lì quali le cofe della  nofira veneranda , e fanta fede, come mirabi-  le , e feci al fattura della mano di Dio guar-  dando , mentre che quefio venghi da noi cre-  duto Onnipotente , vogliono , che fenza met-  terle in ragionamento alcuno facilifimamen '*■  te ,e a chittfi occhi creder fi pojfano , e fi debba-  no    i    Digitized by Google    ir 4 D E* P R I N C I P J  nelle virtù , e nell’ abborrimento de’ vizj ;  Ma or su fìendiamoci, fè così vi piace , più  oltre col difcorfo , e palliamo agli altri do-  veri , obblighi, o utfizj de 11* uomo lòlo  in quello Rato Naturale .   M- Quelli altri non lòno , a mio avvilo per   IV. quelche aldi'fòpra altresì fi dille, che  quegli , eh’ egli dovea , ed anche per al  prefente egli deve verlb se medefiino ; ob-  blighi , o doveri tutti, che diftinguere fi    tio ; or.de quel gentìlijflmo Italiano Poeta ebbe  motivo dì cantare ,   1 fecreti del del fol colui vede ì  Che ferragli occhi , e crede.   Non eflendovi flato vie più al Mondo flcuro ,  e men in periglio di colui , che Jen vive  confrme le leggi della Vera pietà , e della  vera virtù , imperocché , giufla al dire di tre  gran uomini , come che difofpetta fede ; cioè ,  dell' / reivefeovo T illot fon , di Mr. Pafcal ,   . e di Mr. Arnaud ( 9 ) , in queflo flato nulla  vi riman da temere di quelle tempefle , e dì  quelli malori , te muti , ed af gettati per coloro  che ne fon fuor a .   C 9 ) V. l.eìJjnìz.nelIe note alla lettera sOi l’ Entu Ha fT.  mo del vi ylord Shaftsbury. voi. z. de Recusil de diverfeS   jiìeces&c. . •    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 1 1 r  poflono, e divifare in tre divede , e dif-  ferenti Ipezie ; cioè in quegli , che riguar-  dano il filo Ipirito ; in quegli, ch’anno  attinenza alcuna al fuo corpo , e in quegli,  che riferilconfi ^finalmente ad alcune quali-  tà accidentali del tutto, e ftiperficiali, come .  per elèmplo fi fon quelle , di ricco, di po-  vero, di nobile ,.di plebejo, ed altre sì fat-  te in cui il Ilio fiato efierno confifie . Per  tutto ciò efièndo pur egli obbligato^ e te-  nuto , come voi ben Oppiate, diriggere in  sì fatto modo le file azioni , e regolarle ,  che colpivano tututte ad un medefimo le-  gno , ed ottenghino un medefimo Ico-  po ; cioè , tendino al proprio vantaggio ,  ed utile, e alla propria perfezione; per  giugnere a ciò far di leggieri egli fa me-  fiieri fi tratti al dinanzi a tutto poter ac-  quiftar un elàtta , e perfetta contezza  di ciò, che può mai giovar a se mede-  fimo , o no in qualunque fiato , eh’ egli  fi guardi ; cofa che imponìbile efièndo da  i .poter in guilà alcuna ottenere Lenza una  V. piena cognizione di se flefiò (H) , il   H % fon-    ( H ) In quejto grufa gli antichi Filofqfi  Jì riduce quaji che tutta la Filofofta ; e fecon-  do    Digitized by Google    u6 DE’ PRINCIPJ'   • fondamento , e la baie di quefti doveri , o  ulBzj che 1* uom deve in verfò se mede-  fimo, e il primole il più principale tra  tutti egli è, fenza fallo, al meglio ,^che fia  pofiibile , d’ imprender un sì fatto conofcin  mento con mettere ogni Audio , ed ogni  cura in conofcer , e perfettamente fàpere  il fuo fpirito , il filo corpo , e lo flato , in  cui mai peravventura fi rinviene .   V. E bene ! quali fono li modi , e le vie da  giugnervi ? ‘ M. Que-   do S. Bernardo , ed altri Padri della Chiefa  anche la Morale Cattolica , ritingendola  eglino foltanto a due foli capi ; V un di cui ri -  guarda la .piena contezza di se medefmo , e  V altro quella di Dio ; ad ogni modo noi pur  confejjìamo chejìa ciò cofa per uomo molto ma-  lagevole , e difficile a metterlo in pratica j e  che quindi meffo in Greco Efìodo avejjè canta-  to , avvegnaché fol rifpetto al primo di quejti  capi , in verji cor ri fpon denti a quefìi :   £fi nofee te ipfìrni non quidem ampia  diétio ,   Sed tanta res fòJus , quam novit jup-  piter;   Ed infierì) non deve recar maraviglia ad al-  cuno f e un obbligo , o dover di tal fatta molti  pochi fan quegli, chef veggano che lo JodisfiriOy    DEL DRITTO NATURALE. 117  M. Quefte diftinguer.le poftìam noi inge-  nerali , e particolari ; le vie , e li modi  della prima fpezie eglino fi riducono a  quefti duo ; 1* un di cui egli è d’ entrar in  noi medefirni , e con la maggior accura-  • tezza , e diligenza del Mondo confiderar  la noftra propria perfona , e V altro di(a-  minar bene dell* iftefiò modo quella degli  altri , con cui peravventura ufiamo ri-  flettendo a tutto attentamente , e bilan-  ciando a fpiluzzio non men la diverfità del-  le lor getta , e la varietà delle lor azioni ,  che li cambiamenti diverfi de’ lor volti ,  e il divario, del lor tratto , e linguaggio,  e di tutto altro , che può mai appartenerci  con trattar di comprender chiaramente Ié  colè, e far della lor bontà , emalizigquer  giudizio, che fi deve. Ma vaglia il vero  di quefio ultimo mezzo 1* nomo foto , ta-  le quale lo ci figuriamo nello fiato della  Natura, non potea farne ufo alcuno; Per  tutto ciò noi , eh’ abbiam or agio da po-  ter valercene, come vogliamo , ne polim-  mo , lènza follo , ritrarre una infinità di  vantaggi . . .   D. E quali fon quefti ?   ]M. Egli batta, che generalmente voi lap-  piate , che in cotal guitti da noi con una  agevolezza grande , e fuor di mifora   H 3 giu-    Digitized by Google     r 1 8 DE’ PRINCIPJ   giugner fi polla a conolcere quanto mai vi  ila di bene, e di male in noi ftefii, e le virtù  tutte di cui abbiam fommo bifògno fornir-  cgChe fi venghi a rifvegliare in noi, e defta-  re l’emulazione al bene , e rettamente ope,  rareiChe 3 dilcernere fi vaglia aliai palelè-  mente, e in aperto la lèmma bruttezza, e la  laidezza de’ vizj ,* Che venghiamo am-  maefìrati, lènza nofira pena , ed alle altrui  -a Ipelè , imperocché giufta Menandro :   ’2>hé7T(t T17T disivi/,' Ut   chè un intelletto tanto più fi deve per  perfetto, e finato reputare quanto più  è 9 1 novero delle cofe , che da lui fi com-  prendono , e quanto più chiare , dilìinte ,  ed adequate fon 1* idee , eh* egli ha di tali  colè . Il perchè fi deve quantunque più fi  può, e fi sa riempierlo d’ ogni cognizio-  ne , e trattar che quella Ila in noi efire-  mamente chiara , e diUinta ; comechè ef-  fendo rilìretti di foverchio , e di natura  limitati , ed imponibile imperò riunen-  doci aver di tutte colè contezza appieno ,   Io Audio di quelle meriti lèmpre avere il   prU    Digitized by    122 DE’ PRINCIPJ  primo luogo , ed è ragionevole , e giudo ,  che fi preferilchi a qualun’ altro , di cui  abbiamo nel corlò del noftro vivere un bi-  sógno , ed una necefiità maggiore , non  che vagliono di lunghiffimo tratto per  lo dilcernimento del bene, e del male;  imperocché obbligati effóndo noi , e tenuti  vietare e sfuggir l’ ignoranza , e la grof-  fezza, dobbiamo (òpra tutto quella i (chi fa-  re , che rifguarda quefio particolare ;  non eflendovi ragione da poterci in ciò nò  con Dio , nè col Mondo difpolpare ; quel-  1 ’ ignoranza (òlo , e groflèzza nell’ uomo  efièndo di (cufa degna , e meritevole , che  non è miga in fùa polla di poterla Ican-  zare . Quindi uom vede , che il vantag-  gio, che fi abbia, da chi che s’invigila  su quefio dovere fia di tanto sì gran mo-  mento , che la di lui olìervanza giamai fi  potrebbe ad alcuno a luttìcienza accom-  mandare , non potendoli in niun modo di-  Icerner lènza ciò ediftinguer il buono dal  malo , colà che veramente , dove anche  non vi fuflè altra ragione , per cui ciò fi  richiederebbe da noi , dovrebbe ballare  per portarci a fornir il noftro intelletto ,  e riempierlo di tutte quelle virtù , che  gli competono , e che come proprie Tue  dir fi fògliono intellettuali .   , D. Qua-    Digitized by    DEL DRITTO NATURALE, uj   V. Quali fono quelle virtù ?   M. Quegli abiti di cui 1* intelletto è atto e  Capace di far acquifio , e gli giovano dire-  ttamente fenza dubbio per giugnere al  conolcimento del vero , e làperlo dillin-  guere da ciò , che punto non Ila tale .   D. Dinumeratemi didimamente cotali abiti.   M. Grande , ed incomparabile attenzio-  ne alle colè , acutezza , profondità , in-  telligenza , Icienza , laidezza , invenzio-  ne , ingegno , lapienza , prudenza , e arte.   Z>. Che cftfa intendete per attenzione ?   M \ Quella facoltà o potenza della noftra  anima , mediante cui far polliamo , che  alcune idee , o alcune parti di effe fiano  in noi vie più chiare , e diffinte dell’altre .   Per efemplo ; fe io miro un uomo egli è -  in mia libertà , ed in propria balia trattar  eh’ abbia un idea molto più chiàra , e, di-  ftinta del fùo vifò , o degli luoi occhi , che  dell’altre parti del fuo corpo ; e fimilmen-  te fe per avventura molti oggetti a difeo-  prir fi giungono, ovver più perlòne fi odo-  no che favellano, egli regalmente poffò  oflervar più gl* uni , che gli altri di que-  gli , o udir di quelli , chi più m’ aggra-  da, e piace udire ; /ebbene non fi pofià da  uom altrimente a quello giugnere, fe nor*  con 1* efèrcizio , c con 1* ufo .   ‘ D. Qual    Digitized by Google    124 DE* PRINCI.PJ  D. Qual cola voi chiamate acutezza d’ intel-  letto ?'   M. Quella polfibiltà , o potenza ch’ egli può  acquiltare di poter diltinguere nello fteflò  mentre più colè in un medefimo oggetto ;  poicchè non potendoli miga metter in dub-  . bio, o temere, ch’ella con lungo efèrci-  zio non polla ridurli in noi, e travolgerli  . in abito, deve lenza fallo metterli alno*  vero delle virtù intellettuali ; come che  per quelche mi làppia niun fi rinvenghi ,  che fatto 1* abbia al dinanzi del WolfRo .  D. Ma qual diligenza deve mai ufarfi per  acquetarla ?   M Primo egli proccurar fi deve a tutto co-  ito .fin dalla puerizia, per così dire, di  - non avere lè non idee affai ben nette , e  a difiinte delle colè , e mettendo ogni Itudio  in attentamente ponderarle, làperle sì fat-  tamente comparare, che comprender fi  polfa la conneflìone , e la dependenza , di  efiè . In apprefio lo Audio della Geome-  tria, e quello dell* Aritmetica vie più di  qualunque altra cola del Mondo può per  verità agevolarci in quello , ed elìerci d’un  eftremo giovamento; Vero è però quel  che Ipezialmente fi deve su quello parti-  colare commendare , e lodar oltre milura   a 9   egli fia, il far acquifto d’ idee chiare , e dii   . ~ *' firn-     ‘ H    DEL DRITTO NATURALE. i*r  {finte del bene e del male ; imperocché  ciò eflendo per 1* uomo una delle più ne-  cèdane cognizioni , e delle più utili, e im-  portanti , giuda , che non una fiata fi è  detto, può fèrvirgli altresì a formar un  buon giudizio delle proprie azioni ,. e con-  fequentemente valergli non meno per la  quiete, e per la tranquillità della fùa co-  fcienza, che di quella degli altri ; non ef-  fèndovi altra cofà inquedavita, che va*  glia maggiormente un uomo a rendere  graziato , e infelice delle riprenfioni , e  rimprocci che lui medefimo fa a lui fìefib  ( i ). . Quindi molto a nofiro propofito  fcrifle Seneca , che : Prima , & maxima  peccantium ejì peena peccojje , nec ulìum  fcelin , licet illud fortuna exornet , mu-  neribtn fuis , licet tueatur , ac 'yindicet ,  impunilum ejt , quoniam fcelerii in fede-  re fupplicium ejì .   £>. Difpiegatemi il vocabolo intelligenza 7   JW. Quefta , che giuda 1* oppinion commune  de’Filofòfi, e la prima delle virtù intel-  lettuali , la fi rienvien definita per un abi*  to confidente del tutto in conofcere , affai  bene , è didinguer le cole per via de* lor  principi, e col darei agio da poter fin all’in-  terno di effe penetrare , difvelarne , e ifeo-   * - * >' • •    Digitized by Google    CO E P-    ii6 DE’ PRINCIP]  piHrne altresì il modo con cui 1* une per  V altre vengano comprefè . Ad ogni modo  le definizioni , e K giudizi intuitivi elfèn-  do il fondamento , e la baie delle noftre  cognizioni , colui fòltanto merita veramen-  te da riputarli fornito di una tal facoltà ,  che giunto fi vede già a tal legno che fap-  pia tutto ciò molto ben fare , e con pron-  tezza,* Il perchè perriufcir in quello egli  è necefiario , che s’ acquifti al dinanzi T a-  cutezza d’intelletto; perchè le definizio-  ni altro non eflendo in, effètto , che nozio-  ni difiinte complete , per ben formarle ab-  bifogna che fi difiingua nelle cofè, e fi veg-  ga quanto di diverfò , e di vario vi fia ( I ) .  V. Che colà è fcienza ? '   M* Un abito da fàper ben dimofirare , e pro-  " vare quanto mai da noi fi afferma , o fi nie-    ( I) Quindi egli Ji mira , che F idee ,  chiare delle cofe agguardarf debbano come  tanti princip] di quejta facoltà ; poiché fonere-  te quefìe fbben confufe alquanto , e inordi-  nate y potendo effer /efficienti , e bafevoli a  difinguer una cofa da un ’ altra , e denomi-  narla nel modo , che conviene , e col proprio  vocabolo jonver tir f veggono in noi in idee di-  finte , edefèrci di gran giovamento agli giu-  di/ intuitivi , che di quelle formiamo .    Digiiized by GoQgle     V, ■ - • ( ■ •. •   DEL DRITTO NATURALE. 127  ga ; onde di niun altro! alferir fi può meri-  - tevofmente , che abbi la le ienza di qual-  che cofa , lè non.di colui , eh* in molli aria  sa , e può far ufo di pruove , e di fillogifl  mi, od argomenti concatenati , ? ed uniti  infieme gli uni con gli altri in guilà , che  venghino tutti a terminare , ed iftiorfi in  fempli ci prem effe non fondate , che inde-,  finizioni , ed in efperienze certe totalmen-  te , cd evidenti , od in afliomi , e propo-  rzioni identiche . Quindi ne viene : I. Che  per l’acquifio di cotal facoltà fia mefìieri  al dinanzi fornirli d* intelligenza per ot-  tener la notizia delle definizioni , e degli  altri principi d’ aliai manifefii , ed indu-  bitati , che lòno il fondamento , e la baie  delle dimollrazioni . II. Ch’ ella fia ne-  cefiària , ed appartenente a tutti lènza ri-  lèrva , od eccezzion di perfona , rinvenen-  dofiogni un in obbligo, ed in dovere di aver  un diftinto, e perfètto conolcimento del  bene , e del male * che non fi può in altro  diverlò modo da quello conièqui re. III.C he  polla di lunghillimo Ipazio giovarci per  f appagamento interno di noi medefimi ,  e per la quiete della cofcienza ; imperoc-  ché l’uom privo peravventura totalmente,  e sfornito di feienza, per non poter in guilà  alcuna quel eh’ afferma , 0 niega dimolìra-  , re .•    « •    iaS .DE* F1MN CtvP f  re, andando al didietro delle maffimeì,  e degli lèntimenti altrui , , il più delle  fiate è in illato di poter travedere , od  errare; è perchè nulla opera (è non còti  > una cofcienza molto dubbia , ed erronea ,  quella che nelle lue azioni rampognalo di  neghitto/o , ed imprudente , vai per po-  ' co in tutto ilcorfò delibo vivere, come  V efperienz.a lo c* infegna,a renderlo difgra-  ziato , e infelice ; IV. Che finalmente  quella facoltà per elìer un abito egli fi ac-  quifii v alla guila di tutti gli altri , median-  te feièrcizio; febbene , vaglia il vero,  quello agevolar fi polla oltremodo , e faci-  litare con la lettura de’ libri Icritti con un  e buono , ed ottimo metodo dimofirativo ;  .trattando di Iciorre tutte le dimofirazioni  in (empiici fillogifmi per conolcerne la di-  pendenza , ed appieno la lor unione , ed il  lor concatenamento comprenderne , non  che per attentamente (guardare , e badar  lòttilmente alla conformità, ed adórni-  glianza che v’ abbia infra cotali dimolìra-  \ zioni , e il metodo, od ordine, che dir  vogliamo , il quale naturalmente dalla no-  ftra mente, fi vede lèguito nel peniate ; fèn-  .za , che può efsercj altresì in ciò giovevo-  le , e di gran frutto il proccurare di ren-  derci per quanto fia pofiìbile , famigliari , *  * e pron-    Digitized by Googl    tr   DEL DRITTO NATURALE, ijj ^   » e pronti li precetti di una Loica , quanto  t meno fi può , didìmili , e diverfi dalla Na-  turale   A Ma fe pur egli è così , come voi dite , che  la fcienza fi fofiè un abito , come fi può  ella tra le virtù dell* intelletto , di cui ab-  bifogna , eh’ uom venghi decorato anno-  verare ? credete voi forfè, che fi polfa dagli  Uomini idioti > e groflòlani , così come  dagli altri altresì molto di Ieggier confe-  guire?   M I» fatti quello abito agguasdar fi luole  comunalmente come proprio de* Mate-  matici , e della gente da lettere , e di fpi-  ritoj ma pur un tal fornimento è lènza  fallo d ? afiai lungi dal verone falfifiìmo^  imperocché , lalciando noi dare di quanto  gran ufo egli fia nella Morale, e quanto  . neceflàrio in quella , e quanta importante  da più dotti tra Filofoli venghi reputato ;  (k ) la Icienza, di cui, come voi ben làpete,  tutti debbano cercarne un intera contezza ,  e ftudiar per quanto; vaglionod* iltruirfone;  non deve a niuno recar maraviglia , o am-  mirazione alcuna , giuda , che lo c’ info-  gna la fperienza , fo fia mai fin da Uomi-  ni , per altro volgari , e groflì acquiftato;  imperocché il metodo di ben dimodrare   | ' ^on-   t Hy V- Corife. Pufendorf. Locb. Vytlf. èc?    Digitized by Google    \ i}o DE’ PRINCfPJ  convenendo del tutto , e uniformandoli col  penfar noftro naturale;può di vero avveni-  nire , che da quelli in ciò fi veggano avan-  zar di gran lunga,’ e lùperare gli eruditi  medefimj ; avvegnaché dicendo io, che  di quello abito fornir fi debba ad ogni co-  llo , ed adornar ciafcuno , intenda ciò fol-  tanto ’ per quel che rilguarda la cognizione  del bene , e del male ; e non già delle  Icienze indifiintamente ; come colà , che  è fenza dubbio , difficile , e per poco im-  ponìbile da ottenerli per uomo; lènza, che  come in tutte le virtù fi concepì (cono da  noi alcuni gradi , alli quali non vien per-  meilo a tutti ugualmente, e dejlo Hello  modo il poter giugnere ; così d’ ordina*  rio parimente fi ofierva , eh* avvenghi  ed accada nelle Icienze; comechè fi deb-  ba pur con feda re , che vi fiano ; reali  mente alcuni obblighi, fiano ufficj, o doveri  umani dalla cui obbligagione molti» non  avendo dalla natura que’ pregi , o quella  doti, ottenuto , che gli altri ottennero, e  che per ben fòdi§farli fi richieggono , te-;   * nerlè ne debbano totalmente immuni, q  lontani, non oliarne, che generalmente par«  landò e’ lèmbrano tutti obbligar, lènza ec-»  cezzione alcuna V   V., Spiegatemi qual cofa dite voi folidIS   tà,    Digitized by Gbògl     DEL DRITTO NATURALE. 13 x   tà, o laidezza dell’ intelletto .   /V/. Un abito da discorrere , e ragionar con  diflinzione delle cotte , ed jn mòdo che fi  vegga per ogni vertto , e fi disopra jl con-  catenamento, e r unione, che v’ abbia  ne npttri dittcorfi , o ragionamenti,- quin-  di e che per quefio fi venghi un certo  grado di virtù a cofiituire alto , ttubli-  me, eccel/ò o perfetto vieppiù di quello,   , f P er 3 ^ ,enza non fi cottjtuifce come-  chevi fi giungaperpoco alla fletta guitta,  e per la medefima ftrada j colui folo aver  dovendoli veramente per più adorno, e  maggiormente fornito di un tal abito , che  apprettar fi vegga nelle pruove delle tee  premette a gli primi principi , e alle pri- /   me nozioni fi avvicini • il perchè vero  e pur troppo , che non picciol contrai'  legno egli fia, anzi una gran moflra di  lolidità , o laidezza d’intelletto d’ un’uo-   m .° ’ c " e P ro ppfizioni ammette dagli al-  tri lenza pruove e’ vaglia a confermare , e  mediante li primi principi moflrare ; o fé  checché altri con efperimenti, edocula- , .  tamente afferma , e’ con ragioni, dimóflra  c per via de primi principi , febben fi deb -  a di maggior pregio lèmpre reputar co-  lui, ed efiremamente lodare, ch’abbia  fonquiflato un abito di ben accoppiar , ed   J 3 unir    Digitized by Google    1*2 D E v PRINCIPI/,  unir tra se molte verità , awegnàcchè  diverfè, e diffìmili , o di poterle da’ prìn-.  cipj molto lontani, e remoti con un non  interrotto fri di raziocini, o fillogifmi ,  dedurre ; efiendo pur queflo , veramente  un grado di perfezione del nofìro intellet-  to s in cui affai di rado uom giugne ,* co-  la che forfè fi fu il motivo per cui nè per  Arifiotele , nè per coloro, che gli andarono  dietro, o al dinanzi del "W’olfio ne fcrifièro,  confuto avendolo con la fcienza non ne fè-  tono verun motto, ne’l diflinfèro da quella,  Z>. Qual cola chiamate voi invenzione .   'Un arte , o abito , eh’ e’ fia da poter in-  ferir dalle verità di già divvolgate , epale-i  fi dell* altre punto non note, nè conofciute ,  t>. Ma quali vantaggi fi pofiòn ritrar mai da  . queflo ?   JM. Queflo abito non fèto all’ intelletto ag-  giugne perfezion maggiore degli altri ,  di cui fin ad ora abbiam noi favellato,  tn’ altresì può lènza dubbio nella vita e£  lèrci di un gran ufò ,* fòvente volte avenen-  do fpezialmente nelli maneggi della Re-  pubblica , che facci mefliere nello fleflo  mentre non meno formar buon giudizio  delle colè , che rinvenir li mezzi più co*  modi, ed opportuni per aflèguirle , e man-  darle ad effetto $ oltreché tutte le fcierfzq   le    Digitized by Google     DEL DRITTO NATURALE* i n  le più utili , e profittevoli , o vantaggiolè  del Mondo, che fi trattano comunalmen-  te, e s’ infognano , non eflendo che un  fàggio, o rifiretto, che dir vogliamo di  quello, per quel che mottrò un valente uo-  mo (/ ), egli fi può di fermo aderire , di  colui , eh 5 abbia peravventura cotal per.  fèzione acquittato, che contenga in se con  quefta ìnfieme , ed unitamente le miglio-  ri feienze , o facoltà , eh’ abbiamo , o che  . di leggieri lènza foccorfo e fenza ajuto  . d altri e' polla volendo conleguirie; come-  chè di quell’ abito , vaglia il vero , affer-  mar noi polliamo ilmedefimo, che tettò  fi ditte pur favellando della fèienza , cioè,’  che. febbene tutti , generalmente parlan-  do , fiano in obbligo, ed ih dovere di farne  l’ acquifio , fi debban lèmpre tenerne dèn-  ti ed eccettuar coloro , che norv ebbero  dalla natura forze baftevoli * e fiifHcienti  da farlo ,   X), Bene; ma avendo noi due dì ver lì modi *  e vie da poter rinvenire, e difeoprir il  vero , non fi potrebbe forfè quelVabito per  quello motivo divìdere ih due differenti  fpecie , l’una di cui non confitta, che in   , far degli buoni dperìmenti > e delle buo-   I 3 ne'   (. 1 ) T* Scbirnb4t^Jen% ^£ in cui fi trattano d’ in-  venzioni , e di novelli trovati , li quali al-  manco fi devono tratèorrere .   D. Colà intèndete Voi per fàpienza ?   M. Un     k    138 DE’PRI NCIP J   M. Un abito confidente del tuttò'in benac-  conciamente prefcrivere , ed afiegnar .alle  fìie azioni del li giudi,, e convenevoli fini ,  non che in far una buona, ed un ottima  fcelta dell! mezzi , che vi lì richieggono  per mandarle addetto , ed efèguirle, con  coftituire li fini particolari , e fubordi-  narli in tal fatta guifà gli uni dagli altri  vicendevolmente dipendenti , che median-  te li più profiìmi , e vicini giugner fi va-  glia all! più remoti , e lontani j II perchè  efièndo.ella di un utile cotanto grande,  ed impareggiabile per la direzione , e per  lo regolamento delle noftre azioni , giuda  le leggi della natura, che al dir di Leibnizio  (w) è la vera fcienza della felicità Umana ,  non fi può per niun verfò recar in quedio-  ne, che tutti non debbano proccurarne il  filo acquifto * Ma bilògna però ofièrvare ,  come altresì quindi mani fefia mente s’im-  prende, efier dimedteri; I. Che non fò-  lo il fine dell* azione d’ un uom faggio fia  giudo, e buono, ma eh* altresì li mezzi  fiano tali. Il.Che quedo fine fia tèmpre mar  fiibordinato , e codituito dipendente dal  principale , eh’ è la propria perfezzione .   E III»   m ) V. La futi prefazione al Codice diplomatico del  Dr^to delle Genti .    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE, r 39 *   E III. Che li mezzi, li quali colà condur ci  debbano e portare ; vi ci conduchino , e  portino per la piùbrieve * e corta ftrada  del Mondo *   D. Ma come pòfliam far noi quello acquifio ?   M» Conviene per giugnervi provederci di  molte , moltiflìme colè $ poicchè primie-  ramente noi fornir ci dobbiamo di fcienza,  non potendoli in altro modo format buon  giudizio delle azioni noftre particolari , e ' '  della vicendevole fobordinazione ^ e di- *  pendenza de* fini infra di loro * e delti  mezzi , che vi ci conducono ; In fecondo  luogo fi richiede* che fi abbia un* erètta  contezza* e Un intero conofcimento non  meno della malizia.* e della bontà dell*  umane azioni , che del li negozj li più ne-  cefiarj, e ùtili, od importanti alla vita ;  con trattar di aver un’abito darèperben  provar tali colè * imperocché quel che  peravventura otteniamo dalla Matemati-  ca , o dalle altre fetenze egli è d* un afiai  picciol ufo , e prefiò poco di niun momen-  - to pel corfo del noftro vivere tutta volta ,   • che fiam totalmente sforniti, e poveri di  quelle materie imcui poggiar fi dovrebbe-  ro * e fermare li nofiri aifcorfi ; In terzo  luogo v* ha mefiiéri , che fi fii profittato  nell’invenzionejcome Che giovi fòprà tutto,   che    Digitized by Google     i 4 o DE’ PRINCIPJ   ghe fi fàppj quelche in quella materia può  • mai riguardare al buono , e fàvio modo da  vivere . In ultimo abbilognà perciò aver  anche dell’ ingegno e dell* acume per giti-  gner sì fattamente ad ifpecular 1* altrui  azioni, e meditarle, die fi comprenda il fi-  ne , che fi ebbe in eflè , e li mezzi , che per  .mandarle ad effettto fi prelèro, non che gl*  impedimenti , che intanto vi fi framefchìa*  rono , anzi tutto ciò , che vi fi operò mai di  foverchio , e lènza che la bifogna 1* avelie  richiedo ; comechè , vaglia il vero , non fi  pofià giammai formar un buon giudizio  della Capienza d’ alcuno dal lolo evenimen-  to delle colè; poiché. lòvente avviene, che  per gl* impedimenti , e per gl* intoppi *  che non lèmpre fi poflòno al dinanzi molto  ben antivedere , nò pronofìicare , avve-  gnaché fi fia operato con ogni ma tur ez-  . za , non abbiano avuto quel buon /uccello  che fi affettava .   D. Qual colà intendete voi per prudenza ?  2\d, Quell’abito, o fia difpofizione , del no-  . ftro intelletto , per cui fi mette in opera »  e fi elègtiifce quanto al dinanzi da fenno ,  e faviamente fi fu fiabilito .   D, Vaglia il vero, lènza quello, la lapien-  - za è di un molto poco ulò per i’ uomo , e  quali che di ni un pregio .   M. £    DEL DR ITTO NATURALE. 141  E quello è il motivo per cui da lui fi de-*  ve a tutto cofio trattarne 1* acquifio .   D. Ma perchè in noi la prudenza , e diverfà,  e differente dalla fàviezza .   M» Egli è ciò un effetto della limitaziorìe del  noftro intelletto; Quindi, fenza fallo avvie-  ne, che deliberando noi delli mezzi, che ci  / conducono ad un fine , fòltanto badiamo  a ciò, che rifguarda per all 1 . ora 1’ affare,  talché per la gran moltitudine , e per la  gran varietà de’ contingenti * che del con-  tinuo avvengono , abbattendoci per avvefh  tura ad alcune cofe, e ad alcune partico-  lari circoftanze , cui non così di leggieri fi  potea al dinanzi da noi guardare, e quelle  rendendoci fòmmamente perpleflì , e dub-  biofì , fe mai sforniti totalmente fiam di  prudenza, non lappiamo a qual partito ren-  derci ; Il perchè la umana pfuderza in  altro non confitte, che in fàper da se di-  lungare , ed allontanar gl* impedimenti x  e gl’ intoppi tutti , che fi offerifcono al di-  nanzi delle noftre imprefè , e ne fiurbano  l’effetto (K) J e per quella ragion da’  > Pee-    (K ) Quindi è; che r’ if copra fidente  Una cofa bene , e vìujlafrentefatta , ma non  riga con prudenza $ e che in Dio non oblia   mun   *•    *   Digitized by G    i • T, V» " ) .   DE’ PRINCIPJ   Poeti , i quali per inoltrarci , eh’ ella de-  rivi in noi dalla mente, eh’ è quali che  divina , mediante cui confiderando , e ba-  dando a tutto, abbiam gli occhi rivolti  per' tutto favoleggiarono eh’ ella nata!]  ìbflè dal capo di Giove, ch’eglino chia-  marono Minerva , (1 ebbe per (ignora , e  donna della fortuna , e come la lòia , che  contrariar poteflè , ed opporli a’ fuoi disé-  gni ; e di Bione dir li lùole , che avea in  eofìume di lòyente ridire , che quella in  tanto maggior preggio era d’ averfì , e flit  marfi (òpra tutte l’ altre virtù , quanto  più cari devono tenerli gli occhi , e re-  /putarfi più degli altri lenii , comecché tra’  Greci furono pur di quelli , che la confu-  sero del tutto con la Sapienza ; ed imperò  Afranio dèlcjivendola con luoi ver fi non  ebbe dubbio di metterle in bocca .   La memoria mi t fe % ma generata  > DalP ufo ; i Greci vegli on , che fofia ,  Afa fapie n za noi , eh' io Jìa chiamata »  V. Ma perchè quefia virtù la sì crede pro-  pria degli attempati , e de’ vecchi ?   M Per   n*. rfon le proprie parole di cottili ) (q)^   ÒSI iroKo yvfivu^iStax , ÒSI tto\Ù ÌSj'ihv , J Si to\Ò irivay , CSi  tto\ù iffira.TÒiv-p'x&jav-, mùcu. f/sy zm Tjmpyp 'iroix.'riw ,   . Dinegatemi tutto qliefio più chiara-  mente con gli efempli .   .Af. Volete voi Spegnere in un uomo una  gran gioja , o allegrezza? Quefto affetto  provenendo in noi dall* oppinione d* un  ben pre lènte ; bafta pur per aver il voftro  intendimento ; che a coftui gli facciate  comprendere , che quello , eh’ egli crede  bene nell’ oggetto , che cotanto lo fcuote ,  non fia in effetto tale , ovver c’ abbia fol*   tan-    t * 1 , ** X   if4 D E* PRINCIPJ  tanto un ben lùperficiale , ed apparente , e  quell* idea , eh* e’ crede convenirgli aliai  poco , o nulla gli convenga . AI rincontro  volete torlo da qualche trittezza , o dolo-  re ? batta che pur voi vi portiate diverlà-  mente ; poiché ciò provenendo dall’ oppi-  nione di un mal prelènte , altro non è me-  ftieri che fi facci , che dargli a conoscere ,  quello , eh’ egli crede malo non Io fia ,  ovvero’ abbia fol 1* apparenza , e non le  ne debba miga far quell’ idea , eh’ e’ ne  forma . Allo tteflò modo 1’ amor verlò gli  altri nafeendo in un uomo dal dilcoprirvi  egli in quegli peravventura , e rinvenirvi  qualche colà di lùo gufto , e piacimento,  per convincerlo ed ammorzar in lui que-  ito affetto non gli fi deve provar altro,  che quello da cui e’ riabbia quel piacere,  e diletto, non fi rinvenghi nell’ oggetto  amato ; ower eh’ egli Ila tale , che dopo  quello picciol piacere e diletto apporti  . del tedio , e del rincrelcimento in eftremo;  comeche potendo fovente avvenire, che  non fi conolchi punto l? ragione del filo  amore , in quello calò per togliernelo al di  fiiora fi potrebbe altresì trattar di dettar  in lui dell’ odio , non già verlò la perfono,  ower l’oggetto amato , ma si bene in ver-  fo le laidezze , o li vizj di quella . L’odio   ali*    Digitized by Google     DEL DRITTO NATURALE. lsf  all* incontro verfò qualche oggetto deri-  vando in noi totalmente dall* increlcenza,  è dalla moleftia , che n’abbiamo, braman-  do vói torlo d’ akuno, non conviene , che  adoperarvi di renderlo perfùafò e convin-  to , che ciò che quefto produce non ila  realmente nella perfòna odiata , e fpiace-  vole , ower eh’ e’ fia in fè ingiufto , e irra-  gionevole ; (ebbene per efler quefto un af-  fetto, vaglia il vero, di natura pravo, e  cattivo; e imperò potendo fèrvir di grande  incitamento a molte azioni prave pari-  mente , e cattive, fi pofla di vantaggio far-  gli badare a tutto quello , che fi abbia per  virtuofò , e buona in altri, ed in effètto  non lo fia , o che fi reputa malo , e non fia  tale ; Or quefto fteffò modo e quefto me-  defimo metodo dobbiate tenere,* e ofier-  Vare rifguardo tutti gli altri affetti ; per-  che fèdi tutti favellar ne doveffì partita-  ménte, non ne verrei giammai a capo , e  diverrei forfè a voi fteffò non che a me  nojolo , e rincrefcevole ; tutta volta non  deve lafciarfi in filenzio, che fè pur av-  venghi, come può di leggieri avvenire;  uno per confùetudine , o per coftume, ov-  ver per natura fi vegga più verfò un affèt-  to , che verfò un’ altro pieghevole , dove  fi voglia quefto ritrarre alle noftre voglie   fia    Digitized by Google    ir re DE‘ principi   fia meftieri deftar in lui anzi quell’ affetto  in cui fi fcopre proclive , che un’ altro  molto diverto , e vario da quello ; Verbi-  grazia infingali pur , che Titio fia molto  timido, e vile, e che ci venghi a grado  di ritrarlo dal male , ovver ad un’ azione  buona, e virtuofà ifiimularlo,* egli non  v' ha fenza dubbio , altro miglior mezzo  per riulcirvi , che fporgli al dinanzi tutti  quei mali , e quei perigli in cui peravven-  tura potrebbe egli incorrere operando a  filo capriccio , e contro il noftro confèglio;  anzi come colà degna di fomma ofiervag-  gione è altresì da notarfi, degli affetti gene-  ralmente parlando, ch’eglino tra li lor giu-  di, e lecitimi termini riftretti fiano per noi  d’ un utile impareggiabile e raro in modo,  che fè pur non f'ofTè così difficultofo , co-  me egli è , di sfornircene nel Mondo, ver-  rebbemo con efiì a perdere parimente un  infinità di agi e di co m modi , che n’ab-  biamo .   D. Annoveratemi le virtù proprie della vo-  lontà.   .M. Quelle fono: Temperanza , cifra di fè  medefimo, ovver della propria perfona,  cafiità , liberalità , modefiia, diligenza,  pazienza , fortezza , amor inverto gli al-  tri , manfuetudine , amicizia , verità , e  gùiftizia. D. Co-     .1   DEL DRITTO NATURALE, ir?   V. Cominciando dalla temperanza , ditemi  che colà fia ?   M. Ella fi è un abito , o per meglio dir una  virtù morale , che confìtte in ben determi-  nar il noflro appetito rifguardo al man-  giare , e al bere giuda le leggi della natu-  ra ; imperocché dovendo noi ne’ cibi , e  nelle bevande, così come nell* altre cole  aver la mira tèmpre all* utile , e alla notìra  falute, ed imperò vedendoci tenuti badar  romeno alla lor qualità, che alla quantità,  l’ obbligo , il dovere, 1* uificio d* un’uomo  temperante rifpetto a quefì’ ultimo, egli è  di non appeterne tè non quanto quello fine  domanda ; vai a dire, tèi quella quantità ,  che per la falute , e per la contèrvazione  di fe medefimo la fi richiede ,* e riguardo  al primo , cioè , alla qualità , egli è me-  (fieri , che fi porti da medico con lui defi-  lò , e ponga mente per lo continuo a tutto  ciò che li può mai giovare , o nuocere ;  quel cibo tèltanto generalmente parlando,  tener dovendoli per molto buono , e làno,  che fi lente di leggier ilmaldito nel noflro  ventricolo , e che vaglia a promuovere il  trapelamento delle parti ; imperocché non  abbiamo sù ciò delle regole filtè , e flabili  ad oflervare, ne poflìam troppo trattener-  ci , e di tèverchio a contègli de* Medici,   non %    %    i    Digitized by Google    ifS DE’ PRINCIPI  non men per non eiTèr tutte le colè co-  munalmente a tutti utili , e profittevoli ,  che per la poca evidenza , e certezza di  quelli precetti , eh’ eglino n’ imprendono  dalli libri della lor arte , come sforniti to-  talmente^ privi di quelle ofièrvaggioni da  cui fi ritolfero .   D. Non credete voi $ che polla egli llabilirli  .qual quantità di cibi fi richiegga per un  uom temperato , e ben ordinato ?   M. No ,* poicchè per la diverfità del corpo  fè nc richiede in uno più che in un* altro ,  come che per alcuni legni fi polTa lènza  dubbio daciafcun conofcer , e compren-  dere quando giufla ella fi fòlfe per lui , e  convenevole, e quando fi abbia ufcitodi  cotali termini , "   D. Ditemi quali lon quelli incominciando  da quelli della lòbrietà .   M. Li principali di quella fono la legge-  rezza , e l’agilità delle membra dopo il no-  (Iro pranzo , o la cena , ed il dormir con  tranquillità , e lènza, alcun interrompU  mento .   D. E quali dimortrano il troppo riempìmen-  to? *   M . Gli opporti a quelli , cioè, la lafle2za  delle membra dopo tavola , e la gravezza,  o fiacchezza del capo , per là mutua , ed   ilcam*    «    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE; jf 9  itèambievole corri fpondenza , che v’ è tra  quello , e T noflro ventricolo ,* (ebbene il  ioverchio cibo ha tèmpre di meno fàrtidio  per verità , e pregiudizio per la teda di  quel che lo fono gli eccelli del bere .   Z>. Ma come mai per uom fi conotèe (è il mal  provenghi dalla qualità , ovver dalla quan-  tità de* cibi ?   In più modi ; porto però che fiam ben (à-  ni , p liberi di quelle pafiìoni , che fòvente  fi veggono difordinarci, ed efièr di un grart  impedimento alle funzioni , o azioni noflrc  animali ; imperocché per ciò (àpere , non  tèlo paragonar noi polliamo , e far com-  paragione.della quantità de’ cibi dell’ulti-  ma cena con quella dell’ antecedente , e  dello flato del noftro corpo in altri tempi,  in cui peravventura ci rimembriamo aver  fatto utè> delli medefimi con il pretènte, m’  altresì dall’ incommodità , che (èntir fi fo-  gliono tanto in tempo della digeftione , eo-  me i rutti , gli ardori interni del ventri-  colo , i dolori di tetta , ed altre di tal fat-  ta , quanto dopo , e (pezialmente nell’òre  mattutine, come le languidezze, o Iaflazio-  ni, che dir vogliamo delle membra, dsendo  tutte , e tali colè, ed altre fimill tègni cer-  ti ed evidenti della mala qualità de’ cibi ;  fcnza nulla dir delle feerie, e dell’ orine,   - che    ito DE’ PRINCIP)  che fògliono non che di una buona digeflio-  ne , di ciò parimente renderci ficuri (M) ,   D. Sup»    (M) Ecco qui un faggio .di quelle regole  portate per regolamento della propria fallite ,  in quella parte della Medicina , che comunal-  mente la lì dinomina Igieine , o Dieta mag-  gior chiarezza de ’ nojìri leggitori ridotte olii  feguenti capi ,    Dell' elezzione del P ària •   Un aria dolce , ed amena , e temperata la il  erede la miglior del Mondo , e la più falubre  perdei vita ; comecché Ji loda pure , e Jì abbia  in qualche pregio quella de ’ luoghi campejìri ,  o alti , e fventolatì in modo , che agevolmente  if gravar Jì pojfa , e fcaricarjì de’ fu oi effuvj ;  V altre tutte differenti da quejlejtan calde ,  o- fredde , fan umide , o fecche , ofan denfe  di foverebio f anno come molto nocive agli  ammali e dannofe ; imperocché primieramen-  te il troppo calore dell'aria ifeiogliendo altre -  sì troppo il nofro f àngue , e con rilafciar li  pori della nojìra pelle più del convenevole fa-   cen-    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE ; 161  D. Supporti quelli principi dunque 1 * intem-  peranza che fi reputa comunalmente, e fi  hà, come un vizio contrario interamente  ed opporto alla temperanza, non confìfte,  eh’ in dirigere , e determinar l’appetito  quanto alii cibi , ed alle bevande in un mo-   L ' do    cendone ifeorger al di fuor a J, udori eccejfivi  non vai chea debilitarci oltre mifura;e al rin-  contro il fuo freddo eforbitante refringendo a  maggior Jegno quejìi bocherattoli , ofian pori 9  e con ciò fervendo a ojì acolo , e di impedimento  alla rejpir azione e ’ può si fattamente ifpejfir  gli vomori , e tonde n far li , eh' e' vengano a  recarci addoffo infiniti morbi^ciòè tutti quelli ,  di cui la fp effe zza fuol ejfer cagione ; avve-  gnaché F eccejfo del freddo veramente fa di  molto minor dannaggio per il nojiro corpo ,  che non è F eccejfo del calore . In oltre la fio-  ver chi a umidità rila fida ,■ e fieude in eccejfo  le fibre del corpo , e con ifpigner gli umori a  gran violenza , e forza inverfo le parti effe-  riori fa che di legjgri vi f accolghino , e fifa -  gnino , e con ciò venendo del tutto a cor rom*  perfi , e viziare , fono F origine in noi e la  caufa dì varj , e diverfi affetti catarrali ; e  ffl rovefeio laficcifapiu del tfi&ert cpl dijfec*   ‘ care ,    \6% DE’ PRIKCIPJ  do tutto al roverlcio di quel che fi richiede  per la noftra fàlute ; e poiché la volontà in  noi vien tèmpre niofTà da qualche motivo,   4 c per contèquente imperò deve eflervene  alcuno per cui uom brami un cibo , o una  bevanda di qualità, o di quantità anzi con-  traria , che confacevole a lui medefimo ;  altro per (corta, o guida non avendo colui,   che   • ! \    w   care , e rafcìugar incomparabilmente il cor*  po facendogli perdere V agilità , e la dejìezzQ  delle parti lo rende inabile , per poco e netto  al moto ; (ebbene l' aria calda , e umida fa  affai più peggiore , e pregiudiziale alla fola-  te di quefle , come quella , che piu d' ogni al-  tra vaglia a frodar negli animali degli fi ruc-  cheVoli , e cont 'aggicf vomori ; e finalmente  dove abbia Joverchia ifpijjezza , e denfìtà , e  con quefia una fopr abbondanza d* ejfiuvj come  quella de* luoghi fotter radei , e fenza ufcita y  ifpeJfendofiH umori ,e cond enfiandoli li di [pone  ad una infinità- dj rifiagn(fowtti,e di differenti  malori con effer ben foverite''altresì la cagione  de Ili Affogamenti degli animali ; quindi è, che  le càfe>e l* abitazioni nonfi figliono lungamen-  te tener iibanvCe , è Quelle fatte di ritenta  v • * * • non    ‘""Digrtized by Googl    DEL DRITTO NATUR ALE. Ì6?  che dalle leggi della natura lì diparte , che  li proprj lenii ; egli deve crederli , giuda  eh* io m’ avvilo , non per altro 1* intempe-  rante ufi li cibi , e le bevande in qualità ,  o in quantità più del convenevole , e del  giudo fé non per il gufto , e per il piacere,  che vi rincontra.   M- Quello è ve ri (Timo ; e vaglia il vero per  muoverci ad evitar quello vizio , ed aver-  lo in.abbominazione e in odio , ballar dov-  rebbe T aver a cuore la nodra vita , e la  propria falute , rendendoci certi appieno ,  e peiTuafi del nocumento , e pregiudizio  grande , che ne pofiìam mai ritogliere; im-   L a . pe-   ,, -, — . — i —   non fi abbitano fe pria non Jiano ben diffeccate ,  e riafeiufte , o per via de fuoghi , e de' f uff u-  migj purgate, - . .   II.   • m 2 . * %   Pelli Cibi e delle bevande ,   Egli fi hh quafi che per una regola genera*  fe ffavellandfi de ’ Cibi fodi , e non flùidi ,  che li migliori , e lo piu f ani Jian quelli , che  fi veggono meno fogge t ti a corromperji , e a  futrefarjì ; e -che quanti più f obietti vengano^   ' e Jem -    ?..    i*4 D V PRINCIPJ   perocché dall’ amore , e dall* affetto , eh*  abbiamo alla noftra confèrvazione non mi-  ga disjunger potendoli e fèparare il gufto il  piacere, quanto è vie più quello e maggior  di quello, che dalli cibi, e dalle bevande rac-  cogliefi, tanto più e, prevaler faprà in noi,  C dominare portandoci ad abbonir , come  conviene , e renderci alieni da ogni, e qua-,  lunque fòrta d’ intemperanza , e ifregola-  tezza ; e comeche a ciò niuno giunger va-  glia che pria non (àppia quello cibo, o que-  lla bevanda per la fca cattiva qualità , o  troppe quantità li rechi danno, aliai pochi  non però fi veggono di quegli che badano   que-    e femplicemente al gufto preparati , cotanto   piu giovino . _   Quindi ne Jiegue ; 1. Che V erbe f ano mi-  gliori eftremamente pii* delle carni , comeche  quelle che rin ferrano in fe maggior copia , e  abbondanza d' acqua deir altre , fi tengono in  minor pregio , e per meno falubri ^ li. Che  delle carni quelle che fon d' una tejfttura non  guari ne dura , ne fr agile jorne quelle di va •   III.   ‘ .% * • ; - .   Del Moto,   • Oltre tabu O'sa elezzione dell* aria , e de*  cibi per la J alate , egli Jì richiede altresì un  moto moderato della per fona , e fatto a tem*.   fOy    Jigitized by Google    I     DEL DRITTO NATUR ALE. 1 7 r  Per la qual cola infra gli uffizj , che l’ uom  deve al fuo corpo , eflendo la contervazion  della propria vita , la fanità del corpo, il  fàperli ben guardare, e munire centra riti-  giurie delle ltagioni , 1* integrità delle  membra * e ’1 trattar d’ acquiftar tutti gli  abiti Convenevoli al fuo (lato , e acquifta-  tegli, efercitarli , e mette rliin opera ; da  'chi che brama aver di fé quella cura che  aver deve fà meflieri,che ogni fio Audio, e  tutto l’ intendimento rivolghi a cotali co-  * fe ; poiché in ordine alla (ita vita * uopo è ,  che fi rifletta quanto mai reputar fi debba  la (ua perdita con ragioni prete dal fuo  proprio flato , come a dire col por mente  a Ipiluzzo a tutti li beni , eh’ egli da quel-  la    po , cioè , non miga dopo pranzo ; eh è potreb-  be ejfer dP un gran impedimento alla concozion  de' cibi , e in luoghi debiti , come fon per efem -  pio gli aperti * 0 li campejìri , che fono li mi-  gliori . Vaglia il vero venghìamo da tutti af-  fé urati e ref certi , che come quejìo ufato in  quella guifa , che voi abbiam detto , giovi a  confervar in moto il fangue , e mantenerli il  calore , non che per . la robujìezza , per la ga-  gliardi , e per V agilità delle parti , e per al-.   tri    Digitized by Google    I    DE’ PRINCIPJ   la può mai ritogliere , e alla fùa famiglia*  e agli altri recare; niuno nafcendo per fe  me~defimo,ma foltanto per Dio, e per gli al-  tronde è che ad uomo competer non pof.  fa giamai dritto alcuno , ne poteftà (òpra  la propria vita ; e per nitina ragione al  Mondo debba affrettar la fua morte, effen-  do ciò lo (letfò che rubellarfi , e fòllevarfi  contea Dio , giuda fi moftraron di fènti-  mento li migliori infra gli antichi Filofòfi;  ( r) come che gli Stoici foli avellerò tutto  diverfàmente fentito , in guifà che i Ro-  mani avendo la maggior parte da Giure-  confulti avuti da cotal fetta, non filo niuna  pena iftabilirono contro coloro, che volon-  tari a-   (r) Cic.inCit.è de Rep. I. Vi. p. io?. Ateneo i. 4*  p. itj. Caujabm.p. 1S4. PUt.in Pbadon. Piotivi. \X.En~  nead. 1. Senec.ep . 70. p.    tri si fatti commodi , ed agì : potendo fedirci  di vantaggio fpszialmente per un gran preferì  vativo e argomento a poterci da morbi Cro «■  nici liberare , non che dall ’ Ippocondria ; e  dall' etica f opra tutto con quello del cavalca -  re : cosi al rincontro la f 'ua mancanza , e la  foverchia q f àe*e venendo il nofìro corpo pref.  fa poco ad ifnervare , ed qffiebolire lo renda   ina -    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 175  tariamone trattato avefièro ufcir di vita ,  ma altresì come Validi li tefiamenti ne fo-  fiennero,e l’ultime volontà ( s ). Anzi alcuni  non foto infognarono, ma ne diedero fin nella  propria perfòna della lor dottrina l’efèmplo;  come di Caronda, di Cleanto, di Crifippo,  di Zenone , di Empedocle , di Democrito,  e di pochi altri dicefi ( / ) ,• che nell 1 ultimi  lecoli altresì ebber di quelli , che ne prefè-  ro le parti, e contra ogni ragion li fèguiro-  no ( u );ed il medefimo fi può dire riguar-  do alla propria fàlute , efiendo ogn’un  tenuto por mente alli commodi , e agli  agi , che da eflà fi poflòn mai avere , e agli  jncommcdi , e difàgi , che portan (èco i  , mor-   ( f ) i {Ip'utn. D, /. ^8. Paul. I. 39.   ( c ) frodar. 1 . 1 a. p.Si .Lattant . de /alfa fapientìa . /.   8.C.1S.   ( u ) V. Alla erudlt.nd ann.iyoi. menf Maj.p. 230,    inabile del tutto al travaglio , e alla fatica ,  e con fargli vmori foverchìo grojfolani dive-  nire , e che le digejìioni az/venghino fuor di  tempo , infermiccio , anche e mal fano ; ma  egli è uopo avvertirebbe dopo un moto violen-  to , e forzato non f debba tutto di rimbalzo  come egli dicono, darjì alla quiete , e al ripo-  so , ma pajfo pajfo * acciò mediante V infenfì-   bile    Digitized by Googl    174 DE* PRINCIPJ   morbi , di cui, vaglia il vero, farebbe lènza  fallo , di gran nofro giovamento , che a  quefto effetto fè ne cercaffero,e fe ne ilifco-  prillerò le caule . In ordine poi all* integri-  tà delle membra in tutto il corfo del no-  fro vivere , e in ogni moto , e fito del no-  fro corpo, uopo è badare attentamente alli  danni , che comunalmente fi veggono alli  incauti avvenire ; e veggendofi per efpe-  rienza , che li fènfi in noi per l’ eccefiìvo ,  e fìrabocchevole ufo, che ne facciamo, ven-  ; ghino la lor virtù a perdere , ed a (minuir  di forza , cioè, che P applicar gli occhi per  efemplo alle cofe minime , e piccioliflìme,  o troppo difcofie , e lontane , o vicine , d’afc  fa i fracchi la vifta , e la difminuifca;   J’-oree-    bile trapelamento delle parti agiatamente  fatto, fi dileguino le particelle faline e fulfu •  ree del j angue .    IV,    *   Pel fonno , e della vegghia.    Ma ninna cofa vogliono, che vagli vieppiù  il nojiro corpo a fcemar di forze e debilitarlo  quanto il troppo Jìar defio , e la lunga vegghia.  ' eh'      Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. i?f  * T orecchie a rumori troppo violenti , e  grandi , ovvero a filoni foverchi vehemen-  ti efpofii perdano l’ udito ; e ’1 medefìmo  egli lìa trattandoli degli altri /enfi ; non  abbifogna miga ufarvi negligenza , e tra£  curagine , In ultimo rifpetto all’ abito , e  al domicilio , di cui fiam in dovere forbirci  per poterci munire , e difendere dalle fia-  gionijè mefiierj , che fi oflervi non meno il  decoro s e far che I* azioni libere fian  Tempre mai in concerto , che aver fa  mira agli averi , allo fiato , ed alla  propria dignità , eperfonaj come che di-  cendo io di. efièr in obbligo provvederci   d’ ab-    K * "2   eh' impero il fonno Ji abbia per la nojlra con-  fermazione a reputar £ ima ejirema necejfitày  e bifogna ; come che fi richiegga ufato pur con  moderazione , e regola % y effendovi meramente  alcuni , che ne fiano piu degli altri bifogno -  Jì, come quegli che fono in una continua me-  ditazione , cioè di un temperamento molto  umidofopra tutto però Jì avverta a far buona  elezzione de' luoghi per dormire , ejjcndovi al-  cuni come i foverchi caldi per efetnplo , che  fono meno comendabili e f aiutati de' freddi,  stemperati,   V. Dal,    Digitized by Google    V    iq6 DE’ PRINCIPJ-  4’ abitazioni , e di vedimenti per liberar-  ci , e (campar dall’ ingiure delle ftaggioni,  non intendo miga aderire non efièrvi altro  motivo per cui alPuom convenghi ciò fa-  re ; imperocché in ordine agli abiti, li no-  ftri (enfi venendo modi (avente , e rifve-  gliati dagli oggetti , e per mezzo di effi  ponendofi (pedo in moto l’appetito, egli  ogni ragion vorrebbe , che facedìmo nel  noftro corpo ufo di quegli per coprirne ,   • e nalconderne quelle parti, di cui pur trop-  po i( tacer è bello, altresì dove non vi avek    V,   Della fup effluiti , e degli efcrementù   Molte fon le regole altresì che ci vengono  preferite a queflo riguardo ; ma noi non ne  riferiremo , che le principali , le quali ridar  fpojfono a quejie , cioè . Che le f ape fluiti e  gli efcrement\ tutti generalmente parlando ,  lungamente rattenuti fano di un gran difea*  pito alla falute . . ... . .   Che quelli che fono fcarrichi di foverchio ,  q fciolti di ventre debbano di gran lunga evi «  tar il freddo del corpo , e fpezialmente quella   àe'    Digitized by Googk    DEL DRITTO NATURALE. 1.77  , fe alcun timore degli incommocji de’ Tem-  pi j è rifpetto alle calè, e abitazioni , con-  verrebbe parimente averle per cuftodir il  noflrO 1 , e per attener pio agiatamente  àlle noflrebifoghe; e preparar il necelfa-  no al noflro foftemamento , non che le  ftanche membra rìftorar col tonno . Quindi  uom vede quanto profittevole , e giove-  vole e’fia per ciafcuno trattar di 1 far un  abito da poter riflettere, e badar anche  alle cote piccioliflìme , e di niun rilievo  per non la/ciar nulla a dietro nelle colè  . grandi , e di maggior momento. ' ‘   D. Che colà è diligenza? ‘ ;   fri. E una virtù confìflente in ben deter-  minar la fatiga, e’1 travaglio, non che  tutti li noftri efercizj giufia ìe leggi della  natura ; imperocché efiendo colà pur cer-  • M • >, tiiTì,   . ' . • * • . S v f   ■■ ^ , -   de piedi . Che lìfudorì volontari gfovwo fuor  di mi fura a quelli che fon cT un temperamene  to umorofo . Che la fa Uva ef'endo d* un gran  u » e ffZ\ a . dwjjìove j e per la def rezza , e  l agiltta delle fbr e non Jì déhba Jempre cac-  ciar via ^ e rigettar al di fuor a ; ed in ulti-  mo eh iUoifo Venghi adoperato molto di ra-  do ) e moderatamente , ejfendoyi alcuni tempi   come * '    • * 7 1 .   • .   17 ? DE’ PRINCIPJ  tilTìma che 1* uomo ingegnai* fi debba in  tutti modi di aver tutto ciò , che può mai  abbifognargli nella vjta per fodisfar , Com’  e* conviene al li lùoi obblighi , o ulfitj, non  puòdalènno dubbitarli , che non debba  efTer afiiduo nella fatiga , e nel travaglio,  e non lalciar occafione alcuna àddietro eh*  efier gli polla di frutto , o di guadagno all*  accrelcimento de’lùoi averi ,* ogni volta  eh* egli polla farlo a gloria , e loda dell’  Onnipotente , e lènza 1* altrui danno , o  difeapito ; potendo egli avvenire , come il  più .avviene d* ordinario , che per vec-  chiezza , o per indilpofizione , o per altra  contrarietà della fortuna , in apprellò non  polla s ne abbia cotàl agio , e commodo ;   co-   ■■■!.■ Il-l I ■   v ' ’ ‘ VI.   Vegli effetti 3 e delle paffonì.   ' > ■ ' ’ r ’ ■ r • •   I ^ '   Ter quel che riguarda quejìo particolare  fionji ha nìunacofa di rilievo dalla medicina j  onde tra per quejìo , e perche fe ne favella   /#-   . Cìicji ed by Googk    del DRITTO NATURALE. 1 79  cofa che fa cono (cere , e comprendere ì  quanto giutfo , e’ fia , e convenevole badar  per 1* avvenire * e non confumare , di bot-  . to 1* acquieto ; Li vantaggi , che mai lì  ritraggono dall’ elèrcizio Coverebbero ba-  care a non renderci neghittofi, e pigri,  m’ amanti , e vaghi dell’ abito , o Ila virtù  di cui di prefente favelliamo ,• come che il  noftro travaglio , e la noftra fatiga deve  regolarfi lèmpre in modo , che nulla mai   M a di   " ! ■ .. 1 !» 1 . ! .. ' ■ ■■   * ■» x   fufficientemente /opra, non /limiamo ne ce far io  difenderci di vantaggio •   . * « , ' « •   VII.   Velie regole proprie per la falute di  ciafcunoy o per V età , o per lo fijfo ,  o per lo mejìiere o per lo tem -  per amerito* ' \   Oltre quefie regole generali vi fono di  quelle che non rif guardano , che lo /pedale ;  ed alcune perfine particolari , o per f Jtà,o  per lo fife, o per lo temperamento o per lo pro~  prio mejìiere . Incominciando a trattar delle  prime , e di quelle riguardano tonfati feto al   dinan -    Digitized by CjOOgle    l«o D E' PRINCIPI   di fatata giuda teftè detto abbiamo , veru  ga a perderli , o il decoro , e la giocondità  della Vita a /cerna re ; poiché non v’ è colà  lènza fallo , che fia cotanto commendabi-  le , e lodevole , quanto d* un uomo eh’ in  tutto d’ offervar proccuri y e tenere una  via di mezzo , eflèndo per poco tutti gli  eftremi vizioff.   V. Che cofa è Pazienza?   M, E una virtù , che ferve a diriggere , ed   ' • v fri- •:   (i io ) Libo la* c. io ; . ;    Digitized by Coogle    DE’ PRIKC IP J   ftieri fòffrir pazientemente , e patire quel-  f che non fi può in guife alcuna fra fto mare*  e rimetterci in tutto ài fuo divino * e fanto  volere ; e ciò tanto più , che fecondo dàl-  ia fperienzà s’ imprende l’ impazienza ad  altro mai non ferve , che a fard 1* avverfi-  •; tà , e 1* infortuni vie più maggiori diveni-  re , e intolerabili ; Avvegnaché (òpra mo-  do giovar ci polTà per quanto fia poffibile  ■' il prevenirli anticipatamente , e nelle  cofe feconde, e profpere avervi mai fem-  pre la mira , o con applicarci a più , e più  cofe trattar in effe di diftraerci nel miglior   modo    primo anno da far far loro akufo de ’ cibi * e  delle bevande per non renderli infermicci in  mille modi , t cagionevoli 5 anzi è bene anche  /appiano il f onere hio cullare , che fi ha in co*  fiume comunalmente di far per tirar lì ragaz-  zi al fonnó , fovénte rechi loro un dif capilo , e  un danno notabile ; vero è però che il fonno  nelli primi mefi, quanto egli è pih grande Jane  to vie pitt avér fi deVe , per meglior fegno *> e  per marca di fialute , come al rincontro la veg-  ghia oltre P ufato è fempre fegno y e indizio  di qualche morbo . Rifguardo all'aere il tem-  perato è il più comendabile e lodevole per ejji t   e un    Digitized by Google     DEL DRITTO NATURALE. 185   . modo del Mondo ; di vero la vita dell’ uo-  mo ( dice un attore Terenziano ( x ) egli è  come il giocar a dadi , in cui tè quel putito  - non ayviene, che tu appetti, abbilògna  che l’ arte corriga la fortuna ; onde, giuda  ’ Epitteto, ( j ) perciò non v’ ha meglio, che  . guardarfi di non applicare la propria av-  verdone , e il proprio appetito in colè, eh*  . in nuila da noi dipendono, e rifpettòa  quelle ( z ) che fon il (oggetto del nodro  - amore , o del nodro piacere , o che pur va-  gliono per qualche noftra bifàgna è medie-  ri che fi difàmini attentamente la lor natu-  ra, incominciando da quello che meno va-  glia ; imperocché fe mai un Vetro, oun   pen-   ( X ) Adtlph. atf. IV. fc. VI ri   ( y ) irXEIFIAIOR f.7.   (;z ) li il. c. s. è 9. 10. 11. n. 15.14. i?. #ei    I,    e an refpir, amento al meglio che fa pojfibile  libero ; quindi li bagni lor Jt credono altresì  pojTono ejiremùmente giovare ; comeche tutta  la diligenza e cura deve ejfer mejja in man-  tenerli di ventre liberi quanto f può , e fciol-i  tip giunti jbe fi Veggono a tempo in cui toglier  Jt debbano dal latte,abbifojjia , che lungamen*  . te (ì facci no ajìener non men dalle carni , cb*  eglino miga vagliono ancora allor a diggeri*   M 4 re    Digitized by Google    .184 DE' PRINCIPJ-  pentolino, per efempló , avvien , che ci  piaccia', e diletta , perfiiafò vivendo noi  quanto e’ fia di natura corrottibile , e fra- -  gilè, dove per avventura mai e* venghi  ; a frangerfi , o fiaccarli non verremo per-  ' ciò miga in difturbo , e perturbagione ,   Ei p' ìxcés-is 4- v X ee y a> y* l ' !my i fi ir pittai viw , 5   yO(iiva>v , (lìfiJHro unKtyuv , ómìór tri v , cip 9 " O’fMKpi'itt'Wr  upX'óptivos . ai xvrpav ripypi-, ont xórpcat rtpyas.Kctntttyti*  c»s yàp mùnti , « . a» * iraxhor axjrts Kcentttpr   X>ji , H yuttcùx-oc , om ausSabnrov] ’x.x.nu'piKàs «p5uuóvno   M. Un abito , o virtù che ferve a difporre ,   • e diriggere 1* azioni dell’ uomo nell» peri-  coli    che fi ave zzinole  éójUtmino far tutto Ordinatamente , e con de-  coro , non che li lor travagli , e li lorfiudj ,  cui per avventura in un età giujìa , e conve-  nevole fi danno , avvertendo dì vantaggio ,  che quefii vengano ammifurati in gnifa , che .  il lor ingegno efiremamente non fi infievolii  chi , e debiliti , ' \ \   r In oltre pafiando ad altro ; egli fi ac cornane  da a vecchi figuir tuttoccib,che fono cofiuma -    Digitized by Google    ite DE» PRINCIPI  1 ceflìtà , eflèndo ciò contrario del tutto  . j reai mente , ed oppofto alle leggi della Na-  tura , e quell’ eccedo appunto, o vizio,  * a cui comunalmente diam nome di audacia,  o tracotanza rOr finalmente quefti erano  gli uffici , gli obblighi , e li doveri dell*  uomo fòlo nello fiato Naturale e non altri.  D. Ma perche voi favellando peravventura  di quelli , che non riguardano che lo fpi-  rito , abbiate altresì tratto di quelli , che  aveano attenenza al corpo , e allo fiato  -efierno ?   M, Per   . — ■- É\ PRINCIPJ   aggevole d’afiai e facile, dove pur cosi .  v* aggradi, ridurli sù quelli tre capi di cui  vi feci motto fin dapprincipio; imperoc-  * che qual malagevolezza-, o difficultà mai  r. potrete voi rincontrare in conofcere ; Che  quanto da noi fi diflè della volontà , e del-  . » rie-   ’*« i   x — — ■ ■ — ~   effer una feguela dell' applicazione e del ripo-  fo ; .come eh e V ufo del cioccolati o di tempo in  tèmpo poffa firvir molto per fortificar loro la  JìomaCo , e rimetter lì f piriti nell'applicazione  efauJtiyWn che per corrigere gli acidi del fan*   gite * «* " • '- * •' * . ■   - Al rincontro , a quelli , che fon peravveng  tura Deputati , e desinati a travagli ^ e fatt-  olo e pili dure i e gravo fe y fi concede feur amen*  te U bere y e il mangiare in più gran copia , ed  abbondanza di quejii ultimi , ma fono avver-  titi d' effer cauti , ed avveduti di evitar del ,  tutto ribaldati , eh' e' pano le bevande fredda  ingenerale , potendo lor ìquefle apportar feco    />    DEL DRITTO NATURALI;. *8 9  ricchezze , agli abiti , ed altre così di tal  fatta non abbi attenenza, che al noftro  • flato efterno ? Onde ecco pur tutto con un  motto rimeflo in quello afiertOjeordinanza  che voi lo defiderate,*ed egli è cofa t in realtà  di gran rimarco oflervare,come tutto inte-  ramente quali che da fonte, o forgente trat*  to s abbia da non altro , che da quella, no-  flra maflima generale: cioè, che l’uomo  debba far quantunque più può , e sà a foo  vantaggio e utile, fempre. mai che far lo   polfa - ‘    'delle diarree ,foccorrenze , cacajuole ed altri  malorifmili .   In ultimo venendo a quel che rifguarda la  diverjtia de' temperamenti , primieramente  per quegli , che di f over chiofopr abbondano  di fangue ì egli vien fommamente lodato un a e* •  re molto, temperato , un vitto affai naturale ,  e fempliciffmo , un cibo di groffa corffjìenza ,  e una gran moderatezza nel vino , e nel fon-  120 , non che negli affetti interni de ir animo •  Secondo per li colerici , e li biloffji approva ,  oltre un * aere altreiì temperato^un cibo liqui-  do ^ un vino acquofo , e il ripofo , e il forino „ ,   anzi ,  ' ■ m    Digitized by Google-    DEL DRITTO NATURALE. 191   continuo e regolar fi, • poiché quell’ azioni,  che fi riftringono per efèmplo fòtto la, tem-  peranza vengono da quelle ifteflè leggi ,  dirette, e regolate, da cui fon rette, e  ordinate quelle , che fi comprendono Cotto  la giuftizia , o la fortezza , egli v’hà ogni  ragione d’ affèrire , eh* in effetto per par-  lar con maggior proprietà, non fia eh’ una  fòla la virtù umana , e quefta altro non fia,  che il viver conforme le leggi della natura,  comeche gli uomini comunalmente o per  non rinvenirti niuno infra efii,che ne fia iru  teramete ben fornito, veggendofì altri eflèr   fòi-   * ♦ * » • l ^ r    ni avvenendo dinanzi il convenevole tempo, li ;*  cibi aromatici , e difeccativi Vagliano ad emen-  dare , e corriere fe non del tutto ; almanco 1 *  in parte quefio difetto ; e come colripofifi  Verrebbe ad acc re fiere , ed aumentare in efft '  il torpor delle fibre' r coi ì al r ove [ciò, median - 4  te il travaglio fi vengono quefie a render vie >'  piu ferme , e fide ;e il [angue , che a produrr  re delli mocci in abbondanza è ben acconcio,  con quefio fciogliendqfi conferva tutt ’ ora il  moto . Quindi per ejfi [ervir pofiòno e valer  parimente d* un ottimo , e buon rimedio li ne -  gozj , e P occupazioni le piti ferie , e fafiidiofi   del      ì 9 i DE’ PRINCIPJ  Ibi tanto faggio , altri lòl tanto prudente , e  niuno aver in fe congiunte, e unite tutte que-  lle virtù particolari , over per formarlène  un adequata idea fecondo la diVerfà , e va-  ria applicazione , eh’ eglino a Ior divelli e  varj doveri ne fanno , le diedero vari , e  diverfinomi, o vocaboli, di giufìizia, di  temperanza , e di altri sì fatti , nella guifà  appunto , eh* a quelle medefime leggi ,  per quella ilìelTà diverlìtà d* applicazione,  or Civili , or delle Genti , or Pubbliche ,   ‘ r or in altro , e diverfo modo le appellino.   • ì M. Si    del Mondo . Quarto f crede commendabile  fopra modo , # lodevole per li Malinconici fpe -  zialmente un aerfrefeo , che vaglia , e pojja  molto frvire per accufcere il trapelamelo ,  t V refpiro della lor pelle , non che Per agran*  dire le particelle del J angue , li cibi / alzi , e  d* Una fece a conjjjtenza , una gran moderateti  ta , e temperanza nel vitto , e negli affetti , •  in cui eglino fogliano per natura difettare ;  e tutte le ccfe ifcioglienti > che vogliono  piai epojfcn in ejf promuover delli e fremen-  ti , blighi 1 e li doveri dell’ uomo confederato  di brigata con gli altri rìfèrbarolli per ma-  teria d’ un’altro ragionamento.     temperamenti mijìi ci fi ammonifce , che frati  tandofi di ejfi ,fi abbia fempre mai rif guarda  a quel eh ’ in noi predomina , e fignoreggia , Or. \  quejio è quafi il principale di quel che da Me»  dici vien preferito per coloro , eh' efiendo in  una buona fai ut e y o difpofizione amano mante - *  fiervifi ; il di pii * , volendo , fi pub come cofa  poco appartenente al [oggetto di cui fi tratta*  4 a ejfi ftejfi imprender di leggieri .    Digitized by Google    194     DE P R I N C I P J    DEL DRITTO   NATURALE   trattenimento III.   Degli llffizj deir uomo conf derato dì  brigata con gli altri Uomini nello  Jìato Naturale .   SOMMARIO.   I. NeceJJìtà d' un Filofofo d' attendere al-   lo fudìodi quejio Dritto ; e obbligagione di  ciafcuno d' ijtruirfene. .   II. Fondamento degli ujfz) umani ijcam -  limoli degli uni cerfogli altri , e quali que«   fì'i tifano. ■ .   > III. Seguito delle virtù Morali ,   IV. Patti , e lor natura , e origine .   V. Contratti come rinvenuti ; in che co fa   ■ fJ to '    Digitized by Google    f    DEL DRITTO NATURALE. i 9S  JìJhno j e nafci mento de' dominj .   VI. Della compra , e Vendita in panico 3  /are e d' alcuni altri contratti .   U alunque volta per ve-  rità da me fi pon men«  te , e fi bada al diletto  il quale hò io quelli dì  fèntito in udirvi difcor-  rere delle leggi natura-  li, e confiderò quanto  egli fia profittevole , e vantaggiofo all’uo-  mo 1* averne contezza ; vera pur troppo ^  e certa mi credo , che fia l’ oppinion degli  Antichi (a ) circa all* aver per indegni , e  immeritevoli del tutto dell’onore, e dei  nome di Filofofi coloro , che non n’ aveano  nel li lor ammaefiramenti divilàto a lcuna  colà, e mediante le proprie meditazioni  cerco ilchiarirle , e renderne ammaeftra- -  ti gli altri ; niuna parte realmente della  nofira vita rinvenendoli , giuda che per  E appunto quegli confefiavano nè nelle co-  lè pubbliche , ne delle private , nè nelle fo*  renfi, nè nelle domeniche , nè le con noi  ftefli alcuna cola facciamo , nè lè con altri,   • chiunque egli fi fofiè contraghiamo , in  .cui elleno non debbano aver luogo , come   N 2 - quel*   C * ) Cie. de OJfi f>r, 1. 1 .     Digitized by Google     196 DE* PRINCIPJ  quelle nella cui ottervanza ogni ornamen-  to , e fregio e porto della vita, e ogni uma-  na virtù confifte , e nel cui difpreggio , per  quanto jer pur da voi imprefi, ogni vizio,  ogni laidezza , e ogni noftra bruttezza fi  arrefta; Per la qual co là in apprertò in  me cederà ogni , e qualunche maraviglia,  cd ammirazione in veder buona parte degli  miei uguali , per non dir tutti , o per pro-  pria negligenza , o defii loro genitori 3 o di  altri alla cui cura vengono peravventura  commetti , o per un comunal pregiudizio,  ed afiai popolare reputando uno cotal fiudio  per etti poco vantaggio^) , e utile , e nulla  imperò applicandovi , sì difordinatamente  Vengono l’ altre fcienze ad imprendere , e  direggere li lor efèrcizj , che dove credo-  no poter col tempo giovar , come devono,  a (è, ed alla propria famiglia, ed alla Patria,  fi rinvengono all* ingrorto aver errato , e  totalmente ingannati . Ma cotali cofè , eh’  a noi nulla , o molto poco appartengono ,  falciando per al prelènte per lèg uir il di-  feorfo di quello , ch^jer fi rimale a tratta-  re , dopo aver confederato P uomo lòlo nel-  lo fiato naturale, infingendo ora mirarlo di  brigata con gli altri , e in una focietà uni-  verfàle, vorrei lènza interrumpimento udir-  vi favellare degli uffizj , e doveri , ch’egli    Di | ’t iaed by Googic'     f    DEL DRITTO NATURALE. 197   dovea in quefto Rato fòdisfare.   M. Quefti tutti inferir lì poflòno, fènza alcun  li. dubbio , da quefta propofizion generale :  cioè , che 1’ uomo naturalmente in fe fèn-  tendo un infinito piacimento , e diletto  dell’ altrui perfezione , 0 utile , o vantag-  gio, che dir vogliamo, nulla inferiore a  quello, eh* egli hà dalla perfèzzion di fè  Redo , dove dalle padroni non venghi tra- ■  volto in contrario, dirigger e’ debba , e re-  golar le fue azioni in guifà , che tendano  non meno a utile , e vantaggio proprio, eh*  a quello degli altri ,* imperocché da ciò  che reputar fi deve , e mirare per lo pri-  mo , e per lo principale di tutti gli obbli-  ghi , o uffizi umani fcambievoli , o per  meglio dir di quefto genere di cui or trat-  tiamo , come tanti corollari , Porifmati , e  vantaggi , che dir vogliate , ne fegue ,* I.  che non abbi fogni far ad altrui quel che  non fi vorrebbe per fe medefimo . II. Che  fia meftieri corrifponderci tempre mai con  un ifeambievoie , e reciproco amore , im-  perocché dovendo noi goder dell’ altrui  iene, e i'elicità, come della propria, e  averne del piacere , e della gioja, quefta  non può in modo alcuno disjungerfi , o  feompagnarfì dall* amore. III. Cile dob-  biamo in ogni- tempo operar in modo , che   N 3 niu-    ' Digitized by Google    I?s DE’ PRINCIPJ  niuno t abbia a grado la noftra infelicità , o  miferia , e giudo motivo di appeterla , o  bramarla , purché far lo polliamo lènza  muoverci un jota contro alle leggi della  Natura , la cui obbligagione è fempre  mai la ftefla , ed immutabile , eh* è quanto  dire , renderci per quanto fia pofiìbile a  tutti cari , e amabili . IV. Che non v* ab-  bia ragion alcuna da renderci fùmofi, e al-  tieri, o al di fopra degli altri, ma che tutti  fènza rifèrva , o eccezzion alcuna di perfo-  ra dobbiamo infra noi tenerci per pari , ed  uguali con darne con parole , e con fatti  della venerazione , e del contp in cui l’uno  fia predò dell’altro fpreflò legno al di fuora.   V. Che non dobbiamo in niun modo met-  ter in palefè , ed alla (coperta 1’ altrui ma-  gagne , o difetti ; ma prender tutto quan-  to da altri fi fa mai, o fi dice in buona  parte, difendendo in tutto tempo , e avvo-  cando 1* altrui dima , e onore ; colà che fi  dee far fopra tutto trattandoli de* calun-  niati , e gravati a torto , non efiendovi al-   * tro meglior modo , o mezzo di quello per  renderci al Mondo ingraziati , ed amabili .   VI. Che non fi debba niuno mai offende-  re, nè dannificare per niun verfo , altro  non effondo in fatti , quello tutto , che  operar ad altrui dilvantaggio , e difeapito;   il per-    DigitizBd    DEL DRITTO NATURALE. 199  il perche l’ off è fa , e ’I danno, che perav-  ventura ad altri facciamo fiam in obbligo  in ogni tempo , ed in dovere rifàrcire a  ogni nofiro colto , e quello che da altri mai  a noi li reca,fcanfàr a tutto poter , ed evi-  . tare ; eflendo per una cotal ragione , e per  quella pio pofizion altresì principale , ch’ai  di lòpracennammo , cioè , che L’ uomo far  polla Tempre quantunque più làppia , e  vaglia a fuo prò , giuda e lecita in quello  calò di cui fi tratta la difefa . Vili. Che     Egli è certo , ed indubbitabile , che tutti  . - - noi    Digitized by Google     *04 DE* P R I N C I P J r   noi fiam obbligati , e tenuti operar in gui-  fa , che P azioni naturali corrifpondino in  tutto , e concordino fèmpre con le libere  con aver un medelìmo fine ; II perche Pap-  petito al coito efièndoci fiato dato dalla  natura , e concedo per la propagazione , e  confèrvazione delia fiefià fpezie , ed impe-  rò efièndo un azione del tutto naturale,  egli è mefiieri , che per quanto dipende da  noi, non lì adoperi giamai , ne s* impieghi  d i ve rfa mente, o per altro fine.   D. Egli conviene adunque , che colui vera-  mente , che fia vago d’ effer netto , e ca-  tto sfugga , e vita a tutto potere ogni forte  di congiungimento illecito , e contro le  leggi , che non abbi altro per fcopo , o per  fine j che il mero piacere e la voluttà , co-  me li ftupri , le fornicazioni , gli adulteri,  ed altre sì fatte fòzzure , e bruttezze , con  trattar parimente di dilungarli da tutto  ciò , che vaglia mai ad iftimolarlo , e por-  tarlo a quello , e vietar tutte le parole , le  gefia , e P azioni lafcive , per cui ne pofia  rifultare quel gufio, e quella compiacenza,  che il piu delle volte porta (èco al di die-  tro.quegli movimenti critici , li quali con  dedar in noi di fovverchio r e rifvegliar li  fenfi , fanno, che la ragione totalmente fi,  addormenti •   M Li    Digitized by Googli    DEL DRITTO NATURALE, aof  AI. Li motivi per cui fpigner ci dobbiamo  edilporci alfacquilìo di una cotal virtù  fono quegli fteflì per cui devono eflerci in  abborrirhento , ed in odio li piaceri ; onde  di quelli avendone parlato (òpra alla diflfu-  fa i non fa meflieri qui ripeterli al di nuo-  va; Comeche convenghi oltre a. quelli,  che fi badi altresì alle pene, ed agli gaflighi  che in ogni ottima , e ben regolata Rep-  pubblica vengono dalle leggi inabiliti per  - li fìupri , adulteri , e altri si fatti delitti ;   ' ed avvezzarli di buon ora a sfuggire, e vie-  tar Ogni occalìone , che pofTà fervi rei di  motivo per portarci a qualche azione libi-  dinosi , e cattiva.   D. Come definite voi la modeflia ?   M. Per un abito della noflra volontà , o per  meglio dire , per una virtù di ben deter-  minare, edifporre fazioni appartenenti  ' all’ onore, fecondo le leggi della natura;  Quindi il modello , fèbbene operi in modo, v  che Ila degno d 9 onore , e di flima , non pe-  rò egli la brama , o 1* appetifeé; ed in ciò  differilce dalf ambiziolò , il quale al rin-  ' contro brama gli onori e gli appetilce , ed  andandovi al dì dietro più del convenevo-  le pecca nell 9 ecceffò ; e fi diftingue altresì  da colui ch’éfièndo d’ un animo vile fòver-  chioj ed abbietto pecca nel difetto ; impc-  - - roc-   •. ,• * *   v • , ••   A.   ♦ ’ * C.   » * v Digitized by Google    ao6 DE’ PRINCIPJ  i rocche avendo noi della compiacenza, e  del piacere del conto , o (lima in cui fiamo  prefio altri, ed imperò venendo tratti dalla  gloria delle noflre iflefie perfezioni, può  quefla,fenza fallo,fervircidi un gran (limo-  lo a condurci Tempre mai e portarci per lo  dritto fenderò a grandi , ed eroiche im-  prefè ; II perche fi viene a conofcere in un  ifleflo mentre l* error di coloro , che con-  fondono non meno 1* amor proprio , che   • nafce dalla virtù di fè ftefiò , con quello ,  che non nafce che dal vizio , efiendo 1* uno  molto vario , e diverfò dall* altro , e il pri-   . mo non così come il fecondo da riprender-  ci , e biafimare ; che la modeflia con que-  lla battezza e yiltà d' animo , in guifà , che   • ; per torre alcuno d* ambizione fi fludiano a  tutto potere d’ ifpignerlo jn quella , eh’ è   { un vizio per verità miga inferiore a quella,  facendo che la perfòna molto poco fi caglia  delle virtù morali , e delle morali non ne  fègua altro , che 1* ombra .   Di Come adunque fi può mai far un ambi-  ziofò ufeir di fua ambizione ?   M. E di fbmmo meflieri ; I. Che capifea  qual fia il vero onore , e come quello non  dipenda miga dalla perfòna onorata, ma  fòltanto da colui , che onora , il quale ab-  bi fogna anche che fàppia formar buon giu-  dizio    *    . Ch’ intendete per amicizia?   M. Un amor vicendevole infra due o più  perlòne , palelàto , e dato a conolcere al-  tresì con uffizj vicendevoli, giufta le leggi  della Natura ; non ettèndo ad un amico ,  inverfo l’altro lecito giamai , ne permetto  far co fa per menoma, eh’ e’lia contro que-  lle. Quindi acciò tta ferma realmente , e  Itabile , e collante un amicizia , e non ft  (ciolghi cosi di leggieri egli impiegar fi de-  ve tutta la diligenza , e la cura del Mondo  nella (celta degli amici ; comechs ettèndo   O 2 , »n    Digilized by Google    aia DE 1 PKINCIPJ   in vero co fa molto malagevole , e difficile  che fi rinvenghi un amico del tutto intero,  e buono , come fi vorrebbe , e potendo di  leggieri avvenire che fi fia errato nella  lecita , e che 1* amicizia contratta fi  fciolghi , o perche l’amico voglia da noi  qualche cofa non ben giufta , e buona , o  per altra cofa sì fatta ; il più ficuro modo,  che fi può tenere nel praticare , e conver-  far con 1* amico , egli è quello , che dir Ib-  lea Biante , celebre tra* Greci Filofòfanti ,  cioè, di enervi si fattamente circofpetto e  avveduto, come con colui , che col tempo  può per avventura divenirci contrario,  e nemico ,* del retto quefta è una virtù, ed  un abito , che fi acquitta e ottiene , come  tutte P altre noftre virtù , e gli altri noftri  abiti , per via di molti atti ; come a dire :  con P amare da vero l’amico per le Tue vir-  tuofe , ed eroiche qualità ; col praticarlo ,  e fìar con etto lui, e col godere in ogni mo-  mento del bene di lui , come del proprio;  A ogni modo non mi fèmbra neceflàrio ar-  redarmi qui in farvi vedere la neceflìtà ,  che abbiamo di far un cotal acquiftojbafìa  dire , che doppo la virtù, l’amicizia pofla  e vaglia a formare la nottra felicità , e che  abbracci tutti gli flati , tutte le condizioni,'  e tutte le differenti noflre età ; ella giova   a rie-    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE, il 1 3  a ricchi, e a potenti per far ufo della lor  fortuna ; a poveri , e fventurati per aver  qualche folìegno, e lòllìevo; a giovani,  per aver chi lor confogli, e dirigga ; a vec-  chi perche può forvir loro d’ appoggio ; e  a quegli che fono nell’ età virile,* per for-  nirli di favori , e di affluenze ; e lafoiando  ilare , che la natura ftefia ci porti a quella  virtù , avendo altresì ne’ bruti , e negli  animali inferito certe inclinazioni , per cui  quelli della medefima Ipezie fi portano tra  elfi ad accoppiàrfi,ed a unire ; nelle Città  e nelle Repubbliche la concordia , e l’ami-  cizia de’ Cittadini fi riguarda come una  parte principale, ed effènziaìe del{a felicità  pubblica .   D. Ma ditemi un poco; egli dubbitar non  potendofi , che il vocabolo amicizia fia  detto , e dirivi dall’ amore, e non amando-  fi da noi ugualmente ogni colà , quali fono  quelle cole , che fono veramente ama-  bili?   M. Di quelle n* abbiamo tre Ipezie ; altre  ■ colè effondo amabili , perche fono buone ,  o per fe llefiè , come le virtù , o relativa-  mente , e per qualche circoftanza , come li  cibi per rilguardo della noftra làlute , o le  medicine per le malattie ; altre , per arre-  carci del piacere , e della giocondità , per   O 3 cui    ai4 DE’ PRINCIPJ  cui altresì diconfi buone ; ed altre per efièr  utili (blamente , e di qualche emolumento,  che le fa parimente aver per buone; Quin-  di ne rifùltano tre fòrti d* amicizie $ 1* una   - di cui, come fondata sù il vero bene, ed  utile ( dico utile , prendendo , quefto vo-  cabolo giuda al noftrofignificato ) è vera,  e perfetta ; e l’altre, non riguardando , che  o il bene apparente , o la giocondità , o  T utiltà volgare ; non fono che imperfet-  te , e fecondane , ed improprie ; come che  altri v* aggiungano pur una terza , che la  defini fcono per una reciproca inclinazione  e propenzione d’ animo tra uomo , e don-  na , fènza alcun moto fènfibile , e la chia-  mano comunemente Platonica ; ma tra  perche quella dalle più delle Genti , fi hà  per una amicizia attratta , e miracolo^ ,  negardo elleno quegli principi Platonici,  mediante a cui fi (oppongono nelle mentì  create , fènza alcun opera de’ (enfi, e ifcol-  pite , e imprette le forme del bello , e del  buono , ed avendo per certo , che quetto   •: impeto , o inclinazione come proveniente  da (enfi , in etti purtt mantenghi con tutto  rigore , e forza , giuda alle naturali leggi,  a mifura , che ne fian capaci ; e perche ne   * defideriamo favellarne con p'ù agio a più   - convenevof tempo , non ne facciamo nep-   ; ■- pur    Digitized by Googk     DEL DR ITTO NATURALE. a \ f   pur motto per al prelènte .   D . Perche avete voi per imperfette quelle  amicizie , che riluttano dalla giocondità,  e dall’utile volgare ? . -   M. Sì perche una con quella fperanza cefc  fando l* amore , cotali amicizie non fono  di lunga e gran durata , sì perche la vera,  e perfètta amicizia , non condite in altro ,  le non in voler bene all’ amico , per Pam ir  co. ■ /   D. Quella pratica , che fecondo voi , fìa di  meltieri in tutte 1* amicizie , hà ella luogo  nelle amicizie tra fuperiore , ed inferiore ?  il/. Senza fallo; a ogni modo deve efler aliai  rara ; li fiiperiori di leggieri annoiandoli  degli inferiori , in modo , che farebbe me-  Rieri alle volte , che fi dim enticalfero del  lor Rato , fe folle potàbile .   D. Ma con quali modi lì può mai conolcer  bene e comprendere una perlòna , che li  confiderà per amica ?   M. Con praticarla qualche tempo con in-  differenza , ed ofiervar elèttamente quanto  ella facci , e quanto operi; come penlà, per  elèmplo , come parla , come ama , come  odia , e come fi duole ; quindi giovarebbe  molto a far tali olièrvagioni particolari  dove blfognarebbe , conolcer universi-  mente li coftumi degli uomini , e le diver-   O 4 tè   * w.    Digitized by Google    ai 6 DE’ PRINCIPJ   feloro inclinazioni nelle loro diverte età,  e nelli lor Itati differenti , con fàper  per efèmplo I. Riguardo all* età ; che li*  Giovani eflèndo di gran lunga dominati  dalle paffioni , e principalmente da quelle  del fenfò , venghino da quefte di leggieri  trafportati , e vinti , come che fèmpre va-  riano per fazietà , e leggerezza , e Ciano in  oltre di fdegnofi , ambiziofi nelle gare, in  nulla attaccati al danajo , liberali , /empii-  ci , aperti per la poca fperienza , anzi im-  però anche creduli ; lieti, fperanzofi per  lo gran favore del lor (àngue, vergogno!]  per non creder altro lecito , fuor di quello,  che apprefero dalle leggi, e dall’ educa-  zione ; magnanimi , vaghi più dell’onefto  e della lode , che dell’utile ; e perciò ami-  ci di compagnie , e di convenzioni , e di  tutte le fòrti di amicizie gioconde ; nemi-  ciflimi della mediocrità nelli lor affetti ,  peccando mai fempre nell’ eccedo, e nel  difètto , o che amino , oche odino , o fac-  cino altro ; e come facendo ingiuria ad  alcuno , non la faccino miga per malizia ,  o per recar a colui danno nella perfòna e  nella roba , ma fòltanto nella dignità , e  nell’ onore ; e ultimamente compafhone-  voli , e pietofi , avendo ogni uno per me-  gliore di quelch* egli fìa in effetto ; che li   ■ vec-    Digitized by Google    I   DEL DRITTO NATURALE. *17   vecchi tutto al Popputo , non eflèndo nel  fervore , e nell’ aumento de* /piriti , non  fìanò d* ordinario /oggetti, ne* /ottopodi a  trafporti , ed operino mai /èmpre con len-  tezza ; e geneiaimente /ìano malizio/!, dif-  fidenti' per la lunga /perienza , dubbj, timi-  di , queruli , fàfìidiofi per T anguftia , e po-  vertà del lor /pinco ; avari per non riguar-  dare , che il commodo , e 1 * utile proprio;  di gran memoria, ed imperò garruli , faci-  li a /degnar/! , comeche non duri il lor  {degno per il freddo dell’ età, morti nella  concupi/cenza , e volti del tutto al guada-  gno ; e dove avvien che faccino mai dell’  ingiurie , e delle /convenevolezze , le fac-  cino veramente per malizia; Infine e’ fiano  mi/èricordiofi come li giovani , febben  quefii per umanità , e quegli per imbecilli-  tà ; malinconici , proverbiofi , e di un ani-  mo molto badò , e rifiretto ; e che quegli,  che (ono in un età virile , e di mezzo fiano  di cofiumi temperati , come a dire eglino  non fiano ne troppo audaci , ne troppo ti-  midi , non credano , ne difcredano ; e il  mede/imo fia dell* altre pa/Tìoni ; li. con  cono/cer rifpetto allo fiato, che li Nobili  per e/emplo fiano ambiziofi , fumo/! , mor-  bidi , tenaci de’ proprj tituli , e che vadi-  . no apprettò più ali' apparenza , che alla lò-  tta n-      Digitized by Google    a i8 DE* PRINCIPJ’  iìanza ; che li ricchi , per 1* abbondanza  fiano ingiurio!] , fuperbi , vaghi di Juflò ,  e di delicatezza , arroganti , ed alle volte  anco incontinenti , fe mai divenirono ric-  chi di frelco ; e che li potenti abbiano co-  ltomi pretto , che limili a quelli , come  che lor moderi in parte la gloria , e li ten-  ghi al dovere; e così degli altri, che fi  giungono di leggieri da quelli fieflì a com-  prendere .   V. Ch’ è quello , che ci rende amica una  perlòna? • -   M. Il farle bene , V ettèr amico de’ lùoi , il  corri pattlonar la , 1* ettèr verlò lei liberale ,  modello , temperante-, gentile , trattabile,  faceto ; e in una parola la virtù , ci può  rendere cari a tutti , ed amabili, giufta che  potette apprendere , dà quel , che al di-  nanzi notato abbiamo , parlando delle co-  lè amabili .   D. Come dunque fi confèrva 1’ amicizia?   M. Col mezzo della benevolenza , o del vo-  lerli bene Icambievolmente , non che con  la concordia , o con la fede vicendevole  nelle co fe agibili ; e con la beneficenza , o  liberalità.   Cont. L’ amicizia perfetta ammette ella mol-  titudine ?   Fil. Mai nò , tra perche in ella fi ricerca un   amor    Digitized by Google    del dritto naturale. 2 i 14.   C g ) Dei ih 9. 1 . 1.   ( h ) Tom. 1. p. 41. /. 1 6. f. de pani s Grot. in fior,  fpitrf. PbUoJìr. de vii. Apoll. nurn. 5?. Dsuter. 1 9. P/trullp.  29. v. J.   ^ I J ?2C    *16 d e* p'R in c i p j -r   ' grandi Grettézze, e bifogne, {botanti motivi,  che mover ci doverebbero ad effei ne vera-  mente amanti , e farne un continuo ufo ,  oltre lepromefie, che a veri li moli ni eri  nelli Sagri libri della noftra Santa , e Ve-  neranda Religion rivelata fatte fi rinven-  gono . .   ZX Che intendete per verità ?.   JM. Un Abito di ben diriggere lenoflre azio-  ni conforme le leggi della Natura nel com-   - municàre, e ridir ad altri li noftri fonti-   - menti: imperocché colui , eh’ è veramen-  te amante , e vago del vero , non men fog-  ge , ed ha in abbon imento il falfo , che la   \ fìmolazione , e la bugia.   D. Difpiegatemi quelli ultimi vocaboli: fi-  mulazione , e bugia .   M. Col primo intendo quel difeorfo , che  vien fatto tutto al rovefeio di quello , che  in noi fentiamo , ma fenza alcun danno al-  trui , o noflro proprio ; e col fecondo  quello medefimo, ma accoppiato , ed unito  col pregiudizio proprio , o degli al-  • tri . Qujndi è , che il dir il falfo , e la fi-  molazioné fia fogno propriamente d’ uom  fonza cofcienza , come colui , che proferi-  > foe delle parole contra quello, che in se  'fonte; comecché la bugia fia una còfa affai  ; più deteftabile , e biafìmevQle della fimo-  . . la-    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 227  .. lazione , aniuno ettendo permetto offènder  se medefimo , e gli altri ; anzi quella ogni  volta che fi vegga effèr 1* unico mezzo per  giovar a noi , ed a gli altri, può fenza fallo  divenir lecita , e permetterli , non ottante  che per legge Naturale rechidendofi , che  vadino fèmpre mai in accordo le azioni in-  . terne con 1* etterne , fèmbra fèmpre per se  mala, eù illecita . II perchè fi vede altresì ,  che non fi debba giamai far ufo del noflro  difeorfò , e della nottra favella, fè non  cattando per mezzo di elio nulla fi venghi a  notti i uffìzj, o doveri a mancare, eh’ è  quello in cui confitte il filenzio : virtù che,  fi potrebbe a gran ragion ditti ni re , per un  abito di non proferir cos’ alcuna contraria  a nottri doveri . E vaglia il vero , ella non  -è men comendabile di tutte P altre virtù,  potendo fervi rei di gran lunga a vietare  mille , e mille inimicizie , che potrebbono  forfè dal contrario operare, provenire, e per  molte earriche nella Repubblica , che con-  ferir non fi fògliono a chi ne fia sfornito , e  privo ; oltre una infinita d’ altri vantaggi .  Ma diam propriamente noi nome di  conteftazionì alle parole , che fi prò fe-  ri feono in fegno, ed in tettimonio della fin*  cerità, e fchiettezza del nottro animo : av-  vegnaché fu mettieri notarli, che non .do-   P 2 ven-    ‘ Digitized by Google    aaS DE* PRINCIPJ .   vendofi nulla fare , fènza la ragion /uffi-  ciente, dove non fi dubbiti di noi, nè fi met-  ta in forfè quei che noi diciamo , ma fol  quando per efler creduti, abbifogna , e  conviene . Per tutto ciò quelle , che infra  quefte meritano più dell’ altre la nofira  ' attenzione , e rifl^flìone fono li giuramen-  ti ; imperocché quefti effendo un* invoca-  zione , che per noi vien fatta di Dio in  vendetta del falfo , che diciamo, creden-  dolo autore d* ogni noflro bene, e vendi-  cator del male , che commettiamo pe'r Io  rifpetto , che dobbiamo alla Maeftà divi-  na , non fi devono per niun verfb proferire  fe non in colè di gran momento , effèndo i  cofà fòmmamente fàg rilega, ed ingiufia in-  vocarlo in cofè leggieri , e di affai picciol  preggio. Q/iid ejijurare (dice S. Augu-  rino ( m ) nifi j us reddere Deo , quando per  Deum j i/ras ; jut filili tui: reddere , quan-  do per filios tuo: jura : . Quod autem ju:  debentù : falliti nofira , filiis nofiris , Deo  riofìro ; nifi charitatis , feritati : , è" non  falfitati: ? eum dicit quifque per meam  falutem , falutem fuam Deo obigat :  quando dicit per fillio: fuo: , oppignorar  t)eo fillio: fuo : , ut hoc vcniat in caput ipfo -   rum i '   (m) /pud Groi.'m fparfjioribi    Digitized by Googli    1 * •    DEL DRITTO NATURALE. ** 9   rum , quod erit de ore ipfiui ; fiverum ,   , Z'trum , fi falfum , falfum ,* cum ergo fi -  /iosjuoty Vd caput Juum , S'f/ falutem  fuam quifque in Muramento nominata  quicquid nominat obligat Deo . Oltrecchò  Epiteto ancora ( n ) con ii foli lumi della  Natura, vieta (dice) a tutto tuo potere, to-  talmente 1 è mai può eder il giuramento ,  o fe ciò non puoi avvenire , tratta ufar-  lo quantunque piq di rado fia poUTbile .   Ipxov vtpiÙTnat , « {iti tuorrt , ài St che Venga ■ con   A Jd ua h     Digitized by Google     234 DE 5 , PRINC1P J  nói) fummo noi medefimi gli autori del no*  Uro inganno: o non fi fian tali , che fcior-  re non fi pofiono inguifà alcuna lènza il  » dannose il pregiudizio dell’ altro • III. Che    qualche ejlerno fegno dichiarato , o che queflo  conffla in parole, o in fatti ; avvegnacchè n n  fa fuor di propofto far qui avvertire, che per  Dritto Naturale non f conofca quel divario  o quella diverftà , che le leggi Romane am-  mettano infra Jìipulq , e patto femplice , e in-  fra V obbligatimi , che fciolgonf per Inr di- »  fpofzione ( ipfò jure ) fòlutione , in fòlutum ,  datione , acceptilatione , o con altri sì fatti  modi : e quelle , che terminane per Infoia •  equità , o eccezzione . Li mezzi più femtilici ,  e piti acconci a torci d* impaccio dogni obbli •  gagione , giujìa il Dritto Naturale, o che pro-  venga da què' patti, che la producon pfltanto  da un lato detti , o di anelli , che   la producono da ambo de * lati , detti «T iirwpx , o  f tratta di quegli in cui fe ne viene a / tabi lire  una nuova, fa da una Parte fola , fa da tutte  le parti , che li Dottori nominano, pacìa ob-  bligatoria , o d'vquelli in cui quella , che di-  nanzi ffl abili f toglie via, e diconf pacta li-  beratoria , o nafca ella da altri patti sì fatti    ,=r    Digilized by Googl    r • .    DEL DR ITTO NATURALE. 2jr  clafcun promettendo con condizione , che  ^li fia dall’altra parte ofièrvata la promefi-  fa , fe vi, fia mai qualche motivo da dubi-  tarne, di ragione coftringer la polfa , ed ob-   bli-    egli non fono , che quefiì ; cioè ; la fola zio ne ,   10 sborfo , il pagamento di quello , chi è do •  vitto al creditore , il rilafcì amento volontario  gratuitamente fatto al debitore dal medejìmo  creditore , il mutuo con f enfi de ’ contraenti ,  che concorre, e fi unifce a fciorre un obhligagio -  ne che fia dell 9 uno , e deir altro lato , il ri -  compenfamento , che mai fi pub far di debbilo ,  con debbi to , /’ inejìfienza della condizione ,  con cui fi è fatta rébbi igagicne;La morte di al-  cuno de ’ contraenti , dove /’ obbligagione fi fu  contratta colla fola mira a lui , ed alle fue  qualità per fonali , /* efiinguimento della cofa  per cui fu fatto il contratto , la novazione, eh’ è  quando fi rilafcia a uno , e gli fi rimette quel  che egli dee , ed in luogo di quello fi riceve  nuova obbligagione , e fifa nuovo contratto \   • ed infine altresì la delegazione, eh ' ' è quando   11 debitore conviene col creditore e fi concor-  da di cojiituir in fua Vece chi , ebe a cofiui più*  aggrada , e piace ; egli fembra ragionevole  r attener ci in quefie femplicit à, finza affollar.    Digitized by Google    216 DE* P R I N C I P J   • binarla a ciò fare al dinanzi , che non fi  complica da lui , o almanco indurla a dar  ficurtà , e cautela di (òdisfarla . IV. Che  li patti fatti non potendofi in apprefio da  uom fciorre lènza il conièniò dell’ altro ,  eflendo ogni un* in obbligo, ed in dovere  allontanar da se il danno , che gli può di  altri intra venire, ed incogliere, egli fia me-  fiieri , che pria ben fi confideri , e fi ponte-  ri quel che uòm promette, o faccia. V. Che  adempiutefi da ciafcuji delle parti le pro-  mefle, s’intenda altresì adempiuto il patto,  e ceffi l* uno d* efler all’altro obbligato , e  tenuto ; anzi fe mai avvenghi 1* uno li  mofiri contento , che l’ altro non adem-  pia la fila prometta, merita d’ averfi altresi  per fòdisfatta, e la fiia obbligagione per  fpirata, ed efiinta. VI. Che nell’inter-  pretazione de* patti le parole , e li voca-  boli pigliar fi debbono giuda , che fono co-  munalmente in ulò , non efièndovi ragion  alcuna in contrario ; e dove le parole fiano   d’un   • • \   — ■■ 1   di faverchio le nojìr e oj/ervazioni , che pojjbno  ♦ contro delnojiro intendimento feivir anzi d*  imparaccio y e di confusone per li principianti 9  thè per /chiarirli CQme conviene .    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE.  d’ un lignificato ambiguo , ó dubbio, inter*  pretar fi debbano in guilà*, che non ven-  gano in se niuna ripugnanza , o contradi-  zione ad avere , e concordino mai tèmpre  col fine , che giuda ogni credenza , ebbero  i loro autori , non potendoli già mai uom  cotanto tèiocco , o tèimonito rinvenire , c*  abbia voglia contradire , e ripugnar a se  fiefiò con azioni con tra rie, ed oppofte al foo  fine ; Comechè per difiinguer cotali obbli-  gagli , che non ne provengono , che dà  quelle di cui fin ad ora abbiam fatto paro-  la, par che cpn ogni ragione dir fi potrebbe-  ro quelle condizionali , e ippotetiche , e  quelle a dolute.   Af. Checché fiane di ciò , vaglia il vero egli  è un grolfo errore , ed un abbaccinamento  di coloro , che andando alla cieca dietro  alGrozio, e al Puffendorfio , e patti, e  contratti , e dominj confondendo , cd aflfa-  fiellando infieme in uno, trattano a lor po-  tere renderci perfoafi , e cèrti , che tali co-  tè punto non diflferilcano , ne variano, e  tutti ebbero una medefimaiorigine, cioè, de-  rivarono dall’efièr ellinto infra gli uomini  quel fervore di carità , e di amore, con cui  fi amarono fin dapprincipio ; ed avendo li  Romani Giureconfulti il nome di contratti  propriamente a quelle convenzioni dato *   che    Digitized by Google    a*8 DE’ PRI NCIPJ   che far, fi fogliono circa quelle colò , che  fono in commercio , e paflàr pofiòno ? o  debbono nell’altrui dominio ; e patti' a 1  , rincontro chiamate quelle , che fi fanno in  colè di una natura totalmente differente  dalle prime, e che fon fuori d’ ogni com-  mercio ; fi credettero cotal differenza efièr  propria del Dritto Romano , e ignota al  Dritto. Naturale; penfàndo , che fè gli vo-  mini fi avefièro mai corri fpofto con quel  • reciproco affetto , ed amore giuffa che fon  in dovere corrifponderfi , li patti farebbe-  ro fiati infra effì di niun.ufo;imperocchè,gli  uomini in quefìo fiato , avvegnaché por-  ' tati fi folfero , come eglino dicono , ^volon-  tariamente a far quell’ iftefiò , che op  Icambievolmente fi obbligano fòdisfàr con  quelli , da quefto però non v’ha miga ra-  gion di conchiudere , che fiati fi fòffèro  all’ ora invalidi , ed inutili ; fenza che giu-  . ffa ben fovente detto abbiamo , eflendovi  . molti uffizi >* che naturalmente fiam tenu-  '/ ti fodisfàre inverfo tutti' gli uomini , e nort  . verfò quefti ,«o quell’ altro in fpezialtà r ri-  fguardato in quefto , o quello fiato, egli  fi potea altresì nello flato naturale dpve  gli uomini .fi fodero amati con un Santo ., e  .. caffo amore ritrarre dalli patti , e dalle  t xpromeflè quefto vantaggiosi determinare ,   e ye-    Digitized by Googld    • w    DEL DRITTO NATURALE. 239  e relìfingere quelli generi d* uffizj genera-* ^  li inveriti quella , o quell* altra perlòna in  particolare . , : > -  D. Che intendete voi per contratti ?   M. Quelli patti, che vengon peravventura  V. a» tarli per lo trasferimento de* dominj  delle cole .   V. Come s’ introduttero mai quelli dominj , *  nel Mondo?   M. Ellinto tra gli uomini quello Ipirito , e  quel fervore di carità , e di amore con cui . •  dapprincipio corrifpondeanfi,e lì mantenea-  no lungi da ognidittènzione e difcordia,  la communione delle colè , che era tra ellì,  divenuta un occalìon continua di ride , e  • . di piati , e da dì in dì rendendofi vieppiù  Tempre moietta, e difficile, fi pensò aliatine  venire ad una divisone in modo, che ciafcuv  no contentato fi fotte del Ilio , e n’ avelie  potuto dilporre a lùo arbitrio , non difco-  prendo altro miglior mezzo per provedere  alla commun làìute , ed al commodo gen-  neral di tutti , e far , che a niuno mancato  a vette il bilògnevole per fòdisfare a’ propri  doveri (Ù); Imperocché per lo dominio  •- - - - di    ( D ) Egli è fuor di dubbio , che dap •   prifj-    Digilized by Google    240 DE 5 PRINCIPI   di una colà altro d’ intender non bramia-  mo , che un dritto , ed un potere da poterli  di quella lèrvire in guilà , che ad altri non  fìapermeflò farne quel medefimo ufo, che  noi ne facciamo .   D. Aduti-    principio giujìa che comunalmente , da tutti  Jì confeffa , o dalla maggior parte de ' dotti egli  è almanco offerito , le coffe tutte del Mondo Jt  furono in una communione negativa , cioè del  tutto communi a ciaffcuno , e fuor di qualunr  quejìgnor aggio , e dominio ; imperocché effen-  do al ffommo , Onnipotente , Eterno Monar-  ca piaciuto trear gli uomini , egli non miga  potea loro negar F affò di quello , ffenza cui il  dono della vita ad effìconceffa sfarebbe fiata  drittamente piu toffo di gran imbar azzo jh e di  qualche preggio , e valore , e che dopo F amo-  re , e la carità infra efft, eh' era il ffojìegno  di una \ì fatta communione , intiepidita al-  quanto , e diminuita ,refela dà affai malage-  J vole , e difficile , e di mille , e mille incom -  modi , e diffagi abbondante y Jì foffe paffuto ad  una certa tale quale imperfetta dìgijìonc ; 9  per meglio dire nella communion pofftiva , fa-  cendo , che qualunque delle create cof e fata  Jì J offe foltanto commune a piti perfine , e noi ?   già    - Digitóed by“GOogIH    a •    DEL DRITTO NATURALE. 241-  X?.Adunqu®-fi può con tutta ragione da queflo  conchiudere, I. Che tutte quelle cofèda  cui provvenir non ne pofTòno quegli incon-  venienti , e difòrdini per riparamento de’  quali, a voftro avvifò , s’introduflero al •  Mondo i dominj , come fon per pfempi :>   • 1’ acquaci! aria , ed altrd$òfe si fatte , non   . . CL' fia-    gìà di tutte * fecondo ch 'era al dinanzi , e ih  co tal guija il Gènere Umano con fa vatofi fcf ■  fe , e mantenuto ,Jlnc9e\ finalmente fpettta to-  talmente la carità tra ejìó , e non apparendo-  ci più alcuna J cincillà dì qftelV' amor primie-  ro , ma piatì , riffe , odj , e nemijià continue ,  fu meJUeri per provvedere al beri, commune , ed  alla fai ut s lìniverfale venir alla totale , e  perfetta divisione delle cnfe , e fiabìlìrne i do-  minj ; imperocché con forme al colpo delle vir-  tù giammai uomjì porta di ordinario tutto di  ttnfubbìto , ma paffo paffo ,/? da grado , in  grado ) cosi parimente egli procede ne ’ vizj ' , e  nel male fecondo V ejperierrza lo d infogna ; co-  mechè quelle cofe quali erano b ajì ovoli , e fo- ‘ #  vrabondanti a tutti , e per cui rtafcer non ne  poteano delle controverfe , o    Digitized by Google    i ' M    24$ D E’ P R I N C I P J   * con ì’ altrui danno , quefti abbia poterti  .’•*  e  dimoftro , che quejìa podefà , e quefio dominio ,  c* ha ciaf uno del fuo , non f dfebba impiegar  mai in danno d* altri , e che ciò , che non f  defdera , che f faccia a noi , non f debba nep-  pure ad altri fare ■, non jfembra , che pojìì  per veri tali principi * e c oncejf debba averjt  , ragione di approvarla ; ejfendo ella del tutto  come ogni un sa malefa^e noe cedole a'debbitori ;  * « il perchè poco giova il foggfugnere in con-  trario , che ne* primi tempi della Repubbli-   : . .. \ * * r ‘ ca   \ *   . • - (\) Dcjur.nat.&gent.lib.i.cap.i3.f.j73.Hert.a4Ptt-   ^ fcntfor.V.io. 14 ^ ( 1 \ „    'Digitized by Google    • i   DEL DRITTO NATURALE. 249  : dall’efperienza s ? im prende, ben rovente tac-  cia meftieri il dominio di’ una cotà da uno  paflar in un’ altro. XI. Che non potendo  niuno da altri richieder mai, nè dimandare  quel.che ridonda al coftui utile , e vantag-  gio , niuno fia in obbligo , e in dovere di  sfornirti , o itpogliurfi del dominio di ama   co.    ■ ■ ■ ' — H" 11. ^ . — ; ' ■ ■ ■'   ca Romana fi ne fojfi fatto in quella del con - _  finito ufi , non potendojì per niuno unqua a fi  ferire , che i cofiumi de * Romani , 0 d' alcu-  na altra Nazione del Móndo , 0 viujli , 0  ingiuJH , che fi furono , fi debbano aver per  norma delle nojire azionile mirar come tale\eà  imperò noi vediamo , che gli ultimi Impera dori  del tuttofa riprovarono , e tra le antiche leg-  gi Romane , per cui Veniva permefid ì non f ero-  no , che di ella vi fojje rimafio neppur un or-  ma ( 4 ) 0 vejiigio > : e dello fiejjò modo fi mai  fi corifìdera il Dritto Antitetico , egli fi rin-  venir à , che dove fia fatto a tempo , fia egli  ben giuflo , ed equo , ma non già fi egli fia in  perpetuo , e continuo . IV. Che non fi richieg-  go molto per comprendere ,     ^Digitized by Google    a ?4 DE’ PRINCIP J   der I’aggevolezza , e la facilità con cui voi  favellate di tali colè ,• ad.ogni modo egli è  colà di formilo rimarco notare, che Eb-  bene dove la lòcietà degli uomini folle Ha-  ta tra pochi, la permutazioné farebbe Hata  baftevole , e fufficiente per Io trasferi-  mento det dominio , avendoli potuto di  leggier con ella non men ragguagliar il  prezzo delle colè , che fcanzar ogni ingan-   ' no-   ■ .   — ~ r » ^ 1 *   gliam dire , o il Dritto di poterla dopo morto ,  adir e, non potendofi negare , e recar in quifiio-  ne , che ciafcano non pojjà il dominio delle co -  fe fue dt prefente , o in futuro, tra ferirlo in  uf? altro , ofide he viene , 1. Che le fuccejfio -  ni per Dritto Naturate regolandrfi mediante^ i  pattile din quejti richiedendoli il confenfo dell'  una, e dell* altra parte, non riconofcain modo  alcuno un colai Dritto gli Eredi necejjar j , di  sui favellano te leggi Romane IL Che non.  offa miga ne repugna difporre in parte a.  tutto , dell * eredità ? giufiq il fentimento de*  Romani Qìureconfultì . III. Che V ere-  de , dato 'eh* egli abili a il confenfo , non  pojfq in modo alcuno ripudiare* , e rifiutar  1* eredità . E 11C Che fe il teflatore fi ha ri-  feriate il dritte di rivocare , ed annullare ,    T    1    DEL DRITTO NATURALE, afr  no , ed ogni frode , che vi poteatqai in-  correre ,* poiché r uno avendo deir altro  bifògno , molto aggevolmente rinveniva  a permutar quelch’e* voleii ; non però nej  progrefTò del tempo aumentato che fu di  . gran lunga 1’ Uman Genera , e crefciuto  cotanto, qual, voi di prefènte lo vedete , s  avendo la fperienza fatto conofcere a’ mor-  ’ » tali   • r • .    — — '—- 11 ; " — * ■ 1 1 ' '   la fua di fp opzione , pojja e vaglia molto ben  a farlo (7 ) ; Il perde uom vede manifepa -  mente , thè da quejio dritto non pano inniun  modo lodati , o approvati i tejiamenti , fen-  do per verità fomma ripugnanza , e contradiz-  ziòne , che un uomo voglia in tempo che non  può nulla volere , e che traferìfca il domi-  nio di una cofa , quando non ne fa piu padro-  ne , e f gnor £ ; e poco gli giova fe V abbia , o  quejìi , o quelV altrp ; fenza che il pii* delle  volte in quel punto ejìremo della vita , rinve-  nendoli ciafcuno in un Oceano di p afoni , e  turbamenti interni \p fanno delle difpojìzioni,  che dove veniJJ'e mai permejjò peravvetotura  r arretrarf , ed ejfere in buon JennOyf ave -  rebbe del pentimento , ejt vorrebbefertza fai -   io..   •  , ■ •   più affai degli altri projjìmi , /’ eredità pajft   di mano in mano dagli uni agli altri , cioè ,  pria in quegli in cui V affetto del morto fi ere -  de che fiato foJJ'e affai grande , e maggiore , e  dopo in mancanza di quefii negli altri , ver fio  cui quello fi crede chefia fiato minore , e cosi  di grado in grado , efiempre verifimile il cre-  dere , che in tal guifia gli uomini ri/petto a  ciò fi convennero, ed accordarono dal momento ,  in cui introdufi'ero i dominj , vedendofi utt  tal modo di fiuccedere in ufio apprefib le più  antiche Nazioni del Mondo , quali fiotto gli  Ebrei ed altri di tal fiatta (io). Comecché  rii petto afigli egU vifia un'altro motivo, oltre  ìl di già qui recato , per cuìfiano da anteporfi '   . ; . 1 ; ‘ ‘ . . nel-   . ' •   ' (16) Num.i 7 . 5 . feq. Genéf.if.j.j.tf. & 4S.; i.Deut.ij;   1 6. 1 7. 1 .Reg. 1 .jf ,Xenoph.Gycrop, 8.7.Taci t.de mor-Germ.  cap.zo ' v 1 ' . * »    s    Digitized by Google    I    af 8 DE’ PRING l P J  tutto ciò , che gli può mai efièr di meftieri  per le neceflità , e bifògne della Tua vita  Ma per ritornar col dilcorlo cola J donde ci  dirpartimmo , e favellarvi di nuòvo de’  contratti , eglino non efiendo , che meri  patti , in elfi vien richièdo Hconfenló del-  le parti dell* iftcfl'o modo , che li domanda  in quelli, e fono invalidi , e di niun vigo- '  re per le medelìme ragioni, come pere-  lem pio' , fe vengon mai fatti per timore ,  per inganno , o fistio in altra forma contra-  rj al Dritto della Natura . Quello però,  che tra quelli reputali per Io continuo ulò ,  ‘che gli uomini ne fanno il più celebre egli  è ilcontratto di vendita , e di compra,,  con cui per una determinata quantità di  danajo fi trasferire in altri il dominio di  cma qualche colà ; Quindi è fi. Chetraf* :  ferendoli il dominio del noftro in un altro  • . v t • ■ con     nelle fuccefftOni de* loro padri a ogni , e qua-  lanche altro , cioè V ordine divino \ e h legx *  ere del Signore Iddio , per cui venne Jìabih-  lo, ed % ordinato , che quegli ottengano > e abbia-  no per mezzo di quejìi la vita , e in confequen-  zu altreù li beni , fenza cui quella non po-  trebbe ejjèr a lor riguardo d alcun ujo »    Digitized by £»oc    DEL DRITTO NATURALE. a/ 9  con patto , e condizione , che quelli ci pa-  ghi una certa fomma , non li debba mai  conlègnar la cofa per cui fi è fatto il con-  tratto al dinanzi , che quella non lì abbia .   II. Che doveper lo dilatamento del paga-  mento provenghi danno al venditore , que-?. ‘  fto aver polla il contratto per invalido , e '  nullo, e farlo con chi più gli fia a gra-  do . III. Che dove il compratore lòdisfa , '  e paga il prezzo della cofa , giufta la con-  venzione al dinanzi fatta , il venditore fia  in obbligo , c in dovere confegnargliela ,  perdendo con ciò il dominio , che pria vi  avea ; IV. Che le fi abbia mai convenuto  di pagare dopo un certo tempo , richieder  non fi polla il prezzo , o domandare , pria  che quello non giunga V. Che venuto il  tempo in cui fi convenne pagare j ilcom-  peratore fia tenuto, ed obbligato farlo , al-  tamente debba per la dilazione, il danno ,  che peravventura ne proviene al vendito-  • re , rifarcire . VI. Che tutte le condizioni  unite , ed accoppiate a quello contratto di-  compra ,*e di .vendita fia di mefiieri lòdis-  farle ogni volta , che fian giufie , eque , e *  conformi al Dritto Naturale . VII. Che  rilàrcir lì debba aduom^tutto il danno,  che per quello contratto gli fi reca . Vili.   Che fe la colà venduta venga calvalmente   R a dan-    ( .    \    Digitized by Google    stè D E’ P R I N C I P J*  danneggiata molto ^emp° prima, che fia  . confegnata al comperatore, come che fi  fia il contratto di già ben fermato, fi debba  il Hanno rifornire , e rifar da colai , da cui  fimanc£; e fè la di (azione^ nacque da am-  be le parti , ambe altresrfon in obbligo di  rifornirlo.; anzi quindi fè n’ inferire, che  ]’ uomo efiendo tenuto di far ad altri qyell*  ifiefiò , eh’ è obbligato far a se medefimo,  debba l’ ufo del lùo , purché non abbia bi-  fognb e necellità ad altri, che ne fia mai  bifògnofo, concedere ;avvegnacchè in que-  llo cafo dandoli ad un altro il Co Io ufo della,     Gli non è fuor di propo-  fito il credere, che gii  uomini tutti per natura  Obbligati di vicendevol-  mente gli uni promuo-  vere, ed accrelcere il ben  degli altri * ed in ogni ,  c qualijnque cofa badar non meno al pi o-      DEL DRITTO NATURALE. .  prio, che al. pubblico »commodo, e TéiW  za difparità di Volere , o diverfità di con-  fcnfo,o co^ volger vieppiù ad uno che ad un  altro lo (guardo , amarli {a ) , fé a quello  obbligagione mai, come lor conveniva, (lu-  ' disto avedèro (odisfare, ed imperò, man-  tenuti fi fodero (èmpi e in una una (òcietà  universe, ed in quella , che dicono com»  rnunion negativa delle colè (.b\ > non fi  /farebbero Vidi miga bifògnofì portagli a  coftituir delle (òcietà particolari, d ’ alcune  poche in fìiora, npn volendo noi con quello  vocabolo di (òcietà altro intendere , eh’ un  •patto da due, o più perlone fatto per qukl-  ’/ che fine, o per meglio dire, per poter  con le forze dell’ uno , unite ^ e congiunte  a quelle dell* altro , procacciarli qualche  commune utile , ò vantaggio ; irpperócchò  dal momento, ch’ulàrono eglino, ed ar-  dirono di mancar a quedo , quella primfe-  ra communion delle cole tra edì , e’quella  (òcietà dilciolta , per non poter nell’ edèr  Uro più aver (ùdìftenza alcuna , fi (labili  in (ho luogo la communion pofitiva^ e non  guari dopo queda altresì , per aver la fpe-  liienza datala parimente a conolcere abbon- .  dante di mille , e mille incommodi , e di-   ‘ ' . fa-   (a) V. tratt. u i i . (b) V, tratt. 3 f.    Digitized by Google    ' .y    .* ? o DE* PRINCtPJ .  fagi difmefia , e lateia da parte dare, s’in-  trodufiero, come voi ben fàpete i domi-  ci ( c ) . E in apprefiò per riparare fé non  in tutto in parte almanco alle brfogne v e  alle necefiìtà, in cui ciafcuno, per quel  primiero difòrdine , e per quella poca ca-  rità , che l’uno all* altro portava , quali  in profondo , e tempeftofò mare nuotar fi  vidde , non 'che immerfo, conforme lì or-  dinarono de' commerci, e de’ contratti , co-  sì parimente mille , e mille fòcietà diverte,  e varie giuda I* umane bifògne metter in  piè fi viddero , ed apparire ; Il perchè do-  po aver noi rifguardato p uomo belli parta-  ti jioftri trattenimenti, pria telo nello dato  Naturale, e dopo di brigata con gli altri  in una fòcietà univerfaJe, veniamo or final-  mente a veder i fòoi obblighi , e doveri  In quelle ultime, con confiderar al dinanzi  la natura della fòcietà in generale, ed in ap-   • prertò difcendendo al particolare trattar a  fpiluzzo di quelle, che tra tutte tengono   * il primato , come infra le templici la con-*  jugafce, la paterna, e quella eh' è di pa-  drone e tervo comporta ; ed infra le meno  comporte le famiglie, come ‘infra le più  cómpoftede Città fono e le Reppubbliche .   (c) V- tratt.i.n.f. ■ .    ì    DEL DRITTO NATURALE. *?f  D, Di tutte adunque le' fodera del Mondo  non lu eh’ una lìdia l’origine , perchè tut-  te, giuda il voftro avvilo, non sìmifero  . in piè , nè fi formarono , (è non fecondo le  diverfe neceffità , e bifogne degltuomini ;  anzi in tutte altresì fi ebbe uniitefiò fine ,  perchè non fi rifgtiardò ad altro , fe non al  commodo, ed utile commune de’ feci. Ma  quali feno le fecietà particolari , che fareb-  bero fiate mai nel Mondo in ufo , fe mante-  nuta fi fofiè ben falda , e fiabile la fòdetà  Univerfale ( A ) ?    .. - n *    ( A ) • Egli è fuor di dubbio , che gli uo^  mini, ejjendo tutti in obbligo, ed in dovere  d ì amorfi a vicenda ; e /’ urto come noti nato  per se medefmo , dovendo non che approprio ,  anche all ’ altrui commodo badare ,. quando  cib tutto efat tornente ojfervavano , non veni-  vano a comporre che una focietà univerfale jj     fa f dica V Eineccio , il quale tutto /caglian-  do}! contro il Puffendorfo , che tratti avea , e  d* affai malamente inferiti tutti gli obblighi ,  egli umani dover ide Ila focieta/f oggi tigne to-  fo ch\ era ucm tenuto foddisfar a tutti quegli^   che    Digitized by Google    a 7* DE’ P R I N C I P J   Là coniugale , e la paterna , fe pur efièr  non Vogliate del fèntimento de’ ftoici , che,  come racconta Lattanzio, che fi credevano,^  gli uomini vitti fi foderò dapprincipio  . fpuntar fuor della terra , 4 come or veggia-  ino nafcere li funghi ; onde per aver un  v idea ben chiara , e netta delle focieta, di-  ftinguer fi debbono alla ftefià guifa , che  fatto abbiamo de* patti , in quelle che pro-  vennero dalla mancanza di fcambievole af-  fetto, ed amor infra gli uomini, ed in quel-  le, che furono in ulò per al dinanzi , come  da ciò , che apprefiò ne diremo aggevole  fia il comprendere . ;   D . . Or    che riguardavano la giufiizia , V umanità  e la benevoglienza anche fe Jtato foffe pior di  cotal focieta ; imperocché fecondo la definizio-  ne della focieta , che qui fopra abbiam noi re-  cato , e eh ’ egli non mette in dubbio , fi gli  uomini ciò fatto avefièro,come conveniva , fen-  za difeordar punto tra efii lorojhe altro egli-  no venivano a comporre , fe non una focieta ?  anzi da quel che noijquì fopra dello fiato Na-  turale abbiamo mojiro , fi viene parimente a  conofeere la mel'enf aggine di colobo, chef cre-  dettero gli uomini in quello fiato vivuto avef-   f>'°    Digitized by Cookie    DEL DRITTO NATURALE. * 7 *   £>. Or per verità ne’voftri principi rinvengo, .jj  li. lènza alcuna pena, la natura della focietà in  generale ; imperocché ogni focietà non efi  - fendo , eh’ un patto fatto da più fedone  unite infieme perpcocacciarfi tutti cori un  concorde volere qualche ben commune, o - 4   utile , fi può cop tutta ragion conchiùde-  re . I. Che la felicità della focietà in al-  tro non confitta , che in non rinvenire otta-  colo alcuno , o intoppo in far quell* acqui-   S tto,*   - •    »   fero • allo 9 uifa delle fiere , e degli animali  Jelvagai ; e che •   Nec commune bonum poterant (pela-  re, necullis • ^   Moribus inter fe feiebant , nec legibus  uti ( 1 ) .   Comecché quanto ne feriva il Puffepdorfio y  ( a ) ed Obbes ( 3 ) , non fa dì minor fojle -  gno : perche molti malori , come la povertà ,  la fame , ed altri sì fatti , di cui eglino dico -  no , che fopr abbondati fojjero quegli , che vif  fero in quella età primiera f veggeno altresì  Jòvente nelle focietà civili , in cuborS è divi-   fi   1   (0 Lucret. I. 4 . v.jr?. ,   (*) De oft‘. hom. & civis II. 1. 9.   (Ó DeCiv. dt in Leyiath. Js ‘    Digitized by Google    *74 DE’ PRI NCI P J ,  ito, per cui fu Inabilita . II. Che fi deb-  ba da’ fòcj metter ogni cura , e ftudio in  far tutto ciò ; che può mai efiér per la lor  fociem di qualche utile , o vantaggio con  anteporre mai Tempre il bene proprio al  ben commune . III. Che non, fi polla (cior  i ih niun modo d’ alcuny di quegli ,• che vi  ; « tòno al di dentro^fenza il contento degli al-  tri , purch’ egli non vi fia fiato introdotto  o per forza , o per inganno, o per timore, o  non fia élla contro ildritto, e l’equità Natu-  rale , ovver da'ciò a’ compagni non avven-  ga alcun danno . IV. Ch 9 ogni focietà fi  finifcha, ottenuto che fi ebbe il fine,per.cui  fu fatta", come .ogni patto eh 9 è fia, vien    che un  uomo è obbligato inverfo !’ altro uomo;  e che conforme due , o piu perfone afloc-  ciar fi pofiòno, ed unir tra dì. loro per com-  porre una focietà , così due, o pm focietà  unite per un medeCmo fine ne poflon far   ■ un’altra. Ma pollo per vero tutto ciò, eh   a ogni focietà appartiene , venendo a quel-  la di cui voi vi fietc propofio tenerne me-  co un particolar fermane , come detemte  di grazia la focietà coniugale ? -   per una lòcietà molto femphee ,   ni. ta da un mafchjó , ed una donna a fin eli  poter procreare , e generar della prole , ea   affai ben edurcarla . . ,   V. Vaglia il vero per favellare fecondo li  vroftri principi fazioni noftre Naturali fa-  cendo meflitr, che convengano fempre , e  concordino , con quelle che fono in noftra  balia, e arbitrio (/)■ e il coito degli am-  mali , o fia la congiunzione tra rnafemo ,  e femina , efTendo fiata dalla Natura in-  di tuita, ed ordinata per la propagazione, e  ■ confèrvazione della fpezie (g ) , e per ciò  adoperar dovendoli dall’uomo, per quel  che da lui dipende, per quefta ifiefià ragio-  ne , quella lòcietà , dove non f»a formata  che per quello riguardo , non v’ha dubbio    ( t) Tt’AttfX.n^    (g) Traf    Digitized by Google    DEL DRITTO NATUR ALE. 37 /  chV fia lina delle fòcietà conforme del tut-  to a* principi della Natura; ma effondo cia-  fcun in dovere , ed in obbligo d* amar 1* al-  tro non meno di lui medefimo ( h ) , ed im-  però convenendo , che di quelli, che fi  veggono di recente u/cir ( alla luce del  Mondo , e che non fanno se medefimi edu-  care fi abbia tutta la cura , e la diligenza  pofiibile ; cui quella fpetta di ragione ? .   M. AUi medefimi loro genitori , poicchè ef-  fondo quelli in vita, non v* ha ragione alcu-  na perchè una cotal briga addolfar fi debba  ad altri;onde la procreazione di nuova prò. • *  le, non potendo in modo alcuno , fopararfi  dalla di lei educazione, in quefta fòcietà  coniugale aver fi deve nonmen 1* una che  T altra ( B ) per fine ; avvegnacchè come  da quello ifiefiò, che detto abbiamo altresì  ben fi comprende , quegli foli fiano tenuti  li padri educare , clje nafcono da congiun- /  zioni befl certe, e leggitime, e di cui vivon   S $ fi»-   (h) Tratt.i.Hsi.    (B) Quindi •viene , che fiano inabili , a  formar una tal focietà tutti , coloro , che non  fono atti non meri per la propagazione de? fi -  gli che per la lo* educazione .   •V r ,   /    Digitized by Google    278 DE* p R I*r C I*P J '  ficuri eh’ eglino fteftj fi furono, gli autori .  V. Credete voi , che per un uotno pofla ba-  ” fiar una donna c per una donna un uomo?  M. • Efiendo il fine di un? tal fòcietà la pro-  creazione , quello egli non è miga da met-   • terfi in dubbio, pqtendofi in cotal guilà   • lènza alcuna malaggevolezza ottener un   cotal fine . - ' .   D. Ma vi è modo da /ciotte sì fatta lòcietà ?  M. Nò ; imperocché ogni fòcietà difeiorfi  • non potendo pria , che fi abbia ottenuto il  fine per cui fu inabilita', comeabbiam noi-  detto al dinanzi , ed in quella efiendo me-  1 {lieti non folo 'procrear della prole j m* al-  ' tresì adoperarli di ben educarla-, e perciò  fare , e ridurla in un fiato , che non abbia  neceflìtà alcuna de’ genitori , abbifognan-  doviilcorfò di più, e più anni continuo,  e’ convien che fi mantenga da’ lòcj lunga-  -• mente , anzi fi conferva fin- alla Ior morte,   > e lalcino quella erede de’ proprj averi, Co-  me Una lèquela della vita , che per mezzo  di efiì ottenne .   D. Dunque quefia lòcietà naturalmente è in-  (òlubile ? •   M. Infòlubilifiìma • non efièndovi altro, che  - l’ adulterio commefiò da un de’ coniugati ,  che render pofià giufto in qualche modo,  e ragionevole il luo fcioglknento ; cioè , le   la   t-    Digitized by GooLle     DEL DRITTO NATURALE. *79  la donna , o l’ uomo , venga mai a conce-  k ' dcr ad altri , che ne fia al di fuora Tufo del  filo coi^o , e della fiia carne ; imperocché  in quello calò lòlo da un di quelli venen-  doli .contro' il patto fatto nella foci età ad  operare, e .ogni patto intendendofi fatto  • con condizione di adempierlo , dove F al-  • tro, con cui vien fatto non manca dal filo  ■ canto altresì far il medefimo , quello (la la  donna , lià 1* uomo , cui non fi oflerva la  fede non è in dovere neppur dalla fua par-  - te di olfervàrJa ( C ) ; in guilà che fe ciò  non avviene, egli s’intende la lòcietà di nuo-  vo contratta, ed inabilita .   D. Of il di più , che mai appartiene alla na-  tura di quella focietà io ritrovo , lènza du-  rar fatiga', negli flelfi volìri principi impe-  rocché da quegli vengo naturalmente a  comprendere . I. Ogni focietà altro in  realtà non effendo , eh’ un patto,* e nelli  ... S 4 pat*»   •   « •    • (C) Qui favelliamo foltanto fecondo li  lumi della Natura ; imperocché la nojìra J^e~  ne randa , e Santa Religione neppur in quejìa  cafo permette un vero e perfetto fcioglimento l  ma foltanto una femplite fepar azione di ma-  rito , e moglie , quo ad thorum .    y Digitized by Google    *8o ' DE’ PRINCIP J*   patti richiedendofi di neceffìtà il confènlò  di coloro , da cui fon fatti, non fi pofià que-  lla lòcietà coniugale cofiituire in modo al-  cuno fenza il conlènfò di coloro , che la  contragono; o che qualunque volta que-  llo fi fu dato Iciorre non fi debba in anprefi-  . fo da una delle parti, fenza il conlènio dell’  altra; ed al rincontro dove quello manca  o vien dato forfè per inganno , o per timo-  re , o per altra sì fatta guilà,’fia invalida ,   • e di niun valore , come ogni patto fatto in  . quello forma ( i ) . IL Ch’ efiendo ogni  uno , eh’ è nella focietà obbligato promuo- .  Vere il vantaggio e l’utile di quella infic-  ine con l’ altro , ed impiegarvifi dal canto  Ilio , quanto più vaglia , debbano il mari-  to , e la moglie operar dheoneerto fèmpre  a lor prò commune , e de’ lor proprj figli  con trattar del continuo, lènza mai celiare  di augumentare , ed accrefcere quelche  può efier mai necellàrio per li bifogni,e per  • gli aggi non meno proprj , che di quegli,  pur che far lo pollano lènza mancar in nul-  la agli obblighi ,e doveri, cui naturalmen*  te e’ fon tenuti lòcjisfare . III. Che per  quella médefima ragion per cui conviene  ch’ i focj operino concordemente tutt* ora   . ♦per   (0 Tratt.i liutai    Digitized^by Coogle^    DEL DRITTO NATURALE. i8r  per il bene della lòcietà, 1* uno rimetter do-  vendoli al confèglio , ed al parer dell’ altro,  ogni volta che quefto fi conofcd più vanta g-  gielo , e profittevole del luo per quella ,  faccia mefticri che la donna nella lòcietà  coniugale per torre , e levar di mezzo ogni  materiali rifie , e di piati lègua il coni-  glio dell* uomo , e l’ ubbedilca in tutto ,  efièndo quefto il* più delle volte di lunghi^  fimo Ipazio vie più di lei di buoni conigli  abbondante , e d' ottimi efpedienti fecón-  do , come che non fia cola miga fuor di  propofito, quando bilògna , eh’ ella altre-  sì ammoniltha il marito, purché far lo.làp-  pia a luo tempa, e luogo, lènza moftra  alcuna d’ autorità , o d’ impero IV. Che  non potendofi aver per perfètta , e com-  piuta l’educazione, lè non dopo, che i.  figli aver poflòno un’ intera cura di se me*  defimi , fiano tutti li Genitori obbligati di  locare , e maritar lé figlie con una dote  congrua , e proporzionata al proprio flato .  V. Ch’ ogni lòdo efièndo mai lèmpre il'  padrone di quelche del luo abbia nella lò-  cietà portato , e non perdendone egli quel  dominio , eh’ al dinanzi n* avea , nè di que-  llo all* altro lòdo competer potendo mai  nell* altro, làlvo che 1* ulq frutto, non pofià  il marito nella, lòcietà coniugale de’ beni    t    * Digitized by Google    *Sz'' DE’ P1UNCI P J    (13) Noft.Att.lib.xn.cap,i* , ,    zed by Googh    Digiti;    V    *88 T> E* P R I N C I P j :.  obbligo di far in modo , che P azioni de*  proprj figli fiano regolate, e rette giufta  al dritto della Natura , egli è meftieri da  buon ora P avezzino e P accoftumino in  guifa che non manchino mai di foddisfare  . a tutti gli uffizi, obblighi, e doveri che  devono inverfo.Dio, inverfò se ftefiì , ed in  vetfò gli altri, ed acquietino in.ciò col tem-  po P abito ; apzi per far che non abbiano  tuttora bifogno di loro , e badar pofi-  fano eoi tempo a tutte le bifogne , e le ne-  ► ... cef-    . principio imbuta paternis fèminis concretio-  tie, ex matris etiam corpore, & animo re-   centem indolem configurat ; Neque   in hominibus id fòlum , fèd in pecudibus  quoque animndverfum , nam fi ovium laéte  haedi , aut caprarum agni alerentur , conftat  fcrme«in his lanam duriorem , inillis capil-  ium gigni tèneriorem . In arboribus etiam ,   & frugibus major plerumque vis , & poteftas  eft,ad eorum indolem, vel detreèfandam ,  vel augendam , aquarum , atque terfarum  quae alunt , quam ipfius , quod jacitur fèmi-  nis . Che empietà £ qi/efìa egli figgi ugne ì  che modo dì madre imperfetta ? peperifie , ac  flatim ab fefè abjeciffe ? aluifie in utero fàn-   gui-   * r-   » #   v •# i»  tut-   •* » • *   *. • ' %   , • Digitized by Google    390 D E* P 8 I N C.I P Jw   \ proprio arbitrio efièndo fiato dato a* padri  per non faper quefii da se fiefli ben regge-  re   i ■*   J ■ • ‘ ..* • • ' ‘    tutti , e come cofa che richiede molto dipen-  denza , molto malagevole afarf. Egli vie n 1  riferito da Xenofonte , fecondo che fcrive Ci-  cerone (14), Hercole tantofo , che princi-  piò a fare la prima barba , tempo , che fu a  cìafcuno dalla natura dato proprio per, eleg-  ger f qual fato di vii a f debba tenere , efer  gito in un certo luogo f alitar io., ed ivi.pff  *a federe , aver molto tra te, e lungamente ,  dnbbitato in qual delle due frade , che egli  avea dinanzi , dove a muovere il piede , e fe  per quella del piacere , 0 della virtù j   dato , eh' una tal podefià tratto avejjì /* ori-    Digitized by Google    3t 9 4 D E r PR'TNCIPJ  chè quelli , che per quanto intefi comunal-  mente , fi nominano tutori , Succedendo  realmente in luogo di quelli , è meftieri ,  eh’ abbiano di necefiìtà quell* ifiefiò penfie-  ro , e quella fiefla cura delle perfòne , le  quali vengono lor commeflè > o per me-  glio dir de’ pupilli , che n’aveano quegli vi-  vendo , e ne amminiftrino gli avveri lafcia-  * ti loro; ed al rincontro egli è colà d’ affai  convenevole , che i pupilli inverfò i tutori   fi    gì ne dal dritto delle Gentile ''me che non fia mi-  riore quello del Obbejio^e del Vuff'endor fio grat-  tala quejìì dalla focietà , e quegli dalla oc c li-  bagione ; vagliti il vero è di gran lunga viep-  più -ragionevole V oppinion di coloro , chevo-  * gliono ^ cF ella provenga totalmente da Dio ;  ^perchè quefìi volendo che i figliuoli fi conser-  vino in vita , e ciò non effendo co fa che poffa  in alcun- m r do avvenire fenza V educazione  de * loro padri , egli fi crede , che Dio voglia ,  ■ alt r eiì che li padri badino attentamente a  quefìo , ed in conjeggienza abbino tutta quella  pode/tà che naturalmente a ciò Jì richiede , non  effe n dovi alcuno , che voglia un fine , fenza  thè 9. elio Jìeffo mentre non voglia parimente  i mezzi, che a giu gner vi , e\ reputa nedffarj .   •    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 2 9r  •* fi portino in quello ifiefià guifà , eh* e* fi  portavano inverfò i proprj padri ; quindi  conforme i contratti de’ figli di famiglia  fènza il confènfo paterno fon nulli, ed inva-  lidi , così altresì quelli de’ pupilli , fènza  1’ efprefiò , e tacito voler de’ tutori ; e  come per li benefizi , che i figli dalla buo-  na , e ottima educazion de’ padri ritrag-  gono , devono efièr in verfò quegli fèmpre.  mai riconofcenti , e grati , così li pupilli  per la medefima ragione ogni fòrte di gra-  titudine devono inverfo i tutori ufare , ed  ‘ amarli , e temerli , edubbedirli , come a •  quegli appunto faceano; (ebbene non com-  petendo a’ tutori de’ beni de* lor pupilli al-,   * tro , che 1* amminiftragione , e la podefià  v di confumar de’ frutti , quanto può efièr  mai necefiàrio, ed utile alla lor buona edu-  cazione , alienar non pofibno degl’ immo-  bili nuli’ altro, (alvo quello, che perciò  fi richiede , e che non alienato , 0. (mal?  dito, farebbe fènza fallo per quelli di un  gran nocumento, e difeapito; colà che ,  ‘mi crederei , nello fiato della Natura pria  non fi facefiè , che refi non fè ne fofièro  fidenti , e confàpevoli gli agnati , e gli pa-  renti ; ed in difetto di coftoro quegli della  medefima contrada , o vicinato,. o gli ami-  ci del trapalato per dilungar da se , e tor-   T 4 re   ' ’ •    4 #•    Digitized by Google    *9* DE' PRINCIP]   re ogni qualunque cattivo „ e finiftrotò-  /petto , che altri mai formar nè potefiè;  poiché in realtà al Mondo non bada miga  che fi operano da noi, e fi facciano delle colè  ben giufie,ed eque,* m’abbifògna altresì, che  tutti 1* abbiano per tali ; H perchè non è del  tutto fuor di propofito per 1* iftefia ragione  creder parimente, che in quello ifiefiò fiato  i tutori portati fi folfero a render un ben  efatto conto , e ragione della lor ammini-  ftragione in un tempo fiabile, e certo,* come  a dire, compita, che fi avea la tutela a  quefti ifieffi , che al dinanzi cennammo ;  c che non fiando bene danneggiar veruno ,  ed imperò dove avveniva, che li tutori ren-  deano qualche danno a’pupilli, effondo te-  nuti di ri fa rio, quando di ciò fi avea qualche  fofpetto , niuno lènza il contentò di quegli  conveniva prefo avelie una sì fatta ammi-  niftragione.Tuttavolta non elfondovi alcuno  in obbligo gratuitamente, e lènza mercè al-  cuna d’impiegarfi per un’altro, dove perav-  ventura avviene , che li pupilli , per una  buona , e foggia condotta de’ tutori ven-  gono^ farli vieppiù ricchi,ed abbienti , egli  fembra , che debbano in ogni modo , ab-  bordando delli flutti dj quelli beni, che  quegli amminifirano , compenforli in qual-  J che parte al manco, te non in tutto della I05    DEL DRITTO NATURALE, àft   efatta diligenza ; avvegnaché in fatti do  • ve quefti frutti*, o beni che fiano, non ba-  ftano per la buona educazione , egli è di  vero una colà molto ingiufta, ed iniqua , il  j ciò pretendere . Finalmente comunque ciò  fia,da quefti medefimi voftri principi fi ri-  trae, giunti , che quefti fi veggono a fàper  ben diriggere, e regolar se medefimi , Fin»  compenza de’ tutori termina , e viene a  fine , come nello fletto mentre a terminar  verrebbe , e finire la podeftà de’ padri , il  luogo di cui eglino , come noi abbiam te-  fiè detto , occuparono . Ma (è per avven-  tura al figlio nello flato Naturale il padre  lafciato non avette tutore alcuno , chi cre-  dete voi che ne dovea imprender la cura ?  M, Gli agnati, e li più profiìmi , ed in man-  canza di coftoro gli amici del morto , o gli  più vicini , cui fecondo che voi fàggia-  mente detto abbiate , da* tutori dar fi do-  vea conto della lor amminiftragione , fèn-  do ogni uno in obbligo , ed in dovere per  quelche v* hò più fiate moftro, far per gli  altri , quelch* e’ vorrebbe , che quefti fà-  ceflèro per lui ,* anzi quindi ne fieguepa-'  rimente , che dopo il total dipartimento  delle colè, coftoro altresì fiano in obbligo  ed in dovere di fomminifttar a* pupilli  il Accettano per la lor educazione , e   » •>    t r   •i    298 D E’ P R I N C I P J   iòfientamemp fé gli averi de’ Ior genito-  ri , non fian perciò rhrga' (ufficienti , e ba-  fievoli , o di quelli affatto nulla fe ne rin-  veniffe . * • . - .*   D. Spiegatemi 1* origine della lèrvitù , ed in  Vl.che confida la lòcietà , che fi forma di pa-  drone, e fervo. v   M. Molte moltilfime fiate abbiam di già noi  detto , che introdotte le fignorie , e li do-  mini delle colè , gli uomini per meglio po-  ter (occorrere , e (ovenir alle lo r gravi ne-  ceflìtà, e bifogne, portati fi fodero ad infti-  tuire , e rinvenire una infinità di ben dif-  ferentrcommercj per permutar a vicenda  tra di lóro non Che quelle cofe, con quelle,  una fpezie altresì/) un genere di travaglio  con un’altra (pezie,o genere molto divel la;  Or tuttociò foppofto per vero, egli e veri-  fimile, che facendo quello, rinvenuti fi for-  ièro pur infra di elfi di quegli, che fi con-  vennero in modo, gli uni agli altri fonami-.  niftrato aveffero , e dato il vitto , 1* abito,'  ed ogni altra colà dsl Mondo necedaria al  proprio foftentamento , ovver qualche giu»  Ha mercede, e quefti per quegli intanto  impiegati fi fodero con tutta l’ induftria e  la diligenza podìbile in colè lecite total-  mente , ed onefte ,* e che così paffj padò  - introdotta fi foffe tra il Genere Umane)   que-    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 29*   / quella sì fatta -focietà , che fi forma di  padrone , e fervo ; poiché con ciò in fin noi  altro intender non vogliamo *, che un pat-  to in tal guilà , e con quello fine , da due,  o più perfòne fatto y fervi propriamente  giuda la commune favella coloro nominan-  dofi , o ferve , che per altri impiegano il  Ior travaglio, e padroni, e (ignori al rincon-  tro quegli in utile , ed in vantaggio di cui  lo s’ impiega, e che fon in obbligo ed in do-  vere di fomminifirare a quegli quanto allor  foftentamento fi richiede; comecché oltre  quello genere de’ forvi refi tali dalla natu-  ra (leda , che foggetta mai Tempre il peg-  giore al migliore , egli ve n’ abbia un’al-  tro diverfo , eh’ è di quelli , che divennero  - tali per legge , come per 1* appunto fon  tutti li (chiavi di guerra , che fervono lèn-  za aver fatto al dinanzi col padrone patto  alcuno. * v' .   D* Li doveri dunque , ‘e gli obblighi de’ for-  vi , e de’ padroni , riduconfi tutti a quello*  cioè , che formando eglino una focietà ,  la quale non confitte in altro in fin , che in  un patto, e li patti tutti conforme al dritto  della natura dovendofi ottèrvare , debba-  no i forvi efoguire tutto ciò,ch’ è lor impo-  1 Ilo , ed ordinato da’ padróni; e non è nè al-  le leggi , nè al patto fatto con etti opp; fio   o con-    Digitized by Google    3oo DE’ P R IN C IP J  «contrario; ed quelli fiano in obbligo al  rincontro , e in dovere di fomminiftrar lo-  ro tuttociò , che può lèrvire in qualche  modo per le lor perlòne , giuda la lor pro-  metta ; in un motto il bene di un lòcio in  ogni lòcietà preferir dovendoli, ed antepor-  fi a quello d’un* altro , che n’ è al di fuo.  ra , devono i fervi per li padroni , e quelli  per quelli far tutt’ ora quantunque più  poflòno , e vagliono con preferirli e ante-  porli a qualunque altro del Mondo ; e per  che non v' è patto che fcior li pofia d’alcu-  no lènza il confenfò dell’altro tra cui inter-  venne, non può in niun modo nè F uno  lalciar 1* altro al dinanzi del tempo (labi*  lito , e fidò , nè l* altro I* uno ; Ma come   • volete voi che i fervi impieghino in tal   • guifa la lor induftria peri padroni, che  del tutto non badino al proprio ?   M. Senza difbbio quando fono in ozio , e  lenza occupazione alcuna di rimarco de*  lor padroni, pottòno far quelehe vogliono-  . non potendo ciò per quelli ettèr d’ alcun  nocumento ; ma ettendo occupati , ed in  negozj gravi diltraer non lì pottòno in nul-  la, fenza aver il lor conlènlò.   D. Perquelche rilguarda gli Schiavi, fon  eglino al tri/ come li fervi tenuti di dar elo-  cuzione agli ordini, ed alti comandi de’ p*.   ; • “ ' dro-    4 -    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 301  droni ; purché quegli fian giufti, ed onefti ,  ed abbiano eglino forzg bafievoii , e luffi-  1 denti -per efeguirli ; differilcono però mol-  to quelti da fervi in ciò , ch$ a* padroni in  elfi competendo quell’ ifteflo dominio, che  anno nell’ altre colè loro , eglino vagliano  ad alienarli e venderli altresì , come que-  lle; comecché un cotal dominio efiendo  molto limitato e riflretto dal dritto Natu-  rale , e non convendo in modo alcuno ap-  partarli da quello, non venga mi ga lor  permeilo , come di tutte l’altre colè , Rab-  buiartene; quindi è che proveder li devono  di tutto quello, che al lor follencamento  fi richiede , e rattenerfi da impor foro del-  le cole luperiori , e al di lòpra delle lor  forze , o che ridondino in qualche modo  in dilcapito della lor fallite ; Il perche al-  tresì dove quelli peravventura fi molìrafiè-  ro redi , e ripugnanti a’ commandamenti  de’ padroni, lèbbene ufàr fi pofiono contro,  loro tutti li mezzi poffibili del Mondo pgr  ritraerli all* ubbedienza , ed all* ofièquio a  quelli dovuto, non però mi credo, che met-  ter fi debba in obblio,ch’eglino fiano uomi-  ni come a noi , e per conlèquenza mancar  all’ amore , eh’ agli altri fi deve .   2 / 1 . Ma vaglia il vero promuover dovendo  ogni uno la felicità , ed il commodo altrui   non    «    Digitized by Google    3oi DE’ PRINCIPJ  non meno eh’ il proprio ; perche lo flato  d’ una fefvitù perpetua , ed illimitata por-  ta feco molti, moftillìmi jncommodi , poi-  . che è di leggieri converter fi può e palìàr  in abbuiò, non fi deve permetter molto vo-  lentieri, 0 sì indifiintamente, che vi fi lafci-  >no marcir coloro , che liberi potrebbero di  lunghiflìmo fpazio giovar a le ed agli altri.  D. Reputate voi del tutto inutili li /chiavi  rer una Reppublica , o per una Nazione?  M. Nìa;( H ) anzi ne potrebbe ella dedurre  molto utile e vantaggio , con ritraerne una  infinità d’abbitati per le colonie,e farne al-  tri buoni ufi; ma farebbe egli meftieri, che  da legislatori fi raddolcifiè in qualche mo-  do lalor {chiaviti! , e fi trattali renderne  la idea, alquanto più dilettevole ; con pro-   # veder perefcmplo alla durezza de’ lor pa-   * droni , con afficurarli del notrimento in   • tempo di vecchiezza , o infermità , con fa-  . vorir'li lor matrimoni , e con altri sì fatti   . modi , per non incorre in quegli inconve-  nienti , eh’ incorlèro rilpetto a quefto par-  ticolare i Romani . • -   : D. Ve-    (H) Vedrebbe • altresì per alcuni la fobia-  vitùfervir d* un gran mezzo per dilungarli  dal male .    * Digitized by CjQOgl      DEL DRITTO NATURALE. 303   V. Veniamo ora a trattar della famiglia.   M. Quella come noi dicemmo, è un corpo, o   VII. una fòcietà comporta di quefie fòcietà per  l’appunto, di cui abbiamo fin adora fa-  vellato;comecche porta fòrmarfi ella di tut-  1 te , e tre quelle unite in uno , o di due fòl-  tanto ; e nel primo calò T abbiamoci real-  mente per aliai ben intera , e perfetta ,nel  fecondo per imperfatta .   D. A cui credete voi ; che appartenga di ra-  gione il governo di una sì fatta focietà ?   ÌM. Al padre , e alla madre di famiglia , che  fono quegli rteflì , che nella fòcietà coniu-  gale portano il nome di marito , e moglie,  nella paterna di madre , e padre , e nella  fòcietà ,-che fi compone di fervo , e padro-  ne , eglino fi nominano padrone , e padro-  na . ■. ù   D. Riguardo al padre di famiglia io ben mi  perfùado, che convenga egli fia il capo  della famiglia , per la rtefia ragione , che  Vuole il marito fia il capo della fòcie-  tà coniugale , il padre della paterna , r ed  il padrone in quella che fi compone di lui  e fervo ; ma per quelche s’ appartiene alla  madre , io non comprendo , perche vo-  gliate altresì, che fia fatta ella partefice  di quella fòvranità?   flf, Dubbitar non potendoci , che alla madre   non    Digitìzed by Google    3 o4 'DE’ PRINCIPJi .  non competa naturalmente parte della po-  defià , e dell’ autorità , eh’ al padre com-  . pete ne’ figli, e come padrona parte di  quella , che ha il padrone ne’ fervi , e nelle  ferve ; e che poflà ella altresì quando con-  venga ben configliare , e ammonire il tuo  marito , egli è certo che debba altresì di  ragione efler fatta partefice del comando ,  eh* hà il padtedi famiglia , o per efpreflò ,  o per tacito confenfò di coftui.   D. Quali fono li doveri , e gl’ obblighi di un  padre , e di una madre di famiglia ?   M. Ogni focietà avendo un certo fine pro-  prio , per cui fù inftituita , ed ordinata , e  dovendofi in effa attentamente Tempre mai  a quefto badare , ed aver l’occhio, dove far  fi può lènza contrariar in nulla alle leggi  naturali j in ogni famiglia tutta la dili-  genza , e tutto lo Audio impiegar fi deve  in far , che 1* azioni di ciafeuno ficrno in tal  fatto modo regolate , ^ rette, che il fine  d’una focietà s’ ottenga fen za edere di  danno alcuno , o pregiudizio all’ altra j e  confequentemente il dovere, e l’obbligo  d’ nn padre, o d’una madre di famiglia, che  camanda in nome di quello , cui sì fi deve  tutta la poteflà, confifter deve in fare, che  tutte l’ azioni de’ Tuoi domeftici colpifca-  _ no concordemente , e con ordine un mede-   mo    Digitized by Googj^.    • /-    DEL DRITTO NATURALE. 30 r  moline; cioè rifguardino univerfàlmente  all* utile , e al commodo di tutti fenza ri-  ferva, o eccezzion alcuna di perfòna; quin-  di dove abbia peravventura *una fol fiata  quelche far fi debba a ciafcuno importo , e  ordinato, e* non deve a patto alcuno impu-  nemente lafciare , e fenza galligo quelche  fi opera , è fi fa in contrario; e perche  ogni fòcietà fi rifguarda come una fòla  perlòna , e il commodo , e 1* utile di ciaf-  cun de 9 focj merita pofporfi a quello di tut-  ta la focietà,egli fi deve nella famiglia tan-  to dal padre , quanto dalla madre di fami-  glia anteporre fèmpre la fàlute di tutti ir»  . generale a quella d 9 alcuno in particolare ;  come che trattandoli d 9 eflranei preferir fi  debbano a quelli ed anteporre tutto tempo  quegli , che non fian tali.   D . Quali fono gli obblighi, e li doveri de*  domeftici ?   M- Per dir tutto in un fòi motto , eglino in-  gegnar fi devono di non lafciar occafione al-  cuna addietro fènza non promuovere il  commodo , e l 9 utile cominunedi tutti del-  la famiglia , e di ciafcuno in particolare.   V. Or in fine palliamo alla fòcietà civile , e  VlII.procurate in ogni modo, eh 9 io n’ abbia  una idea d 9 aliai ben chiara , e netta.  jW. Qjicfla nonè a eh 9 una fòcietà comporta   C V di    X    'Digitized by Google    J    t   E   | 3 o$ DE* PRINCIPJ: ;   f - di più famiglie congiunte, ed unite tutte in   uno a poter inlìeme vie meglio promuove-  re , e portar avanti il lor ben comune, e  per mettelli in iftato da poter con magior  aggevolezza difenderfi , e liberarli dagli  inibiti, ed aflalti de 9 proprj nemici ; impe-  rocché edinto , che li viride infra gli uomi-  ni quel cado, e fànto amore, e quella carità  fraterna, e lènza elèmpIo,che giuda più , e  più fiate dicemmo, l'uno all’altro dapprin-  cipio vicendevolmente portava, prefo aven-  do ogni uno di gir a lèconda delle lue pro-  prie voglie , e delle fue isregolatezze , con  aver in odio, ed in abbonimento il compa-  gno , l 9 amico , e fian anche il più a lui  congiunto di languc, o di patentato ,• e  perche 1* obbligagione di quelle fante leggi  che indentro a fe portavano , e nel proprio  feno ilcolpitc,ed imprefie,non badavano in  modo alcuno a rattenerli , ne a reprimerli,  e per efièr tutti uguali di natura e pari, ne  Giudicp , ne Magidrato rinvenivafi dinan-  zi cui metter termine fi potelTe , o dar  fine alle lor contefe , da per ogni parte,  non ufandofi altro , che forza , e furore , e  fovente imperò venendo P innocenza op-  prefia,eogni giudizia sbandita e lafciata  jn un cantone; rare volte , o non mai rinve-  nendoli una famiglia in idato da poter op.   porfi    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE , 507  porli , e far farsa alle violenze , che da*  fuoi contrai] fin nel fa 0 proprio , e nazitf  albergo l’ erano a tutto poter commefie ,  molte moltiflìme famiglie in cui allora ve-  niva devi fa il Mondo, per torfi da tanti , e  sì gravi rifchi e perigli li unirono, e fi ob-  bligarono di difenderli ; e rilèrvandofi la  libertà di poter dire il lor fantimento nelle  rilòluzioni delle cofe di magior rilievo, che  fi prendevano jn nome di tutta la commu-  nità, diedero per lor maggior pace , e quie-  te , il governo della lor facietà , e P ammi-  nifi ragione a uno , o più per fanne , d’ af-  fai più prudenza, e coraggio degli altri (I)   D. Vi è farle noto quando cominciarono que-  lle focietà al Mondo?   fll- Nò comeche abbiam ogni ragion di  credere che per un lungo tratto di  tempo, non vi fòdero fiati delle Monar-  chie, e degli Principati di gran valliti , ed  eftenzione ; imperocché quanto più in die-  tro fi mira, e fi pon mente alla ftoria de*  / V a pri-    ( I ) Cosi appunto rifurono le Reppubbli-  the de%li Oriti , e dì molti altri apprejjo U ,  Diluvio , come j * -imprende dalla Storia del  vecchio tejlamento.    Digitized by Google    3c$ DE’ PRINCIPJ  primi tempi , tanto più fi rinvengono de-  gli fiaùmolto, piccioli , e in gran novero ,  che non erano guarì gli uni dagli altri di-  ttanti , e che non aveano molto pena ad  unirfi quando bilògnava , e facea lor me-  ttièri di tener conlèglio de’communi inte-  reffi , ovvero ilcampievolmente (correrli  ' contro le violenze de’ lor nemici . Egli è  il vero , che comunalmente 1* Impero de-  gli Attiri fi abbia per la prima Monarchia  del Mondo ; ma non per quello fi può egli  aderir di fermo, che quella fi fù la prima  focietà compolla di più , e più famiglie ,  non potendoli da lenno per alcun dubbia-  re , che ella ringraridir non fi vidde , ne  gingner a quello fiato pria di non afiòrbir  in le, e divorare per così dire, un infinito  numero di picciole lòcietà , o Principati,  pome la Storia lo c* infegna .   D. Spiegatemi diftintamente , e fenza alcuu  IX. interrumpimento quelche appartiene al  buon regolamento di quella focietà .  yVf, Ragionando fecondo li flefiì nollri prin-  cipj , egli è certo; 1   I. Che avendo quella per fine il ben co-  mune , e la ficurczza di tutti quegli , che  la compongono , ottèrvar vi fi debba come  legge fondamentale di non far colà alcuna  contraria , od oppofla alla làlute , ed alla   tra*    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 309  tranquillità pubblica ( K ); quindi formar  dovendoti giudizio dell’ azioni de* parti-  colari Soltanto riguardo a tutta la (òcietà ,  ed a quello fine ; molte moltiffime cote av-  vegnaché giufte , e permeile dal Dritto  Naturale, (ovente efler pofiono in efià in-  giufie , e irragionevoli . II. Ch’ogni una di  quelle (òcietà Civili, (ècondo che noi di-  cemmo favellando della (òcietà in genera-  le , non confiderandofi nello (lato Natura-  le, che come una perfona , E uffizi dell*  una inverfò 1 T altra fian realmente pii (ledi  di quegli d’ un uom inverfò 1* altro uomo.  III. Che acciò non v ’ abbia in quelle (òcie-  tà chi diflurba , o inquieta in modo alcu-  no il ben pubblico, ne venga niuno impe-  dito , o diftolto , anzi fian tutti aggevolati  a foddisfare a lor obblighi ,' doveri , g uffi-  zi ed òttenghino elleno (ledè il lor fine,  ‘ abbilògna che di tutto ciò fè ne commetta   V 3 la   ... / •' •    ( K ) Per quejìo ir ogni Città , 0 Rep pub-  blica in tutti modi gajtigar si devono , e punir  coloro , che operano in contrariamoti ufar tut-  ti mezzi pofìbili in far che le lor arti non sia-  no di difcapito , 0 di nocumento alcuno al pub-  blico . . .    Digitized by Google    3io D E’ P RINCIPJ  la cura a certe perfone , e fi obblighino gir  altri a far dal conto loro quanto a tale ef-  fetto venga mai da coftoro ordinato , e  ^abilito; ed in fatti ogni fiato , Regno , o  Reppubblica par che fiiftìfta per un cotal  patto, fia efprefib , o tacito infra coloro ,  che la reggono , come capri, e n’anno il  comando, fiano Principi , Magifirati , o al-  tri , ed infra quegli, che ubbedifcono , e vi  fono in luogo de* luciditi , o di tanti mem-  bri , IV. che tutti li patti conforme al drit-  to Maturale dovendofi offervare, quefti al-  tresì , che efprefiì , o taciti fi fanno, infra  fòdditi , e Regnanti dar fi debbano ad ef-  fetto . V. Ch’ a tutti i Regnanti apparte-  nendo la cura di tutto ciò, che mai riguar-  da la pubblica tranquillità, e fàlvezza e’non,  meno aver debbano una piena contezza de*  mezzi necefiàrj per poter a ciò pervenire ,  che un voler fermo, ed affai ben coftante di  non comandare ne far altro, che quello,  che può unqua per quefto valere ; e per-  ch’ egli è impoffibile che a quefto giunga-  no lènza una efàtta ofiervanza delle leggi  Maturali , fono in obbligo ed in dovere al-  tresì d’ inviggilare su quefto, e far che niu-  no de’ lor fudditi manchi sù quefto* parti- .  colare ; onde nello fteflo mentre veniamo  a conofcere che tutta la noftra felicità in   qtie-    Digiti?ed b^Google    ; DEL DRITTO NATURALE. *n  quello Mondo ottener non potendoli in al-  tro diverto modo diverto da quello (/)  fi debba da Regnanti a tutto potete in tut-  te colè aver la mira a non altro, che alla fé  licita di tatti coloro che reggono , e go-  vernano . VI. Efièndo quelli tenuti , come  dicemmo di fare che niuno Ila impedito di  fòddisfàr a’iùoi doveri, e tocco ire re, ed abi-  tar ciatouno a farlo ben più volentieri ,  con cofiringere e gaftigare , chi che ricula \  di farlo , egli abbisogna che faccino quan-  to polla non meno torvi r di mezzo a ciafi-  cuno per compir qvelch 1 egli deve , m’ al-  tresì facilitarne l 5 efecuzione , e l’effetto *   V II. Poiché il fine d’ogni tocietà non è che  di promuovere il ben commune , e di-  fenderli dagli infiliti de’lùoi nemici fia  uopo fare , eh* il numero de’ludrìiti in una  Città , o Reppubblica , non fia minor di  quello , che perciò fi richiede, affinché non  Vi manca il bitognevole, ed il neceffario  per la vita , o altra cola avvenga contra-  ria in qualche modo alla tranquillità pub-  blica . Vili. Ogni Città, o Reppubblica  in fin non effendo ch’una tocietà, ed a nino  lòdo convenendo partirli di quella tocietà,  in cui peravventura fi rinviene con danno  altrui , oon fi deve unqua (offrire , eh’ al-   V 4 ' cimo   ( l ) Tratt. x. riuvn.xi i.    Digitized by Google    312 D E’ P R I N C I P J  cuno Ce nè parta , e vada ad abbitare in al-  tro luogo con un gran di lei difcapito ; e  conforme un fòcio , che danneggia un’al-  tro fòcio è in obbligo, ed in dovere rifàrcir-  glielo , così altresì riconofcer fi deve quefti  per ben obbligato di rifar quello , che me-  diante la fùa lontananza ha la Città, o  Reppubblica ricevuto , IX. Gli avveri , e  le ricchezze efiendo di un fòmmo medi eri  per lo foftentamento , per Io decoro, e per  la giocondità della vita dell’ uomo, devono  coìprche Regnano proccurar in ogni mo-   * do , che i lor fudditi ne fian tfen forniti ;  X- La fpcrienza dandoci tutto dìacono-   • icere , e vedere , quanti vizj , e malori ne  provengono dall* ozio , ed imperò abbifo-  gnando, che ogni uom fatichi e travaghi  per ricchi filmo eh’ e* Cia; in ogni fòcietà Ci-  vile è meftieri dar in vegghia per far che  non manchi giammai il travaglio a coloro  che lo chiedono * e che ^abilito fi abbia  perciò un commodo , e giudo prezzo, non  (ì fofferifea , eh’ alcuno fi confuma , e to-  talmente fi perda nell’ozio . XI. nonrin-  venofi al Mondo alcuno, che che non fia  in ohbligo , ed in dovere fòddisfar a molti  obblighi , doveri , o uffizj in verfo la Mae-  fià Divina , inverfo Ce medefimo* ed inveì* •  lò gli altri, in ogni , e qualunque Città , o    DEL DRITTO NATURALE.   Reppubblica metter fi deve ogni Audio » ®  ogni cura per riempier l’animi di tutti di  quelche e’ devono foddisfàre ; e perche  non tutti di tali , e d’ altre sì fatte cogni-  zioni fon abbili renderne gli altri ammae-  ftrati, quegli eh’ anno un ingegno vie più  degli altri elevato , ed eminente , e che a  farlo fi conofcono eflèr naturalmente più  acconci, in tutti modi poflìbili ajutar fi de-  vono , e foccorrere, affinché da fe far polla-  no ben volentieri tutti progredii , e avan-  zamenti del Mondo nell’ arti , e nelle  fcìenze , e proccurar eh’ i padri con ogni  agevolezza educhino i lor proprj figliuoli,  e s’ ingegnino di far lor ottener quella per-  fezzione , che ad uom abbi fogna, acciò lo-  Itener poflono col tempo e rappretentare  con fomma lor loda e riputazione nel  Mondo , e nella propria padria , quel per-  lònaggio , eh’ il fopremo Architetto delle  cole hà riabilito , ch’e’rapprefèntino . XI.  Non efiendo miga colà convenevole che  un uomo danneggi un’ altro uomo , e quel  danno eh’ egli peravventura gli da, effondo •  tenuto di rifàrcirlo; in quelle ifiefiè focieti  Civili fi deve proccurar altresì, che niuno.  venga offofo , o danneggiato in colà alcu-  na , e eh’ in ogni forte di contratti fi olfor-  vi a minuto , ed elettamente ogni giufii-   zin,    • t ‘ * Digitized by Google    314 DE’ PRINCIPJ   zia, ed equità ed lì rifacci ad altri quel dan-  no, che gli fi reca. XII. Dovendoli da  tutti noi vietare ogni e qualunche periglio  della vita , e conlèrvar la noftra fàlute , e  E integrità delle membra con adoperarci  mai Tempre di non cadere in morbo alcuno,  e dove peravventura vi fi cada riftabi-  Hrci ( m ) , egli è di dovere , e di obbli-  go in una Reppubblica , o Città, metter  ogni diligenza in far che niuno fi elpon-  ga a pericolo alcuno, o venga a far per-  dita della fua làlute , o delintegrità delle-  fue membra , con vitare , e sfuggire tut-  to ciò che mai ne può efiere la cagione ,  come per elèmplo farebbe l’ebbriezza , eci  altri vizj di tal fatta ; e che abbia in pron-  to tutti li mezzi proporzionati alla fuga  de’ morbi, ed alla cura di quegli, che ilgra-  .;ziatamente v’incorrono , ne (òfifrir mai  che uno dea la morte a fè medefimo , o ad  altri XIII. Non dovendoli nelle fpefe ne-  celfarie a farfi , permettere cofa per ni mi-  miche fi fòlle contraria ed oppofta a’ luoi  doveri , e 1’ acquifiato dovendoli tutto  tempo conlér vare per le neceflità e le bi-  lògne, che pofion mai avenirci, egli è uopo  che nelle focietà Civili fi provegga anche  con diligenza sù quello , con non permea   . ' ter   ** a   ( m ) Trcti . i l.vu n» J*      i    Digitized by Google    (    DEL DRITTO NATUR ALE . 3 1 r  ter neppur la foverehia fòntuofità dell’ abi-  tazioni ; come che dall’altra parte la me-  diocrità ufàta nella di loro venufià e bel-  lezza Ila oltre modo commendabile, poten-  doci recar molto di piacere , e di diletto ;  e con ciò fèrvir non meno per un gran au-  mento della nofira fàlute , e per accrefce-  re di gran lunga la nofira autorità fpezial-  mente appreflò il vuolgo , che altro il più  delle volte non ha per guida , che li proprj  fènfi , che rendere pompofa e magnifica e  fuperba la Città , e dare una gran oppime-  ne de’ Tuoi agli ftrani . XIV. ogni uno e£  fèndo in obbligo prezzare , ed onorare  chiunque e* fra di preggio,e di lode degno,  e non potendoli ciò da altri fare , che da  quegli , che può fender giudizio , e ragion  ne delle azzioni altrui , ‘.affinché tutti fia-  no tali in ogni Città , o Reppublica bifò-  gna badar di rinvenire, o iitabilire certi  titoli , certi legni d’ onore , e certe prero-  gative , per darle a quegli, che fè ne rendo-  no meritevoli , XV. Per mantener ben  fèmpre fiabile e in piè la pubblica quiete ,  e tranquillità, ed evitare a tutto potere  gp incommodi , e li difàgi che mai deriva- >  no dalle private Vendette, far fi deve,  che gli offèfi fi r imanchino pur contenti del-  le pubbliche , e che colui , eh’ egli è punito   c ga-    f    Digitized by Google     D E’ PUNCrPJ   e gadigato non abbia ardire , ne o(ì priva-  tamente di nuovo vendicai^. XVI. In dove  in una.Reppubblica, o Città, è lì vede, che  non bada 1* obbligagion naturale a ; ratte *  ner ciafcuno tra li fuoi obblighi , o doveri,  a quelle leggi naturali, la cui inoflervanza  può in qualche modo , e vale a difturbar  la pubblica quiete , abbilògna , che vi (I  accoppia una nuova obbligagione,* cioè che  fi propongano a quelli , .che le trasgredi-  rono delie pene , ed a quelli , che l’ofler-  vano degli premi, eh* è quello che condi-  tuilce l* obbligagione , che noi perdidin-  guerla dalla naturale diciam per l’appun-  to Civile , e nominar altresì fi potrebbe  umana ; e per la della ragione le le leggi  naturali- lòn troppo generali, ovvero fò-  verchi© indeterminate , e di doppio /ènlò  per torre ogni letiggio , e ogni piato di  mezzo , che quindi ne potrebbe mai ri-  fbrger è d* uopo-ch* in quede medefime lò-  cietà fi determinano, e fi redringano in tutti  modi , con decidere che che fi debba tener  in ofièrvanza • e non potendoli realmente  da Regnanti ogni colà antivedere , dove  quelche una fiata credettero per li lor lùd-  diti utile , e giovevole ftabilire, la Iperien-  za lor da a cònofiere efler inutile , e poco  per quelli profittevole, lafciar non lo devo-  no    Digitized by Googl    r    DEL DR ITTO NATURALE. 3 li  no in modo alcuno di corrigerlo, ed emen-  darlo ( L ) VII. Non mai uom potendo la  lue azioni conformar alle leggi di cui egli  non ha contezza alcuna, quanto fi ordina ,  e fi ftabilifce in una Reppublica da que’  che governano in tutti que’ cali da noi te-  de cennati non può aver forza , ne vigor  alcuno pria , che non ha promulgato .  XVIII. E (Tèndo giuda quelli noftri principi  proprio de’ Regnanti il far leggi , l’obbli-  gar i fudditi , e far ed ordinare tutto ciò  che può mai (èrvire per la pubblica làlvez- *  za , e tranquillità , ed in qnefto appunto  confluendo ciò, che nominiam noi podellà  0 fuprema, aderir poflìam con ogni ragione  che quella fia propria di effi loro , ne un-  qua polla ad altri appartenere, comecché  non potendo eglino in niun modo obbligar  i fiidditi ad azioni contrarie al dritto natu-  rale ed a que’ patti, che fecondo noi dicem-  mo, fifoppone , eh’ intervennero tra Re-  gnanti , e ludditi , fia ella in Un certo mo-  do molto limitata , e riftretta XIX. Ogni   e qua-    > (L ) 'Quindi si comprende in guai casi sia  mejìieri , eh* in una Reppublica sijaccino delle t  nuove faggi , e delli nuovi regolamenti ^    Digitized by Google     *iS DE» PRINCIPI   c. qualunque Regnante, avendo una cotal  podeftà d’obbligar i (uddjti,egli hà altresì  quella di ftabilir delle pene contro a’ pre«  variatori , ed a trafgrefiòri delle leggi 9  delle pene, dico, intendendo anche delle ca-  pitali , dove 1’ altre non badino , e fjan  infufficienti alla quiete, e tranquillità pub-  blica , cui eglino (òn tenuti tutt’ ora di  badare , e per cui anno ottenuta una tal  podeftà ( M ) XX. Eftendo le fpefè a’ Re-  gnanti (òmmamente neceflarie per la pub-  blica quiete , ed imperò dovendofi elle da*  (udditi fomminidrare egli ha anche facoltà  d* impor a codoro degli tributi, e delle col-  lette , o gabelle , ed altre (òrti di contribuì  zioni ; Ma XXI. metter non potendod in  efecuzione quelche bilògna per lo ben pub-  blico, lènza che non da abbia della potenza*  cioè una certa poflìbilità , o agilità , per  così dire a poter tutto ciò fare , quefta è  parimente perciò da rifguardirfi lènza fallo  come propria di coloro che governano ,  C confcguentemente appartiene a’ Regnan-  ti al- •    (M) Ecco qui la ragione per cui a * Re-  gnanti compete il giu: di morte , e di vita ih  de lor fu àditi ,    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 3 tf  ti altresì il dritto di poter codringere*  ed obbligar gli proprj ValTàlli a fòmmini-  ftrare , e dar tutto ciò , che fi richiede per  quelche fi deve fare ,* il dritto di codituire,  e rimuovere i Magifirati . necefiarj per efè-  guire le leggi Civili , e giudicare e indur-  re ogni uno a lafciar all* altro quelche gli  fi deve , non potendo tali cofe giugnere a  far da fè medefimi ; il dritto di conferire, «  i pubblici pefi , e le carriche , e le dignità  Civili ; il dritto di far leva , feelta , o rol-  lo de* fòldati , che alla quiete tanto inter-  na , quanto edema della Città fon necefià-  rj ,• e mille altri dritti di tal fatta, lènza cui  li lor ordini non fi poflono dare ad effetto ;  e perche quella podefià , e quella potenza  che di necellìtà fi richiede , giuda che fi è  modro, ne* Regnanti e quella in cui confi-  ne per f appunto la lor Maefià,* in qualun-  que Città , o Reppubblica gadigar fi deve  feveramente chiunque ardilce in modo al-  cuno d* offenderla , ed aggravarla ; come  che potendo ella eflèr varia e diverfàmen-  te oltraggiata, varj, e diverfi altresì intorno  ciò fian le pene , e i gadighi , che fi ftabi-  Jilcano . In ultimo per dir tutto in un mot-  to l* utfizio , l’ obbligo , e,il dove de* Re-  gnanti elfendo , come più volte abbiam  detto , e ridetto promuover in tutto la    Digitized by Google    , D E* P R I N C I P J   pubblica quiete , e tranquillità, e difen-  der i lor fudditi dall' ingiurie de’ nemici lì  sìdomeftici, che pubblici, eglino devono  tutta la lor attenzione impiegare in badar  minutamente a tutto quello , che a quefto  può mai pi (guardare, con corriggere , e rat-  tener ne’ lor principi fin le picciole novità,  non lòflrir le inimicizie private , e le gare ,  che infòrger poflòno ifpezialmente tra  Grandi , e qualunche difprezzo , che ven-  ga fatto mai della lor perfòna ; impedir  ogni ingrandimento flraordiuario de* par-  ticolari ; rinovar di tratto in tratto ordini ,  e leggi ; e ridurre tutte le colè alla finceri -  tà , e ilchittezza de’ lor principi : venendo-  ci col corlò del tempo a formar ne’ corpi  Civili , alla fteflà guilà , che ne’ naturali,  tèmpre mai qualche aggregato d’umori  cattivi , ch’hà bilògno di purga • e perche  non dico egli ha malagevole , ma quafiche  imponibile , che fappiano da le foli , o fac- .  cino tutto , egli è di gran lunga giovevole  che fi fervano fòvente dell’ altrui faviezza,  e prudenza , o coniglio, per non far cofa  per menoma eh’ e’, ha contraria, ed oppofta  al ben pubblico , efTendo molto irragione-  vole , e come contro ogni ragione del tut-  to mal fondato, ciocche ne Icrivono l’Obbe-  gio , e il Macchiavello , che non dubbita-   ro-    Digitized by Googld    ?    DEL DRITTO NATURALE, jaf  rono fin le cofòienze de* fòdditi , e la Reli-  gione fteflà fottoipettere a’ Regnanti . Del  refio ri/petto a i lor (ùdditi quefti elsendo  cornei padri fono rifguardo a i figli , con  tutta agevolezza tutti gli obblighi , gli  uffizi ,e i doveri de’Genitori inverfo i lor fi-  jgli,e quegli di un padre di famiglia in ver-  lò i Tuoi domefiici, generalmente parlando,  applicar fi pofiòno alla lor perfora , come  que’ de figli inverfo i lor padri, e de dome-  fìici inverfo de’ padri de famiglia, a lor . *  fudditi .   jp. Per verità y’hò intefo fin ad ora con pia-   X. cere , fenza ardir d’ interrompervi ; ma  pria, che palliate ad altro, dinegatemi al*  cune co fe più paratamente , e incomin-  ciando , ditemi quante forte di Reppub-  bliche , e di governi divertì vi abbiano ?   i M. Perche fecondo noi abbiam detto 1* am-  miniftragione delle cofe può elfer data o  ad una perfona fòla, o a più , o od una in-  tera moltitudine , fi rinvengono tre fòrti  di Reppubbliche regolari , l’ una di cui fi  nomina Monarchia , Regno , o Principia-  to , la feconda Ariftocrazia , e la terza De-  mocrazia ; le quali di leggieri cambiar fi  pofiòno , e tramutare in altre e tre vizìofè, r  ed irregolari ; imperocché il governo di  una Reppubblica o fi rinvenga in man di   X uno    Dtejitized by Googl    fMM de; PRINdIPJ  ■ uno, odi piu, o di tutti , ciò non faccn-  dofi , fecondoche noi dicemmo , fè non  col confenfò medefimo de 1 Concittadini ,  e per la podefià / che da quegli s*òt-  i tende ; èd- imperò ingiuftamente co-   * loro tutti comandando , cui gli altri miga   • non fi fòmmifèro , o egli fia quefto un  f uom folo, che regni in cotal forma , e il   fuo governo ncm è più Monarchia , ma  Tirannico ,o tòno foltanto pochi nobili , e  non tutti ,' e verranno eglino a coftituire  non già una Arifiocrazia , ma un Oligar-  chia ; ovvero in vece di tutto il Popolo re-  gna, e governa la plebaglia , e la feccia del  ~ Popolaccio , che quanto fà e’ rifòlve a ca-   • priccio e quefta noi diciam propriamen-   * tè Olhocrazia . I ;   V. Egli vi mette qualche divario nella per-  fona di un Monarca, confiderato rifletto a ’  /- un altro Monarcati Titolo di Re , Impe-  radore , o Principe ?   M. No ; qualunche di quefii titoli egli abbia  è tèmpre il medefimo; non offendo egli  rifguardo ad un altro Monarca, che uguale,  e nello fiato Naturale , lènza fuperiore al-  cuno ; comecché ogni prudenza voglia, che  » * nè coftringere , nè obbligar potendofi 1* al-  tre Reppnbbliche , e gli altri Principi a  onorario con quel titolo , eh 9 egli brama ,   pria      - DEL DRITTO NATURALE, w  pria, che Io s’ imputa convenghi con effi  loro sù quello .   D. Volete, che fia necefiario regalmente per  un Monarca udir ilconfeglio altrui ?   M. CertifllmÒx; imperocché febben polla  egli operar tutto a Ìlio arbitrio , non poten-  do colà alcuna far contraria , od oppo.  fta al fine della focietà , eh’ hà in governo;  tutto al roverlcio del Tiranno , che non  riguarda , che 1* utile , e la làlvezza pro-  pria non può egli da fé conofcer tutto-Non  efiendo in ifiato di operar tutto in un ifiefi  lo modo , e penfar da voi ( dicea molto  faggiamente , e con prudenza a’ fiioì Mi-  niftri per quel che s’inarra un Soldano) non  tralafcate giamai dar orecchie , nè ribut-  tate per qualche gelofia , o (lima ,che pof-  fiate mai aver di voi medefimi quelch’ al-  tri penfano , con averlo per goffagini , e  fpropofiti, non per altro, che per non efier  fiato dinanzi da voi antiveduto, , poiché lò-  vente fiate avviene , che fi ritolga del pro-  fitto , e fi rabbia del utile dall’ operazioni  le più chimeriche , ed iftravaganti del  Mondo ; e per verità è aliai più lode-  vol colà , e di maggior momento fàper di-  ‘ ftinguere il buono , ed elèguirlo, che pri-  ma penlàrloda (è medefimo ; lòvente vol-  te egli avviene, che ad un Monarca convea-   X i 8» ' . !    l Digitized by Google    *334 DE* PRINC.IPJ  ga far paragone delle diverte aderenze ,  e circoftanze de* tempi ; o conolcer la for-  > za degli abufi , e difàminar attentamente  le leggi antiche ,* ffabi lire , e far degli re-  golamenti , e degli ftatuti per li Collegi,  e per Partefeci ed altre sì fatte cote,le qua-  ■ li egli è predo che imponìbile , che far 11  pollano da un telo .   V . Nell* Ariftocrazia , e nella Democrazia  per prender gli efpedienti neceflàrj alla pa-  ce , ed alla tranquillità pubblica, qual colà  credete , che far fi debba ?   eltendo nella prima il governo in man  de’nobili,e nella teconda in poter del Popo-  lo, egli determinar non fi può nell’ una,cofa  alcuna, lènza il contente de* nobili , e nelP  altra, lènza quello di tutti ; e come nell*  Ariftocrazia v’ abbitegna un luogo , dove  i nobili fòvente fi convengano , e prendano  gli efpedienti necefiarj per quella , non che  un certo tepo (labile, e fiftò in cui fi raguni  il Senato ; (alvo che nelle colè improvilè ,  e gravi, nelle quali èmeftieri , che fi ra-  duni fuor d’ordine ; così nella Democra-  zia di necedìtà egli vi fi richiede un luogo  per li comizi, ea un tempo certo, e fidò  da poterli convocare ; con aver per fer-  mo , e ftabile Ila in quella , fia in quella,   quel-     ' DEL DRITTO NATURALE. *if   quelche venga dalla maggior parte deter-  minato ; ma vaglia il vero,quefte e tre fòr-  ti di Reppubbliche irregolari , perche di  leggieri , come da noi fi difie , pofiòn cam-  biar natura , e divenir difettofe , e mo-  fìruofè, molto ben di rado fi veggono, aven-  do la maggior parte unite o tutte , e tre  quelle fórme in uno , o almanco due in  guifa, che Puna vaglia per rattener l’al-  tra in uffizio , ed imperò fi dicono vuol-  garmente mille ; (ebbene vi fiano per  al prelènte alcune altre (òcietà compo-  ne o di molti Regni dipendenti da un ca-  po , o di molte Città confederate , che  componendo un certo fiftema , dir fi pof-  fòno con gran ragione , fòcietà fiflema-  ticlie ; avvegnacche di queffi Regni,  che fian retti daunlòlo, altri lèguendo,  ciò non o (tante pur ad oflervar le leggi fon-  damentali , come egli è or 1’ Ungaria , e  la Boemia , e non avendo altro di conamu-  ne , che la fòla perlòna del Principe, aver  . non fi debbano al novero di tali fòcietà ; al-  tri effondo in tal modo uniti , che quelli ,  che fi furono (òggiocati, non guardandoli  che come Provincie, l’uno neppur coll’ al-  tro viene acoftituire (Ulema alcuno , come  fi fu un tempo ia Macedonia , la Siria, c   X, 3 l’Egit-    Digitized by Google    3*6 DE’ PRTNCIPJ   ) l’ Egitto lòtto Y Impero Romano , ed altri  finalmente fon in tal guifacon le fòrze uni-  ti ed accoppiati per difènderli, che non ven-  gono , che fòltanto una fòl fòcietà a corti-  tuire ; e quelli di vero formano un firte-  ma , e quello di cui or trattiamo . Ma  la piu parte de’Regni fi cambiano col tem-  po , giufia dalla Storia s’ imprende, di for-  ma , e di figura j quindi quella dell’ Impe-  ro di Germania , hà sì fattamente trava-  T gliato i Scrittori tutti, del dritto pubblico,   - che quanti eglino più fono , cotanto è   • diverfo il numero dell’ oppinioni , e delle  ^ (èntenze, che intorno quefìo particolare   - ^ abbiamo ( n); imperocché alcuni rifguar-  ; dando foltanto alti titoli , all* onore , e al-   • l’infegne di Monarca, che dar fi fogliono   • all’ Imperadore, fi credono quello Impero   • del tutto Monarchico ( po crefciuta appoco , appoco l’autorità de-  gli Stati , e fpezialmente dal Regno d’ Ot-  tone in poi , e dalla morte di Frederico  II. quella oltremodo aggrandita , mirata  non fi fofie giammai in appreffò la podeftà  imperiale in quel fplendore e in quel  4 gola- .   ( q ) Jlufwlin. ad A. B. diJJ’ert. i.$. 1i.pag.y6. Bue-  cìer. notit. Imptr. lib. zz. c. 3. p. zSS.-   ( r ) Limnxus ad J.C. lib. j. c. io. Arnifav. lib. x,   f* 6 .   ( f ) Conriag. decapitai» C». Brumem. in estam. jur. pubi. e\ i.f.f.    Digitized by Google     DEL DRITTO NATURALE. 3 a*  di cui fi tratta alle leggi , e giudicarne » >   lènza che pria ben non fi difitminano , egli  r . è meftieri che deano udienza a tutti indi-  ' fintamente , e li Tentano ben volentieri e  con ogni placidezza III. ogni uomo e (fen-  do in obbligo di amar l’altro,febbene odiar  e’ debbono , ed aver a male il cattivo pro-  cedere de’ delinguenti e malefattori, devo-  no amar (èmpre però quelli ed averli ca-  ri ; IV. per non aggravare li poveri , e mi-  seri litiganti di (peé, e di tedio, ingegnar fi  devono con ogni Audio di (pedir predame-  le tutti i Giudizj , tanto civili , quanto cri-  minali^ V. finalmente abbifogna che pr oc-  cura no di confervar in tutto la autorità pro-  pria, e de’Regnanti che rapprdèntano con  rederfi agli occhi di tutti perirreprenfibili,  e lènza macchia. Per tutto ciò efièndo egli  colà certa, ed indubitata, che qualunche  occupazione , o aff’ar di fiato e* fia guidar  fi polfa , e condurre afiài bene, giuda un fi-  fiema particolare , e proprio , farebbe fen-  za dubbio di un efìremo giovamento per  tutto il Minifìero, fi fòrmaflè un fiftema  generale di tutte le parti del governo sù  mallìme fondamentali fofienute da una  ben lunga elperienza , e da profonde me-  ditazioni di tali colè ; divifoe (iiddivilò in  modo, che ciafcun minifiro vaglia da (è  ' ' " ' " folo    \ Digitìzed by Google    no DE’ PRINCIPI   lolo a formartene uno, che fervir gli po-  tere per una gran guida alla Tua incotti-  penza , e per condurlo ficuramente, giuda  certi principi al luo oggetto principale,  come che molte parti della legislazione  fian cotante dubbie, che niun può in modo  alcuno viverne ficuro, non ottante gli gran  lumi , eh’ egli n’abbia dalle teienze , come  quelle, che dipendono aflài poco dall’uma-  na prudenza .   D. Qual cola volete voi , che fi fàccia da’  Regnanti per far che quelli non fi abufino  delia lor autorità ?   M. Eglino devono ingegnarli di non eligger  per quello le non perlòne ben degne , e  , meritevoli ; avvegnaché alcuni Politici sì  per confervar in tutto 1’ uguaglianza , e sì  per temperar in parte, ed impedire lo ttra-  bocchevole impeto , e l’ impazienza , che  , quali necettà riamente accompagna i gran  talenti , credono necettàrio melcolar con  quelli alle volte lì meno abili ; e far che li  Magiftrati non fiano fòverchio lucro!! Ipe-  ziaimente ne’ Sgoverni , che fi partecipa  dell’ Oligarchia ; poiché in tal fatto modo  i poveri per una tterile ambizione punto  non curerando d’ abbandonare li lor pri-  vati interefli , e li ricchi averanno del pia-  • cere dominare giufta la lor paffione , e lì  s. ' ter :    r    Digitized by Google    del DRITTO NATURALE. , w   terranno occupate più , e più perfòne a di*  *erfione dell 5 ozio ; a ogni modo nelle ma-  terie gravi , e di/gran momento , giulta  ' T oppinion d* Arinotele , non (la bene ,  che quegli che confìgliano , altresì delibe-  rano , potendo avvenir, che quelli di leg-  gieri regolino li lor conlègli con fini , ed  affetti privati ; Quindi in Atene il colleg-  legio de 5 privati avea foltanto la confulti-  va , e al Senato , e al Popolo fi lafciava la  deliberativa ;   D. Ma in che crede finalmente voi che con-   XII. fidano i veri vantaggi d’una Reppubbli-  ca , o di un Stato ? *.   M' Nel commercio .   D. Ch 5 intendete per quello ;   Ai. Una facoltà di permutare il fùperfluo  per il necefiario che non abbiamo , e traf-  portarlo da un luogo in un altro .   X>. Come confiderate voi quello commercio.   M. In interiore , ed elìeriore , o maritimo.   D. Quale di quelli abbiate per lo più nècef-  fario ?   M. V interiore , come quello che cofiituifce  il ben attuale di un R egno , - o di un Stato.   D. In che egli confilìe ?   M, Nell’agricoltura , nell 5 indulìria de’pro-  prj terreni , e nella diverfa utilità de tra-  vagli . - • ' •   A Co-   .»    Digitized by Google    Di DE’ PRINCIPJ   T>. Come dunque credete , che mante-  ner fi poflà in fiore un cotal commercio ?  M. Con la protezzione , con la libertà , e  con la buona fède .   D . Quali perfone meritano la protezzione ?  M. Egli abbifogna pria che fi proteggano  gli agricoltori , e li lavoratori della terra;  in apprefiò gli Artidi , e dopo gli altri,* con  raddolcire il travaglio d* ogni uno, e far  . che P induftria de* Cittadini tutt' ora s’au-  menti , cd aggrefea , non lafciando a, pat-  to alcuno impunità la pigrizia , e l’ozio ,   - eh’ è la (ùrgente di tutti vizj ,* imperocché  l’ immaginazione umana avendo continuo  bifogno di notritura, ogni volta che le  mancano degli oggetti ben veri , e (labili,  ella formandofene di quelli, che non fono ,  che larve , e chimere, deriggerfi lafoia to-  talmente dal piacere , e dall’ utile momen-  taneo ; quindi la Monarchia la più foggia,  e meglio regolata del Mondo rincontra*  rebbè tutta la pena pofiìbile in fòftenerfi ,   • (è parte di quelli , eh* abbitano nella Ca-  ■ pitale , altro non dico , marcifiero unqua  nell ? ozio ; fenza che qual cofa è mai altro  in effetto il cercar da vivere lènza trava-  glio , e fatiga , che un furto, o latronec-  cio , ‘che dir vogliamo fatto per lo conti-  nuo alla Nazione ? e confequenteraente un   - ~ de-    Digitlzedby Google    DEL DRITTO NATURALE . 3 35   delitto che merita la Tua pena.   D. Mà’impiegate , ch’abbia un Regnante  gli uomini neceflarj alla cultura, alla guer-  ra , e all 5 arti , come voi dite, del redo che  volete , eh’ e’ ne faccia ?   M. Egli fi deve occupare in opere di ludo ,  anzi , che lalciarlo in una vita tiepida , e  neghi ttòlà.   D . Non farebbe colà megliore , e più com-  mendabile mandar tutti quelli a popular  nuovi Paefi, ed a ftabilir un nuovo Domi-  nio fùbordinato totalmente , e fòttopodo a  quello , che lor fornì di un sì fatto afilo ,  efsedo a mio avvilo quello il più bel modo  del Mondo da far conquide lènza perdita  di dati , e de* Cittadini , e lènza efporfi a  molti perigli militari , e alla gelofìa de’ vi-  cini e alli folletti di una lòverchia eden-  zion di dominio , o di qualche oltraggio,  od onda, che potrebbero mai eflì ritorne ?   Mai nò ; poiché lèmpre mai fi è elperi-  mentato per più vantaggiolò , e di mag-  gior 'profitto per un dato redringere per  quanto vieppiù fia polfibile li Cittadini al 1  luogo della lor propria dominazione in cui  realmente rinvenir fi devono le forze di  una Nazione , che inviarli fuora , ed in  lontani paefi ; ne di un cotal elpediente a*  Regnanti cpnvien l’ulò, (alvo chejn ulti-  ma    Digitized by Google    ’fc SI»    (    &4: DE’ PRINCI P J   . ma necefiìtà e bifogno , e quando di Vero  il lor Popolo veggono eftremamente ag-   • grandito ; imperocché una Nazione, che lì  - difpopola per gir ben lungi a Itabilirli del-  le nuove abitazioni per ricca che ella ha ,  e poflènte divien ben tolto debole , e Ipofc  fata, da per tutto, ed in illato di perdere una  con quelle 1* antiche , come dalla Storia  s’imprende.   D. Ma qual colà voi intendete per ludo ?  M. Tutto quello che può mai lèrvirci per  un maggior commodo della vita , c che  non confitte , che in drappi lini, tele, ed al-  tre colè di tal fatta ; imperocché non è in  mio intendimento perfùavervi per lodevo-  , le e commendabile l’ufo de’diamanti, delle  pietre preziolè , ed altre colè tali, che non  Valendo che per aggravar una tetta , e per  tener imbarazzate , ed impedite le dita ,  non già per ifparambiarci di travaglio al-  cuno , o per liipplire ad altra cofa necefc  faria al noftrofoftentamento,fi doverebbero  con ogni ragione in ogni ben’regolata Rep*  pubblica vietare ,♦ vero però è ch s alcuni  confondendo quello diverfo genere di lufc  io con il primo , anno lenza diftinzione al-  cuna 1* uno e T altro riprovato , ma fenza  molto gran lènno ; imperocché non ba-  ciando per dilungar gli uomini da vizj nè   • ' \ . . .. la    Digitized by Googl    * ni •    DEL DRITTO NATURALE, w  la purità delle malfìme della noltra vene-  randa Religione nè. il dovere , e Tobbliga-  . gione propria lènza le leggi ;e tutti lènza  riferva d 1 alcuno veggendofi portati dalle  \ paflloni , e dagli affetti , il faggio legisla-  , tore non può, nè conviene,' eh* altro fàccia,  che maneggiar cotafi paflìoni , ed affètti ,   . -che fon la caula della cattiva condotta de’  fìioi , in modo , che ridondano a utile j e  vantaggio della fòcietà , che compongono;  così per ragion d’efèmplo vedendo egli,   > che Tambizione renda l’uom militare d’af  ' fai valorofo , e prode ; la cupidigia in-   * duca il negoziante al travaglio, e tutti Cit-  e tadini generalmente vi fi portino per lo   luffe e per la fperanza di un maggior/.com-  - modo , che altro vài egli a fare , che met-  ter ogni ffudio , e ogni cura in trovar mo-  - do, come quelli affetti giovar mai potreb-  bero alla focietà di cui egli è capo ? L 5 au-  torità grande , e la rigidezza de 5 Lacede-  moni non fu di maggior conquito la cag-  gione , di quelle che agli Ateniefì recaro- -,  no le. delizie , e i maggior commodi della  vita , nè il governo degli uni fù-per quello   * ' molto differente modo di vivere un punto   : megli ore di quello degli altri ; o quegli   * ebbero degli uomini illufìri , ed eccellenti  - v «ffai più di quelli ; imperocché al novero   * • ' di    ’ %• 1   Digitized by Google     DE » P R J N CI P J  di coloro di cui favella Plutarco eglino  non vi fi veggono, che quattro Lacedemo-  ni^ fette Ateniefi, lènza un minimo motto  di Socrate , e di Platone peravventura la-  nciati in obblio ; e lo ftedf giudizio far  conviene delle leggi contrarie ^di Licurgo,  non effondo elleno^ miga degne di maggior  attenzione di quella, che lo fono 1* altre  lue leggi, con cui cercò egli d’ opprimere ,  e tor vìa totalmente da’ Tuoi il rofibre ; im-  perocché come potea darfi mai a fpe-  rare , che la dia comunità, che non affetta-  va ricompenfà alcuna eterna, confervato  avefle lo fpirito d’ ambizione di far delle  conquide, efpoda a un' infinita di fatiche ,  adenti , e perigli fenza aver picciola fpe-  ranza da poter accrefoere i fùoi averi, o di-  minuire , e foemar in parte il fuo trava-  glio , dove fi mirò la gloria fenza tali van-  taggi ,chevalfe per dimoio della moltitu-  dine ? fenzacche egli è certo, e fuor di dub-  bio che quello, che fembrò ludo a nodri  avi , non lo fia per al prefènte , e quelche  or lo è per noi , non lo farà forfè per que-  gli , che ci fègui ranno ; e che l' ignoranza  de* maggiori commodi lo refe a molti Po-  poli per nojofo , e (piacevole ; quindi le  oodre leggi fontuarie foemarono di nume-  ro , e predo che andarono in difùfo , fècon*   do    Digitized by Googl     • ,   DEL DRITTO NATURALE. 337  do la noftra Politica fi andò da dì in dì viep-  più perfezzìonando,anzi molte non ebbe-  ro neppur una fiata 1* elocuzione ; impe-  rocché al dinanzi che fi foffe una fòggia  tralafciata udendone un’ altra di maggior  lufiò della prima , e facendo , che quella  di Ieggier fi obliafle, elleno non aveanoin  che Ìuflìftere ; e come fi può da chi fia di  Ieggier oflervare, non altro che il iùfiò ha  quali che dalle Città tolto 1* ubriachez-  za , e portatala nelle campagne .   D. Perche volete voi , che gli agricoltori,  fiano li primi da proteggerti ?  àd. L* agricoltura , e 1* induftria de’ terreni  effendo le baie fondamentale di quello  commercio, lafciar non fi può in un Reame,  lènza una dilmilùrata perdenza ; imperoc-  ché non valendo il terreno da le a produr-  re colà alcuna lenza una buona , e perfet-  ta coltura, nella fcarfezza , e penuria di  quello, eh* è d’ una neceflità afioluta per  la vita dell’ uomo , qual appunto è quella  . delle biade, prò veder non fi può , nè reme-  diare ad accidente , o inconvenienza veru-  na , con quella medefima facilità , e agge-  Volezza eh* s* incontra , trattandoli dell*  altre colè ; quindi egli fi hà per una maf-  fima fòmmamente vera, ed incontrafiabile,  - che le forze d’ un Regno allor fiano lùpe-  r Y rio-    Digiti    by Google    a;* .D E* rRINCIPJ  riori'. 9 e maggiori a quelle d’ un’ altro  quando maggior quantità egli abbia di  quel che è d’ una neceffità realmente afiò-  luta per la vita ,e per lo lòftentamento de  Cittadini ; effendo colà , feoza fallo d’af-  v fai lungi dal vero il credere * c he i paefi  ricchi in Miniere fiano li piu graffi 9 e ab-  • bondevoli del Mondo , tutto dì facendoci  . la fperienza conolcere , che in quelle li ri-  chiegganoun numero aliai gradedi perlò-  ne , che occupato, in altro farebbero al pa-  drone di maggior vantaggio , e utile,   V. Ma come vorrefle che s* incoraggifchino  mai quelli camperecci , o forefi applicati  ...alla coltura»   ù Per veriità non vorrei già che lori! pro-  - ponellèro perciò al dinanzi quanti Confu-  si * e Senatori , e Dittatori Romani , quan-  ti Re fi tratterò dall’ aratro , e dalla van-  ca , o lor fi mottrafle quanto quello me-  dierò fi fù feriale a tutti e comunale  Quand' era ciba il latte  Del pargoletto Mondo , e culla il bofeoi  imperocché con la filza di quelle , e altre  sì fatte ciancie di cui compongonfi da Ret-  torici le lor itlampite, non fi verrebbe di  vero altro a fare , che cantar a porri ; ed il  più delle fiate lor diverrebbomo ilpiace-  voli , e nojoli ; ma il miglior modo , che lì   può    DEL DRITTO MATUR ALE. 3 39  in quefto da uom tenetegli nonè-amio  credere, che prometterli , e ridurli in ifpe-  ranza*d una buona raccolta 9 e foccorregli,  ed aiutarli quando abbi fogna.   V, Venendo al fecondo mezzo, eh 'abbiamo per  i (labi 1 ir quefto commercio interiore, ch’è la  libertà, (piegatemi quefta in che confitta.   M. Quefta , che è aftai più neceftària della  medefima protezione , potendo la fola for-  za del commercio efler in luogo di quella,  non confitte che in una certa facoltà data a’  Cittadini da poter cambiare e permutar  il foperfluo per quel che lor abbi fogna ? e *  trafportarlo da un luogo in un altro ,* onde  ella per verità accoppiar fi deve sempre  mai congiungere con la facilità , ed agevo-  lezza degli tralporti , e de 5 viaggi , dipen-  denti del tutto dalle vie, dalli canali, e dalle  riviere ; comecché con quefto vocabolo di  libertà , che malamente prefo hà mille , e  mille fconcerEi recato nella Religione , e  • nello Stato, non intendo, che operar fi  debba a capriccio * e contro il comun  vantaggio della focietà ,• ed imperniò re-  ftringer fi devefoltanto a quel che riguar-  da il trafporto di quello, che avanza non  men al padrone, che al luogo , da cui que-  fto vien fatto.   D» Senza dir nnl la della fedeltà , richieda   Y 2 .io    Digitized by Google    *340 I> E* PRINCIPJ  ' • in quefto commercio, avendone a fiufficien-  za favellato al dinanzi, palliate al commer-  cio efteriore , o maritimo .   M. Inquerto oltre quelle colè, che fi ri-  chiedono per lo ftabilimento del commer-  ciointeriore ad avvilo d’unlnglefè, fègui-  to dal Signor Mellon, da cui imprefi quan-  to or vi dico intorno quello particolare  egli è neceflàrio; I. L’aumento, o ag-  grandimento del novero degli abitanti y  II. La moltiplicazione de’ fondi del Com-  mercio. III. Il render queflo commercio  agevole , e neceflario , IV. L’ ingegnarli  che fia dell’ interefTè delle Nazioni nego-  ziar con noi ; Nel terzo egli reflringe non  meno il tra (porto de’ debiti, e de’ dritti  de’ Mercadanti , che le fpefè necefiàrie  ' * perii Doganieri , e i buoni regolamenti  intorno a’ cambj , e Tafficuranze marid-  me,che porte in ufo dagli Olandefi , 1 * an -  no oggi gl’ Inglefì diftefe fin alle per/òne  flefie , che vanno con le merci; e nel quar-  to e’ comprende tutti i tratatti di commer-  cio con le Nazioni.   ZhPofto per vero,che l’aumento degli abitan-  ti fia cotanto neceflario e utile quanto voi  dite per un Stato , e per una Reppubblica,  colà credete che far fi debba per querto?   JM, I. Egli è necertàrio , che fi proteggano i   ma-    Digitized by Googfc    DEL DRITTO NATURALE. 34 1   maritaggi con privi leggi , e foflìdj con cef-  fi a genitori di una numerofa prole, e con là  diligenza ufàta irr ben educare , ed allevar  gli orfanelli, ed i putti efjxjfii alla vétura IL  Convien (palleggiar i poveri iti guifà, che  non fi confumino nell’ozio, e nelle miferie,  e fìan perciò coftretti d’ abbandonar il lor  \ Paefe . III. Egli fi deve con tutta aggevo-  lezza ammetter i Ara ni eri IV. Abbi fogna  che s’ abbia ogni cura de’Camporecci , e  di quelli che firn muojono nelle Campa-  gne per le foverchie mitene . V. Egli ò  medieri proccurar di aggrandire quanto  fia poffibile f indufìria, e perfezzionar far-  ti , e i meftieri , poiché con ciò venendofi a  tenervi minor quantità di perfòne occupa*  . te , il di più fi guadagna . VL fi doverebbe  altresì trattare di non tenervi in quefio più  di quelli che vi fi richiegono ; comecché  non fiuebbe (bordi propofit© con una leg-  ge torre la facoltà a oiafcuno di difporre  ideila foa libertà al dinanzi , che non abbia  quella da poter difporre de’ (boi beni.   V. In molte oceafioni dunque fia per fàper  quelli che per travagliar fian buoni , fia  ; per lo fiabiiimento., o leva di nuove impo-  ne , fia per conoteere li differenti progref-  fi della moltiplicazione degli uomini , fia  per altra co fa sì fatta fon neceflàrie in un  “ Y * Re-    Digitized by Google    Ì4* P R1NC I P J   Regno le numerazioni degli abitanti.   *M. Certifiìmo anzi alcuni ti fon ingegnati  fino di calcolare quanto un agricoltore , o  un artifla fi£ d’ utile allo flato,- vaglia il  w vero la colà ha molto del malagevole, e  . del difficile,* a ogni modo non vi difgrade-  ■: rà un modo in ciò ufàto dal Cavalier Pet-   i   ; t.ti t , cheto ci propone M. Mellon ,• come-  x che fèftfpr&'fia mólto più fpecolativo , che  o pratico ^imperocché fòppoflo, ch’egli ha   - per vero ; f. Che nella Scozia , è nell* In-  i» gh interra .non v’ abbiano che fèi milioni  c à? ahbitariti . If. Ch’ogni uno di quefti   fpenda 7; lfre fterline , che nel corfo d’un  fi anno 1 vengono a far 4*. milioni di Ipe/è ; e  xlfl, Che l’ entrate de’- territori non fia al-  ” tro che otto tflilioni , e quelle delle Carri-   multiplicando li   34.      DEL DRITTO NATURALE. 343  ' milioni d-* utile per li 20. in cui fi ri»   • ftringe tùtta la vita dell’ uomo ; e veden-  do:che con ciòd venga a far la fommadi  480. milioni , la quale divifà per li lèi mi-  lioni d* abitanti , per quotienfte fi rinveti-   - ca che abbia 80. lire (ieri ine, egli vuole  -- eflèr appunto quella la valuta di ciafeun   di quegli 2 } -   $). Ma rifguardo al trafporto delle merci  . maritime , porto che quelle fiano 1* avanzo  -di quel che abbi fogna iti un Stato, volete  che permetter fì debba indiftintamente ,  r e lènza dirtinzione ?   M. Per altro giufta la libertà generale del  ‘ \ Commercio permetter fidoverebbe qua-  lunche reciproco tralporto ; imperocché   * in una cotal guilà quelche in una merce li  perderebbe da una Nazione, fi guadagna-  rcele nell’altra,* ma uòpo làrebbe ch’in ciò   f concorrere, e girte dj concerto tutta l’Euro,  pa ; colà che per li grandi , e lèmmi pre-  giudizi di cui ella abbonda è preflo che im-  ponìbile , non che malagevole ; quindi li  ' ^vede , che molte Nazioni per particolari   - interelfì v’abbian una infinità di termini ,  e di rellrizioni intramelfe.   V. Ma non làrebbe egli un un maggior van-  taggio j e utile per noi , che gl’altri venif-  fero da noi anzi , che noi ne gifiìmo ad ef-   - - ? 4 1 . Ditèoveritimi il voftro fèntimento intor-  Xlir. no la guerra ?*   2kf. Così noi domandiamo quello Stato di  una Reppubblica mediante cui , ella ob-  bliga un’ altra a lòmminilìrarle quanto  'brama . -• ‘ v - ' • ■• *'> • '' 1 ■   V. R* ella per dritto Naturale permeila ?   M* Senza fai lo -imperocché le Reppubbliche,  conforme noi dicemmo efiendo alla guilà  di tante perlòne nello fiato della Natura ;  v e dovendo ogni uomo a tutto poter icàn-  zàr che che di male gli può mai per colpa  altrui intraveni re, con adoperare in ciò tut-  ti mezzi poffibih del Mondo , egli è di  ragióne, che l’una badi al rifàreimento  del danno , ricevuto dall* altra , e tratti  con mezzi conyenieriti r ed anche con la  • forza , dove tutto manca , ripararvi . ;■  D. Che colà è pace ? M '• Egli    DEL DRITTO NATURALE. 34?   M. Egli è quello flato di uno Reppubblica i  ' eh’ è ben ficuro, e libero dalla violenza ,   ' e dalla forza de* ftranieri . » .   D. A noftro avvilo dunque nello flato Natu-  rale , in cui fi conliderano le Reppubbli*   . che, eflendo peravventura permeilo d’ufar  la forza , o violenza contro la forza , o  violenza , fòltanto dove non vi fiano de-   • gli altri rimedj , la guerra reputar non  fi deve , che come uno eflremo remedio ,  a cui non bifogna venir giammai, fé non in   *;• calò dilperato , e dopo aver tentato tutti   ♦ gli altri i II perchè ebbe tutta la ragione  Livio di aderire che : jujìum bellum , qui- *  bui necejjarium , # pia arma , quibui nul -   ■; la , nijiin armi 1 relwquitur fpei .   M. Per verità da Iperienza maeftra di tutte  le colè, da tutto di adimprendere, comec-  1 chè lènza alcun profitto de’ Regnanti , che  fia lèmpre vieppiù il danno * ed il dilèapi*  toy che recanò le guerre , che l’utile:  t * Quindi quelli metter dovendo, tutto lo   - Audio , e la cura in promuovere in qua-  hmque modo la falvezza , e il bene della   - Reppubblica, egli conviene, che in un  fido, calò fi portino a guerreggiare ; cioè,  quando lùpera di Iunghifllmo fpazio, e   . lènza comparagione eccede la fperanza * .  del guadagno il timor del danno , per va-  ler-;    1 Digitized by Google    '34* ; DE* PRINCIP j  lermi del detto di Àugufto ^ e dopo ado-  perati tutti gli altri mezzi pofiibili ; come  a dire dopo , che perii Legati fi è di già   - ammonita la parte contraria ± e nemica a  lafciar 1* offefà , ed a rifar il danno , parte  con la dolcezza , e parte con l’afprezza;  ovvero dopo averle recato qualche danno  uguale al di già (offerto , ed ufàto delle  fcorrerie , o finalmente dopo proccurato   » terminar le controverfie mediante gli ar-  bitri ,' o altra colà di tal fatto ; il perchè  da quefto fi comprende quelche ad uom  mai vien permeffo di far nella guerra, rioè^  tutto quello lènza cui il nemico coftringer  non fi varrebbe, e obbligare in modo al-  cuno a quelche fi vuole , nè polliamo un-  que per l’avvenire viver ficuri, ch’egli  le ne rattenga ; poicchè nello fiato Natu-  rale , come a voi è ben noto fèrvir ci pol-  liamo di tutti li mezzi , che fi poflono mai  avere per riparar al male , che è per av-  venirci , e frenar colui , che n’è l’ autore,  fìcchè non damo certi , che non ci dan-  neggi in avvenire ; e perchè le guerre , q  fon offenfive, o difenfive ; diciam noi guer-  re offertfive , quelle che fi fanno per ripa-  rar il danno , che fi può mai avere ; e di-   ; fenfive , al rincontro nomeniam quelle ,   - che mai fi fanno per eflèr rifatti di quel   . - - * dan-*    DEL DRITTO NATURALE. 349  ' danno , che fi è di già avuto , o per Schi-  far quello , che altri tratta d* apportarci;  non meno nell* une , che nell’ altre > do-  ve fi vengono a terminare , fi deve total-  mente alla parte offèlà rifarete tutto il  danno , eh’ ella ha /offerto , e darle mal-  ievaria , e ficurtà di non danneggiarla mai  più inappreffò, con fòmminiftrarle pari-  mente tutte le fpelè , che nella guerra ella  ha fatto, pur che egli fia colà ageyole a noi  e non imponìbile a farlo ; del refto , eh*  ogni Regnante nello fiato della Natura  fia tenuto dar fòccorfò , ed ajuto all’ altro  invaiò ingiuftamente, ed affali to , e che  non fi rinviene in fiato di poter difenderli ,  egli non lèmbrerà affatto Arano a chi che è  ben perfuafo dell’ obbligagione , e del do-  ver degli uomini di lòccorrerfi a vicenda.  D. Quanti , e quali fono li modi propri per  XIV. acquiftar un Impero ?   M. Due: l’elezzione, e la lùcceffìone, giu-  da dalli medefimi nofiri principi fi deduce ;  non potendofi da niuno aver in altro modo  il governo nelle mani , le non mediante il  confenlò ffeffo di coloro, che governa, e  ciò che quelli anno una volta flabilito ;  comecché per verità fi poffà altresì ottene-  re con Tarmi, e per conquida ; ma di  quello ultimo modo non abbiamo colà di   ri**      ■ffo D E’ P R I N C I P J '   rimarco da dinotare per aJ prefente; fé non  che cotali Regni dipendano del tutto dal  capriccio, e dalla volontà di colui, che  . li conquida * - - ■' •. .   D. Che intendete per elezzione ?   M \ Un certo particolare , e lòlendo atto ,  mediante il quale, o tutto il Popolo, o  foltanto una parte , cui quello concede il  dritto , e la podeftà di eleggere, conferì*  fce il governo di una Reppubblica a chi  più gli piace ,   D. Quando 1* Impero è fùcceffivo ?   M.‘ Ogni volta che li conferì perawentura  a una famiglia , con patto , e condizione,  che fi elegga fèmpre mai qualch’unodi  quella per lo fuo governo ; il perchè egli  può in quello cafo avvenire, che lì fii di già  {labbilito, e determinato altresì chi fi deb*  - ba di quella all* altro anteporre ; cioè per  efèmplo , cheli primogeniti fiano preferi-  ti fèmpre mai V fecondi , e quelli alle fu-  mine , o che in altro modo venghi la fùc-  ccflìon determinata; ovvero eh’ e* concedo  fi fu con facoltà di difporne a lùa voglia in  ' teflamer.to , e fuora ; comecché vi fìa ri-  fguardo a quello nella Germania altresì  r ufo de’ patti fòccefiorj tra alcune fami-  glie de’ Principi, e Signori; come adi-  f- ilefò oflèrvar polliate da voi , dove vi   piac-    i . .    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. *jT  piaccia negli Scrittori del gius pubblico y  , (x) (ebbene per quelche,(èmbra non (è ne  rinvenca etemplo dinanzi all* Imperador  Ridolfo. Egli è il vero, che non meno  quelli , che entrano nel Regno per fuccef-  (ìone , che quegli che 1* ottengono me-  diante l 9 elezzione cofiumano di ferii coro-  nare ; ma ciò non effondo in fatti , che  una congerie di più atti (blenni - per v cui  non già fi accrefce , in qualche modo , o  fi aumenta la. podeftà de 9 Regnanti , ma fi  viene foltanto a rifiabilire , e confermar   - quella , che di già anno , ed a render la   lor perfona nota a tutti , e palefo co-  me quello , che non è fondato , che in  un 9 ufanza , non merita la noftra atten-  zione . • V   D. Finalmente avendo i Regnanti una (bmrna  XV. obbligagione di riempiere gli animi de*  loro fodditi delle vere mafiime di Religio-  ne ; il governo del loro Stato rifguar-   - do a queflo particolare credete voi che in  effetto appartenga ad efii ?   .Af. L’ obbligagione de 9 Regnanti rifpettoa  ciò non è altro , che trattar d 9 introdurre,   , e proteggere a tutto potere nel lor Stato  -n laverà Religione, con dar a coloro , cui   lpet-   ) Joatt. Ernifi , /. P. /. 3.    I    DE’ P1UKCIPJ ’  Ipetta largo campo da poterla efercitarej  e delle Tue fonte ma/iime riempierne gli  animi de* lor fodditi ; appunto come per  far che quelli foddisfino al dover , che la  natura lo rimpone di confervar la lor folute,  e trattar, dove avviene , che peravventura  incorrono in qualche malore di riffabilirfi,  non fon miga tenuti farla da’medicanti, ma  far foltanto che nel lor Regno vi fieno de-  gli ben efperti , e pratici in quello meftie-  re , o quandoabbifogniano non manchino;  imperocché lo Ipii ito della Religione , e la  politica temporale d*un Stato eiìendo infra  se cofe molto diverte , e differenti ; trat-  tando il primo di ftabilire , e mantener tra  gli uomini un ordine perfetto , e una pa-  ce folida , e ben ferma, ch’e’fia effètto  d’ una unione de’cuori , e di un vero amo-  re dell* unico , e foverano bene eh’ e’ Dio,  mediante un gran difprezzo, e diftacca-  mento dall* amore de’ beni temporali , di  cui non nè permette , che un ufo d’ affai  fòbrio , e parco , e il fecondo non ri /guar-  dando altro , che 1* efleriore degli uomini  a fin di mantener la pace , e la tranquilli-  tà pubblica ; ed imperò fòddisfar non po-  tendofi da una fleflà pedona , inùnffeffò  tempo agli ebbi jghi,o doveri, o uffizi d’un  .Principe Spirituale, e temporale, egli eoo*   vie-   «   ** ’• ;    Digitized by Gpogle    DEL DRITTO NATURALE, ar?  viene di neceflìtà,che fi dividino a due dif-  ferenti perfone , e fi cofiituifohìno , e for-  mino due diverfo potenze ,• comecché que-  lle amenrìue tenute effondo totalmente,  come abbiam detto, di congiungere, ed unir  gli uomini nel culto di Dio , e nelP'offor-  vanza di tutti gli obblighi , e doveri, che  infogna lor la Religione , e riguardando  perciò quaficchè un medefinio fine , non  poflòn effor tra se giammai di vifo , e l’una  contraria in modo alcuno all’altra, (al-  vo che per la difunione, e difoordia di colo-  ro , che T eforcitano , e bramano dar all*  una un* eftenfione su dell* altra , che in  guifà alcuna non può competerle ; Quin-  di conforme quegli , che fon proporti al  Minifiero Spirituale, fon in obbligo d’ ifpi-  rar a tutti gli uomini , ed infognar loro il  dover dell’ ubbedienza alle Potenze tem-  porali, e Pofforvanza delle leggi ', e de-'  gli ordini de* lor Regnanti ; così altresì  coloro, cui Dio ha fidato , e commeflo *il  governo temporale d’ un fiato, fon tenuti  d’ ordinar a tutti lor fodditi l’ ubbedienza  - alle Potenze Spirituali , e coftringergli  agli obblighi , e doveri, che porta foco  una tal ubbedienza in tutto quelch’e può  mai dipendere dall’ufo della propria Po-  tenza j ciò che comprende il dritto di prò- ,  teggere , difendere , e far mettere efocu-   Z z io-    3f 4 D E’ P R I N C I P J  . zione alle leggi della Chiefa ; punir» e  gafiigar chi che opera in contrario, e cerca  iturbar T ordine efieriore , con far altresì  delle leggi per quello effetto , quando  mai v* abbifògnano.   V , Vivon tutti ben perfùafi , e certi di que-  lla verità ?   M. Venendoci ella altresì nel Vangelo fpre£  famer.te infegnata » non fi legge giamai  da’ Cattolici meffa in queflione ; a ogni  modo li Scrittori del dritto pubblico infet-  ti il più , .ed ammorbati di Refia , e ripie-  ni di falle mafiìme, oppofle , e contrarie  non meno alla rtoftra Santa Religione, che  alla buona ragione » trattano comunal-  mente a tutto potere di pervaderci il con-  trario . , • • - i   D. Ma su quali pruove , e ragioni fonda-  no il lor difcorfò ?   M Secondo dicono . I. Con farli altrimen-  te egli fi viene a fòftener una di’vifione , ed  unfcifhla continuo nello Stato, e nel Re-  gno, effendo molto malagevole, e dif-  ficile, che due Potenze diverte , operino  concordemente in tutto , e 1* una non s’in-  gelofifca punto dell’ altra , e venga a diffi-  denza . II, Nello fiato Naturale tutto ciò  effondo fiato proprio de’ padri di famiglia,  inftituite che furono le lòcietà civili, pafsò  a* capi di quelle , cioè a 9 Regnanti . Ili,    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE. 3 rr  Eflèndo il principal dover di quelli proc-  curar in tutto di mantenere la pubblica  quiete della Igcietà , e niuna colà valendo  cotanto qùefta a dilminuire, quanto le con-  troverfie , eh* avvengono intorno la Reli-  gione, egli fi deve per quefto tutto ciò, che  rilguarda quefio punto , confìderar altresì  come proprio di elfi loro ,• 'Ma di quelli ,  e d* altri sì fatti folleggiamenti, non fi de-  ve da chi che penfa far conto alcuno ; im-  perocché per rifpondervi con confonanza ;   I. Dove a ognuna di quelle potenza gli lì  dà quell’ eftenzione , che gli conviene per  natura, e viene in quel modo, che noi  detto abbiamo efèrcitata , non v* ha niun  feifma da temerli in un Stato , o Regno.   II. Sebben egli fia vero, che ne* primi  tempi 1* elercizj della Religione, non fi fa-  ceano,che da* capi di famiglia, perché que-   ‘ fio fàcevafi per una pura necelfità , non  ’ efièndovi allor altro da cui efèrcitar fi po-  tefiero, non ne polfiam noi, che fiam in uu  altro fiato inferirne niuna colà di buono ,  ■ in guilà , che quantunque e’ Aggiungano  di vantaggio , che da quelli pafiàti fòdero  nell’ infiituzione delle locietà civili a* Re-  gnanti , ciò come colà , che non è da altro  foftenuta , che da conghietture , non deve  1 far in noi niuna impresone; imperocché  dalla lezzione della ftoria egli s’ imprende   Z 2 '- al    Digitized by Google     3*6' D E*/P R I N C 1 P J   al contrario, che tutte le Nazioni del Mon-  do , e tutti i Popoli della Terra (alvo  alcuni pochi che non fi vaifero della Reli-  gione , che per frenar la plebe , e per te-  ziar la lor ambizione , ebbero due poten-  ze diverte , T una per lo buon regolamen-  to di quelle cote, chea quefta appartenea-  no , e l’altra per lo buon governo di quel-  le , che riguardavano teltanto 1* ellerior  della lor tecietà . E III. Finalmente avve-  gnaché i diflui bi , e le rivolte molte in  alcun Regno tetto pretefio di Religione  fiano fiate le più perniciofe del Mondo ; a  ogni modo , come la fipria lo c* integna ,  la caute , e il motivo principale di quelle,  non fu , che l’ambizione , e le pafiìoni de’  Cittadini ; Chi averebbe mai teguito nel-  la Germania ( per parlar de’ tempi a noi  più profiìmi) 1’ anfanie di Lutero , e la fila  malvaggia dottrina , te pur ella è merite-  vole di un cotal nome , te buona parte del-  ’la plebaglia dal guadagno , e dal buttino ,  ed alcuni Principi dall’odio eh’ e* portava-  no alla cafa d’ Auftria, non vi fofier tratti ,  ovvero dalla libertà di coteienza , e dalla  lafcivia rifpinti ? Ma egli mi tembra aver  di già trateorte te non tutto, almanco il più  importante di quel, che ci propofòmo da  trattare , il perchè non eflendo più ora da  favellarne , riterbaremo il tettante ad un*  altra più agiata opportunità ,    Digitized by Googli    EMINENTISSIMO SIGNORE.   ' . • • - f   G T ?^^TV M TP a ? re in ^ tede.   nfìima Citta, fupplicando efpone a Voftra Emi-  nenza, come dentiera lampare un libro eh’ ha n* r ti-  tolo : De principj J e l Dritto ^aiutale di Giano.’u-  leppe Origlia, Pau lino j e perciò fupplica cornar  terne la nvdione , e 1 ’ averà a grazia, ut Deus &c  Reverendiis Dominiti D.Januarius Verelius e ri'  C.thfaUs Vicari», C.ra,T“lcfrt  refirT{ COea ,t EX ‘ ,m ‘" a ‘ ar Siedali, rcvidear, £   7 ... Dat x l ; m , Nea P* ha ^' die io. Decembris 174*.  J DepZ. NlCO aUS 7 ° rntts E W C - ^chadiopof: Canon.   EMINENTISSIME PRINCEPS.   0 P xr ’ qU ? d inCcrlb ^ur , Trinchi del Dritta   di quod^fideì^ ’ at f ente ..! e §i > nihijque in eo expen-  q od ndei , vel moribus adverletur Ano a  typis volgari polTe cenfeo . a£IVerIetUr • de re   £ J^tum Neap. hac die 18. Decembris 1745.   fe c£iZ" m *-*-**■ *&££.   Julius ^-Neapoh ^.Decembris 174^.   Deput. 1 ° *** TornttS fy’fc- drchadiopol. Canon.    S.R.M.    Digitized by Google    Sa Ra Ma    G iovanni di Simone Stampatore fupplicando u*  milmente efpone a V. M» , come defidera (lam-  pare un libro intitolato: De * Principi ilei Dritto Na-  turate, Trattenimenti JV. di Giangiufeppe Origlia,  Panlino; Ricorre per tanto da V.M. e la (applica de-  gnarli concedergliene la licenza , e Pavera a grazia,  ut Deus &c.   Vtriufque Jurìs DoBnr Jofephus Cyrillo in hac Re-  gia Sttùlorum Vniverfìta/e rrofejjor revide at 9 é*.  jn fcriptis referat .   Neap. die 19. menfis Augufli 174^,   C. GALIANUS ARCHIEP. THESSAL.        IlLU-    Digitized by GooqIc   . ** * •    ILLUSTRISSIMO SIGNORE .   \   N EI libro di D Giangiufeppe Origlia De ’ prìncipi  del Dritto Naturale ; non è cofa, che offenda i  diritti del Rs,o’l buono e cìvil coftume : anzi riluce  in efTo la pietà non meno , che 1* ingegno del dotto  Autore ; onde ftimo , che fi polla pubblicar colle  Itampe , fe altrimenti non iftima V. S. 111 . e Rever*  e le bacio col debito ofl’equio le mani .   'Di Cafa li 20. Novembre 174$.   Degnifis. ed Obbhgatifs. Servidore .  Giufeppe Pafquale Cirillo .   Dìe I. mettjìs Decembri s I 74 f. Neapoli . *   Vifo regali refcripto fub die ?o. proximi elapfi  menfìt Novemhris 9 ac approbatione fatta ordine  S.R^M.de commijjìone Reverendi Re gii Cappellani Afa -  joris a magnìfico V.J. D. D.JoJepho Pafcbali Cyrillo.   Pepali! Camera Santta Clara providet , decerni t ,  ntque mandat , qund imprimatur cum infertafor -  ma prafentis fupplicis libelli , ópou ,   V. not. pag. 72. not. N.   e per via , pag. i?i. e’ per, - -   ETXEIPIATÒR, * 4 p. ETXEIPIAION   Non che imaginano , pag. 150. non è che ,   ìfcorger , pag. 161. ricorrer,   e. netto , pag. 162. inetto ,   li pefi , pag. 1 66. li pefci ,   e doloro ibid. elfo loro ,   azzioni, pag. 168. azioni,'   metter liin pag. 171. metterli in ;   da Giureconfulti , pag . 172. de ,   dal * pag. 175. del ,   cónvengha , pag. 199. convenga,   didelfo , pag. 203. diftefo ,   delle morali, pao. 20 6. della buona morale,  fia , pag. 210. fia ,  obbligo , pag. 2 12. obbligo ,  dimenticàffero , pag. 2 1 5. dimenticaflsro . ‘  fi , pag. 22 7. fi ,   quel che noi diciamo ma fol quando , pag. 228. nói   tex: ur ° a, ™ n ° > - « *•   Deo    Digitized by    ** . %   Dio obìgat , ilici, oblìgAt ,   quid erìt de , pag. 229. exit de,   Confifterla , pag. 2$t. confifter la prima , t   ed un altro , pag. 232. ad un ,   piantai, pdg.233, giammai.   fi (labili , pag. 2 >4. fi flabill .   di altri , pag. 236. da,   imparaccio , ibid. imbarazzo ,   foprabondanti , pag. 241. foprabbondanti ,   oltre modo , pag. 24$. altro modo ,   flato d’ occafione , pag. 247. è flato ,   paragonandole quelle , pag. 250. a quelle ,   venga , pag. 26$. venga .   in una in una focietà , pag. 26 9. in una focietà «   Lattanzio che fi , pag. 272. Lattanzio fi ,   ammonifcha , pag. 28 1. ammonifea .   in nulla ad offender , pag. 282. nulla offendere .   Qualiier mulìer mulier liiber , pag.2%2, mulier liberi   dos dicit » pag. 284. di ci tur ,   leggi contrarie , pag 334. fontuarie ,   per veruta , pag. 338. verità.   Tempre mai congiungere , pag. 339, e congiungere „  avende , pag. 345. avendo, • 5   dilcoprj , ùag. 34 6. difeopri ,   Non abbiam notato qui , che gli errori li pit\ ef-   lenziall e Cll m aooìrkr rim *% a — * . J _ _1 * 1. •   come  doppi   punti &c. non polli dove lì doveano , lì fpera che  ilmrttfe leggitore non averi difficultà di plrdo-    AVVISO   . y   ' DELLO STAMPATORE   al lettore.   • . • * * •   ! *   1 * Autore oltre molte altre varie , e diver-  j fé opere , eh’ ha intendimento di dar al  pubblico di vario, e diverte genere di let-  teratura , e tra l’ altre una, eh’ ha per titolo :  Jurii Canonici , ac civili s praleBiones criticai  in duóbtti Voluminibus congejìa ; incorni nce-  rà ora l’edizione d’ un altra intitolata : V ar~  ti , e mejlieri deferitti , con ogni efattezM  tofpbile , e ridotti a lor veri , e proprj  principi . In Tomi 6. in 8. Opera utiliflìma  per coloVo , che bramano coltivare la teien-  za dell’ arti , ed averne di tutte una qualche  cognizione.il collo diciateun Tomo, che con-  terrà de’ Rami , per 1* afiociati farà di carlini  7 . e per gl’ altri di     . i    Digitized by Googlt         * »    Digitized by Google Giovanni Giuseppe Origilia Paolino. A. Paolino. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paolino” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Papi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella scuola di Milano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo italiano. Grice: “Papi’s ‘parola incantata’ is ambiguous, as ‘charmed word’ is, “Apriti Sesamo” is Two words, and they charm, they are not charmed! “Abracadabra” may be different!” -- essential Italian philosopher.  Studia a Milano e Stresa. Insegna a Pavia. Politicamente attivo nella corrente lombardiana del partito socialista italianoI, segue un percorso che lo ve varcare le porte del Parlamento ed assumere la vice-direzione e poi la direzione dell'Avanti! Sospettando un aumento del tenore affaristico nella politica così come lui stesso dichiara in un'intervista abbandona bruscamente la filosofia e si dedica alla filosofia. Fonda “Oltrecorrente”. Saggi: “Filosofie e società. Marx risponde a Veca, prende le distanze da Engels e rende omaggio a Papi.  E’ questa un delitto clamoroso che tenne le cronache dell’epoca deste anche per lo spessore di chi lo compì: Francesco Starace assassino evasore e falsario. Cugino del gerarca fascista Achille Starace. l’ing. Giovanni Castelli, di Busto Arsizio, industriale in maglieria, vedovo e padre di un bambino, si recò a Milano. Ma la notte non rincasò. Il giorno successivo giunge ai familiari un telegramma nel quale il Castelli li informava che andava a Bologna per affari. Il telegramma era firmato Giovanni, mentre per solito il Castelli si sottoscriveva Gianni. Questo particolare e la mancanza di altre notizie indussero il padre del Castelli a recarsi a Milano per rivolgersi alla polizia. Venne accertato che il telegramma era falso. Del Castelli nessuna traccia. Il 9 febbraio Maria Mazzocchi, (1), venne mandata dal suo convivente Francesco Starace (2) a ritirate un ombrello che aveva dimenticato al Miralago, la Venezia dei Milanesi, in via Ronchi 24. Il custode la fece entrare, considerato che l’inverno il Miralago era chiuso al pubblico. La Mazzocchi recatasi nel locale indicatole dallo Starace trovò il corpo di un uomo morto riverso sul pavimento: era il Castelli. Aperta l’inchiesta e identificata la vittima emerse che la stessa era conosciuta agli Starace perchè frequentava il Miralago.   La pubblicità del Miralago in piazzale Loreto, all’inizio di via Porpora  Ma non solo. Francesco Starace e Giovanni Castelli si frequentavano perchè avevano un’amicizia in comune: Biasin. Starace aveva avuto rapporti con lei ancora sedicenne e il Castelli la concupì in un boschetto del Miralago: Lidia li aveva fatti incontrare perché entrambi, all’epoca, erano nel ramo maglieria. Lo Starace, ormai fallito, doveva 12.000 lire al Castelli. Nelle more dell’inchiesta – secondo la ricostruzione fattane dallo Starace – lo stesso avrebbe invitato il Castelli al Miralago per ricordargli le sue condotte nei confronti della Biasin e che per questo doveva pagare. La ricattatoria pretesa degenerò in una colluttazione che ebbe come suggello l’esplosione di due colpi di pistola sparati dallo Starace contro il Castelli. Caso volle che alla scena iniziale assistette il garzone di un lattaio che indicò di avere udito anche degli spari. L’arma era in dotazione in un cassetto del locale ristorante. Ma oltre ad essere accusato di omicidio lo Starace derubò la vittima del portafogli, dell’anello, di una penna stilografica in oro tanto che nè il denaro – il Castelli doveva avere con sé almeno 10.000 lire – nè gli oggetti di valore furono mai trovati. Da subito lo Starace sostenne che la sottrazione di tali oggetti era stata fatta per creare l’apparenza di una rapina ciò non di meno fu accusato di rapina In Assise i legali di Francesco Starace cercarono di ottenere l’infermità mentale dell’assistito con l’aiuto di tre dottori: il dott. Moretti Foggia aveva avuto in cura un fratello dello Starace per paralisi infantile; il prof. Medea ebbe in cura uno zio dell’imputato affetto da una grave forma di deperimento nervoso; il prof. Pini curava una zia dell’accusato affetta da psicosi malinconica. Nessuno degli avvocati della difesa, stranamente, parlò del più noto dei parenti dell’inquisito: quell’Achille Starace ormai caduto in disgrazia anche agli occhi di MUSSOLINI. La Corte respinse le tesi dei luminari volta a sostenere una certa propensione patologica nella stirpe dello Starace e inflisse all’imputato 30 anni di carcere. Inviato a Roma per espiare la pena lo Starace offrì la sua collaborazione ai tedeschi e riuscì a ottenere la libertà. In carcere era entrato in contatto con alcuni falsari. Ricercato perché aveva intrapreso la remunerativa attività in Riviera venne arrestato a Milano per essere tradotto a Genova. Ma mentre veniva condotto a Genova ammorbidì la sorveglianza di uno dei custodi con un bel po’ di milioni, ritrovandosi di nuovo libero. Subito strinse relazioni con gente  che riuscì a spacciare circa 8 milioni di AM-lire, in biglietti da 1000, nonché carte annonarie italiane e svizzere, clichés per la stampa di biglietti da 100 lire.  Il nuovo Corriere della Sera titolava a pag. 2   Era la prima volta che il giornale faceva esplicito riferimento a una consanguineità tra Francesco Starace e Achille Starace. Addirittura si dilungò oltre a indicare che nella stamperia erano stato trovato materiale copioso tra   Nel 1949 allo Starace fu inflitta una pena di 22 anni, per l’attività di falsario. Ma tale condanna non ebbe effetto poiché, in sede di esecuzione,  gli fu computata la pena più grave comminatagli per il delitto del Miralago.1) Maria Mazzocchi, separata, fu impiegata come cassiera da Francesco Starace, allora caposala del Motta di piazza Duomo. A seguito del verificarsi di frequenti ammanchi di cassa, dei quali fu sospettato lo Starace, furono entrambi licenziati. 2) Francesco Starace, nato nel 1906 a Napoli, ex caposala del Motta di piazza Duomo, e figlio di Germano Starace gestore del Miralago. Separato. Dopo essere stato licenziato dalla Motta il padre gli aprì una bottiglieria ma abbandonò il negozio per impiantare un’industria di maglieria.  “La parola incantata”. Fulvio Papi. Papi. Keywords: il fascismo, il veintennio fascismo, filosofi fascisti, enciclopedia di filosofia, filosofia e societa, la scuola di Milano, fascismo, Giordano Bruno, fRefs.: Luigi Speranza, “Grice e Papi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Papirio: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Garden, and friend of CICERONE’s. CICERONE writes a letter to him in which he rebukes P. for ‘his use of obscenities’. Grice: “In my vernacular: ‘Fuck, you do swear, man!’! --  Papirio Peto.

 

Grice e Pareyson: implicatura conversazionale – implicare, impiegare, ed interpretare – liberalismo, risorgimento, fascismo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Piasco). Filosofo italiano. Linceo. Nato da genitori entrambi originari della Valle d'Aosta, si laurea a Torino con una tesi dal titolo “Esistenza” – su Jaspers, che poi venne pubblicata all'editore Loffredo di Napoli. Compe spesso viaggi di studio in Francia e in Germania, dove ebbe modo di conoscere personalmente Maritain, Jaspers eHeidegger. Si fece notare dai più importanti filosofi del tempo, tra i quali Gentile. Allievo di  Solari e Guzzo, dopo aver seguito in Germania i corsi di Jaspers, insegnò filosofia al Ginnasio Liceo Cavour di Torino e al liceo di Cuneo, dove ebbe come allievi alcuni futuri esponenti della Resistenza italiana, tra i quali Revelli e Vivanti. Fu arrestato per alcuni giorni, in seguito agì egli stesso nella Resistenza, insieme con Bobbio, Ferrero, Galimberti e Chiodi, continuando a pubblicare anonimamente articoli.  Nel dopoguerra insegnò al Gioberti e in vari atenei tra cui Pavia e Torino dove, conseguito l'ordinariato. Fu accademico dei Lincei e membro dell'Institut international de philosophie, oltre che direttore della Rivista di estetica, succedendo a Stefanini che la fondò  a Padova. Ha molti allievi, fra cui Eco, Vattimo,  Tomatis, Perniola, Givone, Riconda, Marconi, Massimino, Ravera, Perone, Ciancio, Pagano, Magris e Zanone, segretario del Partito Liberale Italiano, ministro della Repubblica e sindaco di Torino. Considerato tra i maggiori filosofi, assieme a Abbagnano fu tra i primi a far conoscere l'esistenzialismo, facente capo principalmente ad Heidegger e Jaspers, e a riconoscersi in questa visione (La filosofia dell'esistenza e Jaspers), in un quadro dominato dal neo-idealismo. Si dedica anche a dare una nuova interpretazione dell'idealismo  non più in chiave hegeliana (Fichte), individuando in Schelling un precursore a cui l'esistenzialismo doveva la propria ascendenza, sostenendo che «gli esistenzialisti autentici, i soli veramente degni del nome, Heidegger, Jaspers e Marcel, si sono richiamati a Schelling o hanno inteso fare i conti con lui L’'esistenzialismo anda ripreso in chiave ermeneutica. Considera la verità non un dato oggettivo ma come interpretazione del singolo, che richiede una responsabilità soggettiva. Chiama la propria posizione personalismo ontologico. Si è dedicato anche a ricerche storiografiche, individuando nella filosofia post-hegeliana due correnti, riconducibili rispettivamente a Kierkegaard e a Feuerbach, e che sarebbero sfociate rispettivamente nell'esistenzialismo e nel marxismo.  Il suo percorso filosofico ha attraversato principalmente tre fasi:  una più propriamente esistenzialista, attestata cioè su un esistenzialismo personalistico, in dialogo con Kierkegaard, che riconosca come la comprensione di sé stessi è resa possibile solo dalla propria relazione con l'Altro; una seconda incentrata sull'ermeneutica, ossia nel farsi strumento di interpretazione della verità, volgendosi ad una comprensione ontologica delle condizioni inesauribili dell'esistenza, che ripercorrendo Heidegger si tramuta da angoscia del nulla in ascolto dell'Essere; l'ultima che si richiama a un'ontologia della libertà, più vicina a Schelling, ritenuto un filosofo talmente attuale da essere persino post-heideggeriano, la cui interpretazione può essere innovata a partire da Heidegger proprio perché Heidegger ha avuto Schelling all'origine del suo pensiero. Rreinterpreta le tre fasi del suo pensiero alla luce del passaggio dalla filosofia negativa a quella positiva di Schelling, ossia il momento in cui la ragione, prendendo atto della propria nullità, si apriva allo stupore dell'estasi, in una maniera non necessaria né automatica, bensì fondata su una libertà che non esclude tuttavia la continuità. Solo ammettendo questa libertà si può approdare da una filosofia puramente critica, negativa, ad una comprensione dell'esistenza reale, oltre che della possibilità del male e della sofferenza. Il discorso sulla negatività non sarebbe affatto completo se non si parlasse della sofferenza, ma dato che la sofferenza è non solo negatività, ma è una tale svolta nella realtà che capovolge il negativo in positivo, questo fa già parte di quella tragedia cosmo-te-andrica – cosmos, theios, aner -- che è la vicenda universale. Migliorini et al., Scheda sul lemma "P.", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, Per gli accenni biografici di questa sezione, si veda Vattimo, Dizionario Biografico degli Italiani, come anche la biografia presente in centrostu di pareyson. Regolo, A Torino Gadamer ricorda P., Repubblica, Cfr. Schelling, in «Grande antologia filosofica», Milano, Marzorati, Palma Sgreccia, Una filosofia della libertà e della sofferenza, Milano. Offrì un'interpretazione del proprio percorso filosofico nell'iEsistenza e persona. Tomatis; “Escatologia della negazione” (Roma, Città Nuova. cit. in: Roselena Di Napoli, Il male – cf. Grice, “ill-will” --. Roma, Gregoriana, Tomatis. Altri saggi: “La filosofia dell'esistenza” (Napoli, Loffredo); “L’esistenzialismo” (Firenze, Sansoni); “Esistenza e persona” (Torino, Taylor); “L'estetica idealista del fascismo” (Torino, Filosofia); “Fichte, Torino, Edizioni di «Filosofia); “Estetica. Teoria della formatività, Torino, Filosofia); “Teoria dell'arte, Milano, Marzorati, I problemi dell'estetica, Milano, Marzorati); “Conversazioni di estetica, Milano, Mursia, Il pensiero etico” (Torino, Einaudi); “Verità e interpretazione, Milano, Mursia); “L'esperienza artistica, Milano, Marzorati,  Schelling, in Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati); “Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, Torino, Einaudi, La filosofia e il problema del male, in Annuario filosofico, Filosofia dell'interpretazione, Torino, Rosenberg); Kierkegaard e Pascal, Givone, Milano, Mursia); “Filosofia della libertà, Genova, Melangolo); Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Torino, Einaudi. Le "Opere complete" sono pubblicate a cura del "Centro studi filosofico-religiosi P.", Mursia, Milano.  Interviste principali Se muore il Dio della filosofia, Sbailò, “Il Sabato”, anno Io, filosofo della libertà, Righetto, “Avvenire” Mario Perniola, "Un'estetica dell'eccesso: Luigi Pareyson", in Rivista di Estetica, Rosso, Ermeneutica come ontologia della libertà. Studio sulla teoria dell'interpretazione di P., Milano, Vita e Pensiero, Francesco Russo, Esistenza e libertà. Il pensiero di P., Roma, Armando, Furnari, I sentieri della libertà. Milano, Guerini e associati, Chiara, L'iniziativa. Genova, il melangolo, Ciglia, Ermeneutica e libertà, Roma, Bulzoni Editore, Tomatis, Ontologia del male, Roma, Città Nuova Editrice, Ciancio, L’esistenzialismo, Milano, Mursia Editore, FTomatis,  pareysoniana, Torino, Trauben Edizioni, Les Cent du Millénaire, Aosta, Counseil régional de la Vallée d'Aoste & Musumeci Éditeur, Conti, La verità nell'interpretazione. L'ontologia ermeneutica, Torino, Trauben Edizioni,  Pareyson. Vita, filosofia,, Brescia, Morcelliana,  Musaio, Interpretare la persona. Sollecitazioni. Brescia, Editrice La Scuola, Palma Sgreccia, Una filosofia della libertà e della sofferenza, Milano, Vita e Pensiero, Bubbio, Coda, L'esistenza e il logos. Filosofia, esperienza religiosa, rivelazione, Roma, Città Nuova Editrice, Bartoli, Filosofia del diritto come ontologia della libertà. Formatività giuridica e personalità della relazione, Roma, Nuova Cultura, Giudice, "Verità e interpretazione,” Atti dell'Accademia peloritana dei Pericolanti, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere Dizionario di filosofia Centro studi filosofico-religiosi P. Pubblicazioni e  critica Centro studi filosofico-religiosi orino. vita e pensiero Gianmario Lucini, sito "filosofico.net". Luigi Pareyson. Pareyson. Keywords: implicare ed interpretare, “Liberalismo, risorgimento, fascismo” – la filosofia politica fascista, la morale fascista, Pareyson e Gentile, fascismo, I saggi anonimi di Pareyson, ‘Liberalismo, risorgimento, fascismo’ ----  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pareyson” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Parinetto: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale ed alchimia – la bucca del culo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo italiano. Grice: “Parinetto implicates, “Are witches women?” “Sono donne le streghe?” Grice: “The question may be rhetorical but it ain’t – since Italian allows for “lo strego,” and “lo stregone.”” Ha insegnato a Milano. Nella sua opera convergono tanto lo studio delle filosofie orientali (fu traduttore del Tao Te Ching di Lao Tzu) che influenze di pensatori sia classici, come (Eraclito, Nietzsche e Marx), sia contemporanei della filosofia occidentale, quali Deleuze e Guattari. È considerato uno degli interpreti eterodossi del marxismo. Particolarmente importanti sono state le sue analisi sulle persecuzioni dei movimenti ereticali e sulla stregoneria, nella cui repressione legge il tentativo di annichilimento di qualsiasi diversità sociale da parte del potere (non solo religioso ma anche economico e culturale). Ha contribuito, spesso, con queste sue analisi, alla comprensione dell'emarginazione di tutte le istanze sociali e culturali minoritarie, non solo del passato ma anche contemporanee. Altro tema centrale dell'opera è l'alchimia, intesa come sapere contrapposto alla scienza moderna e volto alla trasformazione dell'umano anziché del sociale. Ha anche una profonda cultura musicale, tanto da essere stato collaboratore di “L'Eco di Brescia” come recensionista. Fu anche collaboratore del periodico La Verità (organo della federazione bresciana del PCI).  È in via di costruzione, presso la biblioteca di Chiari, la Fondazione Parinetto, che raccoglie la sua vasta produzione. Saggi: “Alchimia e utopia, Pellicani” (Mimesis); “Corpo e rivoluzione in Marx, Moizzi-contemporanea, Faust e Marx, Pellicani” (Mimesis); “Gettare” (Mimesis); I Lumi e le streghe, Colibrì, “Marx: sulla religione, La nuova Italia, “ Il ritorno del diavolo” (Mimesis,” La rivolta del diavolo: Lutero, Müntzer e la rivolta dei contadini in Germania, Rusconi); “La traversata delle streghe nei nomi e nei luoghi e altri saggi, Colobrì, “Magia e ragione” Nuova Italia,  Marx diverso perverso, Unicopli, Marx e Shylock, Unicopli, Né dio né capitale” (Contemporanea, “Nostra signora dialettica” Pellicani,  Processo e morte di Bruno: i documenti, con un saggio, Rusconi, Solilunio: erano donne le streghe?, Pellicani, Sulla religione, Nuova Italia, Streghe e potere: il capitale e la persecuzione dei diversi, Rusconi. Curatele e traduzioni Jakob Böhme, La vita sovrasensibile. Dialogo tra un maestro e un discepolo, Mimesis, Bruno, La magia e le ligature, Mimesis, Cusano, Il Dio nascosto, Mimesis, Dickinson, Dietro la porta,  liriche scelte, Rusconi, Eraclito, Fuoco non fuoco, tutti i frammenti,  Mimesis,  Rime sulla morte, Mimesis, Hegel e Hölderlin, Eleusis, carteggio, Mimesis); Il teatro della verità. Massoneria, Utopia, Verità, Mimesis, Angelus Silesius, L'altro io di dio, Mimesis,  La via in cammino: Tao Te Ching, La vita (Felice, Milano); Voltaire, Stupidità del cristianesimo, Stampa Alternativa, Vedi per esempio Una polemica sulle streghe in Italia, riferimenti in.  Vedi per esempio la recensione a I Lumi e le streghe  Vedi di Renzo Baldo  Cfr. Fondazione Micheletti Catalogo Emeroteca, su //musil.bs. Movimenti ereticali medievali Stregoneria. Biografia da Nicoletta poidimani  Biografia da zam, su zam. Una polemica sulle streghe in Italia --  nel sito della ARFISAssociazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e Storia. Parinetto. Keywords: etymologia araba d’alchimia, processo e morte di Bruno, massoneria, eretico, alienazione, la bucca del culo, anale, analita, il falo, il pene, quando l’ano appare (da fece) – metafora – da fece in vece del falo, Bruno, de magia, trattati di magia, processi a Bruno, gl’antichi romani, I corpo e la revoluzione fascista – il veintennio fascista e l’analita -- Refs.: “Grice e Parinetto” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Parisio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Cicerone – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Figline Vegliaturo). Filosofo italiano. Grice: “I like Parisio; he focused on rhetoric, as every philosopher should!” Come molti filosofi italiani senza titolo nobiliario, ha una vita errabonda. Dopo aver fatto un viaggio di studio a Corfù, ritorna in patria dove apre una scuola. Si trasfere a Napoli dove ottenne cariche e favori dal re Ferrandino. Risiede per qualche tempo a Roma per poi trasferirsi a Milano dove sposa la figlia del filosofo Demetrio Calcondila. Dopo aver abitato a Vicenza, Padova e Venezia, torna a Cosenza, dove fonda l'Accademia Cosentina. Recatosi a Roma, invitato da Leone X, vi insegna sia eloquenza nell'Accademia Pomponiana che latino nell'archiginnasio. Rimame a Roma fino alla morte di Leone X,  dopo di che ritorna definitivamente a Cosenza. Saggi: Q. Horatii Flacci Ars poetica, cum trium doctissimorum commentariis”; “Acronis, Porphyrionis. Adiectae sunt praeterea doctissimae Glareani adnotationes. Lugduni veneo: a Philippo Rhomano); Q. ORAZIO Flacci Omnia poemata cum ratione carminum, et argumentis vbique insertis, interpretibus Acrone, Porphyrione, Antonio Mancinello, necnon Iodoco Badio Ascensio viris eruditissimis. Scoliisque Angeli Politiani, M. Antonii Sabellici, Ludouici Coelij Rhodigini, Baptistae Pij, Petri Criniti, Aldi Manutij, Matthaei Bonfinis et Iacobi Bononiensis nuper adiunctis. His nos praeterea annotationes doctissimorum Antonij Thylesij Cosentini, Francesci Robortelli Vtinensis, atque Henrici Glareani apprime vtiles addidimus; Nicolai Perotti Sipontini libellus de metris Odarum, Auctoris vita ex Petro Crinito Florentino. Quae omnia longe politius, ac diligentius, quam hactenus excusa in lucem prodeunt; “Index copiosissimus omnium vocabulorum, quae in toto opere animaduersione digna visa sunt, Venetiis: apud haeredes Ioannis Mariae Bonelli, Claudius Claudianus, Claudianus De raptu Proserpinae: omni cura ac diligentia nuper impressus: in quo multa: quae in aliis hactenus deerant: ad studiosorum utilitatem: addita sunt: opus me Hercle aureum: ac omnibus expetendum, Venezia: Albertino da Lessona, Bernardino Viani e Giovanni Rosso, Clausulae, CICERONE ex epistolis excerptae familiaribus: ac in sua genera miro ordine digestae: plenae frugis: & ad perducendos ad elegantiam stili pueros vtillimae. et recensuit & approbauit, Vicentiae: per Henricum & Io. Mariam eius. F. librarios, Valerii Maximi Priscorum exemplorum libri nouem: diligenti castigatione emendati: aptissimisque figuris exculti: cum laudatis Oliverii ac Theophili commentariis: Hermolai Barbari: Georgii Merulae: Mar. Antonii Sabellici: Raphaelis Rhegii: multorumque praeterea nouis obseruationibus: indiceque mirifico per ordinem literarum: ad inveniendas historias nuper excogitato: alteroque in usum grammaticorum ad vocabula rerumque cognitionem” (Venezia,  per Bartholomeum de Zanis de Portesio); “Habes in hoc volumine lector optime diuina Lactantii Firmiani opera nuper accuratissime castigata: graeco integro adiuncto:... Eiusdem Epitome. Carmen de Phoenice. Carmen de Resur. Domini. Habes etiam Ioan. Chry. de Eucha. quandam expositionem & in eandem materiam Lau. Vall. sermonem. habes Phi. adhorationem ad Theodo. & adversus gentes Tertul. Apologeticum, Venetiis: arte & impensis Ioannis Tacuini fuit impressum,); “Retoricae breviarium ab optimis utriusque linguae auctoribus excerptum”; “Liber de rebus per epistolam quaesitis. Henr. Stephani Tetrastichon de hoc Iani Parrhasij alijsque quibus poetas illustrauit libris... Adiuncta est Francisci Campani Quaestio Virgiliana” (excudebat Henricus Stephanus, illustris viri Huldrichi Fuggeri typographus, Davide Andreotti, Storia dei cosentini” (Napoli, Marchese); Ugo Lepore, «Per la biografia’ Biblion,  Francesco D'Episcopo, Fondatore dell'Accademia Cosentina, Cosenza: Pellegrini, A. Frugiuele, Dubbi ed ipotesi sui suoi natali, in Il Letterato: rassegna di letteratura, arte, scuola fondata e diretta da Pellegrini, Accademia Cosentina Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Indice. A quibus primumd C inventa rhetorica et celebrata; qualis primu apud athenienses e!o^ quentia e usus ac stadium; quale primu apud romanos; quid sit rhetorica, quid inter rhetorica et Dialc<fh*«» AnFSietoricaiitars, quod utilis sit rhetorica; Sit 'nc ars necessaria; Quae praeftarc oporteat rhetorica; Qualeseifedel eant Rhetoriesecan didati Quae fdre eos oporteat ti»it; quod sit officium rhetoricae; quidintero fficiumdC finem; quis rhetoricae finis; quae materia; De ciuilib quadfaonibus, SC earuhi generibius; De circunftanda quae facithypOi» , the fim; De tribus generibus caufar; partes Rhetoricae qumqi; De muenrione. Zo; Qufcotrouerfiaeno confidat zi^4z De conftitutionc* zz»4^ Quotfint coftiturioncs, etquf; De ftatucomecdurah» De datu deiinitiuo. De datu generali De datu tranflarivo Ex plurib conditutionibus quomcH do prmdpale quisinuemat Quae caufa dmplexfit iuneda^ quae con^ zp.do De quaedione, ratione, iudicatione &nrmamento, partes orationis; De genere deliberativo; Genus Demondratiuunit; Genus ludiciale. Figlio da Tommaso, giureconsulto e consigliere del Senato napoletano, e Pellegrina Poerio. Ha come primo maestro Pedacio, che lo avvia alla conoscenza del latino. Si trasfere a Lecce, dove il padre e stato nominato governatore, e intraprese lo studio del greco sotto la guida di S. Stiso. Si reca Corfù per frequentare la scuola di Mosco, dove perfeziona la conoscenza del greco. Rientrato a Cosenza, frequenta le lezioni di T. Acciarini. Ha certamente una formazione giuridica, sollecitata dal padre, di cui resta traccia nel “Vocabularium legale” (Napoli, Biblioteca nazionale), un elenco alfabetico di quesiti giuridici tratti dai giureconsulti antichi. Ma l’interesse per il diritto e le istituzioni politiche antiche deriva a P. anche dalla frequentazione di Pucci, allievo di Poliziano a Firenze, attivo a Napoli. Si trasfere a Napoli ma i suoi contatti con Pucci e con l’ambiente culturale napoletano risalivano a qualche anno prima. Invitato a tenere lezioni sulle “Silvae” di Stazio e nell’occasione pronuncia l’orazione “Ad patricios neapolitanos”, nella quale elogia G. Pontano. Alla frequentazione dell’ambiente pontaniano risale probabilmente l’adozione del nome latino Aulus Ianus Parrhasius.  Nominato da Ferdinando I d’Aragona maestro di camera e ricoprì incarichi nella cittadina calabrese di Taverna e a Lecce. E in rapporti di amicizia con Ferdinando II (Ferrandino), come evidenziano una lettera a lui indirizzata e l’epicedio in versi per la morte della madre, Ippolita Maria Sforza. È probabile che segue Ferrandino nella fuga da Napoli occupata da Carlo VIII ( e poi nella riconquista del Regno. Dopo la morte di Ferrandino e la salita al trono di Federico I si trova coinvolto in intrighi di corte e prefere abbandonare Napoli per trasferirsi a Roma. Arrivato a Roma  segue le ultime lezioni di P. Leto e si lega a T. Inghirami, che gli fa assegnare l’insegnamento di oratoria nello studio romano. In seguito all’uccisione di due suoi allievi, implicati nelle trame che accompagnarono il pontificato di Alessandro VI, decide di abbandonare Roma e di trasferirsi a Milano.  Nella città lombarda trova alloggio e occupazione nella scuola di Minuziano. Collabora ad alcune edizioni date alle stampe da Minuziano e scrisse epigrammi contro due suoi avversari, G. Ferrari, docente di eloquenza nella scuola milanese, e il corso Damiano Nauta. Si trasfere presso Cotta, che gli dette l’opportunità di aprire una scuola propria e che forma con lui un sodalizio editoriale. L’allontanamento da Minuziano provoca polemiche e scambi d’accuse, di cui danno testimonianza le tre orazioni di Parisio in Alexandrum Minutianum. Sposa Teodora Calcondila, figlia dell’ateniese Demetrio, che insegna greco a Milano. Furono allievi di Parisio a Milano, oltre a Cotta, anche il figlio di Demetrio, Teofilo, Alciato, Giovio (che scrive su biografia nei suoi Elogia) e il figlio di E. Poncher, vescovo parigino all’epoca presidente del Senato milanese. Fu grazie a Poncher che ottenne la cattedra di eloquenza lasciata vacante da Ferrari, fuggito da Milano dopo la caduta di Ludovico. La polemica con Minuziano, dopo una temporanea ri-conciliazione, si riaccese in un contesto politico meno favorevole a lui, in seguito alla sostituzione del Poncher con Charles. A quest’ultimo Minuziano dedica l’edizione liviana data alle stampe,  per la quale P. accusa l’avversario di aver plagiato le proprie lezioni su questo autore. La polemica degenera in una campagna denigratoria nella quale Minuziano e affiancato da Ferrari, rientrato a Milano, Nauta e R. Panato da Lodi. Replica sotto lo pseudonimo di Furius Vallus Echinate in un opuscolo stampato a Legnano da G. Giacomo assieme con la ri-edizione del commento a Claudiano. Oggetto anche di un’aggressione fisica accetta l’offerta di Trissino, allievo di Calcondila e si trasfere a Vicenza. Pubblica numerosi saggi: il commento al De raptu Prosperpinae di Claudiano; i carmi di Prudenzio e il Carmen Paschale di Sedulio (ambedue nella tipografia di Guillaume la Signere e con il contributo della famiglia Cotta). Ancora presso Scinzenzeler e con una prefazione di C. Cotta, il “De viris illustribus urbis Romae”, una delle compilazioni tardo-antiche trasmesse sotto il nome di Aurelio Vittore, che attribue a Cornelio Nepote (nello stesso anno Minuziano pubblica lo stesso testo fra le opere di Svetonio); il “Libellus de regionibus urbis Romae” (tip. Scinzenzeler), una versione interpolata della “Notitia regionum urbis Romae” che attribusce a un inesistente Publio Vittore. Le iniziative editoriali sono accompagnate dalla ricerca di codici antichi: nell’edizione di Sedulio dichiara di aver utilizzato un antico codice scoperto in un monastero. A un codice di Parisio fa riferimento T. Calcondila nell’edizione di Valerio Massimo a Legnano da G. Giacomo con commenti dello stesso Parisio e di altri. Riusce a impadronirsi anche di alcuni dei manoscritti bobbiesi scoperti da G. Merula e attualmente nella Biblioteca nazionale di Napoli: i codici Lat. 1 e 2 utilizzati per le edizioni di testi grammaticali di Probo e altri autori pubblicate a Milano da Scinzenzeler e Vicenza  da Zeno), e il IV.A.8 contenente l’“Ars grammatica” di Carisio, pubblicata da Ciminio (Napoli, G. Sultzbach). I tre codici sono custoditi nella Biblioteca nazionale di Napoli. L’attività editoriale prosegue a Vicenza, con la collaborazione della tipografia dei Ca’ Zeno. Pubblica una raccolta di clausule ciceroniane tratte dalle familiari, un manuale di retorica e la citata raccolta grammaticale. Non fa in tempo a pubblicare il “De rebus per epistolam quaesitis”, una raccolta di notazioni filologiche in forma epistolare incominciata a Milano e a cui dette forma editoriale a Vicenza. Il suo nome si legge anche nell’edizione di Lattanzio stampata a Venezia da Tacuino, ma non è chiaro se egli abbia realmente contributo a questa edizione. Le sue note ai primi due libri dell’ “Eneide” sono inclusi nell’edizione virgiliana stampata nel a Milano da Scinzenzeler.  Arrivato a Vicenza pronuncia “Ad municipium Vicentinum” e tenne corsi fino all’anno successivo. E ad Abano, per curare la podagra di cui soffriva. In seguito alle vicende seguite alla sconfitta di Venezia ad Agnadello si trasfere dapprima a Padova e poi Venezia, ospite da Michiel. Vaglia la proposta di insegnamento offertagli dalla città di Lucca, ma qualche mese dopo preferì abbandonare Venezia per la Calabria, dove arriva nel giugno dopo una sosta di alcuni mesi a Napoli, dove e accolto da A. Seripando e da altri sodali dell’Accademia Pontaniana. All’attività svolta a Cosenza viene fatta risalire quella che in seguito verrà denominata l’Accademia cosentina. Insegna ad Aiello, quale precettore dei figli del conte Siscari. Nella scuola di Taverna tenne corsi su Plauto e sui grammatici. E a Pietramala, dove apprese dal cognato Basilio Calcondila che Leone X gli assegna un incarico di insegnamento presso lo Studio romano (oltre a Calcondila, l’incarico era stato raccomandato al pontefice da Inghirami e Lascari).  Arrivato a Roma  tenne i corsi. Ottenne da Leone X la dispensa dall’insegnamento e una pensione. Progetta di trasferirsi a Napoli, grazie a un legato d’Aragona, ma le precarie condizioni di salute lo indussero a raggiungere Cosenza, dove muore. Oltre all’edizione carisiana di Ciminio, anche altri pubblicarono inediti di Parisio. Suo figlio da alle stampe a Napoli le lettere inviategli dal maestro, ma la stampa è attualmente irreperibile. Ne resta una copia manoscritta nel codice della Biblioteca dei girolamini di Napoli. IMartirano pubblica a Napoli (G. Sultzbach) il suo commento all’Ars poetica di Orazio. Il “De rebus per epistolam quaesitis” e pubblicato da Estienne II, che nella prefazione lo presenta come il maggiore umanista della recente generazione, un giudizio ripetuto ancora da Sabbadini. Vennero date alle stampe anche le sue esegesi alle Heroides (Venezia, Tacuino) e le Metamorfosi di Ovidio e la “Pro Milone” di CICERONE. Lascia in eredità a Seripando l’ingente biblioteca raccolta negl’anni precedent. Essa contava, nell’inventario redatto dopo la morte, fra codici e libri, molti con annotazioni dell’umanista. Seripando li lascia in eredità al fratello, il cardinale Girolamo. La biblioteca passa poi al convento napoletano di S. Giovanni in Carbonara, subendo perdite e dispersioni. Il nucleo più consistente è conservato nella Biblioteca nazionale di Napoli. Parte degli inediti parisiani (lettere, orazioni, prolusioni) sono stati pubblicato da Iannelli e Lo Parco. Il De rebus per epistolam quaesitis, a cura di L. Ferreri, Roma. Fonti e Bibl.: Iannelli, De vita et scriptis Auli Iani Parrhasii Commentarius, Napoli; Parco, Studio biografico-critico, Vasto; Sabbadini, Le scoperte dei codici latini, Firenze, passim; F. Lo Parco, P. e Alciato, in Archivio storico lombardo; Due orazioni nuziali inedite, Messina; Lepore, Per la biografia, Biblion; M. Ferrari, Le scoperte a Bobbio in Italia medievale e umanistica,  M. Manfredini, L’inventario della sua biblioteca,  in Rendiconti dell’Accademia di Architettura, lettere e belle arti di Napoli; C. Tristano, La biblioteca di un umanista calabrese, Manziana,  Lauletta, Un inedito: la Praefatio in Flaccum, in AION, Sezione filologico letteraria; L. Munzi, Prassi didattica e critica del testo in alcune prolusioni inedite, in Studi umanistici piceni, Parrhasiana, I, a cura di Rosa et al., Napoli, Parrhasiana, II, a cura di Abbamonte et al., in AION, Sezione filologico letteraria, XXIV, M. Paladini, Appunti su Parrasio maestro, in Vichiana, Parrhasiana, III, a cura di G. Abbamonte et al., in AION, Sezione filologico letteraria, D. Pattini, Preliminari per un’edizione del commento di P. alla Poetica di Orazio in Filologia e critica, L. Ferreri, L’influenza di Pucci nella sua formazione in Valla a Napoli, a cura di Santoro, Pisa. lANI PARRHASII  NEAPOLITANI VIRI CTISSIMI RHETORICAE Compendium AQVIBVS PRIMVMETIN*  uenta Rhetorica >6^ celebrata Cap,i»    Rhetorics    toresyqta^ leges tulerunt, tllm pnmt creduntur  exercuifjeieaq- duce feros animos eff^ciffe patientes focietatis, coetus, Winc ex observatione, quum queere£ta, qu re& non uidcbantur Marte etiam   geni  I  RHETORICAE COMP. f  genitus Populus, tanfim defidice altricem  rejpuebant» Et quia a Grcecis petenda eratf  ^gre ferebant ah illis quicquam accipere : indi-»  gnum putantes, quos armis rerunuygloria uicif»  fentydiqua tamen in re fateri fuperiores.Vnde fi  ^ui Uteros callebant Gracas, magna eas indu-»  firia difiimukbant,ne apud fuos ciues autoritatc  imminuerent.Paulatim tame utilis hone/ia^ ap-  paruittprimus^ L . Plocius G alius, fub ipfi^ U  Crafft extremis temporibus, eo ipfo die quo Vd  lenus Catullus natus eft , docere eam latine cce pittad quem ingens cocurfus. Aegre ferebat CICERONE,non^idem fibiliceretquod doSiifiimoru autoritate teneretur, qui extimarent, Graecis exercitationibus ali melius ingenia poffe, LJtin  de*Voltacilius,q Gn.Pompeiu docuit, primus^  hbertinoru hi/ioria no nifi ab honeflifiimis traftrfr/ folitam fcribere aufus cfi, rhetorica artem  profeffus eUitantuml^ breui interieSio tempore  fumpfit incrementi , ut Cicero iam finior, cum  Hircio & Panfa grandibus pr   rhetorica nulla pracepu ab autonhus defcripta funti uel quod nulla materia diRans ah huma-  nis rebus excogitari poteB , qua in aliquo ex tri  hus generibus propria rhetorica aliqua falte ex  parte non cadatiuel quia qua degena^ali dicen-  da ^ent , ex propria praceptis facile mtelligi  pofpnt . Hanc igitur propriam ex fententia M.  Tullij breuiter ^ circufcripte definiamus-) par-  tem effe ciuilis fcientia,id efi politica, ciuilis au  tem rationis una pars eR-, qua in opere fine tu- ^  multuialtera-) qua in quaftionibus hteq^ cofiftit^  cuius magna et ampla pars artificiofa eloquetia*  ayiT> inter rhetoricam 8^ dialccfiicam. Cap» 5«.   E t quonia d^aleRica cognata putat An-  ftoteleSyage fi lubet qd inter fe differat in  fpictamus . Nofttm eR illud Zenonis , qui manu  prolata utriufque uim expreffit . amba enim ad  unum fere eundemq; finem argumentationes re-  periuntinec fecum, fed ad alios agunt, fola^ ex  omnibus fcientijs,de cotrarijs ratiocinantur.neu  tra determinata quapiam re, quomodo fe habeat^  fcientia eR: fed facultates quada funt inuenien-  darurationU , hinc idm quaft hAet fubieSiu^^ut ^ft diiddisy neutr i perfeSie fcictU cfje  duum certum proprium fuhieShum mdlu ha^  \ he^leorjum. Sed tiwie D Ule6ticofitione longe ab illius diuer  fa, contenta eR, acciditq; dialectico, ut appa-  renti fyllogijrno uti nequeat : fit enim fiam cd  uillator, fi eum prudens elegerit. At oratori tam  eo quod eR , quam quod apparet , uti permtffum  eC^:dum tamenperjuadeat, ad quodunum omnis  nititur ars oratoria,   AN RHETORICA SIT   -   ars^ Cap^»   E St^ alia inter eruditos cotrouerfia ,fu  ne ars rhetorica: fuosi^hahet quceq^fin^  tetia acerrimos defenfbres,tantis^ animis non-  nulli ex artiu numero eam explodunt,ut ne coid  tijs quidem fcriptis in eam calumnijs temperd   rinttillis maxime nifi argumentis, quodars reru  fit qiue friuntur, rhetorica opinionibus conflet^  no fcientiatnec cognitis penitus^ perfjpeCtis re-  bus, et nunqfallentibus,ad unum^ finem fj^eCia  tibus cotineatur,utnec femper ueris agatidua^  femper fint caufe^ut neceffe fit altera falfum tu   A 5 ni    tO   rri.Addm et illud, ob umadtSiiomsgenerdad  mdgire popularem'^ fenfum iccomoitnda, nui  Um irteefje poffe,At^id poRremo ohijdut,ca  put totius rhetoricae e^e dicere:quod ipfum arte  tradi non poteh,Ad c^uae fmgula ne articuktim  occurramus,in caufa nobis e^Qtantilianus,qui  libro fecundo omnes fententias confutando, eo  rem deduxit , ut artem effe  crate ufurpatum : Qjw in re clarus quif^ efi,ht   > ea fe exerceat , ^ diei partem illi plurimam im-^  fy pendat, utipfefe fuperk. G audeat, fi ad doShri-  nam prouocetur: nec turpe putet docere alios, id  quod ipfis fuerit difeere hone^iijiimum,memine  - rit      tit tmcn uirginem effe inuSim eloquentUmj  nec turpi lucdlo proflituendam, tuncq^ laborum 'EJoqucntt^  juormfruEtum fat rm^um capere Je fiat, .  quum occafionem adipifcitur publicandi qu. ♦   rit,non doceat : nec ingenia melius ahjs uacatu-^   ta , detineat atque obruat . quibus deliramentis   plenos ij»n tunc effe grammaticorum cemmen^ •   B 2 tarioi    tO tortos, conquerebamur Seneca et Quimilianfff,  Exerceat poftremo difcetes, inflet, molejius fit  potejlatemq^adipipendcerhetoricte non minus  in di fcemium,quam docentium dm^entiojoliett  datconfijiere,   aVALES ESSE DEBEANT  Rhetori cf candidad«.   Cap^ lo^   A Ge nunc uici^im, quales efje debeant  Rhetoricit candidati , inf^iciamus.neq»  enim ex omni ligno fit Mercurius . Mali nihil m  ea proficienucum quia mens uitijs occupata, pid  cherrimi operis jiudio uacare non potefh tum  quia omnem malum , /lultum effe oportet, Mti  autem iudicio carent , & confiiiotquibus maxi”   • . me nititur ars rhetorica, nam ut caterarum re-   rum, fic etiam eloquentiae fundamentum efifa-  pentia,Sit liberaliter inftitutus,bonis corvoris ap  tbryne, prime ornatus i?hry nem meretricem Athenien-  fes prudentifimi eloquetifimiq> ,no tam Kyperi  dis oratione,qiMnqud admirabili, petfuap, quam  uifo eius peSiore(quodfpeciofiflmum , diauStd  ^ibiades* ueAent^erm)apfoluerHnuAlctbUdeSi cui R*P. relji>onfo Apollinis, tanqtmmfortif^imo Gra  eorum flatwtm in comitio erexit, populum Athe  tiienfem pulchritudine poti^ime habuit fihi ofc-  noxium. Nec mirum, fi illi populo placent, quos  eximia j^ecie natura donare dignata e ^ : quum  credatur ccele/lis animus in corpus uenturus,  dignum prius fibi metari hofhitium uel quo «e-  nent , pro halitu fuo fibi jingere habitaculum,  unde aliud ex altero crefeat: esr quum fe pariter  iunxerint,utraque maiora fint .Vtcunque, fatis  conRat,mirum effe quantum ^atice forma maie  flasq- corporis fibi conciliet. Dotibus idem ani-  mi fit infhruSius , filiis qua ingenerantur ap-  pellantur^nonuoluntariatut docilitas , memo-  ria,quaf^e omnia appellantur uno ingenij no-  mine : filiis , qua in uoluntatepofita, proprio  nomine uirtutes dicuntur ^ Ante omnia tamen  ingenio opus eft : quodquibufdam animi atq^in-  gentj motibus eget oratio , qui ad excogitandum  acuti, ad explicandum omandumq^ uberes, et ad  memoriam firmi fiint (^dtuturm . magnamq-in  oratione pofiident artem facetia, lepores,lacef-  findirej^ondendiq^ celeritas, /ubtii urbanitate   B 3 coniuttSia:    tl conimSia : qu   N Ec minor dijfenfio eflin eius materia i  illis orationem, abjs argumenta perluaji*  hdja,ciuilesabjs quce^iones jiatuentibus^ Noiy  de ea inter optimos conuenvtt , aperimusi  t prius quid fit ipfa materia oRenderimus^Ejl  enim materia , in qua omnis ars, ^ ea facultas  qiue conficitur ex arte,uerfatur,Vt ergo medici  nauulnerOy^^morbU fic rhetoricae omnes res^  quacunque oratori ad dicendum fubieSla funt^  materia appellatur.Nec obflat,quod fi deornni^  tus rebus dicat, propriam ergo non habeat mato  rianhfcdmultiplicem: quum alia quoque artei       VtatedaH     mino*    '5S       • DE CIVILIBVS Q.VAESTI- i*''   , _ -‘v   onibus, Sacarum gencru -r  bus* Cap«. x6,   S olent autem res oratori fuhieBa   cendum^ d plerifque (^uMones ciuiles ap  pellari : quod non omnia quk‘.    pofhefitn uocant . 1« hdc genercttim Jiquid  ftueritHT , ut ExpetemU ne fmt liter ae . \n iU  (t definitcejunt perfonce^ C'onfiituti cum ad  uerfario confligendum, ubi rei dominus (qui fie^  pe alienus, fepe immicus eR ) quafi machinatio^  ne quadam, nuncadiram,odtum,triRiciam,ht^  ticiam,fexcenta oppoftta,eR detorquendustillk  magnum eR opus, & (ut inquit Cicero) nefcio  m de humanis operibus longe maximum^   DE CIRCVN STANTIA, QJTAB   fedthypothefim^. «.   N Vnc quoniam thefimab hypothejife-*  perauimus,et quomodo quceflione uti de  beat orator oRendimus: reliquum eji,ut quid fit  quod hypothefim faciat, demonRremus, ER  enim rerum quell^ere,auieqHid fit, enumera  fione facilius ^uam dehnitionc aeprchendttUK  Sunt autem eius partes lex Quarum coniun^iio^  onat.Elocutio,(]ua idonea uerba ^ fen  tentias inuentionibus dijhofitts acc6modamus„  MemorUyquie rerum uerborumq^fida efl cuflo--  dia * Pronunciatio , quicej e,in quas  fpeaes diuidantur. Hermagoras, quo duce po  ttj?ima rhetorum pars ufa efl,quatuor modis fie-  najjerit: per cequale,unicu, fine circunflantia, modi 4«  inexplicahtle.Aequale e/i, quum eadem ex utra- t  que parte dicuntur: ut , Dj(o adolefcentes uicini  f ormo fas uxores habebant, noSiuobutamfa£H  media uia,accufant Jeinurcemadulterij, Vntcu, t  quum ex una parte tantum con/iat, ex altera ni-  hil affertur: ut Leno, qua parte fciebat uenturos "  adolefcentes, foueamfecit, quailli pertere ,Smr ^  arcun/iantia,quum aliquid deeH in qtueflionei  quod faciat caufam : ut,¥iliumpater abdicat,  neq; ulla additur caufa abdicationis, Inexplicabi ^  le (fi, quum ludex haeret impeditus, nec f nem iu  dictj uidet ullum lUtLexeH, feptemiudicesde " * :  reo cognofeant , maioris partis fententia fanSia - •  fit , duo quendam abfoluunt, duo pecunia mul- ^   Siant, tres capitis condemnant : rapitur ad pee-  iiam,contradicit.\t€m,Alexander in fomnijs ad- ^  monetur^nonejfe credendum fomnqs,Plura de-  / tndf    44 f A^RRIfASIf   wde oh ferumtpoftmtas cmofior ,nm Con^  ’ nertihile id affelUtur^ qtmm tota a£do conuerti^  twr a litigantiusmcutn^ fuis prioribus utitur rd  tiomhuSyfrladunlarij . hocmodoiExigebatqtur  “ dm A amico pecuniam cum ufura , quafi credi^   f i tamtofferebatilklineufurajquafidepofitim,ln^  . terim lex fertur denotas tAults : petit creditor  tanquamdepofitamyrtegat debitor tanquam credi  € tS, Non uerijimile ecquod contra opinione dici  . turtut fi Cato ambitus accufetur.quodtame ft m  caute agatur , haud procul ahefi quin cmfiftat»  7 Jmpofme eR^quum id dicitur quod fit contra re  rum naturcefidm; ut fi infantem accufemus adul  f terij , quod cum uxore cuharit aliena .Turpe  quod omninoreijcitur :utfiuir precium pojcat  ^adulterij.Sine colore efi, quum nulla caufa faSH  inuenitur:utdecemmilitesbelli tempore fibipol’-  Cdcofyfid' hces amputauerut,reifunt LtftreipuhUc4e. Sunt  ta. f^alue IpecieSyqtutcacojyRatayidefimale consislentia appellantur.ut^aticum , quum aut ali^  quiserrorinhiRoria^yautinquamsexcircun-'  * fiantijs.Impenfum, quum penes unum omnis iudicijuis eftyparumq^mer habet in quo dicendo   Iere  a ir ,Pr  iunguntur: et fic accufatur faailegus,utfur etia  dicatur efje. In tranfuttm uero, uno tantum ac-  cu farnus crimine , fiue illo quod intendimus, fi-  ueillo ad duod reus tranfferri poHulat aSiio^  nem . Sed hcec multarum fitnt nundinarum ,  qtue non una difceptatione pofiint abfoluLSum-  ma tamen h^c fit, expedire dificentibus quadri-  partita fieri diuifionhuel qafacdior fit,uel quod  defendendaru caujaru ratio id exigere utietur,  ut primo fi pote fi negemus , proxime fi non id ^  obijctturfaSiu afferamus, tertio (quadefenfio  e^ honefiifitmdjfi reBefaSiu cotendamus.quco  fideficiut,una fuperefi falus,aliquo iurisadiuto-  rio elabendi d crimineiquodfit per tranflatione^  DE STATV CONIECTV-  ralu Cap«. 24^   C Onk^iuralis autem fiatus, quod incerta  conieSittris Juj^iciomhus^ indaget, di-   D yo ‘,   £}us:re^'^a nonnullis nono uerho , nc nefch  m LdUno-, mutus f quodmeouideatur utrum  maSia fit:tumfit-,quum quod ah uno obijciturf  alter pernegat. nec folumfaiium , fed et aiSium  ,qucerit:poteflq;in omnia tempora Sflrihui.De  prceterito enim conijcimus,An fenatores Romn  Ium occiderintide prcefenti ,Bono ne animo er-  ga Tullum fit Metiuside futuro, Num fi Alba no  diruatur, Miquid incommodi ad Romanos Jit per  uenturum . In his omnibus agit conieSiura^eafic  ab aliquo manife^o figno, quod lege moribus f  liceat, nec necefarto rem arguat. Ac (utapei:^  tius agamus) fex eiufmodi objeruantur. aut emm  defa6lo tantum , non de perfona conflat: aut ae  ^erfona conflat, non defaSio: aut de de utroque  non conflat :aut fi defaSio, de uoluntate no con  flat : aut quum de re ipfa quaeritur, non dtfaSio  /diquo, an aliquid fuerit illud de quoefl qute^tiot  4Ut mutua eflaccufatio.,   '' PE STATV DEFINITIVO, D Uflnmu€tiam commodum aliquod - . '   -i afferimus.    c?    O X    m    i*        Genus.    fZ   de statv generaliJ  Cap* 26 ^   A t quum quid faShtm i ^ quo nomine  appellari debeat conuenitiet tme quan  tum, e^r cuiufmodi , & omnino fine ulk nominis  cotrouerfia quale fit qu tetnpus : illa , pdicet negocialiSj iudicial^   pnetmtmqi rejpiciant, ut fuo loco demonftra-^   hitur.Age uero nunc iuridicialem , cuius contro   uerfia ex re iam faSla proficiJcitur,inlj>icidmus:   negocialem poji paulo traSiaturi- In iuridickli luxiiicialU,   aut reusfeciffe quippiant,^uod uetitum fit^fate-   tunaut uetitum negat* ft negat, abfoluta ejl iuri-^ ^   " lam   ,af- , .  Ahjoluta*   foluta duobus jit modis, faSti qualitate , & iuris  ratiocinatione . FaSli qualitas eji , cum ofiendir i   mus nihil nos fecijp pemiciofum.lurb ratiocm'.  tio modis fit quatuor.lege,ut occidit filiuindem^  natum quis : licet id lege,more, ut apud Scythas  fexagenarij e pontibus mittutur,Athenis id Scy  tha fecit, tuetur fe more gentis fu • ^   » Vietatioeri   minis.    Remotio   criminis.con^itutio, quatuor locis diuiditurt com^aratioh  ite, relatione criminis, remotione criminis, con-  cej^ione , Comparatio fit, qumfaSia compen-  ftntur, ^ aut maiori incommodo prolj^e^lurtt  efje contendimus , aut deliSlo meritum compara  mus : comparaturq; id quod in crimen uocatur^  ad id quo fe reus profriffe afjerit , ut quidam mu ,  ro ciuiMis deturbato hoflesfugauit, reus efl Itt  fe reipublicte.lbi comparatio efl^ quod enim mu  rosdeiecit,uideturl  trem , eir Mfione m Clodium, At fi non in eum  qui paffus e^i,fed in alium,uel aliudcrimen tranf  fertur,tunc remotio criminis appellaturiut de eo  qui porcam tenuit in fcedere cum Numantinis,  Vnde remotio criminis duobus modis con/iat: fi  aut caufam in alium tranfferamus , aut faS^um:  uel fi in perfonm remonemus, aut in rem ,ut pu   tdtuH partibus in-  jj>e6iis , legitimam confideremus . Efl autem le  Legitima, ^tima conRitutio , quum ex fcripto controuer-    RHETORICAE COMP*   fia nafcituriin  funt in legitima confitutione , Quod fi ex   plunbus [criptis controuerfia ndfcatur, contra^   ^md de TranflationeaSiionis fit omnis coHtro^  nerfiaM enim ah alio nos accufari debere dici^  musyoutnon nos^aut non apnd hos , aut non had  lege,non hoc cfimine^non hac pcena^ uel aete^  ris id genus* Illud tamen animaduertendum iit  Tranflatione^quodaut omnino de commutatio-  ne ali 4    Tranfidtia   undefiat^    .♦'-t    4p   huj; eds partes feantur,^uas pnefcripfimusSe^   quU iks principales , alus incidentes effe dixr   mus , lUud multos implicitos hahetyjTi plures   tus in caufa inueniantur^quem potilsimum eliga^   mus, quem'ue principalem ejje iudicemusf H«ic   jcrupulo facile occurri per nos poterit , fi illud   imprimirobferuauerimus,quid fit quod compre'   ' ■ • hendat , quidue fit quod comprehendatur ^ qui   Trutcipdlis enim alteru in fe habuerit, is erit principalis: qui   uero quafi membrum accefferit , incidens erit is   Incidens, iudicandus, huius proprium e^l , confirmire prin   cipalem.Qupd fi neuter comprehendatur, tunc   principalis cenfendus , qui imperarit : incidens,   qui feruierit.Si uero nujqua aut feruire aut comprehendi Ratus uHusapp^erit,tucuterq^prin-   Copiexm • ^ efiappellandusieao; controuerfia,quonu  controuer^ J ^ i ' a ^ i   duos m feplures ue ftatus mpleqti^,cpmplexi   Uanominatur. .   QJTAE CAVSA SIMPLEX SIT,*   8^ qu 2 c conmntfla,. Cap^   A Tque uel ob hanc rem poti fimum fla-  tim caufa difeutienda efl,fimplex'ne fit   tn comund^inet^enim eadem utriuf^ efl ratig.  quoniam    St   quonim multum intereR, utrum de unare an Se  plurihus agatur . Simplex , ahfoiutam continet  qua^ionem,at ConiunSla,aut ex pluribus quce Co/«'w^  /lionibus iunSiaefttut quum Verres accufatUTi  quodmulta furatus fit, quodciues Romanos nei  carit, quod peculatu commi ferit , autft ex com  paratione , quum quid poti fimum fit confidera-^  tunut utrum Cicero accufet,uelC(ecdius.qu(t ,  caufe cognitio maximo efi adiumento ad conA  tutioneminueniendam,   DE  genere caufe, conftitutione  ip utrum causa fimplex fit an coniun6iainj^e6iis,qua^io,ratio,iudicatio,firma-  mentumq^funteognofeenda^nam defaipti&  rationis controuerfia fatis efi; a nobis eo loco de  monfhratum,ubi de generali egunus confiitutio-  ne,C^^ipnem autem quum dicimusffummam  illam in qua caufa uertitur ,intelligi uolumust - -   Sunt enim pleraque minores exfummisdepen^  dentes,quasj^cialia nonnulli capita appelknt^   quum Mum fummas dias, generalia nominauerintEfl   .QB^o ergo auaftio hcec , materia , quce ex intentione   . fmma. depulfione'^nafcituriut,Oreflesmatremiure   fe ocadiffe att:qi{^efiio,an iure occiderit » Subfe  tquitur ratio, qtue caufam continetiquia quodfa^  ciu efje confiat, j^er eam defenditur . ut, Occidi  matrem , quia patrem illa meum necauerat ♦ ex  qua ratione necejfead iudicationem peruenitur^  qu eloquentiae lumi  moftendenda, licet TheophraHo refragrante GENVSDEMONSTRAtiuum. D Emoflratiutgeneris praecepta dare, funt  qui minime neceffarium effe arhitren-,  tur:quoduixcenfeatur quifqua effe qui nefciaty,  quaefmt in homine laudanda.cum tamen mu fu.  jit cottidiano,eoqs tandem excreueriti principi-  PUS doRorum confilia afpemantihus , pefimoq^  dicendi genere in iudicijs induSlo , ut fere folum  hodie materiam praeftet oratoribus : non erit ah,  f hnnc iplim etiam locum ddigeittius tradam   E 4 uerimuSy    yl uerims.Eiusfirtem honefium effe diximus, fiue  enim qumquam laudamus, fiueuituperamus, id  quod dicimus honefium effe contendimus. Nam  fyoneRum bonum eR , ideo   ergo laudatio, & potipima, d uirtutis dehetfon^  te proficifci , fine qua nihil laudari poteji ^ Eam  in quatuor laedes ^iferefapientesi in pruden- 'Virtutum  tiam, Mittam, temperantiam, fortitudinem, 4-  praclara omnes quidem, et qua mutuis adiuuen  tur auxilijstaptiores tamen quadam ad laudatio-  nem,Si enim uirtus benefaciendi quada uis e^  certe eas partes qua plurimum conferunthomi-  mhus,maximas effe oportet^unde luftitia ^for  titudoiucundij^ima in laudationibus, qua domi  foris^pra^o fint, nec tam pofiidentibus quam  generi humano fruSluofe putentur: prudentia  uero,ac temperantia, tenues ac pro nihilo exi/H , ,   mantur , iungenda tamen fiunt omnestquod non  minus fape moueant mirabilia, quam iucunda ^   ^ata , Et quoniam fingularum uirtutum quada  funt partes et ^tcia, propterea euagandum e^,  habet enim in fe Prudentia memoriam,inteUigen  ttdm, prouidentiam : Eortitudo,perfeuerantiamy  patientiam, fidentiam^magnifitentid: luflitia, re   E Ugfonmp Ugionem,pietatm,ohferumim,ueritatem,uIti  enem : Temperantia uero continentiam, clemen  tiam , modelham^ compleSiitur » His omniVus  fuo ordine resgems accommodare,no tamglo-  riofum quam difficile ludicatur, Optimu aute  mrtutum condimenta, quod ornati fime dici  facillime audiri po f it, fmper eji exiftimatum,fi  aliquid magno labore ac periculo fine aliquo emo  Jumento pramwuefaSium oRendatur . ea enim  pneflantis ejje uiri uirtus cenfetur,qu^efruSiuo  fa altjs,ipfi autem lahoriofa , aut periculofa , uel  certe gratuita fit.Etneuirtutum tantummodo  partibus immoremur , magna fylua oritur lauda-  tionum, ex hominum uita , deq; his qua cottidie  in ea emerguntt ut funt illa omnia quibus pramia  funtpropofna,femperqs in pramijs honor pecu-  nia proponitur , Commendantur ^quamor-  tuos magis confequuntur, quam uiuosine fui gra  tiaquenquam aliquid facere arbitremur, Nec mi  nus foletU celebrari, qua egifje nullus efi metus,  neq;pudor : quemadmodu fertur Alceo Sappho  refpondiffeMonimenta item,^ publica lauda-  tiones, in d^unShs potifintum, magnam faciunt   adgdmtationmiquMquamliiudis fiunt gratia, nec ‘ >   nobis, fed altjs utilitati funu^rafertim bene meri  tis. S unt etiam morerconfuetudinesq- earum gen  tium,apud quas laudamus, cottfiderand con^at.qui pe  des uelociteragit,curfor:qui premere poteji,^  retinere,luSlator:qui pulftndo pellere,pugil:qui  utrumc^ hoc , id eft retinere ^ premere pote/l,  pancratiafiestqui omnia fimul, pentathlus ♦ Ma-  gna fane junt hac cum geRu , tum ffe^atu bo-  na.fed nifi externis illis, id e^ fortuna bonis, op  timis ad felicitate infhrumentis,adiuuentur, man  ca reddetur felicitas,et qua undecuq^ laudari no  potefl.Vnde non mediocris laus ex fortuna to-  nisderiuatur.ea funt nobilitas , liberi, amicitia,   glonOf ghria, honor , eSr qtce fequttnttfr,Nohilitas,0'  duitatis f/l, ^•jamiliceAlla uetu^ate,libeitatey  feliatate, rehuscj^geflis commendatmhac^illis  ipfis rehus , uiris etiam ac mulieribus, uirtute aut  Jiuitijs,aut alia re laudata claris, legitimisly nata  lihus celebratur. Uberi magno funt ornamento,  fi multi funt, fi (ut uno completior uerbo)boni*  mares ultra corporis bona, temperantia placent,  t^fortitudine‘fixminie,forma,proceritate,pu--  dicitia, lanificio , Amicitia multorumbonorum  . expetutunqua bona fore amico putent,propter  ipfium amicu agant , Diuitia nummis, agris,pra  dtjs, fupelle 6 iili,mancipijs,armentisq; continen tur: multitudine,magnitudine, pulchntudine, ex  ceUentialaudantwr, eafirma,amoena, utiliaq^ef-  fe debent. Gloria datur,haberi in precio, puta--  ri^ id conjecutum , quod uel plures uel boni pru  dentes dejtderent. gloria diti fimos beneficos ple  rumq- fequitur , uel eos qui conferre queant be-  neficia , Honons autem partes fiunt,facra, cele-  brationes , decantationes carminum, panegyri- ,  d,fepulchra,flatua , alimenta publice : ^qticc  barbaris placent, adorationes , inclinationes, ce-       bitus , in corporis /latu cernitur ^ Hiratioe/l infpicienda : animi magnitudo tunc,  potiffimu furgit, fortitudo uero illa bellica (nam  domeftica grauioris eflatatis) incrementum ha '  bettneq^fupereft quod fieres d fortitudine, nifi  fe in iuuenta patefecerit. Virili autem atati  tantum demitur de laude, quantum de uirtute de,  fideratur ^Itaque oportet idatatis uiros effe per-  fe£liflimosi neq^qulcquam facere, cuius pudeat  aut pceniteat. tunc prudentia, rerum cognitio^,  magnificentiaq; apparent. AtfeneSius patien,  tiaplacet:dulcedine morum, comitate, affabilita •  teq;dHe^at.cenfeturq;praclara, fi corpus non  reddat infirmum J rebus publicis no auertittnon '  facit deni^ ut ueru fit illud , Bis pueri fenes: qua-  les funt creduli, obliuiofi,diffoluti, luxuriofnqui .  inomni atate turpes , in feneSia uerq funtfcedtf    B.HBTOtt.ICAE COMP,   pm^ SeptimmiUHdfupereA tempus, qu6dj^  i^m hominis infequi dixermus . in uerycn  non femper dccafio efi : quod non omnerfepul-*  tos di^a memoratu feqimtur,Si quando tamen  traSlare cotigerit , teftimoma,fi qua allata funtyr  ucenfeantur,tam diuina quam humana . in qms  dedicationes temploru, confecratmes , fiattuti ' A  mommenta, publica decreta numerantur, hahk  &fuumlocum ingeniorum monimenta^u^era^ . -  ro laudem ante obitum confequutur.Afferunt et * ' , . ^  laudem liberi parentibus, di]cipulipr ■    ' >    ^   ci Uerfus caperent, permijkAdem'que mfunehrr  laudatione hunc ordinem ofiendit , ut defunSii.  prius Copiofelaudentur, fuper^lites inde benigne  moneantur, filij mox defimS^orum fratres^ aS  tdntais ip forum imitationem inuitentur : parens  tumpofhremo&maiorum,fquifuperfunt^do^  BrawluSS confoktione leniatur, Romani ambitio^  hoc genus troEtauerunt , rmdta fcripfhrutn: •  eirch I libr. dUctfaSia ^ no funttex quibus rerum rioflrarum  Ro^a?. tiftorU eflfaShimendofior .^am illas imerire  rionfinebant familia , fed fua quafi ornamenta  tcmtmimenta feritabant, & ad ujpfm fi qunei^   . . gmerisoccidif[et,&admemoriamla^   fnefticarum, illu&andamq; nobilitatem fltam:  ttec alius quifquam id ojficij fumebatfibi,nifi  quidefuniioeJfetcoiunSiifiimus, Sed iam fatis  vituperan- dedimus praceptoru in hominibus laudandis t et  di eade qua exegiffet fane ratio , ut aliquid de uituperatione  laudandi ra diceremus,nifi hic ipfe labor eadem nobis exem  I ; . uituperationis idem fit ordo, qui   laudadonis i praceptac^uituperandi contra*  rijs ex uitijs fumantur , non folum in hominis  tata, fed^ ante hominem , &poft obitum, itt   it    iePmle,MeliOyM:^>MoHid memori^fro&Hf  ‘ ^.Vridr fatis conf^y fine uirtutum ukiorut^i^    •m P» V f^wrww *■ 'I "JW* - - ■ ■■   tcSiaagams, contentihisqtuediBafmtyadho  thtiies laudandos pauca de cateris rebus in mple^,laudibus extollendo, quoaonus fiufch  pere uolentibus,imprimis a Deo Opt. Maxjnci  piendu efljnueniffel^ eum , oftendiffeq; nuptias  mortalihustid'^ ita pro confejfo effe,ut non mo^  do nos in hac pia uera4 t   - ^ UiiuSytion auiditpudohs ji^ifjcatione, uocis t-  m   ’ V /    0 ^   po/?remo     ^freyfjpme pr '   lia, qu(t propter fdpfum aut ex confuetudinea^  eit , aut ex appetitu uel rationali (}urluntas emm  coniefl,cumratiorteineq»quifquani)diqidduidt  nifi honu putet)uel etiam irrationali,cufnfacitit  ira ^cupiditas.Neceffee^ ergo, qtuecun(j^ho  niines agunt, feptem tantum caujisfaceretfor--  tuna,ui,natura,confuetudine,ratione,ira,cuph 7*  ditate . Fortuna accidunt, quce nec femper,nec ^  plerum(y , nec ordine fiunttcumipfaFortuna,ac  cidentium rerum fubitus fit atf inopinatus euera %  tus ft^atura ea jieri dicuntur, que  remus: neceffee]}, iucunda omnia uelprafentii  fentiendo,uel praterita repetendo, uel futura ff e  rando cotineri, Qjuecunq; tame prafentia dele  Bat , eademq- fferatibus memoriaq; repetentib,  iucunda funtinec fecus e contrario^ Vnde ^ in  prtimfi hi pra^enty qui ipfi laudandi funt, qui-  bus'^ fidem adhibeamus . cum eorum nihili fat  iudicium, qui nullo m precio habeantur. Amare  etiam, amariq;, beneficia conferre, egentibus o-  pem ferre, fuauifima:quod his abundemus, qus-   'vr'  ir T  homines, nam prd parente e^ conditor^ pr*  maioribus populi a quibus origine duxerint. junt  ix fua auguria , eX uaticinia t multumq^ hahent  mBoritatis qui Aborigines, id efi indigenmplexi, laudibus extollendo, quod onus fufch  pere udentibus, imprimis a Deo Opr. Pto.inci  piendueflunueniffel^ eum , oflendiffeq^nuptias   mortalibusudcj-itaproconfeffoeffeyUtnonmo-   do nos in hac pia uera^ religione, fed etiam uetu  flasloui lunonic^acc^tum connubium retule^  rit , turbam^ dmrum ingentem proeffe nuptijs   uoluerit, nec contenti loueadulto,Iunoneriu efi^ j^ffnoHprM  res intueri prafentes,Uf^enimpf aut animi promotione cogatur^  d^obatio aut earum rerue^h ^uaedb or^^reno  :^cogitantur,fid d caujareisque defmmtunut jqtubusfita^  fiiutabuLe,teftimoniayfa£hti Conuentayleges,et  Mteraidgenus.auttotaindij^utationeyautar^ ■'   •gumentatione orationis collocata eh : Mt in hae \   '^ear^unentis inueniendis y in dia de traSiandis  • ^ cogitandum. Conediatio fit dignitate hondt eSediatm,  ms, rebus geftiSyexifHmatibneuite   remusi neceffe ejl, iucunda omnia uel pr con-  Jueta agere iucundum mauifeilo fit, quis credat  tantum afferre iucunditatis uicifiitudinem f necy  iniuria, cum fittietafis mater fit Similitudo , In-  efi & fua indifcendoimitando'que ‘iucunditas:  ifuce^ imitatione confequimur, etiam fi ipfa ni-  hil in fe haheant iucunditatis. ocium denique ip-  fum^ac iram , ri/«m j afferentia deleSiant ♦ Po-   C z ftrema    )    too    fkcmOitludmmqtue fecundum naturmkctm*  ditate ajferut, idcirco quo coniunStiora fimt,eo  funt iucundiora: ut homo homini ^ mas mari*  qua ex fententia feipjum magis homo amet necef  fe e/lj quam reliquosicum fua ipfius cauft ccete^  ros amet.Liberi deinde,& qua inter chara adntt  merantur^ quanto plus ad homine accedunt, tan  to plus afferunt iucunditatis. Et iucundo qui^  dem per^e6io,eademq^ ratione iniucundo'(cwn  eadem oppofitorum fit difciplina') facile erit co^  ^ofcere, qua caufa fit inferenda iniuria : ad  Vtiuria affj Juccedat oportet, quales fint qui iniuria cateror  dentes qui* afpcmt.Sunt autem, qui facile inferre poffe ar^  hitrantur, uel celare jperant: aut fi deprehenji  fint, nullas, uel quam mmimas daturos fe pcenas:  plusq; in iniuria lucri, uoluptatis'ue, quam in luen  da pcena damni mcerorisq- inejfe exiftimantJniu  riam facile fe poffe inferre eloquentes , diuiteSf  aSiionihus exercitati, experti, multis nixi amici*  tijs,clientelis^:uelfi ipfi careant, in habenti*  hus amicis, feu focijs,feu miniflris,quod illorum  fe patrocinio tutos putent,Praterea fi amici iudi  cibus fint , uel his qui iniuriam perpetrant* ludi*    rhetoricae COMP. tot   cts enim leta moUil^hrachio in amicis ag^^ann  eorum iniurias acjuiore animo toleramus ♦. QeU  re autem feipfos poffeU^erant , qui omni uacare  juf^e^ione uideantur,ut d^ormes adulter'^-, fa*  cerdotes flupri,dehdes pulfationis,&'ea qwt pa  idm ante oculos funt neque enim aperta ^ quaq^  ingentis laboris fit tollere, ohferuantur , Caue^  muslj' potius nobis ab ufitatistut uidemus in mor  his accidere : quos illi timent , qui fiint experti.  Clam etiam fefaSiuros putant,ipiihus nullus ini  micuSyUel quibus plurimi.illhquod no obferuen^  turt hi uero,quum omnibus fere fufj^^^i fwt,no  mdeantur ob nimiam cu^odiam clam facere po-  tuiffe^mukos quoque locus,commoditas,moreSj  que celant. Inuitant etiam ad iniuriam facienda,  iudicij propagandi , prop>uljandi , corrumpendi,  uel certe ob inopiam euadendi f^estlucrum quo  que apertum, prafens,magm,prafertim fi dm-   num occultum paruum procutue fit. maior etiam  utilitas , quam ut par fupplicium excog^ari pof  fit : ueluti efl ^rannis . Sunt^ proni adiniu-   riam, qui inde lucrum petunt, neque quicquam  malipreeter ignominiam uerentur, quibus que id   G } frcijjc  fecijje laudi afcrihiturtut parentes quacim fint qui inferant , quiq; patiantur , fatis  arbitror ex his qua in medium adduRa funt poa  tere.Sed quonianon omnibus eadem uidetur in-  iuria , fapeq; ufu uenit ut plus doleant laft quam  par fit,minusq; noctdffe fe putR nocentes quam  fecerintCquod aliena mala no fentimus, et noRra  maiora quam fint iudicamus ) idcirco de iniuria  primu iureq^faRis,mox de maiore minoreq^ iniu  ria paucis differamus, Iniuria iureq^faRa omnia  legibus primUm duabus, deinde quibus funt bifa  riam determinantur, leges aut duas appellamus il  las ipfas iu/li partes, qua ternario a nobis nume-  ro in iu^i definitione funt expojfita, comunem  fcilicet, qua fecundum natura fit: (^propriam,  qua in fcripta ^ non fcriptam diuidatur. Qui-  bus uero iniuria fiat , bipartito conflituimus.aut  enim emunis laditur focietas, ciuitasq; ipfa of-  fenditur, ut in militUiaut unus alter ue iniuria af   jiciturf tOJT   ftcitwr,ut in adulterio,qu horti quadam eleSiione, quadam uero  ^eSiuconuiA * Cueiufinodi:quid jit illud de quo agitur de^  finiendu eB,ur popimus iwre ne an iniuria querd^  tnur injpicere . pr quonia iuftorum iniuftorumq^  ' duas partes connumerauimus, firiptas fdlicetle  gd,^ no ficriptas, deq- fcriptis affatim demon*  firatti eft : pauca de no fcriptis funt recenfenda.  alia enim per excejfum uirtutb uitijq;Junt, in qui  hus uituperatioes,honores , infamia^iut gratias  habere benemerito,amicis praflo effe,& his fi*  milia.alia uero ex lega fcriptarum defe6iu:deejl  aut fcriptis legibus, uel qu^ latores aliquid effi  gerit,uel quod confulto pratermiferint,cu detet  minare figillatim omnia nequiuerint.ne^enint  fi de tiuinere agatur, quo ferro, quali , quat&ue,   G y coth    tO^constitui poteft, Eil igitur aquum (juoddm ha^  numq;, quod praterlegefcriptamiufiu cenfea-  turimultaq^ etid lege fcripta putatur iniufla,qua  aquo homq; tutari Poffunt. Bade ratione no tan  ti errores faciendi funty quanti iniuria:nec*tanti  qwt aduerfa eueniut fortuna, quati errores.nam  gduerfa fortuna feri dicutur,quacu<^prceter o-  pinione, non ex malignitate puntterror uero no  'praeter opinione, fed fine malignitate ft. At iniu  . ria cSt* opinio e^i O’ malignitas, Aequu e/l etiatn  jn rebus humanis ad ignofcendu commoueri: eJT*  non lege,(ed legis fcriptoreino uerha,fed fenten  ti^:nonfaSiu,feduoluntatetnon partem, fed to  tminon qui nuc, fed qui pepe, aut fere fmp fut   ritconfuierareibenefciorupotii^qua iniuriaru,  accepti!^ quam collati meminilje : iniuriaaquo  gnimoferre, oratione potius Mam re difceptare,  et ad arbitru magis quam inforu defcendere,na  arbiter ^equu bonuq^, iudexiuflumf^eSlaune^  gha ob caufam arbiter eligitur, nifi utaquum ho  tiumq-fuperemineat. Atq;hac deiniuriaiurec^  fa£tis di£lafufficiat,Haior aut minor ue iniuria  inultis modis cognofcitur i eaq^ maior exiflima  i 07   htr,qH<e i nudori t profcifcendi toh   4e <{uee minim funt aimiruty ttutxitM mterdu td  deturtcu ispr^fertim qui terunciufwctur^quid  kis iudicetwr ablaturus . Ma^itudo quoq; dam  m maiore facit inturid , fi par mUum juppliciurH '  excogitari, aut remediu adkiben pofit : na ultio  et pcenapro remedio fut.nec minor, cu qui ppef  fus turpitudine ferre no poteritiut qui accufatus  ^ fibi uim intulit,maledico(y carmine laceratus hh  queo pependit .E/i et in maximis, foiu aliquid fd  cere,uel primu,uel cu paucis: pnefertim fiid fa*  ciat fsepe, caufam'ue legi nou<e dederit , aut cor-  ceri,autfupplicio.QM»et maior cenfetur im«-  ria, quce plurimu dijiet ab humanitate,beftiaruL  fit quamftmillimaiet qiue cogitatojit,quaq; audi  ta homines magb timent quam mifereantur. Am  plificatur aut omms iniuria,quod euerterit multa  iufta,iufiurandu, datam dexteram,hojpitium,fi  dem , affinitatem'^ contempferit.Ad haec maius  redditur peccatum , fi ibi deliquerit , ubi iniufti  puniunturiquod faciunt falft te/ies. ubi enim no  nocebunt, qui apud iudtcem peccauerintfEa etia  ^maiora funt, in quibus fumma turpitudo, ingrati-  tudo^    I    fOdtudoli^htgens.nm bis pecatyquodnon lenefi^  €ity^j}i Umde.Sedhac&‘ longeflurayfij^  lidmitudii artis<^ adhibuerit , facile orator fuo  iiigenioaffequetur:nohisdemonflraffe fat fitge  tueri iudiciali neceffariay^uid potiffimu circa ittr  luria uerfetur.Eius generis proprium eR  rita difcuteretomnes flatus capit, omne artis exi  git fupelleSiilem , omnia dicendi genera cu ufus  ^ cxpoAulat: neiy ullum genus e/l, in ^uo df^  , flcilius^oriofius'^fe poffk   . orator exercere, ab Optimis utriuscg lingug autoribus  excerpti, quotn perducendis ad eloquentia iliis  adolefcentibus uttjfolebat.   lli'k^ àrtaiì lì*.     rflltllli hK  i -'p  FRANCESCO LO PAECCy   P.     . - * - *     » • I ■ -     ■««■■^     ■I* 1     •»      y     W *J     ^.         \      Ili     ■*^i**^-»- ^««««a     •••aaa^ki^Mi^kirtH     • •*     , Concludo qucmC appendice con un voto. Bemékè ìm  Jfibliotcca parroMÌana sia stata, or per a tarisia fratesca, or per incuria dei custodi, deplorabilmente  assottigliata, pure di codici e di edizioni annotate  avanza tanto da potersene fare uno studio accurato,  Che non ci abbia da essere niutw dei nostri guh  vani filologi a cui non nasca questo desiderio Cosi scrive il compianto Fiorentino, qnan;]So, tratteggiando da par sao il  sorgere ed il progressivo sviluppo della gloriosa  Accademia cosentina, rimaneva ammirato dinanzi al-  Tulta figura del suo fondatore, P. Dovendo, tre anni or sono, scegliere un argomento  por la tesi di laurea, molto opportuna ci parve P indicazione di Fiorentino; sicché, per quanto fin da  principio ci accorgessimo della difficoltà dell'impresa, alla quale ci accingevamo, fiduciosi ci mettemmo  all’opera, non colla presunzione di adempiere il voto  del dotto filosofo, ma per mostrare che, dopo più di  un ventennio, vi era chi accoglieva il suo invito,  Piorvntino, Tclesio. ^ Voi. !!« Firenze  Siieo. Le Monnler.  Il II I II I  * I     *m w l ,mtm    >.1. m > por dar prova, so non altro, elio la polvere ola tignuola non meltono poi tanto spavento, da faro presto presto  strizzare Poceliio ed arricciare il naso scliifiltoso. Ora ò appunto quel lavoro, benevolmente giudicato prima dalla commissione esaminatrice della facoltà letteraria di Napoli, e poi da lla Eacolfii  del R. Istituto superiore di Firenze, che, riveduto  e ritoccato nello sue parti, sottoponiamo al giudizio  del benevole lettore. Oli scrittori contemporanei di P. si mostrano addirittura entusiasti di luì, non gli risparmiano le \ìì\i alto lodi, e no magnificano con x>arolo  altisonanti il valore e la grande erudizione; ma a  ben poco si riduco tutto quo! rumore, cbo menano  intorno: suppergiù non trovi che notizie inesatte,  cbe gli uni copiano dagli altri, e che ripetono sino  alla noia, inni, ditirambi, epigrammi, tirate reto-  riche e che so altro ; ma la critica manca completamente, o appena si azzarda a far capolino.   Degna però di nota ò la monografia che pub-  blicava lo Jaunelli, nel 1S44, sulla vita e sui saggi di P. De vita et scriptìs P. conscntini^ phiiologi celeberrimi, commeutarius a Cataldo JaimeUio, regio bibliotecario acadeènìico herculanensi et conscntino^ cluciihratus ; ab Jamiellio^   ratris filio^ conseutinae Acadetniae pariter socio, cditiis, praefation$ et   tuxis auctui, — NeapoU, tipis Alo^'sii Banzolii, mdccc^cliv.Con tutto il rispotto dovuto al dotto e yalente  archeologo, ci dispiace di dovere fìn da ora asserire  che il nostro giudizio sulPopera sua non sarà molto  lusinghiero.   La vita da lui scritta è un magro e nudo racconto,  che si riduce alhi semplice esposizione dei fatti, alle  sole citazioni, senza che nulla si agiti intorno al x>ro«  tagonista e v'imprima un po' di varietà e movimento. P. professa a Napoli, a Roma, a Milano, a Vicenza, a Padova, a Venezia, ha molti nemici,  solivi molte x)ersccuzioni, l\i torturato dalla gotta  e muore a Cosenza. E può mai questa chiamarsi biografia?  Dov' ò l' uomo, che ti si presenta innanzi coi suoi  aifanni e colle suo miserie, colle sue x)assioni e coi  suoi disinganni, senza grave sforzo del lettore? Il  Parrasio corre errabondo di cittA in città, trova  nemici acerrimi ed ostinati, che gli si gettano addosso  a guisa di cani mordenti ; ebbene, perchè tutto  questo ì Xe è forse egli meritevole per l' indole sua,  X>er l'incompatibilità del suo carattere, opx)nre quelle  lotte, quelle persecuzioni sono il portato legittimo  dei tempi in cui visse, di quel secolo d' interminabili  litigi, il secolo dell' Umanesimo t   Non lo dice lo Jannelli : egli pare che faccia  poco conto di quel x>i'ecetto, che il valore esatto di  un uomo non si ha se non quando un tale uomo,  come l>enis8Ìmo osservava il Graf (1), si considera   (l) Attraverso il -Ciwjucceuto.— Looschor, Torino.] nelP ambiente sao, in mezzo alla vita. varia e com-  plessa di cui egli è| al tempo stesso, organo e pro-  dazione.   Per la qnal cosa, dopo aver letto il commentario  dello Jannelli, quaP è V idea che il lettore si è fatta  di P. f   Oiò che si è detto di Gaio può dirsi di Tizio,  non vi è nulla che caratterizzi 1' uomo, non appare  Tessere vivo di Dante, l'individuo tutto intero, tutto  d' un pezzo, la persona libera e consapevole del  De Sanctis.   Oltre a ciò non ci dice lo Jannelli se ò giusti-  ficato quel lugubre lamento, cbe emana da tutti i saggi di P., specie dalle orazioni inedite; se  ò vero quello straziante singulto, cbe erompo da  quel mesto componimento, V elegia Ad Luciam,  in cui si sente lo sconforto di un' anima abbattuta,  un phato9, cbe ti aggbiaccia, un taedium vilae, che  ti stringe il cuore. Su tutto questo tace il biografo: Innanzi alle innumerevoli miserie, cbe affliggono  il suo protagonista, egli non si commuove punto,  le narra senza commenti, senza riflessioni, trascu-  rando così completamente il lato artistico, cbe non  consiste nella semplice forma; ma richiede anche il  concetto, consistente in quelP elemento subiettivo,  in quella speciale maniera di saper spiegare e rior-  V. nostro lavoro : L'elegia e Ad Litciam » di P. e il Bruto mitiare di Giacomo Leopardi, Ariano, Stali, tip. Appaio Irpino, ISOO. ] dinare i fatti, facendoli tutti dipendere da un' idea   unica, cbo abbracci in mirabile sintesi tntta la vita  di un individuo. Le copiose notìzie, con tanta pazienza raccolte,  sono gettate lì, senza essere state prima elaborate,  non v' è sintesi, ma lunga e pesante analisi ; sicchò  manca completamente la riproduzione artistica delle  notizie trovate, che f^ apparire coi suoi pregi e eoi  suoi difetti la persona presa a tratteggiare. Bisogna però convenire che, rispetto a P.,  non ò cosi facile riuscire neir impresa: perchè si  possa avere una completa conoscenza di lui, non  bastano le notizie, spesso inesatte, che ci danno i filosofi contemporanei ; è necessario che il biografo  sapx)ia ficcare lo viso infondo ai preziosi manoscritti  inediti dell' insigne filologo, e studii ed analizzi  soprattutto Pampio codice, che contiene le ora*  zionl tenute dallo stesso, al principio dei corsi, nelle  diverse città, dove fu chiamato ad insegnare.   In questo codice V infelice umanista ci dà piena  contezza dei suoi mali, dei suoi nemici implacabili.   MSS. R. BibUoteca Nazionale di NapoU Cod. V. D. .15 —  Cari. aut. del sec. XVI, min. 317 per 223, di e. 164 non numerate, uè  tutte interamente scritte, oltre due o più bianche, già guardie di esso;  ò legato di pelle. — Incipit € Epithalamium », esplicit € Oratio ad. di-  scìpulos. » — Come tutti gli altri manoscritti parrasiani, questo, codice  divenne prima proprietà di Antonio Scripando, come dalla seguente di-  dascalia finale : € Antonii Scrìpandi ex Jani Parrhasii testamento », e poi  passò alla Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove nel 1799. alla  R. Biblioteca borbonica, ora -Nazionale. Nella CaUibria Citeriore, in fonilo a quel granilo ellis-  soide, eh' è la valle del Crati, formata dalla catena degli  Appennini, che ai contini della Ba^^ilicata si dirama in due  opposti bracci, V uno lungo il golfo di Taranto o l'altro  lungo il mar Tirreno, sul fiume Crati e Busento, sorge la (Vii-  sentia di Strabone e di Appiano Alessandrino, la metropoli  dei Bruzii, come la chiamano LIVIO, PLINIO, Antonio,  Pomponio Mela.   Bella e famosa città, dal territorio ubertosissimo, dove,  facciamo nostra. Pespressione di uno dei più fervidi apologisti  di essa, il Sambiasem stan gareggiando insieme Cerere  e Bacco, Pallade e Silvano, e Pomona con Flora i.   Occupa una bella pagina nei fasti civili e militari d' I-  talia ; ma merita soprattutto un posto importantissimo nella  storia dell' umano pensiero.   Basta dare un semplice sguardo alle opere del Barrìo,  deUo Spiriti, deUo Zavarroni, dell' Ughelli, del  d'Amato e di tutti quegli altri scrittori calabresi, che [Ragguaglio di Cosenza, Napoli. De Siiu et antiq. CalaMae, Roma 1737.   (3) Memorie degli scritton coseèuini, Napoli. Biblioi. Calabra. Napoli Italia Sacra*   \jSi) Pantapologia calibra, Napoli. diuanzi alle gloriose mciuorie ili Cosenza, entusiasmati, hanno  sciolta la loro lingua alle più alte lodi, per comprendere  quanti forti e baldi ingegni abbia nei diversi t-empi dati alla  luce : Antonio Telesio, Galeazzo di Tarsia, Coriolano e Ber-  nardino Martirano e soprattutto la fenice dei moderni ingegni,  Bernardino Telesio, potrebbero illustrare, nonché una città,  una nazione intera.   Ed Aulo Giano Parrasio non è anche lui nativo di Cosenza!   Sebbene tutti i suoi biografi lo credano tale, e non sorga  a negarlo che il solo Aceti, il quale con scarse ragioni,  gonfiate da un esagerato spirito di campanile, sostiene che  il P. sia nativo di Figline (1), villaggio presso Cosenza,  puro noi, per varii motin, dubitiamo che egli sia cosentino  nel vero senso della parola.   Anzitutto perchè troviamo ritenuti per cosentini parecchi  valenti nomini di quei tempi, come Bonincasa, Cornelio, Mazzucchio, che sono nativi di qnei  diversi villaggi, detti volgarmente casali, che circondano Cosenza e sono ritenuti come tanti sobborghi di essa.  Poi perchè il P. nelle sne opere, sebbene .ne abbia tante  volte l'occasione, non ricorda mai Cosenza come sua patria,  a differenza di tutti . gli altri scrittori di questa città, nei  qnali, come notava il Fiorentino, si vede una certa ostenta-  zione nel determinare la loro patria, e nell'apx)orre al proprio  nome l'epiteto di cosentino.   In una lettera a Vincenzo Tarsia si congratula del  risveglio letterario della Calabria e specialmente di Cosenza. In un'altra, diretta a Pngliano, parla dei [Animadcersiones in Barrium De Situ et antiq. Calabriae^ ed.  cit. € Vir iste inter omnet acvi sui erudi tissimus facile prìnceps, ad  « Fillooum, tire Felinum pertinet, patriam tuam ac meam. De Rebus per EpisL quaesit.] cosentini^ mostra che non dimentica mai Cosenza, che anzi  Pama teneramente; ma non dice mai nnlla, da cui si possa  dedurre che egli stesso sia cosentino.   Ne basta : nell'orazione inedita, tenuta e Ad Patrieios  Xeapolitanos > (1), il ?.♦ per ben predisporre gli animi verso  di lui, fa noto che, sebbene ancora giovane, ha già inse-  rì guato parecchi anni nella nativa regione dei Bruzii : e prìus  I : aliquot annos frequenti auditorio in Brutiis, unde nos ortum  dncimus, interpretandis auctoribns impendimus i.   Ora perchè qui ricorda i Bruzii e non Cosenza, dove  realmente insegnò prima di andare a Napoli Non crediamo parimenti trascurabile Fultra prova, che ci  fornisce un codice inedito di Bernardino Mnrtirano, cosentino,*  discepolo del Parrasio, da noi rinvenuto nella Biblioteca  Brancacciaua di Napoli.   In questo codice iutitolato e De Famiiiis cousentinis i (3),  il Martirano non fa menzione della famiglia del maestro, e  ciò non sembra fatto per semplice dimenticanza, poiché in  un sonetto dello stesso scrittore, sulle famiglie di Cosenza,  riportato dal Sambiase e riprodotto dal Fiorentino (4), si'  nota la medesima omissione.   E in ultimo è ravvalorata sempre più la nostra tesi da  una lettera contenuta in im altro codice inedito del P., che  si conserva nella biblioteca dei PP. Gerolamini  (1) Cod. cit. V. D. 15.   (2) MSS. Bibl. Brancacciami di Mapoli. Cod. 3. A. 16. e De FamiliU  coaseatinit CommentarìuB. >   Ai cultori di memorìe cosentine indichiamo i due codici inediti, che  ti trovano nella stessa Biblioteca: € Rclacion de la Ciudad de Coson-  zia — 5. 0. 1. — De Syla Consentiae. ex historìcis — 2. C. S. »   (?) • d) op. cit.   (5) A/S5. Bibl. dell'Orai, dei PP. Gerolamini di Napoli. Cod. Pil. XI.2  Cari. mise, apogr., del secolo XYl, mm. 219 per 158, leg. di pelle.  È dello stesso formato dei codici della Bibl. Nazionale^ e proviene. 0t0immjmtmi' I afti^fci     y** In quella il P. roccoinaucla caldamente a Tommaso Fedro  Inghirami, bibliotecario della Vaticana^ il caro amico Antonio  Cesareo, che egli chiama suo e conterraneus »•   Non pare che il P. gli avrebbe dato l'epiteto di e civis i,  se anche lui, come quello (I), fosse stato cosentino t   Tenuto conto di tutte questo ragioni e delle notizie  enfaticamente forniteci dall'Aceti, il quale fa menzione di un  altare gentilizio dei P., di una lapide commemorativa  del Cardinale P. Paolo, esistenti in Figline, come pure  di altri documenti tratti e ex librìs Baptizatorum », ci  sentiamo indotti a erodere che il P. fosse realmente nativo  di Figline. •   Ma Cosenza fu per lui la vera patria di adozione, l'amò  sempre del più tenero amore, fino a quando fluì in essa i suoi  giorni, e sebbene non si sia mai dato l'epiteto di cosentino,  pare che non gli sia dispiaciuto d'essere st«ato creduto tale.   Anche noi x)erciò, pur sapendo di tradire in parte la  verità storica, continueremo a chiamarlo cosentino.     I biografi non sono d'uccordo circa le origini della fa-  miglia del P. : alcuni affacciano delle ij)otesi, altri fanno  delle gratuite asserzioni, fra queste degne di nota quelle del     come Morobfa, dalla stessa Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove  pare sia venuto in proprietà di Giuseppe La Valletta e da questo ai  PP. Gerolamlni. — Cont. « Campanarum Epist. Antonii Panhormitae », di  e. 56 scrìtte, più 6 bianche, già guardie. Incip. « Ad Nicolaum . Buezo-  tom > ; expl. € et genus humanum ».   Seguono : € BpistoUe Jan! Parrhasii » di e. 30; incip. e T. Phaedro,  romanae Aeademiae », expl. e epistola Bernardino Minoritaiio ».   (1) CiiioccARELij — De iUusiribtis scn'ptoribiis ecc. Ncapoli.] Come vedremo Parrasio ò alterazione di Parisio.  Gonzaga (1)| cho, fra lo altro cose, chiama il marchese  Giuseppe Parisi di Napoli, l'ultimo rappresentante del ramo  calabrese della famiglia Parisio ; mentrOi da notizie da noi  assunte', ò risultato che V ultimo rampollo di essa e Ernesto  Parisio,. marchese di Panicocoli, dimorante ora a Benevento.   Questi, con gentilezz«'> degna della nobiltà ed eccellenza  della sua famiglia, ci forniva le seguenti notizie, tratte da  diplomi e privilegi :   Guglielmo, nativo di Parigi, portatosi in Italia alPepoca  del re Carlo I, lasciò il primitivo cognome di Lancia e prese  quello di Parisio. Da Ruggiero, suo figlio, nacque Matteo ed  Andrea, che, uniti al padre, militarono con grande onoro  sotto lo stendardo di Ferrante I d*Ai*agona, come apparo  dal privilegio d' immunità e franchigie, confermate poi da  Carlo V (2). Avendo il suddetto 5ratt.eo operati molti e  prestanti servigi al suo re, ebbe in premio il feudo Aconaste  di Alipraiido, confermato dal re Alfonso (3).   Illustri discendenti di Andrea e ^latteo furono Guglielmo  e Gualtiero, i quali da Ferdinando il Cattolico ebbero in dono  il castello di Kalamo, nella terra di £se, come appare dal  breve di donazione, da noi osservato in Benevento presso il  marchese Parisio.   Da Ruggiero poi nacque una delle maggiori glorie della  famiglia, .P. Paolo, valentissimo giureconsulto, che tenne  cattedra a Bologna ed in altre città d' Italia, e giunse all' o-  nore della porpora. Ora t^ma qui opportuno osservare che la famiglia  Parisio si diramò poi in Messina, Oastrogio vanni, Mineo, [Conte Berardo Candida Conzaga. — Memorie delle famiglie  nobili delle province meridionali d'Italia. — Voi. 6, pag. 136, Napoli 1883,   (2) Archivio di S, Agostino alla Zecca, — Documento XI, fol. 62,  in quinter. Vili, fol. 200.   (3) Archivio di S, Agostino alla Zecca, — Privilegio registrato in  Privil. XI in quinter. Lcntini, Napoli, Bologna e Reggio; ma il ramo principale  fa quello di Calabria, il quale a sua volta si diramò nei  Parisio e ex Bugerio », da cui discese il Gardinale, e nei  Parìsio € De Thomasio »•   Da quest'ultimo ramo, da Tommaso, consigliere di  S.» Chiara, e da Pellegrina Poerio, il 28 dicembre 1470 (1),  nacque Giovan Paolo Pàrisio, che poi prese il nome di Aulo  Giano Parrasio.   Discendeva questi dunque da illustre ed antica famiglia,  in cui pare siano stati ereditari Pcccellenza dell' ingegno e  Pamore alle >nrtn ed alle alto ed onorifiche imprese.   Gli scrittori del tempo sono concordi nel tessere gli elogi  dei genitori del P. , lodano la coltura e 1' alto sentire di  Tommaso, non che la nobiltà d' animo di Pellegrina, che fu  rapita prematuramente aU'affetto dei suoi (2).   Non tardò molto a palesarsi nel P. quella grande ten-  denza ed attitudine allo studio, e quella grande tenacità di  mente, che fin dai primi anni fece presagire nel giovanetto  uno splendido avvenire.   n primo suo maestro fta Giovanni Grasso Podacio (3),  detto cosi dalla patria, Serra Pedacia (4) : molti scrittori no  lofiano la dottrina e la bontà del cuore, sicché sotto la guida  di lui il P. fece rapidi progressi, dando presto chiare prove  che il discepolo avrebbe superato il maestro.   Gi rimane una lettera, indirizzata al Pedacio, in cui  l'antico alunno scioglie alcune difficoltà letterarie, che quésti  gli aveva proi>oste ; ciò che in altri avrebbe generato un  [Loca Gaurico — Traci. IV Da Nat., T. II. Op., pag. Id36.  Jamtislli — Op. cit., pag. 1.   (2) Parrasio. — De Rebiu ecc. — Orai, in epist. Cic. ad Alt., pag. 242,  ediz. Mattltaei, Neapoli, mdcclxxi : e In optimam matrem mcam primo  desaevit (Fortuna) integra adhue aetata. '»   (3) De Rebus ecc., pag. 121.   (•^ Zavarroni. — Op. cit., pag. 63. *     fnXk'^ lAk^Ài  •- -•»»T»* , che si legge nella cosi detta Apologia di Vallo. Passato un cei*to tempo dalla sua venuta a Lecce,  il P., come vedremo, incorse nell'ira paterna per essersi  mostrato poco disposto allo studio del diritto. Essendosi  però il padre piegato a più miti consigli, egb", allettato  dal bel nome, che godeva a Gorfù Giovanni Mosco, spar-  tano, al quale accorrevano da Veneziike da ogni parte d'Italia,  non che dalla stessa Grecia, tutti quelli che desideravano pe-     {ì) De Rebus ecc,^ ediz. cit., pag. 121.   (2) Apologia del Vallo. — V. Comm. del P. al e D^ Raptu Proserp.  Claudiani > — 1505, Milano : € Multa tamen in Graecia antea ilidioe-  rat, admodum praetextatus, in Japygla, quam regia potestata Tamìsiui,  pater eius, obtinebat, usua praeceptore Sergio Stizo, cui nihii ad sum-  mam defuit erudi tionem, praeter quam maiua nostrarum litterarum sin-  dium. >   [Jannblli — Op. cit., pag. 4. . .     ^to«Mi«^hMiA«Mta     1 .     «■^«I     *v     y-     * v L^ ? ;.        TT^      I     notrare nello intimo bellezze del greco (l), volle recarsi colà| e  pare che vi si trattenesse poco più di un biennio (2).   Non possiamo dire con procisiono quando egli si portasse  dal nuovo maestro, se nel 1488 o nel 1489, pare però eerto  che ritornasse a Cosenza intorno al 1491, come ci aiTerma  un passo del suo Oommentario al De Baptn Proserpinae di  Claudiano.   Ivi il P.) parlando della Delia Oliva di Catullo, ricorda  che per fonte e non per albero aveva interpretato quell' O-  Uva, dieci anni prima, quando a Cosenza aveva avuto a  maestro Tideo Acciarino (3).   Tornato a Cosenza, riprese quindi il P. lo studio del  latino sotto la guida di quest' ultimo , tanto lodato dal  Poliziano (4), e ben presto rivelò i frutti del savio ed  ordinato insegnamento del dotto maestro, riportando a Cal-  limaco quel carme, che ha per titolo e ri ahtx », o inter-  pretando per la fonte che esisteva nella Beozia, e non per  albero, la Delia Oliva di Catullo (5).     (1) Liuo Gregorio Giraloi. — De Poctis sui temporis. Dial. II.  TiRABOSCUi. — Storia della letier. iud. — T. VII., P. II, pag. 437.   Roma. Anoelo Spera. — De nobil. profess. gramm, 1. IV, pag. 288.   (2) Apologia del Vailo. — e lode Corcyram profeotus, operam Mosche  dedlit 000. >   (3) Parrasio. — Commentario al € De Raptu Proserpinae » — y« 188,  lib. II : •   (4) Poliziano. — Epistolae, — lib. VII.   (5) Parrasio. — Commentario al € De Raptu Proserpinae », lib. III^  T. 288.     »aA.i   Parrasio a Cosenza ed a Napoli — Relazioni   cogli AragonesL     Non bisogna però tacerò che anche il P., corno tanti  altri umanisti (1). trovò nel paciro un fiero oppositore ai  suoi studi prediletti (2).   Era ornai divenuta tradizionale nella famiglia Parisio la  tendenza alla carriera giuridica (3), sicché Tommaso si mo-  strò dispiaciuto verso il figliuolo, che preferiva lo studio dei  classici a quello del digesto e delle pandette.   A quale perìodo della vita del P. deve però riportarsi  questo fatto!   Lo Jannclli, esagerando anche lo sdegno del padre verso  il figliuolo, aiTerma che bisogna riportarlo a quel tempo in  cui quest' ultimo apri pubblica scuola a Cosenza (4).     (1) V. nostra monografia: Un Accademico pmitaniano del secoli XYi^  precursore dell'Ariosto e del Pnrini^ pag. 13. — Ariano — Stab. tip. Ap-  piilo-Irpino — 1898.   i2) De Uchus per cpisloìam ecc., eiliz. cìt., pag. 242 : e Neque vero  comineinoralH), quod ut hune quantuluincuinque litterarum profectum '  iiiorarctur« indulgciuU alioqui in me patria animum'depravavit (Fortuna),  no sumptuA ai ooìa Musarum auppcditaret, taroquam relieta a malori-  bus trita semita degeneri, quod, ut illi, leges ediscere neglexerìra ».   (3> Morelli — De Patricia consentina nofnlitaie,   (4) De vita et scriptis ecc.  A. qia:«o paukasio     Ciò non ò prosaniibile, poiché Tommaso Parisio, da uo-  mo accorto ed intelligente quaPerai non avrà certo atteso che  il giovane avesse raggiunta l'età di 21 anno, per costringerlo  a battere la e tritam semitam gentis suae i. Più logico in-  vece ci sembra che egli cercasse di piegarlo ai suoi volerli  prima che del tutto uwa^««»««^N!w'    luuuincrcroli quesiti di diritto, tratti dalle opere dei pia  valenti giurecbusulti, corno Ulpiano, Paolo, Modestinoi Pa-  piuiiiDO ecc., bisogna notare il lavoro paziente del giova- *  netto, reso ancora più manifesto dai non pochi errori grafici,  in esso ibcorsi, ed eliminati evidentemente da una futura  correzione.   Pare però che in Tommaso Parisio abbia finito col trion-  fare la generosità del suo animo; sicché, specialmente quando  vide l'altro, figlio Pirro battere la strada dei suoi antenati,  dovette certo venire a più miti consigli verso Giovan Paolo,  e permettergli di seguire la naturale tendenza del sud ingegno*   Xon crediamo punto di errare asserendo quindi che egli   stesso lo consigliasse a lasciare Cosenza, dove presto la scuola   di luL.cra salita in grande onore, ed a recarsi a Napoli,   dove già egli occupava la carica di regio consigliere di   . S.« Chiai-a (1\   Però inclineremmo a credere che il P. non si recasso  allora a Napoli per la prinia volta, poiché uelP Oraiio ttd  ratritios ncapoliUiìtos dice che, essendo venuto colà per sa-  - lutare gli amici, da questi, che già per prova dovevano  conoscere il suo valore letterario, venne invitato, anzi forzato,  a tenere uù corso /li lezioni sulle Sclì:e di Stazio (2).   Non crediamo qui necessario trattenerci a discorrere  del Pontano e della sua Accademia, dopo il cenno che ne  abbiamo fatto in altro nostro lavoro (3} ; solo ci piace osser-'  vare che sebbene il P., ancora cosi giovane, si assumedse il     (1) Toppi. — Dj Orig. Tribun. — P. II, 1. IV, cap. I, pag. 239.   (2) MSS. Bibl. XoiionaU di NapoU. ^ Cod. V. D. 15. — € Ai io  praesontiaruui/ Viri patritli, quum ofiilii causa, ut amicos inviseremas,  A'I vostram rempublicaiu ornatisshnain aodique vorsum me contulissem,  ab eìndem post aliquot dies inissIoDem impetrare haudqaaquam potala  quod dicerent nostrae consuetudinis iucundltate teoeri eoe. >   (3) Un Accadeinico poHtaH'ano d€l secolo X Vi, precursore ddV Ariosto  e del Perini, pag. 21 e seg. — Ariano, Sub. tip. Appulo-Irpino.   »-:j     ^tei*«*MÌB     iimtaa^^     lm  Pantapdogia ealabra, — Napoli 1725.   (3) De Patricia consentina nobilitate. — Venezia 1713.   (4) Castiglione Morelli. — Op. cit. e Ferdinando II regi admodum  carut, cuius ingenita servitia laadantur »;   i5) MSS. Bibl. Nazionale di Napolil — La lettera in doppia trascri-  zione, si trova nel codice già descritto. — V. P. 9.  Il "-K*«b     ■M«MkMd«M*^wv«*k#«J)A« j     *V^»^tlm,    Dopo avere a lungo discorso della divinità cgizianai il  P. cosi pone termine alla sua lettera:   e Qui (Fortunae) si nonduin omncs ad unum bonos libuit  excindore, si nomon Aragouium propitìa rospicit, te, lapsis  tuomm rebus, incolumen servabit, discot abs te clcmcntiam,  mitissimoque Principi mitis aliquando fiet. Tu rnrsus maio-  res tuos intueri debes, ascitos coelo, operamquo dare ut, nude  per iniuriam doiectus cs, industria virtusque te rcponant >•   Come ognun vede, questo Priucipo aragonese per iniu-  riam scacciato dal trono, non ò altro che Ferdinando II, il  quale dopo la battaglia di S. Oermano e l' insurrezione degli  Abruzzi, non avendo potuto mettere un argine ali* invadente  piena, che si era rovesciata nel suo regno, lasciò Napoli per  fuggire alla volta di Ischia.   Merita similmente di essere riportato il seguente brano  della lettera in esame :   e Audio (1) te esse egregiae iudolis adolescentnlum,  animo alucrem, iugenio pótentem, frugalitatis et contincntiae  in istis ani^is admirandae, patientem laboris, a voluptatibus  àlienum, firmiterque laturum quicquid inaedificare, quicquid  tibi fortuna voluerit imponere >•   Dai passi succitati, specie da quest'ultimo, in cui è  descritto minutamente il carattere di Ferdinando, chiara-  mente si vede come tra il Principe ed il giovane filologo sia  esistita, pia che una semplice relazione, una vera e cordiale  amicizia, che crediamo abbia avuto origine fin da quando il P.     (1) Audio è qui adoperato noi significalo di conoscere ; Cfr. Cicerone:  4 Audit igitur mena divina de s^ngalla ».   . .. .A--, -1- a . lait. "-Tfc'- i r» t - * m» . « i^ ^i i H m» » . - ; e fo-  ccndogli affidare V ufficio di e Oavaleris penes Oapitaneos  terrarum Montaneae et Civiteducalis, x>otcstatc substituendi,  cum gagiis et emolumentis, lucrìs et obvcntionibus solitis  et consuetis et debitis >.   ^on ripetiamo tutti gli elogi proiligati nel documento in  parola ; ci limitiamo a riportare solo il seguente brano, in cui  chiaramente si vede l'alta stima, che il re Alfonso ed il  principe Ferdinando avevano del P. : '   e Nos autem habentes respectum ad merita sincerae     (1) Chàritio. — Endimione. ^ Canxooe Vili.   (2) Le rime di BenedeUo Gareih, detio il Chariteo. — Napoli — V. I, pag. XLIV.   (3) Erroneamente il Tafuri crédette di identificare nel Barrhasie dtà  Chariteo, Giovanni Marrasio ; come pure a* ingannarono coloro i quali  supposero che fosse Francesco Barrasio, « regio consigliere et presidente  di Camera [Archivio di Stato di Napoli. — Collaterale prìviL Aragon. clovotionis ot fide! praefati Pauli, ac considerantcs sorvitia per   oum Majostati nostrae praostita et impensa iis et aliis   considerationibas et causis digne moti, praefato Paulo ad eius  vitae decarsum iain dieta officia. ..;• haberi volumus prò in-  sertis et expressis et declaratis. >   Pare però che il P. non abbia occupato a lungo questa  carica, che, se gli procurava danaro ed onori, non doveva  certo concedergli il tempo necessario per dedicarsi ai suoi  studi prediletti.   Ecco perchè nel 1405 lo troviamo a Lecce (1) in DeeU"  iiam 8cribarum^ carica molto onorifica, alla quale non poteva  aspirare e nisi honesto loco natus, et fide ot industria co-  gnita 1 (2). . -   Di queste due cariche sostenute a Taverna ed a LeccCi  si rammenta poi il P. con rincrescimento e disgusto quando^  svaniti i sogni dorati della giovinezza^ si dedicò di nuovo e  con pia lena allo studio delle Jettere : e lam vero piget  neminisse quod ab ingenuis ai-tibus ad calamum militiamque  me tradaxit (Fortuna) i (3):   n P. né in questo, né in altiì luoghi ci dice quando  impugnò le armi ; non crediamo però di errare, sostenendo  che ciò sia avvenuto nella lotta degli Aragonesi contro  Carlo Vili e non dopo la caduta di questi, e ut consuleret  sibi patrique i, come crede lo Jannelli (4)«   Come i suoi illustri antenati, nei quali rifulge inteme-  rato il sentimento della fedeltà e della gratitudine, il P. corse  subito a prestare Peperà sua in difesa del suo signore, e se  dopo, come abbiamo visto, egli si penti di ciò, bisogna rl-     (1) Apologia del Vallo, 1. cit. — € Ipse Janus in eam provinoiam  (Japjgiam), quam pater rexit, adolescens Scripturam fecit. >   (2) Ivi.   (?) Ouaesùa per epi%i. — Orai, ante pralect. in epist. Cie. ad Att.  h     ~'^ -*~'^ "' - r - I I i*' i ' 1 ^ 1 là i M "j      i \ Mr '^ •"•" ''     cercamo la causa nel suo giusto risentimento, quando vide  la sua devozione ed il suo zelo indegnamente ricompeasati  da re Federico.   Oi parrebbe quindi verosimile che il P. seguisse il prin-  cipe Ferdinando, quando con un corpo d'esercito fu mandato  da re Alfonso nelle Bomagne, e che prendesse parte a tutte  le vicende di quella poca fausta spedizione contro l'Aubigny,  ed alla stessa battaglia di S. Germano.   Ciò non risulta chiaramente da alcun documento, ma  siamo indotti a crederlo da quello speciale interesse, che il  P. mostra di aver preso alla causa aragonese, e da quel  continuo accenno alle armi, a cui, altrimenti, non sapremmo  dire in quale altro periodo della sua vita egli si sarebbe  rivolto (1).     (1) Torna utile riporUro i seguenti versi di un epigramma del P.  contro il Nauta, suo fiero nemico (Apologia di Vallo):  Si fortuna levis de Consule Rhetora fecit.   Et ferulam gerirous qua prius arma manu.  Nonne eoe...  La parola co9isìU ci farebbe credere che il P. fosse giunto a qualche  alto grado nell* esercito aragonese.     \     ■ W ■■ I !■     i«A>^i— •'^bA* ^a^^>*^»>        >'•» »iy~- '««Jwti w>i>»i' » .a ■■* IW »^f *m' ^rtèmtmr'nmmm     .•••,• • • ...        CAPITOLO in.   Il Parrasio in disgrazia di re Federico.  Integrità e fermezza del suo carattere — Dimora a Roma.     n P. conchiade la sua lettera a Ferdinando d'Aragona  col voto di poterlo rivedere, prima di morire, sul trono degli  antenati : e onte meos obitus sit, precor, ista dies >•   n giorno desiato non tardò molto a spuntare : dopo  quattro mesi, il 7 Luglio 1495, Ferdinando rientrò in Napoli,  festeggiato dal popolo, e cosi il voto del fedele P. fu piena-  mente adempiuto.   Allora questi fu reintegrato, insieme col padre, nell'ufficio  perduto dopo la conquista di Carlo Vili, e ritornato a Lecce,  si dedicò con ogni cura all'emendazione del testo di Solino: (1)  e Si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis ego  nomen proftteor meum : Ncapoli, Lupiis, in Japygia Apulia,  nactus antiquoe reverendaeque vetustatis exemplaria..... »   Ma Ferdinando II godette ben poco del possesso del  trono ricuperato, poiché dopo un anno appena morì, la-  sciando la corona allo zio Federico, che, inetto a regnare,  diede V ultimo crollo alla dominazione aragonese.     (1) AtSS. DibL Nazionale di Napoli, — Da una lettera contenuta nel  Cod. cit. V. F. 9, diretta non sapremmo ben dire se a Oiovan Battista  Pio Bolognese o ad Aldo Pio romano. — Inc. € Atqul tua cum bona  venia fallit te ratio, mi Pie, »     \     MiJII *!■.     "-* Vii r J rrn ' " r '~ - V t f'^-'f^J'^^^''^     come nelPavvei^a fortunai oltre che per l'amore, che ad essi  lo legaya, por la speranza e honestioris gradus, maionunqae  commodorum > (1); ebbene ora, invece del premio dovuto,  di quel posto onorato, di quegli agi sognati, gli si gettava  in faccia l'accusa di traditore.   Il giovane letterato aveva forse sperato di poter col  tempo raggiungere l'alto grado del Beccadelli e del Fontano;  ma dinanzi alla dura realtà quei sogni dorati erano svaniti,  gettandolo nel più grande sconforto.   Ecco come dolorosamente egli esclama contro la maligna  sua sorte: %   € O calliditatis inauditum genus ut (Fortuna) iuvando  noceret, ad opes me evexit et dignationem I Verum simulao  animadvertit eius aura, simulatoque favore de pristina vitae  ratione nihU in me mutatum, passimque meas omnes acces-  siones industriae magis et probitati, quam sibi acceptas  referri, vehementer oiTensa, confestim passis alis evolavit,  ne virtuUs comes esse cogeretur > (2).   Oh come questo brano tutto rivela lo strazio di quel  cuore addolorato I e quale triste verità nelle ultime parole,  che accennano allo spietato abbandono in cui tanto spesso  la fortuna suole lasciare il virtuoso I   Ma l'abbattimento morale, in cui era caduto il F., fli  puramente passeggiero : fornito di quella lealtà incarnata nella  virtù e di quella gagliardia di propositi, che reca in sé una  potenza a cui nulla resiste, dopo la penosa impressione del  momento, si senti subito forte per vincere le diflBcoltà e  sopportare la sventura.   Anzi questa, ben per tempo, rivelò in lui ciò che Q  Settembrini ben definì corona e gloria della vUa, cioè un nobile     (1) Parrasio. — Orai, ante praelect. epist. Ciò. ad AtL, Matthaai. —  Neapoli W. ,     \     '■ - ■■■'•- ■ -- - -'^- i . iì_ I -r^ ■ ii - i --"- -'- ' ' ■ • ■ ■ ■ ■ - r^'ir s       6 grande carattere : al giovano inesperto successe V uomo  dalla fibra gagliarda, il quale, come vedremo, nelle lunghe  peripezie della sua vita, anche quando tutto gli venne meno,  ebbe ancora un terreno sul quale restò invincibile, il coraggio  e l'integrità.   Ecco come egli nobilmente si esprime :   € Ego nihilominus, ut meum nunquam ratus, in qnod  incostantia Fortunae ius haberet, quod alieni foret arbitrii,  quod auferrì, quod crìpi, quod amitti posset, in eodem vultu  prqposìtoque permansi, Quumque vicem meam dolerent omnes,  (quod indicat incolumi statu qualem me gessissem*) solus ego  furienti Fortunae laqucum mandabam » (1).   Fiere parole, in cui tutta rifulge questa splendida figura  di calabrese, che nelle calamità della \ita resta saldo a guisa  della torre dantesca, e assicurato dalla buona compagnia che  V uom franclicggia, eleva baldanzoso la testa e con aria fiera  e calma volge ai suoi calunuir.tori uno sguardo, in cui si  compcnctra generosa compassioue ed odioso disdegno per la  viltà, che striscia ai suoi piedi.   Ben diverso però è il P., che ci presenta lo Jannelli:  freddo ed insensibile dinanzi a quelle pagine palpitanti di vita  reale, in cui si sente tutta l'ambascia di chi si vede colpito  in ciò che aveva di pia caro : Ponore, il nostro biografo ci &  del suo protagonista! un girella della peggiore risma, che, ve-  dendo e inane Aragoniorum imperium fatali casu in dies ruere >)  diviene, insieme col padre, aperto fautore dei Francesi (2).   Cataldo Jannelli, a sostegno della sua asserzione, non  adduce altra prova che qualche parola di lode, che il P. a-  vrebbe rivolta, molto posteriormente, ai Francesi, durante la  sua dimora a. Milano (3}; il nipote Antonio poi crede di     (1) Orai, cit., ed. cit., pag. %iA e seg.   (2) De vita et icriptis ecc. ed. cit., pag. dO e seg.   (3) Op. cit., pag. 30.     > ii^i'/" »■ iir.— . r>^.iin^ii -i.JMé ■ !■ m'imI mk^ i' V*««>i>hi^iiilW [j^WjiWiiM; M>iM»W li» IfiI^ l'^l 11 ^«yy Q \»t ' ' 1 ' *> 'l ^^ l| tf »^rfi>>ii»WiW ■ T i K i * *iteto  di tiranno (3}«     • Lasciata Napoli, non poteva fl  P. essere più felice nella scelta della citta, destinata quale  agone dei suoi studi : in Roma infatti l'Accademia, fondata     (1) Jani Parrh. — Epìstola ad Michaelciu Ricciura, ante Sedolii et  Prudcntii cariuìna. i«iw*i ^i«i^i*ii>  «'     2da Pomponio Leto, aveva raggiunta altissima fama, chia-  mando colà molti fra' più dotti letterati del tempo, quali  Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, il grammatico Sulpizio  Venilano, il valente grecist-a Augusto Baldo e, per non parlare  di altri, Tommaso Fedro Inghirami, giustamente detto dftl P.  e fiicilis, expeditns, plenus humanitatis » (!}•   Fin dai primi giorni in cui il P. conobbe quest' ultimo si  senti legato a lui della più salda amicizia, che, per mutar di  eventi, fu sempre viva e sincera (3). L' Inghirami, all'alto  sapere congiungendo una non comune bontà d'animo, fu uno  dei pochi veri amici, che abbia avuto V infelice P., ed in  molti casi, come vedremo, fu per lui la vera ancora di sal-  vezza.   Libero omai dalle fantasticherie giovanili, e spinto da  quel tiranno signore dei miseri mortali: il bisogno, l'umanista  calabrese si dedicò agli studii con più amore ed alacrità che  non avesse fatto x)er lo innanzi, riuscendo, dopo non molto  tempo, a completare la correzione del testo di Solino e di  quello di Ammiano Marcellino (4).   Ben presto occupò un degno posto tra' più illustri let-  terati, che allora professavano a Boma, e diede subito chiara  Orat. ante praelec. epist. Cic. ad Att., ed. dt., pag. 240.   (2) Orat. cit., pag. 247 € ut me, quo priroum die Romae \idit, aro-  tissime complexus est; ut auctoritate, gratia, testimonio suo prolixe  iuvit, ot in omni fortuna semper idem fult »•   (d)MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. — Cod. V. D. 15. — Orat. ad Sen.  Medici. € Immo paupertas iampridem virtulis et doctrìnae contubernalis  est..... ; quippe qui dum integris opibus et incolumi patrimonio floreha*  mus, litteranim studia remissius assectabamur ; ubi vero-communis illa  tyrannorum procella no», ut bonos omnes, involvit, ardenter adeo man-  suetloribus Musis operam dedimus ».   (4) MSS. R. Bibl. Sai. di Napoli. — Cod. V. F. 9. — € Ammlani  Marcellini Rerum gestarum libri penes me sunt omnes quot extant, ex  antiquissimo codice Romae exserìpti.] prova del suo sapere, specie nella disputa avuta con Antonio.  Amiternino. Questi, quasi del tutto igniaro della lingua greca,  aveva messe fuori delle vuote e cervellotiche interpretazioni,  che voleva gabellare per irrefutabili. Il P. in sulle prime  cercò di fargli comprendere amichevolmente gli errori in cui  era caduto ; ma quando vide che si ostinava nella sua opi-  nione, anzi aveva osato finanche minacciarlo di morte, non  ebbe più alcun ritegno di rendere di pubblica ragione la poca  valentia del protervo grammatico (1).   Essendosi cosi acquistata alta e meritata fama, gli fti  assegnata nell'Accademia la cattedra di oratoria, mandato  molto onorifico, che egli seppe disimpegnare con zelo e dot-  trina (2;.   Appunto in quel tempo fu scelto a maestro di Ber-  nardino Gaetani, figlio di Niccolò, duca di Sermoneta, a  di Silio Sabello, giovanetti di assai belle speranze (3). Parva  che un'era di pace e di tranquillità fosse sorta per V infe-  lice P. ; ma purtroppo allora Boma gemeva sotto il giogo  di Alessandro VI, lo scellerato pontefice, di cui, come ben  disse il MacchiaveUi, tre ancelle seguirono le sante pedate :  lussuria, simonia e crudeltà.   Forse molti dei delitti di casa Borgia saranno stati inven-  tati dall'accesa fantasia dei romanzieri ; ma non si può certo  sconvenire che fu sparso innocentemente il sangue -di nume-  rose vittime, per sola sfrenata smania di potere. Tra questa  bisogna ascrivere i due cari ed amati discepoli del P., Silio  e Bernardino, barbaramente trucidati dagli emissari pontifici,     ri) Quaesita per epist.^ ed. di. pag. 155-168.   (2) MSS. R. BM. yaz. di SapoU. — Cod. V. D. 15 — Orai, ad  Seti. Mediol.: € operain dedìmas, ut et nos hactenus non poeniteat, et aK  aliia idonei esistimati »imas, qui Romae, io arce totios orbis terraram,  oratoriam publice profiteremur ». * •   (3) Vallo. — Apologia; Orat. praelec. epist. Cic. ad Att.« edix.  Ciu      A     --"-*-^^ ..i^^^j*-:— ^:.-»-^>.--^^ - 1'- - 'l^-l^r '.111 I  IWH     _m ■ ■ M ■ 1  solo perchè le loro famiglie non si erano forse mostrate lige  ai nefandi voleri del Pontefice, che pur di fondare pel figliuolo  Cesare uno stato, che comprendesse tutta l' Italia centrale,  non la risparmiava ad ogni sorta d' immani scelleratezze.   Poco mancò che il P. stesso non fosse coinvolto nella  disgrazia dei suoi alunni e, se ri usci a salvarsi, lo dovette solo  all' intercessione, ai consigli ed agli aiuti dell' amico Inghi-  rami (1).   Allora, al x)rincipio del 1499, il P. si recò a Milano (2),  dove gli erano riserbati infiniti altri dolori.     (1; Oratio ante praelec. epist. Ciò. ad Alt., ed. cit., pag. 247: € quam  Bollicite euravit Phaedrus, Alcxandri VI pootificatu, ne me Bernardini  .Caietani, neo Silii Sabelli tempestaa involveret ».   (2) Vallo. — Apologia : € inde quoque disoessit, ususque Consilio lu-  venalia, in Galliam citeriorem migravit »• * >   Orat. cit., pag. 247: € audivit in Gallia citeriore portolo iam me  tenere^ Mediolanique publice conductum profiteri. U Parrasio a Aliano.  Importanza storico-letteraria di questo  Lotta col Ferrari e col Nauta.     Luigi XII, oltre le vecchie pretese sul regno di Napoli,  a causa del matrimonio di Valentina Visconti, figlia del duca  Gian Galeazzo, col suo avolo Luigi di Turaine, affacciò queUe  sul ducato di Milano, e, vedendosi favorito nei suoi disegni  dalle gelosie e dalle discoi*die dei x)rincix)i italiani, si affrettò  a mettere in opera il suo disegno.   Assicuratasi l'amicizia di Alessandro VI e della repub-  blica di Venezia, mandò in Lombardia un esercito, ohe in  breve tempo costrinse Lodovico il Moro a lasciare il ducato  ed a riparare nel Tirolo, il 2 settembre 1499.   Ma ben presto i Francesi con le loro soperchierie fecero  rimpiangere il governo del Moro: questi pensò di trame profitto,  e, disceso rapidamente con un forte nucleo di mercenari  Svizzeri, fu accolto festosamente dai Milanesi.   Il suo trionfo fu però breve ed illusorio, poiché venuto  a battaglia, presso Novara, con l'esercito francese comandato  dal Trivulzio, i Buoi Svizzeri si rifiutarono di combattere  coaitro i loro compatriota del campo francese, e cosi la sua  rovina fu bella e decisa. I»!^"***     Mm iM 1 M ' i » * *^ h »S»>»mmi^*mm^^^i0mi     >m*^m     ^t*a     ■tfhrfi*»* ^■'h- -««wAhAi**     ':**    Fallitogli il tentativo di fnga, il Moro fa preso e man-  dato a finire i suoi giorni nella torre di Locheé ; cosi il  ducato di Milano ricadde sotto la dominazione francese.  Laigi XII propose al governo di esso il cardinale Giorgio  d'Amboise, il quale, fedele ministro del sao re, vi riscosse  ben trecento mila ducati per le spese di guerra, inasprendo  coUe sue angherie sempre più l'animo dei Milanesi.   Forse per coonestare in certo modo questa sua condotta,  il cardinale si adoperò a che fosse continuata in Milano la  nobile tradizione degli studi umanistici, ohe ivi avevano a-  vuto valenti cultori e pptenti mecenati.   Si sorbava ancora colà memorili della munificenza dei  Visconti, degli onori tributati al Petrarca dall'arcivescovo  Giovanni, e degli aiuti largiti da Gian Galeazzo, Giammaria  e Filippo Maria agli umanisti del tempo : Uberto e Pier  Oandido Decembrio, Antonio Loschi, Gasparino Barzizza,  Francesco Filelfo e tanti altri ; come pure era vivissimo il  ricordo della protezione accordata ai letterati dagli Sforza,  soprattutto da Lodovico il Moro, che aveva fatto della ca-  pitale lombarda uno dei principali centri di coltura d'Italia (1).   L'Amboise protesse anche lui i buoni studii e fti largo  di aiuto agli umanisti, ohe allora professavano a Milano:  Giovan Battista Pio Bolognese (2), Giulio Bmflio Ferrari (3),  e, per non parlare di altri, il celebre grecista Demetrio Oid-  oondila (4).     (1) TiRABoecBi. — op. eit., T. VI, pag. 19.   Rosmini. — Storta diUUoM, T. HI, 1. XV, pag. 274, Milano 1820.   ^) Sax. — Eiti. Lùter. Typogr. Mediai., pag. 431.   Aboslati. ~ BM. Script. Mediai., T. I, P. Il, col. 871, 893.'  TiRABOSCHi: — op. eit, T. VII, P. Ili, pag. 272.   (3) AxoKLATi. ~ op. eit, T. \\, P. 11, eoi. 2111.  Sax. — op. oli., pag. 38, 44, 332, eoe.   (4) Aboslati. ~ op. cit., T. II, P. II, eoL 871, 808.  . Sax. — op. oit., pag. 39, 43, 279, 420     ""•*•■' "^ *"'.' •»■*» '" • * ' Vii" - ^ I • | --" i '-' iiii r i r i rnij i nriV •"• - ii " lì rfcÉTliiiniiit\   Fiorivano allora anche valenti poeti : Oiovan Mario  Cattaneo (1), Lancino Curzio (2), Stefano Dulcino (3), Gio-  vanni Biffo (4), Pietro Leone (5), tutta una flora di eletti in-  gegni| in mezzo ai quali venne a brillare Aulo Giano Parrasio.   Como dicemmo altrove, questi giunse a Milano nel prin-  cipio del 1490, come ci attestano chiaramente oltre la sua  lettera dedicatoria del De Raiìtn Proserpinat all'amico Ca-  tulliano Cotta, pubblicata anno maturius dalla eua venuta in  questa città (VII Kalendas januarias MD) (6), la prima lettera  inviata da Vicenza a Gian Giorgio Trissino (ex aedibus tnis  pridie Jdus decem. 1506) (7), e l'asserzione di essere rimasto  a professare e octoqne per annos in Gallia Citeriore » (8).   il tempo che il P. dimorò a Milano a ragione può dirsi  il periodo più burrascoso della sua vita, a causa delle lottOi  deUe persecuzioni interminali, e di quella sterile guerra d'in-  trighi e di basse calunnie, di cui egli fu vittima.   Quel periodo però fu anche il più produttivo del grande  filologo calabrese, il quale appunto allora a noi paro che     (1) Sax. — op. ctt., pug. 524, 526« eee.  Tirar. — op. c'Um T. VII, V. LI, pag. 201.   (2) Aroxlati. — op. cit., T. I, P. II eoi. 531.  Sax. — op. cit , pag. 42, 359, eoo.  Giovio. — Elogia Vir. Uu. iUustr.^ pag. 74.   L uo Creo. Girai/ 'I. — De poetit sui temperisi Dial. I.  Rosmini. — Vita ilei Maresciallo TrivuUio. Voi. 1, pag. 020.   (3) Bakoell. — Novell. LVIII, T. IL — Sax, pag. 307, .314.   (4) Sax. — op. cit., pag. 39, 139, 310, 353, eoe.  Mazzuchklu. ^ Scriu. d' ItaJUa; Rosmiki. — Vàa dai Hear.   Triwd.. pag. 020. ^ •   (5) Sax. — op. cit., pag. 401, 403.   **yM!' . ' . ■ * 'ortatì (L - IV) (4).   Noi però più che ai versi di Lancino Curzio, Cesare Sacco,  Gerolamo Plegafota, Stefano Dulciuo, Giovanni Biffo, quando  non avremo assoluto bisogno della loro testimonianza, ci at-  terremo aUe orazioni inedite del Cod. V. D. 15, pronunziate  dal P. a Milano.   Sono circa una ventina, di cui alcune hanno interesse  puramente letterario (5), altre ci forniscono xireziose notizie  biografiche.     (1) Op. cH., pagg. 19, 37, 38« 57 ecc.'   (2) Anecdoti Hi gloria^ bibliografia e antica, pag. 12-18. —- Catania,  Tip. Francesca Galati, 1395.   (3) Praefat., pag. XIX ; Op. 37, 38, 62, ecc.   (4) € Ad Jan'uin Parrhaa. neapol. — In nuptiis J. P. et Tbeodorae  Calcondylae », pag. 14-18.   (5) Bpitalamla 11 — De Justitia — De Jore — ^ Praelectio — Praefatio  in.Lucium Florum ot Valerium Flaccum — lu Lucium Florum — Praefatio  in Liviuin— Praefatio in orationes Ciceronis^rraefatio in Achilleldtm ecc.     \     àmktw,titi ihi^t^ »•■■     ^■«■haaa-^^i— • ^    Queste, che pobblieliereaio ute^ralaieate is appevUee^  crediamo che debbano disporn ia questo nodo^ per ordìao  di tempo: e Orationes II io lliootianaa. — Oratio ad Seaa-  tom Hediolaaenseoi. — Oratio ia Minattannm — la Loeiom  Floram* — PmeCitio ia Femoai. — Praelatio ia Thebaida ».   Di capitale importanza, per le ootizie che a foraiseoaa  8aografo, che coli' uno e coli' altro  wu9iicre si era formata una certa fortuna.   Questi non si lasciò certo sfoggire l'occasione di sfruttare  a suo vantaggio fl giovane filologo, già abbastanza noto nel  mondo letterario, lo accolse volontieri presso di si, e gli asse»  gnò, oltre V insegnamento, fl grave e diflScfle incarico della  correzione dei codici (2), che egli poi pubblicava per suo conto.   n P. curò allora l' edizione di parecchie opere latine,  fra cui fl Cirii (3), erroneamente attribuito a Virgilio, e la     (1) Vallo. — > Apologia^ ediz. di.: € habetqua (Mioatiaaut) pe-   eoBÌAe samniani sludiani ; dignlutcs afleeUl noe ad omamentoa Titat,  ted ad quaestum, qao nttri omnia...... diligit ex animo nemioem. Caias   aiaieaa ae aimalat, io hooe loddiaa priaom aoetit »•   (2) XiSS. R. BtlfL Nas. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Oralio 10 ia  kiontiaooa : € Meom foit iUod in to benefidom, ai noaela, mona al  la domi, fona, in ro privata, in ro publica, in atodlia invi, anaUnni,  ioyì ; podet lateri qui na vicarìaa, qol diadpaloa amdiebam aohia» oC  amen da n ^ provindaa aoatinabaa »•   (3) PABaASio. — Canim. D§ Raptu Pro$€r. L HI: e varsna tz   Ciri ma n doaoa, ot aillaUa olla vaoilUntiboa, in boa radaginina nnoMioa^  IpdqDO Mlnntiano dadhaoa Imprlmaodoa ^«  Vita di quest' ultìmo, cho attribuì a Tiberio Donato (1) e  non a Servio, come molti ritenevano ai tempi suoi (2).   Ne soltanto colla propria attività il P. mostrò ol Minn-  ziano la propria gratitudine:   Questi più che dall' amore per le lettere, spinto dalla  smania del guadagno, aveva da poco pubblicate le opere di  Cicerone, in cui, con grande presunzione, aveva messo fuori  tali e tante cervellotiche correzioni, si vuote ed errate in-  tei-pretazioni, da suscitare giustamente contro di se lo sdegno  dell' irritabile genus, specie del grammatico Emilio Ferrari,  valente cultore del grande stilista latino (3).   Si schierò poco dopo contro di lui anche un tal Damiano  , Nauta, corso di origine, insieme con molti altri, i quali tutti  gli si scagliarono addosso, mettendo in mostra gì' infiniti  errori, di cui erano rinfarcite le opere pubblicate.   Il Minuziano, di natura temerario ed aggressivo, cercò  di lottare contro i suoi avversari e di difendere il suo la-  voro ; ma le sue argomentazioni furono abbattute dal Fer-  rari, il quale pubblicamente, manifestissimii argumentii omr-  niumque coìiseMH, lo chiamò reum lanciìuiti, praecerpti fNr^r-  siqtte Ciceroni$' (4t).     (1) Anche il P., come molti altri dotti, attiibuì a Tib. Claudio Do-  nato la Vila di Virgilio, che altri poi, corno parrebbe realmente, attribui-  rono ad Elio Donato, il quale avrebbe attinte non poche notixie dalla bio-  grafia di Virgilio contenuta neiropera di Sve'onio € De vlris illustribus »•'   Il Valaraggi, che Ri occupò poi della qui^tione (Rivista di fil. class.  ▼• XIV, luglio-agosto 1885, pag. 104) ritenne che la biografia appartenesse  ad un anonimo commento alle Ducolicì^e, fra le cui fonti bisognerebbe  ascrivere il commento di Elio Donato e forse quello di Servio.   (2) Parrasio. — Comm. De Raptu Proserp. 1. I., v. 2. € Tiberìos  inquam Donatus, non Servi us, ut vulgo fere creditur. Sed Donati iam  titulo nostra castigatione Minutianus impressit ».   (3) ÀRGSLATi. — Dibl. Script. Mediai.^ T. II, P. 1, pag. 611, 613, 615 ecc.   (4) MSS. R. Bibl. Nai. di XapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. IH in  Minutianum.     \     * ' —**'''** ''^^'■*"*' "**'"*• ''-^-■^—' ì n n f^_ 1 i ~ r - i " ìl i --- - — * -' -* • ^ "-     ■r^tr  Fu allora che il P.y vistolo in quel serio imbarazzo, per  quanto convinto e dolente nel tempo stesso di dover soste-  nere un' ingiusta causa, pure fece parlare al suo cuore la voce  della riconoscenza, e prese a difendere il suo ospite (1) e o-  biecto Minervae clipeo » (2).   Essendo il Minuziano poco caro alle Muse, e non sapendo  maneggiare quell'arma perfezionata del tempo: l'epigramma,  il P. si senti cosbretto a scrivere dei versi, che quegli  mandava ai suoi avvei*sari, gabellandoli per proprii (3).   Questi però non toi'darono a scoprire il vero autore, ed  a scagliai'si di conseguenza contro di lui, costringendolo cosi  a venire in campo aperto.   Xon si sgomentò puuto il P., con epigrammi vibrati e  pungenti rintuzzò la petulanza d^l Nauta, che l'aveva at-     (l) MSS. R. Btbl. Xaz. di ^apolt\ Cod. V.'D/IS. Orat. IH in Mi-  nutianum : € Ego qucm tu ingratum vocas (piget hercule iiiciDinissa)  suscepi tuas partcs, et quidem iniquissiinas^ quantumque in. me fuit, io-  deftfusum non reliqui, tucrìque conatus sum, cum sammo capitis mei  pcriculo, ut vestrum plcrosque meminisse confido ».   (2* Vatlo. — Apologia.   (3) Crediamo cbe appunto allora Lancino Curzio, fiero nemico del  Minuziano, che egli per prima forse denominò Appura Musca, (Sax.  Hiat. Liti. Typograph. col. 401-403) scrivesse queircpigramroa (pag. 32,  1. Ili Epigram., Milano. 1521) finemente ironico : Ad Fabium ParrhasiuM  Calvum Neapolitanum ^ sul quale il Mandalari richiamava raUcnzione del  futuro biografo del grande umar^is'a (op. cit., pag. 17) :   DocU Parrhasii delltlae, FaU,   Vates nec modicus Pieridum in graft ;   Ex quo pr«csos opem dot, facit et rabl  Ut sis   Doctis docta refer, die : studlis vaco.   Vulgi turbae, age, die : Vale ; abl Caeo.   A queirepoca il P. non poteva aver figli, non avendo sposatela Calcon-  dila cbe intorno al 1504, né ebbe mai fratello o parente di nome Fabio,  sicché, tenuto conto di quanto abbiamo detto, riteniamo che il Curzio nel-  Tepigramma citato abbia voluto sferzare il coroo pugliese^ che si faceva  bello delle penne del giovane pavone.    tAceato più fieramente e fece oomprendere al fiero eorso che  quella mano, che maneggiava la bacchetta del pedagogo^  aveva ben saputo in altri tempi brandire nna spada:   S fòrtana kris de coosale rbetora fecH,   Et lierohuai garìnms qua prìns arma mano.  Nonne eee..... (1).   Ed a mostrare che alle parole sapeva far seguire i Catti,  non ebbe alcun ritegno di penetrare nella scuola del Ferrari-  e di prendere pubblicamente le difese del Minnziano (2).   AUora gli odii si rinfocolarono e segui tra il P. ed i due  retori uno scambio di fieri epigrammi e di virulente invet-  tive (3), fino a che la .partenza del Ferrari (15, dopo avere però ancora  uua volta sfogata la sua bile contro il Minnziano ed i tristi  tempi, che lo costringevano a lasciare quella città.   n P. però non si lasciò sfuggire l'occasione di mettere  in piena luce il motivo della partenza di lui e di dare l'ul-  tima scudisciata al suo avversario:   Noo te, crede mìhi, iactae quae tempora pelliint.   Aurea lalciferi qualia ficta Dei :  Sed radia ioaulsae petulans audacia lioguae,   Luxua, et omento piaguis aqualicolus ^.     (1) Vallo. — Apologia.  {Z) Op. di.   (3) Lo Jannelli ha diligentemente raccolti tutti gli epigrammi del P.  In Aemiliam — In Nautam », op. cit., pagg. 188-104.   (4) Aroslati. — op. cit., T. II, P. II, col. 2111.  ^) Comm. De Baptu Proserp., P. I, pag. 42.   Jakiuoxi.     n Minuziano, data la bassezza dol suo carattere, a la  poca stima della propria dignità, e quam post unibram la-  celli semper habuit » (l), non comprese, né potè apprezzare  il sacrifizio che il P. aveva fatto per Ini.   Appena messi a tacere i suoi nemici, egli si dedicò con  pin ardore di prima e qaaestuariis artibus » (2), e poco o nulla  riconoscente verso il suo valente difensore, lo invitò a ritor-  nare all'antico e faticoso ufficio, per contribuire cosi, disinte-  ressatamente, ad appagare la sua ardente sete di guadagno.   Non poteva certo il P. rassegnarsi più a lungo a quel  tenore di vita, che logorava le sue forze, senza nemmeno  procurargli una comoila e tranquilla esistenza ; sicché, ade-  rendo al consiglio di quelli che apprezzavano i suoi meriti,  abbandonò la casa del ^Unuziano, ed apri scuola a so in casa  del carissimo e bravo discepolo Catulliano Cotta (3), che  generosamente gli aveva offerto ospit>alità, per strapparlo dalle  unghie deU'avaro pugliese (4).   Questi finse di non dispiacersi di questa risoluzione del  P«, e gli concesse volentieri il permesso di eseguirla; ma in  cuor suo giurò di vendicarsi, e si apparecchiò a quella lotta  vile ed abominevole, in cui spiegò tutte le sue male arti  per rovinarlo (5).     (1) ìiSS. R. BM. AVu. di yupoli. Cod. V. D. 15. — Oratio I io  Miootianimi.   (2) MSS. R. BM. N(u. di NapoU. Cod. V. D. ISi — Oratio III in  MinaUaiiiiiD »•   (3) Parrasio. — Epistola ante Comm, De Raptu Proserp., Milano 1501.  e Qttom lualtos oronis onlinis aetatisque diacipulot habeam, monim gratta  earìssimos, noster in te amor praecipuus est et sìngularis »,   (4) Comm. De Rapiu Proserp., 1. IH, v. I. — € tu nos invidiae   lelit eiectos opibus et otBciis cumulatissime iuveris ».   (5) Vallo. — Apologia, — # Habeas confessum reum (Janum) ab   Alexandre vel unum discipulum abduxisse, praeter Catullianum Cottam,  euiua ospitio Janus est usus Alexandri permissu, nisi simulata fuit eius  ormtio ».     I - ■*-**tr--'» i j > I I.'' nia'i ni> ih^l I» rliy-'a^iif Tf rtal^ J*     •l-fiiri.É" irnS "f'"\' i^ — [*--ì"fT1 — — .-J*»^-^^pp««^^iit*=a      (3).   n P. in sulle prime -non diede gran peso aUe tristi insi-  nuazioni del grammatico, e si limitò soltanto a proporre agli  alunni il medesimo esperimento del flautista tebano, Ismeneo,  ohe invitava i suoi discepoli ad ascoltare altri suonatori, per  Cftr loro meglio comprendere ed apprezzare recceUeuza dei-  Parte sua (4).   Incoraggiato dal plauso generale, il P. si dedicò con  maggior lena ai suoi studi e riusci a pubblicare dopo non  molto tempo il suo commentario al De Paptu Proserpinae di  daudiano, dedicandolo, quale attestato della sua gratitudine,  a Catulliano Gotta (6).   • n lavoro del P., di cui ora non daremo alcun giudizio,  non poteva ottenere miglior successo : il Curzio, il Mariano, il     (1) Vallo. — Apóìo^.   (2) MS3. R. DM. No», di Napoli. Cod. V. D. 15. - Orai. I in Mi-   noiianum: € poetaram genera nostrìs tantum non verbis enumeraret,   qoaaque nos anno superiore ex auctoribns graecìs aceepta, vobiscum  oomanicavimua, eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, inagno verbo-  ram strepitu blateraret ».   (3) MSS. R. BM. Noi. di Napoli. Cod. V. D. 15.   (4) MSS. R. Bibl. Noi. di NapoU. Cod. V. D. 15. * Orat. I in Mi-  natianom: € Id nos exemplum, quod maxime probaremus, in usum revocare  tentavimus, an aliunde factum putatis, ut illam pecudem vos auditum  miserlmos, quam ut recenti periculo cognoscatis quid inter Apollinis et  Marsiae cantom differat ».   (^) CI. Claud. 2)é R£^u Proserp.^ com Comm. A. Janl Parrhasii,.!  MedioL 15». /     « •        l^^lfirrfìiilfei >jfÀiàlÌit'^Ìij.>i»;|ii.i'i|  m »> 9i , 'r\ir ,tm, ^     VITA DI A. GIANO PABBÌ8IO 48   Cattaneo, il Motta, Tommaso Fedro Inghirami scrìssero dogU  epigrammi, in cui ne magnificarono le lodi ed elevarono al  cielo i pregi peregrini (1).   In mezzo a qncsto bel coro si fece sentire la stridula voce  del Minuziano e di pochi altri suoi pari, che, non potendo  criticare il Commento, fecero dilToDdcre la insulsa x)anzana  che il P. aveva raffazzonato e spacciato per proprio un  codice di Domizio Calderine, morto pochi anni innanzi, di'  cui era venuto in possesso (2).   Non s'accorgevano i ribaldi che in questo modo ricono-  scevano e sancivano essi stessi il merito indiscutibile - del  PaiTasio.   Questa pubblicazione e le altre due : De viris illustribuè,  opera da lui attribuita a Coinelio Kepote (3) ed il Carmen  Paschale di Sedulio cogli scritti di Pioidenzio (4), dedicati con  bellissima lettera all'amico Michele Riccio (5), gli procaccia-'  reno maggiore stima presso i buoni, e soprattutto la be-  nevolenza e la protezione di Stefano Poncherio. coltissimo     (1) Coroni, al De Ra^du; Valix) - Apolotjia; Jannelli — pag. 45 e seg.   (2) RoLANOiNi Panati — livectivae in.Jaiiiim ParrhHsiuro. — Di questo  rarmiiuo incunabulo 8i conserva una copia nelli Biblioteca Ambrosiana  di Milano. . .   (3; CoRNELius Nkpos — Ds viris tUuslrihM, ab A. Jane Parrhasio  et Catulliano Cotta, qui editionem curavit, ix probatissimis codidbos  emendatus. — Medici. 1500.   Nella seconda parte del nostro studio esarainercrao le ragioni addotta  dal P. a sostegno della sua tesi (Cod. V. D. 15 — De viris illustrìbos  cuius sit), che, per quanto ardita e ben sostenuta, non può reggere ai*  colpi della critica moderna.   Cfr. AuGUSTUS Reiffbrscueid « C. Sretoìfiii Tranquilli praeler  Caesarnm libros reliquiae, — Lipsia,^ Teubner, 1800.   (4) Seoulii Cannen Paschale et Prudentius. — Mediol. 1501.   (5) Tirar. -;- Storia della Lett.^ T. VI , P. II, pag. 259 ; Argblati —  op. cit., T. li, T. I, pag. 1503; Tafuri ^ Scrittori del Regno di Napoli] vescovo parigino e presidente del Senato milanese, venuto  in qualità di Gran cancelliere insieme col cardinale d'Amboise.   Grazie ai buoni ufBci del Poncherìo, il P. potè ottenere  che per quattro anni non fossero né stampate, uè vendute  le suddette opere, a danno delPautore, e in tote Mediolanensi   dominio sub poena aurei uuius prò singulis volumi-   nibufl > (1).   n P. cercò di rendersi sempre più degno della stima  accordatagli dal Poncherìo (2), il quale, avendo conosciuto da  vicino i meriti di lui, gli fu sempre largo di beneficii e onori,  sino ad invitarlo spesso alla propria mensa (3).   n Minuziano, che non aveva potuto, o meglio aveva  temuto di avvicinarsi al dotto prelato, temendo, come la not-  tola, la luce del sole, nonché il e controllo > di quella giusta  bilancia (4), senti macerarsi maggiormente dall' invidia ed  acuire il suo sdegno contro il Parrasio.   Nel secolo dell' umanesimo la calunnia era Parma a cui  solevano spesso ricorrere i e gladiatori > della penna, in queUe  loro interminabili contese, destate per lo più dalla loro am-  bizione sconfinata, e da quello spirito insofferente di giogo,     (1) Mediolani, die primo Julii 1501, et Regni nostri quarto — Per  Regem ducem Mediolani — Ad Relacìontm Gonsilii.   Dal diploma originale, riportato dallo Jannelli, op. cit., pag. 48 e teg.   (2) MSS. R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I in Mi-  not. : € In praeeentia diligenter seduloque caTebimus ne patria am-  plissimi Stephani Poncherii, Senatus principis, ac saerosancti nostri regis  Archigrammatici fallare iodicium videamur, quippe quum nos, qui sumrous  bonor est, sais annumeret, ac, ut est in bonos omnes munificns, maio-  ribns in dies anctet praemiis ».   (3) Vallo — Apologia: « Amplissimus Stephanus Ponoherius.....  hnmanarum divinaramque rerum perìtissimns, Jane oonviotore deleotatar ».   (4) MSS. R. Biffi. Na$. di Sapoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I in Mi-  nut: € cur ad salutandam (Poncherium) nondum venitf Nempe quia  Dootna solem fugit, neo audet Uli tmtinae se committere »•     ìckMMttMUépiaéUMaHiMfiaà  cbe, faecimno nostre le parole del Voigi (1), portò 1a Tite ed  il faoco nel campo sereso dcirarie, il malconiento e P in-  trigo nel campo dei letterali.   Nelle invettiTe si prendevano a narrare fin dall' infanria  le vicende dell'avversario, mescolando al vero menzogne,  fingendo casi ed azioni infamanti, accamnlando le più atroci  calunnie, senza peritarsi di inzaccherare persino i pia sacri  affetti familiari (2).   L'animo basso del Minnziano, nato per avvoltolarsi in  simili bruttare (3), non rifaggi daUe pia atroci accaso, dalle  pia sozze calunnie per rovinare il Parrasio.   Quasi non bastasse il discredito, che cercava gettare nel  pubblico, ardi finanche d' irrompere nella scuola stessa del  suo avversario e di vomitare contro di lui, al cospetto dei  discepoli, ogni sorta di contumelie (4).   Lo chiamò ingrato dei henefidi ricevuti, lo tacciò d' im-  moralità e di tradimento, e, per colmo di spodoratezza, lo  accusò di aver commesso a Napoli un omicidio, causa della  sua precipitosa fuga da questa città (5).   In questo genere di lotte infamanti, dopo i successi ot-  tenuti, il Minuziano doveva ornai stimarsi invincibfle: altre  ne aveva già sostenute contro Giulio Emilio Ferrari, Baffiaele     (1) OiOROio VoioT. — // RisargimerUo delCantichiià dassiea^ YoL 1,  pag. 327. Fireoza, Sansone, 1390.   (2) ViTTomio Rossi. — Il QuaUrocenio. Ed. cit., fase 7-8, pag. W.   (3) ÌISS. R. DM. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. I in  Minot. : « netnini parcit, oblatrat omnibus, omnium dicfa factaque probrit  insectatur, ac ut imroundus sus cum quibus volutali qoaeiit ».   (4) MSS. R. Bibl Noi. di Napoli. Cod. V. D. ìb. — Orat. Il ia  . Minut. : « Adests tantum frequentes, Konestissimi iuTenes, inteUigetis   profecto quantum profuerit vanissimo nebuloni innoccntissimom hominaia  tot immanibus calumniis provocassi ».   (5) MSS. R. Bibl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orat. m in  Minut. : « Ego si nescis, versntissime veterator, non patrata caedo, qood  ipss fingis, sed odio tyrannidis patria cessi. mti f ìtai'iMH» k0mim:^mmmmmmtm^mUmam^mmmmmm,tmfmimmé»*^mÉ li !■■>     titt^^m*tì Miii jiiifc^t^fcfci     ^M^^^M l«IM I I ■« I     -.■«••     ^ •••»•«■ *>««« •-•!     «-•« ■» » Wl II II f     ■■JM^Jbl^— .*^ |> »■>> I  BegiO| Gioyan Battista Pio (1), Talenti letterati, costretti  dalla tristezza dei tempi a venire alle prese con on ribaldo  della peggior risma, ed a cedere forse dinanzi a lai, per non  scapitare troppo nella propria dignità.   Però avversari più fieri incontrò il Miunziano in Pietro  Leone e soprattutto in Lancino Curzio, il quale, come pare,  per primo gli affibbiò il felice nomignolo di mosca pugliese (2) :   Ut vidi, mord&x visus et nimis Appulus, atqae  Dixi : Asini in tergo est Appola Musca trueit.   n Parrasio parimenti tenne fronte al rabula petulantis- j  simus, però volle aspettare, come disse ai discepoli, il tempo I  ed il luògo propizio per scagionarsi delle accuse, che gli  •erano state inflitte (3;.   Oome pare, appunto allora il Poncherio volle dargli la più  alta prova della sua stima, ed offrirgli il mezzo per trionfare  altamente sul pedante avversario.   Per la fuga del Ferrari vacava a Milano la cattedra di  oratoria; dietro proposta del degno prelato, il Cardinale     (1) MSS. R. BibU Noi. di Sapoìi. Cod. V. D. S5. — Orat. HI in  Minot: « Sic in Julium Novarionsem, sic in l^aphaelem Regium, 8ic in  Baptistam Pium, perhumanos illos quidem, et, ut a multis audio, bene  doctos, quasi furore quodam percitus, olim debacchatum esse ».   (2) Lakcimo Curzio. — Epìgrammaton libri XX^ Mediolani, apud  Rocchum et Ambrogium fratres do Valle impressorcs : Pbilippus Poyot  fisdebat, 1521 in folio.   Di quest'opera, importante per quanto rara, si conserva nella Biblio»  teca di Brera una delle poche copie che rimangono.   (3) MSS. R. Bibl, ^az. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. II in  Minut. : € Non veni responsurus, ut suKpicamini, maledictis jurgationibus  et conviciis, quibos hesterna die nequissimus ille bipedum, non tam ma.  In qaem illa minime cadunt, quam sanctissimas aures vestras oneravi!.  Aliad certe tempus, alium locum illa sibi poscit oratio, quod ubi consti-  tatnm mibi faerit, efficiam ut sciatis.] d' Amboise, con bellissimo diploma, invitava il P.' a oo-  capar (1). •   Solo dopo il discorso inaugurale, questi, dinanzi ni Senato  milanese, pronunziò la terza orazione contro il lilinuziano (2),  bella per vigoria e colorito d' immagini, per efficacia d,'e^  spressioni, e soprattutto per la sicurezza e la serenità dei  giudizii, dettati da una coscienza forte e tranquilla, sotto  Voshergo del sentirai pura.   Degna poi di speciale menzione è P orazione inaugu-  rale tenuta anche dinanzi al Senato milanese : se in essa  trionfa, come generalmente nelPeloquenza dimostrativa del  secolo, la rettorica parolaia, ed abbondano le digressioni|  immaginate a sfoggio di erudizione, non mancano dei pen-  sieri nobili od elevati sulla vera missione dell' insegnante^ ^  e dei precetti pedagogici, che ricordano alcuno massime di  quei due insigni educatori umanistici : Guarino veronese e  Vittorino da Feltro (3).     (1) Chioccarblli. — De illusi, script. ^ pag. 232; Jaknblu. — op. di.,  pag. 49, n. 1: « Georgius de Ambasia, tituli S. Sixti, praesbyter Cardinalis,  Archiepiscopus Rothomagcnsis, Comes Sartiranae, Regius Ultramontes,  Locumtenens Generalis Christianissiuii Regia etc, vacante loco publico  lecturae lectionis artis Oratoriae in inclyta urbe Mediolani, per absenUam  inagìatrì Julii Novarìensis, egregius Janus Parrhasius Neapolitanus pelili  8ibi de ilio loco provideri. Quare nos freti doctrina, moribus et ititeffritaU  eiusdem Jani, illi annuimus, et magistrum Janum constituimua ad pu-  blicam professionem ipsius artis Oratoriae in dieta urbe Mediolani, ad  placitum Christianissimi Regia nostri, cum solito salario (Vallo, Apol. ;  centenis quinquagenis aureis) — Datum in arce Portae Jovis, Mediol.,  die 14 augusti, 1501 ».   (2) Questa orazione figura prima nel codice, e tale fu creduta dallo  Jannelli, il quale perciò non potette delineare esattamente la vicenda  della lotta. '   (3) MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Oratio ad Se-  natum Mediolancnsem : « Non enim parum refert quam quia initio di-  sciplinam sortiatur, nam quae .teneri percipiraus altius animis insidunt,  ac ita penitus radices agunt, ut nunquam vel certe difficulter evelli queant »•     »     •» .     \     ■■-•" im '[ I " ' «J*! ! ». » l > ^»> J l■■■ § .1*1 .I»!»* tl^ I Milli* " I W ■■■   L'oratore, dopo aver parlato dell'efficacia singolare che  un buon indirizzo educativo suole avere sull'animo dei gio-  vanetti, sino a decidere del loro avvenire, rivolge belle ed  acconce parole di ringraziamento al Senato od al Cardinale  d'Amboise, per la carica conferitagli, non senza però accen-  nare, con bel garbo e fine arguzia, alle molteplici prove alle  quali l'avevano prima sottoposto, certo in grazia alle calunnie  del Minuziano (1).   A differenza degli altri umanisti, i quali tutti, ad esempio  del Filelfo, con audacia più o meno boriosa, si credevano ed  amavano fiEU*8Ì credere dispensatori di gloria (2), il P. rifugge  dalla consapevole ciarlataneria adulatrice, come pure non  sembra affatto dominato da quell'orgoglio e da quella grande  vanita letteraria, riprovevole nel Filelfo, nel Poggio, nel Valla  ed in tanti altri.   Ed ecco perchè egli, con una modestia ammirevole per   e   quanto rara, prega i suoi uditori di non voler ricercare in lui  altri beni all' infuori di quelli, che gli procacciò il bisogno (3).   n P. non poteva meglio corrispondere all'aspettazione  dei Milanesi ed alla promessa fatta di adoperarsi in dieg  magie magisque, per non sembrare indegno della fiducia riposta  in lui.   Gli scrittori del tempo, quali il Curzio (4), il Giovio (S),     (1) MSS. R. Bm. Nas. di NoU. Cod. Y. D. 15. — Or. oit. € H^beo  Tobit gratias et quidem maximat. Viri claiiasimi, ac ai facaltaa daretor  etiam referrem, qui de nostrìs stodiis adeo aolliciti estis, ni me, licei  illuatris amplissimiqae Cardinalis Rhotomagensis, qui Chrìstianiariaii regia  peraonam auatinet, iodieio comprobatom, non tamen prius admiaeritis ad  endiendam Mediolanenaem iuventutem, quam Tigilantisaimia veatrìa ocalia  exliibitom aliquod perìcolam faeere apecUTeritia »•   (2) Vittorio Roesi. — op. cit«, faac. 3-4, pag. 34.   (3) Orat. di., Cod. eit. •   (4) Op. eli., 1. di.   9) Bugia Vir. Uu. iOusir., pag. 74.        VITA DI k. GIANO PABBASIO 49   il Giraldi (1), Q Bosmini (2), Q Tiraboschi (3), n Plegafeta (4),  e tanti altri ci attestano concordemente il plauso * riscosso :  non riporteremo qui integralmente le tirate rettoriche e le  lodi entusiastiche contenate nei loro pomposi epigrammi| ci  limiteremo soltanto a citare alcuni versi di Cesare Sacco (6),  che nella loro forma enfatica ci rivelano, più che tanti altri,  quel vero entusiasmo che il P. riusci a destare anche nella  più eletta cittadinanza milanese:   Dam legit et Janot concenlibas aera compiei,   Doleis et in nottras perstrepit aure eonue.  Qoae Veneree homini dictant modulamina vocis f   Hunc gratum innumerae, non Charia una facit.  Huiua in ore sedet trìplez Acheloia prole».   Canina et Astrorum porrìgit ipse manum.  Ingenita eei illi mira quam vìtIì et arie   Actio. Goncinnum quid magia esae poieetf  Adde quod hanc ditat longisaima copia rerum :   Fertile doctrinae quod gerii ingenlum !   B in verirà il P«, oltre la grande erudizione, possedeva  tutti quei dati esteriori, che tanto contribuiscono a procao»  dare all'oratore la benevolenza del pubblico : il suo occhio  vivo e penetrante, la fironte ampia e serena, che anche nel-  l'effigie ti rivela l' ingegno potente e scrutatore, il gesto di-  gnitoso e la rara bontà di eloquio rapivano ed ammaliavano  le moltitudini (6).'     (1) DmZ. i De Poetii sui t&mparii»   (2) Viia da MarudàjOù Triwdtw.   (3) Op. eli., 1. di.   (4) AxfoxLo Oabriillo da S. Maku'. — BM. degli Senti. Vicendm,  T. lY., pag. XY e aeg.   (^ Yallo. — Apologia.   (6) PiSRio Yalxbiano. ^De infeUcitate Utterai.^ L I, pag. 2U  OiOTio. — Slogia Vir. iOusir.^  Ed ecco perchè dappertatto, anche da lontani paesi (1)|  accorrcTano a lui giovani e vecchi, valenti letterati e per-  sone mezzanamente istruite.   Fra' più assidui uditori merita d'essere ricoi'dato Gian  Giacomo Trìvulzio, che carico di anni e di allori militari,  traeva grande diletto daUe lezioni del giovane retore (2).   Questo pieno, incontrastato trionfo impose silenzio al  maligno Minuziano, il quale, dopo qualche tempo, si senti  spinto, forse costretto, a fare una completa ritrattazione (3).   AUora, verso il 1503, sia per suggerimento di Stefano  Poncherio, sia per non dare agli alunni il poco lodevole e-  sempio di una lotta indecorosa, il P. non -si mostrò alieno  dal pacificarsi col Minuziano (4).   Con questo nobile atto egli volle prendere sul suo avver-  sario la migliore delle vendette : il perdono, e mostrargli cosi  chiaramente, come disse poi ai discepoli, che e multo speciosius  est iniurias dementia vincere, quam mutui odii pertinacia > (6).     (1) Vallo. — Apologia : « Diesque me deficiet, si commemorare sin-  gilUtim pergaui quot e finitimis et longìnquis etiam re^onibufi Jani  traxerit eruditio, qui ceteros ante eum rhetores indignabantur ».   (2) Spbra. — De nobilit, profess.^ 1. IV, pag. 451 ; Spiriti. — Uo-  morie degli Sf-rittori cosentini, pag. 24 e 8eg. ; Zayarroni. — Biblioteca  eaHabra, pag. 64 ; Tapuri. — Scrittori del Regno di Napoli^ T. IV, pag.  236; Barrio. — De Sita et antiq, Ca'ab.^ 1. II, pag. 90; Baylx. —  DicUonnaire liistor. et crit,^ T. Ili, pag. .598.   (3) MSS. R. Bibl. ^az. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefatio in Per-  dum : € Quapropter omnia praotcrìta malcdicta, quae non voluntate, non  iudicio (qood ipse non negavi t), sed irapercitus, in noe effudit, familiari-  tati, qua mihi coniunctus olim fuit, et amicorum precibus condonavi ».   (4) MSS. R. BiH. Saz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Fraefatio in Per^  sium : € Minutianus Alexander, ut acitis, annis abbine duobas, an tertios  agitar, ex hospite factus.hostis, utrius culpa dicere supcrscdeo, quando fere  iustum quisque afiectum indicai, quem agnoscit, amicis auctoribus in gra-   tiam mecum rediit, et eam (quod est in me) mansuram semper Quum   praesertim' intelligerem satis in eo Pontifico meo (Stefano Poncherio) factu-  rum,' ne morum facilitatem, ad quam ipse natus est, in me desideraret.  La soddisfazione morale provatieno sempre più vasta, le sue osserva- .  zioni sempre pia acute, i suoi commonti sempre pia profondi. .   Allora egli compose in parte, o arricchì, quei pazienti *  ed accurati lavori di compilazione, che denominò excerpta. \   In primo luogo meritano di essere ricordati gli e Excerpta  mitologica ex Pindaro > (1), che ci attestano chiaiamente  quale fosse la sua erudizione in fatto di mitologia, nelle cui  CavoIo egli fra' primi trovò un' esatta corrispondenza eoi fe-  nomeni naturali (2).     (2) MSS. R. Dibl. Noi. di NapoU. Cod. Xlll. D. 10. ^ C&rt. Mi.,,  di e. 119 non nom., oltre le guardie, mm. 291 per 175; è legato di pelle e  attesta la medesima provenienza degli altri codici : € Antonii Serìpandi ex  Jani Parrhasii testamento ». Inc. € Ex Qlympionicis Pindari », expl. eoa  un rimedio contro la podagra € et conforterà lo membro debole ».   (2) Parrasio. — Gomm. al De Ra^u Proserp., 1. 1, v. 109 : € qaod  non Cjolopea tela.  È parimente un lavoro di compilazione fl codice (1) ohe  contiene le sentenze tratte dagli scrittori antichi, di cni egli  si servii per qnanto non sempre opportunamente, in tntte  le sue opere.   Da simile intento il P. appare guidato nella raccolta degli  e Excerpta ex Polisno et Polybio > (2) e negli e Excerpta  historica, grammaticalia et geographica > (3), come pure nella  compilazione del e Dictionarium geographicum > (4)| lavoro  di grandissima mole, che rivela uno studio lunghissimo ed  una pazienza sbalorditoia, per disporre alfabeticamente nomi  di regioni, citta, monti, fiumi, mari ecc., tratti come egli  dice € ex Strabene, Pomponio Mela, Tacito, Pansania, Am-  miano Marcellino, Historia tripartita, Eusebio, Apollonio  Bhodio, Hermolao Barbaro, Appiano Alessandrino, Nicandri  interprete, Dione Gocciano etc... >r   Meritano similmente d'esser ricordati altri due codici (6),  contenenti notizie di vario argomento, ricavate da diversi     (1) MSS. R. DtbL Nat. di Napoli. Cod. Xlll. B. 24. * Cari. aot. di  e* 21 interftmente scrìtta e non num., mm. 288 per 203; — Antonii  Serìp. etc. Ino. € si possent homiaes »; ezpl. « plenus unguenti pa*  tere videtor ».   (2) MSS. R. BiU. Nas. di NapoU. Cod. XIlI. B. 18. — Cart. aut. di  e. 70 non num., compresa le guardia e la e. bianche in principio in  ia mazzo ad alla fine, mm. 299 par 210. — Antonii Sarìp, atc. — Ex-  cerpta ex Poli»no inoip.: € Antoninus et Severus imperatorei ezeroitnm  dnxerunt in Parthos ». — Excerpta ex Polybio incip. : e postaaquam  oonsulas » ; ezpl. : € inde opima retnlit spolia. SS   autori, ed in ultimo un Tolaminosissimo e Nomenclator > (l),  di parecchie centinaia di pagine.   In questo modo il P. poto acquistarsi una coltura dar-  vero straordinaria, da non rendere poi di troppo esagerata  la lode che gli tributaya Matteo Toscano (2) :   llle sul Janus sftecli Varrò, ille vetarnam  Torpentem excussit^ torba magistra. Ubi,   E non altro che lui, colla sua erudizione e col suo se-  vero metodo scentifico, poteva rinfocolare negli animi l'amore  per i buoni studi, e indirizzarli a più alta e più nobile meta:   Tra il 1458 ed il 1466 erano morti Alfonso d' Aragona,  Cosimo dei Medici, Pio n, Francesco Sforza, tutti potenti  mecenati ; come tra il 1457 e il 1463 erano morti Lorenzo  Valla, il Poggio, il Guarino, Flavio Biondo.   Nel 1465 si era poi compiuto un assai importante av-  venimento, si era cioè impiantata la prima officina tipografica  noi monastero di Subiaco, por opera dei due tedeschi, Oor»  rado Schweinhcim e Arnolfo Pannartz.   Notevole riscontro di date, dice il Bossi (S), che par  segnare il tramonto di quel periodo della Binasoenza, che  fu di preparazione e di fermento della materia letteraria.  Grazie alle insigni scoperte fatte dagli umanisti, la miglior  parte della letteratura antica, che era sfuggita all'     Tariique argomenti ex plurìbus auctorìbus digettae » : — Ine. € Persona  Theodorìci », expl. € neo Xanthos uterqae »•   MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. XIII, B. 22 (*;. — Cari. aut. di  mm. 278 per 199 — Anionii Serìp. eie. — Inc. € Indice Galeoti et Me-  rulae de homine » ; expl. € Indice Hermolai ».   (1) léSS, R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V, D. 3. — Cari. ani. mm. 325  per 227 — Antonii Serip. etc. — Inc. e Atticas et Marcus Bratos »;  expl. € ex Eusebio, de temp. 41 »• .   (2) Peplum ludiae^ pag. 63.   (3) Vittorio Rossi. — il Quattrocento, ed. oli.. dei tempi, si oiTriva allo stadio dei dotti ; non restava quindi  che saper (are buon uso di quei metodi, meglio appropriati  all'interpretazione e alla critica.   A qnest' ultima quindi spettava, come afTerma il Bossi (1),  di trarre dalle conquiste dei grandi eruditi trapassati tutto  il frutto possìbile, di affinare col savio uso i loro metodi, di  attuarli rivedendo, correggeudo, commentando la suppellet-  tile classica.   Questo difficile comx)ito si assunse e disimpegnò nel più  alto modo Aulo Giano Parrasio, col quale si delinea netta-  mente la seconda età della Binascenza, in cui la critica e  l'arte raggiungono la loro maturità.   La stampa ben presto si era propagata in Italia, e a  •non lunghi intervaUi di tempo Eoma, Venezia, Milano, Ve-  rona, Foligno, Firenze, Napoli avevano avuto la loro officina  tipografica.   Non sempre però accadeva che nella revisione e corre-  zione dei classici vigilasse la mente esperta degli accorgi-  menti critici di un Giannantonio Gaiupano, o di un Gian-'  nandrea Bussi, di un Lascari, di un Erasmo (2) ; spesso le  edizioni erano curate da avari ed inesperti tipografi, che,  spinti dal solo desiderio di guadagno, al pari del Minuziano,  stampavano e diffondevano nel pubblico le opere degli scrit-  tori antichi, riboccanti di errori (3).   Contro questi veri profanatori dell' arte antica si sca-  gliò fieramente il P., e con tutte le sue forze si dedico  alla correzione dei testi, che nel triste stato in cui erano  ridotti dai tipografi, come egli disse, non sarebbero stati ;     (1) Op. cit., pag. 216.   (2) Maittairb. — Annal. Typogr,^ ▼, I, pag. 122.   (3) MSS. R. Bibl. Na:. di Xap. Cod. \\ D. 15. — Orai. Ili in Mi-  not* : € Et la unquaio poteri t illum quaestom facere, quem non ex offi-  cina, sed laniena libromm, quam maùmam iadtf ». .     T _ ' "l" - "   pia riconosciuti dai loro stessi autori, se fossero ritornati in  vita (1\   Fedele al suo programma, il P., dopo la pubblicazione  dello splendido commento al De Baptn Proserpiuae e degli  altri lavori, di cui abbiamo tenuto parola, nel 1503 mise fuori,  dedicandolo a Stefano Ponchorio, De Regionibus urbii Samae  lihellus aureu» del psoudo Publio Vittore (2), che, coUe ag-  giunte già apportatevi da Pomponio Leto, divenne la più iiiH  portante guida topografica di Boma. Un anno dopo vide poi  la luce V opera dal titolo : Probi instituta artium et aliorum  grammaticorum fragmenia (3), che dedicò a M. Antonio Cu-  sano, giovanetto che alla nobiltà del casato 'congiungéva  mente eletta e sentimenti generosi (4).   Intanto il P. con anlore incredibile emendava i classici,  apportando dovunque la sua opera di critico profondo ed illu-  minato. A questo periodo di lavoro intenso e geniale dobbiamo  i seguenti importanti commenti, sfuggiti all' avarizia fraieeea     (1) MSS, R. Bibl. Nat. di .VopoZt. Cod. V, F. 9. » De UtIÌ indice:  e De latinis vero quo me Vertam nescìo, ita mendose ecrìbuntar et to-  neunt. Utin&m non nostri temporis haec iustior easet querela ! certe ego  non plus in alienis erroribua confutandia, quam in exponendia aoUquorum  acriptia inaudarem. Sed affirraare iuratiia et aancte poaanm, aio omnea ab  Impressoribua inversoa esse codices, ut si auctorea a postliminio mortìa  in lucem revocentur, eoe agnituri non aint ».   (2) Il vero titolo deiropera del pseudo Vittóre è: Notitia regionum  Urbis Romane.   (3) Aldo Manuzio. * Instit, grammai,^ 1. IV; Akoxlo Spera. —  De Nobil, profess., 1. IV, pag. 451 ; Bayli. — Dictionnaire histor^ et  crit.^ pag. 599, n. D. ecc.   (4) Parrasio. — Epistola ad M. Ant. Cusanum^ ante Probi Inst. ete.     \     ^'•^- -^TUM- l'-j'^ "■Hlf ^'ì^'-^-'- tjf -—- - •^- «^.-i^-^. .*^^«.— »■-     T&ania»i'iii— 4>^Mfc»» n i>i ft n i ■ fM Éi i -jfi 11 -'-v*-- ! '   e all' incuria dei eustodi (1): e Valerii Maximi Prisoorum exeui-  plorum libri II (i) ; Kotulae in I Od. Q. Horatii Flacci (ii) ;  In lOnvi Valerii Flaeei (iii) ; Commi'ntarii in Horatii Poeti-  Cam (iv) ; AdnotatUmei in Caesarie Commentarios (v) ; Adno-  tationes in Epistolae Ciceronii ad Atticum (yi) ; N'otae. in Statii  Silvas (yn); Adnotationes in Tibullum (vili); In Ciceronii  Paradoxa adnotationes 7— Commentarii in Livii libroe: De  bello Macedonico, et in Lucium Florum (ix) >•   Parecchie altre opere, che sono andate perdate, furono  composte durante la dimora del P. a Milano ; fra queste  degnissima d'essere ricordata quella dal titolo : Quaeeitii per  epietolam, di^ cui non ci resta che un libro solo dei venti-  cinque da lui compilati (2}. Quest'opera da se sola baste-  rebbe a. darci un' idea precisa della profonda coltura del P.  e dell'alta fama raggiunta. Da ogni parte d'Italia si ri-     Ci) MSS. R. DM. Naz. di Nap. — (i) Cod. cart. aat. XIII, B. 14 ;  (11) Cod. cart. &at. XIII, B. 15 ; (ni) Cod. cart. aut. XIII, B. 20 ; (it) Cod.  earU aut. XIII, B. 23 ; (v) Cod. cart. ant. V, D. 3 ; ^ti) Cod. cart. aot. V,  D. 13; (tu) Cod cart. aut. Y, D. U; (viii) Cod. cart. aut. V, D. 22;  (ix) Cod. cart aot. V, D. 12. .   A proposito di quest* ultimo codice non sarà foor di luogo ricordare  il seguente brano della Frac fatto in Livium (Cod. V, D. 15) : e L. Flomm  praelegi, qui carptim compendioqae popoli romani scrìbit historias. In eo  castigando simol enarrandoqoe quantom Tigìlianim, quantom laborie  exhaoserim, testes mihi sunt omnes qoi tum nobis operam dabant. Qoorom  nonnollos non tam mea, quae mediocris est, eroditio trahebat ad aodien-  dom, qoam qoaedam, ni fallor, expectatio, qoa ratione curarem tot rol»  nera, vel, ot verios dicam, carnìficinam, qoam librarios (il Minoziano) in  Floro sic exercuerat (Id. Janoar. 1502), ut novae cicatrici locus non esset».   (2) OiOTANNi Pier Cimino. — Episi, nuncup. ad CorioL Mariyr.  Inst. Oramm. CharisU: e Brat enim ad editionem iamprìdem paratom,  librisqoe constabat cireiter quinqoe et viginU ».   Enrico Stefano. -^ Epist. ad Lud. Casuilvetr.^ ed. De Rebus 1540 ;  NicoDBMi. — Addizioni alla Dibl. Nap. del Toppi, pag. 87 ; Marafioti. —  Cron. ed amie, di Calab., pag. 264; Tiraboschi. - Storia ecc., T. VII, P. III«  pag. 330; Oinournì.— iTótotiv Uu. d'Italie., V. VII, pag. 214, ParU 1810.  volgevano a lui per aver schiariineuti di questo o quel  dubbio, per V interpretazione di questo o quel passo con-  troverso ; ed egli con una modestia, non meno rara della  sua affabile liberalità, non negava a nessuno il suo giu-  dizio, che, come canta il Salemi, era venerato al pari del  responso deli' oracolo di Delfo o di quello di Dodona (1):   .... credas Delp&is oracula Phoebum  Aut Dodonaeas ornos, quercum|ue locutat.   Da ciò appare che il P. negli studi di erudizione teneva  incontrastabilmente il primato, da non temere punto di schie-  rarsi, alPoccasione, contro i più rinomati umanisti del tempo,  fosse anche un Poliziano (2).   Certo, facciamo nostra la giusta osservazione del Fio-  rentino (3), il contendere la palma all'eruditissimo Poliziano  e il biasimarne i giudizii richiedeva non piccola autorità,  quando non fosse stata audacia e sfrontataggine senza pari.  Da quanto abbiamo detto chiaramente appare che un simile  rimprovero non poteva toccare al Parrasio.   • • •   A questo punto crediamo opportuno far rilevare un altro  grande servigio arrecato dal P. alla scienza, durante la sua     (1) Salerni. — Sylvae*' In Jani obùu Epieedion^ pag. 110 e Mg.  ed. Neap. 1596.   (2) MSS. R. BibL Kos. di Napoli Cod. Y. F. 9. — Lettera a persona  ignota : « Non vìdeo cur ad me acribas a Politiano Domltii sententiam  non probari in illad ex prima Papinii Sylvula : RKenus et atUmiH vidù '  domus ardita Dati. Nisi forte vis ut Politiano sabtcribam, vel a calamuia  Doroifium defendam »•   Quaesiux per episL^ ed. Matthaei, pag. 1Ó : € Lia est mihi cum Po-  litiano sinuosa (a proposito di un passo di Virgilio) »•   Op. cit., ed. cit., pag. 225 e seg^: € Et audet PoHtianns asserere  Trapezuntium multa fecisse rerum vocabuìa ex imitatone veteram » eoe...   (?) BiBXARDiKO TsLKsio. — V. I.« Flrenso, sncc. Le Mounier.] dimora a Milano, quello cioè di aver contribuito non poco  al sorgere della Colia Oiurisprudenza, di cui fu caposcuola  il suo discepolo, Andrea Alciati.   Senza punto occuparci dei primi due periodi della col-  tura del diritto romano, la Glossa e lo Scolasticismo, ci  limitiamo a ricordare che si deve esclusivamente agli uma-  nisti quel mo\imento reattivo all' indirizzo precedente, in  cui avevano avuto grande predominio le peripatetiche spe-  culazioni, il vuoto formalismo e l'arte delle infinite distin-  zioni suddistinzioni, che avevano ridotta la dottrina del  diritto romano ad un convenzionalismo dogmatico.   La lotta contro i giuristi, cominciata dal Valla con la  famosa lettera contro l'opuscolo di Bartolo da Sassoferrato,  De insigniii et armi$, trovò plauso negli altri umanisti, soprat-  tutto nel Poliziano; e se suscitò al principio un grave scan-  dalo, valse a rimettere in onore lo studio negletto delle  fonti ed a far conoscere la grande importanza del metodo  storico-filologico. Questo rinnovamento, iniziato dai lette-  rati, fu poi recato completamente in atto dai giuristi e,  primo fra tutti, da Andrea Alciati (1).   Questi, mettendo a profitto il suo sagace discernimento  e la sua vasta erudizione, coll'aiuto di codici da lui dissep-  pelliti nelle biblioteche, riusci a restituire alla loro esatta  lezione molti passi di Erodoto, di Polibio, di Appiano;  altri emendò in Plauto, in Terenzio, in Tito Livio e special-     ''^     (1) Gravina. — De ertu et progressu iurù civilis. € lurìspnidentiA  Alciati manu ex humo sublata, oculos ad primordia sua reflectens, vetera  ornamenta nativamque digoitatein a priscis ropetiit auctoribus ; cumque  Alciati discipuli ex Gallia et Italia universa conspirarent, eorum praesidio  iurisprudentia se in prìmaeva eruditìone atque elegantia cpllocavit* quaeque  in Imeni, Accursii et Bartoli scholis viret exsenierat, retonta rubigine,  cultu eruditoruni et industria littcrarum elegantiarum, exuit barbarìem  el nativam explicuit venustatem ». y •     !■ ■ rm^     nix DI ▲«mente in Tacito, determinò l'indole dello stile dei migliori  giureconsulti, per cogliere il senso dei loro consigli nelle  Pandette, descrisse «Uligentemente le variazioni del diritto  pubblico romano, i>er conoscere lo spirito delle leggi in ogni  età, e colla sua profonda critica gettò la luce sui passi pia  difficili e controversi (!)•   Ora domandiamo : l'Alciati a chi va debitore di questo  critico indirizzo, a cui deve la sua famaf   Se qualcuno, neiracnme e ncireleganza di dettato del-  VAntore deWclegantc giHritpruiìemza, riconobbe i lieti frutti  deir insegnamento del Parrasio (2), la cui scuola egli firc^-  quentò dal 1504 al 1506, compiendovi, ancora giovanissimo,  gli studi d' umanità (3), nessuno, per quel che sappiamo,  ha aucora bene osservato che il metodo tenuto dal grande  giurista ncir emendare i testi degli antichi giureconsulti  è quello ^stesso tenuto dal P» nella correzione dei clas-  sici, e che da qucst' ultimo, molto probabilmente, apprese  anche i primi elementi della dottrina del giure. B e' indu-  cono in questa opinione due altre preziose orazioni inedite :  « De iustitia, De iure >, le quali ci attestano che il P. a  Milano, dietro invito del Canlinale d' Amboise, fece parte     (1) Giuseppe Prima. — Andrea Alciati. -* Orazione inaugurale  letta neir Univ. di Pavia. — Milano, Stamp. reale MDCGCXI.   (2) RoBBRTELLO. — A»not. ad Var. toc., 1. II : Tibi vero gratulòr,  Alciate, quod Jannm Parrìtasium^ virum doctissiiBuin, a puerìlia nactos  fuoris praeceptorein. Nunquam enim tua scrìpla lego, quin mihi illiua  recordatio viri oecurrat, adeo diligentis et perspicacia in veterum locit   emendandis, atque expUnandìs Homines qui ignorant talem prae-   ceptorcm tibi a pueritia contigiese admirantur postoa quantum eUam in  hoc ttudiorum genere valeaa. Ego, qui id iMsio, nec miror et laetor »•   k3) Claudio Minois. — Vita Alciati ante Emhlemata ; Quoio. -»  Epiii, Clar, et doct, Vir., pag. 81 e^eg. ; Tiraboschi. Il P., nulgrailo lo tristi vicende toccategli/ senti sempre  per Milano U pia grande attrattiva, a segno da preferirlai  dopo Napoli, % tutte le altre città d' Italia, come con belle  parole dichian ai suoi discepoli (1).   A rendetli cosi piacevole quel soggiorno' contribuì,  senza dubbio.prima V amicizia e poi la parentela contratta  col valente gecista, Demetrio Oalcondila. Questi, chiamato  a Milano daLodovico il Moro nel 1491, dopo aver inse-  gnato, per t^ti anni e con molto plauso, a Padova o poi  a Firenze dda cattedra resa celebre dall' Argiropulo, vi  ebbe le più liete accoglienze, venendo egli a soddisfiure  quel vivo Uiogno sentito dalle menti, dopo la meta del  secolo XV, dponoscere cioè ed apprezzare le opere immor-  taU dei Gì      (1) MS8. R.m. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — PrtefAtio ia  Thebaida : « Egouom prìmum appuli in hanc inclytam civitatem 6t  latÌ8HÌmo dignamiperìo, eìut amplitudine captua, hanc animo meo   proprìam sedem U Nam post illam felicissimam Campaniaa oram   in tota Italia nullii usquam secessum solo virisque meliorem, qaiqiie  mihi M«diolano mls arrìdeat, invenl. n P., appena giunto a Milano, cercò di avvicinarsi al-  l' illnstre ateniese, per potere ancora niegfio apprezzare i  tesori del mondo ellenico, e trovò in lui uia guida sagena  e illuminata e affetto veramente paterno. . l   Frequentando la casa del Oalcoudila, ej^li ebbe agio di  ammirare la coltura o le belle qualità mora! della figliuola  di lui, Teodora: sebbene questa non potes» vantare né  grande bellezza, nò forte dote, se no invaghi\ la foce sua  sposa (1), intorno al 1504, come si desume daunepigramma  scritto in quelP occasione dall' amico Lancino Cil^io (2).   D'allora in poi il. P. abitò in casa del suocera, dove potè  conoscere molti valenti letterati, venuti a ^lilant per appren-  dervi il greco, fra' quali Giaugiorgio Trissino (1|0G), il quale  pare abbia fatto dimora presso lo stesso Calondila,. come «  e' inducono a credere una lettera di quest' ulmio «liretta a  lui e sei altre del P*, da cui traspare la pinjgrande fami-  liarità e domestichezza (3).   Cominciò cosi un periodo di tregua nelUvita del P.,  ma nou fu molto duraturo, poiché vennero ditinovo a tor*  montarlo le strettezze finanziarie e i suoi nmici, che gli  piombarono addosso ancora più rabbiosi di praa.*   I Milanesi, se gli furono larghi di applauso onori, non     (1) MSS. R. DM. Noi. di Xapoli. Cod. V. D. 15. A Praefatio in   Thebaida: « placoit in spcm prolit ot rei faìnili» Thcodoram,   Demetrìi filiam, mihi adiungerc, in qua non forma, quan ea inediocria  est, ut appellat Ennius, non oiTertam dotein, quae ma «ine morìbus  ex|>etitur, animuroque ineum non facile capit, scd ingfiat artes, intè-  gritatein vitae, et super omnia |>atri8 eius affinitatem Retavi ». ^   (2) Op. cit., ediz. cit., pag. 80 ; Jannelm. — optt., pag. n2« -   (3) KoscoB. ~ Vita é PctUi ficaio di Leone X, trad./ Luigi JBossi. —  Milano, Sonzogno, 1817, V* X pag, 143 e aegg.   11 traduttore ri u venne queste lettere nella corrisddenza epistolare  del poeta vicentino, conservata dai Trìssino dal Yeld*Ofo.  lo furono altrettanto nel ricompensare le sue fatiche (1). Di  ciò abbiamo chiara prova in un'altra orazione inedita, in coi  il P. candidamente fa nota ai discepoli la sua triste condì*  zionci ricordando loro, con aniarezza, il detto di Aristotele  che cioè il povero difficilmente e raramente giunge all'ac-  quisto della scienza (2). Quanto diverso era stato il suo giu-  dizio sulla povertà nclVOratio ad SetMlum McdioUinensem t   Non deve recar punto meraviglia che questa ed altre  volte la miseria abbia bussato alla porta del P. • In quél  secolo, ben chiamato dal Graf il secolo dei ciarlatani, chi  non si tirava innanzi, chi non gridava e magnificava la sua  merce, chi non prometteva più di quanto potesse attenere,  correva rischio di morir di fame (3).   ^ Bifuggendo il P. da ogni bassezza e dalle quae$tuarU$  artibìii dei letterati del tempo, era naturale che non guaz*  zasse mai nell'abbondanza/   Il Poncherio, conosciute le condizioni poco floride in cui  egli si trovava, non mancò di venire in soccorso di lui, affi-  dandogli il proficuo incarico dell'educazione e dell' istruzione  del nipote Francesco (4). Ma ciò, se valse a sollevare il bi-     (1) MSS. R. Bihl. Naz. di Napoli. Cod. Y. D. 15. — In L. Flomm :  € Nam quid aliud, ornatissimi ìuveoet, in tanta rerum difficultate, quid  a1ittd« inquam, facerem, quum publica stipendia non procederent, et al  qnae privatim consequor emolumenta, vix emendis olusculit satis essentf »   ^ MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — In L. Flomm :  « Quippe ai viatica desint, ut vocat Aristoteles, omnia ad acientiam eo-  nattts irrìtus est et inania, et quantocumque labore diligentiaque, mille-  simus quisque vix evadei ».   (3) AUraverio il Cinquecento^ pag. 110 e aeg.   (4) MSS. R Bibl. Kaz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — In L: Florum :   « Nunc autem quum pater amplissirous Stephanus Poncheriua quo,   quasi sacro atque inspoHato quodam fano« boni omnes utuntur, non ho-  nesta solum mihi praemia constituerit, sed, quod magous honor est,  nepotis ex fratre sui curam'milii delegaverit »•     \ •     — i -^-- ■ ■ -•■*■- --> ! I I ■ ■ > ' 0""'t_-' 1 -_t^' a I - 'c I ■ *• » r »j ' Il M libili iiit — i j j I r II l ii — ^ - 1 " lancio domestico del povero retore, noD potè ridargli la  tranquillità dello' spirito, turbata ancora una volta dagli  antichi nemici.   Primo ad uscire dal suo agguato fu il perfido Minuziano,  il quale, avendo corrotto un ribaldo sacerdote, discepolo del  P., fece sottrarre a quest' ultimo il commento al De bello  Macedonico di Livio, frutto di tre anni di assiduo lavoro,  pubblicandolo spudoratamente col proprio nome (1), e dedi-  candolo per giunta ai successore del Poncherio, Carlo GoiTredo.   Questo fatto indignò fortemente il P., che memore degli  altri torti ricevuti, senza alcun indugio, rese di pubblica  ragione V impudente plagio. H Minnziano, vedendosi brutto  e spennacchiato, al pari della cornacchia esopiana, per ven-  dicarsi, non rifuggi da un' ultima vigliaccheria, dal collegarsi'  cioè col Ferrari, che era ritornato a Milano, e col Nauta,  contro i quali aveva lottato insieme col suo antico ospite (2).   A questi si uni un vero lanzichenecco della penna, fac-  ciamo nostra un'altra espressione del Graf, un tal Rolandino  Panato, che indettato e coadiuvato dai suoi amici, scrisse  contro il P. delle scandalose Inveetivae (3), che per oscenità  non hanno nulla da invidiare a quelle scritte dal Panormita, •  da Poggio, dal Valla e dal Trapezunzio.     (1) Vallo. — Apologia : « Impudentior autem praeceptor ille tuut,  iropressorum postrerout, qui Jaai castigationes in bellum Ltvil Mac«do-  nicum, grandi pretio redemptaa, ab avarìssimo quodam sacerdote (palam  rea est) intervertìt, emendatumquo Jani labore Livium suo titulo pabli-  cavit (1506) ». •   (2) Vallo. — Apologia : « Neque erubuit homo com iis in Jannui  conspirare, adversus quos certo capitis perìculo se, nomen, doctrinani,  ceteraque omnia sua tutatos fuerat Parrhasius ».   (3) RoLANDiKi Panati. — Inveclivae et Nautae Carmina. — Questa  pubblicazione, sebbene non porti indicazione né di anno, né di luogo, pure,  come notAva il Mazzucbelli, è certo che fu fatta a Milano, al principio  del 1506.     .mm^Smi^^mt^l^lCt     TRA m A. 6IAXO TkWMAWm CS     Laudo contro fl P. o^ torto £ coBioBieliey ^  o^ sorto di ribalderie, lo duamò msiumm mremdiemmt, Jmmm  /o€di$$immm Mcarmhcuwi, tmprmrimm, Ibtommw» jMrtjtfi  Don eitore altri Tilissini epiteti, che layia^o ndte  1/ infkaie rabula criticò i larori di Ini, ne^ loro o^ V'^fl^  letterario e li denomiiiò amwumtmriolm.   do Irrìdo di protesto eruppe daD'aniaio dei baoai per la  basse ingiarìe lanciato all' nomo dotto e morigerato : GioTanni  Biffo, Tanzio Cornìgero, Antonio Peloto, Pio Bolognese^ Bratt-  gelisto Biadano ed altri molti alzarono la roee contro i tìK  diiEunatori, e scrissero contro di loro de^ epigrammi di foooo,  che non riportiamo, per non intralciare fl nostro racconto (!)•  n P. neppure questo rolto si diede per Tinto, e riden»  dosi delle nuoTe insidie dei suoi aTTcrsari, si ain^arecdiiò a  schiacciarli con pochi colpi, come scriTOTa all'amico Bolo-  gnese (2). B non disse dò per millantoria, polche rinsd  complctomento nel suo intonto colla pubblicazione della dtato  Apologia di Vallo (3), la quale d ha fornito tanto e ri im-  portontl notizie.   Nessuno dei biografi del P., compreso lo*Jannelli, ha  ossenrato che il Vallo, se ebbe in essa la sua parto, non fli  certo la prìndpale: la grande erudizione, lo stfle, le dta-  zioni, comuni ad altri lavori del P., rivelano la mano del  provetto maestro più che quella del «liscepolo.   Questa volto, dobbiamo pur dirlo, il P. fu costretto a  combattere i suoi nemici colle loro medesime armi, oppose     (1) Y. Jaio«blli. — Op. cit., pagg. 58, 71 e segg.   (2) Jannblli. — Op. cit., appendic«, pag. 109: « Risi de Jolio «t   Musoa Appula, perque gratum fuit audire quid de utroque seotiret -   8ed, ut spero, noo agam Aesopi calvum,,nec expectabo Eiemis adrontùm :  paucis ictibus conteram ».   (3) Furius Vallus Echinatus in Rolandinum, pistrìni yernam illauda-  tnxn, 1505 ante sec. ed. Comm. De Raptu eto. .     \     mmm     r*^iM     i> " I •     • .- • •        «•^Ki^'     • "fc^i^i>B ap"'litT-r"i   Una delle colpe attribuite al secolo dell' nmanesimo ta  qnel vizio abbominevole, per designare il quale si e tolto  a prestito il nome dai Greci.   Fra le ignominie che gli umanisti, a ragione o a torto,  si gettavano in faccia vicendevolmente havvi sempre in primo  luogo la pederastia. H Bcccadelli rinfaccia questa colpa al  grammatico sanese Matteo Lupi, il Filelfo al Porcello, Poggio  al Valla, il Valla a Poggio e cosi via.   Non dove sembrare quindi strano che quest^accusa tanto  comune si lanciasse anche contro il P. dal corrotto cinque-  cento, che ereditò, anzi rese più morboso questo vizio del  secolo precedente.   Infatti tutti gli strati sociali, come dice il Oraf (1), ne  erano infetti, a comijiciare da Leone X, se vogliamo prestar  fede alle parole del Giovio ; Antonio Vignoli e il Bibbiena  ne accusano preti e frati ; il Firenzuola lo chiama manza di  maggior riputazioAe, e gli prodigsftio lodi Giovanni della Gasa,  Lodovico Dolce, Andrea Lori, Curzio da Marignolli ed altri  dieci altri cinquanta, aggiunge il Graf. B che dire dell' ac-  cusa che grava su Francesco Bemi e sulla figura pia eletto  del secolo, Michclangiolo Buonarroti Y   Siamo lieti di notare che tutti, concordemente, assolvano  il P. del fallo imputatogli, prima di tutti lo stesso Giovio,  che non la perdona a Leone X (2). Ove non potessimo ad-  durre delle prove tanto convincenti, basterebbe per poco .  riflettere sulle sante massime dettate ai discHpoli nelle ora-  zioni inedite (3), osaaiinarc l'elegia in morte di Antonio     (1) Attraverso il Cinquecento^ |)ag.. 125-130.   (2) Oiovio. — Ehgia ViV. Un. t7/ii5fr., p&g. 208; Spiriti, r- ifemorM  degli sct-iitori Cosentini^ piig. 25; Qinqukns. — Histoire litt, d'Italie, Y. VII,  pag. 214; Morcri. — Grand Dictionn, histor., pag. 828« ccc   (3) MSS. R. BiU. Nnz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — PraefaUo in  Achillcidem, Cratio ad di«cipulos, Oratio ad Scoatam Mediolanensem,  Ad Mumclplum Vlncentloum tic     t'amili' ■ ma» w ^ ,n>»mt ^ t'-^     n 1 iT_ I liw ■! j I ■l'if^N» iw*iift*>ff ■ ."^ *■. ■■■'v'^' ii»mifjtmv%'8ai, Tisusqae sum orator Quid igitur aateal   dubilabant ne conduxisseut Thucididem Bntannicom, vel Ranam 'Sobri-  phiam? Sed utramque suspicìonem disonstl ».   Questa lettera e le seguenti sono dirette al Trissino, che allora  si trovava a Milano ad apprendere il greco, presso Demetrio Calcondila*   (3) MSS. R. Bibl. Nas. di NapoU. Coà. V. D. 15.     • " III wm^mf*     »Jfc^>»*M>W^ I ^ I 11 >WII^«    fonati) quantum vix olira Gares in Leloges, Arcades in Pe-  lasgos, Laoed(cinono3 in Ilotost »•   Fiere e generose parole che mostrano ancora una volta  quanto fosse esagerata i' accusa di coloro che negarono com-  pletamente agli scrittori del secolo XVI la coscienza morale  della nazione italiana (1).   B che realmente il P. avesse fede nel!' avvenire, d è  mostrato anche dalla seconda orazione, dove se si notano i  medesimi difetti delle altre, e soprattutto la prolissità e una  troppo sìidata erudizione, si ammirano similmente gli alti pre-  cetti pedagogici e didattici, e le sane norme dettate ai gio-  vani e ai padri di famiglia, circa i beneficii di una buona  educazione (2).   Gonosciutosi in tal modo il valoro e la nobiltà d'animo  dell' uomo bassamente calunniato, dietro l' esempio deUa  famiglia Trissino, presso la quale egli aveva trovata, nei  primi tempi, la più calda e sincera ospitalità, cominciò una  vera gara tra le più nobili famiglie vipentine, per sempre  più dégnamente onorarlo e cattivarseni) la benevolenza (3).   Nonostante tali prove di affètto e di stima, il P. non  visse a Vicenza in quella perfetta tranquillità, come credette  lo Jannelli (4), per aver ignorate le importanti lettere al     • (l) Nencioni. — Nuova Antologia, 1884, 3. bimestre.   2; MSS. R. Bibl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. II ad  Mun. Vincent : « In quo nonnulli parontet, ut hic ordiamur, obiargatione  digni sunt, qui spcs quoque suas ambitioni donant et precibus amicorom,  non minus insulse quam si gravi morbo quia Implidtus, ut amici grar  tiam colligat, oinisso perito salutiferoque medico, se committai ignaroii  cuius inscitia fonasse peidatnr ».   (3) Roseci, op. cit.,. 1. eit. : € Qni (Trissiol) nihil ad oroaodam tei-  lendumque me domi forisque omisenint, exemploqoe coeteris, nt Idem  faeerent, oxtitere. Nam cerUnt inter se Thiend, Palelli, Portensea et  Cberigati quinam de me magia promereantnr »•   (4) Op. cit., pag. 84. • ^ . ^ .     \     immmà^J^amm^t0>m^' ^*« ^ , j. j i>^ 1 1 ^,n ^».w ».^,^»*.«i»i» . »! I »« a «» «ii ' i^iai^  T i ri i ^ . ì .i -. - ««-ìLm     Trìssino: prima la podagra (l), che aveva cominciato ad af-  fliggerlo fln da quando si trovava a Milano, e poi gì' invi-  diosi e ignoranti grammatici gli turbarono, come ftl solito,  la pace dello spirito.   n P. , irritato per i tranelli tesigli da un tal Antonio da  Trento e da un perfido sacerdote, di cui ignoriamo il nome (2),  accolto nella sua scuola in qualità d'hypodidascalos, aveva già  deciso di lasciare Vicenza, quando, per la opportuna ed elBcace  intercessione del Trìssino, non solo recedette dalla presa riso-  luzione, ma concesse anche il perdono all'infame sacerdote (3).   Malgrado i continui fastidii e le non lievi cure dell' in-  segnamento, il P. non tralasciò i suoi studii prediletti, che  continuò a coltivare con amore e profitto, pubblicando, a  breve intervallo, i seguenti importanti e pregevoli lavori:  Claunulae Ciceronu ex epistolin familiaribus (4); Breviarium  Rhctoriec9 ex aptimU quibunque Oraccis et Txitinis atictoribuM  depromptum (5); Probiliistituta artium et Catholica (2*ediz.) (6);  Conieliìis Franto — De nominum verborumqM differentiU et  Fhoca grammaiiou$ — De /laudi nota, atqne de aspirationè  libelluè (7) ».   Questa ricca produzione letteraria ci fa argomentare che     (1) RoscoB. — op. cit., 1. cit. : € torqueor incredibili po-   dagrac dolore : quicquid est mediconim, quicqutd phannacopolarain din  noci uq uè conti ncnter exerceo >•   (2) L* indegno prete era Irato contro il P., mal sopportando che que-  Mlo avesse chiamato nella sua scuola e prediligesse il cosentino Ant4)nio  Cesario, uno dei pochi veri e costanti amici delPinfelice umanista,   '3) RoscoB. — op. cit., l. cit, : « Sacerdos tuas est apud me laUs  honcsta condì tione (12 ag. 1508) ».   (4) Veicetiab, MDVHI, per Henrìcam librarìam Veicet et Jo. Ma-  rlam oius flllum, in 4.   (5) Kal. Jan., MDIX, per Henricnm «te.   (6) MDIK, per Henricum ete   (7) VUI Id. Febr., MDIX etc..... ^      i/j » n i ì I II » * ! »     m jÈJì iV ■■*'nM>-|f mk Iri i> i liikJ^'-     • ••• .. .     m i0i ii\ Vii i^i ■!> ri tf i     - •• - ♦    il P. negli aitimi tempi della sua dimora a Vicenza, se visse  in poco floride condizioni economiche, da essere costretto a  ricorrere talvolta al Trissino per qualche xirestito (1), non  dovette però essere più molestato, come per lo innanzi, da  nemici maligni e invidiosi. Allettato quindi da quella tran-  quillità relativa, succeduta alle lotte interminabili, forse egli  non sarebbe cosi presto partito da Vicenza, se non fosse  sopraggiunto il pericolo della lega di Cambrai.     Appena salito sul trono di S. Pietro, Giulio II mostrò  il suo fermo proponimento di ricomporre lo stato della Ohiesa,  che era andato in frantumi, non per favorire il miserando  nepotismo, come avevano .fatto i suoi predecessori, ma per  fondare una monarchia pontificia, che potesse dare al papato  il necessai*io prestigio. A tal uopo, appena si liberò di Cesare  Borgia, rivolse le sue mire contro Venezia, che si era im-  possessata di alcune terre della Ohiesa.   La Serenissima, scossa nel suo commercio per la sco-  perta della nuova via, che conduceva alle Indie, e per la  crescente dominazione dei Turchi, aveva rivolta la sua at-  tività a formarsi uno stato in terraferma. Bra riuscita a mera-  viglia nel suo intento, ma si era procurato Podio del Papi^  e l'invidia dei principi italiani e dei potentati stranieri, che^  il 10 dicembre 1508, conchiusero a Cambrai una formidabile  le^a e per ispegnere, come incendio comune, l'insaziabile capl-  digia dei Veneziani e la loro sete d'ingiusta dominazione (2) »«     (1) RoscoB. — op. cit., epist. V. : oco dopo II discorso  inaogurale (1), lasciando al téAele Cesario, che non aveva  voluto abbandonarlo in qnella circostanza (2), la cara del-  l' insegnamento, al quale aveva dovuto assolatamente ricor-  rere per poter sbarcare il Innario (3).   n P., ritornato a Padova al principio dell' agosto, collo  spirito rinfrancato per il miglioramento ottenuto ai suoi mali  alle acque di Abano (4), riprese con nuova lena IMnsegna-  meuto, lasciando cosi libero il Cesario di tentare a Roma  la sua fortuna (5).   La Mumma anetoritas deUa storica cittì, in cui per prima     (X) MSS. R. BibL Sai. 4i Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefalio 'm  Horatil odM : « Si qois aliuii, ornatUsioii iiivenes, ex eo loco quem net  iKKiettlstimàin Romao Madiolanique et dcmum Vcìcetiae lonuìmas, ad  hanc iniquitaUm tamporum radactos ataat, ut privai im doc«ret, ilio qai-   dom fato eooTieiain faeoret tiquidem summa buius urbis   auctoriiat, celeborrimum Fatarii nomon, ubique gentiunn venerabile, com-  peniat omao salarli dotrimootoni ».   (2) Lo Jannelli, noo avendo ieooto alcun conto della lettera del P,  %1 Cesario € ex Aponi baliceia », ritenne che quest* oltiiro € excessli  Viooentia (Romani) XI!! vel Xll Kal. Jonii ( op. cit., pag. 86, o. 3 ) ».   (3) Sputala JJ, ex Apani balinais, e. d.: « interea vale et cara   disdpuloe eraditioni fideiqne nostrae commlsaoe ».   (^ Epistola II, ex Apani balineis : « Salve, Caetari, profuemnt alU   qvaatlsper Aponi Iwlinea Bqoidem me cupio ad vot recipera   klo enln me taediam eepit remm onnlom ».   (5) li Cesario non fa accontentato nei suoi desiderii, poiché nell^  lettera inviatagli da Venesia, io data del 13 settembre 1511, Il P. %|  rallegra con Ini « quod incolurois in complexu suorum vivat accoptos  (Bpist. IH) ». Da ciò argomentiamo che la maggior parte delle Iutiere  del P. gli furono Inviate a Cosensa.      ■ « « ■■ 1 1» jiil y «     » ■mtl^Mm nm^mi ■■■■«■^■i^ n i* m,tmt, ^ mi     Mllb*^i^hUBk«la     ì     iw«MHk«!fAi«^MiaMUHMUÀli^4b*iS          '^T».     oon Albertino Mussato emno fioriti^ gli studi! umanistioi, e  il nomali celeberrimum da essa acquistato, por ^ aver accolto  nelle sue mura tanti illustri letterati| quali Giovanni da .Ba-  venna, Pier Paolo Vergerio, Secco PolentonCi Gasparioo da  Barzizza, Vittorino da Feltro e, per non parlare di altri,  Demetrio Galcondila, allettarono subito il P., sino a fargli  dimenticare omne salarii detrimentum. Però i tristi aweiii-  menti sopmvvenuti lo costrinsero a lasciare Padova*   L' imperatore Massimiliano, essendosi finalmei|te scosso  dalla sua inerzia a causa dei continui progressi dei Vene-  ziani, nel tempo stesso che Bodolfo di Anhalt si recavi^  nel Friuli, per occupare la tcpra di Gadore, e il duca di  Brunswick tentava di espugnare Gividale e Udine, in per-  sona per le montagne di Vicenza era sceso nel contada  di Padova. Però e non essendo ancora maggiori le forze  sue, si occupava in piccole imprese con -poca di-  gnità del nome Gesario (1) » : saccheggi orribili, eoddi  spietati furono eseguiti dai feroci invasori, la cui indescri-  vibile licenza fece ricordare quella delle orde barbariche»   Il P., visto scoppiare un cosi furioso turbine di guerra,  prima che Massimiliano cingesse d'assedio la città coi suoi  100,000 uomini, verso la n^età di agosto riparò di nuovo a Ve-  nezia, dove fu accolto amorevolmente, come forse anche nella  sua prima venuta, da Lodovico Michele, che era stato suo  discepolo a Vicenza (2).     (1) Guicciardini. — 7frecedente (Venezia, 13 settembre 1510), appare chiaro che sia  sUU seritU nel 1511. *     .A     * » '^^'i ^iy« ■>i V >»i»Bwr ■—>■'«*»»*-»*'»'» " * ■ ■»— i I 1*1 la» 1 ^ » '^imr ■ !l^^ 1 1 III *"r"r- I tr ^ — - \' .''"^ '*^ -■ — . «^--if— >•— «^TV - .* •- -C- • ^- ••  Garbono, i fratelli Anisio, i fratelli Seripando, Gerolamo An-  geriano e parecchi altri {ly, Col pia vivo piacere il P. fre-  quentò i geniali convegni «lei letterati napolitani e fu accolto  dovunque colle più sincero manifestazioni di ossequio.   Non mancarono, come al solito, i versi apologetici, fra'  quali citiamo quelli del prolifico epigrammista napolitano.  Giano A Disio, nella cui mente il P. destò il ricordo degli  antichi soci della gloriosa Accademia pontaniana:   Qui8 non his tabulis dubia dipingitur umbra   Commeritas, qais non byali ridenta colore.   Insigni virtute vir, et spectatus amicus?   Tene ego praeteream, cui Musae tempora cireum   Jusserunt hederaa, et amicaa serpere lauros (2). ■ . •   Il P. allora forse rinde Gjovan Tommaso Filocalo da  Troja, Gerolamo Garbone, Francesco Puccio da Firenze, alle  cui lezioni aveva assistito durante la sua prima dimora a  Napoli, ricavandone non poco profitto. Allora similmente  rese sempre più saldi i vincoli d'amicizia, che lo legavano^  al dotto e munifico Antonio Seripando (3). Pare che egli  conoscesse quest' ultimo alla scuola del Puccio (4>, tra il 1492     (1) So questi scrittori, quasi tutti poco noti, rìcbiaroava testé V at-  tenzione degli studiosi 11 chia.mo prof. Flamini, cbe additava In essi « no  territorio da esplorare della gloriosa nostra letteratura umanistica »•  Rassegna Bibl. della ìeU. ital.^ VI.   (2) Janl Anysii, Varia poemata et Satirae ad Poropejum Colomnam  cardlnalem, Neapoll, Suitzbach, lib. IV, pag. 66.   (3) Giano Anisio. — Op. cit., 1. Ili, pag. 66; Bernardino Martlrano.  Bplst. ad Card, de AccoUIs Ante Comment. In Uoratii Artm Poeiie.  Parrbasll, Neapoll 1531.   (4) Che realmente 11 Seripando sia stato alunno del Puccio lo rile-  viamo dair iscrìsione da lui fatta apporre nella cappella gentilizia di Si.  Giovanni a Carbonara : € Francisco Puccio quod bonarum artlum sibl  maglster foisset ».   Mabill. Museum 2ud. T. I pag. 108; Jannelli, òp. cit., pag. LO. .      ■— *i— i^i^Wi^^^— fci^^ii^^ a*^ifc»*«^*i di Aulo Giano Par»  raaio ecc.. Ariano, Stab. tip. Appulo-irplno, 1890.   (^ Op. cit.   (3) Piccante V ossenraxione dello Jannelli a questo punto (op. eh.  pa|t. 94; : « Quantumvis perditorum morum illum fuisse fiugamoa, indo-  cere ne sani iu animum possumus tam seno tantia votia meretrìMA  procul abaentem ad ae arcessere Parrhasium potoiasef ».        Iu«     Per mancanza di dati, non possiamo ben dire se per pun-  tiglio di offésa vanità femminile^ o per non allontanarsi dai  saoi vecchi genitori, la Calcondila non segui il marito quando da  MilanOi si recò a Vicenza (1). Dalla lettera al cognato Basilio  apprendiamo solamente che, malgrado le continue insistenzci  il P. non potè riunirsi con la moglie (2), se non quando gli  fu assegnato a Boma la cattedra d' eloquenza (3).   Quali che siano i motivi che abbiano spinta la Oalcon-  dila ad agire in tal modO| noi non possiamo non biasimarla  sia come sposa, sih come madre: come sposa perche resta  impassibile alle preghiere dell'infelice marito, che, per quanto  colpevole, chiamandola a sé ripetutamente, le aveva data la  più ampia soddisfazione ; come madre perche mostra di non  sentire alcun affètto per l'unica sua creatura, che, priva  delle carezze e delle cure materne, a guisa di tenero fiore,  a poco a poco intristiva e periva miseramente.     (1) Nella seconda lettera al Trìssino ( Roscoe, op. cit. ) il P., dopo  avergli detto facetamente che dispone con piena libertà delle sostanze di  Ini, eoque forUusé plus, quia sunt uberiares, gli dà notisia dei compa-   gni di greppia^ senza fare alcun cenno della moglie : € Amanuensis   item graecus ex Creta Nicolaus, quem Trissineo Lisiae designave-   ras Accessit ^ Lario quoque lacu Simon Age nuno et lopos   bospita »•   W OuDio. — op. cit., epist, XLVIII, pag. 137: € Sed in primis a  me salutem optimae socrui et uxori. Quum litteras ad eam dabis, de onios  Toluntate nihil ad hanc diem ex tuis literis intellexi, reditura ne sit in  gratiam contuberniumque meum, vel quid aliud in animum agitet. Ego  enlm statui vel secom vivere, vel aliud vitae genus hoc longe (Cosentiae)  quietius instituere ». .   (3) Dopo la morte di Demetrio Calcondila, avvenuta nel 1511, Teo-  dora colla madre e col superstite fratello Basilio (Teofilo era stato ucciso  a Pavia e Seleuco era morto in tenera età) aveva stabilita la sua di-  mora a Roma. ' .     -l -_ - 1 || _-- -ì| — l'i i fc ^ " ' ~ •" • > .     Jt f '', HfcaUfciifc^M 1  tuna querar, quam quod ex illa mortis imperturba tissima quiete me nir>  sue ad aerumnas vitao revocavit; abibara laetus ex bac inutili corporis  sarcina, si per faeroem (Antonino Siscari; cui Servio licuisset. Is enim sani*  mis opibus effecit, ut ego diutius articularis morbi carnific}nam perpetlar »•   (3) Epistola XI, ex balineis Lisaniae, pridie Kal. Septembris : € Bar   linea visa sunt »liquid opis actulisse Ego propediem revertar,   ioterea tu cura pueros beriles ac meos, ut tui moris est »• -   (4} QuDio. — Op. oit., epist. XLVIII, pag. 137, ed cit     94    •   poiché si recò a Taverna, parC| tra l'aprile e il iiia^r^o  dol 1513 (1), vi tenue un breve cor^b di lezioni* di cui  oi ò giuut4i solUiutH) V orazione. inauguralo intorno ali* impor-  t>anza o all' utilità della grauimatioa, che trascurata e quas^i  disprezzata! dai più, secondo V oratore« e la sola disoiplina  che possa far acquisUiro un vero e foudat-o sapere (1).   Questui spontanea relegazione del P. negli estremi conilni  della Calabria dovett'i^  1 moA, oonvcnÌM, coiupolla uonilae oUro     Piirrbasiuin ne illum pratvUrl noìulnUY ìllum  l|t«uui iot^uam   Kd era lui davvero, osserva il Fiorentino (3), il maestvro  di scuola di Taverna, che eni pure il miglior critico che  avesse allora V It-alia, si ricca di filologi.   Durant-e la sua dimora in questo villaggio, il P. rivelò  up' altra bella dote del suo ingegno multiforme, cioè la sua     • ♦     (1) A/SS. R. DM. Siu. di ^^opoU\ CoiK V. D. 15. — Oralio ad  TabornMtt : « Qao uullurn uialut pignua an>uHs erga se nioi TaWrnatea  hfbere queant, ai 'T « r     grauile perizia negli studi! atvheologici* Tare cli« nemiuMio  A Tavoriia nìaiica.sato calvgoricamento alTormaro  che bisognava riconoscere presso Taverna Tubica/iono doIPau*  ticaSibari(3}* 11 P., non potendo sopportare una ìmxÌA arro-r  gan3uì« scrisse contro T ignorante mtttihit'HuH una dottai ed ela-  boratali dissert-a/ione, nella quale, basandosi sulle testimoniaiuo  di Aristotile, Mela, Strabone, Tolouìco, IMìnio e parecchi altri,  oltre a determinare che V antica citt«à sorgeva tra^ flumi     (1) .V^\ A\ DibL Sai. di SapiìU. Ceni. XUI. H. Itì — De SyUri,  Oratili AC Tliurìo :€.... sUm^ proivus in à\ho Upidd lincao, nihìl  oiunìno sìgnanK ìisipio shuiliMit ipii iH>r tonobran aiubulaiit^ apprehcMiduni  (^uìo^uid ad maims oooiirrìt. IH qui bonis et iuali« auotoribuH suflar-  rinati, tcstimoniis utuntur, aut miniale necc»$arìi8« aiit contra oausam  certa suam »,   (2) .Vv« Sybari  Crathi ao Thurìo : « Ao ut agnoi^oant omnes ea quae tantum Crassus (1)  olfecisrìt ox inversi» Aristotelit rerbis e»s« nobis esplicata*».   il) Quoto Crasso non è punto GiOTffn&l Crasso da IVdaco, coma poco ao-  cortamentd cjr>Nlo(ta lo JanntlU «op. cit. |ui^. 8^), Anche ainmettondo che e^U noi  IMS fo»5e ancor vivo, si op porrebbe a una tale assorclone quella nobile lettera  del P. ( /V Kfbtis rtc.« pa^. ìi{ ; pr. laY., pa^. 9 ), al >uo caro maestro, dalla  quale appare che questi, più che schierarsi contro 11 suo antico discepolo, ricor-  reva a lui |>er schiariinenU e constigli.   (3> .Vò\^. /?. lUbL -Vai. di Sapoti. Cod. XUI, B, 15. — De Sybari  Crathi ao Tburìo : « Quantum fidei sit habeadum crassae minervaa ma-  gistellis, audentìbua atBrmare Sybarim adhuc oxtara iuxta Tabemaa, Jt  appallante oppidum, vel ex lioo iatelligi datur ».     > ■i"r'%ii I ,1 ».     •TT'.'>«»^^««^faat*4t^^i*#«>aM«MM»«s%v>«ab«M^M>»^-■—«> .« ■• -^' • '     98     VITA DI ▲• GIANO PABRAdlO     L* animo sensibile del P. restò fieramente colpito da si  brutto fiittOy che aveva macchiata V onorabilità della saa  famiglia; sicché, volendo honesto nomine cancellare l'onta  del nefandum cHmen, pregò caldamente il cognato Basilio di .  voler interessare, presso il Pontefice, il Lascari e V Inghi-^  rami, a fine di ottenere la bolla di dispensa per qnesto  matrimonio (1).   Durante la sospirata attesa il P., per allontanarsi forse  da un luogo per lui o. «j--^ ,-.^'.'-. •^;.^'^, ■fWtiai.iliM.i^lÉY.^lÉr.f.lfarflAjBiiftVWi-JJ     Se nel secolo XV farono ben poche le corti che accor-  darono ai letterati una vera e propria protezione, nel secolo  seguente esse si moltiplicarono, gareggiando fra loro nel di-  stribuire onori e ricompense. Non solo le reggie e le corti  dei principi potenti divennero centri di coltura e convegni  di letterati; ma le più piccole corti, i principi più oscuri,, i  cardinali e finanche i ricchi borghesi vollero circondarsi .di  letterati e artisti, che accrescessero pompa al loro nome;  di improvvisatori, novellatori, buffoni,' che li divertissero.   n principale centro di coltura nel Cinquecento fti però  Boma, dove nella corte di Leone X convennero da ogni  .dove uomini sommi e mediocri, attirati colà dalle pensioni,  dai donativi, dagl' impieghi, dai beneficii e dalle dignità eccle-  siastiche, che come manna benefica piovevano sul loro capo (1).   Educato nella splendida corte di suo padre Lorenzo il  Magnifico, Leone X, al x>ar di questo, fu prodigo e munift-     (1) Per farsi un* idea del gran numero dei lelterati, che allo, a in  Roma godevano della protezione di Leone, X, basta leggere il poemetto  di Francesco Arsilli^ Depoetù Urbanis^ gli Elogia Virar, litt, iUustrium,  4i Paolo Hiovo e il De infelicitate litteratorum di Pierio Valeriano. Im-  portante per conoscere la vita romana di quei tempi è, fra* tanU studila  r articolo del Gian» — Gioviang. ( Oiom. stor. XVil, 277 e segg. ).     .■.-«•^^««-^» •  iW.* W P     1jJ_i_«Ii iMi'uTiMiii •ir^i''*''' **■'■ I ■ * i»i^j«a>*-^     ■■f *t'--.-^.. .'^„»,^jì:^   Malgrado ana tanta aspettazione e lo continue insistenze,  il P., oome abbiamo visto, non potè recarsi a Boma che  verso la metà di febbraio del 1514; sicohèy tenuto conto  della lettera innata al Cesario, in data del 28 febbraio,  non prima dei venti di detto mese egli potè iniziare il sao  corso sulle Selve di Stazio.   Neil* orazione inaugurale, pervenuta sino a noi, il Jf.  mise a profitto tutti i suoi mezzi di retore raffinato, non  escluso quell'artifizio di parere nel suo esonlio perplesso e  titubante, per procacciarsi la benevolenza del pubblico, giusta  V ammaestramento di Oicerone. Dopo un accenno alla gran-  dezza del popolo romano, rivolge un cortliale saluto al La-  scari e alP Inghirami, protestando loro pubblicamente tutta  la sua profonda gratitudine (1). Non mancò naturalmente  in tale circostanza di far cadere destramente il discorso  su Leone X e di tributare le più calde lodi al munifico  Pontefice (2).   Oome concordemente ci attestano gli scrittori contem-  poranei, il P. destò a Boma il più schietto e generale en-  tusiasmo (3). Sebbene allora la città riboccasse di letterati,  alcuni dei quali di meriti indiscutibili, come il Cattaneo» il     (1) MSS. R. BibL Nai. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefatio la  Sylvas Statii : € Nibil it&que dcsperandum Jano «luce et auspice Phaedro,  in quorum blando obtutu, tranquillo vultu, bilaribua oculia acquiesoo*  Quibus ingentes ago gratias, habeboque dum vivam» quod me gravissimis  apud Pontificein sententiis ornaverunt^ ubi vel nominarì aunimus honor est.   (2) MSS. R. Bibl. Nas. ut Napoli. Cod. V. D. 15. ^ PraefaUo la  Sylvat Statiì :€.... per quos ulrumque inibì contigli indulgentia  sacrosanctì Pontificis, divique Leonia X, qui maxime rerum usu, incom-  parabili prudentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili elo-  quentia, proroptissimo ingenio, castissima eruditione polle! ».   (3) Giovio — Elogia etc, pag. 208; Onofrio Panvinio. — Proém.  Deci. 1 2Xf applausu erudii. ; Filippo Briezio — Annales mundi, T VU,  pag. 130 ; SalemI — SylvlUae^ Parrhasii Epicediatt^ pag. 140 eco. • . •*•     . ^ -o-^ '' i»' Fra* tanti stimiamo degni di nota i seguenti versi dettati allora  da Antonio Telesio, V elegante e terso poeta cosentino :   Tlbrifl et obstupnit doctae modnlamtae tocIs,   Assonult riTifl haee quoque Tlbrl tnls.  Fsf flus et buie uni es Teteres cestisse Quirites ;   Tarn Latiis sonat hic dulce magis LaUum.  Attice et Actaes msgis Urbe loquutus et Ipsa est»  Hospes divino dlctus ab eloquio.   (3) Affesionato come era ali* amico carissimo, il P. si adoperò a tnt-  t* uomo per procurargli a Roma conttitionem et ìocum ; ma il Cesario,  malgrado le continuo insistenze di lui, (Epist. XX-XXIX^ non si mosse  da Cownza. Forse era rimasto poco bene impressionato alla notizia obe  gli forniva il P. stesso ( Epist. XX ) : e In Urbe singulae regione» sin-  gulos babent praeceptores ex aerario conductos, et qui nibilominus t  prìvatls certam exigunt mercedem ». Troppa bollai        rfMUitflri     ^>rfki««»«i''*Mh^     VITA DI A. GIANO PAERA8IO     103     uno stipciKlio «li jxran lunga sui>oriorc a quello di tutti loro (1).  Ma il P. questa volta, reso ornai abbastanza pnitico ilolla  vita, lasciò i>ure olio i cani riu^irliiosi abbaiassero alla luna,  li umiliò con un dignitoso silenzio, che gli valse loo di  letterato infelice per la sua nota opera, volle caricare un  po' troppo le tinte (!;•   Conoscendo poi la speciale protezione, di cui godeva  il P«, non è da credersi che gli fosse diminuito V assegna-  mento, o per lo meno ne fosse nt4irdata di molto la ri-  scossione, come vorrebbe insinuare lo Jannelli, il quale,  temendo che al suo x>rotagonista dovesse mancare il tempo  per fondare V Accademia Cosentina, mostra gran premura  di rimandarlo in Calabria. InfaUi, adducendo a motivo la  miseria di lui, la morte del cognato Basilio e degli antichi  protettori, Fedro Inghirami e il Cartlinale d' Aragona, e in  ultimo la partenza del Canlinale Adriano, altro caldo am-  miratore del nostro umanista, alTerma che questo lasciò Roma  ineunte anno 1521 (2).   Non occorrono molti argomenti per combattere questa  gratuita asserzione, in sostegno della quale lo Jannelli non  sa addurre alcuna prova. Basta infatti riflettere per poco  su ciò che il P. scriveva a eratìooe ductnt....»   (2) Op. cit., pag. 115.   (3) De Rebus etc. ediz. cit., pag. 143: « Certe 8i quid ingenii, si  «|uid eruditionis in me, si dicendi commodi'aa est, id omne effundaa  prodendis iis, quae tot anoonira varia Icctionc compcrta, conquìsita, col-   lectaque luihi sunt in usum studiosac iuvcntutis ut siquidem fructum   lostcritas inde percipiet, acceptum rcfcrat Pontifici prìmum Maximo,  deinde Sylvie nostro, per quem conciliata mibi Pontìficis voluntas est ».     ••. . »■• » ■ i >»'«'•..'# ^ t • • » -te ■   detta partenza un anno pia tanli, quando cioè per la morte  di Leone X, avvenuta il 1 dicembre 1521, essendosi seccata  la fonte delle largizioni, e non potendo, per la malferma  salute, procacciarsi da se il necessario sostentamento, il P.,  come tanti altri letterati, lasciò Boma e si recò a Cosenza.  Quivi non visse a lungo, poiché, come ci attcsta il suo  contemporaneo Pierio Yaleriano, fu subito colpito da febbre  mortale, che, dopo penose sofferenze, lo trasse alla tomba (1).  Nessuno dei biografi contemporanei del P. ci ha tra-  mandata la notizia circa 1' anno della morte di lui ; sicché  i biografi posterìori (2), ignorando gli avvenimenti ora ri-  cordati, solo perchè il Salemi nel 153G aveva pubblicato  tra le sue Sylvulae anche V JUpicedion, scritto parecchi anni  prima in lode del P., credettero di avere una prova irrefra-  gabile per ritenere che questi mori tra il 1534 e il 1535.  Senza punto trattenerci intorno a questa asserzione, che  cade da sé, quando si rifletta che i componimenti poetici  raccolti e pubblicati dal Salerni appaiono composti in tempi  diversi (3), crediamo opportuno prendere in giusta considera-     (1) De infeliciUUe ZiM.» pag. 24 : € ... . relìcta Roma, in Cala-  briam cum secessisset, in febrim subito inciditi  Nicolai Salerai consentinl Sylvuìae Epicedicae, Encomiastieae,  Satyricae ac Paraeneiicae — Variariimque aliamm rerum descripiiones  fortasse non inutxles — Neapoli, SulUbach, MDXXXVI.     i••^•■*•^*!^*•*^p"**'**^*''^T^^^.. ! ' .. tf^.*.. .^•» '«■ -«•■•*.»>.«     m„-*'mì^'%u',*.  zione le testimonianze del cosentino Antonino Ponto (1) e  (li Giano Anisio (2), suggeriteci dallo Jannelli (3).   Tanto il primo che il secondo scrittore, parlando di  Adriano VI, eletto Pontefice il 9 gennaio 1522, ricordano  con rammarico la morte recente del Parrasio. Ora, conside-  rando che questo ricorilo di una delle più grandi illustrazioni  del Ginnasio romano non può riferirsi che ai primi tempi  del pontificato di Adriano VI, quando cioè non ancora era  nota la sua avvei*sione ai buoni studìi e quell' orrore per  le cose pagane, che gli procacciò 1' odio dei letterati e i poco  lusinghieri epiteti di e furibondo nemico delle muse, della  eloquenza e di ogni arte bella >, riteniamo che il P., ritor-  nato a Cosenza, verso la fine del dicembre del 1521, se-  guisse ben presto nella tomba il suo protettore, Leone X (4),  nel seguente gennaio 1522 (5).     Dopo quanto abbiamo detto, non crediamo sia più il  caso di affacciare alcun dubbio circa V epoca della fondazione     (1) Romiiypion — P. li, Roi io 1524 : i Interpres, carusqno sacerdoi  Parrhaslus, quem clara femat monumenta per orbem   (3) Op. cit., pag. 1 15 e seg.   (4) Salbrni — op. cit. :   Leo PaMor ovllit   Romani aethereos tandem niii;ravit In arcea,  Unile suum ius8lt propere ad meliora Tenira  Praemia Parrhasium   v5) Lo Jannelli, sebbene non traesse dalle prove addotte una con-  vincente deduzione, non si scosu di molto dalla nostra tesi, ritenendo  che il P. morisse € desinente ipso anno 1521, vel ineunte 1522.     dcU' Accademia Cosentina, attribnita al nostro umanista (1).  Scy come crediamo di aver dimostrato, e^li non visse che  poco tempo dopo il suo arrivo a Cosenza, è chiaro che  questo notevole avvenimento non potè compiersi se non nel  primo ritorno in questa città, e specialmente in quel periodo  di circa nove mesi, che va dall'agosto 1511 all'aprile 1512 (2),   Sebbene non precisasse alcuna data (3), il Fiorentino,  nel primo volume del suo Teìcsio, pubblicato nel 1872, si  mostrò di questo stesso parere, combattendo V asserzione  del Lombardi, che aveva riportata la fondazione dell' Ac-  cademia al secondo ritorno del Parrasio (-1). Due anni dopo  però il Fiorentino, avendo letto il commentario dello Jaunelli,  mutò avviso e stimò jiiù probabile che detta fondazione  avvenisse nell' ultimo ritorno (5).   A quanto x>are, il dotto filosofo volle prestare troppa  fede allo Jannelli ^5), il quale, come abbiamo visto, oltre a  mostrarsi non molto esatto nel xirccisare dove e come il  P. passò in Calabria il triennio 1511 - 1514, non seppe teucre     (1) Spiriti — Memorie degli Senti coseni. Pref,^ pag. 0; Mattei —  Vila Patrìknsii^ odix. Dì Rebus ^ pag. XV e sog. : Tirahosthi —  Sloria ecc., T VJI, pag. l^; Signorei.u — Vicende della Coltura ecc.,  T. IV, pag. ^0 ; Biografia Unicers, T. XLII, peg. 464 ; Nuovo Dizion.  Ist. T. XX, pag. 174.   (2) V. pag. 91.   (3) Ignorando 1* anno preciso della prima venuta del l*. a Cosenza,  il Fiorentino opinò* € che 1* Accademia cosentina fosse cominciata fra  gli anni 1500 • 1514 ».   (4) Andrea Lombardi -* Discorsi accademici ed altri opuscoli, terza  edix., Cosenza — Pei tipi di Giuseppe Migliaccio, 1840.   Fra* non pochi errori commessi dal Lombardi nel Saggio storico  sull'Accademia cosentina, che P. S. Sai fi volle chiamare € quadro preciso  e fedele della sua origine e delle sue vicende » nella troppo benevola  prefazione, notiamo quello circa V anno della morte del P., secondo lui  avvenuta nel 1534.   (5) V. Op. oit., Appendice al Voi. II, Firenze, Succ. Le Monnier.] giasto conto delle prove di scrittori autorevoli, attestanti  tatti concordemente che il P. morì poco dopo il suo iirrìvo  a Cosenza.   L' Accademia cominciò quindi ad aver vita tra la fine  del 1511 e il principio del 1512, quando appunto si trova-  vano a Cosenza Antonio Telesio, Francesco Franchini, Niccolò  Salemi e, come pare, Galeazzo di Tarsia, il gentile autore  di quelle tenere poesie, che destavano nel Settembrìni il  desiderio di altre.   Mai come allora Cosenza si era trovata in condizioni pia  favorevoli per un vero risveglio lettei-ario. Caduta la Calabria  sotto il dominio spagnuolo, dopo l' iniqua divisione del regno  aragonese, essa, a prcrcrenza delle altre città, era stata fatta  sogno a speciale protezione. Vi erano state raccolte le sa-  preme cariche, riconfermati gli antichi privilegi e creata  quasi un' altra capitale del regno (1). Fu allora che venne  su tutta una flora di giovani baldi e volenterosi, che, spronati  da vivo desiderio d' imparare, si affollarono intomo al maestro  insigne, che capitava tanto opportunamente tra loro (2).   Prive della pompa e dell' ostentazione moderna, allora  le Accmlemie, nei loro primordi, non erano altro che amiche-  voli convegni, in cui pochi amici dotti e di buona volontà  discutevano su questo o quel passo di scrittore classico,  oppure davano lettura di qualche componimento letterario.  Quest' umile principio ebbe anche V Accademia Cosentina,  la quale pare che per un certo tempo non fosse neppure  denominata in questo modo : come ben diceva il Fiorentino,  ci ora il fatto e mancava il nome (3).     (1) Fiorentino — op. cit., edit. cit., V. I. ^  (2^ Fra ì tanti ricordiamo i Martirano, Pierio Ciminio, CUrio Leo-  nardo Schipanio, Giovan Hattista Morelli', Andrea Pagliano, Carlo Giar-  dino eoe    n P. contribui all' incremeuto di questa istitaziono anche  qaando si allontanò da Cosenza, poiché, come ci attcstano  le lettere inviate al Cesario (1), ad Andrea Puf^liano (2),  a Giovan Battista Morelli (3) e ai>itiM' ■        1     4.     1 •     « Or non parrebbe che cote»ti scrifU«  ( ParrasUnl > del quali pochiwlml sono  siiti impressi, valessero li predio della  stampa, più che non tanto Insulsaggini  tramandate con tanta curai »   P. PiORKNTiNO. ~ Bernard, Telesk^ T. 1.     APPENDICE     ^ « • w — «     ^. ■ -^-^.^^,- ..- ■ r ■■■ I •■ 1 fi-rfaal     i j nr- -W • - ■"' I - *"■'-. ""'" '^^' '*'■ '■*"'     AULI JANI PARRHASn      m     m   PRIMUS   AD VITAM EIUS NARRANDAM   EX R. BIBL. NAT. NEAPOL. CODICIBUS   EXCERPSIT   ET TEMPORUM ORDINE   DIGESSIT     B     FRANCISCUS LO PARCO     ^^M^V -k- — • ■ ' » .     ^ >iin«">»»i        OHAIIO AO PATHITIOS NEAPOLIIANOS   Ciro. 1493 s,2) (Cod. Y. D. 15)     0)     Ponsitanti sacpo mociim, viri pntritii, oruditissimi iavones,  iuj;:cuiiiqiio adolcsccutuli et coatcmplnnti qnam proeclarara pri-  sci illi Romani publieae aclministrationis formam/in postcrum  rem populi susccpturì, per maous tradideruut, uihil occurrit  quod non summo in*renio exeogitatum, maiori studio expo-  litum, maximo Consilio ac prudentia gestum indicotnr: ut  niilìi quidem undecunique eorum non modo bella, sed etìam  paces per historìas exploranti, quam apud omnes obtinent,  o)nnìone diguissìmi videantur. Sed illud praecipue militane  disciplinae institutum, quo adolesceutes ad palum intra val-  ium prius impense exercerì, quam serìae dimicationi interesse  iubentur, usque adeo me delectàt, ut, in re lioet diversa,  ab iuenntibus annis hactenus observarim.   Haud enim quodpiam vulgo unquam commisimus, prin-  squam per doctissimos utriusque linguae grammaticos, prò meo  ingenioli captu, eruditus in ludis litterariis satis superqne  delituisse visus sum. Et, ne ab id genus similitudine disoe-  damusy quem ad modum tirones ad palum punctim caesimqoe     (1) V. hoius op. Gap. Il, pag. 13 et aeqq.   (2) In omnibus orationibus et cpistulis annum et iascrìptionem  Parrhasius non apposuit.     ^ ■ ^M »■■■■■     >1> HT i» rfi > nf m • ■ i r ^.i li. ■ ■ k, •- ■ ,> . , , f^ - -^ -„ , ^^^ ^ ^J-t;-. . , - •- '. . , ■ '_ '^.„^.,;^ , .;^          ferirò discobantur a vetoranis, ac ex ilio commentitio pugnae  Biinulaoro quod in vera dimicatione magno mox usui foret  imbibebant, ita et nos primo, quoad fiori potuit, haud tamen  8cio an supra omnes nostri coeli ao aetatis homines, non citra  bonae valetudinis dispendium, sed eruditissimis viris non  modo nostratibns litteris, vorum etiam graeeanicis operam de-  dimuSy nty si quid in communem rei litterariae utilitatem  excudere libuisset, perinde ao in penuria cellam haberemus  in promptu. Ao ne sio quidem, tametsi pares huie oneri  complnribns videbamnr, au-  ^natus, P. Papinii Statii, poetiu*um oppido quam doctissimi,  quem urbs haeo florentissima universo terrarum orbi, quo-  cumque latini nominis fama percrebuit, non iniuria queat  imputare, Silvarum opus haud omnibus obvium, singulis  lectionibus, enodaturum promiserìm.   Scio profecto, neo me fugit quam arduam quamque  difflcilem provinoiam sim aggressus, quamque implicitos ao  inextrioabiles paone nodos absolvendos assumpserim , et  vestrum fortasse plerosque nostros hos conatus ut audaculi,  ne dicam impudentis, reprebensuros, quod huius aetatis ado-  lescens in totius Italiae celeberrima urbe, ubi omnium bo-  narum artium studia poUent, in tanto praesertim doctissimo-  rum hominum conventa subgestum hoc ascendere non eru-  buerim. Insta sane et non improbanda incusatio, si aut meo  consilioi aut sponte, non dicam ultro, hoc munus obiverim.  Verum hoc erga amieos nimiae indulgentiae trìbuendum potius        I.'     OKATIONK8 BT EPI8TCLAX erity quibus dura in oinnibii9, iikmIo honesti spociom prae se  fcranty obsecumlo, iu aiudaciae crimon incarri. Sed quaeso  vos per tlcos iinmortales, viri pntritii, boui consulite, proqae  Ycstra 8olit4i hiimanit-ate statuite.   Quuiu saepe niecum parcutis omniura naturae exactum  umlique opus inspicio, uihil oecurrit, viri patritii, quod non  magna cum sapieutia productum, maxiaiaqne diligcntia di-  spositum sit; scd illud imprimis ad hoiniuum coetus non  solura tuendosy veruni ctiaiu decorandos non par>i momenti  visual est, quod omnibus auimantibus gloriae ao laudis af-  fectum iudidorit, praccipuum, ut arbitror, ad implondos totins  opcris numoros adiumentum. Nam quid utilius, quid fnigins,  quid couducibilius affectu hoc queat invonirì T Quippe cai,  si quid cxcultum, si quid politius immo utile excogttatum  est, iure ac merito referamus acceptum. Inde sunt etenim  tot ao tant;irum rerum iuveutioues, inde tot saeculis artes  incoguitae prodierunt, inde, indico, semper aliquid inventis  adiicitur, inde tot \irorum din noctuque elaborata monumenta.  Kam si couditis usque saeculis inventa altius repetamuSi  omnia ab hoc affectu profecta inveniemns.   Missum facio Promethca, quem quid alimi, ut in fabnlis  est, ad snbtrahendum Superis ignora compulit, nisi ut inventi  gloriam reportarotf Omitto Liberum ao Cererera, quorum  uterque hac eadem causa a ferino ilio victu homines revooaviti  quippe quum alter, ut aiunt, >inura repcrerit, altera vemm  frumcntum excogitarit. Nonne litterarum notae ao dementai  sive Cmlmus, sive alter invenerit, inde ortnm habueret   Quotusqnisque, ut ad rem litterariam adveniam, tam  maximos studiis labores impendisset, nisi uomen ao gloriam  inde adsequeretur T Eudoxus Gnidius complures sub montibns  annos egisse traditur, ut mathematica disciplina, anni ratio-  nera solisqne meatus perciperet. Sed haeo ut remotiora  fortasse praetereo. Hac nostra tempestate viri et ingenio et  doctrina praecipui multa- et nova et utilissima excudnut:     \     ■■.'. ^ ■.-.■>■■—*■> ■ ^ ' ^A . .. •. ■■tifc... .-'1? — ^ i "^--^-irÉ un I >i' Tt t Kurw HI. ■ »u t:X, i L.l.         patrum nostroriim memoria cnleliographia, qnam Latini vocaut  improssionom, a Germanis excogit>at>a est non tam lucri quara  gloriao cupiilitate, nam eorum plerosqno huiuact>am : De Fortitudine he-  roiva luculentissimum opu?, de quo seor$um praeter eum  nomo scripsit. rrincipvm vero ab iucunabulis ito instituit,  ut felicia rogna futura 8int quibuscumque, qualem ipso in-  formata princops obvenerit, Ohedientia^ vero partes it4i dis-  sorit, ut ad hanc onines virtut^es referantur. Quid eius Cha-  ronte gravius, quid rurs«us festivius aut elegantina T Quid  Antonio doctius, in quo illud prnecipuum duco duos totius  romani eloquii principe!*, Ciceronem ao Vergilium, sic ira-  proborum caìumniis absolutos* ^i u*ostrigilatores maiori qnam  ipsi Maronora ac Tnllium licer' 'i momorderit. Tacco Serto-  riunij quo piane uuusquisque fat-etur veterem illam scribendi  felicitatcm revocat*am. Unde vero vir doctissimus inter tot  ao tanta^ occupationes din noctuque bis studiis incubueritf  Nulla alia re, quid enim sibi ad humanam felicit>atem, Bege  tam praesenti^ deesse pot-erat, nisi ut gloriam sibi apnd  posteros compararet.   Atque sic habetoto nnllos satis improbos esse ad vir-  tutem conatus. Quis enim Lucanum accnset quod huius aet4iti8|  aut paululum, supra, PharsaHa^ bella detonuitf Nemo est  profecto qui Valerium Gatullum, Propertium Naut*am, Albinm  TibuUum^ Oaium d'enique Balbum non admodum laudet, quod  omnium ore cant>anda adolescenies edidernnt. Quotusquisqne  invenitur qui mactum virtut^e esse non iubcat, si poetam  Oylicem Oppiauuui scripsisse compererit admotlum praetexta-  tunii quao etiam doctissimi soncs studiosissimo legantt Qnod  si aut illi quos diximusi aut oeteri, quos brevitatis causa        t ■     rtM«*«Mk«teMii*«i«MÌNarfai*«»««MMMk     I^M^^aBM>Wfc»aque orationi modnm 8t^tuam, si illnd nnum piias  admonuorim. Si quid in his qnao dixero ofTondet, omnibus  enim piacere csset immensnra, roeminisse debebitis nihil es86  in humanis quod nndecnmqne possit esse perfectum, vota-  stissimosque granimaticos ante oculos penero qui etiam in  plurimis lapsi dopronduntur (ueque omnibus esse Pont4Uì08,  Aurolios, AltilioSy Actios ^^anazaros ao denique Dionisios  Superi coucessere, immo siugulis virtutes 6ÌnguIaS| ut est  apud optimum maximumque «^oetam}, et priscos illos, quomm  adhuc auct-oritas vigot^ mulUi scisse non omnia.     \     ■**— I ^ « ■ i M *ilW>« • t ^ V »^> I     ■ I lg»i I ««, I M^»^li, ,,^,, „^ , , » ■•■ .*'W^^.^ .^ «     n     PRIVILEGIDM «   (In R. Archivo Ncapol. — CoUat. Prìrileg. Aragonensium  Voi. VII. 1494-1495. — fol.. 75).     J. PAULI DB PABISIO     Alfonsos et cetera, uniTersis et cetera, licet adioctione  et oetera, sane prò parte nobilis et egregi! viri J. Paali de  Parisio de Gusenda, familiaris nostri fldelis, dilecti, fait  Maiestati nostre roverenter expositam et amiliter sapplica-  tam qaod Panlus ipse ex concessione sibi facta ad eius Ti-  tani per Serenissimum Ferdinandum, patrem et dominam  nostmm colendissimam memorie recolonde, habuit, tonnit et  possidet, 6ÌTe exercet oiBciam magistn Oamere et magistri  actomm penes Justiciarios, sen Gapitaneos torre Tabomei  nec non officiom Gavàleris penes Gapitaneos terrarum mon-  tanee et Givite dncalis cam potestate sabstituendi, cam gagiis  et emolumentis, lacris et obveutionibas solitis et consaetis  et debitis, proat in qnibasdam prìTilegiis per dictnm genito-  rem nostmm sibi propterea concessis hoc et alia clarins     (1^ Cum hoc unum monumeotom nobis in R. NeapoliUno Ta-  bulario invenire contigisset, facile animum indaximat, ut hoe loco  ederemns, codicis scrìptura diligenter servata. — V. huiat op. Gap. li,  pag. 19 et seq.     aatm n m »>t» . >id i >tr il     .J     PBIYILBOIUX 135     aDQotantor. Dignaremur sibi ad eius vitam dieta officia iaxte  tonorem dictonira privilegiorum de speciali gratia benignins  coufirmare. Nos autem habeutes respeetum ad merita sincera  devotionis et fldei prefati Paali, ao considerantes servitia  por euin Maiestati nostre prestita et impensai qneque pre-  stat adpresens, et ipsnm de bone semper in melius conti-  uuatione laudabili prestiturum speramns, propter queqne in  iis et longe maioribus a nobis exauditionis gratiam ratìona-  biliter promeretur, iis et aliis considerationibns et caosis  digne moti, prefato Paulo ad eius Tito decursum iam dieta  ofilcia actorum magistri et magistri Camere penes Insticiarios  seu Gapitaneos diete terre Tabeme et officium Oavalerii penes  Gapitaneos terrarum montanee et civite ducalis cnm potestate  in eisdem oIBciis substitnendi. De quorum substituendoram  culpis et defectibus Paulus ipse nostre Ourie principaliter  tcncatur cum gagiis et emolumentis, lucris et obventionibus  solitisy consuetis et. debitis, iuzta formam dictomm preno-  minatorum privilegiorum. Ipsaque privilegia cum omnibus  et singulis in eisdem contentisi oxpressis et narratis, qua  licot presentibns non inserì 'itur, haberi tamen volnmus prò  insertis et expressis et dcclaratis, si et pront hactenus in  possessione sou quasi fuit cl in presentiarum existit. Tenore  prosentium nostra ex certa scientia specialique gratia oon-  firmamus, acceptamus, approbamus, ratiflcamus atque lan-  damus, nostreque confirmationis, ratificationis, acceptationis  et approbationis muniraine et suffragio validamus et robo-  ramus, volentes et decernentes expresse quod presens nostra  confirmatio sit eidem Paulo semper et omni futuro tempore  firma, stabilis, realié, utilis et fi*uctnosa ; nullumque in  iudiciis vel extra, seu alias quovis modo sentiat diminutionia  iucommodum , aut impugnationis obieotum sive obstaon-  lum, vel noxe alterius detrimentum, sed in sua firmitatCì  robore et officio pcrsistat. Illustrissirao propterea et caris-  simo filio primogenito Ferdinando de Aragonia, duci Gala-     •^•('«^*MtoiV4  PRIYILBaiTTX     briO| vicario nostro goncrali, nostram super iis doclaranios  iotontnin Mamlamus magno huius regni Camerario ciusque  locumtenenti j presentibus et rationalibus Camere nostre  Summarìe^ Jasticiario seu Capitaneo terre Tabeme , et  tcrrarum montanee et Oivite ducalis, Universitatibusque et  hominibus ipsaram terrarum, aliisquo univcrsis et singulis  ofTìcialibos et siibditis nostris maiorìbus et rainoribus quo>ns  officio auctoritate et dignitate fungentibus nomineque nun-  cupatis ad quos sea qucm prescntes per\*enerint| et sxiecta-  verint seu fuerint quoraodolibet presentate. Qnatenns forma  presontium per eos et unumquemque eorum diligenter actenta  X)refatum Panlum, seu eins substitutos ad dieta officia exer-  cenda recipiant et admittant, retincaut atque tractent de-  center et favorabiliter prout expedit in eisdem deque gagiis  et emolumentis, lucris et obveutionibns solitis consuetis sibi  respondeant et per quos decet responderi faciaut atque  mandeut integre et indiminute prout hactenus extitit con-  suetum. Kt contrarium non faciant prò quanto dictus Illn-  strissimus Dux filius noster nobis morem gerore cupit, Getcri  vero offlciales et subditi nostri gratiam nostram caram ha-  bent et xienam ducatorum mille cupiunt evitare, in quorum  testimoniorum etc*   Datum in felicibus Oastris apud Sulmonem per magni-  ficum virum Antonium de Alt^xandro locumtcnentem etc.   Die Villi Julii MCCCCLXXXXIIII Regnonim nostro-  rum anno primo Bex Alfonsus. Dominus rex mandavit  mibi,   P. Gablon Jo. Pontakub   Pasoasiub     r     MM^MaMHkaA^aadVAMaaataa iM^kMBaw «MF*«# I     .^M^*^^«— i— ^i^»— ' tm-*mdtt0mé^m^mmm>tk^tmm^^'^JmÌ^i^,^A^^^t^     ^     «     I     UI     EPISTULA AD FEHDINANDUM II ARAGOIilUM ^'^   Neapoli 1495 (COD. V. F. 0)     Quod a me de Sarapi quaeris, illustris ac omaiissiine  PrìncepSy utinara sic ad te reducendura prosit in avitam  perditumqne (?oIiuin, quo nulla tua culpa caresi ut olim  Ptolomaeo, Lagi filio, ad constituendas Aeg^'pti opes. Ilnic  cnim recens comlitam Alexandriam mocnibns sacris et no-  vis religionibus excoleuti, per quietem dicitur obversatos  augustior humana forma iuvenis, atque monuisse ut i>er  cortes homines eius eflìgiem acciret e Ponto ; id antein fe-  lix fanstumque et amplitudini sibi gentiqne suae foro; enn-  demque iuvenom plurimo igni rutilantem cum dicto simnl in  sublime raptum evanuisse. Quo miraculo Ptolomaeus e somno  excussuSy adhibitis Aegypti sacerdotibus, imaginem nootumam  visumque narravit. . Hisque extemorum ignariS| remqne ex-  pedire nescientibus, quidam nomine Sosibius, qui vagis er-     (1) ExsUt in codice 'duplex huiut epistuUe exemplar. Manifeste ap*  paret eara ad Perdinandum II Parrhasiuin misisse, cum ille Neapoli in Aena->  rìam insulam confugerat (IX Kal. Mari. 1495). Quod mìnime mirarì debe-  mu8, cum perpendaroas, ut Era smus Percopo. in opere, quod inscrlbitor  Benedetto Gareth^ luculente demonstravit, infelicem regem semper, etiam  in roaximis advenis rebuK, ad animum tttum erìgendum, in bona studia  incubuisse. — V. huiut op. Cap. 11, pag. 17 et seqq.     \     ^>*. * ^«^ fa ■ m ^ m^»0>m.mi^mam à ■■ t»U » w i     ■"■»* ■" ■■^— i«  ■» ■■ ■» ■ ii w ii » m m ^, fa ■ ■ >t'priorum tymnno, quis   haberi deorum vellet, ad hanc senteutiam graece respondit:     Siiin Deus ipse, tibt qualein me cannine pandam :  Regìa celsa poli caput est mihU caerula venter  Unda roarìs, calccsque pedum tellurìs in imo  Cespite nituntur, mea tempoia lucidus aether  Arobit, et accendant oculos mihi lumina Pboebl.   Dioilorus autem Siculus, in Bibliotbecis, Osirim, Sa-  rapim, Liborum, Ditem patrom, Ammonom Jovem, Pana,  eundom dcum esse existìmat. Aristippus, Arcadicorum primo,        ■if -- • ì ■*- T — — ^ Il 'i ^ — ■^-r'i'—ii^ f-^tir- ir-fitfirif i^^Tn- >»f^il«ii->- IT — — "^^^^r^-^Ti-'—tààìimi- lìkimàéÀJi     ORATI02fS8 ET EPI8TUXJLS   refert Apim, Argivorum rcgom, Mempbim in Aegypto sodém  sibi ooudidissOy qiiem postoa Sarapim transnominatum Ari-  stcos Argivus autumat ot huno ab Aegyptis attonita sapereti-  tiono coli. Xymphodorus Amphipolitanos auctor est in bis  quae de logibus xVsiao composuit, Apis tanri, cum decessisseti  salo duratum cadaver iu arca, quara Graeoi acpÓ¥ voeant ,  esso comlitum, ex coque duplicato nomino Soro-apim demnnique  Sarapim, nnucupatum.   Porphyrius autem philosophus Sarapim cum Plutone con*  fundity ut ca soli vis, unde proveniunt opes, Orcus et Pln-  ton et Dis pater appellotur, quatenus autem vitium terra  sentit ad Sarapim pertineat; abstrusique intra terram ignis  inditium purpurea Dei vestis, infemae vero potestatis basta  trunca, atque cuspis deorsum conversa sit.   In Aegyptura translato Sarapi, templum prò magnitudine  urbis extruetum^ loco cui nomen Rhacotis antea Aiisset. Apnd  Tacitum iogimus : eius templi hostium anni certo tempore  patefaciebant ipsi sacordotes, admotis ad rem divinam aqna  et igni, quo4l baco dementa maxime praestent.   Dominatu Julii Caesaris incendio consumptum recitafc  Busebius. Illud addimus ex Plutarcbo Alexandriae primum  indigitari coeptum Sarapim, Aegyptiorum lingua Plutonem  significante vocabulo. Is fingebatur hunc in modum : prae-  stanti forma atque aetatis iutegrae iuvenis, qui subieeto ca-  pite vetusti operis quasillum gestet. In quo Macrobins, is  qui deos omnes ad unum solem confort, ipsius sideris alti-  tudinem siguificari contendit, et vim rerum omnium terrena-  rum capacem, quas immissis radiis ail se rapiat. .   Imago vero tricipitis animantis adiuncta simulacrO| quid  aliud quam tripartitum tempus ostendit, in id quod est,  quod fuit, quod futurum estt In leonis ergo capite qnod 6  tribus medium se altius erexerit, tempus instans exprimitori  inter praeteritum futurumque tam breve, ut quibusdam nxù^  lum videatur; iu cui*sd enim semper est, it et praecipitafe,     \     m - T. . - -^— ■ 1. T ri- ' I H j » i»»w*i r_'ìf 1 ' III ■ I n. i^i > 'ti ni IT | - l-i i i ' i *^ -A.^-^ ^ •«■ • -làr:.. ^.- .^^ . ^. ^_. ^ ut i m ^iin         ante desinit esse qaam vonit. Est onim leo natura fervens  ac in agendo quod iinminet validus. Teinporis vero praeteriti  cervix lupi rapacis a sinistra parte oriens argumentum ore-  ditur, eo quod por id animai rerum transactarum memoria au-  fertur. Oeterum canis caput a dextra adulantis specie renidenS|  futuri temporis eventum declarat, de quo nobis spes licet  incerta blanditur. Quis enim non suas cogitationes in lon-  gum porrigit! Maxima porro xìtae iactura dilatio est; illa  prinium quemque extrahit diem, illa eripuit praesentia, dum  ulteriora promittit; perdimus hmlicrnum, quod in manu for-  tunae positum, disponimus, quod in nostra dimittimus.   Olamat ecce poetarum maximus, velut divino ore in-  structns:   Maxima quaeque dios aevi prìuia fugit*   Quid cunctarisy inquit, quid cessasi nisi occupas, fngit;  cum occnpaverìs tamen fugiot. Itaque cum celeritate tem-  poris utcndi velocitate ccrtandum est, et velut ex torrente  rapido nec semper cnrsuro, cito hauriendum.   Audio te esse egregiae indolis adolcscentulum, animo  alaorem, ingenio potentem, frugalitatis et continontiae in  istis annis admirandae, patientcm laboris, a volnptatìbus  alienum, fìrmiterque laturum quicquid inaediflcare, quicquid  tibi fortuna voluerit imponere. Cui si nondum omnos ad  unum bonos libuit excindere, si nomen Aragonium propitia  respicit, te, lapsis tuorum rebus, incolumem servabit, discet  abs te clementiam mitissimoque principi mitis aliquando fiet.  Tu rursus maiores tuos intueri debes ascitos coelo, ope-  ramque dare ut nude per iniuriam deiectus es, industria vir^  tusque te reponat. Ante meos obitus sit, precor, ista dies.   Deditus ac devotns   JAMU8 PASBHASIUB     »■■*■     •t^^tmmmii^mtmtmm^-im     té^maif^tmnmrt i ii '■'■^^■dfcn*     i^-»-     tm Cm^^ m iiJfcéi^MiMiiiÒfai     IV     OHATIO I IN ALEXANDRUM MHiUTIARUM   Mediolani 1501 (Cod. V. D. 15)     0)     Ismcnias ilio Thcbanus, sammus oetate sua libiceli,  quos in arto discipulos habobat, iis auctor erat ut alios eiaa-  dom studii profossores ot quidem malos adiront. Quod ita  foro putabat, ut ot illi quid in canondo soqaondum aut fa-  giendum essot ab alionis erratis erudirontur, ot oius alioqniii  non iniucundao modulationi, oomparationo peioris, gratiae plus  aoooderot.   Id nos oxomplum, quod maximo probaromus, in usnm re-  vocano tentavimus: an aliunde factum putatis, ut iUam pocudom  (Minutianum) vos audituin misorim^ quam ut roconti perìculo  cognoscatis quid intor Apollinis ot Marsyao cantnm differatt   Non dubito, qnae vostra sagacitus ost, qnin onmes in-  tolligatis illum noo ingonio, noe oruditione valore, qui per  se nihil unquam parit, ab aliis omnia suppilat, ao ut igni^  vissima volucris relictis cadaveribus saturatur, ot, quo nihQ  impudentius, oiusotiam, quom tortio quoque verbo crudelissime  lacerat, quo se potiorom iactat, inventa recitare -pro som  non oruboscit.     (1) V. huius op. Gap, li, pag. 40 et aeqq.  Audistis, arbitror, audistis, ornatisf^imi mveues, cum, nu-  dins quartns an quintus abbino est, poctarara genera nostrìs  tantum non verbis enumeraret, quaeque nos anno superiore  ex auctoribus graecis accepta, vobiscnm oommunicavimus j  eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, magno verbornm  strepitn blatteraret.   Et audety proh Superi, se nobis ilio eomponere ! qui  negligentiae nomon suae praetendit inseioiae, qui turpe non  dueit oeoupationibns excnsare, quod haotonus magistri per-  sonam non sustinuisset et satis buio inelytao ei>itati factum  putat, si prò tot annorum iactura recipiat in posterum foro  diligentem. Quae cum dioit homo parum consideratus non  yidet alterutrum necessario sequi : aut ante adventum meum  ab ilio Tos esse despectos, ad quos illotis, ut aiunt, pedibns  et imparattts acoederet, ut, si quid in litteris curae posthao  adhibuerit, eius omnino mihi gratia deboatur, cuius opera  sit effectum ne vos, ut antea, scopas solutas existimaret; aut  certe illud se non amore disciplinarum, quas arrogantissime  Sibi vendicat, non virtntis, a cuius itinere iampridem longius  aberraret, non suae denique existimationis, quam post um-  bram lucelli semper habuit, ad hoc adductum, sed spemer-  cedis, quam desertus erat a vobis amissurns.   Et Ì8 unqnam poterit illum quaestum, quem non ex of-  ficina sed laniena librorura quam maximum facit, vestris ra-  tionibus non anteponeref non hercle magis quam pisois in  Bieco TÌTere«   Nam ubi cupido diTitiarnm invasit, ncque disciplina,  neqne artes bonae, ncque ingenium ullum pellet, ut non  minus vere quam graviter ait Sallustius. Sed fac eum maxi-  me velie: quid tandem praestabitf an alius nuno est quam  olim ftiit, cum per libellos a Senatn toties efiBagitatus ut ab  aede Musarum raucus hic anser exploderetur T nempe ille  ipse est et aliqnando tot annorum cessatione deteriora   Sed quid hoc refert, si discipuli non facilitate sermonis,        ■ i^ ii . ■■«. »m n mwtt* fi *»m,mii i ,Ama d j T b ^\''mì k 'ì è Ì%tV m0 m imi tì mktmmwt h mut m m^m T »éb'^^mmmmÌèmiJÈm     ORATIOXES ET SPISTULAB]  non rerum memoria, quod par esset, seti oviclianis ariibns  alliciuDturf An non illius earmiais in meutem venii: Pro-  mittas facito ; quid enim promittere laodit. Pollieitis dives  quilibet esse potest. Invenias aliquos adeo veeordes ut oas-  sam spem precio mercentur et quo, dii boni, precio ! iactar»  temporis; quo nihil esse preoiosius in vita qui Theophrasto  mature non erednnt, exacta mox aetate, sero sentient.   Qnod ne nostris auditoribus usu veniai, si unquam àlias  in praesentia diligenter seduloque cavebimns, cum mea spenta  vestrique causa, quibns ut amantissimis nostri consnltam  volumus, tum ne P. A. Stephani Ponoherii, Senatus prìnoi-  pis, ao sacrosancti nostri regis Archigrammatioi fidlere iodi-  cium videamur, quippe quum nos, qui summus honor est,  snis aanumeret ao, ut est in bonos omnes muniflcus, muo-  ribus in dies auctet praemiis, ut Glaudiani mei Carmen usur-  pare iam libeat:   Crescite virtutes fecundaqne floreat aeUt,  Nfciu patet ingeniis campus, certusque inerenti  Stat favor ; ornatur propriis industria doni».  Surgitae sopitae, quas obruit ambitus artes :  Nil licet invidiae, Stephanus dum prospicit orbi.   Non est amplius vulpi locus, nusquam iam nebnlones,  nusquam Lysonis excussor emissarius, iacet cmentus iUe da-  lator, in acie linguae qui nccem gerebat. Quod si verum non  est, nec malis artibus, ut omnes afiirmant, sed, nt ipso glo-  riatur, industria pervenit ad opes et dignitatem, dicai, db-  secro, cur nuno cadem non assequitur, quando nberiora tìp-  tutum praemia sunt proposita , naetus indnlgentissimam  Praesidem, qui benigna fovet ingenia T cur ad enm sàlutan-  dum nondum venit? Nempe quia noctua solem fingit, neo  audet homo lovissimus illi trutinae se committere. Sed  Tersipeìlcm, quem, ut Lysonis sui suecessorem, intrinseoos  odit, foris amare simulat, de quo ad aurem garrit, eundem-  que palam laudat, ita frigide tamen ut ad noTeroae tomn-     \     "•~ ^' rf H 111     • *• • ■» ft     -* ~tf -~-rii' • ■ .     ■ « ■*-•# « « •• «•     ■ ■il ■'fììtii'il«^iThMli     tf ì f ifci /T fu 1^ |^, Y-1 i ib» ri I    gnitione doctiorum, quo diatius in admirationc sui detineati  apad quera quantum proficiat quisque sontitf Sua cuiusque  ros agitur ; per me sit omnibus integrum audire quem maxime  probat. Equidem neminem invitum detineo, neque si velim  posse confido, quod Appula musca saopissime gloriatur.  Quoties onim pracdicasse creditis ita discipulos addiotos ha-  bore, ut ne ipso quidem Varrò, si reviviscat, co plures Me-  diolani sit habiturust   Scd illud gravins, dicam autem quod ab co milies au-  divi : Yos a pccudibus differro quicquam negat. Non onim  ratione, ncque iudicio, scd impctu quodam ferri, contuma-  citerqne contendere prò sententia, cui quisquo semel inhae-  serit. In Tobis uunc est enScorc, quominus nimiae licentiae  littcrator ca vere dixerit, neque committere ut patientia  nostra diutius abntatur.     .' {     MM*riM     ii i h r m-- \ • '■ — ' ' ^^iJ::^--^^^-^^.-~^M^~^^*:M.^>~.i...m.ir^-MM.^'-^f,A-^2..ji^^.^^.^sL..^.2J.^^    ORATiO AD SENAIUM MEDiOLANENSEM ^'^   1501 (Cod. V. D. 15)     Gratulor litteris, |i:aiuIoo mihi, Patrcs optimi, qui tandem  iuveni qiiocl diu multumqne frustra clcsicleraram, ne nostri  temporìs priucipcs aut eorum ma;;istratus, in quorum manu  rcs est, tcmoro cuipiam docendi munus iniungeront, quo nihil  indignius, nihil roipublicae porniciosius excogitari poterat*   Non cnini parum rofert quam quis initio disciplinam  sortiatur; nam quae teneri percipimus altius animis insidunt,  ao ita penitus radices agunt, ut nuuquam, vel certe difficulter  eyelli quoant. Intellcxit hoc prudentissimus vates Horatins  et hunc in modum testatus est:   Quod semel est iiubuta recens servabit odorem  Testa dia.   Deinde subdit:   . Sinccruin est nìsi vas, quodcumque infundis acescit.   Habeo vobis gràtias et quidem maximas, viri clarissimi,  ac si facultas darctur, etiara referrem, qui de nostris studila  adeo solliciti estis, ut me, licet illnstrìs amplissimique do-     0)     V. buius'op. Gap. V, pag. 47 et taq.   • k ... , .     \     "'ili m     i^>*i     ■*i>**^M*MMMM«^«*aa«^   mini Oardinalis Bothomagensis, qui Ghrìstianissimi regia  personam sastinet| iudicio comprobatum, non tamen prius  admiseritis ad eradiendam Mediolanensem iuventutem, quam  vigilantissimis vestris ocalis exhibitum aliquod porìoolnm fa-  cere spectaretis. Non enim nobis exciderat illud Plaatinum:   Pluris est oculattts testìs unus, quam aoriti deeoin.   Novistis, Patres optami, novistis quid hoius sanotissimi  Senatns ordinem deceat: non oportero mmusoolis bominnm,  neque simplici cuinsqne testimonio facile credi. Oondonant  pleraque mortales odio, nonnulla etiam gratiae ; ncque reve-  rendissimi domini Gardinalis divina mensy gravioribus ne-  gotiis occupata, minimis quibusque vacare potest.   Quid vero nnnc agam, viri clarissimi, quom sere già-  diator in barena consilium capiat mibique necesse sit in  consessu disertissimi Senatus, virorumque doctissimorumi  quos adesse iussistis, ex tempore verba faceref Fateor hoc  etiam periculum bone pcriculo nos quandoque fccfsse ; sed  in ludo litterario, non in foro; sed nostri generis hominibns,  non tot eloqucntissimis viris et illa auctoritate praeditis  audientibus, qui, quoque me verte, virtutum fulgoribus in-  gentes occurritis.   Sed unum me, Patres optimi, consolatnr, quod apnd  prudentes, ut in lucubratis operibus censura severior est, ita  in snbitis orationibus venia prolixior; nulla enim res potest  esse eadem festinata simul et examinata, neo esse quicquam  omnium, quod habeat et laudem diligentiae suae simul et  gratiam celeritatis; Bxstant a nobis evigilati commentarii atque  leguntur, in quibus non recuso vel.etiam malevolorum subire  iudicium (1), dummodo ne quid ingenio valeamus ex hac tumul-     (1) TttDo Parrhaalat iam ediderat laculentissimos commeDtarios, qui  iDscrìbuDtar: Corneliut Nepos De viris iUusiribus, MedioU. 1500; Sadalii  Carmen Paschaie et Prudentins, Mediol. 1501 ; Comm. De Rc^ffiu Pre-  eerpinae CL Claadiani, Medici, prid. Kal. Sext. .     •• s     MmMié     MM«.M^U^« MiteM«iM*^F««iid»w*i*MM*rn«kM^*«taa^k«Bi^M.*rt*««>w»rfkMkW«*««wAi«aitfkÌHa^^     ORÀTIOMKS BT BPISTUULB tuaria dictìone stataatis. Neo opes, arbitror, in nobis exigitìs  so!■ I nn , - ,., ^i TI ir ■• • f. P.A .-•. , ^     Qnod si non tantum profecisti, quantum par osset, tua  non mea culpa taxi ; quid cnim facias homini tot quacstuariis  artibus occupato? lam vero illud cuiusmodi fuerit, omnes  probe nostis, quom Julius AeinìliuSy vir, ut a raultis accepi,  plurimae lectioniR, ex hoc loco, prò dii iramortales, (et au-  debis negare ?) manifestissiinis arguinentis, omniuinque con-  sensu te reum lancinati, praecerpti inversique Cicoronis  ageret. Ego quom tu ingratnm vocas ( piget horcule memi-  nisse) suscepi tuas partes et quidem iniquissimas, quantumque  in me fuit, indefon^um non reliquia tuoriquo conatus snm  oum summo capitis mei periculo, ut vestrnm plerosque me-  minisse conAdo.   I mine et confer illa sapidissima tua tuceta, illum pa-  nem secundarium, illam vappam, quam nobis appouebas.  Neo eo dico ut expostulem, qui potus cibique (quod tu non  negas) parcissimus semper oxtiterim; sed compononda fue-  runt aliquando beneficia, ne tibi semper ingratus viderer.  Quod si nihil praeterea contulissom, nonne minerval mea  diligentia quaesitum satis est ad aequandas rationes f an  tuas dumtaxat in ephemeridem contulisti, quod facis cum  papyri glutinatoribus, quos semper aliqua summa defraudas f  Vae tibi si non intelligis minorem lucri quam fldei iacturam  esse 1 In quo ingratus tibi videor ! an de vi queri non debui,  ne ingratus tibi viderer 9 Ao in illa querela quid est dictum  a me cum contumelia, quid non moderate, quid non remis-  sins quam scelerìs atrocitas exigebatf   Sed alibi furoris arcem habet callidissimus veteraton  invidia miser aestuat, invidia coquitur, invidia rnmpitor,  nollet extare cuius comparatione detegeretnr, Andistis, eru-  ditissimi iuvenes, audistis cum clai*a voce clamaret : descende  de pulpito, si vis ut taceam. Egone descenderem, stolidis-  sime, ab ilio suggestu, in quo certa disciplinarum ratione  locatus sum, in quo me Pater amplissimus et divinus Car-  dinalis Botbomagensis, approbante universo Senatu, statuit t     r r • *"- -^ I ------ — ■^■^ -^ •^*^''>'^'*-^'^' »•'»■'- 'i^^*- ■• • ««kri*«.k_M     ***"■* ■■ ■ *'"''^"— ■»-^" ■ ■■ ■^■y-ni'     h«U W4 »s^ . A «^ ,     PBAEFAIiO IN PEBSIOM^)   Mcdiolani (Cod. V. D. 15)     Chilo, sapiens uuas e scptom quos votostas in Graecia  consecravit, iam senez eoqao prailentiori nam serìs venit  usus ab annis, ut inqnit Ovidins, qnom forte qnompiam glo-  riantem audisset nnllam se inimicum habere, an nuUam e-  tiara amicnm haberet, interrógavit, amicicias et inimicioias  iuvicem consequi et addaci necessario ratus, ut apnd Gellium  Plntarchas memorat. e Hai >, in Aiace farente Sophocles ita  monet, e hac fini amcs, tamqnam forte fortuna osurus, bao  itidem tenos oderis, tanqaam paulo post amatams >• Per tot  onim vitae salobras quis ita circomspecte potest incedere  qain offensiones aliqnando non incnrrant f Sammae illnd qoi-  dem felicitatis est dnas forocissimas affectiones amoris atque  odii intra saam qnamqne modom continere. Qnod si minns  contingaty qaom non omniam sit in Gorinthnm navigatìo,  proximae laudis illad est ad lenitatem nos qaam primom  dare, nec in vita mortali inimicicias perpetnas exercere.   Minutianos Alexander, nt scitis, annis abbino daobns,  an tertins agitar, ex hospite factas hostis, utrins colpa dicere     (1) V. httius op. Gap. V« pag. 60,     • t     I^i*     * J 0i     m,^     m^m^mì^^   ORATIOIIKS BT SP18TUULX     147     superscum licuit, quod aliquando  receperam, sicut aes alieuum dis^olYere cessavimus, ut omnes  intelligatis, hactenus satisfaciendi votum mihi non defìiisse,  sed faoultatem.   Quod si Fabius Quintilianus, ob eiusdem generis iniunc-  tam sibi provinciam, mores accuratius excolendos et studia  sibi duxit, quo Domitiani, perditissimi principis, opinioni  responderet, quantopere laboraudum mihi censetis in utroque,  ne sapieutissimum sacrosaucti Pontiflcis iudicium fefellisse  yidear, qui sicut opibns et imperio, quae malis indignisque  plerumque contingunt, nitro co- .-..^^. ■ -.f^.^. -•-•,..--.>^j.-- ■^,>-a.-^^,.«j«^^-AÌjJ^-^y,   EPISTULA AD LAURENTIUM PEREGRINUM    Mediolani, olro. 1505 (Cod. V. 1^ 0>     Non it4i iiiro oontubernii, qnoiitem, pnruin inilii probatiSi ut in-  dole inoruinque olo;raiiti:i ne bonnrum ariiuiu 8tmlio potes  a me expecUire oiniìia qiiae a, non ininria desideras expHoari, nam neque Do-  mitius, neque Piemia, interpretes alioqui diligentissimi, mol-  toque minus infra classem ma^struli eins verbi vim peroe-  perunt in hoc poeta. Juvenalis enim reponere non in si-  ' gnificatione scribendi sarciendive, sed prò eo qnod est parem  gratiam referre videtur accipere. Sieuti ad Lentulum soribenSi     (1) V, huiut op. Gap. 11^ pag. IS.     \     " ti' t ^mmfmm     *• " ■ IM»!! I» I . 1»!,^^,   T* ''^ *■-•*'%■■ .• •■- - -', ^ ". , ^ ^^. T-f - ■^- '■!    A. JANI PABBHABn     Cicero per haec in Epistolarum famiìiarium libro primo: cCur,  inqoit, vatdciiiiam landarim, peto a te ut id a me neve in  hoc reO| neve in aliis reqoiras, ne tibi ego idem rcponam  Cam veneris», idest eadem in te regeram. Atreus apudSe-  necam poetam : e Sceleri modos debetar, onm facias scelus,  non abi reponas >, idest nlciscaris. Metaphora sampta est  ab iis qui matitant, invicemque convivantar.   Haec babai saper ea quae a me qaaesisti ; integrnm sit  seqni quod maxime probabis. Probabis enim quod aptissime  loco et sensuii qui sis ingeniosissimuSi congruct, Sed ben ! tn  vide qnid agas, qui cursum reflectas ad Sirenas ; est sane  pericnlum, ne te mansuetioram Musaram delinimenta avocent  a molestissimo legam studio. Cogita tibi, vale.     „  iuquit € Jane, qui centra tui saeculi mores in uno altero ve  libello tam lente sedeas t non illa nunc aetas est, quom in-  venes quod imitari vellent diu audiaut, omnes ad vota fe-  8tinaut| ncc expectandum habent, dum mihi tibique libeat  prò re dicere. Sed saepe ultro- iuterpellant, atque alio trans-  gredientem revocant et propcrarc se testantnr. Utque Phi-  lostrati leones ex eadem praeda bis cibum non capiunt, sed  ex calida recentique semel pasti reliqiiias aspemantur, eodem  pacto nostri temporis homines una do re saepe disserentem non  facile x>atiuntur. Quare nisi novi quid in mcilium promas, quod  discipuli probenty vereor ne solus in scholis relinqaaris (1) >•   Qnibus ego monitis, ut par erat> a priore scntentia de-  turbatus, animi dubius aliquandiu pepeudi. Nam quam vis et  ipsa res et auctor monebat, ambiguuiu iiuncn erat quam in  partem homines essent accepturi, si Lucium Florum nostra  ope propemodum convolescentemy nt parum periti medici,  non penitus obducta cicatrice, desererem ; *tlifficilis anceps-  qne deliberatio , din multnmque agitata , nostri innneris  auspicia retardavit, donec animo sedit ocii^mei rationem  vestris commodis posthabere. Diebus itaque festis, quos alii  genialiter agitabunt, quae restabant ex Floro, pomeridianis     (1) Haec Demetrìi Chalcondylae moniU maximam Parrhasii nostri  laudem praa se ferunt, nam manifestis argumentis eins magnuin et  Msiduum in castigandis scrìptorìbus stodium nobis patefadont ». ^     •^■M*^'*"^     - ■-     tk é m u mtàutmm^tÈm^im^m^^mnm* itiàm     ««M^«*laiM*É*«i     OBATIOME8 ST EPI8TULAX  horis intoi-pretabimur, in eius vero locum (qaod (ànskiiii  folixque sit omnibus ) Livionì sustitucmns illum, qnem ve-  tustos adco suspoxit, adoo venerata est, ut nihil ad hoo aeyi  rcliqueriti qnod in eius no>'um praeconium possit excitari.  Quis euini post Fabium non dixit in conciouibus Livium,  supra quani narrar! possit, cloquenteinf Qnarum tanta vis  ad persnndenduni iam tuni crcdebatur, ut Metio Pompusiano  capitale fuerit apud Domitianum, quod eas excerptas ad  usum uiemoriae circuaiferret. Quanto niitius sacrosancti nostri  Ro£^s in^^euium, per quein non haee ediscere solum licet|  sed ipso praeceptores nitro conduciti qui iuventutem Hber»-  liter institnant,   Quis vero Livium nescit in exprimendis alTectibnSi quoa  mitiores appcllant, inter historìcos primos obtineref   Nam quoil ab ultimis Ilispaniao Galìiarnniqne flnibus  illustres in urbem viri venerint, ut unum Livium salutarenti  epistola Plinii Nepotis ita porcrcbruit, ut sit in tanta notioia  reforre supcrvacanoum. Furor est autem, furor in quaestionem  vacare, quod olim Valla, Sallustiusne doctior fìierit an Li-  vins, et eos invicera comparare, a quibus discere magis oon-  venit. ntrique summi extit-ore ac cadesti quadam providentia  componcndis moribus alendis..     ^ . ^t --     . • •     » »     .EPISTULA Nli.-DE LIVII INDICE^') Mediolani, circ. 15(fó ( Cod. Y. F. 9 )     Timon ìlio Phliasius, óloqueutiac sapicniiacquo stadiosusi  ut undecimo Successionum libro scrìbit Sotion, iutcrrogatus  ab Arato Solense quo pacto posset Homeri poema consequi  castigatuniy respoudit : e Antiqua lego exeniplaria, non ea  quae nuper emendata snnt >• Eius, ut reor, auctoritatem  secutns, Probus exemplaria undique coutracta inter se oou-  forre coepit, ex eorumque fide corrigere ceteraf atqne di-  stinguere et adnotare curavit et soli liuic noe ulli praeterea  grammaticae parti deditus, ut Suetonius auctor est, ad fa-  mam dignationemqne pervenit. At, ut quidem sentio, non i^  niurÌHi nam quam sit hoc laboriosum, quam non omnium,  Cioero testatur ad Quintnm fratrem. cDe libris, inqnit, Tyran-  nio est cessator ; Ohrysippo dicam, sed operosa res est et  hominis perdiligentis; sentio ipso, qui in summo studio nihil  assequor »•   De Latinis verOi quo me vertam, nescio, ita mendose     (1) In codice V. F, 0, in quo omnes quae Parrhasii tupersont epi-  •tulae collectae sunt, nonnulla Quaesita^ ut hoc De Livii indice^ omni  indicio signoque careni, ad certuni signiflcandum viruro, cui inscrìpta  sint. — V, huios op. Gap. VI, pag. 55.     N     •MklMU»*     ll'^g''^ — ^-j^^Aat^*— i>fc^     «'      •. -^        oratioubs xt bpistui^àx     159     scribuntur et veneunt. Utinam non nostri temporis haec io-  stior essct querela! certe ego non plus in alienis erroribos  coufutamlis, quam in cxponendis antiquorum scriptis inso-  dsircm. Sccl afiirmare inratus et sancte possum, eie omnes ab  impressorìbus inversos esse codices, ut, si anctores a pestìi-  minio mortis in lucem revoceutur, cos agnituri non sint. In  quo non recuso quin mentiri indicer, nisi Livii Decada istao.  apertissime probabunt. Ao ut ita facile omnes iutelligant, ab  ipsis argumentis incipiam.   Sjllabos et elenchos graece dicitur is quem latini vo-  cant indicem, cuins adeo studiosi fuerunt antiqui, ut PliniuB  integrum volumen elencho dederit, et Cicero per epistolam  potati ut eius libris index ailinngatnr. Lampius etiam, Pia-  tarchi filius, hac una re claruit, quod cleuchon operibus pa-  tris addidisset, ut est apud Suidam.   Qais huuo indiccm Livio praetexuerit in obsouro est; a-  liqui tamcn Florum suspicantur. Ego nihil aiBrmo, sed qui-  cumque fait, doctus certe fuit et plenns auctoritatis in scholis,  ut quidam de suo multa addidisset, quae, licet a Livio  transcripta sint, adulteraut et vitiant alienar nm lucubrationum  sinceritatcm, ut dcpreudimus iu antiquissimo codice, qui ma-  uavit ab cxemplari Fraucisci Petrarcae, viri, sua tempestatOi  dootissimi.  PRAELECTiO AD DiSCiPULOS   Mediolani (Cod. V. D. 15)     Tollite iampridem, victricia tollita sigoa  Virìbut utenduiD quatf'fecimos   Libuity adolescentes ingennii pomorìdianis iis aaspiciis,  iisdom V08 hortari verbis ad repetenda litterarum stadia,  qaibas apud Lacanam Oaesar ad instaurandum bellara mili-  tos sao8, qaando non cnm aurìore maj^que infesto ' hoste  Oaesari fntura res erat, qaam nobis hoc tempore.   Stat ecce in nos ignorantia gravissima adversaria, centra  qnam, cum anno saperiore freqnentes mecnm strenne pngna-  yerìtiSy frigoris atqne solis patientissimi| nunc nisi reparata  constanter acie consistemns omnes prompti, labores emnt  irriti, pessimeqne de rationibns nostris actnm. Haeo enim  nos omnibus omamentis et oommodis exnet; nam quid ant  conseqni potost ant praestare qui, quid optandnm, qnidve  fngiendnm sit, ignoratf Usns mnltarnm remm perìtia com-  parat homini prndentiam ; nnlla tamen re magis ignorantia  prostemitnr, qnam litterarum cognitione, qua si qnis a teneris  annis imbntus, poetas et historiarum scriptores accurate versat     (1) Hano attalimas Pradectionem ad venim paternumqo« Parrhasii  in discipolot demoDStrandum amorem*     f>     ab^i^mt^mimm'^'mmm^^     111^1»» 1 1 r if , m I ■ ■ ■■ mi II \ km ru ^^ni^im      OnànOVEB ET BPISTULAX indeqae mores et instituta mortaliuiii disciti ao daoe demaìn  philosophiai Wtae probitatem cum eniditìone coniimgiii Ì8  sane diis immortalibus par in torris habetnr.   Itaque ne tanto nos pracmio spolict ignoranza, resamp-  tis viribns, bellicis exeroitationibusi antea firmatis, daòram  qaoqae raonsiain requie refeotiS| integri et reccntes ad ca-  pcssenda denuo studia consnrgite.   ConsurgitOy inquani| adulesccntes optinii| consurgite ad  solitam litterarnm palaestram, et iam sublata atque explieita  signa prosoquimiui, ut adversus ignoi-antianii horainis acer-  rimam hostcnii fortiter et impigre mecum decematis. In quo  quidem bello commilitonis et non imperitissimi dncis offido  fungar. Etenim nullum laboremi nnllas vigilias, nullnm de-  uiqne periculum recusaboi ut in arcem sciontiae, ad quam  nati sumus, victores triumphantesque vos perducam, Atque,  ut verba ad rem conferamnsi institutos auctores, 4°orum  enarrationem vindeniiarum feriae intcrruperunt| resumemoa  ab eminentissimo poeta sumpto initio.     \     .s        . . » •     Zi. ^m     -, ^^«P •«-           XV     epìstola ad PIUM....^'>   Mediolani circ. 1505 ( Cod. V. P. 9 )     Atquiy taa cuni bona venia, fallit te ratio, mi Pie, nam  nec extat apud Solinum: e Armenia tigribus feconda >; nec sic  unquam scrìpsi, sed : e Armenia voi Hircania feta tigribus est>,  ut ait Soliuus; in quo velini dicas utrnm codicem mendosnm su-  spicaris ab antiqnis exemplaribus inter se collatis, an qnod  ea locutio latina non sit, ant parum tersa. Liceat apud te  gloriari : si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis  ego nomen proflteor meum, Neapoli, Lupiis ( nrbs ea^ Apn-  liae est), Bomaeque nactus antiqua reverendaeque vetustatis  exemplaria, quibus adhibitis et cxcussis, castigatissimum mihi  codicem reddidi. Sed et hic alterum habeo vetustissimum,  qui Merulae fiiisse di^itur. In iis omnibus /e/n tigriÒM est'  et non fecìinàa^ et ita dixit, ut Maro feta armiè^ et feta  furentibut auètriiy alludens ad animàlium speluncas et sub-  terranea cubilia. Scio quis iUius emendationis auctor fiierit,  sed is me perducere non potuit, ut ei, magis quam vetustio-  rum codicum fidei, crederem.     (1) Non prò explorato afArmare possamus cui Parrhaslos hanc io-  Bcripiierìt epistulam, oam daos illi hoc nomine amicot fuisse compe-  rimnt : Joannem Baptiatam Pium Bononiensem, et Aldam Piam Roma-  num. — V. haiui op. Gap. Ili, pag. 23, 34.     n     t .     ifc IWli^fc     •**i*"^^**     ^ntU^tì^^ìimAm  EPiSlULA NI. -DE A. MARCELLIIO   Mcdiolani ciré. 1505 (Cod. V. P. 9)     Ammianì Marcollini Btrum gestnì'um libri penes me soni  omnos quot extant, ex antiqaissimo codice Bomae exeriptì;  nec alium prope froqueutius in manibas habeo, qaod inde  quaedam non vulvaria liccat hanrire, Sed quid oportott iii>^  Illa Juliani mentione Marcellinura citare, nisi qnotiens in  rem meam faciebat ex rebus Juliani f Curiosi certe nimis  est inaccurate illud a me factum putare (1)     (1) V. hoiui op. Gap, Ili, pàg. 28, /     \     * -•■ .-^-^^-1^ — v^^^ I — , ^ -^. 1^ ,1, I f n , i m T ,     ^^^     ■« «»i».i>i> . .        ■ ■■■%     '^m^ »W ■ » ti wii^ I I     OBÀTIONBS BT XPISTUUUB  piena fnigis optimae ; et haec in causa fuenmt ut Latatium  potius quam Lactantium nominarem, quom plus apud omnes  sanae mentis homines valere debeat antiqaoram codicum  fldes, quorum magna mihi copia Neapolii Bomaeque con-  tigit, quam particnla vulgatis inserta codicibns ab iis qui  testimonium iuscriptionis ab se perversaesibi ipsi conftnxeront.     \     I     ORATIO HD MUNICIPIOM VINCENTililiM   Veicetiao la07 (Cod. V. D. 15)     !IU (0     Veni, Patres optimi, tandem veni, 8oriu9 oxpcctatione  Tostra moaquo voluntate, quod immanium barbarorum grave  diuturnnm iugum non facile fuit ab attritis excutcre cervi-  cibus, quippe qui necopiimta Victoria extulonmt aDimos,  tantumque sibi pcrmittuut in omnes Italos ( o miseram tem-  porum conditionem ! quis hic ita non ingcmisoat et frontem  feriat ? ) quantum vix olim Gares in Leleges, Arcades in  Pelasgosy Lacedaemones in Dotos.   Ilabeo diis immoi*talibus gratiam, quorum uumine serva-  tus hio a     -tJ^f,^^' - " -1 '"- -^* ' ^' -^ ^.-a. t I ■> - ^ ■ ^r->. ■ tf ■ ■!!>     u# i'^i I •> iì iì I II ■ rfi 'I riaBiiiii r '\x^è\       OBÀTIOmBS BT SPI8TUULX   sanguine gliscnut^ sic in omni crudelitate eznltanti nt vix  acerbis sociorura funcribns satientorf   Errat, Patros optimi, si quis arbitratur ipsos deos Ulyssi  magis extitisse propitios, a cyclopum fanoibns elapso, qnam  mihi dum cruentas Gallorum manus effagi. Qydopos enim  dnmtaxat in advenas appnlsosqne saeviebanti ii ne notos  quidem saisque parcunt. Ulysses uno vini cado Poljphemum  sibi pene conciliavit, ii beneflciis obsequiisque redduntar  importuniores.   Nam quid in eos a me publice priyatimque, domi fo-  rìsque profoctum non est f Quis centra ganeo, quis adulteri  quae mulier infamis, quis corruptor iuvcntutis ita iactatus  est unquam, ut ab iis, innocentissimus optimeque de se me-  ritusy ego t Caput omnium, satorque scelerum fuit AllobroX|  qui virtutis praemia malis aiidbus assccutns ini rcSv oye^v  fiùaiìjQ'Aiktl^y Inito^ &pcv(jij idest ex asinis et quidem lenUs  repente cquus exiluit.   Is enim nostri generis omncs odio prosequitur ob in-  testiuas inoxpiabilcsque simultates, quas cum clarissimo  nostro conterraneo Michaele Bitio, iurisconsultorum nostri  codi facundissimo, gerit, nude quave de causa susceptas in  pracscntia dicere nihil attinet. In me Tcro praecipue debao-  chatur et furit impotentissime, quod una alteraye epistola  Bitium laudavi, semel in editione Sedulii Prudentiique, Obri-  stianorum poetarum, quos omnium primus e pulvere situque  vindicavi, iterum per initia patriae Historiae, quam Bitius  ipso condidit, mihique castigandam 'dedit (1).   lUud autem nullo pacto forre potuit me sua causa no-  luissc quorundam Mediolauensium liberos a nostris aedibus  exturbare, quo vacuus apud me contubernio locus Allobro-     (1) Ritii opus inscrìbitar: De Regibits Hispaniae^ HierusàUm^ GaOiae  ete. Histort\ Romae MDV. Parrhasii epistula, impressa in huias operit  prìacipio, data est ad Ritiuin Mediolani, Rai. Coi. Ì50S.     W lm é'^ m^i ••■•,. '^ p I,      168     A. JANI PÀBItHASn     gìbus esset snìs. Ex iUo Mioutulttin quendam, nostrae prò-  fessionis acmulnm, qui nihil quoestus aliquot annos prope  me fcceraty extollerey amplecti, fovere quo stomachum mihi  faceret, ìgnarus ineptiarum longe grandiores offas a me sae-  penumero voratas ; ac incidit in illam quoque suspicionem,  quam garriens ad aurem Minutulus, de quo iam dixi, dola-  tor augebati a me sua notari tempora vitaeque sordes eo  opere, cui titulum feci : e De Rebus per epistolam qunesitis »,  quod adhuc domi sanatur, propediem vcstris auspiciis exi-  turum {1\ Quare non ita multo post a cena cuiusdam re-  diens senatoris ad primam facem, ex ictu lapidis in capite  vulnus accepi ; nec alieni dubium quin homo sexagenarins,  qui plus in capulo, quam in curuli sella suspendit nates (ut  iSocete Naevius ait in Pappo) percussores immiserita indi-  gnamque caedem, quantum fuit in ipso, patraverìt, quom  satis constet ab emissariis eius excursoribus ingentis spe  praemii soUicitatum Michat^lc'm chirurgum, qui me curabat,  ut malum venenum medicamentis infunderet. Exponere su-  persedeo quam gestierit, quantum sibi placuerit indomitis  moribus Allobrox, quod eo periculo motus in patriam me  recipere statueram, quanto rursus dolore sit affectus, ubi sensit  ab amplissimo patre Stephano Poncherio, Lutetiae Parisio-  rum Pontifice, cuius immerito vicem gerit, a decedendi Con-  silio revocatnm.   Quid itaf nolite quaerere, Patres optimi, nolite quaerere,  quando felicioribus etiam saeculis tam perverso principes  ingenio sunt inventi, qui prò hostibus haberent eos qui excel-  lerent in communibus studiis essentque superiores ingenio.     (1) Parrhatli aiteveratio valde congrùit cam illis Ciminii verbis in  Epistola nufte» ad Corìolanum Martyranun ante Itist. Gramm. Charh :  € In prìmiff autem deflenda est illios divini operis iaotura, — > De Rebus  •cilicet per epistolam quaesitis, — > quod ipse saepenunìei'o vidi. Erat  enim ad editionem paratura, libiisque constabat quinque et viginti »•     1 «.     iaHto«*««aMataiiBrf*«Mtfi*i^^A«#^*MM«aa*»wi " ■ I H I V,     ■'W.«     ll*     %     1^1 11 I ■!! ^i^i^>tft»at0t I • I .» I ■ Il » ^     ■^^,.^. -^ y-^^-ì •...■: ^-^^J -K- -•--■■■ •,\j.:-.i>;^^i .-^^.l--:-.     i»timm     ORÀTlOVEa ST BPISTULAX  Trahat anrì splendor et lucri capiditas alios : ego pecuniae  captum nauquam habui; sequantar alii annouae liberalitatem,  vhiique praostantiam, an^^uillarum saginara, quas Tester amnis  Dutrit Eretenus, ab Aeliano laudatasi ego, magistra philoso-  phia cum Vairone didioi sitienti therìacum mulsum, exurìeiiti  pancm cibarium siligineum, excrcitato somnum soaTem. Di-  scesserint bino alii pecunia divites, ego contentus ero yestra  bencvolentìa, acri iudicio, gravissimo testimonio parta gloria:  quamquam nobis est in animo, si liceat, aetatis reliquum  vobiscum exigere, proqne mea virili parte oaptuque ingenti  sedulo commodis vestris inservire; sic enim publice priva-  timque de nobis meriti. Dies me deficiet, si commemorare  volucro quibus ofBciis florentissima vostra respublica, ye-  strique cives me prosecuti sint et x)rosequantur. Itaque ne  cuiquam videar eorum magnitudinem non sentire, quod unum  possnm, pollicear industriam meam quantamcumqne vestrom  ncmini defuturam ; praeterqne publicum docendi munns, quod  mihi delegastis, epistolam tertio quoque die iuventuti ye-  strae dictabo, quod antea facturum perncgaveram: tantum  bonefacta in omni re valont, ut est apud Propertium..   Denique enitar ac elaborabo, si minus cmditionem, qnae  in nobis alioqui mediocris est, egregiam certe voluntatem  vobis omnibus omni ex pai*te probare, quibus existimationem  meam commendo meque dodo. Dixi (1)     (lì Cum illa sola edere st&tuUsemus monumenta, qoibns maxime  ad narrandam Parrhasii vitam usi sumus, permultas omisimus orationes,  ut luculentissimas duae aliaa quas Veicetiae habnit.     \     li I ri— ■ ■ W ■ m > 1^ i**»i^ t^j   PBAEFATID IN HORATII ODAS   PaUvii 1509 (Cod. V. D. 15)     Si qais alias, ornatìssimi invenes, aat litterator ani  eloqaeutiae inagister, ex eo loco, qaem nos honestissimniii  Bomae, MediolaDiqao et demum Veicetiae tennimus, ad hano  iniquitatem temporum rcdactas esset, ut privatim doceret|  ille quidem fato convicium facoret seqae de fortnna praefa-  tionibus alcisceretur, nt olim Licinianns ex consnle rhetor in  Sicilia. Sed ego qui rerum omnium esso vicissitudinem non  magis ex Eunuche Torentiano, quam certa vitae experientia  didiciy sic ad omnia quae Tel inferuntur, vel accidunt homini  me comparavi, ut prosperos optem successns, adversa fàcile  patiar. Quamquam, si yernm fateri Tolnmns et a Tobis o-  blatam conditionem recta via reputare, nihil est our agi no-  biscnm male existimem, qnod longe minoris solito profitear;  siqnidem summa hnius urbis auctoritas celeberrimumque  Patavii nomen, ubiqne gentium yenerabile, compensat omne  salarii detriraentam  (1) V. holQS op. Cap. Yin« pag. 7S.     i^     ■'^^t*****'*'*     r«M4^w»aM     J  (     EPISTULA AD LUOOVICUM MOITALTUM   Agelli 1512 ( Cod. XIII. B. 16 )     (0     Admircutur alii Siciliani^ quod omnia qaae gignit sive  soli sive hominis ingcnio proxima siut iis quae iudioantur  optima; qnod in ea prìmutn inventa comoedia ac mimica  cavillatio; quod Giclopuin gentem testentar vasti specus et  Lestrìgonam sedes etiam nunc vocentnr; quod inde Lais  illa, qaam propter insignem formam Gorinthii sibi vindi-  caront, et inde Oeres, magistra satiouis framentariae, et  Prosorpinae fama sit; qnod ibidem campus Ennensis in  florìbus semper et omni vernus die, et Daedàli manna de-  mersum foramen ostendat, quo Ditem patrem ad raptum  Proserpinae exeuntem fama est hausisse lucem. Gomme-  moreut amnium, fontinm, stagnorum, ignium et salinarum  miracula, ao arnndinnm feracitatem tibiis aptissìmarum.  Laudent Achatem lapidem, quem Sicilia primnm dedit, in  Achatae fluminis ripa repertum. Tollat in coelum vetns  adaginm Syracusarum maximas opes aerìsque olementiamy  qnod in ea etiam cum per hiemem conduntnr serena, nnllo  non die sol est. Addant Alphe! et Arethusae fabnlosos     (1) V. haias op. Gap. X, pag. 92 «t Mq.     •; .     #^'     A •     ♦ •        «     \ ,        HMM««Ml«««M     » iniiiiri*' i     «h     j» . __ ••        ; OBÌ.TIONB8 ST XPISTUI«AS  amores, et quicqaid mendacia poetaram vnlgaverant. BqoL-  dom non adeo principem nrbium Sidliae Syraoosas ezi-  stimo, qaod ambita moenium quatuor oppida oompleete-  rotar, Aohradincm, Neapolim, Bpipolas et Tychen, qaam  qaod cxempla pietatis cdiderint, Emantiam et Oritoncm,  qui dao iavenes, iucendiis Aotnae exuberantibas, sablatos  parentes ovexcrunt inter flammas illaesi ignibas ; quam qaod  Archimedis incanabula fuorint, qui praoter sideram diaoipli-  nam machinaiìas conimentator extitit, oppugnationemqae  liaroelli triennio distulit; quam qaod Thcocritam protaUt  illam rustioae Masae perurbanum pootam, multosqae prae-  terea qaorum immoHales animae loqaantnr in libris.   Inter qnos ipso tantnm praestas, qaantom ceteris mA^mtt»tìLiém^l£^^ PeAEFATIO IN SÌLVAS SUTII ^'^   Roinae 1514 (Cod. V. D. 15)     Si quis in hoc honcstissimo eonsessu t4icitus secum forte  qaaerat, andò ovenerit ut ego, promtns alioqui paratnsqne som-  per habitus ad dicendum, quemque totics ex tempore perìcnluni  bono periculo multis in locis fccissc constons fama nunciabat,  apnd T09 hacsit-are cunctarique Bim visus, ac, voluti mutato  solo vocis usum penlidisscm, quod in Agro Locrensi cicadis  acoidere Pliuii tradit historia, quibusdam quasi tergiversa-  tionibus extraxerim muueris obeundi diem, dabit is facile  mihi veniam, quom pluribus iustisque de causis id a me  factum sciet.   Ego, ornatissimi viri, licet in dolio flgulinam non discami  quod agore vulgari quoque proverbio vetamur, octoque iam  per annos in Gallia Citeriore persouam rhetoris haud inglorìe  sustinuerim, tamen insolentia loci, diversitate auditorumi  nimiaque vestra de nobis expcctatione tardior efficiebar.   Denique, si res aliter ceciderit, malo ezistimarì magni-  tudinem Bomanorum ignorasse, quod apud eos audeam do-  cere, quam humanitatem, si non audeam, quom praesertim     (1) V. huius op. Gap. XI pag. 101 et teg.        \     ■^**riSi"»rr.— »•;. «e :'^-.— ^r-* --^.o»: it...»*..^**     4       prò me staro vidoara duos atriusqne linguae signiforos et  qaos nulla remotior latet oruditio : Janam Lascharim, non  minus ingenaaram artium studio quam natalibus et imperia  toriis imaginibns illustrem ; Thomamque Phaedrum, Bomanae  Acadomiae principem, sacerdotiis et iugenio partis opibus  insignem, quorum tanta verbornm pondera semper esso duxi,  ut uno suo verbo cum mca lande coninnctOy omnia asseou*  turum me confldam. Nil itaque desperandum Jano duee et  auspice Phacdro, in quorum blando obtutu, tranquillo vultu,  hilaribus oculis acquiesco. Quibus ingentes ago gratias, ha-  beboque dum vivam, quod me gravissimis apud Pontificem  sententiis ornaverunt, ubi vel nominari snmmus honor. est,  Nam Grispi Passioni sententia quorundam magis expo-  tcndum iudicium quam benoficium, quorundam beneftoium  quam iudicium. Our iUis ego non omnia debeam, per quos  utrumque mihi contigit indnlgentia sacrosancti Pontificis di-  viquo Leonia X, qui maxime reram usn, incomparabili pru-  dentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili elo-  quontia, promptissimo ingenio, castissima eruditione pellet^  eaque morum sanctitate quo suus olim conterranous Leo,  cuius ante vivendi rationem quam nomen affectavit (1)     (1) Reliqua deincept, ut minime none     «     •"Nh     M il     ^makttmtmamm^mmmt^* m^mir     ■•iM^tfiM— ^yj   PRAEFATIO IN ORATOREM»   Roma (Cod. V. D. 15)  Antequani docendi muuus instaurem, coDsilii mei ratio-  nein vobis, auditores optimi, qaibas me maxime probatam  oupioy rcddemlam censui cor e tot aureis divinis CICERONE oporibas Oratorem potissimam dolegerim, car, repudiata priore  sootontiay Moronis Aeneidem prosecutums accesserim, quom  paucis abhinc mensibus ex hoc ipso sug^^esta a. me enarra*  tum ili Bucolica pronunciassem; quod nisi me insta de cansa  diotnm mutasse oonstiterit, equidem non recuso quin apnd  vos levitatis et inconstontiae culpam inourram • • •   Nominem vestrnm latet, auditores ornatissimi, qnantas  invidiae procellas anno superiore sola patiencia i)er(regerim;  quodque lenti maleqne de me sentientis opinionem subire  maluerim, quam, quod Cicero turpissimum vocat, contentiosi  senis : huius meae lenitatis uberrimo fructu percepto sacro-  sancti augustissimique Leonis X indicio» quo nuUnm maios  homini contingere potest, a me «non difficulter impetravi, si  qua deinceps huiusmodi tempostas impenderet, aliquid de  iure meo magis accedere, quam nomen boni viri litiumqae  fu^itantis emittore     (1) V. buius up.  PHAEFATIO IN EPISTOLAS AD ATTICOM    Roniae 1516 ( Cod. Y. D. 15 )     Quom scdnlo mccum reputo qnnm inulta nccidant ho-  mini prneter spein^ libot npud vos^ auditore? carissimi^ qnod  Aenoas Ycrgilianuf^ oxclawat usurpare:   Hcu nìhil iavitis fas quenquam fidere divit.   Etenim quem rcbar annum tranquillitatis et ocii plenum  foro, is acerbissimos mihi casus atque gravissimas attulit  aerumnas, quae nostrorum studiorum rationes tantum evor-  teruut ; id quod eventurum non temere quisquam iudieasset  in tanto bonorum Principum proventn, quorum opibus ao  indulgentia benignissime fovebamur. Ut enim missa faciam  quae sacrosanctus Pontifex Maximus ex aorario mihi largitnr,  ne iam obductas imidiae cicatrices inutili recordatione re-  fricemus ; ut etiam taceam snffragia patris amplissimi Julii  Medicis, quem nuper ad proximam Pontifici dignitatem di-  vinae virtutes OTexerunt ; ut hebraicae latiuaeqne linguae  instauratoris Hadriani mnniflcentiam in me transeam : certe  Lisias AragoniuSy antistes ille meus omni laude superior, ea  TÌtae mihi commoda suppeditat, quae studia possint igna-  vissimi cuiusque exoitare.     %   ^1) Y. httiuB op.          l«ow^     ^IN     •«*■     i m i r ii»* »Ìkerii, in  quo mihi eottidie lectissimorum virorura subeunda censnra  est} quos nulla, quamlibet remot^a, latet eruditio, quique anres  non hcbetes, oculos acres, ingeuia habent acutissima. Proin-  de vigilandum sompor, multao euim insidiae sunt boni»,  ut ille Jove uatus suis praecipit filiis, et quo minus ingenio  possum co magis subsidio adhibebam industriam, qnae quanta  fuerity quia tempus et spaoium datum non est, intelligi tnm  non potuit. Nam post illa vit4ilibus mlaota vulnera, quae  paucis ante mensibus apud vos oratione perpetua deploravi,  quid erat ineommotli, quod mihi deesse videretnr, aut cui  novae calamitati locus ullus iam relictus ! Eadera tamen for-  tuna, quae eoepit urgere, reperit novum maerorem, afUictum-  que duplici luctu senem tantulum respirare passa non est (!)•   Duum enim carìssimorum desiderio funestam domum,  diuturna couiugis insuper et mea valetudine concussit, et qua  (dii boni !) valetudine, coelitus iuvecta: quippe quam adversis  sideribus conflatam Gàuricus, astrologorum nostri temporis  emineutissimus, certa matheseos ratioue deprehendit; Lunae  enim deliquium perniciem nobis erat allaturum, nisi salutaris  stella Jovis intercessisset (2}. Et mors mihi quidem molesta non  fuisset, ut in qua propositam mihi scirem laborum ac mise-     (1) Deflet hìc Parrhatiut Thomae Phaedri et Batilii ChalcondylM  mortem. — Y. huius op. Gap. XI, pag, 104   (2) In Tractattt tistroìogico (TU Op., pag. 1635) Luca» Oàuricat  horoscopum pcrscripait, quein noi io hoc opere retulimus. — Y. Gap. XU  pag. 104, n. (?).     \     r-:.     ^ • -     Il- fciniiji' ( iti II' tmmu^Mbummmi     '^tf^^MUi-m^t^^M         riariim omninm qiiietem; seti illnd nmitn nos angobat, qnod  apnd vos absolvero tiilem moam, qnaeqne pollioitus in has  Epistola^ ad AtUcnm fiieram praest-aro non potnissem. Quo  nuno lactAndam mihi mairis est, quod ex orci fnucibns erop-  tns, iiicnndissimo Ycstro conspeotu fruor, quod intuoor et  contcìnplor uunmqucmque vestrum, quorum nomo ost cui  non mca salu^^ ncque cava fuerit ac ipsi mihiy ctiius non  extct aliquod in nos moritumi cui non sim devinctns me-  moria* benefloii sompiterna; ncque cnim vos oculornm co-  niecturay SiHÌ assiduam mihi frequcntiara praostitistis, ego-  quo non minus signiflcntione voluntatis et benovolontiae,  qnam robu9 ipsis astringor. Itaque vel hao potissimum de  causa corporìs inflrmitotcm animi virtute superavi, ut satis  aliqua ex parte nostro erga vos officio faciamus. Quod huo  usque non distulissem, nisi memet quidam casus incredibilis  ac inopiuus oppressisset. Nam prìdie oius dici quo rcditurus  ad iutormissnm docendi mnnns eram, in summo pedo enatos  abscessus, (àjrocrrysux Graoci vocant) brevi ita altas egit  radices, ut igni ferroqne vix excindi potuerit. Ego nihilo-  niinus, ulcere etiam nunc manante, reclamantibus ad unnm  medicis, quom prìmum flgere gressum licuit, bue exilui: tam  nihil autiquins habeo vestris commodÌ8.   Ncque vero hoc dico, quo me vobis venditem; our enim  blandiar bis, quorum erga nos amor, honestis artibus qnae-  8ÌtuS| odeo cre\ity ut non haberet quo progredi iam possit t  atqni potius haec ad impetrandam veniam pertinent, ne qnis  vestmm forte mihi succenseat, quoti ad diem praesto non  ftierim. Nano acquis animis attendite nostramque de hia  ambagibus ad Atticum coniecturam cognoscite. Nam si ns-  quam alibi, hic certe necesse est iuterpretem divinare ; nomo  vero desperet od huius operìs calcem nos aliqnando per-  venturos quod hoc anno cessatum sit. Temporis iactoram *  focile reparabimns, si viatornm nobis exemplnm proponemns,  Ili si serins quam volnerìnt forte surrexeriuti proporando.  \% «M^B#«**^à«««Ì»«^ÌA»«>«M     »mim»i*a^lìkmami^Jmt^mmm*t     ■ •■ I IH ìàH^ti^mtm^^^t^mim     ri II t, 1 ■!     • •     ORA^TIONES ET SriSTUULS     183     etinui citius, quam si tic noot4! vigilass^ent, perveniunt quo to-  luut. Quoiiiani vero, prinoipiis cogiiitU, multo fAcilius oxtrema  percipiuutur, autequam quae rtvtaut mloriamnri Epistolao  argumcutuin brevissime repet4im.   Huius Episiolae superiore partieula noster Oieero reti-  ilebat Attioura certiorera de ratione suae petitioDÌ8, idest  quot in oa eompetitores haberet, atquo ex his qui certi  quive partim Armi viiloroutur. Nunc mldit etiam diem quo  prensaudi initium Taeturus ipso sit, et quorum suffragiis ao  ope nit4itur ad cousulatum, quidve in ea re Pompouium sua  causa facere velit.   • *     \           ^*'"-^*- - r*; •-*- r'^ ^ \ -■ r>rf ai n » ■ i é" " . ' ■ ** !     «■w«*k>*«  i^-«i»*iii^i»v' V     »4» n . I»^»«^l«fc — «nlBÉ     PRAELECTIO IH EPISTULAS AO ATTICOM ^     ^•tei     ■«iMa .jm i > i ■ r- > ir >i Mj i a ni n i ■ ■ n i nr -— •" ■- , ■-■ ■ •"■ »— « - ■■ ■ arh^fc-Émli OBATIOXES ET EPISTULAB SBLBOTAK     I. Oratio ad Patritios neapolitanos •  II. Privilogium . • • ; •   III. Epistula ad Ferdinandum Aragoninm   IV. Oratio I in Alexandmm Minutianum  V. Oratio II in Alexandram Miuutiannm   VI. Oratio ad Senatnm Mediolanensem  VII. Oratio III in Alexandrum Minatianum  vni. Praefatio in Persinm •  IX. Praefatio in Tbebaida .  X. Oratio in L. Floram •  XI. Epistola ad Laurontinm Peregrinum  XII. Praefatio in Livium  XIU. Epistola NN. — De Livii indice .  XIV. Praelectio ad discipolos  XV. Epistola ad Piom • • •   XVI. Epistola NN. — De A. Marcellino  XVII. Epistola NN. — De Lotatio          «^■«Mfc^lt ■ I» M II     ■' • ■» *i»-^«—*-w r ^•fc. • ^ w ■.^,.. ^■l^-^r-^■■^^T«.L-^^^^;.^■-•^^■■■ ■-.-^-- , .a£^&.-'-^jJ:-L^.-c'-.^a:ji::^ ^-     ■^     niDiox      XVIII. Oratio ad Municipium VincentiDum  XXI. Praefatio in Horatii Odas •  XX. Bpistula ad Ludovicum Mouialtum  XXI. Praefatio in SUvas Statii .  XXn. Praefatio in Oratorem   XXIII. Praefatio in Epìstulas ad Atticam   XXIV. Praelectio in Epistnlas ad Atticam      -")     ■,/ ,":■ : ■ ::,■-.:;■■■. ■■■■  / Dello stesso autore     L* Eleqfa. c Ad Lucia» > . di Aulo Uìaco Farrosio « il  Brnto minore dì G. Leopardi — Ariano — Stab. Tip. Ap-   '' pnlo-irpino ÌS96, pagg. 30, h. 0,70.   Un Accadbmico Pontakiaito elei seo. XVI PpeonrBOPe del-  l' Ariosto ode) Panai — Stiano — Stab Tip Apputo ir-  pÌHO 1898 pagg X 489, \ 3,S0   Di prOBSima pubblicazione   Il Parrasio Filoloqo c la sua Biblioteca.   F. Paolo Pabzanbsb — Tita ed opere.   Scritti ihrditi di P Paolo ParzanoBo feon prefazione t noU).   In preparazione   STunn Dahtebchi  Anxcdoti HuvzoinANi   FOLELOBB iBPmO   La Bcdola Sabda e i Codd d' Arborea Prezzo del pbesektb vomuE LiB^ 3,Aulius Ianus Parrhasius. Aulio Giano Parrasio. Parisio. Keywords: implicatura, implicatura retorica, Cicerone, filosofia italiana, gl’antichi romani, Livio, Catullo, Orazio, Cicerone, Stazio, l’oratoria, il gusto per l’antico in Italia. PARRHASIANA, Vico, Sabbaldini sull’importanza da Parisio, grammatica speculativa, grammatica modista, ars grammatica, probo, la grammatica, la dialettica e la retorica --.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Parisio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Parmisco: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico Favorino says that the Pythagorean Parmisco (he spells the name Parmenisco) frees Senofane from slavery – Grice: “Which was the inspiration for Robin Maugham’s The Servant!” --.

 

Grice e Parrini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicare, impiegare, interpretare – filosofia italiana – Luigi Speranza (Castel’Azzara). Filosofo italiano. Grice: “Italians are supposed to be non mainstream and go ‘off the beaten road’ – Parrini proves they shouldn’t!” Professore a Firenze, membro di svariate istituzioni scientifiche internazionali e del comitato scientifico di alcune riviste filosofiche italiane e straniere e condirettore della collana "Epistemologica" pubblicata dall'editore Guerini e associati, fu segretario nazionale del Comitato dei dottorati di ricerca in Filosofia, nonché Presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica. Fu invitato a tenere lezioni e conferenze in Italia, in vari paesi europei, in Argentina e negli Stati Uniti d'America. Insieme a Roberta Lanfredini organizzò un Corso di perfezionamento in Epistemologia generale e applicata che si tiene, con cadenza biennale, a 'Firenze. Si occupò di filosofia analitica contemporanea, dell'epistemologia di Kant e di Husserl, di vari aspetti del pensiero scientifico e epistemologico, della filosofia italiana del Novecento. Sin dai primi lavori ha sviluppato una nuova interpretazione del positivismo logico e dei suoi rapporti con il convenzionalismo e la filosofia kantiana la quale, in seguito, ha trovato ampia conferma a livello internazionale. In campo epistemologico, i suoi maggiori interessi vanno al tema del realismo, alla problematica della conoscenza a priori, alla giustificazione epistemica e alla metodologia della ricerca storico-filosofica. Nel volume Conoscenza e realtà avanzò una prospettiva filosofica cui dette il nome di "filosofia positiva" e della quale sviluppò le implicazioni circa i rapporti con l'ermeneutica, lo statuto epistemologico della logica e la natura della verità. Lasciò più di un centinaio di pubblicazioni. Saggi: “Linguaggio e teoria: analisi filosofica” (Nuova Italia, Firenze); “Una filosofia senza domma: materiali per un bilancio dell'empirismo,” – Grice: “I can’t see why Parrini is afraid of a dogma; Strawson and I loved them – and he knows it – he totally misunderstands us when he thinks we are into ‘reductionism’! But at least he cares to call me Herbert, as I never myself did! Don’t Italians know abbreviations?! H. P.!” – “In difesa di un domma” -- Mulino, Bologna, “Empirismo logico e convenzionalismo,” (Angeli, Milano); “Conoscenza e realtà: positivismo” (Laterza, Roma-Bari); “Dimensioni della filosofia. Filosofia in età antica – antica filosofia italica (Mndadori, Milano); “L'empirismo logico, Carocci, Roma); “Filosofia e scienza nell'Italia del Novecento. Figure, correnti, battaglie” (Guerini, Milano) – Grice: “Gentile was right when he distinguished between classical liceo and the rest! We don’t need no scientific education, we don’t need no thought control!” – “Fare filosofia, oggi” (Carocci, Roma). Note  "lanazione",  Scheda docente presso il Dipartimento di filosofia dell'Università degli Studi di Firenze, su philos.unifi. P. in SWIFSito web italiano per la filosofia, su lgxserver.uniba. Lo studio del riferimento in Quine, “Rivista di filosofia” Da Quine a Katz, I, “Rivista critica di storia della filosofia” [= Rcsf], "Vero" come espressione descrittiva, Rf, Da Quine a Katz, II, Rcsf, Di alcuni problemi di filosofia della logica, Rf, Recensione di R. G. Colodny, The Nature and Function of Scientific Theories. Essays in Contemporary Science and Philosophy (Pittsburgh), Rcsf, Recensione di M. Serres, Le Système de Leibniz et ses modale mathèmatiques, Paris, Rcsf, Recensione di N. Rescher, Essays in Philosophical Analysis (Pittsburgh), Rcsf, 2 Recensione di Papanoutsos, The Foundations of Knowledge (English edition with an Introduction of J. P. Anton, New York), Rcsf,  Il carattere dei giudizi esistenziali e alcuni problemi dell'empirismo, in Atti del XXIV Congresso Nazionale di Filosofia: Bilancio dell'empirismo contemporaneo, Roma, Società Filosofica Italiana: Recensione di M. Bunge (ed.), Exact Philosophy. Problems, Tools and Goals (Dordrecht), Rcsf, Sulla traduzione italiana di "The Development of Logic" di Kneale, Rcsf,  Linguaggio e teoria. Due saggi di analisi filosofica, Firenze, La Nuova Italia, Per un bilancio dell'empirismo contemporaneo: contributo alla storia del positivismo logico, Rcsf, Edizione, con Introduzione, di A. N. Whitehead e B. Russell, Introduzione ai "Principia Mathematica", Firenze, La Nuova Italia  Recensione di Popper, Objective Knowledge. An Evolutionary Approach (Oxford), Rcsf, Recensione di J. Danek, Les Projets de Leibniz et de Bolzano: deux sources de la logique contemporaine (Laval, Quèbec), Rcsf, Le rivoluzioni scientifiche, nella serie radiofonica a c. di Paolo Rossi "Storia delle idee", Rai 3, Scienza e filosofia nell'Ottocento: la scoperta del concetto di energia, nella serie radiofonica a c. di Paolo Rossi "La scienza e le idee", Rai  Recensione di W. V. Quine, I modi del paradosso e altri saggi (Milano), Rcsf, Filosofia e scienza nella cultura tedesca del Novecento, in Storia della filosofia, diretta da M. Dal Pra: La filosofia contemporanea: il Novecento, Milano, Vallardi: 2Materialismo e dialettica in Geymonat (in collaborazione con Mugnai), Rf,– Linguistica generativa, comportamentismo, empirismo,"Studi di grammatica italiana", Tutte le parole per definire la realtà (a proposito del Convegno fiorentino I livelli della realtà), "L'Unità", Fisica e geometria dall' Ottocento ad oggi [Antologia di testi introdotti e commentati], Torino, Loescher: Analiticità e teoria verificazionale del significato in Calderoni, Rcsf, Una filosofia senza dogmi. Materiali per unbilancio dell'empirismo contemporaneo, Bologna, il Mulino  Introduzione a Quine, Logica e grammatica, Milano, Il Saggiatore: Scienza, vita e valori (con lettura di testi di A. Huxley e brani dal Quartetto per archi n. 15, op. 132 di L. van Beethoven) per la serie radiofonica a c. di Massimo Piattelli Palmarini, Rai 3, Lettera di risposta a M. Pera, Rovesciando si impara . "L'Espresso",  – Scienza e filosofia: diamo a ciascuno il suo, “La Stampa”. Recensione di Cohen, Feyerabend, Wartofsky (eds.), Essays in Memory of Imre Lakatos (Dordrecht), Rscf, Recensione di Harrè Introduzione alla logica delle scienze (Firenze), Rcsf,  Recensione di S. Lunghi, Introduzione al pensiero di K. Popper (Firenze), Rcsf, Empirismo logico e convenzionalismo, Milano, F. Angeli  Edizione, con Introduzione, di H. Reichenbach, Relatività e conoscenza a priori, Bari, Laterza, Popper indeterminista (Recensione di Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica, Milano), “L'Indice [dei libri del mese]”, Edizione, con Introduzione, di Reichenbach, Da Copernico a Einstein, Bari, Laterza:  Recensione di T. Nickles, Scientific Discovery, Logic and Rationality e Scientific Discovery. Case Studies (Dordrecht), Rsf [= Rivista di storia della filosofia; già Rcsf], L’ultimo Preti e i suoi corsi universitari, "Quaderni dell'Antologia Vieusseux", Empirismo logico, kantismo e convenzionalismo, "Paradigmi", Edizione, con Introduzione, di Schlick, Forma e contenuto, Torino, Boringhieri, Recensione di A. J. Baker, Australian Realism. The Systematic Philosophy Anderson (Cambridge), Rsf, L'antidoto degli elettroni (Recensione di Hacking, Conoscere e sperimentare, Bari), "L'Indice", Preti teorico della conoscenza, Annali del Dipartimento di Filosofia dell'Università di Firenze,  (anche in Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, a c. di Minazzi, Milano, Angeli: Filosofia italiana e neopositivismo, Rf (also in Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, a c. di Rossi e Viano, Bologna, il Mulino: Vogliamo le prove (Recensione di A. Grünbaum, I fondamenti della psicoanalisi, Milano), "L'Indice" La psicoanalisi nella filosofia della scienza, Rsf, A ciascuno il suo sombrero (Recensione di P. [Paolo] Rossi, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, Bologna), "L'Indice", Sulla teoria kantiana della conoscenza: verità, forma, materia, in Kant, Bologna, Zanichelli, Tra empirismo e kantismo (recensione di G. Preti, Lezioni di filosofia della scienza, Milano e Lecis, Filosofia, scienza, valori. Il trascendentalismo critico di Preti, Napoli), "L'Indice", Induzione, realismo e analisi filosofica, Rsf, Ancora su filosofia e storia della filosofia, Rsf, Scienza e filosofia, Parte Quinta della Storia della filosofiadiretta da Pra: La filosofia nella prima metà del Novecento, II edizione, Padova, Piccin Nuova Libraria: Scienza e Filosofia nella cultura tedesca,  Empirismo logico e filosofia della scienza: Con Carnap oltre Carnap. Realismo e strumentalismo tra scienza e metafisica, Rf, Nota introduttiva a Evert W. Beth, Sulla distinzione kantiana tra giudizi sintetici e giudizi analitici, "Iride", Recensione di Sahlin, The Philosophy of Ramsey(Cambridge), Rsf, Il pensiero peregrinante di un monaco mancato (recensione di Lyotard, Peregrinazioni. Legge, forma, evento, Bologna), L'Indice, Ma Madonna non è Kant (a proposito del Convegno del Centro fiorentino di Storia e Filosofia della scienza “Kant e l'epistemologia contemporanea”,"Il Sole 24 Ore", Origini e sviluppi dell'empirismo logico nei suoi rapporticon la filosofia continentale. Alcuni testi inedita; Presentazione di R. Lanfredini, Husserl. La teoria dell'intenzionalità. Atto, contenuto, oggetto, Bari, Laterza – Reichenbach, la teoria della relatività e la problematica dell'a priori in Dagli atomi di elettricità alle particelle atomiche. Problemi di storia e filosofia della fisica tra Ottocento e Novecento, a c. di S. Petruccioli, "Lezioni Galileiane", Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, Conoscenza e realtà. Saggio di filosofia positiva, Bari, Laterza, L'insegnamento medio della filosofia in Italia. Alcune considerazioni scientifico-culturali, Rsf, Intervento/intervista sull'insegnamento della filosofia nella Scuola media superiore, "Corriere della Sera", Intervento/intervista sul X Congresso Internazionale  della Union of History and Philosophy of Science, F. Bordogna, Neopositivisti rivalutati al congresso, "il Sole-24 Ore",  Filosofi, vi esorto alla Bosnia, "L'Indice", Mito e scienza in Ernst Cassirer. Considerazioni introduttive, in Mito e scienza in Ernst Cassirer, a c. di Parrini, in “Annali del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze”, Perchè è scorretto (moralmente) dire che è uno di noi [Intervento sul Documento del Comitato nazionale di bioetica sulla sperimentazione sull'embrione], "il Sole 24 Ore", Con i “continentali” il dialogo è aperto, “il Sole 24 Ore”, Filosofia e storia della filosofia, in Filosofia analitica oggi, “Informazione filosofica”, Le origini dell’epistemologia, in Storia della filosofia, a c. diP. [Pietro] Rossi e C. A. Viano, L’Ottocento, Bari, Laterza: Immanenz gedanken e conoscenza come unificazione. Filosofia scientifica e filosofia della scienza, Rsf, Realismo, scetticismo e analisi filosofica [Risposta a P. Leonardi], “Paradigmi”, Intervento in “Il documento dei Quaranta”: risposte e considerazioni, “L’informazione filosofica”, Per un sapere senza assoluti su Neurath, “il Sole 24 Ore”, La mia terza via nella ragnatela di concetti e credenze, “Letture”, Presentazione e Curatela con Egidi di Forme di argomentazione razionale, “Paradigmi”, Ermeneutica ed epistemologia, “Paradigmi”, Presentazione e Curatela con Marconi e M. Di Francesco, Filosofia analitica. Prospettive teoriche e revisioni storiografiche, Milano, Guerini, Dell'incertezza, ovvero del "non raccapezzarsi" [su S. Veca, Dell'incertezza. Tre meditazioni filosofiche, Milano], "Iride", Sull'insegnamento della filosofia nella scuola media superiore riformata, Rsf, Aggiornamento delle voci Causalità, Convenzionalismo, Teoria scientifica, Verità, Dizionario di Filosofia, di N. Abbagnano, terza edizione aggiornata e ampliata da Fornero, Torino, Pomba, Io difendo gli epistemologi, "Letture", Sulle vedute epistemologiche di Enriques (e di Croce), Rsf, Una risposta laica alla fine degli assoluti [Intervento nel dibattito sul nichilismo], "il Sole 24 Ore",  La filosofia è ancora motore di progresso [Intervento nel dibattito sulla riforma dell'università], "il Sole 24 Ore", Filosofia delle occasioni mancate [Intervento nel dibattito sulla riforma dell'università], "il Sole 24 Ore", Il conoscere tra filosofia e scienza, in Atlante del Novecento, 3 voll., con la direzione di Gallino, Salvadori, Vattimo, Torino, Pomba: Il declino delle certezze. Un secolo e le sue immagini: Metafisica e filosofia analitica, in Annuario di filosofia: Corpo e anima. Necessità della metafisica, Milano, Mondadori: Ancora sul convegno fiorentino della SFI, Lettera alla Rst, Crisi del fondazionalismo, giustificazione epistemica e natura della filosofia, "Iride" La 'terza via' della filosofia positiva, in AA. VV., La navicella della metafisica. Dibattito sul nichilismo e la 'terza navigazione', Roma, Armando: Internet non è fatto per i ‘verofobi’, "il Sole 24 Ore",  Empirismo logico, tutta un'altra storia, "il Sole 24 Ore", La verità (Discussione di Paolo Parrini e Marco Messeri), "Palomar",  Una risposta laica alla fine degli assoluti, in Nichilismo Relativismo Verità. Un dibattito, a c. di V. Possenti e A. Massarenti, Rubbettino, Soveria Mannelli: Epistemologia, filosofia del linguaggio e analisi filosofica, in La filosofia italiana in discussione, a c. di F. P. Firrao, Milano, Paravia e Bruno Mondadori, Dimensioni scientifiche e filosofiche della conoscenza. Una panoramica introduttiva, in "Annali del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze": Miserie dell'epistemologia italica, in Scienza Dossier, "il Sole 24 Ore", Sapere e interpretare. Per una filosofia e un’oggettività senza fondamenti, Milano, Guerini, Conoscenza e cognizione. Tra filosofia e scienza cognitiva, Milano, Guerini, Il ‘dogma’ dell’analiticità cinquant’anni dopo. Una valutazione epistemologica, in Conoscenza e cognizione, Dimensioni della filosofia, vol. I: Filosofia in età antica, Milano, Mondadori Università (in collaborazione con Simonetta Parrini Ciolli Incompreso, o quasi, dagli Americani [K. R. Popper: “Il più grande epistemologo mai esistito?”], in Karl Popper oggi. A cento anni dalla nascita, “Reset”, L’empirismo logico. Aspetti storici e prospettive teoriche, Roma, Carocci, Popper e Carnap su marxismo e socialismo, “Nuova Civiltà delle Macchine”, Filosofia e scienza in Enriques, “Nuncius. Annali di storia della scienza”, Più realista dell’empirismo [Ricordo di Wesley C. Salmon], "il Sole 24 Ore", Crisi dell’evidenza e verità: due modelli epistemologici a confronto, in La questione della verità. Filosofia, scienze, teologia, a c. di Possenti, Roma, Armando: Filosofi italiani allo specchio: Paolo Parrini, “Bollettino della Società Filosofica Italiana”,  Reason and Perception. In Defense of a Non-Linguistic Version of Empiricism, in Logical Empiricism. Historical and Contemporary PerspectivesNota su Valore, Due convegni su Giulio Preti a trent’anni dalla scomparsa, Rsf, Il pensiero filosofico di Preti, ed. by P.  and L. M. Scarantino, Milano, Guerini: Presentazione by P.  and Scarantino), Preti filosofo dei valori, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Preti: ‘A Crossing of the Ways’, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Il pupazzo di garza: alcune riflessioni epistemologiche, in Il pupazzo di garza, Papini e Tringali, Firenze, Tra kantismo ed empirismo, in Scienza e conoscenza secondo Kant. Influssi, temi, prospettive, a c. di Moretto, Padova, il Poligrafo, Recensione di Preti, Écrits philosophiques (Paris), “Les Études philosophiques”, nPreti nella filosofia italiana della seconda metà del Novecento, in Giulio Preti filosofo europeo, a c. di Alberto Peruzzi, Firenze, Leo S. Olschki: L’insegnamento della filosofia tra identità disciplinare e rapporto con gli altri saperi, in Rinnovare la filosofia nella scuola, a c. di L. Handjaras e Firrao, Firenze, Clinamen: Su alcuni problemi aperti in epistemologia, “Iride”, Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento.Figure, correnti, battaglie, Milano, Guerini A due secoli da Kant: conoscenza, esperienza, metafisica della natura, in Itinerari del criticismo. Due secoli di eredità kantiana, a c. di Ferrini, Napoli, Bibliopolis: L’epistemologia di Popper e il “dilemma pascaliano” di Duhem, in Riflessioni critiche su Popper, a c. Chiffi e Minazzi, Milano, Franco Angeli: Verità e realtà, in La verità. Scienza, filosofia, società, a c. di Borutti e L. Fonnesu, Bologna, il Mulino: Generalizzare non serve [titolo redazionale per Patti chiari, amicizia lunga], “L’Indice dei libri del mese”, risposta alla recensione di Massimo Ferrari. Quale congedo da Kant?, in Congedarsi da Kant?, Ferrarin, Pisa, ETS, Quale congedo da Kant? Replica a una replica di Ferraris, in epistemologica.it /images/stories/ /Note%20e%20 Discussioni/ Quale%20congedo %20da%2 0kant.     Filosofia e scienza, in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze: I filosofi e la scienza: da Kant ad Einstein, in Pianeta Galileo, Peruzzi, Firenze: La filosofia della scienza in Italia, in Pianeta Galileo Peruzzi, Firenze: A priori materiale e forme trascendentali della conoscenza. Alcuni interrogativi epistemologici, in A priori materiale. Uno studio fenomenologico, a c. di R. Lanfredini, Milano, Guerini Fra nichilismo e assolutismo. Alcune riflessioni metafilosofiche, “Iride”,  L’a priori nell’epistemologia di Preti, Rsf, Analiticità e olismo epistemologico: alternative praghesi, in Le ragioni del conoscere e dell’agire. Scritti in onore di Rosaria Egidi, a Calcaterra, Milano, Angeli: A proposito di offerte filosofiche, in F. D’Agostini, Mari, P., La priorità del male e l’offerta filosofica di Veca, “Iride” Revisione delle Voci: Broad, Causa, Causalità, Empiriocriticismo per l’Enciclopedia filosofica, a c. del CentroStudi Filosofici di Gallarate, Milano, Bompiani Voci: Circolo di Berlino, Costruttivismo, de Finetti,Empirismo logico, Fisicalismo, Pap, Reichenbach per l’Enciclopedia filosofica, a c. del Centro Studi Filosofici di Gallarate, Milano, Bompiani La filosofia della scienza in Italia, Intervista a c. di Duccio Manetti per il Pianeta Galileo popparrini html Scienza e filosofia oggi, Intervista a c. di Duccio Manetti, in Humana. mente, unifi. bibfil/humana. mente/ Quine e Carnap su analiticità e ontologia: una valutazione critica, in Questioni di metafisica contemporanea, a c. di Chiodo e Valore, Milano, Castoro. L’approccio teorico-problematico nell’insegnamento della Filosofia, in Insegnare Filosofia. Modelli di pensiero e pratiche didattiche, a c. di Illetterati, Torino, Pomba: Presentazione di Luca M. Scarantino, Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, Milano, Mondatori: i070 Il convenzionalismo epistemologico al di là dei problemi geocronometrici, “Rsf”, Bisogna conoscere il passato per orientarsi nel futuro? Risposta a Marco Santambrogio, “Iride”, Per la verità, ancora una volta [su Marconi, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino] “Iride”,  Mente, verità e razionalità. Tre modelli epistemologici a confronto, in Razionalità, verità e mente, a c. Lorenzo Ajello, Milano, Mondadori:  Spirito positivo e filosofia italiana, in Il positivismo italiano: una questione chiusa?, a c. di Bentivegna, F. Coniglione, Magnano San Lio, Acireale-Roma, Bonanno, Intervento alla Tavola Rotonda: Il positivismo italiano: una questione chiusa?, in Il positivismo italiano: una questione chiusa?  La rivista “Epistemologia” tra logica, scienza e filosofia, in La cultura filosofica italiana attraverso le riviste: Giovanni, Milano, Angeli: Intervista in occasione del conferimento del Premio Preti a c. di Maionchi e Manetti: interviste_p. html   (Autopresentazione), in Storia della filosofia dalle origini a oggi, Filosofi italiani contemporanei, Antiseri e Tagliagambe, Le grandi opere del Corriere della sera, RCS libri, Milano, Bompiani: Il pensiero di Preti e la sua difficile eredità, in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze: La scienza come ragione pensante, Lectio Magistralis tenuta in occasione del conferimento del Premio Preti  in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze Verità e razionalità in una prospettiva positiva, “Annuario filosofico”, Milano, Mursia, Il principio di verificazione nell’empirismo logico, in Portale Internet della Treccani, in aula/scienze umane e_sociali/ verita_ della_ scienza/ parrini. html Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma Scienza e Filosofia, in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze, Relativismo e oggettività. Il peso dell’esperienza, in Metafisica, persona, cristianesimo. Scritti in onore di Possenti, Goisis, Ivaldo, Mura, Roma,Armando,  Epistemologia [Kant e l’epistemologia], in L’universo kantiano. Filosofia, scienze, sapere, a c. di Besoli, C. La Rocca, R. Martinelli, Macerata, Quodlibet: L’esperienza neoilluminista nello specifico pretiano, in Impegno per la ragione. Il caso del neoilluminismo, Tega, Bologna, il Mulino Integrazione della Corrispondenza Pra-P. del Fondo Pra Università di Milano: %20 Dal PraParrini.    Laggiù dove tutto è possibile (davvero), in Isole del pensiero. Arnold Böcklin, Giorgio de Chirico, Antonio Nunziante, a c. di Faccenda, Milano, Electa Mondadori: Metafisica, sì, ma quale metafisica?, in Isole del pensiero. Böcklin, Chirico, Antonio Nunziante, a c. di Faccenda, Milano, Electa Mondadori:  Il valore della verità, Milano, Guerini, Dimensioni epistemologiche del kantismo, in Continenti filosofici. La filosofia analitica e le altre tradizioni, Caro e S. Poggi, Roma, Carocci:  Scienza e filosofia: eredità del passato, prospettive per il futuro, in Una storia delle scienze. Discussioni e ricerche, Atti del Convegno: “Orizzonti e confini nella ricerca epistemologica” (Centro Congressi della Sapienza, Università di Roma, Facoltà di Sociologia), Rinzivillo, Roma, La Sapienza: Relativismo, peso dell’esperienza e valore della verità, in “Diritto e Questioni Pubbliche”  diritto equestionipubbliche.org //mono%2 0II%20-%20 Filosofia e scienza in Italia nell’età del positivismo, Portale Treccani  Croce ha accentuato il nostro ritardo culturale?, “Il Riformista”, La pittura come scrittura filosofica. De Chirico e la metafisica, in La questione dello stile. I linguaggi del pensiero, a c. di Bazzani, Lanfredini, Vitale, Firenze, Clinamen: Fenomenologia ed empirismo logico, in Storia della fenomenologia, a c. di A. Cimino e V. Costa, Roma, Carocci, Salvare i fenomeni. Considerazioni epistemologiche sul caso Galileo, in Pianeta Galileo, A. Peruzzi, Firenze: Presentazione del Convegno internazionale su Preti per il centenario della nascita, in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze: Realismi a prescindere. A proposito di realtà ed esperienza,“Iride”, Lezione per le “Lectiones Commandinianæ” dell’Università di Urbino)     La scrittura filosofica, in La verità in scrittura, a c. di Bazzani, Lanfredini, Vitale, Firenze, Clinamen: Etica ed epistemologia, in Etica, libertà, vita umana. Commenti al saggio di P Donatelli, La vita umana in prima persona, “Politeia”, Verità e razionalità in una prospettiva positiva, in Filosofi italiani contemporanei, a c. di Riconda e Ciancio,Torino, Mursia: Presentazione del volume Sulla filosofia teoretica di Preti, a c. di L. M. Scarantino, Milano, Mimesis: A priori, oggettività, giudizio: un percorso tra kantismo, fenomenologia e neoempirismo. Omaggio a Preti, in Sulla filosofia teoretica di Giulio Preti, a c. di Scarantino, Milano, Mimesis Il problema del realismo dal punto di vista del rapporto soggetto/oggetto, in Realtà verità rappresentazione, a c. di Lecis, Busacchi, Salis, Milano, Angeli: Ontologia e epistemologia, in Architettura della conoscenza e ontologia, a c. di R. Lanfredini, Milano, Mimesis:  Kant e il problema del realismo, in Kant, a c. di Pettoello, “Nuova Secondaria”  “Esercizi Filosofici”, 1: Esercizi di equilibrio in filosofia, in A Plea for Balance in Philosophy. Essays in Honour of P. New Contributions and Replies, cur. Lanfredini e Peruzzi, Pisa, ETS: Discussione sulla materia: Una prospettiva epistemologica, “Aquinas: Rivista Internazionale di Filosofia”, Mach scienziato-filosofo, Introduzione a Mach, Conoscenza ed errore. Abbozzi per una psicologia della ricerca, Milano, Mimesis, Epistemologia e approccio sistemico. Qualche spunto per ulteriori riflessioni, “Rivista di filosofia neo-scolastica, Logical-Empiricism: an Austrian-Viennese Movement? Or an Unsolved Entanglement among Semantics, Metaphysics and Epistemology, “Paradigmi”, Fare filosofia, oggi, Roma, Carocci editore (v. Intervista: letture.org/fare-filosofia-oggi-paolo-parrini/)  Epistemologia e approccio sistemico. La dinamica della conoscenza e il problema del realismo, “Rivista di Filosofia Neo-Scolastica” Quine su analiticità e olismo. Una valutazione critica in dialogo con Nannini, in Dalla filosofia dell’azione alla filosofia della mente. Riflessioni in onore di Nannini, a c. di Lumer e Romano, Roma-Messina, Corisco Né profeti né somari. Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento quindici anni dopo, “Filosofia italiana” Sulla filosofia degli analitici, in Prassi, cultura, realtà. Saggi in onore di Pier Luigi Lecis, a c. di V. Busacchi, P. Salis, S. Pinna, Milano, Mimesis: Scienza e arte, ovvero verità e bellezza, in TBA, a c. di P. Valore, in corso di stampa     2) Empirismo logico e fenomenologia. Uno snodo fondamentale della filosofia del Novecento, relazione su invito presentata all’International Conference “Experientia/Experimentum”, Napoli Filosofia e storia della filosofia: una prospettiva epistemica, relazione su invito presentata all’incontro “Filosofia e storia della filosofia: prospettive a confronto”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Esplicazione e rielaborazione dei concetti, in Metodi, stili e orientamenti della filosofia, a c. di R. Lanfredini, Carocci Editore, Roma, Paolo Parrini. Parrini. Keywords: implicare, interpretare, antica filosofia italica, Herbert Paul Grice, in difesa di un domma – indice to ‘filosofia eta antica’. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Parrini” – The Swimming-Pool Library. Parrini.

 

Grice e Pascoli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo italiano. Fisio-logia. Grice: “An excellent philosopher. He philosophised on the will, on the soul, and on a functionalist approach.” Filosofo. Lingua. Fratello di Leone P. Insegna a Roma e Perugia. Tiene dimostrazioni anatomiche mediante dissezione di cadaveri, come il suo collega e concorrente Andrea Vesalio. Intrattenne una vasta corrispondenza con intellettuali di tutta Europa.  Le sue opere filosofiche e scientifiche seguono i metodi di Descartes et Malebranche. I suoi trattati di metafisica, medicina e matematica esibiscono una filosofia coerente e metodico che dimostra la vitalità filosofica della cultura italiana del periodo. Saggi: “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso esteriore”; “Nuovo metodo per introdursi ad imitazion de' geometri con ordine, chiarezza, e brevità nelle più sottili questioni di filosofia metafisiche, logiche, morali e fisiche” (Poletti, Andrea); “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso esteriore, Salvioni, Giovanni Maria); “Del moto che ne i mobili si rifonde in virtù di loro elastica possanza” (Bernabò, Rocco); “Delle febbri teorica e pratica secondo il nuovo sistema ove tutto si spega per quanto e possible ad imitazione de gemetri”; “Il corpo umano o breve istoria dove con nuovo metodo si descrivono in comendio tuti gl’organi suoi ed I loro principali offij”; “De fibra mortice et morbosa nec non de experimentis ac morbis”; “Nuovo metodo per introdursi ad imitazione de geometri con ordine, chiarezza e brevita nelle piu sottil qestioni di filosofia logica, morale, e fisica. Osservazione teoretiche e pratiche inviate per lettere”; “Sofilo Molossio, pastore arcade PERUGINO e custode delg’ARMENTI AUTOMATICI in Arcadi gli difende dallo scrutinio ne che fa nella sua critica Papi” (Roma); “Anatome literarum sive palladis pervestigatio” (Roma); “SOFILO SENZA MASCHERA” (Roma); “Del moto che nei corpi si diffonde PER IMPUSLO ESTERIORE, trattato fisico matematico ad insegnare la possanza degli elementi quatro” (Roma); “Della natura dei NOSTRI PENSIERI e della natura con cui si ESPRIMONO. Riflessioni METAFISICHE” (Roma); “Del moto che nei mobile si rifonde in virtu di loro elastica possanza” (Roma); “De homine sive de corpore humano vitam habente ratione tam prospera tam afflictae valetudinis” (Roma); “Delle risposte ad acluni consulti sulla natura di varie infermita e la maniera di ben curarle con una notizia della epidemina insorta nel GHETTO GIUDEO di roma, e del congatio de’ buoi ne” (Roma); “Con una breve notizia del mal contagioso dei buoi”; “Opuscoli anonimi in difesa di Alessandro Pasocolo” – si credeno suoi soi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Lalande, Dulac, Billy. Elogio. Bartelli, letto con Lic. de' Superiori decimo lustro il secondo a n no già corre, da che le suoi ceneri, filosofo perugino, sotto un'umi le sasso mute riposano in Roma, dalla Patria,ahi! pur troppo neglette. Qui nacque, quà si educa, quì sparse per decennale tempo i lumi della filosofia più sublime, insegnò ed esercitò qui Medicina. E celebratissimo perfino oltre Italia; e tanta gloria egli accrebbe alla perugina Medica Scuola, che forse questa per opera d'altrui a tanta rinoman za non 'mai pervenne : nulladimeno sulla di lui tomba alcuna corona di patrio lauro non siposò, nè del suo nome videsi ancor fregiato un'Elogio. Penso peraltro che Tu non debba di ciò do lerti , ora che siedi puro ed impassibile sull' eter no seggio dei Buoni; dacchè se vivente fosti il più fido seguace delle profonde dottrine del forte animo di Cartesio, forse oggi di averne auta pur anco comune la sorte oltre la tomba tu ti com . piaci Al vivere suo aprì Cartesio le luci nel bel suolo di Francia , e sulle scoscese balze di Svezia le chiuse e sebbene tornassero , dimandate le sue ceneri nelle Gallie, pure cento anni pas  opra il sesto decimo lustro Soprailsesto 0; sarono prima che di lui si leggesse un encomio. Il nostro Alessandro in Perugia nacque e Roma les ue ossar accolse, nè furono queste da'suoi concittadini manco desiderate; e solamente dopo   ottantadue anni, nella stessa sua patria, oggi al cun poco di lui si ragiona. Piacciavi, accademici valorosi, che io ne parli almeno ad onore di questa sua terra natale, ed'a gloria di quella medica fronda di cui venne meritissimamente il suo crine ricinto', che quì splendeva allora più ver de e più onorata. Nè voglio credere che siavi alcuno il quale reputi vana cosa questo mio dire; imperocchè, Lui laudando, essendomi dato di e sporre dottrine non'tutte convenevoli a' tempi ne quali si vive, ciò non torrà certamente che Egli non debba essere reputato grande Filosofo e som mo Medico: essendo che se lafilosofia e la medicina, o da meglio dire, se ogni umano sapere soggia cé par troppo a cangiamento coll'andare dei se coli, è cosa costante che la verità e l'errore só no di tutte le menti nostre retaggio ; sicchè tut ti i secoli e tutti gli uomini da non pochi lati si avvicinano sempre fra loro. Colprogrediredelsecolodecimo settimole scienze tutte di più chiara luce folgoreggianti,per la via progredivano del possibile loro migliora mento :Sciolto lo spirito umano dagli opprimen  . Se questo Elogio di Alessandro Pascoli potrà servire a qualche riparo del lungo silenzio in che ilsuo nome si stétte ; se a sprone di studiosa gioventù possa per buona ventura tornare, se del lo estinto encomiato e di Voi., dotti Colleghi, non tantoindegno riesca, al fine da me proposto lietamente mi stimerò pervenuto. O ti legami del Peripato, erasi finalmente avveduto della sua nobiltà; e la mente erasi accorta pote re da se stessa pensare . Sembrava che la natura tutta fosse giunta a tale momento di crisi, dalla quale aspettare si dovevano grandi cose e grandi uomini; e grandi cose e grandi uomini difatti si ebbero. Fra questimolti, fiorirono Dracke, Copernico, Ticone, Keplero, GALILEI, Bacone, e finalmente Cartesio, destinato dal cielo a compiere il bramato rinnovamento negli studii moltiplici della natura. Appena ilgrande Filosofo dell'Aja di chiarò al mondo intero non doversi alcuna cosa ritenere per vera , quando che non venga dimo,  strata per tale; appena disse'che la umana mente deve tutto in dubbiezza riporre, finchè alla cer tezza non sia pervenuta;'e di queste le fonda menta non che i caratteri stabilì ; lo studio ed il filosofare degliuomini dialtropiù nobilesplendo re si rivestirono. La geometria,la logica, lameta fisica, la fisica, e la medicina medesima in più stabile e più onoratá sede allora si collocarono . Il secolo diCartesio segnòmai sempre una delle e poche più luminose e memorande nella storia del l'umano intendimento, imperocchè ogni1 dotto partecipò del beneficio influssodi questo tempo; ed il nostro P. divenne Filosofo col divenire Cartesiano. Se non che non solo di Filosofia ma di medicina altresì ai nobilissimi studj sentissi da natura invitato; e cono scendo la forza del proprio genio, nol poterono. Comincia con Cartesio dal dubitare e quindi giunse a persuadere sè stesso , tro e  6 distrarre da quelli ne i solerti padri di gesú che accorti iniziandolo nelle regole del loro Istituto cercarono farne conquista.; nè il volere del padre il quale all'officio del foro il destinava. Vide egli bene assai per tempo come a corre merita mente il medico lauro, doveva alle filosofiche discipline tutto sè dedicare. Perchè la filosofia di ogni umano sapere è fondamento primiero. Accostumato come Cartesio a meditare più che a leggere, a pensare più che a parlare, medita sul le opera di quell sommo e le studia intensamente, facendosi propri i di lui principj , e tutta la filosoficacartesianatelasvolsee conobbe. Il discorso sul metodo, le metafisiche meditazioni, le regole per la ricerca del vero, il trattato sull’uomo di Cartesio sono a lui splendentissima face onde dirigersi nel difficile sentiero della filosofia. Cosi lo studio di questa precedette e quindi 'accompagna quello della medicina, non mai volendo egli l'uno dall'altro separare. Tra noi, ai giorni nostri tristissimi , sembra essere riserbato vedere non poca turba di gioventù male accorta gire in traccia di medica scienza senza lo inestinguibile lume del più retto filosofare, senza la conoscenza della natura , di sė medesimo, e perfino del proprio idioma nativo. Vergogna s o m ima di que'paesi e di que'tempi che vogliopsi dire illuminati! E per attribute diverse.Quin di dalla cognizione dell'Io personale passa a quella pe ressenza perfetta che è Dio. Traicanoni della filosofia cartesiana erayi quello di ritenere e gate si trovano le verità : donde poi le idee in nate,dondela concatenazione diesse, la quale incominciando da dio scende all'anima umana, quindi ai corpi, quindi ai bruti, quindi alle cose, tutte della natura.E quifa duopo ricordare che mentre Cartesio col suo dubbio universale prese la via delle speculazioni intellettuali a sta bilire i gradi della verità , Bacone da Verulamio, coldubbio stesso fondamentale, prese la via del le sensazioni, ed al fine desiderato pervenne in cammino più regolare e meno incerto. Piega alquanto piùla sua mente al Cancelliere d'Inghilterra che al pensatore dell'Aja. Ora chi potrebbe mai credere che dopo ise coli di Bacone e Condillac sorgessero nuovamente, nelle dottrine delle idee, i secoli di Cartesio e di Malebranche? Eppure oggi è cosi. Umana mente!  Varsi esistenze fuori di noi, erisultarel'uomo da un corpo e da uno spirito, sostanze interamente fra loro per essenza e’che i sensi sieno ingannevoli guide alla umana ra gione ; e che perciò l'anima nostra ha in se stes . sa e per se stessa principj stabili, cui tutte le Ora tornando al nostro laudando diciamo che parlò egli primamente della esistenza e durata d e glienti modali; poscia diquelle sostanze che nelle loro idee inchiudono essenzialmente un qual   che modo di essere';e fondo le principali massi me della umana certezza sulla esistenza de'corpi. Dalle essenziali proprietà degli enti corporei stu diò pur egli l uomo sotto il duplice rapporto di sua materiale e spirituale sostanza; e ragionando dell'anima, ne fissò la essenza sulla immateriali tá di lei, donde le sue potenze intelletto é vo lontà . La credette immortale; e mentre Cartesio ne tacque la dimostrazione, scrivendo in una sua lettera non essere necessario di mostrare la immortalità dell'anima tostochè siasi provata la sua spiritualenatura, non volle tacerla col pubblicare il discorso sulla immortalità dell anima umana. Da troppa vanitàdinome; ed al desiderio di piacere agli amici, motteggiando alcun poco, egli fu 'mósso a scrivere contro Papi filosofo sabinese sostenendo a tutta possa, ma non con persuasione di aninio, le dottrine del suo prediletto Cartesio sulla vita antomatica delle bestie; volendosi però nascondere bizzarramente coll'intitolare il suo saggio “Sofilo Molossio Pastore Arcade Perugino Custode degli’armenti automatici in Arcadia.” Apparve preziosissimo a tutti questo saggio e se ne m e nò'romore in tutte le societá dotte di Roma. Tali erano i sali attici in esso 'raccolti, i vivaci sar casmi, ileggiadri concetti. Avvenne però che dopo sei annila suprema inquisizione con decreto solenne condanna l'opera del Pastore Arcadico Sofilo Molossio. Ale  8 e  e le sue ferme opinioni sull’animalitá delle bestie. Protestandosi in mille modi vero seguace di PITAGORA, e vero devoto a tutto ciò che la umana credenza prescrivesi. Fu questa la sola nube che per poco offuscasse l'ottima fama di Pascoli nel corso della lunga etá sua, é questa fu del suo animo la dispiacenza più viva. песа. Applicatevi dasenno a filosofare, poi che per tale via depurate la mente umana da gl’errori che la offuscano, e sollevata dalle passioni che la opprimono, si eleva cosi libera e tranquilla a tale grado di serenità, dove gode veramente di se medesima Stabilito avendo lora fu che P. accortosi dell'errore cui con dotto lo aveva una sua male accorta vanità di spirito , ritrattò subito pubblicamente le sue opinioni; e nelSofilosenza Maschera scuoprì il suo vero nome Erano pure a suoi tempi, quali oggi vivono, alcuni falsi sapienti, che superbamente umili, abusando del comune adagio, id tantum scio quod nihil scio, il più irragionevole scetticismo nelle coșe tutte proclamavano , e di ogni credenza e di ogni filosofia si facevano dispregiatori e nemici. Contra tale specie di stupidi pensatori si scaglia il nostro P.; e fa conoscere come filosofare non altro è se non se rettamente pensare, essendo che chi mal pensa conviene che male discorra, Sulle traccie di Platone, di CICERONE, d’AQUINO, di Cartesio, ripete a tutti con se l’apprensione, al giudizio, al discorso, al metodo; e a diligente disamina tutte prendendole, forma il suo saggio di logica, seguendo ugualmente la prediletta sua cartesiana maniera. Espnse quindi i precetti del ben' apprendere, del ben giudicare, del ben parlare, del ben disporre. Prefere il metodo analitico  che il pensiero è all’anima essenziale, come alla materia è la estensione, parla delle operazioni del nostro intelletto, le quali riduce all' per I studiare le cose, elo chiamò metodo di risoluzione o di disciplina. Si servi del metodo sintetico per insegnare ad altri, e lo disse metodo di composizione o di dottrina. Dopo che la scienza del calcolo per la invenzione de' caratteri algebrici si fa più ordinata, e di più estese applicazioni capace, lo studio delle matematiche divenne universale ad ogni sapiente: e di quanta utilitá si renda allo sviluppo dell'umano intelletto ed alla ricerca del vero, ognuno di leggeri il conosce . Studio si fatto non poteva es sere dal nostro Pascoli trascurato, e sulle opere del Gottigues, dello Scohetten, di BARTOLINO; dell'Ozanam , di FARDELLA, di Cartesio si forma matematico. Scrive il saggio di logistica od arimmetica, nel quale prendendo a trattarele quat tro operazioni fondamentali, non in cifre numeri che, ma in algebriche, intitol il suo lavoro col nome di “Arimmetica nova o speciosa,” ed applicando le stesse operazioni alla dottrina de'polinomii, la quale perviensi a studiare le leggi del moto. A lui però non piace solamente seguire le dottrine di questi sommi, ma cerca direnderle più facili epiù sicure. Lascia di ragionaré del moto in astratto; e col tatto, colla vista, coi sensi, in concreto lo esamina. Parla della natura, condizioni, proprietà, e leggi del moto per impulso esteriore ed in virtù di elastica forza. Quindi si lancia col pensiero, in alcuni moti possibili rispetto al vortice massimo del sole. Con tale chiarezza di principi, con tale ordine d'idee egli ne seppe parlare che meritò l'approfazione sincera ditutti i dotti e capace. Archimede, GALILEI, Gassendo, Rohault, Cartesio hanno già insegnata la strada per la quale perviensi ed alle equazioni, dette compimento alle sue fatiche sulla indole dei nostri pensieri. Pose poi mano alla fisica, od a quella scienza vastissima , la quale avvicinando al nostro pensiero le cose materiali che ne circondano, fà che lumana intelligenza al più alto grado di sublimi tà siconduca  L'uomo di fatti penetra con la sua scorta i più nascosi secreti della natura; e con leipasseggiandolaterra e con lei traversando glioceani,e su cieli passeggiando con lei,fache sopra tutto il creato sovranamente s'innalzi. La prima verità che ci insegna la fisica è che il m o to costituisce il fondamentale fenomeno de'corpi tutti. Ond'è che tutto è movimento in natura,o tutto a movimento èdisposto, o tutto di movimento è. Il grande matematico e fisico cremonese BIANCHINI glie ne dette la più solenne e pubblica testimonianza Mi si dia materia e moto, dice Cartesio, ed io imprendo tosto a crea re un mondo, il P. con maggiore umilta così diceva “ Materia e moto sono i due prin n.cipali strumenti, donde con sua possanza si » vale Dio, dimomento inmomento, aprodur 9. rac racoli, e miracoli di stupor infinito. Si ode oggi nelle nostre scuole far menzione di un etere comune, di un imponderabile unico ed universale, motore di tutti I fenomeni iquali hannoluo go "nei movimenti della materia e degli animali. Le scuole Alemanne apreferenzadialtre risuo nano di questa materia unica-eterea, capace a prendere diverse forme ed aspetti, tutto pene trando investendo agitando il creato: La vide pure questa materia motrice universale: ciò che dicono oggi con tanto entusiasmo, e for se con troppa persuasione dinovità, Mesmer, Wohlfart, Sprengel ed altri sulfluido elettro-magnetico universale; ciò che con tanto calore pro e con eguale robustezza di argomenti dimo strato dal nostro Alessandro 1 e in natura, senza miracolo , continuati min & clamano Lennosseck, Prokaska, ed Ennemoser sulfluido biotico universale de corpi viventi, era stato già conosciuto non meno chiaramente dilo ro, Finalmente volle ardimentoso inalzare i suoi sguardi ai movimenti del sole e nel vastissimo campo dell'astronomia tentando alcun passo quale ché suo opinamento volle manifestare. Si dichiara del sistema astronomico di Copernico e di GALILEI oppositore fermissimo. Ma qui potrebbe dataluno dimandarsi, se il facesse egli forse per tenere dietro alle massime proclamate dalla romana corte nella quale viveva? Nò. Chè la saggia condotta dei prudenti interpreti delle sacre corte ha assai già moderata la forza di quegl’anatemi scagliati un secolo innanzi sulla tomba del riformatore di Thori, e sul capo del pensatore pisano. Potevasi allora dalle pubbliche scuole o ne communi discorsi dei dotti liberamente difendere (come ipotesi) ilmovimento terrestre e la stazione solare, senza tema di contraire brutte macz chie nell anima, o a spiacevoli incontri soggiace, re Ond'èchese con tutta la forza del suo'sapere alla copernicana sentenza si oppose, ciò fece'con intima persuasione di mente , e non per condiscendenza di basso cortigianismo. Nei e il solo che dalla credenza di Copernico lungine stasse. Imperocchè fra i moltiche ridi re potrebbonsi, quel grande onore d'Italia, quel l’astronomo profondissimo della dotta Bologna, MANFREDI, basta per valente compagno del nostro Alessandro rammemorare. Vero si fu peròche a fronte degl'ingegnosi sforzi di tanti uomini insigni, prosegui ilsuo cammino la terra, è fermo il sole si stette. Qui terminarono le fi losofiche laboriose occupazioni di lui, e conqueste sole poteva rendersi della Patria e della nazione assai benemerito : ma fu pure medico Alessandro P., è inedico di altissima riputazione. Se sono grandi i nomi dei restauratori della umana filosofia, non meno grandi furono quelli di Silvio, di Lancisi di Baglivi, di Ramazzini, e di altri che le medie che scienze ad alto grado di rinomanza condussero. Alessandro P. visse nel tempo in cui la medicina seguiva tuttora le insegne de'Jatro-chimici, dell'Elmonzio, e del Silvio; insegne che stavano già per cangiarsi dal Santorio e dal Borelli,onde quelle trionfassero degl’átro-matematici ed e meccanici. Nè si per verrá mai a spiegareun costante ed unico vessillo sotto il quale si raccolgano in ogni tempo i cultori della medicina le che sia proprio di lei in tutte le età che trascor. rono? Grande e funesto destino, a molte scienze comune , alla medica comunissimo! Conosce in quali giorni vive; quale del secolo suo fosse dominante lo spirito; e pieno di alto ingegno, nella medica scienza si fè valente: Cartesio aveva per dodici interi anni studiato'l'Anatomia a fine di ben conoscere l' uomo ; e il nostro P. per non minore tempo applicò la sua m e n te allo studio profondo della struttura del corpo umano. Annuncia sulle prime ai dotti un trattato riguardante i cangiamenti che provengono agli organi corporei per cagione delle passioni: pensiero veramente sublime sul quale però le speranze di ognuno restarono pur troppo delase . Ai tempi del nostro Alessandro l'Anatomia non aveva ancora stretto con altre naturali scienze quel sutile nesso di che oggi si onora; né quel filo sofico linguaggio, nè quelle sottili applicazioni si trovavano in essa, siccome in quella d'oggidi noi ammiriamo. Alle fatiche ed allementi sublimidi Scarpa , di Soemmering, di Mechel, di Portal, e dell'immortale Bichat dobbiamo la eccellenza cui oggi l'anatomico studio è pervenuto . Nè Vicq d’Azir, nè Geoffroy di Saint Ilaire', nè Blecard, nè Gall vissero in quella età; pure potevasi quel tempo chiamare il tempo delle scoperte anatomi miche. Erano già nati gli scrutatori sommi"dell’uman corpo Arveo, Senae, Asellio, Willis, Nuck,  Malpighi, Ruischio, Lancisi ed altri. Vive e studia con Redi. Ciò basta. Insieme per più tempo in Firenze si occuparono indefessamente di anatomiche dissezioni e quel dotto scrittore toscano ha caro Alessandro quanti altri mai, al grande Cosimo presentandolo quale soggetto degnissimo di tutta la considerazione sovrana. La fabbrica del corpo umano dal nostro encomiato descritta non presenta, è ver, peregrine cose. Ma l'ordine, la chiarezza, la concisione rendettero il saggio suo utile al pubblico insegnament , pel quale oggetto egli stesso si protesa averlo unicamente composto. Quando il gran Malebranche si avvenne nel libro dell'uomo di Cartesio, ed ipcontrò in questo filosofo un ge  vio simile al suo, prese (dice l'elegantissimo Fontenelle) il grande partito di rompere ogni commercio con le erudite facoltà, ed in seno del cartesianismo tutto si abbandona. Legge il saggio medesimo di Cartesio, lo medita profondamente e scrive egli pure sull'uomo. Mentre però l'uomo di Cartesio e di Malebranche fu l'uomo del metafisico e del filosofo, l'uomo nelle mani del P. e l'uomo dell'anatomico e del medico. Ha somma intelligenza nell'osservare i fenomeni dellaumana vita, sicchè lemas sime del suo Cartesio con quelle modificate del gran Cancelliere d'Inghilterra, formarono in lui quello spirito di filosofia induttiva, il quale alla ricerca del vero nelle cose di fatto e perciò in medicina, è l'unica sicura via. Scrivendo dell'Uomo prese Alessandro il giusto partito di primamente designarne le parti , quindi ad esse dare vita ed azione, poi de'mali a cui vanno soggette tenere ragionamento, e fi nalmente l'opportuno metodo curativo de morbi con tutta la modestia del dire proporre. In tale modo ilnostro encomiato presentò alpubblicoun tesoro di dottrina, che per molti e molti annida ogni medica scuola Italiana fu allo insegnamento de giovani:offertoe prescritto, riputatolo per il prezioso e completo deposito della medica scienza. Le opinioni di Galeno e di Silvio erano quelle che fra i cultori d'Igea in quel tempo tut tor dominavano, Stava per sorgere la setta del più   solidismo, ed Elmonzio, Cartesio, Silvio erano ancorai tre grandi nomi proferiti dalla bocca di tutti; cosicchè fra i conciliatori e moderatori di questi tre Principi delle mediche scuole si e mento etereo piú sciolti gli umori , ed il moto fer mentativo di essi prodursi. Questo elemento lá presiedere alla circolazione sanguigna, qua tutto il fonte del calore animale sostenere perenne. Era quest etere per Alessandro la fondamentale sor gente delle fermentazioni non naturali, donde le febri tutte nascevano che ove accada condensa mento di esso, le maligne; ove soluzione, le benigne; ove infine abbia luogo latente glandolare fermento, originarsi le intermittenti opinäva. Poi te dottrine fisiche di questo etere universale espone, la sua azione sulla vita degli organi, finalmente l'applicazione di esso alle dottrine di Scrodéro, di Hoffmanno, di Etmullero, di Lemery , e degli altri molti di quella età . E forse che non potremmo noi parlare lo stesso linguaggio, sostituendo al nome di etere cartesiano quello di elettro-magnetico? Io i l dimando Abituato il nostro P. fin dall'infanziaa piegare la sua mente al metodo geometrico e a disporre le sue idee con quell'ordine e successio ne, utile al buon’acquisto di tutte le cognizioni  il nostro P.. Quindi è che nelle sue opere parlasi dello spirito di Willis, del fuoco di GIRGENTI,del l'archeo di Wan -Helmonzio, del primo elemento di Cartesio :e si dice farsi per virtù di questo ele pose + 17 + 4  Oltre al suo trattato dell'uomo, che abbraccia l'intero studio della medicina , sono numerosissimi i suoi Consulti, le sue Lettere, i suoi Votiemessi in oggetti di pubblica sanità.Incau se dificili di Foro canonico e civile, in Canoniz zazioni di santi uomini diede Pareri e Giudizj, che guidarono le Autorità competenti a retti es en sati decreti Avendo inoltre il P., saputo unire a somma dottrina, urbanità di modi nel conversare , ed umiltà di espressioni nel parlare e nello scrivere, non é a stupirsi se ai dotti d'Italia ed oltremonte rispettabile e caro addiyenisse L'amicizia che seco lui ebbero un Redi, un Magliabecchi, un Montemelini, un’Ottaviani, un Lesprotti, un Zannettini, un Lambertini, un Segur, un Baglivi; da quali o dedicazioni di opere, o non interrotte scentifiche corrispondenze, o laudi sincere egli ottenne, siccome fecero pure un Bianchini, un Loy, un Marini, uno Sprengel, un'Aller ; ci ayvisano dovere riporre Alessandro P. fra gli uomini grandi, che in filosofia ed in mea umane, e preciso nel descrivere gli organi, chia ro nello esporre i fatti, esatto nella diagnosi, cautissimo nella prognosi. E poi semplice quanto mai possa dirsi nel metodo del medicare, e dichiarossi nemico di ogni farragine farmaceutica, ripetendo sempre a se stesso e ad altri che a buon medico pochi medicamenti bastano o 18 di pintore pochi colori. come a buon ;  dicina fiorirono fra il terminare del secolo decimo settimo e del decimo ottavo sul cominciare, Il nostro P. legge in Roma anatomia e ,edicina dalla più fiorente alla più tarda etá sua, grandi opori godendo e distintissime cariche sem pre occupando. I papi Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII, Clemente XII. lo hanno a medico, Archiatro lo salutarono, Protomedico lo proclamarono, lo scelsero Conclavista. Del supremo tribunale sanitario, della congregazione dei sacri riti, fè parte onorata e principale, tanta era la dottrina che quella romana corte in Lui venerava . Potrebbe forse da taluno di noi dimandarsi se il Pascoliavesse meritatosigrandeecomune conside razione come Medico pratico,quanta ne ebbe come teorico;imperocchè pur troppo è duopo riguardare la medicina sotto ilduplice aspetto diScienza edi Arte. Difatti non rade volte accade che amedico quanto ésser si voglia dottissimo, manchi quel tatto pratico, quella squisitezza di medica vista, e, dicia molo pure , quell'inesplicabile nesso di favorevoli  19 Dopo che per due lustri dalla patria Univer sità degli Studj, e dalle private Accademie le fisi che,e mediche scienzeinsegnò,Padova eRoma il chiedettero a gara , generosamente patria novella offerendogli. Il Pontefice Clemente undecimo a se chiamatolo, fece si che a Padova, cui era già sul punto di recarsi, Roma preferisse. E così Perugia lo perdette per sempre e   E quièbenforzacrederecheAlessandroPa scoli vivendo dodici lustri in Corte, in Roma,tra Grandi , tra Principi sempre; cui furono affidati in téressantissimi negocj delle Principesche Famiglie Albani, Chigi, Rospigliosi, Sora ed altre, fosse di grande ingegno, di profonda politica, di somma costumatezza dotato; dacchè, una di queste do ti che manchi, a sorte sì grande non si pergie ne , o per poco di questa si gode. Difatti sappia m o come tra le tante virtù che lo adornarono, erano prime il decoroso contegno in che egli si tenne, l'essere del suo buon nome forte difenditore, il incontri e di buone venture, che tanto valgono al la propizia riuscita dell'esercizio clinico, e su cui la opinione e la fidanza di ottimo e felice medico riposa. Nel nostro Alessandro sembra che tutto si riunisse a renderlo valente nell'arte come nella scienza rinomatissimo. Ed in vero pel lungo corso che visse all'aura del Campidoglio, non fuvvi personaggio distintocui non prestasse medica mano o medica consultazione. Oltre ai pontefi ci sopraenunciati, la regina di Polonia ed i suoi figli, gli Elettori Bavaro, Sassone, e Coloniense, la Regina d'Inghilterra, ed ogni altro Principe e Grande, (a quali sifortemente il vivere più ca le ) lui ebbero a tutela de' propri giorni bene ed ilparlar pensar bene di tutti, siche tutti rispettando ed amando, seppe da tutti rispetto riscuotere ed amore. Cosi Roma e ammiratrice di un filosofo Perugino. Ed il suo nome onorato più spesso colà che tra noi si pronuncia forse e si ripete. Lontano dagl'incanti del bel sesso, ne fuggi perfino, in quanto il potè, la medica cura. Che più? Con religiositá e fortezza di animo sostenne una completa cecitá, senza che in se stesso foss'egli meno tranquillo, nè meno fosse da altri dimandato e compianto. Che se al possedimento disua vasta dottrina, se al buon successo dell'arte sua, se al corredo delle nobili doti dell'animo che in P. fece ro si bella mostra di loro, si aggiunga la felicità de' tempi nei quali visse, dovremo anche meno stupirci che potesse egli giungere al più alto grado di celebrità e di onoranza . Io voglio dire la felicità dei tempi; ossia quell buon tempo ai dotti propizio, in cui dessi sono veramente stimati, e nel quale i Principi, ei Grandi concorrono agara (siccome oggi) informar li, tosto chè i principi e i grandi bene conoscono che le scienze e le lettere sono veramente il sostegno de’ troni, e delle nazioni delle cittá dei paesi il primo ed il più luminoso decoro. Ed alla estimazione de' medici credo che non poco in ogni tempo contribuisca la buona Fidanza de'popoli, colsaldo tenersi di quel velame che agli occhi del volgo i misteri nasconde d'Igea; velame tanto utile che sia serbato; imperocchè la remozione di esso chi ne abbisogna e cui serve reciprocamente danneggia. Dopo si grandi fatiche, carico di meriti e di onori, questa misera terra abbandona e  perenne ricordanza dei posteriche cirima ve dilui? Laviva fama delle suetante virtù, ladi lui valentia nell'arte del medicare; e più ci restano i suoi numerosi volumi , depositarii immanchevoli del vasto sapere nelle fisiche e nelle mediche facoltá. Saremmo noi co tanto ingiusti per dimenticare i sudori dei dotti che ci precedettero, solamente perchè il modo loro di filosofare non è più simi le a quello de'tempi nostri? E vorremmo noi far ci riputare così creduli e così inorgogliti nel lusin garci che alle dottrine ed alle massime nostre del la filosofia e della medicina, tutti coloro che ci suc cederanno coi secoli pieghino riverenti la fronte e le venture età inalterato rispettino ciò che ad esse faremo noi pervenire? Non siavi chi lo cre da , o la storia dell'umano sapere ne disinganni, Ond' è che degli esimj ingegni, dei benemeriti cittadini, degl'insigni scrittori,sebbene lunga serie di anni da essi ci divida, serbare si debbe ricor danzavivissima,afronte decangiamentiaquali può girein control'umano filosofare e il medico opinamento. Si, dotti Accademici, apprezziamo mai sempre le fatiche utili de' trapassati, se nei miti noi buoni esempli, se ne rispettino i nomi ; ed il titolo a non meritarci d'ingrati, le loro tombe di verdicorone di lauro con più frequenza e con più giustizia si onorino. Rivolgendosi al Busto marmoreo dell'Encomiato, che innalzavasi nella Sala dell' Accademia. Tutto ciò che vien detto di Alessandro Pascoli in questo Elogio, come filosofo e medico , è tolto dalla let tara ed analisi fatta delle molte sue opere , in diversi tem pi pubblicate; il catalogo delle quali trovasi registrato nella Biografia dei Scrittori Perugini delchiarissimo Cavaliere Gio. Battista Prof. Vermiglioli all'Articolo P. Alessandro. Noi credemmo di non trascrivere ibra ni medesimi dell'Encomiato, a conferma de' suoi detti e delle sue opinioni , e ciò per non aumentare la stampa inu tilmente; sapendo che agli eruditi medici sarebbe ridire le cose stesse le quali nelle opere di P. già bene conoscono, o potranno rilevare quando lo vogliano . Quello poi che riguarda la di lui vita privata e so ciale lo rilevammo dalla storia di sua famiglia, dalla Biografia sopracitata; nonchè da quella degli illustri italia ni compilata dal chiarissimo Sig. Emilio de Tipaldo, Venezia. Finalmente da non poche pregevoli notizie ms. lasciate da Francesco Aurelio Ginanneschi, giovane di Alessandro P., ed ultimo che stet te venti e più anni con lui, e perciò informatissimo della sua vita. Questo ms  trovasi presso di noi. Nacque da Domenico P., e da Ippolita Mariottini. La famiglia dei P. fu originaria di Ravenna, siccome ne scris se Celso , fratello del nostro Alessandro , nella storia del la sua Casa. La prima di esse fu stampata in Roma, Zanobi, dedicata a Paolucci, Segretario di Stato di Clemente XI. La seconda che contiene tutta la di lui ritrattazione e pubblicata egualmente in Roma  in 8° per il Buagni, dedicata a Banchieri assessore del S. Officio. Ambedue queste operette interessanti la vita letteraria ed i sentimenti morali del P. le abbiamo nella Biblioteca pubblica Scaff. Quando la Regina d'Inghilterra in Roma lo chiama a medicarla, nell'atto di presentare il polso, gli disse. É vero, Sig. Dottore, che voi non avete piacere di medicare le donne? Alla quale dimanda egli risponde. É verissimo, ma non le regine. Muore in Roma. confortato da tutti gli ajuti della Religione, Gl’ultimi18 circa dei quali in una completa cecità Fù sepolto nella Chiesa di S. Silvestro a Monte Cavallo de' RR.PP, Teatini- La Iscrizione sepolcrale umile, compostasi da se medesimo, e che trovasi tuttora sopra l'avello, è la seguente. Hic Posuit Exuvias In Die Irae Resumendas Alexander Pascoli Perusinus Verissimo. Non mi piace medicar le donne, ma non le regine”,eforsedeglialtri,chesap di Antonio Blado); Trattato della mutazione dell' altra Lettera si apprende che avea aria,in4. Roma per Alessandro Gar. Pure scritto un trattato di Rettorica danoec.Di questo opuscolopro- eprincipalmente sulla Invenzione dusse il suo giudizio il Bonciarioia dicui ne offer copia allo stessoBon una letterainedita. Perchèi Digesti si allegano morie di sua famiglia originaria di Ra iniscrittoperdueifedil paragra- venoa, epoistanziataio Perugia; eda fo per due ss congiunti. queste memorie medesime passate quin 2. Del parto dell'Orsa . piano e non siano appassionati. Da  V. Conclusione del Tribuno della scoli, ed. Ippolita Mariottini. Termi plebe, in 4. Roma per gl’Eredi di natii giovanili suoi studii presso ipp. suo articolo, e dal Vincioli nell'opuscolo sullo stesso argomento. I ràstampata velan anderò. Leco- Dizionario medico,che egli di e che io farò non saranno da sco- morando in Firenze , studiò assidua »lare, e latine per qualche mese, ma mente all’ospedale per fare osserva volgari, e contro tutta l'Accademia zioni anatomiche, e per potere così fiorentina, massime sopra Boccaccio, migliorare un suo Trattato sul cangia Gennajo da Domenico Pa. egli tolse a seguire la medicina VI.Versiin Lode delleacquedi incuineotlenne le magistrali insegne S.Galgano. Ci vengono ricordati dal. quando contava soli anni 21. Grisaldii o quelle lettere rammentate al Posciasirecò in Firenze a meglio apprendere la scienza salutare alla scuo e ciario. della Poesia,in CelsoPa. IIF. Questione di Giovanni Osma. Romapergli Eredi rino Gigliotto Magistrato. anguste ma lucrose vie del fo. PAPA scoli fratello di Alessandro, e di Leg IV. Risoluzioni di quattrodubbj. ne, dimorando in Roma scrisse le me di a suoi posteri, noi raccoglieremo le 3.4. Del Perseo, e del Pesco, e brevi notizie di Alessandro, e Leone. loro natura. Roma per gli Eredidi Nacque Alessandro in Perugia nel Gigliotti, in Giovanni Gigliotti. E'questo un' Gesuiti, che conoscendolo di bello in opuscolo con cuisicoufutano leopi- gegno, desideravano a loro condurlo, e nionidi Plutarco, del Manuzio edel terminate gli studii legali, perch è il Sigonio, I quali credettero che il Tri- padre voleastrascinarlo miserameate buoo della plebe in Roma non fosse per le ro taliana, esopra Boccaceio. Gioviin- buone speranze, nonostante che si tenderne poche parole: Sostato tardo riducesse agli estremi. Ristabilitosi torn’a rispondervi perchè m'ha ingomnò a prospera meale esercitare la sua brato tutto più di un mese una com- professione, e colfavore del dotto Mae »posizioncella che ho fatta per un stro, potè presentarsi al Gran Duca »mio patrone, la quale subito chesa- Cosimo I. Aggiugne l'Eloy nel suo ladi Kedi, e mentre co Da una lettera inedita di Lorenzo si sotto di lui attende alla clinica, al Bonciario sembra che egli sia ccin- fuda mortale malattia sorpreso, ma gesse a scrivere anche sulla Lingua i- il Redi medesimo ne concepì sempre e   èverissimo, ma non le Regine. Fu Rimpatriato nuovamente si posea anche medico straordinario dei Ponte studiare le lingue greca e latina sot- fici Clemente XI. Innocenzio XIII. Be to il Canonico Guidarelli, dicuiveg. Pedetto XIII. e Clemente XII. incom gasil'articolo, e le Matematiche sot- pagnia di Leprotti, il qua to il Dottor Neri, mentre non lascia- le molto profitta de'consigli del Pa vadi attendere anche alla Medicina scoli. Dove aessere medico primario pratica, solto LodovicoViti; nè passò pontificio, ma per non imbarazzarsi poi molto tempo, che ottennein pa gui la giubilazione. Veggasi la dedica premessa alla sua opera de Hom inc . Marini Archiatri Pontificj Caraffa de Gymn. Rom. Com, in stud. Med. Borhe. Valen. e nuovamente tra le disputazioni mediche raccolte dall' Halleer, per le approvazioni da farsi ne'miracoli Ad altri onori fu innalzato in Ro- operatia di ntercessione de’Servi del Si ma, imperciocchè ebbe luogo frai gnorenella loro canonizzazione e, e si XII. Archiatri del Collegio de' Medici dique’ prodigjdistese pure alcunedi e fra gli Arcadicon il nome di Sofiló squisizioni. Professa la Medicina con Molossio.Varie istituzioni sanitarie lo semplicità, e dioesiche il rinomatissi ebbero a medico in Roma, ove cura mo Cardinale Alessandro Albani Camer la Regina di Polonia , ed il suo figliuo- lengo, lo ebbe in tanta stima, che non sole conferire impiego a perugin , se non gli veniva raccomandato lo , gl’eleltori di Baviera e di Colonia, llo fante Elettorale di Sassonia e la Regina d'Inghilterra, la quale da P. che solea chiamare il Ca nell'ultima malattia volle il P. merlengo perugino. Fu avuto in isti. e narra Celso suo fratello , che nella ma anche dal celebre Haller che ne prima volta in cui Alessandro le tocca parla nelle opera sue,edilSeguer ilpolzo, glidisse la Regina, onève àlui dedica  la sua Schedula monito. ro P., che voi non avete pia- ria ec. PA mentodegli organi corpore i per cacere dimedicar donne?»cuirispose: gione delle passioni . PA 171 triauna Cattedradi FILOSOFIA, che ten- ri; non ostante però fu continuamente neperapni10., ragunando poi sem- in grazia degli stessi Pontefici, ed i pre in casa sua una Accademia aperta venne medico del Conclave dopo la di Letterati. Intanto e chiamato aleg- morte di Benedetto XIII. ee quando fu gere in Padova, e mentre si dispone creato Clemente XII. Va arecarsia quel dottissimo Studio, Inoltre aveaeserci Clemente XI. lo chiama a leggere nell' tata in Roma anche la carica di Pro Archi-ginnasio romano. Coldreca. to medico di quella Metropoli, e dello tosi incomio cid tosto ad insegnare, la Stato Ecclesiastico  e la Consul Notomia, che per anni continui tasole a sempre ricercare i suoi voti vi professò; ottenne poi alire catte- in qualunque bisogno di medica poli dre di teorica e pratica con vistosi zia. Fu similmente varie volte occu stipendi, finchè neconse pato dalla Congregazione de, Riti nellaCorte, rifiutò sempre questi ono PERVGINVS VIXIT  OB.V. tica il Sig. Pietro Angelo Papi M e 1. Delle febbri Teorica e Pratica dico e filosofo sabinese. Roma. secondo il nuovo sistema, ove tuttosi per il Zanobj 8. spiega per quanto è possibile ad im Dopo il lungo spazio di anni, mitazione de’ Geometriec. Perugia fu proibita quest'opera, el'Autore X. Della natura dei nostri pensie; Osservazioni Teoriche e Pratiri, e della natura concuisiespri che di Medicina inviate fonde in virtù di loro elastica possan. Sofilo Molossio Pastore Arcade zaec. Roma presso Rocco Barnabò perugino, e custode degli armenti automatici in Arcadia. Gli difende dal De homine sive de corpore PA PA l pel Costantini 4. Sieguonoal- tocco da scrupolo pubblica ilN.VII. cuni suoi discorsi in materie mediche. Anatome Literarumsive Pal. Muore santamente in Roma di vallo con questa iscrizione nel suotu. anni edopoanni dicecità,e mulo cheerasi composta per lui stesso. Le dolle opere che lasciò a' poste- ri sono: lo scrutinio che nefa nellasua cri • II. Il Corpo umano o breve Istoria dove con nuovo metodo si descrivono ladis pervestigatio ec. Romae In ultimo vannoaggiun- per lo Buagni .Vedi il N. V. .M. HIC 0.POSVIT , EXVVIAS IN DIE IRAE RESVMENDAS ALEXANDER P. typis Cajetani Zanobii8. in compendio tutti gli organi suoi, furi prodotta per lo Salvioni in4. con cd i loro principali officj ec Perugia pel Costantini in 4.Ven. qualche diversità nel titolo. VII. Sofilo senza maschera. Roma te due Pistole del Baglivi a P.: De fibra motrice et morbosa, nec non zioni di alcuni Servi di Dio.Roma de experimentis ac morbis ec. per Giornale de Letterati Ven.  Fu sepolto in S. Silvestro di Monte Car Voti scritti per le Canoniza. Del moto che nei mobili siri. Nuovo metodo per introdursi IX. Dei moto che nei corpi sidif ad imitazione de' Geometri con ordi- fonde per impulso esteriore ne, chiarezza e brevità nelle più, Tratta sotto fisico matematico ad insegnare la tili quistioni di Filosofia, Logica, Mo- possanza degli clementi 4. Roma per rale, e Fisica.Ven. per Andrea Po- 'lo Salvioni letti. in 4. vediil N.X. fig. (1) o lettere mono. Riflessioni metafisich ecc. Ro agli eruditissimi Signori disuapri- ma Serve disecondapar vata Accademiaec.Ven. per teall'opera data al N. I. Andrea Poletti 4.,ed ivi nuovamente   humano vitam habente ratione tampro- insegne; e continuando inessigiunse spera et amafficta e valetudinis. Li- a cuoprire l'onore vole posto di Segre bri tres. Romae in4. ex per Andr. Poletti (sò poscia a Ravenna, d'onde alloscri. onori, che non versavansi allora con soil Barnabòcon varj discorsi. L' tanta generosità, perchè al solo meri opera stessa fu ri-stampata in Venezia to concedevansi. Scorsi pochi mesi di pel Poletti in 4. cuisiag. sua dimora in Firenze, torna arive giunse una memoria di Seguerdiret de re la patria, da cuisirecò nuova. ta a P. . mente in Roma sede degli studii lega XIV. Alcuni opuscoli anonimi in li, verso de'quali Leonecra inclina. Difesadi Alessandro P., Sicretissimo, la quella Metropoli diporta. dono suoi, esonoin risposta adal-si con tanta saggezza, che divenne fa tri opuscoli del bresciano Cri- miliare del Duca d'Weda Ambasciado. stoforo Zannettini già stato scolare del re del Re di Spagna alla Corte romu. Medesimo P.; ed in quelle dispu- na. Ma circostanze politiche, che oscu. tealtri molti opuscolisi videro. Ma raro no la riputazione di quel poco assennato Ministro, anche ad egli fe delle sue opere mediche si fe ce altra edizione in Venezia in due cero cambiare partitie siavviò per volume. Oltregli una carriera diversa. Dopo di averevi Scritti che a P. indirizzarono sitate alcune delle primarie città d'Ita, Baglivi, e Seguer glilia, torno a rivedere la patria, e ad fu dedicata la seconda edizione delle una vastissima suppellettile di cognizio Maschere sceniche del Ficoroni. CONVERSANDO gl’uomini tra sè, ed avendo in conseguen [ROMA ETCRIS EMANUELE Donde è nico il] za necessità di COMUNICARE a vicenda i pensieri, e le linguagio degl, a to Cà CO. Uomini partico idee, che passano intimamente loro nell'ANIMO; nè potendo laze ciò conseguire in questo mondo sensibile, se non che in virtù di qualche oggetto atto a muovere i sensi, CONVENNERO DI COMUN CONSENSO ad unire in maniera i loro pensieri e le loro idee, ancorche al tutto insensibili, a certi SEGNI SENSIBILI, ed in particolare alle voci, che queste, stimolando per entro agl’orecchi gl’organi dell'udito, destino con un a tale alte razione nell'ANIMO, di chiode, quei pensieri, e quelle idee, che concordarono di ESPRIMERE per simili SEGNI, o voci, chiamate comunemente termini. I termini dunque in logica non sono se non chele semplice voci inventate dagl’uomini a piacere per esprimere con maniere sensibili le loro idee insensibili. Di qui è, che nato è tra i popoli ogni linguaggi particolare. Di cosi fatto linguaggio, e delle idee, che esso esprime, rispetto alle operazioni dette dell'intelletto, cioè rispetto al raziocinio umano, nel corso del saggio presente facciamo esatta menzione. Alessandro Pascoli. Keywords: fisiologia, corpo, galileo, il fuco di Girgenti, Cicerone, Bianchini. Verissimo, non mi piace medicar le donne, ma non le regine” spiegazione dell’entimema in termini dell’intenzione dei communicatori – chi da il segno e chi lo receve – il segno sensibili dell’idea della cosa. Equivoco se il termine e dunque la proposizione rippresenta due idee. -- Luigi Speranza, “Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pascoli: decadenza divina – l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Mauro). Filosofo italiano. Considerato il maggior filosofo decadente, nonostante la sua formazione principalmente positivistica.  Dal Fanciullino, articolo programmatico, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D'altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del "fanciullino" presente in ognuno: quest'idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di "poeta vate", e di ribadire allo stesso tempo l'utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia.  Egli, pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell'epoca, né mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al contrario di D'Annunzio), manifesta nella propria produzione tendenze prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione classicista ereditata da Carducci e le nuove tematiche decadenti. Risulta infatti difficile comprendere il vero significato delle sue opere più importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologici che egli stesso ri-organizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo poetico e artistico. Nacque in provincia di Forlì all'interno di una famiglia benestante, quarto dei dieci figli due dei quali morti molto piccolo di Ruggero P., amministratore della tenuta La Torre della famiglia dei principi Torlonia, e di Caterina Vincenzi Alloccatelli. I suoi familiari lo chiamano affettuosamente Zvanì. Il padre e assassinato con una fucilata, sul proprio calesse, mentre tornava a casa da Cesena. Le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, non sono mai chiarite e i responsabili rimasero ignoti. Nonostante tre processi celebrati e nonostante la famiglia ha forti sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare evidentemente ne “La cavalla storna”. Il probabile mandante e infatti Pietro Cacciaguerra (al quale fa riferimento, senza nominarlo, nella lirica Tra San Mauro e Savignano, possidente ed esperto fattore da bestiame, che divenne successivamente agente per conto del principe, co-adiuvando l'amministratore A. Petri, sub-entrato al padre dopo il delitto. I due sicari, i cui nomi correvano di bocca in bocca in paese, sono L. Pagliarani detto Bigéca, fervente repubblicano, e M. Dellarocca, probabilmente fomentati dal presunto mandante. Sempre da lui venne scritta una poesia in ricordo della notte dell'assassinio del padre, X agosto, la notte di San Lorenzo, la stessa notte in cui morì il padre.  Sull'intricatissima vicenda del delitto Pascoli è stato pubblicato il saggio “Omicidio Pascoli”. Il complotto frutto di ricerche negli archivi locali e che, oltre a pubblicare documentazione inedita, formula l'ipotesi di uncomplotto perpetrato ai danni dell'amministratore Pascoli. Il trauma lascia segni profondi nel poeta. La famiglia comincia a perdere gradualmente il proprio stato economico e successivamente a subire una serie impressionante di lutti, disgregandosi: costretti a lasciare la tenuta, l'anno successivo morirono la sorella Margherita di tifo, e la madre per un attacco cardiaco (di "crepacuore", si disse),  il fratello Luigi, colpito da meningite, e il fratello maggiore Giacomo, di tifo. Da recenti studi anche il fratello maggiore, che aveva tentato inutilmente di ricostituire il nucleo familiare a Rimini, potrebbe essere stato assassinato, forse avvelenato. Giacomo infatti nell'anno in cui morì ricopriva la carica di assessore comunale e pare conoscesse personalmente coloro che avevano partecipato al complotto per uccidere il padre, oltre al fatto che i giovani fratelli Pascoli (in particolare Raffaele e Giovanni) si erano avvici tal punto alla verità sul delitto da essere minacciati di morte.  Le due sorelle Ida e Maria andarono a studiare nel collegio del convento delle monache agostiniane, a Sogliano al Rubicone, dove viveva Rita Vincenzi, sorella della madre Caterina e dove rimasero dieci anni: nel 1882, uscite di convento, Ida e Maria chiesero aiuto al fratello Giovanni, che dopo la laurea insegnava al liceo Duni di Matera, chiedendogli di vivere con lui, facendo leva sul senso di dovere e di colpa di Giovanni, il quale durante i 9 anni universitari non si era più occupato delle sorelle. Nella biografia scritta dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, il futuro poeta è presentato come un ragazzo solidoe vivace, il cui carattere non è stato alterato dalle disgrazie; per anni, infatti, le sue reazioni parvero essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo e a cercare i mezzi per proseguire gli studi universitari, nonché nel puntiglio, sempre frustrato, nel ricercare e perseguire l'assassino del padre. Questo desiderio di giustizia non sarà mai voglia di vendetta, e Pascoli si pronuncerà sempre contro la pena di morte e contro l'ergastolo, per motivi principalmente umanitari. Dopo la morte del fratello Luigi avvenuta per meningite dovette lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi di Urbino. Si trasferì a Rimini, per frequentare il liceo classico Giulio Cesare. Gunse a Rimini assieme ai suoi cinque fratelli: Giacomo, Raffaele, Alessandro Giuseppe, Ida, Maria (6, chiamata affettuosamente Mariù. L'appartamento, già scelto da Giacomo ed arredato con lettini di ferro e di legno, e con mobili di casa nostra, era in uno stabile interno di via San Simone, e si componeva del pianterreno e del primo piano», scrive Mariù: «La vita che si conduceva a Rimini… era di una economia che appena consentiva il puro necessario». Pascoli terminò infine gli studi liceali a Cesena dopo aver frequentato il ginnasio ed il liceo al prestigioso Liceo Dante di Firenze, ed aver fallito l'esame di licenza a causa delle materie scientifiche. Grazie ad una borsa di studio di 600 lire (che poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca) ssi iscrisse all'Bologna, dove ebbe come docenti G. Carducci e G. Gandino, e diventò amico del poeta e critico S.Ferrari. Conosciuto A. Costa e avvicinatosi al movimento anarco-socialista, comincia, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una manifestazione socialista a Bologna, dopo l'attentato fallito dell'anarchico lucano G. Passannante ai danni del re Umberto I, lesse pubblicamente un proprio sonetto dal presunto titolo Ode a Passannante. L'ode venne subito dopo strappata (probabilmente per timore di essere arrestato o forse pentito, pensando all'assassinio del padre. Dessa si conoscono solamente gli ultimi due versi tramandati oralmente. Colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera. La paternità del componimento e oggetto di controversie. Sia la sorella Maria sia lo studioso P. Bianconi negano che avesse scritto tale ode. Bianconi la define la più celebre e citata delle poesie inesistenti della letteratura italiana. Benché non vi sia alcuna prova tangibile sull'esistenza dell'opera, G. Lolli, segretario della federazione socialista di Bologna e il suo amico, dichiara di aver assistito alla lettura e attribue a lui la realizzazione della lirica. Arrestato per aver partecipato ad una protesta contro la condanna di alcuni anarchici, i quali erano stati a loro volta imprigionati per i disordini generati dalla condanna di Passannante. Durante il loro processo urla. Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori! Dopo poco più di cento giorni, esclusa la maggiore gravità del reato, con sentenza, la Corte d'Appello rinvia gli imputati P. e U. Corradinidavanti al Tribunale. Il processo, in cui Pascoli era difeso dall'avvocato Barbanti, ha luogo, chiamato a testimone anche Carducci che invia una sua dichiarazione. Non ha capacità a delinquere in relazione ai fatti denunciati. Viene assolto ma attraversa un periodo difficile. Medita il suicidio ma il pensiero della madre defunta lo fa desistere, come dirà nella poesia La voce. Alla fine riprende gli studi con impegno. Nonostante le simpatie verso il movimento anarco-socialista, quando Umberto I venne ucciso da un altro anarchico, G. Bresci, Pascoli rimase amareggiato dall'accaduto e compose la poesia Al Re Umberto. Abbandona la militanza politica, mantenendo un socialismo umanitario che incoraggiasse l'impegno verso i deboli e la concordia universale tra gli uomini, argomento di alcune liriche:  «Pace, fratelli! e fate che le braccia ch'ora o poi tenderete ai più vicini, non sappiano la lotta e la minaccia.»  (I due fanciulli). Dopo la laurea con una tesi su Alceo, P. intraprese la carriera di insegnante di latino e greco nei licei di Matera e di Massa. Dopo le vicissitudini e i lutti, aveva finalmente ritrovato la gioia di vivere e di credere nel futuro. Ecco cosa scrive all'indomani della laurea da Argenta:  "Il prossimo ottobre andrò professore, ma non so ancora dove: forse lontano; ma che importa? Tutto il mondo è paese ed io ho risoluto di trovar bella la vita e piacevole il mio destino".  Su richiesta delle sorelle Ida e Maria, nel convento di Sogliano, riformula il proprio progetto di vita, sentendosi in colpa per avere abbandonato le sorelle negli anni universitari. Ecco a tale proposito una lettera di Giovanni scritta da Argenta, il quale, ripreso dalle sorelle per averle abbandonate, così risponde:  "Povere bambine! Sotto ogni parola di quella vostra lettera così tenera, io leggevo un rimprovero per me, io intravedevo una lagrima!."  E ancora da Matera il poeta scrive. Amate voi me, che ero lontano e parevo indifferente, mentre voi vivevate nell'ombra del chiostro. Amate voi me, che sono accorso a voi soltanto quando escivate dal convento raggianti di mite contentezza, m'amate almeno come le gentili compagne delle vostre gioie e consolatrici dei vostri dolori?  Iniziato alla massoneria, presso la loggia "Rizzoli" di Bologna. Il testamento massonico autografo del Pascoli, a forma di triangolo (il triangolo è un simbolo massonico), è stato rinvenuto. Insegna a Livorno al Ginnasio-Liceo "Guerrazzi e Niccolini", nel cui archivio si trovano ancora lettere e appunti scritti di suo pugno. Inizia la collaborazione con la rivista Vita nuova, su cui uscirono le prime poesie di Myricae, raccolta che continuò a rinnovarsi in cinque edizioni. Con le sorelle Ida e Maria Vinse inoltre per ben tredici volte la medaglia d'oro al Concorso di poesia latina di Amsterdam, col poemetto Veianus e coi successivi Carmina. E chiamato a Roma per collaborare con il Ministero della pubblica istruzione. Nella capitale fece la conoscenza di A. Bosis, che lo invitò a collaborare alla rivista Convito (dove sarebbero infatti apparsi alcuni tra i componimenti più tardi riuniti nel volume Poemi conviviali), e di Annunzio, il quale lo stima, anche se il rapporto tra i due filosofi e sempre complesso. G. Bernardo, a capo del Grande Oriente d'Italia, esplicitamente dichiara l'appartenenza di P. e Carducci alla massoneria, per un certo periodo nelle logge. Il nido di Castelvecchio «La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera»  (Giovanni Pascoli, La mia sera, Canti di Castelvecchio) Divenuto professore universitario e costretto dalla sua professione a lavorare in più città (Bologna, Messina e Pisa), non si radicò mai in esse, preoccupandosi sempre di garantirsi una via di fuga verso il proprio mondo di origine, quello agreste. Tuttavia il punto di arrivo sarebbe stato sul versante appenninico opposto a quello da cui proveniva la sua famiglia. Infatti si trasferì con la sorella Maria nella Media Valle del Serchio nel piccolo borgo di Castelvecchio nel comune di Barga, in una casa che divenne la sua residenza stabile quando (impegnando anche alcune medaglie d'oro vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Berti, matrimonio che il poeta contempla e seguito i vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con S. Berti, matrimonio che contempla e seguito vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Sa. Berti, matrimonio che contempl e seguito P. vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo anni di sacrifici e dedizione alle sorelle, a causa delle qualia causa delle quali ha di fatto più volte rinunciato all'amore. A tale proposito, una vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo S. Berti, matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito sin vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo mostra dedicata agli "Amori di Zvanì" e allestita dalla Casa Pascoli nel, getta luce sulle sue vicende amorose inedite, chiarendo finalmente il suo desiderio più volte manifestato di crearsi una propria famiglia. Molti particolari della vita personale, emersi dalle lettere private, furono taciuti dalla celebre biografia scritta da M. P., poiché giudicati da lei sconvenienti o non conosciuti.  Il fidanzamento con la cugina Imelde Morri di Rimini, all'indomani delle nozze di Ida, organizzato all'insaputa di Mariù, dimostra infatti il suo reale intento. Di fronte alla disperazione di Mariù, che non avrebbe mai accettato di sposarsi, né l'ingerenza di un'altra donna in casa sua, ancora una volta rinuncerà al proposito di vita coniugale.  Si può affermare che la vita moderna della città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione polemica, nella sua poesia. In un certo senso, non uscì mai dal suo mondo, che costituì, in tutta la sua produzione letteraria, l'unico grande tema, una specie di microcosmo chiuso su sé stesso, come se ha bisogno di difenderlo da un minaccioso disordine esterno, peraltro sempre innominato e oscuro, privo di riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di suo padre. Sul tormentato rapporto con le sorelle il nido familiare che ben presto divenne tutto il mondo della sua poesia. Scrive parole di estrema chiarezza il poeta Mario Luzi. Di fatto si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, alle quali Ida è connivente solo in parte. Si tratta in ogni caso di una vera e propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo presto. Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che meglio gli garantiscono il regresso all'infanzia, escludendo di fatto, talvolta con durezza, gli altri fratelli. In pratica difende il nido con sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto. Non è solo il suo ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Media Valle del Serchio dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura.»  ([M. Luzi]) In particolare si fecero difficili i rapporti con Giuseppe, che mise più volte in imbarazzo Giovanni a Bologna, ubriacandosi continuamente in pubblico nelle osterie, e con il marito di Ida, il quale  dopo aver ricevuto in prestito dei soldi da lui, partì per l'America lasciando in Italia la moglie e le tre figlie. Le trasformazioni politiche e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e preludevano alla catastrofe bellica europea, gli gettarono progressivamente, già emotivamente provato dall'ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione familiare, in una condizione di insicurezza e pessimismo ancora più marcati, che lo conduceno in una fase di depressione e nel baratro dell'alcolismo. Abusa di vino e cognac, come riferisce anche nelle lettere. Le uniche consolazioni sono la poesia, e il suo nido di Castelvecchio, dopo la perdita della fede trascendente, cercata e avvertita comunque nel senso del mistero universale, in una sorta di agnosticismo mistico, come testimonia una missiva a G. Semeria. Io penso molto all'oscuro problema che resta. Oscuro. La fiaccola che lo rischiara è in mano della nostra sorella grande morte. Oh! sarebbe pur dolce cosa il credere che di là fosse abitato! Ma io sento che le religioni, compresa la più pura di tutte, la cristiana, sono per così dire, Tolemaiche. Copernico, Galileo le hanno scosse. Mentre insegnava latino e greco nelle varie università dove aveva accettato l'incarico, pubblicò anche i volumi di analisi dantesca Minerva oscura, Sotto il velame e la mirabile visione. Assunse la cattedra di letteratura italiana a Bologna succedendo a Carducci. Qui ebbe allievi che sarebbero stati poi celebri, tra cui A. Garzanti. Presenta al concorso indetto dal Comune di Roma per celebrare il cinquantesimo dell'Unità d'Italia, il poema latino “Inno a Roma” in cui riprendendo un tema già anticipato nell'ode Al corbezzolo esalta Pallante come il primo morto per la causa nazionale e poi deposto su rami di corbezzolo che con i fiori bianchi, le bacche rosse e le foglie verdi, vengono visti come un'anticipazione della bandiera tricolore.  Scoppiata la guerra italo-turca, presso il teatro di Barga pronuncia il celebre discorso a favore dell'imperialismo La grande Proletaria si è mossa: egli sostiene infatti che la Libia sia parte dell'Italia irredenta, e l'impresa sia anche a favore delle popolazioni sottomesse alla Turchia, oltre che positiva per i contadini italiani, che avranno nuove terre. Si tratta, in sostanza, non di nazionalismo vero e proprio, ma di un'evoluzione delle sue utopie socialiste e patriottiche. Le sue condizioni di salute peggiorano. Il medico gli consiglia di lasciare Castelvecchio e trasferirsi a Bologna, dove gli viene diagnosticata la cirrosi epatica per l'abuso di alcool. Nelle memorie della sorella viene invece affermato che fosse malato di epatite e tumore al fegato.  Il certificato di morte riporta come causa un tumore allo stomaco, ma è probabile fosse stato redatto dal medico su richiesta di Mariù, che intendeva eliminare tutti gli aspetti che lei giudicava sconvenienti dall'immagine del fratello, come la dipendenza da alcool, la simpatia giovanile per Passannante e la sua affiliazione alla Massoneria. La malattia lo porta infatti alla morte, un Sabato Santo vigilia di Pasqua, nella sua casa di Bologna, in via dell'Osservanza n. 2. La vera causa del decesso fu probabilmente la cirrosi epatica. Venne sepolto nella cappella annessa alla sua dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l'amata sorella Maria, sua biografa, nominata erede universale nel testamento, nonché curatrice delle opere postume.   L'ultima dimora dove morì, a Bologna in via dell'Osservanza n. 2. Sul cancello si può  brevi parentesi politiche della sua vita. Venne arrestato e assolto dopo tre mesi di carcere. L'ulteriore senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono nell'alveo d'ordine del tutore Carducci e al compimento degli studi con una tesi su Alceo.  A margine degli studi veri e propri, comunque, conduce una vasta esplorazione della filosofia ttraverso le riviste francesi specializzate come la Revue des deux Mondes, che lo misero in contatto con l'avanguardia simbolista, e la lettura dei testi scientifico-naturalistici di Michelet,  Fabre e Maeterlinck. Tali testi filosofici utilizzano la descrizione naturalistica la vita degli insetti soprattutto, per quell'attrazione per il micro-cosmo così caratteristica del romanticismo decadente in chiave filosofica. L’sservazione era aggiornata sulle più recenti acquisizioni filosofiche dovute al perfezionamento del microscopio e della sperimentazione di laboratorio, ma poi veniva filtrata letterariamente attraverso uno stile lirico in cui domina il senso della meraviglia e della fantasia. E un atteggiamento positivista romanticheggiante che tende a vedere nella natura l'aspetto pre-cosciente del mondo umano. Coerentemente con questi interessi, vi fu anche quello per la filosofia dell'inconscio di Hartmann che apre quella linea di interpretazione della psicologia in senso anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi freudiana. È evidente in queste letture come in quella successiva di J. Sully sulla psicologia un'attrazione verso il mondo piccolo dei fenomeni naturali e psicologicamente elementari che tanto fortemente caratterizza tutta la sua poesia. E non solo la sua. La cultura filosofica ha coltivato un particolare culto per il mondo dell'infanzia, dapprima, in un senso culturale più generico, poi, con un più accentuato intendimento psicologico. I Romantici, sulla scia di VICO (si veda) e di Rousseau, paragonano l'infanzia allo stato primordiale di natura dell'umanità, inteso come una sorta di età dell'oro. Si comincia ad analizzare in modo più realistico e scientifico la psicologia, portando l'attenzione del individuo in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento. La filosofia produce una quantità considerevole di saggi che costituirono la vera letteratura di massa. Parliamo delle innumerevoli raccolte di fiabe dei fratelli Grimm  di Andersen, di Ruskin, Wilde, Maeterlinck; o come il capolavoro di Dodgson, Alice nel Paese delle Meraviglie (cf. Pinocchio, Cuore). Oppure i libri di avventura adatti anche all'infanzia, come i romanzi di Verne, Kipling, Twain, Salgari, London. Saggi sull'infanzia, dall'intento moralistico ed educativo, come Senza famiglia di Malot, Il piccolo Lord di Burnett, Piccole donne di Alcott e i celeberrimi “Cuore” di De Amicis e “Pinocchio” di Collodi. Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la sua teoria della poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella poetica del fanciullino, ai riflessi di un vasto ambiente filosofico che e assolutamente maturo per accogliere la sua proposta. In questo senso non si può parlare di una vera novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui sa cogliere un gusto diffuso e un interesse già educato, traducendoli in quella grande poesia che all'Italia manca dall'epoca di Leopardi. Per quanto riguarda il linguaggio, ricerca una sorta di musicalità evocativa, accentuando l'elemento sonoro del verso, secondo il modello dei poeti maledetti Verlaine e Mallarmé.  La poesia come nido che protegge dal mondo. La poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere alla verità di ogni cosa. Il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Rifiuta quindi la ragione e, di conseguenza, rifiuta il positivismo, che e l'esaltazione della ragione stessa e del progresso, approdando così al decadentismo. La poesia diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà che vengono rappresentate; ma in realtà una connessione, a volte anche un po' forzata, è presente tra i concetti, e il poeta spesso e volentieri è costretto a voli vertiginosi per mettere in comunicazione questi concetti. La poesia irrazionale o analogica è una poesia di svelamento o di scoperta e non di invenzione. I motivi principali di questa poesia devono essere "umili cose": cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, le cui presenze aleggiano continuamente nel “nido”, riproponendo il passato di lutti e di dolori e inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri, viscerali del nido. Il duomo, al cui suono della campana si fa riferimento ne L'ora di Barga Nella vita dei letterati italiani degli ultimi due secoli ricorre pressoché costantemente la contrapposizione problematica tra mondo cittadino e mondo agreste, intesi come portatori di valori opposti: mentre la campagna appare sempre più come il paradiso perduto dei valori morali e culturali, la città diviene simbolo di una condizione umana maledetta e snaturata, vittima della degradazione morale causata da un ideale di progresso puramente materiale. Questa contrapposizione può essere interpretata sia alla luce dell'arretratezza economica e culturale di gran parte dell'Italia rispetto all'evoluzione industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza della divisione politica e della mancanza di una grande metropoli unificante come erano Parigi per la Francia e Londra per l'Inghilterra. I luoghi poetici della terra, del borgo, dell'umile popolo che ricorrono fino agli anni del primo dopoguerra non fanno che ripetere il sogno di una piccola patria lontana,che l'ideale unitario vagheggiato o realizzato non spegne mai del tutto.  Decisivo nella continuazione di questa tradizione fu proprio Pascoli, anche se i suoi motivi non furono quelli tipicamente ideologici degli altri scrittori, ma nacquero da radici più intimistiche e soggettive. Scrive al pittore De Witt. C'è del gran dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella vita semplice e familiare e nella contemplazione della natura, specialmente in campagna, c'è gran consolazione, la quale pure non basta a liberarci dall'immutabile destino». In questa contrapposizione tra l'esteriorità della vita sociale (e cittadina) e l'interiorità dell'esistenza familiare e agreste si racchiude l'idea dominanteaccanto a quella della mortedella poesia pascoliana. Dalla casa di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Media Valle del Serchio, non usce più (psicologicamente parlando) fino alla morte. Pur continuando in un intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e accettando di succedere a Carducci sulla cattedra dell'Bologna, egli ci ha lasciato del mondo una visione univocamente ristretta attorno ad un "centro", rappresentato dal mistero della natura e dal rapporto tra amore e morte.  Fu come se, sopraffatto da un'angoscia impossibile a dominarsi, il poeta avesse trovato nello strumento intellettuale del componimento poetico l'unico mezzo per costringere le paure e i fantasmi dell'esistenza in un recinto ben delimitato, al di fuori del quale egli potesse continuare una vita di normali relazioni umane. A questo "recinto" poetico egli lavorò con straordinario impegno creativo, costruendo una raccolta di versi e di forme che la letteratura italiana non vedeva, per complessità e varietà, dai tempi di Chiabrera. La ricercatezza quasi sofisticata, e artificiosa nella sua eleganza, delle strutture metriche scelte da P. mescolanza di novenari, quinari e quaternari nello stesso componimento, e così viaè stata interpretata come un paziente e attento lavoro di organizzazione razionale della forma poetica attorno a contenuti psicologici informi e incontrollabili che premevano dall'inconscio. Insomma, esattamente il contrario di quanto i simbolisti francesi e le altre avanguardie artistiche proclamano nei confronti della spontaneità espressiva.  Frontespizio di un'edizione del discorso socialista e nazionalista di P. La Grande Proletaria si è mossa, in favore della guerra di Libia. Anche se l'ultima fase della produzione pascoliana è ricca di tematiche socio-politiche (Odi e inni, comprendenti gli inni Ad Antonio Fratti, Al re Umberto, Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni, Andrée, nonché l'ode, aggiunta nella terza edizione, Chavez; Poemi italici; Poemi del Risorgimento; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è mossa, tenuto  in occasione di una manifestazione a favore dei feriti della guerra di Libia), non c'è dubbio che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio, nei quali il poeta trae spunto dall'ambiente a lui familiare come la Ferrovia Lucca-Aulla ("In viaggio"), nonché parte dei Poemetti. Il mondo di P. è tutto lì: la natura come luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei lutti privati. Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensiero della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. D'altra parte queste poesie sono nate quasi tutte in campagna; e non c'è visione che più campeggi o sul bianco della gran nave o sul verde delle selve o sul biondo del grano, che quella dei trasporti o delle comunioni che passano: e non c'è suono che più si distingua sul fragor dei fiumi e dei ruscelli, su lo stormir delle piante, sul canto delle cicale e degli uccelli, che quello delle Avemarie. Crescano e fioriscano intorno all'antica tomba della mia giovane madre queste myricae (diciamo cesti o stipe) autunnali. Dalla Prefazione di P. ai Canti di Castelvecchio. Il poeta e il fanciullino. Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del Carducci, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga. A costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra. Da Il fanciullino. Uno dei tratti salienti per i quali è passato alla storia della letteratura è la cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso esplicitata nello scritto omonimo apparso sulla rivista Il Marzocco. Influenzato dalla psicologia di J. Sully e dalla filosofia dell'inconscio di Hartmann, dà una definizione assolutamente compiutaalmeno secondo il suo punto di vistadella poesia (dichiarazione poetica). Si tratta di un testo di 20 capitoli, in cui si svolge il dialogo fra il poeta e la sua anima di fanciullino, simbolo:  dei margini di purezza e candore, che sopravvivono nell'uomo adulto. Della poesia e delle potenzialità latenti di scrittura poetica nel fondo dell'animo umano. Caratteristiche del fanciullino. Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce ed egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di campanella". "Piange e ride senza un perché di cose, che sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra ragione". "Guarda tutte le cose con stupore e con meraviglia, non coglie i rapporti logici di causaeffetto, ma intuisce. Scopre nelle cose le relazioni più ingegnose. Riempie ogni oggetto della propria immaginazione e dei propri ricordi (soggettivazione), trasformandolo in simbolo. Una rondine. Gli uccelli e la natura, con precisione del lessico zoologico e botanico ma anche con semplicità, sono stati spesso cantati da P. Il poeta allora mantiene una razionalità di fondo, organizzatrice della metrica poetica, ma:  Possiede una sensibilità speciale, che gli consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli oggetti più comuni. Comunica verità latenti agli uomini -- è Adamo, che mette nome atutto ciò che vede e sente (secondo il proprio personale modo di sentire, che tuttavia ha portata universale). Deve saper combinare il talento della fanciullezza (saper vedere), con quello della vecchiaia (saper dire). Percepisce l'essenza delle cose e non la loro apparenza fenomenica. La poesia, quindi, è tale solo quando riesce a parlarecon la voce del fanciullo ed è vista come la perenne capacità di stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione irrazionale che permane nell'uomo anche quando questi si è ormai allontanato, almeno cronologicamente, dall'infanzia propriamente intesa. È una realtà ontologica. Ha scarso rilievo la dimensione storica (trova suoi interlocutori in Virgilio, come se non vi fossero secoli e secoli di mezzo. La poesia vive fuori dal tempo ed esiste in quanto tale. Nel fare poesia una realtà ontologica (il poeta-microcosmo) si interroga suun'altra realtà ontologica (il mondo-macrocosmo); ma per essere poeta è necessario confondersi con la realtà circostante senza cheil proprio punto di vista personale e preciso interferisca: il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso, tranne in poche poesie, in cui esplicitamente parla della sua vicenda personale. È vero che la vicenda autobiografica dell'autore caratterizza la sua poesia, ma con connotazioni di portata universale: ad esempio la morte del padre viene percepita come l'esempio principe della descrizione dell'universo, di conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi, in quanto raffigura il male del mondo in generale. Tuttavia, nel passo XI del fanciullino, dichiara che un vero poeta è, più che altro, il suo sentimento e la sua visione che cerca di trasmettere agli altri. Per cui il poeta rrifiuta. Il classicismo, che si qualifica per la centralità ed unicità del punto di vista del poeta, che narra la sua opera ed esprime le proprie sensazioni. il Romanticismo, dove il poeta fa di sé stesso, dei suoi sentimenti e della sua vita, poesia. La poesia, così definita, è naturalmente buona ed è occasione di consolazione per l'uomo e il poeta. Pascoli fu anche commentatore e critico dell'opera di Dante e diresse inoltre la collana editoriale "Biblioteca dei Popoli". Il limite della poesia del P. è costituito dall'ostentata pateticità e dall'eccessiva ricerca dell'effetto commovente. D'altro canto, il merito maggiore attribuibile al P. e quello di essere riuscito nell'impresa di far uscire la poesia italiana dall'eccessiva aulicità e retoricità non solo di Carducci e di Leopardi, ma anche del suo contemporaneo Annunzio. In altre parole, e in grado di creare finalmente un legame diretto con la poesia d'Oltralpe e di respiro europeo. La lingua pascoliana è profondamente innovativa. Essa perde il proprio tradizionale supporto logico, procede per simboli e immagini, con brevi frasi, musicali e suggestive.  La poesia cosmica  L'ammasso aperto delle Pleiadi nella costellazione del Toro. Lo cita col nome dialettale di Chioccetta ne Il gelsomino notturno. La visione dello spazio buio e stellato è uno dei temi ricorrenti nella sua poesia Fanno parte di questa produzione pascoliana liriche come Il bolide (Canti di Castelvecchio) e La vertigine (Nuovi Poemetti). Il poeta scrive nei versi conclusivi de Il bolide: "E la terra sentii nell'Universo. Sentii, fremendo, ch'è del cielo anch'ella. E mi vidi quaggiù piccolo e sperso errare, tra le stelle, in una stella". Si tratta di componimenti permeati di spiritualismo e di panteismo (La Vertigine). La Terra è errante nel vuoto, non più qualcosa di certo; lo spazio aperto è la vera dimora dell'uomo rapito come da un vento cosmico. Scrive il critico Getto: " È questo il modo nuovo, autenticamente pascoliano, di avvertire la realtà cosmica: al geocentrismo praticamente ancora operante nell'emozione fantastica, nonostante la chiara nozione copernicana sul piano intellettuale, del Leopardi, il Pascoli sostituisce una visione eliocentrica o addirittura galassiocentrica: o meglio ancora, una visione in cui non si dà più un centro di sorta, ma soltanto sussistono voragini misteriose di spazio, di buio e di fuoco. Di qui quel sentimento di smarrita solitudine che nessuno ancora prima del Pascoli aveva saputo consegnare alla poesia". La lingua pascoliana P. disintegra la forma tradizionale del linguaggio poetico: con lui la poesia italiana perde il suo tradizionale supporto logico, procede per simboli ed immagini, con frasi brevi, musicali e suggestive. Il linguaggio è fonosimbolico con un frequente uso di onomatopee, metafore, sinestesie, allitterazioni, anafore, vocaboli delle lingue speciali (gerghi). La disintegrazione della forma tradizionale comporta "il concepire per immagini isolate (il frammentismo), il periodo di frasi brevi e a sobbalzi (senza indicazione di passaggi intermedi, di modi di sutura), pacatamente musicali e suggestive; la parola circondata di silenzio. Ha rotto la frontiera tra grammaticalità e evocatività della lingua. E non solo ha infranto la frontiera tra pregrammaticalità e semanticità, ma ha anche annullato "il confine tra melodicità ed icasticità, cioè tra fluido corrente, continuità del discorso, e immagini isolate autosufficienti. In una parola egli ha rotto la frontiera fra determinato e indeterminato". Pascoli e il mondo degli animali In un'epoca storica in cui il mondo degli animali rappresenta un'entità assai ridotta nella vita degli uomini e dei loro sentimenti, quasi esclusivamente relegato agli aspetti di utilizzo pratico e di supporto al lavoro, soprattutto agricolo, P. riconosce la loro dignità e squarcia un'originale apertura sull'esistenza delle specie animali e sul loro originale mondo di relazioni. Come scrive Solfanelli, P. si avvede assai presto che il suo amore per la natura gli permette di vivere le esperienze più appaganti, se non fondamentali, della sua vita. Lui vede negli animali delle creature perfette da rispettare, da amare e da accudire al pari degli esseri umani; infatti, si relaziona con essi, ci parla di loro e, spesso, prega affinché possano avere un'anima per poterli rivedere un giorno. Saggi: “Myricae” (Livorno, Giusti); “Lyra romana ad uso delle scuole classiche” (Livorno, Giusti, -- antologia di scritti latini per la scuola superiore – “Pensieri sull'arte poetica, ne Il Marzocco  (meglio noto come Il fanciullino) Iugurtha. Carmen Johannis Pascoli ex castro Sancti Mauri civis liburnensis et Bargaei in certamine poetico Hoeufftiano magna laude ornatum, Amstelodami, Apud Io. Mullerum, (poemetto latino) “Epos” (Livorno, Giusti); (antologia di autori latini) Poemetti, Firenze, Paggi, “Minerva oscura. Prolegomeni: la costruzione morale del poema di Dante” (Livorno, Giusti); “Intorno alla Minerva oscura” (Napoli, Pierro); “Sull’imitare. Poesie e prose per la scuola italiana (Milano-Palermo, Sandron). (antologia di poesie e prose per la scuola), “Sotto il velame. Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro” (Messina, Vincenzo Muglia); “Fior da fiore. Prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori” Milano-Palermo, Sandron,  (antologia di prose e poesie italiane per le scuole medie); “La mirabile visione. Abbozzo d'una storia della Divina Comedia” (Messina, Vincenzo Muglia); “Canti di Castelvecchio, Bologna, Zanichelli); “Primi poemetti, Bologna, Zanichelli); “Poemi conviviali, Bologna, Zanichelli,  Odi e Inni. Bologna, Zanichelli, Pensieri e discorsi. Bologna, Zanichelli, Nuovi poemetti” (Bologna, Zanichelli); “Canzoni di re Enzio La canzone del Carroccio” (Bologna, Zanichelli); “La canzone del Paradiso” (Bologna, Zanichelli); “La canzone dell'Olifante” (Bologna, Zanichelli); “Poemi italici” (Bologna, Zanichelli); “La grande proletaria si è mossa -- iscorso tenuto a Barga per i nostri morti e feriti (La Tribuna); “Poesie varie, Bologna, Zanichelli); “Poemi del Risorgimento, Bologna, Zanichelli); “Patria e umanità. Raccolta di scritti e discorsi” (Bologna, Zanichelli); Carmina” (Bononiae, Zanichelli); (poesie latine) Nell'anno Mille. Dramma” (Bologna, Zanichelli); (dramma incompiuto) Nell'anno Mille. Sue notizie e schemi di altri drammi” (Bologna, Zanichelli); “Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino” (Bologna, Zanichelli). “Myricae” è la prima vera e propria raccolta delle sue poesie, nonché una delle più amate. Il titolo riprende una citazione di Virgilio all'inizio della IV Bucolica in cui il poeta latino proclama di innalzare il tono poetico poiché "non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici" (non omnes arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli invece propone "quadretti" di vita campestre in cui vengono evidenziati particolari, colori, luci, suoni i quali hanno natura ignota e misteriosa. Crebbe per il numero delle poesie in esso raccolte. La sua prima edizione, raccoglie soltanto 22 poesie dedicate alle nozze di amici. La raccolta definitiva comprendeva 156 liriche del poeta. I componimenti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al lavoro dei campi e alla vita contadina. Le myricae, le umili tamerici, diventano un simbolo delle tematiche del P. ed evocano riflessioni profonde.  La descrizione realistica cela un significato più ampio così che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. In realtà questa frettolosa interpretazione della poetica pascoliana fa da scenario a stati d'animo come inquietudini ed emozioni. Il significato delle Myricae va quindi oltre l'apparenza. Compare la poesia Novembre, mentre nelle successive compariranno anche altri componimenti come L'Assiuolo. P. ha dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre ("A Ruggero P., mio padre"). La poesia-pensiero del profondo attinge all'inconscio e tocca all'universale attraverso un mondo delle referenze condiviso da tutti. Anche autore di poesie in lingua latina e con esse vinse per ben tredici volte il Certamen Hoeufftianum, un prestigioso concorso di poesia latina che annualmente si teneva ad Amsterdam. La produzione latina accompagnò il poeta per tutta la sua vita: dai primi componimenti scritti sui banchi del collegio degli Scolopi di Urbino, fino al poemetto Thallusa, la cui vittoria il poeta apprese solo sul letto di morte.  In particolare, l'anno 1892 fu insieme l'anno della sua prima premiazione con il poemetto “Veianus” e l'anno della stesura definitiva delle Myricae. Tra la sua produzione latina, vi è anche il carme alcaico Corda Fratres, inno della confraternita studentesca meglio nota come Corda Fratres. Ama molto il latino, che può essere considerato la sua lingua del cuore. Il poeta scriveva in latino, prendeva appunti in latino, spesso pensava in latino, trasponendo poi espressioni latine in italiano; la sorella Maria ricorda che dal suo letto di morte P. parlò in latino, anche se la notizia è considerata dai più poco attendibile, dal momento che la sorella non conosceva questa lingua. Per lungo tempo la produzione latina pascoliana non ha ricevuto l'attenzione che merita, essendo stata erroneamente considerata quale un semplice esercizio del poeta. In quegli anni non era infatti l'unico a cimentarsi nella poesia latina (G. Giacoletti, un insegnante nel collegio degli Scolopi di Urbino frequentato da lui, vinse l'edizione del Certamen con un poemetto sulle locomotive a vapore. Ma lo fa in maniera nuova e con risultati, poetici e linguistici, sorprendenti. L'attenzione verso questi componimenti si accese con la raccolta curata da E. Pistelli col saggio di A.  Gandiglio. Esistono delle traduzioni in lingua italiana delle sue poesie latine quali quella curata da M. Valgimigli o le traduzioni di E. Mandruzzato. Tuttavia la produzione latina ha un significato fondamentale, essendo coerente con la poetica del Fanciullino, la cifra del pensiero pascoliano. In realtà, la poetica del Fanciullino è la confluenza di due differenti poetiche: la poetica della memoria e la poetica delle cose. Gran parte della poesia pascoliana nasce dalle memorie, dolci e tristi, della sua infanzia. Ditelo voi, se la poesia non è solo in ciò che fu e in ciò che sarà, in ciò che è morto e in ciò che è sogno! E dite voi, se il sogno più bello non è sempre quello in cui rivive ciò che è morto". Pascoli dunque intende fare rivivere ciò che è morto, attingendo non solo al proprio ricordo personale, bensì travalica la propria esperienza, descrivendo personaggi facenti parte anche dell'evo antico: infanzia e mondo antico sono le età nelle quali l'uomo vive o è vissuto più vicino ad una sorta di stato di natura. "Io sento nel cuore dolori antichissimi, pure ancor pungenti. Dove e quando ho provato tanti martori? Sofferto tante ingiustizie? Da quanti secoli vive al dolore l'anima mia? Ero io forse uno di quegli schiavi che giravano  la macina al buio, affamati, con la museruola?". Contro la mortedelle lingue, degli uomini e delle epocheil poeta si appella alla poesia: essa è la sola, la vera vittoria umana contro la morte. "L'uomo alla morte deve disputare, contrastare, ritogliere quanto può". Ma da ciò non consegue di necessità l'uso del latino.  Qui interviene l'altra e complementare poetica pascoliana: la poetica delle cose. "Vedere e udire: altro non deve il poeta. Il poeta è l'arpa che un soffio anima, è la lastra che un raggio dipinge. La poesia è nelle cose". Ma questa aderenza alle cose ha una conseguenza linguistica di estrema importanza, ogni cosa deve parlare quanto più è possibile con la propria voce: gli esseri della natura con l'onomatopea, i contadini col vernacolo, gli emigranti con l'italo-americano, Re Enzio col bolognese del Duecento; i Romani, naturalmente, parleranno in latino. Dunque il bilinguismo di Pascoli in realtà è solo una faccia del suo plurilinguismo. Bisogna tenere conto anche di un altro elemento: il latino del Pascoli non è la lingua che abbiamo appreso a scuola. Questo è forse il secondo motivo per il quale la produzione latina pascoliana è stata per anni oggetto di scarso interesse: per poter leggere i suoi poemetti latini è necessario essere esperti non solo del latino in generale, ma anche del latino di Pascoli. Si è già fatto menzione del fatto che nello stesso periodo, e anche prima di lui, altri autori avevano scritto in latino; scrivere in latino per un moderno comporta due differenti e contrapposti rischi. L'autore che si cimenti in questa impresa potrebbe, da una parte, incappare nell'errore di esprimere una sensibilità moderna in una lingua classica, cadendo in un latino maccheronico; oppure potrebbe semplicemente imitare gli autori classici, senza apportare alcuna novità alla letteratura latina.  Pascoli invece reinventa il latino, lo plasma, piega la lingua perché possa esprimere una sensibilità moderna, perché possa essere una lingua contemporanea. Se oggi noi parlassimo ancora latino, forse parleremmo il latino di P. (cfr. A. Traina, Saggio sul latino del Pascoli, Pàtron). Numerosi sono i componimenti, in genere raggruppati in diverse raccolte secondo l'edizione del Gandiglio, tra le quali: Poemata Christiana, Liber de Poetis, Res Romanae, Odi et Hymni. Due sembrano essere i temi favoriti del poeta: Orazio, poeta della aurea mediocritas, che Pascoli sentiva come suo alter ego, e le madri orbate, cioè private del loro figlio (cfr. Thallusa, Pomponia Graecina, Rufius Crispinus). In quest'ultimo caso il poeta sembra come ribaltare la sua esperienza personale di orfano, privando invece le madri del loro ocellus ("occhietto", come Thallusa chiama il bambino). I “Poemata Christiana” sono da considerarsi il suo capolavoro in lingua latina. In essi Pascoli traccia, attraverso i vari poemetti, tutti in esametri, la storia del Cristianesimo in Occidente: dal ritorno a Roma del centurione che assistette alla morte di Cristo sul Golgota (Centurio), alla penetrazione del Cristianesimo nella società romana, dapprima attraverso gli strati sociali di condizione servile (Thallusa), poi attraverso la nobiltà romana “(Pomponia Graecina”), fino al tramonto del paganesimo (“Fanum Apollinis”).  La sua biblioteca e il suo archivio sono conservati sia nella Casa museo Pascoli a Castelvecchio Pascoli frazione di Barga, sia nella Biblioteca statale di Lucca. A San Mauro la sua casa natale è sede di un museo dedicato alla sua memoria e dichiarata Monumento nazionale. Gli vengono dedicate importanti iniziative in tutta la Penisola. Viene coniata una moneta celebrativa da due euro con l'effige del Poeta.  Il delitto Ruggero Pascoli  Omicidio Pascoli. Il complotto (Mimesis)  F. Biondolillo, La poesia, Maria P., Autografo Memorie, Alice Cencetti,  una biografia critica, Le Lettere, G. Pascoli, L'avvento, in Pensieri e discorsi: «Che è? siamo malfattori anche noi? Oh! no: noi non vorremmo vedere quelle catene, quella gabbia, quelle armi nude intorno a quell'uomo; vorremmo non sapere ch'egli sarà chiuso, vivo, per anni e anni e anni, per sempre, in un sepolcro; vorremmo non pensare ch'egli non abbraccerà più la donna che fu sua, ch'egli non vedrà più, se non reso irriconoscibile e ignominioso dall'orrida acconciatura dell'ergastolo, i figli suoi... Ma egli ha ucciso, ha fatto degli orfani, che non vedranno più affatto il loro padre, mai, mai, mai! E vero: punitelo! è giusto! Ma non si potrebbe trovare il modo di punirlo con qualcosa di diverso da ciò ch'egli commise?... Così esso assomiglia troppo alle sue vittime! Così andranno sopra lui alcune delle lagrime che spettano alle sue vittime! Le sue vittime vogliono tutta per loro la pietà che in parte s'è disviata in pro' di lui. Non essere così ragionevole, o Giustizia. Perdona più che puoi. Più che posso? Ella dice di non potere affatto. Se gli uomini, ella soggiunge, fossero a tal grado di moralità da sentire veramente quell'orrore al delitto, che tu dici, si potrebbe lasciare che il delitto fosse pena a sè stesso, senza bisogno di mannaie e catene, di morte o mortificazione. Ma... Ma non vede dunque la giustizia che quest'orrore al delitto gli uomini lo mostrano appunto già assai, quando abominano, in palese o nel cuore, il delitto anche se è dato in pena d'altro delitto, ossia nella forma in cui parrebbe più tollerabile?»  La storia dell'I.I.S. Raffaello. Bulferetti, L'uomo, il maestro, il poeta, Libreria Editrice Milanese,  Piero Bianconi, P., Morcelliana, Giuseppe Galzerano, Giovanni Passannante, Casalvelino Scalo, Ugoberto Alfassio Grimaldi, Il re "buono", Feltrinelli, Per approfondire gli anni giovanili del Poeta e l'impegno politico vedi: R. Boschetti, "Il giovane. Attraverso le ombre della giovinezza",  realizzato in occasione della mostra omonima allestita presso il Museo Casa P. di San Mauro P.  Per approfondire gli anni di ricostruzione del "nido" con le sorelle e scoprire nuovi elementi che aggiornino la vecchia idea tramandata dalla sorella Mariù, in base alla quale il principale desiderio del fratello era quello di ricostruire la famiglia con le sorelle, senza alcuno slancio amoroso verso l'esterno, si veda: Rosita Boschetti, Gori, U. Sereni "Vita immagini ritratti", Parma, Step.  Il rinvenimento è opera di G. Ruggio, Conservatore di casa P. a Castelvecchio, il documento fu acquistato dal Grande Oriente d'Italia ad un'asta di manoscritti storici della casa Bloomsbury, e la notizia fu resa nota al grande pubblico per la prima volta ne Il Corriere della Sera,  Filmato audio S. Ruotolo e G. Bernardo, Massoneria, politica e mafia. L'ex-Gran Maestro: "Ecco i segreti che non ho mai rivelato a nessuno", fanpage al minuto 2:28. Citazione: La loggia P2 non è stata inventata da Gelli, ma risale alla seconda metà dell'Ottocento in cui il Gran Maestro per dare una certa riservatezza a personaggi che erano i vertici del Governo, i militari di altissimo livello, poeti come Carducci e P. Si disse: «evitiamo che questi personaggi svolgano la loro attività massonica nelle logge, almeno per evitare un fastidio»  Vi fu professore straordinario di grammatica greca e latina,Vi insegnò letteratura latina come Professore. Fu nominato professore di grammatica greca e latina.  Le date sulle docenze universitarie sono prese da Perugi, "Nota biografica", in P., Opere, tomo I, Milano-Napoli: Ricciardi, Rosita Boschetti, P. innamorato: la vita sentimentale del poeta di San Mauro: catalogo, San Mauro Pascoli, Comune,.  Cfr. sempre Boschetti, op. cit, pag. 28. Scrive da Matera a Raffaele la lista delle sue spese. 65 lire al mese per mangiare, 25 per dormire, 7 alla serva, 2 al casino (necessità), 15 in libri (più che necessità)».  Fondazione P.: la vita,  Ruggio, P. Tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta  Vittorino Andreoli, I segreti di casa Pascoli, recensione qui  Testo dell'"Inno a Roma"  Testo di "Al corbezzolo"  Fondazione P.: la vita,  Maria Pascoli, Lungo la vita di P.  Pascoli: il lutto, il triangolo, il classico e il decadentista. Andreoli, op. cit  Maria Pascoli, Lungo la vita (Milano, Mondadori); Getto, poeta astrale, in "Studi per il centenario della nascita di P.". Commissione per i testi di lingua, Bologna, Fondazione Giovanni Pascoli Nuovi poemetti, Schiaffini, Disintegratore della forma poetica tradizionale, in "Omaggio a P.",  G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in "Studi pascoliani", Lega, Faenza, Maria Cristina Solfanelli, Gli animali da cortile, Chieti, Tabula fati,.  Vegliante.  Alberto Fraccacreta, Le ninfe di Vegliante, su Succedeoggi. Santo, Cammei Pascoliani: analisi, illustrazione, esegèsi dei carmi latini e greci minori di P., Giacoletti, De lebetis materie et forma eiusque tutela in machinis vaporis vi agentibus carmen didascalicum, Amstelodami: C. G. Van Der Post, Ioannis Pascoli carmina; collegit Maria soror; edidit H. Pistelli; exornavit A. De Karolis, Bononiae: Zanichelli, Ioannis Pascoli Carminibus; mandatu Maria sororis recognitis; appendicem criticam addidit Adolphus Gandiglio, Bononiae: sumptu Zanichelli); Poesie latine; Manara Valgimigli, Milano: A. Mondadori, Giovanni Pascoli, Poemi cristiani; introduzione e commento di Alfonso Traina; traduzione di Enzo Mandruzzato, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, Carte pascoliane della Biblioteca Statale di Lucca, su//pascoli.archivi.beniculturali/. Museo di Casa Pascoli, su polomusealeemiliaromagna. beniculturali. Regio Decreto Legge, Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Franceschi, Giovanni Pascoli: cento anni fa moriva il massimo autore latino dell'età moderna, in Il Sole 24 ORE, Gargano, Poeti viventi italiani: G"Vita Nuova", Gargano, Saggi di ermeneutica. Del Simbolo (Sul "Vischio" di P.), in "Il Marzocco" Gargano, Poesia italiana contemporanea, in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", Emilio Cecchi, La poesia, Napoli, Ricciardi, Croce, Studio critico, Bari, Laterza, G. Debenedetti, Statura di poeta, in  Omaggio a Giovanni Pascoli nel centenario della nascita, Milano, Mondadori, Walter Binni, P. e il decadentismo, in  Omaggio a Giovanni Pascoli nel centenario della nascita, Mondadori, Piromalli, La poesia di P. , Pisa, Nistri Lischi, Gianfranco Contini, Il linguaggio di Pascoli, in Studi pascoliani, Faenza, Lega  (poi in Id., Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi,  Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, Milano, Mondadori); Giuseppe Fatini, Il D'Annunzio e P. e altri amici, Pisa, Nistri Lischi, Giannangeli, Le fonti spaziali del Pascoli, in "Dimensioni", Ottaviano Giannangeli, La metrica pascoliana, in "Dimensioni", Luigi Baldacci, "Introduzione", in G. Pascoli, Poesie, Milano, Garzanti); Giannangeli, Pascoli e lo spazio, Bologna, Cappelli, Maura Del Serra, Firenze, La Nuova Italia ("Strumenti", Debenedetti, P.: la rivoluzione inconsapevole, Milano, Garzanti, 1Gianni Oliva, I nobili spiriti. Pascoli, D'Annunzio e le riviste dell'estetismo fiorentino, Bergamo, Minerva Italica, Fabrizio Frigerio, Un esorcismo pascoliano. Forma e funzione dell'onomatopeia e dell'allitterazione ne "L'uccellino del freddo", in "Bloc notes", Bellinzona, Vicario, La presenza di VIRGILIO in Carducci e P., in Il richiamo di Virgilio nella poesia italiana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, E. Sanguineti, Poesia e poetica/ Atti del Convegno di studi pascoliani/ San Mauro, 1-Comune di San Mauro P./ Comitato per le onoranze a Giovanni Pascoli, Rimini, Maggioli, Pavarini, Pascoli e il silenzio meridiano (Dall'argine), in "Lingua e stile", Stefano Pavarini, Pascoli tra voce e silenzio: Alba festiva, in "Filologia e Critica", Maura Del Serra, Voce Pascoli, in  Il Novecento, Milano, Vallardi, Benedetto, Frammenti su "Digitale purpurea" nei "Primi poemetti" di Pascoli", in Poesia e critica del Novecento, Napoli, Liguori, Ruggio, Pascoli: tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta, Milano, Simonelli, Franco Lanza, scritti editi ed inediti, Bologna, Boni, Marina Marcolini, Pascoli prosatore: indagini critiche su "Pensieri e discorsi", Modena, Mucchi, Maria Santini, Candida Soror: tutto il racconto della vita di Mariù Pascoli la più adorata sorella del poeta della Cavalla storna, Milano, Simonelli, Le Petit Enfant trad. dall'italiano, introd. e annotato da Levergeois (prima edizione francese del Fanciullino in Francia), Parigi, Maule, "L'Absolu Singulier",  Mazzanti, I segreti del "nido". Le carte di Giovanni e Maria Pascoli a Castelvecchio, in Castagnola, Archivi letterari del '900, Firenze, Cesati, Martelli, Pascoli, tra rima e sciolto, Firenze, Società Editrice Fiorentina,  Pietro Montorfani e Federica Alziati, Giovanni Pascoli, Bologna, Massimiliano Boni,  Massimo Rossi, Giovanni Pascoli traduttore dei poeti latini, in "Critica Letteraria", Mario Buonofiglio, Lampi e cortocircuiti. Il linguaggio binario ne "Il lampo" di Giovanni Pascoli, in "Il Segnale",  ora disponibile in Academia Andrea Galgano, Di là delle siepi. Leopardi e Pascoli tra memoria e nido, Roma, Aracne editrice, Colella, "Conducendo i sogni, echi e fantasmi d'opere canore". Pascoli, Dandolo e l'onirismo 'conviviale', in "Rivista Pascoliana", Vegliante,  L'impensé la poésieChoix de poèmes, Sesto San Giovanni, Mimésis,.  Accademia Pascoliana; Ruggero Pascoli Decadentismo Digitale purpurea Giosuè Carducci Gabriele D'Annunzio Severino Ferrari Luigi d'Isengard Augusto Vicinelli Socialismo utopico Thallusa. Treccani Dizionario biografico degli italiani --  italiana di Giovanni Pascoli, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com.  nello specchio delle sue carte. Fondazione Giovanni Pascoli. Giuseppe Bonghi.  testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Manara Valgimigli, Poesie latine, Mondadori,  Casa Pascoli. "Poemi conviviali".  CROCE, P.  STUDIO CRITICO BARI LATERZA TIPOGRAFI EDITORI L1BRAI PROPRIETÀ LETTERARIA. AVVERTENZA. La  buona  accoglienza  fatta  alla  ristampa  in  volume separato  del  saggio  sul  Carducci  ci  muove  a  ristampare  nella  stessa  forma  il  saggio  che  su  P. Croce raccole  nella sua Letteratura  della  nuova  Italia.   Abbiamo  fatto  seguire  ad  esso  la  risposta  che  Croce  fa  ai  suoi  critici,  e  due  saggi nei  quali  egli  ritorna  sul  suo  vecchio  giudizio  per  ribadirlo  e  particolareggiarlo.  In  appendice è  un  cenno  e  un  saggio  delle  discussioni  sollevate  di  recente  sul  Pa-  scoli, a  proposito  di  questi  scritti  del  Croce.   L'EDITORE.    I   P.   I.   Leggo  alcune  delle  più  celebrate  poesie  di P.,  e  ne  provo  una  strana  impressione. Mi  piacciono?  mi  spiacciono?  SI,  no:  non  so.  Non  mi  smarrisco  per  questo,  e  non  me  la  prendo  né  con  la  insufficienza  mia  né  con  quella  del  poeta.  So  bene   che  il  giudizio  dell'arte,  benché si  fondi  sulla  ingenua  impressione,  non  si  esaurisce  nelle  cosiddette  prime  impressioni,  e  che  Ruggero  Bonghi  fraintese  quando  scambiò  e  criticò  Tuna  per  le  altre,  la  logica  della  fan-  tasia per  la  illogica  del  capriccio.  E  so  bene  che  artisti  assai  energici  disorientano,  alla  prima,  il  lettore:  s'impegna  come  una  lotta  tra  l'anima  conquis tatrice  e  un'altra  che  non  vuole  —  eppur  vuole,  —  lasciarsi  conquistare:  lotta  di  amori  estetici,  arieggiante  quasi  quella  dei  sessi  che  corre  attraverso  tutto  il  mondo  animale  e  che  testé  il  De  Gourmont  ci  ha  descritta  in  un  suo libro  popolare.  Dunque,  non  mi  smarrisco,  mi  rimetto  all'opera,  rileggo  e  rileggo  ancora.  Ma,  per  quanto  rilegga,  per  quanto  torni  a  quella  lettura  dopo  lunghe  pause,  la  strana  perplessità  si  rinnova.  Odi  et  amo:  come  mai?  Nescio:  sed  fieri  sentio  et  excrucior.   Non  è  poeta  grande  colui  che  ha  concepito  /  due  cugini?  I  due  bambini  giocano  tra  loro,  e  si  amano:  quando  si  vedono,  corrono,  anzi  volano  l'uno  verso  l'altro,  con  tale  impeto  di  gioiosità  infantile  abbracciandosi,  che  i  loro  ber-  retti  cascano  e  i  capelli  biondi  mescolano  i  riccioli. Ma  quei  giuochi,  quegli  amori  sono  spezzati: l'uno  dei  due,  il  maschietto,  muore:   appassi  come  rosa  che  in  boccio  appassisce  nell'orto.   E  l'altra  resta  legata  a  lui:  è  «la  piccola  sposa  del  piccolo  morto  ».  La  bambina  cresce:  si  cresce  rapidamente  in  quegli  anni:  si  fa  giovinetta,  già  quasi  donna.  Ma  l'altro  no:  si  è  fermato:  colà  dove  l'hanno  deposto,  non  si  cresce.  Sembra  che,  quando  rivede  la  sua  cuginetta,  che  si  svolge  e  fiorisce  col  misterioso  irrefrenabile  impulso  della  vita  e  del  sesso,  egli  le  stia  innanzi  tra  mera-  vigliato, smarrito  e  umiliato:   col  capo  non  giunge  al  seno  tuo  nuovo,  che  ignora.   Quella  l'ama  sempre:  sempre  le  par  di  udir  intorno a  sé  «  la  fretta  dei  taciti  piedi».  Ma  il  morto  non  le  sorride:  la  giovinetta  fiorente  non   è  più,  per  lui,  la  compagna  di  una  volta;  sente  che  gli  è  sfuggita,  che  non  gli  appartiene  più:   piangendo  l'antica  sventura,  tentenna  il  suo  capo  di  bimbo.   Movimenti  ed  immagini  di  grande  bellezza,  cer-  tamente. Ma,  per  un  altro  verso,  già  nel  metro  adottato,  la  terzina  di  novenari,  si  avverte  qual-  cosa non  saprei  se  di  ba llato  o  di  ansimante,  che  stona  con  la  calma  sospirosa  e  dolorosa  del  piccolo  idillio  triste.  La  struttura  generale  è  spiacevolmente  simmetrica:  divisa  in  tre  parti,  che  paiono  le  tre  proposizioni  di  un  sillogismo.  Il  principio  è  un  ex-abrupto,  non  libero  di  enfasi  o  di  teatralità:   S'amavano  i  bimbi  cugini;   l'immagine,  che  segue,  è  leziosa:   pareva  l'incontro  di  loro  l'incontro  di  due  lucherini.   L'insistenza  è  soverchia,  e  anche  di  effetti  tor-  bidi. È  stupendamente  detto:   Tu,  piccola  sposa,  crescesti;  man  mano  intrecciavi  i  capelli,  man  mano  allungavi  le  vesti.   E  il  crescere  veduto  realisticamente,  ma  soffuso  di  gentilezza:  non  ci  vorrebbe  altro.  Ma  no:  il  metro  continua  per  suo  conto:   Crescevi  sott'occhi  che  negano  ancora;  ed  i  petali  snelli  cadevano:  il  fiore  già  lega:  fatica  di  paragoni,  che  ottenebra  e  non  potenzia  l'immagine  già  perfettamente  determinata.  E  il  metro  continua  ancora,  come  un  cavallo  che,  nonostante  gli  abbiate  fatto  sentire  il  morso,  vi  trasporta  per  un  altro  tratto  di  via,  che  non  si  doveva  percorrere:   Ma  l'altro  non  crebbe.  Dal  mite  suo  cuore,  ora,  senza  perchè,  fioriscono  le  margherite   e  i  non  ti  scordare  di  me;   dove  quel  «  senza  perchè  »  mi  sembra  davvero  senza  perchè;  e  la  fiorita  sulla  tomba  è  roba  vieta,  resa  più  vieta  ancora  dalla  romanticheria  di  quei  «  non  ti  scordare  di  me  »,  che  cascano  mollemente  formando  la  chiusa  del  paragrafetto.  Ahi!  lo  specchio  tersissimo  si  è  appannato:  il  capolavoro è  rimasto  a  mezzo,   come  rosa  che  in  boccio  appassisce  nell'orto.   Valentino  è  un  altro  bambino.  Solo  un  occhio  di  poeta  può  scoprire  e  far  valere  un'immagine  tanto  graziosa.  È  un  contadinello  tutto  vestito  di  nuovo,  ma  a  piedi  scalzi:  la  madre,  che  lo  ha  visto  tremar  di  freddo  durante  il  gennaio,  ha  messo  da  parte  a  soldo  a  soldo  un  piccolo  gruzzolo;  e  il  gruzzolo  è  bastato  per  comprare  il  panno  della  veste  e  non  già  anche  per  la  spesa  delle  scarpe:  il  grande  sforzo  di  quella  veste  lo  ha  esaurito:   Costa  :  che  mamma  già  tutto  ci  spese,   quel  tintinnante  salvadanaio:  ora  esso  è  vuoto,  e  cantò  più  d'un  mese,   per  riempirlo,  tutto  il  pollaio.   Un  solo  aggettivo  ben  collocato  è  atto  a  sugge-  rire una  serie  d'immagini:  quasi  si  vede  la  povera donna,  che  scuote  e  fa  «tintinnare»  il  rozzo  salvadanaio  di  creta,  per  accertarsi  del  tesoretto  che  vi  ha  accumulato  con  tanto  stento:   é  tu,  magro  contadinello,  restasti  a  mezzo,  così,  con  le  penne,  ma  nudi  i  piedi  come  un  uccello...   La  figura  si  raggentilisce  in  questo  sorriso,  fatto  d'intenerimento:  il  contadinello  è  magro,  diventa  leggiero,  si  associa  naturalmente  all'immagine  dell'uccello.  Come  un  uccello,  egli  non  prova  impaccio  né  sente  il  ridicolo  del  suo  abbigliamento a  mezzo:   come  l'uccello  venuto  dal  mare,  che  tra  il  ciliegio  salta,  e  non  sa   ch'oltre  il  beccare,  il  cantare,  l'amare,  ci  sia  qualch'altra  felicità.   Capolavoro?  Neppur  qui.  Io  ho  riferito  versi  e  strofe  singole,  trascegliendo  nel  piccolo  com-  ponimento. Ma,  se  ve  l'avessi  letto  intero,  ve  ne  avrei  dato  forse  un  concetto  assai  minore.  Lascio  stare  il  lungo  ricamo  che  il  Pascoli  fa  sul  particolare dei  piedini  nudi.  «  Piedini  nudi  »,  dice  tutto;  ma  il  Pascoli,  invece,  non  senza  giuoco  di  parole:   solo  ai  piedini  provati  dal  rovo  porti  la  pelle  dei  tuoi  piedini. E  non  si  contenta:   porti  le  scarpe  che  mamma  ti  fece,  che  non  mutasti  mai  da  quel  dì,  che  non  costarono  un  picciolo...   Insopportabile  è,  che  faccia  poi  un  simile  ricamo  anche  al  pollaio,  che  aveva  cosi  bene  e  sobriamente evocato:   e  le  galline  cantavano:    Un  cocco!  ecco  ecco  un  cocco  un  cocco  per  te!   Il  delicato  poeta  si  è  messo  a  rifare  il  verso  ai  polli!  E  si  resta  con  quel  grido  fastidioso  negli  orecchi,  che  pur  non  fa  dimenticare  del  tutto  il  «tintinnante  salvadanaio».   Non  meno  originale,  ossia  poetico,  è  il  Sogno  della  vergine.  Anche  la  donna  che  non  ha  avuto  figli,  la  vergine,  è  una  madre,  madre  in  potenza:  esistono  non  solo  i  figli  che  sono  nati,  ma  i  «  tigli  non  nati»,  bella  immagine  che  il  Pascoli  ha,  a  quanto  credo,  creata  lui,  e  che  ritorna  in  molti  suoi  versi.  La  vergine  dorme,  e  la  madre  che  è  in  lei  sogna  in  quel  sonno:  il  sangue,  che  scorre  per  le  sue  membra,  le  si  trasmuta  e  addolcisce  come  in  latte:   Stupisce  le  placide  vene  quel  flutto  soave  e  straniero,  quel  rivolo  labile,  lene,   d'ignota  sorgente,  che  sembra  che  inondi  di  blando  mistero  le  pie  sigillate  sue  membra. La  vaga  aspirazione  si  concreta  in  un  piccolo  essere:  il  sogno  s'intensifica:  accanto,  ella  sente  un  alito,  un  piccolo  vagito:   Un  figlio!  che  posa  sul  letto  suo  vergine  !  e  cerca  assetato  le  fonti  del  vergine  petto  !   E  com'è  materno  quel  sogno!  Il  bambino  non  sorride,  trionfante  di  vita:  il  bambino  ha  bisogno  della  difesa  di  sua  madre,  che  tanto  più  lo  sogna  e  l'ama  quanto  più  le  par  di  doverlo  difendere:  egli  «piange  il  suo  tacito  pianto  >.  Tacito:  è  un  pianto  veduto  nel  sogno.   Ma  come,  d'altro  canto,  è  lungo  quel  componimento, la  cui  sostanza  poetica  sta  tutta  nelle  poche  immagini  ora  ricordate!  È  diviso  in  cinque  parti:  vi  si  descrive  in  principio  la  vergine  dormente e  il  lume  che  vacilla  nell'ombra  della  stanza:  quasi  che  tale  messa  in  iscena  possa  pre-  parare in  alcun  modo  la  poesia,  la  quale  comincia  solo  con  l'immagine  del  sangue  che  si  fa  latte.  Il  Pascoli  non  se  ne  sta  alla  espressione  delle  «pie  membra  sigillate»:  spiega:   le  gracili  membra  non  sanno   lo  schianto,  non  sanno  l'amplesso...   e  la  spiegazione  ridondante,  in  materia  così  sca-  brosa, era  da  evitare.  Neppure  sta  pago  ad  escla-  mare, all'improvviso  sorgere  del  bambino  che  brancola  cercando  avidamente  il  seno  della  madre:   0  fiore  d'un  intimo  riso  dell'anima!    che  è  forse  già  un  comento  piuttosto  eloquente  che  poetico;  ma  coraenta  il  comento  e  dà  in  argutezze o  agudezas:   o  fiore  non  nato  da  seme,  e  sbocciato  improvviso  !   Tu  fiore  non  retto  da  stelo,  tu  luce  non  nata  da  fuoco,  tu  simile  a  stella  del  cielo,   del  cielo  dell'anima...   Il  bambino  è  allontanato  dal  fianco  materno  e  riposto  fantasticamente  in  una  culla.  E  la  culla  assume  una  grande  importanza,  tanto  che  le  si  rifa  il  verso  come  altra  volta  al  pollaio:   Si  dondola  dondola  dondola  senza  rumore  la  culla  nel  mezzo  al  silenzio  profondo;   il  che  è  inopportuno,  ma  chiaro.  E  al  Pascoli  non  par  chiaro,  e  aggiunge  un  paragone:   cosi  come  tacita  al  vento,  nel  tacito  lume  di  luna,  si  dondola  un  cirro  d'argento.   E  vi  ha,  nel  resto  del  componimento,  esortazioni  al  bimbo  perchè  sorrida  un  istante;  e  vi  si  narra  il  sorgere  dell'alba  e  lo  svanire  del  sogno  :  narrazione per  lo  meno  altrettanto  esuberante,  quanto  prima  la  descrizione  della  stanza  e  della  lampada  da  notte.   Il  padre  del  Pascoli  fu  assassinato,  una  sera,  sulla  via  campestre,  mentre  tornava  alla  sua  casa.  La  mattina  di  quel  giorno  d'inenarrabile  strazio  e  terrore,  l'ultima  volta  che  i  suoi  lo  videro  vivo,   è  ricordata  in  ogni  minimo  particolare:  con  quel  perduto  dolore  dell'animo  che  dice:  —  potevamo  non  lasciarlo  andar  via,  quel  mattino,  e  sarebbe  ancora  tra  noi!  —  E  la  memoria  scopre,  o  l'illu-  sione fa  immaginare,  particolari  quasi  profetici.  Il  padre  stava  per  salire  sulla  carrozza,  circon-  dato dai  suoi,  dalla  moglie,  dai  figliuoli  grandi  e  piccini,  usciti  sulla  strada  a  salutarlo.  Ma,  nel-  l'appressarsi  ch'egli  fece  al  suo  cavallo:   la  più  piccina  a  lui  toccò  la  mazza.   Gli  prese  il  bastone,  come  per  tirarlo  indietro,  e  ruppe  in  pianto.  Non  voleva  ch'egli  andasse  via:  non  voleva,  così,  irragionevolmente,  come  bimba  che  era;  ed  egli  dovette  ingannarla,  per  acchetarla:  farle  credere  che  rientrava  in  casa,  ed  uscire  da  un'altra  porta.  Quella  manina  di  bimba  è  indimenticabile.  Si  sfiora  quasi  la  genia-  lità propria  dell'artista,  che  coglie  con  un  sol  tratto  un  mondo  di  sentimenti.  Ma  si  sfiora  sol-  tanto, e  si  perde  daccapo.  Che  cosa  diventa  quel  tocco  affettuoso  e  spaventato  di  debole  manina  presaga?   E  un  poco  presa  egli  sentì,  ma  poco  poco  la  canna,  come  in  un  vignuolo,  come  v'avesse  cominciato  il  nodo  un  vilucchino  od  una  passiflora...   Diventa  Io-Studio  di  una  presidi  manojnfantile.  Al  quale  segue  lo  studio  della  mano:   Sì:  era  presa  in  una  mano  molle,  manina  ancora  nuova,  così  nuova  che  tutto  ancora  non  chiudeva  a  modo.  Andiamo  innanzi:  i  bambini  attorniano  il  padre,  chiamando  com'è  lor  uso:   Egli  poneva  il  piede  sul  montante;  e  in  un  gruppo  le  tortori  tubarono,  e  si  senti:  —  Papà!  Papà!  Papà!   Quell'episodio  commovente  è  accentuato  in  tal  modo,  e  cosi  materialmente,  nelle  sue  minuzie,  che  ogni  commozione  sfuma.  Tanto  che  io  mi  distraggo,  e  mi  par  d'avere  udito  altra  volta  un  simile  vocìo  bambinesco,  ma  in  un'arte  più  alle-  gra; sì,  per  l'appunto,  in  un'opera  buffa  napole-  tana, emesso  da  un  gruppo  di  bambini  che  at-  tornia il  papà  che  li  ha  condotti  a  una  fiera.  Solo  che  i  bambini  dell'opera  buffa  cantano  bene,  per-  chè si  tratta  di  opera  buffa;  e  quelli  del  Pascoli,  nell'angoscioso  ricordo,  stonano.   E  poi,  se  altro  non  fosse,  basterebbe  anche  qui,  a  turbare  tutta  l'ispirazione,  il  metro  ado-  prato:  un  metro  quasi  epico,  lasse  di  dieci  en-   »  decasillabi  con  assonanze.  —  Lo  stesso  sbaglio  fondamentale  è  nell'altro  episodio  della  medesima  tragedia   domestica:   La   cavalla  storna,  svolto   ^jiel  metro  di  un'antica  romanza.  Eppuxe.  c'è  l'ab-  bozzo, o  il_nòcciolo,  di  una  grande  poesia!  La  madre,  rimasta  priva  del  marito  vilmente  am-  mazzato da  uno  sconosciuto,  ha  sempre  fisso  il  pensiero  in  quel  caso  d'orrore.  Chi,  e  perchè,  gliel'ha  ucciso?  Nessuno  era  presente;  ma  l'ucciso aveva  con  sé  la  sua  cavalla  prediletta,  una  cavallina  storna,  che  riportò  verso  casa  il  corpo  sanguinante  del  suo   padrone.  Quella   cavallina è  sempre  là,  nella  scuderia:  ha  visto,  sa,  un  mi-  racolo potrebbe  farla  parlare.  E  la  donna,  con  quel  pensiero  in  capo  e  con  quegli  atti  quasi  da  folle  che  accompagnano  il  dolore,  va  a  notte  silente  nella  scuderia,  e  si  pone  accanto  alla  ca-  vallina, e  le  parla  e  piange  e  supplica:  e  vuole  aiutarla  a  significare  ciò  che  sa.  Pronuncia  un  nome,  il  nome  che  ella  sospetta:  lo  pronuncia  solennemente:  «alzò  nel  gran  silenzio  un  dito:...  disse  un  nome...  ».  Ed  ecco  s'ode  subito,  alto,  un  nitrito  di  conferma!  —  La  poesia  si  trascina  non  senza  fastidio  con  la  solita  descrizione  iniziale,  con  l'allocuzione  verbosa  della  madre,  ripartita  in  quattro  parti  e  pause.  Ma  l'ansia  della  povera  dolente  è  resa  con  tratti  di  grande  efficacia.  Sotto  quell'ansia,  sotto  quell'implorante  confidenza,  la  cavallina  si  umanizza,  diventa  una  persona  di  casa,  cara  tra  i  suoi  cari,  partecipe  della  comune  sventura:   la  scarna  lunga  testa  era  daccanto  al  dolce  viso  di  mia  madre  in  pianto:   quadro  d'infinita  commozione.  E  la  donna  incalza  nella  sua  preghiera,  presa  dalla  brama  furiosa  di  sapere,  di  veder  chiaro:   stava  attenta  la  lunga  testa  fiera...   Essa  l'abbraccia  come  si   fa  a  un   figliuolo  nel  '-momento  che  è  stato  vinto  dalla  parola  affettuosa e  sta  per  confessarsi:   mia  madre  l'abbracciò  sulla  criniera. La  madre  muore  anch'essa,  e  la  voce  della  morta  il  Pascoli  la  risente  come  di  chi  chiami  il  suo  nome,  il  suo  nome  nel  diminutivo  fami-  liare e  dialettale,  per  parlargli  di  cose  ed  affetti  domestici.  Non  è  difficile  intendere  che  quel  di-  minutivo familiare  e  dialettale  non  può  essere  ripetuto,  nell'alta  commozione  lirica,  cosi  come  par  di  sentirlo  nella  realtà.  Perchè  ciò  che  deve  entrare  nella  lirica  è  il  valore  sentimentale  di  quell'invocazione,  il  suo  accento  intimo  e  familiare, che  la  riproduzione  fonica  delle  sillabe  contraffa  e  non  rende.  Il  Pascoli  ha  un  inizio  spontaneo,  commosso  e  vivo:  ~   C'è  una  voce  nella  mia  vita,  che  avverto  nel  punto  che  muore:   voce  stanca,  voce  smarrita,  col  tremito  del  batticuore:   voce  d'una  accorsa  anelante,  che  al  povero  petto  s'afferra   per  dir  tante  cose  e  poi  tante,  ma  piena  ha  la  bocca  di  terra.   È  questa  veramente  l'immagine  della  madre  nel  suo  gesto  d'abbandono  al  petto  fidato  del  Aglio,  per  isfogare  ciò  che  le  preme  sul  cuore:  della  madre,  così  come  riappare  attraverso  la  morte  e  il  cimitero,  deturpata  dalla  morte,  bagnata  di  pianto.  Ma  il  Pascoli  riattacca:   tante  tante  cose  che  vuole  ch'io  sappia,  ricordi,  sì...  sì...   Ma  di  tante  e  tante  parole  non  sento  che  un  soffio...  Zvani...  (l).    (*)  «  Giovannino  > ,  in  dialetto  romagnolo.  E  codesta  è  una  profanazione,  che  non  accrescerò  col  mio  comento:  come  l'accresce  per  suo  conto  l'autore,  che  aggiunge  altre  sei  parti,  della  me-  desima lunghezza  della  prima  che  ho  trascritta,  e  tutte  sei  finiscono  con  quel  nome,  con  quel  Zvani.  Il  soffio  della  voce  della  morta  si  è  vol-  garizzato in  un  ritornello!  Pure,  il  ritornello,  così  malamente  scelto,  non  soffoca  del  tutto  il  suono  di  quella  voce  di  morta:   voce  stanca,  voce  smarrita,  col  tremito  del  batticuore...   Ai  suoi  morti  è  dedicato  ancora  TI  giorno  (\,p,i  morti,  cosi  pesantemente  sceneggiato  e  dram-  matizzato, in  cui  ciascuno  dei  morti  parla  a  sua  volta  compiangendo  e  lodando  sé  stesso.  Vi  sono  accenti  commossi:  il  padre,  ammazzato  a  tradimento, dice:   0  figli,  figli!  vi  vedessi  io  mai!  io  vorrei  dirvi,  che  in  quel  solo  istante  per  un'intera  eternità  v'amai.   Ma,  pronunziate  appena  quelle  parole,  par  che  ne  resti  come  affascinato,  e  le  volta  e  rivolta  in  varia  forma:   In  quel  minuto  avanti  che  morissi  portai  la  mano  al  capo  sanguinante,  e  tutti,  o  figli  miei,  vi  benedissi.   Io  gettai  un  grido  in  quel  minuto,  e  poi,  mi  pianse  il  cuore:  come  pianse  e  pianse  e  quel  grido  e  quel  pianto  era  per  voi.   Oh  le  parole  mute  ed  infinite  che  dissi!  con  qual  mai  strappo  si  franse  la  vita  viva  delle  vostre  vite... affinando,  dunque,  quel  grido  perfino  in  un  bistic-  cio e,  in  un'allitterazione.   Il  ciocco  è  un'altra  delle  ispirazioni  profonde  del  Pascoli,  che  pur  lascia  mal  soddisfatti,  guar-  dando alla  composizione  e  al  complesso  della  poe-  sia. La  prima  parte  è  stata  biasimata  pei  tanti  oscuri  vocaboli  del  contado  lucchese  che  l'autore  vi  ha  introdotti,  e  che  hanno  resa  necessaria  nelle  nuove  edizioni  l'aggiunta  di  un  glossarietto.  Ma  non  sarebbe  poi  gran  male  se  fossimo  costretti  a  studiare  qualche  centinaio  di  vocaboli  per  giuri  gere  all'intendimento  di  un'opera  bella.  Coraggio,  pigri  lettori!  ben  altre  fatiche  di  preparazioni  godimenti  artistici  sogliono  richiedere.  Senonchè  quella  taccia,  come  accade,  ne  nasconde  un'altra,  che  è  la  vera,  concernente  rejccesaiva_preoccu-  pazione  dell'autore  per  inezie  di  costumi  e  di  relati vj_ej^rjssioni,  inconciliabile  col  motivo  fonda-  mentale, della,  poesia,  che  si  svolge  nella  seconda  parte,  in  cui  l'anima  si  eleva  nella  contempla-  zione del  cielo  stellato.  E  anche  questa  seconda  parte,  che  ha  tratti  assai  felici,  offende  per  le  immagini  incongrue  o  troppo  dilatate,  e  per  le  ripetizioni  stucchevoli.  Così  gli  astri,  che  girano  pel  cielo,  suggeriscono  al  Pascoli  un  sottile  pa-  ragone con  le  zanzare  e  coi  moscerini,  che  girano  intorno  a  una  lanterna  accesa,  penzolante  dalla  mano  di  un  bambino  che  ha  perduto  una  mone-  tina in  una  landa  immensa  e  la  va  cercando  e  singhiozza  nel  buio.  Al  supremo  momento  lirico  si  giunge,  quando  alla  mente  del  contemplatore  si  affaccia  il  pensiero  della  morte  avvenire  delle    le,     cose  tutte,  la  fine  dell'uni  verso;  e  nel  suo  cuore  sorge  una  deserta  angoscia  pel  morire  non  già  dell'individuo,  ma  della  vita  stessa:  per  l'individuo che  muore  senza  che  altri  faccia  splendere  accanto  a  lui,  riaccesa,  la  fiaccola  della  vita:   Anima  nostra!  fanciulletto  mesto!  nostro  buono  malato  fanciulletto,  che  non  t'addormi  s'altri  non  è  desto  !  '   felice,  se  vicina  al  bianco  letto  s'indugia  la  tua  madre  che  conduce  la  tua  manina  dalla  fronte  al  petto  :   contenta  almeno,  se  per  te  traluce  l'uscio  da  canto,  e  tu  senti  il  respiro  uguale  della  madre  tua  che  cuce...   Il  sentimento  di  questa  inquietezza  e  di  questo  quietarsi  puerile  è  compiutamente  espresso.  Che  si  possa  continuare  ancora,  indefinitamente,  nell'enumerazione o  nella  gradazione  ascendente  e  discendente  di  tutti  i  segni  di  vita  che  valgono  a  rasserenare  un  fanciullo  nella  sua  paura  della  solitudine  e  a  farlo  addormentare  tranquillo,  nessuno dubita:  ma  la  lirica  non  è  enumerazione.  Il  Pascoli  non  sembra  di  questo  parere,  e  pro-  segue:   il  respiro  o  il  sospiro  :  anche  il  sospiro  :  o  almeno  che  tu  oda  uno  in  faccende  per  casa,  o  almeno  per  le  strade  a  giro  ;   o  veda  almeno  un  lume  che  s'accende  da  lungi  e  senta  un  suono  di  campane,  che  lento  ascende  e  che  dal  cielo  pende...   Si  fermerà  a  quest'ultimo  verso,  del  quale  evi-  dentemente, cantandolo,  si  è  compiaciuto?  Tacera  contento  di  quest'ultima  dolcezza  che  lo  sazia?  Non  ancora:  ha  ripreso  il  \&*  fettazione,  sono  caso  assai  frequente;  e  rari  sono  invece  coloro  la  cui  opera  complessiva  si  pre-  senta con  carattere  di  perfezione  e  di  sceltezza,-*/**  perchè  hanno  lavorato  solo  nei  momenti  di  piena interna  armonia,  o  hanno  esercitato  tale  vigi-  lanza sopra  sé  stessi  da  tener  celate  o  da  sopprimere le  cose  loro  imperfette.  I  più  affidano  la  cernita  al  tempo  galantuomo  e  alla  critica.   E  la  critica  suggerisce  a  questo  propositojiue  procedimenti,  che  più  volte  i  lettori  mi  hanno  visto  adoperare  in  queste  pagine.  Il  primo  è  di  tentare  una  divisione  nel  tempo,  e  il  secondo  di  tentarla  (per  cosi  esprimermi)  nello  spazio.  Vi  sono,  infatti,  artisti  che  da  una  torbida  e  divagante produzione  giovanile  giungono,  nella  maturità, al  possesso  di  sé  medesimi;  o  che  a  una  produzione  geniale  fanno  seguire  l'imitazione  di  sé  medesimi,  e,  volendo,  validius  inflare  sese,  come  la  rana  di  Fedro,  rupto  iacent  corpore;  e,  in  tali  casi,  si  possono  distinguere,  con  limiti  cronologici,  le  loro  varie  personalità.  Ma  ve  ne  ha  altri  i  quali,  durante  tutta  la  lor  vita,  alter-  nano le  varie  personalità,  e,  per  esempio,  nel  periodo  stesso  che  cantano  commosse  poesie  d'amore,  ne  compongono  altre  falsamente  eroi-  che e  politiche.  Essi  posseggono  due  strumenti,  l'uno  sinfono  e  l'altro  asinfono,  per  dirlo  nobilmente in  greco,  o  l'uno  accordato  e  l'altro  scordato, per  dirlo  umilmente  in  volgare,  e  suonano  ora  sull'uno  ora  sull'altro;  e,  forse,  di  quello  scordato,  su  cui  si  travagliano  e  sudano,  si  vantano assai  più  che  non  di  quello  accordato  e  docile  alle  loro  dita.  Per  costoro  la  divisione  si  deve  condurre  secondo  i  motivi  d'arte,  gli  spontanei e  gli  artificiosi,  che  muovono  la  loro  pro-  duzione.  Al  Pascoli  si  è  cercato  di  applicare  ora  l'uno  ora  l'altro  procedimento;  e,  per  cominciare  dal  primo,  si  è  detto,  e  si  è  scritto  anche,  che  chi  voglia  avere  innanzi  a  sé  il  Pascoli  vero,  il  Pa-  scoli poeta,  deve  lasciare  in  disparte  la  sua  produzione degli  ultimi  anni,  e  risalire  a  quella  più  vecchia,  ai  Poemetti,  alle  Myricae,  quali  comparvero in  pubblico  nel  modesto  volumino  del  1892.  E  poiché,  si  sa,  le  opinioni  variano,  si  è  anche  manifestato  il  parere  inverso,  che  il  Pa-  scoli vero  non  bisogni  cercarlo  nelle  poesie  giovanili, ma  nelle  ispirazioni  della  piena  maturità,  culminanti  nei  Poemi  conviviali  e  negli  Inni.   Ed  io  mi  provo  a  seguire  l'una  e  l'altra  indicazione; e,  dapprima,  risalgo  ai  Poemetti  e  alle  Myricae.  Rileggo  la  Senignja,  che  è  tra  i  più  pregiati  e  pregevoli  dei  poemetti:  prima  parte  di  un  «poema  georgico  »,  come  è  stato  chiamato.  Accostarsi  a  quei  versi  e  respirare  l'aria  della  campagna,  aspirarne  gli  effluvi,  vedere  il  casolare, i  campi,  le  opere  domestiche  e  rurali  dei  contadini,  udirne  i  discorsi  infiorati  di  proverbi  e  di  sentenze,  sentire  dappertutto  il  profumo  agreste  delle  cose  e  delle  anime;  è  un'impressione immediata.  Il  poemetto  s'inizia  con  un  risveglio mattinale  in  una  casa  di  contadini:  una  delle  fanciulle  apre  l'imposta,  i  rumori  della  vita  ricominciano  e  vi  sono  orecchi  che  li  raccolgono:  la  cappellaccia  manda  dal  cielo  il  suo  garrito,  la  gallina  raspa  sul  ciglio  di  un  fosso,  il  cane  di  guardia  s'alza,  scuote  la  brina  scodinzolando,  con  uno  sbadiglio:  si  odono  per  la  campagna  i  pennati  che  squillano  sul  raarrello.  La  fanciulla  si  accosta  al  davanzale,  monda  le  piante,  coglie  una  spiga  d'amorino;  e  poi,  a  quel  davanzale  stesso,  co-  mincia a  ravviarsi  i  capelli,  come  contadina,  alla  grande  aria,  in  faccia  al  sole:   or  luce  or  ombra  si  sentia  sul  viso;  che  il  sol  montando  per  il  cielo  a  scale,  appariva  e  spariva  all'improvviso.   Così  è  descritta  l'intera  giornata.  Il  fruscio  stridulo delle  granate  passa  e  ripassa  per  la  casa,  che  ha  ormai  tutte  le  imposte  spalancate:  si  ri-  governa la  cucina,  dove  le  stoviglie  paiono  rissare tra  loro  nel  silenzio  del  mattino.  Più  tardi,  si  apparecchia  il  desinare  per  gli  uomini  che  lavorano  nei  campi:   sul  tagiier  pulito  lo  staccio  balzellò  rumoreggiando.   Il  bianco  fiore  ella  ammucchiò  :  col  dito  aperse  il  mucchio,  e  vi  gettava  il  sale  e  tiepid'acqua  dal  paiolo  avito.   Poi  ch'ebbe  intriso,  rimenò  l'uguale  pasta  e  poi  la  parti:  staccò  dal  muro  il  matterello,  strinse  il  grembiale;   e  le  spianate  assottigliò  col  duro  legno,  rotondo,  a  una  a  una;  e  presto  sì  le  portava  al  focolare  oscuro.   Via  via  la  madre  le  ponea  nel  testo,  sopra  gli  accesi  tutoli;  e  su  quello  le  rigirava  con  un  lento  gesto  :   né  cessava  il  rullìo  del  matterello.   Tutti  i  gesti,  tutti  gli  oggetti,  tutte  le  colloca-  zioni spaziali,  sono  individuati  con  nitidezza  non  facilmente  superabile.  —  E  si  assiste  così  anche  alla  cottura  degli  erbaggi  all'olio:   Ora  la  madre  ne  la  teglia  un  muto  rivolo  d'olio  infuse,  e  di  vivace  aglio  uno  spicchio  vi  tritò  minuto.   Pose  la  teglia  su  l'ardente  brace,  col  facile  olio,  e  solo  intenta  ad  esso  un  poco  d'ora  l'esplorò  sagace.   L'olio  cantò  con  murmure  sommesso;  un  acre  odore  vaporò  per  tutto.  Fumavano  le  calde  erbe  da  presso,   nel  tondo,  ch'ella  inebriò  del  flutto  stridulo,  aulente;  e  poi  nel  canovaccio  nitido  e  grosso  avviluppava  il  tutto.   E  Rosa  in  tanto  sospendea  lo  staccio,  poneva  i  pani  sopra  un  bianco  lino,  stringea  le  cocche,  e  v'infilava  il  braccio.   Tornò  Viola  e  furono  in  cammino.   La  scena  ci  sta  innanzi  agli  occhi  come  in  un  quadro:  è  larverà  vita  campestre.  Sì:  ma  e  l'in-  tonazione, cioè  il  significato  estetico,  cioè  l'anima,  di  queste  descrizioni  e  dell'intero  poemetto?  Il  Pascoli  non  compone  egloghe  più  o  meno  alle-  goriche, come  nel  medioevo  e  nel  Rinascimento;  non  vuol  rinfrescare  le  sensazioni  erotiche  im-  mergendole nella  vita  della  campagna;  non  si  accosta  ai  contadini  per  curiosarne  le  goffaggini,  come  nelle  nostre  vecchie  poesie  rusticane,  dalla  Nencia  del  magnifico  Lorenzo  giù  giù  fino  ai  Cecchi  da  Varlungo  degli  epigoni  e  tardi  imita-  tori del  Seicento.  Se  non  m'inganno,  il  suo  pre-  cedente ideale  è  piuttosto  in  quel  rifacimento  dell'intonazione  omerica,  che  già  gli  studiosi  di  Omero  nella  Germania  della  fine  del  secolo  de-  cimottavo  tentarono,  e  che  consigliò  a  Volfango  Goethe  lo  Hermann  und  Dorothee.  L'intonazione  omerica  si  sente  non  solo  in  certi  collocamenti  di  epiteti  (il  primo  verso  dice:  «Allorché  Rosa  dalle  bianche  braccia»:  leucolena,  dunque,  come  Hera),  e  in  certe  ripetizioni  e  minuterie,  ma  in  tutto  l'andamento.  Il  metro  non  è  l'esametro,  ma  la  terzina,  col  serrarsi  deciso  dell'ultimo  verso  di  coda,  alla  fine  delle  brevi  riprese:  /    t.   A  monte  a  mare  ella  guardò  :  guardato  ch'ebbe,  ella  disse  (udiva  sui  marrelli  a  quando  a  quando  battere  il  pennato)  :   aria  a  scalelli,  acqua  a  pozzatelli.    Domani  voglio  il  mio  marrello  in  mano:  che  chi  con  l'acqua  semina,  raccoglie  poi  col  paniere;  e  cuoce  fare  in  vano   più  che  non  fare.  Incalciniamo,  o  moglie.   L'intonazione  omerica,  trasportata  alla  vita  umile  e  alle  umili  cose,  ha  del  gioco  letterario;  come  si  può  notare  finanche  nella  meravigliosa  ope-  ricciuola  del  Goethe.  Ma  presso  il  Pascoli  vi  si  mescola  altresì  qualcosa  ora  di  fine  e  squisito:   (l'aratro  andava,  ne  l'ombrìa,  pian  piano:  qualche  stella  vedea  l'opera  lenta...   una  campana  si  sentiva  sonare  dal  paese:  non  più  che  un'ombra  pallida  e  lontana);   e  ora  di  affettato,  come  nel  racconto  che  il  cac-  ciatore fa  della  fiaba  della  cinciallegra,  soldato di  guardia  degli  uccelli;  o  nella  preghiera  del-  l'Angelus:   Tu  che  nascesti  Dio  dal  piccolo  Ave,  da  la  sorrisa  paroletta  alata:  (disse  la  voce  tremolando  grave)   tu  che  ne  l'aia  bianca  e  soleggiata  eri  e  non  eri,  seme  che  vi  avesse  sperso  il  villano  da  la  corba  alzata;   ma  poi  l'uomo  ti  vide  e  ti  soppresse,  t'uccise  l'uomo,  o  piccoletto  grano;  tu  facesti  la  spiga  e  poi  la  messe   e  poi  la  vita...   o  in  quest'altro  suono  di  campane:   Era  nel  cielo  un  pallido  tinnito:  Dondola  dondola  dondola/  A  nanna  a  nanna  a  nanna!  —  Il  giorno  era  finito.   Ed  il  fuoco  accendeva  ogni  capanna,  e  i  bimbi  sazi  ricevea  la  cuna,  col  sussurrare  de  la  ninna  nanna.   E  le  campane,  A  nanna  a  nanna!  l'una;  l'altra  Dondola  dondola!  tra  il  volo  de'  pipistrelli  per  la  costa  bruna.   A  nanna  il  bimbo,  e  dondoli  il  paiuolo  !   Il  poemetto  parrebbe  legato  da  un  filo  sottile,  una  storia  d'amore:  Rosa  ed  Enrico  il  cacciatore  s'innamorano.  Un  amore  che  prova  pudore  a  mostrarsi:  appena  accennato  nel  pensiero  di  Rosa,  che  non  può  pigliar  sonno  e,  quando  s'addormenta, sogna:   Pensava:  i  licci  de  la  tela,  il  grano  de  la  sementa,  il  cacciatore;  e  Rosa  lo  ricercava;  dove  mai?  lontano.   In  una  reggia.  E  risognò...  Che  cosa?  Similmente,  nella  seconda  parte  intitolata  l'Ac-  cestire, è  significato  l'amore  del  giovinotto:   E  la  sua  strada  seguitò  pian  piano,  e  ripensava  dentro  sé:  che  cosa?  ch'era  gennaio...  ch'accestiva  il  grano,   ch'era  già  tardi...  ch'eri  bella,  o  Rosa!   È  un  episodio  nel  quadro;  ma,  come  si  è  notato,  non  è  l'afflato  animatore  del  tutto.  Cosi  anche  questo  poemetto  ci  lascia  perplessi:  è  nitidissimo  alla  prima  specie,  e  tuttavia  non  lo  comprendiamo bene.  Ora  ha  dell'esercitazione  letteraria,  ora  della  lirica  tormentata:  il  tono  ora  ci  sembra  quasi  scherzoso,  esagerato  di  proposito  nelle  mi-  nuzie come  a  prova  di  bravura,  ora  grave  e  so-  lenne. È  di  un  poeta?  è  di  un  virtuoso?  Dove  finisce  il  poeta?  dove  comincia  il  virtuoso?   Se  dalla  Sementa  risalgo  ancora  più  su,  alle  prime  Myricae,  trovo,  tra  l'altro,  un  intero  ciclo  di  piccoli  componimenti  di  dieci  versi  ciascuno:  L'ultima  passeggiata,  che  si  può  dire  la  prima  idea  del  poemetto  ora  esaminato.  La  figura  di  fanciulla,  che  vi  è  accennata,  «  la  reginella  dalle  bianche  braccia  » ,  è  una  sorella  di  Rosa,  anzi  è  Rosa  medesima.  Sono  quadretti  minuscoli:  l'ara-  tura, la  massaia  con  le  sue  galline,  la  via  ferrata e  il  telegrafo  che  percorrono  le  campagne  recando  l'impressione  della  rumorosa  vita  lontana, le  comari  che  ciarlano  in  capannello,  l'osteria campestre  sull'ora  del  mezzodì,  il  partir  delle  rondini,  l'apparecchio  e  cottura  del  pane  di  cru-  schello, la  ragazza  che  aiuta  la  madre  nelle  faccende  domestiche  e  fa  da  piccola  madre  ai  mi-  nori fratelli  e  tiene  le  chiavi  del  cassone  della  biancheria  odorata  di  lavanda,  e  vede  accumu-  larsi colà  dentro  il  corredo  che  fa  presentire  prossime  le  nozze.  E  sono  quadretti  perfettamente  intonati:  non  v'ha  niente  di  ciò  che  stride  o  appare  incerto  nei  poemetti.  Arano:   Nel  campo  dove  roggio  sul  filare  qualche  pampano  brilla,  e  dalle  fratte  sembra  la  nebbia  mattinai  fumare,   arano  :  a  lente  grida,  uno  le  lente  vacche  spinge,  altri  semina:  un  ribatte  le  porche  con  sua  marra  paziente:   che  il  passero  saputo  in  cor  già  gode  e  il  tutto  spia  dai  rami  irti  del  moro  ;  e  il  pettirosso:  nelle  siepi  s'ode   il  suo  sottil  tintinno  come  d'oro.   Le  comari  in  capannello:   Cigola  il  lungo  e  tremulo  cancello  e  la  via  sbarra:  ritte  allo  steccato  cianciano  le  comari  in  capannello  :   parlan  d'uno,  eh' è  un  altro  scrivo /scrivo,  del  vin,  che  costa  un  occhio,  e  ce  n'è  stato;  del  governo;  di  questo  mal  cattivo;   del  piccino;  del  grande  ch'è  sui  venti;  del  maiale,  che  mangia  e  non  ingrassa  —  Nero  avanti  a  quegli  occhi  indifferenti   il  traino  con  fragore  di  tuon  passa.   Di  poesie  come  queste  sono  ricche  le  prime  My-  ricae,  e  ce  n'e  anche  nella  serie  di  quelle  altre  che  ne  continuano  la  maniera,  aggiunte  nelle  posteriori  edizioni.  Un'impressione  di  campagna,  mentre  soffia  il  vento  freddo  e  agita  un  piccolo bucato  di  bimbo,  messo  ad  asciugare  presso  un  tugurio:   Come  tetra  la  sizza,  che  combatte  gli  alberi  brulli  e  fa  schioccar  le  rame  secche,  e  sottile  fischia  tra  le  fratte!   Sur  una  fratta  (o  forse  è  un  biancor  d'ale?)  un  corredino  ride  in  quel  marame:  fascie,  bavagli,  un  piccolo  guanciale.   Ad  ogni  soffio  del  rovaio  che  romba,  le  fascie  si  disvincolano  lente,  e  da  un  tugurio  triste  come  tomba   giunge  una  dolce  nenia  paziente.   Una  fanciulla  cuce  il  suo  abito  di  sposa;  a  un  tratto  leva  la  testa  e  ride:   Erano  in  fiore  i  lilla  e  l'ulivelle;   ella  cuciva  l'abito  di  sposa  ;  né  l'aria  ancora  apria  bocci  di  stelle,   né  s'era  chiusa  foglia  di  mimosa:  quand'ella  rise:  rise,  o  rondinelle   nere,  improvvisa:  ma  con  chi?  di  cosa?  rise  così  con  gli  angioli:  con  quelle   nuvole  d'oro,  nuvole  di  rosa.   In  queste  poesiole,  nemmeno  le  onomatopee  di  voci  d'uccelli  e  di  altri  suoni  e  rumori  offendono j3iù.  Perchè,  a  mio  parere,  hanno  avuto  torto  i  critici  quando  per  quelle  onomatopee  hanno  aperto  contro  il  Pascoli  uno  speciale  processo: le  cosiddette  onomatopee  sono  legittime  o  illegittime  secondo  i  casi;  e  quando  il  Pascoli  le  adopera  fuori  luogo  (ed^èu-JL-dir  vero,  il  caso  pijij[requen.te),  l'error  suo  è  una  delle  tante  forme  di  quella  tendenza  all'insistere  eccessivo,  alla  minuteria,  alla  riproduzione  materiale,  ossia  di quell'affettazione  e  disposizione  asinfonica  che  è  in  lui.  Ma  quando,  nelle  prime  Myricae,  scrive  per  la  prima  volta  l'ormai  famigerato  scilp  dei  passeri  e  viti  videvitt  delle  rondini,  io  non  trovo  luogo  a  scandalo,  perchè  in  quel  caso  il  Pascoli  mantiene  un'intonazione  bassa  e  pacata;  nota  l'impressione  immediata  della  cosa,  e  aggiunge  un'osservazione  quasi  riflessiva:   Scilp:  i  passeri  neri  sullo  spalto  corrono  molleggiando.  Il  terren  sollo  rade  la  rondine  e  vanisce  in  alto:   vitt,  videvitt.  Per  gli  uni  il  casolare,  l'aia,  il  pagliaio  con  l'aereo  stollo;  ma  per  l'altra  il  suo  cielo  ed  il  suo  mare.   Questa,  se  gli  olmi  ingiallano  la  frasca,  cerca  i  palmizi  di  Gerusalemme:  quelli  allor  che  la  foglia  ultima  casca,   restano  ad  aspettar  le  prime  gemme.   E  non  può  scandalizzare  il  rosignolo,  che  ripete  l'aristofaneo  nò  xió,  topoid  XiX(£;  o  bisogna  aver  dimenticato  che  la  poesiola  del  Pascoli,  da  cui  è  tolto  il  particolare  tante  volte  citato  come  esempio  di  stravaganza,  è  un  apologo  scherzoso  :  il  rosignolo  è  allegoria  del  poeta,  le  ranocchie  del  grosso  pubblico.  Comincia,  infatti,  cosi:   Dava  moglie  la  Rana  al  suo  figliuolo.  Or  con  la  pace  vostra,  o  raganelle,  il  suon  lo  chiese  ad  un  cantor  del  brolo...   In  tale  apologo,  in  siffatta  intonazione,  la  cercata  reminiscenza  aristofanesca  sta  perfettamente  a  posto  e  conferisce  grazia.   Il  risultato  medesimo  si  ha  ove  si  confrontino altri   poemetti,  quelli   di   contenuto   filosofico  e  morale,  con  le  Myricae  di  simile  contenuto.  Il  Libro  vuol  far  sentire  l'ansiosa  e  vana  ricerca  del  vero,  che  l'uomo  persegue:  un  libro  (l'im-  magine deve  essere  stata  attinta  a  un  noto  luogo  del  Wilhelm  Meister,  circa  i  drammi  dello  Sha-  kespeare), un  libro,  aperto  sul  leggio  nell'altana,  e  le  cui  pagine  sono  rimescolate  dal  vento,  sug-  gerisce la  presenza  di  un   uomo   invisibile  che  frughi  e  frughi  e  non  trovi  la  parola  che  cerca.  "  Ma  l'impressione  solenne,  che  si  vorrebbeotte-  •  nere^è  impedita  dalla  realtà  determinata  di  quel  libro,  sul  leggìo  dfquercia,  roso  dal  tarlo,  di  quel  rumore  di  fogli  voltati  a  venti  a  trenta  a  cento,  con  mano  impaziente,  «  avanti  indietro,  indietro  avanti  »;  e  dalla  freddezza  allegorica  onde  il  volume così  determinato  si  trasfigura,  in  fine,  nel  «libro  del  mistero  »,  sfogliato  «sotto  le  stelle».  Nei  Due  fanciulli,  malamente  si  lega  alla  sce-  netta dei  due  fanciulli,  che  litigano  e  si  graffiano  e  che  la  madre  manda  a  letto,  ed  essi  nel  buio  si  cercano  e  si  rappaciano  e  dormono  abbrac-  ciati,  l'ultima    parte,   che   dà    l'interpetrazione  allegorica  della  scenetta   ed   esorta   gli   uomini  alla  concordia:  il  quadretto  idillico  impiccolisce  l'ammonizione    solenne,   questa   appesantisce   il  quadretto.  Ma  i  versi  gnomici  delle  Myricae  sono,  nella  loro  tenuità,  incensurabili.  Li  ravviva,  an-  che nella  loro  tristezza,  un  lieve  sorriso.  Il  cane:   Noi,  mentre  il  mondo  va  per  la  sua  strada,  noi  ci  rodiamo,  e  in  cuor  doppio  è  l'affanno,  sì,  che  pur  vada,  e  si,  che  lento  vada. Tal,  quando  passa  il  grave  carro  avanti  del  casolare,  che  il  rozzon  normanno  stampa  il  suplo  con  zoccoli  sonanti,   sbuca  il  can  dalla  fratta,  come  il  vento;   10  precorre,  l' insegue;  uggiola,  abbaia.   11  carro  è  dilungato  lento  lento,   e  il  cane  torna  sternutando  all'aia.   Parrebbe  dunque  che  dicano  bene  coloro  che  soltanto  nel  Pascoli  delle  prime  Myricae  ritro-  vano un  poeta  armonico  e  compiuto.  Ma  si  os-  servi: che  cosa  sono  quelle  poesie?  Sono  pensieri  sparsi,  schizzi,  bozzettini:  un  albo  di  pittore,  che  può  essere  di  molto  pregio,  ma  che  rappresenta,  piuttosto  che  l'opera  d'arte,  gli  elementi  di  essa.  Le  Myricae  sembrano  spesso  pochi  tratti  segnati  a  lapis  da  un  pittore  che  vada  in  giro  per  la  campagna  :   Lungo  la  strada  vedi  sulla  siepe  ridere  a  mazzi  le  vermiglie  bacche:  nei  campi  arati  tornano  al  presepe   tarde  le  vacche.  Vien  per  la  strada  un  povero  che  il  lento  passo  tra  foglie  stridule  trascina:  nei  campi  intona  una  fanciulla  al  vento:  —  Fiore  di  spina!...   E  lo  schizzo  ha  la  sua  attrattiva,  ed  anche  la  sua  compiutezza:  quasi  una  compiutezza  dell'in-  compiutezza. Sono  anch'io  dell'avviso  che  nelle  prime  Myricae  soltanto  il  Pascoli  abbia  la  calma  dell'artista.  Ma  bisogna  essere  pienamente  con-  sapevoli di  ciò  che  così  si  afferma,  e  che  è,  né  più  né  meno,  questo:  che  il  meglio  dell'arte  del  Pascoli  è  nella  sua  riduzione  a  frammenti,  nel suo  sciogliersi  negli  elementi  costitutivi.  Di  frammenti stupendi  sono  conteste  anche  le  poesie  che  abbiamo  ricordate  e  criticate  come  deficienti  di  fusione  e  di  armonia:  solo  che  nel  contesto  artificioso perdono  la  loro  naturale  virtù.   E  già  nelle  prime  Myricae  l'arte  del  Pascoli,  non  appena  tenta  maggiori  voli,  scopre  il  suo  solito  difetto.  In  alcune  saffiche,  ma  specialmente  poi  nei  sonetti,  egli  è  ancora  sotto  il  freno  e  la  disciplina  del  suo  grande  maestro  Carducci,  sicché, tolta  la  costrizione  di  quel  modello,  non  ha  scritto  più  sonetti.  Ha  continuato  invece  le  odicine  tra  l'agreste  e  l'oraziano,  tra  la  campagna  e  la  letteratura,  che  formarono  il  ciclo  Alberi  e  fiori,  al  quale  alcune  nuove  sono  state  aggiunte  fin  nell'ultimo  volume  di  Odi  e  inni.  In  qualche  altro  breve  componimento,  c'è  un'ispirazione  er.ojifa:  come  nel  Crepuscolo,  in  cui  egli  celebra  il  doppio  momento  del  giorno,  l'alba  e  il  tramonto, quando  la  bella  si  snoda  dalle  sue  braccia  «e  con  man  vela  le  ridenti  ciglia»,  o  l'accoglie  nelle  braccia,  «  e  il  dolce  nido  come  suol  pispi-  glia ».  La  «  reginella  dalle  bianche  braccia  »  non  è  guardata  con  occhio  indifferente,  come  la  Rosa  degli  anni  più  tardi.  C'è  nei  versi  a  lei  dedicati,  in  mezzo  alle  reminiscenze  dell'omerica  Nau-  sicaa,  un  calor  di  sentimento,  che  fa  di  quelle  tre  poesiole  alcune  delle  migliori  pagine  delle  Myricae.   Felici  i  vecchi  tuoi;  felici  ancora  i  tuoi  fratelli  ;  e  più,  quando  a  te  piaccia,  chi  sua  ti  porti  nella  sua  dimora,   o  reginella  dalle  bianche  braccia! Il  poeta  si  raffigura  non  senza   trepidazione  le  prossime  nozze:   Quella  sera  i  tuoi  vecchi...   quella  notte  i  tuoi  vecchi  un  dolor  pio   soffocheranno  contro  le  lenzuola.   Per  un  momento    sogna    di   esser   lui  lo  sposo  felice:   Al  camino,  ove  scoppia  la  mortella  tra  la  stipa,  o  ch'io  sogno  o  veglio  teco:  mangio  teco  radicchio  e  pimpinella.   Al  soffiar  delle  raffiche  sonanti  l'aulente  fieno  sul  forcon  m'arreco  e  visito  i  miei  dolci  ruminanti:   poi  salgo  e  teco  —  o  vano  sogno!...   Vano  sogno:  lo  scolaro  è  costretto  a  tornare  al  suo  latino  e  al  suo  calepino.   Ma  io  sento  in  questa  lirica  amorosa  l'eco  dell'Idillio  maremmano  del  Carducci,  e  più  ancora della  poesia  di  Severino  Ferrari;  la  quale  giustamente  è  stata  più  volte  ricordata  negli  ultimi  anni,  a  proposito  del  Pascoli  (1).  A  ogni    (l)  Sul  Ferrari,  si  veda  il  volume  secondo  della  Lettera-  tura della  nuova  Italia,  pp.  280-9.  Lo  stato  d'animo  dei  due  poeti  (le  prime  Myricae  e  la  prima  ampia  raccolta  dei  Versi  del  Fer-  rari furono  pubblicate  entrambe  nel  1892)  era,  per  molti  rispetti ed  anche  per  molte  circostanze  estrinseche,  simile.  Gli  autori  infatti  si  dimostrano  scolari  del  Carducci  nella  predi-  lezione per  le  forme  della  poesia  trecentesca  e  popolare,  in  certe  movenze  di  stile,  in  quel  piglio  robusto  e  semplice  in-  sieme, che  fece  già  lodare  la  poesia  carducciana  come  la  più  «  parlata  >  di  tutte  le  nostre.  Erano,  inoltre,  quasi  compaesani,  con  le  medesime  fonti  materiali  d'ispirazione:  i  paesaggi,  i  costumi,  le  consuetudini  di  vita,  cui  alludono  nei  loro  versi,  sono  gli  stessi   nel   poeta    di   San   Pietro  a  Capofiume  e  in   modo,  il  Pascoli  non  ha  più  ripreso^  codesti  motivi: anzi,  dalle'posteriori  edizioni  delle  Myricae  la  lirica  «  Crepuscolo  »  è  stata_espunta.  Ed  egual-  mente ne  è  stato  espunto  un  sonetto,  in  cui  il  poeta  prendeva  atteggiamento  e  nome  di  ribelle  di  fronte  a  un  principe;  come  non  ha  mai  rac-  colto i  versi  rivoluzionari,  pei  quali  era  noto  tra  i  suoi  condiscepoli  di  Bologna  e  dei  quali  conosco  alcuni,  che  credo  inediti  e  che  cominciano:   Soffriamo!  nei  giorni  che  il  popolo  langue  è  insulto  il  sorriso,  la  gioia  è  viltà!  Sol  rida  chi  ha  posto  le  mani  nel  sangue,  e  il  fato  che  accenna  non  teme  o  non  sa.   Prometeo  sull'alto  del  Caucaso  aspetta,  aspetta  un  hel  giorno  che  presto  verrà;  un  giorno  del  quale  sii  l'alba,  o  Vendetta!  un  giorno  il  cui  sole  sii  tu,  Libertà!...    quello  di  San  Mauro,  nel  campagnuolo  dell'estremo  bolo-  gnese e  in  quello  della  confinante  estrema  Romagna:  en-  trambi sbalzati  come  insegnanti  nelle  più  lontane  regioni  d'Italia,  e  portanti  nel  cuore  l'uno  il  piccolo  borgo  «dove  non  è  che  un  argine,  cinque  olmi  e  quattro  case*,  e  l'altro  «sempre  un  villaggio,  sempre  una  campagna»,  il  paese  do-  minato dalla  «  azzurra  vision  di  San  Marino  » .  E  furono,  infine,  coetanei,  condiscepoli  ed  amici,  e  si  scambiavano  versi,  e  l'uno  ricordò  l'altro  nelle  proprie  poesie.  Per  la  comunione  d'anime  che  si  forma  tra  giovani  fervidi  di  disegni  e  di  speranze,  alcuni  atteggiamenti  artistici  doverono  passare  dall'  uno  all'altro; né  è  detto  che  il  «  succubo  »  fosse  sempre  il  Pascoli,  quando  già  nel  Mago  il  Ferrari  celebrava  l'amico  come  l'ar-  tista «dalla  lima  d'oro»,  dalle  «fresche  armonie,  dai  baldi  voli  »,  e  simboleggiava  l'arte  di  lui  nel  canto  di  un  lieto  coro  di  «  giovani  capinere  e  usignuoli  ».  Accade  quindi  che,  alcune  volte,  leggendo  il  Ferrari,  par  di  leggere  il  Pascoli  della  prima  maniera.  Cosi  in  certe  impressioni  di  campagna:  «C'è  un  zufolar  sì  tremulo  che  viene  Di  fondo  ai  fossi...  »;  in  certe   Ma  da  questo  Pascoli  amoroso  e  ribelle,  da  questo  Pascoli  «  preistorico  » ,  tornando  allo  «  storico  » ,   \  dicevamo,  dunque,  che  nelle  prime  Myricae,  e  soprattutto  nella  serie  che  le  seguì,  già  si  vede   ì  com'egli  si  sforzi  ad  una  poesia  più  complessa  e  personale  ed  intensa,  e  come  dia  subito  in  disarmonie.  Il  buon  piovano,  che  passa  pei  campi  salutando  e  benedicendo. tutti,  è  una  figura  che  ha  tocchi  esagerati.  Benedice   anche  il  falco,  anche  il  falchetto  (nero  in  mezzo  al  ciel  turchino),  anche  il  corvo,  anche  il  becchino,   poverino,  che  lassù  nel  cimitero  raspa  raspa  il  giorno  intero.    visioni  di  opere  agricole:  «Anco  per  poco  ondeggerete,  o  chiome  De  la  canapa  verde...»;  in  certi  interni  di  case  rustiche e  di  cucine  :  «  Là  splendeva  co  '1  giorno  nei  decenti  Costumi  la  virtù  della  massaia...  »;  e  finanche  nella  descri-  zione della  vita  degli  uccelli,  nei  pensieri  dei  rosignuoli  o  negli  amori  delle  capinere:  «Come  un  argenteo  tinn  di  cam-  panello... » 7  D'altra  parte,  nel  Pascoli  si  risentono  accenti  del  Ferrari:  «  Cantano  a  gara  intorno  a  lei  stornelli  Le  fiorenti  ragazze  occhipensose...  »;  «  Siedon  fanciulle  ad  arcolai  ronzanti...». Ma  la  poesia  del  Ferrari,  se  mostra  una  cerchia  di  pensieri  e  di  sentimenti  più  ristretta  di  quella  del  Pascoli  ed  è  alquanto  inferiore  a  questa  per  maturità  di  forma,  è  poi  fortemente  dominata  dal  sentimento  d'amore,  che  manca  quasi  affatto  nel  Pascoli:   Se  corso  d'acqua  o  ben  fiorito  ramo  6  strepito  di  venti  o  di  bell'ale  chieda  l'onor  del  breve  madrigale,   non  l'ottiene  però  se  una  gioconda  forma  di  donna  a  la  romita  scena  non  dia  '1  senso  d'amor  ond'ella  è  piena.L'affettazione  è  già  nel  Morticino:   Andiamoci  a  mimmi,  lontano  lontano...  Din  don...  oh  ma  dimmi:  ^on  vedi  ch'ho  in  mano  il  cercine  novo,  le  scarpe  d'avvio?...   e  nel  Rosicchiolo  (la  madre  morta  ha  accanto  un  pezzo  di  pane,  serbato  pel  figlio),  tutto  rotto  e  ansante  di  esclamazioni:   Per  te  l'ha  serbato,  soltanto  per  te,  povero  angiolo;  ed  eccolo  o  pianto!   lo  vedi?  un  rosicchiolo  secco.  Moriva  sul  letto  di  strame;  tu,  bimbo,  dormivi,  sicuro.  Che  pianto  !  che  fame  !  Ma  c'era  un  rosicchiolo  duro...   e  in  altre  molte.  Già  vi  sono  le  inopportune  ma-  terialità. I  versi  Scalpitio:   si  sente  un  galoppo  lontano  (è  la...?)   che  viene,  che  corre  nel  piano  con  tremula  rapidità;   non  sono  da  riprovare  (come  è  stato  fatto)  per  l'ardimento  metrico,  ma  perchè  la  previsione  della  Morte  che  sopraggiunge  è  diventata  in  essi  qualcosa  di  prosaico,  quasi  di  un  treno  che  ar-  rivi; e  il  verso,  lodato  per  bellissimo:   «con  tremula  rapidità»,  è  di  una  precisione  sconcordante   col  soggetto;  come  sconcordante  è  il  triplice  grido  ultimo:  «la  Morte!  la  Morto!  la  Morte!»,  che  ricorda  quello  del  madrigale  di  Mascarille:  «  Au  voleur!  au  voleur!  au  voleur!  au  voleur!  » .  Lo  strafare  appare  già  per  molti  segni.  Alla  breve  poesiola:  II  cuore  del  cipresso,  sono  state  aggiunte,  nella  seconda  edizione,  altre  due  parti  per  rincupirla  e  renderla  enfatica;  con  raffinati  giochetti  come:  «l'ombra  ogni  sera  prima  entra  nell'ombra»,  e  con  interrogativi  a  più  riprese:  «E  il  tuo  nido?  il  tuo  nido?...».  Finanche  la  ottava  quasi  in  tutto  bella  delle  prime  Myricae:   Lenta  la  neve  fiocca  fiocca  fiocca:  senti:  una  zana  dondola  pian  piano.  Un  bimbo  piange,  il  piccol  dito  in  bocca;  canta  una  vecchia,  il  mento  sulla  mano.  La  vecchia  canta:  Intorno  al  tuo  lettino  c'è  rose  e  gigli,  tutto  un  bel  giardino.  Nel  bel  giardino  il  bimbo  s'addormenta.  La  neve  fiocca  lenta  lenta  lenta; —   è  stata  esagerata,  non  potendosi  altro,  nel  titolo.  S'intitolava  semplicemente:  Neve,  e  fu  poi  inti-  tolata: Orfano;  laddove  è  evidente  che  nessuna  ragione  artistica  costringeva  a  privar  dei  geni-  tori quel  caro  piccino,  che  piange,  «  il  piccol  dito  in  bocca  »  !   Allorché,  dunque,  nelle  Myricae  si  prescinda  da  ciò  che  è  eco  o  incidente  passeggero  o  semplice schizzo  e  quadretto  minuscolo,  vi  si  trova  in  embrione  il  Pascoli  con  le  sue  virtù  e  coi  suoi difetti.  Le  Myricae  contengono  i  motivi  da  cui  si  svilupperanno  i  Canti  di  Castelvecchio  e  i  poemetti  georgici  e  morali;  i  quali  danno  poi  la  mano  ai  Poemi  conviviali  e  agli  Inni.    III.    È  da  vedere  perciò  se  non  convenga  seguire  l'altra  indicazione,  che  ci  è  stata  offerta:  che  cioè  il  Pascoli  vero  sia  da  cercare  nella  sua  poesia  ultima  e  degli  anni  maturi,  neLJPascoli  «  maggiore  »  contrapposto  al  «  minore  » ,  in  quello  delle  solenni  composizioni  in  terzine  e  in  endecasillabi sciolti.  È  da  vedere  se  di  quei  difetti,  di  cui  è  libero  nelle  prime  Myricae  perchè  si  appaga  del  piccolo,  non  sia  riuscito  poi  a  liberarsi anche  e  meglio  per  altra  •  via,  lavorando  in  grande,  componendosi  un  gran  corpo.   E  poiché  non  diletta  sfondare  porte  aperte,  lascio  da  banda  gl'Inni,  che  per  comune  e  concorde giudizio  sono  la  parte  più  debole  della  sua  produzione  ultima,  e  vado  difilato  ai  Poemi  conviviali. Nei  quali,  a  tutta  prima,  sorprende  un'aria  di  compostezza,  una  facilità  ed  egualità  d'intonazione, onde  par  di  avere  innanzi  un'altra  persona,  o  tale  che  si  è  sviluppata  cosi  improv-  visamente e  magnificamente  che  non  lascia  riconoscere l'antica.  Che  cosa  è  mai  accaduto?  Il  Pascoli,  oltre  che  poeta,  è  anche  umanista:  conforme alla  tradizione  della  nativa  Romagna  (clas-  sicheggiante, più  forse  che  altra  regione  d'Italia nel  secolo  decimonono),  e  all'indirizzo  della  scuola  del  Carducci.  Non  è  un  pensatore,  e  nemmeno  propriamente  quello  che  si  dice  un  dotto,  perchè  la  sua  solida  cultura  letteraria  non  è  orientata  verso  la  ricerca  scientifica  o  storica,  ma  verso  il  godimento  del  gusto  e  la  riprodu-  zione della  fantasia.  Perciò  ha  qualcosa  di  antiquato rispetto  al  modo  moderno  della  filologia;  e,  insieme,  qualcosa  di  raro  e  di  sorprendente.  Da  scolaro,  faceva  meravigliare  i  condiscepoli  che  dicevano ch'egli  attendesse  a  mettere  in  prosa  attica  l'autobiografia  del  Cellini;  e  ancora  si  narrano  le  sue  prodezze  di  versificazione  latina  e  greca.  Ha  presentato  più  volte  poemetti  latini  alla  gara  internazionale  di  Amsterdam,  e  più  volte  ha  riportato il  primo  premio.  Ha  compilato  antologie  di  poesia  latina,  e  postovi  introduzioni  critiche,  nelle  quali  si  trovano  brani  e  pagine  descrittive,  —  gli  aedi,  Achille  morente,  l'agone  tra  Omero  ed  Esiodo,  Solone  vecchio  che  vuol  imparare  un  canto  di  Saffo  e  morire,  ecc.  —  che  ricompaiono  nei  Poemi  conviviali  (*).  Ora,  in   questi   poemi    (*)  Un  esempio.  «  L'aedo  viaggia  per  l' Hellade  divina  e  per  le  isole.  Si  aggira  spesso  lungo  il  molto  rumoroso  mare  per  trovare  una  nave  bene  arredata,  che  lo  tragitti:  egli  paga  i  nocchieri  con  dolci  versi,  se  è  accolto...  Ma,  se  è  re-  spinto, maledice...  Così  a  tutti  si  rivolge  l'aedo,  che  a  tutti  canta,  uomini  e  dei:  entra  come  nella  casa  dei  re,  così  nella  capanna  del  capraio  ;  chiede  con  la  maestà  del  sacerdote  sì  ai  pescatori  che  tornano,  sì  ai  vasai  che  accendono  la  for-  nace ;  e  canta.  Qualche  volta  dorme  sotto  un  pino  della  cam-  pagna: qualche  volta,  sorpreso  dalla  neve,  vede  risplendere  in  una  casa'ospitale  la  bella  fiammata,  che  orna  la  casa  come egli  sposa  la  sua  ispirazione  poetica  alle  forme  della  poesia  greca,  nella  cui  riproduzione  ha  acquistato  pratica  meravigliosa.  Come  nei  poemetti presentati  alle  gare  olandesi  parla  latino,  e  in  latino  dà  i  primi  abbozzi  o  le  varianti  del  Ciocco,  dei  Due  fanciulli  e  di  altre  sue  composizioni italiane,  così  nei  Poemi  conviviali  parla  greco:  greco  con  parole  italiane,  ma  con  tutte  le  inflessioni,  i  giri,  i  sottintesi  di  chi  si  è  a  lungo  nutrito  di  poesia  greca.  Il  libro  è  un  trionfo'  della  virtù  assimilatrice,  un  capolavoro  di  aultura  umanistica.  Questo  linguaggio  greco,  adottato  dal  Pascoli,  conferisce  alla  sua  nuova  o/pera  un  aspetto  meno  agitato  e  dissonante.   Ma,  quando  si  afferma,  com'è  stato  affermato,  che  nel  passare  dalla  lettura  dell'  Odissea  a  quella  dei  Poemi  conviviali  non  si  avverte  diversità  di  sorta,  bisogna  rispondere  di  star  bene  attenti  a  non  lasciarsi  ingannare  dalle  apparenze.  Sotto  l'acqua  limpida  e  cheta  si  muove  la  corrente  '  'jf  /)  turbinosa  e  torbida.  Pascoli  è  Pascoli  e  non'l^y»*/  Omero:  è,  anzi,  la  sua,  quanto  di  più  dissimile  )J^    i  figli  l'uomo,  le  torri  le  città,  i  cavalli  la  pianura,  le   navi  il  mare».  (Epos,  p.  xxi).  Si  ascolti  ora  II  cieco  di   Ohio:   Io  cieco  vo  lungo  l'alterna  voce   del  grigio  mare;  sotto  un  pino  io  dorino   dai  pomi  avari;  se  non  se  talora   m'annunziò,  per  luoghi  soli,  stalle   di  mandriani,  un  subito  latrato;   o,  mentre  erravo  tra  la  neve  e  il  vento,   la  vampa  da  un  aperto  uscio  improvvisa   nella  sua  casa  mi  svelò  la  donna,   che  fila  nel  chiaror  del  focolare.  si  possa  pensare  dalla  poesia  omerica:  questa  così  ingenuamente  umana,  quella  cosi  sapiente  nella  sua  umanità,  cosi  sorpresa  e  stupita  della  sua  ingenuità  che  sta  a  guardarla  e  a  riguardarla  in  viso,  e  ad  ammirarla;  e  non  le  par  vera!   Si  può  scegliere  a  piacere  qualsiasi  dei  suoi  poemi,  giacché  il  loro  valore  press 'a  poco  si  equi-  vale. Anticlo  è  nato  da  due  versi  e  mezzo  dell'Odissea.'. Anticlo,  nel  cavallo  di  legno,  sta  per  rispondere  alla  voce  di  Elena  che  contraffa  quella  della  moglie  di  lui,  quando  Ulisse  gli  caccia  la  mano  nella  gola  (1),  Il  P. comincia  con  l'eseguire variazioni  intorno  a  questo  motivo.  Le  due  prime  parti  del  poemetto  sono  quasi  ripetizioni  l'una  dell'altra:  un  granellino  di  poesia  è  diluito  in  molta  acqua:   E  con  un  urlo  rispondeva  Anticlo,  dentro  il  cavallo,  a  quell'aerea  voce,  se  a  lui  la  bocca  non  empia  col  pugno  Odisseo,  pronto...   La  voce  dilegua  chiamando  ancora  .per  nome,  finché  non  s'ode  più  nulla:   finché  all'orecchio  degli  eroi  non  giunse  che  il  loro  corto  anelito  nel  buio;   così  come,  all'ora  del  tramonto,  mentre  essi  se  ne  stavano  chiusi  nel  gran  cavallo,  udirono  lon-  tanare i  cori  delle  vergini;  e  poi  si  fece  sera,  e    (4)  ''AvxikX,05  5è  aé  y'  0X05  à[igCi|>ac8ai  èjiéeaaiv   fj8EXv,  àXV  'Oòvaaevq  è:tl  nàaxaxa  xeQoi  Jite^ev   VO)X8|léa)5   KQaT8QTÌ,  come  è  stata  argutamente  chiamata.  E  l'idillio  di  un  animo  piagato;  è  una  pace  di  conquista,  non  di  natura.   La  casetta  e  la  famigliuola,  che  sono  le  imma-  gini consuete  dell'idillio,  hanno  accanto  a  sé,  nella  visione  del  Pascoli,  un'altra  casa  e  un'altra  famiglia  in  cui  egli  vive  non  meno  che  in  quelle  in  cui  trascorre  la  vita  materiale:  il  cimitero,  e  i  fantasmi  dei  suoi  morti.  Questi  morti  sono  sem-  pre con  lui:  tornano  sempre  a  quelle  pareti  doraestiche  da  cui  furono  crudelmente  strappati:  toccano  e  riconoscono  le  loro  masserizie,  i  loro  abiti,  le  tele  che  tesserono  e  cucirono,  i  figliuoli  che  generarono  e  lasciarono  bambini,  i  fratelli  coi  quali  divisero  le  prime  gioie  brevi  e  i  primi  pungenti  dolori.  Immagini  di  morti,  che  si  tirano  dietro,  nell'animo  del  poeta,  altre  immagini  affini:  mendichi,  vecchi,  ciechi,  bambini  deboli  e  pian-  genti. È  un  idillio,  irrigato  di  pianto:  il  tesoretto  domestico,  sul  quale  egli  vive,  è  formato  dal  ricordo  dei  mali  e  delle  angosce  sofferte.  L'ere-  mita (del  poemetto  cosi  intitolato),  nello  scendere  lungo  il  fiume  della  morte,  grida:   Signore,  fa  ch'io  mi  ricordi!   Dio,  fa  che  sogni!  Nulla  è  più  soave,  Dio,  che  la  fine  del  dolor;  ma  molto  duole  obliarlo;  che  gettare  è  grave   il  fior  che  solo  odora  quando  è  còlto.   Da  questa  contemplazione,  fatta  fine  e  abito  di  vita,  sorge  una  forma  di  serenità:  l'animo,  non  più  interiormente  dilaniato,  può  volgersi  al  mondo  esterno,  e  guardare  ed  osservare  e  comentare,  in  un  modo  per  altro  sempre  intonato  alle  sofferte  vicende:  calmo,  sì,  ma  non  gaio:  sereno,  ma  non  agile  e  leggiero.   E  sorgono  insieme  le  gioie  modeste:  l'attitu-  dine a  godere  delle  cose  piccole,  del  riposo  gior-  naliero, della  mensa,  della  passeggiata,  dello  studio;  a  scoprire  in  esse  un  sapore,  una  virtù  ascosa,  che  altri,  più  fortunati  o  più  sfortunati,  non  vi  scoprirebbero:  come  nel  fior  d'acanto,  che le  api  regali  disdegnano,  le  api  legnaiole  trovano  il  miele  e  la  contadinella  sugge  il  nettare  ignoto.   A  te  né  le  gemme  né  gli  ori  forniscono  dolce  ospite,  è  vero;  ma  fo  che  ti  bastino  i  fiori  che  cògli  nel  verde  sentiero,  nel  muro,  sulle  umide  crepe  dell'ispida  siepe.   Non  reco  al  tuo  desco  lo  spicchio  fumante  di  pingue  vitella;  ma  fo  che  ti  piaccia  il  radicchio,  non  senza  la  sua  selvastrella,  con  l'ovo  che  a  te  mattutina  cantò  la  gallina.   Questa  disposizione  d'animo  è  stata  dal  Pa-  scoli, negli  ultimi  tempi,  innalzata  a  una  teoria  etico-sociologica,  che  egli  non  si  stanca  di  pre-  dicare in  tutte  le  occasioni:  tanto  che,  per  questo  rispetto,  stiamo  per  avere,  anche  noi  italiani,  il  nostro  Tolstoi  (purtroppo,  solo  il  Tolstoi  che  filo-  sofeggia!). La  natura  è  una  madre  dolcissima  che  sa  quel  che  fa,  che  ama  i  figli  suoi,  e  dal  male  ricava  per  essi  il  bene.  La  vita  è  bella,  o  sarebbe,  se  gli  uomini  non  la  guastassero.  Ma  gli  uomini  avvelenano  ogni  cosa  con  la  discordia,  con  l'odio,  con  la  guerra,  e  con  la  cupidigia  insaziabile,  che  è  il  movente  riposto  e  ultimo.  Bisogna  dunque  dichiarar  guerra  alla  guerra;  non  ammettere  di-  visioni fatali,  esser  di  nessun  partito,  addetti  so-  lamente alla  causa  dell'umanità:  non  ridere  delle  parole  carità  e  filantropia,  ma  accettarle  meglio  che  quelle  di  socialismo,  individualismo  e  simili; il  vero  socialismo  è  il  continuo  incremento  della  pietà  nel  cuore  dell'uomo.  Tutte  le  cose  buone  sono  identiche,  o  s'identificano:  il  patriottismo  non  sta  contro  il  socialismo,  e  viceversa:  il  so-  cialismo dev'essere  patriottico,  e  il  patriottismo  socialistico.  Tutto  è  affar  di  cuore,  di  dolcezza,  di  pietà.  Anche  la  scienza  e  la  fede  non  debbono  rissare:  la  scienza  deve  tener  della  fede  e  la  fede  della  scienza.  Codesta  non  già  transvalutazione,  ma  adeguazione  o  depressione  di  valori,  è  sug-  gellata dalla  virtù  del  contentarsi:  contentarsi  del  poco,  perchè,  se  il  molto  piace,  il  poco  solo  è  ciò  che  appaga.  «  Uomini,  contentatevi  del  poco  (assai,  vuol  dire  si  abbastanza  e  sì  molto:  filosofia  della  lingua!),  e  amatevi  tra  voi  nell'ambito  della  famiglia,  della  nazione  e  dell'umanità».  —  Una  filosofia,  che  è  già  bella  e  criticata,  quando  si  è  mostrato  che  nasce  da  uno  stato  d'animo  in-  dividuale; e  del  resto,  il  Pascoli  stesso,  pratica-  mente, come  uomo,  la  contradice  quando,  appena  qualcuno  tocca  ciò  che  gli  è  caro  (la  sua  arte,  o  i,  suoi  convincimenti  critici),  corre  alle  difese  e  alle  offese;  non  esita  a  chiamare  «stolti»  o  «  sciocchi  »  i  suoi  accusatori  (si  veda  la  prefazione ai  Poemi  conviviali))  e,  insomma,  conserit  proelia,  viene  alle  mani:  di  che  non  lo  biasimerò  io  certamente,  perchè  mi  par  naturale  che  ognuno  protegga,  come  può,  le  cose  che  ama.   Nasce  da  uno  stato  d'animo  e  ci  conferma  questo  stato  d'animo,  che  è  quello  che  abbiamo  definito  come  una  varietà  del  sentimento  idillico.  Ora,   il  sentimento  idillico  è  costante  in   tutta l'opera  letteraria  del  Pascoli:  involuto,  e  qua  e  là  lievemente  sorridente,  nelle  primissime  Myri-  cae,  chiaramente  spiegato  nelle  poesie  posteriori.  Non  fanno  eccezione  i  Poemi  conviviali,  il  cui  contenuto  sono  la  natura,  la  morte,  la  bontà,  la  pietà,  l'umiltà,  la  poesia;  e  la  poesia  e  la  morte  più  d'ogni  altra  cosa:  pensieri  tristi  e  delicati,  che  risuonano  sulle  labbra  dei  personaggi  del  mito,  della  leggenda  e  della  storia  ellenica.  Per  bocca  dell'antico  Esiodo  parla  sempre  il  Pascoli:   E  sol  com'ora  anco  è  felice  l'uomo  infelice:  s'egli  dorine  o  guarda:  N  quando  guarda  e  non  vede  altro  che  stelle,  quando  ascolta  e  non  ode  altro  che  un  canto;   il  Pascoli  stesso  è  effigiato  in  Psiche,  che  solitaria  nella  sua  casa  intende  l'orecchio  al  canto  di  Pan:   Eppur  talvolta  ei  soffia  dolce  così  nelle  palustri  canne,  che  tu  l'ascolti,  o  Psiche,  con  un  pianto  sì,  ma  ch'è  dolce,  perchè  fu  già  pianto  e  perse  il  triste  nel  passar  degli  occhi  la  prima  volta;   o  nell'aedo  Femio,  che  parla  ad  Ulisse  e  dice  della  poesia,  quel  che  già  era  stato  detto  nelle  varie  allegorie  ed  apologhi  delle  Myricae:   Un  nicchio  vile,  un  lungo  tortile  nicchio,  aspro  di  fuori,  azzurro  di  dentro,  e  puro,  non,  Eroe,  più  grande  del  nostro  orecchio;  e  tutto  ha  dentro  il  mare,  con  le  burrasche  e  le  ritrose  calme,  coi  venti  acuti  e  il  ciangottio  dell'acque.  Una  conchiglia  breve,  perchè  l'oda  il  breve  orecchio,  ma  che  tutto  l'oda;  tale  è  l'aedo.  Pure  a  te  non  piacque.   La  medesimezza  dell'ispirazione  nei  Poemi  conviviali, e  nelle  Myricae  e  Poemetti,  è  stata  concordemente riconosciuta;  e  in  questo  senso  si  è  bene  affermato  che  il  Pascoli  ellenico  è  un  elle-  no-cristiano.   Diversa  opinione  è  stata  manifestata  per  gli  Inni',  e  si  è  detto  che  il  Pascoli  vuol  tentar  in  essi  la  corda  eroica,  e  fallisce.  E  gli  si  è  dato  sulla  voce,  consigliandolo  (per  parlare  col  suo  poeta)  a  meditare  silvestrem  musam  tenui  avena,  ad  attenersi  al  deductum  Carmen,  al  calamos  inftare  leves,  se  non  voglia  stridenti  miserum  stipula  disperdere  carmenì  Ma  gl'inni,  nel  loro  complesso,  contengono  nient'altro  che  la  predicazione del  solito  vangelo  pascoliano:  si  ricordino  quelli  sull'anarchico  assassino  dell'imperatrice  Elisabetta,  sul  negro  di  Saint-Pierre,  sulla  uccisione di  re  Umberto,  sul  Duca  degli  Abruzzi  e  la  spedizione  al  Polo,  sulle  stragi  civili  del  maggio  1898.   E  si  deve  concludere  che  non  vi  ha  luogo  a  distinguere,  nell'opera  del  Pascoli,  filoni  diversi  di  pensieri,  correnti  diverse  di  sentimento,  e  ad  assegnare  la  parte  geniale  della  poesia  di  lui  all'una  delle  correnti,  e  l'artificiosa  all'altra.  Si  deve  concludere  che  anche  il  secondo  dei  due  procedimenti  critici,  che  abbiamo  ricordati,  si  chiarisce  inapplicabile  al  caso  suo. E  così  l'arte  del  Pascoli  par  che  serbi  sempre  l'aspetto  di  un  problema.  La  genialità  e  l'artificio,  la  spontaneità  e  l'affettazione,  la  sincerità  e  la  smorfia,  appaiono  uniti  negli  stessi  componimenti,  nelle  stesse  strofe,  talvolta  in  un  singolo  verso.  Il  male  attacca  la  lirica  nelle  sue  radici  e  nelle  sue  fibre  più  intime,  nel  metro;  talché  in  mol-  tissime poesie  del  Pascoli  la  mossa  metrica  è  come  staccata  dall'ispirazione:  quasi  si  direbbe  che,  appena  sorto  il  germe  di  vita,  un  microbio  vi  si  sia  precipitato  sopra  a  contaminarlo.  L'impressione del  lettore  è  quella  che  io  ho  notata  in  principio:  l'attrattiva  e  la  repulsione,  il  rapimento  e  il  disgusto  si  avvicendano.  Abbiamo  insieme  un  poeta  ingenuo  e  uno  bambinesco;  un  lirico  del  dolore  e  un  «  assassinato  di  dolore  » ,  come  avrebbe  detto  Pietro  Aretino;  un  commoso  cantore della  pace  e  un  predicatore  alquanto  untuoso;  un  uomo  santo  e  un  sant'uomo,  uno  spirito  religioso e  un  prete.  Stiamo  a  momenti  per  gridargli  entusiasmati:  Quae  Ubi,  quae  tali  reddam  prò  Carmine  donaci,  e  donargli  la  nostr'anima  (unico  dono  degno  che  possa  farsi  ai  poeti);  ma,  nel-  l'istante seguente,  lo  slancio  del  donatore  resta  sospeso.  E  il  critico  è  messo  in  imbarazzo:  press'a  poco  nella  situazione  di  Gargantua,  quando  gli  nacque  il  figlio  e  gli  mori  la  moglie,  che  non  sapeva  se  dovesse  ridere  o  piangere:  *Et  ledóbufe  qui  troubloil  san  en  tende  meni  esloit  assavoir     l'AS   mon  s'il  devoit  pleurer  poùr  le  deuil  de  sa  femme,  ou  rire  pour  la  joie  de  son  filz.  D'un  coste  et  d'aulire,  il  avoit  argumens  sophistiques  qui  le  suffoquoient,  car  il  les  faisoit  tres  ìnen  in  modo  et  figura,  mais  il  ne  les  pouvoit  souldre.  Et,  par  ce  moyen,  demeuroit  empestrè  cornine  la  souris  empeigée,  ou  un  milan  pris  au  lacet».  Ma  il  critico  non  vuole  escogitare  «  argumens  sophistiques»:  vuol  vederci  chiaro,  e  non  gli  riesce.   Non  è  una  consolazione  osservare  che  questa  incertezza  si  ritrova  nell'opinione  generale  con-  cernente il  Pascoli.  Coloro  che  più  ponderata-  mente hanno  scritto  della  sua  opera,  mostrano  sempre,  in  modo  espresso  o  tra  le  linee,  una  tal  quale  insoddisfazione:  e  ora  concludono  che  il  Pascoli  non  giunge  alla  creazione  spontanea  e  ^geniale;  ora  riconoscono  quel  che  c'è  d'imper-  fetto nelle  sue  più  belle  creazioni;  ora  lo  consi-  derano piuttosto  come  precursore  che  come  ar-  tista compiuto  in  sé  stesso;  ora  lamentano  che  nel  Pascoli  ci  sia  l'imitazione  di  sé  medesimo,  il  pascolismo.  Più  volte  ho  potuto  osservare  che  alcuni  dei  maggiori  estimatori  e  lodatori  di  lui  non  sanno  celare  la  loro  dubbiezza  e  cercano  come  di  essere  rassicurati  sulla  legittimità  della  loro  ammirazione;  o  alcuni  dei  più  risoluti  avver-  sari non  si  sentono,  nella  manifestazione  del  loro  dispregio,  in  completa  buona  coscienza.   Tanta  è  questa  incertezza,  che  si  ode  lamentare non  essere  stato  finora  il  Pascoli  giudicato  degnamente  perchè  la  critica  italiana  è  inferiore  al  compito  suo;  ed  altri  scusano  la  critica  con-  siderando l'arte  del  Pascoli  come  un'arte  dell'av-  venire, che  solo  in  una  nuova  fase  spirituale  potrà  essere  compresa  a  pieno.  Sarà  dunque  così?  Fallimento  della  critica?  o  rinvio  all'avvenire?   Ma,  prima  di  ricorrere  a  codeste  ipotesi  da  disperati  (da  disperati,  perchè  non  verificabili),  bisogna  esaminare  un'ipotesi  più  semplice.  La  quale  è,  che  ciò  che  si  presenta  come  problema  sia  una  soluzione;  che  ciò  che  sembra  una  do-  manda, sia  già  una  risposta  ;  che  questa  mia  cen-  sura critica,  che  finora  sembra  tutto  un  prologo,  sia  già  una  conclusione.   Il  Pascoli  è,  per  l'appunto,  quale  lo  siamo  venuti  osservando:  uno  strano  miscuglio  di  spon-  taneità e  d'artifizio:  un  grande-piccolo  poeta,  o,  se  piace  meglio,  un  piccolo-grande  poeta  (cosi  come,  in  una  delle  sue  poesie,  la  terra  a  lui  appa-  risce un  «  piccoletto-grande  presepe  »  !).  In  lui,  anche  dopo  le  prime  Myricae,  sono  sorti  motivi  poetici  felicissimi,  anzi  più  ricchi  forse  e  più  pro-  fondi dei  suoi  primi;  ma  codesti  motivi  non  ven-  gono padroneggiati  e  ridotti  a  unità  artistica,  e  non  acquistano  quell'intonazione  armonica,  che  è  la  manifestazione  dell'unità.  Era  uno  squisito  poeta  nelle  prime  Myricae,  restio  a  scrivere  e  a  stampare,  tanto  che  si  denominava  da  sé  «  Be-  lacqua»,  e,  sfiducioso,  non  cercava  la  fama.  Ma!  la  fama  l'ha  raggiunto,  e  lo  ha  eccitato  a  una  produzione  abbondante  e  artificiale.  Spirito  poetico qual  egli  è,  non  riesce  mai  a  diventare  del  tutto  un  retore;  ma  non  riesce  neppure  alla  poesia  compiuta,  e  s'indugia  in  una  semi-poesia.  Perciò  anche  egli,  ora,  non  vede  nessun  termine  alla  sua  produzione:  smarrito  il  senso  della  sin-  tesi artistica,  di  ogni  commozione  fa  una  lirica,  prima  che  sia  diventata  veramente  tale:  la  sua  produzione  si  è  resa  facile  e  meccanica.  «  Quanto  più  di  numero  vorrei  che  fossero!  (scrive  nella  prefazione  di  Odi  e  inni,  che  pure  son  troppi  e  troppi).  Io  sento  di  non  avervi  ancor  detto  nulla  di  ciò  che  avevo  per  i  vostri  cuori.  E  temo  di  andarmene,  volgendomi  disperatamente  addietro  per  dirvi  ciò  che  non  dissi,  e  che  è  sempre  e  ancora  il  tutto.  Bisogna  affrettarsi,  ora.  Gli  anni  non  vengono,  ora:  vanno  ».  Perciò,  non  s'acqueta  in  nessuna  delle  sue  creazioni.  Ogni  materia  diventa per  lui  inesauribile.  Il  tragico  fato  del  _padre  gli  è  fonte  perpetuajd^__pjoesia^,appunto  perchè  nessuna  perfetta  poesia  ne  è  nata.  Egli  sente  nell'aria  il  rimprovero  per  quel  suo  inces-  sante verseggiare  i  casi  della  propria  famiglia;  e  si  difende:  «Io  devo  (il  lettore  comprende)  io  devo  fare  quel  che  faccio.  Altri  uomini,  rimasti  impuniti  o  ignoti,  vollero  che  un  uomo  non  solo  innocente  ma  virtuoso,  sublime  di  lealtà  e  bontà,  e  la  sua  famiglia,  morisse.  E  io  non  voglio.  Non  voglio  che  siano  morti  » .  E  non  si  tratta  di  questo:  i  lettori  non  l'accusano  di  parlar  troppo  di  suo  padre,  ma  di  non  parlarne  abbastanza  poeticamente;  ed  egli  forse  insiste  nel  tema,  non  perchè  spinto  da  dovere  domestico,  ma  perchè  avverte,  sia  pure  confusamente,  che  non  è  giunto  ancora  a  concretare  il  suo  sentimento  nelle  immagini.  Quella  tragedia  familiare  gli  sta  dinanzi  come  un  grosso  blocco  di  marmo,  che  non  sa  come  lavorare:  ne  fa  con  lo  scalpello  saltare  qualche  scheggia,  ma  non  v'incide  una  volta  per  sempre  la  statua  o  il  gruppo.  Per  la  stessa  ragione, infine,  la  sua  opera  poetica  ha  l'aria  di  una  poesia  dell'avvenire:  i  motivi,  che  vi  sono  abbozzati  e  non  perfettamente  elaborati,  paiono  aspettare  e  provocare  l'artista,  che  li  ripiglierà.    VI.    Come  dal  suo  stato  d'animo  idillico  il  Pascoli  ha  tratto  una  filosofia  che  è  la  conferma  di  quel  suo  stato,  cosi  dalla  sua  arte  imperfetta  ha  tratto  un'estetica  e  una  critica,  che  è  il  riflesso  teorico  di  essa,  e  insieme  una  conferma  dell'analisi  che  si  è  tentata  in  queste  pagine.  Il  poeta  jegli  dice  ed  io  compendio),  il  poeta  vero  è  un  fanciullo:  è  l'anima  che  ama  il  poco,  le  piccole  cose,  la  campagna  piccola,  il  campicello,  l'orto  con  una  fonte  e  con  un  po'  di  selvetta,  il  cavallino,  la  carrozzina,  l'aiolina.  E  l'ama  con  la  dolcezza  della  pietà:  perchè  il  poeta  non  solo  è  il  fanciullo,  ma  è  anche  il  poverello  dell'umanità,  spesso  cieco  e  vecchio.  Per  conseguenza,  in  quanto  poeta,  è  sempre  ispiratore  di  buoni  e  civili  costumi,  d'amor  patrio  e  familiare  e  umano:  è  sempre  socialista,  perchè  è  umano:  esclude  l'impoetico,  e  alla  fine  si  trova  che  l'impoetico  è  quello  appunto  che  la  morale  riconosce  cattivo  e  l'estetica  dichiara  brutto:  l'esclude  non  di  proposito,  non  ragionando,  ma  cosi  istintivamente,  perchè  ne  ha  paura  o  schifo.  Ciò  che  esce  fuori  di  questo  amore  pel  piccolo)  non  è  poesia.  Le  armi,  le  aste  bronzee,  i  carri  di  guerra,  i  lunghi  viaggi,  le  traversie,  sì,  perchè  sono  cose  che  il  fanciullo  ricerca  con  avida  curiosità,  e  le  vagheggia  palpitando  di  gioia.  Ma  tale  non  è  l'amore,  l'eros;  tale  non  è  tutta  la  moltitudine  irosa  delle  altre  passioni.  Ciò  il  Pascoli  chiama  non  più  elemento  poetico,  ma  drammatico;  non  più  poesia  pura,  ma  applicata;  non  più  di  sentimento,  ma  di  fantasia. Con  l'introduzione  dell'elemento  erotico,  l'essenza  poetica  diminuisce:  le  figure  omeriche  sono  più  poetiche  di  quelle  della  tragedia  ellenica:  Rolando  della  Chanson  è  più  poetico  dell'Orlando  innamorato  e  furioso  dei  romanzieri  italiani.  La  Comedia  dantesca,  come  tutti  i  grandi  poemi,  i  grandi  drammi,  i  grandi  romanzi,  è  poesia  ap-  plicata: è  un  gran  mare,  nel  quale  di  tanto  in  tanto  si  pesca  una  perla,  un  prodotto  di  poesia  pura;  com'è,  per  esempio,  nel  Purgatorio  la  descrizione  dell' «ora  che  volge  il  desio  ai  naviganti ■» .   Questa  estetica  è  la  base  della  sua  critica  letteraria.  Di  Omero  mette  in  mostra  l'intona-  zione fanciullesca:  «  descriveva  i  particolari  l'uri  dopo  l'altro,  e  non  ne  tralasciava  uno,  nemmeno,  per  esempio,  che  le  schiappe  da  bruciare  erano  senza  foglie.  Che  tutto  a  lui  pareva  nuovo  e  bello,  ciò  che  vi  aveva  visto,  e  nuovo  e  bello  credeva  avesse  a  parere  agli  uditori.  La  parola  c  bello  e  '  grande  '  ricorreva  a  ogni  momento  nel  suo  novellare,  e  sempre  egli  incastrava  nel  discorso  una  nota  a  cui  riconosceva  la  cosa.  Diceva  che  le  navi  erano  nere,  che  avevano  dipinta  la  prora,  che  galleggiavano  perchè  ben  bilanciate,  che  avevano  belli  attrezzi,  bei  banchi;  che  il  mare  era  di  tanti  colori,  che  si  moveva  sempre,  che  era  salato,  che  era  spumeggiante...».  L'Eneide  di  Virgilio  diventa  pel  Pascoli  quasi  un  duplicato  della  Georgica:  l'Eneide  canta,  si,  guerra  e  battaglie; ma  «  tutto  il  senso  della  mirabile  epopea  è  in  quel  cinguettìo  mattutino  di  rondini  o  passeri, che  sveglia  Evandro  nella  sua  capanna,  là  dove  avevano  da  sorgere  i  palazzi  imperiali  di  Roma».  Nelle  sue  introduzioni  aXY Epos  e  alla  Lyra,  il  Pascoli  evoca  la  Grecia  primitiva  coi  suoi  aedi  e  mendicanti,  ricchi  di  meravigliose  storie,  fanciulli  parlanti  ad  altri  fanciulli,  o  ri-  sveglianti  nell'uomo  adulto  il  fanciullo:  evoca  il  Lazio  primitivo,  con  la  sua  vita  agreste  piuttosto  che  guerresca.   È  da  notare  un'altra  dottrina  letteraria  del  Pascoli,  che  si  lega  alla  precedente.  Egli  afferma  che  per  la  poesia  vera  e  propria  agli  italiani  manca,  o  sembra  mancare,  la  lingua;  e  che  bisogna riproporsi  il  problema  posto  e  studiato  dal  Manzoni:  il  problema  della  lingua.  La  lingua,  che  si  adopera,  è  troppo  generica  e  grigia.  «  Pensate  ai  fiori  e  agli  uccelli,  che  sono  de'  fanciulli  la  gioia  più  grande  e  consueta:  che  nome  hanno?  S'ha  sempre  a  dire  uccelli,  si  di  quelli  che  fanno  tottavì  e  si  di  quelli  che  fanno  crocrol  Basta  dir  fiori  o  fioretti,  e  aggiungere,  magari,  vermigli  e  gialli,  e  non  far  distinzione  tra  un  greppo  co-  perto di  margherite  e  un  altro  gremito  di  crochi?». Ed  insegna  ai  fanciulli  il  segreto  per  diventar valenti  in  poesia:  «Chiedete  sempre  il  nome  di  ciò  che  vedete  e  udite;  chiedetelo  agli  altri,  e  solo  quando  gli  altri  non  lo  sappiano,  chiedetelo  a  voi  stessi,  e,  se  non  c'è,  ponetelo  voi  il  nome  alla  cosa  » .  Anche  questa  dottrina  è  base  ai  suoi  giudizi  critici.  Esamina  il  Sabato  del  villaggio del  Leopardi,  e  trova  indeterminato  e  vago  il  verso  «un  mazzolin  di  rose  e  di  viole»;  &  avrebbe  desiderato  maggiore  precisione  per  es-  sere in  grado  così  di  stabilire  a  quale  mese  dell'anno si  riferiva  il  poeta  con  la  sua  descrizione:  corregge  altrove  il  Leopardi,  che  accenna  al  canto  degli  usignoli,  notando  che  nella  valle  di  Recanati  si  odono  invece  le  cingallegre;  l'Elogio  degli  uccelli  gli  suggerisce  l'esclamazione  :  «  mai  un  nome  di  uccelli:  tutti  uccelli,  tutti  canterini! ».   Ora  è  evidente,  per  quanto  riguarda  la  dottrina estetica,  che  il  Pascoli  ha  equivocato,  scambiando  e  confondendo  in  uno  l'ideale  fan-  ciullezza, che  è  propria  della  poesia  la  quale  si  libera  dagl'interessi  contingenti  e  s'affisa  rapita nelle  cose,  —  la  fanciullezza  che  è  imma-  gine della  contemplazione  pura,  —  con  la  realistica fanciullezza,  che  si  aggira  in  un  piccolo  mondo  perchè  non  conosce  e  non  è  in  grado  di  dominarne  uno  più  vasto.  E  l'equivoco  lo  ha  menato  diritto  a  negare   carattere  d'arte  pura a  quasi  tutta  l'arte;  a  distinguer  l'arte  dalla  fantasia  confinandola  al  sentimento,  e  a  mutilare il  sentimento  stesso  confinandolo  a  quel  solo  sentimento  che  non  sia  erotico  o  passionale,  al  sentimento  idillico.   La  sua  dottrina  sulla  lingua  ha  stretta  affinità con  quella  di  Edmondo  de  Amicis  e  degli  altri  linguai;  vale  a  dire,  si  riduce  in  fóndo  al-  l'eretismo delle  piccole  cose,  agli  alberi  che  impediscono la  vista  della  selva.  Dice  il  Leopardi  nella  Vita  solitaria:   Talor  m'assido  in  solitaria  parte  sovra  un  rialto,  al  margine  d'un  lago  di  taciturne  piante  incoronato.   E  un  De  Amicis  o  un  Pascoli  a  domandare  ;  —  Piante?  ma  quali  piante?  di  quale  specie  e  sot-  tospecie e  famiglia  e  varietà?  Qui  c'è  l'indeter-  minato e  l'impreciso!  —  quasi  che  Leopardi  dovesse  essere,  in  quel  momento,  non  già  un'anima  assorta  nel  problema  del  dolore  e  del  fine  dell'universo, ma  un  dilettante  di  botanica;  come  prima,  nel  caso  degli  uccelli,  non  un  filosofo  pessimista, ma  un  cacciatore,  esperto  a  riconoscere  lo  voci  e  le  forme  degli  uccelli,  a  cui  mirerà  con  lo  schioppo!   La  critica  del  Pascoli,  infine,  è  unilaterale  ed  esagerata.  Dove  egli  s'incontra  con  poeti  e  con  situazioni  poetiche  che  rispondono  al  suo  proprio  ideale  e  alla  sua  angusta  teoria,  li  sente  e  interpreta  bene,  e  vi  fa  intorno  osservazioni  assai  fini.  Ma,  trovandosi  più  spesso  innanzi  a  un'arte  diversa,  è  costretto  o  a  tacere  o  a  ridurla sofisticando  alla  sua  personale  visione.  Rare  sono  le  eccezioni,  dovute  allo  spontaneo  irrom-  pere di  un  più  compiuto  senso  dell'arte.  Ma  è  veramente  l'Eneide  quella  che  egli  ci  presenta  nel  giudizio  riferito  di  sopra?  E,  per  esempio,  il  passionale  episodio  di  Didone,  cosi  importante  e  significante,  come  si  concilia  con  la  veduta  georgica  dell'essenza  del  poema?  E,  veramente,  lo  stile  di  Omero  quello  che  il  Pascoli  ci  ha  descritto, o  non  è  di  un  Omero  reso  da  lui  alquanto  puerile?  Anche  i  saggi  di  traduzione  che  il  Pa-  scoli ci  ha  dati  dei  poemi  omerici  destano  i  medesimi dubbi.  Non  istituirò  sottili  confronti  con  l'originale,  convinto  come  sono  che  la  poesia,  rigorosamente  parlando,  non  si  traduce;  o,  come  è  stato  detto  di  recente  e  assai  bene  da  un  critico  d'arte  tedesco,  che  chi  traduce  con  la  pretesa  di  sostituire  l'originale,  fa  come  uno  che  volesse  dare  a  un  innamorato  un'altra  donna  in  cambio  di  quella  che  egli  ama:  una  donna  equivalente  o,  su  per  giù,  simile;  ma  l'innamorato  è  inna-  morato proprio  di  quella  e  non  degli  equivalenti. Né  contesterò  l'utilità  grande  che  avrà  per  la  cultura  italiana  il  possedere  un  Omero  messo  in  italiano  da  un  profondo  grecista  e  da  un  espertissimo  letterato,  quale  il  Pascoli:  anzi  affretto  coi  miei  voti  il  compimento  del-  l'opera. Ma,  considerando  quelle  traduzioni  per  sé,  come  opere  d'arte  che  stiano  da  sé,  a  me  pare  che  tra  l'Omero  alquanto  rimbambinito  del  Pascoli,  e  quello  un  po'  enfatico  e  accademico,  ma  pur  grandioso,  di  Vincenzo  Monti,  chi  legga  per  mere  ragioni  di  godimento  artistico  preferirà  sempre  il  secondo:   Elena  dunque  venire  vedevano  verso  la  torre,  e  l'uno  all'altro  parlava  parole  dall'ale  d'uccelli  :  —  Torto  non  è  che  Troiani  ed  Achei  dalle  belle  gambiere  da  sì  gran  tempo  per  tale  una  donna  sopportino  il  male...   Il  Monti  ha  soppresso  le  ali  di  uccello  e  le  belle  gambiere,  sentendo  che  il  loro  valore  si  falsifica  nella  letterale  versione  italiana;  ha  aggiunto  qualche  suo  tocco:  ne  è  uscito  un  quadro  o  una  statua  alla  David  o  alla  Canova,  ma,  a  ogni  modo,  una  pagina  d'arte:   Come  vider  venire  alla  lor  volta   la  bellissima  donna,  i  vecchion  gravi   alla  torre  seduti,  con  sommessa   voce  tra  lor  venian  dicendo  :  —  In  vero   biasmar  né  i  Teucri  né  gli  Achei  si  denno   se  per  costei  si  diuturne  e  gravi   sopportano  fatiche...   Il  fanciullesco  non  c'è  più;  ma  c'era  veramente  in  Omero?  L'omerico  neanche  c'è  più;  ma  si  poteva  rendere?  e  l'ha  reso  poi  il  Pascoli?  —  Parla  Achille  ad  Ettore  caduto:   Ettore,  tu  lo  credevi  spogliando  il  mio  Patroclo  morto,  d'esser  salvo,  e  di  me  ch'ero  lungi,  pensier  non  ti  davi  bimbo!  ma  in  parte  da  lui  c'era  un  molto  più  forte  com-  pagno  presso  le  navi  cavate,  c'ero  io  dietro  ad  esso  rimasto,  che  i  tuoi  ginocchi  snodai!  I  cani  e  gli  uccelli  da  preda  strascicheranno  ora  te;  lui  seppelliranno  gli  Achei!  Anche  qui  mi  pare  che  sia  più  facile  gustare  il  Monti,  che  traduce  nello  stile  neoclassico,  non  senza  qualche  svolazzo  accademico:   Ettore,  il  giorno  che  spogliasti  il  morto  Patroclo,  in  salvo  ti  credesti,  e  nullo  terror  ti  prese  del  lontano  Achille.  Stolto!  restava  sulle  navi  al  mio  trafitto  amico  un  vindice,  di  molto  più  gagliardo  di  lui:  io  vi  restava,  io,  che  qui  ti  distesi.  Or  cani  e  corvi  te  strazieranno  turpemente,  e  quegli  avrà  pomposa  dagli  Achei  la  tomba.   Comunque,  la  critica  del  Pascoli,  quando  non  può  interpretare  in  modo  rispondente  al  suo  ideale  di  vita  le  opere  poetiche,  divaga,  come  può  vedersi  nei  citati  discorsi  introduttivi  alle  raccolte  dell'Epos  e  della  Lyra,  i  quali  sono  i  suoi  migliori  lavori  critici:  serie  di  note  sugli  aedi  dell'Eliade,  sulla  condizione  dei  poeti  nella  primitiva  società  romana,  sulle  leggende  di  Roma  confrontate  con  quelle  dell'epos  ellenico,  su  Enea  e  Odisseo,  su  questioni  biografiche  e  cronologi-  che, sulle  varie  redazioni  del  testo  dell'  Eneide,  e  simili,  che  non  stringono  dappresso  il  problema  critico.   Nella  sua  inesatta  idea  dell'arte  è  anche  l'origine di  quella  singolare  opera  critica,  che  sono  i  parecchi  volumi  da  lui  dedicati  dall'esegesi  dantesca.  Il  Pascoli  non  sembra  ancora  investito  dello  spirito  della  critica  moderna,  per  la  quale  il  pensiero  poetico  e  la  grandezza  di  Dante  non  sono  riposti  nelle  allegorie  e  nei  concetti  morali.  La  sua  Minerva  oscura  (prendo  questo  libro  come  esempio)  discute  ancora  con  gravità  e  come  di  problemi  di  alta  importanza,  se  il  sistema  delle  pene  e  dei  premi  sia  il  medesimo  nell'Inferno,  nel  Purgatorio  e  nel  Paradiso;  se  delle  tre  fiere  la  lonza  rappresenti  l'incontinenza,  il  leone  la  violenza,  la  lupa  la  frode;  se  il  messo  del  cielo  sia  Enea;  perchè  il  conte  Ugolino  stia  nell'An-  tenora  e  non  nella  Caina,  e  via  dicendo:  questioni  di  nessuno  o  di  assai  scarso  significato  non  solo  per  l'intelligenza  artistica  di  Dante,  ma  anche  per  la  conoscenza  della  vita  medievale  e  delle  intenzioni  e  dei  sentimenti  appartenenti  alla  bio-  grafìa di  Dante  :  inezie,  che,  di  giunta,  sono  per  lo  più  questioni  insolubili,  per  mancanza  di  dati  di  fatto  sufficienti;  onde  rendono  possibile  quel  raziocinare  all'infinito,  che  piace  ai  perditempo,  e  quell'acume  a  buon  mercato,  che  piace  ai  vanitosi.   Ed  ecco  il  Pascoli,  per  le  scoperte  del  genere  accennato,  «  raggiante  di  solitario  orgoglio  » .  «Aver  visto  nel  pensiero  di  Dante!...  (dice  nella  prefazione  alla  Minerva  oscura).  Io,  la  vera  sentenza, io  l'ho  veduta!  Si:  io  era  giunto  al  polo  del  mondo  dantesco,  di  quel  mondo  che  tutti  i  sapienti  indagano  come  opera  di  un  altro  Dio!  Io  aveva  scoperto,  in  certo  modo,  le  leggi  di  gravità di  quest'altra  Natura;  e  quest'altra  natura,  la  ragione  dell'universo  dantesco,  stava  per  svelarsi tutta!».  Sembra  anche  qui  Edmondo  de  Amicis,  quando,  dopo  aver  veduta  e  toccata  a  Granata  la  cassetta  delle  gioie  d'Isabella  di  Castiglia,  si  guardava  le  mani,  esclamando  come  incredulo  o  trasognato:  «Io  l'ho  toccata,  con  queste  mani!».  Ma  il  Pascoli  si  ricorda,  subito  dopo,  del  doveroso  sentimento  di  modestia:  scaccia via  con  piglio  risoluto  l'orgoglio,  benché,  nello  scacciarlo,  gli  accada  (disavventura  in  cui  incappano di  solito  i  modesti)  di  accentuarlo  più  fortemente: «Cancelliamo  quelle  superbe  parole!  Mi  perdoni  chiunque  ne  sia  rimasto  scandalizzato!  Oh,  se  la  gloria  è  ombra  di  vanità...  Via  dal  cuore  cosi  perverso  fermento!».  Il  che  non  impedisce che,  qualche  anno  dopo,  egli  non  sappia  tenersi  dal  contare  la  sua  scoperta  e  la  sua  gloria  ai  fanciulli  delle  scuole  d'Italia:  «  E  io  vi  dico,  o  fanciulli,  che  il  tempio  (la  Divina  Commedia)  è  ancora  in  piedi,  e  che  è  bello  dentro  e  fuori,  e  più  bello  nel  suo  complesso  che  nei  suoi  particolari che  sono  pur  bellissimi,  e  che  nel  tempio  e  si  gode  molto,  per  la  grande  bellezza,  e  s'impara molto  per  la  ingegnosa  verità;  e  che  vi  si  può  entrare,  perchè  la  chiave  si  è  trovata.  E  se  vi  soggiungessi  che  l'ho  trovata  io,  mi  direste  superbo?  Quanti  trovano,  figliuoli  miei,  una  chiave,  in  questo  mondo,  e  non  sono  detti  superbi  se  dicon  d'averla  trovata  e  la  riportano!  E  poi,  sapete  dove  l'ho  trovata?  Nella  serratura.  Era  nella  toppa,  la  chiave  del  gran  tempio!  Era  lì,  e  bastava  appressarsi  un  poco  per  vederla  e  gi-  rarla ed  entrare!  Ma  nessuno  s'era,  a  quanto  pare,  appressato  assai  »  (Fior  da  flore,  prefaz.).  E,  an-  cora qualche  tempo  dopo,  con  rapida  mutazione  di  stile,  rivolgendosi  ai  critici,  e  alludendo  ai  suoi volumi  danteschi,  scritti  e  da  scrivere:  «Essi  furono  derisi  e  depressi,  oltraggiati  e  calunniati  ;  ma  vivranno.  Io  morrò:  quelli  no.  Così  credo,  cosi  so:  la  mia  tomba  non  sarà  silenziosa.  Il  genio  di  nostra  gente,  Dante,  la  additerà  ai  suoi  figli  ».   In  questi  giubili,  in  questi  vanti,  in  queste  stizze,  in  questa  virtù  che  si  nasconde  ma  se  cupit  ante  videri,  abbiamo  innanzi,  veramente,  non  il  fanciullo  divino  e  poetico,  ma  il  fanciullo  realistico  e  prosaico.  E  neppure  nelle  poesie  del  Pascoli  c'è  solo  il  divino  infante.  Anche  colà,  come  nella  sua  dottrina  estetica  e  critica,  i  due  esseri,  così  all'apparenza  simili,  così  nel  profondo  diversi,  sono  abbracciati  e  stretti  in  un  amplesso  indissolubile.  Questo  amplesso  del  poeta  ut  puer  e  del  puer  ut  poeta  è  forse  il  simbolo  più  ade-  guato dell'arte  di  P. INTORNO  ALLA  CRITICA   DELLA  LETTERATURA  CONTEMPORANEA   E  ALLA  POESIA  DI P. Il  mio  giudizio  sul  P. ha  suscitato  —  e  me  le  aspettavo  —  vivaci  opposizioni  e  contro-  versie. E  a  proposito  di  esso  si  è  ripreso  a  discutere di  quel  che  sia  o  debba  essere  la  critica  letteraria,  e  dei  vantaggi  e  degli  inconvenienti  di  questo  e  di  quel  metodo,  e  del  metodo  in  genere. Ecco  dunque  buona  occasione  per  meglio  chiarire  le  idee  non  ancora  del  tutto  chiare  (sebbene molto  meno  confuse  di  quanto  fossero  alcuni  anni  addietro)  sull'ufficio  della  critica,  e  anche  per  aggiungere  qualche  cosa  circa  la  poesia  del  Pascoli.   Quale  sia  il  metodo  di  critica,  che  si  professa  in  queste  pagine,  può  compendiarsi  in  poche  parole,  quasi  in  un  catechismo.  È  una  critica  fondata  sul  concetto  dell'arte  come  pura  fantasia  o  pura  espressione,  e  che  per  conseguenza  non  esclude  dalla  cerchia  dell'arte  nessun  contenuto o  stato  d'animo,  sempre  che  sia  concretato  in  un'espressione  perfetta.  Fuori  di  tale  concetto,  quella  critica  non  ha  alcun  altro  presupposto  teorico,  e  rifiuta  come  arbitrarie  le  cosiddette  regole  dei  generi  e  ogni  sorta  di  leggi  letterarie  e  artistiche.  Per  giudicare  d'arte  non  conosce  altra  via  che  quella  d'interrogare  direttamente  l'opera  stessa  e  risentirne  la  viva  impressione;  e  a  questo  fine,  e  solo  a  questo  fine,  crede  am-  messibili,  anzi  indispensabili,  le  ricerche  che  si  chiamano  storiche  o  filologiche,  le  quali  hanno  valore  ermeneutico  e  servono  a  trasportarci,  come  si  dice,  nelle  condizioni  di  spirito  dell'au-  tore nell'atto  che  formò  la  sua  sintesi  artistica.  Ottenuta  la  viva  impressione,  ossia  il  congiun-  gimento con  lo  spirito  dell'artista,  il  lavoro  ulteriore  non  può  esplicarsi  se  non  nel  determinare ciò  che  nell'oggetto  che  si  esamina  è  schietto  prodotto  di  arte,  e  ciò  che  vi  si  contiene  di  non  veramente  artistico,  come  sarebbero,  per  esempio,  le  violenze  che  l'autore  fa  alla  sua  visione  per  intenti  sovrapposti,  le  oscurità  e  i  vuoti  che  lascia  sussistere  per  ignavia,  le  gonfiature e  fiorettature  che  introduce  per  far  colpo,  i  segni  dei  pregiudizi  di  scuola,  e  tutta  insomma  la  varia  sequela  delle  deficienze  e  viziature  ar-  tistiche. Il  risultato  di  questo  lavoro  è  l'esposizione o  ragguaglio  critico,  che  dica  semplicemente (e,  nel  dir  ciò,  ha  insieme  giudicato)  wie  es  eigentlich  gewesen,  «  come  sono  andate  propriamente  le  cose  »,  secondo  la  definizione,  geniale  nella  sua  semplicità,  che  Leopoldo  Ranke dava  della  storia.  Perciò  critica  d'arte  e  storia  d'arte,  a  mio  vedere,  s'identificano:  ogni  tenta-  tivo di  critica  d'arte  è  tentativo  di  scrivere  una  pagina  di  storia  dell'arte  (intendendo  la  parola  «  storia  »  nel  suo .  senso  alto  e  compiuto,  cioè  nel  suo  senso  vero).  La  critica  distingue  e  caratterizza  le  forme  prese  dallo  spirito  artistico  nel  corso  della  realtà,  che  è  svolgimento  e  storia.  Mi  ha  recato  dunque  meraviglia  leggere  su  pei  giornali  che  questo  metodo  vuol  «  misurare  la  fantasia  e  l'estro  di  un  poeta  col  metro  di  preconcetti  pedanteschi  » ,  o  che  esso  applica  all'arte  «  i  criteri  logici  che  sono  propri  della  critica  della  scienza  » ,  o  che  si  fonda  sui  «  caratteri estrinseci  »  dell'opera  d'arte;  —  quando  vero  è  proprio  l'opposto,  cioè  che  esso  è  sorto  per  discacciare  preconcetti  pedanteschi  e  abitudini di  confusione  tra  arte  e  scienza,  e  per  ricondurre  lo  sguardo  dall'estrinseco  all'intrinseco. E  non  so  che  cosa  si  voglia  dire  con  l'accusare quel  metodo  come  «sistematico»,  giacché,  per  quel  ch'io  so,  la  mente  umana  è  sistema,  vale  a  dire  ordine;  e  si  potrà  censurare  come  imperfetto  un  particolare  sistema,  ma  non  perciò  sopprimere  mai  l'esigenza  sistematica,  la  quale  conviene  a  ogni  modo  appagare.  Non  potrei  neppure ammettere  che  il  metodo  da  me  professato  sia  bensi  buono,  ma  che  «  accanto  ad  esso  ve  ne  siano  altri  egualmente  buoni  per  giudicare  dell'arte  »,  perchè  non  intendo  come  una  funzione dello  spirito  umano  possa  avere  altro  metodo  che  non  sia  quell'unico,  che  le  è  proprio;  e  resto  stupito  quando  poi  leggo,  che  «  di  un  metodo  in  critica  non  si  dovrebbe  neppur  parlare», perchè  rispetto  troppo  il  mestiere  che  qui  faccio  per  considerarlo  come  cosa  capricciosa  e  priva  di  metodo,  cioè  di  giustificazione  e  di  valore.   Ma  confesso  che  la  meraviglia  maggiore  è  nata  in  me  dal  timore  manifestato  dal  Gar-  gano ('):  che  questo  metodo,  risolvendosi  in  un  «formolario  »,  metterà  «  d'ora  innanzi  alla  portata di  tutti  l'esame  di  ogni  produzione  letteraria,  di  coloro  specialmente  che,  sforniti  della  dote  essenziale  del  critico,  cioè  del  gusto,  crederanno  in  buona  fede  di  poter  giudicare  applicando  se-  veramente i  principi  della  logica  ».  Lasciando  stare  l'ovvia  risposta  già  da  altri  anticipata  al  Gargano  (che  di  qualsiasi  metodo  si  può  abusare  dagli  incapaci),  io  osservo  che  la  vecchia  critica,  fondata  sulle  regole  e  i  modelli,  quella,  sì,  era  facilissima  e  «  alla  portata  di  tutti  »  ;  perchè  non  ci  voleva  molto  a  sentenziare:  «  la  tale  opera  non  risponde  alle  regole  della  tragedia,  e  perciò  merita  condanna»;  ovvero:  «  il  tale  personaggio  si  conduce  in  questa  situazione  precisamente  come  il  pius  Aeneas,  e  perciò  merita  lode  di  decoroso  eroe  da  epopea».  Ma  la  critica  mo-  derna, richiedendo  insieme  idee  filosofiche  sul-  l'arte, cultura  storica,  sensibilità  estetica,  acume  di  analisi  e  forza  di  sintesi,  è  difficile.  Tanto  diffìcile  che  io  non  l'ho  vista  mai  attuata  se  non    (i)  Nel  Marzocco  di  Firenze.] a  tratti  e  lampi;  e  non  conosco  se  non  un  sol  critico  (l'ho  detto  già  molte  volte),  che  l'abbia  degnamente  esercitata  sopra  un'intera  letteratura: il  De  Sanctis.  Per  quel  che  concerne  me  che,  in  mancanza  di  altri  volenterosi,  mi  sono  provato  ad  adoprarla  per  la  contemporanea  letteratura italiana,  io  sono  di  continuo  travagliato  dal  dubbio  (igienico  dubbio)  della  mia  inade-  guatezza all'alto  ufficio.  Faccio  del  mio  meglio,  m'invigilo,  procuro  di  correggermi;  ma  non  ho  mai  la  sensazione  di  correre  un  campo  libero  di  ostacoli,  o  di  scivolare  come  in  islitta  sul  ghiaccio.  Se  altri  prova  questo  godimento,  beato  lui!   Ma  come  mai  l'enunciato  metodo  critico,  che  è  il  più  liberale  che  sia  stato  mai  concepito,  il  più  rispettoso  verso  tutte  le  infinite  individuazioni artistiche,  il  solo  che  non  prenda  il  passo  sull'arte,  viene  ad  assumere  agli  occhi  di  molti  aspetto  minaccioso  di  forza  e  di  prepotenza,  tanto  da  spingerli  alle  proteste  e  alle  accuse  malamente  formolate  con  le  parole  di  «  siste-  matismo  »,  «  logicismo  »,  «  preconcettismo  pedantesco», e  simili?  Chi  non  ignora  che  le  medesime accuse  sono  state  date  ai  metodi  dei  più  vigorosi  filosofi,  e  le  lodi  contrarie  largite  in  copia  ai  filosofi  molli  e  contradittorl  e  inconcludenti,  chi  rammenta  di  quanto  odio  siano  stati  proseguiti Spinoza  o  Hegel,  e  di  quante  simpatie  Mill  o  Spencer,  non  dura  grande  fatica  a  spiegarsi  il  caso.  La  ragione  delle  accuse,  non  potendo  essere  fondata  nella  qualità  di  quel  metodo,  deve  cercarsi  nelle  disposizioni  degli  animi  e  degl'intelletti  degli  accusatori:  in  quelle  tendenze  che  io  soglio  riassumere  con  la  parola  «pigrizia».  È  l'umana  pigrizia  che  fa  preferire  un  metodo  più  comodo,  o  almeno  rivendica  il  diritto  di  un  metodo  più  comodo  e  benigno  accanto  all'altro  troppo  severo;  la  pigrizia,  che  rifiuta  il  peso  e  scansa  la  responsabilità  del  concludere,  e  tenta  di  eludere  il  problema,  girandolando  intorno  all'arte,  cogliendone  solo  qualche  lato,  divagando  leggiadramente  o  sviandosi  in  questioni  estranee.  L'orrore  di  molti  cosiddetti  «  eruditi  »  per  la  cosiddetta  «critica  estetica»  è  l'istintiva  paura  per  un  esercizio  troppo  aspro  e  periglioso.  Met-  tere insieme  la  cronaca  dei  pettegolezzi  di  Recanati è,  si  sa,  molto  più  facile  che  non  analizzare il  Canto  del  pastore  errante.   La  pigrizia  per  altro  è,  nella  critica  della  letteratura  contemporanea,  rafforzata  da  motivi  particolari.  Quella  critica,  a  dir  vero,  considerata intrinsecamente,  non  ha  problema  diverso  da  ogni  altra  forma  di  critica,  che  concerna  le  letterature  più  da  noi  remote  nel  tempo;  e  anch'essa, come  si  è  detto,  consiste  nel  tentativo  di  scrivere  una  pagina  di  storia  letteraria.  E  se  vi  s'incontrano  condizioni  sfavorevoli,  che  non  si  trovano  nella  letteratura  più  remota,  presenta  altresì  alcune  condizioni  favorevoli,  che  mancano  nell'altro  caso:  se  nella  letteratura  contemporanea è  assai  malagevole  cogliere  il  carattere  e  il  valore  di  certi  processi  che  sono  ancora  in  fieri  o  si  sono  appena  conclusi,  laddove  per  l'antica  si  hanno   innanzi  serie   di   svolgimenti compiuti  e  nitidamente  assegnabili,  d'altro  canto  per  la  letteratura  contemporanea  si  ha  una  agevolezza d'interpretazione  e  comprensione,  che  nella  più  antica  si  ottiene  di  solito  con  grandi  stenti  e  solo  in  parte.  Vantaggi  e  svantaggi,  in-  somma, su  per  giù  si  compensano,  e  gli  uni  e  gli  altri  sono  poi  affatto  contingenti.  —  Ma  la  cosa  non  sta  allo  stesso  modo  circa  le  condizioni  soggettive,  o  meglio  i  sentimenti  e  le  passioni  individuali;  le  quali,  a  dir  vero,  nella  letteratura contemporanea,  operano  assai  di  frequente  una  vera  pressione  psicologica  per  impedire  la  posizione  esatta  e  la  soluzione  giusta  del  problema  critico.   Vi  hanno,  per  esempio,  tra  gli  autori  di  versi  e  prose  letterarie,  personaggi  o  ragguardevoli  per  situazione  sociale  o  rispettabili  per  altre  forme  della  loro  attività  o  attraenti  e  cari  per  la  loro  bontà  e  amabilità,  la  cui  opera  artistica  non  risponde  in  modo  degno  alle  altre  loro  forze  e  virtù.  Il  che  più  o  meno  tutti  avvertono,  ma  tutti  o  quasi  tutti,  come  per  tacito  accordo,  si  propongono  di  non  dire.  A  questo  intento  si  ricorre  a  una  sorta  di  critica  diplomazia,  la  quale  o  si  perde  in  vani  suoni  o  gira  il  problema  o  somiglia  al  linguaggio  di  Alete,  pieno  di  strani  modi,  «  che  sono  accuse  e  paion  lodi  ».  Si  lasci  balenare  il  più  lieve  accenno  di  critica  seria  innanzi  a  codesto  tessuto  di  frasi  abili  e  sfuggenti, e  ne  nascerà  uno  scompiglio,  come  io  stesso  ho  potuto  sperimentare  in  più  occasioni  pei  miei  giudizi.  Per  esempio,  ho  mostrato  che  nei  volumi di  un  egregio  uomo,  scrittore  di  versi,  vi  ha  cultura,  elevatezza  di  pensieri  e  d'intendimenti,  pratica  dello  scrivere,  ma  difetta  quasi  del  tutto  la  sostanza  poetica,  l'intimo  ritmo  e  il  canto.  Ed  ecco  una  schiera  di  amici  a  scandalizzarsi  e  a  darmi  sulla  voce.  «  Quello  scrittore  è  una  nobile  personalità».  D'accordo;  ma  non  è  poeta.  «  Quello  scrittore  sta  solo  in  parte,  intatto  dal-  l'applauso volgare  » .  Ciò  vorrà  dire  che  è  uomo  dignitoso,  ma  non  che  sia  poeta.  «  Quello  scrittore ha  un  aspetto  tra  di  monaco  e  di  guerriero,  e  avrebbe  potuto,  se  fosse  vissuto  nel  secolo  de-  cimosesto, comandare  una  galea  in  battaglia  contro  i  turchi  ».  Sarà,  quantunque  sia  difficile  provarlo;  ma  non  è  poeta.  «  Quella  sua  poesia  attinge  il  più  alto  segno  della  poesia  degli  acca-  demici e  professori  » .  Il  che  vorrà  dire  che  gli  accademici  e  i  professori,  in  quanto  tali,  debbono  astenersi  dalla  poesia;  ma  non  già  che  quegli  sia  poeta.  «  Se  verrà  tempo  che  non  si  guarderà  più  a  un  libro  di  poesia  da  un  punto  di  vista  estetico  secondo  la  moda  corrente,  il  suo  libro  sarà  studiato  come  un  interessantissimo  documento psicologico».  E  ciò  conferma,  per  l'ap  punto,  che  non  è  poesia,  ma  semplice  documento  biografico.  — Sono  giudizi  codesti  che,  per  quanto  strani,  potrei  tutti  documentare,  coi  nomi  degli  autori  e  con  le  altre  relative  citazioni;  ma  prego  i  lettori  di  dispensarmene  per  non  allontanarci  troppo  dalla  questione  che  sola  ora  c'interessa.  Sembra,  in  verità,  che  il  problema  che  i  più  cercano  di  risolvere,  sia  di  trovare  il  modo  di non  fare  critica,  pur  dandosi  l'aria  di  farne.  .  Innanzi  a  siffatto  proposito,  tenace  quantunque  spesso  inconsapevole,  di  nascondere  la  verità  come  a  un  malato  si  nasconde  la  gravità  della  sua  malattia,  il  critico  ingenuo,  che  ripeta  il  vecchio  e  arrogante  «  Hic  Rodhus,  hic  salta»,  il  critico  che  cerchi  determinare  chiaramente  se  una  data  opera  è  o  non  è  poesia,  il  critico  che,  insomma,  voglia  adempiere  il  dover  suo,  desta  fastidio  e  impazienza  come  personaggio  importuno,  e,  non  sapendosi  come  combattere  i  suoi  giudizi,  si  rifiuta  addirittura  il  suo  «  metodo»: quel  metodo  che  procede  o  si  accinge  a  procedere  in  guisa  tanto  indiscreta.  Guai  a  chi  si  prova  ad  accendere  una  luce  sfolgorante  dove  si  desidera  l'ombra  o  la  penombra.   Ma  il  contrasto  del  metodo  da  me  professato  con  quello  che  è  consueto  nelle  trattazioni  della  letteratura  contemporanea,  e  la  parvenza  di  ri-  gidità e  violenza  che  il  primo  assume,  possono  avere  origine  anche  da  altre  cagioni.  La  più  parte  degli  scritti  sulla  letteratura  contemporanea  sono  meramente  occasionali;  concernono  questa o  quel-  l'opera di  uno  scrittore,  non  il  complesso  della  sua  attività;  e  provengono  da  persone,  che  di  solito  propugnano  o  avversano  l' indirizzo  di  quello  scrittore  o  di  quella  scuola.  Non  dico  che  per  ciò  siano  privi  di  buona  fede  e  di  qualsiasi  verità;  e  anzi  concedo  che  offrano  sovente  osser-  vazioni delicate  o  sottili  e  giudizi  giusti.  Ma  sono  di  necessità  unilaterali,  come  unilaterale  sarei  io  stesso  se,  per  esempio,  amico  ed   estimatore del  Pascoli,  seguendo  il  mio  desiderio  o  l'altrui  in-  vito, scrivessi  l'annunzio  di  un  nuovo  volume  di  questo  poeta  :  unilaterale  e  non  bugiardo  o  falso,  perchè  mi  basterebbe  spigolare  nel  volume  mo-  tivi e  strofe  e  versi  di  molta  bellezza  (dei  quali  nel  Pascoli  è  sempre  abbondanza),  per  conciliare  in  qualche  modo  i  miei  sentimenti  personali  con  la  verità:  tacendo  sul  resto,  ossia  schivando  il  vero  ed  intero  problema  critico.  Messa  a  para-  gone di  quegli  scritti  occasionali  e  polemici,  la  parola  di  chi,  come  me,  è  costretto,  per  la  qua-  lità stessa  del  suo  assunto,  a  esaminare  tutta  l'opera  di  uno  scrittore  (la  peggiore  e  la  migliore,  il  periodo  di  genialità  e  quello  di  artifizio  o  decadenza), e  a  determinarne  tutti  gli  aspetti  per  darne  giudizio  compiuto,  sembra  ora  troppo  severa, ora  troppo  indulgente.  I  lettori  equanimi  e  bene  informati  se  ne  sentiranno  soddisfatti  ;  ma  gli  autori  di  quelle  recensioni  e  annunzi  (e  chi  non  è  autore  di  qualche  recensione  o  annunzio?),  no.  Per  ciascuno  di  essi,  a  volta  a  volta,  il  critico  è  stato  ingiusto:  una  metà  di  essi  invoca  il  panegirista,  l'altra  metà  il  carne-  fice. Così,  pei  dannunziani,  io  che  ho  definito  il  D'Annunzio  un  «dilettante  di  sensazioni»,  sono,  a  stento,  il  «  migliore  tra  i  critici  volgari  del  D'Annunzio»,  incapace  di  penetrare  nel  profondo idealismo  della  sua  arte;  ma  dagli  antidannunziani, avendo  io,  com'era  mio  dovere,  riconosciuto  le  bellissime  cose  che  il  D'Annunzio  ha  prodotto  nella  sua  ristretta  cerchia  d'ispirazione, mi  odo  invece  proclamare  un   «  bollente    SI   dannunziano»,  il  più  «gran  dannunziano  sotto  la  cappa  del  sole  ».  Ho  parlato  con  sincera  simpatia dei  versi  di  Severino  Ferrari;  ma  ciò  non  basta  a  chi  è  stato  amico  del  Ferrari  e  della  sua  poesia  si  è  fatto  una  predilezione  o  un  sacro  ricordo;  ed  ecco  che  di  quelle  mie  pagine  lau-  dative, ma  non  ditirambiche,  non  si  sa  dare  pace  qualche  cuore  tenero,  che  sul  Ferrari  ha  stam-  pato opuscoli  col  titolo:  Il  rosignolo  di  Alberino,  e  vede  con  isdegno  che  io  considero  il  valente  Severino  come  un  uomo  e  non  come  un  augello.  E  via  discorrendo,  perchè  gli  esempi  si  potreb-  bero accrescere.  Che  cosa  fare?  Io  non  me  ne  dolgo,  perchè  non  mi  dolgo  dell'inevitabile;  e  poi  ci  ho  fatto  la  pelle;  e  poi  ancora  ho  qualche  compenso,  non  solo  nella  mia  coscienza  («  coscienza »  è  parola  rettorica,  e  non  bisogna  pro-  nunziarla!), ma  anche  nelle  inaspettate  e  dolcissime manifestazioni  che  ho  ricevute  da  parte  di  alcuni  degli  autori  da  me  liberamente  criticati,  i  quali  mi  hanno  ricambiato  col  farmi  l'amichevole confidenza  delle  loro  lotte  e  dei  loro  dubbi  e  dei  loro  scontenti,  quasi  ad  illustrazione  e  conferma  di  quanto  io  aveva  spregiudicatamente  osservato.   Ancora  un'altra  cagione  che  fa  apparire  rigido ed  eccessivo  il  metodo  da  me  adoperato,  sta  nel  fatto  che  la  prolungata  consuetudine  con  la  letteratura  del  giorno  tende  ad  alterare  il  senso  della  grande  arte  e  a  deprimere  lo  standard of  faste,  il  livello  della  vita  estetica.  Di  questo  pericolo  io  sono  consapevole,  e  per  mia   parte  cerco  premunirmene,  rileggendo  di  tanto  in  tanto  i  classici  e  giovandomi  di  tale  lettura  come  di  un  esercizio  spirituale  (di  una  praepa-  ratio  ad  missam)  pel  mio  ufficio  di  critico.  Nondimeno, penso  che  i  miei  saggi  critici  sulla  letteratura contemporanea  siano  alquanto  indulgenti,  e  che  tali  saranno  giudicati  da  chi  li  rileggerà  fra  un  mezzo  secolo.  Ma,  se  io  forse  non  sono  abbastanza  esigente,  oso  dire  che  i  più  dei  miei  colleghi  in  critica,  sempre  tuffati  nella  letteratura  del  giorno,  hanno  addirittura  fatto  l'abito  a  con-  tentarsi di  poco.  Odo  frequenti  parole  sulla  «  divina bellezza  »  della  forma  del  Pascoli.  Chi  dice  questo,  quanto  tempo  è  che  non  rilegge  un'ottava  di  messer  Ludovico?  Il  D'Annunzio  ha  osato  ricordare  V Aiace  sofocleo,  a  proposito  del  suo  ultimo  dramma.  Ma  ha  egli  avuto  ben  presente  la  tragedia  di  Sofocle?  Quanto  a  me,  avendola  ripresa  tra  mano  dopo  aver  letto  la  prefazione  al  Più  che  l'amore,  giunto  appena  alle  parole  di  Odisseo:  èTCotxteipw  Sé  viv,  ecc.,  balzai  dalla  sedia  e  mi  sorpresi  a  gridare  dantescamente  al  D'Annunzio:  «  Fa',  fa'  che  le  ginocchia  cali!...  ».  E,  come  il  senso  della  classicità,  nella  consuetudine con  la  letteratura  contemporanea  si  smar  risce  sovente  quello  della  storia,  ossia  della  lentezza e  faticosità  dello  svolgimento  e  della  rarità  del  prodotto  veramente  geniale:   Tu  che  '1  diamante  pur  generi,  lenta,  in  tua  mole,  tu  sai  su  l'eterno  quadrante  quante  ore  di  secoli,  e  quante  vigilie  e  che  doglia  si  vuole,   o  laboriosa  gestante,   per  dare  un  cervello  di  Dante,   o  un  cuore  di  Shelley,  al  tuo  sole!   La  letteratura  italiana  (che  è  una  grande  letteratura) in  sei  secoli  non  offre  dieci  o  quindici  veri  poeti;  e  si  sarebbe  preteso  che  io  ne  ritrovassi una  cinquantina,  se  non  addirittura  un  centinaio,  nel  periodo  di  un  quarantennio  o  di  un  cinquantennio,  che  è  quello  che  sono  andato  investigando.  Quale  meraviglia  se,  per  la  maggior parte  degli  scrittori  che  hanno  avuto  voga  e  riputazione,  il  mio  giudizio  è  o  negativo  o  circondato  da  molte  restrizioni?  Ripeto:  anche  per  tale  rispetto  credo  di  essere  piuttosto  indul  gente  che  severo;  e  sono  indulgente  perchè  comprendo le  angosce  dell'arte,  e  tengo  conto  anche  delle  approssimazioni  al  segno  non  raggiunto,  e  persino  ho  qualche  simpatia  per  le  disfatte  non  inglorioso.  Chi  nei  secoli  venturi  riscriverà  la  storia  letteraria  dello  stesso  periodo  trattato  da  me,  avrà  (oh,  non  dubitate!)  la  mano  assai  più  ruvida  e  pesante  della  mia.   Per  queste  e  per  altre  cagioni  simili  a  queste,  che,  non  volendo  andare  per  le  lunghe,  lascio  di  enumerare  e  illustrare,  il  metodo  critico  da  me  professato  sembra,  e  non  è,  violento.  Ma  per  un'altra  cagione  sembra  poi  talora  sbagliato:  per  l'incompiuta  preparazione  mentale  della  maggior  parte  dei  critici  che  trattano  di  letteratura  del  giorno.  I  quali  sono  di  solito  (avverto  che  non  faccio  allusioni  e  non  penso  a  nessuno  in  particolare)  o  persone^  che  hanno  tentato  infelicemente l'arte  e  hanno  poi  smesso  (peggio  se  continuano a  farne,  perchè  in  tal  caso  sono  tratte  a  preparare  a  sé  medesime  l'ambiente  della  compiacenza); o  uomini  di  gusto  che,  leggendo  poesie  per  proprio  diletto  e  acquistando  cosi  esperienza  e  pratica  dell'arte,  via  via  passano  dal  discorrerne oralmente  allo  scriverne  sui  giornali,  e  diventano  per  tal  modo,  senz'averci  mai  pensato,  critici  di  professione.  Ma  a  costoro,  pur  tra  molte  belle  qualità  particolari,  manca  quello  studio  e  quella  annosa  meditazione  sui  problemi  dell'arte  e  della  critica,  e  quelle  cognizioni  di  storia  della  critica  d'arte,  che  spesso  si  provano  indispensabili; e  ciò  li  mena  a  confondersi  innanzi  a  certi  casi,  pei  quali  il  gusto  naturale  e  il  semplice  buon  senso  non  sono  bastevoli.  Talvolta,  essi  non  riescono  a  intendere  esattamente  nemmeno  i  termini,  che  adopera  il  critico  addottrinato  e  meglio  informato  dell'odissea  secolare  della  sua  disciplina.   Se  ne  desidera  qualche  esempio?  E  io  ne  darò,  restringendomi  a  quelli  che  mi  vengono  forniti  dalle  dispute  intorno  al  mio  saggio  sul  Pascoli.   Nel  quale  aveva  scritto  tra  l'altro,  di  passata,  che  «  il  pensiero  poetico  e  l'importanza  di  Dante  non  è  nelle  allegorie  e  nei  concetti  morali  ».  E  un  fervente  ammiratore  del  Pascoli  (*)  mi  redargui-  sce:  «Le  allegorie  e  i  concetti  morali  non  son    (!)  Lettera  aperta  del  prof.  Pietrobono  a  È.   C.  sulla  poesia  di  G.  P.,  nel  Giornale  d'Italia.] tutto  Dante,  lo  sappiamo:  ma  senza  quelle  e  questi  Dante  non  è  più  lui.  Chi  rinunzia  a  render-  sene ragione,  rinunzia  semplicemente  a  capirlo.  Ora  qual  critico  mai  s'è  sognato  d'insegnare  che  il  pensiero  dei  poeti  non  importa  conoscerlo?».  E  qui,  un  argomento  irresistibile  :  —  Se  si  tolgono le  allegorie,  l'arte  di  Dante  si  riduce  a  frammenti;  resta  una  ruina,  sebbene  una  nobile  ruina.  —  Ora,  come  spiegare  in  quattro  parole  al  mio  contradittore  che  il  pensiero  artistico  non  ha  che  fare  col  pensiero  allegorico  o  extrar-  tistico,  e  che  la  sintesi,  l'elemento  unificatore,  è  data  nell'arte  di  Dante  dalla  sua  possente  fantasia  e  non  già  dalle  sue  escogitazioni  di  moralista  e  di  teologo?  Questa  distinzione  di  pensiero  artistico (intuizione)  e  di  pensiero  extrartistico  è  una  delle  più  sudate  conquiste  della  scienza  este  tica.  E  come  spiegargli,  in  quattro  parole,  che  la  critica  è  stata  impotente  a  comprendere  la  grandezza  di  Dante  fintanto  che  ha  insistito  sulle  sue  allegorie  e  sulle  sue  intenzioni,  e  ha  fatto  un  gran  passo  solo  quando  (nel  periodo  romantico) ha  guardato  Dante  non  come  un  dotto  e  un  filosofo,  ma  come  un  poeta  dell'anima  pas-  sionale, quasi  uno  Shakespeare  in  anticipazione?  e  che  perciò  il  Pascoli,  che  crede  di  poter  assi-  dere  su  più  solide  basi  la  grandezza  di  Dante  scoprendo  la  sua  ìmdvota,  il  suo  pensiero  riposto,  è,  nella  storia  della  critica,  un  ritardatario,  anzi  un  fossile?   Un  altro  esempio  ci  è  fornito  dalla  questione  che  è  stata  mossa:  se  valga  la  pena,  nella  critica, di  far  tutte  le  fatiche  che  io  faccio  per   «  classificare »  e  mettere  nel  «  casellario  »   gli  scrittori, che  bisogna  invece  soltanto  gustare  e  far  gustare.  Dapprima,  a  questa   opposizione,  sono  cascato    dalle    nuvole.   Classificare?   casellario?  Ma  se  io  non  classifico  mai!  Ma  se  sono  il  più  radicale    avversario    delle   classificazioni   e   dei  casellari  (dei  generi,  delle  arti,  della  rettorica,  e  di  quanti  altri  se  ne  conoscono  di  questa  sorte),  che  sia  mai  comparso   nel  campo   estetico!   8e  mi  rifiuto  perfino  a  raccogliere  gli  scrittori,  di  cui  tratto,  in  gruppi  di  lirici,  drammaturgi,  romanzieri, e  via  dicendo  !   Ma,  poi,  ho  capito  :  i  miei  contradittori  avevano  confuso  Vintelligere  col  classificare,  la  comprensione  col  casellario,  tra  i  quali  due  procedimenti  c'è  un  abisso,  perchè  il  secondo  è  la  morte  della  critica  e  il  primo  il  suo  ufficio  proprio.  Anche  qui,  come  spiegare  in  poche  parole  una  differenza,  che  non  si  può  giu-  stificare se  non  risalendo  alle  teorie  fondamen-  tali della  logica?  Prendiamo  il   sonetto:    «  Solo  e  pensoso  i  più  deserti  campi  ».  Se  io  dico  che  è  una    «  lirica  » ,  l'ho  classificato   in   uno  degli  schemi  delle  vecchie  istituzioni  letterarie;  se  dico  che  è  un  «  sonetto  » ,  l'ho  classificato  secondo  la  metrica.  E  quella  lirica  o  sonetto  rimane  ancora  criticamente  intatto.  È   bello  o  brutto?  e  quale  stato  d'animo  esprime?  La  classificazione,  facendosi per  caratteri  esterni,  è  impotente  a  rispon-  dere a  queste  domande.  Ma  se  si  determina  la  si-  tuazione psicologica  del  Petrarca  (e  determinarla  non  si  può  se  non  ricorrendo  a  concetti,  giacché, per  sentirla  così  com'è,  non  c'è  da  far  altro  che  leggere  il  sonetto  stesso),  e  se  si  mostra  come  quella  situazione  si  è  svolta  nelle  varie  parti  del  sonetto,  e  come  tutto  bene  si  accordi  ad  essa  e  bene  l'esprima,  non  si  classifica,  ma  si  cerca  di  comprendere  il  sonetto,  cioè  di  farne  la  critica. Ora,  bene  o  male,  questo  e  non  altro  io  mi  sono  sforzato  di  fare  pel  Pascoli  e  per  gli  altri  scrittori,  che  sono  andato  esaminando.  Il  «  classificare »  non  c'entra;  e  la  confusione  tra  i  due  procedimenti  è  di  quelle  in  cui  possono  cascare  soltanto  le  menti  non  abbastanza  disciplinate.  A  talun  altro  il  modo  della  mia  critica,  in  fondo,  non  dispiace;  ma  gli  sembra  troppo  freddo  e  ragionatore  e  polemico,  e  preferirebbe,  per  esempio,  il  calore  e  l'eloquenza  di  Giuseppe  Mazzini.  E  ciò  andrebbe  bene,  se  io  fossi  Mazzini; ma,  essendo  Cecco  «come  sono  e  fui»,  non  posso  discorrere  se  non  nel  tono,  che  è  proprio al  mio  temperamento.  Così  il  De  Sanctis,  educatore  e  maestro  nell'anima,  non  poteva  scrivere di  critica  al  modo  del  Carducci,  poeta  nell'anima. Voglio  dire,  che  non  bisogna  confondere  il  metodo  della  critica,  che  dev'esser  uno,  coi  temperamento  dei  critici,  che  non  può  non  esser  vario;  e  non  bisogna  (codesto  ci  mancherebbe!) mettere  tra  i  requisiti  della  critica  un  particolare  temperamento.  All'osservanza  del  metodo  tutti  sono  obbligati;  ma  nessuno  è  tenuto  a  sforzarsi  a  un  tono  a  lui  estraneo:  che  anzi  ciò  gli  è  assolutamente  vietato  sotto  pena  di  cadere  nell'artifizio,  nella  rettorica  e  nella  l'aisita.  Amo  grandemente  il  De  Sanctis  e  ne  accolto  le  idee  fondamentali;  ma  mi  sarebbe  impossibile  imitare  il  suo  stile,  e  mi  guardo  pur  dal  ten-  tarlo. Mi  si  prenda  dunque  come  sono,  con  la  mia  simpatia  per  gli  schiarimenti  e  le  digressioni filosofiche,  con  la  mia  tendenza  alla  polemica e  alla  controcritica,  col  mio  tono  prosastico  e  talvolta  sarcastico,  col  mio  dilettarmi  talvolta  Bioneis  sermonibus  et  sale  nigro,  perchè  posso  bensi  correggere  i  miei  errori  quando  me  ne  accorgo,  ma  non  posso  e  non  debbo  mutare  il  mio  essere.  —  Così  anche  non  so  come  si  sia  potuto  far  questione  di  bontà  di  metodo  pel  fatto  che,  nell'esaminare  il  Pascoli,  ho  esaminato  altresì  le  opinioni  dei  critici  intorno  a  lui:  dico  «  anche»,  perchè  non  è  vero  che  quello  sia  stato  il  mio  punto  di  partenza:  il  punto  di  partenza  (e  l'introduzione  stessa  del  mio  scritto  ciò  mostra  chiaro)  fu  l'impressione  diretta,  prodottami  dalla  lettura  dei  versi  di  lui.  Vi  ha  questioni  vessate  o  pregiudicate,  perchè  già  molte  volte  tentate  e  trattate;  e  lo  scrittore  (che  si  riattacca  sempre  agli  scrittori  precedenti  e  con  essi  dialoga)  non  può  non  tenere  conto  di  quanto  altri  intelletti  hanno  osservato  e  pensato  intorno  al  suo  argomento, non  solo  per  trarne  aiuto,  ma  anche  per  conoscere  verso  quali  punti  deve  orientare  la  sua  esposizione  critica.   E  basti  di  ciò.  Mi  sembra  di  aver  difeso  il  metodo  da  me  professato  contro  gli  appunti,  in  verità  non  gravi,  che  gli  sono  stati  mossi,  e  posso  concludere  con  tanto  maggiore  sicurezza   e  franchezza,  che  quel  metodo  è  buono,  in  quanto  esso  non  è  mia  privata  invenzione  e  possesso,  ma  è  il  risultamento  della  storia  della  critica.   So  bene  che  mi  si  osserverà:  —  Tu  hai  difeso  il  metodo,  ma,  nel  caso  del  giudizio  circa  il  Pascoli,  non  si  tratta  di  metodo,  sibbene  di  applicazione. «  Il  padre  Zappata  predicava  bene,  ma  razzolava  male  » ,  mi  proverbia  il  Gargano  in  un  secondo  suo  articolo  (*);  senonchè,  nel  primo,  aveva  invece  rifiutato,  mi  sembra,  il  metodo  e  non  l'applicazione,  o  questa  solamente  come  effetto  di  quello.  Dunque,  procediamo  per  divi-  sione. Di  metodo  non  si  parla  più?  Il  metodo  è  buono?  Si?  Questo  mi  premeva  soprattutto.  E  la  questione  è  terminata;  e  siamo  d'accordo.   E  possiamo  ora  passare  all'  «applicazione»,  ossia  al  caso  particolare  del  mio  giudizio  sul  Pascoli.   Dove  mi  si  para  innanzi  una  pregiudiziale,  perchè,  a  detta  di  taluno  dei  miei  contradittori,  a  me  sarebbe  accaduta  una  piccola  disgrazia,  per  la  quale  potrei  bensì  utilmente  discettare  in  teoria,  ma  non  potrei  accostarmi  ai  casi  parti-  colari. «  Il  Croce,  grazie  alla  prolungata  rifles-  sione e  al  ripensamento  della  filosofia  hegeliana,  non  si  trova  più  nello  stato  di  fresca  ver-  ginità, di  docilità  amorosa,  che  è  necessaria  per  seguire  i  poeti  nelle  loro  fantasie...  »  (2).  Vera-    ci) Nel  Marzocco,  del  7  aprile.   (2)  G.  A.   Sartini,   nella  rivista    Studium,   di   Milano.] mente,  una  siffatta  verginità,  che  consisterebbe  nel  non  meditare,  non  che  io  l'abbia  perduta,  non  l'ho  mai  posseduta;  e  sono  per  questo  rispetto  in  condizioni  gravi,  quasi  direi  nelle  medesime  condizioni  di  quella  Quartina  sacerdotessa, che  esclamava  appo  Petronio:  Junonem  meam  iratam  habeam,  si  unquam  me  memine-  rim  virginem  fuisse.  Ma  conosco  e  posseggo  un'altra  «verginità»,  che  si  rinnova  ogni  qual  volta  il  mio  animo  corre  a  dissetarsi  nella  poesia:  una  verginità,  che  potrà  somigliare  alquanto  a  quella  di  Marion  de  Lorme  (come  si  vede,  non  intendo  esaltarmi  mercè  i  personaggi  coi  quali  mi  paragono):   Ton  soufflé  a  relevè  mori  àme.  ....  Près  de  toi  rieri  de  moi  n'est  reste,  et  ton  amour  m'a  fait  une  virginité!   Ma,  naturalmente,  concedo  subito  che  io  possa  avere  sbagliato  nel  giudizio  sul  Pascoli;  anzi  questa  concessione  è  già  implicita  in  quel  che  ho  detto  di  sopra  circa  le  difficoltà  della  critica  d'arte.  E  non  solo  per  ciò  che  riguarda  il  Pascoli.  Ho  esaminato  finora,  nei  miei  saggi,  l'opera  complessiva  di  parecchie  decine  di  contempora-  nei scrittori  italiani;  e,  quantunque  abbia  adoperato ogni  diligenza,  se  pensassi  di  non  essermi  mai  distratto,  di  aver  semptre  reso  esatta  giustizia a  tutti  quegli  scrittori  e  a  tutte  le  singole  loro  opere,  sarei  un  fatuo.   E,  se  avessi  sbagliato  circa  il  Pascoli,  certo  me  ne  dorrebbe,  e  ne  proverei  una  qualche  contrarietà  e   mortificazione  di   amor  proprio;  ma  stia  tranquillo  il  dottor  Rabizzani,  che  ha  pubblicato testé  un  bell'articolo  sul  Pascoli  ('),  nel  quale,  tra  l'altro,  si  dà  pensiero  della  possibilità  di  un  mio  «postumo  pentimento»,  e  mi  ricorda  sin  da  ora,  per  incoraggiarmi,  il  nobile  atto  di  contrizione  che  lo  Chateaubriand  recitò  pel  suo  giudizio,    nientemeno,    sullo   Shakespeare  :  —  ho  fiducia  che  troverei  in  me  la  quantità  di  coraggio necessaria,  e  saprei  consolarmi,  pensando  che,  costretto  io  a  lacerare  cinquanta  delle  non  poche  mie  pagine  di  prosa,  l'Italia  avrebbe  assodato  io  cambio  la  gloria  di  un  suo  forte  e  perfetto  poeta.  Ma  ho  poi  sbagliato?  Temo  di  no,  a  giudicare  anzitutto  dai  modi  tenuti  nelle  loro  risposte  dai  miei  avversari.  Uno  dei  quali,  il  Gargano   (un  critico  con  cui  in  altre  questioni  letterarie  ho  avuto  il  piacere  di  andar  d'accordo),  in  un  primo  articolo,  in  luogo  di  difendere  il  Pascoli,  assalì  il   metodo   in  genere,  che,  come   si   è    visto,    è  affatto   incolpevole;  in   un   secondo    articoletto,  cercò   di   farmi   passare  per  uno  che  sfuggisse  alla  discussione  (laddove  il  vizio  del  quale,  se  mai,  debbo  correggermi,  è  l'opposto);  in  un  terzo,  finalmente,  cavò  fuori  uno  strano  pensiero  :  che  cioè    «  sembra  avere  io  ora  scelto  come  bersaglio dei  miei  colpi  i  poeti  più  celebri  dell'Italia  di  mezzo  »  (2):  il  che  suona  un  appello,  vero  e    (!)  Nella   Nuova  rassegna  di  Firenze,  aprile-maggio  1907,  pp.  457-479.   (2)  Nel  Marzocco.]  proprio,  alle  brutte  passioni  del  campanilismo.  E  mi  pare  perciò  che  l'affetto  pel  suo  poeta  gli  abbia,  questa  volta,  mosso  nell'animo  sentimenti  di  stizza  verso  chi  è  di  avviso  alquanto  diverso  dal  suo:  e  la  stizza  (ecco  un  adagio  ben  trito)  non  giova  alla  causa  che  si  difende.   Vediamo,  a  ogni  modo,  le  controcritiche  ;  le  quali  si  sono  aggirate  quasi  sempre  sui  particolari delle  analisi  che  io  ho  date  di  alcune  poesie  del  Pascoli  per  illustrare  il  mio  giudizio  generale  sull'opera  di  lui.   Nella  poesia  La  voce  ho  mostrato  come  quel  «Zvani»,  che  fa  da  ritornello,  rompa  brutta-  mente la  delicatezza  dell'ispirazione.  Il  prof.  Pie-  trobono  (*)  dà  al  mio  giudizio  questo  significato:  che  io  non  ammetta  l'uso  del  dialetto  nella  poesia  e  nella  prosa  colta;  e  mi  ricorda  il  miscuglio  dialettale omerico,  con  erudizione  alquanto  remota,  quando  poteva  semplicemente  citare  ciò  che  io  stesso  ho  scritto  più  volte  (2)  per  difendere  il  dialetto  e  il  miscuglio  dei  dialetti.  Ma  no:  quel  «  Zvani  »  mi  spiace  come  mi  spiacciono  di  fre-  quente le  onomatopee  ornitologiche  del  Pascoli,  non  perchè  dialetto,  ma  perchè  mi  sembra  un  modo  alquanto  comodo  e  semplicistico  di  risolvere  il  problema  artistico,  offrendo  la  materialità  della  cosa  invece  del  suo  spirito.  Come  mai  il  Pascoli,  che  freme  e  trema  alla  voce  della  morta,    (i)  Si  veda  la  citata  Lettera  aperta  del  rev.  prof.  Pietrobono.  (2)  Si  veda,  tra  l'altrev   a  proposito  del  Di  Giacomo,  in  Letter.  d.  nuova  Italia,  in,  97-100.    II  alla  voce  di  sua  madre,  può,  nel  medesimo  istante,  mettersi  freddamente  a  contraffare  quella  voce  e  rimodulatia  dilettautescamente  dentro  di  sé?  Quella  voce  dovrebbe  sentirsi  dappertutto  nella  lirica,  e  non  lasciarsi  mai  fissare nella  sua  determinatezza  estrinseca  e  nel  suo  contorno  preciso.  È  un  «  infinito  >  di  ango-  scia e  di  nostalgia,  che  non  bisogna  rendere  finito  e  tascabile.  Il  mio  contradittore  afferma  che  «quel  Zvani...  ci  sta  d'incanto,  specie  se  si  pronunzia  a  dovere»;  e  così  scopre  egli  stesso  la  sollecitudine  di  salvare,  per  virtù  di  pronunzia,  l'effetto  di  quel  ritornello.  Che  cosa  dirgli?  Io  mi  provai  a  pronunziarlo  in  tutte  le  più  varie  intonazioni;  me  lo  feci  perfino  leggere  da  un  amico,  valente  lettore  di  versi:  e  la  stonatura mi  parve  e  mi  pare  sempre  gravissima.  Forse,  se  lo  sentissi  pronunziare  da  lui,  sarei  vinto,  e  qualche  lacrima  mi  sgorgherebbe;  ma  anche  in  quel  caso  mi  resterebbe  il  dubbio  di  avere  reso  omaggio  non  alla  virtù  del  poeta,  ma  a  quella  del  bravo  declamatore,  che  sa  come  si  tappino  i  buchi  o  si  scivoli  sulle  asprezze  del-  l'espressione poetica.   Si  dica  lo  stesso  del:  «  Papà,  papà,  papà  »  dell'altra  poesia  Un  ricordo.  Qui  il  Gargano  anche  osserva  che  io  mi  son  «  fatto  lecito  di  associare  ad  una  delle  più  soavi  elegie  pasco-  liane  il  ricordo  di  una  canzonetta  napoletana  volgaruccia  anzi  che  no  » .  Mi  son  fatto  lecito?  Si  posseggono  non  so  quante  parodie  di  Omero  e  di  Dante,  anzi  quasi  non  c'è    verso   di  quei  grandi  che  non  sia  stato  parodiato  e  cui  non  sia  appiccato  un  ricordo  buffo;  eppure  non  mi  accade  mai  di  ricordarmene  quando  leggo  Omero  e  Dante.  Quella  reminiscenza  di  opera  buffa  mi  è  stata  suscitata,  e  comandata,  a  quel  punto,  dal  Pascoli stesso,  per  l'imperfezione,  pel  vano  sforzo,  in  quel  punto,  della  sua  arte.  Che  poi  (come  nota  il  precedente  contradittore)  «  Un  ricordo  e  la  Cavalla  storna  seguiteranno  a  commovere  i  let-  tori anche  quando  noi  saremo  fatti  vecchi,  ecc.  »,  sarà  e  non  sarà:  ma  sono  affermazioni  con  le  quali  il  dibattito  non  fa  un  passo  innanzi.   Per  dare  un  piccolo  e  curioso  e  quasi  scher-  zoso esempio  del  modo  in  cui  il  Pascoli  tende  a  strafare,  ho  notato  il  mutamento  del  titolo  dell'ottava  Neve  in  quello  di  Orfano.  Il  Gargano  risponde:  «  Quel  bimbo  non  è  soltanto  ora  diventato orfano;  lo  era  già  prima,  quando  lo  cullava  sempre  quella  vecchia,  che  neppure  allora  era  sua  madre».  Perchè?  La  situazione  della  poesia  è  nel  contrasto  tra  lo  squallore  nivale  della  realtà  e  il  bel  giardino  della  fantasia,  la  dura  vita  reale  che  quell'essere  umano  dovrà  una  volta  affrontare  e  l'illusione  in  cui  viene  cullato.  La  vecchia  può  essere  la  nonna  o  la  balia,  e  lasciar  presupporre  vivente  o  morta  la  madre.  Tutto  ciò  non  cangia  nulla  all'essenza  poetica  dell'ottava.  Il  nuovo  titolo  lagrimoso,  che  richiama  una  sventura  al-  quanto contingente  e  individuale  del  bambino,  mi  sembra  che  impicciolisca  e  non  rafforzi.   L'altro  contradittore  mi  fa  notare  che  io  ho  sbagliato  nel  parlare,  a  proposito  della  poesia  Il  sogno  della  vergine,  della  culla  come  di  una  culla  reale,  laddove  è  una  culla  metaforica.  E  ha  ragione,  e  lo  ringrazio  di  avermi  fatto  accorto  della  svista  in  cui  sono  incorso  nello  stendere  i  miei  appunti;  come  anche  di  avermi  avvertito  (altra  svista)  che  le  strofe  di  Un  ricordo  sono  composte  di  dieci  e  non  di  nove  versi.  Correggerò. Ma  ciò  non  tocca  il  punto  sostanziale  della  mia  critica,  che  sta  nel  notare  la  soverchia  accentuazione data  alla  figurazione  metaforica  o  no  che  sia  (e  peggio  ancora  se  metaforica)  della  culla:  «Si  dondola,  dondola,  dondola»  ecc.,  e  l'eccessiva  dilatazione  in  una  lunga  poesia  di  un  motivo  (i  figli  non  nati),  del  quale  un  gran  poeta  avrebbe  fatto  appena  un  incidente  e  un  tocco,  che  in  questa  sua  rapidità  sarebbe  rimasto  indi-  menticabile. —  Così  nella  poesia:  /  due  cugini,  io  credo  che  dopo  la  strofa:   Tu,  piccola  sposa,  crescesti:  man  mano  intrecciavi  i  capelli,  man  mano  allungavi  le  vesti,  —   l'altra  che  segue:   Crescevi  sott'occhi  che  negano  ancora;  ed  i  petali  snelli  cadeano:  il  flore  già  lega;   sia  uno  stento  d'immagini,  che  ottenebra  e  non  potenzia  le  immagini  della  strofa  antecedente.  Il  mio  contradittore  vuole  che  il  Pascoli,  in  quella  seconda  strofa,  faccia  sorgere  accanto  alla  bam-  bina   «l'immagine  della   madre,   con   quel   suo  sentimento  di  grande  delicatezza,  ond'è  mossa  a  desiderare,  come  tutte  le  mamme,  che  la  figliuola  le  resti  sempre  piccina  »,  sentimento  che  «  fa  eco  e  si  sostituisce  al  desiderio  inespresso  e  ormai  inesprimibile  del  piccolo  morto».  Sarebbe  un  parallelismo  artifizioso  e  una  lambiccatura;  e,  a  ogni  modo,  si  veda  se  tutto  ciò  è  poi  detto  con  la  frase  oscurissima  :   Crescevi  sott'occhi  che  negano  ancora...   Il  metodo  ermeneutico  qui  adoperato  dal  mio  contradittore  mi  ricorda  quello  di  un  erudito  campano,  il  quale,  una  trentina  d'anni  fa,  inte-  stato che  Pier  della  Vigna  fosse  nato  a  Caiazzo,  avendo  trovato  colà  alcuni  frammenti  di  marmo  con  le  lettere  nus  M.,  aul,  reas  f.  r.,  coraggiosamente integrò:  «  Dominus  Magister  Petrus  de  Vinea  Magne  Imperialis  Aule  Protonotarius  Edes  Marmoreas  Fecit  Restituii  »  ;  e  pretendeva  aver  ragione  contro  il  Capasso,  che  non  gli  me-  nava buona  la  troppo  abbondante  integrazione.  —  Vuole  ancora  il  mio  contradittore  che  «  il  cadere  dei  petali  snelli,  della  fiorita  d'ali  che  la  rassomigliava  a  un  lucherino,  esprima  un  nuovo  dolore  per  il  morto,  che  vede  cadere  quello  che  in  lei  principalmente  amò  »  :  come  se  il  pasticcio  di  metafore,  onde  le  metaforiche  ali  diventano  petali  di  fiori,  accresca,  e  non  piuttosto  confonda,  le  belle  e  dirette  immagini  dell'intrecciare  man  mano  i  capelli  e  dell'allungare  man  mano  le  vesti.  Vuole,  inoltre,  che  «  la  pennellata  sobria e  pudica  del  '  fiore  che  lega  '  dica  come  la  fanciulla cominci  a  diventar  donna  e  annunzi  quel  c  nuovo  seno  '  che  il  bimbo  ignora  »  :  come  se,  sempre  dopo  la  prima  bellissima  strofetta,  ci  volesse  il  vieto  paragone  del  fiore  per  fare  inten-  dere il  formarsi  della  bambina  a  donna.  —  Ma  perchè  non  essere  schietti  e  non  confessare  la  semplice  e  prosaica  verità?  Al  Pascoli,  dopo  la  prima  strofetta  uscitagli  di  getto,  mancò  la  vena  ;  e,  non  sapendo  come  riempire  la  seconda,  che  pure  il  prefisso  schema  strofico  richiedeva,  continuò alla  peggio  nella  primitiva  redazione:   Crescevi,  come  erba  nel  prato.   I  petali  dai  ramoscelli   già  caddero,  e  il  fiore  ha  legato  (')•   Questa  strofetta,  assai  scialba  e  sciatta,  non  poteva  contentarlo;  e  procurò  di  rabberciare,  sostituendole  quella  che  abbiamo  or  ora  esaminata. Ma  il  lavoro  di  rappezzo  poetico  non  gli  riusci,  come  non  riesce  ora  il  rappezzo  critico  al  suo  difensore.   E  lascio  d'inseguire  altri  particolari,  e  mi  restringo  ad  osservare  che  il  mio  contradittore  ha  frainteso  il  mio  pensiero  circa  i  metri,  quando  ha  creduto  che  io  volessi  stabilire  che  un  soggetto  non  può  essere  trattato  se  non  in  una  determinata forma  metrica,  mettendo  in  rapporto  i  metri  in  astratto  e  i  soggetti  in  astratto.  Tutti  sanno    (!)  Con  questa  variante  la  lirica  1  due  cugini  fu  pubblicata  la  prima  volta  nel  Marzocco.]  c;he  io  ho  sostenuto  sempre  l'opposto,  e  ho  negato  ogni  valore  alla  dottrina  metrica  come  fondamento di  giudizio  estetico  (').  Io  ho  inteso  sempre  parlare  della  disarmonia  di  molte  poesie  del  Pascoli,  la  quale  dalla  disannonia  nel  metro  si  stende  a  quella  nelle  proporzioni  del  componimento e  nelle  accentuazioni  delle  immagini,  alle  materialità  inopportune,  e  via  dicendo;  e,  se  ho  parlato  di  queste  cose  come  distinte,  l'ho  fatto  per  semplice  espediente  espositivo  o  didascalico.  L'osservazione  enfatica  che  «  Dante  nella  terzina  ha  gittato  il  bronzo  di  Farinata,  l'odio  di  Ugo  lino,  la  timida  preghiera  della  Pia  e  il  volo  dell'aquila portata  da  Cesare  »,  può  fare  effetto  sui  profani,  ma  lascia  freddo  chi  come  me  ha  sempre  affermato  che  non  solo  ogni  terzina  è  diversa  da  ogni  altra  terzina,  ma  ogni  verso  da  ogni  verso,  anzi  ogni  parola  da  ogni  altra  parola,  anche  quelle  che  il  vocabolario  pone  come  iden-  tiche: l'«  amore»  di  Francesca,  nelle  terzine:  «Amor  che  a  cor  gentil»  ecc.,  (dice  benissimo  il  mio  amico  Vossler)  non  è  una  stessa  parola  tre  volte  ripetuta,  ma  sono  tre  parole  diverse.  Tanto  il  Gargano  quanto  il  Pietrobono  e  il  dottor  Rabizzani  si  meravigliano  che  io,  dopo  avere  approvato  come  belle  alcune  descrizioni  nei  poemetti  georgici  del  Pascoli,  resti  perplesso  sull'insieme  e  mi  domandi:  «Dov'è  il  mondo  interno   del  poetar».   «Ebbene,  in  questo  caso    (!)  Si  veda,  per  es.,  Problemi  di  estetica,  pp.  163-66.    (scrive,  e  più  efficacemente  degli  altri  due,  il  Rabizzani,  a  cui  do  la  parola)  il  mondo  interno  del  poeta  è  proprio  il  mondo  che  sta  fuori  di  lui  e  che  solo  per  opera  d'intuizione  vien  riprodotto. Dinanzi  alla  cosa  veduta  c'è  l'occhio  che  vede  e  modifica  inconsciamente  e  sceglie  scientemente eliminando  la  scoria  delle  impressioni  inutili  per  far  luogo  solo  a  quelle  che  possono  determinare  la  sua  visione.  Così  la  descrizione  è  obbiettiva  per  gli  elementi  che  la  costituiscono,  ma  subiettiva  per  il  modo  nel  quale  sono  costituiti. Ed  è  inutile  cercare  dietro  ad  esso  una  corrispondenza  morale  propria  del  poeta;  tanto  varrebbe  cercare  i  regni  celesti  oltre  la  zona  fisica  del  padiglione  costellato.  C'è  nella  nostra  coscienza  estetica  un  residuo  di  simbolismo  per  il  quale  la  natura  ha  diritto  di  vivere  nell'arte  solo  a  patto  che  un'allegoria  la  giustifichi  •» .  Per-  fettamente d'accordo  nel  principio  che  non  bisogni cercare  nelle  poesie  l'allegoria,  e  che,  se  un  residuo  di  allegorismo  resta  in  fondo  alla  coscienza  estetica,  occorra  liberarsene,  io  non  sono  poi  d'accordo  nel  credere  al  valore  delle  descrizioni oggettive  in  poesia.  Se  una  descrizione  non  è  soggettiva,  ossia  non  ha  afflato  lirico  (e  s'intenda pure  la  lirica  in  tutte  le  sue  gradazioni  fino  alla  ironia  e  allo  scherno),  non  ò  poesia.  E  poiché  questo  afflato  lirico  non  manca  in  molti  punti  dei  poemetti  georgici  del  Pascoli,  io  li  ho  ammirati; e  poiché  non  li  investe  tutti  (pel  solito  difetto  che  è  in  lui  di  perdersi  nei  particolari  e  nelle  sottigliezze),  ho  notato  in  quei  poemetti il  miscuglio  di  un  poeta  vero  con  un  verseggiatore e  descrittore  meramente  virtuoso.   Nel  giudizio  sui  Poemi  conviviali,  anche  il  Pietrobono  riconosce  esatta  la  caratteristica  da  me  data  dell'atteggiamento  spirituale  tutt'al-  tro  che  omerico,  anzi  sommamente  raffinato,  del  Pascoli;  e  solamente  crede  che  io  faccia  di  ciò  un  rimprovero  al  Pascoli,  il  che  non  mi  è  mai  passato  pel  capo.  Io  ho  insistito  invece  sul  modo  di  concezione  e  composizione  di  quei  poemi,  che  sembrano  mucchi  di  frammentini  delicati:  è  tutta  carne  molle,  e  manca  l'ossatura;  di  qui  la  scarsa  loro  efficacia.  Chi  ripensi,  per  esempio,  ai  Sepolcri del  Foscolo,  intenderà  ciò  di  cui  lamento  la  mancanza  nel  Pascoli.  E  quando  il  mio  contra-  dittore  si  duole  che  né  io  né  altri  abbia  osservato «  che  lungo  e  che  grande  amore  debba  esser  costato  al  Pascoli  la  ispirazione  di  quei  suoi  Poemi  conviviali,  in  cui  rinovera,  analizza  e  rivive  a  una  a  una  ordinatamente  le  età  di  Omero  e  di  Esiodo,  quella  dei  tragici  greci  nei  Poemi  di  Ate,  quella  dell'arte  plastica  in  Sileno,  i  pen-  samenti di  Platone  nei  poemi  di  Psiche,  e  ci  denuda  l'anima  dell'età  di  Alessandro,  di  Tiberio,  dei  popoli  di  Oriente  in  Gog  e  Magog,  e  finalmente canta  l'annunzio  dell'era  novella  cristiana,  nella  quale  tutte  le  altre  si  assommano  e  conluiscono a  produrre  la  civiltà  moderna  »,  —  sono  costretto  a  rispondere  ancora  una  volta,  che  egli  dimentica  un  principio  di  critica,  pel  quale  la  ricchezza  di  erudizione,  l'ordine  storico  sapiente,  la  giustezza  del  colore  storico,  e  via  dicendo, sono  cose  tutte  estranee  all'arte  ;  tanto  vero,  che  si  trovano  anche  in  poeti  mediocri,  i  quali,  incapaci  di  scrivere  dieci  bei  versi  d'amore,  sono  poi  resistentissimi  nel  comporre  trilogie  e  decalogie  di  drammi,  cicli  di  poemi  e  leg-  gende di  secoli,  con  relative  annotazioni  storiche dottissime.   Senonchè,  qual  è  poi  il  giudizio  complessivo  e  conclusivo  che  i  miei  contradittori  hanno  opposto  a  quello  da  me  proposto  e  dimostrato  intorno  all'opera  del  Pascoli?  Ho  innanzi  a  me  i  parecchi  articoli,  che  si  sono  pubblicati  a  proposito del  mio  studio;  e  cerco  una  conclusione  diversa  dalla  mia,  e  non  la  trovo.  Ecco  il  Rabizzani,  che  si  dava  pensiero  di  una  mia  possibile  e  probabile  conversazione:  «  Pur  non  accettando  le  conclusioni  a  cui  giunge  il  Croce  nella  crudità  della  formola  e  nel  rigore  dello  spinto,  dobbiamo  ammettere  il  carattere  frammentario  dell'opera  pascoliana.  Il  poeta  ha  uu  grande  mondo,  ma  non  è  ancora  riuscito  ad  esprimerlo  compiutamente.  Per  ora,  la  sua  sovranità  è  nell'abisso  della  sua  mente.  E  quand'an-  che non  riuscisse  a  farnela  uscire,  noi  gliene  daremmo  il  merito,  sebbene  l'Amiel  abbia  detto  che  le  genie  latent  rìest  qu'une  prèsomption:  tout  ce  qui  peut  étre,  doit  devenir,  et  ce  qui  ne  devieni  pas  n'ètait  rien».  Mi  pare  giudizio  assai  più  severo  del  mio;  e,  se  mai,  ho  paura  che  il  dottor  Rabizzani  dovrà  fare  una  penitenza  più  grossa  della  mia.  Ecco  la  Rivista  di  cultura  di    don    Romolo    Murri,   non    certo   avversa  a Pascoli  e,  a  ogni  modo,  assai  equanime»:  Non  dividiamo,  a  proposito  del  Pascoli,  il  giudizio  recentemente  datone  dal  Croce:  giudizio  giu-  sto nella  sostanza,  se  riguarda,  nell'insieme, l'opera  e  l'ispirazione  poetica  del  Pascoli,  ma  ingiusto  per  rapporto  a  molte  particolari poesie.  E  vogliamo  dire  questo:  che  il  Pascoli  non  ha  una  così  ricca  e  possente  ispirazione  poetica  che  non  gli  venga  mai  meno  nel  suo  molto  versificare,  né  un  cosi  fine  e  sicuro  gusto  da  non  dare  al  pubblico,  della  molta  opera  sua,  se  non  quello  che  è  Anito  o  perfetto;  ma,  dall'altra  parte,  quello  che  il  Croce  concede  di  strofe  e  di  brani  di  poesie,  che  sono  di  un  vero  e  grande  poeta,  noi  pensiamo  si  possa  raramente  estendere  a  poesie  intere  »  (i).  Non  dividiamo;  ma,  viceversa,  dividiamo.  Un  altro  e  temperato  critico  affaccia  un  dubbio,  ma  comincia col  concedere:  «Il  Croce  ha  messo  il  dito  sulla  piaga:  lo  smarrirsi  dell'ispirazione  universale nel  mare  dei  particolari  è,  presso  il  Pascoli,  un  caso  non  infrequente.  Ma  non  sarebbe  questo  un  segno  de'  tempi,  non  sarebbe  la  parte  caduca  dell'arte  pascoliana,  la  quale  vivrà  egualmente  ne'  secoli  ad  onta  di  tutti  i  suoi  difetti,  ombra  appena  percettibile  a  petto  ai  suoi  grandissimi  pregi?»  (2).  Perfino  il  Pietrobono  non  sa  dire  altro  circa  il  carattere  generale  della  poesia  del  Pascoli   se  non   che   quella   è   «  una  gran  bella    (1)  Rivista  di  cultura,  19  maggio  1907.   (2)  F.   Pasini,  nel  Palvese,  di  Trieste.] poesia»;  lode  che,  nella  sua  indeterminatezza,  potrei  concedere  anch'io.  Perchè,  se  alla  poesia  del  Pascoli  non  avessi  riconosciuto  valore,  e  molto  valore,  non  le  avrei  fatto  (questo  è  ben  chiaro)  l'onore  di  un  lungo  esame,  e  di  questa  non  breve  discussione,  che  ora  gli  ha  tenuto  dietro.   1907.    Ili   DODICI  ANNI  DOPO   1.   Ancora  sulla  poesia  del  Pascoli  (*).   Da  una  dozzina  d'anni  non  avevo  letto  quasi  più  nulla  del  Pascoli,  saziato  dallo  studio  che  un  tempo  feci  delle  cose  sue  per  scrivervi  in-  torno un  saggio,  il  quale,  quando  fu  pubblicato,  nel  1907,  parve,  peggio  che  severo,  ingiusto.  E  con  curiosità  ho  tolto  tra  mano  la  scelta  che  delle  poesie  di  lui  ha  testé  curata  il  Pietrobono  {Poesie  di  Giovanni  Pascoli,  con  note  di  Luigi  Pietrobono,  Bologna,  Zanichelli,  1918);  con  curiosità (prego  il  lettore  di  credermi)  assai  bene-  vola, animata  dal  desiderio  di  scoprire  nel  Pascoli, dopo  tant'anni,  aspetti  che  allora  potevo  non  avere  scorti,  e  di  giudicare,  dopo  tant'anni,  con  mente  rinfrescata,  non  solo  la  poesia  di  quel    (»)  Dalla  Critica,  XVII,  1919,  pp.  320-28.    poeta,  ma  lo  stesso  giudizio  mio.  Il  Pascoli  non  è  più;  e  tra  il  tempo  ch'egli  ancora  viveva  e  il  presente  sono  accaduti  tanti  straordinari  avve-  nimenti, che  hanno  respinto  assai  indietro,  nel  remoto,  gli  anni  anteriori  al  1914,  comprimendoli in  un  periodo  già  chiuso,  quasi  con  lo  stesso  cangiamento  di  prospettiva  che  la  Rivoluzione  francese  fece  per  gli  anni  anteriori  al  1  789.  Ho  levato  dunque  gli  occhi  verso  il  Pascoli  come  verso  un  autore  del  vecchio  tempo  (del  «  buon  »  vecchio  tempo  ?),  pel  quale  non  si  può  non  esser  disposti  a  simpatia;  e  perfino  l'averlo  criticato  nei  giorni  lontani  accresceva  il  sentimento  di  simpatia,  perchè  anche  questo  mi  formava  un  legame  con  lui,  anche  questo  me  lo  faceva  parte  di  una  parte  della  mia  vita  passata.  S'aggiunga  che  il  compilatore  del  volume,  il  Pietrobono,  ha  molto  amato  il  Pascoli  ed  è  colto  e  fino  ingegno, e  m'invogliava  perciò  a  rileggere  quelle  poesie  sotto  la  sua  guida  bene  informata,  esperta  ed  affettuosa;  e,  a  dir  vero,  per  questo  riguardo,  non  mi  è  toccata  alcuna  delusione,  e  credo  che,  posto  che  giovi  adornare  di  comento  le  opere  del  Pascoli,  non  si  poteva  eseguir  tale  compito  in  modo  migliore  di  quello  tenuto  dal  Pietrobono, che  non  può  esser  tacciato  se  non  forse  di  sottigliezza  e  ingegnosità  eccessive,  effetti  di  eccessivo  amore.   Ma,  pel  resto,  ahi,  ahi,  come  la  mia  buona  intenzione,  la  mia  mite  e  sentimentale  e  malinconica disposizione  d'animo,  è  stata  presto  tutta  sconvolta!  Come   mi   son  sentito  riprendere  di    Ili  - colpo  dall'antica  ripugnanza,  e  risospingere  al-  l'antica riprovazione,  fotta  più  acuta  e  più  violenta dalla  stessa  serenità  con  la  quale  mi  ero  messo  a  riconsiderare,  dalla  stessa  aspettazione  che  avevo  carezzata  di  poter  temperare  il  mio  antico  giudizio  o  integrarlo  col  riconoscimento  di  alcune  cose  belle  di  quella  poesia!  E  la  riprovazione si  è  volta  in  isdegno,  ricordando  di  aver  letto  su  pei  giornali  letterari,  che  è  ormai  venuto il  tempo  d'introdurre  il  Pascoli  nelle  scuole  italiane,  a  modello  o  incitamento  stilistico  per  la  nuova  generazione.  Oh,  no!  Noi  non  abbiamo  il  diritto  di  propagare  nella  nuova  generazione  le  malsanie  e  i  vizi  nostri;  non  abbiamo,  in  ogni  caso,  il  diritto  di  toglier  d'innanzi  ad  essa  quelli  che  la  tradizione  dei  secoli  ha  consacrati  classici,  per  surrogarvi  gl'idoli  delle  nostre  fuggevoli  esaltazioni,  dei  nostri  morbosi  sentimentalismi,  e  dei  nostri  capricci.   Ciò  che  altra  volta  ebbi  a  notare,  ciò  che  sempre  mi  era  sommamente  spiaciuto  nei  versi  del  Pascoli,  e  mi  aveva  fatto  dubitare  della  sua  virtù  poetica,  mi  s'è  ripresentato  subito  agli  occhi,  appena  aperto  il  volume,  alle  prime  pagine. È  quasi  la  caratteristica  della  sua  arte  :  il  dissidio  tra  ritmo  e  metro  :  il  ritmo  del  sentimento  che  richiede  un  certo  andamento,  che  s'intrav-  vede,  si  presente,  si  attende,  e  il  metro  che  gliene  dà  un  altro.  Donde  anche,  introdotta  questa  prima  scissione  nell'inscindibile,  il  compiacersi  nel  par-  ticolare per  sé  fuori  della  nota  fondamentale,  e,  per  un  altro  verso,  caricare  il  tono  per  ottenere   l'effetto  cercato  :  disarmonia  ed  affettazione.  Vedo  che  il  comentatore  insiste  su  ciò,  che  la  poesia  del  Pascoli  è  poesia  di  dissidio;  e  teorizza  che  €  il  dubbio  è  uno  stato  d'animo  anch'esso,  e  il  poeta  che  n'è  vittima,  e  vuol  essere  sincero,  bisogna  pure  che,  come  sente,  così  si  esprima,  e  non  rifugga  dall'apparire  nel  tempo  stesso  ot-  timista e  pessimista,  ecc.  » .  E  starebbe  benissimo,  e  non  ci  sarebbe  niente  da  ridire,  se  si  trattasse  solo  di  contrasti  psichici;  ma  i  contrasti  psichici  debbono,  in  arte,  essere  composti  in  armonia  estetica:  ciò  che  l'uomo  divide,  e  ciò  che  divide  l'uomo,  la  dea  dell'arte  congiunge.  Che  è  poi  per  l'appunto  quel  che  al  Pascoli,  per  infelicità  d'in-  gegno, non  veniva  mai  fatto.   Si  tagliò  da  una  siepe  —  era  un  mattino  triste  ma  dolce  —  il  suo  bordone,  e,  volta  '  la  fronte,  mosse  per  il  suo  cammino.   Si  sente  che  lo  scrittore  vorrebbe  esser  sem-  plice, ma  la  terzina,  invece,  si  gira  e  si  dondola,  come  compiacendosi  di  sé  stessa.  Si  noti  quel  «volta  la  fronte»,  che  atteggia  il  personaggio  come  un  attore,  che  prende  a  rappresentare  la  sua  parte.  E  non  pago  di  aver  dato  quest'at-  teggiamento, lo  scrittore  vi  calca  sopra:   SI:  mosse.   Al  che  il  comentatore  :  «  Si  accorge  di  aver  ado-  perata una  parola  forse  superba,  e  la  ripensa  come  per  correggerla;  ma  trova  invece  che  non  la  sua  superbia,  ma  la  verità  glie  l'ha  posta  sulle labbra,  e  la  conferma  » .  Ora,  veramente,  non  si  vede  qual  superbia  ci  sia  nel  «  moversi  per  il  proprio  cammino»;  ma  ben  si  vede  che  il  Pa-  scoli ha  «  ripensata  »  la  sua  parola,  ossia,  al  so-  lito, l'ha  vezzeggiata,  compiacendovisi.   E  quella  era  la  siepe  folta  d'un  camposanto,  ed  era  il  camposanto,  quello,  dove  sua  madre  era  sepolta.   Affettazione  di  semplicità  che  s'impaccia  nelle  ampie  pieghe  del  verso  e  della  strofa,  e  affettazione di  sentimentalità,  in  quella  fantasia  del  bordone,  tagliato  dalla  siepe,  e  proprio  da  quella  del  camposanto,  e  proprio  del  camposanto  in  cui  giaceva  la  madre  morta.   D'allora  ha  errato.  Seco  avea  soltanto  il  suo  bordone.  E  qua  tese  la  mano,  e  qua  la  porse.  E  ha  gioito  e  pianto.   Solennità  apparente,  vuoto  sostanziale,  tutte  frasi  generiche  che  paiono  dire  grandi  cose  e  dicono  nulla.  E  le  frasi  generiche  continuano  nella  terzina che  segue:   E  vidi  il  fiume,  il  mare,  il  monte,  il  piano:  tutto...   Sì,  tutto,  perchè  non  ha  visto  niente  di  particolare e  di  significante.   e  a  tutto  era  più  presso  il  cuore  di  quanto  il  piede  n'era  più  lontano.   Sentimento,  che  potrebbe  esser  vero,  ma  è  reso  in  forma  di  antitesi,  e  perciò  falsato  in  un  giochetto.  Invece  di  sentirci  riempire  l'animo  da  quel  sentimento,  ci  soffermiamo  ad  analizzare,  con  lo  scrittore,  il  giochetto.   Così  si  va  innanzi  sino  alla  fine:  peggiorando,  perchè  il  bordone  mette  poi  foglie,  germina,  ra-  dica, e,  senza  diventare  simbolo  vivente,  s' ingoffisce in  cattiva  allegoria.   Il  secondo  componimento  del  volume  è  quello  de  Le  ciaramelle.  Chi  non  sente  come  liquefarsi  l'anima  al  loro  suonoj^Jfla  appunto  chi  questo  -Tret*ter~c1:uè  preso  da  un  soave  palpito  al  riudire  le  ciaramelle,  palpita  così  perchè  non  è  lui  una  ciaramella,  ma  un'anima,  che,  ormai  diversa  e  matura,  è  riportata  alle  immagini  e  alle  com-  mozioni della  fanciullezza.  Ricordo  la  vigilia  di  "Natale,  evocata-  dal  Di  Giacomo  in  una  sua  lirica d'amore:  la  Napoli,  verso  sera,  tripudiente,  rumoreggiante,  piena  di  lumi,  guardata  dal  poeta  dal  mezzo  della  collina,  che  le  sovrasta.  Ci  sono  anche  le  zampogne:   Saglieva  'a  dinto  Napule,  nzieme,  cu  tanta  voce,  cunfusa  'int'  a  na  nebbia  na  luce  'e  tanta  lume:  sentevemo  'e  zampogne,  c''o  suono  antico  e  ddoce  jenghere  ll'aria,  e  tutti  sti  voce  accumpagnà...   Ma  il  Pascoli  si  fa  lui  ciaramella,  e  ciaramelleggia  con  esse:   Udii  tra  il  sonno  le  ciaramelle,  ho  udito  un  suono  di  ninne  nanne.  Ci  sono  in  cielo  tutte  le  stelle,  ci  sono  i  lumi  nelle  capanne.   Sono  venute  dai  monti  oscuri  le  ciaramelle  senza  dir  niente;  hanno  destata  nei  suoi  tuguri  tutta  la  buona  povera  gente...   Una  filastrocca  tutta  ripetizioni  di  concetti,  ar-  guzie, insistenze,  affanno,  piagnucolamento  :  una  bruttura.   E  sorvolo  sul  terzo  componimento  {La  voce)  —  quello  di  «  Zvani  »,  —  perchè  l'altra  volta  già  ne  mostrai  la  sconvenienza  e  sconcezza  ;  e  libo  appena  il  quarto,  in  cui  l'abbaiar  di  un  cane  a  notte  alta  è  chiuso  in  istrofe  di  questa  sponta-  neità:   là  nell'oscura  valle  dov'errano  sole,  da  niuno  viste,  le  lucciole,   sonava  da  fratte  lontane   velato  il  latrare  d'un  cane;   e,  in  tanto  artificio  e  scontorcimento  e  ballon-  zolamento,  il  cane  abbaia  davvero,  fa  bau-bau:   Va!  va!  gli  dice  la  voce  vigile,  sonando  irosa  di  tra  le  tenebre...   E,  infine,  incontrandomi  nel  quinto  compo-  nimento {Valentino)  —  con  le  galline  che  schia-  mazzano: «  Un  cocco!  Ecco  ecco  un  cocco  un  cocco  per  te!  » ,  —  mi  arresto  e  non  procedo  oltre.   Cioè,  smetto  di  percorrere  ordinatamente  il  volume  e  lo  sfoglio  qua  e  là;  e  su  qualunque  cosa  poso  l'occhio,  ritrovo  le  stesse  affettazioni.  Ecco  il  tanto  celebrato  Aquilone:  nel  quale  lo  scrittore   vorrebbe  ritrarre   un   momento   della propria  vita  di  fanciullo,  risvegliatosi  noi  suo  ricordo  alla  vista  di  una  bella  mattina,  piena  di  sole,  che  lo  riconduce  ad  altra  simile  di  quei  tempi  lontani.  Ma  la  sua  incapacità  a  fecondare  un  motivo  poetico,  si  che  produca  la  propria  for-  ma, si  dimostra  qui  chiara  dal  suo  ricorrere  (cosa  che  è  sfuggita  al  Pietrobono)  a  una  forma  bella  e  fatta,  all'Idillio  maremmano  del  Carducci.  Il  canto  del  Carducci  comincia:   Col  raggio  del  mattin  novo  eh'  inonda  roseo  la  stanza,  tu  sorridi  ancora  improvvisa  al  mio  cuore,  o  Maria  bionda!   E  il  Pascoli,  sebbene  col  solito  tono  di  appa-  recchio e  d'affettazione,  comincia  allo  stesso  modo:   C'è  qualcosa  di  nuovo  oggi  nel  sole,  anzi  d'antico:  io  vivo  altrove,  e  sento  che  sono  intorno  nate  le  viole.   Son  nate  nella  selva  del  convento  dei  cappuccini...   Il  Carducci  termina:   Meglio  era  sposar  te,  bionda  Maria!   Meglio  ir  tracciando   Meglio  oprando  obliar   E  il  Pascoli:   Meglio  venirci  ansante,  roseo,  molle  di  sudor,  come  dopo  una  gioconda  corsa  di  gara  per  salire  al  colle!   Meglio  venirci  con  la  testa  bionda,  che  poi  che  fredda  giacque  sul  guanciale,  ti  pettinò  co'  bei  capelli  a  onda   tua  madre...  adagio,  per  non  farti  male.    Ma  le  parole  del  Carducci  sono  schiette,  il  tono  eguale;  e  quelle  del  Pascoli  una  sequela  di  abi-  lita da  virtuoso,  frigidissime:  versi  troppo  vibrati non  si  sa  perchè,  specie  il  terzo  di  ciascuna  terzina;  versi  che,  non  si  sa  perchè,  fanno  spicco:   tra  le  morte  foglie  che  al  ceppo  delle  quercie  agita  il  vento;   immagini  leziose,  come  l'aquilone  che  s'innalza:   s'innalza;  e  ruba  il  filo  dalla  mano,  come  un  fiore  che  fugga  su  lo  stelo  esile,  e  vada  a  rifiorir  lontano;   e  falsità  di  ritmo  e  leziosaggini,  che  impediscono alle  più  gentili  immagini  di  acquistare  la  loro  musica:   Si  respira  una  dolce  aria  che  scioglie  le  dure  zolle,  e  visita  le  chiese  di  campagna,  ch'erbose  hanno  le  soglie  (bello!):   un'aria  d'altro  luogo  e  d'altro  mese  e  d'altra  vita:  un'aria  celestina  che  regga  molte  bianche  ali  sospese  {troppo   [cincischiato  !)...   E  tutto  il  componimento  ha  un  aspetto  di  con-  gegnato, di  preparato  («Sì,  gli  aquiloni!  È  que-  sta una  mattina  Che  non  c'è  scuola...»),  direi,  di  ginnastico,  alienissimo  della  vera  poesia.   E  a  proposito  del  Carducci  e  del  Pascoli.  Mi  fu  raccontato,  da  chi  v'era  presente  (uno  dei  nostri  più  fini  artisti),  che  un  giorno  il  Carducci,  trat-  tenendosi in  casa  di  amici  e  trovato  sul  tavolino  un  volume  del  Pascoli,  ne  lesse  qua  e  là  ad  alta  voce  alcune  pagine,  e  poi,  richiudendolo  d'un  colpo  e  posandovi  su  la  mano,  ammoni  gli  astanti:  —  Questa,  non  è  poesia!  —  La  stessa  sentenza  mi  sale  dai  precordi,  dopo  avere  riassaggiato le  composizioni  del  Pascoli.  Gridate  contro  di  me  quanto  vi  piace:  questa,  non  è  poesia.   E  se  non  è  poesia,  eppure  ha  avuto  tanta  voga,  ed  ha  ancora  tanti  ammiratori,  donde  la  ragione  della  sua  fortuna?  Credo  da  ciò,  che  essa  giunse  opportuna:  la  grande  poesia  italiana,  mercè  i  diversi  ma  del  pari  alti  esempì  del  Manzoni  e  del  Leopardi,  era  stata  salvata  dallo  scompiglio  romantico,  e,  mercè  quello  del  Car-  ducci, dalle  mollezze  dell'ultimo  romanticismo.  E  l'esempio  del  Carducci  operò  anche  sul  D'An-  nunzio (non  solo  nel  giovanile  Canto  novo,  ma  anche  qua  e  là  di  poi)  come  freno,  e  come  freno  operò  nel  primo  e  nel  miglior  Pascoli  (le  prime  Myricae):  ma,  più  tardi  nel  D'Annunzio  e  più  presto  nel  Pascoli,  quel  freno  s'allentò,  e  proruppe  in  essi  la  letteratura  decadente,  che  era  in  ag-  guato dietro  le  loro  anime,  e  l'uno  e  l'altro  diventarono precursori  e  avviatori  del  futurismo.  Il  Pascoli,  meno  vigoroso  del  D'Annunzio,  il  quale  ha  avuto  una  sua  forza  di  gioia  sensuale,  che  è  stata  la  sua  sanità  e  si  è  guastato  soprattutto  con  l'intellettualismo  dell'eroico  e  ora  del  reli-  gioso; il  Pascoli,  che  era  disposto  al  sentimentalismo, doveva  più  gravemente  soggiacere  al  de-  cadentismo e  futurismo,  alla  spinta  analitica,  alla disarmonia,  al  disgregamento,  alle  smorfie  e  alle  sconcezze  dell'impressionismo  inconcludente.  E  poiché  la  sua  corruttela  estetica  prendeva  per  materia  la  pietà,  la  bontà,  la  tenerezza,  la  tri-  stezza, la  morte  (diversamente  dal  D'Annunzio  il  quale  si  compiaceva  di  altre  cose,  che  davano  scandalo  ai  timorati),  al  Pascoli  è  stato  possibile  soddisfare  in  modo  decente  quel  ch'era  di  mal-  sano nelle  anime  timorate,  e  persino  nei  preti  :  —  come,  per  un  altro  verso,  il  Fogazzaro  è  stato  il  D'Annunzio  dei  cattolici,  ed  ha  scritto  per  le  famiglie  cattoliche  il  Piacere  e  il  Trionfo  dello  morte  sotto  i  titoli  di  Daniele  Cortis,  di  Ma-  lombra e  di  Piccolo  mondo  moderno.   Con  quali  aspettazioni  abbiano  accolto  il  Pascoli i  cattolici  si  può  vedere  dalla  prefazione  stessa  del  Pietrobono,  che  è  preso  da  quella  condizione di  lui  tra  la  fede  e  l'incredulità,  interpe-  trandola  quasi  presentimento  di  cielo,  quasi  persecuzione che  il  Signore  faceva  di  un'anima,  che  ancora  gli  riluttava.  E  da  essa  si  può  vedere  quanto  potere  il  sentimentalismo,  lo  spirito  di  pietà  e  di  carità,  il  desiderio  e  le  esortazioni  alla  pace,  della  quale  il  Pascoli  si  era  fatto  professio-  nale rappresentante,  abbiano  avuto  sui  cuori  te-  neri, a  segno  da  far  dimenticare  che  tutto  ciò  in  poesia  non  vai  nulla  se  non  diventa  poesia,  ed  è  addirittura  odioso  quando  procura  di  surrogare  al  mancante  valore  di  poesia  materiali  valori  di  sentimento.   Così  ora  i  decadenti,  gli  stilisti  (che  sono  poi  decadenti,  perchè  sol  essi  pensano  allo  «  stile  »  :  i  grandi,  i  classici  lo  hanno  e  non  vi  pensano),  vorrebbero  introdurre  la  poesia  e  la  prosa  del  Pascoli  nelle  scuole,  nelle  scuole  classiche,  come  ideale  di  finezza  artistica;  e  i  cuori  teneri,  nelle  scuole  elementari,  come  educatrici  a  gentili  affetti, e  i  preti  nelle  loro,  perchè  non  vi  si  parla  di  amore  (di  quell'amore  che  è  persino  nel-  Y Adelchi  e  nei  Promessi  sposi]).  Ma  per  le  scuole  elementari  è  proprio  indispensabile  il  Pascoli?  Non  c'è  di  più  vecchio  e  di  meglio?  Non  c'è  il  poeta  che  facevano  leggere  a  noi  ragazzi, e  imparare  a  mente,  il  buon  canonico  Parzanese,  gloria  di  Ariano  di  Puglia?  Se  è  necessaria per  certi  usi  una  poesia  non  poetica,  una  poesia  pratica,  quella  del  Parzanese  fa  sempre perfettamente  al  caso  ;  e  quasi  mi  vuol  parere  che  essa  dia,  per  questa  parte,  la  realtà  di  ciò  che  il  Pascoli  invano  si  sforzò  di  raggiungere.  Volete  onomatopee?   Suona,  o  campana,  suona,  o  campana,  suona  vicina,  suona  lontana.  Tu  sei  la  musica  del  poveretto,  che  nel  sentirti  piange  d'affetto;  ei  sol  comprende  la  tua  parola,  quando  sonora  per  l'aria  vola.   Dig  din,  dog  don,   T'allegra,  o  povero,  questo  è  il  tuo  suon!   Volete  riproduzioni  di  movimenti?   Dote  non  ho  né  panni,  e  pur  vo'  farmi  sposa.  Passati  son  tre  anni  che  la  mia  man  non  posa.  Ma  il  tempo  via  sen  va,   e  il  caro  dì  verrà   che  tanto  il  ciel  sospira;   Filatoio,  gira,  gira.    Volete  ninna-nanne?   Dormi.  La  bella  luna  prende  del  ciel  la  via;  passa,  e  sulla  tua  cuna  un  bianco  raggio  invia.  Pe'  poveri  Iddio  vuole  che  splenda  luna  e  sole.  Dormi,  fanciullo  mio,  dormi,  ti  veglia  Iddio.   Volete  figurini  di  curati?   Zitto!  Cessi  lo  strepito  e '1  baccano:  che!  non  vedete  il  nostro  buon  pievano?  8' inoltra  passo  passo  il  vecchierello:   traetevi  il  cappello.   E  di  poverelli?   Se  vedete  un  vecchierello   d'occhi  cieco  e  d'anni  stanco,   senza  scarpe  né  mantello,   che  alla  figlia  appoggia  il  fianco,   nel  recinto  del  castello   date  loco  al  vecchierello...   E  di  sventurati?  Chi  non  ha  lagrimato   per  la  cieca  del  Parzanese?   Non  mi  dite  che  torna  il  mattino  a  svegliare  le  cose  dormenti  ;  non  mi  dite  che  d'oro  e  rubino  sono  i  lembi  del  cielo  ridenti.  Il  mio  ciglio  il  Signor  non  aprio...  Deh!  sia  fatto  il  volere  di  Dio.  Ed  era  molto  gentile,  quella  cieca:   Quando  sento  il  profumo  d'un  giglio,  voi  mi  dite  ch'è  bianco  qual  neve.  Com'è  il  bianco?  — In  pensier  lo  somiglio  a  quel  senso  che  l'alma  riceve  quando  ascolta  sull'ala  del  vento  d'un  liuto  il  lontano   lamento...   Che  cosa  mai  sono  venuto  recitando?  Vecchi  suoni  dell'  infanzia,  anche  questi  ;  ma,  al  tempo  stesso,  cosette  modeste,  adatte  al  loro  pratico  intento,  ben  intonate,  che  mi  ridanno  quel  senso  di  equilibrio,  che  gli  spasmodici  ritmi  del  Pascoli mi  avevano  tolto:  del  Pascoli  che  (per  dir  tutto  in  una  parola)  in  arte  era  un  atassico,  ossia  non  coordinava  i  suoi  movimenti.   «  Quiconque  ne  sent  pas  ce  defaut  est  sans  aucun  goùt  ;  et  quiconque  veut  le  justifier  se  rnent  à  lui  mérne.  Ceux  qui  m'ont  fait  un  crime  d'étre  trop  sevère,  m'ont  force  à  Vétre  vèritablement  et  à  n'adoucir  aucune  véritè  »  (Voltaire,  commento  sul  Corneille).    2.  Il  «  Paulo  Ucello  »  (1).   Il  Pascoli  lesse  nel  Vasari  che  Paolo  di  Dono  dipingeva  storie  di  animali,  «  de'  quali  sempre  si  dilettò,  e  per  fargli  bene  vi  mise  grandissimo    (i)  Dalla  Critica.] studio,  e,  che  è  più,  tenne  sempre  per  casa  di-  pinti uccelli,  gatti,  cani,  e  d'ogni  sorta  ani-  mali strani  che  potette  avere  in .  disegno,  non  potendo  tenerne  de'  vivi  per  esser  povero;  e  perchè  si  dilettò  più  degli  uccelli  che  d'altro,  fu  cognominato  Paulo  Ucello  >  (Vite,  ed.  Milanesi,  II,  208).  Lesse  e  fraintese,  perchè  il  biografo  non  volle  punto  dire  che  Paolo  amasse  gli  uccelli  e  gli  altri  animali  e,  non  potendo  farne  acquisto,  im-  pedito da  povertà,  se  li  dipingesse  per  suo  gaudio  sulle  pareti  di  casa,  ma  che  amava  dipingere  uccelli  ed  altri  animali  (compresi  leoni  e  serpenti e  ogni  sorta  di  brutte  bestie)  e  che,  non  essendo  in  grado  di  possederne  i  vivi  modelli,  aveva  adunato  in  casa  sua  quanti  disegni  potesse procurarsene.  La  notizia,  data  dal  Vasari,  si  riferisce  alla  comune  vita  degli  artisti,  ed  è  psicologicamente  comprensibile  e  naturale;  ma  lo  stesso  non  si  può  affermare  della  interpetra-  zione  o  fraintendimento  del  Pascoli,  perchè  (si  rifletta  un  istante)  a  quale  verità  psicologica  risponderebbe  questa  surrogazione  del  dipingere  al  possedere?  Chi  desidera  un  uccellino  reale,  desidera  qualcosa  di  pratico,  e,  non  potendo  ot-  tenerlo, si  dorrà  o  si  rassegnerà;  ma  non  tro-  verà mai  un  equivalente  o  un  sostituto  omogeneo a  quell'oggetto  nell'attività  artistica,  che  trascende  l'uccellino  come  realtà  vivente  e  si  compiace  nel  proprio  creare.  Chi  ama  una  donna,  ama  quella  donna,  la  desidera,  .la  brama;  ma,  se  si  mette  a  dipingerla,  l'abbassa  a  materia  o  modello  che  si  chiami,  e,  in  quell'atto,  trascende  il  suo  amore  e  ogni  altra  cosa  terrena,  ed  è  Innamorato, non  più  di  una  donna,  ma  di  un'idea.  Tanto  vero  che  raccoglitori  e  amorevoli  curatori  di  animali  domestici  non  sono  mai  i  pittori  di  ani-  mali, ma  le  vecchie  signorine  e  i  vecchi  celibatari; e  il  pittore  Dalbono,  famoso  in  Napoli  per  la  sua  mania  di  riempirsi  la  casa  di  gatti,  non  dipingeva  gatti,  ma  festosi  paesaggi  di  Napoli.  Ma  forse  il  Pascoli  non  fraintese  per  isvista  di  lettura,  e  volle  deliberatamente  fraintendere,  ossia  sul  testo  del  Vasari  ideò  quella  sua  immaginazione di  un  Paolo  Ucello,  desideroso  di  avere  uccelli  in  casa,  e  sfogantesi  nel  ritrarli,  e  tuttavia  tornante  sempre  al  suo  desiderio.  Perchè?  Perchè  quell'immaginazione  gli  parve  commovente,  leggiadra,  tenera.  Pensate  un  po'!  Un  gran  pittore,  che  passa  pel  mercato,  vede  un  fringuello  in  gabbia,  rosso  in  petto  e  nero  il  mantello,  che  gli  somigliava  un  fraticino  di  san  Marco,  vorrebbe  portarselo  a  casa,  ma  non  ha  un  grosso  per  comperarlo,  e  tira  innanzi  con  quel  mortificato  desiderio  nel  cuore,  e  va  alla  sua  opera  della  giornata,  ma  la  sbriga  il  più  presto  che  può,  per  tornare  a  casa  e  aggiungere  ai  tanti  uccelli  che  ha  già  dipinti  sulle  pareti,  ai  tanti  suoi  desideri  insoddisfatti,  là,  sopra  un  ramoscello  di  melo,  quel  «monachino  rosso».  Quanta  gente  non  si  lascia  subito  prendere  da  queste  immaginazioni  leggiadre,  tenere,  commoventi! Quanta?  Moltissima:  tutta  la  legione  dei  pascoliani,  che,  da  alcune  settimane  in  qua,  stanno  dando  prova  dei  gentili   sentimenti   che  siffatte  immaginazioni  educano  negli  animi,  e  li  dimostrano  nelle  loro  mansuete,  francescane  parole, indirizzate  a  Sorella  Critica!  Ma  quella  moltissima  gente  è  anche  di  facile  contentatura;  e,  come  si  compiace  nel  verso  che  suona  e  non  crea,  così  sdilinquisce  per  le  immagini  che  paiono  attraenti  e  sono  vuote,  vuote  di  schietto  e  profondo sentire.  Che  vi  sia  o  non  vi  sia  una  realtà  psicologica  nell'atto  attribuito  a  Paolo  di  Dono,  essa  non  cura  :  si  attiene  alla  superfìcie  e  scatta  in  entusiasmi,  che  altro  non  chiedono  e  non  aspettano  che  di  scattare.   Comunque,  ideata  quella  prima  arguzia  o  acutezza  sentimentale,  il  Pascoli  non  si  fermò.  E  perchè  avrebbe  dovuto  fermarsi?  Con  lo  stesso  metodo,  e  con  lo  stesso  buon  successo,  poteva  foggiarne  quante  altre  voleva.  E  immaginò  che  Paolo  Uccello  fosse  terziario,  e  che  nel  suo  irrefrenabile desiderio  di  un  possesso  terreno,  fosse  anche  di  quello  -tenuissimo  di  un  uccellino,  peccasse; e  che,  dunque,  san  Francesco  gli  apparisse, là,  sulla  parete,  tra  la  sua  pittura  o  dalla  sua  pittura,  e  lo  rimproverasse  e  lo  ammonisse,  e  lo  purgasse  di  profani  desideri,  e  poi,  andando  via,  attingesse  dallo  scollo  del  suo  cappuccio  briciole  di  pane  e  le  spargesse  per  la  campa-  gna, e  gli  uccelli  volassero  a  quel  lieto  convito,  e  Paolo,  quetato  alfine,  si  addormentasse  nel  suo  sogno.  La  poesia  s'iunalzava  così,  a  suo  credere,  a  idealità  francescana.   Tale  fu,  per  chiunque  abbia  qualche  pratica  di  poeti  e  poesia,  la  genesi  di  questo  Paulo  U cello, lodatissimo  tra  i  componimenti  del  Pascoli.  Ed  è  chiaro  che  non  fu  una  genesi  poetica,  ma  senti-  mentalistica, come  di  solito  in  quel  tempo  della  produzione  pascoliana,  quando  l'autore  si  era  dato  tutto  in  balia  a  certe  sue  impoetiche  tendenze, incoraggiato  e  traviato  da  false  lodi,  specie  da  quelle  di  amici,  che  par  si  fossero  proposto  di  addensargli  intorno  un  velo  e  fargli  perdere  il  senso  della  realtà,  e  un  po'  lo  vagheggiavano  attraverso quel  velo,  un  po'  celiavano  sulle  sue  bizzarrie.  Senonchè,  la  poesia  non  può  nascere  da  intenzioni,  per  gentili  che  siano,  perchè  tutte  le  intenzioni  sono,  in  questo  caso,  aride,  unilaterali, astratte;  ma  nasce  dalla  piena  umanità  commossa, come  suono  tra  i  suoni,  accordato  con  gli  altri  suoni,  non  mai  tutta  tenera  o  tutta  gentile  o  tutta  leggiadra.  Anche  la  poesia  dell'idealità  francescana;  della  quale  uno  dei  più  vivi  esempi  che  mi  vengano  ora  a  mente  è  un  verso  e  mezzo  di  Tommaso  Campanella,  in  un  suo  duro  e  nodoso sonetto,  dove,  ritratto  l'orrore  dell'umano  egoismo,  le  lotte,  le  insidie,  le  calunnie,  e,  più  di  tutto,  gl'infingimenti  interiori  per  cui  l'uomo  «  sé  stesso  annichilando  si  converte  alfine  in  istìnge»,  improvvisamente  esclama,  come  se  gli  si  spieghi  innanzi  un  lembo  di  paradiso:   Tu,  buon  Francesco,  i  pesci  anche  e  gli  uccelli  frati  appelli!...   E,  se  si  vuole  un  esempio  più  a  noi  vicino,  ricorderò il  sonetto  del  non  professionale  francescano Carducci,  quel   sonetto,  in   cui   il   poeta,  alla  vista  della  fertile  costa  che  pende  dal  Su-  basio,  considera  commosso  su]  piano  laborioso,  che  al  sol  di  luglio  risuona  di  canti  d'amore,  Santa  Maria  degli  Angeli:   Frate  Francesco,  quanto  d'aere  abbraccia  questa  cupola  bella  del  Vignola,  dove  incrociando  a  l'agonia  le  braccia  nudo  giacesti  su  la  terra  sola!...   Poiché  la  genesi  non  fu  poetica  ma  intenzionale, o,  come  io  dico,  intellettualistica,  il  Pascoli  non  potè  indovinare  la  forma  poetica,  la  quale  è  tutt'uno  con  l'ispirazione,  e  nell'ispirazione  è  già  delineata  e  mossa.  E  prese  a  stendere  il  suo  estratto  quintessenziale  di  tenerezze  e  dulcitudini  e  francescanerift  in  una  forma  artificiosa  ed  estrinseca,  che  è  subito  dimostrata  tale  dalla  monotonia dell'  intonazione,  dalla  semplicità  troppo  semplice,  che  in  essa  si  osserva.  Si  desiderano  prove  di  ciò?  Come  darle  a  chi  non  ha  orecchio  per  sentire  il  tono  falso?  Come  fissare  in  alcune  parole  ciò  che  è  diffuso  in  ogni  snodatura  e  spezzatura della  sintassi,  in  ogni  inflessione  della  voce?  La  critica  (l'ho  detto  tante  volte)  ha  un  limite  o  un  presupposto  che  si  chiami:  il  presupposto che  si  abbiano  occhi  per  ben  vedere  e  orecchi  per  ben  udire.  Tutt'al  più,  essa  può  aiutare  con  qualche  indicazione:   Dipingea  con  la  sua  bella  maniera  sulla  parete,  al  fiammeggiar  del  cielo.  E  il  monachino  rosso,  ecco,  lì  era,   posato  sopra  un  ramuscel  di  melo.  Che  la  parete  verzicava  tutta  d'alberi..     0  anche:   Oh!  non  voglio  un  podere  in  Cafaggiolo,  come  Donato:  ma  un  cantuccio  d'orto,  sì,  con  un  pero,  un  melo,  un  azzeruolo.   Ch'egli  è  pur,  credo,  il  singoiar  conforto  un  capodaglio  per  chi  l'ha  piantato!...   Ma  un  rosignolo  io  lo  vorrei  di  buono...   Un  altro  aspetto  di  questa  forma,  senza  in-  timo freno,  senza  intima  sua  legge,  e  che  ha  accattato  una  legge  dall'esterno,  da  un  proposito  della  mente,  da  uno  sforzo,  da  uno  stento  di  vellicare i  cuori  teneri  e  tenerli  in  dolce  spasimo,  è  il  frazionamento  nei  particolari,  le  lungherie,  le  materialità  inopportune.  Il  Pascoli,  anche  in  questo  caso,  non  ci  risparmia  né  le  nomenclature  di  uccelli,  né  le  sensazioni  fìsiche,  per  es.,  dei  becchi  che  beccano  le  miche  sparse  (  «  E,  come  un  bruscinar  di  primavera,  Rimase  un  trito  bec-  chettio sonoro»),  né  il  solito  usignuolo  onomatopeico, che,  alla  dipartita  del  santo,  canta  chiedendo «dov'era  ito...  ito...  ito...».   E  conseguenza  di  ciò  è  la  perplessità  nel  lettore, che  non  sa  se  il  poeta  scherzi  o  dica  sul  serio,  se  sia  in  un  momento  di  festevolezza  o  non  piuttosto  di  accoramento,  se  voglia  dilettare  con  un  rifacimento  arcaico  che  susciti  un  sorriso, o  se  esprima  un  suo  serio  sentire.  Che  cosa  è  quel  san  Francesco,  che  favella  con  vocaboli  e  formole  tolte  di  peso  ai  Fioretti  e  gestisce  con  attucci  che  mal  traducono  le  pitture  trecentesche?  È  una  figurina  grottesca,  una  caricaturina,  un  follettino,  da  divertir  bimbi,  o  il  santo  del  gran   cuore,  che  deve  riempirci  di  riverenza?  No:  nella  figurazione  del  Pascoli  egli  non  mi  riempie  di  riverenza  e  di  amore,  ma  non  posso  dir  neppure  che  mi  diverta.  E  quale  impressione,  dunque,  mi  suscita?   Buona  è  codesta,  color  foglia  secca,  tale  qual  ha  la  tua  sirocchia  santa,  la  lodoletta,  che  ben  sai  che  becca   due  grani  in  terra,  e  vola  in  cielo,  e  canta...   E  sminuiva,  e  già  di  lui  non  c'era,  sui  monti,  che  cinque  stelline  d'oro...   Quale  impressione?  Non  altra  che  quella,  poco  piacevole,  della  poesia  stentata  e  sbagliata.   Sbagliata,  ho  detto;  ma  sbagliata  dal  Pascoli,  e  non  già  da  un  qualsiasi  arfasatto:  dal  Pascoli  che  non  solo  era  un  letterato  studiosissimo,  ma  era,  o  almeno  era  stato  una  volta,  poeta,  il  poeta  idilliaco  e  triste  delle  primissime  Myricae,  e  di  tempo  in  tempo  aveva  come  un'apertura  di  cuore  verso  la  campagna,  gli  uccelli,  le  modeste  opere  agricole  e  casalinghe,  e  un  senso  di  gioia  e  di  malinconia  schiette.  Di  questo  fondo  spirituale  di  lui,  guasto  da  sovrapposte  cattive  tendenze  e  dal  cangiamento  dello  spontaneo  nel  professio-  nale, si  scorgono  le  tracce  anche  nel  Paulo  V cello,  particolarmente  nel  modo  simpatico  in  cui  egli  ritrae  (e.  2)  la  parete  dipinta  da  Paulo,  quella  parete  che  verzicava  tutta  d'alberi,  d'erbe,  di  fiori,  di  frutta,  e  qua  vi  si  vedevano  zappe  e  là  falci,  e  qua  l'aratura  e  là  messi  biondeggianti,  e  due  bovi  messi  in  prospettiva  che  parevano  grandi  ed  erano  più  piccoli  di  un  leprotto  che  fuggiva  nel  primo  piano.  Peccato  che  anche  qui  la  lamentela  del  tono  turbi  l'effetto,  e  la  troppa  semplicità  tolga  semplicità.   E  questo  è  quanto  si  può  onestamente  dire  intorno  al  Paulo  U cello.  A  coloro  che  oggi  lo  esaltano  come  un  «  capolavoro  » ,  come  il  «  ca-  polavoro dei  capolavori  pascoliani  » ,  una  «  pu-  rissima >,  una  «divina  poesia  francescana  > ,  e  insolentiscono  contro  di  me  perchè  l'ho  passato  sotto  silenzio,  e  mi  tacciano  di  non  «  sentire  la  poesia  » ,  di  poca  «  sensibilità  *  (o  di  poca  mor-  bosità),  mi  contento  di  rispondere:  —  Eh,  via!    APPENDICE    Da  qualche  accenno  che  è  nelle  noterelle  critiche  raccolte  nella  terza  parte  di  questo  volume,  i  let-  tori avranno  agevolmente  inferito  che  anch'esse  fecero  scandalo  e  suscitarono  un  uragano  di  proteste  e  d'in-  vettive, maggiore  e  peggiore  di  quello  che  si  ebbe  nel  1907,  quando  fu  pubblicato  il  saggio  ristampato  in  primo  luogo.  Cosa  naturalissima:  nel  dodicennio  corso  fra  le  due  date  si  era  maturato  e  svolto  a  pi^no  il  «futurismo»,  del  quale  il  Pascoli  è,  a  mio  avviso,  da  considerare  precursore  e  promotore,  nella  nostra  letteratura;  e  la  reazione  contro  il  mio  giudizio, dopo  tanta  devastazione  e  perversione  prodotta  nel  gusto,  doveva  essere,  come  fu,  violentissima.   Una  delle  accuse  che,  in  quel  gridìo,  risonava  come  un  ritornello  contro  di  me,  concerneva  la  mia  «insensibilità».  Confesso  candidamente  che  dapprima non  compresi  di  che  cosa  mai  si  volesse,  con  questa  parola,  lamentare  in  me  l'assenza.  Ma,  con  pazienza  filologica  ravvicinando  i  testi  (e  quali  testi  !),  e  cercandone  l'interpetrazione,  ho  poi  non  solo  com-  preso, ma,  quel  ch'è  meglio,  mi  sono  trovato  affatto  d'accordo  con  gli  accusatori.  Mi  si  tacciava,  in  fondo,    di  essere  «  insensibile  »  alle  seduzioni  del  pascoliamo, del  semifuturismo  e  del  futurismo.  Insensibilissimo: sono,  per  questa  parte,  addirittura  un  pezzo  di  marmo.   Dopo  di  ciò,  non  avrei  niente  da  aggiungere,  non  parendomi  che  quella  critica  d'opposizione  abbia  apportato  lume  alcuno  allo  schiarimento  dei  problemi  artistici  da  me  trattati.  Ma,  poiché,  per  fortuna  una  rivista  letteraria,  La  ronda  di  Roma,  fu  invogliata  dalle  mie  noterelle  critiche  ad  aprire  una  discussione  o  referendum  sul  Pascoli,  che  venne  inserendo  nei  suoi  fascicoli  tra  il  1919  e  il  1920  (a.  I,  nn.  7  e  8,  a.  II,  n.  1),  mi  piace  rinviare  i  curiosi  e  gli  stu-  diosi a  quelle  pagine,  che  contengono  molte  cose  istruttive  e,  nel  complesso,  confermano  il  mio  giudizio. Anzi,  come  saggio  di  queste  cose  istruttive,  trascriverò  qui  alcuni  brani  dell'articolo  di  uno  di  coloro  che  presero  parte  alla  discussione,  il  Gargiulo,  il  quale  ebbe,  tra  l'altro,  il  buon  pensiero  di  spre-  mere il  succo  dei  principali  studi  sul  Pascoli,  pubblicati dopo  il  mio  del  1907,  e,  diversamente  dal  mio,  intonati  ad  ammirazione,  o  addirittura  a  commossa  tenerezza,  pel  poeta  romagnolo.   «  È  recente,  solo  di  qualche  anno  fa,  —  scrive  dunque il  Gargiulo  —  lo  scritto  che  cominciò  a  pubblicare  nella  Voce  l'Onofri,  sotto  forma  di  commento  estetico  perpetuo  alle  poesie  del  Pascoli.  Fu  arrestato  a  mezzo  delle  Myricae.  Quando  mi  occorse  di  leggerlo,  tempo  dopo,  io  dovetti  candidamente  domandare  all'autore  come  avrebbe  fatto  a  continuarlo,  e  qual  vantaggio  si  sarebbe  ripromesso  per  la  fama  del  poeta,  nel  proseguire.  Da  quel  che  se  ne  vide,  la  negazione  risultava  pressocchè  totale;  d'altra  parte,  nel  modo,  talvolta  perfino  un  po'  ingenuo,  con  cui  rari  versi  restavano  additati   all'ammirazione,  non  si   riconosceva  punto  l'Onofri,  che  pur  aveva  dato  prova  di  possedere,  oltre  quella  sensibilità  che  conosciamo  investita  direttamente  in  saggi  di  poesia,  scaltrite  facoltà  critiche.  Discussi  alquanto  con  lui  anche  i  rari  versi  e,  se  mal  non  rammento,  urtai  infine  contro un  atteggiamento  di  resistenza  passiva,  se  non  d'indifferenza.  Ma  certo  conclusi  che  per  lo  meno  era  passato  dall' Onofri  il  quasi  entusiastico  momento  di  fiducia,  che  gli  aveva  dato  lena  per  proporsi  quel  lunghissimo  lavoro  destinato  a  discriminazione  e  volgarizzamento  delle  bellezze  pascoliane.   «  Di  R.  Serra  —  del  quale  non  mi  esagero  il  valore  critico,  ma  riconosco  alcune  buone  per  quanto  disgre-  gate disposizioni,  —  richiamiamo  un  po'  il  saggio  sul  Pascoli,  del  1909.  È  da  notare  che  il  Serra,  giu-  stamente, fu  detto  un  temperamento  pascoliano;  e  forse  quel  saggio,  da  solo,  basterebbe  a  provare  le  affinità.  Ora,  in  tutta  la  parte  negativa,  che  è  ampia,  le  osservazioni  giuste  abbondano,  né  certo  l'amor  dell'argomento  riesce  ad  attenuarne  l'acutezza.  Si  porta  all'evidenza,  nella  parte  positiva,  la  «  man-  canza di  forma  »  del  Pascoli,  che  sarebbe  la  «  forma  propria»  di  lui:  i  versi  del  poeta  non  si  cantano,  non  si  ricordano,  non  si  citano,  se  non  forse  :  Romagna solatia,  dolce  paese,  (  che  veramente  è  un  bello  e  dolce  verso  '.  c  E  se  noi,  richiesti,  dovessimo  offrire  in  uno  o  pochi  versi  rappresentata  quasi  in  iscorcio  la  virtù  propria  di  lui,  ci  rifiuteremmo;  per  quanti  ce  ne  potessero  passare  innanzi,  sappiamo  bene  che  di  nessuno  saremmo  contenti  a  pieno.  Anzi,  dicendone  e  mostrandone  ad  altri,  mi  par  che  sempre  si  senta  il  bisogno  di  soggiungere  a  ogni  tratto:  a  questo  non  badar  troppo,  non  ti  fermare  su  quel  particolare;  che  il  poeta  non  è  lì '.E  dov'è  mai?  —  dimandiamo  al  Serra,  caduto  in  così  profondo  oblio  del  proprio cosidetto  umanesimo?  È  nelle  cose:  c  La  poesia  del  Pascoli  consiste  in  qualche  cosa  che  è  fuori  della  letteratura,  fuori  dei  versi  presi  a  uno  a  uno;  essa  è  di  cose,  è  nel  cuore  stesso  delle  cose  '.  Ed  è  lo  stesso  Serra  che  in  altro  scritto,  in  difesa  della  forma,  o  della  letteratura,  ebbe  questo  scatto:  c  Le  cosel  tutto  quello  che  c'è  in  me  di  meno  ingrato  si  rivolta  dispettosamente.  Nulla  è  così  vago,  goffo,  incon-  cluderite,  retorico,  come  le  cose  '.  Le  cose  dunque;  ed  anche  la  persona;  cioè,  il  Pascoli  bisognava  vederlo:  'È  un  poeta.  Ogni  timore,  ogni  inquietu-  dine che  la  lettura  poteva  aver  lasciato  dietro  di  sé,  subito  cade;  in  lui  non  c'è  falsità,  maschera,  posa,  artifizio.  Tali  cose  non  esistono;  non  possono  aver  luogo  in  quest'  uomo  eh'  io  vedo.  Altri  potrà  giudicare,  pesare,  classificare...  \  C'è  altro  ancora,  e  forse  di  peggio,  che  tralascio,  nello  scritto  del  Serra;  ma  non  mi  è  mai  accaduto  d'incontrarmi  nella  condanna  di  un  artista  concepita  in  una  forma  più  cruda  e  radicale  di  quella  che  trascrivo:  «  Questa  è  la  sua  gran  forza  e  la  sua  gran  debolezza.  Secondo  che  l'uomo  accetti  la  poesia  di  lui  per  quello  che  è  o  per  quello  che  vuole  essere.  Poiché  se  io  accetto  la  poesia  di  lui,  col  significato  ch'essa  ebbe  per  lui  quando  la  fece,  se  mi  trasporto,  come  altri  direbbe,  nel  suo  punto  di  vista,  allora  il  valore  ne  diviene  incommensurabile: non  è  valore  di  cosa  d'arte,  ma  di  cosa  viva  ».   «  Dove  si  arriva?  Eppure  il  Pascoli  del  Cecchi,  del  1912,  ha  queste  parole  nell'epilogo,  che  non  sono  meno  preoccupanti  di  quelle  ora  riferite  del  Serra:  f  Bisogna  rifondere  gli  aspetti  torbidi  e  contrastanti,  nei  quali  questa  poesia  viene,  mano  a  mano,  rive-  landosi, in  un  misterioso  aspetto  solo  nel  quale  le  sue  contraddizioni,  le  sue  incertezze,  i  suoi  errori,   bì  siano  stratti  all'ardore  del  nostro  affetto,  della  comprensione  nostra  '.  Osservavo,  in  una  recen-  sione che  feci  del  libro  nella  vecchia  Cultura,  che  in  tale  giudizio  è  c  come  una  confessione  al  lettore,  la  quale  suona:  l'aspetto  misterioso,  in  questo  libro,  è  rimasto  misterioso;  il  mistero  non  è  stato  svelato  '.  Di  quello  studio  dicevo  in  genere  (mi  permetto  di  autocitarmi,  perchè  resto  precisamente  a  quel  punto  ora  che  l'ho  riletto)  :  c  È  animato  dalle  più  benevoli  e  indulgenti  intenzioni;  ma  riesce  ad  una  condanna,  quasi  tutta  esplicita,  in  minima  parte  implicita,  dell'opera pascoliana.  Pare  che  il  Cecchi  abbia  impegnato in  questo  suo  studio  tutta  la  propria  sensibilità  inventiva,  che  è  molta,  e  i  residui  di  un'antica  simpatia pel  poeta,  che  doveva  essere  ingenua,  non  criticamente illuminata.  Pure,  il  risultato  è  quello  che  è,  vale  a  dire  negativo  '.  Non  mancai  di  rilevare  la  sproporzione  tra  la  parte  negativa  e  quella  che  voleva  essere  positiva:  c  Egli  non  si  è  neppure  accorto  che  uno  studio  costituito  in  massima  parte  da  una  violenta  negazione,  e  diretto,  nel  tempo  stesso,  ad  una  affermazione  energica,  doveva  essere  assai  più  svolto  nella  parte  affermativa,  anche  sotto  il  rispetto  che  sembra  puramente  materiale,  del  numero  delle  pagine.  Il  Pascoli  è,  pel  Cecchi,  un  poeta  coperto  da  una  corazza  di  falsità?  Ha  sotto  la  corazza  una  emotività delicatissima  e  nuova?  Ebbene  bisognava  che  lo  studio  critico  riuscisse  solidamente  poggiato  ed  equilibrato  sulla  parte  affermativa  '.  Concentravo  naturalmente  l'attenzione  sulla  parte  del  libro  che  voleva  essere  di  sicura  affermazione,  dedicata  c  alla  definizione  della  particolarissima,  intima  ispirazione  pascoliana,  di  cui  poi  quasi  tutta  l'opera  del  poeta  sarebbe  una  deformazione  '.  Tale  ispirazione  centrale  si  risolveva  pel  Cecchi  in  una  disposizione  iniziaimente  sensuale,  oggettiva,  di  pura  dedizione  alle  cose,  attraversata  poi  dal  brivido  del  dolore  e  del  mistero. E  dovevo  concludere:  c  Lo  sforzo  grande,  ma  vano,  del  critico  consiste  nel  rendere  questo  brivido  '.  c  Ma  ecco  che  il  Cecchi,  invece  di  svolgere  e  sciogliere fino  all'evidenza  l'asserito  sentimento  di  dolore  e  di  mistero,  il  quale  resta,  nei  termini  indicati,  ancora  sotto  una  forma  schematica,  dura  ed  ambigua;  invece  di  trarlo  alla  vita  piena,  immergendo  in  esso  le  opere  del  poeta;  impegna  tutta  la  sua  sensibilità  inventiva,  ed  anche  tutta  la  sua  industria  stilistica,  nel  ridurre  quel  dolore  e  quel  mistero  alle  più  fugaci  ed  inafferrabili  espressioni  :  ad  un  brivido,  un  attimo,  un  baleno,  e  via  dicendo  '.  Il  critico  aveva  paura  di  fermare  il  brivido;  le  poche  citazioni  restarono  anch'esse  sorde  all'invito  di  rivelarlo.  Sulla  poesia  che  ha  il  privilegio  del  più  lungo  commento,  la  Digitale  purpurea,  io  avrei  ora  curiosità  di  sentire  da  capo  il  giudizio  del  Cecchi  >.   Così  il  Gargiulo.  —  Del  resto,  la  lode  ottenuta,  e  in  parte  ancora  mantenuta,  dalla  poesia  pascoliana,  e  la  difficoltà  di  far  prevalere  un  diverso  e  più  pacato giudizio,  richiamano  moltissime  altre  vicende  consimili  della  storia  letteraria.  Ci  vuol  pazienza  innanzi  alle  asserzioni  dei  poco  perspicaci  e  dei  fanatici  :   A  voce  più  ch'ai  ver  drizzan  li  volti,  e  così  ferinan  sua  opinione  prima  ch'arte  o  ragion  per  lor  s'ascolti.   Così  fer  molti  antichi  di  Guittone,  di  grido  in  grido  pur  lui  dando  pregio,  fin  che  l'ha  vinto  il  ver  con  più  persone   (Purg..)Ancora  sulla  poesia  del  Pascoli     .     .  »  105   2.  Il  «Paulo  Ucello» »  118   Appendice »  127    EDIZIONI   LATERZA    zii:\  i::c    (Estratto  del  Catalogo  Settembre  1920)    SCRITTORI  D'ITALIA   A  cura  di  FAUSTO  NICOLINI   ELKGANTE     RACCOLTA     CHK     81    COMPORRÀ     DI     OLTRE     SEICENTO     VOLUMI  DEDICATA   A    S.  M.  VITTORIO   EMANUELE   III    ARETINO  P.,  Cartéggio  (Il  I  libro  delle  lettere),  voi.  I  (n.  53).   (Il  II  libro  delle  lettere),  parte  I  e  II  (n.  76  e  77).   AMENTI  (degli)  S.,  Le  Porretane,  (n.  66).  BALBO  C,  Sommario  della  Storia  d'Italia,  voli.  2  (n.  50,  60).  BANDELLO  M.,  Le  novelle,  voli.  5  (n.  2,  5,  9,  17,  23).  BARETTI  G.,  Prefazioni  e  polémiche,  (n.  13).   —  La  scelta  delle  lettere  familiari,  (n.  26).  BERCHET  G.,  Opere,  voi.  I:  Poesie,  (n.  18).   Voi.  II:  Scritti  aitici  e  letterari,  (n.  27).   BLANCH  L.,  Della  scienza  militare,  (n.  7).   BOCCACCIO  G.,  Il  Contento  alla  Divina  Commèdia  e  gli  altri   scritti  intorno  a  Dante,  voli.  3  (n.  84,  85,  86).   BOCCALINI  T.,  Ragguagli  di  Parnaso  e  Pietra  del  paragone  politico,  voli.  I  e  II  (n.  6,  39).   CAMPANELLA  T.,  Poesie,  (n.  70).   BARO  A.,  Opere,  voi.  I  (n.  41).   COCAI  M.  (T.  Folengo),  Le  maccheronee,  voli.  2  (n.  10,  19).   Commedie  dei  Cinquecento,  voli.  2  (n.  25,  38).   CUOCO  V.,  Saggio  storico  sulla  rivoluzione  napoletana  del  1799,  seguito  dal  Rapporto  al  cittadino  Carnot,  di  Fran-  cesco Lomonaco,  (n.  43).   —  Platone  in  Italia,  voi.  I  (n.  74).   DA  PONTE  L.,  Memorie,  voli.  2  (n.  81,  82).    2  Editori  GIUS.  LATERZA  &  FIGLI  -  Bari   DELLA  PORTA  G.  B.,  Le  commedie,  voli.  I  e  II  (n.  4,  21).  DE  SANCTIS  F.,  Storia  della  lettor,  ital.,  voli.  2  (n.  31,  32).  Economisti  del  Cinque  e  Seicento,  (n.  47).  FANTONI  G.,  Poesie,  (n.  48).   Fiore  di  leggende.  Cantari  antichi  ed.  e  ord.  da  E.  Levi,  (n.  64).  FOLENGO  T.,  Opere  italiane,  voli.  3  (n.  15,  28,  63).  FOSCOLO  IL,  Prose,  voli.  I,  II  e  III  (n.  42,  57,  87).  FREZZI  F.,  Il  Quadriregio,  (n.  65).  GALIANI  F.,  Della  moneta,  (n.  73).   GIOBERTI  V.,  Del  rinnovamento  civile  d'Italia,  voli.  3  (n.  14,  16,  24).   GOZZI  C,  Memorie  inutili,  voli.  2  (n.  3,  8).   —  La  Marflsa  bizzarra,  (n.  22).   GUARINI  G.,  Il  Pastor  fido  e  il  compendio  della  poesia  tra-  gicomica, (n.  61).   GUIDICCIONI  G.  -  COPPETTA  BECCUTI  F.,  Rime,  (n.  35).   IACOPONE  (fra)  da  TODI,  Le  laude  secondo  la  stampa  fio-  rentina del  1490,  (n.  69).   LEOPARDI  G.,  Canti,  (n.  83).   Lirici  marinisti,  (n.  1).   LORENZO  IL  MAGNIFICO,  Opere,  voli.  2  (n.  54,  59).   MARINO  G.  B.,  Epistolario,  seguito  da  lettere  di  altri  scrit-  tori del  Seicento,  voli.  2  (n.  20,  29).   —  Poesie  varie,  (n.  51).   METASTASIO  P.,  Opere,  voli.  I-IV  (n.  44,  46,  62,  68).   Novellieri  minori  del  Cinquecento  —  G.  Parubosco  e  S.  Erizzo,   (n.  40).   PARINI  G.,  Prose,  voi.  I  e  II,  (n.  55-71).   Poeti  minori  del  Settecento  (Savioli,  Pompei,  Paradisi,  Cer-  reta ed  altri)  (n.  33).   —  (Mazza,  Rezzonico,  Bolidi,  Fiorentino,  Cassoli,  Mascheroni,  (n.  45).   POLO  M.,  Il  Milione,  (n.  30).   PRATI  G.,  Poesie  varie,  voli.  2  (n.  75,  78).   Relazioni  degli  ambasciatori  veneti  al  Senato,  dei  secoli  XVI,   XVII,  XVIII,  voli.  I,  II,  IIIi-ii  (n.  36,  49,  79,  80).  Riformatori  italiani  del  Cinquecento,  voi.  I  (n.  58).  Rimatori  siculo- toscani,  voi.  I  (n.  72).    Editori  GIUS.  LATERZA  &  FIGLI  -  Bari  3   SANTA  CATERINA  DA  SIENA,  Libro  della  divina  dottrina,  volgarmente  detto  Dialogo  della  divina  provvidenza,  (n.  34)   STAMPA  G.  e  FRANCO  V.,  Rime,  (n.  52).   Trattati  d'amore  del  Cinquecento,  (n.  37).   Trattati  del  Cinquecento  sulla  donna,  (n.  56).   VICO  G.  B.,  L'autobiografia,  il  carteggio  e  le  poesie  varie,  (n.  11).   —  Le  orazioni  inaugurali,  il  De  italorum  sapientia  e  le  po-  lemiche, (n.  67).   VITTORELLI  I.,  Poesie,  (n.  12).    Prezzo  di  ogni  volume     7.50   La  Bicicletta  .     .     .   >   7,50   Olocausto,  romanzo   »   »   3,50  7.00   Quartetto    ....   7  50   il  nemico  (due  volumi)   Oro  incenso  mirra    .   t   6.50   Fuochi  di  bivacco  .     .   »   7.50   Matrimonio      .     .     .   »   6,50   La  disfatta,  romanzo  .   »   7.50   Gramigne  (Sullo  scog   io)  »   6,50   Ombre  di  occaso     .    .   »   6,50  1   Il  Teatro  (voi.  I)    .   »   6,50   OPERE  VARIE.   ABIGNENTE  F.,  La  moglie,  romanzo L.     3.50   AMATUCCI  A.  G.,  Dalle  rive  del  Nilo  ai  lidi  del  «Mar  no-  stro», voi.  I:  Oriente  e  Grecia 5,50   voi.  II:  Cartagine  e  Roma 5,50   —  Hellàs,  voi.  I,  (4a  edizione) 6,50   Voi.  II,  (3a  edizione)  (esaurito).   BAGOT  R.,  Gl'Italiani  d'oggi,  (2a  edizione)      ....    4,50   BALSAMO  CRIVELLI  R.,  Boccaccino 20,00   BARDI  P.,  Grammatica  inglese,  10,50   —  Scrittori  inglesi  dell'Ottocento 6, —   BARONE  E,  La  storia  militare  della  nostra  guerra   fino  a  ...   Caporetto 6,50    Editori  GIUS.  LATERZA  &  FIGLI  -  Bari         11   BATTELLI  A.,  OCCHIALINI  A.,  CHELLA  S.,   La  radioatti-  vità      16,—   CAMPIONE  F.,  Per  i  germi  della  specie 10,50   CARABELLESE  P.,  L'e9sere  e  il  problema  religioso  .     4, —   CECI  G.,  Saggi  di  una   bibliografia  per  la  storia  delle  arti  figurative  nell'Italia  meridionale 8, —   CERVESATO  A., Contro  corrente 3,—   CHIMENTI  G.,  Commercial   English   &   Correspondence  (in   ristampa).   COTUGNO  R.,  La  sorte  di  G.  B.  Vico 4,—   —  Ricordi,  Propositi  e  Speranze 1, —   DE  CUMIS  T.,  Il  Mezzogiorno  nel  problema  militare  dello  Stato 3,50   DE  LEONARDIS  R.,  Occhi  sereni,  (novelle  per  giovinette)   5,50  DE  LORENZO  G.,  Geologia  e  Geografia  fisica  dell'Italia  me-  ridionale  6,50   —  I  discorsi  di  Gotamo  Bnddho  (2»  edizione)  ....  35, —   DEPOLI  G.,  Fiume  e  la  Liburnia 2,50   DE  SANCTIS  F.,  Lettere  a  Virginia 5,50   DI  GIACOMO  S.,  Nella  Vita,  novelle  (esaurito).  FORTUNATO   G.,  Il  Mezzogiorno  e  lo  Stato  italiano,  2  vo-  lumi      15,—   FUSCO  E.  M.,  Aglaia  o  il  II  libro  delle  poesie  .     .     .    6,—   GAETA  F.,  Poesie  d'amore 12,—   GENTILE  G.,  Il  carattere  storico  della  Filosofia  italiana    2,50   —  Sommario   di  pedagogia  come   scienza   filosofica,    voi.  I:  Pedagogia  generale,  (n.  2-i) 6,50   voi.  II:  Didattica,  (n.  2-n) 6,50   —  Teoria  generale  dello  Spirito  come  atto  puro      .     .  15,50   JUNIUS,  Lettere  politiche  (di) 6,50   LOPEZ  D.,  Canti  baresi 3,50   LARCO  R.,  La  Russia  e  la  sua  rivoluzione     ....  9,50   LORIS  G.,  Elementi  di  diritto  commerciale  italiano  6,50   LORUSSO  B.,  La  contabilità  commerciale  (4»  ediz.)      .  10, —   MARANELLI  C,  Dizionario  Geogr.  dell'Italia  redenta  8,50   MEDICI  DEL  VASCELLO  L.,  Per  l'Italia 4,-   NAPOLI  G.,  Elementi  di  musica 1,—   NAUMANN  FR.,  Mitteleuropa.  Trad.  di  G.  Luzzatto,   2  volumi 15t —   NENCHA  P.  A.,  Applicaz.  pratiche  di  servitù  prediali  .    6,50    12        Editori  GIUS.  LATERZA  &  FIGLI  -  Bari    NICOLINI  F.,  «li  studi  sopra  Orazio  dell'abate  «aliani  5,—   OLIVERO  F.,  Saggi  di  letteratura  inglese 5,—   —  Studi  sul  romanticismo  inglese 4,—   —  Sulla  lirica  di  Alfred  Tennyson 4,—   —  Traduzioni  dalla  poesia  Anglo-Sassone 4,—   PANTALEONI  M.,  I.  Tra  le  incognite 5,50   —  IL  Note  in  margine  della  guerra 5,50   —  III.  Politica:  Criteri  ed  Eventi 6,—   —IV. La  fine provvisoria di  un'epopea 7,50   PAPAFAVA  F.,  Dieci  anni  di  vita  politica  it.,  2  voi.  15,—   PASQUALI  G.,  Socialisti  tedeschi 7,50   PLAUTO  M.  A.,  L'anfitrione —  Gli  asini 2,50   —  Commedie 2,50   PRATO  G.,  Riflessi  storici  della  Economia  di  guerra  .  6,50   QUARTO  di  PALO  L.,  La  civiltà 18,50   RACIOPPI  G.,  Storia  dei  moti  di  Basilicata  e  delle  provi  noie   contermini  nel  1860 6, —   RAMORINO  A.,  La Borsa;  sna  origine;  suo  funzionare .  3,50   RAMSAY  MUIR,  La  espansione  europea 7,50   RATHENAU  W.,  L'economia  nuova 3,50   RICCI  E.,  Versi  e  lettere 3,—   RICCI  U.,  Protezionisti  e  liberisti  italiani 6,50   SABINI  G.,  Saggi  di  Diritto  Pubblico 4,—   SCHURÉ  E.,'1  grandi  iniziati,  (4a  edizione)    ....  16.50   —  Santuari  d'oriente      .     .     . 10,00   SCORZA,  Complementi  di  geometria 6,50   SOMMA  U.,  Stima  dei  terreni  a  colture  arboree      .     .  3,—   TITTONI  T.,  Conflitti  politici  e  Riforme  costituzionali  7,50   TIVARONI  J.,  Compendio  di  scienza  delle  finanze.     .  8,50   —  I  monopoli  governativi  del  commercio  e  le  finanze  dello  Stato 3,50   TOSO  A.,  Che  cosa  è  l'Acquedotto  Pugliese     ....  1,50   WEBER  M.,  Parlamento  e  Governo  nel   nuovo  ordinamento   della  Germania 6,50    584  U   Giovanni Pascoli. Pascoli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Pasini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – La meta-meta-fora del cavaliere perduto -- Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo italiano. Studia a Padova applicandosi agli studi giuridici, che ben presto trascura per interessarsi della nuova scienza è in contatto con Galilei e  soprattutto della filosofia, seguendo assiduamente le lezioni di Cremonini, impegnato nel commento mortalista della “Fisica” e del “De coelo” di Aristotele e seguace dell'aristotelismo critico e razionalistico di Pomponazzi, che mette in discussione l'immortalità dell'anima e alcuni dogmi cattolici. Uno dei incogniti, uno dei circoli più attive, vivaci libere. A tale adesione alcuni biografi settecenteschi attribuiscono le accuse di eresia nei suoi confronti. Come invece dimostra una serie di documenti dell'Archivio di Stato di Venezia, e un fatto di sangue a determinare il provvedimento giudiziario che lo condanna all'esilio. Per un futile contenzioso privato (un diritto di passaggio riconosciuto a dei vicini), insieme con il fratello Vittelio e alcuni sicari,  nella villa Pavaran uccide Malo e ne ferì gravemente il fratello. Condannato a cinque anni di esilio a Zara, poi ridotti di circa la metà, e assolto e liberato. Reintegrato nella società vicentina, e vicario a Barbarano e a Orgiano, dove era già stato agli inizi della carriera. La sua vita dove scorrere come quella di tanti nobili di provincia, tra affari privati, responsabilità amministrative, passione letteraria e interessi culturali, sempre presente l'ossequio al potere della Serenissima: dediche e composizioni sono spesso dirette a podestà, capitani e dogi. Si registra un stretto legame gl’incogniti e una grande produzione letteraria. Fa parte della corrente poetica del marinismo, che ha in Marino il proprio modello. ””Rime varie, et gli increduli, ouero De' rimedii d'amore: dialogo. Dedicate al molto illustre Godi (Vicenza), esordio letterario del Pasini, miscellanea di sedici componimenti in metro vario tutti di tematica amorosa e un dialogo, “Campo Martio overo Le bellezze di Lidia, dedicato al clariss. sig. Giulio da Molino, dell'illustriss. sig. Marco, componimento di versi settenari ed endecasillabi sciolti, uscito a Vicenza presso Grossi e dedicato a un membro dell'illustre famiglia Molino; “Rime” diuise in errori, honori, dolori, verita, & miscugli (Vicenza); Il sogno dell'illustrissimo sig. Pietro Memo.. Dedicato a Molino, Vicenza, di carattere politico-encomiastico, racconta allegoricamente come il sogno trasporta il podestà attraverso i cieli sino alla via Lattea, dove trova gli eroi che hanno illustrato la sua famiglia; “Rime Marinistiche”, raccolta complessiva delle sue Rime, stampata a Vicenza; fanno rientrare l'autore nel filone marinista dell'epoca. “La Metafora. Il Trattato e le Rime. “Trattato de' passaggi dall'una metafora all'altra e degl'innesti dell'istesse nel quale si discorre secondo l'opinione e l'uso de'migliori, se senza commetter diffetto, si possano usare dai poeti e, oratori. Dedicato all'illustrissimo, et eccellentiss. sig. Nicola Da Ponte” (Vicenza); “Historia del cavalier perduto” romanzo erotico cavalleresco che indirizza il proprio interesse su vicende e situazioni feudali di provincia. La sua opera più nota, che si inserisce nella tradizione del romanzo barocco veneto e dei narratori incogniti, secondo una linea che intreccia avventure cavalleresche amorose a tematiche storico-politiche. -è da questo romanzo che Manzoni trasse poi spunto per la stesura de “I promessi sposi.” Vicenza nella sua toponomastica stradale, "Le Garzantine", Manzoni a Vicenza Firenze, Olschki). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia e cantòinquestaforma. Nela vagastagion, che l'Usignolo Dolenteancora dell’antico oltraggio Contragiche armonie filagna, e plora, E che di novo amor fecondo il suolo Del gran Pianeta altemperato raggio di verde giouentù gode, ès' honora, Con mano prodiga Flora D'odorosi tesori Con superbia pomposa. D'ogni intorno spargea gemmati fiori; Ma qual donna degli altri in maestosa monarchia sublimar parea la Rosa. Tributaria di lei, versando l’urna, La figliuola del Sole Alba nascente Le offri adiper le ruggiadose unnerabo; Et ella, della pura onda notturna. L’homaggio accolto in fen, lieta, eridente Di sii 2   Diricca gravidanza empieafı il grembo; Indi, il purpureo lembo Spiegando a poco a poco, Scopria l'aurato crine Del gran lume del cielo al primo foco; Le volauano intorno a far rapine Preciofe d'odor l'inrevicine. Superba citerea, ch'in Regia tinta Le imporporasse il suo bel piele foglie, Incota i detti ingiuriosa eccede. Chianti Giuno homai, tua gloria è vinta, Altro latte il mio fangne il pregio toglie, E'l tuo fio real mio fior s'humilia, ecede. Cositumida fiede Con inportuno orgoglio L'ambitioso petto Dela Regina del superno foglio, Che sdognando il suo Numeeller negletto, Lo sguardo oscura, e in torbida l'aspetto. Frome, egal carrodi vendetta ingorda Di vampe, efocbi, e di saette, e lampi . Grida lontana ancor ; Figlio vendetta, Con fretto lofaman richiama, e lega Il vago augel da le flellate piume, E con la voce anco la sferza accorda, Zosgrida, ebate, e impatiente il piega, Quevfa il mondo incanutir di brume. Delarmi ilfjero Num e Quiui a funguignalite Sai Vandalici campi Alti Duci in fiammana, e fchiereardite; Giungeellaa lui, cuiparche'l guardoaukāpe Ambo fiam vilipeli, amboschernići, numi impotenti son MARTE, e Guinone; La tua pudica Dea, la tua diletta, Quella, che del su’amor resegraditi Cillenio, e Febo, el cacciator garzone, Questa del vago Adone Cole ancor le memorie Solo a tuo scorno, e in vno Al mio latte dir infratia le gloriezn. Mirà d'orgoglio altierfasto importuno, Che di rosa anteporsi ardisce a Giuno. S'ami la madre, e lei gradir desij, A la superba l'alterigia Scorna, E la sua rosa le axuilisci o figlio Madre, non fia, ch'io le tue ingiurie oblij (risponde) al cielo pur sagli, e ritorna, Ch'io ben far olle bumiliare il ciglio: Di più fino vermiglio Distino ostro più grande, Per tinger rosa altera , Di cui la gloria foltes fa ghirlande; Stella non splende, ou'è del solla jpera, E appo la neuengnicandor s'annera. Cosidetto, ella parte, egli accore Doue aßalito il Vandallo feroce Col Goto afalitor pugna, e contende: Di sanguinos ifiumi ilprato corre, D'urli, e di strida una mistura atroce, Che difonde terrori al Cielo ascende; Dubbio il success opende, Al fin scompiglia, efrange il gran duce Adoino Lanemica Vandalica falange; Ma il ficro Dio, ch'adostro peregrino Aspira, affrettailsyo mortal destino. Cade il prode signor, fugge disperso Semi viva fi getta addosso al morto; El'abbraccia, e lofringe, el bacia, e’lterge Condiluuij d'angoscia, elcrin s'afferra, E Straccia, efuelle infinda le radici; I sulerose, chel buon sangue asperge, E che compagne fon de la sua terra, Sperge presagi in vn mesto, e felici. Esclama. O fiori amicia Los tuol nemico, il fuo trionfo sdegna Per sì gran danno il Goto lagrimose j j Goiodisco il german nel duolo immersa Nela fortune gloriosa insegna Tra rose inuolue il busto sanguinoso, E dono doloroso A Lutterial'invia, Cheil gran marito fcorto E sangue, e freddo ogni diletto oblia, I d'amor piena, e dota di conforto, che    Così pullulerà la Rosa ORSINA. E così germinò, così dal cielo, Per lo mondo abbellir, netrasse isemi, Nel suona tale ancor grande i ammirata: Sorge fecondo il glorioso stelo, E ne' Gallici campi, e ne'Boemi Degni rampoli ITALIANE traslata , D'api in vece, adorata Schiera d'altepirtudi Lovà suggendo, efaui Poi ne compone di Reali studi, Onde il mondo i suoi cafi in fausti, e graui Per si dolce liquor torni soaui. Defiudilaude dil Sole, acuis'aprica solo, e solo a'suoirai s'avanza e gode, E l'irrigailfuddordi nobil onda; Duro, einduftre cultor glièla fatica, Siepe l'ardire, il buon valor custode, El ' applauso de ' Cor i aura gioconda Ondeè poi, che diffonda Cosi pregiato odore E di palma, e di Lauro Ch'ın tal nel girdo e l età migliore Non neadunola Gloria in fuo tesauro Dal Borea àl'Auftro, e dal mar' Indo, alM auto. Scritte sa in Cielo alettere difato, Là de l'eternità ne’ cupi annali, Digermetal son le grandezze, e i pregi. Febo m'inspira è colassu fermato, Ch'egli fioriscafolfreggi immortali, Alte imprese, opreilluftri, èfattiegregi: Tiranni eftinti, Regi Debellati, daafflitti, Regni sommersi in lutti, Espugnatecittà, Ducisconfitti, Prouinciescosse, esercitidestrutti, Pergliopresileuar, fiano suoi fruti. Lieto verdeggi, eauuenturosogoda, Che'l ciel gliarride, eporgela fortuna Grandi Che'l core hor m i pungete, Insegna peregrina Del mio venire immaturo ancor Sarete; Cosi auuerrà, cosilo ciel destina, Il diadema adorar veggio di Piero. Fortunata Dalmatia, borche s'innesta Neltuoceppo Realfinobil pianta, attendi pure un secolo d'Eroi. Vomiti incendihomai Chimera infesta, Stragede'campisiabelua Erimanta, Che fienconcettii percussorisuoi; Altri indomiti buoi sbuffinofiamme in Colco, C'hauralliubbidienti Adaratronouelnouo bifolco; Sorgan Procufti, elanguirandolenti  Ancola Famahà lingue, E fil grande, e facondo, Ei gesti degli Eroi spiega, ediftingue. Bastià l'ORSIN valor, c'habbia giocondo Teatro Italia, e spettatore il mondo. Gran di alimentià le r a dice prime. Beltesoroèvirtù;ma s'altaloda, Mase honori laforteancogli aduna, Vie più chiaro Splendorne’raggiesprime Eccolohomaisublime Gemmarfi intorno, intorno Sold'insegne d'impero, Manti, porpore, scettriilfanno adorno; Mafouratuttiin maestà primiero Sotto noui Tesei gliultimi accenti, Canzon chiudanlelabbra. La meta-meta-fora. itopedelabiturates. daglianimal: corterdel'acquecitopedeèsolce Nec tenoftra iuberfiericenfura pudican . Sentätha oppreffo Carulla DeXNptys Pelleic Cerula verrentes abiegnis equora palmisan Verrentesperremigantı, palmisperremi son metafore di poca comienienza; perche le mani non icopano come inftrumento profimo. DS Fortetfolcodál foco et  verrigins Jalmocodel la core circulari. Sedtamen, uttentes disimularerogat. Cenfura è traslation dal Magistrato Cenforio a } rigordell'atninre; oubetèmetaforaan ch'ega, che nonficonfaconla censura; perchefebene: leges autiubescentvetant, quepermitan, AMAP Hiunt. La censura pero non era legge, nè magistrato, che hau eflc auctorità di far legge. Ma a solo gaftigauachi contrauenità a'buonicollumi, adalcuneleggi et adalcunivnitalchequi? Pinnestodiduemetaforeinvafolo predicatos poilslacione confaceuole alla vièpoi il pallaggio nelnornogar dell'altropredje viè censura. tom 1 Nel terzo de arte amandi,  Ecco Ne quevliusitinntisim per untitabii. Ne quifleprezesirefoue palmulis metaforam non producer ad extremum nec ineaintere. Sed abvnaadaliamtranfilire; hicveroraliumiprie Prorumfecurses, och Non è di giustitia chc CATULLO refiabbando pato Epiù sottodiffe. Qui formula croftramentofumprofcidir quota Aoftrumè metafora trasportata da gli vecelli allegalee, acuimancauailproprio perfignif carlofprone, equindian coallanaue perde notarlaprora, e proscindere è pur METAPHORA, che Hon ha corsispondenza con legalec, ma con quellecose, chetagliano: Ecco appresso v o trappasso da metafora a metafora. Ecco VA alero inneftopuriuinell'aggionto, e nel softantiuo. Dide currum wlitanumper ladate, che viag giava PHASELLUS illeguem videte hospittia'? Siswiffenavium celerrimus. Oprisforeivolarejouelinteo. Ognuno sà che Falelloèvna fpeciedi nauigio; nel descriver la celericà del quale nel naaigare Paurore fi vale della metafora del nuotatore e fubitò palla al volo ch'è dell'uccello e quianco favn'innestoin quel volarepairwisin cuivuo) direnauigar coiremi:poichenen f volacon lepalme, maconl' aliscosiinnettal'operation! dellyccello con l'inftrumento dell'huomo, ch'è la mano sopra il qualpaflo il Muretto di fe.Aiuntvitiofumeffefernelsuscepram  tolco da'legamini ]? wimruna è 2349 nato da Tibulloze da Propertio speiò fenciamo lianch'elli. Propertio nella festa decimadlegiadel. cerzo ang niNini Sublime capulmafiflimunubar Afperala Mefiffimosa sperme, chehannodicomune, Ring oluenparcela branquillità, ch'e delmare cal P6 Sempere n im vacuos naxi fobriatorque rumares. Nox fobristonguet, inpeito Pace Pasini. Pasini. Keywords: implicatura, il cavalier perduto, la metafora, “dall’una metafora all’altra,  galilei, cremonini, degl’incogniti, keplero, Manzoni, rapimento, anonimo, incognito, meta-meta-fora. Refs.: “Grice e Pasini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Passavanti: l’implicatura conversazionale dell’eroe – filosofia italiana – Luigi Speranza (Terni). Filosofo italiano. Partecipa alla Grande Guerra c sergente nel IV reggimento Genova cavalleria, in cui e protagonista di incredibili atti di eroismo. Partecipa  alla occupazione di Fiume tra i legionari di Annunzio. Da soldato, da caporale, da aiutante di battaglia, fulgido, costante esempio, trascinatore d’uomini, cinque volte ferito, tre volte mutilato, mai lo strazio della sua carne lo accasciò, sempre fu dovuto a forza allontanare dalla lotta; sempre appena possibile, vi seppe tornare, ed in essa fu sempre primo fra i primi, incurante di sé e delle sofferenze del suo corpo martoriato. In critica situazione, con generoso slancio, fece scudo del suo petto al proprio comandante, e due volte, benché gravemente ferito, si sottrasse, attaccando, alla stretta nemica. Con singolare ardimento, trascinava il suo plotone di arditi all’attacco di forte, munitissima posizione nemica; impossibilitato ad avanzare, perché intatti i reticolati, fieramente rispondeva con bombe a mano, alle intense raffiche di mitragliatrici. Obbligato a ripiegare, sebbene ferito, sostava ripetutamente per impedire eventuali contrattacchi. Avuta notizia di una nuova azione, abbandonava l’ospedale in cui l’avevano ricoverato, e raggiungeva il suo reparto; trasportato dai suoi, riusciva a prendere parte anche alla gloriosa offensiva finale. Soldato veramente, più che di carne e di nervi, dall’anima e dal corpo forgiati di acciaio e di ottima tempra. Superdecorato, volontariamente nei ranghi della nuova guerra, per la maggiore grandezza della Patria, riconfermava il suo meraviglioso passato di eroico soldato. A capo della propaganda di una grande unità, seppe dimostrare che più che le parole valgono i fatti e fu sempre dove maggiore era il rischio e combatté con i fanti nelle linee più tormentate. Nella manovra conclusiva, alla testa dell’avanguardia del Corpo d’Armata, entra per primo in Korcia ed in Erseke, inalberandovi i tricolori affidatigli dal Duce. Superba figura di combattente, animato da indomito eroismo, uscì illeso da mille pericoli e fu l’idolo di tutti i soldati del III Corpo d’Armata, che in lui videro il simbolo del valore personale, della continuità dello spirito di sacrificio e della più pura fede nei destini della Patria, che legano idealmente le gesta dei soldati del Carso, del Piave, del Grappa con quelle dei combattenti dell’Italia. Mirabile esempio di coraggio sereno, di alto spirito militare e di profondo sentimento del dovere, rimase sul posto di combattimento, quantunque non lievemente ferito. Nuovamente e più gravemente ferito, prima di esser trasportato al luogo di medicazione, volle esser condotto dal comandante del gruppo, per riferirgli sulla situazione. Pirro, Arrone: E Thyrus. L’arma dell’eternita, Roma, (Camera Deputati), L’organizzazioe economica dell’industrai eletrica, Roma, Le benemerenze e la tirannide degli idrolettrici, Roma, Risveglio e viluppo agricolo, Roma, Bonifica integrale, Roma, Per una piu armonica distribuzione di pesi fra I diversi cespiti della ricchezza e I diversi lavoatori, Roma, Precursoi. L’IDEA ITALIANA, in Piemonte, Roma, La contabilita generale dello stato italiano, Roma, lineamenti chematica di contabilita di stato, Siena, Storia di Terni, dale origi al medio-evo (Roma), Interamna de Naarti, “INTERAMNA NAHARS”, La contabilita di stato o economia di stato nella storia italiana, Giappichelli, Torino, L’ECONOMIA DI STATO PRESO I ROMANI (Giappichelli, Trino), La contabilita generale dello stato esposta per tavole sinottiche, aRosrino, Attualita economiche, Roma, La contabilita dello stato”. “Nel numero e l’univeso ma il numero e un segno che po cconviene interpretare. Elia Rossi Passavanti. Passavanti. Keywords: eroe, Annunzio, Fiume,il concetto di economia di stato, l’economia di stato presso i romani, la terni pre-romana, la terni no-romana, la terni umbra, la terni osca, la lingua umbra, l’idea italiana, economia di stato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Passavanti” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Passavanti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza --  jacopo – libro dei sogni.

 

Grice e Passeri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del Lizio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano.  Grice: “He was Zabarella’s uncle – mine worked in the railways!” -- Grice: “It’s amazing how much a little book like Aristotle’s ‘Peri psycheos’ influenced those Renaissance and pre-Renaissance Italians! Surely they were concerned about the immortality or other of the soul!” Essential Italian philosopher. Pubblica commentarii al “De Anima” e alla “Fisica” – contro GALILEI (si veda). Dimostra la perfetta convergenza fra le idee di Arstotele e Galilei sulla dottrina dell'unità dell'intelletto. “Disputatio de intellectus humani immortalitate” (Monte Regali: Torrentino); “De anima”  (Venezia, Iunctas Perchacinum); Paladini, “La scienza animastica”. At cum Latini uideantur hoc negare, nosrem ita esse comprobare possumus quoniam Aristotele cum dederit communem ANIMA. Animæ definitione subiungit et propriam cuiusque gradus dicendam fore et prior rem natura esse vegetativam sensitiva, quod in codem intelligitur, non autem in diversis quoniam in eodem animato posita sensiti, uaponitur vegetativa et posita intellectiva ni mortalibus alie ponátur, quia sicut ise habet vegetativa in sensitiva, ita et sensitiva in INTELLECTIVA, quoniam in consequenter se habentibus polito primo non ponitur se cundum ,atposito secundo ponicur primum. Itaque essentiæ gradum animæ cum se seconsequantur, posita posteriori dabitur prior et per consequens communem animæ definitionem analogam esse oportet. Secundum autem anobisposicum, ut intelligatur anima in scilicet intellectivam immortalem fore secundum quid autem mortalem, intellectum IV modis dici, certum est I depossibili II de in habitu III speculative et IV agente. Unus quisque horum modorum arguir intelletum corruptibilem, quoniam omne quod incipit, necessario definit: cum autem intellectus materialis in Sphæranon detur sed tantum in puero nuper nato, cum inces perit in Socrate, ut ita dixerim necessario delinet. Similiter intellectus agens in Socrate incipit, quo niáili copulatur, ut forma et cum agens ili copulatur, intellectus in habitu, qui genitus est desinit intellectus etiam in actu speculans, cum de non speculari transeat ad speculationem, videtur genitus cum autem amplius non speculator actu, definit este intellectus actu speculans ita ut intellectus quodammodo et propter diversos respectus quos suscipit, dicatur corruptibilis et factus secundum autem substantiam cum eadem sit substantia intellectus agentis et possibilis dicitur eternus et simpliciter immortalis, quod rationibus ab Aristotele acceptis ita esse ostendi potest. Omne enim formas omnes materiales recipiens estim materiale intellectus autem possibilis recipit omnes formas igitur est immaterialis, est autem necessarium tale recipiens esse immateriale. Quoniam quod intus est extraneum prohibet. Pomponatius [POMPONAZZI] tamenstuder destruere hanc rationem, primum enim inquit illam non concludere proptere a quod si intellectcus. Eus materialises et separatus sequeretur et suam operationem separatam fore, quia operatio ipsam essentiam consequitur: at Aristotele inquit si intelligere est sicut sentire, ecce quod comparat operationem intellectus operationi sensus, igitur videtur hæc ratio, potius intellectum mortalem probare, quam immortalem. Nulla est hæc ratio Pompo Ratij, quoniam sequeretur intellectum esse virtutem materialem, quod dictum Aristotele omnino negat. Præterea videtur committere fallaciam a secundum quid ad simpliciter, propterea quod non valet, possibilis obiective dependet, igitur omnis intellectus. At cum Alexan, velit animam intellectiva sive intellectum possibilem non esse formam, sed; præparationem quandam, qux et sirecipiat omnes formas, esse tamen mortalem, peto abillo quid per preparationem intelligat, vel intelligit puram privationem, vel privationem cum aptitudine, non primum. Quoniam privatio sola nihil recipit, igitur privationem cum aptitudine illum intelligere oportet, igitur erit forma si forma, ergo materialis, quare preparation hæc non, recipiet omnes formas. Adiungit præterea Pomponatius, intellectus unicam tan tum operationem habet, propterea quid D i j ynius Secunda ratio, qux nostram sententiam confirmat, accipiturab Arist. In 3.de Anima. 13.& isi in quibus proposita in 13. quesstioncan intellectus sit intelligibilis quema ad modum alia materialia intelligibilia, soluit in15. Et intelligibilis est sicut ipsa intelligi biliain his quæ sunt sine materia idem est, quod intelligit et quod intelligitur, quilo  unius virtutis unica est operatio cum itaque; intellectus sit una virtus, que media est inter: pure materiales et  omnino abstractas, una driteius operatio: esse autem mediam ex eoni titur ostendere, quoniam intelligit universale in singulari et quatenus intelligit universale, comunicat cum abstractis, quatenusin singulari comunicat cum materialibus, primum dictum sublatum fuit, non inconuenire quod una virtus diversi mode se habens, diversas exerce ar operationes, secundum dictum apud me nullum est, quoniam intelligere substantiarum quæ omnino sunt separatæ, est intelligere per essentiam, intelligere autem intellectus est universalis per speciem, si itaque; hoc intelligere non convenit substantiis omnino separatis, quomodo na erit media participatione extremorum, qux re erit ad hucex hoc fundamento intelles Aus pure materialis. Tertia ratio accipitura quodamnorabia ti, Quoniam naturalis philosophus vide turdare duo eus non est cum LATINIS interpretandus, sed intellectum esse intelligibilem, cum possibilis habuerit intellectum agentem ut formam, tunc est intelligibilis per speciem, qu x actu est scilicet per formam intellectus agentis et est intelligibilis vel uti intelligere tixet enim si intellectus  intelligeretur quem ad modum dicut LATINI, esset intellectus do terioris conditionis lapide, quoniam lapis per suam speciem intelligitur per se, intellectus vero per accidens, intelligendo lapidem per suam speciem. Quare intellectus materialis et si videatur intelligibilis sicuti alia intelligibilia materialia per speciem, non tamen eodem modo quoniam intellectus intelligibilis per suam formam sit intelligents, intelligibile autem materias lem in imè, de quibus fufius in explanatione eius loci diximus fundamenta Metaphy. primum quod detur abstractum in natura, nam si Metaphy., ignoraret abstractum, eum non determinaret, alterum fundamentum est quod naturalis supponit abstractum et  quod abstractum magnitudine sic intelligens, quod tribuit animasticus sine quo Metaphy. Non haberet, quod abstractum sitina telligens. Ad rem si intellectus esset mortalis, non daretur Metaphy. quoniam per nullam naturam posset haberi abstractum esse intelligens, intellectus enim qui mortalis est non potest habere eandem operationem, cum intelligere intelligentiarum, quare si esset mortalis, non haberetur cognitio eorum, quæ per essentiam sunt separata. Ultima ratio quæ immortalitatem animam confirmat, est quoniam felicitatem acqui ri posse conveniunt peripatetici omnes, quam habere esset impossibile, si intellectus esset mortalis. Pomponatius discurrit agens de felicitates, illam contingere hominibus, quoniam omnes libiinuicem sunt auxilio alijeni magunt   secundum intellectum pra: eticum; alijautem secundum intellectum, Speculatiuum: rectem in hoc dicit, sed, falli, tur, cum -velit hominem esse hominem per intellectum, ideo homo exercet operationes morales per formam, qua est homo et propterea inquit Averroes p moralis capit si, nem hominis ineo quod homo, qui quidem finis est cogitativa, ideo foelicitas non competit homini ut homo, fedut in coquoddam divinum reperitur.10, Ethi. cap. 9. Aliauita et finis potior isto, ideo nos   li er  nos cum homines fimus, non debemus humana curare sed peruenire ad immortale et sempiternum, per id quod in nobis divinum est. De quibus fufius in expositione com.; de anima diximus. Ianua. Marco Antonio Genua. Marco Antonio Passeri. Antonio Passeri. Passeri. Keywords: peripatetici, lizii, nous, intelletto, etimologia d’intelletto, da lego – ‘to care’, ‘to decide’. Intelleto, nous, animus vs. anima, mens, Boezio, l’intelletto, l’anima intelletiva, animistica, animastica. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Genua," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Passini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza

 

Grice e Pasqualini: la ragione conversazionale e l’mplicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza -- difficult to find. M. Pasqualini, C. Pasqualini.

 

Grice e Pasqualotto: la ragione conversazionale del trasmettitore/ricevitore – l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo italiano. Grice: “I like Pasqualotto; for one, he predates Oxonians in the ‘teoria dell’informazione’!” – Grice: “I never took ‘information’ as seriously as Pasqualotto does – I do compare information with money, and refer to the stupidity of ‘false’ information – “”False’ information is no information.”” – But Pasqualotto attempts to reconstruct a ‘teoria,’ a ‘teoria dell’informazione,’ i. e. complete with a model that has room for the implicaturum, i.e. any x such that by a mittente ‘sending’ a message, he may ex-plicate such-and-such and im-plicate so-and-so.””. Frequenta il Pigafetta di Vicenza, dove ha come maestro FAGGIN (si veda). Sotto la guida di FORMAGGIO (si veda), si laurea in filosofia a Padova, con una tesi sull'estetica tecnologica di BENSE. Diventa amico di Brandalise, Cacciari, Curi, e Duso, ed è maestro nel suo stesso liceo vicentino, dove conosce Volpi. Collabora attivamente ad alcune importanti riviste di filosofia come Angelus Novus, Contropiano, Il Centauro. È professore a Venezia; a 'Padova; è stato co-fondatore dell'Associazione “Maitreya” di Venezia. Contribuito alla nascita della rivista “Marco Polo, rivista di filosofia orientale” --  e comparata “Simplègadi” è stato tra i promotori del Master in Studi Interculturali a Padova, presso il quale ha insegnato Filosofia delle Culture. Direttore scientifico della Scuola Superiore di Filosofia orientale e comparativa di Rimini. Contributo teorico Nel saggio Dall'estetica tecnologica all'estetica interculturale, P. descrive la sua avventura intellettuale e insieme l'evoluzione del suo pensiero. In una prima fase si è formato all'estetica analitica e alla filosofia analitica del linguaggio, ma ha rilevato il loro limitato significato formale. In una seconda fase, si è rivolto al pensiero critico di Adorno e della Scuola di Francoforte, e in questo caso ha valutato che la conclusione alla quale essi giungevano, era la morte per utopia dell’estetica. In una terza fase si è rivolto al pensiero di Nietzsche, tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta; Nietzsche nella Nascita della tragedia, considera Apollo e Dioniso come due istinti complementari, tanto da consentire di poter riuscire a «vedere la scienza con l’ottica dell’artista e l’arte con quella della vita»’, e a dare importanza alla saggezza del corpo. Ma quello Nietzscheano gli sembrò solo un tentativo eroico di coniugare filosofia e vita, che alla fine si rivela solo come uno straordinario tentativo di scrittura sulla vita. Un'insoddisfazione di fondo per gli esiti del pensiero occidentale, e la ricerca continua di nuove possibilità per il pensiero, lo hanno portato ad approfondire lo studioiniziato già in anni giovanilidi tradizioni di pensiero esterne a quella occidentale. Il buddhismo, in particolare, ha costituito un terreno ampio di indagine e di confronto con diversi temi o autori della cultura europea; ma anche il pensiero taoista e l'esperienza della filosofia indiana hanno rappresentato nel corso degli anni un importante ambito di riflessione. Infatti, in un'ulteriore quarta fase del suo viaggio intellettuale, P. si è rivolto all’estetica orientale come meditazione, ovvero come cammino comune verso un possibile superamento della scissione tra esperienza e riflessione. In una quinta fase, P. si è avvicinato all’estetica di Garroni come uso critico del pensiero, quale comprensione dell’esperienza in genere all’interno dell’esperienza: in un certo senso, quindi, l’estetica andava coincidendo con la filosofia. Valutando la riflessione di Garroni prossima a quella orientale, P. arriva a considerare l'importanza della 'meditazione' e del 'vuoto mentale’, in base ai quali, come l’assenza di pensiero non può essere pensata senza idee, così non si possono pensare idee senza pensiero, come era stato già pensato da Dogen. Nella sua sesta ed ultima fase,  guarda l’estetica con gli occhi della filosofia come comparazione e della filosofia interculturale, quindi come un ampliamento dell’orizzonte particolare dell’estetica verso una riflessione generale sui problemi cruciali dell’esistenza. P., infatti, è stato il primo pensatore italiano a elaborare la valenza teoretica di una filosofia come comparazione, teorizzata con rigore in FILOSOFIA come comparazione, distinguendola da un mero esercizio comparativo di pensieri appartenenti ad ambiti geo-filosofici differenti. Il suo pensiero ha trovato echi e possibilità di dialogo con filosofi italiani, come Cacciatore,  Cognetti, Leghissa, e stranieri come Fornet-Betancourt, Kimmerle, Jullien, Mall, Ohashi, Panikkar, Stenger,  Wimmer.  Duemila ha contribuito all'introduzione in Italia della filosofia di Marco Polo sull’Oriente a cominciare dall'importante opera di Nishida L’io e il tu, e poi con gli altrettanto importanti Uno studio sul bene e Problemi fondamentali della filosofia, accompagnati sempre da un saggio interpretativo che è rimasto sostanzialmente invariato nel corso degli anni. Parallelamente ad altri autori, si è misurato dai primi anni Duemila con il tentativo di delineare temi e metodi per una filosofia interculturale che costituisce il campo di maggior impegno e interesse della sua ricerca, congiuntamente a una riflessione estetica sulle forme dell'arte dell'Asia orientale. Riassumendo gl’elementi chiave del pensiero di P., potremmo individuare due componenti fondamentali: il concetto di Ermenuetica interminabile e quello di Dialogo interculturale Il concetto di Ermenuetica interminabile prevede come elementi: 1. il pensiero come 'comparazione originaria'; 2. il sapere come 'ambito problematico sempre aperto', rispetto al quale non si dà mai una verità stabile, ma sempre problematica, inscritta cioè in un processo inesauribile di ricerca; 3. il concetto di 'impermanenza' (mutuata dal concetto buddhista di 'anatta') come struttura relazionale di tutto ciò che è, in base alla quale tutto ciò che è, è un ‘nodo’ di relazioni in continua trasformazione ed evoluzione processuale. Il concetto di Dialogo interculturale prevede come elementi: 1. la 'meditazione' come ‘vuoto mentale’ e ‘consapevolezza’mindfulnessdel senso critico del pensiero radicato nel presente; 2. l'apertura conseguente alla compresenza degli elementi precedentidell’orizzonte di una riflessione generale sui problemi cruciali dell’esistenza, orizzonte tipico della filosofia interculturale. P. precisa chiaramente la specifica forma di rapporto comparativo che viene attivato nell'orizzonte della filosofia interculturale, rapporto detto 'a tre variabili interdipendenti. L’orizzonte di una filosofia interculturale dovrebbe invece tendere a porsi come linea immaginaria di uno spazio illimitato pronto ad ospitare quelle specifiche pratiche interculturali che sono gli esercizi in atto di filosofia in quanto comparazione. Per evitare le conseguenze contraddittorie a cui conducono sia le prospettive multiculturali, sia le utopie universaliste, è necessario precisare la natura e la funzione della specifica forma di rapporto che si viene ad attivare nell’orizzonte della filosofia interculturale. La modalità di tale rapporto può essere definita 'a tre variabili interdipendenti': due sono costituite da pensieri o ambiti di pensieri tra loro diversi, e la terza è costituita da un soggetto (individuale o culturale) che li pone a confronto. L’essenziale di questa modalità di rapporto è che nessuna delle tre variabili sussiste autonomamente, prima, dopo o a parte rispetto alle altre due: in particolare, è importante evidenziare che il soggetto risulta sempre e necessariamente implicato nella pratica della comparazione, al punto che tale pratica lo forma e lo trasforma: il suo sguardo è ‘impuro’ fin dall’inizio, perché fin dall’inizio viene condizionato e prodotto da una serievirtualmente infinitadi osservazioni comparative. Fra i temi affrontati più di frequente dalla sua riflessione ricordiamo: 1. il tema dell’identità, in base al quale essa non è alcunché di rigido e identitario, ma poiché l’essente è nodo di relazioni, l’identità si dà come intreccio di infinite relazioni, ovvero come compresa in una sua problematica autonomia; il soggetto che, in quanto costitutivamente interessato da molteplici relazioni, nel suo ricercare il senso del realtà del mondo, non è un osservatore disincarnato e disinteressato, o imparziale, ma è compreso nel rilevamento di quel senso nella trasformazione di sé e della realtà; il corpo, in base al quale esso è la mente e, insieme, la condizione prima della conoscibilità del mondo; in questo senso il tragitto di P. ha sicure relazioni al tema odierno della ‘cognizione incorporata’ e della Filosofia del corpo; il concetto di ‘processo’, in base al quale la realtà è un insieme di processi: ciò che è, in quanto 'nodo' potenzialmente infinito di relazioni, diviene processualmente, concezione che deriva direttamente dalle filosofie orientali, in particolare dal buddhismo; l’illuminismo in base al quale i limiti della ragione possono venir posti soltanto dalla ragione stessa, come era stato già perfettamente considerato dalla Dialettica dell'illuminismo; l tema delle pratiche filosofiche e della pratica artigianale;  il tema dei diritti umani che non è solo un tema accessorio rispetto al suo pensiero; su questo versante pare giocarsi una partita più grande, che, ai temi della ‘libertà condizionata', della natura dell’individuo e del fenomeno della globalizzazione  unisce una profonda preoccupazione per i destini dell’umanità. A tal proposito pare essere abbastanza pessimista, un pessimismo attivo non passivo. Egli dice, infatti, nella premessa alla nuova edizione del Tao della filosofia, queste precise parole. È da osservare tuttavia che le tematiche della filosofia comparata, della filosofia come comparazione e della filosofia interculturale non hanno avuto e continuano a non avere risonanze significative all’interno del dibattito filosofico nazionale e internazionale. Le ragioni di questa scarsa ricaduta sono molteplici e di varia natura. Forse vi sono alla base difficoltà intrinseche ai modi in cui tali tematiche sono state formulate e proposte; ma è anche da dire, a tale proposito, che finora non vi è stata alcuna proposta critica che abbia messo in luce tali ipotetiche difficoltà. È da ritenere, allora, che le ragioni di questa debolissima risonanza siano, almeno in parte ma in primo luogo, da far risalire alle rigidità delle discipline accademiche che mal sopportano non solo le contaminazioni interdisciplinari ed interculturali, ma anche i semplici ponti che tentano di mettere in comunicazione diverse discipline, culture e civiltà. In secondo luogoma, dovremmo dire, ad un secondo, più basso, livellosi dovrebbero tener presenti le ragioni o, meglio, i ‘sentimenti’ che hanno a che fare più da vicino con germi xenofobi mai estinti, con residui di fondamentalismi religiosi e con rigurgiti di tipo razzista che infestano non solo l’Italia e non solo l’Europa. Ci sembra, anzi, che le tendenze che germinano da tali poltiglie psicologiche e ideologiche si stiano facendo sempre più invadenti ed arroganti. Questa riedizione del Tao della filosofia può forse costituire un frammento ancora utile a tenere aperta qualche piccola fessura di luce in un orizzonte culturale che, nonostante le aperture imposte dalla globalizzazione, si fa sempre più stretto e più cupo. Al fondo delle intenzioni di P., c’è un atteggiamento ecologico e agnostico,fino addirittura a concepire la possibilità dell’essere ‘apolide’ -, e consapevoleuna consapevolezza nel senso di mindfulnessnei confronti della natura della mente e della psicologia umane, al punto che, alla disillusione per la possibilità di integrazione nella vita psicologica occidentale delle pratiche meditative orientali, si unisce la preoccupazione e l’impegno sociale e politico, forse considerando la marginalità dell’intellettuale nelle grandi vicende della contemporaneità, ma insieme sempre anche con un’apertura di orizzonte per una riflessione generale sui problemi cruciali dell’esistenza. Saggi: “Avanguardia, tecnologia ed estetica (Roma, Officina); “Teoria come utopia” (Verona, Bertani); “Storia e critica dell'ideologia, Padova, CLEUP, Oltre l'ideologia: «Il Federalista», Roma, Ist. dell'Enciclopedia Italiana); “Pensiero negativo e civiltà borghese, Napoli, Guida, Saggi di critica, Padova, CLEUP, Saggi su Nietzsche, Milano, Angeli, Il Tao della filosofia. Corrispondenze tra pensieri d'Oriente e d'Occidente, Parma, Pratiche, Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio,  Illuminismo e illuminazione: la ragione occidentale e gli insegnamenti del Buddha, Roma, Donzelli, Yohaku: forme di ascesi nell'esperienza estetica orientale, Padova, Esedra, East & West. Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio, Il Buddhismo: i sentieri di una religione millenaria, Milano, Bruno Mondadori, Figure di pensiero. Opere e simboli nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio); Oltre la filosofia, percorsi di saggezza tra oriente e occidente, Vicenza, Colla; Dieci lezioni sul buddhismo, Venezia, Marsilio, Per una filosofia inter-culturale, Milano, Mimesis, Taccuino giapponese, Udine, Forum, Tra Occidente ed Oriente: interviste sull'intercultura ed il pensiero orientale (Pretto), Milano, Mimesis; Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio); “Dall’estetica tecnologica all’estetica interculturale, in Studi di estetica, Filosofia come comparazione in Simplègadi. Percorsi del pensiero tra Occidente e Oriente, Padova, Esedra). Cfr. Davis, Bret W.,.) Kitaro, L’io e il tu, Andolfato, Padova, Unipress, Nishida: dialettica e Buddhismo, Postfazione,  Kitaro, Uno studio sul bene, Fongaro, Torino, Boringhieri, Kitaro, Problemi fondamentali della filosofia: conferenze per la Società filosofica di Shinano, Fongaro (Venezia, Marsilio); Buddhismo e dialettica. Introduzione al pensiero di Nishida, Per una filosofia interculturale, Milano, Mimesis, Tra Oriente e Occidente. Interviste sull’intercultura ed il pensiero orientale, Pretto, Milano, Mimesis,  Nietzsche o dell'ermeneutica interminabile, in, Crucialità del tempo, Napoli, Liguori, Saggi su Nietzsche, Milano, Angeli, Intercultura e globalizzazione, in, Incontri di sguardi. Saperi e pratiche dell’intercultura, Miltenburg, Padova, Unipress, Per una filosofia interculturale, Milano, Mimesis, Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio,  Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio, Dalla prospettiva della filosofia comparata all’orizzonte della filosofia interculturale, Simplègadi, East & West, Venezia, Marsilio. Interessante può essere, sotto questo aspetto, il confronto con il pensiero di E. Morin, nel suo La testa ben fatta” (Milano, Cortina,  La riforma di pensiero, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio, voce Corpo. Illuminismo e illuminazione, Roma, Donzelli); Saggezze d'Oriente e d'Occidente come forme di vita, n Id., Oltre la filosofia, Vicenza, Colla, Interessante può essere, sotto questo aspetto, il confronto con il pensiero di Sennet, nel suo L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli,  Diritti umani e valori in Asia, Studia Patavina, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio,, voce Libertà. Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Il tao della filosofia, Milano, Luni, Premessa.  I termini 'ecologico' e 'agnostico' non sono propri dei supo testi ma depositati nel suo insegnamento 'orale', nonché derivabile da una semplice riflessione sulle finalità e conseguenze della sua impostazione teorica Santangelo, recensione a Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente Revue Bibliographique de Sinologie, Ghilardi, Magno, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente. in onore, Milano-Udine, Mimesis,  Fongaro, Ghilardi, Filosofia come Pratica. A partire da Il Tao della Filosofia, in Simplegadi, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente, Ghilardi, Magno, Mimesis, Crisma, Dao, ossia cammino. Note in margine al percorso di riflessione di in Simplegadi, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente, Ghilardi, Magno, Mimesis, Bergonzi, Comparatismi e dialogo interculturale fra filosofia occidentale e pensiero indiano, in Comparatismi e filosofia, Donzelli, Napoli, Liguori, Marramao, Pensare Babele. L'universale, il multiplo, la differenza, in Iride, Pagano, Un contributo ermeneutico per la filosofia interculturale, in Lo Sguardo: rivista di filosofia, Ghilardi, Magno, La filosofia e l'altrove: Festschrift, Milano-Udine, Mimesis, Yusa, Michiko, Porta, recensione ad Alfabeto Filosofico, Daodejing,  Mandukya Upanishad, Mimesis Festival: Che cos’è la filosofia? d Schopenhauer tra Oriente e Occidente, di G. Pensiero buddhista e filosofie occidentali, Panikkar e la questione dei diritti umani, La compassione intelligente nella tradizione buddhista, Nirvana e Samsara, Covid-19 e Libertà. Anteprima di Illuminismo e Illuminazione, Anteprima di Per una filosofia interculturale, Anteprima di Taccuino. Anteprima di Alfabeto Filosofico,  Anteprima di Dieci Lezioni sul Buddhismo, Materiali su Interculturalità e Oriente, Materiali su Interculturalità e Oriente. Giangiorgio Pasqualotto. Pasqualotto. Keywords: Marco Polo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pasqualotto” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Pastore: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella storia della dia-lettica romana di Varrone a Peano -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Orbassano). Filosofo italiano. Grice: “A proto-Griceian.” Grice: “Pastore divides logicians by nationality, and he has a few for Italians; he does not distinguish between Welsh Russell and English Boole, though!” Grice: “Pastore has an excellent section on the ‘alleged’ imperfections of ordinary language, to which I refer to in my reference to the common place in philosophical logic.” Grice: “Pastore lists six imperfections of ordinary language, for which he notes how confusing the allegations are.” “He ends by noting the moral of the formalist: “not everything that is explicated is implicated, and not everything that is implicated is explicated!” – Grice: “The Italian philosophers he mentions make an interesting list.” Grice: “He has an earlier paragraph on “Roman logic,” which is charming.” Laureato a Torino con GRAF ed ERCOLE (si veda), è insegnante di liceo e ottenne una cattedra a Torino. Fonda e dirigge il laboratorio di logica sperimentale a Torino. Collaboratore della Rivista di filosofia.  I suoi manoscritti sono conservati nell'accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria di Firenze. La salma del filosofo riposa nel cimitero di Bruino. Saggi: “La logica formale dedotta dalla meccanicia”; “Scienza” “Sillogismo e proporzione,” “Dell'essere e del conoscere,” “Il pensiero puro,” “Causa ed esperienza”; “Solipsismo,”  “Potenzia logica” “Logica sperimentale,”” L'acrisia di Kant” “La filosofia di Lenin”; “La volontà dell'assurdo. Storia e crisi dell'esistenzialismo” (Logicalia, Dioniso, “Introduzione alla metafisica della poesia,” Bazzani, Carte. Fondo dell'Accademia La Colombaria” (Firenze, Olschki); Castellana, “Razionalismi senza dogmi. Per una epistemologia della fisica-matematica” (Mannelli, Rubbettino); Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia, Selvaggi, Un filosofo triste: P. in Scienza e metodologia. Saggi di epistemologia, Roma, Gregoriana). “È notissima la storia della logica nell’antica Roma, in cui assai per tempo viene a prevalere la teoria catechistica, sviluppata negl’innumerevoli manuali di logica ad uso delle scuole, mutuanti l’insegnamento dalli saggi di VARRONE, di CICERONE, di Aulo GELIO, e di Quintiliano. Questo indirizzo comprende altresi i saggi di Vittorino, di VEGEZIO (si veda), e si spinge fine a quelle imporntantissimei di BOEZIO (si veda) e di Cassiodoro che riduceno la logica all’uso d’una TABULA LOGICA o combinazione di concetti secondo le regole della silogistica. BOEZIO, “Introductio ad categehoricos syllogismos”; “de syllogismo categorico-hypothetico,” “de divvisione”, “de definitione”, Cassiodoro (Venezia). In tutta quanta la scolastica la sillogistica di BOEZIO è ripresa ed applicata con sottilissimo svolgimento. Comincia, a vero dire, per essere incompletamente conosciuta. Si complete con LOMBARDO. Quindi fa decisamente il suo ingresso nell’occidente per opera di AQUINO, ABANO, e COLONNA – Summa theologica, cfr. BRUNO, “de specierum scrutinio”; de lampade combinatoria lulliana, de progresso et lampade venatoria legocorum. S’istende la lussureggiante vegetazione dei “terministi”, fra i quali appena è il caso dei ricordare il nostro Paolo NICCOLINI (si veda) Veneto, TARTARETO, e NIGRI. Per onore della filosofia, voglio dire che, in mezzo a tanta zavorra, i pensamenti originali sono molto più numerosi ed important di quanto non si creda comunemente. NIZOLIO, Pauli Veneti, “Logia parva”, tractatus summlarum (Venezia). Le loro relazione possibili con le varie posizioni di certi dischetti girevoli atorno un centro comune, sovrapposit l’uno all’altro, sui quali sono segnai i concetti fundamentale. Questo tentativo di BRUNO (si veda) contiene in gemre tutta la teoria della quantifiicatione del predicato e la teoria della logica sperimentale. In seguito ai mie personali ricerche compiute nella biblioteva comunate di Noto (Siracusa) la priorità della dottrina della quantificazione del predicato si deve attributire al sottilissimo casista CARAMUEL (si veda), che l’espose nella sua “Grammatica audax”. Zvsdilio, zinytofuvyio in stidyyrlid lohivsm, ztoms. FACCIOLATI, Logia protehroai, rudimenta di Logica, TIZIO, Arte di pensare. PEANO, Calcolo geometrico secondo l’ausdehnungslehre di Grassmann preceduto dale operazione della logica deduttiva (Torino), arithmetica, principia, nova method exposita, I principi di geometrica logicamente esposti (Torino, Bocca); elementi di calcolo geometrico, principi di logica matematica R d M, formule di logica matematica, sul concetto di numero, sui fondamenti della geomentria, saggio di calcolo geometrico, studi di logica matematica, NAGYj, Fondamenti del calcolo logico, Napolo, sulla rappresentazione grafica della quantità logica, Lencei, lo stato attuale ed i progressi della logica, rivista italiana di filosofia, I principi di logica esposti secondo le dottrine moderna (Torino, Leoscher), I teoremi funzionali nel calcolo logico (Rivista di matematica); La logica matematica e il calcolo logico (Rivista Italiana di Filosofia, Roma), I primi dati della logica (Roma), Sulla definizione e il compito della logica (Roma, Balbi), Alcuini teoremi intorno alle funzione logiche (Rivista di Matematica), BURALI-FORTI, Logica matematica (Milano); Sui simboli di logica matemaitca (Il Pitagora), Vacca, Vailati, Padoa, Pieri, Castellano, Ciamberlini, Giudice, Nota di Logica matematica (Rivista di Matematica), Vailati, un teorema di logica matematca (Rivista di Matematica), sul carattere della logica: il sviluppo della logica formale (Rivista di filosofia), Vacca, “Sui precursori della logica matematica” (Rivista di Matematica), Bettazzi, Chini, Boggio, Ramorni, e Nasso. Tutti i logici italiani apparengono alla scuola di PEANO (si vedùa), al qualse si deve la logica matematica o pura. In essa introduzione, Peano, esposti lucidamente gli studio, dimostra l’identità del calùcolo sulle classi, col calcolo sulle proposizioni. La sua opera contiene la teoria dei numeri interi completamente riditta in formole facendo ricorso ad un limitatissimo numero d’idee logiche Peano espresso coi simboli: e, > =  + V ~ A. – sette simboli. Di qui trae origine la sua ideo-grafia in cui ogni idea è rappresentata con un segno, e il su strumento analitico anda perfezionandosi rapidamente. Arrichitta di numerose indicazioni storiche per la collaborazioni di valenti seguazi, procede alacremente, raccogliendo e trattando completamente in simboli tutte le proposizioni della matematica. L’importanza filosofica di questo movimento iniziato da Peano non e ancora stata apprezzatta convenientemente da ogni filosofo, ma i saggi di Peano cominciano solo ORA a richiamare sola di se l’attenzione dei filosofi. Il ritardo filosofico e tanto più strano quanto più chiara è la filiazione filosofica di questa ideo-grafia. Peano stesso non cessa mai di far notare che la sua ideo-grafia è casata su teoremi di logica. Ma se con definizione opportune, si pote riddure le idee di logica anche si incontrano in molte parti della matematica ad un numero sempre più piccolo d’idee primitive, attualmente ancorsa si desidera una riduzione analogia di tutte le idee di logica ache si incontrano nella LOGICA PURA. Questa riduzione presenta in vero seriissime difficoltà ed e più facile il riconocere quante e quai siano le idea primitive in aritmetica e in geo-metria che in logica. Continuando le richerche mi convene supporre consosciuto tento di portare un contribute alla soluzione del problema suddetto.  Annibale Pastore. Pastore. Keywords: implicature, logica meccanica, acrisia. Meccanica rama della fisica.  Refs: Luigi Speranza, “Grice e Pastore,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.

 

Grice e Pattio: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. Grice: “Cicerone says that this is best spelt ‘Pazzio’!” -- Pattio.

 

Grice e Paulino:  la ragione conversazionale e il portico romano, la ragione e l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Nola). Filosofo italiano. A wealthy man. He has a career in public life before becoming a philosopher. He writes many poems and letters, some of which survive. Some see the influence of the Portico on his views concerning the ascetic life. His son is Giovio. Grice: “I like Paulino – for one, that’s my Christian name!” -- Paulino.

 

Grice e Pausania: la ragione conversazionale e la scuola di Girgenti – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo italiano. A friend of Empedocle di GIRGENTI (si veda) – and the dedicatee of one of his poems. P. wites an an account of his tutor’s life and death. Grice: “We English are lucky: there is only one philosopher from Ockham: Ockham. From Girgenti, however, Italians have Empedocle and Pausania!” Grice: “Strawson advised me that I should refer to Emepedocle as Girgenti and Pausania as Girgentino, just for the sake of the difference!” -- Pausania.

 

Grice e Peano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Spinetta di Cuneo). Filosofo italiano. Grice: “As I reduce “the” to “every,” I am of course following Peano, who predates Russell!” -- important Italian philosopher. Linceo. P.’s postulates, also called P, axioms, a list of assumptions from which the integers can be defined from some initial integer, equality, and successorship, and usually seen as defining progressions. The P. postulates for arithmetic are produced by P. He takes the set N of integers with a first term 1 and an equality relation between them, and assumed these nine axioms: 1 belongs to N; N has more than one member; equality is reflexive, symmetric, and associative, and closed over N; the successor of any integer in N also belongs to N, and is unique; and a principle of mathematical induction applying across the members of N, in that if 1 belongs to some subset M of N and so does the successor of any of its members, then in fact M % N. In some ways P.’s formulation was not clear. He had no explicit rules of inference, nor any guarantee of the legitimacy of inductive definitions which Dedekind established shortly before him. Further, the four properties attached to equality were seen to belong to the underlying “logic” rather than to arithmetic itself; they are now detached. It was realized by P. himself that the postulates specified progressions rather than integers e.g., 1, ½, ¼, 1 /8,..., would satisfy them, with suitable interpretations of the properties. But his work was significant in the axiomatization of arithmetic; still deeper foundations would lead with Russell and others to a major role for general set theory in the foundations of mathematics. In addition, with Veblen, Skolem, and others, this insight led in the early twentieth century to “non-standard” models of the postulates being developed in set theory and mathematical analysis; one could go beyond the ‘...’ in the sequence above and admit “further” objects, to produce valuable alternative models of the postulates. These procedures were of great significance also to model theory, in highlighting the property of the non-categoricity of an axiom system. A notable case was the “non-standard analysis” of Robinson, where infinitesimals were defined as arithmetical inverses of transfinite numbers without incurring the usual perils of rigor associated with them. Fu l'ideatore del latino sine flexione, una lingua ausiliaria internazionale derivata dalla semplificazione del latino classico. Nacque in una modesta fattoria chiamata "Tetto Galant" presso la frazione di Spinetta di Cuneo. Fu il secondogenito di Bartolomeo P. e Rosa Cavallo; sette anni prima era nato il fratello maggiore Michele e successivamente nacquero Francesco, Bartolomeo e la sorella Rosa. Dopo un inizio estremamente difficile (doveva ogni mattina fare svariati chilometri prima di raggiungere la scuola), la famiglia si trasferì a Cuneo. Il fratello della madre, Giuseppe Michele Cavallo, accortosi delle sue notevoli capacità intellettive, lo invitò a raggiungerlo a Torino, dove continuò i suoi studi presso il Liceo classico Cavour. Assistente di Angelo Genocchi all'Torino, divenne professore di calcolo infinitesimale presso lo stesso ateneo a partire dal 1890.  Vittima della sua stessa eccentricità, che lo portava ad insegnare logica in un corso di calcolo infinitesimale, fu più volte allontanato dall'insegnamento a dispetto della sua fama internazionale, perché "più di una volta, perduto dietro ai suoi calcoli, [..] dimenticò di presentarsi alle sessioni di esame".  Ricordi del grande matematico (e non solo della vita familiare) sono raccontati con grazia e ammirazione nel romanzo biografico Una giovinezza inventata della pronipote Lalla Romano, scrittrice e poetessa. Aderì alla massoneria, iniziato nella loggia Alighieri di Torino guidata dal socialista  Lerda.  Morì nella sua casa di campagna a Cavoretto, presso Torino, per un attacco di cuore che lo colse nella notte.  Il matematico piemontese fu capostipite di una scuola di matematici italiani, tra i quali possiamo annoverare Vailati, Castellano, Burali-Forti, Padoa, Vacca, Pieri e Boggio. Peano precisa la definizione del limite superiore e fornì il primo esempio di una curva che riempie una superficie -- la cosiddetta "curva di Peano", uno dei primi esempi di frattale -- mettendo così in evidenza come la definizione di curva allora vigente non fosse conforme a quanto intuitivamente si intende per curva.  Da questo lavoro partì la revisione del concetto di curva, che fu ridefinito da Jordan (curva secondo Jordan).  Fu anche uno dei padri del calcolo vettoriale insieme a Levi-Civita. Dimostra importanti proprietà delle equazioni differenziali ordinarie e idea un metodo di integrazione per successive approssimazioni.  Sviluppa il Formulario mathematico, scritto dapprima in francese e nelle ultime versioni in interlingua, come chiama il suo latino sine flexione, contenente oltre 4000 tra teoremi e formule, per la maggior parte dimostrate. Da un eccezionale contributo alla logica delle classi, elaborando un simbolismo di grande chiarezza e semplicità. Da una definizione assiomatica dei numeri naturali, i famosi assiomi di P. che vennero poi ripresi da Russell e Whitehead nei loro Principia Mathematica per sviluppare la teoria dei tipi.  I contributi di Peano sulla logica furono osservati con molta attenzione da Russell, mentre i contributi di aritmetica e di teoria dei numeri furono osservati con molta attenzione da Vailati, il quale sintetizzava in Italia il passaggio tra l'esame delle questioni fondamentali e l'applicazione di metodiche di analisi del linguaggio scientifico, tipica degli studi logici e matematici, e anche specifica gli interessi di storia della scienza, allargando la prospettiva anche agli studi sociali. Per questo P. ha dei contatti molto stretti con il mondo degli studiosi di logica e di filosofia del linguaggio nonché gli studiosi di scienze sociali empiriche (Cfr. Rinzivillo, P., Vailati. Contributi invisibili in Rinzivillo, Una Epistemologia senza storia” (Roma Nuova Cultura). Ha ampi riconoscimenti negli ambienti filosofici più aperti alle esigenze e alle implicazioni critiche della nuova logica formale. E affascinato dall'ideale leibniziano della lingua universale e sviluppa il "latino sine flexione", lingua con la quale cercò di tenere i suoi interventi ai congressi internazionali di Londra e Toronto. Tale lingua e concepita per semplificazione della grammatica ed eliminazione delle forme irregolari, applicandola a un numero di vocaboli "minimo comune denominatore" tra quelli principalmente di origine latina rimasti in uso nell’italiano. Uno dei grandi meriti della sua opera sta nella ricerca della chiarezza e della semplicità. Contributo fondamentale che gli si riconosce è la definizione di notazioni matematiche entrate nell'uso corrente, come, per esempio, il simbolo di appartenenza (“x A”) e il quantificatore esistenziale "".  Tutta l'opera di P. verte sulla ricerca della semplificazione, dello sviluppo di una notazione sintetica, base del progetto del Formulario, fino alla definizione del latino sine flexione. La ricerca del rigore e della semplicità lo portano P. ad acquistare una macchina per la stampa, allo scopo di comporre e verificare di persona i tipi per la “Rivista di Matematica” da lui diretta e per le altre pubblicazioni. Raccolge una serie di note per le tipografie relative alla stampa di testi di matematica, uno per tutti il suo consiglio di stampare le formule su righe isolate, cosa che ora viene data per scontata, ma che non lo era ai suoi tempi. Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale della Corona Commendatore della corona L'asteroide  P. è stato battezzato così in suo onore.  Il dipartimento di Matematica di Torino è a lui dedicato. Molti licei in Italia portano il suo nome, come ad esempio a Roma, Cuneo, Tortona, Monterotondo, Cinisello Balsamo o Marsico Nuovo, così come la scuola di Tetto Canale, vicina alla sua città natale. Saggi: “Aritmetica”; “Algebra” (Torino, Paravia,); “Forma matematica” (Torino, Bocca); “Calcolo differenziale”; “Calcolo integrale” (Torino: Bocca); “Analisi infinitesimale” (Candeletti); “Calcolo infinitesimale e geometria” (Torino: Bocca), “Logica della geometria” (Torino: Bocca)”; “Principio dell’arimmetica” (Torino, Paravia); “Giochi di aritmetica e problemi interessanti” (Paravia, Torino). Provai una grande ammirazione per lui quando lo incontrai per la prima volta al Congresso di Filosofia, che e dominato dall'esattezza della sua mente. Russell. Amico, Storie della scuola italiana. Dalle origini (Zanichelli, Bologna); Celebrazione, Luciano e Roero Torino); “Storia di un matematico” (Boringhieri).  L. Romano, “Una giovinezza inventata” (Torino, Einaudi); Racconta episodi del rapporto con il prozio Giuseppe.  Assiomi di P., Glottoteta, Lingua artificiale, Matematica, Latino sine flexion, Cassina Calcolatori ternari M. Gramegna  Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E P. stregò Russell. The third kind of term, things, are only the entities indicated by proper names, but they have no additional relation with other terms. This leads Russell to consider the sole denoting concept which presupposes uniqueness -- "the.” Russell admits the great importance of this term, recognizes the merit of P.'s notation, and attributes to P. the capacity to make possible genuine mathematical definitions defining terms which are not concepts, the meaning of a word with its indication-reference and the meaning of a denoting concept with its denotation. P. does something more than provide the standard notation. The pre-eminence of a description over other forms of denotation is definitive. The notation for a description is inspired in the Peanesque symbolism (i.e. "laeb"). Membership to a class is replaced by a propositional function (i.e. (l£)(<I>X)). A propositional function is explained as a certain denoting function of <l>x, which, if <1>£ is true for one and only one value ofx, denotes that value, but in any other case denotes (P).p. Perhaps most interestingly for us is the insistence on the indefinability of "the" – P.'s inverted iota is already used -- together with the notion of denotation. The article, as published, adds the expression of the main definition in terms of propositional functions together with the previous manuscript definition in P.'s terms of existence and uniqueness, albeit if not in symbolic form. The two essential definitions are Principia, * 14.01.02: . \jI(IX)(epX) • =.(3b) : epx •=~ .x=b : \jib E ! ( 7 X ) ( e p X ) • = . ( 3 b ) : 4 > x . =• . x = b. This expresses the conditions of existence and uniqueness essentially with P.’s resources, i.e., in terms of quantification and identity, although adding propositional functions. P. has different vresources to eliminate the definite article – his inverted iota -- from a proposition. P. actually recommends this line in cases where the required conditions of existence and uniqueness are doubtful, precisely through a sort of definition in use. The descriptor is by no means indefinable in his system.  Russell:  "I read Schrader on Relations and found his methods hopeless, but P. gave just what I wanted (Letter to Jourdain, in Grattan-Guinness). If, as Russell maintains in Principia, following P., that a definition is to be always nominal, the definienda is only an abbreviation. Russell formulates his principle to preserve the admissible part of Bradley’s analysis -- (his methodological and analytical resourses -- and almost the entire Moore, in so far as they were compatible with the requirements of Peano's logic. Some of the mostti mportant ideas and symbolic devices that made Russell's theory of descriptions possible are already present in essays Peano that Russell knows well. We may proceed by a detailed comparison between the relevant parts of Russells theory -- including manuscripts now published-and some of Frege and , . . ht as well as a discussion of numerous possible obJectlons that P.’s mSig s, . . fl db could be posed to the main claim. Even if Russell was not actually influenced by those insights, the parallelisma are close enough to be worth analyzig, especially in the case of P., whose writings are not very well known.  (r) can be clearly found in Frege and Peano, that (2) was almost admitted by Frege and was admitted explicitly-including the symbolic expression by P.. THE SYMBOLIC ELIMINATION OF "THE" IN P.. The source in P. of the symbols relevant to Russell's theory of descriptions have been noted and sometimes explained (see, .for instance, 1988a and 199Ia, Chap. 3). I will confine myself to recalling that they were the letter iota (i) for the unit class, and the same letter inverted (1), or denied ("fa), for the only member of thiS class, i. e., the definite article of ordinary language. P.'s ideas evolved in three stages towards greater precision in the treatment of a description. This last P. starts from the definition in terms of the unit class. He then adds a series of possible definitions (the ones allowing an alternative logic al order), one of which offers this equivalence. P. introduces his fundamental d~fimt~on ~f the u:l1t class as the class such that all of its members are identical. In P.’s symbols, tx =ye (y =x). Likewise, P. defines indirectly the.unique member of such a class: x = "fa • = • a = tx. However, concerning the definability of the definite article, P. adds the crucial idea that any proposition containing “the” can be reduced to. the for,? ta eb, and thiS, again, to the inclusion of the referr~d .um~ class in the oth~r class (a ~ b), which already supposes the elimination of the symbol t: Thus, P. says, we can avoid an identity whose first member contams thiS symbol. Here we find the assertion that the only individual belonging to a unit II As an anonymous referee pointed out to me, one ~aj~rdifferenc~between P. and Russell's treatment of classes in the context of descnption theolJ' is that, while, for Peano, a description combines a class abstract with the inverse of the umt class operator, for Russell the free use of class abstracts is not available due to the discovery of paradoxes. P. does not explicitly state that the mentioned expression would be meaningless, but rather "nous ne donnons pas de signification a ce symbole si la classe a est nulle, ou si elle contient plusieurs individus.” But this is equivalent in practice, given that if we do not meet the two mentioned conditions, the symbol cannot be used at all. There are, however, other ways of eliminating the same symbols according to P.. One which is very similar and depends on the same hypothesis: laE b. = : a = tx. :Jx • Xc b(ibid).   class (a) such that it belongs to another class (b) is equal to the existence of exactly one element such that this element is a member of that class (b). In other words: "the only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at least one x such that (i) the unit class a is equal to the class constituted by x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that a is the class constituted by x, and that x belongs to b, is not an empty class"). This seems to be equivalent to Russell's definition. P., of course, speaks in terms of classes instead of a propositional function, i. e., in terms of the property or the predicate, which define a class – P. often read the membership symbol as "is" -- which expresses the same idea in a way where any reference to the letter iota has been eliminated. We can read now "the only member of a belongs to b" as the same as "there is at least one x such that (i) the unit class a is equal to all the y such that y =x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that they constitute the class ofy, and that they constitute the class a, and that in addition they belong to the class b, is not an empty class"). Thus, the full elimination underlies the definition, although P., in lacking a specifically explicit philosophical goals, shows no interest in making this point. Peano is totally aware of the importance of this device as a way to reduce the definite article to more primitive logical concepts, i.e. to eliminate it, as a result of which the symbol would cease to be primitive. That is why P. adds that the above definitions "expriment la P[proposition] 1a Eb sous une autre forme, OU ne figure plus Ie signe 1; puisque toute P contenant le signe 1a est reductible a la forme 1aEb,OU bestuneCIs, on pourra eliminer Ie signe 1 dans toute P.” Therefore, the general belief according to which the symbol "1" was necessarily primitive and indefinable for P. is wrong. By pointing out that in the "hypothesis" preceding the quoted definition it is clearly stated that the class "a" is defined as the unit class in terms of the existence and identity of all of their members (i.e. uniqueness): Before making more explicit the parallelism with Russell's theory, let us consider possible objections against this rather strong claim. All of these objections are either misconceptions or simply have no force with regard to P.’s main claim. This is why"a"is equal to the expression ''tx'' (in the second member). The objection could still be maintained by insisting that since"a" can be read as "the unit class", P. did not really achieve the elimination of the idea he was trying to define and eliminate, as it is shown through the occurrence of these words in some of the readings proposed above. However, as I will explain below, the hypothesis preceding the definition only states the meaning of the symbols which are used in the second member. Thus, "a" is stated as "an existing unit class", which has to be (1) It is true that the symbol "1" has disappeared, but in the definiens we still can see the symbol of the unit class, which would refer somehow to the idea that is symbolized by ''tx'', so the descriptor has not been really eliminated. The answer is very simple: for P. there were at least two forms ofdefining this symbol with no need for using the letter iota (in any of its forms). However, the actual substitution would lead us to rather complicated expressions,14 and given P.'s usual way of working (which can be First, by directly replacing tx by its value: y 3(y = x), as defined above. Making the replacement explicit, we have: 14 Starting from this idea, we can interpret the definition as stating that "la Eb" is only an abbreviation for the definiens and dispensing with the conditions stating exist- ence and uniqueness in the hypothesis, which have been incorporated to their new place. Thus, the new hypothesis would contain only the statement of"a" and"b" as being classes, and the final entire definition could be something like the following: la Eb • =:3x 3{a =y 3(y =x) • X Eb}, a, bECls.::J :. ME b. =:3XE([{3aE[w, zEa. ::Jw•z' w= z]} ={ye(y= x)}] •XEb), a E Cis. 3a: x, yEa. ~x.y.X = y: bE CIs •~ : ... (Ibid.) understood in this way: " 'a' stands for a non-empty class su~h that all of its members are identical." Therefore, we can replace "a", wherever it occurs, by its meaning, given that this interpretation works as only a purely nominal definition, i.e. a convenient abbreviation.  characterized as the constant search for shorter and more convenient formulas), it is quite understandable that he preferred to avoid it. In fact, the operation is by no means necessary, for the symbolic expression above was already enough to obtain the full elimination of the descriptor. We must not forget that the important thing is not the intu- itive and superficial similarity between the symbols "la" and ''tx'', caused simply by the appearance of the letter iota in both cases, or the intuitive meaning of the words "the unit class", but the conditions under which these expressions have been introduced in the system, which were completely clear and explicit in the first definition.IS "k e K" as "k is a class"; see also the hypothesis from above for another example). But this by no means involves confusion with i~clusion,as. it is shown by the fact that P. soon added four defimte properties precisely distinguishing both notions, which made it po~siblefor.hi~~.~ for Russell himself, to preserve the useful and convenient readmg is (2) The supposed elimination is a failure, for (i) it depends upon Peano's confusion of class membership and class inclusion, so that (ii) a singleton class (la) and its sole member (lX) are not clearly distinct notions; it follows that (iii) "a" is both a class and, according to the interpretation of the definition, an individual (iv), as is shown by joining the hypothesis preceding the definition and the definition itself This multiple objection is very interesting because it can be taken as proceed- ing from the received view on P., according to which his logic not only falls s~ort ofstrict logical standards, but also contains some import- ant confuSions here and there. However, the four points can easily be s~own t? be mistaken. (Incidentally, I think this could have been recog- mzed With pleasure by Russell himself, who always thought of P. and his school as being strangely free oflogical confusions and mistakes.) . Fir~t, it ~n hard~y be said that P. confused membership and mcluslOn, given that it was he himselfwho introduced the distinction through his symbol "e" (previously to, and therefore independently of, Frege). If the objection means (which is rather unlikely) that P. would admit the symbol for membership as taking place between two classes, it is true that this was the case when he used it to indicate the meaning of some symbols, but only through the reading "is" (e.g. full clarity that"1" (T) makes sense only before individuals, and ''t'' before classes, no matter which particular symbols we use for these notions. Thus, ''ta'', like "tx", both have to. be read as "the class consti- tuted by ...", and" la" as "the only member of a". Therefore, although P., to my knowledge, never used "lX" (probably because he always which could be read as " 'a and b being classes, "the only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at least one x such that (i) 'there is at least one a such that for eve~,': and z belonging to a,.w = z' is equal to 't~ey such that y =. x' , and (ii) x belongs to b ,where both the letter Iota and the words the unit class" have disappeared from the definiens. aeCis.3a:x,yea.-::Jx,y. x=y:beCIs•~:. . l a e b . = : 3 x 3(a = t x . x e b), 15 There is a well-known similar example in the apparent vicious circle of Frege's famous definition ofnumber. the reply to objection (1). There are other, minor objections as well. Second, "la" does notstand for the singleton class. P. stated with thought in terms of classes), had he done so its meaning, of course, would have been exactly the same as "la", with no confusion at all. Third, "a" stands for a class because it is so stated in the hypothesis, although it can represent an individual when preceded by the descriptor, and together with it, i.e. when both constitute a new symb.ol as a w.hol~. Here P.'s habit could perhaps be better understood by mterpretmg it in terms of propositional functions, and then by seeing" la" as being somewhat similar to <!>x, no matter what reasons ofconvenience led him to prefer symbols generally used for classes ("a" instead of"x"). There is little doubt that this makes a difference with Russell. It could even be said that while, for Peano, the inverted iota is the symbol for an operator on classes, which leads us to a new term when it flanks a term, for Russell it was only a part of an "incomplete symbol". I am not sure about P.'s answer to this, but at any rate for him the descriptor could be eliminated only in conjunction with the rest of the full express- ion "la e b", so that the most relevant point of similarity again can be found in P.. Last, there is no problem when we join the original hypothesis and the definition: as I have pointed out in the interpretation contained in the last part of (3) If, as it seems, "a" is affected by the quantifier in the hypothesis, then it is a variable which occurs both free and bound in the formula (if it is a constant, no quantifier is needed). I am not sure about the possible reply by P. himself Perhaps he did not always distinguish with present standards o f clarity between the several senses o f "existence" (or related differences) involved in his various uses of quantifiers,r6 but in principle there is no p'roblem when a variable appears both bound and free in the same expression, although in different occurrences. At any rate, I cannot see how this could affect my main claim; the important thing here is to recognize the fundamental similarities between the elim- ination of the descriptor in P. and Russell. However, in the several readings I proposed I hope to have clarified a little the role of ".3" in P. . (5) P. could hardly have thought that he was capable of eliminat- ing the descriptor, for he continued to use the symbol and his whole system depended on it as a primitive idea.IS The only additional reply is that only reasons ofconvenience can explain the retaining ofa symbol in a system in cases where the symbol can be defined, i.e. eliminated. (After all, Russell- himself continued to use the descriptor after its elimination by means of his theory of descriptions.) But, as we have seen, there is no doubt P. thought that the descriptor could easily be eliminated from propositions. (4) Russell rejected definitions under hypothesis, therefore he would have rejected the Peanian definition of the descriptor. Of course, we must admit that Russell (like Frege) rejected this kind ofdefinition, but this took place especially in the context of the unrestricted variable of Principia.I ? Besides, he himself used this kind of definition for a long period once he mastered P.'s system. It was because he interpreted these definitions as P. did, i.e. merely as -a device for fixing the meaning of the letters used in the relevant symbolic expressions. Thus, when for instance one reads, after whatever symbolic definition, things like" 'x' being ..." or" 'y' being ...", this would really be a definition under hypothesis, but, of course, only because the meaning of the sym- bols used always has to be determined somehow. Anyway, there is no point in continuing the discussion ofthis objection, given that it is hard- ly relevant to my main claim. Even if P.'s original elimination of the descriptor does not work because of its taking place in the framework of a merely conditional definition, the force of his original insight could well have influenced Russell; at any rate, it is worth knowing in itself (6) The reduction mentioned, even if it really took place, was by no means followed by the philosophical framework which made Russell's theory of descriptions one of the most important logical successes of the century. Thus, P. did not realize the importance of the elimination. This last point can hardly be denied, but P.'s goals were very different from Russell's, so I think that to point out a "lack" like this makeslittle sense from a historical point ofview. 16 I would like to recall here that it was P. himselfwho discovered the distinction between bound and free variables (which he respectively called "apparent" and "real"), and probably-and independently of Frege-also the existential and universal quantification (see my I988a and I99Ia for a detailed account of both achievements). Quine wrote that "1" was a primitive and indefin- able idea in P. However, now that we have exchanged several letters concerning an earlier version ofthis article, I must say he has changed his mind. His letter to me ofII October 1990 contains the following passage: "I am happy to get straight on P. on descriptions. I checked your reference and I fully agree. P. deserves all the credit for it that has been heaped on Russell (except perhaps for Russell's elaboration of the philosophical lesson of contextual definition)". As for the sense in which the philosophical consequences of the elimination of the descriptor were not very important for P., I have faced the problem in my reply to an objection. And also in previous stages, through the (finally unsuccessful) attempt at a substitutional theory based upon propositions, with no classes and no propositional functions. . For according to him the descriptor cannot be defined in isolation, but only in the context of the class (a) from which it is the only member (la), and also in the context of the clas~ from which that class is a member, at least to the extent that the class a is included in the class b, although this supposes no confusion between membership and inclusion; see the second point of my reply to objection (2) above. I think this is just the right interpretation ofthe whole expression"1a Eb". In any case, I cannot help being convinced that none of these objec- tions seems to have any force against my main claim: that the elimin- ation of the descriptor was present in P. with essentially the same symbolic resources as in Russell. This is equivalent to the first two claims at the beginning of this paper: P. clearly stated the conditions of existence and uniqueness as providing the true significance of the descriptor; and (2) he had enough symbolic techniques for dispensing with it, including those required for constructinga definition in use. We have a few relevant passages, but the clearest one occurs. There we can read that" Ta" is meaningless if the conditions of existence and uniqueness are not ful- filled. Thus, even the third claim was made by P.. Perhaps under certain different interpretations of P.'s devices it could be shown that his elimination of the descriptor was not exactly equivalent (in the tech- nical sense) to Russell's. Yet even if so, I think that from the historical viewpoint, which means to do justice both to P. and Russell, it is important to know that P. had these resources at his disposal,' and that they may have influenced Russell. However, we can see the heritage from P. in a clearer way if we compare the definition with the version for classes in the same letter: . The parallelism is therefore complete, but before finishing this paper I want to insist on my main claims by resorting now to one of Russell's manuscripts, "On Fundamentals. First, we find there a definition stated in terms similar to P.'s, and with almost exactly the same symbolic resources: Finally, I am not accusing Russell of plagiarism. I only affirm that some ofthe ideas and devices which are important for the eliminative definition of the descriptor were already present in Frege and P., including the conceptual and symbolic resources, and that these works are ones that Russell had studied in detail before his own theory was formulated. Second, the later improvement of this definition is precisely in the sense of making clearer that, although the method of the propositional function was preferable to the one of class membership, the symbolic expression of the conditions of existence and uniqueness is preserved. Even the idea -- also coming from P. -- according to which we cannot define the expression “la" alone, but always in the context of a class (which in Russell became the form of a propositional function), appears here. Benacerraf, and Putnam, Philosophy of Mathematics  (Cambridge). The first appearance of Russell's definition, under the form which was adopted as final, took place, not in "On Denoting", but in a letter to Jourdain: According to that, all other influences must be regarded as secondary. Concerning Meinong's influence, for Russell the principle of subsistence disappears as a consequence of the eliminative construction of the definite article, which was a result of the new semantic monism. Russell's later attitude to Meinong as a "main enemy" was only a comfortable recourse (v. however, Griffin). As for Bacher, Russell himself admitted some influence from his nominalism.  In fact, Bacher describes mathematical objects as "mere symbols" and he advises Russell to follow this line of work in a letter (only two months before Russell's key idea): "the 'class as one' is merely a symbol or name which we choose at pleasure" (quoted by Lackey [Russell). Finally, for MacColl it is necessary to mention his essay where he spoke of "symbolic universes", which include things like round squares, and also spoke of "symbolic existence". Russell pub- lished his essay as a direct response to this author, and there we can see some conclusions from the unpublished manuscripts, although still by solving peculiar cases in a Fregean context. I agree with Grattan-Guinness that MacColl was an important part of the context of Russell's ideas on denoting (personal communication), but I have no room here to devote to the matter. There is, however, a previous occurrence of this definition in the,manuscript "On 'JI(lX)(<I>x)•=•(:3b):<j>x.=x.X =b:'JIb. (Grattan-Guinness  Substitution"  written with only slight symbolic differences. I am indebted to Landini for the historical point. 'JI(t'u)•=:(:3b):xEU.=x.X =b:'JIb. Peano, G., as. Opere Scelte, ed. U. Cassina, Roma: Cremonese, Studii di logica matematica". Repr. Logique mathematique". Repr. Analisi della teoria dei vettori". Repr. Formules de logique mathematique".   CONGRESSO INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA   BOLOGNA - APRILE 1911   Prof. G. PEANO    * * Una questione     gram m atica razionale    STftBILIMEM ro iJOLICiKMNCO  EMILIHMO - --    BOLOarifì 1912          Discorso del Prof. G. Peano    UNA QUESTIONE DI GRAMMATICA RAZIONALE    Leibniz, nel suo scritto « de grammatica rationali » pose  le basi di un nuovo campo di studi, che solo in questi ul-  timi tempi comincia ad essere coltivato. Il compianto Vai-  lati, rapito or sono due anni da immatura morte alla filo-  sofìa, presentò al Congresso della Società Italiana pel pro-  gresso delle scienza, tenutosi a Firenze nel 190G, e pub-  blicò, nel 1908, un articolo « La grammatica dell’Algebra »  ove studiò a che cosa corrispondano gli elementi gramma-  ticali nelle formule algebriche. La presente comunicazione  tratta del valore logico delle categorie grammaticali.   Le grammatiche latine classificano le parole in cate-  gorie o parti del discorso, chiamate sostantivo , aggettivo,  pronome , verbo etc. Il loro numero è generalmente nove;  alcune grammatiche ne hanno meno. Le grammatiche  greche ne hanno dieci, compreso l’ articolo. Questo numero  dieci è fìsso nelle grammatiche francesi; le italiane sono  più variabili. Io mi propongo di esaminare se questa clas-  sificazione sia reale o formale, cioè se l’essere una parola  sostantivo, aggettivo o verbo, sia una proprietà dell’ente  che essa indica, ovvero solo della forma della parola.   La questione presenta un interesse di attualità, ora che  molti si occupano di lingue internazionali, più o meno ar-  tificiali. Il Volapiik, in grande voga or sono venti anni,  termina tutti gli aggettivi colla desinenza indo-europea -ico  del tipo latino prosaico, publico , classico , e greco logico ,  geometrico , conico, ecc. Questa idea, sotto forme diverse,  fu adottata da alcuni autori di interlingue più recenti.   L’ Esperanto, nelle varie forme, fa terminare i sostan-  tivi in -o e gli aggettivi in -a. Quindi gli autori di queste    4    ▼    lingue ritengono che la classificazione delle parti del di-  scorso sia reale e non formale.   Un esempio rischiarerà la differenza fra proprietà reale  e proprietà formale. Le proposizioni:   [1] «L’uomo è animale razionale»   [2] « uomo consta di quattro lettere »   esprimono rispettivamente una proprietà reale ed una for-  male di uomo. Si suol anche dire che la prima esprime  una proprietà dell 'ente-uomo e la seconda una proprietà  della parola-uomo.   Si tratta di vedere se la proposizione:   [3] « uomo è sostantivo »   sia del tipo reale [1] o formale [2].   Un criterio che spesso permette di distinguere una pro-  prietà reale da una formale è la versione della proposi-  zione in altra lingua. Cosi se al posto di uomo metto l’e-  quivalente inglese man , la proprietà reale [1] rimane vera,  la formale [2] non è più verificata. Questo criterio non  basta sempre: per es. se sostituisco l’italiano uomo col  latino homo o col tedesco Mann, tanto la proprietà reale  quanto la formale risultano verificate. La versione della  prop. [3] nelle lingue europee, non permette di riconoscere  chiaramente se sostantivo sia una proprietà reale o for-  male, perchè le grammatiche delle lingue europee hanno  adottato la nomenclatura delle grammatiche latine che si  adatta loro abbastanza bene, perchè le lingue neo-latine,  germaniche e slave sono tutte parenti prossime del latino.  Esse non sono che varie fisionomie di una stessa lingua.   Qualche differenza già si intravvede. II latino homo è  certamente un sostantivo perché ha tutta la declinazione:  homo, hominis , homini etc. Invece l’inglese man è dato  nei vocabolari o come un sostantivo, = I. uomo , o come  un verbo attivo, nel senso di equipaggiare una nave, di  provvedere di soldati un forte, etc   La differenza si fa più evidente, confrontando lingue di  origine differente. La distinzione fra le proprietà reali e le  formali si incontra pure in matematica. Il segno = indica  sempre l’eguaglianza fra i valori dei due membri. Da x~y,  segue che ogni proprietà reale di a: è pure una proprietà  di y, ma le proprietà formali possono essere diverse. Delle  due proposizioni:   */, è frazione minore di 1.  s / 3 è frazione irreduttibile,   la prima esprime una proprietà reale, la seconda una for-  male di s / 3 . Essendo */ 3 = */„ sostituendo alla prima forma    5    la seconda, la prima proposizione rimane vera, la seconda  6 falsa.   Il grande glottologo francese M. Bréal, nell’ Essai de  sémantique , Paris, 1899, chap. 19, dice: « Il y a des lan-  gues qui ne disti nguent pas les categories ». La stessa os-  servazione è ripetuta più volte dal grande glottologo in-  glese Max Mùller. Per esempio nel libro « The science  of Thought », London, 1887, egli spiega che le dieci cate-  gorie di Aristotele:   OvGlu , stoGÓv, tcoióv, xyóg ti, tcov. •xot £, xbìó9'CU ì tytup sroiffr,  nàd'ft tv,   dopo essersi fuse, decomposte e trasformate, diedero luogo  alle dieci parti del discorso delle grammatiche posteriori.  Il Max Mùller osserva che Aristotele trasse le dieci  categorie, non dalle grammatiche greche ancora da scri-  versi, ma dalla lingua greca. E che se egli, invece che  greco, fosse stato semita o cinese, avrebbe latto una dif-  ferente classificazione in categorie.   Ma possiamo osservare il carattere formale delle cate-  gorie grammaticali, nelle lingue nostre senza ricorrere alle  lingue non europee.   Considero ad esempio la proposizione di Fedro [1, fij  « -Sic est locutus leo: ego primam tollo, nominor quia leo».   Qui ego = leo. Ma leo è sostantivo secondo le gramma-  tiche, ego è pronome, dunque:   pronome = sostantivo,   cioò ogni pronome è un sostantivo ed ogni sostantivo può  essere rappresentato da un pronome questo , quello.   La differenza fra sostantivo e pronome non 6 pertanto  reale; essa è formale e precisamente morfologica; i pro-  nomi latini hanno una declinazione differente dalle cinque  dei sostantivi propriamente detti, quindi conviene in gram-  matica di farne una categoria a parte.   L’identità fra pronome e sostantivo è indicata dalla  stessa parola pronome , che significa letteralmente: che fu  le veci di un nome o sostantivo , ma che si deve inten-  dere che ha il valore di un sostantivo.   Il valore di un pronome cambia con il contesto del di-  scorso, secondo la persona che parla ed a cui si parla.  Ma ciò non modifica l’eguaglianza fra pronome e nome.  Anche in algebra le lettere x ed g hanno un valore varia-  bile colla questione. Ma se in una questione risulta x = 2,  segue che x è un intero, pari e primo al pari di 2, cosi    fi    da eoo — leo segue che ego ha la proprietà di essere un  sostantivo, al pari di leo, supposto che la proprietà di es-  sere sostantivo sia reale.   Anche gli avverbi qua e là, hanno un valore dipen-  dente dalla" persona che parla; pure non si mettono in una  classe a parte, ma si mettono nella stessa classe degli  avverbi: bene, liberciliter etc., che hanno un valore co-  stante; e se ne fa una classe sola perchè tutti indeclinabili.   Chi scrive in una lingua europea, può fare a meno di  risolvere il problema se i pronomi siano o no sostantivi.  Le varie lingue si sono sviluppate per secoli prima che ad  esse si applicasse la nomenclatura grammaticale. Ma chi  scrive in Esperanto, sotto una delle sue varie forme, deve  cominciare a risolvere questo problema per sapere se ai  pronomi debba dare o no la caratteristica -o. E mentre  la maggioranza non considera i pronomi quali sostantivi,  una minoranza, con a capo il Lemaire, celebre esplora-  tore africano, li considera logicamente come sostantivi e dà  loro la desinenza -o.   Passo ora alla relazione fra sostantivo ed aggettivo. Il  Larous.se dà le definizioni seguenti.   Nom substantif: mot qui dòsigne une personue ou   une chose.   Nom adjectif: mot qui seri à qualifier une personne  ou une chose.   Considero i due giudizi:   « Pietro è buono. Pietro è poeta ».   Essi hanno la stessa costruzione; buono e poeta ser-  vono egualmente a designare e qualificare la persona Pietro.  Sono amendue nomi di classi di enti. Ma buono è agget-  tivo, poeta è sostantivo; dunque:   aggettivo = sostantivo. ( fv ad -'iv ’ à   La differenza fondamentale fra aggettivo e sostantivo, è  che in generale l’aggettivo è accompagnato da un sostan-  tivo, con cui concorda in genere, numero e caso. Quindi la  necessità di un capitolo della grammatica che spieghi que-  ste flessioni degli aggettivi e quelle dei comparativi etc.   Ma questa differenza evidentemente appartiene alla mor-  fologia; l’aggettivo può benissimo restar solo come in:   « veruni dico », « audaces fortuna juvat » « miscuit utile  dulci ». Cosi in Italiano: « dico il vero = dico cosa vera  dico la verità », onde risulta:   il vero = cosa vera = la verità.   La concordanza latina vive ancora in Italiano, limitata  al genere e numero; il caso è morto; ed è del tutto seom-    7    parso in Inglese. Quindi per esempio, nell’Enciclopedia  Britannica, nell’articolo « Gramolar » leggiamo che la di-  stinzione fra nome ed aggettivo non è applicabile in In-  glese. Questa distinzione sta nella veste. Spogliata la pa-  rola della veste della concordanza, non c’ è più criterio per  distinguere il sostantivo dall’aggettivo.   Dal fatto che in latino bonus da secoli concordava col  soggetto, lo chiamarono i grammatici aggettivo. La gram-  matica del Donato, che è la prima grammatica importante,  è del IV secolo dell’era volgare. Si commette un anacro-  mismo e si scambia la causa coll’effetto quando prima si  definisce l’ aggettivo c poi si enuncia la regola della sua  concordanza.   Come si scrisse latino per secoli, prima che nasces-  sero i grammatici, cosi si può continuare a scrivere nelle  lingue moderne lasciando ai grammatici la cura di deci-  dere se la differenza fra aggettivo e sostantivo sia reale o  formale. Ma chi scrive in una delle forme di Esperanto è  costretto a dire dopo ogni parola: « questo è un sostan-  tivo, questo un aggettivo e questo è un verbo ». Ciò ha  senso nella forma latina; ma questa lingua artificiale,  avendo soppressa la forma latina, la distinzione non è più  possibile.   In conseguenza, i seguaci dell’ Esperanto, discutendo  di una cosa non esistente come se esistesse, arrivano a  risultati fra loro contradditori). Per esempio in un sistema  si ha l’eguaglianza:   « Pietro è buono - aggettivo » = « Pietro è buono - so-  stantivo»; mentre in altro sistema solo la prima forma è  lecita; ivi buono - sostantivo significa bontà.   Parimenti l’articolo è messo dalla maggioranza degli  esperantisti fra gli aggettivi. Ma il Comm. Lemaire osser-  vando che esso deriva da un antico pronome, che è un  sostantivo, lo pone fra i sostantivi.   Poche parole sul carattere formale del verbo. La pro-  posizione latina:   « Ars longa, vita brevis »   corrisponde all’Italiano «l’arte è lunga, la vita è breve».   In Italiano vi è il verbo essere che in latino non sta scritto.   Il latino brevis corrisponde all' Italiano « è breve ». Ma  « è breve » è il predicato della proposizione e quindi è un  verbo; dunque anche il latino brevis è un verbo. Ma questo  è un aggettivo, dunque   . . V   aggettivo — verbo / i u C ttj *    8      Alcuni grammatici dicono che in « vita brevis » il verbo  è sottinteso, e che la frase è elittica. Ciò significa che Vest  non sta scritto ed è cosa evidente. Non bisogna intendere  però che la parola est sia stata sottintesa o soppressa;  cioè che essa sia l’ abbreviazione di una frase più antica  contenente l 'est.   Man mano noi risaliamo nella storia, troviamo la man-  canza della copula est sempre più frequente.   La incontriamo in greco ed è ancora frequente in russo.  Altri esempi dal Max Muller: « nix alba = nix albet;  sarculum acutum = sarculum caedit ». Quindi la forma  originale della proposizione era soggetto (-aggettivo; l’au-  siliario essere è posteriore. Pare che il suo significato pri-  mitivo fosse di respirare. Dice Max Muller:   « All auxiliary verbs are merely thè shadows of verbs  wicli originali}’ meant to grow, to dwell, to turi), to breathe. »  L’identità aggettivo = verbo può parere una novità al pub-  blico moderno, benché nota ai linguisti. Era evidente ad  Aristotele il quale affermava che:   ftv&Qoxos (uomo) è o volici (nome), mentre levxóv (bianco)  è piifia (verbo). Se sostantivo = aggettivo ed aggettivo =  verbo, segue che sostantivo — verbo. Eccone alcuni esempi  diretti. Nel greco tivò'Qanog ùv&Qcòxcp òca jióviov « homo ho-  mini deus » e nel pessimista latino « homo homini lupus »,  il deus e lupus valgono « si comporta come un amico »  e « come un nemico », e perciò sono verbi.   Il chiar. dott. Giovanni Vacca che visitò gran parte  della Cina coll’occhio del matematico e del filosofo, mi  citò la frase cinese che risulta dalta triplice ripetizione del  simbolo di uomo’, letteralmente tradotta diventa: «uomo,  uomo, uomo» e significa «l’uomo tratta umanamente  l’umanità» Nulla impedisce di dire che il primo simbolo  è un nominativo, il secondo un verbo, il terzo un accusa-  tivo, ma nessun segno indica questa proprietà.   Cosi nella scrittura che noi deducemmo dagli arabi  222, possiamo dire che il primo due rappresenta centinaia,  il secondo decine e il terzo unità, e cosi enunciamo varie  proprietà delle varie figure 2, non del numero 2.   Le parole soggetto e predicato di una proposizione,  sono termini relativi alla proposizione. Si potrebbe studiare  se le parole « sostantivo » ed « aggettivo » possano avere  valore relativo. Ma mi basta l’aver provato che non hanno  valore assoluto, e che una definizione di sostantivo è im-  possibile.    Vedasi sullo stesso soggetto un mio articolo su « Discussione de  Academia prò Interlingua », 1910, pagg. 20-43. Giuseppe Peano. Peano. Keywords: implicatura, l’operatore iota. Refs.: Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’articolo definito,” -- Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’operatore ‘iota’, Deutero-Esperanto, l’errore di Quine, il carattere non primitive dell’operatore iota. --  H. P. Grice, “Definite descriptions in Peano and in the vernacular,” Luigi Speranza, "Grice e Peano: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e  Pecoraro: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del conflitto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Salerno). Filosofo italiano. Grice: “He must be the only philosopher who philosophised about ecstasis!” Grice: “Many don’t consider him an Italian philosopher seeing that he got his maximal degree without (not within) Italy!” – Filosofo e storico della filosofia italiano. Dopo studi giuridici presso la Facoltà di Scienze Politiche, si laurea in Filosofia presso l´Università di Salerno con una tesi sulla filosofia di Cioran. Collabora con il Corriere della Sera, Il Messaggero, Il Giornale di Napoli come cronista di nera e di giudiziaria. Si avvicina ad alcuni artisti contemporanei che gravitano intorno all´Accademia di belle arti di Brera organizzando due Mostre a Ravello e dedicandosi al coordinamento editoriale dei rispettivi cataloghi. Tra i partecipanti:Paladino, Pisani, Galliani, Knap, Montorsi, Melioli, Battaglia. Un'esperienza che è importante in seguito, quando i tratti metafisici e di rivolta dell´opera d´arte contemporanea verranno riscoperti in chiave nichilista.  Fonda "Quadranti" dedicato a Marotta dell´Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli.  È possibile dividere il percorso di studi e del suo pensiero in due momenti distinti.  Il primo, attivismo filosofico, comprende tutte le attività e le iniziative tese a vivacizzare e svecchiare il dibattito critico e filosofico; la divulgazione di temi e autori poco studiati --  tecnoscienza, Nichilismo, Filosofia del suicidio, Metafisica e Teatro, Vattimo, Esposito, Agamben. Contatto con Vattimo, Esposito, Givone, Volpi, Mattei, Ferraris. Studia nichilismo, suicidio e filosofia negative, politica e morale.  Una filosofia disperata e negativa, assolutamente slegata da prospettive etico-politiche. Si tratta di una filosofia fondata sul nichilismo e su una tradizione di filosofi maledetti. I voyeuristic "esteticamente salvificano di un datato phatos esistenzialista, del “tutto è vano” risultato ultimo della sua analisi filosofica del suicidio, della psicanalisi e dei lacci concettuali e storici tra nichilismo, nullae negazione.  Il risultato è una filosofia anti-fondazionale, che poggia le sue radici in una inter-soggettività pessimista e malincolica, che nega qualsiasi etica, sociale e politica estremizzando così l´accusa contro l´umano e tutte le sue costruzioni sociali, storiche e morali.  In questo orizzonte di assenza di senso, decadenza e corruzione metafisica, l´unica, eventuale, maniera di ribellarsi e resistere si concretizza, paradossalmente, nell´appello alla responsabilità e all´azione di un noi (Freud ego et nos) tragico-nichilista --  Ricerca un orizzonte di senso diverso e più profondo che lo porta, però, alla perdita quasi totale dei suoi precedenti fili conduttori.  Interessi, letture, pubblicazioni, ricerche si frammentano e perdono in intensità e chiarezza. Decisive, in questa fase, sono le questioni etico-politiche, la critica dell´umanismo sociale contemporaneo e l´impegno filosofico. In primo luogo devono essere segnalati, per l´importanza che rivestono, i due Seminari tenuti presso l´Istituto per gli studi Filosofici di Napoli dedicato al “Bio-potere" e la Bio-politica" Riformula il concetto di bio-potere usando come chiave interpretativa il "Bios" di Esposito. La bio-politica discute e mette alla prova la sua lettura radicalmente sistematica”della volontà di potenza, avvento dell´oltre-uomo e ultrapassamento del nichilismo. Oltre a questi due temi, il rigetto del relativimo, lo studio delle relazioni tra massa e potere; l´affermazione di una visione essenzialista dell´umano, la riscoperta della psicanalisi, del movimento Modernista. Elabora di un percorso teorico che, fondandosi sulla necessità di pensare il presente e non il future di una filosofia dell’attuale  e sulla convinzione che le categorie filosofiche sono obsolete e dannose per spiegare e trasformare il mondo, si concentra in due diversi ambiti di ricerca in una complessa e non risolta tensione tra aspirazioni pluriversalistiche e l´impegno filosofico nella realtà e nella cultura. Il primo etico-morale si occupa delle condizioni di possibilità di forme dell’inter-soggettivo nell´epoca dei "diritti di tutte le cose del mondo" e della reazione alla crisi di fondamenti, delineando quindi le basi di una filosofia del dovere di stampo post-illuminista.  Il secondo opolitico-sociale– attraverso la critica del politicamente corretto e della retorica democratica, la de-costruzione del concetto di democrazia attraverso la ripresa dell´idea di servitù volontaria, la lotta contro il fascismo tende a ripensare il concetto di democrazia e la pratica democratica" nei sistemi di potere e, più specificamente, si dedica all´esame delle possibilità di una trasformazione radicale del pensiero filosofico e di una concezione del “politico” in senso non tecnicista e non "sinistroide-reazionario". Saggi: “I voyeuristi” (Salerno, Sapere); “Metafisica e poesia” (Roma); “Cosa resta della Filosofia?”; “Dal sacro al Profano”; “Dall´Arcaico al Frammento” “Bio-potere, Bio-politica”. Rossano Pecoraro. Pecoraro. Keywords: fascismo, voyeuristic. Leopardi, I voyeuristi, conflitto e mediazione, voir, voyant/voyeur. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pecoraro” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Peisicrate: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pisicrate, since he finds that dipthongs are un-Roman!” -- Peisicrate.

 

Grice e Peisirrodo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pesirrodo, since he says that dipthongs are un-Roman!” -- Peisirrodo.

 

Grice e Pelacani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --  filosofia italiana – Luigi Speranza  (Parma). Filosofo italiano Grice: “At Oxford, Strawson used to confuse Pelacani with Pelacani!”. Lettore (Grice: “reader or lecturer?”) a Bologna, divenne consigliere di Visconti.  In questa veste si trova più volte coinvolto in processi per eresia montati da Giovanni XXII per gettare nella polvere il Visconti. Grande commentatore di Avicenna e Galeno. Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Saggi: “Circa intellectum possibilem et agentem”; “De unitate intellectus”; Utrum primum principium sive deus ipse sit potentie infinite”; “De generatione et corruptione"; “Questiones super tre metheorum.” Antonio Pelacani. Pelacani. Keywords: passivo/attivo; non-agens/agens. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pelacani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pelacani: la ragione conversazionale, la dialettica, e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Noceto). Filosofo italiano.  “Dottore diabolico.” Parente di Antonio P. Della sua medesima casata un altro filosofo. Frequenta la facoltà artium philosophie a Pavia dove come titolare della cattedra di magister philosophie et loyce, delegato dal vescovo, diploma in arti un certo Bossi. Insegna a Bologna e Padova. Contesta molte regole della meccanica del LIZIO e sostenne l'applicazione di strumenti matematici per sostituire le regole obsolete. In particolare conduce studi sull'ottica ne “Quaestiones de perspectiva.” Nel “Tractatus de ponderibus” si occupa di statica ed elabora nelle “Quaestiones de proportionibus” una teoria del vuoto che si contrappone alle tesi del continuo dei fisici del Lizio. Si occupa anche del moto dei pianeti in “Theorica planetarum” e mette in discussione la cosmologia del Lizio negando che si puo sostenere l'incorruttibilità dei cieli e l'interpretazione teo-logica dell'esistenza di un primo motore immobile, vale a dire del divino. Nega quindi la possibilità delle dimostrazioni a posteriori dell'esistenza del divino e dell'immortalità dell'anima individuale. Concepisce la natura o l'universo come un ente ANIMATO -- ‘animismo – cf. Grice on ‘mean’ and ‘mean,’ ‘Smoke ‘means’ fire” --, un grande eterno animale in continuo movimento dove gl’esseri nascono per generazione spontanea e, quando gl’influssi astrali sono favorevoli, vengono alla luce anche l’anime intellettive umane. Riguardo alla morale, è convinto che gl’uomini deveno conformarsi alla virtù per sua libera scelta. Per il materialismo delle sue dottrine, il dottore diabolico, com'è soprannominato, è accusato d'eresia e condannato ma ciò non gl’impede d’essere apprezzato come un grande astrologo dai principi Carraresi di Padova e dalle corti dei sovrani tanto da ottenere di essere sepolto nel duomo di Parma. Gli si attribuiscono dei commenti a Witelo per una corretta interpretazione della prospettiva e a Bradwardine nell'opera questiones super tractatu "De proportionibus”. Beduerdini. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia. Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte da Affò (Stamperia reale, Bodoni), citato anche per la sua avarizia in Veratti, De' matematici italiani” -- Commentario storico, Majocchi, Codice diplomatico dell'Pavia,  Enciclopedia Garzanti di filosofia, Camerota, Nel segno di Masaccio: l'invenzione della prospettiva e la filosofia della percezione. Giunti, La scuola francescana di Oxford. Altri saggi: “Le Quaestiones de anima” (Firenze, Olschki); “Questiones super tractatus logice magistri Petri Hispani” (Parigi, Vrin); “Quaestiones circa tractatum proportionum magistri Braduardini” (Parigi, Vrin); “Questiones super perspectiva communi” (Parigi, Vrin); “Quaestiones de anima: alle origini del libertinismo,” Sorge, Napoli, Morano, Firenze, Sismel, Galluzzo. Scientia de ponderibus. Tractatus de ponderibus, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Francesco P. is yet another of the P.. There are at least four of them: two Antonios, un Biagio, and one Francesco. QUAESTIONES DIALECTICAE  Quaestiones super tractatus logicales Petri Hispani: quaestiones dialecticae, incipit «quaestio principalis sit haec utrum dialectica sit scientia •; 1) VENEZIA,,  San Marco, ms, lat., Classe Vi, 63, collocazione 2550, sec. XIV, ff, 1r-92r, codice appartenuto a Giovanni Martanova, in Padova, 1449: hune librum donavit eximius artium et medicinae doctor Magister Johannes Marchanova de Venetiis congregationi Canonicorum regularium sancti Augustini ita ut tamen sit ad usum dictorum canonicorum in monte sancti Johannis in  Vicocis, torate pund nd Hai Cananci d an Astio da)  Convento di san Giovanni in Viridario; F. 92r: «expliciunt regulae ae questiones super tractatum compositae per reverendum doctorem magistrum  Blaxium de Parma, amen... Frater Johannes de Mediolano ordinis  Cruciterorum scripsit hunc librum in carceribus sancti Marci de Venetiis et completus fuit M.o trecentesimo nonagesimo secundo die XXV mensis aprilis in festo beati Marci evengelisti»; 2) OXFORD, Bodleian Library, Canonici, miscellanco, 471, sec. XIV, ff, 99ra-222vb: -explicit hic codex per Simonis eque manumque». Si tratta della stessa redazione con leggere varianti formali: possiede in fine alla ultima questione, prima dell'explicit una raccolta di sophismata, diversamente dal ims, di Venezia. (Su cio efr. in particolare il mio studio Le questioni dialetriche di Biagio Pelacani da Parma sopra i trattati di logica di Pietro Ispano,  "Medioevo"  *2 (1975), (Padova, 1976), pp. 253-287.  Riportiamo i titoli delle 68 questioni contenute nel codice veneziano (Quaestiones dialecticae, ms, Venezia, Mare, lat. el. vi, 63, 2550, ff. 1r-92r). 1, «De introductionibus de dialectica»  1, 1, F. Ira (Oxford, Bodleian Lib., Canon, misc, 471, f. 99ra) «quacstio principalis sit hace utrum dialectica sit scientia et arguitur quod non*.  1,2, 1. Iva (O.f. 100rb), «secunda quaestio utrum dyalectica sit scientia  scientiaram, arguitur quod non».  1,3, f. 2rb (O,f. 101ra), «tertia quaestio utrum in acquisitione scientiarum dialectica debeat esse prior et arguitur primo quod non».  1, 4, f. 3га (O, f. 102ra), «quarta quaestio utrum disputatio dvalectica sit sermo duorum, scilicet opponentis et respondentis et arguitur quod non».  1,5, f. 3vb (O, f. 103ra), •quinta quaestio utrum a sono tamquam a priori  sit incoandum et arguitur quod non».1, 6, f. 4va (O, f. 104rb), «sexta quaestio utrum hace sit concedenda: sonus est quiequid proprie auditu auris percipitur et arguitur quod non*.  1,7, f. 5rb (Q,t, 105ra), «septima quaestio utrum vox significativa sit illa quae auditui aliquid repraesentat et videtur quod non».  1,8, f. 6ra (O, f. 106rb), «octava quaestio utrum vos significativa ad placitum sit illa quae ad voluntatem instituentis aliquid significat et arguitur quod  1,9, f. 6vb (O,f, 107г), «nona quaestio utrum vox significativa naturaliter  sit illa quac apud omnes dem segmticat».  1, 10,1.7rb (O, f. 108ra), «decima quaestio utrum diffinitio data de nomine sit bona cum dicitur nomen est vox etc.».  1, 11, E. Sva (O, 1. 109va), -undecima questio utrum diffinitio data de verbo sit bona et arguitur quod non».  1, 12, f. 9vb (O, f. 111rb), «decima (sic) quaestio utrum diffinitio data de oratione sit sufficienter posita et arguitur statim quod non».  L, 13, F. 10va (O, E. 112rb), «tertia decima quaestio utrum propositio sit oratio verum vel falsum significans et arguitur quod non»  1,14,f. 11vb (O,f. 113vb), «quarta decima quaestio utrum omnis propositio  sit cathegorica vel ypotenca».  1,15,1, 13ma (O,f. 115vb), «quinta decima quaestio utrum omnis propositio  ypotetica sit quanta et arguo quod non».  1, 16, f, 14rb (O, f. 117ra), «sextadecima quaestio utrum omnis propositio cathegorica sit aftirmativa vel negativa et arguitur quod non*.  1, 17. f. 15va (O, f. 118va), «septima decima quaestio utrum quaecumque fuit contraria fuit universalis negativa eiusdem subieeti et eiusdem praedicati  et arguitur quod non».  L, I8, f, 16va (O,f. I19vb), «decima octava quaestio utrum omnis propositio sit necessaria, contingens vel impossibilis et illa quaestio movetur super illum passum propositionum triplex est materia et statim probatur quod nulla sit  necessaria et arguo sie,  1, 19, f, 17vb (O, f, 121ra), «decima nona quaestio utrum contrariarum si una est vera et reliqua est falsa et statim arguitur quod non».  1, 20, f, 19rb (O, f. 122rb), «vigesima quaestio utrum possibile sit contradictoria simul esse vera vel falsa in aliqua materia, et arguitur primo  quod sies.  1, 21, f. 21va (O,f. 125ra), «vigesima prima questio quia magister dicit quod lex subalternarum talis est quod si universalis est vera, particularis est vera et non econtra et ideo quaeratur in quaestione utrum si universalis est vera particularis cius debeat esse vera et statim arguitur quod non».  1,22, 1. 22vb (O, F. 126va), -vigesima secunda questio circa capitulum de conversionibus sit illa utrum omnis conversio sit bona consequentia et  arguitur quod non-.  1,23, 1. 26v (O,f, 130va), «circa capitulum de ypoteticis sit prima quaestio utrum diffinitio data de propositione ypotetica sit bona in qua dicit auctor propositio ypotetica est quae habet duas cathegoricas principales partes sui et arguitur guod non»  1, 24, f. 27г (©, f. 131vb), esecunda quaestio utrum omnis conditionalis vera sit necessaria, falsa aut impossibilis, quia illa quaestio duo quacrit, ideo argumentum (arguo O) primo contra primum, secundo contra secundum».1,25, f. 28rb (O, f. 133rb), «tertia quaestio utrum ad veritatem copulativae requiratur utramque partem elus esse veram er hoc sufficiat et statim arguitur  qu,27, 1 290b (O, E. 134va), «quata quaestio urum ad veritaten distunative  requiratur alteram partem erus esse veram et hoc sufficit statim, patet qued non›. 1,27, f. 31ra (O, f. 136rb), «quinta quaestio utrum ad veritatem causalis requiratur consequens sequi ex antecedente et hoc sufficit et arguitur quod non». (Non si trova nel testo di Pietro: qui Biagio sviluppa un tema della logica di Occam sulle proposizioni causali, Scrive Biagio: «Si consideras consequenter quae sunt illae de quibus non determinavit, ad hane respondetur  und qui) proposa o, 1. 57 de una illarum, scilieet de causali de qua  1, 28, f. 33ra (©, F. 142ra), «septima quaestio utrum si aliquis terminus. positus in propositione steterit ratione alicuius signi confuse et distributive contingat illum stare determinate alio confundente et illa quaestio rationabiliter quaeritur propter quaddam (sic) dieta in quaestione praccedenti, arguitur in questione pro parte negativa..  1, 29, t, 35va (O, 1. 143ra), «septima quaestio utrum si alquis terminus  qu,50, 1. 35vb (O, f. 143rb), octaya quaestioutrum omnes duae propositiones  modales ex cisdem terminis constitutae se mutuo inferant in bona consequentia  et statim arguitur quod non».  II, « De praedicabilibus»  11, 1, F. 39г (O, f. 146vb), «una quaestio utrum praedicabilia sint quinque et non plura et arguitur quod praedicabilia sunt plura quam quinque et deinde quod pauciora. Primum argumentum est hoce, III, «De praedicamentis»  III, 1, f. 43ra (O, f, 151rb), «sit prima quaestio de pracdicamentis utrum quando alterum de altero praedicatur de praedicato praedicetur de subiceto  et statim arguitur quod non»-  - 111, 2, f. 44va (O, F. 152vb), «secunda quaestio utrum substantia sit genus-  generalissimum in predicamento substantiae  praedicatione essemill de quelbe ponibili possibili Vin praedicamento  substantiae, Ista questio aliqua quaerit et aliqua praesupponit. Arguam de primo supposito, dende de quacsito".  III, 3, f. 46rb (O, F. 155rb), «tertia quaestio utrum substantiae sit aliquod contrarium et statim videtur quod non*.  111, 4, f. 48vb (O, f, 158rb), -quarta quaestio utrum ab co quod res est vel non est, oratio dicatur esse vera vel falsa, vel sic, utrum omnis propositio habens correspondentiam rei dicatur esse vera, non habens  aulem  correspondentiam ex parte rei dicatur esse falsa; vel sie, ut ex co quad ita est sicut propositio principaliter significat, ipsa propositio sit vera, ex co quod non ita est sicut propositio significat, propositio dicatur esse falsa, et statim arguitar contra partem affirmativam®.III, 5, f. 53ra (O, f. 164ra), «quinta quaestio utrum substantia quanta distinguatur a quantitate eius vel idem sit quod sua quantitas et extensio, sive quaeram sub his verbis utrum omnis quantitas sit substantia vel qualitas»:  III, 6, 6. 55rb (O, f. 168va), «sexta quaestio utrum eadem quantitas possit esse et dici continua et discreta et statim arguitur quod sic..  III, 7, f. 56vb (O, f. 169vb), «septima quaestio utrum quantitas sit genus generalissimum de predicamento quantitatis et statim apparet quod sie per autoritatem et per Aristotelem».  II, 8, f. 57v (O, f. 171ra), «octava quaestio utrum hace sit vera 'omne tempus est'er statim arguitur quod non»  1|, 9, f.59rb(O,f. 173va), «nona quaestio utrum numerus sit res numerata vel distinguatur ab eis et statim probo qued numerus non sit ipsa res numerata, sed quod potius ab ipsis rebus distinguatur. Primumargumentum»  III, 10, f. 60ra (O,f. 174vb), «decima quaestio utrum puneta sint in linea et statim arguitur quod sic».  III, Li, f. 6Iva (O, f. 176vb), «undecima quaestio utrum quantitati sit aliquod contrarium et statim videtur quod sic»,  temini qui sano radica) e de de quiete in quie gue dio  possibilles (sic) in praedicamento ad aliquid et statim viderur quod sie».  HIL, 13, f. 63vb (O, f. 179vb), «tertia decima questio utrum ab uno correlativorum ad aliud valeat consequentia».  III, 14, f. 65ra (O,f. 181rb), «quarta decima quaestio utrum relatio sit res distincta a rebus invicem relatis et importatis per terminos de praedicamento ad aliquid ut velim quarere in illa quaestione utrum paternitas sitilla res quae est pater vel distincta a patre, dependentia sit res distineta a dependentia et statim arguo quod relatio sit res distineta a rebus invicem relatis».  111, 15, f, 65vb (O, f, 182rb), «quinta decima quaestio utrum quilibet terminus praedicabillis (sic) in quale si de praedicamento qualitatis et statim  arguo quod non».  III, 16, f, 66vb (O, f, 183va), sexta decima quaestio utrum termini de predicamento qualitatis sint de se invicem praedicabilles (sic) de suis inferioribus cum his adverbis 'magis et minus' et statim videtur quod non».  TH, 17, f.68rb (O,f. 185vb), «decima septima quaestio utrum proprium sit actionis ex se inferre passionem et est quaerere utrum ab activo ad passivum valeat consequentia et statim arguitur quod none.  IV, «De consequentiis»  IV, 1, F. 69rb (O, f. 187rb), «decima octava quaestio utrum quaelibet  Con, 2 1 70v (0, 189a), quina non quaestio utrum ex duabus  premissis in modo et figura dispositis de necessitare sequatur aliqua conclusio  et statim viderur quod sico,  IV, 3, 1.7 1vb (O, f. 191va), «vigesima quaestio utrum quilibet sillogismus sit bona consequentia et statim apparet quod non».  IV, 4, F. 74va (O, f. 195rb), -vigesima prima questio utrum licitum sit ex puris negativis sillogizare et statim per plura argumenta videtur quod sie».  IV, 5, L. 75va (O, t. 197rb), «vigesima secunda quaestio utrum negativa possit inferre affirmativam statim videtur quod sic».IV, 6, f. 76vb (O, f. 199ra), «vigesima tertia quaestio utrum quacliber consequentia cuius antecedens est impossibile sir bona et hoc est quaerere illud qued communiter logici quaerunt, scilicet (utrum] ad impossibile sequatur quodlibet vel sequi possit et statim arguo pluribus argumentis quod  IV, 7, f. 78rb (O, f. 201rb), «vigesima quarta quaestio utrum quaelibet consequentia curus consequens est necessarium sit bona et hoc est quaerere utrum necessarium sequatur ad quodlibet et arguitur quod non..  IV, 8, f. 79rb (O, f. 202vb), -vigesima quinta questio utrum possibile sit ex veris sequi falsum et arguitur primo qued sic-proposit sob o teste), seguir esta quaria que quan per  multa inconvenientia»,  V, « De locis»  V, 1,1. 82ra (O, f.207va), «circa locos sit prima questio utrum quatuor sint species argumentationis, scilicer sillogismus, inductio, entimema et exemplum  consequentia bona et arguitur quod non».  V, 5, f. 86ra (O, f, 213vb), «quinta quaestio utrum consequentiae tenentes. vel quae vigorantur per locum a toto in quantitate ad cius partem sunt bonae, et statim arguitur qued non».  V, 6, f. 87rb (O, f.215rb), «sexta quaestio utrum consequentia qua arguirur a toto in modo ad eius partem sit bona, et statim arguitur quod non».  V, 7, f. 88rb (O, f. 216rb), «septima quaestio utrum a toto in loco ad cius partem sit consequentia bona, et statim arguitur quod non».  V, 8, f. 89rb (O, f. 217ra), «octava questio utrum a toto in tempore ad eius partem sit bona consequentia et arguitur quod non».  V,9,f. 90г (O,1.217vb), «nona quaestio utrum quae libet talis consequentia valeat: generatio huius castri vel civitaris est bona consequentia, igitur hoc castrum est bonum vel illa civitas. Similiter quaero de illa consequentia: corruptio istius hominis vel illius mulieris est bona, igiur ille homo fuit malus vel illa mulier, er hoe est quaerere idem qued sequeretur utrum a generatione ad generarum, similiter a corruptione ad corruptum, sit bona  bona 'equitare est bonum, igitur equis est bomus'.  V, 11, F. 91vb (O, f. 220ra), «undecima quaestio utrum a  estuneta cum  CONCLUSIONES DE CONSEQUENTIS  VENEZLA, Marc, fonde antico 262 (proven. Bessarione), (Valentinelli, IV, 71), sec. XIv, f. 83vb- 84rb, quaestiones ordinatae per me Blasium de Parma, «quaccumque consequentia posita nulla talis est mala, sed quaelibet bona».  Si tratta dell'elenco di 7 petitiones di logica 'de consequentiis', seguite da conclusioni; non di Physica come ritenuto dal THORNDIKE (A History, IV. PP. 68 € 654) e E. GRANT (Blasius of Parma, in Dictionary of scientific Biography, 11, ad vocem, New-York, 1970, pp. 193 sgg.), A f. 83va si legge inoltre: -et sie sit finis sententiae conclusivae totalis libri Ethicorum Aristotelis secundum  in domo filiorum quondam magistri Jofredi Ferrariae». Segue ff. 83vb-84r «Elenchus quaestionum ordinatarum per me Blaxium de Parma» e art. 86-90 segue Tabula quaestionum Johannis Buridani super decem libris Ethicorum.  QUESTIONES PERSPECTIVAE  Quaestiones perspectivae, incipit :«quaeritur utrum pro visione causanda necesse sit ponere species diffusas ab obiecto in oculum et arguítur primo quod non»; 1) FERRARA, Bibl. Comunale, classe IL, n. 380, Pavia 1390, ff. 1r-52, 2) VENEZIA, San Marco, classe XI, codes 57 (335) (Valentinelli, TV, 244), AD, 1399, I, Ira-97vb, expliciunt quaestiones super perspectiva scriptae anno domini 1399; 3) OXFORD, Bdl. Canonici, misc. 177, sec. XIV, ff. 136vb-152vb, Blasii de Parma quaestiones duodecim (in realtà 13) super aliquibus propositionibus primac partis perspectivae (copia incompleta); 4) OXFORD, Bdl. Canon, misc, 363, sec. XV, ff. 194;5) FIRENZE, Laurenziana, Plut. 29, 18 in Firenze, 1428, 1t. 83 (ma 1403) efr. i micr Studi sulla prospettia medtevale.  Torno, Giappichelli, 1987- PP. 242-43 e per la mia edizione da questo ms. delle questiones I, qu. 14 € 16, e Ill qu. 3, de iride, cfr. Le questioni di  'perspectival di Biagio Pelacani da Parma, "Rinascimento", XI (1961), pp.  163-223,6) FIRENZE, Laur. Ashburnham 1042, 11. Ir-T14, sec:XV; 7) MILANO, Ambrosiana, 1, 90 sup., see. XV, ft. Er-80%, (da ff. 74rb a t. Sov con figure) seguito da Opus Prosdocimi super Jo. de Sacrobosco tractatum de sphaera, 11, 81-157; a H. 161-193 segue: Collectanca ex Thadeo de Parma super Theorica planetarum Gerardi Cremonensis; 8) MILANO, Ambrosiana, F. 145 super, see. XIV, ff. 28va-56rb, si arresta alla quaestio XV; 9) MILANO, Ambrosiana, C.  71 sup., in Pavia, 1455, ff.2ra-46rb: «Explicit opus eximii viri  artium et mediciac doctons magistri Blasi Parmensis super propositionibus et conclusionibus perspectivis scriptum per me magistrum Marinum sacrac theologiae doctorem de Castignano ordinis Minorum provinciae Marchae Anchonitanae dum Papiae studens essem discipulus magistri  Francisci de  Pellacanis film supradicti auctoris anno domini 1445: 10) CITTA DEL  CANO, Vat. Barb., lat. 357, 1t. 61-108, datato 1$69; dopo la tabula quaestionum a f. 108rb si leage: «Explicit opus eximii viri artium et medicinae doctoris magistri Blaxii Parmensis super propositionibus et conclusionibus perspectivis scriptum per me Theodoricum Goth almanum 1469 undecima die mensis iuli deo gratias», seguito probabilmente dalla perspectiva communis diPeckham ff. 109r 122v (non menzionato da David Lindberg ed., JOHN PECKHA, Perspectiva communis, Madison, 1970, pp. 54-55); 11) VATICANO, Vat. lat., 2161, sec. XV, ff, 1r- 40vb: vet sic finitae sunt quaestiones perspectivae secundum Blaxium de Parma, deo gratias; expliciunt quaestiones super perspectivam communem secundum famosissimum artium monarcham et philosophum dominum magistrum Blasium de Parma». A f. 40 rb si trova citata 'l'illusione ottica che gli capito a Busseto nel 1403, che non si trova, ovviamente, nelle copie anteriori a quella data e che costituiscono un diverso gruppo di questioni di prospettiva; 12) VIENNA, Nationalbibliothck, 5447, sec. XV, ff. 24y- 131r (edizione delle questioni 1-10 del primo libro da questo ms. a cura di FRANCO ALISSIo in "Rivista critica di storia della filosofia", xvi  (1961), PP. 79-110, 188-221); 13) VIENNA, Nationalbibliothek, 5309, anno domini 1437, ff. 67г 126v; 14) LODI, Biblioteca Comunale, ms XXVIII, 9, secolo XVI, datato 1506; 15) PARMA, Bibl. Palatina, fondo parmense codex 3572, trascritto nel 1851 dal sacerdote veneto Antonio Maria Pasini dal codice 335 della Biblioteca Marciana di Venezia con una dichiarazione del Valentinelli;  16) NEW YORK, Columbia Univ, Plimpton 181 (Boncompagni 561): 17)  SIVIGLIA, Colombina, 82.1.18, ff. 111r- 158r (A.D. 1432).  EXPOSITIONES e QUAESTIONES DE CAELO  EXPOSITIONES DE CAELO  Expositiones o summa de caelo, datata in Bologna, 1380, incipit: «obmissis  causis aliis  super libro decacloct mundo compilata per famosissimum artium doctorem  magistrum Blasium de Parma de Pelacanis in Bononia«: 2) ROMA, Angelica, 592, sec. XIV, ff. tr-34r: 3) VIENNA, Nationalbibliothek, ms. VPh 2402, sec.  XV, FE. Ira-64ra (copiata nel 1451, ma stesa nel 1380 a Bologna): «Explicit summa super librum de caelo et mundo compilata per famosissimum artium doctorem magistrum Blaxium de Parma de Pelacanis in Bononia recollecta anno domini M COCEXXx in scolis reverendi doctoris.. scripta per manum  Nicolinum artium nune studentem M'OCCe LI die quarta Marti, amen, in felicissimo studio paduano». (efr, anche FRANz UNTERKRCHER, Die datierten  Handschriften der Oesterreicheschen Nationalbibliothel bis zum Jahre  1400, Band 1, Vienna, 1969).  QUESTIONES DE CAELO  Questiones de caelo Alberti de Saxonia datae per magistrum Blasium de Parma: 1) ROMA, Angelica, 595, f. 1ra-37 va, ff. 37va-68va: si tratta da f. Ira-37 va del testo delle quaestiones de caclo di Alberto, seguite quindi da quelle di Biagio (37va-68va), Imapit e, quindi, delle quaestiones de caelo di Al-berto: Prologo, scaelo et mundo Aristoteles considerat de totali mundo et detractatu primi libri partiali concludere et volo ergo circa illud tractare duas quaestiones quarum prima est ista (incipit): utrum cuilibet corpori simplici insit tamen unus motus simplex». Tale incipit corrisponde con quello del ms.  Monaco lat. 26838, ff. 158v-172r, del Vat. Palatino, lat. 980, ft. 88ra-117 ra, opera ristampata a Parigi, 1516 come questiones de caelo Alberti de Saxonta; altra copia è ms. Roma, Angelica, 592, ff. 76ra-110; a. f. 98r di questa copia si legge: «Expliciunt questiones super primo libro caeli et mundi Aristotelis secundum Albertum Novum de Saxonia per me Anthonium de Armannis de Regio tune Bononiae studentem in artibus 1368 dic 18 februarto (cir. anche'  L. THORNIKE - P. KIRE, Catalogue of Incipits, Londra, 1963, col. 1638).  Dunque a f. 37va del ms. Angelica, 595 iniziano le questiones de caelo di Biagio probabilmente dalla 12- questione perche corrispondono con la questione 12' del primo libro contenute nel ms. Milano, Ambrosiana, P. 120 sup-,  quacitur con sorenti in de nece ente e posit perpean parole:  vexpliciunt quaestiones primi libri de caelo et mundo secundum Blasium»:  f. 68va: «expliciunt questiones de caclo et mundo datae per magistrum Blasium de Parma doctorem reverendum ».Su ciò in particolare cfr. G. FEDERICE ViscoviNi, Note sur la circulation du commentatre d'Albert de Saxe an 'De caclo' d'Aristote en Italie, in Itéraire d'Albert de Saxe, a cura di J, Biard,  Paris, Ven, 1991.  ROMA, Biblioteca Angelica, 592, quaestiones de caclo per Blasium de Parma, sec. XIV, ff. 36r-75v (incompleto con ordine diverso delle quaestiones rispetto alla copia di Milano, Ambr., P. 120 sup.): incipit, «quacritur primo circa primum de caelo et mundo utrum omnis quantitas sit divisibilis in semper divisibilia». A 1. 74r si trovano Notae di Problemata: «Nota aliqua... problemata, primum quia causam agens in os sicut ignis prima sui actione... et per consequens nigrum et hacc est causa problemas huus, has veriticationes dixit magister ille Blasius in scolis suis in die 16 januarii Hora quarta () MCCC82, amen». Alf. 73v si legge: *Sic sint finitae istae quaestiones de caclo secundum Blaxium de Parma»: MILANO, Ambrosiana, P. 120 sup, quaestiones de caclo et mundo  scriptae pro magistro Antonio de Abruzio, sec. XIV-XV, ff. 1r-69rh: «expliciunt  Basi de Faih iphe pro hig to Atono de Ardetoris hagsri  Tabula questionum de caelo  CITA DEL VATICANO, ms. Var. lat. 9414, f. 138rb  QUESTIO DISPUTATA DE TACTU CORPORUM DURORUM  1JOXFORD, Bdl. Canonici, mise. 177, sec. XIV, ff. 155r- 158v quaeriturutrum duo corpora dura possint se tangere Blaxii de Pelacanis de Parma famosi doctoris parisini, incipit, «quaeritur utrum duo corpora dura possini se tangere»: 2) VENEZIA, Bibl. Marciana, classe XI, codex 18 (3377) (Valentinelli, IV, 230), ff. 105-112r: Dabitatur utrum duo corpora dura vel plana possint se tangere;3) BOLOGNA, Bibl. Universitaria, n. 2567. Edizione, per Ottaviano Scoto, Venczia, 1505.UTRUM SPHAERICUM TANGAT PLANUM IN PUNCTO  1)OXFORD, Bdi. Lib. Canonici, mise. 177, sec. XIV, ff. 153ra- 154vb, incipit: «utrum sphaercum tangat planum in puncto et posito super planum tangat  121 ra) in cui dice espressamente che non è una questione che riguarda la filosofia naturale, quanto invece la geometria  QUAESTIONES DE SPHAERA  1) PARMA, Bibl. Palatina, fondo parmense, codex 984, sec. XV, If, 56r-81v:  «Incipiunt quaestiones super tractatum sphaerac Johannis de Sacrobosco per Blasium de Parma, doctorem excellentissimum mathematicum singularem circa tractatum de sphacra (incipit), primo quacritur utrum diffinitio de sphaera sit bona qua dicitur sphacra est transitus. Expletae sunt quaestiones de sphaera secundum venerabilem doctorem magistrum Blasium de Parma Parisiensem"-  QUAESTIONES e TRACTATUS DE PONDERIBUS  Quaestiones de ponderibus: 1) MILANO, Biblioteca Ambrosiana, F, 145 sup., sec. XIV-XV, H. 18rb-28vb; f. 18vb: «Et ideo ad instantiam amicorum ego Blaxius Lombardus de Pelacanis de P'armadum Parisius me visitabat (sic), volui aliqua dubia super tractatum de ponderibus inquirere et illa conclusionibus et corollariis posse meo declarare», Incipit, f. 18rb, «primo quaeritur utrum omnis ponderosi motus sit ad medium, arguitur quod non=; f, 28vb: -Ad rationes potest patere solutio per ea quae dicta sunt. Expletae sunt quaestiones super tractatum de ponderibus compilatae et ordinatae per magistrum Blaxium de Pellacanis de Parma artium doctorem eminentissimum».  Tractatus de ponderibus: 1) HRENZE, Nazionale, Conventi Soppressi, San Marco, J. VI. 36, 8ra-16v, Tractatus de ponderibus magistri Blasit de Parma «Explicit tractatus de ponderibus ordinatus per magistrum Blasium de Parma tempore magnarum vacationame (codice appartenuto a Cosimo de' Medici, cfr. E. GARIN, Storia di Milano, vol. vI, Milano, 1955, p. 571); 2)  PARIGL, Bibl. Nat., lat. 10252, sec. XV, ff. 149r- 159v (ed. E. MooDy-M.CLAGETT, The Medieval Science of Weights, Madison, 1952, PP. 238-278), soc. XV, datato 1476, 5 gennaio in Napoli.  CONCLUSIONES DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE  Conclusiones de generatione et corruptione: VATICANO, ms. Urb. lat. 1489, sec. XV, Ff. 104rab- 11Svab, conclusiones Blasii de generatione et corruptione scriptae per me Antonium artium scolarem Bononiae studentem. Incipit: *(DJe generatione iste est liber de generatione quem inter alios libros naturales volo in tertio loco situari ut sie dicam»; f. 112ra: «et sic finitur sententia primi libri de generatione edita ab eximio doctore artium magistro Blaxio de Parma.  (Dje mistione, iste est secundus liber»; f. 118vb: «Expliciunt conclusiones primi et secundi de generatione et corruptione compilatae per eximium artium doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptae per me Antonium  artium scolarem Bononiae studentem»,QUESTIONES DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE  Questiones de generatione et corruptione: 1) VATICANO, Vat. Chigi, O, TV. 41, sec. XIV, ff. 1v-58vb (scritte a Bologna dopo le qu. de caelo, cfr. ivi II,  11312, 913880 Padi de Mar hode Vinisa 0, au sa Nel arigacura  in legno del codice si legge, infatti, «Blasius de Parma, Paduae doctor anno 1388 de generatione et corruptione, de meteororum, de anima prin et secundi physicorum collezit Marinus de Lagoussao, Incipit: «circa primum librum de generatione et corruptione quaeritur utrum sit nobis evidens aliquid posse simpliciter generare; f. 58vb: «expliciunt quaestiones primi libri et secundi degeneratione et corruptione secundum reverendum doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptae per me Marinum de Lagonissa».  QUESTIONES METHEORORUM  1) VATICANO, Vat. Chigi, O. IV, 41, sec, XIV, ff. 59г-105г. Incipu:  «Primo quacritur circa primum librum metheororum utrum iste mundus generabilium et corruptibilium gubernetur a caclo»; f. 74va: «Expliciunt quaestiones primi libri metheororum factae per egregium virum magistrum  Blaxium de Parma omnium liberalium artium protessorem et incipiunt quaestiones secundi libri; f. 105va-106ra: Incipit tabula quaestionum pri-mi, secundi, tertii et quarti metheororum: 2) ROMA, ms. Vat. lat. 2160, sec.  XIV-XV, 11. 62ra-138va: «Expliciunt quaestiones super libris quattuor metheororum secundum magistrum Blasium de Parma»; 3) FIRENZE, Laurenziana, AshburNham, 185, sec. XIV. ff. 1r-99v, «Expliciunt quaestiones totius libri metheororum recollectae sub reverendo et excellenti artium doctore magistro Blaxio de Pelacanis de Parma et scriptae per me Barnabutium de Favero in monte Silice tempore quo pestis vigebat Paduac et hacciannis  Domini currentibus 1399 die XXVII* sectembris; +) CHICAGO, Universitaria,  n. 10, sec. XIV, II. Ira-37vab, copia non completa, alcune questioni de diversi libri mancanti: «Expliciunt questiones super libro methaurorum Aristotelis quas compilavit magister Blasius de Parma completae et scriptae per me magistrum Johannem de Medicis deyter (P)*-  Tabula quaestionum methaurorum  CITTA DEL VATICANO, ms. Vat. lat. 9414: Tabula delle prime 16 questioni del primo libro, H. 138rb-138va  CONCLUSIONES DE ANIMA  D)VATICANO, Urb, lat. 1489, ff. 74r- 103v: Incipit «[BJonorum honorabilium nottam... iste est primus tractatus hurus primi libri de anma habens unicum capitulum quod dividitur in tot partes quot sunt conclusiones in co... nobis necessario non insunt. Expliciunt conclusiones super tribus libris de anima compilatae per magistrum Blaxium de Parma. Amen».  2) PADOVA, Bibl, Univ, n. 1743, fine sec. XIV, mutilo dell'inizio, ff. 3-53, ma carte 37: «in materia et hoe est philosophia». F. 53v: -Expliciunt conclusiones super libris de anima secundum eximium doctorem magistrumBlasium de Parma per me fratrem Antonium ordinis Servorume.  Biagio segue fedelmente il testo della translatio antiqua del de anma come è pubblicato, con il commento di Averroé nella edizione giuntina del 1562.  Le due copie, una contenuta nel Var. Urb. lat. 1489, ff. 74-103v e l'altra a  Padova, Bibl. Univ. 1743, H. 37, corrispondono tedelmente,  compilata da Bragio come risulta dall'expliat: - expliciunt conclusiones super tribus hbris de anima compilatae per magistrum Blaxium de Parma, Amen» Il ms. Padova, Bibl, Univ. 1743 ha alcune carte strappate, ma è identico al Vaticano. Differenza rilevante che abbiamo riscontrato da una collazione tra le due copie è l'introduzione nel ms. Urb. lat. 1489, a f. 75va delle opiniones antiquorum de anima, mancanti nel seguito del Padovano, Univ. 1743, e non perché la carta sia stata strappata. In questo ms. Urb. lat. 1489, a F. 75va e scritto in margine dalla stessa mano, a proposito dell'opiniones antiquorum. riferite per esteso e mancanti nel padovano: «errores antiquorum et hoc secundum Bridanm, quia hos Blaxius non recitavit de anima..  Inoltre esistono alcune differenze tra le due copie, che sono, a nostro avviso, molto importanti. E sulla base di questa diversità che abbiamo supposto che la copia del manoscritto padovano sia un poco anteriore a quella del vaticano e da collocarsi, forse, in un periodo anteriore alla condanna del vescovo di Pavia del 1396, per la forza di una espressione che si trova nelle prime carte e che viene por modilicata nella copia del manoscritto Urb. lat, 1489 compilata da Biagio, Biagio corregge in altri termini l'espressione «materia regitiva totius universi quae est ipse deus», con «natura regitiva totius universi quae est ipse deus». Diamo qui la collazione delle due copie da cui risulta la correzione.  PADOVA, Univ, 1743, f. 9vab  «Hic asculta quod licet in conclusione dicatur quod generare sit generalissimum seu naturalissimum  viventibus etc., non intelligitur tamen qued hace operatio quae est generare sit cateris perfectior et magis intenta a generante, quia non est dubium quad  unumquodque  animatum  principalius  intendit  conservare seipsum quam generare.  Sed tamen  verum est quod per  conservationem  specier  hacc  operatio est maxime intenta ab agente particulari et materia regitiva  totins inversi quae est ipse dense.-  CITTA DEL VATICANO,  Vat. Urb. lat, 1489, f. 79va  «Hie asculta quod licet in conclusione dicatur quod  generare sit  generalissimumseu naturalissimums  viventibus ete., non intelligitur tamen quod hace operatio quae est generare sit cacteris perfection et magis intenta a generante, quia non est dubium quod  uodque  animacum  principa  intendit  conservare seipsum  Sed  tammen  verum  per  conservationem speci  hace opera-  tio est maxime intenta  agente  particulari et a matura regitiva totins  universi gide est ip  г7QUAESTIONES DE ANIMA  1) VATICANO, Vat. Chig, O. IV, 41, ff. 112r-224r (vecchia numerazione):  Inc. «Circa primum librum de anima primo quacritur utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Expliciunt quaestiones primi, secundi et terti libri de anima datae per excellentem artium doctorem Blaxium de Parma, recollectae  191v: « Adsit principio Sancta Maria meo, amen, MCCCLXXXV. Utrum aliqua notitia sit nobis possibilis.. 1386 Expliciunt quaestiones super libris tribus de anima, disputatae Paduae per reverendissimum et egregium artium doctorem  Magistrum Blasium de Parma [.. Expletac Paduae, 21 ma prima augusti die.  Tabula questionum de anima secundum magistrum Blasium de Parma, doctorem dyabolicum». Queste due copie corrispondono fedelmente.  Liber primus  Ms. Vat. Chig. O. IV.41  1 f. 112ra (vecchia numerazione):  Circa primum librum de anima primo quaeritur utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Et arguitur quod non. Primumargumentum: staliqua  notitia esset nobis possibilis maxime.  2 f. 110va: Consequenter quaeritur secundo utrum de anima sit nobis  aliqua notitia possibilis.  3 f. 112ra: Consequenter quaeritur  utrum cognitiones distinctae distin-  guantur proporzionaliter secundum  distinetionem suorum obiectorum  46, 113rb: Consequenter quaeritur quarto utrum diversae scientiae  proportionaliter  se excedant  secundum excessum obiectorum.  5 f. 115ra: Consequenter quaeritur utrum scientia de anima sit alfis  scientiis difficilion.  6 f. 116rb: Consequenter quaeritur  utrum cognito unius rei possit causare cognitionem alterius rei.  7 f. 118rb: Consequenter quacritur  septimoutrumspericumpositum supri  planumtangatipsum praccisem puncto.  81. 121 ra: Utrum anima intellectiva possit a corpore separari.  Ms. Napoli, Bibl. Naz. VIII. G. 74  1  Adsit principio Sancta Maria meo  amen MECCLXXXV.  1f.3m. Utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Arguitur qued non. Pri-  mum argumentum: si aliqua notitia esset nobis possibilis maxime esset ilia.  2 f, 6r: Consequenter  quacratur  utrum de anima sit nobis aliqua  notitia possibilis.  31.9r: Consequenter quaeritur utrum cognitiones distinctae distinguantur  proportionaliter spundum distin-  ctionem suorum obiectorum.  4 f. 11r: Consequenter quaeritur  utrum diversae scientiae proportio-  naliter se excedant secundum exces-  sum obiectorum.  5 1. 14r: Consequenter quaeritur utrum scientia de anima sit aliis  scientiis difficilior.  6 f. 17r: Consequenter quaeritur  utrum cognitio unius rei possit causare cognitionem alterius rei. 7 f.21r: Consequenter quaenturutram spericum positum supra planum tangat  ipsum precise in puncto.  8 1. 25v; Consequenter quaeritur utum  animaintellectiva possitacorporeseparan.1f. 128 va: Quaeritur primo circa secundum de anima et sit prima quaestio scilicet utrum omne vivens sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex amma et corpore.  2 f. 131ra: Consequenter quacritur utrum diffinitio de anima sit sufficienter posita qua dicitur anima  est actus primus substantialis.  3 f. 134va: Consequenter quaertur utrum ex anima et corpore fiatunum.  4 f. 137 va: Consequenter quaertur utrum in qualibet creatura rationali anima intellectiva sit distincta a  sensitiva et vegetativa crus.  5 f. 143va: Consequenter quaeritur utrum in homine anima intellectiva sit tota in toto et in qualibet parte ipsius hominis,  6 t. 147vb: Quaeritur utrum in latitudine viventium sit essentialis perfectio penes accessum ad  summum attendenda.  7 f. 150vb: Quacritur utrum naturalissimum sit unumquodque  generare sibi tale quale est.  8 f. 154va: Quacritur utrum qualitas in vigore proprio possit formam  substantialem producere.  sicombusebilenondehvataugeaturignis  quantumlibet in infinitum.  - 10f. 1647b: Consequenter quaeritur  utrum animal possit nutriri ex  impiei de Comequente quaerinur  utrumomne animal dum vivie nutsarur.  12 f. 166rb: Consequenter  quaeritu  utrum exures sit appetitus calidi et sicci.  131, 167 rb: Conseguenter quaeritur utrum sensus sit virtus paxiva.  1HConscquenterquaenturtrum  species conserventur in organo sensus temporaliter in abisentia obicetorum.  151. 169va: Consequenter quaeritur  utrum omne quod apparet sit tale,  11  1 f. 38v: Quaero istam quaestionem circa materiam secundi utrum omne vivens sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex anima et corpore.  21. 42r: Quaero istam quaestionem utrum definitio de anima sit sufficienter posita, qua dicitur anima est actus primus substantialis.  3 f. 47r: Quaero istam quaestionem utrum ex anima et corpore fiat unum, 4 f. 49v: Quacro istam quaestionem utrum in qualibet creatura rationali anima intellectiva sit distineta a sensitiva et vegetativa eiusdem.  5 f. 56v: Quaero istam quaestionem utrum in homine anima intellectiva sit tota in toto et in qualibet parte  ipsius hominis.  6T. 61v: Quaero utrum in latitudine viventium sit essentialis perfectio penes accessum ad summum attendenda.  7 f. 65v: Quacritur utrum naturalissimum sit unumquodque  generare sibi tale quale ipsum est.  8 f. 70r: Quacritur utrum qualitas in vigore proprio possit tormam  substantialem producere.  91.75v:Quaeritur utrumsi combu-  stibile non deficiat augeatur ignis  quantumliber in infinitum.  10 f. 81r: Quacritur utrum animal possit nutriri ex simplici elemento.  11 1. 83v Quacritur utrum omne  animal dum vivit nutriatur.  12 f, 85v: Quaeritur utrum esuries sit appetitus calidi et sicci,  13 1. 88r: Quacritur utrum sensus sit  virtus passiva.  14 f. 91r: Quaeritur utrum species conserventur in organo sensus temporaliter in absenta obrectorum.  15 f. 94r: Quaeritur utrum omne quod apparer sit tale tantum et ubitantum et ubi, quale et quantum et ubi apparet quae quaestio consucta est proponi sub hac forma, 16 f. 174rb: Consequenter quaeritur utrum lumen multiplicetur per medium subito et in istanti.  17f, 175rb: Consequenter quacritur utrum visio fiat in istanti.  18 f. 177 va: Consequenter quaeritur utrum possibile sit aliquem sonum esse vel bert  19 f. 179ra: Consequenter quaeritur utrum idem sonus possit a pluribus audiri.  20f. 180vb: Consequenter queritur  utrum  odor multiplicetur  spiritualiter per medium.  21 f. 183m: Consequenterquenturutrum  sensus tactus sit inus ct non plures,  221. 184ra: Consequenter quaenturutrum duo corpora dura possint se tangere. 23f. 188rb: Consequenter quaeritur utrum ad  sentiendum tangibile  requiratur medium extrinsecum.  24t. 189ya: Conseguenter guaentur  utrum quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores.  25 f. 190va: Consequenter quaeritur utrum sensibile positum supra sensum causet sensitionem.  26f. 192va: Consequenter quaeritur utrum evidenti ratione ostendi possit sensum communem esse ponendum.  27 Hf. 194v-196va: Consequenter quac-  ntur urum oranum sensus communs  sit in cerebro vel in corde... Et hace hie sit finis questionum secundi libri de anima.  quale quantum et ubi apparet.  16 f. 104v: Quacritur utrum lumen multiplicetur per medium subito et in istanti.  17 f 110v: Quaeritur utrum visio fiat in instanti.  18f. 114r: Quacritur utrum possibi le sit aliquem sonum esse vel hier.  19 E 117v: Quaestio sit ista utrum idem sonus possit simul a pluribus audiri.  20 f. 120v: Quaeritur utrum odor multiplicetur spiritualiter per medium.  21 f. 125v: Quaeritur utrum sensus tactus sit unus et non plures.  22 f. 128r: Quaeritur utrum duo corpora possint se tangere.  23 f, 136г: Quaeritur utrum ad sentiendum tangibile requiratur medium extrinsecum .  24f. 138r: Quacriturutrum quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores.  251. 140v: Queriturutrum sensibile positum supra sensum causet sensationem.  26 f. 144r: Quaeritur utrum evidenti ratione ostendi possit sensum communem esse ponendum.  27 H. 149r-153v: Quacritur utrum  scnsuS commanis organum sit in  cerebro vel potius in corde... explicit secundus de anima.  Liber tertius  1 6. 196vb (n.n.): Dubitatur circa tertium hbrum de anima et quaeritur primo utrum intellectus humanus pati possit ab aliquo agente.  2f. 199wh: Conseguenter guaeritar  utrum possit persuaderi quod intellectus humanus sit denudatus ab omni qualitate.  1 f. 153v: Incipit tertius: quaeritur utrum intellectus humanus pati  possit ab aliquo agente.  2 f. 159v: Quacritur utrum possit persuaderi  intellectus  numanus sit denudatus ab omni  qualitate.  196 of 226201 va: Quacritur utrum omnis veritas possit ab intellectu cognosci.  4 f.  204 va: Quaeritur utrum  intellectus humanus possit intelli-  gere quod non est.  5 f. 206va: Consequenter quaeritur utrum intellectus possit simul plura intelligere.  6 f. 208ra: Consequenter quaeritur utrum per speciem lapidis intellectus  intelligat se ipsum.  7 f. 209rb: Consequenter quaentur utrum actus intelligendi et habitus et cum hoe species, sint idem quod anima actualiter vel habitualiter intelligens.  8 f. 210rb: Consequenter quacritur utrum voluntas sit praccisa causa activa suae volitionis et nolitionis.  9f. 211rb: Consequenter quaeritur utrum voluntas humana in utramgue [partem] contradictionis sit libera.  10 f. 213ra: Quacritur utrum principium motus localis in corporibus viventibus sit anima vegetativa vel sensitiva an magis intellectiva.  11 1. 214: Ultimo quaeritur utrum natura in erus operibus deficiat in necessaris et habundet in superfluis;  f. 215ra, [224ra p.m.): Expliciunt  Guarde anima rima peredi leneri  artium doctorem Blaxium de Parma recollectae per me Marinum de  Leonissa in studio Paduano in anno domini 1385, deo gratias ad cuius finem me perducat qui vivit per infinita saccula amen amen amen.  Incipit tabula praccedentium quaestionum super libro de anima.  3 f. 163v: Utrum omnis veritas possit  ab intellectu cognosci.  4f. 164v Quacritur utrum intellectus humanus possit intelligere quod non est.  5f. 173v: Quacriturutrum intellectus  possit simul plura intelligere.  6. 5. 176v: Quaeritur utrum per speciem lapidis intellectus intelligat  sespsum.  7 E 179v: Quacritur utrum actus intelligendi et habitus et cum hoc species, sint idem quod ipsa anima actualiter vel habitualiter intelligens.  8t. 182r: Utrum voluntas sit praecisa causa activa suae volitionis et nolitionis.  9 f. 183v: Utrum voluntas humana in utraque (partem] contradic-  tionis sit libera.  18 1. 187r: Quacritur utrum  principium  motus localis in  corporibus viventibus sir anima vegetativa vel sensitiva an magis intellectiva.  11 f. 189r: Quaeritur utrum natura ineius operibus deficiat in necessaris et habunder in supertluis, f191rv: 1386. Expliciunt questiones super libris tribus de anima.  disputata Paduae per reverendissi-mum et egregium artium doctorem  Magistrum Blasium de Parma, deo  Me si nome sei en sicci  Expletae Paduae 21 ma prima augusti die. Tabula quaestionum de anima secundum magistrum Blasium de  Parma doctorem dvabolicum.  CONCLUSIONES e QUAESTIONES PHYSICORUM  CONCLUSIONES PHYSICORUM  1) TREVISO, Bibl. Comunale, 420 A, 1. 1r-43v, raccolte da un discepolo nell'anno 138(2) (l'ultima cifra è andata perduta nella rilegatura): *Glose per Blasium de Parma super librum physicorum utiles cumanima boni philosophi (Buridano secondoil ms.), Incipiunt recolecte (.)per  Blasium de Parma super libro physicorum»; t. 43vs «Explicit compendium recollectarum super 8 libros physicorum per dominum magistrum Blastum de Parma- (per Matheum de Tervixio): f. 13va: «Et finis questionum secundi libri physicorum que sunt recolecte per me Matheium de Tervixio philosophum minimum ex dictis valentium doctorum 138 (?)»,  QUESTIONES PHYSICORUM  VATICANO, Vat Chigi, O. IV, 41, sec. XIV, ff. 226r-280vb, prima redazione limitata al primo e secondo libro della física, questione settima del secondo libro. Incipit« Circa primum librum physicorum quaeritur primo et su prima questio in ordine, utrum nobis de rebus naturalibus sit possibile aliqua cognitio sensitiva vel intellectiva»; f. 267rb: « expliciunt quaestiones primi libri physicorum recollectae per me Marinum sub reverendo doctore magistro Blaxio de Parma in studio paduano ordinane legente»  1386  Padova  IUDICIUM  In quodam iudicio magistri Blasii de Parma anno currente 86, ms. CITTÀ DEL VATICANO, Reg, lat., 1973, ff, 48rb-vb, incipit: «qui maxime se diligit»; cfr, la mia edizione,  "Rinascimento", 22 (1971), pp. 90-93.  388-1389  Firenze  389-1407  Pavia  QUESTIONES SUPER TRACTATUM DE PROPORTIONIBUS  THOMAE BRADWARDINI  Esistono due redazioni diverse di questa opera. Le seguenti tre corrispon-dono salvo lievi varianti formali sebbene una di esse sia stata corretta e rivista in parte da Biagio e in parte da Pietro de Raimundis de Cumis, contengono 12 questiom; una quarta copia non corrisponde e contiene salo 11 questioni.  Primo gruppo: 1) VENEZIA, San Marco, lat. Classe vult, codex 38 collocazione 3383, sec, XIV, ff. Sva-37ra, codice posseduto da Giovanni Marcanova, le questioni di Biagio sono,  Bradvardin anglico sacrae paginae professore scriptae et completae per me Andream de Castello, 1391, die XX* mensis iuln, inter vigesimant secundam et tertiam hora(m): f. Sva, Incipiunt questiones super eisdem proportionibus secundum magistrum Blasium artium venerabilem doctorem. Incipit:  «счастисит ситса  proportones utrum conungar  omnem motum alteri in  velocitate et tarditate proportionar. Negative:  arguitur primos; t. 37ra:  «expliciant questiones super tractatum de proportionibus utrum contingat omnem motum alter in velocitate et proportionibus secundum venerabilem doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptae per me Andream de Castel-lo Bononiae sub anno Domini 1391 19 die mensis iulii«:2) OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, mise, 177, sec.  XIV, ff, 68vb (81vb)-96va (109v2), «expliciunt  questiones magistri Blaxii super tractatum proportionum Bardvardini, amen»; 3) CITA DELVATICANO, Var. lat., 3012, soc, XV, ff. 137ra- 163rb, se-guito da carte bianche, testo rivisto in parte da Biagio e da Raimondo da Cuma: incipit: quaestiones super tractatum proportionum magistri Thomac  Berverdini ab eximio artium doctore monarchaque domino magistro Blaxio de Parma «utrum contingat ombem motum alteri in velocitate et tarditate proportionarie; a f. 165rb si legges «istas quaestiones super tractatum de proportonibus ego frater Petrus de Raymumdis de Cumis emi a magistro Jacobo de Panicalibus (?) artium et medicinae doctore anno domini 1406 die 29 augusti et ipsas pro parte correxit magister Blaxis de l'arma huius operis compilator, in residuo autem pars ego correxi».  Una redazione diversa, più breve che comprende solo 11 questioni si trova  AMILANO, Ambrosiana, F. 145 sup., ff.Sva-18mb: -Expletae suntquaestiones  super tractatum de proportionibus Tomae Bervardini compilate per magistrum Blaxium Pelacanum de Parma, incipit: «utrum intensio qualitatis attendatur penes accessum ad summum gradum vel penes recessum a non gradu-, la quaesto e mutta; segue la seconda, f, 6ra, «consequenter quacritur  proprianemi edit pre ioni, taranel dabi, si sandra:  ROMA, Angelica, 480 (D.7.6), sec, XV, ff, 79ra 91vb (anonimo). Su cio cfr. in particolare il muo studio Due comment anonimi al "Tractatus proportionum" di Tommaso Bradwardine, "Rinascimento", 30 (1979), pp. 231-233,  QUESTIONES DE LATITUDINIBUS FORMARUM  Esistono tre redazioni diverse con particolare riguardo alla prima questio-ne. Primo gruppo: 1) OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, misc. 177, sec. XIV(1392),  fE. Sovb (109vb)-100va (113va); esse seguono l'explicit delle «crusdem tractatus de latitudimbus formarum». Incipit: «quaeritur primo utrum alicurus formae set latitudo unforms quod non.., exphcunt questiones super tractatu de latitudinibus formarum datae per venerabilem artium doctorem magistrum Blaxium de Parma per me Donatum de Monte artium doctorêm et in medicina studentem, 1392 die 29 decembris regnante domino Francisco de Francia (2) Paduae secunda vice Amen*: 2) MILANO, Ambrosiana, F. 145 sup., sec. XV, H, Ira-Sva. Incipit: «circa tractatum de  -latitudinibus formarum quaero primo utrum cuiuslibet formae latitudo est  coitounde l difinis con litur quad die (quesa prima pratione, por  questa prima questione si avrebbero dunque, tre stesure diverse). F.  «Explicitae sunt questiones super tractatu de latitudinibus formarum editae et ordinatae per me Biaxium Pelacanum parmenseme, Un secondo gruppo di mss, contiene le questioni de latitudinibus formarum in una redazione quasi uguale, salvo licvi varianti formali, con le prime ediziom di questa opera, Padova, per Matteo Cerdone,  1482.  1486, Venezia,  per Ottaviano  Scoto, 1505. La redazione della I questione è diversa da quella d ei 2 mss. sopra citati: 1) FIRENZE, Laurenziana, Ashburnham, 1348 (1272);  1フィコー  19vb: quaestiones de latitudinibusformarum, mapu  quaeritur  primoutrum  cuushbet formae latitudo sit uniformis vel dillormis et arguitur primo quad non de forma substantiali ut de anima intellectiva quae est indivisibilis»;19vb: «expliciunt quaestiones super tractatum de latitudinibus formarum determinatae per venerandum doctorem magistrum Blasium de Palma (sic) scriptae per manum Roberti de sancto Petro»; 2) CITTA DEL VATICANO, Vat.  lat, 4829, sec, XV, ff. 132-138v, datato anno Domini 1486; 3) SIENA, Comu-nale, G. vi1, 40, ff. 201v-203v, sec. XV, «expliciunt quaestiones super tractatu de latitudinibus formarum edito a magistro Blasio subtilissimo viro de Parma Paduae vero scripto per me fratrem Johannem Angeli Senensem ordinis praedicatorum 1462*; +) OxFORD, Bdl. Lib. Canonici, misc., 181, sec. XV, ff. 64r-66ra, incipit; «quaeritur primo utrum cuiuslibet tormae latitudo sit uniformis vel difformis et primo arguitur quod non de forma substantial ut de anima intellectiva quae»; f. 66ra: «expliciunt questiones utiles super tractatum de latitudinibus magistri Blaxii de Parma per me Vendraninum scholarem artium 1404 die 19ª Man stante discordia non modica inter Venetos et dominum Pad.». Questa copia ha maggiori varianti rispetto alle altre tre.  QUAESTIO DISPUTATA DE INTENSIONE  ET REMISSIONE FORMARUM  1) OXFORD, Bdi, Lab., Canonici, musc. 17%, sec. XTV, ft, 24ra-39rb, in mar-  sit aliqua qualitas posse intendi similiter et remitti, arguitur primo de supposito»; f. 39rb: «explicit questio de intensione formarum disputata per reverendum doctorem magistrum Blaium de Pelacanis de Parma»; 2)  VENEZIA, San Marco, classe XI, codex 20, 2549 (Valentinelli, IV, pp. 233-34), sec. XV, comprato nel 1440 dal Marcanova, lasciato ai frat di San Giovanni in Verdario nel 1467, contiene una redazione un pò diversa, fatta da Biagio per il figlio Francesco, ff. 1vb (con bella capitale miniata) - f. 18rb. Contiene dopo il terzo articolo e prima dell'inzio del quarto articolo, dubia di statica e di meccanica che non si trovano nella copia di Oxford sopra citata, ft. 13rb-tova: vantequam condescendam ad quartum articulum pro declaratione matori doctorum necnon dicendorum ego quaero adhue hane dubitationem utrum a proportione acqualitatis vel minoris inacqualitatis proveniat vel possit aliquis ellectus provenire» (con figure e note nel margine basso): f.  Lova: «et hace dicta sint pro toto isto dubio cum eis difficultatibus motis et etiam de isto tertio articulo principalis questionise; f. 18rabi «expliciunt ca quae sufficienter sub veritate dici possunt circa materiam de intensione et remissione formarum in hac notabilissima questione secundum excellentissimum artium monarcham necnon studiorum Italiae illustratorem magistrum Blasium de Pellachanis de Parma quae quidem quaestio est mei  Francisci fili cius». Il folo seguente porta la copia dell'epitaffio della tomba di Biagio posto sulla porta della cattedrale di Parma; 3) OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, misc. 181, f. 66rb (anonimo emutilo in fine); incipin cum sit evidens aliquam qualitatem posse intendi vel remitti.CONCLUSIONES e QUESTIONES PHYSICORUM  CONCLUSIONES PHYSICORUM  Seconda redazione: CITTÀ DEL VATICANO, Vat. lat, 2159, sec. XIV, ff. Ir-59, incipit expositio primi libri physicorum per conclusiones secundums serenissimum artium illustratorem magistrum Blaxium de Parma. Incipi:  «quoniam quidem intelligere et scire contingit circa omnes scientias quarum sunt principia»;t. 49va: set in hoc cum der laude finitum (sic) sententia actavi et ultimi libri physicorum secundum solemnissimum virum artium illustratorem preclarissimum Blasium de Parma, Expliciunt conclusiones octavi libri et ultimi physicorum secundum Blasium de Parma qui subtilis doctorappellatur die JovisXVIIII' mensis Juli 1397 in studio papiensi scriptae per me Bernardum a Campanea de Verona hora tertia noctis»; (sui codici copiati e posseduti da Bernardo cfr. il mio studio A propos de la diffusion des oeuvres de Jean Buridan en Italie du XIV au XVI siècle, in The Logicof John Buridan, ed. J. PinnoRG, Copenhagen, 1976, pp. 31 5gg,) e S. CARor, I codici di bernardo Campagna, Roma, Manziana, 1991.  QUESTIONES DISPUTATAE SUPER OCTO LIBROS PHYSICORUM  1) Seconda redazione, in Pavia, 1397, CITTÀ DEL VATICANO, Vat. lat. 2159, sec, XIV, ff. 61ra-225ra, Prologo: «Gratia regis caelorum qui totius are (2) elementalis summus est imperator in laudem et gloriam serenissimi ducis.  Incipit, utrum scientifiça notitia sit nobis a rebus naturalibus passibilis-,  Diamo qui di seguito i titoli di tutte le questioni da questa copia.  Questionum physicorum tituli:  Liber primus  L, qu. 1, ff. 61ra-63ra: utrum scientifica notitia sit nobis de rebus naturalibus possibilis, arguitur quod non.  L, qu: 2, ff. 63ra- 65rb: secundo quaeritur utrum cognita causa totalis alicurus rei cognoscatur statum illa res et non aliter, arguitur negative.  L, qu. 3, H, 65ra 68rb: tertio quaeritur utrumin nacuralibus ordine doctrinae ab universalibus in singularia sit processus, et arguitur primo negative.  - 1, qu, 4,11. 68rb-69va: quarto quaeritur utrum asserentes omma esse unum possint probabiliter in hac opinione substentari, arguitur quod sie.  1, qu. 6, ff. 71va-74rb: sexto quaeritur utrum asserentes omnem rem  cxtensam et suam extensionem non differre, possint probabiliter positionem  corum substentare, et statim arguitur quod sic.  1, qu, 7, Ff. 74rb-76vb; quacritur et septimo utrum in materia quantum-cumque parva forma substantialis hora generationis producatur, primum  naturalium esse tantum tria possint potenter impugnari et arguitur quod sic. 1, qu. 9, fl. 79vb-82vb: quaeritur et nono utrum per potentiam finitam vel infinitam possit aliquid fieri ex nichilo, arguitur quod sic.naturalie appela peranque rur de quadron Expibe ena estrale  primi libri physicorum secundum excellentissimum doctorem Blaxium de  quaestiones secundi libri physicorum secundum antedictum doctorem.  Bernardus antedictas quaestiones die XXVII Januari 1397.  Liber secundus  H, qu. 1, Hf. 84vb-Sora: circa secundum librum physicorum primo quaeritur utrum domificator vel faciendo domum faciat aliquid rebus naturalibus  condistinctum et sie ista quaestio duo quaerit,  II, qu. 2, ff. 86ra-89rb: secundo quaeritur utrum quodlibet ens naturale habeat in se principium motus et quietis, arguitur quod non.  11, qu. 3, 1. 89rb-91vb: tertio quacritur utrum omnis forma in latitudine perfectionali entium sit perfectior quam sit materia.  Il, qu. 4, ff, 91vb-92va: quarto quaeritur utrum diversae scientiae  perfectione essentiali secundum proportionem obiectorum proportionaliter  excedant se, et arguitur primo negative.  El, qu. 6, It. 94ra-96ra: sexto quaeritur utrum possit evidenter probari aliquid esse causa altenus, arguitur negative.  11, qu. 7, 11, 96ra-98rb: septimo quaeritur utrum ad cuiuscumque rei naturalis generationem practer agens particulare requiratur influxus causae universalis quae causa universalis dicitur sol quia secundo huius dicebatur quod homo generat hominem et sol et ita intelligitur de aliis planetis, arguitur  '11, qu. 8, fF. 98tb-100ra: octavo quaeritur utrum inter agentia particulani  supposita semper generali influentia superiorum possit qualitas una vel plures formam substantialem producere et arguitur primo affirmative.  H, qu. 9, H.100ra-103rb: nono quaeritur utrum asserentes omnia de necessitate evenire et nhil a casu vel a fortuna, possit corum positionem substentare et arguitur primo affirmative:  Liber tertius  111, qu. 1, FF. 103va-104rb: circa tertium librum physicorum primo quaeritur utrum in aliquo casu necesse sit ignorare naturam, probatur quod non.  III, qu. 2, ff. 104rb- 106rb: secundo quacritur utrum hacc propositio  'motus est' significans motum esse et precise sie et non aliter, sit vera et  arguitur primo negative.  III, qu. 3, ff. FO6rb-107vb: tertio quaeritur utrum motus sit ipsum mobile,  arguitur primo quod non.  111, qu. 4. H. 107vb-11 Iva:quarto quaeriturutrum contradictionemincludat aliquam magnitudinem esse actu infinitam et arguitur quod non.  Liber quartus  quartur 1 i poss sto ci gequari ato, aria quad primoIV, qu. 2, ff. 114va-117 rb: secundo quaeritur utrum entia naturalia distantia ab corum locis naturalibus moveantur ad illa, impedimentis subtractis, arguitur quod non.  IV, qu. 3, M. 117rb-119ra: tertio quacritur utrum corpora naturalia ab corum locis naturalibus distantia remoto impedimento moveantur ad illa per lineas rectas tamquam per lincas breviores, arguitur négative.  possiblis arguit pr-12 quo guinto quacritur utrum in vacuo sit morus  IV, qu. 6, ff. 126rb-127vb: sexto quaeritur utrum penetratio corporum sit possibilis et arguitur qued sic.  TV, qu. 7, ff. 127vb-130rb: septimo quacritur utrum rarefactio sit possibilis, IV, qu. 8, 130rb-132rb: octavo quaeritur utrum hace propositio sit concedenda "nune est tempus', et arguitur quod non  IV, qu. 9, ff. 132rb-135va: nono quaeritur utrum aliquid sit praecise per instans, arguitur quod sic.  Liber quintus  V, qu. 1, ff. 134vb-137 ra: circa quintum librum physicorum quaeritur primo utrum agens naturale hom qua agit in passum agat in ipsum secundum  arguitur quod sic.  V, qu. 3, 1t. 138vb-140vb; tertio quaertur utrum alteratio sit motus, arguitur quod non.  V. qu. +, ft. 140vb-143vb: quarto quaertur utrum augmentatio sit motus  PV.qu. 5. 1,143b-145raquintoguaritrucumcontadicionemindudat  motum localem esse et non esse motum, arguitur quod non.  V, qu. 6, H. 145г- 147ta; sexto quaeritur utrum unitas motus sit principaliter attendenda penes unitatem temporis aut magis penes unitatem mobilis, etista quaestio quaeritur quia philosophus ad testum dicit quad ad unitatem numeralem motus requiritur unitas temporis et mobilis et dispositionis secundum quam est motus, primo arguo negative.  V, qu, 7, H. 147ra-149rb: septimo quaeritur utrum aliqui motus differant specie arguitur qued non.  V, qu. 8, ff. 149cb-151rb: octavo quaeritur utrum in motibus sit penes contrarietatem terminorum ad quos contrarieras attendenda, arguitur primo  negative.  V, 9, ff. 151rb- 154ra: nono quacritur utrum possibile sit contraria in codem simul complicari, affirmative arguitur.  V. qu. 10, ff. 154ra-161rb: decima quaestio quaeritur utrum qualitas sit inten-  legi ego Bernardus a Campanea de Verona, anno domini 1397 in felici studio  papiensi, Explevi etiam ipsas vero recoligere die Mercurii XI' Juli hors XXI,Liber sextus  Incipiunt questiones sexti libri physicorum secundum praedictum doctorem quas incepi recoligere die Jovis XII' Julii in civitate Papiac, f. 161rb.  Vi.qu. 1, ff. 161va-164va: circa sextum librum physicorum primo quaeritur utrum per bonas rationes concludi possit continuum esse ex indivisibilibus compositum, arguitur quod sic.  Vi, qu. 2, ff. 164va-169vb: secundo quacritur utrum continuum sit in infinitum divisibile, et arguitur quod non.  Vi, qu. 3, ff. 170ra-172ra: tertio quaeritur utrum mobile velox per idem tempus vel aequale plus pertranseat de spatio tardiori, arguitur primo  negative.  VI, qu. 4. ft. 172ra-173rb: quaeritur et quarto utrum indivisibile moveri localiter vel alio modo rationibus obviet philosophorum, arguitur quod non.  VI, qu. 5, ff. 173rb-174va: quinto quaeritur utrum sit possibile motum velocitari in infinitum, et statim arguitur quod non.  VI,qu. 6, ff. 174 va-178va: sexto quaeritur utrum omne quod moverur prius movebatur et post hoc movebitur, et arguitur quod non.  VI, qu. 7, ff. 178vb-182ra: seprimo quaeritur utrum possibile sit magnitudinem infinitam transiri tempore finito et finitam transiri tempore infinito, et arguitur primo ad primam partem quod sit possibile.  Vl. qu. 8, 1t, 182ra- 185rb: octavo quaeritur utrum potenter possit improbari alquod moven localiter et arguitur primo affirmative. Expliciunt quaestiones sexti libri physicorum secundum Blasium de Parma.  Liber septimus  Incipiunt questiones super septimo libro physicorum secundum Blasium  praedictum, t. 185rb.  VII, qu. 1, ff. 185va-189ra: primo circa septimum librum physicorum quaeritur utrum omne qued movetur moveatur ab alio, arguitur primo.  negative.  VII, qu. 2, ff. 189ra-190ra: secundo quaeritur utrum in motibus et motis sit processus in infinitum aut potius sit venire ad primum motorem et arguitur  primo affirmative.  VII, qu. 3, ff, 190rb-192va: tertio quaeritur utrum in omni motu movens et motum sint simul et quia ista terminus 'simul* potest dicere simultatem loci et temporis, ideo primo arguitur negative ex parte loci.  VI, qu. 4, 1, 192va 193va: quarto quacritur utrum morus rectus et circularis sint invicem comparabiles, et arguitur primo affirmative.  VIL, qu, 5, ff. 193va-194vb: quinto quaeritur utrum acqualiter gravia  moveri, et arguitur affirmative.  VII, qu. 6, 1f, 195ra-197va: sexto quacritur utrum in alteratione sit certa velocitas attendenda, arguitur quod non.  VIL, qu. 7, ft. 197va-200vb: septimo quaeritur utrum in motu locali sit certa velocitas attendenda, et arguitur quod non.  VII, qu. 8, 1t. 200vb-203rb: octavo quacritur utrum in augmentatione sit certa velocitas attendenda, et arguitur quod non.VIl, qu. 9, ff. 203rb-209ra: nono quaeritur utrum in motibus proportio velocitatum sit sicut proportio causarum, et arguitar quod non.  VII, qu. 10, ff, 209ra-210ra: ultimo quacritur utrum agens naturale sit limitatum et arguitur affirmative. Expliciunt quaestiones super septimo libro physicorum Aristotelis disputatae et in scriptis traditae per magistrum Blaxium de Parma doctorem famosissimum artium.  Liber octavus  Inepiunt quaestiones super octavo libro et ultimo physicorum Aristotelis secundum praedictum magistrum Blaxium de Parma, f. 210ra.  VIII, qu. 1, ff. 210rb-213ra: primo circa octavum librum physicorum quaertur utrum philosophicis rationibus patenter concludi possit matum fusse ab aeterno et arguitur affirmative.  VIII, qu.2, HI. 213ra- 214ra: item dubitatur et secundum utrum 'deum non esse' contradictionem includat, arguitur primo negative.  VIII, qu. 3, H.2 14ra-214 va: tertio quaeritur utrun contradictionem includat caclum fuisse acternaliter productum et arguitur quod sic.  VIII, qu. 4, ff. 214va-215vb: quarto quaeritur utrum caclum moveri in instanti contradictionem includat et arguitur quod sic.  VIII, qu. 5, F. 215vb-218ra: quinto quaeritur utram possibile sit primum motorem caclum movere in instanti et arguitur quod sic,  VIII, qu. 6, f. 218ra-218vb: sexto quaeritur utrum inanimata sive gravia sint sive levia ex se moverntur vel nata sint ex se mover et arguitur quod sici VIII, qu. 7, ff. 218vb- 219va: septimo quacritur utrum motus localis sit primus motuum arguitur quod non.  VIII, qu. 8, ff. 219va-22 Ira: octavo quaeritur utrum asserentes motos contrarios quiete media interrumpi possint per rationes naturales improbari.  VIII, qu. 9, ff. 221 rb-222ra: nono quaeritur ut rum praecise motus circularis sit perpetuus, arguitur negative.  VII, qu. 10, H. 222ra-223 rb: decimo quacritur utrum per rationes naturales amar possit a quo protecta moveantur contra inclinationes naturales cumab impellente recesserunt, et arguitur quad non.,  VIII, qu. 11, ff, 223rb-224va: undecimo quaeritur utrum per naturales rationes concludi possit primum motorem qui est ipse deus et vigore et duratione esse inhnitum, et arguitur attrmative.  VII, qu. 12, H. 224va-225rb: ultimo quacritur utrum primus motor st  -ubique, tamen magis in circumferentia quam in centro, arguitur negative sic.  Expliciunt quaestiones super primo, secundo, tertia, quarto, quinto, sexto, septimo et octavo libris physicorum Aristotelis disputatae et in scriptis traditae in civitate Papie per perspicuum doctorem Blaxium de Parma anno domini 1397,  Altra copia, stessa redazione, non completa, manca l'intero ottavo libro e alcune colonne degli altri nonché aleuni problemata: 2) VATICANO, Vat. lan 3012, sec. XV, H.5ra-1 10vb, quaestiones physicarum: «Cratia re favente qui totus... utrum scientitica noutia de rebus naturalibus sit nobis possibilis»; f. 91ra «consequenter circa septimum physicorum quacritur primo utrum omne quod movetur moveatur ab alio,.*; f. 110ra-110vb. «quaeritur trum omne agens sit in cius actione limitatum et arguituraffirmative», si arresta a f. 110vb al primo articolo; al f. 136y si legge: «istae questiones Blaxii super libros physicorum sunt fratris Petri de Raymundis ordinis Praedicatorum quas scribi fecit anno domini 1405:.. et sub ipso magistro Blaxio audivit»  IN THEORICAM PLANETARUM ALPETRAGI  In Theoricam planetarum Blasii demonstrationes et dubia  Si tratta di opera diversa dalle semplici Demonstrationes geometricae in theoricam planetarum: 1) Demonstrationes et dubia in theoricam planetarum  Alpetragii, VATICANO, ms. Vat. lat. 4082, sec. XV. ff. 47ra-60va, datato 1401 (o 1405): Prologo, Incipit •(S)uper theoricam planetarum aliquas demonstrationes et dubia circa materiam gratiarum largitor pulsando  occultare ne me quis invidum reputaret qui non papirum combustilem, sed pergamenum magis ignis extinctum gratus vobis cognovi lineandum, quia etc. omnibus licitum est ordinem servare doctrinalem, consequar quod promisi, videlicet primo orbes solis depingendo ut sic inde conclusius videat apparentas et nequaquam naturalibus principiis derogando et naturali obviat qui vacuum pont qui corporum penetrazionem admittit et minus qui orbes facere fluere et stationes cum praedictis, deinde propositiones demonstrationem parientes ut gloriosus deus concesserit discursu apodiacon demonstrabo et ultima demonstrata pro tabulistis quantum ad corum proposita sufficit, applicabo». Incipit «(Tres orbes mundo eccentricos et difformes per applicationem speram solis eccentricam fabricare, Istam conclusionem propositam non intendo demonstrare...; f. 60va: «patet quomodo respondetur ad demonstrationes contra istam et sie sit finis per me Petrum de Fita 1401 (o 1405), Expletae sunt theoricae planetarum per magistrum Blasium de Pelacanis de Parma editace: 2) FIRENZI, Laur., Plut, 29, codex 27, sec. XV, ff. 8ra-14v, non completo, si arresta al commento della proposizione (f. 14r): *(Dunam sex motibus moveri quibus datis», al f. 14v con le parole: set tertium ab eis distat vel illud tertium quod a duobus coniunctis distat est Sol vel epiciclus»; 3) BERLINO, Staatsbibliothek, ms. lat 246, fine secolo XIV, ff. 87ra-93v, Demonstrationes et dubia theoricae Blasii de Pelacanis de Parma; 4) VENIZIA, San Marco, classe XI, codex 86 (3349), sec XVI, Demonstrationes et dubia Blasii Parmensis super theoricam planetarum,  11. 175г-216v; 5) HIRENZE, ms. di proprieta Leo Olschki, sec. XIV-XV, Prologo:  «Super theoricam planetarum aliquas demonstrationes et dubia secundum subiectam materiam gratiarum• incipit «Tres orbes mundo eccentricos et difformes per applicationem speram solis fabricare, istam conclusionem propositam non intendo demonstrare», edito sotto l'attribuzione a Pietro da Modena da G. BoerTo E U, MAzzIA, D'un ignoto astronomo del secolo XIV, Pietro da Modena, da un ms. della collezione Leo Olschki,  "Bibliofilia", 9  (1907), PP. 374-379; in realtà si tratta dell'opera di Biagio, cfr. anche L,  'THORNDIKE, Notes upon some medieval latin astronomical astrological and mathematical manuscriprs at the Vaticana,  "Isis", 17 (1956), pp. 391-404; 6)PARMA, Bibl. Palatina, codex 984, sec. XV, ff. 87r-103v, anonimo.  In theoricam planetarum demonstrationes geometricae  VATICANO, Var. lat, 3379, sec. XIV, f. 52r-61r: Blas Parmensis demonstrationes geometricae in theoricam planetarum, mapit: « Centrumsolis acqualiter distat a centro eccentrici solis et a centro terrac existentis in duobus punctis terminantibus lineas existentes»; f. 61r in fine: - plus sex signis luna peragit cursum suum. Finis theorica lunae»; f. 61v branco: f. 62r: *Laurenti Bonincontri Miniatensis (?) super Centiloquio Photomer». Nella prma carta del codice se legge: «Nicolai comitis patavini de motu octavae sphaerac, Tractatus sphaerae Johannis Sacrobosco, Demonstrationes Blasir parmensis, Comentum Albertum magnum super sphacram, Eiusdem Blasti demonstrationes mathematicae super theorica planetarum, Centiloquiam Ptolomei cum commento mei Laurentii Bonincontri»; nell'indice, dunque sono indicati i due testi di Biagio, ma noi ne avremmo individuato uno solo. VIENNA, Bibl. Nat., 5303, sec. XVI, H. 51г- 83v: mapu, *centrum solis acqualiter distat a centro eccentrici». Corrisponde salvo lievi varianti, fino a f. 66v (con la proposizione 22a), con il Vat, lat. 3379, ff. 52г-61г,  3) VENEZIA, Musco Correr, Provenienza Cicogna, 2289, sec. XV, 1. 111r; contienesolo l'explicit, evidentemente errato: «finiant demonstrationes Blasii de Parma super theorica planetarum compilata per ipsum in Gymnasio  mia cdizione Il 'Lucidator' dubitabilm astronomiae di Pietro d'Abano, Padova, Editoriale Programma, 1988).  Le Demonstrationes geometricae sono pubblicate anomime nell'edizione per Ottaviano Scoto, Venezia, 1518, Sphaera mundi cum commentaris, ff. 143ra- 152v; efr. anche L. THORNDIKE, Notes upon some medieval latin astronomical astrological, cit., pp. 391-404.  JUDICIUM  ladicium revolutionis anni 1405, PARIGI, Bibl. Nat., lat. 7443, sec. XV, IT.  11v-17e: ludicium revolutionis anni 1405, 11 martu cum hors et fractionibus secundum magistrum Blasium de Parma, incipit: cantequam invadam pracsentem materiam pro mei informatione et alterius cuiuscumque priesupponam aliqua in modum propositionum iuxta formam et consuetudinem philosophantium•. (Su questa opera efr. il mio studio Biagio Pelacani, una storia astrologica, "Abstracta", 47 (1990), pp.Biagio Pelacani. Pelacani. Keywords: implicature, prospettiva, filosofia della percezione, origini del libertinismo, commentario in detaglio sulla semiotica di Occam – dialettica – segno, nota, sermo. Refs.: Luigi Speranza, “Pelacani, Grice, e Shorpshire sull’immortalità dell’anima.” Luigi Speranza, “L’animismo di Pelacani e Grice, ‘smoke means fire, literally.’”

 

Grice e Pelagio: la ragione conversazionale - l’implicatura conversazionale – la scuola di Giulano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor of Celestio and Giulano di Eclano. Pelagio

 

Grice e Pellegrini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’amore come affezione dell’animo – e la sua manifestazione nei maschi nobili – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sonnino). Filosofo italiano. Grice: “I like Pellegrini: he found Aristotle’s ‘obscure’ for the youth the manual Ethica Nichomaechaea is intended for!” È, secondo TIRABOSCHI, filosofo che da' suoi meriti e dalle promesse fattegli da più pontefici pareva destinato a' più grandi onori; ma che non giunse che ad ottenere alcuni beneficii ecclesiastici. Tenne la cattedra di filosofia a Roma. Pubblica il “De affectionibus animi noscendi et emendandis commentaries” e un'edizione della traduzione in latino di Lambin dell' Etica Nicomachea di Aristotele -- i “De moribus libri decem -- corredandola di un riassunto e di commenti, nei quali altera il testo di Aristotele di cui lamenta la difficoltà e l'oscurità. Benché Aristotele del Lizio sconsigli lo studio dell'etica ai giovani, ancora immaturi per una retta comprensione dei principi morali, al contrario, ritiene che lo studio dell'etica deve essere impartito prima ancora di quello della filosofia della natura, in modo che i giovani possano affrontare gli studi scientifici con animo libero dalle passioni. È più oratore che flosofo. Nn pensa ad inovar cosa alcuna, e segue costantemente insegnando i precetti del filosofo stagirita. Altri saggi: “Oratio habita in almo urbis gymnasio de utilitate moralis philosophiae, cum ethicorum Aristotelis explicationem aggederetur” (Roma); “De Christi ad coelos ascensu” (Roma); “Oratio in obitum Torquati Tassi philosophi clarissimi” (Roma); Tiraboschi, “Storia della letteratura italiana” (Società tipografica  de’ classici italiani, Milano); Carella, “L'insegnamento della filosofia alla "Sapienza" di Roma: le cattedre e i maestri” (Olschki, Firenze); Renazzi, “Storia dell'università degli studj di Roma” (Pagliarini, Roma – rist. anast. Forni, Bologna). P. scrive II important commenti su Aristotele del LIZIO, uno in cui enumera gl’affezioni dell’anima – dall’amore all’ira – amore, speranza, ira, audacia, temore, dolore, animosità. Nell’introduzione, elabora un concetto generale di che cosa e un’affezione dell’anima – il corpo non è menzionato. Ma P. elabora sulla questione dell’anima e il corpo per l’affezione – chè è affetato nell’affezione? Il secondo è un commentario sull’onore e la nobilità. Due trattati sono menzionato dai storici della filosofia. Nel III trattato, P. elabora la questione di TASSO (si veda) ‘filosofo chiarissimo’. Finalmnte, nella sua funzione di censore papale, riceve un saggio sulla politica d’Aristotele da un filosofo tedesco. P. critica la toleranza del filosofo alla posibilità del fraudo – ma il filosofo no considera l’oggezioni di seria considerazione. P. è associato al ginnasio di Roma. Il ginnasio è una istituzione laica – “for I cannot imagine naked monks, playng around!” – Grice. Keywords: implicatura. H. P. Grice, “Il Tasso di Pellegrini” --    DE AMORE-   C A P. P R 1 M V M. '   £X didis antiquorum oHenditur , quanta fit eius vts ,  atque praeflantia .   ^S8S8©Ii R I N C I P E M in hac difputa-  ^ tione fibi locum amor vendicat,  quod fons fit atfe&ionum, quae  bonum fpe&antjiuxta illud Par-   menidis 5   Cundorumq, Deum primum quaefiuit amorem *  nec non vi atque potelVate ijs antecellat • ideo re-  rum dominus , ferorum cordium mollitor, alijsq.  honorarijs principatus nominibus appellatur •  quippe fera non eft adeo immanis , quae confpc-  fto foetu non mitefcat.antiquifsimi mortales, ho-  mines agreftes atque truces, liberorum illecebris,  & amore deiiniri coeperunt , vt cecinit Lucretius;  £f Fenus imminuit vires , pueriq. parentum  Blandicijs facile ingenium fregere fuperbum .   Plato in fympofio amorem dixit magnum dacmo  na, praefidentem rebus humanis ; quod eius du-  &uomnia gignantur . Orpheus eundem aiferuit   C' a claues    3»qKi    3 6 DE   claues habere fuperorum & inferorum, quod artis  & naturae opus quodeumque extrudat in lucem;  vnde inuentoris artium , atque magiftri appella-  tionem obtinuit, ferunt Poetae, (olis amantibus a  Plutone reditum ad nos concedi ; cum in ceteros  exiftat implacabilis; 8r folollri&o iure, vt Sopho-  cles ait , vtatqr. quid ni? cum fub tutela fint eius ,  quem claues tenere, atque inferna fuo arbitratu  referare fabulantur? Hefiodus mortalium & im-  mortalium mentes amore domari cecinit. Home-  rus louemeiufdem mancipium fecit. Plutarchus  in Amatorio amorem coparat Di&atori , quo crea  to cedant omnes magiftratus. Indices criminum,  cpnfcij vehemccifsimae perturbationis delifta no  pauca vel impunita, vel leuifsitnecaftigatadimife  runt,quod amoris impulfuadmiffa conftaret; idq.  non femel hoc feculo fa&itatum teftanturij , qui  de criminibus vindicandis confcribunt. Sclethum  Crotoniatamdepraehefum in adulterio fraternaq  vxoris,cum fc amore vi&um peccaffe diceret, a ci-  uibus fuis exulare iuifum in lib. pro mercede con-  dudis refert Lucianus , capitis poen.aremifefed  jllum,fcu pudore violatae germanitatis , Ceu legun^  amore, quas nalletlabefa&atasjin ignem fponte i  infiluitfe,ac poenam fubiilfe, quam ipfe met fta-  tuerst in adulteros. Mundus» equeftris militiae  du&or fab Tyberio, paulinam Romanam deperi-  bat;eam &uprauic in templo Ifidis ; facerdotibus  pecunia corruptis, facinore comperto ,Tyberius,  in crucem eg i :,iemplu m $uertir, fijup.    V    i A O R E .   ftituam in Ty berim coniecir ; Mundum vero exi-  lio punire faris habuit ; quod, amoris vehementia  fu peratus, peccalfet;Charmo,vim amoris edo&u$j  illi aram in Academiae ingreffuexcit.iuit. Athc-  hienfes Aatiiam dicarunt in tempk) Palladis , a-u  amico bonarum artium; remq. ei diuinam inOi-  tuerunt, Erotidia, ntincuparam:Samij in ciu/dem  honorem Eleutheria facra habuerunt.   Anterota quoque finxit,coluitq. mendax grae-  corum antiquitas, ex Venere, & Marte natum;  vt eft apud Ciceronem . 3. de natura Deorum . in  Themiftij fermonibus Themis Dea hortatur Ve-  nerem , vt Anterota gignat , fi amorem adolefce-  re,non perpetuo pufioriem elfe velit. Hinc Ouid.  \Almafkue dixi geminorum mater amorum .£& Horae.   Mater faeua cupidinum . qtio loco haeret  Lambinusob Antcrotos vel obliuionem,vel inco-  gitantiam : InGymnafio Eleorum erant vtriufq.  icones ; Eros palmaccum ramum tenebat, quem *  Anteros nitebatur eripere, ‘amicitiae, vti reor,limii  lacrum.amici enim ita fe mutuo diligfit,vtin amo  re alter alteri praeire Audeat. Crefcit Eros Antero  tos ortu; quod reciproco amore amans animatur  & accenditur magis ad amandum .   EA autem haec de amore difputatio non parui-  facienda; quam Socrates auide cofe&atur; & cum  fe reliquorum omnium profiteatur ignarum, egte  gium tamen amatorem ia&at, & haberi Audet •  Neque vero quis illu hic arguat impuritatis . adeO  enim eafte amauit,vtnec lycophantae acerbifsimi   C 3 AnirtiSi    I    $$ D E   tus,& Melitus impudicas ei obiccennt amores 5  nec Ariftophanes, eidem inimicifsimus,tali accu-  fatione hominem pupugerit ; & cum pauperem ,  loquacem, fophiftam appellairet in fcaena; impu-  rum certe amatorem dicere nec potuit , nec au r us  fuit . Phaedrus amorem maximorum bonorum  cauffam appellauit; quod ab eo {ludium in hone-  flis, verecudia in turpibus immittatur. Spartiatae  cum hoftibus congreffuri , facrificabant amori,  quafi ad fortia egregiaq.impulforijquem morem,  vtplerosq. alios,aCrerenfibus eos accepi{Te,arbi-  tror. eodem enim inftituto Cretenfes ex parte  vfos, Soficrates eft audior . Inde fa&um cenfeo, ve  /aera , quae appellabatur Thebanorum cohors ,  conflata ex amatoribus , fregerit Spartanos . nec  inutile fuerit in acie illos, qui fe mutuo diligunt,  flatuere vicinos; parentes, liberos, fratres,confan-  guineos, amicos ; exercitus enim eiufmodi aple-  risq. cenferur infuperabilis . notum eft feftiuum  illud Pammenis didum a Plutarcho in Pelopida ,  relatum ; ignoralfe Homerum vd foret acies in-  (Iruenda, cum iubet,   Et tribui tribu* , & fua curia curiae rt ad fit ,   Cum amicus apud amicum potius locandus vi-  deatur. Scribit Xenophon Aflaticos in bello cir-  cum duxi (Te vxor es & natos, vt eos defendere coa-  di , fierent pugnaciores . Eorundem occurfure-  ilitutas acies non paucas, & vidoriam confequu-  ras, legimus, demum, cum Harmoniam Marte ac  Venere prognatam fabulae tradunt, eandem amo      AMORE*   risin re bellica vim defcribunt. Verum ad (oli*'  dam amoris commendationem nihil maius , vel  accommodatius afferri poteft, quam quod ma-  gnus Areopagita protulit ; amore fuperiora ad  inferiorum prouidentiam allici ; haec vero,qua(i  fomite igneo fuccenfa , refilire , atque ad fupei na  conuerti j fieriq* circulum a bono, per bonum, in  bonum perpetuo reuolutum . Proclus quoque  pulchrum amorisprotulit elogiumjefle illum cauf  fam conuerfionis rerum omnium in primam pul-  chritudinem ;quae de purifsimo fandifsimoq. in  Deum , ipfumq bonum amore dida ,ad morta-  les fluxasq. curas traduci accomodariq. non pof-  funt. Carolus Cardinalis vim amoris erga con-  languineos perpetuo habuit fufpe&am/ eosq. ali*  quid populaturos libentius audiebat per inter-  nuncios; veritus, ne fangninis impulfu ad res ini*  quas concedendas imprudens adigeretur *   C A P. II*   Explicantur Varia nomina huius affeftionis,   & quotuplex fit , declaratur.   E laboremus ambiguitate vocum, quae  varijs amoris nominibus fubie&a notio  fit , primo loco difpiciamus ; quid fcili-  cet inter amorem , dile&ionem , carita-  tem, pietatem , cultum, amicitiam, beneuoleti-  tiam interfit. Amor eftvt genus, & quid vniuer-  fum; locum enim habettumin homine, tum in  brutis * dile &io eft amor cum ele&ione, vt nomen   C 4 indicati      40 DE   indicat; nec repentur in ijs, quae non deliberant*#  caritas fertur in res pretiofasjdiftinguere veropre-  tiofa a vulgaribus vnius eft mentis, pietas eft in fu  periores , quod bruta vt plurimum non agno-  fcunt; hi funt Deus, patria, parentes, cultus eft  fignum pietatis.amicitia eft amor mutuus, hinc in  de perfpeftus , officijs confirmatus . beneuolcn-  tia eft effedus amoris . alias pro leui amore  vfurpatur; vtlib.p. ad Nicom.cap.^.ha&enusde  nomine.   Amor duplicis generis exiftit; alter naturam fe  quitur, alter agnitionem.ille rebus omnibus ineft,  etiam inanimis; hic animantium proprius, de illo  Hefiodusintdligendus,cum in Theogonia, primo  loco fadum Caos cecinit, poft terram, & Tartaru;  tertio amorem, ex terra Caoq. ortum.quis non vi  deat hic accipi amorem pro vi rei cuilibet a natu-  ra indica, vt feipsa,quo ad poteft,expoliat,& tuea-  tur ? quod & Orpheus voluit, cum amorem irtmor  talitatis defiderium appellauit. fuit enim veterum  poetarum haec de rerum ortu fententia ; eundas  ; fpecies , in obfcura , & confufa deformitate impli-  catas, ab initio iacuifte; tu defiderio lucis, & quie-  tis, impellente amore fui, difiundas,ad fedes na-  turae conuenientes migraffe ; vnde rerum vniuer-  fitasjin ordinem difpofita, conftiterit. Empedo-  clea rerum principia, litem & amicitiam, non alio,  quam ad ifthaec poetarum commenta fpedafle  dixerim . Amor vero , qui agnitionem fequitur,  & aftedio eft animi ; fi ad henefta fertur , recinet    AMORE* 41   appellationem ; fin ad impudicitiam , vel immd-  deratum appetitum delabitur, fignificantius li-  bido, vel cupido ab effedu nuncupatur. Poe*  tae diim amorem appellant , & defcribunt**,  eam potifsime cupidinem accipiunt , quae in  Venerem fertur ; & fub inuolucris fabularum  multa recondunt ad rei, de qua agitur,notitiam*  attinentia. Puerum igitur defcribunt, nudum,  alatum , caecum , curarum plenum , arcu , &  fagittis inftrudum ; fatum Venere atque Vul-  cano . puerum conftituunt , ob infipientiam 5 '  nudum , propter infelicem condicionem ; feu  quod occultari facile nequit; alatum, quod ci-  to aduenit, citius labitur; caecum, vel ob im-  pudentiam , (eft quippe pudor in oculis ,) vel  quod mortales plerumque amant fine deledu ,  fine iudicio , fine ratione ; & quafi oculis capti  fedantur deteriora , melioribus omifsis ; ple-  num curarum, quia eius arboris hi exiftuntfru-  dus; inftrudum arcu& fagittis ; feritenim cu-  ris aegritudine plenis ; Venere demum & Vulca-  cano fatum, humore fcilicet, & calore ; quod  ea temperatio cenfetur apprime libidinofa .  Hunc eundem Cupidinem ex node atque aethe- :  re natum voluit Acufilaus; hoc eft, ex tenebrofo  & lucido; amantes enim caeci finit, & vna vi-  derit acutifsime. Simonides ex Venere, ac Mar-  te procreat ; quod viri bellicofi a Venere ple-  rumque non abhorrent. Alcaeus ex lite & Zephi-  ro; diflenfione fcilicet, ac reditu in gratiam;   Olea    4 i -/ t> E   Olcn Lycius ex Ilythia, feu Iunone Lucina, quod  ea maxime amemus, quae a nobis prodeunt*  llythia enim partubus opitulari credebatur*  Sappho demum ex caelo & Venere»* quod amo-  rem viftellarum » & gratia oris conciliari multis  fuerit perfuafum . Pidores multos pingunt amo-  res, paruulos, colludentes, curfitantes , (quos  Poetae faciunt Nympharum filios) quoniam mul  ta funt , quibus inaefcamur , & capimur; vt nota-  uit philollratus in imaginibus . Diotima mulier  faga ,fybillis a Socrate comparata, a qua aman-  di artem fe haufifte profitetur , amorem ex copia  procreat, tanquam ex patre ; & indigentia , tan-  quam matre . vt eft inopiae ac indigentiae filius ,  apparet aridus, macilentus, fquallidus, nudus  pedes , humilis , fine domicilio , fine ftramentis *  ac tegmine vllo ; perno&ans fub dio ; femper  egens . idem qua copiae filius, virilis, ferox, calli-  dus,infidiator, pulcher, fagax , venator, prudens,  facundus , per omnem vitam philofophans, po-  tens fafcinator ,*vt non immerito bi&enrn ab Or-  pheo fit appellatus , vtrefert Paufanias apud Pla-  tonem;. Huius fabulae haec eft allegoria, vulgo  amari , quae nec omnino funt in poteftace noftra  (cito enim ea vilcfcunt, ) nec diffidimus aliquan-  ' do futura . ideo copiam & indigentiam amoris  vulgaris parentes ponit Diotima . quae vero inter  f e valde pugnantia eidem adferibit, affedus indi-  cant eorum , qui re amata potiuntur , contrarios  ijs , qui infunt non potientibus . Ha&enus de fa-  bulis i   . ... - .   _ i ( J ■ ni f- r* /   • t ' ----- -BtQittz.    AMORE. 4f   bulis ; in quibus illud magnopere damnandum»  quod cupidinem Deum faciunt , vt libidini patro-  cinenrur • damnat hoc ipfum Phaedrae nutrix  apud Senecam in Hyppol.   Deum efie amorem , turpiter ritio Jauens  Finxit libido ; quoque liberior foret ,   Titulum furori nummis fklfi addidit •   Cetera vero fabulis contenta non inutiles ad hanc  luem arcendam continent admonitiones •   Admittit quoque amor, qui agnitionem fequi-  tur , aliam partitionem . eft enim amor amicitiae  didus, atque beneuolentiae,qui rei amatae com-  modum intuetur; eft amor cupiditatis, qui pro-  prium commodum refpicit.fibi enim multi amat;  eoq. amorem traducunt , vnde vtilitatis aliquid fe  percepturos confidunt ; amor ifte amicitiam pa-  ritvtili innixam; fuperior vero eam producit»  quae ab honefto J>romanat . Poftremo Amo-  rem vnum facere, qui feratur in diuinam pulchri-  tudinem , alium , qui fiftat in humana , non eft  praefentis inft ituti. agimus enim de affedionibuf  inferioris animae partis; etfi non pauca fint vtriq.  amori communia;& pleraq. vnius per analogiam»  & metaphoram » ad alium transferantur.    CAP.    i    44    t> E    C A P. III*   : Quid fitt amor \   »   P LATO amorem dixit, defiieriwn pulchri *  Arifloteles amare*ac beneuelle pro eodem ac^  cipitlib.i.de arte dicendi . id Rhetori fatis, qui  hlfe&us vti commoueantur, nofie ftudet; limatio-  rem cognitionem ad philofophum remittit •   D. Auguftinus 8* de Trin* cap. i o. cenfet efie  fturam duo copulantem*, in quam fententiam Leo  Hebraeus ait, efie -voluntarium ajfcffum qumco-  pulatijjime fi nendi ijs , quae bona iudicamws . deferi-  ptiones hae funt , ab elfe&u petitae ; non quae  amoris explicent naturam , finitiones . nam defi-  derium , benetiolcntia , appetitus copulae cum  re amata fequutur amorem; vbi enim quem amoj  eidem bene efie cupio , eiusq. confuetudinem ap-  peto . D. Thomas definit efie complacentiam ap-  petibilis . allubefcendam appellat Ludouicus Vi-  ues , qua amatum amanti allubefcic . hanc fen-  tentiam ita demum recipio, fi ailubefcenria, &  *quae minus latine, fignificantius tamen, com-  placentia dicitur, pro motione illa fumatur, quam  appetens facultas elicit circa rem , quae illi allu-  befeit ;non pro illecebra appetibilis, qua excitat  mouetq. appetitum. atfe&iones namq. animi funt  abappetitu,vta mouente moto ; quod Ariftote-  les voluifie videtur tertio de anima t. 54. Grego*»  tiu$ Nvfaenus eleganter id ipfum exprefsit ho-   tnih 8 *    AMORE. 4f   mil. 8. in Ecclefiaften, cum ait, amorem eflfe ha-  bitudinem animi intimam in id , quod animo eft  jucundum . feliciter quoque D. Auguftinus 2. de  ciu.cap.28. amorem ponderi corporum compara-  uit, inquiens, Animum ferri amore quocumque  fertur, vc corpus pondere. Neque vero exiftiman-  dum illam complacentiam efle cauffam amoris,  nam inter cauflfas rerum , & ipfarum primos effe-  rus daturneceftario medium; idq. vnum,& folu,  nempe res ipfae ; fed inter appetitionem potiundi  re amata, (haec prima eft amoris proles,adeoq.  illi affixa , vt faepe pro amore vfurpetur) & com-  placebam nihil omnino intercedit; igitur compla  centia non eft amoris caufTa,fed ipfeamor; quan-  doquidem primus amoris cffedus , eam illicofe-  quitur, adeoq. inuice haeret, vt ne tenuifsimo qui-  dem cuneo praebeant aditum . praeterea fi haec  D. Thom. finitio excludatur, nihil remanet in quo  amoris naturam conftituamus,praeterqua in defi  derio, feu cupiditate fruedi. id fi admittatur, amor  &deliderium confunduntur.at funt feparatae af-  fedionesjre enim praefente ceflat dcfideriujamor  vero natura fua magis augefcit.na fi fatictas aman  tem capit, culpa eft humani ingenij,quod vel mu-  tatione deledatur , vel voluptates impuras perfe-  quitur; fincera aute voluptas non parit faftidium,  deniq.defideriueire amoris effedii Arift.docet li.o #  Et.c.^.vbi agens de beneuoletia,vt eft leuis amor  minimeq. adulta aftedio a.it,Beneucldtia no eflam a  fflttff 'SuLTxar babst ncq. o^iv^uaa^nati.Mg    4 6 DE   confequuntur.o?i*tc defiderium eft ; feu vehemens  & acuta appetitio,quam Juuenalis cum rabie con  iunxit, inquiens, rabidam fatturus orexim . cum  igitur of t£/f confequatur amorem , ab eo necefla-  rio diftinguetur ; Quod autem fubiicit Ariftot.  cum qui forma dele&atur non continuo amare»  fed tum demum, cum abfentem defiderat, & prae  fentem cupit , ita eft accipiendum ; vt amori defi-  derium comitetur neceifario , fitq. eius indicium,  leuis enim voluptas non arguit amorem, qui vero  cupit & defiderat , fc prodit amatorem . eft igitur  amor appetitus allubefcentia , feu complacen-  tia in eo , quod vti bonum pulchrumue fuerit  perceptum •   C A P. IV. '   De caujjis Umoris.   > 'l ’ - * ■   ONVM integra eft amoris cauifa,&  omnem eius exaequat ambitum, prae-  clare igitur D. Auguftinus 8. de Trinit.  ait, non amatur nift bonum, huc pulchrum  reducitur & formofumjtum etiam vtile quodcum-  que, atque iucundum . pulchrum vero idem eft ,  quod bonum conceptum vti iucundu m ; vt Areo-  ’ pagita docet 4. de Diu. nomin . Deus quippe im-  mortalis , vt eft au&or atque feruator rerum ,  Cunfta fouensy atque ipfe ferens fuper omnia [eft*  bonum dicitur; vt vero ad fe trahit, allicitq. om-  nia , pulchrum, inde qui pulchritudine minus ca-   piuntur.     AMORE. 47   piuntur , minus amant 5 vt barbari, ruftici,& qui  duriore funt ingenio, & moribus afperis,   Aliae funt amoris caudae, quae etfi boni ambi- '   tu continentur, feparatimnihilorciinus ponuntur,  quod aliquidbono addant ; & alia , atque alia ra-  tione ad amorem conciliandum concurrant.  Similitudo igitur morum , & ingcnij amorem pa-  rit firmum , atque conftantem. docuit hoc Areo-  pagita ; fuitq. Menandri didum,a comicis & Pla-  tone vfurpatum , Deus femper fimilem ducit ad fi-  tnilem, & quidem fimilitudine inter amantes con-  uenit , vtcuin amans diligit , fui ipfius fimilitudi-  nem , ac proinde fe ipfum , in re amata diligat*,  hinc animantia omnia ducuntur ad limiles fibi  formas ; non ad fpecies al ienas . Canis cani videtur  pulcherrima , & boui bos , ait Epicharmus . & For-  mica grata ejl formicae ; cicada cicadae ; accipiter pla-  cet accipitri , Theocritus inquit in Idillijs . hoc in-  ftindu parentum amor in liberos augetur; funt  enim nati vjuentia fpirantiaq. parentum firnula-  cra.nec alia Crafsi erga Sulpitium volutatis cau£*  fa exiftir, quam quod intellexiffct, ftudere Sulpi-  tium , vt ei dicendo fimilis euaderet,   Euander apud Virgiliu Pallanta filium Aeneae ca  rii reddere nititur, quod illius fir imitator futurus.   Hunc tibi praeterea, (pes& folatianojlri ,   T * allanta adiungam ; fltb te tolerare magiflro  Militiam graue Martis opus , tua cernere faft a,   Mffucfiat; primis & te miretur ab annis .   Illud non fuerim infitiatus; ob paria vitae infliru-    0    48 DE   ta creari aliquando inuidiam , fieriq. aliquos adeo  inimicos , quam fune artificij conditione pares j  nam & figulo figulus , & fabro faber inuidet ; cuiuf-  modi genus pugnacium artificum in conuiuijs  Plutarchus coniungi vetat.verum ex euentu id eft.  cum enim lucro faciendo impediant fe mutuo, in-  ter eos oritur contentio, eadem ceffatvbi cauetur,  ne alter alterius cauffa damnum -patiatur jeiusq.  loco amicitia fuboritur. M. Cicero profelfuseft,  cum Hortenfio de eloquentiae palma ita fe  contendiffe , vt vnius ad laudem curiiis non effet  ab alio impeditus ; ac proinde viuentem amaffe ,  dolereq. vita fundum . Saepe etiam qui ftudi js  diuerfis priuatimviuunt,fed in maioris momenti  rebus conueniunt , funtamicifsimi . Pelopidas >  & Epaminundas, etfi vita priuata efient difsimi-  les , quod hic ftudijs philofbphiae , ille venationi-  bus profufius incumberent , quod tamen afferen-  da patriae libertate , incredibilem animorum con  fenfionem retinuerint, certa illis amicitia confli-  tit ab initio ad finem .   Sunt etiam ingenia inter fedifsimilia,quaenihi  lomiuus coeunt facile ad vitae focietatejhoc enim  habent,vtfimul aptari, & componi pofsint, quem-  admodum vox acuta iun&a grani certa propor-  tione , harmoniam efficit s quod fpedare licuit in  Socrate, & Alcibiade.   \Confuetudo quoque, atque conuidus amorem  gignit,:ei!dit enim homines moribus iifdem affue  tus , ac vnius mentis» eaq. vis efi confuctudims,   vt    I»    AMORE. 4P   vt habitum nedum animi, fed corporis quoque  immutet ad rei amatae formam • notauit id Piu-  tarchus in Alexandri amicis , quos leniter inflexa  ceruice, facie furfum verfus con uerfa folicos ince-  dere , fcribit, quali Alexandro attentaturos ; cum  nihilominus vi afluetudinis habitum illum impru  dentes contraxittent . Summopere igitur aduer-  tendum, quo cum vitae focietatem ineas ; praeci-  pue vero monendi adolefcentes meretricum coe-  nis, nodibus,omniq.conuidu abftineant, qui-  bus illae magnopere ftudent ; cum norint confue-  tudine amoris vincula fieri tenaciora .   Parem amoris conciliandi vim focietas in hono  ribus, & rebus, tum fecundis, tum aduerfis ha-  bet , & quandoque maiorem . vt enim maximum  amoris vinculum ducitur, plurima & maxima be-  neficia accepitte, fic fimul accepiife, proximum  iudicari debet . Qui fimul fecere naufragium, vel  vna pertulere vincula, vel canfilij alicuius,coniu-  rationisue focietate iunguntur, facile amant inui-  cem • tfnde adagium , Conciliant homines mala .  Brutum , & Cafsium inuicem infenfos Caefaria-  rius dominatus conciliauitjac fumma fide coniun  xit. M. Aemilius Lepidus, & Iulius Flaccus, cum  ettent inimicifsimi, Cenfcres renunciati , fimul-  tates illico depofuere . Tacitus, Latiaris arque  Sabini fermones, quibus vetita mifcuerant,ardae  amicitiae fpeciem fecifle , annotauic ; fpeciem  dixit; nam vr plurimum participes fcelerum non  tam amore copulantur, quam metu , atque noxa   D con-    5° E E   eonfcientiae. Sunt etiam qui exiftiment, vi qua-  dam occulta ne&i animos; vel difiungi . quidam  enim primo afpe&u amantur ab omnibus; ali j  contra contemnuntur . inter aliquos ftatim con-  uenit; alios nulla beneficiorum,officiorumq. con-  fuetudo conciliat ; nec vnde voluntatum ifthaec  difcrepancia nafcatur, liquet, nulla enim hic mo-  rum fimilitudo, nullavitae communitas . Aftro-  nomi » vt nodum hunc foluant , ad Venerem , ce-  teraq. aflra, quae benigna vocanr, confugiunt;  quibus homines ad amandum inuitari volunt,  haec, vti longe a nobis pofita , neque certam ha-  bent fidem, neque manifeftum errorem. Platqni-  cafchola Daemonibus ad'cribit,qui vitae homi-  num praefunt.facit enim daemonum, hos quidem  confimilisingenij, hos diuerfi.qui difsident in-  terfefe,d fienfionesad clientelas deducunt ; qui  vna fentiunt, amorem iis immittunt, quorum ge- •  runt procurationem, demum nonnulli gratia pol-‘  lent, & au&oritate; ali j odio habentur a collegis ;  qui vtrifque fubfunt homines , eandem quoque  gratiam inuidiamq. apud nos nancifcurur.ifthaetf f  Platonicorum commenta non aliter confutarim 9  quam quod tollunt funemum,ex euentu,peritUla immerite*  alicui creata conciliant amorem iriperpetieritem*   D $ Tacitii»    Tacitus de Nerone Germanici filio . aderat \uutnH  modcfiia , & forma principe piro digna j notis in eum  Seiani odiis , Stv, quod omnes ad fe vocet;  abiitq.in prouerbium , quo Plato vtiturin iyfide ;  quod pulchrum femper amicum ; cenfeturq. a Mufis  & gratiis primo vfurpatum , vbi ad nuptias Cad-  mi & Harmoniae,puIchrirudinenouaf nupta? ore,  fi Deo placet , immortali cecinerunt ; vr in I heo-  gnidis epigrammate , cuius haec exiftit fententia;  Mttfae , & Gratiae , filiae Iouis , quae olim Cadmi  jtl nuptias cum veoijlis, pulchrum xeciniflrs carme,  ‘ ' Quic-    AMORE. 11   Quicquid pulchrum amicum e[l , non pulchrum au-  tem non eft amicum .   Mimus dixit, formofam faciem effc mutam com-  mendationem } Ariftoteles vero ; habere illam longe  maiorem vim ad commendandum , quam accurate feri -  ptam epijiolam . Carneades appellauit  C E   hoc eft , dulce amarum . eft enim mors voluntaria V  vc mors ♦ amarorem, vt fponte fufcepta , volupta-  tem aflrert . amorem vero effe liiorcem , inde ap-  paret maxime , quod amans de fenon cogirat,  fed de alio ; in fe igitur non operatur, fed in alioj  - qui in fe non operatur, in fe non eft ; qui in fe non  eft ,in fe non viuit; amans igitur in fe mortuus  eft .quare Plato in quendam, qui perdice ama-  bat , dixit ; h'ic in proprio corpore mortuus eft ; viuit  in alieno» & Plautus in Ciftellar. Trullam mentem  animi habeo ; vbi fum , ibi non fum . vbi non fumi ibi  $1 1 animws « Cato fenior aiebat , animum effe potius  vbi amat , quam vbi animat . Quod fi amans vicit  Jim ametur , reuiuifcit in re amata j alias mortuus  cenfetur.has autem vicifsitudines atque mutatio-  nes quoad aflfe&um accipere oportet; non quo  ad ipfam eflentiam animorum . appetunt qui-  dem amates fieri re ipfa vnum , iuxra di&um Ari-  stophanis ab Ariftotele 2 . polit, cap. 2 relatum ;  fed quia illorum inde corruptio fequeretnr , quae**  runt coniunctioriem , quae faluis corporibus ob-*  tiqeri pofsit. haec autem afFe&u confuetudineq*  habetur, animis interim quo ad cupiditates per-  miftis , & in tertiam quandam temperaturam re-  da  mere contendit, quo conatu Lyfias Phaedro fimi-  lis euafit; & Macedonum proceres colli flexura,  orisq.ere&ione Alexandro fimiles redditos ex Plu  tarcho fupra retulimus .   Pulchre vero 2.Rher. monet Ariftoreles, vereri  nos turpia committere apud illos,quos amamus; 1  vt inter amoris opera pofsitreuei entia numerari;  quod maxime declarat eius aifeitionis excellen--  tiam. Crafsi illa funt;Equidem cuiri peterem ma-  gi ftratus,folebam in praehenfandodimitttre a me  Scaeuolam, cum ei ita dicerem , me velle efle ine-  ptum .Nemo quippe curat probari ijs , ejuos ne-  gligit; Et quidem apud eos, qui ius haoent pu-  niendi , veremur turpia facere ob metum legum ;  apud alios ob metum infamiae ; fedapud eos,  quos diligimus," obreuerendam & amorem .   Sed & fui, aliorumq. omnium, praeterquam'  rei amatae contemptum amor parit in amante*'  lacob , rarum amoris exemplum, quattuordecim  annos aeftu geluq. vexatur, in morem ferae, vt  pulchra Rachde potiatur; ac tria fereluftrama*  gnis tradu&a laboribus, paucas exiftimatincom  modi tolerati horas t certe diuinus Mofes paucos  ei dies prae amoris magnitudine vifos teftatur.  et ficaftifsimo amatori falaconem in exemplum*  admngerdicet,ruiCM, Autonius incertum atque   preui-    V    61 DE   pr jaifum exitium , vt Cleopatra; morem gerat, fic  fuidefertor, vt placeat concubina; falutem pro-  fundit, ne amati vultus turbet ferenitatem. Fuga-  tur demum Veteranus Imperator ab adolefcente,  atque tyrone, quod prius fuiffet dementatus ab  aegyptia Syrene . his ftipendijs faeue cupido mu-  neras eos, qui nominibus datis, tua figna fequutur.   G:gnit quoque amor magnam voluptatem,vbi  re amata potimur, cum enim affequi finem fit om-  nium iucundifsimum, quilibet eo habito, quod  amat, contentus viuit , vt Plato ait inPhaedro .  faepe autem tanta voluptas adeptionem rei ama-  tae confequitur » vt multi in complexu rerum ca-  rifsimarum exfpirarint • Ex oppofito amor vehe -  metior, fi quid afiequutionem propofiti moretur,  vel impediat , triftitiam , & moerorem affert , vo-  luptati, de qua diximus, aequalem, llafis medi-  cus am >re:n morbo melancholico proximum fa-  cit, euolant quippe fpiritus fubtiliores , & purior  fanguis per teouifsimos poros , excitati appetitio  nis impetu , erga rem amitam tendentis; fanguis  vero crafsior, quod exitus non pateat , remanet  conclufus; vnde in at-um humorem, atque bilem  facile concrefcit , cum fit meliore fanguinedeftitu  tus. inde vaporibus opplecur caput; animus tri-  ftitia premitur, ac faepe ad infaniamdeducitur*  Lucretius amator primum effe&us eftjtum de-  mens ; ad extremum fui ipfius parricida . Haec  funt vehementioris amoris , & frequentius impa -  dici ; qui amittendi quoque timorem affert, atque   trepi'    AMORE. 6 $   trepidationem 5 tum etiam furorem in eum, qui  auferre conatur; fufpicioneS vehementes , zelum  amarum , aliaq. animo lancinando , & excarnifi-  cando inftrumentacommodifsima.   In eodem ordine raptum mentis collocamus:  graecebts*^; quem amori quoque diuino Areo-  pagita tribuitjquafiDeusob amorem e&afim paf  fus fuerit, emergit quippe foras knimo,qui amat ;  tum quod ad rem amatam commeare appetit; tu  quodafsiduode illacogitat,fuioblitus;accurritq.  aliquando fanguis tenuior ad cerebrum , vt iuuec  contemplationem ; aliquando praefente re amata  adeamconuolatjfedfiftitin externis corporis par  tibus , uehiculo deftitutus . vtrumque ftupor fe- :  quitur, opprefio cerebro vi nimij caloris ,vel par-  tibus vitalibus ab eodem derelidis .   Inde fequitur amantis valetudo & imbecillitas,  debilitatur enim alendi vis recedente calore; cor  etiam , atque cerebrum vicifsim conftringuntur!  ob copiam fanguiu is, vt opem ferat parti laborati,  ab vno ad aliud comeantis . id enim ei natura in-  didit, ut inferuiat vitae principijs. Et quidem cor,,  vbi feptum efi vi fanguinis ,& quafi vallo circun-.  datum, quaerit aggerem per fufpiriaperrumpere ;  quaevel non emergunt, vel omnino emittuntur^  difficillime, ac plerumque. non integra, verum,  dimidiata , nec fine magno conatu, ab eadem con  ftridione ccrdis prodeunt cantiones interruptae ,  a E"   &ftatim dimittit ; modo aliud quaerit, & propo-  fitum illico mutat ,*paenitetq. caepti inftituti ; vt  prorfus ij faciunt , qui longo & acuto morbo de-  cumbunt . Huc maciem palloremq. amantum re-  fero ; corrupto enim calore , colorem quoque ob-  fcurari necefle eft . fOuid. de Amante •   Fugerat ore color , maciefj. obdukerat artus.  Opprefsionem vero cerebri lachrymae fequun-  tur . Sanguis enim fabrilior, cogente cerebri fri-  giditate, vertitur in lachrymas; quae , vti graues,  defcedunt per oculos ; natura quoque remmole-  ftam, nulliufq.vfus , foras propellente.   His adde oculorum tumorem, & inflationerii  labiorum . Suetonius de Tyberio . Sed & Agrip-  pinam ab egi ftc pofi diuortium doluit ; & femel omni-  no ex occurfu vi[am,adeo contentis & tumentibus ocu -  Us profecjmtus e$t , vt cuftoditum fit , ne vnquam in  ciusconfpeftum veniret . eius fa&i caufla dft , quod  ad praefentiam , vel memoriam amatae rei fpiri-  tus petunt partes extimas, quali amatum ample-*  xaturi ; maxime vero feruntur ad oculos, qui fant  afnimi internuncij, & conciliatores amoris, inde  fequitur tumor, & plerumque etiam ardor.   Nec eft praetereundum, ad praefentiam, vel re-  cordationem rei amatae commoueri pulfumvena  rum, fiue arteriarum, fieriq. concitatiorem, &  inconftantem ; idq. vel quia cor trepidat & pauet;  vel quia nititur quodammodo de loco fuo conuel-  li, & in amari pedus transferri; quo argumen-  to dcpraehen dic Galenus amici vxorem amore    r    AMORE. 6f   Pyladae cuiufdam laborare .   Denique,vt etiam quae leuiora fu nt, attingam,  amor mutat mores . ex taciturno garrulum facit ,  ex garrulo taciturnum ;ex focorde induftrium;  ex afpero mitem & fiiauem. quae omnia ftngilla-  tim profequi,eifet immenfi laboris. Antiquitas  morum comitatem amori adfcripfit, quemadmo-  dum Dionyfio mifterium , vaticinium Apollini,  Mufis poefim. Docet quoque muficen; quod Pla-  to a fpirituum vehementia deducit ; qui dum ma-  gna vi erumpere conantur, impellunt ad cantio-  nem.Quid quod poetas facere non vno depraehe-  fiim eft experimento?Plato idipfum afsignat exci  tationi, agitationi, eleuationifpirituum.ij enim co  moti, agi tatiq. apt funt aliquid parere citra com-  mune vfum;cuiufmodi eft oratio metro conftans,  minime vaga , vel foluta. Bion poeta in Bucolicis  fub perfona paftoris amorem facit fuorum carmi-  num au&orem veriibus a Stobaeo relatis,quos ad  verbum conuerfos ita legimus .   Mufae amorem non metuunt crudelem ,   Quin amant ex animo & veftigia fequuntur eius.   Quod fi quis ingenio praeditus inamabili ipfiti  comitetur ,   Illum refugiunt , & docere nolunt •   jit fi amore captum gerens animum fuauiter  cecinerit ,   o idipfum fimul omnes feflinae confluunt;   Quod autem hic fermo plxne verus fit , ego te-  flis ftim ,   )~ -v-i    E (am    06 DE   7^am fi hominum quempiam , aut immortalium &  , ' mine celebro   C efflat mea lingua ; nec yt ante folebat , canit .   •At cum in Amorem > rei in Lycidam aliquid molior.  Tunc mibi laetum ore carmen profluit.   • fli&um vecordis poetae fceleratum , quodq. fati$  indicet perditos hominis mores, ac nihil miraq-  dum iq o impudico amore ad verius fundendos  eum incitari folicum, qui meliorem non agnofce-  bat .agnouit autem Propheta Regius , iljoq. im-  pe tu, quae Deus didabat, fuaiiifsimis yerfibus ef-  fudit. Hanc de amoris effedibus tradationem  eleganti Caroli Cardinalis dido cocludam : Amo  re perfici fundiones humanas, quae enim abamg  fe prodeunt,, quam accuratifsime geruntur .   i C A P, V I h ; f   fjf. r . ;; . . . jSv * * fi 'V   De renfedijs amoris»   E M E D I A non nifi morbis quaerun-  tur, quare de impuro nobis amorehic  fermo exiltit,   prrrium igitur amorem negofia > curae,hono-  tu m cu p diras , labores , calamitates deterunt , &  corrodi unt;   Otia flt Ilus , periere cupidinis ignes .   Sed &egeitas eijvaide aduerfatur. na flue Cerere dr  Daccb-j fliget Vtnus^t ait Chremes Terentianus,  ia gr aecorum collectaneis verius legitur , qui lati—  3 ne     • AMORE. 47   «e cxprcfTus > fic habet .   Mortua res venus fine Cerere , & Baccho .  Ariftophanes apud Athenaeum lib.io. vinum lac  Veneris appellat , quod alat libidinem •   Vinum bibenti fuaue lac Cypriae Deae , .   'Apuleius in Metamorphofi ex Cerere , & Baccho  Veneris /ytarchiam confici fcribir. Sed & Menan-  dri hi exfiant Senarij .   Amorem [edat fames , aut aeris penuria ;   7\ {emo mortalium viftum mendicans amauit ;   Sed in opulentis puber hic innafcitur .   Huc fpe&at antiquum epigramma graecum an  &oris incerti , in latinum (ic verfum .   Fames amorem fidat; id fi fit minus ,   . . Tempus medetur ; fin nec i fla exttingucre  Flammam queant^ tum reflat , vt funem pares .  quod epigramma ex dido Cretetis Thebani Cy-  nici philofophi confedum ett . tria enim ab eo af-  ferebantur amoris remedia , htftfe Cfiy?s ,   id eft , fames , tempus , laqueus . digna cynica im-  manitate fententia. porro paupertatem prodefle  amori pellendo > in confefToefi;tum etiam tem-  pus, & longam diem ; nam vt ait Ouid.   lente fiunt tempore curae • 7   & Martialis ‘   Quid non longa dies , quid non confutuitis armi ?  fedti haec duo minime pro finr, a^liafunc remedia,  praeter laqueum ; a quo abftinendum natura do-  cet, & humanae diuinaeq. leges praecipifit. quan-  tum euim illud ad amorem eiiciendum valet, fi   E a quid    6Z t> E   quid vitij inre amata eft , faepc animo voluere, vfc  illa tandem apud nos vilefcat? inomnivero.hu-  mana pulchritudine aliquam deformitatem cor-  poris, vel faltim animi nancifci , facillimum vide-  turjmores fcilicet improbos, impotentiam animi»  auaritiam , faeuitiam , inconftantiam , & quando  haec defunt, foeces fub uenuftifsima forma laten-  tes , fordesq. innumeras eo conceptaculo conci u-  fas. indignatio eti^mjquod a vili foemina, vel abie  6to mancipio quis contemnatur ; vel in feipfum,  quod adeo foedum toleret feruitium,cocepta ira-  cundia tenacifsimos frangunt amores; quibus li-  beratum Heroem illum ab amore Indicae Regin^  Ludouicus Arioftus perbelle finxit; cum equitem  induxit armatum, quem indignationem poftea  nuncupauit, taedis ardentibus foedam & imma-  nem belluam, quae JReginaldum fub vnguibus,  praemebat, & moleftifsimeinfeftabat, fugantem»   & adtartarum detrudentem, quippe fera illa libi-  dinem, & amorem impuru referebat. Medici cmif-  fionem fanguinis atque defoecationem ad idem  ‘ Cenfent non inutilem; quod ea minuatur calor, &  ardor coeundi . Platonici idiptom probant ; quod  fanguis morbida qualitate affe&us eiicitur,ac fin-  cei^is de nouo gignitur . quare medici amantibus  ebrietati cenfent aliquotenus indulgcndum ; tum  vt fpiritus recentes procreentur ab illa tabe inta- I  veteribus per fudorem vino excitatum , exha-  latis ; tum, vtindudaobliuione,paulatim curae  ; iuollefcant , & amatae rei memoria deleatur.*   * Reme-    A M O R E    *9    Remedium vero illud, clauum clauo pellendum , nec  recipio , nec ferendum cenfeo ,fi clauus de nouo  adhibitus fit eiufdem cuni vetere materiei, nam  expellens, nifu tenaciore occupat expulfi locum .  . quare amantem, fi eo vtatur confilio, in peius dela  bi, non eft ambigendum, fin alterius naturae cla-  uus affumitur, & cado, vel omnino philofophico,  & quod magis ampledendum, diuino amore con  tra Venereum agitur , medicinam falutarem , ne-  mini refpuendam iudico.   Strabo lib. i o. fcripfit prope Lebcada promon-  torium cfie templum Apollinis , vbi faltus fit ad  fedandos amoris aedus; ex quo Deucalion ob Pyr  rham, Cephalus ob Pterelam, Sappho item & Ca  licaefoeminaefefe praecipites dedere, viri feruati  funt incolumes ,ab amore immunes . foeminae  interierunt; mifelfae; quod fcilicet faltus ille Leu-  chadius virilis edet, nec foeminis conueniret.  Fabulofa haec funt. Sed fi quid veri adumbrant»  illud ed ; vehementifsimo timore amorem interii  re ; quod & nos fatemur . pericula enim ad me-  liorem faepe mentem homines reddunt;   (io dat intelleftum 9    .   • l „ v .   .r   &   ifp i yJh t ii; ;   •OH ifttO   rjorr- r    hi   ibo:.» nlsr;    ritBT&J'   *> 1 '« : fyy \ £§5*? : > • r < b ftV; % i       IOC    /     ©E' '    • 1     c a p. Vrn.    0 f <»!    Vropommtur & diluuntur dubii non pauca id  * Amorem pertinentia #    P tl I M V M dubiam . An verum fit, quod So-  crates ex Diotima retulit, amorem nafci  indigentia. Plato in Lyfide affirmauit. Cicero  autem cenfet iftumefle miiiim. generofum amo-  ris & amicitiae ortum j alias lucri caufla amare-  mus, & beneficia foeneraremur ; quod fordiduol  videtur i Sed Platonis dt&um de amore, qui cu-  piditatis dicitur, intelligencfeM, Ciceronis autenii  de amore amicitiae, quae nititur honefto « fic in-  ter mentes Teparatas amor intercedit, cum nihilo-  minus non egeant -   ^ecundam.Qaibus maxime reperamentis inna  fcitur amor? Iis, quaecalore, & humare abudant.  humidumenim facile concipit externas impref*  iiones ; calidum vero fouet amorem . quod fi cali-  do fit admi xtum aliqu id ^ficcitatis,cupiditares exi  ftunt acutae, & vehemente$,qu 2 fs celerrimelrelfec  expleri , nec retinent v^lde diu ; quod fanguine  fint tenui, atque raro* & in cpntinua motione po-  lito . eiufmodi funt adoleicentes, quorum amores  leuis flammae vapori Seneca in Hyppoliro com-  parauit. Frigidioris vero naturae, ac triftioris in-  gemj homines tard^amorem admittunt, fed perfe  u crint magis, 6b crafsitiem, atque pigritiam fan-   guinis »    AKfORE. fi   gutm’s,& admixtionem atrae bilis,quae diffidi iut  recipit, led firmius reti net,quicquid imprimitur, ‘Vt  argilla non adeo tenuisset liquida, inde lenes ex-  cipiendo amori duriores videntur jquem nihilo mi  hus femel imbibitum retinent lumina firmitudi-  ne. illos dixeris ; quali ftipUlam * quae flammant  bcyfsimeconcipit, & dimittir;hos , quili ligna fo-  lidiora,quae non adeo funt ad exardescendum fa-  cilia ; fed admotam , ac tandem tecepraui flam-  mam diutius alunt;   Tertiui Qua potilsimum via cocipiatur amor;  Refpondeo , venenum illud oculis maxime hauri-  ri. vt Ariftot; docetlib.p.Eth.cap.^.tdlaturq.illc  apudPoetaifi.   Vt vidi d vt perij Ivt me maltis abftulit error d  fcd& aures aliquando funt operis tanti admini-  Urie; qua ratione Medaea lafonem ardere coepit*  lenotiniuiri per quietem abfoluente phantafia. cd  tadufi idipfurh praeftat ; vbi phanrafla pulchram  tei conta&ae formam effingit; fed in hac concert^  tione palmam oculi libi vindicant, vt quibus eunt  re ipfa commercium intercedit; qiiod aures no hal  ber,Vt Phylo noratlit lib.de ludice.iilaeenim occit  fantur circa fonos; obtutiis in rem ipfani fertur*  aclimatifsimum aeque fuperbifsimunide illa fert  iudicium;conta6his verb cralsior eft,& aptior ad  fruitionem , quam ad iudiciumde re pulchra fa-  fciendani . allerunt Platonici amorem pulchritiidi  lie potifsimum commbueri ; quae oculis maxitrid  feleipitur; contactui vero nullatenus fubiieitur j   £ 4 Itita    b E r   ideo amorem oculis potius excitari, quam ta&u*  amorem praeterea fpiritibus adminiftris gigni vo  lunt, hosq.per oculos emitti , & immitti . ex quo  fic,vr qui oculorum venuftate pollent,faci!ein alie  nis pedoribus beneuolentiam (ibi conficiant •  Hanc ego fpirituum per oculos eiaculationem ne-  gare non poffum , quod multis experimentis com  probetur.Scribit S.Bafilius lib.de Virginitate, nos  firmius aegrotos intuendo ccrrupijneque.n.irrpu  ne peltifera fpiramenta ocuiishauriutur.Teftatut  Lapndius de Afexadro Seuero,ad eius obtutu f^pe  opus fuifle oculos dimittere; id no eflet; nifi agens  vis aliqua ab oculo in ocuju e£funderetur;qux illu  afficeret, & fubigeret. laeditur.n. fenfus a fenfili ve  henrienti,vt Arilbdocuit. Auguftus,referete Sueto-  n 10,0 cui os habuit daros,ac nitidos, quib. etia exi  flimari volebat ineflfe quidda diuini vigoris;gaude  batque,fi quis fibi acrius cotuenti, quafi ad fulgo  re fblis, vultu fubmitteretjqua porro leuitare Sile-  nus apud Iulianum trasfugam facetifsime derifit.   Quartum. Afpedu ne rei amatae magis,an ofcu  lo, complexuq. amantis expletur appetitus ? Re-  fpondeo; amantem quaerere coniun&ionem cum  te amata; id vero complexu magis obtinetur, qui  intuitu, quare mater film ad fe peregre reuerfum  hon fatis habet oculis ad fatietatem intueri ; nifi  etia amplexetur, ofculodato, & repetito, quiefcit.  maxima nihilominus voluptatem oculis pefcipi,  non eft negandum; elTcq. magis perennem, quod,  cum purior exiftat, minus amantem fatiget..    A M O R t. 7$   Quintum . An amor iit erga bruta & inanima.'  Refpondet Ariftot.8.1ib*Eth.c. ideft ama   tione, in res quoque inanimas conferri, quod lata  acceptione Ariftot. loquutum crediderim. na ina-  nima etia fi timemus, non odimus, vt fulme. ergo  nec amamus, cii contraria circa idecontingat.qua  re Arift.8. Eth.cap. 2 . magis proprie loquensait;  ridiculu effe illu,qui dicat, fe vino bona euenireve!  le; fed vt qua liberalifsime agamus, dabimus ei, vt  velit vinu faluu,& incorruptum manere, vt ipfe ha  beat.cu igitur amoris effedus fit bene velle,fequi-  turcrga inanima no efle proprie amore ;& multo  minus amicitia. Ariftippus cu perdite amaret Lai  de, nec ab ipfa amaretur,ab amico reprxhefus eft,  qd eo amore traduxifiet,vnde par no acciperet.fed  cxcufabatfe Ariftip. quod etia vino & cibo vtere-  tur, pluri muq. caperet inde voluptatisjetfi no igno  raret,fe no amari ab illis.acute & appofite. neq.n.  cude vero amore fermo eflet,fe cibu amare dixit»  fedab eo multu capere iucuditatis. Quo ad anima  ta rationis expertia, certu eft cu ijs non efie amici  tia;qa comunia cu hominibus officia no obeur,nec  ferutur ad eunde fine, nec habet ele&ione,nec ho-  neftua turpi diftinguunt. Sed an hominis amor ad  illa excedatur, in dubio res eft.diligimus enim ca«  nes,& vicifsim amamur ab illis. & cum fintcapa-  eia doloris, & voluptatis, illis bene, vel male cupi-  xnus.nonulli etiam ardenti fsimo amore foeda ani  malia funtprofequuti. Glauca Cythariftria an-  ferem, fcu anatem amauic» Xenophontis filius in   Cilicia    n .* tr r \   Oilicia canem,- & quidem obftinatifsfme ; f^der  Spartiata monedulam habuere in delitijs; quid  quod adolefcens bonae fortUnae ftatuam iri Fri*  tanaeo ere&am deperi jtj eaq. pretio non obteri ti*  fibi manus intulit? quippe lapidem ilum qiiaii  anima praeditum ob mentis perturbationem exi*  ftitnauit *,qUOd ex Xerxi vifutn tu ille crediderim;  Curii infarto Flatani amote captus* ad eam extrei*  tum illum immenfuin cohfiftere * atque choreas  ducere voluit; nec ante abfcefsit , quam armillis  torquibusq. aureis amatum ornatTet ; curatore  quoque dato * qui cuftbdiret ; ac tueretur ab mili-  tia. Sed amorem proprie atque per fe&e ad ea tari  tu elfe dixerim, qux ratione polletit.eft enim amor  Appetitus coniun&iohis, atque conuictus; quis ve  to cani,vel anati, vel cuilibet manfuetifsimae bel-  luae iungi velit,vel vfiaconuiuere?qu6d fi qui de*  formes adeo praetulere cupidi taces, eos irrationali  amote du&os di xerim, & feritati, i m mani tariq. ob'  noxio ; cuius peruerfae appetitionis caullae tre*  ab Ari ftotele referuntur lib^'. £thicitap.$. Sed, (i  tationem fequimur , & naturae propenfionenT*  inanima* cara habemus j bruta adhuc noftri cauC-  fa diligimus; vt equos nobiles, vt catulos feftiuos;  fed noti qrtaecumque cara nobis funt ; continui  amamus; etfi quae amamus, necelfario etiam ca^  ra habemus ; & omnino catum elfe latius patet *  quam amari * ••mieb'»- •.*!** p   Sex tu . An artiare praefiantius fit, quaniamd-  ti « haec dubitatio accipienda eft formaliter ; fci-    * A M OH E. 'T   licet, an amans vc amans nobilitate antecellat  amato, vt amatur * de quo Platonici non dubi-  tant, cum, vt Phaedrus ait apud Platonem, amans  diuino furore rapiatur, videaturq.particeps fadut  diuini luminis* Equidem caeteris par.bus flatum  amantis celfiorem exiftimo. amate enim efta&u*  Caritatis, quae praedanti fsima elt omnium virtu*  tum $ tum etiam quod amare cum fundtione vir-  tutis exiftit ; amari autem eft prorfus Ociofum » il-  lud vicem habet agentis , hoc patientis *  '•'Septimum* Cur amans amati vereatur afpe&u}  vt faepe viri forti fsimi ad praefentiam vilifsimae  faeminae trepidarint,&ad infimas preces obce-  ilationesq. defcenderint . Refpondent Platonici ,  non eife quid humanum quod eos percellit, fed fui  goremdiuinitacis emicantem in humana fpecie;  quo pofito, confternationis eius cauflam fe tradi-  diflfe putanti& principium indicalfe, quo permul-  tae difficultates de a^pore diluantur, nam ad ama  ti praefentiam faepe honot , plerumque diuitiae  Contemnunturjquod fottUnae bona non fint cum  fummd bono, cuius radij pulchritudine correptus  efl amans, conferenda. Et amans cupit vnum cum  amato fieri, deferet e condicionem propriam, & fe  in amati perfonam transfefrejquia ex homine cu-  pit fieri Deus, quis enim efl,qui humanam condi-  cionem cum diuina non libentifsime commutet ?  Et amote capti vicifsim fufpiriapromunt, & gau-  dent. dolent quippe quod fe ipfos deferant^ aetan  turquod ad meliorem Ratum transferantur.   . Calene    DE ‘A M *0/R E.   Calent etiam atque frigent ; deferuntur enim ca-  lore proprio; tum fuperni radij fulgore accendun-  tur. demum timent & audent , quod calor auda-  ciam pariat, frigus metum. Ego vero Peripateti-  ca firmitate deledatus , pleraq. ex his vti fpeciofa  quidem didu, atreipfa non admodum folida reii-  cio . alia etiam, vti ad velandam turpitudinem Ve-  neris induda, damnare cogor; Amantem id cupe-  re , vt per Metamorphofim fabulofam in alienam  mucetur naturam,plane fum antea inficiatus. effc  dus vero illos amoris varios,& multiplices ab  & ebullitione fanguinis, per vim phantafiae, dedu  co; vt diximus in i j$,quae de amoris eflFedibus at  tulimus ; plura quoque in difpucatione de timore  paulo poft fubiiciemus. v     2 S 8 & 268 &      pWC2ihii P*‘t Hi Lellio Pellgrini. Pellegrini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Pellegrini e Grice sulla etica nicomachea,” The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pempelo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Thurii). Filosofo italiano. His name is attached to some surviving fragments of Pythagorean writings on parenthood, or fatherhood – ‘patria’. Pempelo.

 

Grice e Pennisi: all’isola – la ragione conversazionale del blityri, o dello spirito nazionale – filosofia dell’isola – filosofia della sicilia – filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Catania). Filosofo italiano. Grice: “I like Pennisi’s irreverent tone – typically Italian! – to evolution – and especially evolution of language. By obsessing with linguistic tokens, we have lost our capacity to mean otherwise than non-naturally!” Grice: “His metaphor of ‘the price of lingo’ is very apt – we win, we lose!” – Grice: “Pennisi is a Griceian at heart in that in his study of both schizo ad paranoic (both psychotic) systems of communication, he focus on what he and I call the ‘adequazione pragmatica,’ i.e. the ability or competence, to irritate Chomsky, to implicate!” Dirigge il Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagoche e degli Studi Culturali a Messina, presso cui è titolare della cattedra di filosofia del linguaggio. I suoi interessi riguardano prevalentemente la psicopatologia del linguaggio e, più in generale, la relazione tra linguaggio, evoluzione e cognizione umana. Consegue la laurea in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia a Catania  con una tesi dal titolo “I presupposti ideologici della teoria della storia linguistica di B. TERRACINI,” sotto la guida di  PIPARO. Vince il concorso libero per ricercatore e  svolge la carica presso l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Messina. Diventa professore associato di filosofia del linguaggio nella Facoltà di Magistero di Messina. Vince la procedura di valutazione per l'ordinariato--  è direttore del Dipartimento di Scienze cognitive e della formazione della Facoltà di Scienze della Formazione e preside presso la stessa Facoltà. -- è coordinatore del Collegio di Dottorato in Scienze cognitive dell'Messina.  Aree di ricerca Psicopatologia del linguaggio. L'ipotesi di base per l'analisi del linguaggio psicopatologico parte da un confronto sistematico tra il linguaggio psicotico nelle sue due declinazioni più significativequella schizofrenica e quella paranoica con il linguaggio tipico delle patologie cerebrali e con quello caratteristico dei soggetti normali. La tesi di P. è che i soggetti psicotici, a differenza di quelli con deficit cerebrali, non mostrino difficoltà visibili dal punto di vista dell’articolazione fonica, della proprietà lessicale o della capacità sintattica e semantica, ma che invece la cifra elettiva del loro linguaggio consista in un depauperamento della complessità dei significati. Questo impoverimento della dimensione della complessità si manifesta nella schizofrenia con un linguaggio privato e pragmaticamente inadeguato, e nella paranoia con un unico tema delirante che riassume e congela tutto il destino del soggetto. La psicopatologia del linguaggio rappresenta inoltre una delle sfide più difficili per le scienze cognitive, in quanto le psicosi, tra tutte la schizofrenia, sembrano a tutt’oggi resistere ad ogni tentativo di spiegazione neuroscientifica. Nella sua impostazionei, il linguaggio può essere considerato una forma di tecnologia corporea. Il linguaggio è, in particolare, la tecnologia specie-specifica di Homo sapiens che ne ha caratterizzato l'adattamento a tal punto da rischiare di minacciarne l'esistenza. La cognitività linguistica del Sapiens, infatti, modificando profondamente le regole stesse dell'evoluzione biologica se da un lato ci ha consentito di essere i dominatori naturali dell'intero pianeta, dall'altro è "ciò che beffardamente ci avvicina alla fine, il messaggero della nostra imminente estinzione. In continuità con le tesi sul linguaggio, propone un nuovo concetto di bio-politica, in antitesi con il concetto sviluppato da Foucault. In particolare, propone di investigare i fenomeni sociali e politici mediante la comprensione delle dinamiche naturali che li sottendono. L'errore di Platone è, nel sistema di idee proposto da P., l'idea di poter ingegnerizzare la società e di poterme controllare ogni possibile esito. Ancora una volta, tale illusione è data dal linguaggio e dalla razionalità linguistica che contraddistingue Homo sapiens. Accadimenti come le crisi economicheal pari di altri fenomeni socio-politicipossono essere compresi solo se si indagano i fenomeni naturali che ne stabiliscono le dinamiche, come ad esempio i flussi migratori e la riproduzione. Altre saggi: “L'errore di Platone – biopolitca, linguaggio, e diritti civile in tempo di crisi” (Bologna, Mulino); “Il prezzo del linguaggio” (Bologna, Mulino); “L’isola timida: Forme di vita nella Sicilia che cambia” (Roma, Squilibri); “Le scienze cognitive del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Scienze cognitive e patologie del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Segni di luce” (Mannelli, Rubbettino). “Psicopatologia del linguaggio: storia, analisi, filosofie della mente” (Roma, Carocci); “Le lingue utole: le patologie del linguaggio fra teoria e storia” (Roma, Nuova Italia Scientifica); "La tecnologia del linguaggio tra passato e presente, in Blityri, Pisa, ETS, Pievani, Linguaggio, proprio tu, ci tradirai. Eugeni, Per una biopolitica a-moderna. Il pensiero del potere in Kubrick oltre, in Le ragioni della natura” (Messina, Corisco, Piparo, Mauro, Eco. Dip. Scienze cognitive, psic., ped. su unime. Pennisi. Keywords: filosofia dell’isola, filosofia della sicilia, filosofia siciliana, cariddi, capo peloro, blityri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pennisi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pera: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e il ragionere -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Important Italian philosopher. Si diploma in ragioneria all'istituto Carrara di Lucca. Studia a Pisa sotto BARONE. Insegna a Pisa. Convinto che le libertà civile si e riconduce alla dignità intrinseca della persona umana, che permane quale che sia la verità delle convinzioni di ciascuno, rileva come sia sbagliato fare del relativismo elitario il fondamento della società. Questa sorge grazie a quel terreno fertile rappresentato dal principio della tolleranza  Un saggio filosofico di rilievo riguarda il metodo scientifico e l'induzione. Dedicato nell’”Espresso” ai filosofi che avevano tentato di confutare Marx, il primo e Popper. Ulteriori studi furono dedicati alle teorie sui metodi di ricerca di Hume e ai metodi induttivi e scientifici. Saggi "Hume, Kant e l'induzione". Sviluppa ricerche sui primi studi di elettricità compiuti nel settecento da Volta e da Galvani. Analizza in dettaglio il rapporto tra scienza e filosofia, in particolare nel rinascimento volgare italiano -- GALILEI, TELESIO. La metafora delle palafitte (anche usata da Vitters): come le palafitte dell'uomo preistorico, la filosofia (in particolare la teoria della relatività e la fisica atomica) non si fonda su una base solida come la roccia, ma e soggetta a modifiche e revisioni, a seguito della scoperta di nuove particelle, di nuovi fenomeni, o di nuove leggi fisiche che in parte modificano quelle precedenti della fisica classica.  C’e progresso in filosofia. Non poggerebbe su un fondamento immutabile, ma su un principio che puo essere oggetto di ulteriori analisi ed approfondimenti.. La filosofia ha validità limitata a un determinato contesto – e. g. Oxford. Secondo questo orientamento il griceianismo e modificabile. Fra le revisioni di sistemi scientifici studiate da lui vi è la rivoluzione di TELESIO e GALILEI che reca obsoleto il geo-centrismo. Sono poi analizzate le teorie elettromagnetiche, a partire dalle prime formulazioni empiriche di VOLTA e GALVANI. Pera analizza il progresso della filosofia in relazione a quella del metodo, basato su procedimenti razionali ed induttivi.  Altri saggi: "Induzione, scandalo dell'empirismo", i "La scoperta scientifica: congetture selvagge o argomentazioni induttive?",  "È scientifico il marxismo?", “Il canone del razionale” Craxi. Lei mette in discussione i fondamenti stessi dello stato di diritto, la rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti. Quei politici che, come Craxi, attaccano i magistrati di Milano, mostrano di non capire la sostanza grave, epocale, del fenomeno. Si occupa soprattutto dei problemi della Giustizia in Italia. La democrazia è quel regime di governo che permette a chi si oppone di sostituire pacificamente chi prende le decisioni a nome della maggioranza. Lo istrumento della democrazia non è soltanto il voto, ma l'argomentazione, il discorso, il confronto. Per sostituire chi governa, prima di votare occorre confutare e criticare. Allo stesso modo per governare occorre argomentare e convincere. Partecipa anche ad alcuni temi di politica locale, in particolare in Toscana e a Lucca. vivere “velut si Deus daretur”. "Se Dio esiste, ci sono limiti morali alle mie azioni, comportamenti, decisioni, progetti, leggi e così via. Il denominatore comune e il rinascimento e l’'illuminismo. Il concetto di eguaglianza fra gl’italiani e di solidarietà sociale, che sono oggi alla base della costituzione dellea nazione italiana. È lo stesso soffio del vento di Monaco. Defende nostra autonomia individuale, che è la condizione su cui dobbiamo sempre vigilare (da ciò il nostro liberalismo)”. Altre opere: “Apologia del metodo” (Pisa, Scientifica); “La scienza su palafitte” (Roma, Laterza); “Induzione” (Bologna, Mulino); “Il razionale e l’irrazionale nella scienza” (Milano, Saggiatore); “La rana ambigua. La controversia sull'elettricità animale tra Galvani e Volta” (Torino, Einaudi)’ “Scienza e retorica” (Roma, Laterza); “Persuasione” (Milano, Guerini); “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo” (Milano, Mondadori); “Il libero e il laico” (Siena, Cantagalli); “Etica liberale” (Milano, Mondadori); “Il liberalismo di Pannunzio” (Torino, Centro Pannunzio). La scienza non poggia su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto giù nella palude: ma non in una base naturale o "data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare le palafitte più a fondo non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura. “Il mio e un relativismo elitario” Marcello Pera. Pera. Keywords: implicature, relativismo elitario, implicatura elitaria, ragione, filosofo come ragionere, le radici romana del ragionere, ratio, ragionere, l’assenza del concetto di ratio nella lingua greca, la ‘ratio’ di Pitagora, la ‘ratio’ della scuola di Crotone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Pera," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Peregalli: la ragione converazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. I luoghi e la polvere Incipit All'inizio della Genesi il serpente convince Eva a mangiare con Adamo il frutto dell'albero della conoscenza. Così i loro occhi si apriranno e vedranno per la prima volta la loro nudità. Comincia in questo modo la storia della conoscenza e del desiderio. Vedere, desiderare e infine morire. Il tempo, il suo scorrere nelle nostre vene, diventa dominante. Lo splendore dell'attimo, la sua rivelazione abbagliante, ne sancisce la caducità. Il tempo corrode la vita e la esalta. Insieme alla conoscenza e al desiderio nasce anche l'amore per la fragilità dell'esistenza. Le cose si rovinano.  Citazioni Se si vuole vedere, o meglio, se nel destino è scritto che si veda a tutti i costi, se si vuole desiderare, se si vuole conoscere (così si capisce quanto poco la conoscenza abbia a che fare con principi puramente razionali), si deve diventare mortali. Gli dei sono indifferenti. Per gli uomini inizia così la differenza. Finché non conosci, finché non mangi il frutto dall'albero della conoscenza, sarai eterno. Non saprai cosa sono il bene e il male, il desiderio, l'attrazione dei corpi, la morte. Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di tempo. Siamo il tempo. È una curva inesorabile che condiziona ogni gesto della nostra vita, compresa la morte. La superficie di qualunque "cosa", sia essa un oggetto o un luogo, è intaccata dal tempo, riposa nel tempo. Viene corrosa, sporcata, impolverata in ogni istante. Sono la sua caducità e la sua fragilità che la fanno vivere nel trascorrere delle ore, dei giorni, degli anni. L'eternità è un miraggio, e non è la salvezza. Stare in casa significa poter assaporare il piacere di sapere che fuori c'è un paesaggio meraviglioso e, quando vuoi, apri la porta o la finestra e lo guardi. Deve esserci lo sforzo del gesto. Il desiderio va centellinato, perché sia più profondo. Il bianco è il profumo dei colori. Il bianco, ancora più del nero, laddove usato nella sua purezza, è uno dei colori più difficili che esistano, e meno imparziali. Usato in quantità massicce la sua forza ci si ritorce contro. Diventa indifferente solo in apparenza. In realtà l'indifferenza non esiste. Nulla è indifferente. È un abbaglio, un alibi. Equivale all'apatia. I vetri, il bianco sono materia, colore, carne, vita. L'ombra, come la polvere, è il nostro fondo nascosto. La si vuole cancellare. Deve essere un eterno meriggio. Così si elimina la "carnalità del luogo", il suo erotismo sottile, la sua terrestre caducità. Purtroppo in estetica la dittatura di un elemento è identica alla sua democratizzazione. Il livellamento dei luoghi conduce alla dittatura della luce e viceversa. Tutto diventa uguale nell'indifferenza. Di fronte all'ottusa sicumera che ci avvolge esiste un tempo altro che non possiamo controllare, dirigere, comandare e che può aprire nuove prospettive, trovando sentieri tortuosi, o spesso non tracciati. Nelle sacche dell'errore (che è un erramento) può ancora trovarsi un cammino. Il passato è stato messo in una teca, sigillato, perché non nuoccia. Lo si può venerare, ma lo si teme. E comunque non deve essere imitato. Gli antichi, invece, in ogni momento hanno sempre guardato indietro. Da lì traevano ispirazione. Cancellavano per ricreare. Credo che in quest'epoca falsamente luccicante e rassicurante, che vuole esorcizzare la morte e la fragilità della vita a ogni passo, e dove colori sgargianti, superfici nitide e sorde, luci accecanti circondano il nostro vivere, un sentiero possibile sia quello di cercare negli interstizi delle cose prodotte dall'uomo una crepa, una rovina che ne certifichi la fondatezza. In un mondo che teorizza le guerre "intelligenti" e gli obiettivi "mirati" la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle costruzioni. Il decadimento fa parte dell'essere. Tutto decade, crolla, si disfa. Ma questo decadimento è un frammento di noi. Il concetto di incontaminato è fondamentalmente falso. Tutto è contaminato dal tempo e dall'uomo. Nell'attimo stesso in cui mettere le sue radici in un luogo lascia un segno e l'incanto si sbriciola. Esistono nelle città, nei paesi, nelle campagne, "rovine semplici"...Cascine abbandonate, un muro senza aperture, uno spiazzo solitario con una fabbrica dismessa, una vecchia ciminiera diroccata, una strada che non finisce, chiese, mausolei, tumuli lasciati al loro destino, attraversati dal tempo. Luoghi che apparentemente non dicono nulla di più della loro solitudine e del loro abbandono e in cui il motivo delle loro condizioni non si legge più tra le pieghe dell'architettura. Le ferite, se mai ci sono state, non mostrano la loro origine. Troviamo queste rovine dappertutto nel mondo, sparse tra le nuove costruzioni, o isolate e lontane. Quello che colpisce è la tranquillità, la pacatezza. Non servono più a nulla, non possono essere sfruttate, manipolate. Possono solo essere cancellate da una ruspa. Questa fragilità è la loro forza. Ci affascinano perché ci somigliano. Somigliano al nostro essere caduchi, alla nostra mortalità, alla sete dei nostri attimi di felicità. Nel mondo c'è un'ansia di eternità. L'idea che tutto debba tornare a risplendere com'era. È un'epoca, questa, in cui da una parte si desidera l'infinito e dall'altra ci si spaventa per la fragilità delle persone e dei luoghi. Pensare che un luogo possa cristallizzarsi in un'eternità senza tempo è una chimera che denota, mascherato di umiltà, un senso di presunzione infinito. La nostra vita è la nostra memoria. Attraverso il passato guardiamo il futuro. Se lo distruggiamo e lo ricostruiamo in modo fittizio non resterà più niente. La bellezza di un oggetto deriva in buona misura dalla sua patina. Più che la frattura tra antico e moderno, ciò che dà consistenza alla nostra vita e la rende accettabile è la patina del tempo. La certezza che le cose e i luoghi deperiscono serenamente. È questa una "decrescita" estetica, un principio che vede nella caducità la traccia della loro bellezza. Una volta le cose erano fatte per durare ed erano caduche. Quindi veniva calcolata la loro deperibilità per farle diventare sempre più belle. Oggi le cose si producono per essere effimere, e al tempo stesso si proteggono con vernici e altre sostanze, perché sembrino eterne. Una città per avere un'anima non deve essere perfettamente pulita. Devono rimanere le tracce di quello che accade. Così i resti della nostra vita possono affiorare, come i ricordi dagli angoli delle strade, dai cespugli, dai muri. La materia di cui sono fatte le cose deve plasmarsi sull'aria che si respira, deve ricevere l'ombra. La durata delle cose nel tempo non si può comperare. Il corpo va amato per quello che è. La sua fossilizzazione, invece, rischia di tradirne l'essenza, la cui forza è la caducità. Il motivo per cui ci attrae, ci eccita, ci tiene con il fiato sospeso in tutti i suoi anfratti più segreti, il suo odore, la sua superficie, il suo colore, è la sua consistenza che muta negli anni e si adatta a noi e al mondo. Parole come design e lifting hanno un suono sinistro. Dicono lo stesso. La plastificazione degli oggetti e dei corpi, il loro luccicare senza vita, come i pesci lasciati a morire sulla riva. Tracciamo un mondo che dovremmo indossare come una muta per aderirvi perfettamente e in cui però i nostri movimenti diventano falsi e rallentati, chiusi in un cofano che toglie il respiro. Corpi rimodellati che abitano e usano luoghi altrettanto rimodellati. Il museo deve introdurre la gente in un mondo speciale, in cui le opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi, in un confronto duraturo e fecondo. I musei, che sorgono sempre più numerosi in quest'epoca, sono divenuti edifici-scultura. Vengono chiamati a progettarli gli architetti più accreditati del momento, che inventano dei mausolei per la loro gloria, prima ancora di sapere a cosa serviranno. In essi la gente non va tanto a vedere le esposizioni o le opere presentate quanto i monumenti stessi. Gli allestimenti museali sono un riassunto e uno specchio drammatico dell'epoca in cui viviamo. I vetri antiproiettile, l'illuminazione da stadio o catacombale, i colori sordi e luccicanti dei muri, il gigantismo insensato, le ricostruzioni senz'anima. Via la polvere, via la patina, via l'ombra, via la carne di cui siamo fatti. Tutto è asettico. Cancellando la mortalità della vita, il luogo diventa eternamente morto. L'arte è mimesi della natura. La mima, la reinventa, la accompagna fedelmente nel cammino del tempo. Non c'era contrasto e nemmeno violenza. L'abitare sulla terra era una convivenza armonica in cui l'uomo beneficiava della natura, e questa traeva profitto e bellezza dalla presenza dei disegni dell'uomo. Così nascevano i luoghi. L'occhio che guarda questi luoghi, luoghi diroccati e abbandonati, immagina il loro passato, sente attraverso la pelle consumata dal tempo l'anima che li avvolge. La patina, come la polvere, si deposita sulle cose. Dà loro vita. Le inserisce nel tempo. Un tavolo, una sedia, un bicchiere parlano del passato, delle mani che li hanno toccati, attraverso la pelle del tempo che li avvolge a poco a poco. Le tracce del passato si leggono tra le crepe dei muri, oltre l'umidità della pioggia e il calore riarso del sole.  Roberto Peregalli, “I luoghi e la polvere,” Bompiani. Roberto Peregalli. Peregalli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Peregalli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Perniola: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Asti). Filosofo italiano. Studia la filosofia del meta-romanzo a Torino sotto PAREYSON. Incontra VATTIMO ed ECO, che si è fatto tutti gli studiosi di spicco della scuola di Pareyson. Allegato alla all'avanguardia dei situazionisti. Insegna a Salerno e Roma.  Collabora a agaragar, Clinamen, Estetica Notizie. Fonda Agalma. Rivista di Studi Culturali e di Estetica. L'ampiezza, l'intuizione e molti-affrontato i contributi della sua filosofia gli fa guadagnare la reputazione di essere una delle figure più importanti del panorama filosofico. Pubblica “Miracoli e traumi della Comunicazione”. Le sue attività ad ampio raggio coinvolti formulare teorie filosofiche innovative, filosofare, l'estetica di insegnamento, e conferenze. Si concentra sulla filosofia del romanzo e la teoria della letteratura. Nel suo saggio “Il meta-romanzo:, sostiene che il romanzo da James a Beckett ha un carattere auto-referenziale. Inoltre, si afferma che il romanzo è soltanto su se stesso. Il suo obiettivo e quello di dimostrare la dignità filosofica del meta-romanzo e cercare di recuperare un grave espressione culturale. Montale gli loda per questa critica originale del romanzo come genere filosofico. Però, non solo hanno un'anima accademica ma anche una anima anti-accademica.. Quest'ultima è esemplificato dalla sua attenzione all’espressioni alternativa e trasgressiva. Un saggio importante appartenente a questa parte anti-accademico è “L'alienazione artistica”, in cui attinge la filosofia marxista. Sostiene che l'alienazione non è un fallimento di arte, ma piuttosto una condizione dell'esistenza stessa dell'arte come categoria distintiva dell'attività umana. I situazionisti (Castelvecchi, Roma) esemplifica il suo interesse per l'avanguardia. Dà conto dei situazionisti e post-situazionisti nel quale è stato personalmente coinvolto. Ha videnzia anche le caratteristiche contrastanti dei membri del movimento. In “Agaragar” continua la critica post-situazionista della società capitalistica e della borghesia. Saggio sul negativo” (Milano: Feltrinelli). – cf. Grice, “Negation and privation”. Il negativo qui è concepito come il motore della storia.  Post-strutturalismo. Offre alcuni dei suoi contributi più penetranti alla filosofia. In Dopo Heidegger. Filosofia e organizzazioni culturali sulla base di Heidegger e GRAMSCI, include un discorso teorico sulla organizzazione sociale. Sostiene la possibilità di stabilire un rapporto tra cultura e società nella civiltà. Come l'ex interrelazioni tra la metafisica e la chiesa, la dialettica e lo stato, la scienza e professione sono state decostruito, la filosofia e la cultura rappresentano un modo per superare il nichilismo e il populismo che caratterizzano la società. Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo contiene sezioni sulla Società dei simulacri e Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo Stesso (Transiti. Come andare dalla stessa per lo stesso). Teoria dei simulacri si occupa con la logica della seduzione. Anche se la seduzione è vuoto, è comunque radicata in un contesto storico concreto. Simulazione, tuttavia, fornisce immagini che sono valutati come tali indipendentemente da quello che effettivamente implicano riferiscono. Una immagine e una simulazione in che seducono e ancora fuori loro vuoto ha un effetto. Illustra il ruolo di tale immagine in una vasta gamma di contesti culturali, estetiche e sociali. La nozione di transito sembra essere più adatto per catturare l’aspetto culturali della tecnologia che altera la societa..Transit di oggivale a dire che vanno “dallo stesso allo stesso” evita di cadere nella contrapposizione della dialettica che avrebbe precipitare pensare nella mistificazione della metafisica”.  Postumano include altri territori nella sua ricerca filosofica. In Del Sentire -- indaga un modo di sentire che non ha nulla a che vedere con i precedenti che hanno caratterizzato l'estetica. Sostiene che sensologia ha assunto. Ciò richiede un universo emozionale im-personale, caratterizzato da un’esperienza anonima, in cui tutto si rende come già sentito. L'alternativa è quella di tornare indietro al mondo classico e, in particolare, all’antica Roma. In “Il sex appeal dell'inorganico”, riunisce la filosofia e la sessualità. La nostra sensibilità trasforma il rapporto tra una cosa e gl’esseri umani. Sex si estende oltre l'atto e i corpo. Un tipo organico di sessualità viene sostituita da una sessualità neutra, in-organica, arti-ficiale, indifferente alla bellezza o forma. Esplora il ruolo dell'eros, il desiderio e la sessualità nell’esperienza estetica e l'impatto della tecnologia. La sua è una linea che apre prospettive sulla nostra realtà contemporanea. La caratteristica più sorprendente è la sua di coniugare una rigorosa re-interpretazione della tradizione filosofica con una meditazione sul “sexy”. Si rivolge aspetti perturbanti come rapporto sessuale senza orgasmo, apice o qualsiasi rilascio della tensione. Si occupa dell’orifizio e l’organio, e la forma di auto-abbandono che vanno contro un modello comune di reciprocità erotica. Tuttavia, attingendo alla tradizione critica trascendentale, sostiene anche che ogni coniuge e una cosa, perché in costanza di matrimonio ogni affida il suo la sua intera persona all'altra al fine di acquisire un diritto pieno su tutta la persona dell'altro.  In “L'arte e la sua ombra” popone un'interpretazione alternativa dell'ombra che ha una lunga storia nella filosofia. Nell'analisi dell'arte e del cinema, esplora come l'artisti sopravviveno nonostante la comunicazione di massa e la riproduzione. Il senso dell'arte è da ricercarsi in ombra creato, che è stato lasciato fuori dallo  stabilimento arte, comunicazione di massa, mercato e mass media. La sua filosofia copre anche la storia di estetica e teoria estetica. Pubblica “Enigmi -- Il momento egizio nella Società e nell'arte” in cui analizza l’altra forma di sensibilità che si svolgono tra gl’uomini e le cose. La nostra società vivendo un “momento egizio”, caratterizzato da un processo di rei-ficazione. Come il prodotto di alta tecnologia assume sempre una proprietà organica, gl’uomini si trasformano in cosi, nel senso che si vedeno deliberatamente come oggetti sessuali. In L'estetica del Novecento fornisce un resoconto originale e la critica alle principali teorie estetiche caratterizzato il secolo precedente. Traccia le tendenze basate sulla vita, la forma, la conoscenza, l’azione, il sentimento e la cultura. In Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale la sensazione di Cattolica. La forma culturale di una religione universale), sottolinea l'identità culturale del cattolico (kath’holou”), piuttosto che il suo uno moralistico e dogmatico. Propone il cattolico senza l'orto-dosso e una fede senza dogma che consente il cattolico ad essere percepito come un senso universale di sentimento culturale. “Strategie del bello: estetica italiana” analizza le principali teorie estetiche che ritraggono le trasformazioni avvenute in Italia. Mette in luce il rapporto tra i tratti storici, politici e antropologici radicati nella società italiana e il discorso critico sorto intorno a loro. La conoscenza e la cultura sono concessa una posizione privilegiata nella nostra società, e dovrebbero sfidare l'arroganza degli stabilimento, l'insolenza degli editore, la volgarità dei mass media, e il roguery plutocratico.  La filosofia dei media. La sua ampia gamma di interessi teorici  includono la filosofia dei media. In “Contro la Comunicazione” analizza l’origine, il meccanismo, la dinamica della comunicazione e suo effetto degenerative. “Miracoli e traumi della comunicazione” si occupa dell’effetto inquietante della comunicazione concentrandosi sull’evento generative: una rivolta degli studenti, la rivoluzione iraniana, la caduta del muro di Berlino, World Trade Center attacco. Ognuno di questi episodi sono tutti trattati con sullo sfondo dell’effetto miracoloso e traumatico in cui la comunicazione offusca la differenze tra il reale e impossibile, cultura alta e cultura di massa, il declino delle professione, il successo del populismo, il ruolo della dipendenza, le ripercussioni di internet sulla cultura di oggi e la società, e, ultimo ma non meno importante, il ruolo della valutazione in cui porno star sembrano aver raggiunto i più alti ranghi del chi è chi grafici. In finzione, e l'autore del romanzo Tiresia, che si ispira all'antico mito greco del profeta Tiresia, che è stato trasformato in una donna. Altra narrativa è del Terrorismo come una delle belle arti (al terrorismo come una delle Belle Arti.  Altri saggi:  “Il meta-romanzo” ( Milano, Silva); “Tiresia, Milano, Silva); “L'alienazione artistica” (Milano, Mursia); “Bataille e il negativo, Milano, Feltrinelli); “Philosophia sexualis” (Verona, Ombre Corte); “La Società dei simulacra” Bologna, Cappelli); “DOPO Heidegger. Filosofia e organizzazione della cultura” (Milano, Feltrinelli, Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo Stesso” (Bologna, Cappelli); “Estetica e politica” (Venezia, Cluva); “Enigmi. Il momento Egizio Nella Società e nell'arte” (Genova, Costa & Nolan); “Del Sentire, Torino, Einaudi); “Più che sacro, Più che profane” (Milano, Mimesis); “Il sex appeal dell'inorganico” (Torino, Einaudi); “L'estetica del Novecento, Bologna, Il Mulino); “Disgusti. Nuove Tendenze estetiche” (Milano, Costa); “I situazionisti” (Roma, Castelvecchi); “L'arte e la SUA ombra” (Torino, Einaudi); “Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale, Bologna, Mulino, “Contro la Comunicazione” – Grice: “This poses a stupid puzzle, alla Sextus Empiricus, how can you argue against communication without communicating? But Perniola is using ‘comunicazione’ the way Italian philosophers use it: pompously! And with that I agree! ” -- Torino, Einaudi, Miracoli e traumi della Comunicazione, Torino, Einaudi, "Strategie Del Bello. Quarant'anni di estetica italiana, Agalma. Rivista di studi culturali e di estetica, Strategie Del Bello: estetica italiana” (Milano, Mimesis); “Estetica: Una visione globale” (Bologna); La Società dei simulacra” (Milano, Mimesis, Berlusconi o il '68 Realizzato” (Milano, Mimesis); Estetica e politica (Milano, Mimesis); “Da Berlusconi a Monti. Imperfetti Disaccordi, Milano, Mimesis); “L'avventura situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia” (Milano, Mimesis); “L'arte espansa” (Torino, Einaudi); Del Terrorismo Come una delle belle arti, Milano, Mimesis, “Estetica Italiana Contemporanea, Milano, Bompiani,“Pensare rituale”; “La sessualità, la morte, Mondo, l'umanità “Estetica: Verso una teoria di sentimento”“Di volta in volta”,  “La differenza del filosofica Cultura italiana”,“Logica della Seduzione”, “Stili di post-politici”, differenziazione, “Venusiano Charme”, “decoro e abito da sera”. G. Borradori, ed., Ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana.  “Tra abbigliamento e nudità”, Zona  “Al di là di postmodernità”, Differentia “La bellezza è come un fulmine”,  Moderna Museet, “Riflessioni critiche”, “Enigmi di temperamento italiano”, Differentia,. “Primordiale Graffiti”, Differentia, “Urban, più di urbana”, Topographie, ed in Strata, Helsinki, “Emozione”, Galleria d'Arte del Castello di Rivoli, Milano, Charta,  “Verso visiva filosofia”, la 6a Settimana; “Burri ed Estetica”, Burri” (Milano, Electa); “Stile, narrativa e post-storia” Tema celeste,  europea, “Un estetico del Grand Style: Debord”, Sostanza, Arte tra il parassitismo e l'ammirazione”, RES,  “Sentire la differenza, Estetica, Politica, Morte.  “La svolta culturale e sentimento” “il Ritual nel cattolicesimo”, Paragrana,  Ripubblicato come “La svolta culturale nel cattolicesimo”, il dialogo. Annuario della filosofica ermeneutica, Ragione, Strumenti di devozione. Le pratiche e gli oggetti di Religiois Pietà;  “Ricordando Derrida”, sostanza, “La giustapposizione”, Rivista Europea.”, Celant, e Dennison, L’arte, architettura, cinema, performance, fotografia e video, Milano, Skira, “Cultural Turns in Estetica e Anti-Estetica”, Guarda anche Estetica Anti-art Internazionale Situazionista simulacro cyberpunk fetish abbigliamento filosofia italiana; La filosofia del sesso; filosofia occidentale;  La sessualità, la morte, mondo --  è il più utile e punto di partenza per P., Fondazione desanctis Perniola Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. E. Montale, “Entra in scena il metaromanzo”. Il Corriere della Sera, Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Bredin "L'alienazione artistica" di P., Inverno  Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Con  //notbored.org/ debord  a.html  I situazionisti, Roma, Castelvecchi, “ Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo  “Pensare rituale. La sessualità, la morte” (Mondo). Verdicchio in, pensiero rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Sulla influenza della nozione di simulacri vedere Robert Burch. “Il simulacro della Morte: P. al di là di Heidegger e la metafisica?” Sentire la differenza, Extreme Beauty. Estetica, Politica, Morte. Stati di emergenza. Le colture di Rivolta in Italia. Verso, Per ulteriori interpretazioni del concetto di transito vedere White, "la differenza italiana e la politica della cultura", Ricodifica. La filosofia Nuova italiana. Catalogo Einaudi di Francoforte Fiera del Libro, Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. catalogo IAPL, Siracusa.  La Teoria Pinocchio, P., il sex appeal del inorganica, Londra-New York, Continuum, Sulla ricezione della teoria di Perniola in inglese vedi Shaviro, “il sex appeal della inorganica”, La Teoria Pinocchio,//shaviro.com/Blog/ Farris Wahbeh,  Critica d'arte,  Filosofie del desiderio nel mondo contemporaneo”, in Filosofia Radical (Londra),  Anna Camaiti Hostert sexy cose,//altx.com/ebr/ebr6/6cam; intervista tra Contardi e P. psychomedia/jep/number3-4/contpern  Prefazione di Per l'influenza di arte e la sua ombra v. Wahbeh, Recensione di “arte e la sua ombra” e “il sex appeal della inorganica”, The Journal of Aesthetics e Critica d'arte,  Sinnerbrink, “Cinema e la sua ombra: di P.  l’arte e la sua ombra”, Filosofia Film, film-philosophy /sinnerbrink Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. Con una prefazione di Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, Sulla ricezione di Enigmi. Il momento egiziana nella società e Arte vedere;  “Retorica postmoderno ed Estetica” in “Postmodernismo", la Stanford Encyclopedia of Philosophy, Zalta, post modernismo   “La svolta culturale del cattolicesimo”. Laugerud, Henning, Skinnebach, Katrine. Gli strumenti di devozione. Le pratiche e oggetti di pietà religiosa. Aarhus ulteriore lettura Giovanna Borradori, ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana, il simulacro della Morte: P. al di là di Heidegger e la metafisica?, Nel sentire la differenza, Estetica, Politica, Morte, New York-London, Continuum, Carrera, revisione a Disgusti, in Canada Rassegna di letteratura comparata, Filosofie del desiderio nel mondo moderno, in stati di emergenza: Culture di rivolta in Italia,la differenza italiana e la politica della cultura, in Laurea Facoltà di Filosofia, Farris Wahbeh, Rassegna di Arte e la sua ombra e il sex appeal della Inorganica, in The Journal of Aesthetics e Critica d'arte, O' Brian, L'arte è sempre scivoloso, il valore dei valori sospensione, in Neohelicon,  Civiltà, Dell'Arti Giorgio, Parrini, “Catalogo dei viventi italiani” (Notevoli, Venezia); Roller, simulazione, una conversazione tra Contardi e P. psychomedia/ jep/number3-4/contpern Recensione di “La sessualità, la morte, World”  sirreadalot.org/religion/ religion/ritualR.  Recensione di Sinnerbrink di “arte e la sua ombra” /film-philosophy il rilascio Il corpo dell'immagine /italiaoggi.com.br/not12/ ital_ ed Estetica  (//agalmaweb./ ) Blog su “Feeling Thing” (in italiano) (//cosachesente. splinder). Mario Perniola. Perniola Keywords: ‘seduzione’ ‘le strategie del bello’ ‘altre il desiderio e il piacere’ sesso, sessuale, psychologia del sesso, Perniola’s misuse of ‘sesso’, eros. -– Luigi Speranza, “Grice e Perniola” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Perone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Grice: “While Perone can be a pessimist, I think the party is NEVER over!” Grice: “I especially appreciate two things in the philosophy of Perone: his emphasis on the the intersection between modality and temporality: ‘the possible present’ – vis-à-vis memory – a theme in my “Personal identity” and also the implicature: what is actual is also possible” – AND his idea of an ‘interruption,’ which I take it to the rational flow of conversation!” Speranza, “The feast of conversational reason,” “The feast of reason and the bowl of soul” -- important Italian philosopher. Studia a Torino sotto PAREYSON (si veda). Studia la filosofia della liberta. Insegna a Roma e Torino. Si dedica alla filosofia ermeneutica. La politica è l’invenzione dell’ordine che con-tempera il “per me” e il “per tutti”. Studia la morale creativa, capace di forzare l’etica oltre se stessa, verso una normatività più inclusiva. la secolarizzazione;  Una metafora ha ispirato l'intero percorso di pensiero di Perone, quella della lotta di un uomo, Giacobbe, con il divino, l'Angelo (Genesi).  Nella notte del deserto, uno straniero interrompe la sua solitudine e combatte con lui in una battaglia che non ha vincitore. All’alba scopre di essere stato ferito dall'angelo.  La ferita significa anche la benedizione e un nuove nome: Giacobbe, che ha combattuto con Dio e non è stato ucciso, d'ora innanzi si chiama “Israele”.  Il racconto è la cifra dell'estrema tensione che sussiste tra il finito e l'infinito, tra il penultimo e l'ultimo, tra i singoli significati e il senso complessivo.  La filosofia ha un'obbligazione di fedeltà al finito che la conduce a non rinnegare mai le condizioni storiche del pensiero, ma anche a non rinunciare alla sua vocazione a trascenderle con l'ascolto del non immediato, il lavoro e la fatica.  Riconosciuto il moderno come condizione, il pensiero non può illudersi di potersi semplicemente installare nell'essere o nel senso, come se tra finito e infinito non si fosse consumata una cesura.  E tuttavia, ugualmente inopportuno e un appiattimento sui semplici significati storici, dimentico dell'appello dell'essere.  La necessaria protezione del finito (peiron) (protezione del finito anche nei confronti dell'essere, che in qualche modo va sfidato, perché è coi forti che è necessario essere forti)  non significare l'eliminazione di nessuno dei due contendenti. Sulla soglia  tra finite (peiron) e infinito (a-peiron), tra storia e ontologia, si realizza una mediazione, che non implica il superamento della distanza, ma la sua conservazione. Al fine di preservare la doppia eccedenza del finito (peiron) sull'infinito (a-peiron) e di questo su quello, è sbagliato cancellare la distanza tra essi, sia trasformandola in identità alla Velia, sia indebolendola fino a un punto d'in-differenza.  Così, è vero, per esempio, che la memoria non conserva che questo o quello frammento, né può pretendere di ricordare direttamente l'intero (la totalita – cf. Grice ‘total temporary state’).  Ma è altrettanto vero che questo o quello frammento non va abbandonato a una deriva nichilistica, perché nel frammento – che la memoria ricorda – non è un semplice istante, ma appunto l'essenziale (di una vita, di una storia…) a dover essere ricordato. La filosofia resta ossessionata dal tutto (cf. Grice’s ‘total temporary state’), ma questo tutto non ha l'estensione della totalità, ma l'intensione di un frammento in cui ne va dell'intero, il totto. Peiron ed apeiron, Modernità e memoria, Storia e ontologia: si tratta di *dire* sempre insieme due cose, due poli opposti, secondo una dialettica dell'et-et, dell'indugio e dell'anticipazione.  Il finito, la parte -- il soggetto, il presente, il sentimento -- e analizzato come una “soglia”, come un luogo che non puo nemmeno essere vissuto senza la memoria dell'altro polo. Come nel caso di Giacobbe/Israele, la ferita finite, parziale, e un luoo che porta la ferita inferta loro dall’altro polo -- l’infinito, il tutto -- come una benedizione. Elabora la filosofia ermeneuticamente, a partire da uno studio in profondità – spesso svolto contro-corrente, Parte integrante della sua ricerca filosofica è altresì un confronto continuo con Guardini. Altri saggi: Esperienza divina” (Mursia, Milano); “Storia e ontologia” (Studium, Roma); “La totalità interrotta”  (Mursia, Milano); “La memoria” (Sei, Torino); “La lotta dell’angelo e il demonio” (SEI, Torino); “Le passioni del finite” (EDB, Bologna); “Il gusto per l’antico” (Rosenberg, Torino);  “Nonostante i soggetti” (Rosenberg, Torino); “Il presente possible” (Guida, Napoli); “Sentimento vero” (Napoli, Guida); “Sentimento” (Cittadella, Assisi); ” “Umano e divino” (Queriniana, Brescia); “Il racconto della filosofia. Breve storia della filosofia, Queriniana, Brescia); Un tema che è diventato predominante nella produzione più recente è la riflessione etico-politica. Tra le sue pubblicazioni sul tema si ricordano:  “Lo sspazio pubblico” (Mulino, Bologna); “Identità, differenza, conflitto” (Mimesis, Milano); “Secolarizzare” (Mursia, Milano). Givone, I sentieri della filosofia, Torino. Una cospicua parte della sua produzione di si concentra sul finite e sul rapporto tra filosofia e narrazione. Anche il tempo e la memoria: “Il tempo della memoria” Mursia, Milano); “Memoria, tempo e storia; Il tempo della memoria, Marietti, Genova); “Il rischio del presente”; “L'acuto del presente: una poetica” (Orso, Alessandria); “Ateismo”; “Futuro”; “Memoria, Passato, Pensiero, Presente, Riflessione, Silenzio, Tempo.   Curato e introdotto presso Rosenberg la scuola di formazione filosofica: “Dialogo con l'amore”; “Metafisica”; “Dare ragioni”; “Coscienza, linguaggio, società” “Un'antropologia della modernità”; Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente,; Estraneo, straniero, straordinario. Saggi di fenomenologia responsive; “Valori, società, religione”. Vii fa esplicito riferimento, tra l'altro, in Modernità e Memoria, L'Angelo – cioè l'IN-finito, ma più in generale l'oggetto, il mondo – non è un limite che i soggetti poneno a se stessi, ma una barriera che loro è posta e che, dunque, non si lascia ultimamente inglobare dal soggetti, per quanto potente loro siano. Ai limiti estremi dell’estensione e la ptenza, i soggetti incontrano la resistenza testarda del mondo e misurano così la propria im-potenza di in-finito. Questa lotta scontro con la barriera lascia nei soggetti una ferita che appartiene per sempre all'identità delle sue coscienze. L'angelo può quindi essere definito quella misteriosa ulteriorità contro cui il finito urta Il tema della tensione tra cielo e terra è centrale. Come dimenticare che la teologia è forse l'unica rama della filosofia che osato vedere nella tensione tra l’uomo e il divino non una tentazione, ma un guadagno tanto per il cielo quanto per la terra?  E attiva un'originalissima interpretazione del rapporto tra il segnato e il senso. Con ‘segnato’ intendo una cristallizzazione storica di una scelta determinata, avente in sé una ragione sufficiente. Con ‘senso’ intendo una direzione capace di UNI-ficare una MOLTE-plicità in sé dispersa fra il segnato S1, il segnato S2, … il segnato Sn, in modo da costituir il segnato come un progetto e un'interpretazione della realtà. La definizione del gusto per l’antico come tempo della cesura risale in “La totalità interrotta”. Il tema è ripreso proprio in apertura di Modernità e Memoria, dove individua nella modernità l'epoca della cesura. Il moderno è dunque chiamato a essere il tempo della memoria. La memoria è sempre memoria della cesura. L’uso della categoria d’illuminismo non simpatizza per quella interpretazione del moderno, dimentiche della tensione. Semplicemente pone l'umano in luogo del divino come fonte di legittimazione -- puntando tutto sul continuio, anziché sul dis-continuo della storia. Per un approfondimento a tutto tondo del significato dell'ateismo, contro l'essere, ciò che è forte, è lecito essere forti, perché la minaccia non lo vince, ma lo lascia stagliarsi in tutta la sua maestà e incommensurabile grandezza. Per una trattazione sistematica del concetto di "soglia”, che svolge con particolare attenzione cfr. Il presente possibile -- il presente come soglia.  Se una totalità è interrotta, non possiamo ricordare se non frammenti, e quasi istantanee del tempo. Tuttavia, se la memoria afferra brandelli e frammenti, è perché in essi vi legge il tutto, perché li pensa capaci di dar *senso* e di riscattare, perché in essi vi scorge l'essenziale. La memoria sa che non tutto può essere salvato. Ma osiamo credere che nella memoria salvata vi possa essere un senso anche per ciò che è andato perduto. Nel rivalutare la funzione dell'indugio osserva che perlopiù la filosofia non ha seguito la strada dell'indugio e del rinvio, puntando invece sulla funzione anticipative. Particolare rilievo riveste a questo proposito la distinzione che traccia tra spazio pubblico e spazio comune.  Individua anzi come rischio immanente della democrazia» il ri-assorbimento dello spazio pubblico entro la semplice logica dello spazio comune. Lo spazio pubblico si espone al rischio di un inglobamento nello spazio comune. Guglielminetti, ed., Interruzioni. il melangolo, Genova. theologie. hu-berlin.de/de/ guardini/ mitarbeiter/ li, su theologie. hu-berlin.de.vips/ ugo.perone, su sdaff. lett.unipmn/ docenti/perone/, su lett.unipmn oportet idealismo su spazio filosofico. spazio filosofico/ numero-05//il-pudore/#more-2052, su spaziofilosofico. Ugo Perone. Perone. Keywords: implicature, peiron/apeiron, Velia, Grice on ‘other’; finito/ infinito, Velia, Elea, I veliani, Guardini. Total temporary state, Israele, etimologia, la ferita di Giaccobe dopo la lotta coll’angelo, nella Vulgata. Israele, la lotta di Giacobbe e il angelo, la ferita, Giacobbe zoppo, iconografia, controversia sull’etimologia di israele, ei combatte, la tradizione di VELIA, l’infinito di Velia – il continuo e il discontinuo, l’infinito della scuola di Crotone, Cicerone, l’infinito di Giordano Bruno. Infinitum, indefinititum, dal verbo, finire, finio in romano, -- I due rappresentanti della scuola di Velia, Melisso, peras, pars. Guardini, il sacro, il divino, I dei, uomo e dio, opposizione, -- la storia della filosofia di Perone, il presente possible, la totalita interrota, I soggeti, trascendentale e immanente. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Perone," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Persio: la ragione conversazionale e la filosofia nel principato di Nerone – TREASEA CONTRO LA TIRANNIA – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Roma). He is best known as a satirical poet, but he studies philosophy under Luccio Anneo Cornuto, to whom he wrote a tribute and to whom he leaves his works on his death. A strong belief in the value of the ethics of the PORTICO lies beneath much of his satire. He is a friend of Trasea Peto (vide RENSI – TRASEA CONTRO LA TIRANNIA), and is related to him by marriage. Through this connection, Persio becomes associated with the PORTICO opposition to Nerone – but he dies before Nerone can take action against him. Ed. Broad, Loeb. Flacco Aulo Persio

 

Grice e Persio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella storia della dialettica – CICERONE – BOEZIO – TELESIO -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Dei lincei. Studia a Napoli. Conosce TELESIO di cui diventa discepolo, e scrive diverse saggi a difesa e chiarimento: “De naturalibus rebus” (Venezia, Valgrisio). Pubblica il “Trattato dell'ingegno dell'uomo” (Venezia, Manuzio) in cui riprendeva la teoria di TELESIO di uno “spirito” come principio, movimento, vita, e intelligenza. A Roma conosce CAMPANELLA (si veda) e GALILEI (si veda) e pubblica “Del bever caldo costumato dagl’antichi romani” (Venezia, Ciotti) in cui riprende diverse idee già trattate in precedenza riguardo allo spirito e ai consigli per la sua conservazione. Altri saggi:  “Digestum vetus, seu Pandectarum iuris civilis: commentarijs Accursii praecipua autem philosophicae illustrates cum pandectis florentini” (Venezia, Franceschi);  “Novarum positionum in rethoricis dialecticis ethicis iure civili iure pontificio physicis  triduo habitae” (Venezia, Sambeni). “De ratione recte philosophandi et de natura ignis et caloris” (Roma, Mascardo). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Roma.  la dialettica di Telesio -- Campanella -- Gailei -- contro CICERONE (si veda) – contro BOEZIO (si veda) – LIZIO -- vitium itium dialecticum, point Aristoteles. PRO POSITIONES DIALECTICA FACVLTATE. I Dialectices artis magistros primos requiramus. Non Aristotelem profecto fuisse cenfendum est. Sed multò antea, quun plurimos ex stitiffe, mania i testantibus. Sed ne referas ad tam antiquos: neges etiam, Pythagora eos fuisse logicos quod tamen falsumn, inde deprehenditur, cum mathematicis artibus; quae sine logice tractari non possant. Itta accuratem sstuduerint Zeno tamen Eleates [Velia, velino], ex Platone et Laertio, inventor efficitur quod et ad Parmenidem nostrum I Dehip. Et Plar. plac.li. gularis fuit, non infophifticis de arte ipla contentionibus, sed in explicatione historiarum, incaricorum, Lucanum Galenus extendit. Clinomachus Thurius; noster coterraneus primus deaxio DIALECTICIS IN METAPHORAM enumerar Aristoteles intervitia dialectica. Grammaticum est et grammaticae syntaxeos vitium  festum est; uel cum Platone Prometheum, velim ci deorum interpretem existimabimus, quem in sacris litteris noeum docti existimant; vel cum aliquot doctis, Mofis sacrum illum sacerdotisor natum, et vestitum ex hodiex pressum. Itaque Logices exercitatio apud hebraeorum liberostin et epoëi natum compositione, inque aenigmatum enodatione, doctis viris at matis seu enunciatis conscripsit si Laërtio credimus quod si berum est, principi doctrine huiusci philosopho debeatur; qua odeindecranslarakc ab Aristotele. In libru “De interpretatione” Non ita que Democritum Dialectices inventionis dispositioni SIGNARUM ut nec Protagora n elenchorum jutex Platorum et Peripateticorum sectae manarunt. Dialecticen igitur, facultatem, seu virtutem bene differendi tenemus, hocest disputandi, disceptandi ratiocinandi. Quotiesita que ratione utimur, toties dialectico munere diendique ita Logicen hanc, esse facultatem, omnia disputandi, intelligendique Recte itaque Aristoteles, omnes IDIOTAS quod ammodo uti Dialectice, confirmauit. Duplex itaque; quin immo haec, uel utiilius magistra, cólatuitur; cum omnis disciplinae principium sit experientia, ob item  ne patet; principem negare possumus. Quinneque Platonem ipsum cum Socrate a dialectices perfectae cognitiones secludimus; de cuius schola academico fungimur. Naturalis ergo logice facultas. Utenim visus et auditus facultas est naturalis, videndi, au Standis, vel uti prudentia quaeda in communis omnibus artificibus, quicum differunt, non sua quadam et propria, sed communi dialecticorum facultate differunt. Si, ut ait Aristoteles, finisa discipline a habetur, quando prac statur quod attisuiribu s continetur, dialectices finis erit, be a ne differere. Subiecum uerum dialectices ponimus res omnes. Quod vel Aristotele teste confirinamus. Quid etiam fi. Non ens, subiectum dialectices ponamus et iudicium. Quas Adrastus Simplicii testimonio, peripateticus nobilissimus adprobauit, ad aures fuisse Aristotelis. A servatio et inductio dialectice itaque communis oinnibus rebus. Ratione tra: ut omnino quid libet seu verum seu falsum quid tractari, ac ratione disputari et explicari possit. Dialectices uerum partes duas esse tenemus, inventionem, licet, necessarium, verisimile, captiosum dari potest; non obid enunciate logice partim necessaria, partim verisimilis, partim capsiofa esse debet. Sed tota necessaria. “Genus” illud verem esse dicimus, totum partibus essentiale. Unde hominem genus esse Catonis et Ciceronis. Catonem verum et Ciceronem *speciem* esse hominis. Cum verum satius putemus; veri et propria sermonis usum aiuris consultis et rei publicae principibus, quam a scholis in ertium philosophorum petere; melius quae duo individua, vulgò dicunt et unam speciem n, ili duas species et unumge nus dixisse videri debent. Sed sideri debunt consultos, non ridebunt Platonem [ACCADEMIA] ne que Aristotelem [LIZIO], terse comparationes intelligi. Genus item et speciem ad locum de toto et partibus rectem ablegamus. Categorias etiani ad inventionem dialecticam sternere viam, melius est ut concludamus. Paronyma ad coniugatare verti debere aestimamus. Locum ad numeramus in subiectis et tempus in adiun rum referamus. Animi sensum, aet intelligentiam, rerum similitudine mer itemque Cicero [CICERONE] e Quinctilianus. Quam vis itaqueo pusali quod artis huius g enuntiatum scia. Differentiam, quam Porphyrius declarare ad grediebatur. Vel ad formam et causam vel ad comparatorum locum et ad inventionem rectius asscriberem. Accidentium nominee e rectius facta adiuncta et rerum in ctis. Quae verum cum aliquo conferantur, ad speciem opposito: seu oluit Aristoteles. Quae verum sint in voce, NOTAS ET SIGNA en forum mentis esse: utea, quae scribuntur, eorum, quae fintin  Puoc essensa ila apud omnes eadem esse, SYMBOLA a et  ligris non s cadem, deprehendamus. Quo sit ut dialectices et grammatices lata differentia nis mentionem, sed syllogismi genesin et  analysin, tribuster minis et  PROPOSITIONIBUS conclusit et  terminavit non enim AD EXTERNUM SERMONEM dirigi voluit, sed ad internum. “Aliquis homo currit”. “Aliquis homo non currit”, nullum cum sub-alternae dicuntur. Multum iustiore ratione collantur. Quiai: tem esse tenemus. Ex causis itaque necessariis futurum necessarium, ex liberis liberum, ex physicis physicum esse cue syllogismis maximem necessariam putamus. Quod et Graeci Aristotelis interpretes profitentur, inventionem illam Theophrasti et Eudemi propriam ess. Cui et BOETHIUS desu omulta addidisse etiam, testatur; sed utrum o m átio absolute vera; sit etiam necessaria, cami et si IN PARTIBUS SERMO consistere. Rectem igitur in analyticis nullam Aristoteles interpretatio sunt ambae affirmantes vel ambae negantes. Quales sunt antecedentes causae, talem eventus veritamur. Nos logicen compositorum enunciatorum et per se, et in 6. Nia rectem, alias dictum. Datur igitur enuntiatum, compositum, eeu CONIUNCTUM, praeter simplex. Quod multas sententias coniunctas habet. Cuius et sunt suae species, ar COPULTATUM difiunctum, con nexum et elatum et cetera. Accamen in DISIUNCTIONE illud tenemus, ut omnis disi un paratim nulla sit necessitasi. Nam difiunctionis necessitate penderee partium non ucie ritate, sed dissentione, palam est contineatur, cum illatota sit animi, eadémque apud omnes gea tes. Haectota SYMBOLICA in voce. Logice ita que sine SYMBOLIS INTERPRETATIONIS potest in ani tradictionis nomen meretur. “Homo albus est.” “Homo non albus est”, tantundem. “Omnis homo albus est”, s vidam homo albus et contra. Quae praenotionem duplicem esse dicimus, verborum alteram, dum concluderetur ab antecedente, Quid si hoc idein dixerit Aristoteles. Rerum autem praecognitiones, et anticipationes genera sit. Definitiones et partitiones este principia omnium ferèar, tium, uel in desumptas quasdam maximas. Principia uerum non tantum priùs nota, sed esse notiora, ait, Aristoteles; immo verò ita clara, ut contraria quoque in de  rerum verum alteram. Et verborum illam dicimus, quae in omnibus definitionis, requiritur. Rerum verum, quae debet esse in definitione ad explicanberent. Immo eandem de terminis mediis et  extremis ut consta hil explicaret. Itaque syllogismi maior et minor hanc praenotionen habes et universales esse, unde speciales illis comparatae ptotimus concipiantur et concludantur. At verum id praecipuè in INFORMATIONE artis integra cue rifli mum esse putamus, ut a generalibus ad specialia progresia unde modi per ee emanant. Et primum illum tenemus, quando attributum est in essen et definitis totius et partium. Demonstrationis et demonstratii omnisque Explicationis et eiuste rminorum vocabuli somnino dum quod definitur in distributione ad explieta dum quod distribuitur, in demonstratione et qua vis expositione ad demonstrandum et ad exponendum quod quaeritur. Alioquini ret essere sis SIGNIFICATAS. Conclusio ergo, et problema, quod concluderetur, hang duplicem haberet praecognitionem Non: acciperet aucem siant manifestissima. Cum autem quae in scientia sunt, per se finto portet, sit, cum quid alicui aderit vel simpliciter vel quod amodoerit: cia   tiasubie et i, et ineius definitione ad hibetur. mus definitioni: quod uel exempla Aristotelem .palàm faciunt. Accedit QUARTUS MODU. Per se in est quòd causa sit certa et non fortuita generalis ergo hic modus per se, quotiessci licet causa e de suis effectibus dicuntur. PROPRIORUM ACCIDENTIUM eritne ullus. Tertius hic enim modus affections et accidentia cognata quod ammovo sensu, Aristotelis contextum declaratum iri. Omnes itaque modos per se ab Aristotelem retinerit enemus nec ab iici duos reliquos. Unde fit, ut consequentes artes antecedentibus subalternae sint, ubi aliquid docent, superiorum decretis explitionis uel inueniendae, uel iudicandae. Omnem disciplinam fieri autper demonstrationem, aut firmauit. Ac per definitionem et distributionem, accuratiorem sci entiam confici, quam per demonstrationem, tenemus. Quare non sequitur, Scio ex causa, propter quam res est quonia milius est causa. Nec aliter habere potest. ergo, Scio steriorum, e Platone ferem sumpta es e qui v is animaduerterepoterit. Plato enim ad instituendas artes, definitionem et distributionem proposuit. Syllogistica e demonstrationis, qualem Aristoteles cominentus est, non meminit. Tunc enimartes bene disputare, docere, demonstrare po secundus modus per se est primo contrarius. Per se est quod est in essentia et definitione attribute qui inodus distribution generis in species, aut differentias conuenit, ut pri 17 cabile. Ergo sic dialectice omnes sub-alternaes intin genererat: per definitionem, concedimus quod et Aristoteles rectem con per syllogisticam demonstrationem. De definitione uerò tam multa, quae differuntur in lib. Po do complectitur. At quo pacto ex Aristotelis littera Ex diffentaneo. Ideoque no terit Son3   terit quis, cum logicam inventioneimn ipsarum natura, qua litateque tota, ex causis, effectis, subiectis, adiunctis, ceterisque. Quirendam, recte fortassis affirmet Aristototele, tamen illud falsum, quod ad percipiendam hanc disciplinam de moribus praecepit, ut paedia in auditore praecedat. Quod autem ne adolescentes quidem percipiendis moribus esse idoneos voluit Aristoteles. Falso. Certem pueros quos damui dimus divinitate quad ammen ti, confirmarunt. Quae non protinus quid rectum, prauúinque sit; discar. Quincum Chrysippo putarunt et ante trienniumil  tis praeditos, ut in quibusdam, multorum virorum iudicia ex E los 1 argumentis per videnda. Cum dispositionem, in eadem vel uel syllogistico conclusionis iudicio a e vortino enunciati tandem ordinanda, ab ini stimanda et iudicanda, universatio per media ad extrema exercuerit. Et hoc pacto NOSTER TELESIUS est progressus in sua philosophia conscribenda. Antonio Persio. Persio.  Keywords: implicature, dialecticis, Telesio, Campanella, spirito come vita, animo come aria, Cicerone, Catone, Boezio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Persio,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria.

 

Grice e Pessina: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Studia a Napoli sotto GALLUPPI. Cura la sua storia della filosofia. Di idee liberali, prende parte ai moti. Pubblica un saggio sulla costituzione italiana che gli procura la persecuzione della polizia e il carcere. Recluso nell’isola di S. Stefano, sposa la figlia di Settembrini. Fugge dal regno, insegna a Bologna. Fonda “Il Filangieri”. Dei Lincei.  Muore nella suo palazzo in via del Museo, strada che prese in seguito il suo nome: Anche il palazzo dove visse. Aula a lui intitolata.  A lui è dedicato un busto alla passeggiata del Pincio. Saggi “Che cosa e il diritto private?” (Napoli: Poligrafico); “Procedura del diritto (Napoli, Jovene); “Il naturale e il giuridico – alla regia di Napoli” (Napoli, Accademia Reale delle Scienze); Il piu privati dei diritti (Napoli, Marghieri, Diritto e privacita (Napoli, Marghieri); Il privato del diritto (Napoli, Marghieri); Che e private nel diritto privato? (Napoli: Marghieri); “Il diritto privato” (Napoli: Priore); “Storia della filosofia” (Milano: Silvestri); Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. La scuola italica venne fondata da Pitagora che crea una filosofia matematica a CROTONE e TARANTO. L’anima, secondo Pitagora, è un numero che si muove. L'armonia dell'anima, o la sua rassomiglianza col divino costituisce la virtù; e la giustizia è l'equa retribuzione. La scuola di VELIA svolge pienamente l'idealismo dei Crotonesi; e la varietà, non negata da Pitagora, esclusivamente affermata dalla scuola gionica, venne assorbita dell'unità da Senofane, trascurata interamente da Parmenide – VELINO (si veda) -- , e negata da Zenone – VELIA (si veda) --, il velino. Empedocle di GIRGENTI (si veda) ed Anassagora seguirono l'eclettismo, ma il primo fu più proclive alla setta dei crotonesi, ed il secondo alla scuola gionica. La scessi ha a fautori i sofisti I quali sorgeano da tutte le scuole. GORGIA di di Lontino o LIONZO (si veda), discepolo di Empedocle di GIRGENTI (si veda), è sofista, e tale era benanche Protagora, discepolo di Democrito. Ma questi non pensano che a sedurre il popolo colle loro vane disputazioni e colla loro effeminata eloquenza. Nulla possiamo dire della filosofia appo i romani perocchè essi, rivolgendo il pensiero alle cose pubbliche, non poteano ri-concentrarsi nella severa meditazione filosofica. Epperò, anche quando la filosofia del dritto e la giurisprudenza fiorirono del romano impero, i giureconsulti non fanno che freddamente seguire ora la filosofia dell’orto o del portico. E se alcuno ci obbiettasse le opere di CICERONE, di Senеса, o di PLINIO, risponderemmo che questi filosofi saranno sempre degni di venerazione de’ filosofi, ma che non fondarono alcun sistema NUOVO. Neander, origine e sviluppamento de’ principali sistemi gnostici. Walsch de gnosticorum systematis fonte Lewald de doctrina gnosticorum. Olearii, De philos. eclectica.  stitui. D. Italia. Anco in Italia ebbe il sensualismo degl’adetti. Ma in alcuni è originale, in altri una imitazione di Locke, di Gassendi, e di Condillac. Fra’primi possiamo annoverare ZANOLLI, MURATORI, BIANCHI, e VERRI.  Il primo di questi,  7 2 be spazio è la relazione di due 'corpi di stanti l'uno dall'altro , che il tempo è la successione o consistenza per gli es seri creati , e che la felicità rattrovasi la scessi, tenta formare i principii più stabili dell'umana credenza, assegna la sola probabilità alle idee morali, e riconosce che i sensi ci fanno aperti i fenomeni esteroi ed il loro ordine successivo, ma non la natura della causa. Kirwan sostenne che non possono aver luogo gl’esseri senza una causa, che lo nello stato di piacere assoluto non-misto a veruna pena. Da ultimo, Young, dettando un trattato sulla forza della testimonianza, la rinchiuse ne’ confini della probabilità, e sostenne che essa è capace di un convincimento superiore ad ogni altra esperienza, tentando la spiegazione di molti fenomeni intellettuali colla dottrina sulla forza attrattiva delle idee, dimostra che tutte le umane azioni si rifondono in semplici probabilità. MURATORI, che è il solo curato fra’ filosofi ed il solo filosofo fra’ curati, indagando le forze dell'umano intendimento, confuta la scessi mediante una morale poggiata su’ principii della ragione e dell'amor proprio – cf. Grice, SELF-LOVE, OTHER-LOVE. BIANCHI fa dipendere il piacere dalla cessazione del dolore.VERRI vuole che si fosse a’ suoi tempi effettuata la dottrina del sentimento o del senso morale. Fra’ secondi, BALDINOTTI nega che si puo discoprire le essenze delle cose co’sensi o colla riflessione ed ammise il principio che ogni nostra cognizione debb'esser di fatto. Lo studio di Locke, dopo l'opera di BALDINOTTI attira in Italia molti proseliti, fra'quali possiam nominare a cagion di onore SARTI, PAVESI, TETTONI, CAPOCASALE, e BRIGANTI. Iovano molti filosofi, arversi per fede a’principii del Lockianismo, cercarono bandirlo; egli vi avea radicato i suoi profondi germi che si estesero insino all’aurora del secolo presente. Fra suoi seguaci si distinsero SOAVE, TOMASO, e VALDASTRI. SOAVE, seguendo il sistema di Locke sulle idee acquisite, riguarda l'idea come l'immagine degl’obbietti e fonda la certezza sulle tre evidenze di Condillac. VALDASTRI fa derivare dalla sensibilità tutte le nostre idee, trasse il criterio del vero dal senso intimo e sostenne nulla esservi di vero in meta-fisica se non fondato sulla economia del nostro essere. An co Rezzonico, Corniani e Prandi danno opera alla propagazione del condillachismo. Ma gl’italiani, benchè sensualisti, non si nabissano nelle funeste conseguenze del materialismo francese, perocchè risenteno ancora l'influenza della vera e sapa filosofia, la quale mai è, che si scompagni dalle verità che crediamo DIVINA. C. Italia. Giovenale, Magneni, Rufini, e Miceli segueno l'idealismo ed hanno a scopo comune quello di determinare l'ideale principio costitutivo delle cose. Ma Pino da a luce la sua proto-logia che, quantunque tenuta in dispregio da’ sensualisti, pure non lascia di onorare l'autore e la patria di lui. Questo saggio venne diretto ad indagare il primo della verità de' principii e delle scienze, l'uno che in se racchiude il principio delle scienze tutte. Egli con prove ingegnose e con sottili ragionamenti dimostra che le parole non ànno il primo senso nelle umane convenzioni, che esiste un primo, causa ed origine dell'umana intelligenza, che il primo principio della ragione è divino.  Law e Hutton sono i suoi più forti sostenitori – Law negando ogni realtà obbiettiva alle idee di spazio e di tempo; Hutton inclinando alle opinioni del celebre Berkeley. è strato all'uomo, che le parole non sono [Borovshi, Notizia sulla vita e sul carattere di Kant; Jachman, Lettere ad un amico in torno Kant - Wasianki, Emmanuele Kant negli ultimi anni della sua vita.- Biografia di Emmanuele Kant. - Rink , Tratti della vita di Kant. Bouterweck, Em. Kant. Rimembranze. Grohman, Alla memoria di Kant. Cousin, Lezioni sulla filosofia di Kant -- versione italiana di F. Triochera con note del BENEMERITO [B.] Galluppi -- Kant, Idee sulla maniera di apprezzare le forze vive Principiorum metaphysicorum nova dilucidatio. Considerazioni sull'ottimismo. Sogni di un uomo che vede gli spiriti] SEGNI DELL’IDEE, nè le idee segni delle parole, che il primo pensiero dell'uomo è il mistero nel senso dell'uno o primo, ovvero del divino; che l'analisi è la distinzione della pluralità costituita dall'uno; e da ultimo che non già la dimostrazione matematica, sibbene la scienza del primo è la ragione primitiva della scienza. Dietro l'impulso di Premoli, dietro gli sforzi di qualche altra e università che cerca difenderlo, il misticismo ha in Italia parecchi coltivatori, fra'quali si distinsero FERRARI e LETI. FERRARI fa derivare la filosofia dalla rivelazione del divino, dalla esperienza, e dalla ragione, ed assevera che il filosofo dove seguir laprima in preferenza dell’altre. LETI, attenendosi ad un principio rivelato o positivo, tenta fondare un sistema cosmologico sul “Genesi.” Epperò, secondo lui, tutte le cose han principio dal divino, lapima si congiunge con uno spirito materiale costituito come la vera forma delle cose materiali, e contenente la luce, l'acqua, la terra, che sono volatili o fissi, e formano gl’altr’obbietti. Ma la riforma  conoscendo la propria fallacia ed illusione, De ti intese della massime a divinità determinare derivare di S. ,edi le idee Tomuniaso gli Secco che immediatamente attribu, segue facendo da, le però il divino [Rousseau, Discorso sulla quistione se il risorgimento delle scienze e delle arti hanno contribuito a depurare i costumi. Discorso sull'origine e su’ fondamenti della ineguaglianza tra gl’uomini Lettere scritte dalla montagna; Del contratto sociale o principii del dritto Politico; Emilio o dell’educazione; Jacobi, L'idealismo ed il realismo Lettera a Fichte Alcune lettere contro Schelling Delle cose divine, Romanzi filosofici - Introduzione alla filosofia. Koeppen Della rivelazione considerata per rispetto alla filosofia di Kant e di Fichte Trattati sull'arte di vivere; La dottrina di Schelling Sul fine della filosofia. Guida per la logica. Saggio del Diritto naturale. Esposizione della natura della filosofia. Filosofia del Cristianesimo. Politica secondo i principii dell’Accademia. Teoria del Dritto secondo i principii di l’Accademia. Lettere ad un amico su'] C C filosofica sperimentale preoccupa gli spiriti per lo studio degl’obbietti sensibili; ed è questa appunto la ragione per cui le speculazioni del misticismo non ven nero accolte e ridotte ad una dottrina generale. tori. L'eclettismo ha de’ forti e valenti sostenitori. Ceva confuta Gassendi e Cartesio; la celebre Agnesi, prevenendo il Cousin, dice non doversi aderire a setta alcuna, ma scegliere tra le sentenze dei filosofi quelle che rispondono alla esperienza ed alla ragione. Corsini insegna non doversi seguitare ne i Cartesiani, nè il Lizio, ma le migliori opinioni di tutte le sette con una specie d’eclettismo. S. 7. venne sostenuto da molti 'Glo [L'Empirismo – Razionalismo] sofi, tra' quali si distinsero Luini, Gorini, Scarella, Ansaldi,Vico Stellini, e Genovesi. LUINI si oppone all'armonia prestabilita di Leibnitz accostandosi al pensiero della forma sostanziale [viene le categorie di Kant, ammettendo nello spirito certe idee prime, e discer de la percezione della convenienza o discrepanza di due idee dall'assenso dissenso a tale percezione. Secondo lui, la mente umana non può comprendere come convenienti due cose che re dell'anima, distingue nell'anima la sostanza 'le potenze i modi, afferma che nel percepire un oggetto noi ci distinguiamo dall'atto della percezione, che le potenze s'argomentano col ragionamento, che le forze sono una certa condizionata esigenza delle sostanze, che colla filosofia è dato di scoprire nell'anima una certa sovra-esistenza, e che il razionale non debbe superare il fatto. Gorini, elevando la dottrina dell'associazione, considera l'idea come semplice rappresentazione dell'oggetto, e sostenne il principio logico che la cognizione intuitiva è composta di due idee e la dimostrativa di tre. Scarella concilia il principio di contraddizione e quello della ragion sufficiente, prepugnano fra loro, il principio della cognizione stà nel predicato che chiaramente si vede convenire o disconvenire dal soggetto. Infine egli distingue gl’errori secondo le facoltà dello spirito, divide la psicologia in fenomenale e PSICOLOGIA RAZIONALE, classifica le facoltà, spiega i sogni con certe continue commozioni cerebrali, distinguel'anima umana da quella de’ bruti, indica due specie d'appetito, l'una sensitiva, l'altra razionale; ed ammette l'anticipazione in noi di qualche cosa innata, che dicesi idea. Ansaldi dimostra che il portico non è atto a diminuire i momenti di infelicità, confuta l'uomo macchina di Mettrie, il principio dell'associazione di Hartley, distingue il sentimento dalla sensazione; e provando che è impossibile dedurre il fisico dal morale, che le facoltà dell'anima sono indipendenti da’principii dell organismo, fonda il principio morale sopra una virtù costitutiva dell'ordine invariabile delle cose, lontanandosi dall’Utcheson e dalla dottrina dell’amor proprio – Grice: SELF-LOVE, OTHER-LOVE. Gerdil divide l’idee in idee di modi, di sostanze, e di relazioni, pone il criterio del vero nell’osservazione e nella esperienza regolate dalla ragione, dichiara l'idea dell'ente un idea di formazione, pone il criterio morale in un naturale criterio diapprovazione, che indipendentemente dalla considerazione e del proprio utile determina il giudizio o dettame pratico in virtù di una certa e conosciuta legge di convenienza – il principio di co-operazione -- di che l'uomo si compiace per natura; fa consistere l'ordine nel rapporto comune fra molti oggetti, deduce l'immaterialità dell'anima dalla diversità tra la sostanza pensante e qualunque sostanza corporea,  dall'impossibilità che la materia contenga la prima origine del moto di sostanza e di modo; deduce l'esistenza del divino dalla necessaria esistenza di qualchecosa ab eterno; pone per principio che le regole della morale per condurre al buon fine dove trarsi dalla natura umana, e colloca il fine o la e dalle nozioni. Egli si eleva ad un sistema empirico razionale fondato sulla storia e sulla ragione, e getta le fondamenti della scienza dell'umanità. Il suo metodo è ricavato dalla psicologia, dalla natura della scienza, e dal la geometria, ed in esso la facoltà inventrice, o la facoltà certa del sapere è preposta a quella dell'ordinare o comporre. Esso è l'analisi geometrica ben diversa da quella di Condillac. VICO venne a ridurre la filologia ad una vera forma di scienza e da ritrarre dalla mitolo  [Il nostro celebre concittadino VICO, conosciuto più a’ tempi nostri che a'suoi, più dagli stranieri che dalla sua patria, scrive la scienza nuova, monumento di gloria italiana, in cui egli avea indagato i principii filosofici della storia, precedendo di un secolo le teorie di Hegel, e Cousin . per а gia starei felicità nel bene sommo, o nell'amore divino. dire una vera storia; ei pose il   meta-fisica, che in sostanza è una vera teo-logia, si è di stabilire un vero appoggiato al senso comune ed all'ordine eterno delle cose, qual è il divino. Da questo priocipio VICO deduce che tutte le scienze emanano dal divino, rimangono comude  3 una na velle; che e criterio del vero: nel senso cerca surrogare il principio dell'autorità universale a quello della ragione individuale. Questo senso comune di Vico è un giudizio senz’alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta nazione, o da tutto il genere umano. Secondo VICO, il vero è diverso dal CERTO, inquantocchè quello è riposto nella conformità della mente coll'ordine delle cose, e questo nella coscienza sicura dal dubbio, quello fondasi sulla ragione, e questo sull'autorità. La meta-fisica è quella che stabilisce l'ente e il vero, ed è legata necessariamente alla religione romana cattolica. Lo scopo della sua , nel divino, e tornano al divino solo; che il divino è l'infinito posse, nosse ,   velle > ; corpo, contiene una virtù infinita di estensione che va all'infinito, e che dipende dallo sforzo dell'universo; e che il conoscere chiaro in meta-fisica è vizio, cosicchè approfitta in meta-fisica colui che si è perduto nella meditazione di questa scienza. Nella sua Psicologia VICO distingue la sostanza intelligente dalla corporea. Indi sostiene che quella è l'anima ed ha la sua  sede nel cuore, che in essa esistono le facoltà della memoria, della fantasia, dell'umano arbitrio; che la mente umana l'uomo è il posse, posse, nito, che tende all'infinito; che l’Ea te è Dio, e le creature esistono per partecipazione; che la causa unica è quella che per produrre l'effetto non abbi sogna d'altra; che l'essenza consiste ia una indefinita virtù; che l'anima è diversa dal corpo e dalla materia;che il 4 > 2 pe'pervi, che si danno gl’universali, o l’idee come forme delle cose che queste sono create dal divino, e che l'anima distingue l'uomo dalle bestie. Il non intende [VICO considera l'uomo come ente fioito procedente dal divino, superiore agl’altri animeli per la ragione, e in cui distinguesi la natura innocente dalla corrotta. L’uomo è naturalmente socievole, onde in lui un LINGUAGGIO. La sua vita propria è quella che è consentanea alla natura. A lui appartengono l'umanità o l'altrui commiserazione, il desiderio dell'utile, il carattere d'una comune cognazione di natura, l'istinto alla fede, il pudore, e infine la brama dell'onore. L'uomo insomma è un essere costituito d'intelletto e di volontà, corrotto in entrambi dagl’errori e dalle passioni, ma capace dello sforzo della mente al vero che come equo bene è il giusto, conformità della mente all'ordine è l'onesto. La giustizia, secondo VICO è la virtù universale. La virtù è la stessa ragione, e distinguesi in prudenza, come, temperanza e fortezza; e causa della società è l'onestà. Noi abbiamo verso il divino de’ doveri a soddisfare col culto, senza onestà non può darsi società civile, la giustizia dev'essere universale o architettonica, perchè uno è il divino. VICO nella sua Scienza nuova parte dall'idea o cognizione del divino che illumina gl’uomini e tutto dispone co'suoi ordini prestabiliti. A questa idea principale si rannodano le seguenti. Questo mondo è diretto dalla provvidenza divina. Questo mondo civile fatto dagl’uomini non è molto antico. In esso tutte le nazioni convengono sulla religione, sul matrimonio solenne, e sulla sepoltura. Su questi surgeno le nazioni più barbare. Tutte le nazioni percorrono III età: I età degli dei – GIOVE, MARTE, QUIRINO --, II età degl’eroi – ENEA, ASCANIO, ROMOLO --, III età degl’uomini – BRUTO, CICERONE, OTTAVIANO; III diverse lingue: I geroglifica, II simbolica, III volgare – il latino. Le nazioni furo prima di natura cruda, indi severa, quin di benigna, e poscia dilicala; la forma di governo è o teo-cratica o è delle repubbliche democratiche o aristocratiche, o finalmente è quella delle monarchie; formate le città nasco BO.le tras-migrazioni de’ popoli, ed il dritto naturale delle genti. Cresciute le nazioni, l'equità civile rafforza il dritto naturale. Tutto ciò dura finchè non sopravvengono delle grandi crisi per mutare il mondo civile. Queste vicissitudini umane formano il corso e il ricorso della nazione italiana nel quale si ravvisano III età, degli dei – GIOVE, MARTE, QUIRINO – II degl’eroi – ENEA, ASCANAIO – ROMOLO; III degl’uomini – BRUTO, GIULIO CESARE, OTTAVIANO; tre specie di natura: fantastica, eroica, e intelligente; tre specie di costumi: religiosi, colerici, e officiosi; tre specie di dritto naturale: divino, eroico, umano; tre specie di governo: I teocratico, II aristocratico o III democratico, e monarchici; tre specie di lingue, I mentale, II eroica e III di parlari articolati; tre specie di caratteri, geroglificii, eroici e volgari,  aleo VICO idea gli dini lesi doè nesto nė joni atri pri -in SUI are ; elit 10 specie di giurisprudenza, divina, eroica, ed umana; tre specie di autorità: divina, eroica ed umana; tre specie di giudizi: divini, eroici, umani; tre specie di tempi: religiosi, eroici, e civili. Tutte queste cose hanno apco un ricorso. Il corso e ricorso è fondato sul fatto. La storia ideale non è propria de Romani , tre Tor oé Iri. del co ed ute   ma di tutto il mondo. La Scienza nuova si offre sotto gli aspetti di Te-ologia ragionata, di filosofia, di storia delle umane idee, di critica filosofica, di storia ideale eterna, di sistema del dritto. naturale e delle geộti, di scienza de’ principii di storia universale. Questo grande uomo ha delle lodi e delle accuse, ma sarebbe lungo e difficile il giudicarle per vedere se le une o le altre preponderano. Epperò altro non facciamo che rimapere stupiti come intempi tantomeno civilizzati de' nostri che si addimandano civilissimi l’Italia abbia dato alla luce un ingegno sì 'straordinario e maraviglioso. La filosofia del VICO rimane ignota per lungo tempo all'Europa. Ma ha anco ra de continuatori fra’ quali vennero ad altissima rinomanza STELLINI e GENOVESI. STELLINI analizza le facoltà umane, affermando che il bene o l'ottimo stato dell'anima dipende dalla proporzione o dall'equilibrio di tutte, e fecede rivare la virtù dall'equilibrio tra le facoltà e le affezioni umane. Nella sua opera sull'originee su’ progressi de’costumi dimostra esservi tre epoche della natura umana, cioè quella de’ sensi che servono all'animo, quella dell'animo che serve a’sensi, e quella del mutuo commercio tra l'anima e i sensi. STELLINI integra, per dir così, la filosofia vichiana , in quantocchè Vico cerca nella storia la morale delle nazioni con quella degl’individui, e STELLINI fa la storia de costumi degl’individui colla morale delle nazioni, comprendendo l'assoluta necessità di dedurre i principii morali dalla natura delle cose che si offre spontanea alla nostra contemplazione, dando una unità sistematica alla scienza della morale, e riducendo la dottrina della virtù alla sola grandezza. FILANGIERI, PAGANO, ed IEROCADES proseguino quasi in silenzio la via luminosamente segnata da VICO e STELLINI, ma colui che si fa chiaro, e fra' Vichisti e tra gli’empirici razionali, è GENOVESI, nostro concittadino. Egli nella sua meta-fisica sostiene che non possiamo avere idee distinte intorno alla sostanza, che l'essenza consiste in varie proprietà, e che si distingue in reale, nozionale e nominale. L'anima secondo lui, è lo stesso subbietto pensante ed intelligente, ed è dotata d'intelletto e di ragione della percezione, del giudizio e del raziocinio; per ben filosofare è mestiere che si faccia uso di quelle idee che possiamo avere, che la verità sia chiara ed evidente, mai il filosofo non  il principio dell’autorità e dell'arte critica, cità della mente umana e della estensione della conoscenza. Secondo lui, la > 1 1 debbe scostarsi dalle dimostrazioni stabilite se non quándo ci si presentano dell’obbiezioni. Egli dichiara imperfetta la scienza teo-sofica e conchiude che ascendiamo al Verbo per via della ragione. Segue il principio che rion sidapno nemmeno l’idee intellettuali senza; un moto corrispondente nel cervello> ammette il principio del vero e del falso il cui criterio è l'evidenza intelligibile sensuale e storica > > . della capa   ra umana morale è mossa dal conoscere la natu in che trovansi due forze, l'una concentrica e l'altra diffusiva che entrambe dalla morale devono esser di rette alla felicità. Scopo della morale è quello di regolare e non distruggere l'uomo. La legge naturale è risposta de dae precetti di attribuire i proprii diritti al divino a te ed agli altri, e di fare tutto che conviene alla felicità del genere umano. Egli ripone la legge morale nella ragione e distingue questa come facoltà calcolatrice dalla regola che la governa e che consiste nel tenore dell'essenze e dei rapporti essenziali delle cose ordinate, e per la quale v’ba un'obbligazione perfetta che è della forza e della giustizia, ed un obbligazione imperfetta che è la legge dell'umanità. Egli dimostra ancora che l'utile è il più bello indizio di una legge generale che punisca o premii talune azioni, e che tutti i doveri si riducono si a rispettare le palu rali proprietà di ciascuno che ad acquistar le proprietà, perchè non s'invadano le proprietà di coloro i quali sono al medesimo piano dell'universo con noi. GENOVESI non è un filosofo originale, ma è originale pel suo metodo, per la sua chiarezza, per la sua critica; e se talvolta si desidera in lui maggior ordine, maggior precisione, ciò nasce appunto dalla difficoltà di riunire in un sol corpo l'intera filosofia italiana.  S all'immaginazione- De 2 Antropologia di Gorini-Luini, Meditazione Ansaldi, Riflessioni sui mezzi di perfezionare la filosofia morale. Saggio in torno traditione principiorum legisnaturalis- Elementa Logicae, Psychologiae, ac Theologiae naturalis, auctore Scarella Gerd il., Anti Emilio o Riflessioni sulla teoria e la pratica dell'educazione contro Rousseau. Piano degli Studii Logicae Institutiones Storia delle sette de’ filosofi. Principii della morale cristiana. Origine del senso morale. Memoria dell'ordine del divino e della immaterialità delle nature intelligenti. Philosophicae Institutiones quibus Ethica seu Philosophia practica continetur VICO: De nostri temporis studiorum ratione- Dell'esistenza De antiquissima italorum sapientia. De uno uni versi juris principio et fine uno liber unus. De Constantia jurisprudentis liberalter- Principii di scienza nuova STELLINI: Ethices Opera omnia PAGANO, Saggi politici Discorso sull'origine e natura della poesia. GENOVESI: Elementa metaphysicae. Elementorum artis logico criticae. La Logica. Istituzioni di meta-fisica pe’ principianti. Diceosina o sia Filosofia del giusto e dell'onesto. Per dar compimento alla esposizione dell'attuale filosofia italiana e insieme allo svolgimento storico de'si stemi filosofici non rimane che esporre lo stato della filosofia in Italia al secolo presente. I filosofi italiani oggdì si dividono nelle V classi dei sensualisti, degl’idealisti, de’ mistici, degl’eclettici e degl’empiristi razionalisti. La tendenza della filosofia italiana al dì d'oggi è l'Empirismo Razionalismo benchè si ravvisi qualche avanzo di sensismo, e som   qualche imitazione dell'idealismo alemanno non che del misticismo francese e del eclettismo scozzese. È il chiarissimo Barone GALLUPI che, colla potenza della sua dialettica, e colla severità del metodo analitico, rappresenta eminentememente la filosofia in Italia, movendo guerra sì all'idealismo di Kant che al sensualismo del Condillac. Noi per seguire l'ordine ideo-logico dei diversi sistemi di filosofia esporremo pri mamente le dottrine degl'empirici. Po scia verremo agl’idealisti, a’ mistici, ed agl’eclettici; e da ultimo agl’empiristi-Razionalisti.  POLI: Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di Tenneman. Gioberti: Del Primato morale e civile degl'Italiani. I capi del sensualismo italiano nel secolo presente sono Gioia, Romagnosi, e Lallebasque. GIOIA (si veda), fondando la sua filosofia sul la ricerca de’fatti, non fa che mirare aduna scienza popolare. Procedendo in tal modo egli trova tre facoltà fondamentali: la sensazione, l'attenzione ed il raziocinio. Indaga l'origine delle sensazioni e dell'istinto, ammise l’organizzazione e gli stimoli esterni come cause dell'istinto, e spiega l'anomalia delle sensazioni, e le loro leggi, por gendo un cenno storico sulle norme materiali che furono falsamente riguar date come norme misuratrici della in telligenza. Riguardo a'prodotti intellet tuali e morali , egli inclinò ad una i deologia fisiologica , che egli conchiude con una teoria del piaceree del dolore, in cui considera il dolore come n o n sempre proveniente da lesioni organiche, e il piacere come non sempre effetto della cessazione del dolore , e stabilisce l'azione reale del piacere e del dolore, e le loro sorgenti come inoti maggiori o minori del moto ordinario delle fi bre. Poscia dimostra che essi influisco  no sulla felicità, sulle facoltà intellet tuali,sulle affezioni sociali, e sulle passioni ; e rettificando le nozioni false sulla vita , mostra che le sensazioni u- nite alla forza intellettuale cisvelano l'e sistenza del me e del fuor dime epro ducono certe operazioni diverse dalle semplici sensazioni ; cpperò distingue la sensazione dalla idea e dal giudizio. Nella filosofia morale, GIOIA dove soggiacerealleconseguenzedelsuo si stema empirico ; ed infatti il suo prin cipio è che la morale è la scienza della felicità, riponendo egli la felicità dell'a vanzo delle sensazioni gradevoli su’mali; e che la virtù è una somma di atti uti li disinteressati. Il sistema di GIOIA è erroneo e difettoso , perchè tende a generalizzare il sensualismo, favorisce il sistema del piacere, approssima l'ideologia alla fisica, analizza superficialmente ed inesattamente i fenomeni psicologici, e deduce da un fatto incerto una teori ca o un principio. Ma la comunicazio ne della scienza al popolo , una filoso fia pratica e sociale, una mente vasta e perspieace, un giudizio avvalorato dalla induzione ,una ammirabile chiarezza d'idee e di ragionamenti;ed una scelta erudizione, sono le doti che se fossero andate disgiun tedanonpochierroriavrebbero formato di Gioia un pensatore non mediocre. ROMAGNOSI (si veda) segue, nel suo metodo, ne'suoi principii, e nelle suededuzioni, l'empirismo, ma un'empirismo psicologico, da lui manifestato, cercando il principio del dritto nale nelle relazioni appoggiate Pe all'es senza ed alle reali connessioni delle co se, dimostrando che l'arte di governar la società deve riuscire l'ordine morale di fatto perfezionato, e che nella spo sizione dell'ordine teoretico e pratico debbe aver luogo la storia della natura umana e delle sue relazioni 3 nendosi la ricerca de'fenomeni e propo psicolo gici sperimentali , lasciando le astruse indagini della metafisica psicologica. E gli definendo la psicologia , la dinamica dell'uomo interiore; stabilisce le tre funzioni psicologiche del conoscere, del volere, e dell'eseguire , dichiara l'esi stenza del me e degli altri corpi il cui carattere esclusivo è la pluralità di so stanze compresa in un sol concetto ; e dimostra che le sensazioni sono i segni reali e naturali cui in natura corrispon dono le cose e i modi di esseri reali che il sentire è diverso dall'intendere che stà nel percepire l'essere e il fare delle cose ; che il senso intimo è una facoltà occulta che unisce all'uno il moltiplice , al semplice il complesso, che perciò è suo ufficio il conformare gliatti psicologici che qualificano l'in tendere, il dettare un sentimento in ogni giudizio , l'attrarre ciò che è ana logo e respingere ciò che ripugna ; che laleggedell'umana intelligenzaè funzione in cui il senso dell'azione ri cevuta e quello della reazione corrispo sta concorrono a produrre la percezio ne dell'essere e del fare ideabile delle cose. Nulla,secondo lui,avvi d'innato o a priori riguardo alle idee che tutte  e una   derivano dalla sensazione combinata col la reazione o dalla competenza dell'Io combinata con quella degli obbietti e sterni. Egli ripone il criterio del vero nel principio di contraddizione , consi dera la causa come un non so che rac chiudente il concetto d'una potenza pro duttrice di un atto o di un fatto; ne ga le idee iunate pel principio che l'Io vedendo tutto in sè stesso non può di stinguere dall'acquisito ciò che vi si rattrova d'innato; considera il valore della prova nella certezza , e nel dubbio , e conchiude che lo stato esterno e sensibile degli ele menti delle prove è fondamento univer sale e primitivo del loro impero. La morale, secondo lui, stànel proporzionare la natura de' mezzi secondo la speciale considerazione del fine. Il principio generale della sua morale è l'ordine della perfezione , cheper leg ge di fatto reagisce su quello della conservazione tanto coll'insegnare quan to col somministrareimezzi delmiglior  bilità , e nel dubbio nella proba Lallebasque congiunge alla scienza del pensiere la filosofia naturale. Secondo [È comune opinione che sot to il nome di Lallebasque tenga celato quello del caraliere BORRELLI:  essere umano; e che mira al benesse re all'utilità fisica o morale ed alla umana felicità che costituiscono l'uomo attuale e le leggi naturali per cui l'uo > mo , com 'essere perfettibile è tenuto a seguire l'ordine morale di natura. E gli distinse l'incivilimento dalla civil ne pose le basi nella natura nella religione, nell'agricoltura, nel governo, nella concorrenza; ed il prin cipio nell'incivilimento sempre dativo. Una mente vasta, un ingegno acuto e profondo ed una dialettica rigorosa formano tutti i suoi pregi; ma è in e qualche modo oscuro e confuso , né fu tanto innovatore quanto lo predica rono i suoi proseliti, e per l'empirismo da lui professato, e per le diffi coltà della scienza, là; g  lui,lasensazioneèprimitiva, conti nuata, riprodotta ed aumentata; ed è lo stesso che l'idea , tranne che questa si adopera più di frequente a signifi care le funzionidell'intelletto. In quan to al giudizio, egli distingue quello di occupazione da quello di attenzione;e riduce ogni giudizio a quello di diver sità; considera il raziocinio come l'atto onde due idee producono un giudizio per via d'una terza. Riguardo alla vo lontà egli sostiene che il calcolo voli tivo e l'atto prelativo si risolvono in un giudizio di preferenza pel quale la volontà sisviluppa come un'azionecon cui l'animo eccita i nostri organi a pro cacciarci ciò che abbiam prescelto. In trattando della scienza etimologica, egli ripartisce le lingue in radicali e produttive. Indaga l'origine delle parole e le loro cause, che sono l'imitazione, il bisogno, il comodo, l'arbitrio. Riconosce due mezzi per trovare le lingue radicali: la ricerca de'popoli che han comunicato con quello per la cui lingua han luogo le indagini etimologiche, e l'attignere dalla lingua derivata la noti zia di quelle che àn concorso a formarla. Un luogo stuolo di empiristi tenne dietro a questi Àtre pensatori. Gigli de finisce la filosofia la scienza di ciò che può conoscersi con esatte osservazioni e con esperienze bene istituite. SAVIOLI è seguace di Locke e di SOAVE. Troisi riconosce ne'sensi gli strumenti delle po stre prime idee. MAZZARELLAriconosce l'attività e la sensibilità come proprietà costitutive dell'essere semplice ;Bini dichiaratutte le idee provvenire all'ani ma col mezzo de'sensi. PEZZI nega l'e sistenza delle appercezioni e delle idee astratte. Accordino fadipendere tutte le facoltà dell'anima dalla sensibilità, e riguarda l'uomo neiprimi momenti della sua esistenza come una tavola .rasa ove non è impresso alcun carattere; MARA no distingue la percezione dall'idea e preferiscel'analisi. ABBÀ fa dipendere le idee dal senso e dall'azione dell'anima. ZELLI afferma che l'uomo riceve le losofico sulla coscienza. TESTA afferma che il sentimento non può fallire al ve e che l'osservare la natura e fi -prime idee per mezzo de'nervi ; Alberii dichiara pescibile tutto che esce dalla sfera del mondo sensibile. PASSERI riconosce l'influenza del fisico sulla rettitu dine delle nostre azionispirituali. SANCHEZ niega alla ragione la conoscenza dell'assoluto e trae tutte le idee da' sensi. GATTI dichiara esser la sensazione il risultamento di una conformazione spe ciale vivente. BONFADINI riconosce il metodo induttivo come mezzo logico della verità, e spiega l'origine delle idee coll'analisi e coll'astrazione. REGULEAS pretende nell'anima altro non esservi che il sentire. BRUSCHELLI trae l'esistenza del mondo e del divino dall'osservazione de' fatti che ne circondano. GRONES dichiara la metafisica la scienza delle cose astratte conoscibili per mezzo dell'osservazione costante e delle esperienze accurate. PIZZOLATO forma della filosofia una scienza fenomenical. BUTLURA poggia il sapere ro, studiarne i fatti sono i soli mezzi sicuri d'ammaestramento. BRADI riduce la certezza alla diretta cognizione del modo di essere speciale degl’obbietti. FAGNANI fonda il suo sistema gloso-fico sul dinamismo e sulla sensibilità. BRAGAZZI propone per facoltà d'apprendere l'osservazione de'fenomeni dello spirito e per criterio del vero la verificazione. COSTA sostiene la memoria e le altre facoltà a simiglianza della sensazione, ed ammette l'origine delle idee generali e normali dall'idea individuale. FERRARI segue il principio dell'associabilità interna e FELLETTI quello dell'utile umanitario. L'empirismo venne applicato alla pedagogia da PASETTI, FONTANA, TOMMASEO, e RENZI, alla storia da ROSSI, alla estetica da CICOGNARA e DELFICO, e dalla genealogia delle scienze da PAMPHILIS, ROSSELLI, e FERRARESE, che riunisce tutti i rami delle scienze a quella dell'uomo, seguendo il principio che in esse tutto è relativo a noi. [e Gioia : Il nuovo Galateo ca Tavole Statistiche sofia ad uso delle scuole Logica Statisti Elementi di filo Ideologia. Esercizio logico. Nuovo prospetto delle scienze economiche. Del merito e delle ricompensa. Dell'ingiuria, de'danni, e del soddisfacimento. Indole, estensione, e vantaggi della Statistica ROMAGNOSI: Che cosa è mente sana? Indovinello massimo. Della suprema economia dell'umano sapere. Vedute fondamentali sull'arte logica. Dell'insegnamento primitivo delle matematiche. Assunto primo della scienza del dritto naturale. Introduzione allo studio del dritto pubblico universale. Dell'indole e de'fattori dello incivilimento. Biblicteca italiana. Vari articoli di filosofia. L'antica filosofia morale. Genesi del dritto penale. Progetto del codice e della procedura penale. LALLEBASQUE: Introduzio De alla filosofia naturale del pensiero  la - - - cu mo Fa il - - - cato su! si dal per Ista OS ette mali Fel en -ia oi. Eila, alla . ea dal Fer àa cipii della Genealogia del pensiero. BORRELLI: Gia Troisi: L'arte di ragionare. Istituzioni metafisiche. Mazzarel Intorno a'principii dell'arte etimologica gli. Analisi delle idee la. Corso d'ideologia elementare. BINI: Lezioni logico-metafisico-morali. PEZZI: Lezioni di filosofia della mente e del cuore, riformata e dedotta dall'analisi dell'uomo. ACCORDINO: Elementi di filosofia. Regole dell'arte logica. Marano ABBÀ: Elementa Lo Pringices et Metaphysices. ZELLI: Elementi di metafisica. PUNGILEONI: Dell'udito vista. Alberic: Del nescibile. Passeri: - e della Della natura umana socievole. Sanchez: Influenza delle passioni sullo scibile umano. GATTI (si veda): Principii d'ideologia. BERTOLLI: Idee sulla filosofia delle scienze morali e politiche. GERMANI: Dell'umana perfezione. SCARAMUZZI: Esame analitico della facoltà di sentire. BONFADINI: Sulle categorie di Kant. REGULEAS: Nuovo piano d'istruzione ideo-logica elementare. BRUSCHELLI: Praelectiones elementares logico-metaphisicae. BUTTURA: La coscienza logica. TESTA: Introduzio ne alla filosofia dell'affetto. Filosofia dell’affetto. BRAVI: Teorica e Pratica del Probabile. FAGNANI: Storia naturale della potenza umana. Elementi dell'arte logica. BALDINI: Cenni sopra un corso di filosofia. RAMELLI: Prospetto degli studii filosofici nelle scuole comunali. NESSI: Schizzo intorno i principii di ogni filosofia. OCHEDA: Filosofia degl’antichi. GRONES: Ricerche metafisico-matematiche sulla lingua del calcolo. PIZZOLATO: Introduzione allo studio della filosofia dello spirito umano. SAVIOLI: Institutiones metaphysicae in Epitome redactae. ZANDONELLA: Elogio di Bacone. COSTA:Del modo di comporre le idee. FERRARI: La mente di Romagnosi. FELLETTI: In torno ad una nuova sintesi delle scienze. PASETTI: Sull'educazione fisico-morale. FONTANA: Manuale per l'educazione umana. TOMMASEO: Scritti varii sull'educazione. RENZI: Sull'indole de'ciechi. ROSSI: Studii storici. CICOGNARA: Ragionamenti su bello. DELFICO: Pensieri sulla storia e sulla incertezza ed inutilità della medesima. ricerche sul bello. PAMPHILIS: Genografia dello scibile considerato nella sua unità d’utile e di fine. ROSSETTI: Dello scibile e del suo insegnamento. FERRARESE: Saggio di una classificazione sopra le scienze del l'uomo fisico e morale. Delle diverse specie di follte. Ricerche intorno all'origine dell'istinto. Trattato della mòno-mania suicidia. Esame dello stato morale ed imputabile de'solli mono-maniaci.  Elementi di ito e dela. PASERI Paseri: Sanchez:In - - umano Bertolli: 1 orali epolis perfezione- a facoltà di orie di Kant uzione Praelectiones - Buttura : -latroduzio ilosofia tiia delPro e delap e logica- del ideo orso dinilo spetto del ali- NESSI filosofia – e sula oduzione a GRONES : lin - ee umano – in Epitome Bacone elletti . For :lo S 3. Non ostante il gran numero di fautori che si procaccia l'empirismo, pure si avverte ilbisogno di spiegare la natura umana non dall'esperienza, ma dalla subbiettività dell'uomo. Epperò sorgeno i razionalisti a combat, il secondo affermando l'assoluta necessità delle idee innate, o de principii apriori, ed il terzo annunziando esser la filosofia una scienza degl’enti di ragione. LUSVERLI considera le facoltà come COLUI il quale da una forma siste  ! un potere di produrre qualche effetto, dipendente dalla forza spirituale. DEFENDI riconosce ne'sordo muti l'idea dell'ente in universale, e PARMA nel fondo di ogni esistenza rattrova l'essere. CERESA afferma essersi im battuti nel vero coloro i quali riposero il principio del conoscere nella pura subbiettività che è sola infinita, spontanea, positiva, e tale che l'uomo per suo mezzo elabora la sua obbiettività. o tere le tendenze empiriche; ed aspira rodo a spiegare i problemi più difficili della filosofia; ma non si elevarono alle chimere ed alle astrazioni del trascendentalismo alemanno. Maggi, Bianchetti, e Receveur coltivarono il razionalismo pel suo lato obbiettivo. MAGGI cerca un sommo archetipo logico e supremo, P   1aspira 1 dificili ronoale Trascen ilBian: tempo , di spazio , di iriposero 0 ilha etiro, RECEVEUR  an na scienza considera che tipolos afermando ionate, 0 prodare Jalla fora nesont ersale; eld stenza rat essersi im pura possibilità dell'essere medesimo. Secondo RECEVEUR, quest'idea è è innata, poichè non proviene nè da'sensi nè dal sentimento dell'io, nè dalla riflessione; e da essa derivado tutte le idee acquisite diforma e di materia , di sostanza. Egli si propone di ricondurre la filosofia dell'intelletto sulla giusta via, combattendo i sistemi che hanno perturbate le menti e disonorata la filosofia, e stabilire un criterio saldo e irremovibile alla verità ed alla certezza. SERBATI segue ilprincipio che l'idea unica ed innata si è quella dell'ente nell'universale. Egli preferi che riducesi a’ due sce il suo metodo assiomi di non assumere nella spiegazio ne de'fatti dello spirito umano, nè meno nè più di quel che è necessario a spiegarli. Egli parte dal principio che l'uomo pulla può pensare senza l'idea dell'ente; che quindi la qualità più generale delle cose è l'esistenza nella pura suk 7 spontana I suo mez matica al razionalismo si e SERBATI. Egli si di di essenza, di causa , rma siste  moto, e di estensione. sso è il senti mento intellettuale, l'intelletto medesimo. Ecco i punti principali della sua teoria. L’anima ha due potenze originali: l'intelletto, che ha per obbietto essenziale la forma e la sensibilità che è esterna se ha per obbietto un corpo, interna se ha per obbietto l’io. La coscienza upisce la sensibilità all'intelletto con una sintesi primitiva, il cui effetto è la ragione scorgendo i rapporti generali, ed è la facoltà di giudicare congiungendo l'attributo al subbietto la sensibilità esterna è tratta ad operare colla materia prima, e la ragione produce le percezioni intellettive; donde la facoltà di generalizzare e la libertà all'indefinito svolgimento delle facoltà dell'uomo. Egli distingue la sensazione dalla percezione sensitiva, l'idea di una cosa dal giudizio sulla sua sussistenza, la percezione sensitiva dalla intellettiva, un atto dello spirito dall'avvertenza dell'atto. Finalmente dimostra che è impossibile che l'uomo percepisca una cosa diversa da sè;  I   che lo spirito comunica le sue proprie forze alle cose percepite; che l'idea del l'essere è fonte e criterio del vero e genera la cognizione de'corpi, di noi; del divino, ed anco la legge morale. Per tal modo l'idea dell'ente è, secondo lui, il primo principio innato nella psicologia e nell'ontologia, il criterio del vero e del certo nella logica, il principio supremo del bene e del dovere nella m o rale.  senti nedesi lasua Itoeso chee le quattro idee di spazio , di tempo , rigio io огро, lacr eleto to| gene CON Terce adal 0;he :cold acele Non rimane che dirqualche cosa in torno al nostro concittadino COLECCHI, seguace in qualche modo della filosofia di Kant. COLECCHI pone di sostanza , e di causa efficiente , colle quali espone le leggi della ragione che egli dichiara comuni ad ogni sistema fi losofico.Il principio del suo sistema è questo: l’io non potrebbe determinare la sua esistenza nel tempo senza una esi stenza interna, dal quale deriva che la cagione movente la sensibilità non può riponersi nello stesso me, cioè che il cel indef. uomo berce 7atto atto. eche   vario delle rappresentazioni nasce all'occasione del di fuori che modifica il sen so; che la riunione del vario nello spazio e nel tempo è opera della fantasia,  è e quindi chel'unità sintetica dell'oggetto nell'esperienza è un prodotto della fantasia di accordo con l'intelligenza. Secondo lui, l'induzione fisica è diversa dall'induzione matematica inquantocchè quella mena allo scetticismo e questa a cono scenze necessarie ed universali; se il rap porto tra le idee è neeessario, le idee e i termini di questo rapporto son tali anch'esse ; ogni nostra conoscenza in comincia da'sensi , e passa da questi al la intelligenza. Riguardo alle leggi della ragione egti sostiene che la ragione esi ge inogni esperienza come data la to talità delle parti dello spazio e degli arti colideltempo non confondendo quello che è con quello che appare,. lità delle parti del tutio dato nella divisione, la totalità delle condizioni nella catena delle cause e degli effetti, pro nunziando l'accordo delle due causalità la tota-  della natura e della libertà , il necessa rio nella serie de contingenti ed infine un ente assoluto, dotato di tutte le possibili realtà, il divino. Nella morale, egli sostiene che il principio della propria felicità non può elevarsi alla dignità di legge morale, che le due idee del giusto e dell'ingiusto sono originarie e non fattizie, e che le regole etiche, le quali dirigono l'uomo interno sopo essenzialmente diverse dalle giuridiche che dirigono l'uomo esterno. Colecchi non è solamente seguace del Kant; ma egli cerca armonizzare colla morale i pensamenti del Vico sulla filosofia e sulla legislazione; anzi poichè le verità del Kantismo eran sepolte nella scienza ila lica, Colecchi ha saputo raccogliere un seme da'principii di questa per produrre novelli frutti e contribuire allo a vanzamento delle filosofiche discipline. Receveur: Institutionum philosophicarum elementa Maggi: Critica sistematico-univerle e guida alla rigenerazione della filosofia. Bianchelti: Studii filosofici tuzioni logico metafisiche. Lusverli: Isti Defendi: Sul dolore estetico e sull'entusiasmo, ragionamento. Parma: Supplimenti sul sansimonismo. Serbati: Saggio sulla felicità. Saggio sulla unità dell'educazione. Opuscoli filosofici. Saggio sull'origine delle idee. Principii della scienza morale. Frammento di una storia dell'empietà pii e leggi generali di medicina e filosofia speculativa, Colecchi: Quistioni filosofiche. Ceresa: Princi.] Il sensualismo venne anco combattuto da taluni che, seguendo l'esempio della scuola teologica Francese, si elevarono al misticismo e fondarono la scuola de’ soprannaturalisti, che fanno prevalere la fede ed il sentimento sulla riflessione e sulla ragione. Primo fra questi, Palmieri attacca di fronte l'empirismo, mette in campo le idee innate come impressioni permanenti e modifcazioni dello spirito, afferma che sonovi nello spirito delle idee e delle impressioni non avvertite  e  la teologia hanno lo stesso scopo, cercano un solo vero discutono gli stessi principii, esse non ponuo essere due scienze. Mastrofini si vapta autore di una meta-fisica subli- .attualmente che la ragione per giudi care debbe seguire certe basi e regole impresse nell'anima; e ri-vendicando l'autorità de'libri sacri, confutando il Kantismo e negando alla filosofia la facoltà di spiegare lo stato èdell'uomo sostiene che tutti i suoi sistemi sono contraddizioni manifeste, e che il solo vero è il soprannaturalismo che è l'unico, e non contraddittorio, quando anche la ragione non potesse sentirne chiaramente l'evidenza. Manzoni stimando incompiata la filosofia che anno gli uomini sul giusto e sull'ingiusto indipendentemente dalla religione, e la distinzione tra la filosofa e la religione come una imperfezione, si accosta al soprannaturalismo, sostenendo che la filosofia morale va congiunta alla teologia, che la ragione naturale è imperfetta, e che se la filosofia e. Il nome di Licinio Ventebranz è anagrammatico ed é celato in esso quello di Albertini  me in cui applica la filosofia alla teologia; Ventenbranz predica una filosofia eclettico-cristiana; Perolari Malmignati sostiene che la sola filosofia verissima è la morale cristiana. Olivieri e Pasio sostengono una morale dedotta dalla ri-velazione. Cesare Cantử dimostra che, dovendosi basare la giustizia positiva sull'assoluta, non puo giammai mepare ad effetto questa sua condizione se non colla religione positiva; che l'umanità è regolata dal divino, che il linguaggio della parola è dato dal divino all'uomo e con esso tutte le idee primitive di giustizia e di rettitudine morale. Parma pretende che ogni sistema filosofico debba dipartirsi da un dato primitivo anteriore alla dimostrazione, e che sola la filosofia religiosa assume tutti gl’elementi del materialismo, dell'idealismo e dello scet  Riccardi fa consistere il difetto di ogni filosofia del vizio logico e morale di sostituire la parola natura al divino; e pretende la scienza essere essenzialmente religione, non potersi dar conto di alcuna cosa che risalendo al divino, la filosofia non dover concludere contro i fatti della ri-velazione, la stessa fisica esser falsa se a questa è opposta. Ventura cerca identificare la filosofia alla ri-velazione. Secondo lui, la filosofia statutta nel metodo, il fondamento della certezza è riposto nel senso comune, l'intelletto e la verità costituiscono un tutto indissolvibile, l'uomo si rapporta al divino, la convenienza dell'ente coll'intelletto forma ad un tempo il sommo vero ed il sommo bene, l'uomo debbe conosce  ticismo, epperò, secondo lui, la teologia è un ingrandimento dell'umana ragione, o la scienza dell'umanità illustrata da'più alti intelletti, la filosofia non è che la religione, essa comprende la teo-logia, 1'etica, la logica e la fisica e debbe re Dio mos  [Gioberti è un sostenitore del misticismo. Egli cerca surrogare l'ontologia al ta psicologia, e il metodo sintetico all'analitico; segue il dommatismo, cercando dedurre ogni cosa con logica stretta e severa; unisce la filosofia alla teo-logia, subordinando la prima alla seconda; e distinguendo la parte razionale da quella che è superiore alla ragione, incomincia dal primo ente, in relazione alla mente umana; e, dopo aver presentata una dottrina dell'assoluto si intrattiene a mostrarne lo svolgimento in tutte le forme delle scienze umane e divine. Secondo lui, la  un tutte le sue parti decidere coll'autorità generale. Intorno a Gioberti e mestiere leggere la nota di ROVERE (si veda) SULĽ ONTOLOGIA E SUL METODO ed un articolo di Massari cui è titolo: CONSIDERAZIONI SULL’INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA FILOSOFIA propo DI GIOBERTI (Progresso). V. de e combinati con essa formapo tre realtà indipendenti dallo spirito, cioè una sostanza ed una causa prima moltiplicità di essenze e di sostanze, ed un atto col quale l'ente si collega alle esistenze; il nostro pensiero intuisce questa realtà con un atto semplice e simultaneo che precede ogni intuizione particolare, e per cui mezzo l'intelletto percepisce leproprietà essenziali dell’ente mercè la ri-velazione; l'idea non può addivenire obbietto di riflessione senza la parola interna, quindi è necessario l'intervento del linguaggio per opera della ragione; vi è gran differenza fra l'intuizione e la riflessione, fra il metodo ontologico e il metodo psicologico, e d'accanto alle facoltà che a p > > sizione. L’ente crea le esistenze è la formola ideale che comprende tutte le nozioni dello spirito umano; ogni suo membro esprime una realtà obbiettiva assoluta e necessaria nell'Ente, relativa e contingente delle esistenze; questi due membri son legati dalla creazio una > e   non ha lasciato di cadere in molti gravi errori, specialmente quando egli prendono l'intelligibile, avvidell'uomo un istinto che mira al sopra intelligibile senza poterlo giammai conoscere. L'ente si offre al nostro pensiero come lecido e tenebroso; e da ciò sorge il legame e strettissimo tra la filosofia e la teologia tra’dogmi ri-velati e i razionali. Egli applica la sua formola ideale a molti problemi di logica, d'ideologia, e di meta-fisica; prova la sua fecondità e larghezza in lei rattrovando la ragione e la fonte del sapere; imprende a delinear nela storia attraverso le opinioni, le credenze, e le rivoluzioni de'popoli, ed a mostrare che dessa abbraccia la ragione di tutti sistemi potevoli di filosofia. La sua filosofia offre il primo esempio di una meta-fisica ortodossa, ma ardita ed originale; sicchè può dirsi aver egli tentato di mostrare i legami tra la filosofia e la ri-velazione cattolica estimando il progresso delle scienze sperimentali e lo svolgimento della civiltà ma attaccando il metodo psicologico, afferma che esso e  la cagione del mate  e quando sostituisce al metodo analitico il sintetico. È principio riconociuto da ogni sana mente che l'analisi di per sè sola non può menare allo scoprimento della verità; ma è falso che la sola sintesi si adatta a darci la nozione del vero. L'unico metodo è quello di conciliare l'analisi alla sintesi; perocchè vi sono delle idee che conoscia mo per mezzo della sola analisi, e delle altre che conosciamo per mezzo della sola sintesi. E poi l'accagionare Cartesio di tutte le dottrine materialiste palesa una immoderata avversione al psicologismo che da alcuni si vuole esser l'ultimatum della filosofia, ma dal quale noi stimiamo doversi partire per giungere al l'ontologia, alla conoscenza della legge che regge il mondo sensibile ed il mondo soprassensibile. Del resto Gioberti evitando ed il pan-teismo ed il " rialismo che nel secolo scorso ebbe lao go,   · rolar [Malmignati : Lezioni filosofiche. Parma: Sulle opere di Gerbet. Supplimento sul Sansimonismo. Cantù: Notizia di Romagnosi.  Riccardi: Lapratica de'buoni studi. Discorso sulla filosofia. Ventura: De methodo philosophandi. Gioberti: Introduzione allo studio della filosofia. Errori filosofici di Serbati. Teorica del sovrannaturale filosofia estetica. Saggio sul bello e Principii di Del Primato Morale e civile Lettera sulle dottrine filosofi degl’italiani co-politiche di Lamenoais.  parallogismo nel dedurre con ragionamenti a priori la scienza de' Gniti da quella dell'infinito, non fa altro che proclamare la verità della ri-velazione cattolica. Palmieri: Analisi ragionata de'sistemi e de' fondamenti dell'ateismo e della incredulità. Manzoni: Osservazioni sulla morale cattolica. Mastrofini: Le usure Olivieri: La filosofia morale. Pasio: Elementa philosophiae moralis cum notis. Albertini: Discorso critico intorno a’ pregiudizii ed errori ed a'tanto disputati due metodi d'insegnare le scienze astratte. Lo Spirito della Dialettica. Pe C C -  osserva che i sensualisti hanno preso una strada erronea occupandosi della quistione sull'origine delle idee e mischiandola con quella sulla realtà dell'umano sapere che essi non han conosciuto l'uomo che per le sole sensazioui tralasciando l'analisi dell'essere interno, che non hanno avanzato la scienza, non potendovi essere scienza Glosofica filosofica senza la cognizione dell'uomo intelligente e morale; epperò cadde in errore coloro i quali lo annoverarono tra'sensualisti. Il suo metodo è di ricercare tutto che i filosofi italiani hanno scritto intorno ad esso  .1  ida e de ta scien emo 1 oried -A Pour tosul Ro studi ala ra : tro 2 cibi do, iïdi osofi civile che zione della scuola scozzese. Oltre Sebastiani e Corradini, dobbiamo poverare S 5. Sonovi in Italia alcuni filosofi che si addano a coltivare l'eclettismo tra questi ROVERE (si veda) e WINSPEARE (si veda) Winspeare. Rovere, comparando, sceglien e fondendo i loro trattati, ecco l'ecletismo. Il principio che egli accoglie è di esaminare non solo i fenomeni sensibili, ma gl’interni, cioè i fatti e rigettare tutte le idee non comprovate dall'esperienza come fatti esteroi, o incompiute per aver trascurato una di queste serie; e, secondo lui, le ultime conclusioni della filosofia razionale debbono combaciare con le opinioni del senso comune, quindi pos sono tacciarsi di false quelle teorie che credono mostrare che il genere umano sia caduto in errore. Ora se tali sono i principii e tale è il metodo degl’eclettici e degli scozzesi, e se la scuola cui appartiene un autore debbesi rilevare dal metodo e dai principii, possia modire che l'autore si approssima all'eclettismo della scuola scozzese. Veniamo ora al le sue principali opinioni. La filoso > venne dagl’uomini cercata; ma questi hanno mancato di buon metodo non serbando proporzioni tra’ diversi elementi che costituiscono la natura; ne’ filosofi italiani ben meditati e specialmente nel Galilei vi è il vero metodo sperimentale. ROVERE lo riduce ad un mezzo che ha per fia esiste, della coscienza materia  lo scibile, per fine il vero e lo fa consistere nelle V arti: preparatoria, inventiva, induttiva, dimostrativa, distributiva. Egli pone il criterio di certezza nell'intuizione immediata, o meglio nell'identificazione dell'oggetto con noi, distingue nella conoscenza l'atto di giudicare dall'oggetto giudicato, e cercando un legame tral'oggetto el'idea, lo colloca ove l'ente si converte col vero ed il conoscitore si identifica col cogoito; ammette l'intuizione immediata o l'atto di nostra mente il quale conosce le proprie idee e le loro vicende voli attinenze, nonchè l'intuizione mediata o l'atto di nostra mente, il quale per la certezza assoluta dell'intuizione immediata prova in un modo assoluto l'esistenza delle realtà estrinseche o i loro rapporti con lo spazio e col tempo; fonda la certezza sulla duplice intuizione sul senso intimo e sul senso comune, nega che i principii apodittici e gl’assiomi siano atti a dimostrazione o aspiegazione, fa derivar la causa dalla' > SCO unde 1. Sofia che me èil ile to eria pos Bano di 001 clet cer cu Idee Cati dal dire 2 SIDO 080 LIO SCO  successione delle esistenze e ripone il criterio del vero nella conversione del fatto operata dalla intuizione creatrice la quale è un prodotto della nostra spontaneità e mette capo al senso comune. L'ultimo che sia venuto in campo a sostenere l'eclettismo scozzese è Winspeare in suoi Saggi di filosofia intellettuale. Dalla prefazione ove egli fa manifesto il piano del lavoro si rileva che egli è parteggiano della scuola scozzese, pero chè la difende dalle accuse promosse contro di essa, e sostiene che seguirla svolgendo la è il solo mezzo per far progredire la scienza filosofica. Winspeare vuole ristaurare un sistema che egli stima più atto a far progredire quelle verità necessarie al progresso dell'intelligenza ed alla osservanza della morale. Un simile tentativo gli apporta sommo onore , perocchè lo à immaginato ed eseguito con molto studio e coscienza. Nul l'altro possiam dire intorno a lui poichè è una rapida rassegna delle dottrine filosofiche da’ Greci infino al XVIII se. colo , non si può dedurre un sistema formolato ne’ principii e delle sue conseguenze . - che dal solo primo volume dell'opera , Corradini: Utilità della filosofia Prospetto delle Lezioni di filosofia razionale Sebastiani: Novum Systema Ethices- ROVERE: Del Rionovamento dell'antica filosofia in Italia. Lettere a SERBATI. Dell'Ontologia e del metodo Lettere a Mancini intorno alla filosofia del Dritto ed all'origine singolarmente del Dritto di punire. Winspeare: Saggi di filosofia intellettuale. Blanch: Articoli due sul Winspeare nel Museo di Scienze e Lettere. Per dar compimento alla filosofia italiana non rimane che esporre le opinioni di coloro che si diedero all'Empirismo-Razionalismo. Tamburini confuta Holbach, Condillac, e Kant; ri l' pose l'obbligazione morale del bisogno l'altra su’limmiti di essa. Riguardo alla prima, abbattendo la scessi, egli prova essere in noi reale la cognizione, esistere le facoltà intellettuali come cause delle  della perfezione che si appoggia all'umana natura, al senso universale ed all'ordine naturale, si oppose alle dottrine dell'amor proprio e dello interes combatte le opinioni di Condorcet sul progresso o meglio sull'umana perfettibilità da lui circoscritta al reale, al possile, alla storia, e considerata non come infinita, sibbene come progressiva; stazionarla, e retrograda. 1 se, per opera di Galluppi che combattendo le opposte dottrine di Condillac e di Kant , ne viene salutato a buon diritto il fondatore ed il sostenitore. Egli incomincia dal proponersi lo scioglimento di due importanti quistioni, l'una sulla realtà dell'umana conoscenza Pa. Gli sforzi del Tamburini prepararono la nuova era della filosofia italiana, la quale sorse insieme coll’Empirismo-Razionalismo per opera 2   305 US idee , e lo spirito giungere al vero al lorchè dietro la testimonianza del senso intimo afferma ciò che è e piega ciò che non è. Ecco perchè Galluppi appar tiene alla filosofia moderna, alla scuola psicologica di Cartesio. Nell'analisi dei fenomeni intellettuali egli ammette le verità primitive di esperienza interna contenenti principii a priori ed a posteriori riconosce il principio dell'oggettività della sensazione e della intuizione inmediata in quella; dimostra il passaggio dalla regione del pensiero a quella dell'esistenza per mezzo del punto di comunicazione tra la conoscenza intellettuale e la reale, pel quale egli ammette l’idea universale come legge dello spirito derivante dalla sua soggettività, la quale forma il giudizio analitico e si risolve in due ordini di conoscenze: le une di esistenza e le altre di ragione, queste servendo di base alle verità de dotte, e quelle supponendo l'applicazione delle verità razionali a’ dati dell'esperienza. Secondo lui, benchè tutti i giudizii puri sieco identici, pure lo spirito allarga la sfera delle sue conoscenze, ed il raziocinio ci istruisce, perchè ordina e classifica le nostre conoscenze, e perchè ci mena a conoscenze che 1 1 pon potremno avere senza di esso. Per mezzo della causalità da una esistenza sperimentale ci eleviamo ad esistenze che tali non sono; la sensibilità è esterna ed interna, questa percepisce il me e le sue modificazioni, quella ci rivela l'esistenza del fuor di me e delle sue modificazioni. Riguardo a’limiti delle nostre conoscenze egli cerca determinarli dimostrando esserci ignote l'essenze delle cose, e la natura divina, ed ignoto il modo onde le cause effettrici agiscono non che quello onde gl’esseri producono in sè o in altri quelle date modificazioni. Il sistema delle facoltà dello spirito introdotto da Galluppi ha per iscopo la ricerca delle facoltà elementari; e queste sono la coscienza e la sensibilità che presentano allo spirito gl’obbietti, l'analisi che li sepa  la sintesi che li riunisce, il desiderio, e la volontà che mossa da questo dirige le operazioni dell'analisi della sintesi. L'illustre filosofo di Tropea professa le medesime teorie in tutti i suoi saggi filosofici; se non che degl’elementi e nelle lezioni di filosofia, poggiate sull'empirismo-razionalismo , segue il metodo analitico procedendo dal noto all'ignoto. Egli divide la logica in pura o scienza delle idee e mista o scienza di fatti seguendo il principio dell'identità progressiva ed istruttiva, considerando come ufficio del ragionamento il rapnodare e subordinare le nostre idee, dichiarando il sillogismo un'analisi del discorso, e stimando molto importante l'entimema. Secondo lui, la religione naturale è l'insieme delle verità che si possono provare per mezzo della ragione, che ci svelano come dobbiamo pensare del divino, e de'suoi rapporti cogl’esseri creati. La ragione ne insegna che il divino è eterno immutabile uno iqboito; la sua eternità, non ha  ra, e }   successione fisica nè meta-fisica. La relazione fra il divino e le creature è quello di causalità cioè tutte le creature sono state create dal divino. L’esistenza di due principii eterni dell'universo è assurda. Il male non ripugna alla bontà divina. L’esistenza de'doveri ne vien manifestata dalla coscienza ed è una verità primitiva. Il dovere non può definirsi per e, chè è una nozione semplice, un’azione soggettiva che deriva dalla natura umana. Le verità morali sono necessarie ma sintetiche. Il principio del dovere è distinto da quello dell'utile che gli è subordinat. La massima: si giusto è primitiva. Il principio di BENEFICENZA non basta a mostrarci i nostri doveri verso gl’altri. Noi abbiamo de'doveri non solo verso gl’altri, ma verso il divino e *verso noi stessi* (amore proprio) , la filosofia ci manifesta l'immortalità dell'anima umana, il congiungimento della felicità colla virtù, verità che vengono dimostrate dal premio della virtùe della pena del vizio, verità provate dalla naturale indistruttibilità dell'anima e dal desiderio costante negl’uomini di un bene supremo, rità enunciate dalla ragione non solo ma anche dalla ri-velazione che è un'azione immediata del divino sullo spirito umano con che il divino produce nello spirito le conoscenze che vuol produrre, e la cui possibilità deriva dalla semplice nozione dell'onnipotenza. Egli riponendo la legge morale nella retta ragione che dirige la nostra volontà al nostro benessere seguendo il sistema del dovere indipendente dall'utile, introducendo qualche cosa d'innato nella morale ed ammettendo il dovere come un principio sintetico a priori, si eleva dall'empirismo psicologico ad un ragionevole idealismo nella morale. Ecco le principali opinioni professate dall'immortale Galluppi, cui va tanto debitrice l'attuale filosofia italiana de’ suoi progressi, ed in cui non sappiamo se sia maggiore l'elevatezza e l'acume d'ingegno o la forza e la potenza del ragionamento. Molti altri filosofi dietro l'esempio del ve GALLUPPI pure si addissero all’empirismo-Razionalismo. Tedeschi la forza dell'anima come unica ed divisa, sostiene le idee assolute ed immutabili, distingue le idee io riflesse o prodotte dall'astrazione, e spontanee o prodotte d’un intimo impulso che de mena dal sensibile all'intelligibile sino alla cognizione della sostanza. Zantedeschi presenta un sistema di facoltà de dotto dal percepire dal sentire, e dal l'appetire intellettivo, sensuale, e razionale, considerando la logica come quella scienza che dirigela facoltà conoscitiva a perfezionarsi, stabilisce il metodo induttivo sulla causalità e l'analogia. La sua melafisica è la dottrina dell'ente che s'accosta alla teoria del VICO e degl’antichi italiani. Nella filosofia morale egli racchiude i principii delle azioni, come la coscienza, la libera volontà, e la legge morale, ed il precetto comune. Quod tibi non vis alio ne feceris. Mancino concepisce la filosofia come scienza dello spirito uma considera in sul > /  311 S corpo ; la filosofia è la scienza dello spirito umano in sè ed in tutte le sue relazioni. Per conoscere l'anima è me stiere l'analisi che scompone il partico lare per ridurlo a principii generali; la vila dell'anima stà nella cognizione-azio pe  no, e ne deduce uoa filosofia eclettica cioè equitativa e completa che accoglie il vero da per ogni dove; epperò divide la filosofia in soggettiva cioè diretta a disaminare le forze dell'iplendimento . ed oggettiva o diretta a disaminare gli obbietti della conoscenza; rionega l’Empirismo ed il Razionalismo ; e conside ra le iee come prodotte dalle sensazio ni, dalla coscienza, e dall'attività dello spirito e POLI è uno de'più for ti propugnatori dell'Empirismo-Razionalismo. Secondo lui, l'uomo consta di due elementi, anima che si riduce all'atto del giudizio o idea-volizione-coscienza; conoscere pon è che giudicare e giudicare non è che conoscere, ma il giudicare è il modo del conoscere e il conoscere è l'effetto del giudicare, il giudizio non è una sintesi tra l'attributo ed il subbietto perchè l'anima non ha forza sintetica potendo solo percepire e vedere, il giudizio ha le sue applicazioni come il bello, il buono, il vero, le sue perfezioni, che sono il buon senso, lo spirito, il gusto, l'ingegno, il carattere l'istinto e le sue relazioni che sono i rapporti dell'anima coll'età col sesso, coll'indole, colla fisonomia, col clima, col vitto, col sodoo, colle malattie o colle altre circostanze. Il giudizio è un tutto composto ed un effetto che non può sussistere senza parti componenti e senza facoltà generatrici, che sono due: volontà-intelletto ed intelletto-volontà fondate sul principio di simultanea in divisibilità; tutte le altre facoltà son modi empirici di queste due facoltà primitive che colle loro leggi sono attributi dell'anima. Il giudizio e le rispettive facoltà dell'intelletto e della volontà hanno per fattori supremi l'oggettivo ed il soggettivo messi tra loro in rap >   donde il commercio del fisico col morale nell'uomo; la filosofia si Altri Empiristi-Razionalisti non hanno pubblicate delle opere; ma il loro sistema traspare da vari articoli di giornali e ragionamenti disparati. RICCI è amante del metodo empirico-speculativo; porto, rannoda alla religione ed alla teo-logia perocchè questi fattori dipendono dal divino; la vita dell'anima e il giudizio sono oggetti limitati perfettibili; questo perfezionamento è dato come legge di natura e come scopo all'anima ed alle sue facoltà, esso è riposto nel maggior aumento ed equilibrio possibile delle facoltà dell'anima congiunto al maggior grado possibile di scienza e di felicità, esso può ottenersi avendosi de’ mezzi facili e corrispondenti che si riducono all'uso reiterato e frequente degli stessi atti o delle stesse funzioni; quindi l'uomo perrendersi perfetto al maggior grado deve operare e usare per quanto può delle proprie facoltà, secondo la loro natura e la loro destinazione. Rivato limita il sapere filosofico   e e > cioè il pro filosofico, sostenendo che l'uomo dee tutto studiare e nel mondo esterno e nello interno tutto riferire alla coscienza, Riccobelli si accinge a combattere il Trascendentalismo di Kant sullo spazio e sul tempo; Devincenzi pone per primo fondamento dell'ecletismo la cognizione perfetta di tutte le filosofie e scegliere il vero da tutte; e per lui l'eclettismo è quella modesta filosofia che nulla sprezzando esamina tutte le dottrine e segue il vero ovunque il rinviene. Cusani sostiene che lo spirito umano ha due sole vie nella ricerca del vero, cedimento empirico ed il razionale, che i principii assoluti sono anteriori nel loro stato fenomenale, ma contempora nei nella loro essenza alle idee necessarie, che la tendenza filosofica dev'essere l'Ontologia, e che dovrebbesi elevare una metafisica sul fondamento psicologico degli eclettici francesi e sul fondamento ontologico dei filosofi alemanni. Molti altri recenti filo C Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di Tennemann Ricci: Articoli sul Cousinismo (Antologia di Firenze), Rivato e sul + sofi han coltivate le scienze filosofiche pel lato d'un tal sistema ma i limiti di brevità che abbiamo imposti a poi stessi ci vietapo di noverarli. Tamburini: Introduzione allo studio della filosofia morale. Elementa Juris Naturae Cenni sulla perfettibilità dell'umana famiglia. Galluppi: Saggio sulla critica della conoscenza. Filosofia della volontà. Lezioni di Logica e Metafisica. Elementi di Filosofia. Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia relativamente a’ principii delle umane conoscenze da Cartesio insino a Kant Introduzione allo studio della Filosofia. Memoria sul sistema di Fichte o sul Razionalismo assoluto l'idealismo Trascendentale di Kant Tedeschi: Sulla filosofia. Zantedeschi: Elementi di Psicologia empirica, di Logica e Metafisica, e di Filosofia morale. Mancino. Elementi di filosofia. Poli: Saggio filosofico sopra la scuola de’ moderni filosofi naturalisti.  Saggio di un corso di filosofia. Primi elementi di filosofia. Intorno al vero e giusto spirito filosofico. Riassum to sempre, identico stesso nell'India, nella Grecia nel cadere del medio-evo, nella filosofia moderna, e nel l'attuale filosofia. del Progresso. Gall è que gli che rappresenta eminentemente in Francia la filosofia empirica spingendola sino al materialismo. Il razionalismo ha pochi adetti, fra'quali la Baronessa de Stael; il misticismo ha de’seguaci; ma quegli che più di tutti imprese a difenderlo si e Lamennais. L'eclettismo comprende gl’eclettici propriamente detti o Cousinisti, gl’eclettici scozzesi, tra’ quali Jouffroy, e i filosofi Storici che muovono tutti dal Guizot; cosicchè tre sono i grandi campioni dell'ecletismo Cousin , Jouf ' In Francia la filosofia superando i limiti dell'ideologia e della psicologia empirica , a malgrado alcuni avanzi di sensualismo, ha cangiato la sua direzio ne ; ed ha dato luogo alle cinque scuo le degli Empiristi, de'Razionalisti, dei Mistici, degli Ecletici, e de Filosofi >   profondità dell'Alemagna , si presenta una lotta di varii sistemi.Qualche avanzo del sensualismo invalso nel secolo scorso as sume l'originalità italiana; ma l'Idea lismo ben presto gli fa guerra benchè numeri pochi seguai ; il misticismo non ha'che pochissimi coltivatori,e l'eclet tissimo scozzese comincia ad introdur sinelleopere de'Filosofi italiani; ma  froy e Guizot. Il sansimonismo inva se i dominii delle scienze morali e sociali ; ed a malgrado le sue stranezze attirò de'fautori, frà quali alcuni sco standosene alquanto fondarono la filoso fia del progresso continuo, che è addi venuta la filosofiapredominante in Fran cia ma che debbe esser posta in accor do colla Religione Cristiana. Il fondatore del Sapsimonismo è Saint-Simon; e Leroux è quegli che lo ha tra mutato nella filosofia del progresso con tinuo. Nell'Italia , che è chiamata a tenere il giusto mezzo tra la eccessiva superfi cialità della Francia e l'eccessiva 9   l'empirismo-razionalismo combatte tutti questi sistemi e viene a fondarsi sulla ragione e sull'esperienza. Ogni sistema in Italia ha un grande ingegno che lo difende. Romagnosi segue ilsensualismo Rosmini l'idealismo, Gioberti il misticismo, Mamiani l'eclettismo scozzese e Galluppi l'Empirismo-Razionalismo. Questo sistema, proprio de’filosofiitaliani, che è l'ultima espressione dello svolgi mento della filosofia , debbe mirare ad una nuova formola più compiuta , e ten tare lo scioglimento de'più ardui pro blemi per mezzo dell'esperienza combi nata colla ragione; esso abbisogna di un metodo e diun prịåcipio che spie ghi il commercio de sensi colle idee del mondo esterno col mondo interno ; ed al suo ampliamento contribuiscono non solo leversioni delle operestraniere, ma anche altri lavori filosofici degli italiani che preparano una restaurazione definiti va delle scienze filosofiche. Noi di que sto sistema abbiamo lodevolmente par lato al cominciamento del nostro lavoro; e facciam voti perchè tutti gli Italiani pensatori presenti ed avvenire di unanime consentimento siraccolgado sotto una sola e medesima bandiera, sotto le inse goe dell'Empirismo-Razionalismo, ricono scendo per  loro capo e maestro l'immortale filosofo di 'Tropea Pasquale GALLUPPI. Enrico Pessina. Pessina. Keywords: storiografia filosofica in Italia, la storia della filosofia romana, Galluppi, diritto private. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pessina” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Petrarca: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Cicerone – filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo italiano. Grice: “There are a few studies on Petrarca and ‘filosofia’: “Petrarca platonico,” etc. – but his most important contribution is via implicatura, as when I deal with Blake or Shakespeare.” Considerato il filosofo precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della filosofia italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il “Canzoniere”, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da BEMPO. Filosofo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilancia, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e opera una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropo-centrico -- e non più in chiave assolutamente teo-centrica – P. -- che ottenne la laurea poetica a Roma – gode la sua vita nella riproposta culturale della poetica e la filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in quest’ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum. Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, danno avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'aretino. Il padre appartene alla fazione dei guelfi bianchi ed è amico d’ALIGHIERI, esiliato da Firenze per l'arrivo di Valois, apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di Bonifacio VIII, ma in realtà inviato per sostenere i guelfi neri contro quelli bianchi. La sentenza emanata da Gubbio, podestà di Firenze, esilia tutti i guelfi bianchi, compreso il padre di P. che, oltre all'oltraggio dell'esilio, e condannato al TAGLIO DELLA MANO DESTRA. A causa dell'esilio del padre, P. trascorre l'infanzia in diversi luoghi della Toscana. Prima ad Arezzo, poi Incisa e Pisa, dove il padre è solito spostarsi per ragioni politico-economiche. A Pisa, il padre, che non perde la speranza di rientrare in patria, si riune ai guelfi bianchi e ai ghibellini per accogliere Arrigo VII. Secondo quanto affermato dallo stesso P. nella Familiares, indirizzata a Boccaccio, a Pisa avvenne, probabilmente, il suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, ALIGHIERI. La famiglia si trasfere a Carpentras, vicino Avignone, dove il padre ottenne incarichi presso la corte pontificia grazie all'intercessione di Prato. Nel frattempo, P. studia a Carpentras sotto la guida di Prato, amico del padre che è ricordato dal P. con toni d'affetto nella Seniles. A questa scuola, presso la quale studia, conosce uno dei suoi più cari amici, Sette, al quale P. indirizza la Seniles. Anonimo, Laura e il Poeta, Arquà Petrarca (Padova). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato mentre è proprietario Valdezocco. L'idillio di Carpentras dura fino ad allorché lui, il fratello Gherardo e l'amico Sette sono inviati dalle rispettive famiglie a studiare diritto a Montpellier, città della Linguadoca, ricordata anch'essa come luogo pieno di pace e di gioia. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al fastidio provati nei confronti della giurisprudenza, il soggiorno a Montpellier è funestato dal primo dei vari lutti che P. affrontare: la morte della madre. Il figlio, ancora adolescente, compone il Pangerycum defuncte matris -- poi rielaborato nell'epistola metrica -- in cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte nella parola latina electa. Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decide di cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli nella ben più prestigiosa BOLOGNA, anche questa volta accompagnati da Sette e DA UN PRECETTORE che segue la vita quotidiana dei figli. In questi anni P., sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si lega ai circoli letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti Virgilio e BENINCASA (si veda), coltivando così i studi filosofici e la biblio-filia. Gl’anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in Provenza, non sono tranquilli. Scoppiarono violenti tumulti in seno allo studio in seguito a LA DECAPITAZIONE DI UN STUDENTE, fatto che spinge P., con il fratello e SETTE a ritornare ad Avignone. I tre ri-entrarono a Bologna per riprendervi gli studi fino all’anno in cui P. ritornò ad Avignone per prendere a prestito una grossa somma di denaro, vale a dire 200 lire bolognesi spese presso Zambeccari. Ser Petracco muore permettendo a Petrarca di LASCIARE FINALMENTE LA FACOLTÀ DI DIRITTO A BOLOGNA e di dedicarsi agli studi filosofici che lo appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione dove trovare una fonte di sostentamento che gli permette di ottenere un qualche guadagno remunerativo. Lo trova quale membro del seguito di Colonna. L'essere entrato a far parte della famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a P. di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui ha bisogno per iniziare i studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno all'élite filosofica romana.  Difatti, in veste di rappresentante degl’interessi dei Colonna, P. compì un lungo viaggio nell'Europa del Nord, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegna l'intera sua agitata biografia. È a Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia, e Lione. Particolarmente importante è allorché, nella città di Lombez, P. conosce Tosetti e Kempen, il Socrate cui vede dedicata la raccolta epistolare delle Familiares.  Poco dopo essere entrato a far parte del seguito di Colonna, prende gli ordini sacri, divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici connessi all'ente ecclesiastico di cui è investito. Nonostante la sua condizione di religioso -- è attestato che P. è nella condizione di chierico – ha comunque un figlio nato con una donna ignote, figlio tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta. Secondo quanto afferma nel Secretum, P. incontra per la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, 7, che cadde di lunedì, la donna che è l'amore della sua vita e che è immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura suscita, da parte dei critici letterari, le opinioni più diverse. Identificata da alcuni con una Laura de Noves coniugata de Sade -- morta a causa della peste. Altri invece tendono a vedere in tale figura un senhal dietro cui nascondere la figura dell'ALLORO filosofico -- pianta che, per gioco etimologico, si associa al nome femminile -- suprema ambizione del filosofo P.. P. manifesta già durante il soggiorno bolognese una spiccata sensibilità filosofica, professando una grandissima ammirazione per l'antichità romana. Oltre agli incontri con Virgilio e Pistoia, importante per la nascita della sensibilità filosofica di P. è il padre stesso, fervente ammiratore di CICERONE e di tutta la giurisprudenza latina. Difatti ser Petracco, come racconta P. nella Seniles dona al figlio un manoscritto contenente le opere di VIRGILIO e la Rethorica di CICERONE e un codice delle Etymologiae di Isidoro e uno contenente le lettere di s. Paolo. In quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la Patristica, P. compra un codice del De Civitate Dei di Agostino e conosce e comincia a frequentare Sepolcro, professore di teologia alla Sorbona. Il professore regala a P. un codice tascabile delle Confessiones, lettura che aumenta ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana. Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, P. si buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i codici della biblioteca apostolica -- ove scoprì la Naturalis Historia di PLINIO il Vecchio -- e, nel corso del viaggio nel Nord Europa, P. scopre e ri-copia il codice del Pro Archia poeta di CICERONE e dell'apocrifa “Ad equites romanos”, conservati nella Biblioteca Capitolare di Liegi. Oltre alla dimensione di explorator, comincia a sviluppare le basi per la nascita del metodo filologico moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle varianti e quindi sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagl’errori dei monaci amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti per congettura. Sulla base di queste premesse metodologiche, lavora alla ricostruzione, da un lato, dell' “Ab Urbe condita” di LIVIO. Dall'altro, della composizione del grande codice contenente le opere di VIRGILIO e che, per la sua attuale locazione, è chiamato Virgilio ambrosiano. Da Roma a Valchiusa: l'Africa e il “De viris illustribus”; Marie Alexandre Valentin Sellier, “La farandola di Petrarca”, olio su tela, Sullo sfondo si può notare il Castello di Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui trascorse gran parte della sua vita fino all’anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia. Mentre porta avanti questi progetti filosofici, P. intrattene con  Benedetto XII, un rapporto epistolare -- Epistolae metricae -- con cui esorta il pontefice a ritornare a Roma e continua il suo servizio presso Colonna, su concessione del quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Colonna che desidera averlo con sé. Giuntovi nella città eterna P. puo toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica capitale dell'impero romano, rimanendone estasiato. Rientrato in Provenza, P. compra una casa a Valchiusa, appartata località sita nella valle della Sorgue nel tentativo di sfuggire all'attività frenetica avignonese, ambiente che lentamente comincia a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in cui è caduto il Papato. Valchiusa -- che durante le assenze di P. è affidata al fattore Chermont -- è anche il luogo ove P. puo concentrarsi nella sua attività filosofica e accogliere quel piccolo cenacolo di amici eletti -- a cui si aggiunse il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle -- con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo filosofico colto – “un gruppo di gioco”. Più o meno in quello stesso periodo, illustrando a Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della sua dimora lì, P. delinea uno di quegl’autoritratti manierati che diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri, amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto vivere. È in questo periodo appartato che, forte della sua esperienza filosofica, incomincia a stendere i due saggi che sarebbero dovute diventare il simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris illustribus. Il primo saggio, in versi intesa a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare romana della seconda guerra punica, incentrata sulle figure di SCIPIONE l'Africano, modello etico insuperabile della virtù civile della repubblica romana. Il secondo saggio e un medaglione di XXXVI vite di uomini illustri improntata sul modello liviano e quello floriano. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella spirituale degl’antichi, diffusero presto il nome di P. al di là dei confini provenzali, giungendo in Italia. L'ALLORO con cui P. è incoronato ri-vitalizza il mito del filosofo laureato, figura che diventerà un'istituzione pubblica in paesi quali il Regno Unito.  Il nome di P. quale uomo eccezionalmente colto e grande filosofo è diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e SEPOLCRO. Se i primi hanno influenza presso gl’ambienti ecclesiastici e gl’enti a essi collegati -- quali le Università europee, tra le quali spiccava la Sorbona -- SEPOLCRO fa conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del re di Napoli Roberto d'Angiò, presso il quale è chiamato in virtù della sua erudizione. Approfittando della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensa di ottenere un riconoscimento ufficiale per la sua attività filosofica “innovatrice” a favore dell'antichità, patrocinando così la sua incoronazione filosofica. Difatti, nella Familiares, confide a SEPOLCRO la sua speranza di ricevere l'aiuto del sovrano angioino per realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi. La Sorbona fa sapere al Nostro l'offerta di una incoronazione filosofica a Parigi. Proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunge analoga dal senato di Roma. Su consiglio di Colonna, P., che desidera essere incoronato nell'antica capitale dell'impero romano, accetta la seconda offerta, accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione.  Le fasi di preparazione per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono, P., accompagnato dal signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto nella città partenopea è esaminato per III giorni da re Roberto che, dopo averne constatato la cultura e la preparazione filosofica, acconsentì all'incoronazione a filosofo in Campidoglio per mano del senatore Anguillara. Se conosciamo da un  lato sia il contenuto del discorso di P. – la collatio laureationis --sia la certificazione dell'attestato di LAUREA da parte del senato romano – il privilegium lauree domini Francisci Petrarche, che gli conferiva anche l'autorità per insegnare filosofia e la cittadinanza romana -- la data dell'incoronazione è incerta. Tra quanto affermato da P. e quanto poi testimoniato da BOCCACCIO (si veda), la cerimonia d'incoronazione avvenne in un arco temporale. In seguito all'incoronazione incomincia a comporre l'Africa e il De viris illustribus. Gli anni successivi all'incoronazione filosofica sono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la corruzione Avignonese. Subito dopo l'incoronazione filosofica, mentre P. sosta a Parma, sa della scomparsa dell'amico Colonna, notizia che lo turba profondamente. Gl’anni successivi non recarono conforto al filosofo laureato. Da un lato le morti prima di SEPOLCRO e, poi, di re Roberto ne accentuarono lo stato di sconforto. Dall'altro, la scelta da parte del fratello di abbandonare la vita mondana per diventare monaco nella Certosa di Montreaux, spinsero P. a riflettere sulla caducità del mondo. Mentre soggiorna ad Avignone, conosce Cola di Rienzo -- giunto in Provenza quale ambasciatore del regime repubblicano instauratosi a Roma -- col quale condivide la necessità di ridare a Roma l'antico status di grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma le spetta di diritto. È nominato canonico del Capitolo della cattedrale di Parma, mentre è nominato arcidiacono. La caduta politica di RIENZO, favorita specialmente dalla famiglia Colonna, è la spinta decisiva da parte di P. per abbandonare i suoi protettori. Lascia ufficialmente, l'entourage di Colonna.  A fianco di queste esperienze private, il cammino del filosofo Petrarca è invece caratterizzato da una scoperta importantissima. Dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Correggio, P. scopre nella biblioteca capitolare le epistole ciceroniane “ad Brutum”, “ad Atticum” e “ad Quintum fratrem.” L'importanza della scoperta consistette nel modello epistolografico che esse trasmettevano: i colloquia a distanza con gl’amici, l'uso del tu al posto del voi proprio dell'epistolografia medievale ed, infine, lo stile fluido e ipotattico indussero l'aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere sul modello ciceroniano e senecano, determinando la nascita delle Familiares prima, e delle Seniles poi. A questo periodo di tempo risalgono anche i Rerum memorandarum libri, l'avvio del De otio religioso e del De vita solitaria. Sempre a Verona, P. ha modo di conoscere Alighieri, figlio d’ALIGHIERI, con cui intrattenne rapporti cordiali. La vita, come suol dirsi, ci sfugge dalle mani. Le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Ci rese miseri e soli. Delle cose familiari, prefazione, A Socrate. Dopo essersi slegato dai Colonna, P. comincia a cercare altro patrone presso cui ottenere protezione. Pertanto, lascia Avignone, col figlio, giunge a Verona, località dove si è rifugiato l'amico Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini, per poi giungere a Parma, dove stringe legami con il signore della città,  Luchino Visconti (si veda: “Morte a Venezia”). È, però, in questo periodo che inizia a diffondersi per l'Europa la terribile peste nera, morbo che causa la morte di molti amici del P.: i fiorentini BENE (si veda), Casini, e Albizzi; Colonna e il padre, anche Colonna; e quella dell'amato ALLORO, di cui ha la notizia. Nonostante il dilagare del contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di molti suoi amici, P. continua le sue peregrinazioni, alla ricerca di un protettore. Lo trova in Carrara, suo estimatore che lo nomina canonico del duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il filosofo il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma P. utilizza questa abitazione solo occasionalmente. Difatti, costantemente in preda al desiderio di viaggiare, è a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove conosce Dandolo. Prende la decisione di recarsi a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare. Durante il viaggio accondiscese alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini e decide di incontrarsi con loro. L’occasione è di fondamentale importanza non tanto per P., quanto per colui che diventerà il suo interlocutoreL Boccaccio. Il filosofo e novelliere, sotto la sua guida, incomincia una lenta e progressiva conversione verso una mentalità ed un approccio più umanistico alla filosofia, collaborando spesso con il suo venerato praeceptor in progetti culturali di ampio respiro. Tra questi ricordiamo la la scoperta di antichi codici classici romani. P. risiedette prevalentemente a Padova, presso Carrara. Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le opere spirituali riceve anche la visita di BOCCACCIO in veste di ambasciatore del comune fiorentino perché accetta un posto di docente presso il nuovo studio fiorentino – meno prestigioso dall’antichissimo di Bologna -- Poco dopo, e spinto a rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con Talleyrand e Boulogne, latori della volontà di papa Clemente VI che intende affidargli l'incarico di segretario apostolico. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia -- i medici del pontefice e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia d’Innocenzo VI -- gl’indussero a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prende la decisione definitiva di stabilirsi IN ITALIA. Targa commemorativa del soggiorno meneghino di P. situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla basilica di S. Ambrogio. P. inizia il viaggio verso la patria,  accogliendo l'ospitale offerta di Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche degl’amici fiorentini -- tra le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio -- che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al servizio dell'ACERRIMO NEMICO DI FIRENZE. P. collabora con missioni e ambascerie -- a Parigi e a Venezia; l'incontro con l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga -- all'intraprendente politica viscontea.  Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che nella natia Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio di P.. Cresciuto ramingo e lontano dalla sua patria, P. non risente più dell'attaccamento medievale verso la propria patria d'origine, ma valuta gl’inviti fattigli in base alle convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la protezione un signore potente e ricco come Visconti e Galeazzo II, che si rallegrerebbero di avere a corte un filosofo celebre come P.. Nonostante tale scelta discutibile agl’occhi degl’amici fiorentini, i rapporti tra il praeceptor e i suoi discipuli si ricucino. A ripresa del rapporto epistolare tra P. e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di P. situata nei pressi di S. Ambrogio sono le prove della concordia ristabilita.  Nonostante le incombenze diplomatiche, nel capoluogo lombardo elabora la sua filosofia, dalla ricerca erudita e filologica alla produzione di una filosofia fondata da un lato sull'insoddisfazione per la cultura contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che puo guidare l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso l’accademia e il portico. Con questa convinzione, P. porta avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il Secretum e il De otio religioso; la composizione di opere volte a fissare presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati anche nella vita quotidiana -- le raccolte delle Familiares e, l'avviamento delle Seniles -- le raccolte poetiche latine -- Epistolae Metricae -- e quelle volgari -- i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias il Canzoniere. Durante il soggiorno meneghino P. inizia soltanto il dialogo “De remediis utriusque fortune” in cui si affrontano problematiche morali concernenti il denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al quotidiano. Per sfuggire alla peste, P. abbandona Milano  per Padova, città da cui  fugge per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da Milano, i rapporti con Visconti rimanono sempre molto buoni, tanto che trascorse tempo nel castello visconteo di Pavia in occasione di trattative diplomatiche. A Pavia seppelle il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia, nella chiesa di S. Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei Musei Civici. Si reca a Venezia, città dove si trovava il caro amico Albanzani e dove la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri sulla Riva degli Schiavoni in cambio della promessa di donazione della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Italia. Si tratta della prima testimonianza di un progetto di bibliotheca publica. La casa veneziana è molto amata da P., che ne parla indirettamente nella Seniles, quando descrive, al destinatario Bologna, le sue abitudini quotidiane. Vi risiede stabilmente -- tranne alcuni periodi a Pavia e Padova -- e vi ospita Boccaccio e Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi, della figlia sposatasi con Brossano, decide di affidare a Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere. La tranquillità di quegli anni è turbata dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da IV filosofi averroisti che lo accusarono di ignoranza.  L'episodio è l'occasione per la stesura del saggio “De sui ipsius et multorum ignorantia”, in cui P. difende la propria "ignoranza" in campo del LIZIO a favore della filosofia dell’ACCADEMIA, più incentrata sui problemi della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del filosofo di Stagira. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti all’accuse rivoltegli, P. decide di abbandonare la città lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla Serenissima.  La casa di Petrarca ad Arquà Petrarca, località sita sui colli Euganei nei pressi di Padova, dove vive il filosofo.  Della dimora P. parla nella Seniles. Dopo alcuni brevi viaggi, accolge l'invito dell'amico ed estimatore Carrara di stabilirsi a Padova, in Via Dietro Duomo a Padova, la casa canonicale di P., assegnata a lui in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova dona poi una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere. Lo stato della casa, però, a abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora. La vita di P., che è raggiunto dalla famiglia della figlia, si alterna prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà e quella vicina al duomo di Padova,  allietato spesso dalle visite dei suoi amici ed estimatori, oltre a quelli conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Seta, che daveva sostituito Malpaghini quale copista e segretario del filosofo laureato. Si mosse dal padovano soltanto una volta quando e a Venezia quale paciere per il trattato di pace tra i veneziani e Carrara. Per il resto del tempo si dedica alla revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere. Colpito da una sincope, muore ad Arquà mentre esaminava un testo di VIRGILIO (o CICERONE), come auspicato in una lettera al Boccaccio. Peraga è scelto per tenere l'orazione nel funerale, che si svolge nella chiesa di S. Maria Assunta alla presenza di Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche. Per volontà testamentaria le spoglie di P. sono sepolte nella chiesa parrocchiale del paese, per poi essere collocate dal genero in un'arca marmorea accanto alla chiesa. Le vicende dei resti del P., come quelli di ALIGHIERI, non sono tranquille. La sua tomba espezzata all'angolo di mezzodì e vennero rapite alcune OSSA DEL BRACCIO DESTRO. Autore del furto e Martinelli, un frate da Portogruaro, il quale, a quanto dice una pergamena dell'archivio comunale di Arquà, venne spedito in quel luogo dai fiorentini, con ordine di riportare seco qualche parte del suo scheletro. La veneta repubblica fa riattare l'urna, suggellando con arpioni le fenditure del marmo, e ponendovi lo stemma di Padova e l'epoca del misfatto. I resti trafugati NON SONO MAI RECUPERATI. La tomba, che versa in stato pessimo, venne sottoposta a restauro dato lo stato pessimo in cui il sepolcro versa. Il restauro però, a seguito di complicazioni burocratiche e di conflitti di competenza e questioni anche politiche, e addirittura processato con l'accusa di violata sepoltura. Avennero resi noti i risultati dell'analisi dei resti conservati nella sua tomba ad Arquà P.. Il TESCHIO, peraltro ridotto in frammenti, una volta ricostruito, è riconosciuto come femminile e quindi non pertinente a P.. Un frammento di pochi grammi del cranio esaminato con il metodo del radiocarbonio, consente di accertare che il cranio ritrovato nel sepolcro è femminile. A chi sia appartenuto e perché si trovasse nella sua tomba è ancora un mistero, come un mistero è dove sia finito il suo proprio cranio. Il resto dello scheletro è  invece riconosciuto come autentico. Riporta alcune costole fratturate. Ferito da una cavalla con un calcio al costato. Nello studio, affresco murale, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova. P. manifesta sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura a lui coeva. La sua passione per i classici latini liberate dalle interpretazioni allegoriche lo pone pongono come l'iniziatore dell'umanesimo italiano. In “De remediis utriusque fortune”, ciò che interessa maggiormente a P. è l'”humanitas”, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di conseguenza, pone al centro della sua riflessione filosofica l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teo-centrismo all'antropo-centrismo moderno.  Fondamentale nella sua filosofia è la riscoperta dei classici, sopra totto di CICERONE – E LIVIO (“Ab urbe condita”) e PLINIO (“Historia naturalis”). Già conosciuti, sono ati oggetto però di una rivisitazione che non tene quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state scritte. Per esempio, la figura di VIRGILIO è vista come quella di un mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche, la nascita di Cristo, anziché quella d’Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio Pollione: un'ottica che ALIGHIERI accolse pienamente nel Virgilio della Commedia. P., rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante, come fa nel libro delle Familiares. Scrivere a CICERONE o a Seneca, celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza mancanze e contraddizioni, è per lui un modo filosoficamente tangibile -- e per noi assai significativo simbolicamente -- di mostrare quanto a loro dovesse, quanto li sentisse, appunto, idealmente suoi contemporanei. Oltre alle epistole, all'Africa e al De viris illustribus, opera tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui ideato  e la ricostruzione dell'opera liviana – LIVIO (si veda) -- e la composizione del Virgilio ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito della numismatica, della quale P. è ritenuto il precursore. Per quanto riguarda la prima opera, P. decise di riunire le varie decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute in un unico codice, l'attuale codice oggi detto l’Harleiano.  P. si dedica a quest'opera di collazione, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza. Prende la III decade, correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese vergato da Raterio, ora con una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di Chartres, il Parigino Latino acquistato da Colonna, contenente anche la IV decade. Quest'ultima è poi corretta su di un codice appartenuto al preumanista padovano Lovati. Infine, dopo aver raccolto anche la I decade, P. puo procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero. L'impresa riguardante la costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre, il lavoro di collazione porta alla nascita di un codice composto di fogli manoscritti che contene l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed Eneide commentati dal grammatico Servio), al quale sono aggiunte quattro Odi di Orazio e l'Achilleide di Stazio. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate. Sottrattogli dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio ambrosiano si recupera solo quando P. commissiona a Martini una serie di miniature che lo abbellirono esteticamente. Il manoscritto finisce nella biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, Visconti conquista Padova ed il codice è inviato, insieme ad altri manoscritti di P., a Pavia, nella Biblioteca Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia. Sforza ordina al castellano di Pavia di prestare il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il Virgilio Ambrosiano torna a Pavia. Luigi XII conquista il Ducato di Milano e la biblioteca Visconteo-Sforzesca si trasfere in Francia, dove si conserva nella Bibliothèque nationale de France, circa CCCC manoscritti provenienti da Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano  è sottratto al SACCHEGGIO FRANCESE da Pirro. Sappiamo che si trova a Roma, di proprietà di Cusani, poi acquistato da Borromeo per l'Ambrosiana. Il messaggio petrarchesco, nonostante la sua presa di posizione a favore della natura umana, non si dislega dalla dimensione religiosa. Difatti, il legame con l'agostinismo e la tensione verso una sempre più ricercata perfezione morale sono chiavi costanti all'interno della sua produzione letteraria e filosofica. Rispetto, però, alla tradizione medievale, la religiosità petrarchesca è caratterizzata da tre nuove accezioni prima mai manifestate: la prima, il rapporto intimo tra l'anima e Dio, un rapporto basato sull'autocoscienza personale alla luce della verità divina. La seconda, la rivalutazione della tradizione morale e filosofica classica, vista in un rapporto di continuità con il cristianesimo e non più in chiave di contrasto o di mera subordinazione; infine, il rapporto "esclusivo" tra P. e il divino, che rifiuta la concezione collettiva propria della Commedia dantesca. Comunanza tra valori classici e cristiani La lezione morale degli antichi è universale e valida per ogni epoca. L’umanita di CICERONE non è diversa da quella di Agostino, in quanto esprimono gli stessi valori, quali l'onestà, il rispetto, la fedeltà nell'amicizia e il culto della conoscenza. Sul legame degl’antichi è significativo il celebre passo della morte di Magone, fratello di Annibale che, nell'Africa  ormai morente, pronuncia un discorso sulla vanità delle cose umane e sul valore liberatorio della morte dalle fatiche terrene che in nessun modo si discosta dal pensiero cristiano, anche se tale discorso fu criticato da molti ambienti che ritenevano una scelta infelice porre in bocca ad un pagano un pensiero così Cristiano. Ecco un passo del lamento di Magone:   Edizione dell'Africa stampata a Venezia, nella stamperia di Manuzio. Nel particolare, l'Incipit del poema. Heu qualis fortunae terminus alte est! Quam laetis mens caeca bonis! furor ecce potentum  praecipiti gaudere loco; status iste procellis subjacet innumeris, et finis ad alta levatis est ruere. Heu tremulum magnorum culmen honorum, Spesque hominum fallax, et inanis gloria fictis illita blanditiis! Heu vita incerta labori dedita perpetuo, semperque heu certa, nec unquam Stat morti praevisa dies! Heu sortis iniquae natus homo in terris! Vista del Mont Ventoux dalla località di Mirabel-aux-Baronnies. Infine, per il suo carattere fortemente personale, l'umanesimo cristiano petrarchesco trova nel pensiero di sant'Agostino il proprio modello etico-spirituale, contrario al sistema filosofico tolemaico-aristotelico allora imperante nella cultura teologica, visto come alieno dalla cura dell'anima umana. A tal proposito, REALE (si veda) delinea lucidamente la posizione di P. verso la cultura contemporanea. La diffusione dell'averroismo, col crescente interesse che suscitava per l'indagine naturalistica, sembra a P. che distragga pericolosamente da quelle arti liberali, che sole possono dare la sapienza necessaria per conseguire la pace spirituale in questa vita e la beatitudine eterna nell'altra. La sapienza classica e cristiana, che P. contrappone alla scienza averroistica, è quella fondata sulla meditazione interiore attraverso alla quale si chiarisce a sé stessa e si forma la personalità del singolo uomo. L'importanza che Agostino ebbe per l'uomo P. è evidente in due celebri testi letterari del Nostro: il Secretum da un lato, in cui il vescovo d'Ippona interloquisce con lui spingendolo ad un'acuta quanto forte analisi interiore dei propri peccati; dall'altro, il celebre episodio dell'ascesa al Monte Ventoso, narrato nella Familiares, IV, 1, inviata seppur in modo fittizio a DSepolcro. La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche volgare tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il Secretum, il De remediis, le raccolte epistolari e lo stesso Canzoniere sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù. Tale applicazione etica negli scritti (l'oratio), però, deve corrispondere alla vita quotidiana  se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, “Delle cosa familiar”, indirizzata a CICERONE. Esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la sua scelta di essersi allontanato dall'otium letterario di TUSCOLO per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di GIULIO CESARE e schierarsi a fianco d’OTTAVIANO contro MARC’ANTONIO, tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati filosofici. Ma qual furore a danno di MARC’ANTONIO ti mosse? Risponderai per avventura l'amore alla repubblica, che dicevi caduta in fondo. Ma se codesta fede, se amore di libertà ti sprone come di sì grand'uomo stimare si converrebbe, ond'è che tanto fosti amico di OTTAVIANO? Io ti compiango, amico, e di sì grandi tuoi falli sento vergogna. Oh, quanto era meglio ad un filosofo tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici, non della breve e caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla vecchiezza. La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea la sua vocazione civile. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente sociale, quale suo impegno nell'aiutare gl'uomini contemporanei a migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del prossimo. Oltre ai trattati morali si deve però anche registrare che cosa significa per lui nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i potenti di turno – Colonna, Correggio, Visconti, e Carrara -- spinse i suoi amici ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale. Però, nella “Epistola ai posteri” ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte. I più grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi a loro, né so perché. Questo so che alcuni di loro parevan piuttosto essere favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da chiunque di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano. Nonostante l'intento autocelebrativo proprio dell'epistola, P. rimarca il fatto che i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni economiche e di protezione, getta pertanto le basi per la figura del cortigiano. Se ALIGHIERI, costretto a vagare per le corti dell'Italia soffre sempre per la lontananza da Firenze, fonda, con la sua scelta di vita, il modello del cosmopolita, segnando così il tramonto dell'ideologia comunale fondamento della sensibilità d’Alighieri prima, e che in parte è propria di BOCCACCIO. La sua caratteristica è l'otium, vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle attività proprie del negotium, la riprende rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del De vita solitaria e del De otio religioso, è vicino, per sensibilità del P., ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa. Petrarca, con l'eccezione di due sole opere poetiche, i Triumphi e il Canzoniere, scrisse esclusivamente in latino, la lingua di quegli antichi romani di cui voleva riproporre la virtus nel mondo a lui contemporaneo. Egli credeva di raggiungere il successo con le opere in latino, ma di fatto la sua fama è legata alle opere in volgare. Al contrario d’ALIGHIERI, che aveva voluto affidare la sua memoria ai posteri con la Commedia, P. decise di eternare il suo nome riallacciandosi ai grandi dell'antichità. P. -- a parte una letterina in volgare -- scrive sempre in latino quando deve comunicare, anche privatamente, anche per le annotazioni AI MARGINI dei libri. Questa scelta del latino come lingua esclusiva della prosa e della normale comunicazione scritta, inserendosi nel più ampio progetto culturale che ispira P., si carica di valori ideali (Guglielmino-Grosser). P. preferì usare il volgare nei momenti di pausa dall'elaborazione delle grandi opere latine. Difatti, come più volte definì le liriche che confluiranno nel Canzoniere, esse valgono quali nugae, cioè quale elegante divertimento dello scrittore, a cui dedicò senza dubbio molte cure, ma a cui non avrebbe mai pensato di affidare quasi per intero la propria immortalità letteraria. Il suo volgare, al contrario di quello d’Aligheri, è caratterizzato però da un'accurata selezione di termini, cui il poeta continuò a lavorare, limando le sue poesie -- da qui la limatio petrarchesca -- per la definizione di una poesia aristocratica, lemento che spingerà il critico Contini a parlare di monolinguismo petrarchesco, in contrapposizione al pluristilismo dantesco. ALIGHIERI e P.. Dalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda differenza esistente tra P. ed ALIGHIERI: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei classici depurati dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente appostavi dai commentatori medievali, ALIGHIERI mostra invece di essere un uomo totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul sentimento che P. nutrì per l'Alighieri è la Familiares, scritta in risposta all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui lui odia Alighieri. Afferma che non può odiare qualcuno che conosce appena e che affronta con onore e sopportazione l'esilio. Prende le distanze dall'ideologia, esprimendo il timore di essere influenzato da un così grande esempio se avesse deciso di scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo storpiamento da parte del volgo. L“Africa” è un poema epico che tratta della seconda guerra punica e in particolare delle gesta di SCIPIONE. Costituito da dodici egloghe, gli argomenti del “Bucolicum carmen” spaziano fra amore, politica e morale. Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal titolo, che richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle Bucoliche. Attualmente, la lezione del Bucolicum petrarchesco è riportata dal codice Vaticano lat. Dedicate all'amico Sulmona, le Epistolae metricae sono lettere in esametri, di cui alcune trattano d'amore, mentre per la maggior parte si occupano di politica, morale o di materie letterarie. I Psalmi penitentiales ne accenna nella Seniles, a Sagremor de Pommiers. Sono una raccolta di sette preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei salmi davidici della Bibbia, in cui chiede perdono per i suoi peccati e aspira al perdono della Misericordia divina. Il “De viris illustribus” è una raccolta di biografie di uomini illustri dedicata a Carrara signore di Padova. Nell'intenzione originale dell'autore l'opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma da ROMOLO a Tito, ma arriva solo fino a Nerone. In seguito P. aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando da Adamo e arrivando a Ercole. L'opera rimase incompiuta ed è continuata dall'amico e discepolo padovano di Petrarca, Seta, fino a Traiano. I Rerum memorandarum libri sono una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo d'educazione morale in prosa latina, basati sui Factorum et dictorum memorabilium libri del filosofo latino VALERIO MASSIMO (si veda). Iniziati in Provenza, furono continuati allorché P. scoprì le orazioni ciceroniane a Verona, e ne fu indotto al progetto delle Familiares. Difatti, furono lasciati incompiuti dall'autore, che ne scrisse soltanto i primi 4 libri e alcuni frammenti del quinto libro. Il “De secreto conflictu curarum mearum” è una delle sue opere più celebri  e fu composta, anche se in seguito fu riveduta. Articolato come un dialogo tra lui stesso e un santo alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità, consiste in una sorta di esame di coscienza personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta, da cui il titolo dell'opera. Come emerge però nel corso della trattazione, Francesco non si mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati (l'accidia e l'amore carnale per Laura): al termine dell'esame egli non risulterà guarito o pentito, dando così forma a quell'irrequietezza d'animo che contraddistinse la sua vita. "La vita solitaria” è un trattato di carattere religioso e morale.  L'autore vi esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita monastica Petrarca contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo cristiano" di Petrarca. Il “De otio religioso” è un'esaltazione della vita monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al “De vita solitaria”, esalta però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi, definita come la migliore condizione di vita possibile. Il “De remediis utriusque fortunae” è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina. Basata sul modello del De remediis fortuitorum, trattato pseudo-senechiano composto nel Medioevo, l'opera è composta da scambi di battute tra entità allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il "Dolore" e la "Ragione". Simile ai precedenti Rerum memorandarum libri, questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa. Il De remediis riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura trecentensca da parte del Petrarca, vista come sciocca e superflua. Ut ad plenum auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque medebitur corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas hec, culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores. Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i copisti guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal caos? Per il timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni dalle grandi opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla culinaria, ignorante delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti.  L’occasione per la sua “Invectivarum contra medicum quendam libri IV,” una serie di accuse nei confronti dei medici e la malattia che colpe Clemente VI. Nella Familiares gli consiglia di non fidarsi dei suoi archiatri, accusati di essere dei ciarlatani dalle idee contrastanti fra di loro. Davanti alle forti rimostranze dei medici pontifici nei confronti di Petrarca, questi scrisse quattro libri di accuse, una copia dei quali fu inviata poi al Boccaccio. Il “De sui ipsius et multorum ignorantia” e composta in seguito alle accuse di ignoranza che quattro lizij gli rivolgeno, in quanto alieno dalla terminologia e dalle questioni delle scienze naturali. In quest'apologia dell’umanismo risponde come lui e interessato alle scienze che interessassero il benessere dell'anima umana, e non alle discussioni tecniche e dogmatiche proprie del nominalismo. Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia -- di carattere politico, e una nvettiva rivolta ad Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del viscovo di Roma e Avignone. Per tutta risposta sostenne la necessità che il viscovo di Roma appartiene a Roma, sua sede diocesana e simbolo dell'antica gloria romana. Di grande importanza sono le epistole latine in prosa, in quanto contribuiscono a costruire l'immagine autobiografica idealizzata che offre di sé e quindi la sua eternizzazione. Basate sul modello di Cicerone, ricavato dalla scoperta delle “Epistulae ad Atticum” compiuta da lui a Verona, le lettere sono aggruppate in quattro raccolte epistolari: le Familiares (o Familiarum rerum libri o De rebus familiaribus libri), epistole dedicate a Socrate; le Seniles, epistole dedicate a Nelli; le “Sine nominee” -- epistole politiche in un libro; e le epistole “Variae”. È rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte l'epistola “Ai posteri”. Le lettere spaziano dagli anni bolognesi sino alla fine della sua vita e sono indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei, ma, nel caso d’un libro delle Familiares, sono rivolte fittiziamente a personaggi dell'antichità. Sempre delle Familiares è celebre l'epistola incentrata sull'ascesa al Monte Ventoso. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono. Petrarca, Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, prima quartina della lirica d'apertura del Canzoniere). Il “Canzoniere” è la storia poetica della sua vita interiore vicina, per introspezione e tematiche, al Secretum. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno introduttivo. Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono: sonetti, canzoni, sestine, ballate e madrigali, divisi tra rime in vita e rime in morte di Laura, celebrata quale donna superiore, senza però raggiungere il livello della donna angelo della Beatrice d’Alighieri. Difatti, Laura invecchia, subisce il corso del tempo, e non è portatrice di alcun attributo divino nel senso teologico stilnovista-dantesco. Anzi, la storia del “Canzoniere,” più che la celebrazione di un amore, è il percorso di una progressiva conversione della sua anima. Si passa, infatti, dal giovanil errore (l'amore terreno) ricordato nel sonetto introduttivo Voi ch'ascoltate in rime sparse, alla canzone Vergine bella, che di sol vestita in cui affida la sua anima alla protezione di dio perché trovi finalmente pietà e riposo. L'opera, che gli richiese anni di continue rivisitazioni stilistiche -- da qui la cosiddetta limatio petrarchesca -- prima di trovare la forma definitiva sube ben varie fasi di redazioni. I "Trionfi" e un poemetto allegorico in volgare toscano, in terzine dantesche, compost a Milano -- è ambientato in una dimensione onirica e irreale (strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il legame con la Comedia). Viene visitato d’Amore, che gli mostra tutti gl’uomini che cedeno alle passioni del cuore. Annoverato tra questi ultimi, Petrarca verrà poi liberato da Laura, simboleggiante la Pudicizia (Triumphus Pudicitie), che cadrà poi per mano della Morte (Triumphus Mortis). P. scoprirà dalla stessa Laura, apparsagli in sogno, che ella si trova nella beatitudine celeste, e che egli stesso potrà contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo avrà liberato dal corpo caduco in cui si ritrova.  La Fama poi sconfigge la morte (Triumphus Fame) e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e da tutti i più celebri personaggi della storia antica e recente. Il moto rapido del sole suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama terrena, cui fa seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare il Tempo trionfante (Triumphus Temporis). Infine il poeta, sbigottito per la precedente visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di confidare in Dio: gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate immobile ed eterna», un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e dove un giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (Triumphus Eternitatis).  Già quand'era in vita fu riconosciuto immediatamente quale maestro e guida per tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle discipline umanistiche. Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò il seme del suo messaggio presso i principali centri della Penisola, in particolar modo a Firenze. Qui, oltre ad aver conquistato alla causa dell'umanesimo Boccaccio (autore, tra l'altro, di un De vita et moribus domini Francisci Petracchi de Florentia), trasmise la sua passione a C. Salutati,  cancelliere della Repubblica di Firenze e vero trait d'union tra la generazione petrarchesco-boccacciana e quella attiva nella prima metà del XV secolo. Coluccio, infatti, fu il maestro di due dei principali umanisti: Bracciolini, il più grande scopritore di codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a Roma; e Bruni, il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al maestro Salutati. Fu il Bruni a consolidare la fama di Petrarca, allorché redasse una Vita di P., seguita da quelle di Villani, Manetti, Sicco Polenton e Vergerio. Oltre a Firenze, i soggiorni del poeta in Lombardia e a Venezia favorirono la nascita di movimenti culturali locali desti declinare i princìpi umanistici a seconda delle esigenze della classe politica locale: a Milano, dove operarono letterati del calibro di Decembrio e Filelfo, nacque un umanesimo cortigiano destinato a diventare il prototipo per tutte le corti principesche italiane; a Venezia si diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe dirigente della Serenissima, grazie all'attività di Giustinian, di Barbaro, e di Barbaro. Bembo e il petrarchismo Magnifying glass icon mgx2.svgPietro Bembo e Petrarchismo. Se nel '400 Petrarca era visto soprattutto come capostipite della rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e cardinale veneziano Bembo divenne anche il modello del cosiddetto classicismo volgare, definendo una tendenza che si stava progressivamente già delineando nella lirica italiana. Difatti Bembo, nel dialogo Prose della volgar lingua, sostenne la necessità di prendere come modelli stilistici e linguistici P. per la lirica, Boccaccio invece per la prosa, scartando Dante per il suo plurilinguismo che lo rendeva difficilmente accessibile: «Requisito necessario per la nobilitazione del volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità. Ecco perché Bembo non accettava integralmente il modello della Commedia di Dante, di cui non apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni riconosciamo un accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il modello del Canzoniere di Petrarca non presentava difetti, per la sua assoluta selezione linguistico-lessicale.»  (Marazzini)  Gianfranco Contini, grande estimatore di P. e suo commentatore. La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla questione della lingua, quella vincente. Già negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle Prose, si diffuse presso i circoli poetici italiani una passione per le tematiche e lo stile della poesia petrarchesca (stimolata anche dal commento al Canzoniere di Vellutello), chiamata poi petrarchismo, favorita anche dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni tascabili del Canzoniere. A fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un movimento avverso alla canonizzazione poetica operata dal Bembo: allorché letterati come Berni ed Aretino svilupparono polemicamente il fenomeno dell'antipetrarchismo; poi, nel corso del Seicento, la temperie barocca, ostile all'idea di classicismo in nome della libertà formale, declassò il valore dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente da Muratori, P. ritorna pienamente in auge in seno alla temperie romantica, quando Foscolo prima e Sanctis poi, nelle loro lezioni tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a Napoli e a Zurigo, furono in grado di operare un'analisi complessiva della produzione petrarchesca e ritrovarne l'originalità. Dopo gli studi compiuti da Carducci e dagli altri membri della Scuola storica, il secolo scorso vide, per l'area italiana, Contini e Billanovich tra i maggiori studiosi del Petrarca.  Petrarca e la scienza diplomatica Magnifying glass icon mgx2.svg Diplomatica. Benché la diplomatica, ovvero la scienza che studia i documenti prodotti da una cancelleria o da un notaio e le loro caratteristiche estrinseche ed intrinseche, sia nata consapevolmente con Mabillon nel 1681, nella storia di tale disciplina sono stati individuati dei precursori che, inconsapevolmente, nella loro attività filologica, hanno analizzato e dichiarato l'autenticità o meno anche di documenti oggetto di studio da parte della diplomatica. Tra questi, infatti, vi furono molti umanisti e anche il loro precursore e fondatore, P. Ifatti, l'imperatore Carlo IV chiese al celebre filologo di analizzare dei documenti imperiali in possesso di suo genero, Rodolfo IV d'Asburgo, che sarebbero stati stilati da Giulio Cesare e da Nerone a favore dell'Austria che dichiaravano tali terre indipendenti dall'Impero. Petrarca rispose con la Seniles in cui, evidenziando lo stile, gli errori storici e geografici e il tono (il tenore) della lettera (tra cui la mancanza della data topica e della data cronologica propria dei diplomi), negò la validità di questo diploma.  Onorificenze Laurea poeticanastrino per uniforme ordinario. Laurea poetica — Roma. A P. è intitolato il cratere P. su Mercurio. L'epistola, scritta in risposta a una missiva in cui l'amico Giovanni Boccaccio gli chiedeva se fosse vera l'invidia che P. nutriva per Dante, contiene l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il più maturo poeta: «E primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna d'odiare cotal uomo, che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi venne veduto.»  (Delle cose familiari). La critica, se l'incontro sia da attribuirsi a Pisa o ad altre località, è divisa: Ariani e Ferroni, nota 6 propendono per la città toscana, mentre Rico-Marcozzi pensano a un incontro avvenuto a Genova  quando la famiglia di ser Petracco si stava dirigendo in Francia. Pacca4 opera un'interpretazione intermedia tra le due città, benché ritenga che sia più probabile Pisa come luogo effettivo dell'incontro. Dello stesso parere, infine, anche Dotti. Si legga il brano dell'epistola, in cui Petrarca ricorda il loro primo incontro e il piacevolissimo periodo trascorso nella località francese: «e noi fanciulli ancora impuberi partimmo in un cogli altri, ma fummo con speciale destinazione per imparare grammatica mandati a scuola a Carpentrasso, piccola città, ma di piccola provincia città capitale. Ricordi tu que' quattro anni? Quanta gioia, quanta sicurezza, qual pace in casa, qual libertà in pubblico, quale quiete, qual silenzio ne' campi!»  (Lettere Senili). P. mostrò, nei confronti di tale scienza, sempre un'avversione innata, come è esposto nella Familiares, in cui P. scrive a Genovese che a Montpellier prima e a Bologna poi «ben altro in quegli anni fare io poteva o in se stesso più nobile o alla natura mia meglio conveniente: né sempre nella elezione dello stato quello ch'è più splendido, ma quello che a chi lo sceglie è più acconcio preferire si deve.»  (Delle cose familiari). Come però ricorda Wilkins, la scelta di Petrarca di entrare a far parte della Chiesa non fu soltanto dettata dalla cinica necessità di ottenere i proventi necessari per vivere. Nonostante non avesse mai avuto la vocazione per la cura delle anime, Petrarca ebbe sempre una profonda fede religiosa.  A sviluppare la tesi dell'identificazione di Laura con tale Laura de Sade è la stessa testimonianza di Petrarca nella Familiares, II, 9 a Giacomo Colonna, il quale cominciò a mostrarsi dubbioso sull'esistenza di questa donna (si veda Delle cose familiari, Più precisamente, nella Nota a379, Fracassetti fa riemergere la vita della presunta amata del Petrarca: «Da Odiberto e da Ermessenda di Noves nobile famiglia di Avignone nacque una fanciulla, cui fu dato il nome di Laura. Fa fatta per man di notaio la scritta nuziale fra Laura ed Ugo De Sade gentiluomo Avignonese. Due anni più tardi nella chiesa di S. Chiara di questa città, a quell'ora del giorno che chiamavano prima, il Petrarca giovane allora di poco più che ventidue anni la vide»   Si legga l'episodio di come fossero stati dati alle fiamme dei libri di Virgilio e Cicerone, cosa che suscitò il pianto nel giovane Petrarca. Al che il padre, vedendolo così affranto «d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra i rettorici di Cicerone: "tieni, sorridendo mi disse, abbiti questo per ricrearti qualche rara volta la mente, e quest'altro a conforto e ad aiuto nello studio delle leggi".»  (Lettere Senili Il codice, dopo la morte di P. passa nelle mani di Francesco Novello da Carrara, nuovo signore di Padova. Quando questa città verrà conquistata da Visconti, anche il patrimonio bibliotecario petrarchesco passò nelle mani dei duchi milanesi, che lo conservarono nella loro biblioteca di Pavia. Fu poi sistemato nella Pinacoteca Ambrosiana, grazie all'intervento del suo fondatore, il cardinale Federigo Borromeo arcivescovo di Milano. Si veda: Cappelli. Da questo momento in avanti, Petrarca non esitò a chiamare Avignone la novella Babilonia di apocalittica memoria, come testimoniato dai celebri sonetti avignonesi facenti parte del Canzoniere. Oltre a motivazioni di carattere morale, ci fu anche la profonda delusione che suscitò la decisione di Benedetto XII di non recarsi a prendere possesso ufficialmente della sua sede vescovile e ristabilire così pace in Italia (Ariani). Petrarca scrisse, riguardo alla morte del vecchio amico e protettore, due lettere commoventi: la prima, al fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni (Delle cose familiari; la seconda, all'amico Tosetti, soprannominato Lelius (Delle cose familiari, traduzione di Fracassetti). Nella Nota alla prima Fracassetti ricorda come Petrarca, nella Familiares, V, 7, avesse avuto, in sogno, il presagio della morte del Vescovo di Lombez venticinque giorni prima della sua effettiva scomparsa.  Cappelli 55. Significativa la ricostruzione storico-letteraria compiuta da Amaturo,  ove si rievocano le figure di intellettuali che si legarono, tra XIII e XIV secolo, alla biblioteca capitolare veronese (Giovanni De Matociis, Dante e Pietro Alighieri, Benzo d'Alessandria, Vincenzo Bellovacense) e le rarità che essa conteneva (codici contenenti le lettere di Plinio il Giovane; parte dell'Ab Urbe condita liviana che Petrarca utilizzò per la ricostruzione filologica del codice Harleiano; le orazioni ciceroniane citate; il Liber catulliano).  Boccaccio esprimerà la sua indignatio nell'Epistola X  indirizzata a lui, ove, grazie alla tecnica retorica dello sdoppiamento e a topoi letterari, Boccaccio si lamenta col magister di come Silvano (il nome letterario usato nella cerchia petrarchesca per indicare il poeta laureato) avesse osato recarsi presso il tiranno Giovanni Visconti (identificato in Egonis):«Audivi, dilecte michi, quod in auribus meis mirabile est, solivagum Silvanum nostrum, transalpino Elicone relicto, Egonis antra subisse, et muneribus sumptis ex pastore castalio ligustinum devenisse subulcum, et secum pariter Danem peneiam et pierias carcerasse sorores». Inoltre, bisogna ricordare che la scelta di risiedere a Milano era anche uno schiaffo alla proposta delle autorità fiorentine di occupare un posto come docente nello Studium, occupazione che gli avrebbe concesso di rientrare in possesso dei beni paterni sequestrati. L'arcivescovo Giovanni II Visconti, difatti, proseguì la politica espansionistica dei suoi predecessori a danno delle altre potenze dell'Italia centro-settentrionale, tra le quali spiccava Firenze. Le ostilità tra Milano e Firenze perdureranno fino a quando salì al potere come duca dello Stato lombardo Francesco Sforza, che intraprese una politica di alleanza con Firenze grazie all'amicizia personale che lo legava a Cosimo de' Medici.  Durante l'epidemia di peste milanese, morì il figlio Giovanni (Pacca), nato da una relazione extraconiugale. I rapporti con il figlio, al contrario di quanto avvenne con la secondogenita Francesca, furono assai burrascosi a causa della condotta ribelle di Giovanni (Dotti) accenna all'odio che Giovanni provava verso i libri, «quasi fossero serpenti»). Come ricordato nella Familiares. Si separa dal figlio Giovanni, che tornò ad Avignone in seguito a non precisati dissapori (Familiares); tre anni dopo sarebbe tornato a Milano.»  (Rico-Marcozzi)  Il ravennate Malpaghini fu presentato  da Donato degli Albanzani a Petrarca che, rimasto colpito dalle sue qualità letterarie e dalla sua pronta intelligenza, lo prese al suo servizio quale copista. La collaborazione tra i due uomini, durata appunto si interruppe il 21 aprile di quell'anno, quando il Malpaghini decise di lasciare l'incarico presso l'Aretino. Per maggiori informazioni biografiche, si veda la biografia di Signorini.  Petrarca, nella Seniles informa il fratello Gherardo, tra le altre cose, anche della sua nuova dimora sui colli Euganei, dandone un quadro piacevole e ameno: «E per non dilungarmi di troppo della mia chiesa, qui fra i colli Euganei, non più lontano che dieci miglia da Padova mi fabbricai una piccola ma graziosa casina, cinta da un oliveto e da una vigna che dan quanto basta a una non numerosa e modesta famiglia. E qui, sebbene infermo del corpo, io vivo dell'animo pienamente tranquillo lungi dai tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e scrivendo. Lettere Senili.  La lettera non può essere considerata "reale", ma piuttosto una rielaborazione voluta dal Petrarca. Difatti, a quell'altezza, il giovane Petrarca non era ancora entrato in contatto con il padre agostiniano, e la scelta della data (corrispondente al Venerdì Santo) e del luogo (la salita al monte rievoca l'immagine della Passione di Gesù sul Calvario) rendono ancora più "mitica" l'ambientazione. Si veda, per quanto riguarda la ricostruzione filologica e cronologica dell'epistola, il saggio di Giuseppe Billanovich, P. e il Ventoso, in Italia medioevale e umanistica,  9, Roma, Antenore,  Il ventiquattresimo libro delle Familiares è composto da lettere indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per Petrarca, infatti, gli antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro opere fa sì che Cicerone, Orazio, Seneca, Virgilio vivano attraverso queste ultime, rendendo i rapporti tra Petrarca e i suoi ammirati scrittori classici vicini per la comunanza di sentimento.  L'Otium degli antichi romani non consisteva unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di negotium. Per Cicerone, l'otium non era soltanto il riposo dalle attività forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica col fine di dedicarsi alla letteratura (De officiis). In questo caso, il modello petrarchesco è affine a quello stoicheggiante dell'oratore romano. Si veda il riassunto operato da Laidlaw, che ripercorre la concezione all'interno della letteratura latina. Per Cicerone, nello specifico si vedano le pagine Laidlaw, Termine di origine catulliana, Petrarca lo prende in prestito per descrivere le liriche come "diversivo, passatempo". La questione delle nugae volgari e, più in generale, delle opere latine, è esposta nella Familiares (Delle cose familiari) Guglielmino-Grosser I  testi sono raccolti nel codice Vaticano Latino come ricordato da Santagata,  Bisogna ricordare che Il Canzoniere non raccoglie tutti i componimenti poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura: altre rime (dette extravagantes) andarono perdute o furono incluse in altri manoscritti (cfr. Ferroni).  L'inquietudine petrarchesca nasce, quindi, dal contrasto tra l'attrazione verso i beni terreni (tra cui l'amore per Laura) e l'aspirazione all'assoluto divino, propria della cultura medievale e della religione cristiana, come ricordato da Guglielmino-Grosser. P. mantenne, nell'ambito della lirica volgare, quell'aristocraticismo stilistico-lessicale prima accennato, in cui si rifiutano molti usi lemmatici presenti nella tradizione poetica italiana e che Petrarca rifiuterà, accogliendone un preciso gruppo ristretto ed elitario. Come ricorda Marazzini, Si delinea una tendenza del linguaggio lirico al 'vago', inteso nel senso di una genericità antirealistica (al contrario di quanto accade nel corposo realismo della Commedia), testimoniato anche dalla polivalenza di certi termini, i quali, come l'aggettivo dolce, entrano in un numero molto grande di combinazioni diverse. Eppure la lingua di Petrarca, selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie un buon numero di varianti canonizzando un polimorfismo...in cui si allineano la forma toscana, quella latineggiante, quella siciliana o provenzale...»   Di Benedetto170. Si ricorda anche che, seppur in forma minore, era presente nel mondo letterario italiano del '400 anche un'ammirazione verso il P. volgare, come testimoniato dalle edizioni a stampa del Canzoniere e dei Trionfi uscite dalla bottega dei padovani Bartolomeo Valdezocco e Martino "de Septem Arboribus" (cfr. Ente Nazionale P., Culto petrarchesco a Padova.).Riferimenti bibliografici  la notte  Casa Petrarca Arezzo, Regione Toscana Wilkins Ariani21. Più specificamente Bettarini: «dopo essere stato accusato di aver falsificato un istrumento notarile, fu così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio della mano destra».  Dotti  Bettarini e Pacca Per informazioni biografiche, si veda la voce Pasquini.  Il ricordo di P. al riguardo è riportato in Lettere Senili, Pasquini: «Quanto al Petrarca, il magistero di C[onvenevole] si colloca indubbiamente. La Casa del Petrarca, su arqua petrarca.com. Pacca Si legga il brano della Lettere Senili, Il brano è ricordato anche da Wilkins Ariani Wilkins Rico-Marcozzi. Si recò a studiare a Bologna, seguito da un maestro privato...»; e Wilkins in cui si ritiene che questo maestro avesse «l'incarico, almeno per Francesco e Gherardo, di fungere in loco parentis».  Ariani Ariani,  Wilkins, Dotti Bettarini.  Cappelli  Pacca Rico-Marcozzi; Ferroni Wilkins, Wilkins,  Rico-Marcozzi. Colonna reclutò Petrarca per la sua corte vescovile di Lombez, in Guascogna: ne avrebbero fatto parte il cantore fiammingo Ludovico Santo di Beringen e l'uomo d'armi romano Lello di Pietro Stefano dei Tosetti, che P. battezzò in seguito, rispettivamente, Socrate e Lelio.»   Ferroni Pacca Alinari:.., su alinariarchives La distinzione tra le due scuole di pensiero emerge in Ferroni,  Ariani ricorda che il primo sostenitore del filone allegorico-letterario fu il giovane Giovanni Boccaccio nel suo De vita et moribus domini Francisci Petrarche.  Ariani28. Dotti, specifica che questo san Paolo fu acquistato per procura a Roma e che il volume proveniva da Napoli.  Ariani35.  Per maggiori approfondimenti biografici, si veda la biografia di Moschella.  Moschella: «Suggello ideale dell'amicizia tra i due fu il dono, da parte di Dionigi, di una copia delle Confessiones di s. Agostino.Billanovich,  Wilkins  e Pacca  Wilkins; Wilkins Rico-Marcozzi. Nel frattempo aveva raggiunto Roma accolto da fra Giovanni Colonna al termine di un avventuroso viaggio, e dove nella sua prima lettera contemplando dal Campidoglio le rovine dell’Urbe, manifestò la meraviglia per la loro grandezza e maestosità, dando forma a quella riscoperta dell’antichità classica e al rimpianto per la sua decadenza che divennero i cardini etici, estetici e politici dell’Umanesimo. Pacca Dotti,  Dotti Mauro Sarnelli, Petrarca e gli uomini illustri, Treccani). Ariani Certo il privilegio toccava, del tutto straordinariamente, a un poeta che ancora non aveva pubblicato molto per meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e la rete di estimatori che aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente bastate a valorizzare al massimo le epistole metriche, la fama dell'Africa. e del De viris, le rime volgari già note...»  Dello stesso avviso anche Pacca74 e Santagata19.  Moschella. Dionigi fa ritorno in Italia; dopo un breve soggiorno a Firenze, giunse a Napoli (cfr. P., Familiares), dove l'aveva voluto il re Roberto d'Angiò, che per l'agostiniano nutriva una profonda stima, oltre a condividerne gli interessi per l'astrologia giudiziaria e per i classici latini.»   Wilkins34: «La conoscenza dell'antica tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate da singole città in tempi moderni, insieme all'aspirazione a diventare famoso, accese inevitabilmente in Petrarca il desiderio di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli confidò dapprima il suo pensiero a Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo Colonna, e ne venne a conoscenza anche qualche persona che aveva legami con l'Parigi.»   Si legga il brano della lettera dove inizia la decantazione delle lodi nei confronti del re napoletano: «E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia, anzi in Europa più grande di re Roberto Delle cose familiari, II, 4, traduzione di G. Fracassetti)  Wilkins; Rico-Marcozzi. Sulla base dei contraddittori racconti di Petrarca si dovrebbe dedurre che nello stesso giorno questi avesse ricevuto l’invito a cingere la corona sia dal Senato di Roma sia da Parigi e avesse chiesto consiglio al cardinal Colonna decidendo di scegliere Roma (IV 5, 6), per ricevere la laurea "sulle ceneri degli alti poeti che ivi dimorano".»  Difatti Petrarca riteneva che l'ultima incoronazione a Roma fosse stata quella di Stazio e che quindi, se vi fosse stato incoronato, sarebbe stato direttamente un successore degli antichi poeti classici da lui tanto amati (Pacca).  Cfr., ad esempio, Rico-Marcozzi; Wilkins,  Ariani, Pacca74.  Rico-Marcozzi. Sono le date fornite da P. ([Familiares]), e la più probabile sembra essere la seconda; tuttavia Boccaccio situa l'evento il 17 e il documento ufficiale, il Privilegium laureationis, almeno in parte redatto dallo stesso Petrarca, reca la data. Lacultur, biografia di P., su lacultur.altervista.org.  Wilkins; Dotti. «In Avignone egli vedeva simbolicamente la corruzione della Chiesa di Cristo e l'intollerabile esilio di Pietro.»  Paravicini Bagliani.  Moschella.  Petrucci.  Wilkins,  Così Ariani, Wilkins sostiene invece che Cola sia giunto ad Avignone a Wilkins4 «Cola si intrattenne parecchi mesi e in quel periodo strinse amicizia con Petrarca. Cola era ancor giovane e poco noto; ma i due uomini avevano in comune un grande entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una grande preoccupazione per lo stato presente della città e una grande speranza per la restaurazione dell'antica potenza e dell'antico splendore.»   Il Mondo di Petrarca Ariani,  il quale ricorda, a testimonianza della rottura coi Colonna, Bucolicum carmen, VIII, intitolato Divortium (cfr. Bucolicum carmen. Santagata16 ricorda inoltre come i legami tra Petrarca e il cardinale Giovanni non fossero mai stati buoni come con il fratello di lui Giacomo: «a differenza di Giacomo...il cardinale restò sempre il dominus. Rico-Marcozzi.  Pacca e Cappelli. Dotti, Wilkins, Ariani46.  Troncarelli.  Waley.  Pacca, Padova, sRico-Marcozzi: «Giacomo II da Carrara, signore di Padova, che  gli fece ottenere un ulteriore e ricco canonicato da 200 ducati d'oro l'anno e una casa nei pressi della cattedrale».  Ariani49.  Una prospettiva generale del rapporto tra P. e Boccaccio è esposto in Rico,  Branca87.  Rico-Marcozzi: «Solo in autunno si trasferì ad Avignone, per scoprire (almeno secondo quanto affermato in Familiares) che gli si offriva la segreteria apostolica, già a suo tempo rifiutata, e un vescovado».  Ariani, Ferroni; D. Ferraro, P. a Milano. Le ragioni di una scelta, Rinascimento; Firenze: Olschki, Viscónti, Galeazzo II, su treccani. Pacca, Amaturo. Ma è fuor di dubbio che tra il poeta e i suoi nuovi signori si istituiva come un patto di mutuo interesse: da un lato egli si avvantaggiava della posizione di prestigio che gli offriva l'amicizia dei Visconti; d'altro lato acconsentiva tacitamente a essere adoperato in missioni diplomatiche, non numerose invero, né discordanti con i suoi ideali civili. Ariani Cappelli La riflessione petrarchesca si indirizza sempre più ad hominem e ad vitam, all'uomo concreto nella sua circostanza concreta, si nutre di meditazione interiore, progetta un'opera capace di delineare una parabola esemplare in cui lo scrittore propone se stesso e la cultura di cui è portatore come modello capace di confrontarsi su tutti i terreni.»   Rico-Marcozzi: «il Secretum...composto in tre fasi successive. Ferroni Ariani Cappelli Wilkins Vicini Retore originario di Pratovecchio, Donato degli Albanzani fu intimo amico sia di P. che di Boccaccio. Per quanto riguarda i rapporti con il primo si ricordano, oltre le missive indirizzategli dall'Aretino, anche alcune egloghe del Bucolicum Carmen, in cui è chiamato con il senhal di Appenninigena. Si veda la voce biografica Martellotti.  U. Dotti, P. civile: alle origini dell'intellettuale moderno, Donzelli Editore, Wilkins,  espone dettagliatamente le trattative tra Petrarca e la Serenissima, citando anche il verbale del Maggior Consiglio con cui si procedette all'approvazione della proposta petrarchesca. Per ulteriori informazioni, si veda Gargan,  Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, Si ricordi la visita dell'amico Boccaccio, quando però P. si era recato momentaneamente a Pavia su richiesta di Galeazzo II. Nonostante l'assenza dell'amico, Bocca ccio trovò una calorosa accoglienza da parte di Francescuolo e di Francesca, trascorrendo giorni piacevoli nella città lagunare (Cfr. Wilkins,  Rico-Marcozzi -- fece ritorno a Venezia dove fu raggiunto dalla figlia Francesca maritata al milanese Francescuolo da Brossano.»  Pacca,  Ma...bisogna dire che il vero valore del De ignorantia consiste nella vigorosa affermazione della filosofia morale sulla scienza naturale. Ed è questo il motivo della sua inferiorità rispetto a scrittori come Platone, Cicerone e Seneca; perché per Petrarca la cultura "è subordinata alla vita morale dell'uomo. Casa del Petrarca, Arquà.  Wilkins Ariani Wilkins, Billanovich. Petrarca designacon indicazioni esplicite anche per noi remoti quale loro custode un letterato padovano, Lombardo della Seta, mediocre per ingegno e per dottrina, ma cliente premuroso del maestro, di cui in una intima familiarità negli ultimi anni aveva lentamente conosciuto le abitudini e filialmente soddisfatto i desideri. Così...era promosso subito a buon segretario. Ariani  G. Baldi, M.  Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Paravia Wilkins La tomba del Petrarca.  Canestrini e Dotti,  Millocca, Francesco, Leoni, Pier Carlo, in Dizionario biografico degli italiani,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Si veda Analisi Genetica dei resti scheletrici attribuiti a Petrarca.  Si veda inoltre Petrarcail poeta che perse la testain The Guardian sulla riesumazione dei resti di Petrarca.  Ricchissima la  al proposito: si ricordino i libri citati in, tra cui Cappelli, L'umanesimo italiano da Petrarca a Valla; i saggi curati da Billanovich (tra cui l'opera sua più importante, Billanovich, Petrarca letterato, uno dei maggiori studiosi del Petrarca; i libri di Pacca, Ariani e Wilkins.  Pacca e Cappelli,  Garin. Si veda il lungo articolo di Lamendola al riguardo, in cui si espone anche la chiave di lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale.  Dotti, Magdi A. M. Nassar, Numismatica e Petrarca: una nuova idea di collezionismo, Il collezionismo numismatico italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un patrimonio culturale del nostro Paese., Milano, Numismatici Italiani Professionisti, Billanovich Per la datazione cronologica, cfr. Billanovich. Il Petrarca formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; Le scoperte e i restauri degli Ab Urbe condita eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di Avignone; Cappelli, Billanovich, Billanovich, Un riassunto veloce è esposto anche da Ariani63.  Cappelli42 e Ariani62.  Cappelli,  Albertini Ottolenghi,  Albertini Ottolenghi. Significativo il titolo del settimo capitolo di Ariani. Lo scavo introspettivo.  Ferroni10.  Ferroni,  Ferroni10 e Guglielmino-Grosser178.  Petrarca, Africa,  Cappelli  e Guglielmino-Grosser Dotti,: I versi vennero infatti riconosciuti bellissimi, ma tali da non convenirsi alla persona cui erano posti in bocca, in quanto degni piuttosto di un personaggio cristiano che di uno pagano.»   Santagata. Il gesto di fastidio con il quale si liberò quasi sùbito delle superfetazioni scolastiche ha il suo esatto corrispettivo nel rifiuto dell'imponente edificio logico e scientifico della filosofia Scolastica a favore di una ricerca morale orientata, con la guida determinante dell'agostinismo, verso il soggetto e l'interiorità della coscienza. Delle cose familiari, Guglielmino-Grosser, confrontando Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita, e Petrarca, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine concreta».  Dotti, sulla base della Familiares delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da Petrarca: «...parlare con il proprio animo non serve: bisogna affaticarsi ad ceterorum utilitatem quibuscum vivimus, per l'utilità di coloro con i quali viviamo in questa terrena società, ed è certo che con le nostre parole possiamo giovare: quorum animos nostris collucutionibus plurimum adiuvari posse non ambigitur (Familiares). Il colloquio umano è dunque lo strumento dell'autentico processo umanistico...Sua mercé si saldano e si congiungono gli spazi più lontani...I comuni principi morali, dunque, e l'indagine costante e irreversibile sono la molla di un processo che non può aver fine se non con la morte dell'umanità medesima, e il discorso, il colloquio e la cultura ne sono il filo conduttore.»   Viaggi nel TestoAutori della letteratura Italiana, su internetculturale. Si ricordino i celebri versi di Pd in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza dell'esilio: Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale  Guglielmino-Grosser Guglielmino-Grosser Marazzini Santagata/ La riforma di Petrarca consiste nell'introdurre entro l'universo senza regole della rimeria coeva la disciplina, l'ordine, la pulizia formale, lo stesso aristocraticismo propri delle più compatte 'scuole' duecentesche. Luperini, Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di P. secondo Contini.  Delle cose familiari, traduzione di G. Fracassetti, Pulsoni Giuseppe Pizzimentig Opera: Altichiero, San Giorgio battezza Servio re di Cirene; Si veda, per maggiori informazioni, Pacca,  Per maggior informazioni, si veda il saggio di Fenzi. Si veda il saggio di Dotti sulle Epistolae metricae.  Pacca,  Pacca,  Ferroni14.  Amaturo,  Cappelli Ferroni,  Pacca; Santagata; Amaturo,   Le epistolae retrodatate furono, secondo Santagata, probabilmente scritte ex novo perché fossero aderenti al progetto culturale-esistenziale idealizzato dal Petrarca.  Guglielmino-Grosser; Ferroni; Ariani; Dionisotti. Salutati e dopo la morte del P. e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi.»  Dionisotti. Dopo lungo intervallo, Boccaccio compose in volgare una succinta vita di Alighieri cui fece seguire un'assai più succinta vita del Petrarca e un conclusivo paragone fra i due poeti. Cappelli,  Di Benedetto Si veda la voce enciclopedica curata da Praz e Di Benedetto Ariani Pacca, Petrarca e Bresslau,  Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, M. Albertini Ottolenghi, Note sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel Castello di Pavia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria,  Raffaele Amaturo, Petrarca, con due capitoli introduttivi al Trecento di Carlo Muscetta e Francesco Tateo” (Roma, Laterza); M. Ariani, Petrarca, Roma, Salerno), Bettarini, Petrarca, Francesco, in Dizionario biografico degli italiani,   Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Billanovich, Petrarca letterato. Lo scrittoio del Petrarca,  Roma, Storia e Letteratura,Giuseppe Billanovich, Gli inizi della fortuna di Francesco Petrarca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, G. Billanovich, Il Boccaccio, il P. e le più antiche traduzioni in italiano delle Decadi di Tito Livio, in Giornale Storico della Letteratura Italiana,  Vittore Branca, Giovanni Boccaccio: profilo biografico, Firenze, Sansoni, H. Bresslau, Manuale di diplomatica per la Germania e per l'Italia, Annamaria Voci-Roth, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Giovanni Canestrini, Le ossa di Francesco Petrarca: studio antropologico, Padova, Reale Stab. di Pietro Prosperini, Guido Cappelli, L'Umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Roma, Carocci); G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Firenze, Sansonie, A. Benedetto, Un'introduzione al petrarchismo cinquecentesco, in Italica,  Carlo Dionisotti, Bruni, Leonardo, in U. Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Carlo Dionisotti, Salutati, Coluccio, in Umberto Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, U. Dotti, La formazione dell'umanesimo nel Petrarca (Le "Epistole metriche"), in Belfagor,  Firenze, Leo Olschki, U. Dotti, Vita del P., Roma-Bari, Laterza,  E.  Fenzi, Sull’ordine di tempi e vicende nel Bucolicum carmen di Petrarca, I generi della lettura, Firenze, Pensa Multimedia Editore, Giulio Ferroni, Andrea Cortellessa e Italo Pantani, L'alba dell'umanesimo: Petrarca e Boccaccio, in G.  Ferroni, Storia della letteratura italiana, Milano, Mondadori, Lucio Gargan, Gli umanisti e la biblioteca pubblica, in Guglielmo Cavallo, Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Roma-Bari, Laterza, Salvatore Guglielmino e Hermann Grosser, Dal Duecento al Cinquecento, in Il sistema letterario, Storia, Milano, Principato);  C.  Marazzini, La lingua italiana. Profilo storico” (Bologna, Mulino); G. Martellotti, D. Albanzani, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Moschella, Dionigi da Borgo San Sepolcro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, V. Pacca, Petrarca, Roma-Bari, Laterza, Agostino Paravicini Bagliani, Colonna, in Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Emilio Pasquini, Convenevole da Prato, in Dizionario Biografico degli Italiani,  28, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rime (Bari, Laterza); Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti, Firenze, Le Monnier, Francesco Petrarca, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti,  Firenze, Monnier, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti,  3, Firenze, Le Monnier, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti,  Firenze, Monnier, Francesco Petrarca, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro; Lettere varie libro unico, Giuseppe Fracassetti,  Firenze, Monnier, Lettere Senili, G. Fracassetti, Firenze, Le Monnier,  Lettere Senili, Giuseppe Fracassetti (Firenze, Monnier); Il Bucolicum carmen e i suoi commenti inediti, Antonio Avena, Padova, Società Cooperativa Tipografica, Francesco Petrarca, Africa, Léonce Pinguad, Parigi, Thorin,  E. Petrucci, Roberto d'Angio, in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Praz, Petrarchismo, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, C. Pulsoni, Il Dante di Petrarca: Vaticano latino in Studi petrarcheschi, Padova, Antenore, F. Rico e L. Marcozzi, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,, Francisco Rico, La "conversione" del Boccaccio, in S. Luzzato e G. Pedullà, Atlante della letteratura italiana” (Torino, Einaudi); R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini” Firenze, Sansoni, M.Santagata, I frammenti dell'anima. Storia e racconto nel Canzoniere, Bologna, Mulino,  M.  Signorini, Malpaghini, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F. Troncarelli, Casini, Bruno, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, D. Waley, Colonna, Stefano, il Vecchio, in Dizionario biografico degli italiani Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Wilkins, Vita, Luca Carlo Rossi e Remo Ceserani (Milano, Feltrinelli); Donata Vicini, Musei civici di Pavia, Milano, Skira,  Petrarchismo; Pre-umanesimo Umanesimo Canzoniere Petrarchino; Biblioteca di Petrarca Incoronazione poetica Casa del P.. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Petrarca, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P., Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ente ufficiale per gli studi petrarcheschi in Italia, Boccaccio, Epistole e lettere, Biblioteca Italiana, F. Lamendola, Il culto di Virgilio nel medioevo, Centro Studi La Runa. Romano Luperini, Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di Petrarca secondo G. Contini, V. Pacca. Catalogo dei Compositori e delle opere Musicali sulle rime di su Artemida. Le tre corone fiorentine della lingua italiana. Francesco Petrarca. Petrarca. Keywords: implicature, cicerone, I lizij, lucrezio, filosofia Latina, filosofia romana.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrarca.” Luigi Speranza, “Il dialogo filosofico – Platone, Cicerone, Petrarca e Grice.”

 

Grice e Petrone: la ragione conversazionale dei sanniti e la setta d’Imera  – il megliore dei mundi attuali – CLXXXIII, LX LX LX I -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Imera). Filosofo italiano. A Pythagorean, who claims that the number of worlds is CLXXXIII -- arranged in the form of a triangle: LX on each side and one at each angle. Petrone.

 

Grice e Petrone: la ragione conversazionale del determinismo dei sanniti e dei liguri – il fato o il caso? – l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Limosano). Filosofo italiano. Grice: “I like some phrases by Petrone: ‘il mondo del spirito,’ ‘idealista’, etc.’” Grice: “Some of his philosophese is totally untranslatable to Oxonian, such as ‘la nostra guerra’.”  Insegna a Modena e Napoli. Cerca di conciliare l'oggettivismo dei lizij con il soggettivismo critico. Dei lincei. Collabora a “Cultura Sociale politica e letteraria”. In “Il Rinnovamento” si espressa criticamente sulla condenna del modernismo da Pio X. Altre saggi: “Filosofia come analisi” (Pisa, Spoerri); “Psico-Genesi” (Roma, Balbi) – cfr. psico-genesi nella teoria della comunicazione di Grice --;  “I limiti del determinismo” (Modena, Vincenzi);  “Idee morali del tempo” (Napoli, Pierro); “Uno stato mercantile”;  “La premessa del comunismo” (Napoli, Tessitore); “Confessioni d’un idealista” (Milano, Sandron) – cf. MAMIANI ROVERE – Confessione d’un meta-fisico – AGOSTINO – “Confessioni” -- ; “Lo spirito” (Milano, Milanese); “A proposito della guerra nostra” (Napoli, Ricciardi); “Etica” (Palermo, Sandron); “Ascetica” (Palermo, Sandron); “La vita nova” (Cecchini, Roma, Storia e letteratura); “Filosofia politica”; “La terra nell’economia capitalistica”; “Il latifondo siciliano”; “La legge aggraria”; “Il diritto al lume dell’idealismo critico”; “La conezione materialistica della storia” spirito”; “L’etica come intuizione” -- – contro LABRIOLA (si veda) --. “La storia interna” “Il valore della vita”, “L’inerzia della volonta”; “La’energia profonda dello spirito”; “La fase della filosofia del diritto”; “I caratteri differenziati del diritto” --  Cf. Tyrrell. (cf. A. M. G. – “Tyrrell e Tyrrell”). Avevamo già corretto le stampe di questo articolo, quando ci giunse l'ultimo numero del rinnovamento di Milano -- pieno di tutto fiele contro l'enciclica. Nella sostanza si accorda pienamente col programma dei modernisti, ma nella violenza della forma e nella irriverenza del linguaggio lo passa di molto; e trascende con  P. -- L'Enciclica di Pio X -- a stravolgimenti indegni dello spirito e del senso dell'enciclica. Ed ancora sullo stesso periodico. Ma peggio ancora spropositò su questo punto nel Rinnovamento mostrando di aver ben poco compreso e del modernismo e dell'enciclica che lo condanna. Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Per saggiare a fondo il valore del realismo giuridico dell’antico DIRITTO ROMANO, è uopo, anzitutto, indagare, se e fino a che  punto esso risolva o dia sicurtà di risolvere quei  problemi che ogni ricerca del diritto, la quale  aspiri al titolo di FILOSOFICA – alla Hegel --, si propone e che non sono del tutto ignoti alla filosofìa del dritto romano tradizionale. Tre sono i problemi che ricorrono tuttora nella filosofia o che segnano l’intervento della scesi filosofica bene intesa. Il primo concerne l’origine, .la portata, i limiti del conoscere. Il secondo concerne la natura dell’ essere che è l’oggetto del conoscere. Il terzo il valore e le leggi  dell’operare. Il primo è il problema gnoseologico e,  nella filosofìa del dritto romano, può formularsi così: quali  atti e funzioni ‘psicologiche’ si richieggono perchè si formi, rigorosamente parlando, una nozione del dritto – quale il ‘diritto romano’?  Quale ne è il criterio, il principium cognoscendi? La  ricerca induttiva dei fenomeni del dritto presuppone o no una nozione del dritto, una serie di abiti  o (li funzioni psicologiche, che valgano come premesse  e come leggi del processo induttivo ? II secondo è  il problema ontologico ed è espresso da queste domande: in che si sustauzia il diritto romano? Quale è il  la natura che subest , che sottosta immutabile alle  sue evoluzioni fenomeniche? e, nell’ ipotesi che la  ricerca dell’ essere e della sostanza sia illegittima,  nella ipotesi cioè fenomenistica, quale è e donde il  nascimento del fenomeno giuridico? Il terzo è il problema etico e la maniera onde può venir risolto corrisponde esattamente alla maniera onde si formula e si  dibatte il problema ontologico: esso si domanda, quali sono le norme della condotta giuridica doverosa;  se le disposizioni del potere POSITIVO – del Hegel sullo stato prussiano -- siano, semplicemente perchè tali, dotate di valore etico-imperativo; se, invece, non vi sia un criterio normativo,  superiore ad esse e giudice di esse , ottenuto altronde; se ci si debba limitare alla semplice accettazione delle disposizioni autoritative ossia del DRITTO POSITIVO o se, invece, non sia legittimo e corretto  domandare il titolo RAZIONALE di esse o IL DRITTO DI QUEL DRITTO: è insomma, a dir breve, il problema  del dritto naturale. Il realismo giuridico non può evidentemente sottrarsi a questi problemi che ogni uomo, conoscendo,  non che filosofando, si propone e che, per quanto  egli premediti di sviare o eludere, non si lasciano  rintuzzare in verun modo. Ed in un modo o nell’altro, di dritto o per traverso, se li propone e li  agita lo stesso realismo giuridico. Il quesito cono-  scitivo non è per esso un problema, in quanto ue  presuppone la soluzione che è, come tante volte si  è visto, volgarmente empirica. Gli altri due quesiti,  poi, quello ontologico e quello etico, sono (la esso  piegati alle esigenze del suo empirismo conoscitivo: il  primo di essi è snaturato da problema di essere  in problema di origine ed al secondo si oppone un  diniego esplicito. Il clie per altro, non toglie che  cosi quella forma speciale onde si pone e s’ inter-  petra uno dei problemi, come quella esclusione o  soluzione a priori che si ritorce all’altro non sieno  la conseguenza d' una scepsi critica, sottintesa se  non espressa, ed implicita nell’ assunto fondamentale  dell’empirismo, quand’ anche non condotta di pro-  posito deliberato da questo o quello interpetre dell’assunto stesso.   Resta solo a vedere, se il problema vada posto  come vuole V empirismo o come vuole la filosofia, o,  dove l’uno e 1’ altra lo pongono ad uno stesso modo,  se vada risolto nell’ una forma o nell’ altra. E dico a  bella posta — LA FILOSOFIA— senza vermi predicato che  la determini in un senso più che in un altro e che la  limiti ad una scuola più che ad un’ altra. L’ empirismo  si annunzia in antitesi non a questa o quella filosofia,  ma alla filosofia in generale, o, se si vuole, è una for-  ma di filosofia che si oppone a quella che fin qui  era tenuta per tale, alla metafisica, e non a questo  ed a quel sistema, ma al criterio comune a tutti  i sistemi, al yenus proximum di essi. Termine di  contrapposizione all’empirismo sarà, adunque, per  noi l’assunto impersonale della filosofia, senza che  le varietà individuali di essa ci occupino punto.  Il che va inteso in senso relativo e limitato a quel  possibile consenso che, traverso le lotte dottrinali,  è dato ravvisare, nella tradizione storica della filo-  sofia, a chiunque la interpetri con intelletto d’amore . Il criterio della esperienza ed il problema gnoseologico   della filosofia del dritto.   Adunque 1 ? esperienza, ossia la osservazione e la  comparazione dei dati fenomenici, è il criterio cono-  scitivo universale del realismo giuridico, di guisa che  la critica di esso si traduce iu una critica della e-  sperienza. Questa critica non data veramente da  oggi : essa è vecchia, nè comincia dal Kant, come si  peusa comunemente, ma risale a Platone, che primo  rivendicò le ragioni della scienza e della filosofìa  contro la doxa e 1’ empirismo dei sofisti. Per quanto  vecchia, essa non ha perduto, tuttavia, la freschezza  della novità, e va rievocata oggi che il positivismo,  nella forma più matura della teoria delfassociazione  e di quella dell’ evoluzione, ha risollevato i fasti  dell' empirismo.   Diremo, adunque, anche a costo di apparire no-  iosi ripetitori, che 1’ esperienza non è in grado, da  per sè sola, di scovrire il momento universale e ne-  ccessario del dritto, nè il nesso causale dei fenomeni  .giuridici, più di quello che essa noi sia di scoprire  il momento necessario ed il nesso causale di altri    ordini di fenomeni. L 7 esperienza ci dice che una  cosa è fotta così e non altrimenti, ma non che la  cosa non possa essere altrimenti che così. L 7 esperienza ci dà la coesistenza e la successione dei fe-  nomeni e può darci anche la legge empirica (la cosi  detta legge di conformità che impropriamente si chia-  ma legge) di tale coesistenza e successione, ma non  ci dà nè può darci mai la legge di necessità. Essa  ci dà la ripetizione delle coesistenze e delle succes-  sioni di dati fenomeni, ma non la legge di tale ripe-  tizione: essa ci dice che una cosa si ripete cento, mille,  diecimila volte, ma non che si debba ripetere .neces-  sariamente. L’ultimo dei termini della serie progres-  siva e faticosa delle esperienze non ci dice niente di  più e di meglio di quanto ci dica o ci abbia detto il  primo, e l 7 ultima ripetizione vale le altre. L’accresci-  mento del materiale della esperienza è un processo  quantitativo, dal quale nessuna alchimia trarrà una  qualità nuova. Noi chiediamo il quia , ed il quid,  doveccliè i progressi della esperienza non ci promet-  tono che una cognizione sempre più vasta del quale.   La teoria dell 7 associazione, che data da Hume, si  avvisa di eludere il problema, con l 7 apporre a questa  legge di necessità una portata puramente psicologica.  La necessità oggettiva, essa dice, è un inganno; la ne-  cessità è puramente soggettiva ed è la coazione inte-  riore verso un dato nesso o una data serie di nessi  logici delle nostre rappresentazioni. La categoria della  necessità è una oggettivazione illusoria, una proie-  zione al di fuori dell’abitudine interna di un dato  nesso ideale. Ma, checché si deponga in favore di  tale tesi, non si scema l 7 equivoco che la vizia. La  coazione interiore può ben nascere dall’abitudine, ma  la necessità logica della ragione è ben’altra dalla coa-  zione psicologica del sentimento. Questa ultima, non  che necessaria, è accidentale di sua natura, perchè  il dominio psicologico è il dominio del variabile, del  contingente, del casuale (1).   Del pari V esperienza^ non può colpire il momen-  to universale delle cose.   La universalità alla quale essa può pervenire è,  tutt’alpiù, universalità sui generis , universalità relativa  e provvisoria, il che è tutt' uno che negazione della  universalità scientifica. Il maximum dello sforzo cogi-  tativo al quale possa pervenire l’esperienza, secondo  un noto principio del Kant, è il seguente « per quello  che abbiamo appreso fin qui, non si trova veruna ecce-  zione di questa o quella regola data » non già quest’al-  tro « questa è regola universale e non ha veruna ecce-  zione » (2). E ciò, perchè le conclusioni dell'esperienza  sono limitate e condizionate quanto la esperienza, la  quale è eminentemente analitica e non assicura e non  garentisce che il suo responso immediato. L’esperien-  za ci dice che date coesistenze e date successioni di  fenomeni si sono ripetute fin qui, ma non ci assicura  che si ripeteranno in avvenire. È vero bensì che noi  » oggettiviamo ed universaleggiamo ogni giorno le ri-   sultanze di quella esigua e ristretta esperienza per-  ii) Vedi la bella illustrazione che di questi pensieri della  critica kantiana fa il Volkelt. Erfahrung und Denken. Kritische  Grundlegung der Erkenntnisstheorie. (Hamburg e segg.   * (2) Volkelt] sonale che ne è consentito di fare e le atteggiamo  sub specie aeternitatis , ma, con ciò stesso, noi supe-  riamo i termini della pura esperienza, noi invochiamo  ed applichiamo per la nostra cognizione un altro cri-  terio che quello sperimentale. In ogni giudizio che  formuliamo v’ò un tacito sottinteso che precede l’esperienza e la integra : ed il sottinteso è questo: che  quella ripetizione delle coesistenze o delle successio-  ni, la qual ripetizione non abbiamo osservato ancora   0 non potremo osservare in avvenire, è conforme  alle ripetizioni o alla serie di ripetizioni già osser-  vate. Il processo induttivo presuppone 1’ habitus, la  funzione mentale che si formula nel principio d ’ iden-  tità : dal quale segue che quanto si predica di una  cosa o di un rapporto già esperito va predicato, al-  tresì, di tutte le cose e di tutti i rapporti esperibili,  le quali o i quali sieuo della stessa natura sostanziale della prima o del primo (I).   ^Ne l’esperienza è più atta a conoscere il perchè  delle cose, il cur , di quello che noi sia a conoscerne  la universalità. La successione dei fenomeni, sia pure  conforme a regola, non è causalità: e dall’esservi fra   1 fenomeni di una serie un rapporto di prima e di  poi non segue, per altro, che la mente dell’osserva-  tore, la quale nel supposto è tabula rasa , argomenti  dal semplice rapporto empirico di antecedente e con-  seguente la possibilità di quello ideale di causa e  di effetto. L’esperienza ripetuta delle stesse sequele  di un dato fenomeno e di un altro non può creare  ex nihilo sui quel rapporto di causalità che ai primi   (1) VERA A. Melanges philosophiques] gradi ed ai primi passi di quella esperienza era in-  concepibile. Senza dubbio, il rapporto di causalità è  nelle cose (lo scetticismo di Hume non ha chiuso il  problema) ma non è una specie impressa sulle cose,  visibile e palpabile a nudo, esperibile iusomma. La  nozione di quel rapporto è, direi quasi, un’anticipa-  zione dell’ intelletto sulla esperienza e sulla stessa  natura. Ogni nesso causale che noi formuliamo pre-  suppone 1’ habitus , la funzione mentale del nesso  causale in quanto tale. Noi diciamo « questa cosa è  effetto di quell’ altra » solo perchè sapevamo che,  risalendo la serie regressiva dei fenomeni, ciascuno  dei termini di questa serie è un effetto, ossia è un  prodotto da una causa, finché si perviene al termine  primo che non è più effetto, ma causa sui. In vero,  senza questa funzione mentale, noi avremmo uu bel  discernere delle affinità "e delle conformità logiche  tra l’operare di una cosa e la natura di fatto d’una  altra cosa che la segue: tra Luna e l’altra cosa noi  non vedremmo mai un rapporto causale, se a quel  nesso di conformità non si associasse spontaneamente,  nel nostro pensiero, quella funzione mentale, che io  chiamerei il sottinteso della causalità. Chi analizzasse questa serie di sottintesi e questa prescienza  e vedesse quanto è facile e seducente, ad un me-  tafisico che sia artista ad un tempo, atteggiare quella  prescienza a forma di ricordo di una vita psichica  oltremondana, vedrebbe forse che la dottrina plato-  nica « sapere è ricordare » è più presto una defor-  mazione poetica di un sano principio filosofico, che  un principio falso di sua natura. La nostra scienza,  «e non è prescienza, ha per sottinteso un certo grado di prescienza. A Corate enunciò lo stesso principio  in altra forma, quando disse « sapere è prevedere ».  La previsione di un fenomeno esperibile ma non  esperito è, evidentemente, prescienza intellettiva. Un logico recentissimo della scuola critico-posi-  tivista, il Masaryk, ci porge una indiretta conferma,  che qui ò opportuno ricordare, di questi supremi  principi della critica della conoscenza.   I fenomeni particolari sono tuttora (così VA del  Saggio fri logica concreta) gli elementi costitutivi del  l’universo, come V oggetto proprio della conoscenza  umana: ma noi sono immediatamente. Il nostro intellet-  to non può cogliere ed intuire di un lampo l’unità delle  cose : il suo processo è, per di tetti vità connaturata,  eminentemente astrattivo. Epperò esso conosce le  cose non per intuito diretto, ma mediante le leggi  e le proprietà essenziali che a quelle cose ineriscono.  Queste leggi e proprietà sono il prins, non il posterius della conoscenza. Y’ha due generi di scienze:  scienze astratte e scienze concrete: le prime cono-  scono le leggi delle cose e le seconde V essere di  fatto delle cose. Or bene le scienze astratte sono  il fondamento, il presupposto delle concrete, appunto  perchè le cose non si conoscono che per le loro  leggi e proprietà essenziali. La biologia, che è scienza  astratta, perchè ha per oggetto le leggi della vita  precede ad es. la zoologia, che studia gli animali vi-  venti, ed è la confritio sine qua non della sua esistenza.  So le scienze concrete presuppongono le scienze astrat-  te, è assurdo supporre che le prime forniscano la  base delle seconde. Ciò sarebbe una inversione di  termini. Precisamente l’opposto è vero. Le cose non- si intuiscono o esperimentano di un tratto solo nel  loro essere, ma si conoscono in funzione di una legge  e di una proprietà essenziale che precede e rende pos-  sibile l’esperienza. Gli è questo che ci spiega come e  perchè le scienze astratte abbiano fatto progressi di  gran lunga maggiori che le concrete. Gli è che que-  ste sono posteriori a quelle, onde la loro maturità  segue, in ragion di tempo, il progresso di quelle (1).   Questi principi del Masaryk sono fondati sul vero,  benché il modo ond’ egli si esprime sia tutt’altro  che proprio. La sua terminologia è mutuata dall’em-  pirismo per formulare una nozione so vraem pirica.  Quello che egli chiama processo astrattivo va chia-  mato processo di sintesi spontanea ed originaria,  perchè 1’ astrazione presuppone la conoscenza del  concreto onde si astrae, il che contraddirebbe al  supposto.   Prescindendo da ciò, resta, intanto, stabilito che  non solo la filosofìa, ma lo stesso positivismo cri-  tico ed illuminato insegnano d’ accordo che alla  conoscenza analitica delle cose particolari deve pre-  cedere la conoscenza della specie universale, che è  come una sintesi, una deduzione spontanea ed ori-  ginaria, un’ anticipazione mentale dell’ osservazione.  L’ esperienza affidata alle sue forze sole è così lun-  gi dal fornirci un concetto scientifico delle cose, che  anzi essa, senza 1’ ausilio di una virtù intellettiva che  è prima e sovra di lei, non potrebbe neanche venire  alla luce e legittimarsi come esperienza.   (1) Versucli eiiier coucreten Logik (Wien] Or bene, ripeto quanto lio detto più su, questa  difetti vità dell’ esperienza sussiste nell’ ordine delle  conoscenze giuridiche, come iu ogni altro ordine di  conoscenze. Anche ivi la nozione universale deve pre-  cedere 1’ esperienza particolare: la scienza sintetica  delle proprietà essenziali del diritto deve precedere la  scienza analitica dei fenomeni giuridici particolari e  non seguire da essa. Anche ivi una estensione, un im-  pinguamento del materiale di fatto può accrescere la  notizia delle cose, non la scienza , come bene afferma  1’ Hartmann. 11 materiale dei fatti é il sottosuolo,  non T oggetto della scienza (1). La osservazione empirica di un fatto giuridico non ci dice nulla sul momento universale e necessario del dritto, nulla sui  nessi causali di quei fatti ed è, però, inetta ad  adempiere, non che una sintesi filosofica, ma una  semplice sintesi scientifica: di guisa che, sulla scorta  di essa, neanche la fenomenologia perverrà ad otte-  nere quel principio sintetico e quell’ universale lo-  gico del dritto che, come tante volte si è visto,  rappresenta il suo termine ideale. Per dirla più   (lì Die Bereicherung an Blossem Stoff des Wissens vermehrt  uur die Kuncle , aber nicht imraittelbar die Wissens.chaft. In-  dem aber die Wissenschaft erst da anfiingt, wo in den Bezie-  huugen des Stoffs und den allgenieinen in ihm wirkenden  Kràften oder Momenten das Gesetzmiissige, Ordnungsmiissige  oder Planmàssige, logiseh oder sachlich Nothwendige aufge-  suclit wird, zeigt sich eben, dass 'der Stoff als solcher nicht  don Gegenstand selbst der Wissenschaft bildet, sondern nur  die Unterlage derselben, dass aber der eigentliche Gegenstand  der Wissenschaft dasjenige ist, was an den Beziehungen des  Stofìes allgcmein und verniinftig ist — Gesammette Studien u.  Aufsiitzc] esplicitamente, quella osservazione empirica, ammes-  so pure che la si estenda il più che sia possibile,  non ci darà, di per se sola, non che una filosofia,  neanche una scienza del dritto.   Perchè egli è fuori dubbio che la scienza abbia  per soggetto V universale ed il necessario delle cose.  Platone, Aristotele, e fra noi, CICERONE, hanno del pari messo fuori  disamina, che oggetto della scienza é la vóyjaig nepi  òoatav (1) e che P esperienza, che apprende il parti-  colare, non va confusa con la scienza che apprende  l’ universale (2). Gli stessi principi sintetici della  fenomenologia che siamo venuti divisando non pro-  vengono dall’ esperienza, ma dalla speculazione del  pensatore. La storia consegna al v. Ihering il fatto  della lotta e del fine interessato , ma, quando egli  generalizza P esperienza di quel fatto a momento  universale del dritto, eccede i termini della espe-  rienza, per soddisfare ad una vocazione speculativa  che è anteriore all’ esperienza. La ragione del Dahn  ed il giusto del Lasson sono cosi poco creature del-  P esperienza, che quella è un ricordo della opinio  necessitati della metafisica , ovvero una forni ola  logica della razionalità della Volhsbewusstsein (la qua-  le, a sua volta, è una ipotesi demo-psicologica che  trascende ogni esperienza) e questo è P applicazione  al dritto di quel logos Hegeliano, che è P ultimo  residuo di una notomia degli atti conoscitivi, la  quale ha il suo punto di partenza nell’ esagerazione  dell’ a priori. Il principio del rispetto verso la forza    (1) Rep. 534.' Vedi pure: Fed. 76 e passim.   (2) Mat. XIII; 9; Mag. Mor. I, 4.  V - .T$   imperante (Achtung) e quello della pre volizione del-  la norma ( Anerlcennung ) sono non fatti di esperienza  0o - o'0£,ti va, ma impostasi intellettive di alcuni fatti acci-  dentali di esperienza psicologica. Il realismo giuridico si avvisa di conoscere le  proprietà essenziali e le leggi del dritto col mero  processo della induzione e della comparazioue. Noi  abbiamo visto testò il Post, nell’ analisi compara-  tiva dei fotti particolari della vita dei popoli, fer-  mare il segreto del substrato universale di quei  fotti e di quella vita. Ma, l’osservazione e la comparazione non sono possibili senza una teoria pre-  esistente, la quale ci faccia discernere quello die  va osservato da quello che non va osservato, e che,  nel materiale disordinato dei fotti, ci consenta di  sceverare quel momento che concerne e preoccupa  la nostra scienza da quegli altri momenti che non  ci concernono punto e che le altre scienze differen-  ziano dalla nostra. Senza il filo d’ Arianna della  speculazione, V osservazione e la comparazione dei  dati di fatto diventano un labirinto inestricabile e  dal quale non v 7 è più uscita. Se non sappiamo  prima, per un’ anticipazione intellettiva, che cosa è  dritto, nè possiamo discernere i fenomeni giuridici  da quelli che non sono tali, uè negli stessi fenomeni  giuridici possiamo sceverare quello che in essi è  proprietà essenziale da quello che non lo è. Anche  nelF ordine delle conoscenze giuridiche è vero che  V intuizione è cieca senza la categoria. Vi debbono  essere, nella moltitudine dei materiali storici messi  a profitto dall' indagine e e dalla comparazione, delle  'quantità conosciute ehe permettano alP osservatore di orientarsi nei suo cammino. Il che è riflesso, nel-  F ordine del pensiero, di quello che, come vedre-  mo, ha luogo nell’ ordine delle cose. Perchè, eviden-  temente, nel suo processo evolutivo 1’ umanità de-  ve pure avere avuto delle soste, deve pure aver se-  gnato delle fermate e dei punti di riposo, nei qua-  li momenti si è venuto deponendo, consolidando,  sarei per dire cristallizzando, il presunto fluttuare  dei fenomeni. La pressura della logica e quella che  lo Schopenhauer chiamava die List der Idee domi-  na, del resto, gli stessi induttivisti della giurispru-  denza e li trae a smentire coi fatti quanto lian  professato a parole. Dopo aver respinto 1’ a priori ,  essi sono ben lungi dal farne a meno: e di presup-  posti a priori tolti in prestito alle nostre odierne  intuizioni giuridiche o alla nostra speculazione filo-  sofica le loro ricerche sono piene. Tanto egli è arduo, impossibile anzi, nel rifare a rovescio il pro-  cesso della evoluzione giuridica, fare a meno di un  contrassegno ideale di quello che è dritto o di un  criterio intellettivo che ci aiuti a discernerlo dagli  altri fenomeni del cosmo!   Il metodo comparativo, adunque, che si avvisa  d’inferire dal semplice raffronto dei fatti la nozione  del momento giuridico di essi, è una vera petitio  prineipii. Un’ anticipazione ideale di quello che si  cerca bisogna averla per forza, se no quello che  si cerca non si trova. È una cosa molto elemen fa-  re codesta: chi non sa quello che vuole non trarrà  mai un ragno dal buco. Ottima la ricerca delle for-  me storiche della proprietà immobiliare nel mondo  orientale, a mo’ d’esempio, o il raffronto tra esse e    quelle dei popoli occidentali, ma, se voi non avete  prima una nozione quale die sia della proprietà im-  mobiliare, quella ricerca e quella comparazione non  la farete mai. La storia è pur sempre storia di  qualche cosa.  L’ ordinamento seriale dei fenomeni sotto il genere dritto e sotto le specie famiglia , proprietà ec.  (scelgo a bella posta V ordinamento seriale più fa-  cile ed elementare) e tutta la serie dei principi e  delle rubriche e delle classificazioni della giurispru-  denza storica e comparativa sono, per necessità di  cose, un presupposto e non un risultato della com-  parazione e della storia. Nò si opponga che il com  cetto del dritto emerge dal fondo stesso della os-  servazione e della comparazione ed è ottenibile  mettendo a raffronto un gran numero dato di og-  getti affini tra loro, astraendo dalle differenze indi-    fi) Schuppe. Die Metkoden der liecktspkilosopkie. Man kommt nickt von der gesckicktlickèn Betrachtung  zu dem Gewordenen, sondern gerade umgekehrt: man suckt,  von diesein ausgekend , seine Erfahrung nack ruckwarts in   der Zeit zu erweitern Der Versuck, aus der Gesckichte he-   rauszusammenfugend zu ersckaffen, kame auf ein Mlsslingen oder  eine Selbsttausckung kinaus: es giebt nur Gesckiehte von Etwas. Wenn die sogenannte genetiscke Metkode die vollkomneren  Gestaltungen aus den unvollkomneren sick erzeugen, so solite  nie iiberseken werden, dass im Nackweise dos Keimes das  Wozu er sick entwickeln, Wessen Keiui er sein soli, sehon vor-  sckwebt; nur vom vollendeten Erzeugniss fragen wir zuriick  nack den keimartigen Anflingen.   Stammler . Die Metkoden der geschicktlicken Rechtstheorie] vicinali di ciascuno e ferrnaudo quel genere, quella  nota universale e comune, in che convengono tutti  ad un tempo. Imperocché, appunto perché abbia  luogo quel raffronto, si richiede un’ anticipazione  sintetica della natura sostanziale del dritto. Per di-  scernere in che gli oggetti sono affini, occorro che  vi sia, anzi tempo, un contenuto ideale, in rapporto  al quale 1’ affinità o la dissomiglianza è concepibile.  La osservazione e la comparazione vi darà il fatto  della convenienza, solo quando voi preconoscete di  avanzo, sarei per dire presentite, per una cotale  anticipazione irriftessa dello spirito , quello in che  si conviene e la ragion formale della convenienza.  La nota comune è una premessa del processo astrat-  tivo. Bisogna degradare il fenomeno della conoscenza  alla più volgare materialità per convincersi che gli  elementi, i quali in ipotesi sono conformi, si lascino  connettere in un rapporto di conformità per una  percezione immediata del loro essere di fatto. Per-  chè gli elementi b. c. d. lascino vedere un elemento  comune con a. e si vadano sussumendo in un rap-  porto comune A. occorre almeno che a, ossia il  termine di raffronto, abbia colpito il pensatore e  gli appaia come un momento di cosiffatta natura,  da servire di regolo agli altri, come a dire un equi-  valente ideologico preesistente del contenuto che si  ottiene poi formulato nel rapporto A. Se l’intelletto  dell’osservatore è una tabula rasa , egli non vede  nè differenze nè somiglianze nei fenomeni, nè dritto  nè torto nella storia: le differenze sono percepibili,  solo quando si sa quello da cui si differisce e. del  pari, le somiglianze, solo quando si sa quello cui   l ‘ì   si somiglia: in altri termini i rapporti sono perce-  pibili solo in finizione del loro oggetto ò della loro  ragione formale. Egli, adunque, V osservatore, non  vede che una serie di fotti indifferenti che non  sono nè il diritto, nè il suo rovescio : di cui noi,  messi al punto, non potremmo nè anche assicurare  che cosa sieno: perchè ci difetta la virtù astrattiva  che sarebbe necessaria per vedere come andrebbero  le cose della nostra intelligenza nella ipotesi di un  processo anormale di questa.   Alla induzione ed alla comparazione deve, adun-  que, precedere un intuito speculativo del dritto.  ]Sel campo della giurisprudenza, come in quello  delle altre discipline, il processo conoscitivo s’inizia  da una sintesi primitiva e spontanea, si svolge e  dirama e differenzia per l’esperienza, l’analisi, la ri-  flessione e va a metter capo alla sintesi riflessa della  deduzione.   La storia del processo fenomenico ed inventivo  è un compito meramente analitico che si esercita  sopra una sintesi scientifica preesistente. Per de-  scrivere le fasi evolutive di una cosa bisogna già  possedere il concetto dell’ essere della cosa, ossia  della sua forma definita ed evoluta e della sua con-  figurazione stabile e consolidata (1).   (1)... Es ist vor Alleni unumgiinglich, class der Entwiok-  luiigahistoriker das genaueste und deutlichste Verstiindniss  von der reiteri Gestalt besitze und bekunde, von welcber er  die Entwickeluug verfolgt. Die Eutwickelungsgeschichte ist  steta und lediglieli eiue analytischo Aufgabe. Scheinbar nai-  ves Aufsuchen der Verbindungsstiicke und gliickliches Probi-  ren, ob sie passen, ist ein ganz eitles Unterfangen. Di© Ent-   La filosofìa speculativa del dritto aveva adunque  ragione. Di che una preziosa riprova ci forniscono  gli stessi empirici della giurisprudenza, la mente dei  quali è munita, anzi tempo, non che di un intuito  o di un presentimento del dritto, di tutto un corre-  do di conoscenze speculati ve, più o meno deformate,  tolte in prestito precisamente a quella filosofia. E  senza il suo ausilio 1’ esperienza si sarta trovata a  mal partito. Ciascun fatto o ciascuna serie di fatti  non malleva che se stessa: ed il filosofo dell’ espe-  rienza non avrebbe mai visto il lume dell’ idea.  L’induzione è sempre limitata ad un dato numero  di fatti, il qual numero, lo si moltiplichi a talento,  dista pur sempre infinitamente dalla universalità  -che si estende a tutto il possibile. Gli stessi prin-  cipi generali non vi sarebbero più : 1’ allgemeine  Reclitslelire è un generale die, viceversa, è un parti-  colare.   A causare tali perigli, resta che, in difetto di  speculazione propria, si usurpi l’ altrui. Ed ecco,  allora, che la premessa maggiore del realismo e  della fenomenologia è una premessa metafìsica. Que-  sti declamatori dell’ esperienza e dell’induzione sono  in fondo dedutti visti. La filosofia ha trovate alcune  verità con un procedimento misto d’ intuizione di  rapporti ideali e di esperienza psicologica: essi ri-  provano queste verità con l’allegazione di fatti spe-   "wickelungsgeschichte des Organismus setzt ein hohes Stadium  der Anatomie voraus, das sie alsdann erhohen kann. Aber die  Entwickelungsgeschichte kann der descriptiven Anatomie ni-  cht voraufgeben. Cohen. Kant’ s Theorie der Erfahrung Zw.  Aufi. S. 7.     rimentali, quando noi facciano con nn tessuto di  raziocini. Il loro metodo è analitico e regressivo:  onde quando essi rimproverano di deduzione la vec-  chia filosofia, questa potrebbe dir loro che essa  della deduzione, accanto ai difetti, aveva benanche  i pregi, dovechè ad essi non restano che i difet-  ti soli. Il criterio storico-evolutivo ed il problema  ontologico della filosofia del diritto.   Si è detto innanzi come la maniera, onde l’empi-  rismo concepisce il problema dell’essere del dritto,  equivale esattamente alla maniera ond’ esso conce-  pisce il problema del conoscere. Dopo aver detto  die criterio unico della scienza è l’esperienza, logica  vuole che l’empirismo dica che l’oggetto della scienza  è tale, quale bisogna che sia perchè rientri nei li-  miti della esperienza, e che, quindi, il dritto non  abbia altro essere che l’essere mutabile, contingente  e fenomenico, o, per dir breve, non altro essere che  il divenire. Come in tanti ordini di cose, così nel  dritto, il criterio scientifico si è venuto snaturando  nel criterio storico e, conseguentemente, il problema  ontologico nel problema genetico. Del dritto, come  di altri oggetti, si studia non più la sostanza ma la  genesi, non più l’essenza ma l’evoluzione, non più  il substratum ma il processo; nè solo si studia l’una  cosa e non 1’ altra, ma si afferma come inesistente  quella che non si studia, o si presume di non stu-  diarla, appunto perchè la si dà per inesistente. È  il criterio storico-evolutivo , che riassume il genio scientifico (lei secolo e che pervade scienza e filosofia.  Se ne volete 1’ origine, dovete far capo all’ aspetto*  dogmatico del fenomenismo Kantiano e, più lungi  ancora, alla critica Lochi aria, alla teoria, cioè, della  inconoscibilità della sostanza. Tolta, invero, la ri-  cerca della sostanza, non rimane che il fenomeno-  soletto al lievi, al divenire, alla storia.   Se questo criterio lo si proseguisse nella sua  forma logica e coerente, esso non porgerebbe ai suoi  settatori un saldo sostegno. Così coni’ è, esso è vi-  ziato dalla radice, perchè poggia sopra una inver-  sione del problema filosofico e perchè confonde volgarmente due termini che vanno distinti, scienza e  storia. I fenomeni particolari che registra la storia  sono non solo inesausti, ma inesauribili nel loro nu-  mero: la umanità ha invocato sempre l’ausilio delle  idee per dominare l’universalità dei possibili, senza  di che non si sarebbe mai svincolata dalle strettoie  di una perpetua ignoranza. La storia ha per oggetto  il nudo individuale; quello che sta a sè e non può  predicarsi degli altri; quello che può essere cono-  sciuto solo per un atto di esperienza ex professo e  discontinua, e che, per essere singolo, si consuma  in un singolo atto mentale e consuma l’atto stesso;  quello che non ha nesso con altri e non può nè su-  bordinarsi ad essi nè subordinarli a sè, e che è in-  comunicabile: quello che dà luogo non ad un con-  cetto, ma ad una moltitudine di percezioni saltuarie,   sempre esposte alla sorpresa del nuovo, dell’impre-  visto, dell’ azzardo.  Schopenhauer — Die Welt u. 8 . w. — Ergiinz: z. 3° Buch  — Kap: 38.    L’empirismo, messo allo stremo, li a studiato, pertanto, di sfuggire alla logica del suo criterio.  Invece di escludere la speculazione, esso fa atto di  riconoscerla, ma piegandola alle esigenze del suo  criterio; nò nega la sostanza, ma la traduce nel circolo  del suo sistema, llesta, per esso, oggetto della scienza  l’essere, ma l’essere appunto sta, o si presume che  stia, nel divenire. Il suo intento non è, in fondo,  negativo, ma dialettico. L’ esse della filosofia morale  e giuridica è appunto il fieri della evoluzione del  costume e degl’ istituti giuridici.   Quella serie di proprietà sostanziali, quella es-  senza specifica della natura e della coscienza umana  non sono negate o rimosse, adunque; sono sempli-  cemente interpetrate in un modo diverso. Esse non  sono più un a priori — della' storia, un termine che  è fuori del processo storico e che rende possibile  lo stesso processo; ma si rappresentano come un a  posteriori primitivo, come un prodotto dell’esperienza  collettiva e della razza, un prodotto che si solleva,  a sua volta, a causa di nuove formazioni, di nuovi  fenomeni, ma è ab initio una formazione, un feno-  meno esso stesso. Messo da banda il flusso Eracli-  teo^ i settatori del criterio storico-evolutivo si cre-  dono licenziati ad ammettere delle proprietà speci-  fiche della natura etica umana, quando s’ intenda  che queste proprietà sieno non un essere, ma un  divenire o, per meglio dire, un divenuto; quando si  intenda che esse sono forse un a priori a petto alla  esperienza individuale dell’ uomo che si trova in  uno dei momenti derivati, della evoluzione, ma sono  certo un a posteriori della esperienza delle g enei azioni preesistenti. Nella serie dei momenti evoluti-  vi, ciascuno di essi è un posterius delle esperienze  sociali trasmesse dal momento anteriore; solo clie  queste esperienze diventano generative di altre posteriori, a petto alle quali esse sono un termine  primitivo. L’esperienza collettiva che supera la dispersione e la difettività dell’esperienza individuale, l’abi-  tudine (latamente intesa) e 1’ eredità che la trasmette  e la consolida, la tradizione storica che ne raccoglie  le risultanze : ecco i supremi presidi, con l’aiuto dei  quali 1’ empirismo moderno si avvisa di superare le  difficoltà dell’antico, di trascinare l 1 essere della  scienza e della filosofia nel flusso del divenire e di  evitare, ad un tempo, le ritorsioni di quella logica  inesorabile, che lo forza a dibattersi sterilmente  nell’ assurda impresa di logizzare la storia o di sto-  rizzare la logica, di formulare e dogmatizzare il  mutevole, 1’ evanescente, 1’ individuale e di travol-  gere, ad un tempo, nella rapida scorrevolezza dei  fenomeni transeunti quello che è e che sta, 1’ e-  terno, V immutabile, 1’ assoluto.   Se. non che, anche in questo contenuto più ric-  co di valore ideale che assume il criterio storico-evolutivo, esso è ben lontano dal sottrarsi a quella  logica di sistema, . che, volente o nolente, lo rimena  all’ assurdo d’ invertire i termini del problema filo-  sofico e di scambiare la scienza con la storia, la  sostanza col fenomeno, le facoltà e le attitudini  connaturate con le esperienze e gli abiti acquisiti.  Finché, in omaggio al paradosso, si riconosce l’am-  missibilità di un x>rocesso all’ infinito e, rifacendo  la serie regressiva delle esperienze, il primo termine  di quella serie si rappresenta come una esperienza  a sua volta, il vizio radicale dell'empirismo rimano  sostanzialmente lo stesso. Finché la razza è una  moltitudine d’individui, la quale moltitudine non  può fornire un elemento nuovo ehe non sia orini-  nari amente contenuto in ciascuno degl 'individui che  la compongono, finche 1’ abitudine e Y eredità sono  forze trasmissive e non creative, le quali, quindi,  presuppongono un quid che si ripeta o consolidi o  trasmetta, la contraddizione implicita nell’ assunto  empirico rimane tal quale. L’ empirismo allontana,  risospinge indietro il problema nella storia, ma non  lo risolve. Nella serie delle fasi evolutive v’ è sem-  pre un priuSy un termine primitivo, che, come esso  c’ insegna, non è un essere ma un divenire, non è  una sostanza ma un fenomeno, non è attitudine  all’ esperienza ma esperienza senza attitudine. Ed  in questo termine primitivo rinasce il problema  elie si credeva composto: il divenire è possibile sen-  za 1’ essere ? ed i fenomeni giuridici sono possibili  senza l’essere giuridico"? senza una coscienza giu-  ridica già data, senza una facoltà connaturata del  dritto, sono possibili le esperienze giuridiche? Ogni  momento individuale dell’ evoluzione giuridica, lo  si derivi pure da una serie inferiore preesistente,  non ha forse bisogno d’ un ciliquid che lo determini  e lo differenzi come tale dal momento anteriore ? e  questo aliquid non è un essere che precede e rende  possibile il divenire ? Nella continuità dei fenomeni  deve pure esservi, non foss’altro, V infinitamente pic-  colo di Leibnitz, che prima non era ed ora è, ed è quindi la radice, il substratum di quello che v’ è    di nuovo nel rapporto reciproco dei termini suc-  cessivi della serie, di quello cioè che differenzia i  singoli momenti della continuità. Questo infinita -  mente piccolo non può essere prodotto dalla prima  esperienza, se questa, per logica di cose, lo presup-  pone. Come mai quelle esperienze giuridiche o quella  serie di esperienze, che saremmo impotenti a far  noi ex novo , se fossimo dello tabulae rasae , e che  noi possiamo Aire, secondo il criterio storico-evolu-  tivo, solo perchè 1’ eredità e la tradizione storica  ha deposto e trasmesso nei nostri poteri psichici  tutto un contenuto ideale che tesoreggiamo di con-  tinuo, come mai, dico, quelle esperienze sarebbero  esse state possibili, senza verini possesso anteriore  di una facoltà connaturale, a quegli uomini primi-  tivi, i quali, a quanto insegnano gli evoluzionisti,,  uscivano a mala pena dalla specie inferiore dell’ani-  malità? Perchè, senza dubbio, proseguendo a rove-  scio il corso dell’ evoluzione giuridica, vi sarà seni  pre un assolutamente prius die non è più specie ma  individuo, che non è più esperienza collettiva e sto-  rica ma nuda esperienza individuale.   Il criterio storico-evolutivo che, per aver rico-  nosciuto la legittimità dei processo all’ infinito, ha  posto, come termine primitivo delle esperienze, la  esperienza stessa e, come causa degli effetti, V ef-  fetto o la serie degli effètti stessi, deve raccogliere  i frutti del suo inconsulto procedere e deve togliere  sopra di sè la contraddizione di un termine derivato  che si postula come termine primitivo.   La filosofia tradizionale, la teoria nativistica come  per dileggio la chiama l’ Jliering, aveva adunque  ragione quando poneva a sostrato primitivo e cau-  sale la natura deir uomo e non il processo della  storia, la coscienza giuridica e non le esperienze  edonistiche ed utilitarie. Il fenomeno della evolu-  zione presuppone il noumeno della creazione, nella  filosofia del dritto come nella cosmologia : il dive-  nire presuppone l’essere che diviene e che sussiste  <   lo stesso attraverso e non ostante il divenire. Senza  una coscienza giuridica bella e data, V esperienze  giuridiche non sarebbero nate, perchè è la facoltà  che crea le esperienze e non le esperienze la tà-  coltà. Ed invero, senza una coscienza giuridica uni-  versale connaturata in ciascun membro della razza  o della specie, l’intimo consenso in certe verità giu-  ridiche fondamentali, attestato dalla stessa osserva-  zione serena dei fatti, non sarebbe mai venuto alla  luce. L’esperienza, la quale procede a furia di espe-  rimenti, di correzioni, di prove rudimentali, incerte,  provvisorie e che è sempre varia da soggetto a sog-  getto, da caso a caso, non può aver potuto deter-  minare, per la contraddizion che noi consente 1’ uni-  versalità e 1’ unità della ragion normativa e della  coscienza. Si riduca questa unità e questa univer-  salità alle semplici proporzioni di una funzione for-  malo e vuota di contenuto, ebbene non sarà mai  concepibile come quella unità della forma della coscienza inorale possa essere uscita dal fondo di  esperienze soggettive, senza un fondo comune di  attitudini preesistenti, senza un addentellato di sor-  ta. 1/ antropologia dell’ evoluzione può aver pro-  vato, si conceda per un momento, che il contenuto  della morale e della giustizia varia da popolo a popolo, da tempo a tempo, ma non può aver provato  che ne varii altrettanto la forma. Essa, anzi, ri-  prova indirettamente che la materia infinitamente  diversa del dritto reca in sè V impronta di una co-  stante unità di leggi e di funzioni, le quali sono, «   alla coscienza morale dell 7 umanità, quello che al  pensiero le leggi e le funzioni a priori della cono-  scenza; e che muta il contenuto dell’ atto morale,  ma immutabile ne è la ragion formale; ossia le con-  dizioni necessarie all’atto morale come tale sono im-  mutabilmente concepite e, sarei per dire, plasmate  nella forma assoluta d 7 un imperativo incondizionale,  d 7 un dovere. Si assuma il più semplice degl 7 istituti  giuridici del più semplice dei Natur-Viilker, ebbene  l 7 analisi vi scopre sempre questa proprietà ideale :  il convincimento di una legge estra- soggettiva, che  è fuori e sopra l 7 arbitrio individuale ed alla quale  è doveroso prestare obbedienza. La pretensione giu-  ridica del selvaggio contiene un elemento spirituale  che è condizione comune a tutte le pretensioni giu-  ridiche di tutti i popoli più culti. Quella preten-  sione è appresa come una legge impersonale, non  solo rispetto ai soggetti presenti sui quali si eser-  cita, ma altresì rispetto a tutti gli altri soggetti,  che sieno per trovarsi nella stessa condizione dei  primi, e, quindi, rispetto allo stesso soggetto preten-  sore, ove egli in tale condizione venga a trovarsi.  Motivo etico della pretensione o del comando, quel  motivo, cioè, per cui l 7 una o l 7 altro è appreso come  autorevole e fonte di obbligazione doverosa, è sempre  la conformità presunta di quella pretensione o di  quel comando ad una legge. Che la conformità presunta non sia conformità reale importa poco: resta  sempre stabilito ohe condizione necessaria dell' atta  giuridico, condizione universale e comune a tutti i  popoli della terra, è l'intuito dell'atto stesso sotto la  ragion formale del giusto. Ohe questa proprietà ideale  non si trovi così nettamente distinta e differenziata  nella coscienza morale del selvaggio, importa ancor  meno. L’analisi è creatura della riflessione scientifica,  laddove l’idea del bene e del giusto è un intuito sin-  tetico della coscienza: 1’ assenza del l'un a è ben lungi  dal provare quella dell’altra. L’analisi rende molte-  plice e successivo rispetto a noi quello che è uno e  simultaneo rispetto alla natura: confondere questi due  aspetti è convertire in ipostasi reale un fenomeno  della nostra difettività conoscitiva.   Senza dubbio, 1’ unità e la comunanza della sem-  plice-ragion formale del bene e del giusto non basta  a fondare una morale, nò una filosofìa del dritto.  Un’etica senza contenuto è una logica del bene e del  giusto, non una nomologia. Quella unità della coscien-  za si traduce in piena iudifferenza e la percezione  della ragion formale del giusto in un mero momento  psicologico. Ma, se questa unità formale della coscien-  za morale è poca cosa rispetto alle esigenze ed agli  uffici dell’ etica positiva (e però noi non ci ristiamo  a lei, ma ammettiamo un contenuto morale, quale  quello che ci detta la filosofìa teleologico-cristiana, e  sulle orme della scuola di Max Mailer vediamo, nelle  tristi condizioni morali dei Natur- Volker il prodotto  di un pervertimento derivato) è molto rispetto alla  critica della sociogenesi della evoluzione. La quale si  chiarisce così contraddire apertamente non solo alla teleologia inorale, ma benanche alla critica, più ne-  gativa e più «pregiudicata, della ragion pratica.  Come per avventura, le incerte esperienze dei sog-  getti sub-umani abbiano potuto determinare V unità  della ragione e dell’intuito formale del giusto, vale  a dire quell’ unità che è il residuo non eliminabile  di un’analisi corrosiva della moralità umana: ecco un  enigma che il criterio storico-evolutivo non riuscirà a  decifrare mai.   Gli è che la presunzione della tabula rasa non  è meno infondata nella sociogenesi, di quello che  lo sia nella ideologia : anzi nell’ una è più insoste-  nibile che nell’altra, perchè il dritto è una idea cosi  complessa che anche delle scuole filosòfiche, le qua-  li, nella serie regressiva dei fenomeni della cono-  scenza, pongono come termine primo la esperienza,  hanno sentito il bisogno di concepirne l’idea e la voca-  zione come connaturata nell’ uomo, come un habitus  della natura. L’ atto giuridico e 1’ atto morale non  nascerebbero mai, ove nella volontà dei soggetti non  vi fosse una cotal disposizione naturale al bene e al  giusto, la qual vocazione, a sua volta, difetterebbe  ove non vi fosse un intuito originario del bene e  del giusto. Ignoti (chi noi sa?) nulla cupido. La vo-  lontà non è, da per sè, una legge, come volle il  Kant, ma nemmeno è indifferente a qualsiasi legge,  come vorrebbe il plasticismo degli evoluzionisti. Kon  è autonoma di fronte alla Legge Suprema ed al  Supremo Legislatore, ma è tale di fronte al resto,  à o’ dire che nella volontà umana v’ è una voca-  zione primitiva verso quello che è buono e che è  giusto, vocazione indipendente dalle condizioni dell’esperienza e della storia. Dicendo ciò, non si ol-  trepassano i limiti della lìlosolìa per entrare nell’or-  * bita della teologia (benché un rimprovero siffatto,  ci affrettiamo a dirlo, sarebbe per noi un titolo di  onore). Principio conoscitivo del bene e del giusto  rimane, con tutto ciò, l’analisi della coscienza, co-  me principio ontologico dell- uno e dell’ altro, la na-  tura umana. Noi siamo i veri positivisti, noi, die  ci reggiamo sul saldo sostegno della physis , ma del-  la pliysis non deformata dalle preoccupazioni mate-  rialistiche. Rifacendo la serie regressiva delle cau-  . se, la filosofìa pone una causa prima che muove  la natura senza esserne mossa: intenta a discoprire  V origine prima di tutte le cose che sono nel tempo,  la logica la costringe ad uscir fuori del tempo. 1/ e-  voluzionismo può deridere questa logica, ma non  rintuzzarla. L’ esclusione di un assolutamente prius  è impossibile. E ad esso, dico al positivismo, non  rimane che o attestare, con tacito assenso, la presen-  za del soprannaturale, ovvero rimaneggiare con  ostentazione di novità e di maturità quella pove-   y   ra teoria mitologica della spontaneità creatrice degli  uomini primitivi. Quell’ assolutamente prius, quel  termine primitivo delle esperienze, se non è una  creazione del soprannaturale, deve essere una ge-  neratio aequivoca della natura primitiva : una genialità eroica, un salto mortale degli esseri sub-  umani.   Per. sfuggire alle ritorte della logica, il criterio  storico-evolutivo non ha altro spediente che quello  di adagiarsi in esse, di accettarle deliberatamente,  di sistemarle anzi: quello, cioè, di bandire addirittura il problema delle origini, facendo sorgere la  risoluzione di un problema insolubile dalla dispera-  zione professata di risolverlo. Questa esclusione del  problema delle origini, come di cosa inconcepibile in  sé, è postulata dalla logica del divenire. La conti-  nuità evolutiva dei fenomeni dell’ universo esclude,  per logica di cose, ogni nozione di principio o di  fine (1). Questi due termini estremi rappresentano  il discontinuo, il vacuo, il salto per eccellenza, on-  de sono fuori della evoluzione. L’ evoluzione è pan-  teistica: è 1’ eternità trasferita da Dio al mondo: ora  non va dimenticato che 1’ eternità esclude cosi l’o-  rigine come la fine. Gli evoluzionisti odierni lian  poco compreso la portata del criterio evolutivo, per-  chè ad essi ha fatto difetto quella penetrazione,  metafisica che la fece comprendere cosi egregiamen-  te al Leibnitz: ond’ essi, pur professando la teoria  dell’evoluzione, seguono ciò non pertanto a cinci-  schiare il problema delle origini ! Ma ciò non to-  glie che la loro dottrina si dibatta tra le strette di  questo dilemma: o accettare la logica dell’ evoluzio-  ne e quindi cessare di essere positivisti e confessar-  si per animali metafisici di una specie alquanto di-  versa dagli avversari: o deviare da quella logica e    fi) b as Priucip dor Continuitlit verbot in der Reihe der  Erschein angeli alien Unsprung. Kant. Kr. d. r. Vera. (Ed. di  Ilarteustein III S. 201). E lo aveva ben compreso il v. Savigny.  < . . . . zwisclien Gesclilechter und Zeitalter nur Entwickluug  aber nicht absolutes Ende uud absoluter Anfang gedacht wer-   den kann ». Vom Beruf unsero/ Zeit u. s. w. Ili Aufl. cadere nelle contraddizioni di un primitivo che è  derivato o di un a posteriori che è primitivo.   La ritorsione del secondo corno del dilemma è sta-  ta analizzata parecchio fin Qui. Giova solo aggiungere  qualche- cosa su quella del primo. Ed anzitutto, che  i positivisti, accettando la logica del criterio evo-  lutivo, diventino di punto in hello metafisici non è  chi noi vegga. L’ esperienza è limitata alla condizione  del tempo; l’evoluzione è, invece, fuori del tempo, è,  ripeto, la eternità trasferita dal mondo di là al mon-  do di qua e, nello stesso mondo di qua, dalla so-  stanza ai fenomeni. Confessi, adunque, il positivismo  che il criterio storico-evolutivo è un criterio sovra-  em pirico; che esso non abolisce la metafìsica ma  ne fa una per suo conto; che non elimina il sopran-  naturale ma converte invece ih naturale in sopran-  naturale. Confessi altresì, che, quando promette di  darci il nascimento ed il processo fenomenico delle  cose, esso mentisce sapendo di mentire. Il criterio  dell’ esperienza e della storia, strettamente conside-  rato, ci dà i termini disparati e sconnessi e non il  vincolo di quei termini, i fatti compiuti e non la  legge del loro divenire. Il continuo sfugge alla sto-  ria: essa non ci dà che una moltitudine di vacui e  di discreti, tra i quali la mente umana riconosce un  ordine che reca la impronta della metafisica che  v’ è in lei, ossia di quella somma di concetti che  essa ha di già sulla natura degli esseri soggetti al  divenire storico. Ed ecco così che il realismo giu-  ridico, la filosofia del dritto genetica e fenomenolo-  gica vien meno del tutto al suo programma : non  solo V essere dei fenomeni giuridici, ma e il nasci-  li    Petronk    mento e il divenire di questi esseri esso ignora. Re-  siduo positivo della critica mossa alla filosofia è la  scepsi pura nel campo del dritto; una scepsi dog-  matica più cbe quella filosofia e elie non soddisfa  nò al criterio filosofico, nè alla esperienza.    GAP. III.    li positivismo giuridico ed il problema etico   della filosofia del dritto — Il dritto naturale.   »   Il dritto non è soltanto una idea ed una sostanza,  ma, altresì e soprattutto, una norma. Esso è idea  umana e, quindi, non è idea quiescente, ma forza,  nè solo anticipa l’essere, ma detta il dover essere.  È una idea imperativa per eccellenza ed, appunto  perchè tale, essa, ripeto, è forza: forza ideale e virtù  morale, s’intende, e non coercizione fisiologica o psi-  cologica.   La filosofia che attingeva lume da questi sovrani  criteri riconosceva, in correlazione al dritto positivo,  un dritto ideale: questo era per lei una legge e  quello un fatto; un fatto che desume il suo valore  dal rapporto che ha a quella legge, dall’essere esso  una forma di attuazione, d’ individuazione di quella  legge. Questo fatto poteva adequare, se non in tutto,  in buona parte quella legge, ma non l’adequava ne-  cessariamente: ed, in tutti i casi, il suo valore era  misurato dal limite di approssimazione al dettato di  quella legge. Astraendo il dritto positivo da quel  parziale contenuto ideale che vi sta dentro, da quello    212 —    die fa sì die esso sia non solo positivo ma dritto^  di quel diritto positivo non rimane, per la fìlosoiìa r  die il fatto bruto, indifferente, sfornito di significa-  zione. Così per la filosofia seguiva un doppio pro-  cesso: il dritto naturale conduceva al dritto positivo-  pel bisogno della sua effettuazione empirica ed il  dritto 'positivo rimenava al dritto naturale pel biso-  gno di un titulus jitris e di un sostrato razionale.  L’ un termine non era 1’ altro, ma aveva rapporto  air altro. Erano due correlata , non due contrari.  Perchè non erano tutt’ uno, legittima era la ragion  d’ essere dell’ uno e dell’altro ad un tempo, e, per-  chè erano tutt’ uno in qualche cosa, in qualche ri-  spetto, Fano dei dite non negava, non contraddiceva  assolutamente F altro. L’ ideale non era del tutto-  inaccessibile al reale e, perciò stesso, intrinseca-  mente difettivo ed erroneo : il reale non era del  tutto contrario all’ ideale e, quindi, assolutamente  ingiusto e condannevole. Questo rapporto che era  concepito tra i due termini faceva sì che Puno con-  ferisse all’ autorevolezza dell’altro. Il dritto positivo  attingeva la sua virtù imperativa dal dritto natu-  rale, ossia dall’esserne esso una varietà fenomenica,,  ed il dritto naturale desumeva da quello la possibi-  lità di trasferirsi, d’ individuarsi nei limiti del rela-  tivo e del condizionato, nella storia. Così la filosofìa  era tanto più vicina alla dialettica sapiente della  vita, quanto più era lontana dalla dialettica fanta-  siosa della logica; e come, nell’ ordine delle idee r  essa segnava la via di mezzo tra Pottimisino ed il  pessimismo, così, nell’ordine dei fatti, tra P umore  conservativo e P umore rivoluzionario. Il positivismo si atteggia anche qui, anzi soprat-  tutto qui, ad avversario reciso della filosofia. Come   »   nell’ ordine teoretico esso predica l’esclusione siste-  matica dell’ a priori e V apoteosi dell’ esperienza ut  sic, così nell’ ordine pratico esso dogmatizza l’esclii-  isione della norma doverosa e 1’ apoteosi del fatto.  Ed è giusto. L’ esperienza gl’ insegna l’ essere o  l’essere stato, non il dover essere: la storia non gli  dà che fatti o, tutt’al più, che leggi empiriche di  fatti: T evoluzione gli fornisce una legge di causa-  lità naturale che è la negazione recisa della legge  morale: nessuno dei criteri, ai quali esso fa ricorso,  gli suggerisce la nozione del dovere.   Tuttavia, poiché la necessità morale è un rap-  porto che è più facile escludere tacitamente, per  esigenza di sistema, che negare di professo, e poiché  il positivismo moderno é abbastanza raffinato per lu-  singarsi di fare a meno dei rapporti ideali della me-  tafisica (benché noi sia quanto é necessario per per-  suadersi della loro verità), esso si tiene ben lungi dal  rassegnarsi al puro fatto del dritto positivo ; bensì  non resiste alla tentazione di interpetrare questo fatto  in funzione di una legge che gli conferisca a priori  valore ideale ed assoluto. È dritto quello che é impo-  sto dai poteri coattivi ed é dritto in quanto e per-  chè è imposto ; ma, quest’ autorevolezza giuridica, se  coincide col fatto stesso del comando, non coincide  tuttavia col fatto del comando attuale , ed è conse-  guenza o espressione di una virtù presupposta nel  fatto del comando abituale , del comando in quanto  - comando. Il principio — est jus quia jussum ed  è la formula del positivismo e noi f abbiamo veduta assentita implicitamente e per ragion di contrasto  dal v. Jheriug e dal Daliu, professata espressamente dal Lasson e dal v. Kirchmann, idealeggi ata, in  omaggio allo psichismo , dal Bierling.   Quella forinola, per quanto positiva, implica un  sottinteso razionale. Ed il sottinteso è il seguente : il  fatto del comando è la sorgente appunto del dritto: o  altrimenti: l’essenza del dritto consiste nel comando.  Il positivismo lia, pertanto, anch’esso la spa massima:  1’ attitudine che esso assume di fronte al fatto non è  puramente passiva, o, se è tale, lo è o si avvisa di  esserlo coscientemente e razionalmente. Non v’è bi-  sogno di analisi minute per vedere quale e quanta  conferma indiretta, (conferma formale, s’intende) re-  chi questa massima del positivismo alla metafìsica  del dritto naturale. Il compito razionale del dritto  naturale non è propriamente escluso, ma applicato  ed atteggiato in modo diverso che prima; è una ma-  teria, nuova che si contrappone al contenuto antico  di quel dritto, non una nuova forma. La filosofìa  aveva per criterio conoscitivo del dritto naturale la    ragione indagatrice dei tini dell’ universo e della  natura morale dell’ uomo : il positivismo ha per suo  criterio l’esperienza immediata dei precetti del potere    positivo. La filosofìa aveva per principio ontologico del  dritto 1’ ordine morale della stessa natura dell’uomo    e degli stessi fini delle cose : il positivismo, invece,  il fatto stesso della coercizione potestativa, in quanto  tale : nell’ una come nell’ altro, le disposizioni posi-  tive sono un fatto che in tanto ha valore in quanto  gliel conferisce il rapporto vero o presunto di con-  formità di detto fatto ad una data legge o ad una data massima. Varia solo il contenuto della massima  e della legge, che nella filosofìa è sintetico, dovechè  nel positivismo è analitico : perchè nell? una è at-  tinto altronde e nell’ altro è spremuto dal fatto stesso  delle disposizioni positive o, che è lo stesso, preim-  plicato, con dialettica a priori, nel fondo di esso  fatto.   E che la massima del positivismo si traduca in  un’ analisi vuota, in una petizione di principio, non  v’ è dubbio alcuno. La forza coattiva del comando è  criterio del dritto, solo perchè il dritto si è precon-  cepito come forza e forza fisiologica; solo perchè la  nozione di una potenza spirituale del dritto in quanto  dritto, ossia in quanto norma di ragione, si è anti-  cipatamente esclusa, come nozione che trascende l’e-  sperienza,* solo perchè si è posto o postulato, anzi  tempo, il principio che la forza, che noi intendiamo  morale , degl’ imperativi giuridici non si differenzia  dall’ attuazione materiale e dal successo di fatto ;  solo perchè si è stabilito antecedentemente che la  condotta dell’uomo non può essere determinata che  dai motivi empirici e psicologici della sanzione po-  sitiva ; solo perchè si è presupposto che il dritto  non è una idea, ma un fatto e che l’assenza del*  1’ attuazione del dritto è sempre ed in tutti i casi  assenza del contenuto e della virtù imperativa del  dritto stesso. Ed invero, se la coincidenza della forza,  etica con la forza fisica, del dritto col fatto, non  fosse un presupposto, onde e come il positivista si  farebbe a provarla ? Con T esperienza ? Ma l’espe-  rienza gli consegna il fatto semplice e nudo, la nuda  e semplice forza fìsica ; se e fino a che punto 1 uno e l’altra sieno dritto o forza morale, 1’ esperienza  non lo dice e non lo può dire, perchè ignora che è  dritto e che è forza morale. ]STè lo suffraga la sto-  ria, la quale può provare concludentemente la pre-  senza o meno dell’attuazione di fatto del dritto, non la  presenza o meno deila necessità di tale attuazione. Il  positivismo deve, per necessita di cose, far capo alla  speculazione, per dimostrare il suo assunto; se non  che, è appunto la speculazione che ne denunzia l’ille-  gittimità, perchè, se il dritto positivo ed il dritto natu-  rale sono termini semplicemente correlativi, il fatto  ed il dritto, la forza bruta e la forza morale sono  termini addirittura contradditori, tra i quali non vi  è presunzione di coincidenza o di accordo che tenga.   Portando poi la questione in altro campo, è bene  por mente che, per tacciare di sterilità la idea ed  il dritto e per predicare come sola forza viva delle  cose il potere coattivo e materiale (ed il convinci-  mento radicato di quella sterilità è il motivo psico-  logico che persuade al positivismo il culto del potere    coattivo) occorre aver dimenticato, o non aver co-  nosciuto e compreso giammai, quanto la forza spirituale di talune idee universali, di alcune esigenze morali, di    alcuni canoni giuridici sia    stata superiore, nel corso della storia, alla forza materiale dei poteri  dominanti e quanti trionfi sulla tenacità di resistenza  dei tatti abbia ri portato tuttora la forza ideale del dritto.  Le quali conferme di fatto la filosofia le accetta e le  oppone  sorte di agli avversari, senza, per altro, vincolare alla  esse la sua, perchè (è bene ripeterlo) la forza ideale, la virtù imperativa del dritto è, per essa, indipendente dal successo di fatto o dall* osservanza   <ìgì soggetti. Il (lovorG g dovere, clie lo si adoni pia  « no; e la violazione è un mero fatto che opera si  elie 1’ idea non divenga un fatto, ma non sì che  l’ idea cessi di essere idea. Doveehè il positivismo  da questa confusione tra idea e fatto prende le mosse  e questa confusione solleva a sistema. Suo assunto è  il seguente: 1’ idea non è idea perchè non è un fatto : o  altrimenti: l’ idea non esiste in quanto idea, perchè  non esiste in quanto fatto. Il qual paradosso non può  essere legittimato che da un sottinteso non meno  paradossale: l’idea non esiste come idea, se non in  quanto non è più idea.   Se, adunque, il secreto tentativo di conferire a  priori alla nuda forza materiale valore e contenuto  ideale cade nell’ insuccesso, vien meno altresì quel1’ apparenza di legittimità, onde il positivismo si fa-  ceva bello. La logica delle cose rimuove quella pre-  tesa dialettica del dritto con la forza, denudando  quest’ ultima di quell’ involucro spirituale nel quale  si veniva dissimulando. Ed allora ai positivisti si  pone un dilemma dal quale non vi è via di uscita:  o riconoscere la legittimità della nozione del dovere  e, quindi, rientrare nei termini della filosofìa del  dritto naturale, o professare apertamente 1’ immora-  lismo della forza (1). Perchè tra 1’ una cosa e 1’ altra   (1) Ist clas Recht nur Recht, uutorschieden von Willkiihr  mici Gewa.lt, wenn and soweit es eine dea Willen vcrjìjlichtcnde  Kraft in sich triigt, so Htellt sichjeder; der von Recht spricht  nnd Weiss was er sagt, auf dem ethischcn Stand]) nuli, aut doni  Boden des Scimollenden. Alle naturalistischen nnd miterialisti-  ficlien Doctrinen kdiìnen daher nur durch Iuconsequenz, dureli  Urklarheit und Confusion oder durch sophistische Rrsclileichun-,  gen vor der Identifìcirung von Recht und Gewalt siedi scliiit-  ze n — Vìvici — Naturrecht non v’è via di mezzo che tenga; il contrapposto tra  la physis ed il nomos, tra la necessità fìsica e la  necessità morale, è irriducibile: chi non voglia as-  sentire alla logica della seconda non può, ov 7 egli  abbia mediocremente a cuore la coerenza filosòfica,  rinunziare alla logica della prima. E, quando si con-  fessi apertamente che il titolo che fonda la legittimi-  tà esclusiva del diritto storico e positivo è laforza  materiale dei poteri governanti, allora noi non avre-  mo più alcunché da opporre e ci terremo paghi di  darci per vinti. Il problema, allora, non è più da  dibattere, nè da risolvere, perchè difetta quel consenti-  mento in un prius della ricerca, che pure è necessario  per sostenere una polemica qualsiasi. Il positivismo  potrà, a buon dritto, millantare il privilegio che go-  dono tutte le forme di scepsi assoluta, tutti i sistemi  negativi, tutte le demolizioni dottrinali della verità  e della natura: il privilegio di esser fuori della cri-  tica, perchè si è fuori della coscienza umana.    Se non che, di questa logica di sistema non tutti  sono accorti; ne sono, anzi, ignari pressoché tutti.  Ed è forse questa ignoranza il motivo della loro te-  nacità. Essi usurpano, senza volerlo deliberatamente,  le esigenze ed anche un po’ le soluzioni del dritto  naturale, lieti che una materia presa d 7 altronde risparmi ad essi la fatica ed il dolore di saggiare a  londo la insostenibilità del loro assunto originario.  Del resto questa apoteosi del dritto di fatto e del-    la forza non è il sèguito di    un proposito meditato    e rigorosamente positivo, ma di una esigenza tutta/  negativa che domina i nostri positivisti. La esclusi-  vità che essi appongono al dritto positivo, è la conseguenza della esclusione clic essi Inni fatto dian-  zi di alcune forme storiche del dritto naturale; for-  me storiche che essi hanno scambiato sul serio con  la sostanza stessa del dritto naturale, in orna ir-  gio a quel vecchio espediente solistico di fare  un fascio della scienza e degli scienziati, della  idea e delle applicazioni, dell’uso e dell’ abuso, del-  la realtà oggettiva e della percezione soggettiva. E  di sistemi o di concepimenti individuali o collettivi  di dritto naturale ve ne ha parecchi e di diversa  natura; onde la impresa d’ insinuare i propri criteri  positivisti tra una critica e 1’ altra di questo o quel  sistema sbagliato di dritto naturale sembra larga  prò metti tri ce di successi. Se non che, alla prima  analisi cui si sottoponga (e parlo di un’ analisi ele-  mentarissima e superficiale) quel termine polisenso  che è il diritto naturale , i successi del positivismo,  come di ogni cosa che poggia sovra un equivoco,  si dissipano d’ un tratto.   V’ ha anzitutto una forma di dritto naturale, la    quale, benché prenda le mosse dallo schematismo  universale della natura umana e dalla premessa del-  lo stato di natura, ha tuttavia carattere e tendenze  originariamente empiriche e si presenta non già  come una dottrina creativa di dritti o di esigen-  ze morali in contrapposto al dritto positivo, ma  piuttosto come una semplice astrazione ed ela-  borazione concettuale del dritto storico vigente: e  questa scuola procede dal secolo decimosettimo alla  seconda metà del decimottavo (1). V’ ha, indi, una    (1) Ciò è messo discretamente in luce dal Bergòohm  risprudenz u Recktspkilosopkie 1 . S. 160-168.    Ju-    altra forma di dritto naturalo, quella ohe, per abu-  sata terminologia si chiama diritto naturale (. Natur -  rechi) per antonomasia, ed è il diritto naturale del-  V AuJhUirung e della ragione, di cui è conosciuta la  storia assai più, forse, che il carattere e V indole  vera, che è razionalista nel metodo, subi etti vi sta nei  criteri, antistorico nelle esigenze, umanitario nel con-  tenuto; che e la scuola in cui il diritto nou è pi 11  astrazione o generalizzazione dell 7 esperienza storica,  ma un lofjo della ragione creativa, e nel quale lo  stato di natura è (almeno in quanto ha di meglio)  meno una premessa di fatto storico, che una ipote-  si razionale postulata a legittimare una data serie  di obbligazioni giuridiche o la possibilità stessa di  una obbligazione giuridica: che ha nel suo attivo e  nel suo passivo, ad un tempo, la dottrina (atteg-  giata in modo particolare) dei dritti delV uomo e la  grande rivoluzione. V 7 ha, poi, il dritto naturale  della filosofia perenne; che non è forma ma sostan-  za delle forme; che è anteriore, per ordine di tem-  po, così al Natur recht empirico come al Naturrecht  razionalistico e che non è nè l’uno nè 1’ altro, ben-  ché V uno e 1’ altro nella lor parte migliore si ap-  prossimino ad esso ; che emerge dalle profondità  della coscienza umana iu qualsiasi luogo ed in  qualsiasi tempo e che la cultura greca speculò non  meno che la cultura moderna; che non è patrimo-  nio di questa o quella filosofìa personale, ma della  tradizione storica ed impersonale della filosofia ;  che non è contrario sistematicamente al criterio sto-  rico, ma non lo è nemmeno al criterio speculativo;  che rifiuta la ragione, come virtù creativa delle cose, ma la tieu salda come potenza conoscitiva dei rap-  porti ideali e delle norme - imperative; che supera  il subietti vismo assoluto dell’ AujMarung , ma non  ne trae argomento a rinnegare le esigenze oggetti-  ve della coscienza umana come tale ; che è illumi-  nato da una concezione teleologica dell’universo e-  della vita, ma non profana per questo il suo fina-  lismo nelle aberrazioni del panteismo ottimista e  del pietismo storico; che si rappresenta i dritti del-  V uomo circoscritti dalla funzione correspettiva del  dovere, ma non sconosce la sostanza ed il valore im-  perativo dei dritti attinenti all’uomo come tale, anzi  questi diritti rivendica tuttora e consacra.   Ora è questo dritto naturale che, in nome della  filosofia, si oppone oggi al positivismo, perchè è esso  che segna il sostrato permanente delle forme stori-  che particolari; e questo dritto naturale è così lungi  dall’ essere posto a mal partito dalla critica che i  positivisti oppongono a questa o a quella forma  onde questo o quel filosofo, ovvero questa o quella  scuola di filosofi lo ha concepito: che anzi taluna  di quelle critiche se la potrebbe appropriare esso  stesso, senza infirmare per questo il suo contenuto  sostanziale. E dico a bella posta: taluna: perchè pa-    recchie, la maggior parte, di quelle critiche, sono  del tutto infondate. Quelle, in specie, che si dirigo-  no al dritto naturale razionalisti co, ossia al dritto  naturale , sono sì arbitrarie e, ad un tempo, sì pre-  tensiose che si rende urgente il bisogno di rintuz-  zarle in nome della sana e serena filosofìa. Di già  quel dritto naturale non ha avuto ancora, nella lotta  delle dottrine, quella piena giustizia, della quale i      torti innegabili, ina pur sempre largamente compen-  sati non gli scemano la legittima aspettazione. Da-  gli avversari, che lo fraintendono o lo giudicano  con criteri unilaterali, agli amici (cito tra questi lo  Spencer del The nxan versus thè stette e della Jnstice )  che ne appropriano quello che esso ha di men buo-  no, è tutta una gara ad abbuiarlo, a rimpicciolirlo,  a deformarlo: alla quale non poca parte confermai  suoi tempi, lo Stalli, per aver voluto, in omaggio  alla sua dialettica possente, predicare della sostanza  del dritto naturale le note e le categorie applicabili  al solo panlogismo Hegeliano, che si traduce, a sua  volta, in un sistema intrinsecamente realista e po-  sitivista (1).   È di moda, ad es., tacciarlo di astrazione con-  cettuale, abusando del doppio senso della parola  astrazione , e non si pensa che esso rappresenta pre-  cisamente il contrapposto di ogni astrazione con-  cettuale della realtà empirica, differenziandosi, ap-  punto per questo , da quel dritto naturale che  immediatamente lo precede. L’ astrazione non è  punto un procedimento trascendentale e sovraem-  pirico, come si crede comunemente: essa è, anzi,  una delle tappe del processo induttivo. L’astrazione  è, propriamente, un processo di semplificazione  logica dei dati empirici, non un criterio conoscitivo  che trascenda i dati stessi. Assumere la parola   Parrebbe averlo egli stesso confessato, là dove (Geschi-  chte der Recbtsphilosopliie S. 161, 162) illustra lo aspetto em-  pirico del haturrecht dichiarando apertamente che solo con  1 Hegel può dirsi « der ununterbrochene Faden logischer  Forderung durchgefuhrt. »  « astrazione » nel senso di una « intuizione » sovra-  eni pirica è assurdo: bisogna aver dimenticato così  l’etimologia del vocabolo (ab -strabere) come fi ana-  lisi del processo conoscitivo.   L astrazione è la via traverso la quale si per-  viene all’ universale logico: il quale universale logico  è 1’ unico sforzo cogitativo che si possa consentire  l’induttivismo e 1’ empirismo Se, adunque, astrazio-  ne non significa che questo, non è arduo vedere  quanto arbitraria sia la censura mossa al diritto  naturale. La ragione del Naturrecht è così poco ra-  gione astratta da una serie di concreti preconosciuti,  che anzi essa è una creazione, una conoscenza ex  novo ed intuitiva. Il diritto naturale è, nel fondo,  ont elogisti co: ond’ esso ha per suo criterio l’intuito  creativo della ragione, anziché l’esperienza del reale,  fi analisi, la riflessione, 1’ astrazione.   Il genus proximum dell’ uomo, ossia del soggetto  dei dritti connaturati, è, ivi, meno un residuo dei-  fi astrazione dalle differenze specifiche, ossia dalle  varietà contiagibili e storiche, che una speculazione  a priori e so vraem pirica delfi università reale della  natura umana. E dico che è tale nella sua esigenza  e nel suo interesse filosofico, senza punto giudicare  se quella esigenza o quell’ interesse siano stati sem-  pre e coerentemente soddisfatti. Ed è appunto dal-  1’ essere fi intuizione, fi Anschauung, il suo processo  ed il suo criterio, che segue la sua virtualità, sarei  per dire la sua impulsività etica. L’ astrazione è  puramente logica; è negazione esplicita della vita,  della forza, delfi attività, delfi ethos. Carattere del  dritto naturale è, invece, la sua potenza attiva, la sua forza suggestiva di riforme e creativa di rivol-  gimenti: suo prodotto immediato è quella obsessione  spirituale che investi V u mani ta, tiascinandola in  quel salto dal pensiero all’azione, dalFideale al reale,  dalla natura alla storia, vero salto nel buio, che fu  la rivoluzione. V’ lia bensì l’astrazione concettuale  anche nel dritto naturale: ma questa astrazione, an-  ziché essere il prodotto d’ una esigenza sovra-empi-  rica come si crede dai piu, è più presto la conse-  guenza naturale di quella iuiìltrazioue empirica che  vi si venne formando, allorché i suoi cultori, non  contenti di aver annunziato una serie di principi e  di averli speculati a priori , il che, metodicamente  parlando, era perfettamente giusto, vollero fare un  passo più oltre e costruire, per via di un'analisi  concettuale di quei principi, la serie degli atteggia-  menti concreti della vita giuridica. Per una simile  costruzione logica miglior presidio non si offeriva ad  essi che 1’ astrazione, ossia la semplificazione logica  dei concreti ottenuti dall’ esperienza. L’intuizione  non poteva servire alla bisogna, perche è proprio-  deli 7 intuizione cogliere i rapporti ideali e 1’ univer-  sale delle cose o, più brevemente, le idee, non i  concreti od i fenomeni. Essi, adunque, travagliati  da una esigenza empirica, fecero capo all’astrazione; e  dal mondo reale e dalle condizioni sociali ed economi-  co-politiche del tempo loro astrassero tutto un conte-  nuto storico e particolare, il qual contenuto essi  hanno predicato dell’ umanità intiera, jiervertendo,.  così, in universale logico, l’universale reale e, nella  indifferenza dialettica, 1’ unità della natura umana.  E qui che la critica dello Stali! e degli altri acerbi    rampognatoli coglie, senza dubbio, nel segno, ina non  già perchè il dritto naturale sia caduto nelle spe-  culazioni a priori della ragione, bensì perchè esso  è caduto nel circuito dell 7 analisi e dell 7 empirismo,  o, se l’astrazione si voglia assumere, per un momen-  to, nel senso che le conferiscono i nostri avversari,  non perchè essi abbiano astratto troppo, ma perchè  anzi hanno astratto troppo poco. La natura traccia  le linee fondamentali : i dettagli dell’ esecuzione li  lascia alla stòria ed alla volontà positiva. Il vero  dritto naturale ci dà una serie di criteri o di prin-  cipi del dritto, i quali sono, bensì, un dritto, ma  un dritto ideale e potenziale. Essi, quei criteri o  quei principi, sono un prerequisito del dritto feno-  menico, ma non sono ancora, propriamente parlando,  un dritto fenomenico bello e dato; il qual dritto è  la risultante complessa di condizioni empiriche, nel-  le quali quei principi e quei criteri s 7 individuano  ma non si consumano. Questo principio è eflicacemente illustrato, uon senza  per altro un po’ di formalismo, da A. Feuerbach « . . . . Das  Reclitsgesetz, obgleìch durch sich selbst aUc/emcinf/ultig. kanu  dennoch als blosses Vernini ftgesetz nicht allgemeingeltend wer-  den. Soli es wirklioh herrsclien. . , . so muss dieses Reehtsge-  setz aus dem Reicke dei* Vernunft in das Reich der Erfahrung,  aus der intelligiblen Welfc in die Welt der Sinne hiniibergetra-  geu. . . . werdeu. In dem Gesetze des Reehts erkenne idi nodi  nicht dio Reclite selbst, in ihm habe ich nur das Princip und  das Criterium ihrer Erkenntniss; dio Frage ; worin besteht das  rechtliche uberhaupt; nicht aber die Frage: was Rechtens sei  uuter diesel* oder jener Bedingung, in diesem odor jenem Vor-  hiiltnisse. ...» Ueber Philosophie und Empirie in ihrem Ver-  liiiltnisse zur positivon Rechtsvnssensckaft=Landshut 1801: p:  16 e segg.   Petrone     L’ esigenza empirica che deforma il dritto natu-  rale sta appunto in questo, nel serbarsi infedele al  suo assunto, nel sottoporre quello che dovrebbe es-  sere una speculazione del dritto naturale a quella  serie di condizioni alle quali è sottoposta la cono-  scenza del dritto fenomenico, nel trasferire alla no-  zione di quello le note che sono pertinenti alla no-  zione di questo; di guisa che essi muovano come  da un sottinteso: il presunto dritto naturale va trat-  tato alla stregua del dritto fenomenico.   Ad essi è mancata quella potenza o, forse meglio,  quella tenacità di tensione intellettiva che era neces-  saria per comprendere che il dritto naturale deve anzi  tutto rimanere dritto naturale, e che il giudizio sulla  esistenza di esso non deve essere sottoposto al re-  golo o al criterio moderatore dei giudizi sull’ esi-  stenza del dritto positivo. Anche qui, adunque, essi  sono in colpa non già per aver voluto far troppo di  dritto naturale, ma per averne fatto troppo poco; e  chi ha meno dritto di rampognarli di ciò è il positi-  vista. Ai principi del dritto naturale si potrebbe,  a buon dritto, torcere quel rimprovero che fece Ari-  stotele alle idee di Platone : essi, quei principi, sono  ipostasi intellettive delle realità fenomeniche indivi-  duali. Di qui 1’ aspetto malsano del dritto naturale :  la realtà della storia contorta in un falso schematis-  mo logico: quello che sarebbe dovuto essere storico  relativo provvisorio, rifuso in una forma logica uni-  versale e rappresentato come eterno, assoluto, im-  mutabile: la storia, insomma, negata come storia e  riaffermata come speculazione logica. Così, quel su-  biettivismo, che era la realtà di fatto del tempo dell’ AujUiirung > si predica come natura dell’ uomo  in tutti i tempi : alla proprietà ed al contratto si  conferisce quel contenuto rigidamente individualistico  che corrispondeva alle mire secrete del sistema eco-  nomico che si veniva affermando in quell’ ambiente  storico, del sistema capitalista (1) ; la nozione dei  dritti connaturati alterata e deformata dalla miscela  inconsulta di elementi positivi e di pretensioni e di  attribuzioni acquisite.   Gli si appone a colpa, altresì, la nozione dello  stato di natura. Ma, se lo assumere uno stato primi-  tivo della umanità governato da una legge spontanea  di natura e non da una legge o da un sistema di  leggi umane positive, se, dico, assumere questo stato  di natura a rigore di fatto storico può essere ed è  un abuso della mitologia, assumerlo, invece, come  una ipotesi lìlosohca, è, fuori dubbio, un processo  rigorosamente scientifico e fors’ anco metodicamente  necessario. Ogni pensatore che voglia differenziare  mediocremente il contenuto della vita sociale, che  voglia sceverare quello che è permanente da quello  che è transitorio, il substratum dai fenomeni, che  voglia discernere nettamente quello che in una data  associazione di persone va attribuito alla natura ori-  ginaria di ciascuno dei membri da quello che vi si è  venuto soprapponendo per la reciprocità d’ influsso  dei membri tra* loro e per tutto il tessuto dell’ azione  sociale, ogni pensatore, dico, che voglia fare tutto  questo, deve porre lo stato di natura e contrapporgli   (1) Cfr. il nostro libro « La terra nell’ odierna economia  capitalistica (Roma) lo stato sociale sopra v vegnente, deve distinguere lim-  pidamente l’uomo della natura dall’uomo della storia.  È superfluo qui ricordare lo Spencer, il quale a  questa astrazione dell’ uomo della natura dall’ uomo  della storia (che per lui, naturalista reciso, si con-  verte in un’ astrazione dell’ unità biologica dall’ unità  sociale) ha reso omaggio non solo nelle opere ultime  nelle quali egli restaura di professo il dritto naturale,   ' ma anche nelle opere anteriori, le quali segnano il  climax del suo pensiero filosòfico : il convincimento,  anzi, della legittimità di una contrapposizione del-  l’unità biologica alla unità storica, o, che per noi è  lo stesso, della legittimità di una ipotesi dello stato  di natura, è, forse, l’anello di congiunzione del suo  novissimo dritto naturale con la sua sociologia ed in  genere con tutta la sua filosofia sintetica, 1’ adden-  tellato dell’ uno nell’ altra. Ricordo, poi, un illustre  positi vista, come il Kirchmann, il quale ha esplicita-  mente riconosciuto la necessità che le scienze morali,  prive come sono del sussidio dell’esperimento, invo-  chino 1’ ausilio di ipotesi scientifiche per sopperire a  quel difetto, e, tra queste ipotesi, rivendica, di pro-  posito deliberato, quella dello stato di natura (1). Non   (1) Es.... ist die Wissenschaft der Sittlichen genothigt, nicht  bloss aut die sifctlichen Zustande der rohen und attesten Volker  mit besouderer Sorgfalt einzngehen, sondern sie muss noch  hinter die àltesten gesehiclitliclien Zustande zuriiekgehen und  durcli Hypothesen die einfachsten Zustande zu ermitteln suchen.  Diese Hypothesen kdnuen in ein phautastisches und fur die  Wissenschaft nutzloses Spiel ausarten : - allein mit Vorsicht  geiibt, ersetzen sie das Hulfsmittel der Experimente in der  Naturwissenschatt und sind nicht zu entbehren. Daher erklart es  8ich, das8 8chon Aristoteles und spdter die Begriinder des Natur-  1’ uso di questa ipotesi va, adunque, rimproverato al  dritto naturale, ma l’ abuso : ossia non la ipotesi  come ipotesi, ma la maniera particolare onde la si  atteggia.   Quanto poi all 7 altra nozione del contratto socia-  le , che è quella che più si rimprovera al dritto  naturale (e, tenuto conto delle conseguenze logiche  di essa, a buon dritto) va notato che nei più gran-  di cultori di quel dritto (cito ad es. il Kant) il con-  tratto sociale non è già un fatto storico, ma una  ipotesi razionale evocata a legittimare l’ordine giu-  ridico dei rapporti umani, anziché a scuoterlo e  corroderlo. La teoria del contratto sociale è la ri-  sultante di due fattori : del sottinteso o presupposto  contrattuale, secondo il quale unica fonte legittima  di obbligazione autorevole è il consenso dello stes-  so obbligato; e della esigenza, che animava i cul-  tori del dritto naturale, a legittimare il vincolo o  la serie dei vincoli sociali, anche quelli che non  lasciavano trapelare o supporre la presenza di un  consenso preesistente. Il contratto sociale è quel di  là dell’esperienza attuale, quell’ assolutamente prius  della storia, che sopperisce al difetto del consenso  attuale , con l’allegare una specie di consenso abi-  tuale , una Anerkenmmg , direbbe il Bierling, una mas-    rechts nùt TJrzmtanden des Memchen beginnen , welche uber die  Geschichte hinausreicheii. Der oft dagegen erhobene Tadel trifffc  nicht das Verfahren an sich, sondern nur den damit getrie-  benen Missbrauch. Es karrn desshalb auch hier dieses Mittel  nicht uiibeimtzt bleiben: aber die Vorsieht gebietet, es auf das  Nothwendige und Gewissere zu beschriinken. — Grimdbegrifte  sima dell’assenso. Il contratto sociale esprime quindi  la dialettica che il pensiero dei cultori del dritto  naturale ebbe tentato tra la premessa logica del  contrattualismo e le esigenze della conservazione  sociale, tra la invincolabilità assoluta della libertà  naturale, postulata come principio, ed il complesso-  dei vincoli sociali, riconosciuti come fatto. Il che  si deve al fatto , riconosciuto dallo stesso Stalli,,  che essi, se per la logica, sarei per dire per la  consequenziarità, del loro principio erano, o meglio  avrebbero dovuto essere, rivoluzionari , nel fondo  del loro pensiero e della tendenza loro erano, iu-  vece, conservatori: senza dubbio degl’ ingenui con-  servatori! (1). Ohe se si voglia porre a carico loro  appunto il non aver compreso che il vero stato na-  turale dell’ uomo è lo stato sociale, che non v’ ha  bisogno di una ipotesi razionale quale che sia per  legittimare vincoli sociali i quali si legittimano da  sè, che si pensi, almeno, che il torto innegabile    (1) Da» Naturrecht .... ist nachgiebig, wo es die Wirklich-  keit gegen sich hat, es liisst sich jeden Zustand gefallen und  sucht ihu dnrcli IJnterlegung einer stillschweigenden Einwilli-  guug zu rechtfertigen, uni sein theoretisches Interesse zu be-  friedigcn : die Revolution, dagegen, will die Macht der Wir-  klichkeit brechen, sie vernichtet jede Einrichtung , die uicht  aus ihreu reineu Vernunftbegriifen folgt. Ienes erdichtet fiir  jede Verfassung, die Mensehen liiitten sie gewollt, darait es si©  als frei denken kdnne, diese duldet keine Verfassung, die sie  niclit gewollt, dainit sie wirklich frei seyen. — Gesch. d. R.  phil. S. 290. Quest’ antitesi del dritto naturale alla rivoluzione  è licondotta dallo Stalli ad una causa diversa che da noi. Ma  ciò non conta: importa che quell’ antitesi sia stata riconosciu-  to da quel profondo intelletto.     — del dritto naturale va dovuto, in buona parte, alla  difficoltà di discernere i vincoli sociali, che sono  davvero conformi alle leggi della natura umana,  da quegli altri vincoli clic non sono tali. L 7 errore  loro, sarei per dire, è, in parte , un errore delle  cose. Niente più naturale all’ uomo dello stato so-  ciale e pure niente, ad un tempo, più violento di  esso (antitesi questa che deve essere stata colta  dal Manzoni, non ricordo più in qual punto delle  sue opere): perchè lo stato sociale, accanto ad una  serie di obbligazioni perfettamente legittime, perchè  perfettamente naturali, reca pure con sè (è il suo  lato debole come di ogui cosa di questo mondo) un  cumulo di coercizioni arbitrarie, giacobine , irrazio-  nali che la natura convellono, incatenano, deforma-  no. Che meraviglia, dopo ciò, che il dritto naturale  abbia colto questo secondo aspetto delle cose sol-  tanto e niun conto abbia tenuto del primo, di gui-  sa che si sia reputato in dovere di legittimare  quello che non sembrava legittimo a prima giunta  e di costruire con la volontà quello che non forni-  va la natura °ì Nei fenomeni di questo nostro mondo,  che non adempie in sè la perfezione e l 7 ideale, ma  della perfezione del di là è soltanto un baleno, v’è  tante e così aspre antitesi! ed è così facile invertire  un solo dei termini dell 7 antitesi nella realtà tutta  intiera !   Il dritto naturale può avere molti torti, ma que-  sti sono compensati ad usura dal molto di buono  che vi è dentro: da quella nozione di un dritto in-  dipendente dalla sanzione positiva e superiore ad  essa, che si attiene all’uomo in quanto uomo, che è patrimonio ind6Ì6bil6 della sna natura, quello ap-  punto die costituisce il suo essere di uomo, la sua  umanità. E V umanità-, ecco 1’ aspetto sano del di-  ritto naturale; che in esso è, fórse un universale  logico e formale, una formula del razionalismo del-  V Aujklàrung, ma (die si deve ad esso se sia potuto  divenire nella mente dei contemporanei e dei poste-  ri un universale reale. Prima che esso ravvivasse il  culto della personalità individuale, si vedeva questo  o quelV uomo, in questo o quel ceto, in questa o  quella condizione economica e sociale: grazie ad esso  si vide Tuo ino. Esagerò il suo assunto e cadde nello  individualismo: ma 1’ umanità gli deve saper grado  di questo individualismo, se da esso ha potuto spri-  gionarsi, con un processo di auto-correzione, la sana  individualità, ossia la dignità umana. In questo il  dritto naturale razionalistico si confonde col dritto  naturale assoluto della filosofia tradizionale; ed è la  espressione di quel dritto che ogni uomo possiede  come la parte più sacra di se stesso, che 1’ uomo  sente pria di conoscere ed aspira nell’atto stesso di  conoscerlo, che non si sa se sia più un sentimento  od un intuito, una idea od una volizione. Il dritto  naturale rientra, allora, nei termini della dottrina  cristiana, perchè il dritto dell’uomo è l’espressione  della preziosità inestimabile dell’ umana persona re-  denta da Cristo; e, come tale, è inoppugnabile,-e ri-  marrà tale senza fallo, finche non declini la coscien-  za morale dell’ umanità.   ^è io saprei per qual modo il positivismo, il  quale si è travagliato e si travaglia nella critica del  dritto naturale, possa col labile sostegno dei suoi angusti criteri oppugnarlo davvero. Un sistema die  predica V esperienza, come criterio scientifico esclu-  sivo, non lia altro argomento da opporci clic Questo:  il vostro preteso dritto naturale 1’ esperienza non  ce lo attesta; nessuno ci lia fatto toccar con mano  la sua esistenza nel passato, o nel presente; si può  metter pegno che nessuno ce ne farà toccar con  mano V esistenza nel futuro: il vostro dritto natu-  rale, adunque, non esiste. — Orbene questo argomento  è cosi innocuo che esso non tocca nemmeno il drit-  to naturale, nè i suoi cultori. I quali potranno ben  rispondervi: sapevamcelo ! ma il nostro dritto natu-  rale è quello che è, appunto perchè noìi è feno-  menico, ossia oggetto di esperienza. Koi siamo  si poco scossi dal vostro raziocinio che lo abbiamo  prevenuto: il dritto naturale è, per noi, una idea e  non necessariamente un fatto, un dover essere e  non un essere, una necessità morale e non una cosa  empiricamente esistente.   Ohe il dritto naturale sia esistito o meno nelle  condizioni dell’ esperienza e della storia, che sia  stato attuato o individuato da 'questo o quel dritto  positivo, a noi importa, a rigor di termini, poco;  perchè il nostro quesito non è se esso esista o sia  esistito davvero, ma se debba esistere: onde 1 inesi-  stenza di fatto di esso non è argomento contrario  alla nostra teoria, come non le sarebbe argomento  favorevole la sua esistenza. Quando, in nome del  criterio sperimentale, si esclude la nozione del diit-  to naturale, si cade in una petizione di principio.  Si dà per provato quello che si doveva appunto  provare: che unico criterio conoscitivo della esistenza    0    n    delle cose sia l’esperienza, o, meglio ancora, che non  vi sia altra forma di esistenza che la esistenza empirica.  Ed in questa petizione di principio si risolve tutta la  critica esercitata dal positivismo sul dritto naturale.  Gli studi di filosofìa del dritto del Wallaschek e più  di tutto il libro recentissimo del Bergbolim, nel  quale è condotto un esame molto accurato del drit*-  to naturale (1), sono piene di argomentazioni sup-  pergiù del contenuto e del valore della seguente,  tormolata dal primo di quegli scrittori: Ausser dem  bestehenden Rechi gìebt es Icein anderes Recht , demi  es ist ein Widerspnich , anzunelimen , dass, ausser  dem bestehenden Recht, nodi ein Rcclit bestelit , das  nicht bestelit (2). É chiaro che un simile modo di  ragionare è il portato logico della ideologia positi-  vista, come è chiaro che ivi si confondono malac-  cortamente duo cose, che vanno divise o distinte, o,  almeno, sulla diversità o pluralità delle quali vol-  geva appuntò il quesito. L’ esistenza empirica delle  cose va distinta dalla esistenza metafìsica delle cose  stesse. Ora è appunto a questa esistenza metafisica che  fanno accenno i rivendicatori del dritto naturale.  Ai quali inopportunamente si fa rimprovero di as-  surdo paradossale, con una proposizione sofìstica di-  quel genere, dove il verbo essere vien preso in un  membro in un senso e nell’altro in un altro.  Line andere ivichtige Frage bleibt ja immer , ob  das Recht, das bestelit , aneli bestehen solite , aber  der Bcgrijj des Rechtes, das sein soli, darf nicht verwechselt werden mit dem , das thatsàchlich vorhanden  ist, und nur dieses letztere ist Recht , das erstere soli  es sein (1). Ma, di grazia, quando mai il dritto na-  turale ha preteso di affermare la sua esistenza em-  pirica di fatto , ossia la sua esistenza di diritto  positivo? Esso ha sempre preteso di essere quello  che è, e quando ha detto: io sono: intendeva dire,  non già: io esisto davvero: ma: io debbo esistere.  L’ essere del dritto naturale è precisamente il dover  essere: il dritto naturale' è una norma ed è come  norma, cioè a dire come dover essere. Che non sia  punto un fatto, il primo ad esserne persuaso è esso  stesso. Appunto perchè non esiste necessariamente  nelle leggi positive, esso rivendica il suo dritto di  esistere. Ed in questo dritto ad esistere, non già  nell’ esistere davvero è riposto il suo essere. È ve-  ramente deplorabile che questi principi così elemen-  tari debbano essere ribaditi quando pareva che nes-  suno potesse dubitarne!   L’ empirismo è così scarso di prove contro il  dritto naturale, ch’esso non può neanche fermare  assolutamente che quel dritto non sia possibile  nelle stesse condizioni future dell’ esperienza. Vale  a dire, esso non solo non ha autorità di asserire che  il dritto naturale non sia . ovvero non debba esistere ,  ma non ne ha nemmeno per assicurare che esso non  possa esistere. Perchè il possibile ed il futuro ecce-  de il potere dell’ esperienza, la quale è limitata al  passato ed al presente; il poter essere o il sarà sono  quasi così lungi dal poter essere affermati e negati  dal positivismo che aspiri ad essere logico, quanto lo è il dover essere (1). Esclusa, così, la possibili-  tà di uno di quei richiami al futuro che sono tra i  ripieghi prediletti dell’ empirismo, toltogli il modo  di dettar legge alla storia, ad esso non resta che  contenere le sue negazioni nella sfera del presente.  Allora la scepsi che esso esercita sul dritto natu-  rale va formolata nella tesi seguente: il dritto na-  turale non esiste come dritto naturale, perchè non  esiste come dritto positivo : una tesi sbalordi toia  che presuppone, in chi la . sostiene, il difetto asso-  luto della più elementare analisi ideologica e che  segna, mi si lasci dire la parola, la vera bancarotta  del positivismo giuridico.  Stammler. Igino Petrone. Petrone. Keywords: determinismo, l’eroe, Ennea, eroe stoico, l’eroe sannita, il sannio, la lega sannitica, spirito, inerza della volonta, due direzioni dell’inerzia della volonta, contro Gentile, contro Nietzsche, umano, non sovrumano, filosofia del diritto, lo spirito, liberta dello spirito, il limite della pscogenesi della morale, il principio dell’amore proprio, il principio della benevolenza, amore proprio conversazionale, benevolenza conversazionale, il sentimento morale, filosofia del diritto, communismo giuridico, la simplificazione di labriola, contro labriola, criticismo, idealism critico, meditazioni di un idealista, GENTILE contro Petrone., Croce contro Petrone; l’identita sannia, psicologia del sannita, i romani contro i sannita, la prima guerra sannita, la seconda guerra sannita, la terza guerra sannita; la repubblica romana, l’espansionismo dei romani nell’Italia, I romani contro i sanniti; bassorilievo dei sanniti, i liguri e i sanniti, le popolazione italiche, economia e psicologia del Molise, il sannio, la complessità dello spirito della filosofia italiana; il linguaggio sannita; il linguaggio umbro, il linguaggio osco; il linguaggio falisco, limosano, musanum, limosanum; un stato mercantile chiuse, Fichte contro Marx, Nietzsche, il valore della vita, il problema morale, la filosofia del diritto, diritto positivo, diritto naturale, la filosofia politica nel criticismo, azione, l’etica e l’ascetica, l’etica dell’eroe come azione, l’energia dello spirito contro l’inerza della volonta – l’inerza della volonta nell’elezione dei fini; l’inerza della volonta nell’elezione dei mezzi; il spirito contro la volonta, i limiti dei determinismo, l’indeterminismo dello spirito, la causa dello spirito, causa spirituale dell’agire umano, lo spirito umano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrone” – The Swimming-Pool Library. Petrone.

 

Grice e Pezzarossa: la ragione conversazionale della fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome. l’eloquenza lombarda – l’implicature conversazionali – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo italiano. Grice: “He wrote a LOT! Including a study (or ‘ragionamento,’ as the Italians call it) on the spirit (spirito) of Italian philosophy, which reminded me of Warnock, the irishman, and his search for the soul of English philosophy!” -- Giuseppe Pezzarossa (o Pezza-Rossa – Grice: “In which case, he is in the “R”s”). Studia a Mantova. Insegna a Mantova. Co-involto nella repressione che porta al martirio di Belfiore. D’idee tendenzialmente liberali e  preoccupato sulle condizioni sociali disagiate create dalla sorgente rivoluzione industriale che pure ai suoi occhi rappresenta un'occasione di progresso. La pubblicazione del suo saggio di filosofia gli procura guai con la congregazione dell'indice. Partecipa attivamente ai moti. Condanato al carcere. Pezza-Rossa e uno dei XX che partecipano alla riunione costitutiva del comitato rivoluzionario. Saggi: “Critica della filosofia morale” (Milano, Stamperia Reale); “Lo spirito della nazione italiana” (Mantova, Elmucci); “Saggi di filosofia” (Mantova, Caranenti). C. Cipolla, Belfiore I comitati insurrezionali del Lombardo-Veneto ed il loro processo a Mantova” (Milano, Angeli); Pavesi, Il confronto fra don Tazzoli e don Pezza-Rossa in una prospettiva filosofica, in Tazzoli e il socialismo Lombardo” (Milano, Angeli). La prova sull’esistenza esteriore. Confutazione dello scessi. ALIGHIERI e la filosofia. Lo spirito della filosofia italiana. Sistema di psicologia empirica. Il fondamento, il processo e il sistema della umana esistenza. Il sistema politico e sociale della nazione italiana; il sucidio, il sacrifizio della vita e il duello, supra il suicidio; “La grammatica ideo-logica; ossia, la legge comune d’ogni parlare dedotta da quella del pensare” (Milano); la Facolta inventrice. I romani vinti dai longobardi conservano la proppia legge. La filosofia dell’esperienza. Il metodo sperimentale. Lo Spirito della filosofia italiana. Ragionamento. Mantova. L'Autore non pretende io questo Ragionamento a novità di principii, nè a confutazione di scuole, ma lo vien cercando le varie fasi della italiana filosofia e lo spirito, che la condusse al grande rinnovamento opera tosi nel secolo di GALILEI. Da Pitagora a Leone X , durante la fortuna romana, nelle tenebre della barbarie, esotto il giogo della scolastica, gli parve discontrare, quando più, quando meno, sempre conosciute e conservate le tracce del metodo vero e positivo, ed intorno a questo espone le proprie impressioni, così semplicemente come le ha a sentire.  dome che dimostra la modestia dei padri nostri, i quali, non del Pezza-Rossa, Prof. Giuseppe. Parlando dell'antichità della filosofia italiana, osserva come l'Italia è la prima che da a questa scienza un sistema, e le impose un nome. Acume e   vero conoscitori, ma piuttosto amici del vero s'intitolarono. Le basi principalidelloro metodo consiste nell'esperienza e nella osservazione. Fanno quindi un altro passo onde meglio procedere nella investigazione delle verità, ed è quello di riconoscere l'ufficio che la ragione esercita sopra i fatti, sì nel mondo esteriore che nell'interiore, sendochè, non al senso, ma alla sola ragione è dato il giudicare. Di questo modo l'antica nostra filosofia seppe dare ai sensi, si sentimenti ed alla ragione ciò che loro compete, e impede che i primi si levano al di sopra della seconda, e questa rifiuta l'autorità e la potenza di quelli. Così dei secoli anteriori al dominio romano. Ma la prevalenza delle scuole straniere non tarda molto a comprimere la scuola nazionale, e la sopravveguente barbarie la fa quasi dimenticare, sebbene del tutto non la spegna. Senonche, colla conquista del mondo sube le influenze filosofiche dei popoli conquistati, accetta dottrine d'ogni maniera, egizie, asiatiche, druidiche, ma greche sopra tutto; e de fe' tale un amalgama che a stento potrebbe chiamarsi “filosofia”; o a meglio dire, ciascuno appigliossi a quella scuola, che meglio sffacevasi alle sue tendenze. Pare strano, ma è pur vero, Roma corrotta, e degenerata nei costumi, affaticossi particolarmente a rialzar la morale, non tanto forse per rilevarla daddovero, quanto per palliar meglio col suo manto la nutrita liceoza, testimonio Sede ca. La scuola pitagorica, odiata, ma temuta e ammirata, appalesavasi quindi di tratto in tratto nelle manifestazioni di alcune anime forti. E CATONE, il censore, va me a capo della nobile schiera. Il nome di pitagorico non mai cessa dal significare uomo virtuoso e incorrotto. La qual indole morale e severa, dice il Pezza Rossa, sotto cui presentossi la filosofia italiana, fa si ch'essa non venisse dal nascente Cristianesimo tanto combattuta, quanto lo furono tutte le altre. Il Cristianesimo infatti sorgea potente e divino, non figlio del l'umano pensiero, ma avvolto nel manto dei flosofi, ma rivelatore della semplice verità. Al suo mostrarsi, tutte le scuole cadute erano in basso, e le poche verità, alle quali eran gionte, rimanevano dalle violenti polemiche siffattamente svisate, che impossibile omai tornava l’osceverare con certezza il vero dal falso. Ami carle fra loro, no concedevan le gare e i particolari interessi; ricondurle alla pristina semplicità, è impresa da nemmeno tentarsi. Che fa dunque il Cristianesimo? Egli indisse guerra a tutte più o meno le speculative dottrine, mostra che fallacierano, disutilieper piciose, e colla santità della propria morale fonda la prima di tutte le filosofie: quest'è la filosofia delle azioni. Scaduta la parte speculativa, non rimaneva all' italiana filosofia che la parte pratica, la parte da lei coltivata sempre con severa costanza e che meglio poteva rispondere agl'insegnamenti cristiani. Apollonio infatti, di cui Girolamo dice ch'è un prodigio inudito, degno di esser conosciuto in tutt’i secoli, avuto dal popolo in concetto di mago, ma filosofo reputato dalla gente di senno, Apollonio chiede a sè medesimo che cosa vogliasi in un filosofo per essere veramente pitagorico? E quindi risponde. Richiedersi elevazione d’animo, gravità, costanza, buona fama, sincera amicizia, frugalità, pace, e virtù. Fregiato di così belli ornamenti, il pitagorismo si propone in morale un lodevole fine, il perfezionamento della umana natura, risultante dallo speciale perfezionamento di ciascun individuo. Nessun'altra filosofia poteva meglio consonare al vangelo. I primi sapienti del Cristianesimo, prima di edificare, trovarono però di dover distruggere il vecchio edifizio fin dalle fondamenta, e gridarono contro ogni filosofia. Tertulliano ed Origene vogliono che, dopo il vangelo, non  più mhaestieri di ricerche, nè di curiosità dopo Cristo. Nessuna scuola è da principio ri. Se non che, distrutta colla dialettica l'arte del ragionare, e affidati gl’uomini al solo senso comune, in mezzo all'incipiente barbarie, nulla presentavasi tanto naturale quanto la scessi: e questa infatti mostrossi. È noto che sotto il nome della scessi, spesso è insegnato a sprezzare vergognosi pregiudizii. Non devesi scordare che il dubbio è il padre della civiltà; e che, se il secolo di Cartesio è di GALILEI avesse ardito dubitare, le scienze e le arti non sarebbero per anche ripste. Foperò una scessi di sola teoria, doo di pratica; stette del pensiero, non nelle azioni: e perciò, s'egli da l'ultimo crollo alla filosofia speculativa, non porta alla morale un grave nocumento. Ed è appunto nella morale che la italiana filosofia sopravvive. Il grande BOEZIO vide l'estrema bassezza, in cui la sapienza era caduta, e saggiamente pensa a raccorre in un sol corpo le positive cognizioni, che dal gusto generale si sono salvate, e qual breve enciclopedia de’ suoi tempi le presertò sotto l'smabile nome: De interpretatione e Consolazione della filosofia. Nomeche in sè solo abbraccia il carattere di tutta up'êra. Cbi cerca le cagioni, in forza delle quali stelte viva, anche nei secoli detti barbari, la pratica filo  sparmiata: l'acqua di Talete, l'infinito di Anassimaddro, il fuoco d'Eraclito, l'omeomeria di Anassagora, l'etere infinito di Archelao, i numeri di Pitagora, gl’atomi di Epicuro, gl’elementi di Empedocle -- tutte in somma le antiche speculazioni furono guerreggiate. I santi padri non lemono chiamar sogoi molti pensieri di Aristotile, del Lizio, molti di Platone delirii dell’Accademia. Ma in quello che gl’ecclesiastici scrittori studiano le scuole per combatterle, non poteano a meno di scontrarsi qua e colà in principii verissimi, ai quali non si poteva niegare adesione, e questi raccogliendo insieme e collocandoli sotto il patrocinio del vangelo, se ne giovarono a comprovare l'armonia del vero filosofico col religioso. leo non  sofia, le troverebbe in parte della politica stessa de' barbari invasori. Semplici e rozzi, cupidi solo di bottino, occupano solo il territorio, lasciando ai XX eleggi, e costumi, e religione, mutando l'aspetto materiale, non quello degli spiriti; sia che l'ignoranza li rendesse inetti a far mutamenti, o sia che li movesse rispetto per genti tanto più umane, sebbene meno forti di loro. Oode che procede codesta loro maniera di conquista, o da calcolo, o da impotenza, egli è certo che recarono desolazione senza recare alcuna propria filosofia: a tal che la italiana , accompagnata da toote altre in epoca di prosperità, ma sola rimasta in quella della sventura, anzichè cedere e prostrarsi, potè parificarsi, alla guisa dell'oro sul crogiuolo, e spogliarsi di quelle macchie, che la fortuna le ha apportate. Passa quindi la dimostrare come la buona filosofia pratica comincia a fruttare anche ottima teoria, sebbene il risorgimento fosse ritardato dalla scolastica, ed impedito dall’accademia. Or ecco le vie, egli ripiglia, per le quali gradatamente lo spirito filosofico avanza, guadagnando sempre terreno. Il Leoni coavea, pel primo, portato allo stu dio padovano la cognizione di Aristotile genuino del Lizio, e mostra to come inscientemente lo siavea contorto e dinon sue dottrine fatto maestro. Quando sorge quel potente ingegno di Pomponaccio [POMPONAZZI (si veda)] che si dove riguardare siccome il quinto anello della gran catena filosotica italiana, dopo Pitagora, CATONE, BOEZIO ed ALIGHIERI. Pigmeo di corpo, ma di spirito gigante, penetra meglio che altri nello spirito della patria filosofia, e siccome, a farla rinascere, convene, prim ad’ogni altra cosa, abbattere il colosso peripatetico del LIZIO, egli coraggiosamente sostende che, secondo Aristotile nel Lizio, voluto sostegno della morale e della religione, potevasi dimostrare l'anima non essere immortale, miracoli non potersi dare, non vi essere provvidenza, ma in ogni cosa dominare il destino. Strabiliarono tutti a conclusioni di tanta conseguenza, e  pretesero che da lui solo derivassero tali dottrine, dal peripato del LIZIO non mai. Accagionarono di empietà il gran mantovano, che ha senza dubbio incontrata lama la ventura, se il cielo non avesse posto a capo della chiesa on Leone X , e datogli un BEMPO per consigliere. La sapienza e la tolleranza medicea permisero al POMPONACCIO quello che prima non è stato permesso, separare dalla teologia la filosofia, conduce una linea di confine tra gl’obbietti della fede e quelli della ragione. L'esempio del gran maestro fa seguito da numerosi discepoli, tra quali hanno fama Scaligero, Sepulveda, Porzio, Benamico, Giovio, e da Cardinali, Contarini, cioè, e Gonzaga. È imitato con isforzi contemporanei da Cesalpino, da Cremonino, da Zabarella, e forse da quel Vanini, che, mal comprendendo Pomponaccio, spinge lo sfrenato ingegno allo stremo, e corge la miseranda fioe che tutti sanno. Imper ciocche, gli è pur mestieri confessarlo, la fortuna del primo e la sinistra interpretazione de'suoi principii, non solo a tutti ispira coraggio, ma ad alcuni fio an che baldanza. Tale si fa CARDANO, a cui la fecondità del genio troppe più idee somministra di quelle che il suo giudizio puo ordinare. Ma dice: loslu dio della natura doversi ridurre all'arte ed alla fatica, e però venne salutato come l'uomo delle invensioni. Tale BRUNO, che proclama sfrenatamente la filosofia del dubbio, filosofia che ovunque dissemina, viaggiando Italia, Francia, Alemagna , e che fu poscia da Cartesio abbracciata e sviluppata con tanta gloria, com’ha a confessare lo giudice non sospetto, Leibnizio. Si ridestarono allora i principali pensieri de’ pitagorici, e meravigliando si conosce che la flosofia italiana, in tutte le sue fasi da CATONE IL CENSORE ad oggi, e io tatte le sue manifestazioni, non ha all'ultimo che un fondo solo, il metodo esperitivo e naturale. A questo metodo avvia l’Italia VALLA, e NIZZOLIO, ed ACONZIO, e POLIZIANO, e finalmente CAMPANELLA, che, vent’appi, sale in bigoncia, e disputa con tanta forza contro le fallacie scolastiche, che i vecchi sclamarono maravigliati: essere in lui passato lo spirito di TELESIO. Egli sostende che il senso è un fondamento della scienza, che dalla dimostrazione positiva e sensibile vasce la intellettiva, perciocchè sentire è sapere. La ragione tanto essere più certa, quanto più al senso vicina. Non però doversi andare cogli empirici che pretendono ragionare per le sole apparenze variabili, accidentali, sfuggevolissime, ma sìanche dietro verità costanti, che badoo principio nell'anteriore sentimento, e del testimonio di tutti gl’uomini. Con longbe e perigliose fatiche giunse quindi f palmente l’Italia a ridur in principii quello, che in pratica ha sempre tenuto. Scaddero allora i sillogismi, le formole, le categorie, le ipotesi, gl’a priori, con totti gl’altri vincoli della ragione, e sostenuto dall' analisi e dall'esperienza, il nuovo metodo spiega il volo alle più eccelse scoperie. Alla scuola italiana attiose Copernico il suo sistema astronomico, da Galilei poscia rivendicato. Da GALILEI che mostra immobile e improntato di macchie il sole, e Giove di satelliti circondato. Da Galileo, che, per mezzo di nuove lenti, interroga l'armonia misteriosa dei cieli, e con esperimenti sorprende la patora nei segreti delle arcane sue leggi. RUBERTI TORRICELLI, colla invenzione de’ barometri e de’ microscopii, apporta alla fisica novella vita. Cavalieri, Maurolico e Tartaglia rendano fruttuose le matematiche colle applicazioni. VINCI (si veda) dà buona legge all'estetica. Buonarotti, l'uomo delle IV anime, fisa il buon gusto nelle arti. MACHIAVELLI scopre ai sudditi ei ai regnanti i segreti della politica. L’accademia del cimento affatica senza posa delle esperienze, le dabbie verità rischiara, e le certe diffonde. La fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome. Ogoi arte insomma, ogni scienza, ogni di sciplina quasi per incanto risorge. Ed è cosa per verità sorprendente il vedere nei dettati di quell'epoca gloriosa tanta copiosità di filosofie, da contenere, quasi in germe, tutte le altre scoperte verificate dappoi. Conserviamo adunque, conclude l'autore, il prezioso retaggio, che da’ nostri maggiori ci è tramandato e, che più è, adoperiamo di renderlo fruttuoso. Accioc chè, dopo aver portata agl’altri la scienza, non venghiamo giustamente paragonati alle nubi, le quali si disfanno in quel medesimo che d'amica pioggia fecondano le campagne. Esponendo i proprii pensamenti, il Pezza-Rossa, con singolare modestia, non si erige a filosofo, ma stimola ed invoglia gl’altri a frugare in questa materia, pago di poter dimostrare che noi siamo ricchi di tanta domestica dottrina da non invidiare la forestiera. Che il buon metodo non l'abbiamo a cercare lontano. E che sarebbe ingratitudine il disconoscere l’antica sapienza di CATONE IL CENSORE, da cui tutto surge, per seguire alcune splendide fantasie oltra-montane. Giuseppe Pezza-Rossa. Giuseppe Pezzarossa. Pezzarossa. Keywords: il martirio di Belfiore; lo spirito della nazione italiana; eloquenza lombarda. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pezzarossa” – The Swimming-Pool Library. Pezzarossa.

 

Grice e Pezzella: la ragione conversazionale -- Cesare deve morire – l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “I like Pezzella – His “La memoria del possibile” would make Benjamin think twice! – and I do not mean HIS Benjamin, but mine!” Si laurea a Pisa con una tesi su Benjamin. Presso la Scuola Normale Superiore diviene ricercatore di ruolo. Collabora a un seminario con Derrida. Consegue sotto la tutela di Marin il doctorat a Parigi (Grice: “the reason why which few consider him Italian!”) e il DEA in Réalisation cinématographique seguendo i corsi diretti dal documentarista Rouch a Nanterre. Insegna estetica ed estetica del cinema. Tenne un seminario a Parigi in collaborazione con Michaud. È redattore della rivista Altra-parola e collabora col centro per la riforma dello stato a Firenze. La filosofia di Benjamin e quella di Debord sono punti di riferimento della sua propria. Studia la persistenza delle forme del mito all’interno della modernità -- e in tal senso si occupa di Bachofen, introducendo Il simbolismo funerario degl’antichi, col sostegno del Warburg Institut di Londra. L’intersezione tra mondo mitico e modernità estrema lo porta a interessarsi della poesia e del pensiero di Hölderlin e della scuola di Francoforte. Vicino alla tradizione della filosofia dialettica, apprezza soprattutto la versione esistenziale che ne viene data nella filosofia dopo i seminari di Kojève su Hegel. Di Benjamin considera soprattutto la polarità tra immagine di sogno e immagine dialettica, che utilizza come strumento interpretativo di opere cinematografiche e letterarie (cfr. La memoria del possibile e Insorgenze). Per P., lo spettacolo –nella formulazione teorica che ne da Debord -- è la forma di vita dominante del capitalismo, in particolare della sua industria culturale e del cinema. Secondo la terminologia usata nel saggio su estetica del cinema, distingue lo stereotipo spettacolare dalla forma critico-espressive. Si è interessato all’intersezione fra tematiche politiche e psicoanalitiche: la dialettica del riconoscimento, la formazione della soggettività nel capitalismo, l’incidenza dei traumi storici collettivi sulla psiche individuale -- cfr. il saggio sulla voce minima. Esplora la filosofia politica d’Abensour, con cui condivide la rivalutazione del pensiero utopico e la rivalutazione del socialismo come prospettiva politica alternativa al populismo. Collabora alla redazione e all’edizione dei volumi di Altro Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico, per conto della Fondazione Micheletti di Brescia. Altri saggi: “L'immagine dialettica” (ETS, Pisa); “Il tragico” (Il Mulino, Bologna); “Conversazione di Narcisso con Narcisso – Conversazione con me”  (Manifesto, Roma); “Il volto di Marilyn” (Manifesto, Roma); “La memoria del possibile” (Jaca, Milano); “Estetica del cinema” (Mulino, Bologna); “Insorgenza” (Jaca, Milano, “Le nubi di Bor” (Zona, Arezzo); “La voce minima. Trauma e memoria storica” (Manifesto, Roma); “Altrenapoli” (Rosemberg, Torino”; “I fantasmi” (Cattedrale, Ancona); “Il volto dell’altro”; “L’ospite ingrate” (Quodlibet, Macerata); “I corpi del potere” (Jaca, Milano);  “Repubblica”; “Il bene comune” (Il Ponte); “Gli spettri del capitale” (Il Ponte); “Il tempo del possible”; “Attualità della Comune di Parigi” (Il Ponte); Utopia e insorgenza. Per Abensour”; “Altraparola, Micheletti, Brescia); Alle frontiere del capitale. Comunismo eretico e pensiero critico, Jaca, Milano. Pezzella. Keywords: Cesare deve morire, Narcisso, “conversations with myself”, Antonino, nubi di Bor, Freud, Narcissismus -- Refs.: Luigi Speranza: “Grice, Pezzella, Benjamin and Benjamin: la memoria del possibile,” Villa Grice – The Swimming-Pool Library. Pezzella.

 

Grice e Piana: la ragione conversazionale e l’implicature conversazionali dei merli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Casale Monferrato). Filosofo italiano. Grice: “I never cease to get moved when I read Piana’s notes, “Il canto del merlo”! That’s the way to do philosophy of music – the Italianate warmth so strange and contrasting to the coldness of Scruton!” Insegna filosofia a Milano e Pietrabianca di Sangineto. Allievo di PACI, sotto il quale elabora la sua dissertazione sulle opere inedite di Husserl. La sua posizione filosofica è caratterizzata dal concetto di fenomenologia -- strutturalismo fenomenologico -- influenzato particolarmente da Husserl, Wittgenstein, e Bachelard. Alcune indicazioni sullo strutturalismo fenomenologico sono contenute in “L'idea di uno strutturalismo fenomenologico”. La sua filosofia è orientata verso la conoscenza, la musica e i campi della percezione e immaginazione. Allievi di P. sono Basso, Civita, Costa, Franzini, Serra, e Spinicci.  Uno dei più acuti e originali filosofi italiani – L’Unità -- uno dei più interessanti interpreti e prosecutori, in Italia, dell'indirizzo fenomenologico -- Paese Sera. Tra i più lucidi, originali e fecondi fenomenologi italiani" -- "L'idea di Europa e le responsabilità della filosofia". Vede l'esperienza della fenomenologia di Husserl che costituì il centro d'interesse di un grande maestro come Paci. Non è il caso qui di tracciare mappe di quelle vicende, credo però che non sarebbe sbagliato sostenere che P., in quel gioco delle parti, che è sempre l'apertura di un'esperienza plurale sul suggerimento di un filosofo autentico, si è preso quella del fenomenologo più prossimo ai temi duri di Husserl, agl’obbiettivi che stabiliscono la teoreticità della ricerca fenomenologica come tratto distintivo ed essenziale rispetto ad altre figure di pensiero -- L'Unità. Illustre filosofo della musica  -- in "Il significato della musica", relazione al convegno 'Approcci semiotico-testologici ai testi multimediali', Macerata. In un intervento letto durante un convegno tenuto all'Macerata. Franzini dichiara. P. è a mio parere uno dei filosofi maggiori del dopoguerra italiano: mai prono alle mode, sempre originale e innovativo, come dimostrano i suoi essenziali contributi alla metafisica della musica. In sintesi, un maestro in cui si ritrovano sempre momenti di autentica filosofa. Il più grande  maestro della fenomenologia italiana. Il suo stile filosofico rappresenta il centro di gravità attorno al quale tendemo a condensare gran parte di quello che di eccellente la fenomenologia italiana fa, convinti che i suoi meriti non sono ancora adeguatamente riconosciuti. La vera filosofia tende all'elementare. E dunque non ha fretta di correre oltre, indugia in quei punti rispetto ai quali si potrebbe benissimo soprassedere. In certo senso, si fa custode del ricordo di cose che si potrebbero facilmente dimenticare. La filosofia è un’arte del ricordo. Ma vi è in ogni caso anche qualcosa di profondamente giusto nell’idea, che si ripropone di continuo, di una scienza che deve in qualche modo liberarsi dalla filosofia. È come liberarsi dai ricordie questo è spesso necessario per procedere oltre. Altri saggi: “Filosofia dell’esperienza”; “L’idea di uno strutturalismo fenomenologico”; “Il manifesto”; “La filosofia tende all’elementare e non ha fretta”; “L’importanza filosofica di arrivare ultimi”; “Esistenza e storia” (Nigri, Milano); “La fenomenologia” (Mondadori, Milano); “Elementi di una dottrina dell'esperienza” (Saggiatore, Milano); “La notte dei lampi”; “La filosofia dell'immaginazione” (Guerini, Milano); “Filosofia della musica” (Guerini, Milano); Mondrian e la musica, Milano, Guerini); Teoria del sogno e dramma musicale. La metafisica della musica” (Guerini, Milano); “Numero e figura: idee per una epistemologia della ri-petizione” (Cuem, Milano); “Album per la teoria della musica”; “Frammenti epistemologici”.  I suoi saggi sono racchiuse: “II strutturalismo fenomenologico e psicologia della forma”; “La notte dei lampi”; “Le regole dell’immaginazione”; “Filosofia della musica”; “Intervallo e cromatismo nella teoria della musica”; “Alle origini della teoria della tonalità”; “Teoria del sogno e dramma musicale”; “La metafisica della musica”; “Mondrian e la musica”; “Filosofia della musica”; “Estetica musicale”; “Introduzione alla filosofia”; “Interpretazione del “Mondo come volontà e rappresentazione””; “Immagini per Schopenhauer, “Interpretazione del “Tractatus” di Wittgenstein”; “Commenti a Wittgenstein”; “Commenti a Hume”; “Prroblemi della fenomenologia”; “Fenomenologia, esistenzialismo, marxismo”; “Fenomenologia”; “Stralci di vita”; “Conversazioni sulla “Crisi delle scienze europee” di Husserl”; “Fenomenologia delle sintesi passive; “Barlumi per una filosofia della musica”; “De Musica, rivista fondata da lui. Spazio Filosofico, collana fondata da lui; "La fenomenologia come metodo filosofico", “Linguaggio” Guerini, Milano); "Immaginazione e poetica dello spazio", “Metafora Mimesi Morfogenesi Progetto” (Guerin, Milano); "Considerazioni inattuali su Adorno", "Musica/Realtà",  "Figurazione e movimento nella problematica musicale del continuo", “La percezione musicale, Guerini, Milano, "Fenomenologia dei materiali e campo delle decisioni”; “Riflessioni sull'arte del comporre", “Il canto di Seikilos” (Guerini, Milano); I compiti di una filosofia della musica brevemente esposti”; De Musica,  Elogio dell'immaginazione musicale, De Musica, La serie delle seriedodecafoniche e il triangolo di Sarngadeva, De Musica; Immagini per Schopenhauer,  Il canto del merlo” – i merli – il canto dell’uccello, funzione del canto dell’uccello maschio. “Occorre riflettervi ancora”; “Considerazioni in margine a Fantasia e imagine”; “ Leggere i poeti. Note in margine a Pascoli”; La sociologia della letteratura (Milano); Questioni di dettaglio (Milano), Storia e coscienza di classe (Milano) Ricerche logiche (Milano); Storia critica delle idee (Milano); fenomenologica italiana; Fenomenologia, coscienza del tempo e analisi musicale; Variazioni dei significati” - Burnout e risorse; Musicoterapia, alle radici fenomenologiche del Cosmo antico; Fondamenti della Matematica; La scienza della felicita; La fenomenologia dell’esperienza. Scuola di Milano – scuola milanese -- Giovanni Piana. Piana. Keywords: il linguaggio di Spinicci, merli, la serie dodecafonica, il triangolo di Sarngadeva. Oltre il linguaggio, linguaggio e comunicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Piana” – The Swimming-Pool Library. Piana.

 

Grice e Piccolomini: la ragione conversazionale e le figure di retorica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Alessandro Piccolomini.  I TRE LIBRI DELLA RETORICA D'ARISTOTELE A THEO DETTE; TRADOTTI IN LINGUA... Aristoteles, Alessandro Piccolomini 111 Digitized by Google m I TRE LIBRI DELLA RETORICA B ARISTOTELE a Theodett0 5 s^rjòm TRADOTTI IN LINGVA VOLGARE, T^a AI. (^Alejpindr Piccolomtm . NVOVAMENTE DATI IN LVCE. Con laTauoIade' Sommarij. CON PRIVILEGIO IN VENEZIA. Appalto Fiancelco deTranceichi SanefL. tri ALESSANDRO PICCOLO M I&fetÀ A I LETTORI. '^VÈJjaf: 9**" E ben'io fimpre ho fiimafà ( G enttlifiimi lettori) ejjer tanta la differenti a trai cercar curio- famente occafìon di calunniare* morder, più toflo, che di ri- prender >per o [curar Ì altrui gloria, gli Jcr itti altrui 5 0* l'opporfi dall'altra parte Jinceramete per filo %elo de Uà 'ver ita, a quelle co/e, che paian manco vere in e fi 5 che fi come il far queflo e cofa digni filma d'ogni libero * £f purgato intel- letto > co fi il far quello a maligna, & maluagia volontà s appartiene : nientedimanco io fino fìa to Jempre cosi nemico d 'offènder in quanto fi vo- glia pi ce 10 la cofa, chi fi fìa y & ffetialmentecon me%o di queflo infamtfimo vitio della morda- cità j che per vn non so che d'apparente Jomi- filanda, che fra lor tengon le due cofidette^ ; io voluto fiejfe volte non feguir fv nocche fa- ^pfe # ij rebbe jjj rebbe per fi lodeuóle^per fuggir ogni pericolo , JoSpition di biajmo-, che potefiè recare l'altra. *Da quefio nafte, che potendo parer mara- uiglia ad alcuno , che doppo tante tradott:onr y fatte fin oggi della Retorica^ 'Arinotele a Theodette^ 5 delle quali, quattro in lingua la- tina, & due nella nofira volgare] ho fin hor ve- dute^ 5 io nondimeno mi fìa pofio parimente a, tradurla 5 non ho voluto ajfegnar per ragion di quefio, imperfettione alcuna, ch'in qual fi vo- glia delle dette tradottioni, h abbia io giudicato , che fi ritruoui . ^Ma mi contento fòla, che mi bafli d'addurneal pr e finte cjuefta ragione^ . è, chauend'io già fatto piena paragrafi in lingua nófira fipra tutti li tre ùbri di e fifa ^B^tp- ricay & hauendo quiui nella margine accen- nato, & cituto pajfo per pajfo i praprij luoghi d* Ar fintele? cosi le fiejfe parole greche*, come te latine fecondo la tradotttone del Trapezjzjun* ito $ accioche 1 Lettori della parafi aje con minor fatiga potefierritrouare, & parragonar ti te fio con la parafi aJL^ $ giudicai, che fufie ben fatto di far le cimtioni deltefio d 'Aristotele nella lin- gua nofira ancora. £f perche meglio fi potè (fc veder I 'veder fondata la corresbondentìa della para- fi afe al te fio , fecondo il fin/o, che più ho io /li- mato ejfer vero, et legittimo, feci penfiero di far la prefènte tradottiones . et maggiormente ef fendo par ufo così ben fatto a molti amici miei, giuditiofi, amatori di Ietterei . 6t a queflo effètto, accio che più ageuolmente fi potejfer rincontraci luoghi della parafi afe con uei delia lettera d* Aristotele dame tradotta $ ò pojlo nella margine di quella tradottioncj alcuni numeri, chabbian da rifpondera i nu^ meri, che faran parimente poftì nella margin della parafi afi^j, che toflo vfcirà fiora riìlam-* poto in tutti a tre i libri inferni . Ho coluto con quefie poche parole farui ca- paci (benigni fimi lettori) della cagion, che ni ha moffo a portar la Tietoriùa d 'sfrittotele nella nofìra lingua. Jnche fare,Jeconofcerete, eh* io mi fa in buona parte appreJfatJ alla venta le- gittima dei fenfì Juoi, & a fargli chiaramente apparir altrui (che fon le due cofe, do in tradur- re mi sfòrzo d'andar cercando) filmerò io, che ciò a me fta piena ricompenfa di quefia impre- fa : & con maggior animo darò fine alla tradot- % tione tionc, eh e nella me de firn a noftra lingua ,fo al prefente della Toetica d ^ ArtHotele^ fjf allapa- rafrafe parimente ciò io le fo Jopra . lacjual nuo- ua tmprefa già farebbe condotta al fne.fi più JfreJ/e, £f men breui triegue mi concedeffe quefa lunga infermità-, che tanti anni già mi iteri op- preffo . Ada fiero pur che la detta tmprefa farà condotta al fin fo per tutto Ì anno feguente^j del fettanfnjno . Dio nofiro Signore vi con- ceda ogni prosperità. Da  c ' g encr demoliranno 5 & delle co felodeir-> li, & delle vituperabili 5 &dci luoghi da trouarlc, & da prouarlc . $6 Capo 10. Del Gcner Giudicialc, & prima dell'ingiurie, &caufcdi quelle; & àquai capi fi poflbn ridurre. 66. Capo n. Delle cofe gioconde, o ver voi uttuofe,pcrca- gion delle quali foglion recarli à far'ingiuria gli huo- mini . & dei luoghi da ritrouarlc,daconofccrlc,& da moftrarle. 72 Capo 12. Quali fogli on'effer quelli , che volontieri fan no ingiuria ; & quelli contra de i quali fi fanno . 80 Capo 13. Quali attioni fi debbian dir veramente giufte , o ingiufte, o ver guittamente, o ingiuftamente fatte . Et dell'Equità 5 donde la nafea, & in che differifea dal rigor del le leggi ;& alcuni luoghi da conofcerla. 88 Capo ia. Dell'ingiurie pofte in paragone, & compara- tionfradi loro; quali fien maggior^ & quali mino- ri : & alcuni luoghi da conofeerquefto. ^4 Capo 15. Delle pruoue, & modi di far fede inartificiali, • o verfenz'artiheio, 96 NEL SECONDO LIBRO. CApo primo. Del bifogno,c'hà l'oratore della co- gnitionedegli affetti, & paflioni h umane. 107 Capo2. Dell'affetto dell'Ira. no Capo 3. Della Manfuetudine, ò ver Placabilità. 117 Capo 4. Dell'Amore, & dell'Odio . 122 Capo 5. Del Timore, & della Confidenza . 128 Caporf. Della Verecondia,&deU'Inuerccondù* 134 Capo 7. Della Gratia . - 142 Capo 8. Della Compatitone. 144 Capo?. DcH'lndegnationc. 148 Capo 10. Deirinuidia . 152 Capo 11. DdTEmulationc. ij? Capo Capo 12. Della Giouinczza, & conditioni di quella. 158 Capo 13. Della Vecchiezza, & fue proprietà . 161 Capo 14. Della Virilità, & fue conditioni . 154 Capo 15 . Della Nobilità, Si proprietà di quella . 1 6% Capoi£. De icoftumi,& proprietà dei Ricchi. 166 Capo 17. De i coftumi di coloro,c'han grande auttorità, & potétia fopra de gli altri 5 &: de 1 bene fortunati,^ Capo 18. Continuation delle cofe dettc,con quclle,chc s'han da dire nel reftantc di qucfto fecondo libro. 169 Capo 19. Della natura del poffibile , & delTeffere ftato , & rlcll haucrcad efTcrej &dci luoghi loro : & della gradczza,& piccolezza, còfideratein natura loro. 171 Capo 20. Dell' EfTem pio, o ver'Induttio rctorica,& del- le fpetie fue, & lor conditioni .& del modo d'vfarle, Se collocarle ncll'oratione. 17J Capo 21. Delle Sententi e Oratorie, Se di tutte le fpetie loro,& dell' vfo,& vtilitàdi quelle. 179 Capo 22. De gli Enthimemi, & dei precetti nccclfa ri j all'vfo di quelli. & quali fieno gliEnthimcmi puri prò uatiui,& quali gli redarguitiui,o ver rcprouatiui. 184 Capo 23.De i luoghi còmuni;& quali tra gli Enthimemi fié quclli,che di nobiltà, & di pfettione eccedono.188 . Capo 24. Che fi truouino Enth.appareri:& quali efii fic no:& de i luoghi comuni, che poffon lor feruire . 203 Capo 25.De i modi d'opporlì aU*auuerfario,& di difirio- glier le fue ragioni.Et che cofa fia Inftantia,o ver ob- biezione oratoria, & in quanti modi fi faccia. 209 Capo 2(5. Dell'Amplificationc, in ampliare, & in dimi- nuire, over eftenuare. 213 NEL TERZO LIBRO. CApo primo. Della continuatone de i primi due Li- bri con qucfto Terzo 5 & del proponimento, o ver propofuion di quello, ches'hàda trattare in elfo . Et # # della TAVOLA della pronuntia oratoria j& finalmente della diftin- tione della locutione oratoria dalla poetica. 2ij Capo 2. Della virtù della locution*oratoria,& delle con- ditioni, chclcconucngono : &quai forti di parole fi ricerchino per tai conditioni: & della Metafora, & de gli Epithcti, ouer aggiunti . 219 Capo 3. Della freddezza, ouer inettezza, & difetto della locutione oratoria. 226 Capo 4. deirimagine,ouer Comparationc,& della diffe rétia,& cóuenicntia,ch'ella tiene co la Metafora .22^ Capo 5. Della ftruttura della locutione oratoria , & pri- ma del parlar grecamente: & quantc,& quali còditio- ni fi ricerchino a qucfto . 231 Capo 6. Dell'ampiezza, magnificala, & grandezza del- la locutione 5 & quai cole poflbno o nuocere, o gio- uare a qucfto. 234 Capo 7. Del Decoro della locutiò oratoria, & quarc, & quali fiélecòditioni,&rauuertetie, che perfuacagio fi ricercano.& qual fia la locutiò proportionata,qualc la coftumata,&: quale la pathctica,o ver afFcttuola.23 $ Capo 8. Del numero,& ritmo oratorio,& in che fia dif- ferente dal metrico de i Poeti:Óc d'altre cofe apparte- nenti al ritmo, & agli accenti . 238 Capo  . 7(ilL fasi* Renella riga c .del iegiflatore, bygi dal legatore. e.\o.canfagiÀ.cofagia\ f.tfiion ejfendo.&nonejjendo. \.\6 efftndo.^ effendo. 9-*.& *£afide.& alle fedi. 113 4.U dell altra pan*. Et dall'altra parte. 1  . Quefìe. Quelle. tg*no.congiungam. DELLA RETORICA D'ARISTOTE L.L::^ aTheodettc, TRADOTTA IN LINGVA VOLGARE Da Ai. ^Alejfandro Ttccolomini , dell'utilità della Teorica : & delld Jò- mivltanz^a creila tien con la 'Dialettica . a A retorica hà gran conucnien ria > & corrifpondentia con la Dialettica; per- cioche coli l'vna, come l'altra per vna ccr ta forte di vie procede, lequali fono in vn certo modo alla cognicione commune- mente di tutti gli rinomini accommoda- re ; & non dentro a termini d'alcuna par- ticolare fcientia, riftrette, & determina- 3 te. 3c per quello lì vede, che tutti in vna certa maniera, d'am- 4" bedue quelle facilità partecipano, & fon capaci : vedendo noi, che niuno è, che fin'ad vn certo termine non fi metta a impu- gnare le ragioni altrui, Se a foAener le fue;& parimente a di- fenderli, & ad accufare, ogni volta, che gliene vien bifogno. j & nella moltitudine di chi fa quello, alcuni fono, che feonfi- deratamente, & inettamente lo fanno, & quafi àcafo, & altfi A per 2 Della Storica d' Aristotele per il contrario lo Tanno più ordinatamente, Se quali per habi- ( ro;dal'vfo, & dall'edercitatione acquiftato. Vedendoli dun- que nell'vn modo , & nell'altro far quello , chiara cofa è , che polli bil cofa fiad'inuefligare,& veder come ciò con via, Se con ordin fi debba fare : potendoli cercare, & trouar la cagione,on- dc fia, che confeguifean parlando l'intento loro, cofi quelli, ch'in ftrutri dall'euercitation procedono , come quelli, che pu- ramente a cafo . Se cofi fatta inueftigatione, Se olTèruatione, no farà alcuno, che non confelTi efferc opera, &offitio d'arte. 7 Di quell'arte del dire adunque,coloro, che fin'a qui n'han trat- tato, Se comporto libri, vna picciola, Se breuc parte n'han toc- S co . Conciofia cofa che clfendo il prouare, e 1 far fede, l'cfien- tia& lafoilantiadi quell'arre, Se tutte l'altre cole, che le ftan d attorno, accidenti, & aggiunti di quella ; eglino de gli Enthi- memi, Se degli argomenti che fon'il corpo fodo della fede, che s'hà da fare, non dican nulla : Se di quelli accidenti, che fon fuora della foftantia, Se del negotio Hello, lungamente parlino, 9 Se molte cofe trattino . L'affetto di calumniare , Se la compaf- fione, & l ira , Se V altre* cofi fatte palfioni dell'anima, non ri- guardan la caufa, che s'hà da trattare, ne toccan propriamente la cofa ltclfa,ma folo han riguardo a commouer, lìorcere Se in- 10 terellàrc il giudice . La onde fe in rutti i fori, &giudirij auue- niile, fi come in alcune Città , fin'ancora in quello tempo adi- uiene ; Se fpctialmente in quelle, che ben goucrnate,&: ammi- nilìrate fono; certamente nulla harrebber, che dir quelli tali, 1 1 Conciolìacofa che nelfun fia, che non giudichicene farebbe co- fa ragioneuolmente ratta ìlprouedere, Se prohibir con leggi, chenon s'vfcille parlando maifuordei meriti della llelTà cau- fa. Et alcuni fono, che di più, cotai leggi, non folo con l'opi- nione, ma con l'olleriiantia, Se con l'vfo appruouano : come fra gli altri fan quelli, che rifeggono,& giudicano nel configlio dell'Ariopago . Et tutto quello drittamente è lìato confidcrato, li Se con gran ragione . Pofciache non comi iene llorcere, o pie- gare dal dritto il giudice con tirarlo, Se inchinarlo ad ira, oa inuidia, o a compadrone, non cllendo altro quali il far quello , che s'alcuno, c'haueifea feruirfi perla drittezza, dell'opera fua d'vna regola, o d vna fquadra, cercaiTe prima di dillorcerla, ór x 5 d'incoruarla • Oltra di quello è cofa molto manifella nó elfere altro 77 Primo libro . j altro l'offiriodi colui, che litiga, Se agita in giuditio la caufa Tua, fc non prouarc, Se moftrar che la cofa di cui fi tratta, & che cade in controuerfia, fia veramente, o non fia, over che 1a fia 4 ftata fatta, o non (la (tata fatta . Ma ch'ella fia o grande, o pic- cola, o giuda, o ingiufta, in tutto quello, che di ciò non fia fla- to nella legge del Legiflatorcefplicato , & detcrminato , appar- tiene al giudice ftclTo, di conofcere,& di difeernerper fc mede- fimo, & non d'odirlo, o impararlo da gli Oratori , cheaj»itan la j controucrfia,& la caufa loro. Si dee dunque (limare cola molto vtilc, Se conucneuolc , che nelle ben porte, & prudente- mente ftaruitc leggi , fi truoui refoluto , decifo, Se determinato quel più,che fi può delle cofe, Sede i cafi, ch'occorrer poflbno: li che a coloro,c'han poi da giudicare con le lor fententic, man- f co a determinar ne re(b,che fia poflibilc. Et ciò primieramen- te, perche più facil cofa e di trouarc vn folo,o pochi, che molti, li quali fieno di buon fentimento, Se di buon giuditio, Se che fica atti a formar leggi, Se a difeerner la ragione, c i giudo . 7 Di poi le formationi, Se le con ftitutioni delle leggi, con la ma- tura confideratione,& pelato difeorfo di molto tempo fi pollb- no , Se Ci foglion fare : doue che il giudicare, Se fenrentiar de i giudici, fifa quali di fubito, Se ali 'improuifla . Onde dimcil cofa è, che coloro , c handa fencentiare, Se da giudicare, pof- fan per la breuità del tempo , il giudo, Se l'vtile drittamente co- 8 gnofeere, Se difpenfare . Ma quel, ch'importa più di tutte l'al- tre ragioni, è, ch'il giuditio del Lcgiflatorc nel formarle fue leg- gi non riguarda le perfone in particolare,^ quelle, che fon prc lenti nel tempo fuo ; ma le riguarda come lontane ne' tempi, che deon venire , Se come in vniuerfale contenute ne* gener lo- 9 ro. Doue ch'i Configlieri nelle lor confultc, &i giudici nelle lor fententic, comedi perfone già prefenti, Se ne' lor panico* 0 lari determinate, ne difeorrono , Se ne dan giuditio : Con le- quali afiài fpefib gli fuol congiugnere, Se invìi certo modo in- tcrefiàre o amore , o odio , o vtil proprio : in guiia che per tal cagione non pollo n con dritto, Se libero occhio difeernerc, Se vedere il vero; ma rende lor l'intelletto offufeato, ci giuditio ofeurato l'ombra , odcl proprio diletto, o della propria molc- 1 ftialoro. Fa dibifogno adunque ( com'ho già detto) di lafciar minor parte , che fia poflìbilc > dell'altre cofe in arbitrio , Se in A ij poter ^ Tfella Tt^torica d' Ariti otclz^> poter del giudice, & folu il carico di vedere, & determinare fé la cola fia,o nó fia,c neceilàrio di lalciare alla cognition de" giudi- ci:non ellendo pofTibile,che cofi fatte noti tie,& coli fatte cofe, il il Lcgiflator tanto innanzi antiuegga. Eifèndo adunque quan- t ho detto veriffirao , può da quello clfer beniflimo manifefto, che cofe fuor de meriti della caula toccan nell'arte, che danno 6c trattan coloro, li quali altre cofe fuor di quelle, che pur ho- ra ho dette, infegnano, & difhnifcono ; umiliando (com a di- re) & determinando che cola habbianccellariamcnte da conte- nerli nel proemio, o nella narratone, de in ciafeheduna dell'al- tre parti dell oratione. perciochc nient'altro in inoltrar cotai cofe fanno, fe non cercar come polfano formare, rralmutare,& 13 porre qualche qualità nel giudice . Di quelle cofe poi, ch'alio artifìcio di prouarc, tk far fede appartengono , cioè donde pof- fadiucnirl huomo Enihimematico, & bene inftrutto in argo- 14 menta re, non infegnan, ne moltran nulla. Et di qui parimen- te nafee, che abbracciando, & contenendo quella ftellaarte, 6c via, coli le caufe concionali» & con luh.u me , come lclirigiofc, & giudiciali, Se ellendo oltraciòpiu nobile, traile Città più vtile, & neceilàrio il negotio delle confili re, che quel delle par- ticolari con uent ioni, eh in giudi tio vengono i di quello nondi- meno rutti coloro , che di queft arte trattano, non dicon nulla ; Se del negotio giudiciale dicon molto > & fanno ogni s forzo di ir -darne l'arte. Et quello non per altro adiuiene, fe non perche -manco hà luogo, Se men vien à bifogno nelle catife , & ne' ma- neqgi coniu] tati ui , overdelibcratitii, il parlar fuor de' meri ri .della caula, che non auuien ne' giudiciali, ik di manco corrot- tone cV inganno è capace il trattar caufe dinanzi aConfiglieri, che nel foro dinanzi a' Giudici; come che il far quello fia cofa più communc, toccando non Ibi chi parla , ma chi afcolta an- %6 cora. Polciache le cole, che quiui fi dicono fon daquei,ch'afc coltano odire » ponderate, & giudicate come proprie loro. 27 Onde nient'altro a chi quiui conliglia con la tentenna fua fa di melìier di fare, fenon mo Arare, & prouarc che la cofa verame- 28 te lia, qual intendcegli di peiluaderla . Ma nelle controuerfie, & caule giudiciali non balta, ne è lol'vtil quello, potendo haucr luogo & recar giouamento in ette il cercar di poifedere, &ti- 29 rar dal fuo gli lìefli afcoltatori : pofeiache di cole, non lor pro- prie, Jl Primo libro . prie, ma ch'ad altri toccano , hanno cglinda far giudirio . La onde ponendo eglin la loro attentione , & cófideratione à cofa, che non loro fteftì, ma i litiganti tocca, &c in gratia,& diletto di eflì afcoltandogli ; più tofto concedono alle lor domande, le 30 (Ielle fententiein dono, che veramente giudichino. Perlaqual cofa in molti luoghi (com'hò già prima detto) fi truoua prohi- bito per leggi l'vlcir punto parlando, fuoi dei meriti della cau- 3 1 fa, di cui li tratta. Ma nelle caufe deliberatine gli Aedi giudici di quelle, per lormedcfimi fenzvuopo d'altra legge, (on ba- 31 ftantiflimi ad olleruarlo. Hor eflèndo caufagià manifefta, che quefta ordinata, & (per dir così) methodica arte, di cui ragio- niamo, intorno al prouare, & far fede principalmente còltile ; nó ellendo altro le fedi, 6c le pruoue,che demoftrationi,ouero argomentationi; pofeiache alhor principalmente diam fedcVid vna cofa, quando flimiamo, che la fin. con argomento ben di' inoltrata-, elfendo oltra ciò l'enthimcma non altro, ch'vna re- 33 torica demoftrationc, come quello, che (per dir'in vna parola) di ogni altra pruoua, & fede retorica, è princi paliamo ; ne fc- 34 gue da quello, ch'eficndo ancoragli fillogifmo, Se appartenen- do alla Dialettica, o ad ellà tutta,o a parte d'elIà,d'ogni fillogif- 3 j mo trattare, & confiderare; può elfcr per quello manifclto , che colui, che grandemente farà habile,& inftrutto a faper ben conofeerdi quai propofitioni, ÒVin che maniera fi componga, & fabrichi il fillogifmo ; egli ancora grandemente enthime- matico, cioè argomentator retorico, fi potrà (limare: Tea que- lla notitia saggi ugnerà parimente il fapcre intorno a qual for- te di materie li fo: mino gli enthimemi, & con quai dirlercntic fien dipinti, & diuerfida i logicali , Se dialettici lìllogifmi, ^4 3 6 conciofiacofa che il conofcer'il vero, Se il fimi l'ai vero, da vna 37 medefima forza, Se potentia, Se virtù dependa, oltra ch'ai vera ftellb, & alla notitia d'erto, par che gli huomini aliai foffitien- temente dalla natura formati, ÓV inclinati nafeano; Se nel piò delle cofe la verità, fc punto lor fi difeuopre, riconofeano, Óc aifeguifeano . Onde chiunque farà habilc, o pu oro inftrutto z coniettu rare, &vcdcr'il vero; quel medefimofarà fimilmente 38 tale verfodel probabile, & fomigliantcal vero . Già può dun- que per quel, che fi è detto, clfer manjfefto come gli altri, che han trattato di quell'arte» habbian tocco folo quelle cofe, che fon f c De11a r R^tprica d ' j4riftotelc^j fon fuora della foftantia, & della cofa fletta ; Se per qual cagìort fi fieno piegati, & inclinati con li ferirti loro verfo l gencr delle 39 caule giudiciali, più rofto ch'ad altro genere. Quanto all'vtilità 40 poi, gioueuole, Se ville quefta arte della Retorica; primiera- mente perche elTcndo le cofe vere, & le giufte molto più de- gne, & più eligibili per lor natura, che le lor contrarie ; non è duhio, che le i giuditij, & le determinationi delle caufe non fi facetter per il mancar di queiVartc fecondo che conuenillcr di farli ; non fullc necettario pericolo, ch'il vero, e 1 giufto non fufler conculcati, & vinti da i lor cótrari): & ciò veraméte faria 41 degno di biafmo, &di riprenfione . Oltra di quello appretto di alcuni, fe ben'haueffimo efquifitillima feientia d'alcuna co- fa, non per quello ci faria facile di perfuaderla,& farla creder 41 loro con vie, Se ragioni da quella feientia prefe. per ciò che ef- fendo il parlare feientifìco accora modato, Se proportionato a trattare, Se a infegnar dottrine, importi bil cofa faria con elio il perfuadcr a quelli : ellendo necettario, che le fedi, Se i parlari, che fi fan loro, procedano, non per vie lcicn litiche, ma popola- ri^ comuni ; li come nella Topica habbiam detto, nel inoltrar 43 come s'habbia con la moltitudin parlando à procedere. Ap- pretto di quello fà di mefticri d cttcr'habilc à poter perfuader l'vna cofa contraria, & l'altra ; fi come auuicn anche ne i dialct- 44 tici fillogifmi. Se ciò non perche l'vna cofa Se l'altra fia ben di fare, non douendofi perfuadcr già mai le cofe inique ; ma per- che non ci fia nafeofto come quefto fi foglia, o fi potta fare : Se accioche vfando altri fuora del gin ito coli fatti parlari contra di noi, potiamo noi elfer'atti, Se inftrutti adifciorgli, Se a oppor- 4 $ ci lor'incontra. Et di tutte l'altre arti, Se facultà, nettuna e, che fia più potente ad argomentar, Se a concluder con (ìllogifmo 1 vn contrario, Se l'altro; fe non fole la Dialettica, Se la Retori- ca: come quelle, ch'ambedue, quanto à loro, l'vn contrario, 46 Se l'altro vgualmente riguardano, quantunque le Itelle cofe co- trarie, che come materie, & foggetti s'offerifeon loro, non v- gualmente trattabili, Se fillogizabili in lor natura fieno; ma icmprcle vere, Se le migliori fien naturalmente nell'ettcr loro, più facilmente, & più ragioncuolmente fillogizabili, & per la maggior parte maggiormente perfuafibili, Se habili a trouar fe- 47 de. A quello s'aggiugne, che le gli è cofa ali huomo vergogno- fa, Se Jl Primo libro . 7 fa, & brutta (come veramente c) il non elTer potere ad aiurarfì, Se difenderà* con le forze del corpo Aio, contra di chi fé gli op- pone j fuor di ragione è, che no gli debba recar'ancor macchia f Se vergogna il non poterlo far con la lingua, Se con la fauella ancora : & maggiormente elTendo l'vfo di quella, molto a lui più proprio, che l'vfo della corporal gagliardia non farà mai. 8 Et fc ben'importantiflìmi nocumenti può recar con queft arte, &c con quelli facultà di dir, colui, ch'in fauor delle cofe inique ingiuftamente fe ne fcrue,& la pone invfojquefto pericolo nondimeno è comune, non folo a tutte le cofe, quantunque vtili, Se buone, fuor ch'alia virtù ; ma aquellc maflìmamente, che di maggior vtilità,& profitto fono, fi come fono la gagliar- 5? dia, la fanità, le ricchezze, le dignità militari ; pofeia che col mezzo di sì fatte cofe grandifllmi giouamenri potrà recar qua- lunque giuitamente, & drittamente fenc fcrui, Se importane un'imi danni per il contrario, chiunque in fauor dcll'ingiulti» 0 ria, contra di quel, che conuenga, le ponga in vfo. Può già du» que per quel, che fi e detto, eiler manifefto , che la Retorica non lì truoui obligata, Se riftretta ad alcun gcnerdi materia li- mitato, Se determinato, Se che per confeguente in quello ven- ga ad elTer limile alla Dialettica : Se che la fìa ancor' vtile, Se di- 1 letteuole. Se parimente da quel, che fi è detto, lì può dedurre, che l'opera, Se l'offitio fuo ha, non il perfuadcre, ma il potere, Se faper trottare, Se vedere intorno à ciafehedun fu ggetto, quel- le cofe, ch'effer pongono accomodare, Se vtili à pcrfuadcrlo : 1 fi come parimente in tutte le altri arti, & facilità cómunemen- 3 teaduicne. nercioche l'officio dell'arte della Medicina (per ef. fempio) non e lintrodurre effettualmente la fanità; ma il faper tanto oltra à punto curando, Se medicando procedere ; quanto conuicne, & ricerca 1 in firmità, Se la ragion dell'arre . potendo molto bcn'allc volte accadere, che alcun non polla di qualche fua infirmi cà venir mai fano, ò tornar mai libero : il qual non- dimeno beniflimo fecondo che richiede 1 arre, curare, & medi- 4 car fi polla. Oltra le dette cofepuò ancor da quel, che li è detto dedurli per manifefto,che non lolo fia offitio di quefta arte del- la retorica il faper veder le cofe veramente pcrfuaiìuc, cioè atte a perfuadcre j ma alla medelìma appartenga di conoicerc ,Sedi confidcrarc ancora quelle, che le non veramente pcrfuafiue, al mcn 8- Della 'Reto rica d y Arili otele^ men fono apparentemente tali : fi come parimente alla dialett i- ca fi ricerca d hauer noti tia, non folo del vero fillogilmo>ma a n- j j cor dell'apparente. Pcrciochcil Sofifta , non nell'arte, Se nella habilità confide di fapcrconofcere,& vfareil fa ilo, ma più tolto 56 ncll elettione»& nel volere viario, di maniera che in quello dif- f I-i iicc dalla dialettica la re tori cacche in quelli coli colui che dea la notitia , Se 1 arredi faper vfa re apparenti > Se non. legittime ar- gomentationi , Se non le vuole vi. ne, fi domanda retore , come ancor qucll altro, ch'elegge, Se tien propofitodi volerlo fare, doue che nella dialettica per il contrario s hanno diuifo i nomi : pofeiache colui, ch'elegge di far quello, non dialettico, ma fori- ila fi domanda; Se dialettico dall'altra parte fi chiama quello, eh e 57 ha folo la facilità , la cognitione, c i poter di farlo»: Ma a quella arte, di cui parliamo, venendo hormai,procuriamo,cV: facciam forza di dimoftrare in qual maniera , Se con l'aiuto di quai cole, fiam per poter confeguire, Se efeguire in elfa il fine , Se l'offitio fuo,che lon le cofe,c habbiam propofte. Sarà ben fatto adùque, che quafi nuouo principio facendo , aflegnata prima ladiffini- tion di quell'arce, Se cfplicato, che cofa ella fia,quindi à dichia- rar l'altre cofe, che feguiranno, di mano in man crapafllamo. (apo 2. Della diffnition della r Rgtorica 3 de i modi di prouare, dell' Gnthirnema, deWef /empio j de i Veri/imi li , de tftgrìu & di 'va- rie Jpecie di Jègni, & d'Snthimemi . Oni am dunque per hora efier la Retorica vna fa- cultà, mediante laquale fi pofià intorno a qual fi voglia foggetto, che fe le proponga, trouarc, Se veder tutto quello , ch'occorrer polla accom «io- dato , Se vtile àperfuaderlo , come che il far que- llo di nefluna altra arre fia ofntio , Se opera, che di quella fola . 1 impercioche ciafeheduna dell'altre facilità d intorno à determi- nato foggetto, Se materia appropriata ad ellà, và infegnando,3c facendo le pruoue , Se le fedi fue . come fi ( per elfcmpio ) l'arte della medicina intorno alla l'ani ti, de ali infermi tà de i corpi ; Se la Geo- Jl Primo libro . ^ la Geometria intorno a i propri j accideti della quantità, ©Gl'A- ritmetica intorno a i numeri, & il fìmil difeorrendo per l'altre arti,& feientie tutte.Mala retorica, qual fi voglia (ftò per dire) mareria,& foggctto,che le fiapropofto innanzi, paiec'habbia a poteri nueftigai e, Se conofeer ciò che polla pervaderlo, Se far ne fede. Se per quello è Irato da noi decto non hauere ella la for- za, Se l'artefitto Tuo d intorno ad alcun proprio gener limitato, Se detcrminato. Hor quanto alle perfualìoni, Se alla fede, alcu- ne d'elle fon priued'artifirio, Se altre artifitiofe fono. Spogliate d'artificio intendo io elfer tutttc quelle, chenó pernoftra ope- ra, Se difeorfo ritrouiamo, Se ci procacciamo ; ma comcche'n elfer già prima fieno difuora ci fon porte innanzi : come fono (per ellcmpio) i teftimoni, le torture, le fcritturc, Se fimili. Ar- tifitiofe poi intendo io eller tutte quelle, le quali con arte, & con ragione, ftà in poter noftro d' inueftigare,& di procaccia- re. Onde l'vne fa di mcftieri,>non che le immaginiamo di nuo- uo, Se crolliamo, ma che trouate, Se porteci innanzi, le lappia- mo vfare; Se l'altre, cioè l'arti ficiofe han di bifogno d'cflcr da noi cercare, Se formate. Hor di quefte arti ficiofe perfualìoni, & fedi, che con arte, Se con via di ragione fi truouano, Se lì gua- 0 dagnano, tre forti, onero fpetie fi truouano. alcune fono, che cófifton nelcoftume, Se credito di colui, che parla : alcune altre fon porte in difporre, muouerc, Se arfettionarc in vn certo mo- do colui, chalcolta : Se altre finalmente fono ,chc ncll'ora- tione, & nel parlare ftellb confiftono ; mentre che con la forza di quelle, fi pruoua, ex fi mortra l'intéto ; ò almen fi fa apparire, 1 che fi moftri. Per cagion del coftume adunque la perfuafionc, & la fede, che da elfo depende, allhor shà da ftimar, ch'ella ac- cafehi , quando in maniera farà formata , Se detta l'oratione, ch'ella fia habileàfar'apparir il dicitor degno di fede, cVa dar 1 1 credito alle fue parole, conciofiacofa che alle perfone tenute da noi virtuofe, Se da bene, maggiormente, & più agcuolmente fogliamo credere, Se preftar fede, & quefto generalmente in tutte le cofe : ma principalmcte,& fenza alcun dubbio in quel- le, nelle quali nò appare in lor natura cofi efatto, òvinanifertoil vero j Se per confeguente nell'vna, Se nell'altra parte polfon ge- 13 nerar opinion di loro. Et cosi fatto coftume, & buona opinio- ne, che s'habbia di buone qualità dell oratore, fa dj merticri, B ch'acca- i o  ch'accafchi , Se nafca Colo dalla forza della ftefla oratione; Se Scnon perche giàs'habbia prima quefta fama, & quefta opi- 4 niondilui. perciò che fi come fi vede in alcuni,ch'hanno ; ci ir- to di quell'arte, non hanno in ella porto la buona opinion, che a' riabbia da guadagnar con erta colui, che parla squali che coli fatta opinione, Se cortame poco importi alla pcrluafione, ma nel vero quali p ri nei pallili mo, Se propriiiTimo luogo ricnil ir coftume in acquiftar'alle parole fede. Dalla parte poi de gli a- fcoltatori la perfuafione, Se la fede, che per cagion d'erti ha da nafeere, alhora s'hà da inrender che l adiuenga, quando dalla forza dcli'oratione, a qualche paflìone & affetto d'animo fon itf morti ,& tirati, conciofiacofa che, non nella medefima gitila logliam noi giudicare, fentcn tiare, o fiumare le fteffe cofe, qua- do lipieni di moleftia, & quando lieti fiamo,- ouer quando a- 17 inumo, & quando odiamo. Et in quefta fola maniera di per- vadere hauiam detto difopra haucr folamente me ilo ftudio,& tentato di trattar coloro, che fin hoggidì di quell'arre hanno Tcricto • Ma di tutte quelle cofe, che quefta maniera di pcrrfua- fion riguardano rratraremo, Se daremo didimamente cniarez*- 1 8 za, quando delle paftioni dell anima ragioneremo. Per cagion della ftefìa oration finalmente, Se delle fteftc ragioni, alhora li trouerà, & s'acquifteià fede» quando in ciafehedun fo^getto, che ci verrà dinanzi, da tutte quelle cofe, che poflon eller per- fuafiue d'elio, o il vero ftcflb, o l'apparente vero concludere- te mo,& dimonftreremo. Venendo adunque Tartificiofa perfua- fione, Se la fede da quefte tre cagioni, c'hauiam dette, manife- fta cofa e, che fa di melh'eri, di iapere, Se di polfedcr quefte tre cofe, cioè habilità, Se notitia di lyllogizare , cognitione intor- no ai coftumi, & alle virtù dell'Intorno, & nel terzo luogo fi- nalmente noritia intorno a gli affetti humani, conofeendo che cofi fia ciafehedun d'erti, Se qual proprietà egli habbia, Se do- lo de fi cititi, Se fi produca, Se in qual maniera . Per la qual colà par, che fi porta dire, che la retorica fia quafi vn germoglio tn- iteme della Dialettica, & di quella faculrà,chc dei coftumi trat ta,la quale non fenza ragione fi può politica, ouer ciuildoman- X 1 dare. Onde auuiene, che la retorica, Se con ella quelli, che pre- fumon di poffcdcrla, foglion per quefto vfurpare in vn certo modo, Se veftir l'habito d'eflà /acuità ciuile ; parte per imperi- tu, Se Jl Primo libro . 1 / tia, Se per ignorantia, parte per arroganza, Se parte per altre 11 caufe> che poflbn far'errarcrhuomo. cliendo nódimen la reto- rica vna particella della dialettica, Se (come fu dal principio det- 15 to) quauvn ritratto fimilc, Se fipruoui, ouer fi faccia apparentia di dimo- ftrare, Se prouare, l'vna è, fi com'ancor nella Dialettica, l'in- duttione, Se l'altra il fillogifmo : chiamando io l'enthimema, t$ retorico fillogifmo, Se retorica induttione, l'cflèmpio. Se tutti color, che vogliono prouando, Se dimoftrando far fede, ocf- fempi adducono, o Enthimemi,& fuordi queftedue, altra co- lf» fa, ai cui in ciò fiferuin, non hanno. La ondeeflendo general- mente vero, che volendo chi fi fia in qual fi voglia modo, qual fi voglia cofà prouare, è neceflàrio, che vfàndo o fillogifmo, o induttion lo faccia, come appar manifeflo per quello, che det- to hauiamo ne i libri refolutorij, fa per quella ragion di meftie- ri, che quelle due cofe, ciocl Enthimcma, &i*ciIèmpio,à que- ft'altredue, cioè al fillogifmo, Se all'induttionc, rifpondino in modo, che l'vna, con l'vna, Se l'altra con l'altra, fìcn quafi vna 17 ftefla cofa. Qual fia poi la dirTcrcnria tra l'eUèmpio, Se l'enthi- mema, facilmente per quel, che fi c dichiarato nella Topica, può cfTer chiaro : eifcndofi quiui del fillogifmo, Se dell indut- 18 rione a pien ragionato, douefù detto, che quando in più cofe irà di lor fimili fi moftra trouarfi il medefimo di quello, che prouar intendiamo j allhor il far quefto fi dee quiui, cioè nella dialettica, ftimar'induttione, Se ani, cioè nella retorica, ellèra- 15 pio. Et dell'altra parte, quando fuppofto in eficr alcune cole» fi moftra, che qualch'altra cofa diuerfa da quelle col mezzo lo- ro, o comunemente, o per il più per lor cagione adiuenga, Se confegua ; alhora vncoli fatto progreflo, nella dialetti cachia- mar U dee fillogifmo, Se in quell'arte del dire, enthimcma. B h Seè 1 2 Ttella "Borica d'ArìHotel^ 0 Et è cofa manifefta che l'vno, & l'altro di qnefti comodi, Se di quelli aiati ; cioè l'vna, & l'altra maniera d'argomentare, riab- bia in vn certo modo vna Aia propria fpetic di retorica : pofeia- che fi come e detto ne i libri, doue con ragione, ordine, & via fi e trattato di quefto, così in quelli al prelente affermiamo au- 1 uenir' il medelimo : trouandofi tra le maniere de i parlari oia- torij, alcune eflcmplificatiue, come che delfcmpi per la mag- gior parte abbondino; Se altre enthimematiche,come che per il 1 più d enthimemi iìen piene. Se quanto alla perfuafibilicà non manco fon habili a far fede quelle orationi, che eircmplificati- ue fono ; ma ben fon più impetuofe, Se con maggior veheme- tia commuouono renthimematiche. Ma qual di tutto quefto fia la cagione, Se in qual maniera l'vnc, Se l'altre s'habbian da trattare, Se vfare, più oltra al proprio fuo luogo dichiareremo. 3 & al prefente della natura, Se delVcfler loro alquanto più al vi- llo penetrando, diftintamente ragioneremo, & determinere- 4 mo. Dico adunque che elfendo necelìario, che la cofa perfuafi- c bile, ad alcuno habbia da eifer nerfuafibilc,& frollandoli qual- che perfuafibilc, che per fc ftcno fubito, che gli è odiro,cosi fat to appare, Se altro, che ha bifogno per apparir tale, d cllcrdi- 6 dotto da altri per loro ftclTì perfualibili, Se olerà ciò non tro- uandofi alcuna arte, che tratti, Se habbia in confidcration gli diuidui, e i particolari, o fingolari, che gli vogliam chiamare : non confiderando l'arte (per eflempio) della medicina, che co- fa polla render fano Socrate, o Calfia ; ma quello, ch'a vn tale, oa vn tale, cosi, o così difpofto polla fanità recare : pofeiache che'n far quefto può hauer luogo l'arte,douc che per eller'i fin- golari infiniti, cader non pollon fott'arte, o feientia alcuna, 7 ne feguc da tutto quefto, che la retorica parimente non habbia da riguardare, o in cófideratione hauere quei perfuafibili, che aquefta, o a quella perfona (ingoiare, com a dir a Socrate,oad Hippia, polTàn parer tali : ma fedamente quelli, che a quella, o a quella forte di perfone cosi, o così difpofte, Se nel tale, o nel 8 tal modo qualificate, poftàn recar fede, Se perfuafione ; come parimente auuicn nella dialetica. percioche ancor ella non ac- coglie ne i fuoi lìllogifmi tutto quello, che lenza lecita alcuna polla parer probabilea chi fi voglia: pofeiache a gliftolti, Se 5 forfenaati pollon anche molte cofe parer probabili . ma da quelle Jl Primo libro . 3l rj 3 nelle cofe guida ella i Tuoi argomenti, che da forza d'arte, Se a ragion dependono, doue che la retorica da quelle, guida, Se diducei Tuoi, le quali giafon'vfate cader fotto configlio h uma- no, percioche 1 vfo Tuo Uà porto fpctialmente dattorno a quelle cofe, nelle quali vfiamo l'clcttione, el configlio noftro, & di cui arte alcuna detetminata non hauiamo : Se appretto d'vna certa forte d afcoltatori fi esercita, Se fi pone in vio, liquali no fon' habili, ò in (brutti a poter pervia di molte cofe, Se di lun- ghi difeorfi, Se ragioni comprendere, & capir le cofe, che ficn 40 lor porte innanzi, ne a difcorrerle molto eia lontano. Et è po- lla l clettione, e l configlio noftro intorno a quelle cofe, ch'a 41 noi paia, che poltan auuenire, Se non auuenire. pofeiachedi quelle, che fon'impoffibili oa farfi, oad eflerc, oad accalcar* altrimenti di quel, che fieno, ninno farà già mai, che (e per ta- li le Itima, Se le giudica, s'aftatighi in configliarfcne : non po- tendofenc determinar niente più con configlio,ch'a quella ftef- fa parte, Se in quello fteflb modo, chcneceflàriamentc adiuen- 41 gono. Hor'egli accade nel fillogizarc, Se concluder che fi fan le cofe, ch'alle volte fi fillogizino, Se Ci diducano da altre propo fitioni già fillogizate, Se conclufe prima, Se alle volte da propo- fitioni non prouate, ne fillogizate, & nondimeno per non ef- 43 fer in loro ftelfe probabili, bifognufe di fiUogifmo. Diquefti due modi di procedere è neceflario in quell'arte, ch'il primo no polla per cagion della fua lunghezza eflcr da chi afcolta ben'in- tefo, Se feguito con l'apprenfionc j fupponendo noi gli afcolta- tori non periti, Se più torto di femplice, che d acuto intelletto. 44 Et l'altro modo c forza, che poca perfuafion porti fcco,non na- feendo da propofitioni già co n celle, Se prouate, ne parimente 45 probabili per fe medefime . Per la qual cofa fa di meitieri, che coli l'cnthimema, come TelTempio contenga propofitionc per il più contingenti, Se tali in fomma,che pollàn' ancor vcrificarfi dall'altra parte, Se cflcr'altrimenti di quel, che fono . conue- nendo l'elfempio con l'induttionc, Se col fillogifmo l'enthime- 46 ma. ilqual di poche propofitioni fi contenta, Se fpefie volte di manco, Se di più raccolte, che nell'intiero fuo fillogifmo non 47 conterrebbe. Imperciò che fe a forte alcuna d'effe fi truoua efler a chi fi parla nota, non fa di bi fogno, che vi s'efprima, poten- do colui, eh' afcolta fupplirla nel concetto, Se nell'animo fuo, Se aggiu- / 4- Velia r R(torica d* Jrìflotelc^ 4S &aggiugnerla per fc medefimo. come (per eflempio) fcvolef-» fimo prouar, ch'il tale di narion Dorico ila flato quello, chab- bia in publico, & folenne giuoco, & contefa, confeguico vit- toria, a cui fi debba premio di corona, potrà ballar il dire, che fìa flato vittoriofo nella pugna Olimpica: ne fa dibifogno ag- giugnerui, che alla vittoria Olimpica iia douuto premio m coio 4P na, cflèndo ciò noto a tutti. Hor perche tra le propofirionijdel- le quali fi compongono, & fi formano i retorici fillo^ifmi, po- che fc ne truouan necellàric, come ch'il più delie cofe, intorno alle quali confiftono i giuditij, & le confiderationi, & confia- te humane fien tali, che variar potfono l'eircr loro, & altrimen- ti eflex di quel, che fono : pofeiache di quelle cofe accade a gli huomini giudicare, difeorrere, Se configliarfi, nelle quali con- fifton le lor'attioni,nè d'altra forte fon lelor attioni , che di auella,c'hauiameià detto; nefluna (per modo di dire) cllcndo jo d elle , c'habbia (eco neceflltà : ne fegue da tutto quello , che non potendo quelle cofe, che per il più, & non nccellàriamen- tc adiuengono, Se che contingenti fono, fyllogizarlì,& conclu- derli, fe non per il mezzo di propofitioni limili a loro j ne an- cor le propofitioni necelTarie, fc non per il mezzo d'altre pari- mente necefiàri e, come può chiaramente apparir per quel, che 51 fi è detto nei libri refolutori; ; può da tutto quello eflèrmanife- flo, che le cofe, donde s'han da formar gli enthimemi, alcune fon, checontengon necefiìtà, ma molte più fon quelle, che fo- 51 lamente per il più fon vere, Se perla maggior parte . Etperche gli enthimemi s'han da comporre di quelle due cofe, cioè di fe- gni, & di verifimili, ne fegue che formandoli eglino (cora llo detto) di cofe necellàric, Se molto più di contingenti, fia di me- ftieri, che quelle due cofe, cioè i verifimili, e i fegni, a quell'al- tre due, cioè alle contingenti, Se alle neccllìrie rifpondanoin guifa, che l'vna di quelle contenga co fa, che fiavna della con Fvna dell'altre, Se l'alrta parimente fia vna ftellà con l'altra, Se 5$ cofi è veramente, pcrciochc vetifimile è quello, eh il più delle ▼ohe fuorauuenirc. ma non già vniuerfalmenre è vcro,ch'ogni cofa tale, fi poflà chiamar verifimilc, come lo diflìnifeono al- 54 cuni : ma fcgli ricerca ancor d'eifer' in quelle cofe fole, le qua- li efiendo contingenti, polTon variar l'eiler loro, & altrimenti accalcare, de elTcr di quel, che fono, Se hà di più, da riguardare la cofa , Jl Primo libro . ij la cofa, di cui gli e verifimile, come l'vniuerfale, cioè vna cofa* che lì truoua in più, riguarda il particolare, & vna cola, che fi ff truoua in meno. Quanto a i (egni poi,vna forte ve nc,chequel rirpetto, & riguardo tiene alla cola, di cui fon legni, che tien' vna cofa indiuidua, oucr (ingoiare, all'vniuerlale. Vn altra for- te ve n e poi, che per il contrario riguarda la cofa di cui gli e le- gno, come l'vniuerfale il particolare, o vogliam dire come la co (à,chcintieramcnte,& communementeaccafca,riguardaquel- j 6 la, ch'adiuiene in parte. & de i fegni pure vna fpetic fi truoua , che portando fecondo neceflìtà, fi domanda Temmirio,o certo 57 inditio, che lo vogliam chiamare. & vn'altra ve n'è poi, laqual non porta fcco neceflìtà, Se proprio nome, che dall'altre fpetic di fegni la diiliagoa* non tiene, ritenendo il commun nome di j8 fegno. Et per cole, cheportin feco neceflìtà intendo io quelle, f»cr virtù delle quali il fillogiimo, che fe ne forma diuiene (labi- e, 6c fermo, 6c per quefto e domandato Tcmmirio vn coli lat- to feeno. concioliacofa che quando (limiamo, che la cofa, che noi diciamo, & prouiamo, non fi pofla difeiogliere, o mandar* a terra, allhora ci penfiamod'hauer formato il Temm;rio,quafi che ben fondato, Se ben terminato, Se fermato lia 1 argomento 60 nolìro. pofeiache teemar, donde vien teemirio, vna cofa (leflà con peras, cioè con termine, & fine, lignifica nella greca lingua 6 1 antica . Tra i fegni, adunque, quello, eh alla cofa, di cui gli e fegno, ha quel rifpetto, che ha vn particolare, ouer (ingoiare al fuo vniucr(ale,può eflèr (per eflempio) in quelli guiia, come fariafe alcun volendo prouar, che gl huomini faggi fien giudi, aflegnalfe per fegno di quello, che Socrate era li uomo (aggio 61 infiemcmente,& giullo. cosi fatto allègnamento adunque fi può domandar fegno, madcbol molto, Se facilmente folubile, quantunque fufle vera la cofa, che fi pighafle per fegno, come 6 } che mala forma contenga di filloeifmo. ma fc alcun (per eflem- pio) allègn a (Te per fegno dell'eder infermo, 1 haucr febbre, o per fegno ch'alcuna hauefle partorito, 1 hauer ella latte, cofi fatti aflìgnamenti portanan fcco ncccflìtà.& fol quefìo tra l'al- tre fpetic di fegni, fi può domandar temmirio, come quello, che (egli è vera la cofa, ch'ei reca per fegno, fi dee (limar in(b- 6jf tubile, ficimpoflìbilca mandarli a terra, quella fpcric di fegno poi, laqual riguarda la cofa, di cui l'è fegno, come rvniuerfal riguarda / izarc, o far cnthimema non fi può dattorno alle naturali. Se il nmil fi 7 8 può difeorrendo per tutte l'altre materie affermare. Et di queflc due forti d'enthimemi , quelli , che pur' hof habbiara detti,, cioè li retorici, e idialctici, non pofion far parer l huom perito più in vn generdi cofè,ch'in vn altro, ne tirarlo detroa i confi- C ni d'alcnna 1 / 8 Ttetta Itetprìca d 'Arìttotelt^ ni d'alcuna facilità particolare, non guardando eflì, coméco* JS> -ranni che fono, foggetto, o maceria limitata alcuna. Ma in quel- li di queft altra ione , cioè ch'appropriati ad altra facilità fi truouano, quanto migliore, & più diligente lecita faremo delle propofiaoni, tanto più verremo in vn certo modo ad accodar- ci a i termini, & a i confini d'altra (cicncia, dincria dalla dialet- tica, & dalla retorica, pcrcioche leai principij diquella acca- fcarftidurfi, apparirà chiaramente che ne alla dialettica, ne al- la retorica a p parremmo ; ma a quell'arte, o feientia di cui faran- 80 quei principi). Son la maggior parte degli enthimemi diquel- Jc forme, Se propolìtiom formati, le quali fono 1 penali, Se pro- prie di qualch arte, ofrientia particolare : Se per il contrario in aliai minor numero fon quelli, che da communi proporzioni , Si Se a nell'una facultà appropriate dependono. Per laqual cola fa- rà ben fatto, che lì come fatto fi e nei libri Topici, coli pari- mente in quelli, andiam dilu'ngucndo tràdiloro le forme deli luoghi degli enthimemi, donde cflì s'han da trarre, & da pren- ci dere. Se per forme intendo io propoluioni a quello, o a quel determinato genere appropriare. Se per luoghi intendo io poi quelli, ch'ad ogni genere, Se ad ogni materia, communi vgual- 8j mente fi truouano. Primieramente adunque diremo delle for- me: ma prima che ciò facciamo, è bene, chevcggiamo,óc co- nofeiamo i generi di quelYarte della retorica, acciò checonofeiu to, Se diftinto c haremo quanti chefieno, potiam poi allegna- rc, & moftrarc in cialccduno d elìì appartatamente, quali fieno i lor propri; elementi, Se lclor proprie forme, Se propolitionù C a P° 3* Qjtanti fieno li Cj eneri delle caufe o~ ratorie $ quale fi a etafehedun d'efìitf de i propri} fini, £f dei propri] tempi loro. R e fono in numero i Generi, o vogliam dir le - fpetie della Rcttorica, pofeiache d allietante forti, Se maniere ancora fono gli afcoltatori del I orario- ni, c ha ella da fabricare, conciolìacola che da tre cofe dependa, oucr tre cole riguardi Toratione, cioè colutene parla,la cola,di cui fi parla,& colui,acui fi parla, &acoftui Jl Primo libro . r 9 &• a coftui oltra di quefto, cioè ali afcol tato re, (là totalmente in- 3 drizzato il fine, & l'intention della fteila oradonc. Se è forza, che colui, c ha dafcoltare, o fia puro intenditore, Se afcolrato- re, ouer'oltraciò habbia fopra lccofe,ch'afcolta da fententiare, & da giudicare, Se douendo clfcr tale, fa di bifogno ch'il giudi- tio, eh egli ha da dare, fia d intorno, o a cofe, che fieno fiate, o 4 a cofe, che habbiano ad ellère Coloro che delle cofe future han da giudicare, Se da determinare, fon com a dir,quelli,che s'adu mino in confulte publiche. coloro ch'intorno alle patiate han da dargiudicio, fon com a dir, quelli che propriamente giudi- ci nominiamo. Se color finalmente, che folo prendon gufto di confiderare la forza, Se l'arte, c habbia nel dire colui, che par- 5 la, puri afcoltatorì, cVconiìderaton chiamar fipoiTono. Onde fa neceilàriamente di metti cri, che tee fieno i generi dell'orario- ni retoriche, ouer oratorie, il coni ul tati uo, il giudiciale, eldi- 6 moftratiuo. Il confultatiuo parte confile in efortarc, Se parte in diltogliere, ovogliara dire parte in fuadere, Se parte in dif- fuadcrc, peròche tutti coloro, che, o di cofe priuate dan con fi- glio, o in publiche concioni a commun beneficio dicono il pa- 7 rer loro ; tempre o 1 vna, o l'altra delle dette cofe fanno. Il giu- dicai parimente due parti ancor' egli abbraccia, cioè l'accuia- tionc, Se la difcnlione: pofeiache l'vna di quelle cofe è forza, che facciali fempre coloro, chelitigiofc controuerfie, & forenfi 8 caufe trattano , il dimoftratiuo gcner finalmente ancor egli in 9 due partì e diuifo, che fono il lodare, e'I vituperare. Ciafchedu- no medefimamente di quelli generi attribuire a (c,Se quali s v- io furpa vna fina propria differentia di tempo, pcrcioche a colui, che con ligi ia pare, che s'accommodi il tempo futuro ; (olendo delle cofe, che Sconvenire configliar coli quello, ch'eforta, Se 1 1 ("uade, come quello, che diftoglie, Se chedifliiadc. A colui poi, che nel giudicial genere ha da parlare, par ch'appartenga,& s'a- datti il tempo già pallato : po:uache lecofegiàfattte riguarda- 1 1 no Tempre coloro,ch accufano,o che difendono. Al gcner final- mente dimoitratiuo,appropriatifilrao più di tutti gli altri tem- pie il prefente, come che per il più coloro, che lodano, o biaf- mano habbian dinanzi per oggetto quelle cofe, che di prelcnrc 1 3 fi truouano nella cola lodata, o vituperata, quantunque fpeflè volte accalchi, che li tocchili le cofe pallate, mentre eh a me* C ij moria 2 0' 'Della r R^tprica d* Arinotele moria fi riducono, & le future ancora, in far prefagio, 8c con- »4 icmira d'elfo . Parimente a ciafeun de i detti generi vienadef- fer appropriato diuerfo, & diftinto fine ; & eflèndo elfi tre, tre 15 conlcgucntcmene fon'ancor i lor fini. Colui, chcconfiglia ha per fine l'vtilc, e'1 danno : conciofiacofa che chi fuade riguardi Tempre come cofa vtilc la cofa, ch'egli fuade, de chi la dilluade 16 per il contrario come cola dannolà ladiHuada. & tutte 1 altre cofe^che in configliar s adduce no, com'a dir' il ginftos Tingi u- fto, l'honefto, el biafmeuole, fon prefe, & confiderete, come ch/alle dette due cole, cioè al danno, & all'vtile fi riferivano . 17 Color poi, li eguali litigando ingiuditio contendono, han per lor fine il gfufto,& l ijigi ulto : & tutte 1 altre cofe, di cui acca- 18 fchi loro di feruirfi, a quelle indiizzano, 6V referifeono . A co- lor fi nal mente, che nel gencr ctiuioftratiuo lodano, o biafma- no, lìà ptopofto per fine l'honcfto, el bruito, ouer dishonefto : & a quelle due cole, qual li voglia altra cola, ch'occorra loro di r toccare, o di riguardare, tien rifpetto, & riferimento . Et ch'a ciafehedun de 1 detti generi lia appropriato, & accomodato il fuo già detto fine, a quefto, com a chiaro legno fi può conofee- rc, che di tutte 1 altre cofe fuor che de i detti fini, accade alle voi 10 tedi non contendere, Se non contrariare, co m a dir (percfiem- pio) che colui, che dice in giuditio la caufa ina, non opponine contenderà alle volte di non haucr coiti m elio il fatto imputato- gli dali'auuerfario, & di non hauer nociuto,o recato danno, ma d hauer egli ingiuraro, o ratto mgiuftamente, non confetterà e- gli mai : pofeiache fe quello con f diàrie harebbe fine la contro- ri ucrfia, & diuenebbe contra di lui chiara la caufa. Medefima- mente quelli, che danno con la lor'orarion configlio, l'altre cofe Ipellc volte lalcieran palliar per vere, nè s'opporrano, o cc>- t [adiranno, ma che dannofefien le cofe, che con figliando fua- dono, o che vtili, & profitteuoh ficn quelle, che dilluadono, non confeiTcranno,nè concederan già mai : ma fe come cofa in- giunca shabbi a {limare il cercar di ìoggiogarc, Se ridurre in fer- uitio i popoli vicini, dai quali non lì iìa ncenuto ingiuria, di zi quefto, o d'altre fimil cofe fpeile volte non terran cura. Parimé- te coloro, che con la lor orationc lodano, o biafmano, non ten- gon conto,nc hanno in confideratione fe colui, di cui ragiona- no» habbia con le Aie attioni procacciato a fe vtilc, o danno: ari* ziipcllè Jl Tr imo libro . 2t foclTc volte attribuifcono altrui a lode l'hauerpofooilo fall proprio, & tenuto in poco conto cofa, che gli hauene potuto • , rcJr^rilità.pcrfarqualch'opcrationehonefta. come (perei, fero Pio) lodano Achille, che quantunque molto ben i lapelìc, che vendicando la morte deliamico fuo Patroclo, fuffe perfo- prauanzar poco in vita , non-s attenne per quello di farlo : ei- Fendo nondimeno in fua potcftà di poter viuer più lungamente non lo facendo, ne è dubio, chad elio il morir per li honorata caeione, non fuilècofa fecondo l'honeftoj&i viuer farebbe 14 ftato fecondo 1 vtilc. Può dunque per le cofe, che fi fon- dette, apparir manifclto dfcr cofa necclfaria l hauere, ci poileder pri- mieramente propofitioni accommodate a i tre generi, & a i lor zc trenni,chedemhauiamo:ncaltro fono le retoriche propoli- tioni, che temili), vcrifimili.&fcgni. Le quali propofitioni fa di meftieri (com ho detto) d. procacciare : peròche componen- doli vnuicrfalmente ogni fillogifmo di propofitiom.l enthtmc- ma, confegucntemcntceiTendo ancor egli lillogifmo, farà co- pofto dipropofitioni,lequali han da elTer quelle, che pur ho- 16 iahauiam dette. Et perche fatte efTcr mai, ouero habiU a farfi non polion cflTer quelle cofe, ch'impoflibili al tutto fono, ma folamcnte può atuienir quefto delle polTibilt : ne parimente può elTer'in alcun modo, che fieno ftatc fatte quelle cofe, che non fono ftatc mai, o c'habbian da farfi quelle, che mai non fa- ranno, fa per quella cagion di meftieri, che colui, che congna, & quel, che>n giudicio parla, Se quel finalmentcch il gencr di- moftratiuo clfcrcita > habbian tutti ,& pollcpino propofi- tioni, che riguardino il poftìbile, & Timpofiibile ; 1 edere faro,, ci non efTere ftato > Se 1 haucr ad elfere, e 1 non hauer ad eflcre. 17 Appreiro di queftovperche tutti coloro,i i quali o lodano,o biat- mano, o fuadono, o difluadono, o accufano,o difendono ; non- folo tentano, & fan forza di prouare, Se moftrar le cofe già da noi dette di fopra,ma tcntanancor oltra ciò di prouare,& mo- ftrar, che grande, o piccola fia la cofa, che moftrar vogliono , com adir l'vtile, o 1 danno, 1 honcfto,o 1 btafimeuolc, il g.ufto, oWneiufto,& quefto cercan di fare, non folo confidiate per loro ftclfe le cofeairolutamcntc, ma ancor ponendole in com- X S paranon l'vna dcll'altra,nc fegue per manifefto da tu tto quefto, che faccia di bifogno haucr procacciate ptopofitioni della gra- ' — oc zza * 2 2 *Della ^Retorica d\Arittotele^> dezza, & della piccolezza, & della maggiore, & minor gran- dezza: & ciò nonfolo con fiderà te tai quantità in vniucriale , cioè in fé iteife, & non applicate a materia alcuna, ma ancorap* plicate aciafcheduna delle qualità già dette di fopra : com a dir qualità maggior', o minoratile, & bene, qual fia maggiore, o minor ingiù ria, qual cofa con maggiore, o con minor ragio- a$ ne, Se giù fiuti a fatta, c'1 iìmil difcorrendo nell'altre cofcDi quai cofe faccia adunque di ne ce flit à meftieri di procacciare, & ha- 30 ucrpropofirioni, hauiam fin qui detto abailanza. & hauendo fatto quello, faràben'hora,che ciòfepararamente in ciafehedun 31 de i detti generi fi diftingua, & sallegni : com'a dir alìegnan- do prima quai cofe habbian da contenerfi nelle confultatìoni , Se quindi quali nell orationi dimonltratiue j& finalmente nel terzo luogo quali in quelle de i giuditij, Se del gener giudiciale. Capo 4L. Quai cofe principalmente cadano fit- to la deliberazione^; , & conjidtatione del- l 'huomo : ^ di quat cofi fi figlia per il pm trattare ne i pub liei gouerni , & configli communi delle Citta . Ri mi e r amente adunque dobbiam vedere in- torno a qual forte di beni, o di mali cerchili colo- ro, che confultano, di prendere, Se di dar conlì- glio. conciofiacofa che non in tutte le cole, che fon buone, o ree polla 1 human configlio hauer luogo* ma fola mente in torno a quelle, che fondabili inlorna» tura a poter eflèr, © non clfcre, ouer'a poter farli, o non farfi. quell'altre cofe poi, le quali di ncceiìità fono, o faranno, oucr* impoflìbil cofa è, che le fieno, o c habbian' adelfcr mai, così fatte cole fotto configlio cader non polTono. Ma ne anche cader vi pollbn tutte quelle, eh clfendo di natura contingenti, elFer* & non clFer polFono : polciache tra coli fatti contingenti beni, alcuni dalla natura, & alcunidalla fortuna vengono : intorno a i quali , quantunque polFan'auuenire, Se non auuenire, vana nondimeno, Cv fenza bifogno, o giouamento alcuno farebbe ogni Jl Primo libro . £ 2 3 3 ogni confultationc. faràmanifcrto per quello adunque, chele cole, nelle quali polla haucr luogo il conlìglio,faran iurte quel- le, che fon'inlor natura, acre a depender dal volere, & dal po- ter nolrro,& di cui la caufa, c i principio di farli, o non farli, ila 4 porto in noi lleili, & nel nortro arbitrio. Et che ciò fia il vero, noi vediamo, che nei prender conlìglio d'alcuna cola, tinto ol- tra a punto andiam con la confiderationc, & col dilcorlo prò' cedendo, fin che trouiamo, Se conosciamo fcanoi Ila polli bi- j le, ouer'impotiibile il farla . Hor l'a (legnar' efquilìramentc, &c porre in numero tutte particolarmente Iccofe, dellequali Co- gliam configliarci, & formar le noltreopcrationi, & il diuider- le didimamente nelle (licci e loro, & di quelle fecondo Tefatta veritàloro, quanto poiiìbil da trattare, & determinare, nónp- panien di far'in quello prefente luogo : non attenendo il far quello alla prefente arte della retorica ? ma a facultà più nobi- le, &acui s'appartenga piùalviuo in ciò riguardare, & pon- C d crarc il vero. Se nòdi meno fiarn molto più noi per concedere al prefenteaquert'artc di quel, che ricercante fpeculationi, che 7 fon fue proprie, peròchc vero fi dee rti mare eflTer quello,chcgià di fopra hauiam detto, cioè che la retorica fia in vn certo modo comporta della Icientia. refolutiua apparrencnreal filIogilmo,&: 8 di quella facultà ciuile, eh intorno a i cortumi è porta : Se par- te parimente conuicnc con l'argomentationi dialettiche, ce par- te con le (bfiftiche, dando eli a luogo fi come a i veri argometi , 5 cofi àgli apparai ancora. Onde s'aTcun farà,che o la Dialettica, o quell'arte del dire tentarà d'cfplicare, & trattare, non come facultà comuni, ma come efatte feien rie; egli mentre che farà q u erto, verrà quali non s'accorgendo a corrompere, cV a ror via la natura d'eile,trapairando con cfquifiramenre trattarne,i pro- prij lor confini, Se enrrado dentro a quelli delle feicntie, chab- bian per lor foggetti cole in lor natura determinate, Se non fo- Iamcnte ragioni, & modi d'argomentare, com hanno querte. 10 Có tutto quefto, noi tutte quelle cole, che pollonoeiler vtili,&: recar lume al prefente propqfito noftro, non lalcicremo di pré- derc di diftinguerc, & di trattare : lafciando nondimeno la più efqutlita lor confideratione, alla Ci mie fcientia, di cui fon pro- 11 prie. Dico adunque che cinque in numero li truouan cflèr quafi tutte le cole più importanti, cV più principali, dellequali foglion l 2 4 T>eHa Teorica d'AriHotelt^ foglion perii piùconfukare torti quelli, che trattati concioni, Se configli public!. & quelle fono l'entrate, & foftantie publi- che, la guerra, Se la pace, la fecurezza, Se guardia del paefe, Se del territorio, il veder quai cofe per labboncrantia, & commo- do della citta, s'habbian da far venir d'altronde, Se quali s'hab- bian da portar fuora, &da mandar'alrroue, & finalmente il for mar leggi, Se ftaniti, fecondo, chc'l bifogno, & l'occalion ricer. li ca. Per laqual-cofa colui primieramente, c'ha da poter ben có- (igliar'in torno all'entrate, & foftantie publiche, fa di me m eri, che molto buona notitia habbia di tutte l'entrate, Se rendite della Città, di che qualità fieno, quante le fieno, Se quanto im- portino : accioches'alcune ve ne mancalTer, ch/ellcr nódimen vjpotcflero, vis'aggiungan di nuouo, & fe d'alcune fi cauafle manco frutto di quel, che cattar fe ne poteiTe, fi polla accrefee- i $ re, Se augumentare. Oltra di quello gli fa bifogno di molto ben fapere tutte l'vfcite, & fpefe della Città, acciòche s'alcuna ve ne fuife dauanzo, Se fenza bifogno fatta, fi tolga via : Se s'alcuna ve ne fuire maggior di quello, clic ragtoncuol mente lapotreb- 14 beerTcre, fi corregga, Se fi diminuifea. pcrciòche non folo po£ fon diuenfr più ricchi,& più opulenti gli huomini con 1 aggi u* gner femprc nuoue ricchezze, Se nuoue entrate a quelle, che fi pofTeggono j ma ancor con riftringer le fpefe,& tor via,o dimi- 1 j nuir l'vfcite. Se all'in ftrutione, & peritia di tutto quello, non folo è vtilela notitia, che con la pratica, & con l'efperientia s' habbia delle cofe della Città propria, Se del proprio itato, ma fà dibifogno ancora a poter ben cófigliar'intorno a quel, c'hab- biam detto delle rendite, Se foftantie publiche,l'hauer col mez- zo dellhiftoria, piena cognitionc di quello, che d'intorno a tal 1 6 materia habbian'altrc città vfatc, o vlìno . Della guerra poi, Se della pace colui, c'harà da etìer'habile, a poter bendar confi- glio, fa di meftier, c'habbia buona cognition delle forze,& mi- ìitic della Città, quante le fieno al prefenre, Se quante bifogna- do fuffer per poter* edere : -óedi che forte, Se qualità ficn quel- le, che ordinariamente parate fi tniouano alhor in pronto , Se di che forte, Se qualità parimente potellero eiler quelle, chebi- 17 fognando vi s'aggiugnelfero. E necelfario olrraciòdi faper tur- te le guerre, c'habbia farro per l addietro quella Cirri, Se in ^ual maniera, Se con che forze, Se con quai fuccefli li fica trat- tate. Jfl Primo libro . ? 2 j 1 8 tate. Se non fol quelle della propria città, ma vtil'c ancora l'ha- uet notitia di quelle, c han fatto l'altre potentie, Se città conui- cine, Se quelle città fpetial mente, con le quali iì polla più con- , o ftimardi porerageuolmentc hauer'vn giorno guer- ra : accioche mediante quella notitia li polla, ponderate ben le forze proprie, Se l'altrui, cercar di ftar in pace con le Città piti potenti, Se perii contrario con le men potenti potiam cono/ce- re di poter' a voglia nolìra confidentemente pigliar guerra, Ce 19 voglia ce ne vcga,o occafion ci lì porga. Se a quello giona anco- ra il conofeer Ce le forze, copi e, Se militie proprie,& l'altrui lieti tràdi lor limili, ouerdillimili : pofeiachein quelli parte anco- ra polTòn con la dinerfa lor qualità importar' aliai afarnediuc- ao nir luperiori, o inferior ncll'eiito delle guerre. Medciimamé- te è n ecellàrio oltra ledette cole, il porli dinanzi a gli occhi, non felo i maneggi, e i fucccllì delle guerre, c'han fatto la città propria, & l'altre cirtà conuicine, ma di quelle ancora, e han fatto altri popoli, Se altre nation lontane : pofeiache dalle cole limili, foglion per natura ordinariamente vcnire,& nafecre an- z 1 cora i fuccelTì, Se gli effetti limili. Quanto poi alla culìodia, Se fecurezza della Città, Se del territorio, Se paefe fuo ; non ha in modo alcuno a colui, ch'intorno a quello ha da con figliare, da ellcr nafcoflo in qual guifa habbia daeflér potuto fecurarfì, Se guardarli ogni parte di quello flato, Se di quel -dominio, cono- lcendo molto bene, chequantità, Se numer di guardia faccia di bifogno, &di che forre, & qualità più in quella, che in quella parte ; Se quai terre, Se liti di luoghi fi debbian'clegger per for- ti, Se habbian per confeguenteda ellcr tenuti, muniti, Se guar- ii dati. La qual cognitionc non porrà chi configlia in alcun modo ha nere, fenon làià molto ben J cfperto, Se pratico per ogni par- te del fuo territorio & del Ino paefe cacciò che hauendo dai £ioi occhi ftefli di ciò notitia-, li conofee, che n qualche luogo iia minor copia di munitione, o di gente a guardia di quello, che vi taccia di bifogno, polla dar configlio che vi s'accrefea ; Se per il contrario fi tolga via da qualch'altro luogo quella, che dauanzo, Se inutil vi lòprabbondi, per poter conellà fupplir douc lìa più neceilaria, in maniera ch'i luoghi più importanti, Se più opportuni habbian con maggior fecurezza da faluarfi,& 13 dacuAodirfi. Quanto appartxcn poi alla grandezza, Se abbon- D dantia 2 6 Delia Tigtorica. d Aristotele datiti* di quello, ch'ai vitto, Se foftentamento dell'humana vi- • ta faccia di bi fogno, donerà colui, c'ha da dar'intornoa ciò co- • figlio, molto ben fapere il logro, e'I bifogno di ciafeheduna co- la, & quanto fia per con fu mar rntta la città, Se quanto afofH- 24 cientia badar le polla, & quali delle cole a. quello necellariena- feono, Se procacciar lì pollono nel proprio terreno, & dominio d'ella j & quali per il contrario non vi fi trouando, bifogni, che xj d'altronde vengano, di maniera chcbenfippia egli fupputare, Se conofeer, non foloquai forti di merci, Se quate, come ch'al- ia città foprabbondanti,s'habbian da lafciar cauar fuoradel do- minio, Se portare altroue : Se quai per il cótrario faccia di me- fticri di procuracene d'altronde lìen procacciate & portare dé- tro. ma ancora a qual parte, ouer' a qual luogo s'habbian da mandar le cofe, ch'auanzano , & da qual parte s'habbian da 16 procacciar quelle, che mancano : accioche fapendo quefto fi cerchi di tener con buone conuentioni, Se capitulationi con quelli, che fon (ignori, & padroni di quelle parti, buona con- 27 cordia, Se amicitia infiemc. pcrcioche due forti (penalmente di genti ha da guardar' vna città di non irritar có ingiurie, Ardi non prouocarfi con orTeic incontra, cioè quelle, che fon più po tenti, Se più gagliarde di lei, Se quelle, chepercagion del com- mertio, in così fatti trafportamenti, & conduciinenti di merci, 18 le pollon' ellcr' vtili. Hor tutre le cofe, c'habbiam raccótare fin qui, fon per la conferuationc, &: ben'efìcr della città, neceflarie d'etler fapute da colui, eh a benefirio della ha da configliare, manó punto maco gli fa dibifogno d'eller inftrutto, Se ben'in- telligcnte in quella, che retta del formare, Se propor leggi, Se ftacuti : pofciache nelle ftclìe leggi ftà collocata principalmcn- 257 re la fecura faluczza delle città. Perlaqual cofa cfommamente necellàrio d'haucr cognirion di quante fpetie di Republiche, Se ciuiligouerni, fi rirruouino, Se quai cofe a ciafeheduna fpe- tie poilan'efTer'vrili ; Se quali perii contrario eflcr poflan'atrea cftinguerla,diftruggcrla, Se farle danno,o appropriate, Se fauo- 30 reuoli, o neinichc, & contrarie, che- rai cole le lìano.Et quefto, ch'io dico dell'erti nguerfi, Se corromperli vna republica dalle 3 1 cofe, che le fon fàuorcuoli, Se appropriare, dico io, perche tut- re le fpetie, & forti di republiche, Scgouerni di città, fuorché quella fpetie, eh e ottima, Se eccellerne lopra tutte l'altre, pof- fon ri- Jl Primo libro . " ' * JP fon riceuer danno, Se corrottione, così per il troppo alien rarfi, Se lafciarfi vfcir fuoradeilor proprij termini, com'ancor per 31 troppo reftringerfi, & ritirarfi dentro di quelli, come (per ef- fcrapio) adiuiene, che lo ftato popolare, non Iblo quando trop- po s'allenta, vien'a indebolire, & a perder della Tua forza, fino che finalmente nello ftato de i pochi fi cóuerte. ma ancor qua- do troppo fi ftira, Se crefee, in fé ftclfo, gli adiuiene il medeli- 33 mo. fi come fi vede auuenire dclnafo aquilino, Se del (imo, cioè dell'incornato, Se dello fchiacciato. peròche non folo con allentare, & partirfi da quella coruità,o da quella forma Ghiac- ciata, vengon'a corromperli cosi fatte figure, & forme, andan- do verfol mezo,~come verfo'l lor contrario, cioè verfo la drit- tezza, Se profilatura, ma ancora fe troppo fi ftirailèro,&: li ften- defiero, Se Ci hcefCc crefcerela propria figura loro, cioèfe trop- po andaflc il nafo facendofi, o aquilino, o fimo, o vogliam dire o corno, o fchiacciato, verreber tanto a corromperfi auella ftef- facoruità, Se fimità, che non folo ne aquilino, ne fimo fi po- trebbe più (limare il nafo 5 ma ne anche forma ili nafo vi refta- 34 rebbe. Per quel, chnpparrien dunque alle leggi, o ftaniti, che sliabbian di nuouo occorrendo a formare, o proporre, non Ga- iamente ci lata vtile, il fapere, ci confiderare, perlecofe, che fon'accadute, & liiccefte nei tempi addietro alla noftra Cit- tà, quale fpetie di republica, de qual forte digouerno le fia ftato più profitteuole, &e di maggior profperità,& maggior faluezza. 35 mavtiliflìmo ancor farà 1 hauer informarione, & notitia d al- tre ftraniere nationi, Se principati, & d'altre Città foreftierc, quai forti, Se fpctiedi republiche, Se di gouerni, a quai forti di Città, di popoli, Se di nationi, fiano fiate più proportionatc,cV: 3 G per confeguente più profpcre, & più durabili . Onde efier può manifcfto, clicgrand vtilità a così fatta peritia di formare, Se di propor leggi pollòn recar le peregrinationi,e i viaggicene fi fan- no in cercar nuoui, Se lontani paefi : pofeiache nel far qucfto fi fjollonoauuertire, oficruare, Se imparar varie vfanze, coftumi, eggi, Se ftatuti di diuerfe genti, Se nationi, da poterfene acco- modar poi fecondo le occafioni, a vtile, Se beneficio della pro- 37 pria republica. Puòmedefimamcnte (eruire, Se recar gióuamc- to alle publiche ciuili cófultationi la cognitione, Se lcnion del- l'In ftorie di coloro, channo nei lor libri tenuro memoria del- D ij lanci- 2 8 "Della "Retorica d'JrìFlotelt^ lantiquità, òv'lafciato ferini i fotti, Se lardoni degl'hiromini. 38 Ma di tutte quefte cofe lauuerti re, Se difeorrer minutamente, eoffitio, Se opera della ciuil morale Scienria,& non della facul- tà retorica. Tante dunque, quante fin qui habbiam yedure, Se non piò, fon lecofe, Se li capi più importanti, & pio principa- li, liquali fidi bifojgnohauer per noti, & làpuri a colui, c ha da 40 poter ben dar conlìglio nelle conful te nubliche . feguita hora, che noi di damo da quaicofe faccia di bi fogno di prender ma- icria d'argomentare, o in fuadere,o in difluadere, con" intorno ai già detti capi, com'in torno ad altre cole, che ven i fin deli* berationc, Se confulta pofTono. (apo f. "Dell'ultimo , vniuerfalifiimo fine dell' aftiont^ conjultaf ioni humane, che è la. felicita dell'huomo : delle parti di quella . 1 N ogni attion (fi può dir) dell' rinomo» cofi a eia* fchedun priuatamcntcóc particolarmente, come conimnncmcntc a tutti , Ila propoito tempre di- nanzi vno (topo, Se Tn fine, alquale in tu rie le co- fe, chefeguono, o fchiuano gli huomini tengon volto, e indrizzato l'animo, & 1 occhio dcll'intention loro. 1 &quefto none altro (per parlar così in genere) fc non la felici- 3 tà, Se le parti di quella . La onde (ara ben fatto, che veggiamo per modo più torto d'effètti pio» che di methodo, & via dottri- nale, d'efplicare, Se di poi lede re, checofa fia, invn certo mo- do grolfamenre, Se non cfqnilìtamcnte parlando, la felicità, & 4 quai cofe contengano le parti lue. concio! iacofa che intorno ad ella, Se a quelle cofe, eh ad eflà guidare, Se condur ne poffòno , Se intorno parimente a i contrari) loro, confinano, Se f\ rauuol- gano tutte le fuafioni, & le dilfuafioni, che qual fi voglia huo- mo faccia, pofeiache quelle cofe folamcnte opera, cerca, Se ab- braccia l huomo, lequali procacciar gli poilono 1 intiera felici- tà, o alcune parti almen di quella, o che di minori glielepoflo- no accrcfcere, Se far maggiori» & perii contrario quelle fola» mente fchiua, abhorrifce,& fugge a operare, le quali fono atte a impedire, & corromperemo^ far minori la detta felicità, & le parti Jl Primo libro . 29 f le parti Tue, Se a riuolgcrlc finalmente ne i lor contrari) . Inten- dali adunque deferitta, oucr diffinita per hora la felicità con di- re, ch'ella non fia altro, ch'vn profper fucceilb delle attioni hu- 6 inane,congiunto cól nonetto della virtù : ouer che la. fia vn ab- bondantia, o vogliam dir'vn poiTetto, per fe (letto totalmente 7 baftante alla vita humana : o veramente vna vita diletteuoliflì- 8 ma, Se piena di fccu rezza : oucr diciamo, ch'ella non confida in altro, che n vn buon' elferc, Se in vn buono (tato, così delle poifeflìoni, Se foftantie noftre, come de i.corpi noftri, con etter noi habili, Se potenti alla conferuatione, al crefcimento, &al- £ lWfo loro. Queftc adunque pottbno etter per hora quelle cofe, nelle quali confitte la deferittion della felicità : pofeiache o vna fola dette, opiu congiunte in fieme, confettano, &ftimano có- lo munementc quafi tutti glihuomini, douer'etter la felicità, cf- fendo adunque la felicità, qual'hauiam detto, verran necetta- riamente ad etter leparti fuc la nobiltà, Tamicitia, & la grafia di molti jl haucr'vtili,& buoni amici, le ricchezze, la buona, & numcrofa prole, la vecchiezza commoda, tarda, Se facile, & oltra ciò le ben difpofte qualità, Se virtù della pedona, come fono la fànità ,la bellezza, la gagliardia, la grandezza del corpo, le forze habili, Se accommodateadogni forte di pugna, Se ettcrcitation corporale, appretto di quefto ancora la buona fama, Se buona reputatione, l'ctter'apprezzato, Se honorato , la buona fortuna, la virtù, Se le parti, ouero fperie d ella, cioè 1 1 la prudentia, la fortezza, la temperanza, Se la giuftitia. 1 m per- ei oche etièn do al hora Ih uomo baftantiflìmo a femcdcfimo, quando e» pottìede i beni così interiori, come gli citeriori, po- feiache altri beni, fuora di quefte due forti non fi ritruouano, interiori sbanda (limar' etter quei dell'animo,& quei del cor- po,  polia- mo commodamente vfare, Se ellerctare corpi, &1. membri , 6 noftri ,n tutti quelli oftirij, c ha la natura aftegnat, >«^P^« ' molti fi ttuouano, che fonin vn cetto modo fan., no hauendo Jl Primo libro . 3 3 infirmiti, clic gli moledi, fi come fi dice, che fi trouaoaHcro-' dico : & nondimeno niun'c, che ragioneuolmentegli poteflc (limar, per quel, eh 'appartienila fanita, felici : facendo lorbi- fogno d adenerfi per conferuation di-quella, da tutte le corpo- rali opcrationi, & dilettationi, o dalla maggior parte . La bel- lezza poi, laqual'c vn'alrra virtù, & buona qualità del corpo» non è vna (leda in ciafeuna età dell'huomo, ma diuerfa in di- uerfe età . percioche la bellezza ne i gioueni s'ha da (limar, che fia polla inhaucr'il corpo habile, accommodato 6c vtile à lo- ftener lefatighc; & fpetialmenre quelle, doue fadibifogno il corlo, & l'altre edèrcirationi, die ricercan forza; con hauer'in. uolto vna cerca fiorirà dolcezza, ch'attragga glianimi altrui, 6c caufi in edì godimento, 6c dilettatone, & per quello i Pen- tathii (cioè habilia tutte cinque le maniere di eilcrcitationt corporali) fon communementc ili mari bellifimii, come quelli* ch'a tar'aluui violenti*, ik forza, & infiememente alla veloci- tà, nubili, & atri fona. Ma in coloro, che tornici Li già matura età virile, confittela bellezza in hauer la pcrlòna atta,& poten- te a poter ben fupportarlc fatighc della guerra, &:gli incom- modi della militia : con hauer nel volto vna certa apparente giocondità, congiunta con vn non so che di terribile, & di fc- uero. Nei vecchi poi finalmente fi può (limar ritrouarfi bel- lezza ogni volta, che tanto di forze fia rimado nei corpi loro , che glicoli* render badanti a comportare, &fodener le fin- gile, che uccella ri amen te fuo! portarla vita: con modrar nel volto vna certa più todo lieta che amara grauità, priua di rao- ledia, quali eh indino fia del non tremarli in e(Tì quelle corpo- rali imperfettioni , &ende, come quali comporta d'enee ; che fono la grandezza dcl- » per fona, lagaehardia, & la velocità : potendoli dir veramen- te gagliardo quello, che di celerità, Se preftezza corporea è do- 44 tato . pcrcioche colui che fi truoua ben'atto a potcrin vn certo modo quali fcagliar le gambe, Se muouerle con celerità alla lunga a quiftando fpatio, fi può domandar corridore, oucr'at- toal corlo : lì comelottator li domanda quello, che può nella lotta bene (tri nger', Se ben 'afferrare, & faldo tenere. & buon giocatore, Se contenditor di pugna quell'altro, che in percuo- tere, Se fpinger chi gli flà incontra preualc. ma chi inficine- mente nella lotta, & nella contefa delle pugna habil fi truoua, Pancratialtico fi domanda: & Pcntathlio li chiama quello, che 45 in tutte le forti di cofi fatti giuochi, & contefe eccede. La buo- na vecchiezza fi dee diveller quando ella e tarda a venire, Se fenz'incommodo, & moleftia viene, percioche s'ella tolto ne alTale, ouer fc tardi venendo moleftie, dolori, Se trauagli reca; 46 buona vecchiezza non la Itimarcm giamai . Onde all'cflcntia della buona vecchiezza fon nccclfane alcune buone qualità dei 47 corpo, che già raccontate riabbiamo, conciofia cofa che colui , che non farà libero da infirmità, & non harà quella robulìezza, che quell'età può comportare, non potrà ftar fenza continue moleftie, Se dolori, & lenz'aftli trioni della nerfona fua; ne farà capace di lunga vira . Se mancandogli dei fuoi beni la fortuna, 48 non potrà con profferirà conferuarii. Et bene in verità fi truo- ua altra ragione, & via da poter più lungamente viuerc, fenza che l'huom fia robufto, Se fano : pofeia che molti fono, che vi- uon lunghiflìma vita, quantunque priui fieno di cofi fatte vir- tù corporee, ma cofi cfquifitedifpute, & minate confideratio- ni non pofion'al prefen te recar punto al noftro propofito d'v- 49 tile, o di giouamento. L'hauer'amicitia di molti, & buon ami- ci, che cofa importi, ageuolraente non ci farà nafeofto fe noi difEnicndo Jl Primo libro . jj diffinicndo che cofa fia amico, conofeeremo che l'amico, di cui $o intendiamo al prefente, s'habbia da inrcnder'elTer colui, dona- le tutto quello, ch'ei penfa potere efTer bene a chi egli ama, tutto cercadi fareper fola cagion di quello. Colui dunque, c harà molti di quelli tali,fi potrà di r, clic ei pofTegga quella par te della felicità, che copia d'amici (ì chiama . Se fc quelli tali fa- ranno huomini virtuofi, honorati, SC da bene, colui che gli ha- rà per amici, harà parimente qucll altra parte di felicità, che 51 copia di buoni amici fi domanda. La prolpera fortuna s'inten- de cller quando a uci beni, de iquali luolc-ller padrona, &cà- gion la fortuna, Ci confeguifeono, Se duran di pollederfi, o tut- ti, o la maggior parte, o almen quelli, che fon più importanti, 51 & di maggior momento. Cagion è la fortuna alle volte d'alcu- ne di quelle cofe, delle eguali può eller'ancor cagione, Se prin- cipio l'arte, ma per il più cagione è di quelle, che dall'arte non pollon nafcerc;come fon quelle, che dalla natura ordinaria- mente vengono, ma pollbn'ancofalie volte riufeir fuor dell'or» din d'ella, come (per clìcmpio) fuol della finità eflTer cagione l'arte,& della grandezza, Se bellezza del corpo cagion fuol'cfTcr la natura ; Se d ambedue quelle cofe, cagion vediam'efleralle 55 volte la fortuna. Ma communementc quella forte di beni per il più fuol dependere, Se hauer'origin dalla fortuna, intorno a i 54 quali fuole eccitarfi inuidia. Parimente alla fortuna, come eh 'a lor cagione s'attribuifeon quelle forti di beni, liquali par, che 55 fuor di ragione, Se fenza cagione accafehino . come (aria (per elicili pio, le di più fratelli, tutti gli altri ellcndo eccelli uamente }6 brutti, vn fol tra eflì fulle dotato di bellezza : ouero, fe non cflendo flato da molti trouato vn theforo, che cercato haueiTe- 57 ro, vn fufle, che fenza cercarlo lo ritroualTe : o veramente fé vn dardo andàdo a ferire, & percuoter chi pili lontan gli fulle ; haueile nel palTar lafciato chi gli era più vicino, fenza toccarlo j8 punto . ouerfe venendo alcuni la prima volta in qualche luo- go, doue non fien foliti mai di venire, fieno a punto arriuati in hora, che ila occorfo lor di riceucrui o morte, o qualche fegna- lato danno; Se vn'altro, ilqual fulle foliro di frequetafad ogni hor quel luogo, non vi fia nondimen venuto in quel tempo, Se per confeguente habbia fchiuato quel pericolo, Se quel nocu- mento. Tutti quelli adunque, Se altri coli fatti cali, Se acciden- £ i) tali 3 6 T>ella T^torìca d'Arìfìotelc^ tali (campi, polio n parere, che buone f ortune fianb, cV da pf o- 5P (pera fortuna vengano . Reftarebber tra le già propolle parti della felicità da dichiarare, Se deferiuerii le virtù dell'animo: ma perche il far quello par, c'habbia piò proprio, & più accò-. mo dato luoco nel trattar delle lodi; differì remo, & riferhere- suo 1 allegrar le lor deferi trioni, quando più di fotto del gcncr> che le lodi riguarda, ragioneremo . (apo 6. Del fine del gener deliberatine r$ con la defirittron dell'elle, ouer del bene : fcf de i luoghi, & propofittoni appartenenti a quello. V a i fien dunque quellecofc, c'han daelTcr co- me lini dinanzi a gli occhi, di coloro, che cercan consigliando fuadcr qualche cofa, così pulente, come futura, già può per quel, che fi è detto elfcr manifefto, & parimente qualicofe habbian'eglin da guardare per diHuadere,comc ch'altre quelle non f uno che i le córrane di quelle. Hor perche al gener deliberatiuo ita prò» polio, fecondo c'hauiam detto, come proprio, &: peculiar Aio- li ne, 1 vtili u, non delibera, o prende conilglio 1 huomogiàmai del hne, ma delle coff* che fon perii fine, & chepolTon'a quel condurre ; Se quelle fon tutte quelle cole, che nelle attioni del- * l'huorao pollòno v r ìli :à recare ; ne fegue da quello, ch'effendo l'vrilc parimente bene, non (ara fc non ragioncuolmente fatto; ch'aflegniamo clementi, Se propoiìtioni. appropriate al bene, 4 &aU'viil communemente prelo. Poniamo adunque, deferiuc- do per hora il bene, ch'egli fia quella cola, laquale per cagion j difeitclfa lìa dicibile : ouer ch'egli lìa qucllo,pcr cagion del o quale altre cofe eleggiamo, potiamdiie ancora, ch'ei lìa quel- lo, che da tutte le cole èdefiderato, o da tutte almen quelle, c'han lenti mento, oucr'intellerto,o chclodefidcrarebbcr fe in- telletto haijelTcro & ulna ciò tutte quelle cofe, cha chi Ilvo- glia, il proprio intelletto, & difcorfo nlfegnallè per buone, Se quelle parimente, ch'intorno acìjfchcduna cofa follerdalui per tali in chi fi voglia inoltrate, fi poflbn rifpetto a quel tale 7 ihmaf in luogo di beni. Potiamo con altre delcritrioni mede- fi inamente due efler quello il bene., il qual con la fua prefentia fa diuenir Jl Primo librò . 37 fa diuenir la cofa, do u e ci fi truona, fi fattamente ben corrditio- S nata, che d'altro per il Tuo bene clTcr non ha bilbgno. oucr fi- nalmente diremo eflcr quello il bene, che per fe Hello e baftan- 55 re alla perfettion della cofa, che lopoilìede. Ellendo dunque tale il bene, qual noi l'habbiam deferitto, debbiam dire, che tutte quelle cofe, che faranno produttrici, o confcruatrici di quelle, e habbiam polle nell'alfe^natedcfcritcioni del bene fa- io ran parimente beni, & quelle medefimamente, che confegui- 1 1 ranno ad elTe. ne manco ancor quelle, che delle contrarie fono 1 1 impeditiue,odiltruggitrici. Et in due modi fi può mmar>ch'v- na cofa legna ad vn'altra,o feguitandola inficine con cira,o lue* cedendole doppo. come (per esempio) diremo, che all'impa- rar legni ti il laper la cofa imparata) non infieme ; ma doppo : de ali elìcr fano confegua, non doppo, ma congiuntamente, & 1 3 infiememente il viuere. parimente in tre modi fi può dir, ch'v- na cofa fia prodottiua, & effettricc d'vrf altra : in vn modo nel- la maniera, che noi diciamo, cheTefler ben difpofto del corpo, & di buona valetudine, fia effettiuo della fanitài in vn'altro mo- do fecondo che diciamo li tali, Se tai cibi cfler produttiui della medefima fanità. de in vn'altro modo finalmente nella manie- ra, che diciamo efler i'cllcrcitio caufa ancorcgli efrettiua d ella fanità: pofciachcpcr il piùreflcrcitation corporale luol réiler'il 1 4 corpo fano. SuppoAc adùque per vere le deferittioni, & dilìm- tioni allignate, verran n eccita riamen te a potere {limarli beni* così gli acquilti, & riceuimenti del bene, come le liberano* ni, & li difeacciamenti del male : pofeiache a quelli feguita convintamente concili ilnonhauer male, chi luogo di bene, 1 1 & a quelli feguita dopo, 1 hauer'il bene. Medefimamente il n- ceucr'vn maggior bene in vece d vn minore, doucremo giudi- car, che fia bene, fi com'ancor dee chiamarli tale il riceuer'vn minor male in luogo d vn maggiore, cóciofiacofa che tutta quella parte, nella quale il maggior'auanza il minore, li polla in quello domandar acqui (lo, oucr riceuiméto,& in quello per 1 6 il contrario liberatione,ouer difcacciaméto.Le virtù ancora ne- ceiiariarnente s'han da connumerar trai beni, pofeiache me- diami quelle, color, che le pofleggono, ben qualificati diuen- gono, & ben alia perfettion difpolti. olirà eh elle fon di molti beni produttrici, & operatrici, di ciafcuaa delle quali partico- larmente t j 8 T>eUa Teorica d % 'JriFtoteIc^ larmente che cofa lafia, & che qualità, & natura Ha la Tua, ài 17 proprio fuo luogo dichiareremo. La voluttà parimente, o pia- cer fenfual, che lo vogliam chiamare, farà ancor ella bene, co- me quella,che da tutti gli animali è per natura cercata, &ded- 18 dcrara. Laonde le cofcdiletteuoli, & le cofehonefte verranno adedèrnecedariamentebeni. pcrcioche quelle fon produttrici della voluttà, &c di quefte, alcune fon diletreuoli, & altre dir 19 cibili per fc raedefimc. Et per venir* in quella afleenation dei beni più al dipinto, de più al particolare, e di necedìtà, che be- lo ni (limar fi debbiano quelle cole, che qui tratteremo . Et pri- mamente la della felicità, come quella, che per cagion di fc della è eligibile,& oltra ciò a fé mcdelìma è badante ; S: di più, 11 molte cole eleggiamo per cagion d'ella. Doppo quella,bcni an- cor fono la giuftitia, la fortezza,la remperantia, la magnanimi- tà, la magni hcentia, & gli altri cofi fatti habiti, elTendo eMì vir- ai tu dell'animo. Medelimamente beni fono la fanità, la bellezza, òc altre così fatte qualità, pofeiache virtù del corpo fono & ef- 1 3 feltrici & produttrici di molti beni : c(Tendo (per ch'empio) la fanità produttrice della voluttà, & dello (ledo viuere. Perla- q ual cofa ottima fuol parer'ella tra gli altri beni : come quella, che di due cofe e cagione, le quali da molti fon'in grandi Aimo 14 pregio tenute, che ionia voluttà, & la vita. BeniTbn parime- le le ricchezze, cioè l'vfo loro, clfendo veramente elle nó al- tro, che virtù di faperle vfare, & di fapcr edèrne polfedbre, & oltra ciò effetti uc,6v cagioni di molti beni, & di molti còrno- x$ di. L'amico ancora, & 1 amicitia fon beni : edendo in vero l'a- mico eligibil per fe mcdefimo, & operatiuo, ouefcffettiuo di 16 molti beni. L'honor medefimamente, & la gloria fi deono co- numerar tra i beni, fi perche fon cole gioconde, 6c dilctteuoli, & che panorifcon'altrui di molti beni, & fi ancora perche per il più par,chc confegua congiuntamele ad eflì il poifeder quel- le cofe, per le quali è fatto altrui qucH'honore, & data quella 17 gloria. Leder nel parlar efficace, & potente di lingua, Se l'cf- ier'habile, c\ potete in trattar negotij,fon due cofe,che dcon* ef fer collocate tra i beni : pofeiache di così fatta habilità molti 18 beni, 6e molte comodità deriuano." Oltra di quefto l'indudria, Se la bontà dell'ingegno, la tenacità della memoria, la facilità d'imparare la perspicacia, Se velocità dell intelletto, Se tutte l'altre Jl Primo libro . J 9 l'altre così fatte difpofitioni, fon daeilere (limate neceflTiria- niente beni : ell'end'crte potenti mezzi a cagionare, & produr- 19 relacquifto di molti beni. Perla medefìma, o limil ragion'an- 30 cora tintele feientie fon beni, & tutte le arti parimente. Et il viuere ftelfo mcdeiimamentc è bene: pofeiache dato bench'ai tro ben da elio non ne feguille, per (efteflb nondimcn è co fa. 3 1 cligibile, & defidcrabile. Il giudo ancora, & l'equità faran bc- 31 ni, perche comune, & publica vtilità n'apportano. Etquelti, chabbiam fin qui allignati, fon, fi può dir, quei beni, che da tutti concordeuolmente fon hauti, confeflì, & (limati per tali. $3 Quelli altri poi, dei quali non s'hauendo la medelìma cómu* ncopinion,chc fien beni, che foglion cader in cótrouerfia d'ef- fcr', o non eilcr beni, fi pocrano come da proprij luoghi, in compa- ration Tvn dell* altro . A perche fpeffe volre adiuicne, che di due cofe, che ci fien propofteinnanzi,giudichercmo,& có- fcllcremo, cialchcduna ellèr vtilc, & bene, ma qual di quelle fia la migliore, & di maggior gioita- inen copercheremo, & dubiteremo j larà ben rat- to di J7 Primo librò . 4. y to di fcguitar di dir al preferire qualche cofa a rarconòfeere il % maggior bene, e 1maggioratile. Prendafi adunque prieramete per cofa nota, che la cola eccedente, ouer auanzante s'intenda clfcr quella, che fia tanta,quata la cofa da ella ecced uta,& qual- che cofa di più ;& l'ecceduta per il contrario quella, che ilia 3 comprefa, Se inchiuianell eccedente. Oltra di quello la cofa maggiore, in rifpetto d vna minore e forza che fia maggiore, Se 4 il più parimente, in rifpetto del meno è detto più. ma nel dir grande, 6c piccolo, fi com'ancor nel dir molto, Se poco, il ri- fpetto fi confiderà di molte cofe; nelle quali quella, ch'eccede l'altra fi dice eiTer grande, Se quella, ch e auanzata, Se eccedu- ta fi dice eiTer piccola, Se il fimile adiuicn nel molto, Se nel po- $ co. Hauendo noi adunque già detto ciTerben quello, che non per cagion d altro, che di fe ìleiìb è eligibile : & quello parime- le, ilqual tutti appetifeono : & quello, che tutte lecotè, c'ha- ueller'intellctto, Se prudentia eleggerebbero : & quello mede- fimamente, che de i già detti beni iìa effètti uo,& conferimmo, olier a cui li già detti confeguono, Se vengon dietro : Se elìen- do che quello, per cagion delquale fi elegge qualch'altra cola , vicn'ad eller, come fin di quella, per eller quello il fine, per ca- gion del quale fi eleggono altre cofe : Se oltra ciò cflendo bene ad alcuno in particolare, non fol quello, ch'alibi utamente con- tiene le già dette conditioni, maancor quello, che, fenon allo- 6 lutamente, almen rifpetto aquel tale, lecótiene; nefeguene- cclTariamente da tutto quello, che prefi inficine più di così ratti deferitti beni* importeran maggior bene, che fc vn folo d'elfi, oin minor numero fodero, purché queit vno, & quelli di ma- co numero, fian dentro a quei tai comprefi. perciò che in que- lla guifa, verranno quiui più ad ecceder , come che dentro di lor coraprendan quelivno, oquei manco, i quali confcgucnrc 7 vengono a re ftar' ecceduti . Diremo ancora, che fe quella cofa , ch e grandilfima nel gencr fuo, farà maggiore di quella, che fia grandi/lima in vn'altro genere, faranno ancor maggiori vniuer- ialmcnte le cofe di quel genere, che di quello. & ali incontra ancora, fe vniucrfalmctcle coied vn genere fon perii più mag- giori di quelle dvn altro genere, farà ancor la grandiflìma in quel genere, maggior di quella,chegrandi(Iìma farà in quell'ai 8 tro.com' a dir(pcr clTcmpio)che le il gràdillìmo di tutti gli huo- F ij mini mini è maggior della grandiflìma di tutte le donne ; s'ha da (li- mar ch'vniuerfalmente gli rinomini fien per il più maggiori delle donne. & all'incontra Te gli riuomini generalmente lon per il più maggiori delle Donne; vien parimente ad elfcrc il grandiflìmo huomo, maggior della grandiflìma donna, con- ci odacofh che con quella medefima proportione vengano a ri- guardarti tra di loro gli eccedi tra gli ltefli generi, con laqual fi } riguardano i grandiuìmi l'oggetti, che fono in quelli . Medcfi- mamente quàdo ad vno di due beni feguitarà l'altro, & a quel- l'altro non feguitarà quelPvno,diremo che maggior lia quel pri 10 mo,ch'è feguitato,Cv fi tira dietro l'altro. Se ilfcguitard'vna co- là ad vn'al tra, fi può intendere, o perche la feguiti infamemen- te, cioè nel medefimo tempo con clfa, o perche le venga dietro dapoi, oucr finalmente perche in virtù, & in potentia fi truo- ui in quclla,per caufa, che l'vfo d'efla ftia pofto in vinù ncll'vfo 11 di quella, a cui ella fegue. cV per aifegnar in tutti quefti tre mo- di di confeguimento efiempi, diremo che infiememente, & in vno fteifo tempo feguiti ali cller fano il viuere; ma non già dire- mo, ch'alia vita, la finità confegm. Il fapere, & la feicntia dire- mo, che feguiti ali im para re, non già infiememente con elio, ma col tempo poi. In virtù, 6c in porentia finalmentedircnio, ch'ai (àcrilegio, ch'c furio di cofe fagrc, feguiti il furto femplieemen- te prem. peroche colui, che non s'afticne da commetter faci ile- gio,ftà quanto a lui paratOjpotente, pronto, &difpofto a furar 1 1 ancor le cofe,chenó fien (agre, fc Toccafion fegli porga. Appref- fo di quclto tra quelle cofe, ch'vna medefima cofa eccedono, quella farà maggiore, che 1 eccede con maggioi'auanzo, ellcn- do uccellano ch'ella in tal calo 1 auanzi per quato trà gli eccedi 1 3 foprauanza il maggior eccello, quelle cole ancor iaran maggior bcnijlcquali fono cfifètciue,& prodottnei di maggior bene : pe- roche in qucfto con lìfte la natura dcH'clIcrvna cofa effettiuadi 1 4 maggior bene, cioè in cfTcr maggior bene. Et limilmcntc all'in- contra a n cora , q u el la cofa farà maggior bene, che farà prodotta da vn ben maggiore. Onde eflendo (pcrellempio) le cofe falu- bri, & che fon atte a render li corpo lano più cligibili, & mag- gior bene, che non fon le gioconde, che non caufan fenon di- letto, verrà parimente la lanitàad cAcr maggior ben della vo- I ; luttà. Parimente la cofa,ch'c eligibile per fe ltefla maggior bene fi dee Jl Primo libro . j-j fi dee {limar di quella, che non per cagion di fe ftefTa,ma d'altra cofa s'elegge, come (per ellcmpio) diremo, che la forza, & la ga gliardia corporale iìa maggior bene di quelle cofe, che li fanno per acquetare la fanità : pofeiache quelle non sappctifcon,nè fi cercan per cagion di fc ftefie, ma per cagion della fanità : douc che quelle, quando ben non peraltro, lon nondimeno defide- rabili per loro lleiFe m1 che propriamente alla natura del bene 1 6 apparticne.Oltra di quelle le di due cofe farà 1 vna come fin del- 1 altra, & l'altra non farà fin di quella ; maggior ben farà quella prima,chc farà fine, pofeiache l'altra verrà ad eHer'cligibilc, nó per cagion di fe ftella, maper cagion di quella, douc che quella per cagion di fe medefima farà tale, come (per elfcmpio) vedia- mo che l'ellercitio della pei fona fifa per cagion del ben eficrc , 17 Se della fanità di quella. Medcfimamente quel di due beni larà maggiore, ilqual non harà bilogno di quellalrro, ma ben quel- l'altro di lui , ouer di manco cole harà di bifogno, che non harà quello. Et quello adiuiene perche il non haucr bifogno nafee dall haucr foffitientia, & ballanza dafe medelìmo, in che con- fitte la ragione, cVdiffinition del bene. &per manco haucr bi- fogno inrendiamo 1 haucr mellieri o di manco cofe, o di più fa- 18 cili. Apprelfo di quello quando di due cofe vna ve ne, che non f>uò fenza l'altra (lare, o produrli in cllere, ma ben lo può qucl- a fenza quella; fcnzalcun dubbio quella di quella farà maggior bene.cóciofiacofa che per quello, vega ad haucr mcn bifogno,& per confeguente maggior ballanza, & fofficientia a fc medelì- 19 ma ; onde ragioncuolmcnte maggior bene appare. Quando an- cor di due cofe l'vna farà principio, Se l'altra nó principio,quel- la, che larà principio farà maggior bene . & medcfimamente fe l'vna farà caufa, & l'altra non larà caufa, verrà ad eller maggior benquella, che farà caufa, perla medefima ragione. &: quella è chefenza la fua caufa, & fcnza'l fuo principio, impoflìbilc e, 10 ch'alcuna cofa fia,o fi faccia, & fi produca mai. Oltra di quello fefaran due principij, quella cola, che daquel principio farà f prodotta, ilqual farà maggiorc,farà parimente maggiofanch'cl- a. &c finnlmcnte quella cofa, che nafee da quella delle due caufe, che fia maggiore, farà ancora ella maggiore di quella> 11 che nafeerà dall altra caufa. Et all'inaura ancora, quello di due principij farà maggiore, ilqual di maggior cofa farà principio. & quella ^ ^ ^ella ^Retorica d' drìttotclt^ Se quella dì due caufe maggior farà, che di maggior cofa (ara cà- 1 1 gione. Per quel che fi c detto può eflèr manifelto, che vna me- deiìma cofa potrà alle volte in rilpetto d vn'altra parer maggio- re ndl'vno, & nell'altro modo, cioè cosi per vna delle condi- tori già dette, come per la Tua contraria, perochc s'ella farà principio, Se quell'altra nò, potrà ella parer maggiore: & pari- mente fe la medefima non farà principio, ma più tofto fine, & quell'altra farà principio, potrà nondimen'etfa parer maggiore, ellendo maggior bene il fine, ilqual nondimen non è principio. xj Si come può apparir per quello, ch'vsò di dire Leodamantc : ilqual nclTaccul.i, che fece contra di Calliftraro, dille, che mag- gior colpa haucua in quel delitto, delqualc era l'accula, colui, che configliato 1 haucua, che quello lteflo, elici haucua com- incilo : pofeiache commellb non l'harebbe egli , fc non folle ! fiato chi rhauerfeaciò configliato : douendofi ltiroar il conli- 14 elio, principio, & caufa del delitto. Et in vn'altra accufa, ch'ei fece poi contra di Gabrìa, affermò maggior colpa haucr chi ha>- ueua commctfb il delitto, che chi coniigliato l'haueua : perche mai non fi confultarebbe vn delitto, fc non fulTc chi lo com- rnetteflcjnon per altro come fine configliandolo chi lo confi- glia, fc non accioche finalmente commciio, Se efeguiro fia : di maniera che il commetterlo viene ad ellcr'il fine, per cagion del X j quale vien configliato. Medefimamente di due cofe diremo,che quella, ch'c più rara, & più di rado fi truoua, fia maggior ben di quella,di cui più s'abbonda, (ì come (per ellèmpio fi dirà) che Toro fia di maggior pregio, che il ferro, anchor che di mi- nor vtilità fia di quello: pciciochela maggior difficultà nel tro- uarfi, fa parimente, che di maggiore ltuna fia il pollederlo. 16 Et per altra ragion fi può incontra dire, che di due cofe quella , di cui in maggior copia coromunemente s'abbonda, fia da an- teporre a quella, che rara fi truoua : pofeia che nalcendodal .maggior vfo di quella, maggior'ancor'vtilità, come che lo fpeilo vfarb auanzi il di rado vfaru; vien per quella ragione a poterfi ftimar di maggior pregio, onde prefe occafionc il prouerbio, 17 fecondo ilqual logham dire, ottima cofa efferc l'acqua. Et in fomma da vna parte debbiam'dirc, chele cofe più difficili deb- biano elTère antepofte alle più fatili» come quelle, che fon più 18 rare, dando lor pregio la lor rarità : & doli altra parte le più fa- cili Jl Primo libro . ^7 . cili han danteporfi a le più difficili, come per quella facilità più 9 accalchi la cofa. fecondo che noi vogliamo . Olerà di quello 0 quella cofa maggior farà, il cui contrario farà maggiore; Se maggior parimente quella, di cui farà maggior la priuatione . 1 Se U virtù maggior farà della difpofitione,che non è fatta ancor virtù. Se il vitio parimente farà maggior della difpofitione» che ancor non è fatta vitio : pofeiache quelle cofe, cioè la vir- tù, cil vitio fon fini; Se quelle, cioè le difpofuioni non fatte 1 ancor nè virtù, ne vitij, non fon fini. Quelle cofe ancora, le opere & gli erletti delle quali faranno o migliori, o peggiori; eirc parimente, che gli producono, faranno o nel bene, o nel j mal maggiori . Et medefi inamente di quelle cofe, di cui le vir- tù e i viri; fon maggiori , maggior fono ancora gli effetti, Se 1 opere, con ciofia colà che fecondo che fi ritruouano cfler le caule, e i principi) ; fi truouano cllcr parimente gli effetti, Se gli auueniraenri, che da elfi nafeono . & dall'altra parre ancora, (e* condo che fon gli effetti, Se gli auucnimenti ; fon parimente le 4 caufe, e i principi; loro. Oltra di quelto quelle cole fon miglio- ri, Se più eligibili,nellc quali l eccedere fia più eligibilc,& mag. gior bene, come (per ellèmpio) diremo, che ellendo cofa più eli gibile l eccedefin vcdcr'acutamcncc, ch'in acutamente odora- re; vien per quello a poterli anteporre il fentimcnto della villa a quel dell'odorato . Se elTcndo più honclta colà 1 eccedere in eiler amator d amici, eh in eifere amato r di danari ; farà ancor femplieemente più honello l'amor, che fi porti a gli amici, che f quel, che fi porti a i danari . Et parimente riuolgendo quello luogo in oppolla parte diremo, che delle cofe migliori fian pari- mente migliori gli eccelli, che fiano in elfe; &piu nonetti delle £ piuhonelle. Migliori ancora, Se più lodatoli fon quelle cofe, delle quali fon migliori, Se più lodeuoli i defiderij : pofeiache 7 delle cofe maggiori, i deliderij fon'ancor maggiori. Onde all'in- contra faranno migliori, Se più lodeuoli i deliderij, fe migliori , 8 Se di maggior lode faran le cofe,chc s'appetifeono. Oltra di que fto quelle cofe fon più pregiate, Se di maggiore fludio, Se dili- genza dcgne,lc feientie delle quali faranno ancor/ette tali: però cheproportionatamcnterifpondon lefcientie alla verirà,& na- 9 turadc lor foggetti : hauedo ciafeheduna d eife riguardo a tlar fopra di quei ioggetti,chc fon fuoi proprij . Ond all'incòtta per la me- sf. 8 'Della Tigtprica d'^riflotelc^ la medcfima cagione di queAa proponionc, migliori, Sedi pia Audio, & pregio fon quelle fcientie, lequali di cole fono, che 40 migliori, & più pregiate fiano. Quello oltra ciò, che maggior bene giudicherieno, o habbian altra volta giudicato le perlune prudenti, o tutte, o molte di quelle, o la maggior parte d'elfo, O almen le più faggie, & di maggior prudentia, quello li dee nc- cefiariamente per maggior ben tenere, o Templi cernente, & af- folutamente j o almeno fecondo quelle qualità, che riguardan la prudentia, & peritia di quelle tai pedone ; selle non atfblu- 41 tamente in ogni cola fon tenute tali. Et quello c habbiam detto del riferirli al giuditiode i periti, è commune non folo al gui- dino, che fi faccia de i maggior beni, di che parliamo al prelen- te y ma di tutte l'altre cofe ancora ; come a dir delle foftantic del le cofe, delle quantità, & delle qualità : douendou" in tutre que- Ae cofe per la determination loro riferirfi a quello, che le pro- prie fcientie loro, & i periti di tali fcientie determinano co 'llor 41 giuditio . ma noi fpctialmcnte alla conlìdcrationc, & determi- nation de i beni, habbiam così fatta regola, & luogo applicato • ; t conciona cola che hauendo noi dirHnito il ben'efler quello, che ciafeheduna co(a,s'haucilc intelletto eleggerebbe; vien per que* Ao ad elTcr manifcfto, che maggior farà quel bene, che maggior 43 da chi habbia prudentia fia giudicato. Quellr ancora faran mag- gior beni, i quali in miglior (oggetti, & in più nobili porti-ilo ri Il rirroueranno, o fempli cernente, o almen fecondo quella par- te, in che fon migliori, come (per elfcmpio) diremo, che la vn- 44 tù della fortezza Ila maggior ben della gagliardia . Parimente maggior ben fi dee 111 mar quello, che da miglior perfona, o lem- pliccmente, & ordinariamente, o almen in quanto ch'ella è mi gliorc, farebbe eletto. A come (perch'empio) diremo ellcr me- glio il ricruere ingiuriarne il farla, pofciachc più tolto quello, 45 -chequcfto eleggerebbe chi maggiormente fuAcgiuAo. Appref- jb di quello fi potrà maggior bene Ai mar quella cofa, che lia più xìilettcuole, & più gioconda, ouer più voluttuofa, di quella,che fia manco tale, pcroche tutte le cole feguon voluntieri la volut- tà ! & è ella oltra ciò feguita,& defidcrata perengion di Ce nic- defima : cV già nel di frinir la natura del fine, 6c del bene, l'vna, ficl altradi qucAeconditioni glie data ài fopra aflegnata . Più gioconde poi, & più diletteuoli s'intendon'ellcrlecofe, inelTer maggior- Jl Primo libro . 4 p maggiormente priuc di dolore, & diraoleftia; Se ineflcr più lungo tempo durabile il diletto, Se la giocondirà,checontengo- 46 no. Le cole medefimamente, c'hanno in fe bellezza maggiore» fi pollono (limar maggior beni, che quelle, che 1 han minore : conciofiacofa che la bellezza infefiacofa dilctteuole, Se oltra 47 ciò, per Ce della eli gì bile. Oltra di queft.j quelle cofe fideono (limar maggior beni, delle quali maggiormente vorrebber gli huomini elfer cagione, o in (e (ledi, o negli amici loro. Se per il contrario maggior mali faran quelle, di cui eglin manco vor- 48 rebbero in fé, o negli amici clfcr cagione . Medefimamente fra più beni, li più durabili fi deono (limar maggiori di quelli, che 4P manco tempo fon per durare in ellere. Se li più fermi, Se li più (labili ancora maggior beni fono de i màco (labili : perochc ìv- fo, e l godimento di quelli, viene ad ecceder fecondo la quan- tità del tempo; Se l'vfodi quelli eccede nello dar maggior- mente nella volontà,&: ncll arbitrio noflro : pofeiache quanto lacofacpiù ferma, Se più (Libile, tanto l'vfo Aio è maggiore; 50 & p.ù fecuramenre parato ali arbitrio del voler noftro. Apprcf fo di quello perche quelle Cofe, eh o congiugate, ò di (imil cafo fi domandano, hanno quella proprietà, che quello, che fegui- ta ali vna, feguita ancor all altra ; li come tal conditione ha luo- go in elle nell altre qualità, cosi 1 ha parimente ncll'crter mag- 5 1 gior bene. Onde le (per eflempio) quefto aduerbio,foncmente, porta feco maggior bene, che 1 aduerbio, tcpcraramente.tal che l operar fortemente (la più cligibil, che l operar teperatamenre ; la tortezza ancor farà più cligibile, che la temperanza, Se 1 ellcr forte p:ù cligibil, che 1 ellcr temperato. Le cofe, che tutti eleg- gono lon maggior beni di quelle, che non tutti ; Se le cofe pari- mente, che da i più fono elette, fon maggior beni di quelle, che da i meno, perciochc eflendo il ben quello, che tutti delibera- no, nefegue, che maggior farà quello, che farà da i più delìde- 53 rato. Può medefimamente elfer tenuto maggior bene in noi quello, che tale è giudicato da gli auuerfarij, co i quali conren- diam nella caufa, o dagli (ledi nemici noftri, o da quei, che con giudici nella caufa. percioche quanto ai due primi,(ìpuò (li- mar, come fc quel giudirio forte di tutti . Et quanto a i giudici poi, fi fuppongono intelligenti in quella caufa Se periti ; Se hà- 14 no autorità nella caufa. Oltra di quefto alle volte maggior bene G accade, j o *Della € 2{etprica d* Arì8otelt~> accade, che fia da noi (limato quello, che in tutti gli altri, come d'eflb partecipi fi ri truoua : recandoci noi in vn certo modo a vergogna il non hauere ancor noi parte in quello, come hanno gli altri, c i non poter confeguir quello, che gli altri hanconfe- j $ guito. Se alle volte per il contrario maggior ci parrà quel bene, che in niflunaltro, o almcn'in pochi fi ri truoui : parendoci per quello di poflTeder cofa più rara, Se che per tal rarità preda pre- f6 gio. Le cofe ancora, lequali appaion communementc degne di maggior lode, fi deono ftimar maggior beni, come quelle, che per tal caufapoflbno efler giudicate più honoratc,più nobili,& 57 più honefte. Nè maco deon'efler tenute per maggior beni quel- le, lequali, come a cofe di maggior prezzo maggiori honori fi foglionfàre : eflendo l'honorquafi vn prezzo, che mifura l'ec- 58 ccllentia, & la degnità delle cofe. Maggiori ancora s'han da fti- mar quei beni,dclla perdita de i quali più importante, Se mag- J5> giornerefultaildanno . Oltra di quefto quelle cofe s'han da ftimar maggiori,le quali con maggiofauanzo eccedono quelle, che communementc da tutti fon tenute per grandi, o almeno 60 quanto ad eflc poflbno apparir tali. Sogliono ancor lecofc diui- ic in più parti, parer maggiori, che ftando in Ce ftefle vnite : po- feiache con quella moltitudin di più parti, vicn'a farfi apparecia 61 di maggior' ccccflò. Se per quefta ragion dice il buon Poeta ef- fcrc ftato eccitato, Se perfuafo Mcleagro a difender la patria fua con tai parole, ò quanti mali, Se quante miferie, portano a gli huomini l'cfpugnationi, & prefure delle città; i Cittadini, & glihabitatori ibnooccifi,& mandati a fil di ft>ada,la Città tutta dal fuoco è ridotta in cenere, fono i proprii figli, Se le donne i- ftefle in habito fu ccinre menate via, & ftrafeinate prigioni in Ci feruitù dei nemici loro \ Se quel che fegue. Se per il contrario ancora può l'adunar.comporre, Se accumular infiememente in vno, far parer la cofa maggiore, chefepartita fimoftralfe nelle parti fue, come fi vedeoiferuatoda Epicharmo. Se quefto acca- de fi per la medefima ragioncjchcpur'hora habbiamo allignata per la diuifione,faccndo apparir eccello ancor la compofitione> Se fi anchor perche tal compofitione fa nel comporto apparétia 65 di principio, Se di caufadi cofe grandi. Appretto di quefto per- che maggiori habbiara detto eller quelle cofe, che fon più diffi- cili, Se ancor quelle, che fon più rare, di qui è, che loccafioni, l'età, Jl Primo libro . jt reti» i luoghi, i tempi, & le forze, Se condiiionf aTrru?, vengono a recar grandezza, Se crefeimenro alle cofe. pcrciochc fc le at- tioni fi moftrano cller fatte da noi fopra le forze noftre, fopra l*ctà , fopra gli altri nolìri pari,ouer nel tal modo, o nel tal luogo, o nel tal tempo, vengon per quello a riceuefapparente quantità,& crefcimento,non folo nelle cofchonefte, ncll vtili , 64 Se nelle giù (le, ma parimente ne i lor contrarij : onde da quello prefe forza, Se foggetto quello, che fi contiene in quello Epi- gramma, che fu fatto per vno, ch'era rimafto vittoriofo ne i gi- uochi Olimpici, quando ei dice; Sopra di quelle proprie fpalle hauendo io la cella graue, foleua da Argo portar già il pefee in 6$ Tegea. Se perla forza del medefimo luogo ancora vsò ificrate di dir quelle parole, Ih mandole a lode fua ; O da quai principi;, CC a quai iucceffi fon'io venuto. Mcdefimamentequci beni,chc fo no,innati,natij,&per natura tali,maggiori fon di quelli, chad- uentitij,& aggiunti di fuora vengono : folendofi quelli più dif- ficilmente acquiftare, Se trouar' in altrui, che quelli, onde non fenza ragione quel Poeta dice, Io quel, ch'io sò ho imparato per 67 me medefimo. L'edere ancor p ri nei pai idi ni a. Se grandi di ma parte d'vna cofa, chenelTeder (uo fia grande, aggi tigne gran- dezza : fi come (per edèmpio) ben conobbe Pericle, quando in quella oration funebre intitolata l Epicaffio, dille non altrimen- ti edere (lata tolta via della Città quella gioii entò, ch'era morti nel fatto d'arme, che fe di tutto Tanno fuilè tolta, Se rapita la 6Z primauera. Quelle cofe ancora, lequali in maggior bifoeno, Se in più vrgente necedità fono vtili; come faria (per eilempio) net tépo della vecchiezza,& neH'infirmità,fi deono (rimar mag- 6 9 giori, Se più eligibil beni . Medcfi mamente di due beni, quello 7 o li potrà (limar maggiore, che più farà, vicino ai fine. Se a ciafche duno anchor s'ha da (limar, che fia maggior ben quello, che fia maggiore fpetialmente a lui, che quello,chc fia tale femplieeme 71 te,c m natura fua.Quel parimele di due beni, che ci fia polli bil'a cófeguire, maggiore habbiam da Mimar/che fia di quello, che ci fia impodi bile ; percioche quello viene ad eller bene a noi,doue che que(lo,dato bc che fia in fua natura bene, nódimeno a noì,a 71 cuinòèpodìbilc,nófipuòdirchefiabene. Oltra di quello le cofe,chcs'inchiudono,& concorrono nel fin della vita noftra , fon maggior beni, come quelle, che più fon vicine, Se cógiunte G ij alfine, j 2 usua x^crorica a jirisioreic^ 7j al fine, che non fon quelle, che fon mezi al fine. Quelle cofe ancora fogliamo (limar maggior beni, nel! elcttion delle quali fogliam riguardar più torto la flcHa verità, & l elfcrc ifìeflo del- la cofa, che il parerà gli altri . & in quello iìà pofìo, & s ha da intender l'eucr le cofe ad opinione, ÓV parer de gli altri, che le non fi eleggerebbero, fe fi penfalle, che le itetiero ignote, & na- 74 feofte altrui. Onde per quella ragione può ad alcun parer'ellèr più cligibil cofa il nccuer bencnuo, cheil farlo : perochc il ri— ceuerlo e cofa, che quantunque la fullèpcr elfere appretto de gli altti non nota, ne manifefta ; in ogni modo per fe medeflma £ eleggerebbe, don e che il far benefitio non clegercbbe ognun, che lo fi, fe ciò do u elle refìar afeofo al mondo, & non mai fa- 7J puto. Medefimc mente quelle cofe poiìon parer maggior beni, lequali Ci defìdera più folio, che veramente fiano, che appaian d'efrerc : pofeiache in tal guifa vengono a riguardar più tofìo il vero, che il parere, ÒV l'opinion de gli altri . èv da quelìo cercan di prouar alcuni, che la giuftitia in rifpetto della fanità, .fi deb- ba fìimar picciol bene; perche nella gin flit la par, che ila più .eligibile il parer gi urto, che l'cller giurto;douc che nella fa- 76 nità tutro il contrario adiuiene . Quei beni ncoia fi debbono ili mar maggiori, i quali polTbno a molti beni eilcrc vtili, com'a -dir (per eflempio) a vincre,a commodamente menarla vira, al- la voluttà, & ad operar cofe honefle. Onde none marauiglia, che le ricchezze, & la buona valetudine appaiano communeme te grandiUìmi, & importanti mi beni, pofeiache tutte le dette 77 cofe, par che polTeggono, ÓV portin feco. Oltra di qucfto quel bc diremo, che fia maggior, il qual lìa priuo di molefìia,& hab bia olerà ciò feco voluttà congiunta, pofeiache più bene viene egli in tal guifa ad hauere, hauendo feco la voluttà, la qual è be- ne,fì com ancora ha luogo di bene la macanza, che vi lì truoua» 78 del dolore, cV della molcflia. Et quella ancor di due cofe farà maggiore, laqnalaggiunta advn'altra terza cofa, produrrà vn tutto maggior, che non fi produrrebbe 5 alla medefima s'ag- 79 gì ugnelle quell'altra. Quei beni oltra ciò,li quali, quando fon prefirn ti, manco pollono fìarafeofi altrui, maggiori vengono ad clìere, che per il contrario quelli alm,liquali prefenti fi frano a- fcofi : pofeiache quelli più vengono ad hauer parte nella verità, che non fan quelli, onde per tal ragione 1 cilcr veramente ric- co lì Jl Primo libro . j j50 co fi potrà Rimar maggior bene, ch'il parer d'edere. Mcdcfima- mence vna coCa, che fia da edere hauuta fommamente cara, maggior ben farà in coloniche 1 haran (ola., che in quelli, che 1 hauefleraccompagnata da altra cofa fimile, o vguale ad eflà. Etdaquedo nafee, chenond vgualgadigo faria punito colui, che caliate vn'occhio ad vn lufco, che non n hauefle fé non v- no, & chilo cauairc ad vno, ch'hauendogli ambidue, redatte 51 con l'altro libero. Da quai propofitioni adùque,& da quai mez- zi fi pollàn così nel fuadere,comc nel dilluadercjtrar quali tutte le pruoue a far fede,habbum fin qui detto, & mofhato, quan- to occorrcua. (apo 8. De gli Stati, G ouerni delle Città 5 di quante Jorti fieno ; & de ifim loro . R a tutte le cofe, ch'à bene in condrite pervade- re, & ottimamente configliare, come importanti fi ricercano; grandifli ma, Se potentiffima fi dee (rimar, che fia la notitia, che fi pofl'egga di tutte le forti di republichc, & ciuili amminidtarioni ,* & il conofeer ben di (tintamente le confuetudini, i collumi, eli in- 1 dittiti, i fini , & le vtilità di ciafeheduna . conciofia co(a che tutti vniuerfalmente fi muouauo, & perfuafi reftino dallo dello vtile ; & quel (blamente s'ha da (limar'efler'vcilc, che può con- 3 fcruar lo (lato, & gouerno della cittì. Olita di quello le detcr- minarioni, e i decreti s'han da intendere elfcr quelli, che na- feon dall'arbitrio, & dalla pronuntia di chi tenga la Comma po- tetti nel gouerno ; che tanto è a dir, quanto, da chi fia principe 4 in elio. Lcquali Comme poteftà, & principati Con tra di lor di- dimi fecondo le Cperie delle republichc : poCcia che quede Con tali Cpetic, altrerante Corti vengon necefiariamente ad efler le 5 Comme potedà . onde eflendo cinque le Tpetic delle republichc,  prio fine, fe non la cuftodia, & faluezza fua . Può apparir dun- que • f/ Primo libro . f j ^ue manifefto cfler neceflàriamente di mcftieri d'hauer ben no- te, & ben diftintc quali confuetudini, quali inftituti, quai co- fiumi, & finalmente quali vtilità in ciafcheduna fpetie di repu- blica appropriatamente, Se peculiarmente, riguardino il pro- prio fin di quella . percioche nelldettion, che s'ha quiui da far delle cofe, s'had hauer Tempre riguardo, che a quel tal fine fi 20 poftan come vtili riferire . Ma perche le fedi, & le perfuafioni fi fanno, non folo con l'orationc argomentati ua> & fondata in pruoue y ma ancor col mezo dell'oration morata, ch'indi tio dia de i coftumi, Se delle qualità di colui, che parla : pofeia che il parer noi, 8e efler tenuti della tale, Se tal qualità, fuol tirar quei, ch'afcoltano a creder alle parole noftre ; il che alhora fpe- tialmenteadiuienc, quando per huom da bene, o per bencuol 1 1 loro ci facciam conofeere a l'vna cofa Se l'altra; fa di meftier per quello, che noi beniflìmo potfediamo la notitia de i coftumi, & qualità di ciafcheduna forte di republica : eflendo neceflario, che in ciafcheduna di dette fpetie, fia principalmente perfuafi- bile, & facihflìma ad elTcr creduta quella forte di coftumi, che il ad efa fon proprij, & accommodati . Li quali coftumi facil- mente ci potran venire in cognitione per quelle medelime co- fe, che de i diuerfi fini d effe republichc, poco di fopra fi fon di- chiarate, percioche tali i coftumi fi moftran fuora, quali fon dentro l'elettioni, donde cflì nafeono; Se l'elecrioni nan fem- *3 prc riguardo, & riferimento ai fini. Habbiamo adunque fin qui, quanto conuiene alla prefente occafione, & proponto, di- chiarato quai cofe habbi in da riguardare, Se da proporli di- nanzi coloro, c'han da fuader qualche cofa, o come futura, o 14 come prefente : & donde fien' per poter trarfedi, Se pruoue a i J moftrar l'utile : Se parimente da quai vie, Se in quai modo pof- fan diuenir copiofi nel dire intorno a quanto a ciafcheduna fpe x6 ne di republica conuenir polla . Ma di tutto qucfto habbiara ne i libri della Republica, come in luogo a cosi fatte materie proprio, con più cV efquiuta dot- trina, & con maggior dili- genza fcritto. C*j)o nono s 6 j 6 Della Retorica ci Aristotele^ Capo nono. T>el G enerDemoJlratiuo 5 & del- le co/e lodeuolu & delle 'Vituperabili : & de i luoghi da trottarle, £f da prosarle . g5/5 Ato nomai fine a quanto fi e dcrro fin qui, regni- remo al prefente di ragionare della uircù, & del vaio, &inliemcmcnrcdeirhonefto,& del brutto: eflendo quelli i fini, & gli ("copi di coloro, che lo- dano, o biafmano . Ol tra che in vn mcdefimo tc- po haremo dal far ciò quello di bene, che nel trattar di tai cole, potrà fard ancor manifefto, da quai cofe potrem noi procac- ciarci là via d'eller tenuti di quelle qualità, ch'ai buon coftumc importano ; in che confitte il fecondo modo di far fede, con- # ciofiacofa che da i medefimi luoghi, aiuti, & principi! potrem far parer, cosi gli altri, come noi ftcflì tali per virtù, che ne fac- 5 eia communemente tener degni di fede. Et perche in due modi fuole fpeire volte accader d'hauere a lodar, non folamcntehuo- - mini, o dì j, ma cofe ancor priue d'anima, & qualche fpetie, o indiuiduo d'irrarionale animale ;& quelli modi fono,l'vno fenza che la neceffità di qualche caufa Io ricerchi, fol per puro intertenimento , & diletto, & quali per palla, tempo, &c per fcherzo j & l'altro perche qualche ragioneuol caula n'inuiu , & ne tiri a farlo; farà ben fatto per quella ragione, che feguen- dofi il medefimo modo, che fi è leguito nel trattato precederei s afiegnino ptopofitioni, ch'a quel, che pur'hor fi e propolìo, 4 pollano euer vtili. Noi dunque più toAo fcmplicemcnte , 6c quafi per via d eifempio, che ùmilmente per via d 'efquilìte ra- gioni: ci ingegneremo di dir, quanto ci parrà, che faccia a pro- pofito inrorno a qucflo . L'honelìo dunque sintéde eflcr quel- lo, che eirendo eligibilper fe medefimo, hà ancor di più, che egli e parimente per fe ilcllb lodcuolc. potiam'ancor dir, che egli fia quello, che elfendo in fe bene, e ancor diletteuole in quanto che gli e bene. Hor'elTendo l'honctlo fccódo che 1 hab- biam deferitto, neceflariamente ne feguc, che la virtù fia colk honelìa : pofcia eh elTendo ella bene, e ancor olrra ciò cofa lo- dcuolc . & e la virtù per quel, che fuol communemente pa- tere 9 i Jl Primo libro . " rere,vna parata, cV pronra habilità, procaccia trice, Se confer* j uatrice di molti beni, potiam'ancor dir la vinù efTer quella, che ne può render potenti, & pronti a giouare, Se a beni fi care in molti commodi, e in molti beni.& è in Comma tra i beni quella, che (com'in prouerbio fi luol dire) è in tutte le cofe il 10 tutto. Parti, oucrofpcrie della virtù fon la Giù ftitia, la Fortez- za! IaTempcrantia,la Magnificentiaja Magnanimità,la Libera- 1 1 lira, la Manfuctudinc, la Prudentia,la Sapicria. Tra lequali vir- tù fa necelfariamente di mefticri, che quelle (ìano grandinarne reputate, lcquali fiano a benefitio altrui vtiliflime fopra l'altre; hauendo noi già detto clfer la virtù diCpolìrione, Se riabilita be- 1 1 neficariua per Tua natura. Se per quello i giufti, e i forti, Coglio- no cifer Copra tutti gli altri huomini communemenre honorati, Se reputati : pcrochc la virtù di quelli ne i tempi di guerra, Se la virtù di quelli in tempi di pace, reca grande vtile, Se gioua- 1 j mento a gli huomini. La Liberalità doppo quefte è ancor'clla grandemente honorata : peroche i liberali largamente Cpendo- no, ne (Un mai altercando, Se contendendo per conto di dana- ri, & d'hauere, di che per il più Con cupidi communemenre gli 14 altri. La Giuftitia adunque s'hà da intender'eiler vna virtù, me- diante la quale ciaCcun poffiede le proprie coCe Cue, fecondo ij ch'ordinano, Se diCpongon le leggi. Se l'ingiuftitia per il contra- rio induce, Se è mezo a far pofleder l'altrui contrai ordin delle 1 6 medefime leggi. La fortezza poi è vna virtù, per la quale s'indu- co n gli huomini a operar ne gli vrgenti pericoli,che ne CopraftU no, ateioni valoroCe, Se congiunte con 1 nonetto : oc ciò (ccódo, clic lor comandano,cV diCpongon le leggi: come quelli, cheper 17 ral vinù fi rendono ad clfc obedienti, Se volonticr Copgetti . M a la Timidirà, o codardia, che la vogliam chiamare^ dì tiirto'I co- 18 trario a punto c mezo, Se cagione. La Tempera n ria ì vna virtù* mediate la quale intorno alle CenCuali voluttà corp oreCjIn q Ue |, la maniera fi edificano, Se fi diCpongono gli huomini, che le dell'eleggi comandano. Se al contrario a pi^ro fi diCpongon per 15) cauta, òc incitation dell'inrempcrantia. La Liberalità poi ci ren- de dupoftì agiouarcon i danari, &Coirantie noftre, & a far be- nefitio a molti . a cui fi com'è oppofta l'atiaritia, cosi ancor a fa- lò re il contrario ci diCpone, Se ci guida. La Magnanimità è virtù, che rende rhuomo parato, Se pronto a far'altrui benefitio in H cofe 1 1 cofe grandi, Se clumportin molto. & la mngnihccntia poi è vir- tù, ch'induce ancora ella, Se difpone a operar cofe grandi,ma fol rifpetto alla larghezza delle fpeie, ch'occorron farti in operar rai colc,(i che nello fpcnderc in cofe importanti, moftra fempregrà- 21 dezza. Li contranj poi di quelle due virtù fonala pu filladi mi tà, *$ cV la Grettezza, & mefehinezza nella fpendere . La prudentia è virtù del difcorfiuo intelletto, mediante laqualc diueniainoha- biJi, & potenti a prcnderm noi conlìglio d'intorno a quelle co- le, ch'o buone, o cattine, o vogliam dire, o cligi bili, o fchiuabi- li, habbiam raccontate, come appartenenti alla felicità dell'huo- 14 mo. Ma della virtù, Se del vitio in vniuerfale confiderà», & par ticolarmente poi delle parti, Se delle fpetie loro, può, per quan- to ricerca ilprefcntc proposto, fumarti a balìanza, quanro fin M qui ti e detto. Di quelle cofe, che in quella materia reftan ancor 16 da ditti, non farà difficile il determinare . pcrcioche primiera- mente può cller manifclìo, chequelle cofe, che faranno prodot- tici, &c erTet trici della virtù, necetiariamentc per riferirti all'ho- nefto della virtù,farano ancora etiehonefte,& parimcte faran tali ancor quelle,chc fegtiirino, Se nafeerino dalla virtù: come fono 17 gli inditij delle virtù, Se l'opere, Se Ieattioni di quelle.Et perche gli inditi], Se tutte quelle forti di cofe, che fono o arcioni, o paf- fioni di cofa honefla, fon confeguentemente cofe honefte, ne lc- gue di neceffità, che tutte le cofe, che faranno opere, Se effetti di fortezza, oueroinditij, & fegni di quella, o veramente cofe fo- ftenute,& patite fortemente, haran congiunto 1 nonetto feco. a.8 fi come l'haranno ancora le cofe, che faranno inditij di giù fati a, 19 Se l'onere gin ftam ente fatte, ma non già fbroar fi doueràno ho- nefte le cole, che ti lòftengono, & ti paton giuflamente. concio- fiacofa che in quefta fola virtù della giù fu ria, trà tutte l'altre vir- tù accalchi, che non fempre tia cofa honefla, & lodeuole il pa- tir guittamente, anzi nel riccuer punitione, Se galìigo, più brut- ta cofa, vergognosi, Se biafmeuol s'hà da fumar che ua il ricc- io uerlo ciuflamcnte, che ingiu/hmence. ma in tutte l'altre virtù,!! fomigìianreadiuiene, c'habbiam deno auuenir nella Fortezza 4 J 1 Appreflb di quello tutte quelle cofe, a cui e propoflo come pre- mio l'honore, ti deono giudicar congiunte co l'hone/to.& quel- le parimente,Iequali pia tolto con I honore flelTo, che con da- nari, o con iofiantie, logliono efTer premiate, & ricompenfare. Honefle Jl Primo libro. j p 3 1 Honefte, Se lodeuoli ancor fono a noi quelle cofc,ch euendo per fe fteile eligibili, noi più torto per curai d'altri, che di noi me- 33 definii procuriamo. & traquelle cofe, che fono in lor natura femplieemente beni, quelle, hanno in fe molto deH'honefto, le quali porta da canto l vtilità, ck l'intereUe proprio, (blamente 34 per benefitio, ck vtilità della patria operiarno . Pamapan pari- mente dell'honefto quei beni, che fon beni in lornatura,& dal- 35 la natura dati. ck quelli ancora, i quali l'vfo, e'1 godimelo pro- prio di color, che gli polleggono, non riguardano : pofeiache il riguardarlo farebbe inditio, che roller. per cagione, ck per vtil de 36 gli ftclTì lor poiTclìori, tk non de gli altri. Lodeuoli ancoFa, & nonerti s'han da ftimar, che Cittì più torto quei beni, chefi fo- glion concedere, tk dare a gli huomini doppo la morte loro, che non fon quelli, che fi concedon lormcnrre che fono in vira, pe- roche le cofe, che fi danno, ck gli honori, che fi fanno a color, che fono ancora in vira, può più ageuolmenre parer,chc fi dieno, & fi facciano in gracia loro, & perfol piacer ad erti, ck non per 37 caufa della fola lor virrù, come ai già morti adiuiene. Hanno an- cor molto deH'honefto quelle opere, che fi fanno per caufa d'v- tilc, tk commodo, che ne venga ad alrri : come quelle, che in talguifa minorapparenria tengon d'efter farrc per fola caufa di 38 femedefimc. Mcdefimamcntc i nego ti j, le fatighe, cV le cure, ben maneggiate, & diligentemente trattate, & condotte a fine , appartenenti ad altri, più torto, ch'a fe Hello, non è dubio, ch'el- le non habbian cogiunto molto del lodeuolc, tk deH'honefto fe- co : ck fpecialmcntcfe tai negotij a perfonc appartengono, dalle quali shabbia riceuuto benefitij : pcroche in tal calò la giuftitia 35 così ricerca, & s'opera giuftamente in farlo, tkin fomma rutti li benefitij, che fi fanno altrui, tengon fcco, inquanto rali, parte 40 non piccola deH'honefto. Quelle cofe medefimamcnre,le cótra- rie delle quali foglion'indurrc alrrui adarroflìr per vergogna, fi poflono ftimar honefte. percioche cofe brutte, & biafmeuoli fon quelle, le quali quando diciamo,o facciamo,o già già fiam'in ani mo parati, de pronti per dire, o per fare, ci foglion cagionar ve- 41 «econdia. fi come bene ef^rciTc Saffo ne i fuoi verfi, quando ha- ucndole detto Alceo, volontieri, o Saffo, ti dirci alcune cole, ch'io hò nell'animo, fe la verecondia non mi ritcneffe, ella ri- spondendo gli dine. Se ci foiTe caduto in animo, o Alceo, delì- H ij derio 6 o % JJeua Jsetprica a yirmotti^ dcrio di cofc, c'haueflcr dellhonelto, & del ragioocaolc, Se non furte acconcia, Se parata la tua lingua a dir cola brutta, Se degna di nprenlionc, certamente la verecondia non uoccupatebbe, ne t accenderebbe il volto, ma fecuramente parlerei, non hauen- 41 do ad»r cola, che non fuOegiufta. Oltra di quello quellccolc, che loelion tener gli huomini in angofeia, Se angonia di mente, fc congiunto con elTa non è timor, o tcrror d'animo ; li poùono Aimar cofe pendenti dahonorc,& dahoncftà, folcndo vn tale accidente accafcarc aglihuomini percagion di quella forte di 4 j beni,che riguardan la rcputationc,& la gloria. Appretto di que- fto quelle virtù, & lodeuoli operc,chcfon proprie di (oggetti m lor natura più nobili, faran parimente ancora elle più honeltc, Se più pregiate ; come fon (per esempio) quelle dell h 11 omo n- 44 fpetto a quelle delle Donne. & meddimamentc più congiunte con 1 nonetto fon quelle virtù, che fon più atte ad eller godute. Se con diletto guftatc da gli altri, che da color, che le poligo- no. Se per qudta ragione il giudo, & la giuftitia fon giademen- 4 r te partecipi dell honefto. Maggiore fplendore ancora d bonetti fi dee fornir, che fu nel prender vendetta de . fu 01 nemici, che nel riconciliarfi pacificamente con efli.cooaoliacofa che da giù- ftitia nafea il ricompenfar fecondo lcqUalità, Se .1 render pari a pari, & quel, eh è giufto, fia parimente nonetto, oltra che cofa da huom forte è il non cedere alle ingiuricnecome infenor loc- *6 comberc alla forza d'altri. La vittoria ancora,* ilpremio, che vincendo fi confeguifcc> fon cofc da elTcr connumcrate tra le co- fe honeue, comcqucllc, che quantunque al tro vtile. o frutto no portin feco, fon nondimeno eligibili per fc ^edefiroe, & danno 47 infiemementeindino d ecceiro divina Olrra diqueitonguar- dan 1 nonetto quelle cofe, che foglion cófcruar viua 1 altrui me- moria : Se quanto più fono atte a rarqucfto,tamo han maggior- mente dell nonetto : ne è dubbio, che più non fiano atte a tarlo 48 quelle,chc (èguitao 1 huomo doppo la morte ancora. I arirocn- te lodeuoli, & honefte fon quelle cofc, alle quali vien dietro ho- 49 nore, Se reputazione. Se quelle medefiinamentc fi fan tenere per 4^ «uiv, v + ^orpn.ate lcaua i eccedon 1 altre nel maegiormentchoneltc, Spregiate, ic qua» „ rtl r^, art >«. nenVr loro, Se più ancora, te noi foli forno, che le polliamo. Jofcnche per tal cagione vengon a ferii più -o«W.,^ P« con- 50 Vegnente pili atte a reftar ncU aUrui memoria. Le pozioni an- Jl Primo libro . 6 r cora, parche crcfcan di degnici, fe più torto amene, che frur- ruofe fono : come quelle, che in quella guifa fan maggiore ap- 51 parentia di liberalità. Apprcilo di ciaicheduna nanoneancora, quelle cole, eh ad effa fon proprie, & peculiari, fi deono (limar' 51 nonorate, Se habili a recar lode. Se parimente quelle, che poflb- no efier inditij di cofa, appretto di quefto, o di quel popolo lo- data, honefta, Se peculiarmente tenuta in pregio, come (per ef- (empio) era cofa honorata appreflb de i Lacedemoni il nodrire, Se conferuar lunga capigliatura, eden do quefto vno inditio del- la libertà, & ingenuità loro, come che 1 vlo del portar la chioma lunga, non laici agcuolmcnte elfercitarealcuna operation ferui- 5 j le . Cofa medefimamente, che porti honeftà feco,s ha da ftimar, che fia il non clfercitare alcun arte medianica, Se illiberale, con- ciolìacofa che conuenga ali rinomo libero, Se ingcnuamete edu- /4 cato, il non foftcntarla vita ad arbitrio d altri . Recherà gioua- mcnto ancora a poter commodamente lodare, o bial mare, l'vfar di prender in luogo delle cofe delle, quelle, che per vicinanza, Se fomighanza, che tengon con elle, poflbn parer quelle delie me- de firn c. comcauuerrebbe (per ch'empio) le vn,chcfullè ne i pe- ricoli cauto, Se auuertitamente animofo, futfc da noi chiama- to timido» & inlidiofo: Se vno ftolido,& mezo matto, chia- maflìmo femphee, Se puro : Se il nome di manfueto delfinio /; a vno infenfaco. Medefimamente in ciafcheduna cofa s hàda procurar, che di tutte quelle cofe, che fcguitano,& s'accom- pagnano, Se van dietro a quella, fi prendi no in luogo d ella quelle, che più ci paia che tornin bene, comefe (pereHem- pio) colui che fufle iracondo, & quafi furibondo; nominaf- urno huomo femplice, Se li'oero : Se ad vn faftoib, Se fupcr- jf bo delti mo il nome di magnifico, & grane . Et coloro oltra ciò , i quali ne gli eccelli , & ne gli eftremi , tra i quali dan ri- pofte le virtù , traboccatfèro , potremo cofi nominare, comefe nei mezi,cioé nelle virtù fi trouallero : comauuerria nomi- 57 nando l'audace forte, & il prodigo liberale. Perciochc oltra ch'a i più degli huomini,come impenti foghon communemen re parer virtù cofi fatti eccedi ; ci s aggiugne quefto di più, che ingannando in vn certo modo co fallace fillogifmo fe ftedi ; par loro, che ragione, Se caula ci fia , per laqual fi pollano accettar j8 perhoncfti,& lodeuoli i già detti eccedi . Conciofiacofa che s alcun'è* 6 2 Della Retorica d Arisxotelt^ s'alcun' c , che doue non faccia dibifogno fi metta più di quel , che conuiene ardito in pericolo,- può vcrifimilméte parere, che molto più farebbe egli quefto quando la ragione,& lhoncfto lo ricercate . Se fefenza diftintione alcuna farà largo in donare il fuo à chiunque gli venga innanzi ; fi può ftimar, che molto più fia per far quefto co gli amici fuoi,di maniera che può parer vno eccedere, Se vno eilcreabondanre nella virtù, tf fare vtile, & be- neficio à tutti. Fà ben meflier d auuerrire, Se di confiderare al- la prefentia di quai per Ione fi prenda à lodar la perfona, ò la co- fa, che noi lodiamo : percioche fecondo che folcua dir Socra- te, non è diflficil cofail lodar gli Atheniefi,apprciTb de gli Athc- 60 niefi. Et fi dee parimente auuerrir, che quelle cofe, che fon te- nute honcfte,& lodeuoli appretto di quelli, ò di quelli, dinanzi ài quali parliamo ; fiano accertate, Se lodare da noi, come che veramente,& in lor natura fien tali, Se non perche eglino cofi le (limino : comeauuerria (per ellcmpio) s'appreflb de' Scithi,dc* Lacedemoni j,dc'Filofofi,ò d'altre narioni, ò profeflìoni occor- rere hau ere à lodar qualche cofa. doue (perbreuementedire ) bi fogna fempre cercar di tirare all honefto timo quello, eh 'ap- prcifo di lor fia hauutoin cóto,8c tenuto in pregio.il che non fa rà difficile, per la vicinanza, c ha l'cifer tenuto in honor, co Tho- 61 netto. Oltra di quefto quelle cofe fi deono come honcfte,& de- gne di lode fumarci le quali può parer, ch'alia cofa lodata con- tengano, Se quafi come fuc appartengano . come faria ( peref- Tempio) fc le fu 1 *" cofe degne de i fuoi maggiori, ò a i ratti di quelli proportionate ; &cfe\c corri fpódeirero ad altre fuco lo- ro proprie honorate anioni : perochel'aggiugncrej&accumui lare honor fopra honore, molto porta fcco d'honeftà , Se di feli- ci cita. Ridonda ancor grandemente in lodeil moftrar, che fuor di quello , ch'ordinariamente, Se vcriGmilmcntc fc ne fune po- 6} tutoafpettare,habbia proceduto la cofa lodata in meglio, come -auuerria (per elTcmpio) fc diceilìmo, che coftui nella buona, Se profpera fortuna fua fi fece fempre conofeer per modefto,per hu mano, & per moderato ; Se nell'acerba, & auucrfa, per magna- nimo, Se per co ftan te. ò fcd'vno , che fufteda balla condì tion falito à ricchezze, Se à degniti, diceflìmo, chei fempre fulfedi- uenuto in miglior coftumt, cV: più fempre affabile, Se più tratta- ta bile . Se in quefto e fondato il detto, che folcua vfare Ificratc di feme- Jl Primo libro . f j Ce medefìmo dicendo; O da quai principi j à quai fu cecili fon io 6} venuto . Se quell'epigramma medefimamente di colui , c haue- * ua ottenuto vittoria nei giuochi Olirrìpici, doueei dice; Sopra di quelle proprie fpalle hauendio la celta grauej Se quel chclc- 66 gue. & quel detto parimente di Simonide, Il padre, il marito, 6j Se li fratelli di cortei furon tiranni. Et perche la lode principal- - mente alle operationi attribuir (idee; Se è proprio di color,che operano virruofamentel operar con elcttione ; fa di meftierper quello di tentare, Se di far forza Tempre di fare apparir, chele operationi di colui, che noi lodiamo, iìano fiate fatte concon- 6% figlio, & con elettione. Et vtile à farquefto farà il inoltrar, che 6? fpeflè volte habbia egli fatte quelle lidie attioni . Onde fe ben vi fuircr di quelle , che rullerò accadute fortuitamente, Se quafi lenza penfarui , fatte à cafo ; farà non di mcn ben /atto, che con inoltrar, che fpeflo fiano auucnutc, fi faccia apparir, che non à forte fiano accadute, ma con elcttione. concionacofa che fc mol te,& tra di lor fomiglianti fi moftreran tali attioni, chiaro indi- 7« rio farà,chc da virtù, & da elettion fian nate. Hor non cllendo adunque altro la lode, che vna narratione, per laqual fi moftra , Se fi fa conofeer la grandezza della virtù , fa di meftieri, che le operationi fiano dimoftrate tali, che paia, chedalla virtù nate 7 1 fiano . ma la celebratione s'intende eller delle opre ftefle ; Se le altre cofe, che di fuor fi prendono, Se fuor della ioltantia dell'o- pre ; fi prendono in fede, Se in fegno della bontà delle opere; co me fon ( per efiempio ) la nobiltà, & la buona educatone : ed fendo verilimile,che da i buoni naicano,& deriuino i buoni; Se che color, che con buona, Se honefta education nodriti , Se in- 72 (limiti fono ; buoni, Se honefti parimente fiano . Pcrlaqualco- ia celebrar fogliamo altrui, hauendo principalmente rifpetro al- le opere, Se alle attioni loro ; ellcndo le opere quelle, che dan- no inditio de gli habiti, donde elle nafeono : perciochc lodi fi darebbeno ancora à quelli, di cui non fi folTer vedute le opere, fi credette, Se s'haucilenotitia, che in cfll fi troualfero habiti 7 3 da operarle. La beatifìcation poi, Scia felicitatione, cioè il pre- dicare alcun per beato, Se il predicarlo per felice, fono quanto à fe quali vna ftella cofa ; ma no già vna lleila cofa con le già det- te, cioè con la lode,& con la celebrationt . ma nel modo, che la felicità comprende, Se ricerca la virtù ; cofi la felicitatione,ò ver prc- f 4 Della Teorica dldriftotelcj predication del felice ricerca, & comptende ambedue le già dec- 74 tecofe. Hanno il lodare , & il fuader configliando , vna cena forma comune, nella quale in foftancia conuengono: percioche quelle Ite Ile cofe, à cui fi cerca defortare, indurre, ò ammonen- do fuader ne i configli ; le medefime, trafpofro alquanto l'orditi 7J della locutionc,diuengonoairegnationi di lode. Per laqual co- la hauendo noi già veduto quai cofe còuengon di fare a vo'huó da bene, Se degno di lode, & qualmente diipofto,& qualificato debba eilere ; tutto quello potremo mcdefimamente ammoné- do , Se iuadendo dire ; tralportando folo, in vn certo modo al- jC quanto le parole, Se trafmutando l ordin della locutione. come ( per eirempio ) fe diremo , Non conuenir gloriar/ì, ne fondar la reputatione nei beni della fortuna j ma in quelli, che in poter di fe ftcilo fono, cV dall'in tri nfcca virtù dependono ; verràque- flo concerto in cotal modo efplicato,ad elfer vtile,& proportio- nato all'ammonitione , Se alla fuafione . Se il medefimo diuerrà a lodare accomodato, fe murate alquanto le parole diremo, che il tal non fi gloriatane da più fi repuraua punroper i beni eli ci poilcdciia della fortuna ; ma folo per quelli , che daii'intrinfcca 77 virtù fua depcndeuano . Per laqualcofa quando vorrai lodare alcuno, andarai cólidcrando di che cofa l'ammoni redi , de àche cofalo fuaderefti . Se all'incontro quando ammonire, ò fuader lo vorrai, andarai vedendo che cola trouarfi porta degna di lo- de in chi fi fia : folo il modo della locutioue, Se 1 ordin delle pa- role farà contrario nelle due intentioni, Se efpreflìoni già dette; efprimendofi 1 vna per modo di prohibire,& altrafenza cofi fat 75 tomodo. Molti ancora di quelli aiuti in lodar iarà ben di via- re, iquali han forza d'amplificar le cofe. come le (per cileni pio) dicemmo, che colini nella tale honorata attione, Se lodcuol fat- to, fu folo à operarlo, ò vero il primo di tutti gli altri, òalmen pochi hebbein fu a compagnia; Se ch'egli fuil principaliflìmo. Se quello in lomma, à chi principalmente fi debba attribuirei! fatto . perochc cofi fatte conditioni, Se circoltantic portan icco molto dell'honefto,cV alleattioni nó piccolo fplendoreaggiun- 75 gono. Tra le quai circoftantie quella del tempo, Se quella dcU Poccafione, fon di gran momento in amplificare/ Se fpetialmcn te quando le portan cofa fuora di quello, che vcrifimilmen te px lo rena, che fi po celle afpcccare. Medcfiraaracncc amplificatione importa Jl Primo libro . 6 j imporra nella virtuofa operacion d alcuno, il moftrar, ch'egli molte voice nel medefimo, ò nel fimil fatto , il medefimo valor habbia moftrato : pofeiachein quefla maniera, oltra ch'appari- rà più nonetto, Se più grande il fatto; farà ancor giudicato , che . non à cafo,ò per fortuna (la accaduto, ma per maturo configlio, 8 1 & deliberata «lettion di lui ftctTo, che l'hà operato . Verrà pa- rimente ad amplificarfi il fatto d'a!cuno,fe moltreremo,che per tal cagione fi lìa per honorarlo trouaro, «Sé inftiruiro di nuouo alcun di quei premij,& legni d'honore, che fogliono eccitar gli huomini à bene oprare , tic recar lor gloria , & honorara fama . Si com'àdir, ch'egli lia flato il primo ad eifer con oration publica celebrato; com auuennead Hippolocho: & fi come Annodio, ÓVAriftogitone furono i primi, ài quali fu ifer drizzale fta tue pu 83 bliche in honor loro . Et il medefimo fimilmentc s'hà da mten / dere, & fi può confiderare, èV applicar nelle cofe, alle già dette, 84 contrarie ; cioè à quelle che recan biafmo. Ma fela perfona ftef ' fa, di cui prenderemo à parlare , non ci potrà co i fatti fuoi pro- prij abbondanrc materia fom mini (tra re; potremo in tal cafo ri- durlecolein comparatione , ponendola in paragon con altri. 8 5 fi come foleua fare Socrate ; come quello, ch'era molto vfàto , 86 & alTuefatto nel gener giudiciale . Maja ben di metti eri di far la comparation con perfone d ìlluttre virtù, 8c di chiara fama : conciofiacoià che amplificata, Se ingrandita vien la virtù di co- 87 lui, il qual fia à quelli, che vircnofi lono, ancepofto . Et in vero non fenza ragione in teruiene^fc hà luogo l'amplificacion , nel laudare; come quella, che conulte in vn certo eccello: Se già fàp- piamo, che l'eccedete hà in apparentia in fe del lodeuole,& del- 88 l'honelto . Oride hafee chequando ben non fi pollon le per- fone , che lodiamo , paragonare , & comparar con perlone * egregie, &di gran virtù; li doueran nondimcn porre in con- paratione con altre, quai fi voglian che fieno . pofciache pur che s'ecceda,parchc il folo eccedere porti inditiodi vrrcù , & faccia 85? accrefeimento alla lode . Hor per concludere, pare, che di tut- te le fpetie, & forme d'argomentare, che fon cornimi ni à tutti i generi delle orarioni, l'ampliflcation ita , piùaccominodara , 6c 90 proportionata alle demoftratine. conciofiacofa clic color, c hàn da lodare, pccndan di fuora, & come già manifefte fuppongan le arcioni, c'han da narrare : di maniera che folo retta loro di far con amplificatone apparir la grandezza d'effe, & Ihoneflà 51 che le portan feco . Gli elTempi poi fon molto accommodati , & appropriati alle orationi del gencr confultatiuo : perciochc dalle cole già meccite per il Dallato , fogliamo decorrendo , Se 51 conictturando fargjuditio delle future. Et gli Emhiniemi final mente pare, ch'allc gìudjciali orationi.4>ccomroodino, & con- uengan principalmente: ( pofciache le Gftfe, che già fon pattate , cVhan giàhauuto effetto, pollonpriocipalmctc tra tutte l'altre* maggiormente dar luogo al ccrcarfene la cagione,& ad cifer de- mottrate con fillogifmo, non elfendo elle manifcftc, poi che ca- j$ dono in controuerlìa . Daquai cole adunque depcndano , & qua(ì nafeano tutte (lì può dir ) le lodi, & i biafmi : Se à qtiai co- le parimente s'habbia da tener l'occhio volendo lodare, ò biaf- mare : Se da quai propofitioni , come da luoghi , fi poifan trar forme da celebrare, & innalzai lodando , ò da infamare , & im- bruttir vituperando ; può effei mani fedo per le cofe , che fi fon dette fin qui : potendo facilmente per fe medelìme , dalle cofe , che dette fi fon della lode* apparir note quelle ancora, che lor fon contrarie: pofciacjie dai contrari j dcllalode, Se dellhonc- fto, rcfulra, Se d crina il hi*fmo . (apo io. T>el Gencr giudìciale : & prima dell'ingiurie, tfcaujè di quelle 5 {fàquai capi fi poffon ridurr^ . Egueal prefente, che palliamo fecondo I ordin'in- cpminciato, à dir dell accufationc, & della difen- À ' (ione ; Se alfegniamoda quante cofe, Se da quali s habbian da formare, & da concluder in quelle , le argomcnutioni . Fà dunque di meftieri in que- llo propoli to di vedere, Se di potlcder tre cofe . L vna e, per ca- cion di quali, Se di quante cole far fogliano ingiuria gli huomi- ni . La feconda è poi, di che forte, Se come dilpoiti fien quelli , chela fanno . Se la terza gli arTctti,& paflìon dell'animo, piò di lotto al Tuo luogo dichia i j Jcremo . Reità al preferite che noi veggiamo per cagion diquai \ cofe j Se in che maniera qualificati, & difpofti , & contea di. che ò 16 forte di perfone, loglian fare ingiuria ^li huomini. Primiera- mente adunque voglio , che distinguiamo , & moftriamo per \ .quai cofe conseguire,. & perquaifehiuarc, fogliam noi rentaic, Se indurre l'animo a fare ingiuria: cirendo mani fe&o, ch'a col uf chacenfa, appartien di cercare, Se di confiderarc quali, Se quan tedi quelle cofe fi truouino nell auuerfano, lequali appetir fo- glion rutti coloro, ch'ingiurian chiunque fia . &achi difende, perii contrario, Quante, óc quali. di quefte cofe medefìru* non 17 yi fi trottino . Dico adunque ohe tutte le cofe, che tutti gli huo *ni ni fanno, parte fanno eglino non da fc ftcflì , nè per arbitrio 1 8 proprio ; Se parte da fc fteiìì per lor proprio arbitrio. Se di quel le, che non da fc ftefli fanno, alcune ne fan per fortuna,& altre 19 fpinti da ncceflìtà . Se parimente tra quelle, che fan petneceflì- tà, alcu ne ne fan violentati da forza eilerna, & altre ipinti, & in io dotti dalla natura. Onde ne fegue , chetarne' le cofe y che gli huomini, non da fc ftcflì fanno, alcune da fortuna , altre da na- 21 tura, Se altre finalmente da violentia , Se da forza nafeono . Di ueJlecofepoiJcqualicglindafe Itéflfì fanno, Se di cui elfi me- efimi fon cagione,alcunc fan per confnetudine, & altre per ap ai petito. & qucile ò per appetito rationale, ò per appetito non ra rionale : eiTendo la volontà, rationale appetito di bene; po- 1 feiache nell'uno e, eh altra cola voglia, che quella, che già da lui 13 (la giudicata, & accettata lotto ragtó di bene . L'appetirò irrario nal poi fi truoua eiTcr di due maniere, quello dell ira, & quello »4 della cupidità, over della concupifeentia. Per laqual cofa ne- ceflàriamente da quel, che fi e detto fegue, che tutte le cofe, che fanno gli huomini, da vna di quelle fette caufe per forza nafea- no. cioè oda fortuna, òda violentia, ò da natura, oda confite- li nuli ne-, ò da ragione, ò da ira, ò da cupidità . conciofiacofa che il voler, con aggiugnere altre diuilìoni, diilingnerlcattioni dcl- l'huomo, fecondo la ditlintion dell'età, de gli habiti, Se dell'al- tre códitioni, Se qualità de gli huomini \ farebbe cofa fupcrHua, 16 Se fenza bifogno fatta . Peroche fe a quelli, che fon ne gli anni giouenili pare, che fegua quella proprietà d'eiferc iracondi , Se pieni Jl TrtmoTibro . 6 > pieni di cupidità ; non per quello dalla giouinezza fon molli, Se indotti a far quel, che fanno: ma l'ira, & la cupidità fon quel 17 le, che gli muouono . Ne parimente i ricchi, Se quelli, chefo- no opprefli da poucrtà,fon dalle ricchczze,cV dalla pouertà fpm ti alle loro attioni : ma per accidente accade, ch'i poueri per ca- gion delbifogno, & mancanza loro, habbian cupidità di dana- ri, dalia qual cupidità fon molli . &i ricchi per la confidenza , c hanno di poter confegnir quel, che vogliono, appetifconole Cofe più tolto voluttuofe, che necellarie. onde gli vni, &gli al- tri di quelli vengono a operai e, non moflì, come da caufa , dal- le lor ricchezze, ò dalla pouerrà, ma dalle lor cupidità folamcn- 18 te. Non altrimenti ancorai giù iti, Se gli ingiulti, Se tutti gli altri, ch'operano fecondo qualc'habito , ò difpofition , che ten- gono : operano quel, che operano per alcuna di quelle cagiòn già dette: operando elfi, ò per ragione ò per affetto dell'appeti- to : quantunque alcuni di loro per collumi, Se per affetti buo- i ni, Se alcuni peri lor contrari j faccian le loro attioni. E x beni vero ch'ad altre, Se altre forri d'habiti, accufano,& confeguono parimente altre, Se altre delle già dette caufe . conciofiacofa che l'ubico ch'vn fia temperato, gli confeguitin tal volta per cagion di quella temperanza, intorno a i piaceri del fenfo opinioni, Se appetiti honefti ; Se all'intemperato per il contrario intorno à quelle {Ielle cofe, feguitano opinioni, Se cupidità contrarie. 3 o La onde quelle così fatte diuifioni lì pollon ragioneuolmente la 3 1 feiarc indietro, Se Col balla quanto ad effe conlidcrare quali del* ledette caufe, a quali conditioni, & qualità d'huomini, feguiti- j i no Se vengan dietro . Però che fe ben per elTer Ih uomo ò bian- co, ò negro, ò grande, ò piccolo, ò d'altro limile accidente ; no per quello gli leguita più l'vna, che l'alerà delle dette caufe delle attioni fue; nondimeno percller egli ògiouine,ò vecchio, ò giù (lo, òingiulìo, ò limile, gran diuerlìtà li croucrà per quello ncl- 3 3 le decce caufe, che lo feguiranno. Ec per dir breuemente in tat- ti quelli accidenti , & in tutte quelle qualità , che fono habili a variare, Se a far differenti i collumi nellhuomo , cometaria lo (limarli ò ricco, ò pouero , ò in auucrfa, ò in profpera fortuna , ò in fimil qualità ,• in tutte (dico) li troucrà dirTercn ria nelle caii 3 4 fe deH'opcrare,che le feguiranno . Ma di quelle cole ragionerc- 3 j ino poi nel proprio luogo loro . Se al preferire quel,che celia per hora 7 o Del/a T^torìca d'drìBotelc^ $ 6 hora di dire, anderem feguendo . Dalla forruna adunque fi di- con farli, & venir quelle cole, le quali non han certa , & deter- minata caufa, & non per cagion d'elle fon fatte, ne fempre, nè ii più delle volte, ne ordinariamente adiuengono : le quali tutte conditioni poiron perla diffìnition della fortuna venir manife- $7 (le. Dalla natura poi vcngono,& lì fan quelle cofe,la caufa del- le quali è in clic in trinfeca > & con ordin determinato le produ- ce ; come quelle , che ò fempre, ò il più delle volte nel medefi- 3 8 mo modo il veggon fatte, peroche quanto a quelle cole, che nel la natura fuor della natura fi producono , non conuiene al pre- lente noftro propofito fottilmente inueftigare, & moftrare, fe da qualche potentia, òc forza della natura Iteflà, ò ver più torto daqualch'altra cagion deriuino : folendo parer, chela forruna 1$ ancora, cllcr ne polla (limata caufa. Da violcntiadircm poi far- li quelle cofe, lequali da quelli ItelTì, che le fanno, fon fatte có- 40 tra la lor cupidità, cV contra i volere, & configlio loro . Per có- fuetudin fidicon poi farfi quelle, che per haucrle l'huomo fpef- 41 fi (Time volte fatte, le fa poi quafi come arfu efatto in elle . Per difeorfo poi di ragione, cV per configlio fi fan quelle cofe, dalle quali paia, che polla venir commodo, Se vtilità, & che fondi quei beni, che già di fopra hauiamo allignati, ò come h ni,ò co- me mezi indirizzati ai fini: & fi fanno ol tra ciò per cagione, & 41 conintentiondiquelcommodo, &di qucH'vtile. quello dico, peroche alcune cofe parimente vtili, può accader, che faccian gli intemperati; ma non già le fanno per cagione, &a fin di auelivtile , ma per cagion più tolto di quella voluttà, & piacer 43 fen filale, che Ila congiunto con elle. Da animo accefo,& da ira 44 vengon fuor quelle attioni, che rieuardan vendetta : & è dipin- ta la vendetta dal gaftigo,ò ver dalla puni rione, perciocheil ga- Itigo fi fa per caufa, ÓV per vtil di colui che lo paté, & io riceue: doue che la vendetta fi cerca di far per caufa, & fodisfattion di chi la fa, accioche egli col mezzo di quella renda fatio il fuoani- 45 mo del danno d'altri . Ma intorno a quai cofe confi Ila , & riab- bia forza l'ira, potrà efler manifcfto per le cofe, che poi al luogo 46 fuo tratteremo degli affetti, & paffion dell'animo . Per cupidi- tà finalmente fi fan quelle cofe, che fon voluttuofe, ^.'giocon- de : & tra cofi fatte cofe gioconde , fi deon connumerar le co- fe fatte già confuete,& per il lungo vfo diuenute quafi domeni- che, Jl Primo Itbro . 7 / che , Se naturali : pofeiache molcc cofe fono, ch'in lor natii» ra non recan piacere, ne fon gioconde, eV nondimeno per il lun- go vfo frequentate, con diletto, Se con giocondità lì fanno. Per laqual cofa per raccogliere in capf, quanto in quello propo- sto detto riabbiamo, tutte le cofe, che gli huomini da loro Acuì fanno, o le fon buone, o vogliam dire vrili, o le appaion tali, o uer fon gioconde, o gioconde appaiono. Et perche tutte le cole, ch'eglino da loro flefli fanno, le fanno volontariamcnte,& (pon- raneamente, Se non fpontaneamente fan quelle, che non fan da loro fteilì, ne fegue da quello, che tutte le cofe, che fpontanea- mente, Se volontariamente fanno, iianodi ncceilìtà buonc,o vo gliam dire, vtili, o appaiilcon tali, ouer fian gioconde, o gioco- eie appaiono. Et pongo io in numero frà i beni, Se fra gli vtili, la libcratione, Se lo fchiuamento de i mali,& di quclli,cnappaioa mali : Se parimente il riccuimento del manco malc,in 1uol;o del maggior male : emendo l vna, Se l'altra di quelle cofe in vn certo modo, eligibilc. Et per la medefima ragione pógo in numero fri lccofevoluttuofe, &c gioconde, la libcratione, & lo fchiuamen- to delle cofe dolofe, Se molefte, Se di quelle, chappaton tali, Se il riceuimento parimente del minor dolore, Se minor rooleflia » in luogo della maggiore. Fa di mellieri adunque di cercar',& di veder quante, & quali fiano le cofe vtili, & le gioconde. Et qua- to alle cofe vtili, già di fopra nel trattar del gcner d ehb erati uo,fc- n'e detto quantopuò ballare, onde refta, che delle gioconde, Se Yoluttuofcal preien te ragioniamo. In che far' debbiamo (limar, poter lediffinitioni, & deferittioni che daremo, fodisfàre a ba-» ftanza,fe tutte quelle cofe, ch'occorreranno, faran non efatta- mente efquifite, ne con ofeurità poco manifefle. Poniamo adun que per hora non elfere altro la voluttà, ch'vn mouimen- to, Se titillamento dell'animo, Se vn fubito ritorno, Se fcnfibilmcnte percettibile, a reftaurara natu- ra : Se il contrario di quello s ha da in- tendere ellèr la molellia»Capo 7 2 'Del/a r R^tprtca dlArìttotelc^> (apo il. Ideile co/e gioconde , ouer voluttuoje \ . per cagion delle quali ,Joglion recar fi a fa- re ingiuria gli huomim. & de i luoghi da tro~ uarle, da conojcerle, £f da moHrarle^j . Ssendo adunque la voluttà della forte, c'habbiam dichiarato, già può per quello apparir manifefto, che giocondo, & voluttuofo fi debba (limar tutto quello, chefiaerfettiuo, & prodottiuo di tal crlet- to : & quello per il contrario, ch o di quello (IciTo affetto faràdeftruggitiuo, o del contrario d eflb, eflettiuo, dolo- ralo, & inolefto potrà giudicarli. Laonde nectllariamente ci fa- rà per il più,giocódo il lentireappro(lìmarciaquello,chcci paia, che ricerchi in noi la natura. & ciò maggiormente quando fi fen ta,chc quelle cofe, ch'appetite in noi dalla natura fono,fianoarri- uatea confeguir la natura loro.Et le cófuetudini ancora>cV le co* fe per lungo vfo confuere, ci fon gioconde : perochc quello, che per fiequcce vfo,& lùga alUicfattion diuien cófueto, par che do- uenti colà quali naturale,hauédo aliai fomiglianza la còfuctudi- ne có la natura. cóciofiacofa che appartenevo alla natura ilfem- prc,& alla cófuetudin lo lpclfo,c'l frequétameto, par che lo fpef- fo,& la frequétia,sauuicini in vn certo modo al fempre.Oltra di quello giocóde fon quelle cofc,che violctia alcuna nó hàno feco, clTendo la violentia, 6c la forza, cornra la natura, & a quella op- ponga. 8c per quello lenccelTìtà fon fempre noiofe, & molcltc, onde non fenza ragion fi fuol dire, che tu tre le cofe, che h fanno impofte, &c violentate da neceffità, han feco congiunra noia, de moleftia. Per la qual cofa le cure, gli ftudij, lediligcntic, & gli sforzi, cV le anfictà dell animo, fon tutte cofe moiette, come quelle, che fono in vn certo modo necellìtate, Se violentate, fc ià per lungo codumc, & inuecchiata confuetudinc, non fune huomo aliucfatto, & quali riabituato in clTe: percioche in tal 4 cafo l'vfo, 6c la confuetudinc le farebbe parer gioconde. Ma li contrari; d elle tengono in fe giocondità, & per confeguente la pigriria, l'incrtia, lo fchiuamento della fatiga, la negligentia, il lolazzo del giuoco, il npofo, il fonno, & limili, fon tutte cofe > che Jl Primo libro . 7 3 che trà la gioconde connunierar fi pollbno, non eiTendo in effe 7 forza di neceflìtà, che moleftclc polla rendere. Ogni cofa anco* ra, di cui fi tenga cupidità, fi può (limar gioconda, non ertendo altro la cupidità, ch'appetito di cofa gioconda, o (oaue, che vo- I gliam dire. Delle quali cupidità, alcune fon'in noi difgmntc da $ ragione, Se altre per il contrario congiunte con erta, ditgiunte da ragion chiamo io quelle, che fenza difeorfo, ogiuditio di ra- gione, Se fenza che laiiuerriamo, o confidcriamo, cadon nel de- fidcrio,& appetito noftro. tali fon tutte quelle, che fon dette in noi cupidità di natura, come eccitate» Se nate da quella : fi co- me lon quelle, ch'ai corpo dello per fuo foftenta mento, Se bifo- gno, (penalmente appartengono : come a dir la lete, & la fame, 10 che (on defidenj di nutrimento :& finalmente tutte le altre cu- fuditàjche riguardan ciafcunaalrra fpctic di nutrimento.eHa r B^tprìca d 9 miriti otelz^ che gioconde furono, fc doppo quelle, nel tempo, che fia fegui- 16 to poi, qualche cola o honefta o vtile fi fia cófeguita. onde non fenza ragione fuorviarli quel detto. Dolce cola è il ricordarli dei palla ti pericoli, a chi già laluo fé ne vede fuora.cV quell'altro det- to. Doppo li (udori, &lcfatighe gran diletto fente qualunque molti mali habbia già (offerto, & molte cofe habbia fatigofamen- tc fatto. & la ragion di tutto quello nafee dall cfierc ancor cofa 17 dolce, cV gioconda il non hauer'il male. Et quanto alla lperanza poi, quelle cofe nello fperarle ci pollbn parer gioconde, le quali ci paia, che prefenti ci fu/Ter grandemente o per dilettare, oper cflerc vtili, o che almen con l vtilità che porraifero, non fullc có- giunta moleflia alcuna. & per dir breuemcnte,tutte quelle cofe, che pofion prefenti recar diletto, & giocondità, potranno per il iS più,& nel ricordarfenc, & nello fpcrarfi, parer gioconde. Et per quella ragione l'accenderli d'ira porta giocondità, ÓV diletto fe- 19 co. fi come Homeronefà teftimoniaza poetizando dell'ira, qua- do dice, che l'ira moltopiù dolce del mele, cade diftillando in- 20 noi. & quello auuienc perche nelFun s'accende d'ira contra di chi polla egli (limar cofa imponibile il far vendetta: & contra di quelli ancora, i quali potiamo (limar, che molto d'autorità* & di poter ci auanzino, o non diueniamo irati, o molto meno. 21 Suole ancora alle ftellc cupidità, Se fpetialmentc fc molto vehe- menti fono, feguitare, & cógiugneriì le voluttà rpercioche dan- do cógiunto con fi fatte cupidirà,o la ricordanza d'haucr già có- feguito, & goduto quelIo,di che fiam cupidi, ola fperanza d ha- uerlo a conseguire, veniamo a fentir lieti vna certa voluttuofa di- lettatane, come vediam (per elicili pio) aunenirca quelli, ch'in- Marnati da potente fcbre,ardon di lete, peroche ricordandoti di quando han ben uro, o fperando, & difegnado d'hauer pur qual- che volta a bere, fentono in cosifatta imaginatione, piacere, Se 22 diletto. Parimente coloro, ch'ardentemente amano, ogni volta che ragionano, o ieri nono della cofa amata, o altra cofa fanno , che riguardi, o habbia per oggetto quella, fenton piacere, Se di- lettationc. conciofiacoia che tenendo eflì in tutte quelle cofe l'imaginatione, & la memoria nella cofa, ch'amano, paia loro 25 in clfcd hatierla allo (tciTblorfcnfo prefente. & per quello il più certo principio d'inditio d'amore in tutti quelli, ch'amano, (i può (limar, che fia, quando non lolo fenton diletto mentre che la cofa Jl Primo libro. fa cofa amata ftàlor prefcnte, ma ancor nell'adentia di quella» conferuandola nella memoria, l'amano, & piacer fcnton nel ri- cordarli di quella : & per confeguenreallhor fi può dir, chada- mar comincino, quando per non lhauer prefenrc s'affliggono, 14 8c molema fcntono. Oltra di quello nel mczo dei pianti, cV dei lamenti fteflì, fuol parimente vna certa voluttà mcfcolarfi: per- ciochc il dolore, & la triftezza quiui nafcc per la mancanza del- la cola, della cui perdita piangiamo, & ci lamentiamo, cornea dir della morte d'alcuna perfonacara : & il piacer nafcc dal ri- cordarci, & imaginarci la prefentia di quella, che ce la fa pa- rer quali hauer dinanzi a gli occhi, rapprefentàdocifi come pre- fenti le tali, cV le tali cole, che ella già fatte haueua,& particolar- mente ogni qualità fua, & tale in fomma a punto, quale era fat- ai ta. Onde fu ragioncuolmcnte detto, Cosi parlato hauendo, fece 16 in tutti nafecre vn defiderio di piangere . Medcfimamcnte il far vendetta contra de' fuoi nemici, ha congiunto fcco piacere, & giocondità : peroche quelle cofe, che in non confeguirfi recati moleftia, vengon, fele fi confeguifeono a parer gioconde, onde eflTendo fuor di modo molefto a quelli, che fon prefi dall'ira, il non vendicarti, vengon, non folo in far la vendetta a fentir pia- 27 cere,ma ancor nello fperarla. Il vincer parimente è cofa giocon- da, & non folo a quelli, che fon per propria condition loro, có- tcntiofi, & auidi di vittoria, & di foprauanzarc, ma a tutti gli huomini comunemente, conciofiacofa che nel vincerli venga a generare in chi vince, vn certo concetto, & vna certa imagi- natione, & opinion d'eccedere,di che tutti gli huomini,chi più, & chi manco, fon vaghi, cV in vn certo modo per natura cupidi. aS Etdaqueftoeirer cofa gioconda il vincere, nafee confeguenre* mente di ncceflìtà, che tutte quelle forti di giuochi, rechin di- letto, i quali han feco congiunta contcntiofa altercatione, emù- latione, & gara, come a dir quelli, c'hanno in fe vna certa fomi- glianza di contefa, & di pugna : & quelli parimente, ne i quali con harmonia di muficali inftromenti fi gareggia, o con difpu- 19 tatiue dubitationi, & queftiqni fi contende, peroche in cosi fat- ti giuochi accade fpefle volte, che fi vinca, la fpcranza della qual vittoria c gioconda, onde nel giuocho parimente de i dadi, del- la palla, delle tauole, degli fcacchi, & umili, fi come vna fpetie di contention vi fi truoua, così ancor piacere, & giocondità vi fi K ij gufta. 7  30 gufta. Se nei giuochi oltra.ciò più fatigofi,& ferij,& chchan piò del graue,& cÌcH'ingcnuo,il medefimo parimele adiuienc.perciò che alcuni di lor fi redon diletteuoli per 1' vfo,& per 1 allucfattion, che fi faccia in elfi , & altri dal principio per loro ideili lon gioco di ,comc fon le caccie có cani, & tutte l'altre foni di cacciare, de porre infidie, & perfecutioni a fiere: pofciache douuque fi truo- ua contcntionc, e con rialto , quiui è forza, che parimente vi Ci 3 1 porta trouar vittoria. Et per quefto il trattar liti in guidino, & le di fruì tat ioni piene di con n onci ha, portan feco piacere, & gio- condità a quelli ch'ofonafiuefatti,& confueti in eirc,o fi lenton 32 potenti, & habili a valere in quelle. Appn Ilo di quefto 1 hono- rc, & la buona reputatone, che s'habbia di noi, li dcono tra le cofe grandemente gioconde connumerare,per l'immaginai ione* & opinion, che da quefto ne viene a ciafcuno d'efier virtuofo, che gli impru* 5 j denti, & più tofto finalmente i molti, ch'i pochi : ellcndo mol- to più verifimilc, che fien per giudicare, & dire il vero qucfti ta- $6 li, che noi habbiam nominati, che i lor contrarij. perciochedi coloro, che noi in niun conto, & in nell'una ftima teniamo, co- me fon fanciulli, o fiere, o limili, poco fogliam curare, o auuer- tir per le ftcftb honore alcun, che ci facciano,o qual li voglia opi- nione, & rifpetto , chabbian di noi, dico per fe fteifo,pcrciòche può accadere, che per cagion di qualche altro interelTe,che vi fia 17 congiunto, fi tenga di tal cofa conto, &c piacer fe ne prenda. Gli amici ancora fon da clTcr pofti in numero con le cofe gioconde, effondo gioconda cofa in fe ftcftà l amare: pofeiache neflun fi ve- de eller (per ch'empio) amator del vino, che nel vino non lenta 3$ diletto. Dall'altra parte èancor cola gioconda l cHcr'amato: per- cioche, quefto ancor vien'a generar in noi immaginatone, & credenza, che in noi fia qualche virtù, & qualche bene, ch'at- tragga afe queir araorc> della qual credenza comunemente tutti gli huo- Jl V rimo libro . 77 gli huomini, che non fono infenfati, fon cupidi. cVgià fi e det- ticene 1 ellèr'amato cófifte in efTer'hauuro caro per loia cagion di 1 9 le ltello, Se non per cagion di chi ama. Oltra di quello gioconda, cola è 1 cllere limi uro in n in mi rat ione, re can do giocondi tà,& di- 40 letro 1 "e Ili-re honorato. & ladulation parimente è dolce, & gio- conda cola, Se per confeguentc gli adulatori ancora, conciolia- cofa che color, ch'adulano, tengano apparentia d ammiratori,  ò in vn altra iìcila qualità congiun- te, pare , che in quella natura tra di lor con uengano ; di qui e* , che tutte quelle cofe, che hanno in lor cofi fatto congiugnime- lo di fomigliaza,fono l'vna all'altra per il più giocóde: com a dir 1 h uomo ali h nomo, il cauallo al cauallo,i gioueni a i gioueni,& |4 limili. Onde fon nati quei triti (fi mi prouerbij, il Coerano gode di dar col Cocrano j il limile appctifee, & ama il fuo limile $ l'v- na fiera fegue,& conofee l'altra ; La (la fempre con la et Cornacchia, & altriprouerbij limili . Et perche à cia(cheduno fon gioconde quelle cofe, c'han qualche congiuntone, (omi- glianza, & conformità con elTo ,* & ciafeheduno ha cotali con- dirioni principalmente con fcco ftcflb ; ne fegue neceilàriamen- te, che tutti gli huomini ò più, ò meno > fian cari , 8c giocon- di a fc fteffi , & amatori di (emedefimi: verificandoti, & ha- uendo luogo in ciTì tutte ledette conditioni, & modi di con* ;6 giugnimento, principalmente in rifpetto di lor medefimi. & da quello cfler tutti amatori di fc fteffi, nafee ncce(fariamentc,che a tutti Jl Primo libro . 7 P a tutti parimente paion gioconde le proprie cofe loro : cornea 57 dire i propri) lor fatti, le proprie loro drationi , Se limili . Er da quefto nafee, che per il più lògliono gli huomini elTer amatori degli adulatori, & degli amanti, ò innamoracene vogliam di- j8 re; Se parimente auidi d'etfère honorati; &vehcmenti ama- 5 9 tori de i lor figli ; ellcndo i figli proprie opere loro. Medelìma- 60 mente gioconda cofa è il dar perfezione, Se por l'vhima mano aimpreie, & cole incominciate da altri, &poi lafciate imper- fette : parendo a quei che lo fanno , eh in quella guifa vengano 61 a douentar quelle tai cofe, come opere lor proprie. Oltra di quefto eflendo il regnare, ò vero il dominar , cofa giocondilTì- ma per Aia natura, vien confeguentemente ad cilèr cofa giocon dal clferhauuto per faggio, & per fapientc: pofciac'.e l eifer dotato di fapientia, ha in Ce del regio, & ticn grandapparcntia di principato: non e (fendo altro la fapientia, chefeientia, Se co gnition di molte cofe egregie, nobili, Se piene d arnmirationc. 61 Etpcrche gli nomini per il più fon cupidi d'honore; ne fegue necellariamente, che nell ammonir, Se correggere gli altri , 6} Se inoltrar loro i loro errori, fi fenta dilettatione . Appretto di quefto porta aU'huomo giocondità l'occuparli, Se confu- mare il tempo in quelle attioni, Se nello ftudio di quelle cofe, doue egli in fe ftellb fi perfuade d'eccedere, & di valer molto ; li come dice Euripide con quefte parore,Ciafcun fi vede elfer fre- quente, Se follecito, &la maggior parte del giorno alfegna, & (pende in quelle cofe, nellequali fi Itima eccellerne, & pare afe 64 ftellb di valere aliai . Medelimamente perche il giuoco, ci fol- lazzo, & ogni forte di rjpofo, Se di relallàtione, fon da porre in numero tra le cofe gioconde, &il rifo parimente; ne feguedi neceflìtà, che gioconde faranno ancor tutte le cofe fefteuoli, Se atte, Se accommodate a muouer rifo, ò huomini che le fi fieno , o in detti, ò in fatti, che le confiftano . Ma de i ridicoli fi è trat- tato, & detcrminato appartatamente come in p.opno luogo, *S nei Libri della Poetica. Et tanto balli hauer-dìn qui detto delle cofe gioconde, delle noiofe,dolorofe, Se moleftc poi, fi potrà 66 facilmente da i contrarij di queftehauer notitia . Tali adunque quali habbiam dette, fon le cofe, per cagion delle quali foghont gli huomini offendere , Se fare ingiuria'. / o tDella r R(torica dlArì8otele^> (apo 12. Quali Jogliono ejftr quelli , che vo- lentieri fanno ingiuria , quelli , cantra de i quali fi voglia farcs . Eguita al preferite , che noi diciamo , qualmente iicn difpolli , & condmonati quelli , che fanno ingiurie, Se conerà qual forte, Se condition d hiio mini fi foghan fare . Quanto dunque a quei , che le fanno, allhor primieramente s'inducono gli huomini a fare ingiuria , quando penfan, che la colà in felia poffibile, & a loro (ledi , che la machinano , poiTibile a tiu- icire. Se parimente s'eglino (limano, ò fperano, eh il fatto rubbia da palla re occulto; ò quando pur venga a luce, non n'habbian da eiTer puniti, Se da patir pena ; ò fe pur n habbian d'hauer punitione , ila per ciTer nondimen la pena , e'1 galli go minor del guadagno, Se del commodo, che dalla fatta ingiuria fiaper venirne, òa loro fletti, òa perfone, che fian lor care. Se delle quali ad elTe lìnterelio, Se la cura tocchi . Quai fian poi le cofe, che poflbno apparir poffi bili, Se quali impolTib.li, li dirà, Se fi dichiarerà, & saflegneran di poi al fuo proprio luo go, per ciTcr quella, vna delle cole communi a tutte le parti, & generi di quell'arte della Retorica . Hor quanto a quelli, che fian per confidare, Se (cimar di potere ingiuriando palTare , im- puniti , Se fchiuarei! gaftigo ; tali principalmente fon quelli, che fon potenti nel dire , &cono(con di valer aliai con la loro eloquenza. & quelli parimente, che fono atriui , & piatichi nelle attioni del mondo, & elperimcntati nelle liti, Se nelleagi- tationi delle caufe, Se delle controuerfie ellercirati . Et tali an- cor faranno fe molti amici, & la grafia di molti haranno.& fc fa- ranno abbondanti di ricchezze. Et quella confidenza auuerrà lor principalmenrc, fe conofeerano , che le dette condiriom, fi truouino in elfi proprij : Se quando in lor non fiano, almen che le fiano in amici loro , ò in miniilri loro , ò in compagni nelle ingiurie, che fian per fare. Tuttequellc condiriom adunque polTon recare a gli huomini poflìbilirà di fare, Se di celar i ingiù jia, Se di fchiuar, quando la non fi celi, il gaftigo, & la punì rio- ne. Se Jl Primo libro . & i % ne. Se il medefimo potranno fperare ancora, fe faranno amici a gli ftcflì ingiuriati, o a i giudici, dinanzi a i quali habbiadapen- 5 der la cauta loro, percioche gli amici non fi guardando, Se non fofpettando, fi rendon come men cauti, più facili ad effere ingin riati. Se oltra ciò fi può fpcrar, che per clFeramici, fiano per vo- ler terminarla cauli dellla ricciiuta ingiuria, più rollo per via di 10 riconciliatione, che per viad'accufa, Se digiuditio. Se quanta a i giudici fi dee credere, ch'eflendo lor amici, ccrchcran di gra- tificar fi loro in tutto quel, chepoflono, Se per confcgucntc la- ranno, o totalmente per liberargli, & lalciargli impuniti, o al- 1 1 men per dar piccolo, Se leggicr gaftigo . Quanto poi al con- fidar di poter relhr'occulto, Se ignoto l'auttor dell'ingiuria* quelli primicramcntcpollono ciò fperare, i quali aquella for- te d'ingiuria, che fanno, pollbn parere inhabili , Se poco pro- portionati, & tali, che da elfi afpcttar non fi douclic mai. come faria (per ch'empio) ch vna pedona inferma, Se di dcbol forza, fi fuflc pofta a dar delle battiture, o delle ferite ad vno, che molto più gagliardo fufle : ouer eh' vno, chefuilc pouero di robba, o brutto della perfona, hauelTc commetto adulterio con bella, & il nobildonna. Pongono ancora Ilare occulte le ingiurie, & i delit- ti, quando accafean farli intorno a cofe, che molto alla libera, Se alla lcoperta efpofte dinanzi a gli occhi di tutti ftano . perciòche per non crederli, ch'alcun mai ardilfe di por le mani in elTè, fon 13 per quello con minor cura,& diligentia cuftodite. Et il medefi- mo ancor lì può dire, quando le cole fulferdi tanta grandezza, Se quantità, & di tal qualità, che non lì douelTefofpicar mai, che in animo d'alcun cadclfe intention di commetter delitto in elle, Se non fi fapelTe, ch'alcun l'haiieHe in fimtl cofa comincilo mai. nel qual cafo non è dubio,che tai cofenon veniilero ad eller manco 14 guardate,^ molto alla fecurarcnute. conciofiacola che tutti gli huomini comunemente, fi còme di quelle forti d'infirmità te- mono, Se da ciré fi guardano, che foglion frequentemente acca- fcare,& di quelle perii contrario non rengon cura,lequali non fi sà, ch'ad alcun fiano accadute, così parimente da quelle forti d'ingiurie, Se d ofTefc, fi rcndon cauti, & con diligentia procu- ran di cuftodirfi, che per il più fi foglion fare,& più vfirate fono, Se a quelle, che nelfuno è c habbia commclfo mai, non tengon i; l'occhio. Mcdcfimamente s inducon'a fare ingiuria con la fpc- L ranza 82 T>ella lirica d* Jlrtttotelz^j panna di rcftare occulti, coloro,i quali non hanno alcun nemico, 16 & color parimene che molti nemici tengono; percioche gli vniprendon confidentiadi pacare occulti, come quelli, che nó temon d ellerc olTeruati, 6c in fofpetto hauuti : & gli altri, cioè quelli, c'han molti nemici, (limano ancoreflì di re Ita re afcod,& di non ditienir palelì : per nó parer verifimile, eh clfendo lofpet- ti , & del continuo olleruati, fi mettano a far Tintinna quali 17 eh alla feoperta. oltra chcpolfon difegnar d'hauer poi quella di- fendone in dire, che tapédo d'elfere hauuti in fofpetto, & che fa- cilmente li farebbe attribuita la cofa a loro, non lì farebber mai 1 8 melTi a tentar vi! fatto tale. Tengono ancora, in vn certo modo confidenza di non elfer difeopcrti autori dell'ingiuria coloro , c hanno occadonc, & coramoduà d afconderil fatto, & a cuinó i manca ccmpo,o luogo,o altro modo, óc via di reftar'occulti . Si foghon mededmamente indurre a fare ingiuria coloro, li quali non riufeendo loro di celarci delitto, pollòno al meno fperar di fchiuare, ck di tor via da fe,che la cauta vada in giudicio, o vera- mente di poter prolungarla, & inandarla molto tempo in lun- 10 go, ouer finalmente di poter corromper i giudici. Etilmedcd- mo fi dee (cimar di quelli, i quali fapendo, che fc punition farà pur data loro, quella harà da eder' in danari, polforVconfidarc, o di liberarfcne, 6c redime alioluri, o di molto differire, & roan^ dare il pagamento in lunga, o Veramente in tanta pouertà (i veg- ai gono, che nulla da retato lor più, che perdere. Difpodrion pa- rimente atta a ingiuriare, fi dee itimarc elfcre in coloro, ai quali per Ungi uria che fanno, iìa per venire il guadagno, c'1 commo- do o certo, o grande, o propinquo» Óc il gaftigo per il contrario,- o piccolo, o cìubiofo, & incerto, o lontano, cioè con djlarion di. 11 tempo. & maggiormente aucrrà qucfto fela punitione, ci ga*« (ìigo, tiicna mai per venitnev quanto (i voglia grande clic liaja- rà (empre minor dcll'ttile, & del còmodo» che iìa per recar 1 in-. 13 giuria, come par chegli adiuenga nella Tirannide. Soglion'aa-s cor'wdurlì a fare ingiuria quelli, a cui per 1 ingiuria, che fian per fare, dd per venite vtile, & guadagno, & il galhgo, che ne polla- no haucrc, altro non damper importare, che .infardi » oc* ignomu , 24 ma fola; & quelli per il contrario ancora, i quali veggono, che dall' ingiuria, che facciano» da lor per multar lode, honore, &. riputatone, comcauucrria (per cecropio) le con l'ingiuria fuilc congiunto fi Primo libro • 8 $ congiunto il vendicarli deH'orFcfe fatte al padre, o alla madre, (i coro auuenne a Zenonc;& dall'altro canto la punitione, che fia per fcguimc, habbia da cller o di danari, o d efilio , o d altra t$ colatale, percioche gli vni, & gli altri di coftoro , & nell'vno, ffc òc nell'altro dei due detti contrari) modi difpofti, logliono in- durli a fare ingiuria; ma non nelle m ed edm e pedone , & nella medelìma forte d'huomini ; ma più torto in perfone di coftu- mi , cV di qualità contrarie, haran luogo i due detti contrarij z6 effetti. S'inducon parimente, & s'all'cairano a fare ingiuria co loro, che hauendo molt altrcvolte ingiuriato, o non iono (lari difeoperti, ne conolciuti mai, o non n hanno hauuto gartigo, ti 17 né punitione alcuna . 8c color medefimamenrc , i quali hauen- do molte volte tentato di farl'ingiuria,non è mai luccelfà lor la cofa felicemente, percioche fi trouano alcuni, ch'in querto fat- to dell ingiuriare , foglion far, come farfi fuol nelle cofe della- guerra, doue (e ben più volte fi e riccuuto danno nella batta- gliaci ritorna nondimcn con nuoua fperanza a tentare altra voi 18 ta il fatto d'arme. Et coloro ancora agcuolmentc fi difpongo- no a fare ingiuria, a cui dal farla il piacere , c i diletto ne feguc alhorain fatto ; & la moleftia, chen'habbia loro a venire, fia per fegu ir molto doppo: o veramente il guadagno fia per eilèr pretto, Se prefente, & la punition neirauucnir molto tarda . & coli fattamente difpoftì fono gli incontinenti: potendo l'incon- tincntia hauer luogo intorno a tutte quelle cole, che fon fotto- 19 pofte ali humano appetito . Et per il contrario dall'altra parte poi, fogliono indurli a fare ingiuria coloro,a i quali la moleftia, o la pena, che fia per feguirne loro, fia percllcr prefente , & per pall'ar tofto ; 6c il guadagno, e 1 diletto fian, per fucceder dop- po, & per durare aliai, pcrochc li continenti, 6c i prudenti, co- 30 li fatti, Se in quella guila difpofti appaiono. Quelli ancora a ingiuriar volunricr li recano, i quali fi perfuadon di poter parer poi d hauerlo fatto ò a cafo, o sforzati da ncceflità,ò pei impe- to di natura, o per confuetudine, & d'hauerlo fatto in lomma 3 1 più torto per errore, che per mahtia, Se per far ingiù ria . Et quel li parimente , che confidan d'ottener , che la caula habbia ad e(- fcre in giuditio trattata più tofto con difereta equità, che con ri31 gorofa gi urti ria . Et quelli medefimamentc, i quali fon bilo- 3 3 gnofi . ma di due maniere bifognofi fi foglion rrouare gli huo- L ij mini Della r R^tprìca d * Ariti otelt^j mini , conciofiacofa che portano efler bifognofì, ò delle cofe ftelTe neceilarie , come fono i poueri, o mendici, chevogliam dire ,* o veramenre delle cofe fuperflue , Se foprabondanti , & 14 quefti fono i ricchi. Due altre forti ancora.dhuomini tradilor contrarie, polTon facilmente difporfi a fare ingiuria : cioc quel- li, che fon tenuti, communcmcntc in buoniflima opinione , Se di chiara fama : Se quelli per il contrario, che fono in mal con- cetto d ognvno ,& quali tenuti infami . gli vni per checonfi- don, che nelTun fia mai per attribuir quel fatto a loro; & quefti altri perche non e reftato lor punto di buona fama, o di buona }f opinion da perdere. Nella maniera dunque, chabbiatn detto, fon difpofti,& qualificati quelli, che foglion tentare, & met- terli a fare ingiuria . contra di color poi la fmno , che tali fono , & tali qualità, & condition ritengono, quali noi hora diremo. 1 6 Primieramente adunque fogliono elfere ingiuriati quelli, c'han no,o pofleggon quelle cole , di cui han defidcrio , & bifogno quei, che gli ingiuriano : o riguardi cotal bilogno le cofe nc- certaricaUa vita, o le fuperflue, Se foprabbondanti, o il godimc- |7 mento delle dclitiofe, Se voluttuofe . Faffi oltraquefto ingiuria a quei, che fon di lontan paefe ; Se a qucHi, che ci fon d'appref- fo . peroche le cofe di quefti fono in> pronto , & facili ad ctter prettamente tolte, &ariceuere fpeditamentc offefa. & quanto a quelli, fi può creder, che la vendetta, Se la punition, che ce ne lia per venire , fia per efter tarda , & per andare in lunga : come vediamo auuenirein coloro, che predando, fan danno ai Carta 3% ginefi. Sono ancor efpofti alle ingiurie quelli, che non fon cau ti in guardar/i, ne diligenti nel cuftodirfi ,• ma liberi,& femplici fono, Se facili a creder ciò ch'è detto loro : perciochc cotal forte d'h uomini facil cofa c d'offènder copertamente, Se celatamcnte. $9 Parimente vi fono efpofti i pufillanimi, Se quei, che tono in vna certa vile, Se negligente inertia inuolti. peroche eftendo cofa da folleciti, Se da diligenti il chiamare, Se agitar caufe in giuditio ; non fi hà da temere, che coftoro, com'amici dell'odo, lo faccia* 4° no . Son atti ancora ad erter offefe le perfone di natura verecon- de, Se gelofe dell honor loro : perciochc di coli fatta folte d huo mini, non foglion volontier volere eflcrvifti contender in giudi- 41 tiopercontodiguadagnOjodirobba. Mede/Imamente fono in pericol deflcre ingiuriati coloro, li quali hajiendo da molti rice- uuta Jl Primo libro ; ; Sf unto altre Tolte ingiuria, non han mai per alcuna via tentato di tifencirfene . onde vengon ad clter quelli tali, (fecondo che (1 42 fuol dir inprouerbio) preda dei Mifij . Sogliono ancora gli huoraini indurfi ageuolmentc a ingiuriar cofi quelli , à cui non hanno mai altra volta fatta ingiuria, come ancor quelli, che fo- 43 no flati da loro molte altre volte ingiuriati, conciofiacofa che coli gli vni , come gli altri fiano incauti, Se negligenti nel guar- dacene : gli vni per che non elfendo flati altra volta da coloro ofte(i,fe ne ftan lecuri fcnzafofpctto alcuno : & gli altri per che fumando lor fatij dell'altre ingiurie fatte, non temon, che fian, 44 per farne più. In pericolo ancoi d'cllere ingiuriati fi truouan quelli, che fon communemente in mala opinione, & in mala fa- ma, & atti per la lor malavita ad elici lor facilmente trottate cu 45 lumnie, o delitti addolìo . peraoche coli fatti huomini non fi rcchcrebbcno a voler chiamare in giuditio alcuno, perla tema c'harebber di rauuolgerfi d'intorno a Giudici . & quando pur lo facclTero non pcrfuaderebber,nc farebbe datafede,ò orecchio alle lor parole. Et il medefimo fi può fumare ancor di quelli , 46 che ò odiati, o inuidiati communemente fono. Ci fogliamo la- feiare ancor facilmente indurre a ingiuriar coloro, nei quali ci fi porge occafionc di feufare, & colorire il fatto, per haucr già o eglino fteflì, ò i loranteccffoti, o gli amici loto, offefo, o ten- tato, & fatto opra d offendere o noi (tedi, o alcun de i noftri prò genitori, o perfona in fomma,il cui interefTe,& la cui falutc ap- partenelle, & toccaife a noi . perche ( come fi fuol di re inpro- 47 uerbio ) fola la malitia ha mellier di feufa . Appretto di quello ci lafcian facilmente tirare a offender coloro , che ci tengon per amici : & quei parimente , che noi habbiam per nemici : con- ciofiacofa che contra quelli ci fi renda l imprefa facile; & con- 48 tra quefti ci fi renda dolce , & piena di diletto . Sono efpofti ancora alle ingiurie quelli , chefonpriui damici in tutto; & quelli non manco ancora, i quali non han potentia,o valo- re alcuno» ne in dir , ne in fare peroche quefti tali , o non fi rifentono, ne accula, o querela in giuditio pongono o per via di nconciliation la terminano; ofeguendo pur la cauta, 45 reità lor finalmente imperfetta, cV rielce vana . Quelli an- cora par, che dieno altrui animo di far loro ingiuria ; a i quali non è vtile,nè mette conto di confumar tempo in afpettarjch'o in gir*- g 6 \Deua \R$tortca d Aristotele^ in giuditio la caufa fi termini, o che con I'efecution della giudi- cata pena, fia lor ricompenfato , & fodis fatto il danno. & tali fon (per elfcmpio) i fore(tieri,& quelli, che fi guadagnano il vit to di giorno in giorno con le lor mani . pcrochc quefte tai (orti di pedone, per pocacofa, che (la data loro, rimetton Tingi arie,: $o &c facili li rendono a comporre, o abbandonar le caule . Soglia- mo ancor facilmente lafciarci indurre a ingiuriar coloro» c han fatto ancora elfi molte ingiurie ad altri,o le non molte,n'hanno fatte almen di quella (teda force, che da noi riccuono : p o( el i- che quàdo alcun rimane orTelo di quella (tclla orTefa,ch'eeli hab bia fatta ad altri, par che l'ingiuria, eli ci riceue,s appretti quali a poter non elfer chiamata, o (limata ingiuria, vò dir (per elTcm pio) come fe fu ile alcuno, che riceueitè fcherno,& contumelia» 51 eflendo (olito di farne ad altri . Et il medclimo ci auuicn con- traquelli, i quali in altro tempo han fatto danno, o mal t rat ra- ta mento a noi, o l'hanno voluto fare; over lo voglian fare ai prelente, o hanno in animo, & fi preparan di farlo ncll auueni- re:perocheil nuocere , & l'offender loro , in tal cafo , ha infc molto del giocondo, & deirhonefto ancora , & s a pprcll a quafì 51 il non clìer veramente ingiuria. Sogliamo anche noneilerc alieni da ingiuriar coloro, nell'ingiuria dei quali, vediamo di far cofa grata, o ad amici no 11 ri , òa perfone da noi ammirate , & tcnutein conto , ò a perfone, di cui lìamo innamorati, 6c d a more accefi ; o ad alcuni, che ci lìan padroni, & habbiano auto rità fopra di noi j ò a perfone in fomiti a, da cui in qual fi voglia 53 modo dipendala vita noftra . Et ci aifecuriam parimente a offen der quelli , la manfueta, &: modella natura de 1 quali ci dia lpc-> 54 ranza, che lìan facilmente per rimetter l'ingiuria . & quelli pa- rimente, i quali habbiamo già prima calumniari di qualche de- litro,* & quelli ol tra ciò, dalla cui ftrettaamicitia,fcopcrtamen« o non apparire -, Se co- ti fatte lon quelle, che pre fta mente lilograno, & ti confumano ; come fon (per cllempio) le cofe da mangiare; & quelle ancora , le quali fon arre a facilmente vari u Ci , éc parer diuerfe per can* giamenro , o di figura, o di forma , o di colore, o di miftura , $c 61 temperamento. 6V quelle medehmamente, che con gran com> modità fi poflono in quella, o in quel luogo afeondere,  ofe fu Uè fatta vnalìmil bruttezza di violcntia nella perfona di noi fteffi, o dei 64 figliuoli, ò d altra perfona, che ci atten elle. Et da quella ma- niera d'ingiurie ancora ageuolmente non ci atterremo, delle quali , fe colui, che le riceue lì qucrelallè , & accula ne mouef. fein giuditio, filile per etTere in ciò ltimato troppo litigiofo , Se troppo amico di conrefe , & di controuerfìe . Et coli fatte in- giurie fon quelle, che come leggieri, poco imporrano, & di po- co momento fono ; & quelle parimente, cbeloglion perii più 6$ riceucrefcula, òc meritar perdono. Quelle dunque, che noi habbiam dette, fon (lì può dir) r iute quelle cole, clioccorreua di dire SS T>ella "Retorica d'AriUotelt^ di dire per far conofeer qualmente conditionati, & difpofti, fo- gliano cfter quelli, che fanno ingiurie; & intorno a quai cofe, & contra di quai perfone, & per quai cagioni finalmente le fo- glian fare. (apo rj. Quali anioni fi debbiati dir 'vera- mente giufte, ò ingiu/le, o 'ver giuflamente, b ingiuftamente fatte . £f delt Equità , don- de la nafia , ^ in che differì fca dal rigor delle leggi . £tf alcuni luoghi da conojcerla . Egve al prefente che di fti tigniamo, & dichiaria- mo quali fian le cole giufte, & le in giù Ite, cioè le guittamente, & le ingiuftamente fatte: & prende remo il principio primieramente di qui. Le co- le giufte, & le ingiufte pendon nella lor di ftin- rione, 6c determinatione da due forti di leggi, Se da due ma in c- | redi perfone .& quanto alle leggi, alcune dico efter proprie, 4 &c altre communi . Propria intendo efler quella, che ciafchcdu- na Città o nationca fc ftelfà particolarmente appropria, & de- termina . & di quefte leggi proprie , alcune fcrittc non fono, 6c 5 altre fono fciitte. Le leggi communi poi fon quelle, cheion nfcll huomo impreflc dalla natura . conciofiacofa che vna certa forte di giufto, & d'ingiufto fi truoui al mondo, il quale, quan- tunque neiruna communicanza, òconlènlo dhuomini habbia con alcun patto , o condition, conuenuto , o concorfo in elio ; nondimeno tutti gli huomini, con vn certo con(en(o di natura, 6 conuengono in conofcerlo , & in approuarlo : lì come molti a d intendere Antigona appreflb di Sofocle ; quando arìcrroa ef- fer cofa giuda il dare a Polinice fepoltura, ancor che dal Re prò lubita, & vietata fufle : elTendo il far queftacofa, giufto per leg- ge, non d huomo, ma di natura . dice ella dunque ; non è nata, nè introdotta quefta fortedi giufto, ne oggi, nèhieri,ma (em- prc è egli flato, 6c ha vilìuto femprc , & neflun potè mai faper 7 quando gli hauefle origine . Et di qucfto mcdefimo giufto in- tende Jl Primo libro . S p tende Empedocle, quando parlando del non elfcr ben fatto l'vc- cidere, & priuar d'anima le cofe animate, dice, chetai cofa, non appretto d'alcuni è giufta, Se appretto d'altri non giufta, ma c in- trodotta, & dettata da vna legge, che a tutte le genti è commu- ne, & per l'immenfo cielo fi diffonde, Se per l'acre ampio Se fpa- S tiofo u ftende . Et Alcidamante ancor, accenna, & adduce il me defirno nella fua oratione infcritta, Se intitolata Meilcniaca. 9 Quanto poi alla diftintione per caufa di perfone, due parti Bàri* mente ha la determination dell cofe giuftamentc, o ingiuftamen- tc fatte . percioche nelle cofe, che dee fare , o non dee fare l'huo mo, o s'ha refpetto a tutta vna Città, o natione, o altra commu- nicanza d'huomini, confidcrati in commun tutti infieme : ò ver s'ha rifpetto a quella, o a quella perfona particolare di quella có- 10 municanza . Se pcrconfeguente in due modi potton confiderar- fi, Se detcrminarfi le cofe, che dir fi pottono o giuftamente,o in- giuftamente fatte: comequelle,che o riguardano alcuna deter- minata particolar perfona; over tuttala Città communemente. percioche colui, che commette vn adulterio, o percuote,& bat- te ingiuriofamentc alcuno ; vien folo, a fare ingiuria , Se a com- metter cofa contra di determinata particolar perfona. ma s ei re- cufa di prender le armi per (aluezza della Città fua, tutta la città 11 conlcgucntementc riguarda cofi fatta offefa. Eflendo dunque in due forti, Se in due maniere diftinre tutte le ingiurie, Se tutte le cofe, che ingiuftamente fi fanno ; riguardando alcune d'ette il communc interefTedi tutto'l corpo della republica; Scaltre il pri nato di vna, odi più priuate perionein particolare; feguirem di dir quei, che reità, fc prima diffiniremo ,Se dichiareremo che 1 1 cofa fia, Se in che confifta il riceuere, Se patire ingiuria . Il pati- re, Se riceuer ingiuria adunque non e altro che patir cofe ingiu- fte da perfone, che fpon rancamente, & volontariamente le fac- ciano : hauendo noi già di fopradiffinitoefier cofa fpontanea,& 13 volontaria il fare ingiuria. Et perche necettariamen te colui, che paté, Se riceue ingiuria, viene a riceuer lefione, Se danno, & ciò 1 4 cótra 1 voler fuo proprio ; potrà facilmente per le cofe, che fi fop. dette di fopra etter manifcfto in che confifta il danno, & quali co fe fi polTan domandar dannofe : hauendo noi già prima diftinta mente attignatele cofe che fon beni , Se quelle, che fon mali . Se parimente habbiam dichiarato quaifianle cofe fpontancamen- M te fatte, p o 'Della 'Retorica d * Arili 1 ottica te farre, determinando elTer quelle , che conofeentemente fi fan- i f no . Da tutto qucfto adunque ncceiTariamente fegue, che tutte le colpe, & tu tei li delitti, che fi fanno, ò riguardino tutta la rc- publica communemente, over quella , & quella pedona pri- uatamentc : Se oltra di quello o fon fatte non conofeendo, & non volendo, o ver per il contrario volendo, Se conofeen- 16 do. & quello in due modi può auuemre , cioè o con demo- ne deliberatamente over per impulfo di qualche affetto, Se paf- 17 fion dell'anima . Ma quanto a coli fatti impilili, lì darà noti- 1 8 tia d elfi quando poi de gli affetti tratteremo . Se quanto all'elee- tionc, già di fopra habbiam noi dichiarato prima, quali fian le cofe, che con deliberata elettion lì fanno; Se come fatti color, chele fanno, Se qualmenre difpofti fiano. Ma perche molte voi te accade, che fi conceda, Se fi confeflfì il fatto,ma non fi confen- ta, ne fi conuenga già nel nome del fatto, fecondo'l fitolo,chegli da l'accufatore, o ver nel lignificato intefo da chi are u fi, nel det- to titolo, Se nel detto nome : come le (per effètti pio ) concede/li- mo hauer tolto, ma non già furato ; ellere dati i primi ad haucr dato delle battiture, o delle ferite, ma non già hauer fatto fopr'v- fo, o contumelia ; hatiere ha miro commertio venereo con la tal donna, ma non hauer commtiTb adulterio ; hauer furato, ma no commelfo facnlcgio , non eltèndo cola facra , Se che il culto di- uin riguardi quello, che tolro habbiamo ,• hauer coltiuato terre» che non fien nollrc, ma non Liner per quello fatta ingiuria al pti blico ; elTere (lati a parlamento co 1 nemici, ma non hauer fatta 10 tradimento : di qui è die fa di bilojmo di faper dirrinire , Se di- ftmramenredplicartutre aderte co(è>& quel, ch'i mportino i no- mi loro : com a dir che cola in furto , che cofa fia contumelia , che cofa fia adulterio; accioche volendo noi inoltrar, eh e tai col* pc , Se tai delitti fi truouino,o non fi truonino nella perfona di cui fi tratta ; potiamo con la detta nonna hauer fàcultà di far ncllvna cofa , Se nell'altra , fecondo che più ci piace, apparire il 11 guitto, percioche in tutte le dette con rrouerfie, nei porri cfTèm- pwallegate, Se in tutte le altre limili, conlifte il pnnro della que- ftione, Se della contronerfia, in veder feil fatto fia ingiù (lo, Se li iniquo, o ver fc fia non ingìuflo : efiendo ringiultitia,& l'iniqui 15 tà fondata nell'eledone.: &" demone importano, Se dimoftrano tutti quelli già detti nomi ; come adir la contumelia, il furto, & Jl Primo libro . p / i4 gli altri . conciocofa che in hauer noi batruro,o percoffb alcuno, non per quello fi può vn tal fatto veramente chiamar contume- lia , ma (blamente fc à tal fine , ò con tal intention 1 habbiam fatto ; com'a dir fe habbiam voluto in far quello far a lui contu- 1 c melia, o ver recar piacere, & diletto a noi . ne parimente fi può in tutto dir, c habbia furato colui, che di nafcoflo qualche cofa habbia tolto ; ma (olamente quando habbia fatto qucfto , o con animo, & intention di far danno all'altro, o d'appropriar la co- fa furata a fe fteflb. & il medcftmo fi può parimente allegare , Se difeorrer nelle altre cofe c'habbiam difeorfe , & allegate di que- 16 ile. Horeifendo due forti, o ver due fpetie di cofe giufte, Cv in- giufte, fecondo c'habbiam veduto, l'vnc feri tte, &c l'ai tre non foriere ; quanto a qucllc,chefotto a fcritte, & promulgate leggi fi ftan determinare, habbiam d'elle già detto, quanto occorreua. ty Di quelle poi , che non fcritte fono, due parimente forti, ò vero fpetie fi truouano. alcune fono,che fon porte in vn certo eccello, ouer foprabbondantiadi virtù, odi vitio : de han luogo princi- palmente in erti- i vituperi;, & lelodi, l'ignominia, cV gli hono- 1$ ri, 6cipremij ancora. & cosi fatte cofe fon, com'a dir (peref- fempio) l'clfer d'animo grato de i beneficij, che fi riceuono, il ri- compenfare i riccuuti, con altri beneficij ; l'eller pronto, difpo- ap ilo, cV parato ad aiutar eli amici, & altre cofe cosi fatte. Alcune altre fon poi, lequali altro non fono, eh vn certo fupplimcnto del difetto delle proprie leggi fcritte : conciofiacofà che le cofe , 50 che fon d'equità,parimentegiuitemmar fi debbiano: nóefiendo altro l'equità, fe non quella parte del giuflo, che non e fiata có- prefa dalla legge fcritta, ma è dita dal legiflator lafciata fuora di j 1 quella. Et quello in due modi può, & fuole accafcarc. percioche alle volte lo fanno i Legiflatori non volendo; & alle volte volen- $ 1 do. non volendo accade quando eglino non fc n'accorgono, ne 53 l'auuereifcono. ma volendo occorre quando elfi conofeon non cflcrlor poflìbile di comprendere, & di determinar nella lcg- 3 4 ge, che formano, ogni particolare occorribil cafo. & per quello fi lafcian tirar dalla neceffitàapor la legge in vniuerfale, quan- tunque nelle cofe da lei comprefe, non fempre quell vniuerfàli- rà, ma per la maggior parte, & per il più, debba hauer luogo. $j Accade ancora alle volte quello mcdehmo,non fol per l'impoffi- bili tà,com' habbiam detto, ma ancor per la gran dimcultà, che fi M ij rruoua p 2 'Della r Rgtprìca d'Arìttotelt^ truoua in determinare nella legge tutti li poflìbil cali, cflendo e£ fi, ii può dire infiniti : come (per eflempio) fc nel prohibìr'il fe- rir con ferro, s'hauellè a determinar di che quantità, Se di che qualità shabbia da intendere il detto ferro : percioche prima man carebbe l'età d'vn'huomo, che egli potette tutte le varietà d'elfo ferro accogliete, Se numerare. Se pcrquefto cflendo tal cofadifficiliffima a determinare, &douendon pur farli legge, chela prohibifea, e forza che non determinatamente, ma lem- fé pliccmente fi faccia, & in vniuerfale. Laonde fc cafo auuerrà, ch'alcun'hauendo in dito vn'anello di ferro, & alzando con im- peto la mano percuota chi fi Cìsl con quell'anello; in tal cafo fe- condo la forza della legge fcritta, farà co Qui obligato alla pena , che fi contiene in ella, come ch'ingiuria habbia ratto. & nondi- meno fecondo la verità non hà fatta ingiuria, nè cofa ingiufta. 57 & quello è quello, ch'equità fi domanda. Eifendo dunque l'c- 38 quitàqueiìaj che noi habbiam detto, ageuolmcnte fi potrà hor far manifeflo quali fian quelle cofe, che contengono, o non cu- tengono equità, & quali fiano gli huomini,chc non la poifeggo- no, Se dir per quello fi pofion non ragioncuoli. Percioche quel- le cofe primieramente lì pollono (limar ricercar equità, le quali» Ce ben par che in efle fi truoui fallo, & errore, meriran nondime- 40 no fcula, Se perdono. Equità ancor fi douerà ltimare il n5 giu- dicar dvguale importantia, Se degni d'vgual gaftigo i falli, che fi fan per errore, & quelli, chefi fanno con ingiulìitia, & per fare ingiuria : Se il non por parimente in grado vguale quei, che per error fi fanno, con gli infortunij, che carnalmente per contraria 41 fortuna accalcano. & infortunij, ouer fortuiti falli s'intendono efler quelli, che fuor d'intentionc,& di confideration di chi gli 41 fi, fon fatti fenza vi tio, o malitia alcuna. Quei falli poi, chefi fan per errore, Ce ben non adiuengono fenza intentione, o con- fideration di chi gli fà, nondimeno ancora effi non davitio, o 4J da malitia vengono, ma in quei, che veramente ingiurie fono, Se Ceco ingiuftitia tengono, non fol concorre in tcn none, Se con- fidcratione di chi gli fa, ma ancor da malitia, & da iniquità de- riuano : peroche da vitio, Se da malitia procedono i falli, che da 44 impeto di cupidità, o di fi mi l'affetto nafeono. Oltra di quello, equità fi dee ftimar, che fia, l'hauer femprc confideratione ne gli errori, che fa l'huomo, alla fragil natura h umana, Se a quelli dar 1 volon- jfl Primo libro . $ 3 4j volontier perdono. & il non haucr principalmente rifpetto, de 4 'Della r R^tprìca d % Arìttotel^J (apo 14.. 'Dell 1 ingiurie fotte in paragone , & comparation fra di loro ; quali fian maggio- ri, rjuai minori : £f alcuni luoghi da co- nojcer quctto . 1 Ngivrie maggior! s'han da (limare,e(Ter qucl- 2 h?j9 tsSI che da maggiore ingnilliti.! procedono : per IrSki K?$J 4 UC ^° g r andiflìrnc vengono ad eiler quelle , ch'in | t^jr y^J j P» cco ^^ ma cofa confiftono . fi come Caliiftrato in accufarMelampo aggrauaua l'accufa con dire , che della facra pecunia desinata alla fabrica dei Tempio, haucf- fe egli di tre mezi oboli, fraudato color, che la cura dell'edificio 4 haueuano. Ma nella giù ftitia, &c nelle cofe,che fi fanno fecondo quella, il contrario a punto adiuiene . Son dunque grauiflìme così fatte piccoli (lime ingiurie per l'eccedo, de grandezza, che tengon nella forza, virtù, 6c pollanzaloro : pofeiache colui, che fi pone a furar tre mezi oboli al culro diuino confecrati, molto più fi può (limar, choccorrcdo, ingiù Ilo farebbe in cofa di mag- c gior momento. In quella maniera adunque chabbiam detto, li può (limare, & ponderare alle volte la grandezza della maggior* l ingiuria. In altra maniera (ì può itimarancora in ponderarla,^ 7 giudicarla fecondo la grandezza del danno, che ne rifui ti. Mag- giore è ancora l'ingiuria quando non par, chepunirione, & ga- ftigo fe le polla trouar vguale , ma ogni pena Ga minor di quello, 8 che fc le conuenga . Et parimente maggiore è quando il danno, che la reca, mal li può medicare, o con remedio alcun rifarcirc : elTcndo cofa grandemente acerba, & morella il mal'impofllbilca f rimediarli. Mcdefimamenre maggior fi rende l'ingiuria quando a colui, che la riccuc, vicn tolta la poffibilità di fodisfarlì , in ve- der che gaftigo, o vendetta ne venga all'autor di quella, percio- che viene in quella maniera a rcflar l'ingiuria fenza medicina, o rimedio : cflendo la vendctta,& la punition dell'ingiuria, vn ccr lo to medicamento, 8c refarci mento di quella. Si dee (limare an- cor l'ingiuria maggiore, quando colui, eh e ingiuriato, Se che pa te, Se riceuc l'offcia, fente cofi infopportabilmente il danno, o la vergogna, eh 'ci riceuc ; ch'impaciente a tollerarla , riuolge il do- lor Ji Primo libro . pj lorcòntra fc {teflb, & contra di fe proprio rliuien crudele . nel qual cafo non è dubio che di molto maggior pena , & punirion li non fia degno colui, che l'ingiuria fece; comallegaua Sofocle, perciochc fauorendo egli in giuditio la caufa d Euttemone , il qual non hauendo potuto tollerar hgnominia della riceuuta ingiuria, s'era da le Ite ilo vccifo ; dille non parergli punto da ih- mar manco, & ili men gaitigo degna la contumelia di quell'in- giuria, che colui proprio, che riceuuta 1 haueua,rhaueileapprez li zata, & (limata conerà di le medefimo. Maggior parimente di- uien l'ingiuria, le colui, che 1 hà fatta larà (lato lolo, oil primo,o 13 con pochi a farla . Et l'hauerc oltra ciò più volte commeiro lo fteiro delitto, Se la lidia ingiuria, le reca grandezza,& ampliano 14 non piccola. Maggiori medclimamente il deono (limar quelle ingiurie, òcquei delitti, percagion dei quali (1 (ìcn per rimediar gli, & vietargli, inueftigatc, & trouatc nuouc forti di (uppluij, Se Ij di pene . fi come vediamo, che in Argo hanno ordinato propria pena a punir colui, il qual con fuo delitto dia cagione di trouar nuoua legge, o d cdificar'nuouo carcere, o di trouar tormento 16 nuouo. Quei delitti ancora haran da ellerc (limati maggiori, Se più graui, i quali più haran del ferino , & più s accolleranno alla 17 natura più torto delle belile, che dell'huomo . Maggiori pari- mente fon I ingiurie, e i delitti, fc pcn Guarnente, Se daconlide- 18 rato configlio premeditati nalcono . Più graue oltra ciò fi dee (limar qucllingiuria, laquale nell animo di chi l ode è arra ad ec- 19 citar più torto affetto di terrore , che di compaflìone. Appretto di quello fono ancor picnedi retorica ampli heation per ingran- dir l ingiurie, alcune allegationi di circollantie cofi fatte : come a dir, che cortili con la tale ingiuria habbia in vno Hello tempo in molte cofe, & in molti modi macchiata, & corrotta la giufti- ria, & trapallàtooltra'ldouer ìlgiufto; hauendo egli infiememé- te il facto giuramento, la data delira, la promelTa fede, & la fteilà inuiolabil legge del matrimonio, violato . pcrcioche cofi dicen- do non è dubio, che raccolte nella detta maniera in vno molte cofe ingiù He, non faccian nell'ingiuria apparentia d'vn certo ec- 10 cello. Aggiugnej ancor grauezM al delitto, lcller commetto in quello Hello luogo , doue fogliono clTcr condennati, & puniti i delinquenti -, fi come lo commerton coloro , che falla teftimo- nUnza in publico giuditio fanno.perciochc douenon pcccareb- beco p 6 T>eBa Teorica d' Arìttotelt~> bcro eglino, Se in qual luogo s'aftcrrcbber da far cofa ingiufta, Ce di peccar non s'aftengon nel publico tribunale, & nella propria il corte della giumtia?Maggiore ancora apparirà l'ingiuria le fi mo ftrarà ertere intorno a cole, che recar foglian rolTbr grandiflì rao ti di verecundia fcco . Medefimamente -più grauc (limata farà l'in- giuria, fé contra di colui farà fatta, dal quale habbia colui, che la fa riccuuto benefitij : peroche in più cole viene egli in tal fatto a peccare , Se a vfar contra di colui l'ingiuftitia fua ; cioè in fargli nocumento, Se in non giouargli per ricompenfa, Se gratitudin a 3 dei benefitij. Più grauemente ancor potiam dir, che fi debba ftimar, che pecchi colui, che delitto cornette contra'l giudo del- le leggi no lei i tte: impcrochc gli è cofa da h uomo di maggior vir tù,& di maggior bontà il feguir la giù ititi.», & operar colcgiuftc, nò forzato da nccciììtà: & le leggi lentie fon quel le, che vengona fare in vn certo modo forza col terror della punitionc : doue che le leggi non Icrittc liberamente muouono l'animo fenza forza,o 24 violetta alcuna.Dalialtra parte per altra ragion diuerfa,pare,che per il contrario maggior fia l'ingiuria, e'1 delitto,fc contra le leg- gi fcrittc farà commetto . conciofiacofa che colui, che non s a- ftien da vfare ingiù iti ria in quelle cole, che portano il terror del- la fcritta legge feco, Se che punition minacciano; molto manco s afterrà dall'ciTer ingiuftoin quei delitti, che fenza temenza di 2.5 gaftigo, o terror di legge , vegga di poter commettere. Et tan- to badi fin qui d'haucr detto delle ingiurie maggiori, Se del- le minori . (apo ij. 'Delle pruoue, £f modi di far fede m- art fidali , 0 'ver fenz^a artificio . Ecvita alle cofe dette, che noi alprcfcnte trafeor- rendo diciam qualche cofa di quelle pruoue, Se fe- di, che fi domandano in artificiali , Se d'arteficio priue : eflendo eflc aflai proprie, Se domeftiche al- le caufe giudiciali : Se fono a punto cinque in nu- mero, cioè le leggi ; i teftimonij ; le fcritture, o ver i patti ; la tor tura ; Se il giuramento . Et cominciando dalle leggi, anderem di chiarando in che maniera nel fuadcre, Se nel difiuaderc, nell'ac- cufa- Jl Primo libro . $ y cufare,& nel difendere, s'habbial'huomo a feruir dell'vfo loro. 4 E cofa ramifcfta adunque che fé alcuno haràla legge feri tta ce- traria alla caufa Tua, douerà rifuggire all'vfo della legge commu- ne, & al giudo dell'equità, come che più ragioncuol fia, Se più $ intrinfccamente congiunto con la giuftitia. Et douerà ancor di- re, che il giudicar con fententia ottima, Se ragioneuoliflìma , no confifte principalmente in altro, ch'in non adherir puntualmen 4 te in ogni cofa alle leggi fcritte . Se che l'equità femprc vna ftef- fainuariabil dura, fi come parimente immutabil dura, Se fi con- fcruala legge commune ancora ; come quella , che nella natura è fondata, Se con la natura nafec. doue che le leggi fcritte fpeflc 7 volte fi mutano,& a variation fon fortopofte . da die prende for- za quel detto di Sofocle nella fua Antigona : pcrochc difenden- dofi Antigona con dird'haucrfartoconrralaleggedi Creonte, ma non già contra la legge non fcritta ; parlando di tal legge di- ce; None nata, ne introdotta quefta forte di giurto nèo^gi, ne hieri, ma femprc è ella ftata': Se hauendo quefto giufto dal mio , non temo, o curo di quel, ch'in contrario comandi qualfi voglia" 5 huomo . Si potrà mede/imamente dire, ch'il giurto fia cofa real- mente vera, 6Vvtilc, &noninvniuerfa!e, &quafi in ombra, & in apparentia;cVchepcrquefto la legge fcritta, emendo più ro- tto ombra, che corpo del gì urto, non fia vera mente legge ;pofcia «> che far non può ella offitio di vera legge . Et che li ludici fon porti foprai gitiditi; a guifa di quelli artefici, che fon porti a cono iccre, & a difcerncie il falfo dal vero argento ; acciò ch'ancor ef- . fi conofeano, Se diftinguan bene il vero giufto dall adombraro, I o Se adulterino. Potremo parimente aggiugner,che fia cofa da huo mo di maggior bontà, & di miglior coftumi, l'vfar nelle fueattio nilamifurapiù torto delle leggi non fcritte, che delle fcritte, Se li inquellcftarc,& fecondo quelle viuere. Etdoueremo auucrtic a " cora (c la ie gg c > ch e ci e addotta incontrala contraria a qual- che altra legge tenuta communementeper buona, & perappro- uata ; o ver s'ella fia contraria a Ce medefima: come a dir che da vna parte commanda/Te, Se difponcne, che fufic valido,& fermo tutto quello,inchcgli huomini per patto conuengono inficme; &dallalrra parte prohibitfc, che patto, o conucntionc alcuna fi I» laceilc contra le fteirc leggi. Doucrem parimente confederar, fe Ja detta legge, che ci e addotta incontra, fi truoua ambiguamen- N te feri t- y8 'Della  ch'ai le volte non ben con l'intelletto capitici o le paiole , o 1 fen cimento della legge, non habbian da cadete in pencolo di fpetgiuto nel pat- 1 5 tirli da quella. Potterao anche dite non ciler alcuno, ch'in eleg- gete, Se ceteate il benc,elegga, o cetchi quello, che fia in vniuct lale,& Semplicemente bene; ma che ciafcun'elcgge quello, che 16 (la bene a lui. Et aggiugnci potiemo non eflct di ifc renna alcu- na trai non efletc otdinattf, Se ftatuite leggi fetitte, Se il non vo- 17 Jet poi vfatle, & olletuatlc, fetitte, che le lono . Douetemo ol- tra di quello dite, ch'in tutte l'altre aiti, Se facilità, è cofa più to- rto perni tiofa,chc vtilc, il volet pattiti! dal giuditio dei peliti in quella : coma dir nell'arte della medicina, dal patere, Se giudi- tio del medico . conciofiacofa che non tanto nocumento rechi l'crror, che fatà alle volte il medico, quanto dannofo fatia l'af* fu c far fi a ttafgtediie il parer di colui, il qual come petito ha da clTct guida, &capo, & fupcriote in fomma in quell'arte, della I I qual fi tratta. Et a quello potremo aggi ugner, ch'il cercar d'clTer più prudente, più petito, Se più faggio delle leggi lteilc,è quello, che più ch'altta cofa principalmente dalle communementc Io- li? date, òVappfouatc leggi, Ci prohibifee . Quanto alle leggi adun- que , che fon la prima pruoua inartifìciale, lìa per hora determi- io nato nella maniera, chabbiam veduto. Quanto poi a i Telamo- ni, di due forti, o veto fpetie fi truouano elTcre . alcuni fon'anti- chi> Se altri moderni o ver nuoui , Se di quelli alcuni fono , che ven- Jl Primo libro l & S>9 ^fgon nel teftimoniare a partecipar del pencolo; Se altri liberi li ne fon fuota. Antichi teftimonij chiamo io i famofi Poeti, Se tutti gli altri huomini , chiari, &illuftri, dei quali lìan rimarti nella memoria de gli huomini, giuditij, Se fentcntie celebri , & mani- li feftc. ficomc gli Athcniefiadduilero la teftimonianza d'Home- 15 ro nella caufa lor dclTlfola di Salamine. Se quelli di Tcncdo po- co tempo fa allcgaron per teftimonio Pcriandro Corinthiano 14 nella caufa lor contra de i Sigienfi: & Lcofronte parimente nel- la caufa, eh ebbe ad agitar contra di Critia, lì valle d'alcuni verfi elegi di Solone ; dicendo che la cala, Se fameglia di Critia era art ticamente ftata macchiata d'effeminata lafciuia . percioche fc n5 fufte ftato coli, non harebbe Solone ne i fuoi poetici verfi , par- lando d'vno di quella fimeglia, detto, Fammi grana di dir a Cri- 1 j ria biondo , & crefpo , eh' a fuo padre obbedifea . Coli fatti fon dunque i teftimoni antichi intorno alle cofe, che fon già patiate. 16 Delle cofe future poi fono ancora antichi teftìmonii gli oracoli, &gli interpretatori di quelli: come ( per eflempio) interpretò Themiftocle, quando volendo perfuader, che fi combattere coti pugna nauale, dille che quello lignificauanoi muri di legno, che 17 nella rilpoftadell'oracol fi conteneuano. Mcdcfimamentei Pro 15 ueibii fon tetti monii della fteiTa forte, che noi habbiam det- to . come fc ( per cflèmpio ) fuilc chi volelTe perfuaderc ad alcu- no , che non cercafie di riceuer nella fuaamicitia la talperfona d'età fenile; potrebbe in reftimonianza addurre quel prouerbio 19 trito, che dice non eflèr da collocar beneficij in Vecchi. & chi volelTe perfuadere ad alcuno, ch'egli douefle leuarfi dinanzi, Se far capitar male i figli di quei padri, ch'egli hauefie già prima vecifi, potrebbe addurre in teftimonianza il prouerbio, che di- ce, ftolto è colui, che lafcia in piedi i figli, hauedo lor prima .mi- to in azzato i padri. 1 nuoui,ouer i moderni teftimoni fon poi quel- li, i quali cllendo di celebre, Se chiara faina, Se noti al mondb per faggi, hanno in alcuni cafi, ouer caufe datoinditio del lor parere, Se dellor giuditio : percioche così fatti giuditij, Se pareri polTon parimente elfcr'vti li a coloro, i quali hanno in altre caufe ji fimihaquelle,vnamedefimaquaficontrouerfia. fi come Eubo- loingiuditio contra di Charcte, fi feruì di quello, che poco in- nanzi haueua Platone detto contra d'Archebio, cioè che per caufa, Se colpa di lui haueua già nella Città prefo forza, & vigo- N ij re il joo ^ ^Del/a ^R^torica djirìUotett^ re il non vergognarti p iù le perfone di cónfellar defler vitiofe,& 51 inique. Nuoui, & moderni teftimonij fono ancor quelli, i qua- li Tempre che fi trouaflcr fallì nella teftimonianza loro, farebber tj partecipi nel pericol della punitione. & così fatti teftimonij nó lon'addottia reftimoniar,fc nóquado fi dubita del fatto, cioè /eia 34 cofa tìa ftara fatta, o no fiaftata fatta, & sella iìa,onó fia. maquà- to alla qualità del fatto, no fono eglino ammeifiper teftimonij,co m'a direa teftimoniar fc la cofa fia giufta, o nó giufta, vtdc,o da- 1 5 nofa,& fimilc.Maquci teftimoni,che nófon partecipi nel pcncol ma fono liberi, & lontani da quello, fono intorno alle dette qua- lità del fatto,idonci, & legitimi teftimoni, & grandemete di fede degni. Et fopra tutti, aurtorità» & fede recan le teftimoniaze de i teftimoni antichi, come di quelli, che a fofpetto alcuno di cor- rotrionenon fon fottopofti, & dall'autorità de i teftimoni ha da jtf depender molto la fede delle pruoue. Se noi dunque,non harem teftimonij, doueremo in tal cafo allegare, & dire,che il giudicar habbia da cfTcr fondato principalmctc nei vcrifimili, & negli ar- gomenti : & che quefto è propriamente giudicar con fententia J7 ottima, 8c ragioncuolilTì ma, alla qual fon tenuti i giudici. 3c che 1 veri (imi li non fon fottopofti a pericol d'eller corrotti con danari» ne pollo no eflcr giàmai conuenti di falfa teftimonianza, 38 come i teftimonij. Dall'altra parte fc ci trotteremo hauer tefti- monij vtili allacaufanoftra, potremo contra di colui, che non gli hà, trà l'altre cofe dire, ch i verifimili, & gli argomenti non fon fottopofti, & tenuti a pericolo di fupplitio alcuno. & che nó faceuadi meftieri d'introdur ne i guiditi) 1 vfo de i teftimonij, fclc ragioni, & gli argomenti fodero ftati baftati alla no ri tia della 40 verità. Sono li teftimonij,o intorno a noi ftc(Tì,& a cofa,che toc- chi, & riguardi noi : ouero intorno a cofa, che tocchi lauuerfa- rio noftro : & così ncllvno, come nell'altro modo, o riguardano 41 il fatto fteilo, o la vita,& i coftumi. Per laqual cofa è manifcfto, che mai farà per mancarci qualche forte di teftimonij, chefler portano vtili alla parte noftra. pèrciòchc fe intorno allo nello fat- to ci mancherà teftimonianza, la quale o confenta, & conuenga in aiuto noftro con quello, che diciam noi, ouer fia contraria, & difcrepantedaqucl, che dice l'auuerfario; almcn non cidouerà mancar teftimonianza intorno alla qualità della vita, & de i co- ftumi, laqual faccia fede della bontà, & dell equità noftra, ouer dcll*ini- JL Trìmo libro \ iot 41 dell'iniquità, Se malitia dcH'auucrfario • L'altre cofe poi, che polfono occorrer di ponderarli, Se di conliderarlì intorno alle f erfone dei tcltimonij, com'adir fc lon'amici, o nemici, o nè vn , ne l'altro ; fc fon pedone di buona fama, o di mala fama, o tra l'vn, & l'altro, Se tnttelaltre in fomma così fatte dirTcrentie di condirioni, & di qualità, da quelli fteffi luoghi fipotran trar- re, & di inoltrare, da i quali lì poilbn gli Enthimcmi intorno al- 43 le medcfimc qualità, trar fuora. Quanto alle fcritture poi, doue lì contengon conuentioni, Se patri, intanto può hauer luogo in eiYc 1 vfo deli'oratione,inquanto lì cerchi,o d'ingrandir il lor va- lore, o di deprimerlo, & d'annullarlo : & oltra ciò di farlo ap- Earire o credibile, Se di fede degno, o per il córrano di poca credi ilità, Se di poca fede, peròche fe vedremo, che le pollano cfle- r>evtili a fauor noftro, alhor c'ingegneremo di procacciar loro autorità, Se credibilità* &c il contrario faremo fcle conofeeremo 4J in aiuto dell'auuerlario . Et quanto prima all'aggiugnere, o al toglier loro autorità, credito, Se fede, non e differente il far que- llo, dal trattamento, che s'habbia da far'intorno ai teftimonij. conciolìacofachc quali faranno i coltrimi, le conditioni, Se qua- lità di coloro, c'habbian diftele, o fofcrittte ledette fcritture, o lehabbiano apprelTo di lor cóferuate, Se faluate,talc ancora riab- bia da effer la fede, l'autorità, Se la credibilità d'elfe fcritture. 46 Cafo adunque cheli truouino, o lì pruouino autentiche corali fcritture, Se tali in fomma, che confclTar fi debbi, o negar non Ci 47 polla, che le lìano fiate fatte; alhora fc i patti, che vi fi contengo- no, conofeeremo, che facciano a proprio fauor noltro, doueremo ingrandir 1 autorità, & la validezza, c'han da portar leco i patti , & le prillate conuentioni humane: dicendo non cllere altro il patto, che propria, & prillata legge, trai particolari in priuato 48 fatta. Se che i patti, Se le fcritture, che gli contengono, non da- no validezza, forza, Se corroboratone alle leggi, ma ben le leg- 4$ gi la danno a' loro. Et che in fomma la legge non e altro ancora ella, ch'vn certo patto, di maniera che qualunque cerca di tor forza ai patti di mandar'a terra il valor di quelli, viene a cercar jo parimente di deltrugger le fteire leggi. Poucmo ancora oltra ciò dire, che per la maggior parte i negotij, Se le facende, che trà di lor conuerfando, Se contrahendo fanno fpontancamentc, Se vo- lontariamente gli huomini, fi fanno col raezo di con tratti, patti; Se fcritture , / o j Della Tintorìe* d 'driftotelcj Se fcritturc, Se in quelle fi contengono. La onde tolta via, o fatta inualida la forza, Se i'vfo de' patti, & delle fcritturc, verrebbe parimente a mancare, Se a cadere a terra ogni cambieuol coiti- 5 1 mertio d huomo, Se ogni trattamento di negotij Immani . Altre cole ancora fi potrebber dir* accommodatc a ingrandir l'vfo, Se l auttorita de' patti : le quali aliai facilmente pollono clTer com- f i prefe, Se confideratc per lor medefime. Ma fc dall'altra parte ve- dremo, ch'i patti, Se le fcritturc fien contrarie alla caufa noftra , Se in fauore, & commodo deirauuerfario, ci potrà primicrame- te in lor deprelììon feruire, Se cfleraccommodato tutto quello, ch'allegare alcun potefle per impugnare, & ofeurar lauttorità j j della legge, quando gli fulfe contraria, perciochc molto fuor di ragion (aria le ftimanflo noi non douerlì dar fede, ne preftar'ob- bedientia alle leggi, ogni volta che iiano non drittamente porte, Se che il Lcgi/lator habbia vfato inganno in porle jhaueiTero i priuati patti a ritener inuiolabil neceflìtà nell'olTcruantia loro. 54 Potremo ancor dire non clTerc altro il giudice, che difpcnfato- re, Se amminiftratordel giufto : Se per quello non ha egli da te- ner confidcratione, Se cura di quel, che importin le fcritture, Se li patti; ma fol di furto quel, che contenga maggior giuftitia . 55 Potrcm parimente dire, ch'il giù ilo non può cflergià mai piega- re, Se dillorro dalla fua drittezza : ne ita fottopoilo a inganno, o a forza, Se violentia alcuna, hauendo egli l'cilcr fuo dalla natura fteira. doue che i pani, Se le conuentioni, che fanno glihuomi- ni, nafeer polTon da inganni, o da forza, che gli induca a farle . t 6 Olrra di quello fi dee por cura fc le fcritturc, & li parti, che il producono, fon contrari] ad alcuna delle leggi ferine, o ad alcu- na delle communi, Se fes'oppongon a cofe comunemente renu- 57 tegiufte, Se honelìc. Si deeveder ancora, fe fon diucrlì, Se re- pugnanti ad altre fcritturc, Se conuentioni, chedoppo,o innan- zi di quelli, fiano nate fattcpcrciòche o le fcritture fatte poi fon valide, Se per confegucntele precedenti han del falfo,o non han valore, oucr per il contrario le fatte prima valide fi truouano, Se nelle fatte poi, fi conticn fraude, o altro cosi fatto errore. Se di queiti duccafidouerem cercar di far parer vero quello, che più 58 conofeeremo vtilc alla caufa noftra. Potremo andar con la confi- deratione inueiligando ancora intorno all'vtilità, feda qualche Cofa, che fi contenga in quei patti, che fi producono, o fe dalla. fede , Jl Primo librò . / 0 3 fede, che fi predi a i patti, può feguir'occauone  dcfidcrofi di vederle. Contcngon dunque le dette righe que- lle parole. Ju 5 *iynv fri Cvk «WaM»0hW/ Caffdurot •Tofà.oìyaf rtpoì, £ A/flo'- Jtpfjioh ù ttut 4^«T ( «vite ìuvajoì, "flua/ert tyKAplipov rt rat t ivttyt&f* il j Jh A5Ì, ^ Ìu*MjC»7f ■vfo 70 v TctV Àva.yxct.i /A7k etw^/ ' X«t7*0et/:/fei/Vir, ù'vAV&t ir/roV ìk (Sardi'oif. Legnai parole m no firn lingua pò- trebberò effer quefìe^j. Mala di meftier di dire, che le torture non cótengon fecura, Se certa verità, conciofiacofa che molti fi truouino, li quali hauendo le carni, & la pelle quafi di fallo, Se l'animo forte, Se a Sopportar potente, vincon con lalor coftantia, Se con la lor'oflinatione ogni neceflìtà, che porti la pena, ci dolore. Se altri per il contra- rio fi truouano, che vili d'animo, Se delicati, Se molli del corpo loro, prima che fi veggano a pena dinanzi a i tormenti, reftan fu perati daquelli. Perla qualcola none da preftar fede a quella tcllimonianza delle torture. Qnefie fon dunque, in fiftantia le parole, che eorrejpondono alle gre- che già dette^j. tJHa ritorniamo hormai al legittimo te- li fio nostro, fegue adunque ^sfrittotele così . 6 $ Quanto apparrien poi al giuramento, in quattro modi può oc- correr, ches'habbia da trattare, Se da confiderare. perrioche t» noi lo concediamo, & concedutoci l'accettiam di fare,o noi non facciamo ne l'vna, nè l'altra di quelle cofe,o noi ficciam Tv- na, & non l'altra. Se quello in due modi, peroche o noi conce- diamo il giuramento, ma non accettiam di farlo, oucro accet- 66 tiam di farlo,ma non lo concediamo. Se tutto quello altrimenti s'ha da confiderai quando fi fi a altra volta giurato, & altrimen- ti quando non fi fia giurato. Se quando fi fia giurato, altra confi- dcration s'hà d'hauer fe harem fatto il giuramento noi, & altra 6j Ce l'harà fatta l'auuerfario. Se offerire adunque Se conceder non gliel vogliamo, douerem dire non voler metter'il giuramento in man fua, perche conofciamo,che facilmente faria egli per giura- 6% rcilfaliò. Se potrem foggiugner'jchcrauucrlario rcftarebbcgiu rando afibluro dei danari, ch'egli ci dee, doue che s'egli non giura, teniam certa confidentia, ch'egli habbia in giuditio da cf- 6$ ier condennato a pagarccgli . Potrem parimente dire, c hauen- do noi pura depcnder da pericol di giuramento, vogliam più tolto; Se molto più ragioncuol cofa è, depender da quello de gli Jl Primo libro . 1 oj fteffi giudici, pcrciòche nella bontà, & rcligion loro tcniam fe- 0 de, Se non in quella ddl'auuerfario. Male non ci verrà bene d'accettar Toner ta, che ci fa l'auuerfario di voler egli ftarc al noftro giuramento ; doucrem dire, che per cagione di danari, cagion così friuola, Se così leggiera, non ci par cola honefta ii 1 giurare, foggiugnendo, che fé noi fulfimo impij, Se nemici del giulto, non recuferemo di farlo : percioche lapedo noi, che giu- rando ricupereremo, Se confeguiremo quello, che ci fi dee, Se non giurando, nò, certa colà è, che meglio faria 1'efTer'ìniquo per cagion di qualch'vtilità, che per cagion di nulla. Ci che per quello appare, che fol percaufa d'honeilà rccufiam di giurare, i Se non per tema di cómetter fpergiuro in giurare il falfo . Et in quello propolito potrà parimente quadrarci conuenir quello, che foleua dir Senofane, non elìer pari la prouocatione,ch'a giu- rar faccia vn'impio, ad vno altro che tema Dio : ma effer limile alla prouocation, che facente vn'huom gagliardo, & robufto del- la perfona, in prouocarc a dare, Se riceucr pcrcofle, Se pugna , 3 vn'altro, che debole, Se infermo fu Uè. In calo poi, che ci venga commodo d accettar di giurare, ellendoci il giuramento offerto dall'auiicrfario, potremo primieramente dire, che ciò facciamo ; perche vogliam piutofto credere, alnoftro giuramento, & ftar* alle fede di noi medefimi, cllendo in noi confapeuoli della men- \ te noftra, ch'alia fede dell auuerfario. & potremo parimente ri» uolgerc, &accómodar'amodo noftro ilmedelìmo detto diSe- nofane,diccdo,andar la cofa vguale, ouer'cfler la cola pari, qua- do vno impio prouoca a giurar'vn, che tema Dio, & egli accetta c l'offerta, Se giura. Aggiugnereino ancora parerci cofa indegna, Se fuor d'ogni ragioneuolezza il recufar noi di giurare in quella (Iella cauta, nellaquale riccrchiamo,& afpcttiamo,ch 'i giudici fe- condo il giuramento da elfi fatto, proferifean la fententia loro . C Mafe finalmente ci tornerà bene d'offerire, Se concedere il giu- ramento all'aiiuerfario, potremo dire, che ci paia cofa pia, Se rcligiofa il voler commetter tutta la caula in man de gli Dij , Se 7 alla cura loro : Se che non vogliamo, che all'auuerfario noftro faccia di bifogno di ricercarla decilìone di quella caufa da altri giudici, che da fe nello, dandogli noi arbitrio, Se autorità di deciderla, & giudicarla col luo giuramento da fe medelimo. 8 cV che cofa aito rda, Se fuor di ragion farebbe egli, s'eirecufaf- O fc di 7 o 6 Isella r R(torìca d*^4riBotelc^ fc di giurare in quella (tciTz cofa , nella quale egli filini eflcr do- 7^ ucre, che gli altri , cioè i giudici llcllì giurino. Hor'hauendo noi ad vn per vno patitamente dichiarato , come fihabbian da trattar tutti li quatro modi divfar' il giuraramento , potrà da quello effer raanifcfto ancora, come s'habbian da trattare, & da vfare,fe più di vno di tai modi, fé prcndon congiunti 80 infieme. com a dir fé noi accetteremo l'offerta del giuramen- to, ma non già l offeriremo, o lo concederemo, ouer fc ci pia- cerà di concederlo, & offerirlo, ma non d'accettarlo, o fe vor- remo & accettarlo, 8c concederlo, oucro offerirlo infieme, ofe finalmente non ci contenteremo di far nèlvnacofa, ncl'altia. 81 conciofiacofa chceflendo così fatti congiunti necelTàriamente comporti de i già detti, & affegnati modi ; parimente farà necef- fario, cheli trattamenti, & le ragioni di tai congiunti, fian com- pone de i trattamenti, & delle ragioni, che già fi fon partitamé- Si te dichiarate, &c inoltrate ad vn per vno ne i detti modi . Ma fe gli accafeherà, che già riabbiamo per innanzi altra volta giu- rato cofa, che fia contraria a quello, ch'ai prefente diciamo, & ci offeriamo, oucraccettiam di giurare ; doneremo dire, che non dee per quefio il precedente giuramento (limarti fpergiuro. Sj perciòchc cllendo lo fpergiurare vna fpetic di fare ingiuria, & non potcndofi chiamate ingiuria quella, che nó fi fa Ipontanca- menre, Se volontariamente, ne feguc, che non ellendo fponta- nco, Se volontario quello, che l'huom fa, o neceflìtatoda forza , 0 indotto da qualch'inganno, come e accaduto a noi nel giu- ramento per innanzi fatto; non dee per confeguentc fpergiu- 84 ro nominarli. Et qui farà ben di inoltrare in che la toltantia dello ("pergiuro confida : affermando, che dalla mente dependa, 85 8c non dalla lingua, di colui, che giura . E r fc dall'altra parte 1 auuerfarion olirò farà (lato quello, che per innanzi altra volta riabbia giurato cofa, che ila contraria a quello, ch'ai prefente di- ce; potremo in tal cafo dire, che il voler* egli non tener valido, & non Ilare a quello, c'habbia vna volta giurato, non è altro, ch'vn %6 confondere ogni cofa, & fouuertere ogni ragione h umana, per- cioche non per altra cagione, fenon per quella, cioè perhauer per fermo, & Ilare a quello, che fi fia giurato, non ofano i giu- dici di fcruirfi delle llelTc leggi nelle fententic loro, fe non fan giuramento prima. & riuolgendoci a i medefimi giudici foggiu - gneremo . Jl Primo lìhro • / o 7 %j gneremo. Noi dunque ricercherem da voi, Se flimaremo, che vificonuenga di fhr collanti, & haucr per fermi i giuramenti noftri, & noi tituberemo, & per validi non haremo i noftri ì 88 Altre cofe ancor potremo aggiugnere, cioè tutte quelle, che fiano habili ad amplificare ampliando la bruttezza delio fpergiu- S  9 tradotta in lingua volgare da M. tsrfejfandro Ticcolomini . DELLA RETORICA D* ARISTOTELE àTheodetto, TRADOTTA IN LINGVA VOLGARE Da M. aAleJfandro Piccolomini, IL SECONDO LIBRO. (apo Primo. c Del bifògno> eba l'Oratore della cognttton de gli affetti, (ef pafìoni humanc^. Qva 1 cofe fàccia di bifogno d'haucre l'occhio in fuaderc, in di (Fu ad ere, in biak mare, in lodare, in accufare,& in difende- re, & quali opinioni, & propofitioni elTer pongano vtili a far fede i n tutte quelle opc- rationi,può ellcr manifcfto per quello,che fin qui li e detto, percioche di quelle cofe, & a quelle cofe, c'habbiam noi allignate, deon dedurli, &deon hauer riguardo gliEuthimemi, che (cpa- ratamente in ciafehedun gcncr d orationi , addurre, Se vlar fi O ij deono. ioS ^Della Ttgtprìca d!AriBote[c_j 5 cleono. Hor perche qucft'arte della Retorica ha da terminar Tempre in qualche adcnlo, o giudi tio, che ne faccia chi ode ; per cagion del qual giuditio fi pone in vfo, pofeiache lcilcde con- fultationi ancora, nò padan Icnza'l giuditio di color, ch'odono , Se il Tentennare dello nelle caufe forenfi, non è altro, che giudi- 4 tio; è neceflano pcrqueito, che non folo fi procuri, che la ora- uon fia tale, che pofla con pruoue, Se con argomcti far fede, ma che s'ingegni ancor colui che parla, di far parer fé ftedo della tale, Se della tal qualità formato, Se renda colui ch'ode, & giu- dica, in qualche maniera qualificato a modo, & commodo fuo. 5 conciofiacofa che alla perfuatìone, Se alla fede, che s'hà da fare , grandemente importi, principalmente nelle confultc, & dipoi nelle caufe giudiciali ancora, l'apparir più d'vna qualità, che d'vn'altra qualificato, & difpolìo colui, che parla, Se l'ederap- preflb di color, ch'odono in opinion d'affettionato, Se ben verfo di lor difpofto, Se 1 edere oltra ciò più ad vna difpofition, che ad 6 vn'altra inclinati, & volti color, ch'afcoltano. Et quanto prima- mente all'apparir colui, eh e parla, della tale, o della tal qualità difpofto, prcualc, Se e vtil quefta cofà principalmente nelle de- 7Iibcrationi,&cófultationi.ficomedall'altrapartel'cflernella tale,onella tal maniera inclinato, comroodò, Se alterato l'afcol- 8 tatore; preuale fpetialmentc nelle caufe giudiciali : pofeiache nonlemedcfime cofe paiono da edere approuateacolor, chea- mano, Se a color, ch'odiano, ne le medefime a color, che fo- no accelì d'ira, Se a quclli,chc d'animo mite,& placato fono : ma paion loro o in fe diuerfe,o totalméte appofte, o almen'in quati- tà,cVgradezza differcti aliai, imperciòcheacolui ch'ama,parrà fa cilmcte,checolui,dcllacui caula hà egli da fai giuditio, o no hab bia fatto ingiuria,oleggieriiÌjmarhabbia fatta: Se a colui,che l'ha f in odio>tutto'l còtrario pare.Parimcte colui,che fuole auidaméte defidcrare, Se cófidctemctc fperarc ; fe cola futura fe gli offenfee l'ani nio,ch' egli pcfi,che lìa per recargli diletto,facilméte s'indu-r rà a creder , che fia per fucccdcre , Se a ftimarla , per cofa hone- fta. doue che tutto'l contrario farà per parer a colui, chela di- io (pregi, o non l'appetifca, o la ftimi difficile a fucceder mai . Hor quanto all'cffer tenuti degnidi fede color, che parlano, Se al- l'cfler lor creduto ; tre cofe poflbno efTcr di ciò cagione , pofaa- chc ultre turile fon le cofe, mediami le quali, ultra le pruo- ue, Se Jl Secondo libro . 109 ne, &r gli argomenti, ci induciamo a dar credenza all'altrui paro- 11 le. & quefte fono la prudentia> la bontà, & la beneuolentia, che 11 s'habbia in opinion trouarlì in colui, che parla, cócioliacofa che per caufa della mancanza di quefte tre cofe dette, o d'alcuna d'ef- fe, polli accader, che s'ingannino, Se quel, che non conuenga di- I) cano color che parlano, o dan configlio . peroche o per impru- dentia,& poco faper, non bene (limano, o intendon la cofa, dcl- 14 la qual parlano, o le pur non s'ingannan nella Iti ma, & nell opi- nion che n'hanno; nondimeno per malitia, Se per iniquità non voglion dire , o far manifefto quello, che veramente conofeono. 150 ver finalmente fé prudenti , Se non iniqui Tono , fon nicntedi- manco poco amici, o beneuoli, Se per tal cagion s'aftengon da'l dir nei configli loro quello, che veramente conofeono , cirereil meglio, Se potere ellcrc vti le. Quelle tre dunque fon lecaufe, Se non altra fuor di quefte, per vna, o più delle quali,può chi par \6 la non dir quel, che conuenga. Onde è necelTario che colui, che farà ftimato hauere inlìemcmenre tutte quefte cofe habbiada trouar'apprellb di chi l'afcolta, credito, & fede alle fue parole. 17 Hor donde, cV: in quii modo lìen per poter fare appari re altrui color, che parlano, d eller prudenti, Se virtuoil ; fi può facilmcn te trar da qucllo,chintorno alle virtù diltinto,& dichiarato riab- biamo : pofeiachei medelìmi luoghi ci polfon feruirea fare, Se 1 8 gli altri, Se noi apparir per honefti, Se per virtuofi . Della bene- uolentia, & dell'amici tia poi, potrà quanto appartenga a quella, renderli manifefto in quello, che verremo al prefentc a dire de 15 gli affetti, Se palli oni humane . Et quelli intendo io efler gli Im- mani affetti, liquali commouendo , & alterando l'huomo,fon potenti a variare,& diuerlìficare in lui li pareri, Se i giuditij fuoi. a i quali affetti, due di lor feguon dietro, cioè la moleftia , e'1 pia- cere . Et gli affetti fono , come a dir, 1 ira, la compalfione , i l ri— 10 more, Se tutti gli altri coli fatti, Se li lor contrarij. Inciafchcdun de i quali fa di bifogno, ch'in tre parti andiamo nel trattar d'effi diftinguendo le cofe, che s'hanno in quelli da confidcrare. com'a dir(per efTcmpio)ncirira, in che maniera (ìan dilpofti quelli, che fi fogliono accender d ira ; & con tra di qual forte di perfonc fo- glia Thuomo adirarfì j Se per cagion di qnai cofe foglia finalmen 11 te quello auucnire. conciolìacofa chefenoi harem notitia d'v- na di quefte cofe, o di due, Se non di tutte a tre , impoflìbil ci fia dimuouc- no *DelU ^Retorica d* Aristotele di muouere, o eccitar ad ira . Et il medefimo s'ha da intender 21 negli altri affetti. Nella maniera adunque,che nelle già di fopra trattate materie habbiam fatto in diltinguere, & allignare appro priate propofitioni ; parimente in trattar di quefri affetti fare- mo diltmguendo, Se allegrando in ciafeheduno affetto fpetiali propofitioni fecondo 1 già detto modo . (apo 2. 'Dell' affètto dell 'Jra . Ntendasi per hora adunque effer l ira vn pungi- tiuo, Se atfliggiriuo defiderio di vendetta, che fu a chi la riceuc manifcfla ; nato in noi da apparente vilipendio, che ci paia fatto fuor del douerc con- traili noi, o di pedona a noi congiunta, & apparte x nente. Hor elfendo tale l ira, quale l'habbiam deferitta ; ne fc- gue di ncceflità, che colui, che s'adira; s'adiri fempre contradi perfona particolare, o ver fingolarc, o indiuidua, che la vcgliam dire, com a dir coatta di Cleone, Se non contra dell huomoin genere : Se che colui contra del qual'ci s'adira , habbia o contra di lui, o contra d'alcun dei fuoi fatto qualche cola di maleo mo- a Itrato euiden temente animo preparato a volerla fare. Etèpari- mentc neccflàrio, che ad ogni ira fempre fi congiunga , Se fegua vn certo piacere, & vna certa voluttà , che nafee dalla fperaza del vendicarli : elfendo cofafoauc, & gioconda il penfarc,& hauere opinion di confeguir le cofe, che ìì dclìderano ; ne alcun e , che defideri quelle cole,ch'cgli Itimi cllere a lui imponibile il confe- guirlc : Se colui, che è prefo dal'ira ; defidcra cofe, ch'egli lutila 4 clfcra lui polli bili . Onde accommodatamente, & con gran ra- gione fu in proposto dell ira detto, che l'ira più dolce del ben } purgato mele, cade ltillando ne i perti de gli huomin forti . Se- guita dunque, Se Ci congiugne vn cofi fatto piacere, Se diletto al- Fira, olerà la ragion detta, per quelì altra ragion'ancora ,• perche ftàdi continuo l'irato in vna certa forte immaginatone, Se cogi- tatione,& difeorfo d'animo intorno alla vendetta , ch'ei penla € fare, laqual vehemente, Se gagliarda immaginationc , &: rumi- natone viene a caular voluttà nel modo , che la cagionan quelle immaginationi di cofa, che piaccia, lequali dormendo ne i fogni 7 accafeano . Hor perche il vilipendio non e altro, eh' vna certa eC preffio. Jl Secondo libro . / / / prefl!one,& attuale inditio d'opinion, che s'habbia d'alcuna cofa 8 come fe di nefliin conto,& di ni un pregio fia : pcrciochc le cote, che fon da noi giudicate o buone o rce,o almen tali, che a cofi fac te conducano, Óc rifpetto tengano, fon parimenieda noi tenute, in qualche confidcrationcodi bene, odi male,* doue che quella, che noi giudichiamo, come fé niente fulIero,o almen come che o nel bene, o nel male di piccolifllmo momento fiano , vilipen- diamo, & non ne facciamo ftima,n£ le tcniam degne di coniide- } tarli in elle; nefegue che habbia per quefto da (apere,che tre for- ti, o vero fpctic fi truouan di vilipendio ; chef«no il puro dilpre gio , il difpctto , & la contumelia , o ver oltraggio, o onta che le 10 vogliamdire. Percioche quanto primieramente al puro difpre- gio> colui che difpregia, non e dubio, che non vilipenda : pofeia che difpregiando noi quelle cofe, che di ncllun conto degne te- niamo ; 6c {'olendoli vilipender cofi fatte cole, ch'in nitìna ili ma fi tengono; ne fegue, che il difpregio fiafpetie di vilipendio, i x Parimente colui, che fa dispetto, moftra anche egli di vilipende- re : conciofiacofa che il di/petto non fia altro, ch'vn cercar d im- pedire, interrompere, & d opporfi in fomma a t voleri, & a i di- legni altrui : non perche a noi di ciò qualche commodo, o vtil 11 venga; ma perche noni habbian gli altri. Facendo noi dunque quello, non a fine> che cofa alcuna ce ne venga, veniamo confc- guentemente a farlo per vilipendio quali che coli a vile tcniam quel tale, che vilipendiamo, come s'ei non valellè nulla , ne in 1 5 ben, nè in male: ellèndo chiara colà, che noi miniamo, eh egli in cola alcuna non ci polfa nuocere : pofeia che quando ciò non illi mallimo, temeremo del danno, ch'ei ci potette fare , ik per con- feguentenon lo vilipenderemo . parimente (limiamo, che in co* fa alcuna, eh importi nulla, giouar non ci polla : pofciachequani do cofi ili ma filmo, procurammo, &c porremo fiudio di farlo be- 14 ncuolo, cV amico noflro. Medcfimamenre colui, che fa onta, o ver contumelia, vicn ancora egli a vilipendere; confiftendo la contumelia in cagionare in chi fi fia qualche nocumento , o mo- leftia in cofe ch'imporrino ignominia,& vergogna in chi le rice- ue. & ciò non per che colui, che lo fa, penfi che habbia a refill- targli per quello altra cofa, che quello Hello fatto, o perche altra fimil cofa na Hata fatta alni ; ma Coi per cagione di quel piacere, j j & diletto, che gli ha di farlo . percioche di coloniche ccrcan di render il 2 'Della ll^tprìca d * Arili otelz^> render male, a chi male habbia fatto a loto, non diremo , che in 16 ciò contumelia facciano, ma vendetta . Et la camion del piacere, & del diletto di coloro, che fan contumelia conliftc nel parer lo- riche con fare oltraggio, & mal trattamento ad altri , ne rifiliti 17 maggiorracrc ad cflì vna certa fuperiorità d'eccedere - y Se per que Ao auuicn, ch'i gioueni, 5c i ricchi lìan per natura oltraggiofi,& contumcliofi : come quelii,che con far contumelia prendono in 1 8 loro fteffi opinion d'eccedere. Vilipende dunque chi fa contu- melia per eilcr proprio della contumelia il non tenere in alcun pregio, & in alcana ftima, cV chi non (urna, ne tien in pregio,nó e dubio, che non vilipenda; pofeiache la cofa eh e tenuta a vile,o per dir meglio, e tenuta in nulla, neilun pregio, o ftima ritiene, 19 ne in mal, ne in bene. La onde Achille tutto adirato dice,Non ha gli fatto conto,o ftima di me: perochc hauendolo a me tolto, gode egli, & poflìede quello, ch'i Greci tutti in han dato in do- no . & altroue dice, Egli non altrimenti mi tien in cóto,che s'vn vii difeacciato ribello io fulfe . Le quai cofe dice Achille , come 20 chequefte fu (Ter folo le cagioni, che l infiammauan d'ira . Et ci pare , ch'a color mafllmamente conuenga il far grande ftima di noi, liquali ci fiano inferiori di nobiltà, di potcntia , di virtù , & di quelle cofe in fomma,nelle quali di gran lunga ftimiam d'eccc % 1 dcrgli, & auanzargli ; come nelle ricchezze(per clfcmpio) dal rie co è ecceduto il pouero : nella facilità del dire , dal facundo è fu- ti 3 perato colui, che non può a pena la lingua feiogliere ; nell'autori tàdal principe è fuperato il fiiddito 9 & da chi fia degno di co- madare,& di dominarc,colui che fi a degno d'obbedirc,cV d eller 13 dominato.Etperò fu ben detto,potcntiflìma è l'ira de i Rè, quali che nutriti dal fommo Gioue . &c quell'altro detto ancora : EeH ferba per doppo l'ira, per fatiarfi co lavendctta.& qucfto accade, perche grandiftimofdegno concepifeono i potenti per il lorocc- 14 cedere. Color'ancora ftimiam noi, che conuenga, &ragioncuol (ìa, che ci habbiam d'hauer rifpetto, & da tenere in conto, da i quali ci pardi poter con ragione afpettar di riceucr bene. & tali fon quelli, a cui noihabbiam già altra volta fatto benefitio, o fac ciamo al prefente, o noi fteflì, o alcun noftro congiunto, o perfo na, che ci appartenga, o altra perfona perordin noliro : o vero 16 habbiam pronta volontà di farlo,* o Ihabbiamo hauuta. Da que- lle cofe adunque, che fi fon dette fin qui, potrà hora agcuolmcn- tc ren- Jl Secondo libro • / ; j te render fi manifcfto,in che maniera difpofti , & qualificati fiati quelli, che adirar fi fogliono : Se conerà di quali, & per cagion di 27 quai cofiòs'acccndon di tararTetto.Perciochequanto primierame te a quelli,chc s'adirano , facilmente a ciò s'inducon le pedone, quado in qualche molcma, o dolor fi truouano . cóciofiacofa che tempre in color, che fon punti, & afflitti da dolorc,bifogna che fi 1 8 truoui desiderio di qualche cofa.onde qualuquc,o direttaméte al confeguimento di qualche defiderio loro fi contraponc, come faria (e ardendo effi di fete, non gli lafcialfc bere, o ver te non di- rettamente, al meno in quaì fi voglia modo non adherifca loro , mafia loro di ri tardati za,o d'impedimento ; nel mcdelìmo modo tp para loro di Tettarne oftclì . Ers'alcun s'adopra incontra per im- pedirgli , o s'alcun'altro non s'adopra per compiacergli, & per 30 louuenirgli, o ver Te in qual fi voglia altra cofa, mentre che (tan- no in qucll eiTere ; alcun fia, che punto dia lor diiturbo ; contra 31 tutti quelli s'accendon d'ira . Laonde quelli, che fon molcftati da innrmità,quelli,che fono opprelTì da pouertà ; quelli, che fon grandemente innamorati; quelli, che (cntono ardente fete, &c tutti in fomma quelli, che gran cupidità tengon d'alcuna co(a,£\: quella non confeguifeono ; fon'iracondi, ella %lortca dXriftotck^ fecondo ch'egli dclìdera, maggior piacere, Se diletto fente, Ce 3 € quella fuor d'opinion Tua, & da lui non afpcttata,adiuienc. On- de può da quefto apparir manifefto quali occalìoni, quai tempi, quai difpohtiom, quali età Han più facili, & più accommodar^ 37 a dar cau(a,& fomento all'ira ; Se quando,* doue ciò più aeeuol 3S teaccaichi: Se che quate più di cosifatte condì rioni, & circon- ftantic accommodatc all'ira, in chi lì Zìa concorreranno; lanto più verrà egli atto & facile, ad cflèr con ci tato, Se mollo da quefto 09 77*2; f «n dunque,* nella manicra,chc detto habbiam, dilpoitifoglionoeircr coloro, che fon facilmente mobili all'ita! 40 condia. Contra quei poi fuolqucft'ahWhauerluoeo, li quali o prendono a rifo, o beffeggiano, o fchernifcono,o có acuti mot- ti pungono : concionacela che tutti quelli tali vcgan'in fir q uc- 41 Ito a dar fegno di cÓtumelia. Parimen te contra di quelli s'accen- de 1 huomo in ira, i quali nuocono, o Ci moftran Contratti in co- le, chcilcr pollano inditij, Se legni di contumelia, Se di vilipen- 41 dio. Se così fatte par, che necetfanamete lì pollano ftimar quel- V? i ncI,CqU 11 nuoce, non perche filia nccuuta qualche pitela, Se nocumcto prima, ne perchcqualch'vtile, o comodo di ciò ne venga: & per quefto può parer, che ciò Ci faccia per fola 43 contumelia. Contra di color ancora fuole l'huomo aeeuolraétc adirargli quali lo biafmano, Se con parole fegli oppongono, Se moftran di no tener di lui ftima intorno a quelle cole, ncllcqua- 44 liei [faccia pnncipalmcicprofcflioncor ftudio. come (pcrellem- pio) le cercando alcun d'eùer tenutoin pregio nella filofofla,fuf- 4/ le chi moftrairc di rcneilo in ella in pochiftìma ftima . o fc fti- mandofi egli dotato di bellezza, Se di quella s inuaghilfc, fune chi come poco bello moftraife di giudicarlo, c i lìmil fi dee dir 4* difeorrcndo nell altre cole. Et molto più ci Cuoi quefto ancor* auucmr quado detro in noi folpichiamo,o opinione habbiamo, cnc quelle cofc,ncllequaii ci gloriamo Se reputation cerchiamo, o totalmcte non fiano in noi,o almcn non ci nano in quella per- fettone, che vogliara che le fian tenute, o che fe pur v. fono, fo- 47 lpichiamo,che non paia nondimen agii altroché le vi fiano. ma iemoltolalda, & certa farà l'opinione, Se la certezza no ftra, che tai cofe fcnzaalcun dubio veramete fiano in noi, nò ci farà tato a cuorc,nc terrem molto in cótoil bialmo, o il difpregio, eli alcun 4» ne faccia. Appretto di quefto cótra di coloro, che noi reportagi P amici, molto più,fc ci ofFendono,ci accediamo in ira che cótra Jl Secondo libto . / rj di quei, che no ci fon amici: peroche da eli] ftimiam concnir più torto d'haiicrc a riceucr bene,c'hauer p il córrano a rice uer male. 4P Mcdefimamcte color, che fon (oliti d'honorarci, Se d ilanerei m còro, Se in cófideracioiiCjfcgli accafea poi, che non fegu in di far più qucfto, ci cóciran facilmente ad ira. cóciofiacofa clic agcuol- nicrc potiam da qucfto cóicrtnrare, che ci deprezzino, Ov a vii ci tégano.pofciache fe quello no fulTe, fegiiircbber di far quel, che 50 faccuan pi ima . Color parimcte eccitar foglion córra di le 1 nano ftra,i quali hauédo nceuuto benefitio da noi,nódimeno nelle no ftre oc coi rene nó ne fanno a noi, ne fi curan di renderne il córra - 51 cablo. Se quelli ancora, i quali nelle lor'arrioni (on conrrari] alle ji noftre,eirendo etì] nódimen inferiori a noi. Se quello ciauuicn perche tutti queftì, cioè gli virimi, c'habbiamdcrri, &li precedé- 53 tedino indino di poco apprezzarci, Se di nó renerei in còro, que 111 come ch'inferiori loi lìamo,& quelli, come che da inferiori be 54 netìrio riccuuio riabbiano. Oltra di quello maggiormente ancor prouocan conrradi (e 1 ira nolrra quelli, eh eilcndo huomini di niun .òro, Se di niun valore.cV: tenuti in nulla, moftran nódime- nodi deprezzarci, Se di vilipéderci.pofciachegià habbiam deferi uédo l ira luppolto nafeere ella,c\: cagionarli dal viIipcdio,chc có 55 tra di chi nó cóucnga, fuor di ragione, & del douer li faccia : ne è dubio,ch'a gli inferiori nó cóucga nó vilipedcr i lor fupeiiori,ma 56 più torto honorargli,& tenergli in cóto. Color parimctc,chc noi teniam per amici, le non dico ben di noi,&: có parolc,o con opre non lì moltrano in fauore, &: in aiuto nollro, (oglion facilmente 57 prouocarci ad ira: & molro ancor p.ù fe il cótrario fanno. Et an- cor fe cadendo noi in mamfelto biiogno d'alcuna cola, eglino nó 58 rauuerti(cono,& nó vi volgo l'animo. lì come da Antifonte è in- trodotto Pleirippo, che per tal cauia s'adira còntradi Melcagro. rp Se quello auuicne perche quel nó auucrtire Se nó por cura, è ma- nifeltofegno di ditprczzamcto,& di tenere altri in nulla : potei a che le cole,che premono, èv lon'a cuore, nó (oglion pallar'ignote 60 Se nó atterrite, òentiam medelimamcte inliamarci d ira córra di quellljchene noftri infortuni) gioi(cono,& fi rallegra no. Se córra di quelli 1 foni ma, che p quali li voghan noftre mi(cric,cel/a ^Retorica d y jérìttotelt^ 6} moleftia, o difpiacer ne venga. Et di qui è, clic facilmente ci a- diriamo contra di quelli, che ci portan qualche mala nouclla,ella Storica d'Arinotela mieramentc adunque altro non etter la placabilirà , clic vn cer- | co quieramento, pofamenro , & ccllàtion dall'ira . Hora cl- fendo , che gli huomini ( come già Ci e detto ) s'adiran prin- cipalmente contra di coloro , che gli difpreggiano , & vilipen- dono ; &: ellendo il difprezzamcnto , ci vilipendio cola (pon- tanea, o ver volontaria ; è mani fedo per quello , che verfo di co- loro > 1 quali o non faran cola, eh cllcr polla a dilptegio , o vili- pendio nollro ; o contra del lor voler la faranno , o almen ci par- ia, che coli la facciano; manfueti, cV placati ci renderemo. 4 Et verfo di quelli ancora, i quali vorrebber volontieri haucre 5 fatto il contrario di quello, che conerà di noi han fatto. Ver- fo di quei parimente dineniam manfueti , & placati , i q tu- li quello dello c'han fatto contra di noi, han fatto parimente vcrlo di loro fleffi : non parendo vcrilimil , che alcuno vii di- fprezzamcnto » vilipendio ,& Icherno verfo di le medefimo . 4 Et quello dello ci auuien verfo di quelli altri ancora , i qua- li confcllano il fatto, & infiememente modran pentimento di 7 quanto contra di noi riabbiano operato, percioche accettan- do noi quel lor dolerli, & pentirti, in luogo quali di lor ga- digo, & di lor punitionc ; viene in vn cerco modo a fatiar- f\ , óc per confeguente a mitigarli 1 ira già conerà di lor con- 5 cepura. di che ci può clfere inditio quel, che li vede tu freni- re nelgalbgare, & punirci ferii i : pofeiache quanto più opina- ti danno in negare il fallo, & in opporli contradicendo ; tan- to più feueramentc , & con più irato animo gli gattigliamo, doue che per il contrario le confettando cflì Perrorloru. «Se di efler per tal'errorc a ragion galligati , feniiamo in noi (ubilo in 9 gran parte mitigarli 1 ira. Et la ragion di quedo li dee dimar , che fu, che il negare odinaramente le cofe apertamente mani- fede, fa inditio, & argomento di sfacciata impudentia, & di mancanza di verecondia : tk l'impudcntia, & l'inuerecondia, par che liano vna forre di difprezzamcnto, & di vilipendio . Se che ciò da il vero, alla prefenna di coloro, che noi nulla fil- miamo, & reniam grandemente a vile; verecondia giamai aleu- to na non fogliamo hauere. Manfueti , & placati ci lodiamo ren- dere ancora verfo di quelli» i quali ci li modran o humili ,  fegue che noi moftria- mo : difHniendo prima,chc cola Iia l'amici tia,& fa t£ mare ftclTo . Intendali dunque per hora, altro non cfler l'amare, ch'il delìdera re all'amato cofe, che noi (limiamo ellèrgli beni : Se ciò non percaufa nollra propria, ma per caufa dell'amato (ietto : con procurar con ogni diligenti* 3 fecondo le forze noftre, ch'egli le conleguifca. L'Amico poi s'hà 4 da fumare elfcr quello, il quale amando lìa ancor riamato. Onde color fi Iti meranno,& reputeranno d'elfer tra di loro amici,i qua liharanno opinione, & credenza d'elfer cambicuolmcntc l vn verfol altro nella maniera, c'habbiam diftìniro l'amare, Se l'ami- 5 co. Siippoiìodunqucpcr vero tutto quello c habbiam detto,ne fegue nccclfariaraentc, che amico d vno farà quello, il quale in- fiemeancora elfo lì rallegrarà delle prol perita di quello, & li con dolcrà delle cofcauuerfc , Se delle infelici , Se non ad altro fine, 6 ne per altra cagione, che per cagion di lui . percioche rallegran- doli, Se fentendo diletto tutti gli huomini generalmente in vede re effettuar le cofe fecondo ! volere, Se defidcrio loro , Se rattrilìa- 7 doli, Se fèntcndo dolore quando per il contrario accafeano; ne fc gue, chele tnftczze>ò\: fc voluttà lìen grandinami inditi) delle vo 8 lontà de eli huomini. Color mcdclìmamentc fon tra di loro amici , a i quali le medcfime cofe fono, o ver paion buon e, & le mede 11- Jl Secondo lìhro . fjj: f mededmecattiue. & quelli parimente, ch'alle mededme perfo- nc fono amici, Sfalle medeìime fon nemici : percioche in cai cad vengon nccedàriamente a rincontrar con le volontà nelle 10 medefimecofe : onde volendo, Se delìderando ciafchcdtin de (fi » le cofe mededme a Ce dello, chei vuole, Se dclìdera ali altro, vien 1 1 per quello a potere elfergli (limato amico . Quanto a color.che Sogliono edere amati, fon primieramente da noi amati quelli, da i quali habbiam riceuuto benefiti;, o noi ftedì, o alcun di quelli, che ci fon (ommamente cati, o che fon lotto la protettionc > & cu ra nodra : & madì inamente fé grandi fono dati li benefìrij , o fé prontamente fatti, o fe nella tale,& nella tale occa(lone,& oppor tunità di tempo, o fe non ad altro tìnc,chc per fola cagion di noi. ti Et parimente lon da noi amati, fe quantunque non habbian fat- to per il pallato benefici j, com'habbiam detto, conofeiamo non. 1 5 dimeno, c'han difpofta, Se pronta volontà di farne. Sogliamo mcdefimamcnte amare gli amici degli amici nodri,& coloro* 14' che amano quelli iteflì , che (on da noi amati : ne manco quegli ij altri , che fono amati da quei, che noi amiamo. Et ol tra ciò fo- gliamo amar coloro, che fon nemici di quei m edelì mi, de i q ualt damo nemici noi ; Se color parimente, che portano odio a quelli (ledi, che fon da noi odiati ; ne manco ancor quegli altri, che fo- 16 no odiati da quelli, che noi parimente odiamo, percioche a rut- ti quefti, c'habbiam raccontati, vengono a parer beni quelle def- fc cofe, che paiono a noi ; Se per confeguente veniamo a volere , Se desiderar cod fatti beni in loro : il chegià habbiam detto eder 17 proprio degli amici . Amiamo medefimamen te coloro,che fon foli ti, Se atti abenificarc, tk giouare altrui, Se madìmameute in danari, Se in cofe, ch'importano alla faluezza della vita , Se della 18 fallite noftra. Onde auuien, ch'i liberali, e forti fian ben voluti, & honorati generalmente da tutti. Amate fon patimcntc da noi le pedone amiche del giù Ilo, 6e tali (limiamo eder quelli, che nò afpiran, ne cercan di viuer di quel de gli altri , o con pregiuditio 10 di chi Ci voglia . Se cod fatti fon quelli, che ftan contenti in pro- curar di foftentard con le propriefodantic,& fatighc loro:quali fi dcono dimare eder mammamentc quei, che fono amarori del- l'agricoltura , &: dalla cultiuation della terra viuono : Se quelli mededmarnente, che con 1 induftria, Se opera delle proprie ma. 11 ni, pi oueggono alla vita loro. Appredo di quello fogliamo ama r Q_ ij qucll e I&jX Detta ^Rgtortca d2lriìl [ otele_j quelle perfone, che in tutte le loro arcioni foglion inoltrar t'em* perantia Se moderna : conciofiacola che da coli fatte perfonc,co- 11 me da non ingiufte, non fi foglia temei • d'ingiultitia alcuna. Et per la mcdefima ragione amiamo ancoi coloro, i quali non cu- riofi > & tra negotij , & liti Tempre inquieti ; ma tranquilli nella *3 lor quiete viuono . Son da noi parimente amati coloro, a i qua- li defideriamo di diuenireamici , feconolciamo, cheflì il mede- 2^ fimo defiderio tengano. &: tali fon quei, ch'in qualche nobil vir- tù preuagliono, & rifplendonotcv quelli parimente,chc fono in gran reputatone, & ltima, o appreHo communementedi tutti , oapprellbdci migliori, oappreilbdi quei,chcnoi habbiaraoin ammiratione, o appretto finalmente di quelli, che (limano, & t$ ammiran noi. Sogliamo oltra di quello amar coloro, che fon per natura dolci, & giocondi nella conuerfatione,& tali, che con diletto fi foglia con cflì confumare il tempo. Se cofi fatti lon quel U> che di benigna, & fàcil natura fono,& non de eli errori alttui curiofi oflfcruatori, o minuti riprenfori ; ne fono altercatiui,o có- 16 tcntiofi, o amatori di liti . pofeiache tutte quefte perfone cofi fat te fono amiche di contrariare, di pugnare, & d opporli fempre in ogni cofaagli altri : nèèdubio, che quei, che fan queft,o,non moltrino in ciò di non conuenir nella volontà , ma di volere il 17 contrario, che gli altri vogliono . Soglion renderli amabili an- cor coloro, li quali fon molto deftri, Se atti, cofi nel mordere , Se punger giocofamentc, & fcheizcuolmcnte, come ancor nel fop-, fumare, Se riceuer con patiente, «Se amorcuolc animo i morii, Se e punture, che fian date loro, conciolìacofa che gli vni, Se gli al* tri, cioè quei, che pungono,&: quei, che puti fono, vn medefimo fin della càbietiol dilettation riguardino;métre che co lieta patié tia riceuono in fc fteflì i morfi,8c co accomodata deprezza inor- ai dono. Amiamo medefimaméte quelli, da i quali fentii lodar quel la forte di beni, che fono in noi : Se tra quelli beni, ptincipalmc te quelli, del portello dei quali, noi non ben fecuri, fofpichia- 50 mo alquanto, che veramente non fiano in noi . Ci fi rendon pa- rimente amabili quei, che moftran fempre alla viltà altrui vna certa delicata nettezza, Se politezza, così nella faccia, Se ncll'a- fpetto, come ne i vcftimenti, Se in tutta finalmente la vita loro . 5 x Non fiamo alieni ancor da amar quella fortedi perfone, che no han per coflumc di rammemorare, Se gittarc al vifo altrui, o gli errori Jl Secondo libro . / isj* errori da altri commeflTi , e i benefitij da lor già fatti : pofeiache l'vna , Se l'altra di quelle cofe , fa argomento, & inditio, che limoni fia auido,& diletto prenda d'eller reprenfiuo,& redarguì 31 tiuo. Se quell'ai tra forte d huomini ancora amiamo, i quali non foglion tenere imprende molto nella memoria 1 ingiurie, e i dan- ni, che fon lor farti: nècurioli indagatori, oofleruatori fon del- le colpe, Se dell'ortelc altrui ; ma fon facilmente riconciliatiui, Se 3 3 amici del pacificarli, pcrciòche quali noi gli filmiamo eller vcr- fo degli altri, tali ancora ci diamo a credere c'habbian da eller 3 4 verfo di noi. Ci li rendono amabili ancor coloro, che non li di* lettan di dire, o di penfar mal d'altrui, ne cercano, o braman di faper gli altrui o i noftri falli,ma folo il bene ; cilendo il far que- 3j fio veramente ofHtio dell'huom da bene. Soglion parimente ef- fere amati quelli, li quali non fi dilettan, ne han percoftumc di contrapporli, o d'attraucrfarlì a color, che lì truouano accefi d'i- ra; o a quelli, che con grande atrentione fono fedamente, & fui graue occupati in qualche cofa: perciochc quelli, che fan quello 3 6 non pollono eller, fe non perfone altercati u e, Se contcntiofc.Fa- cilmente ancora ci induciamo ad amar quelli, che tali ci lì mo- ftran verfo di noi difpolti, come chi ci riabbiano in ammirano- ne, Se ci repurin virtuofi, Se da bene, & della conuerfation no- 37 ftra diletto prendine Se malli mamen te le cosi fatte lor di mo- Arationi, Se opinioni c'habbian di noi, fono intorno a quelle co- fe, ncllcquali principalmente delideriamo d'ellerc ammirati, Se di parere altrui virtuofi, Se habili a dar diletto có la noftra cóuer 3 8 fatione. Sogliamo olrra di quello amare gli vguali , Se i limili a noi,&: quei, che fan la medeiìma profelfion di noi; Se ne i mede- fimi Itndij, &arti,elTcrcitio, & diligentia pongono : fegia no ac cadclTe, che per tal caufa l'vn fulTe d'impedimcto all'altro ; o che tutti hau eller dafoflentar la vira da vna arte, ouer profeflione 3£ ftefla . perochein tal cafo fi verificherebbe il prouerbio, chedi- 40 ce,IlVafaro odia il vafaro. Etmedefimamcnte ci fi rendono' amabili quelle, che delle mcdefime cofe ci fi moftran defiderofi, che noi parimente defideriamo : quando le cofe fon tali, che pof fono iniiememcnte eflerda loro,& danoiconfeguite,eV pollèdu 41 te . altrimenti quando quello accader non poteilejharcbbe luo* 41 go il medefimo prouerbio pur'hora addotto . Olirà di quello color parimente amiamo, co i quali così fatta difpofition tenia- mo, / 2 6 ^DeHa c R^torica cT Àrìttotcl^j " mo, cFic ci fa non vergognarci apprclfo di loro di quelle cofe* che più rodo in apparenti*, & in opinionc > che in verità tengo- no in fe bruttezza : fegià qucfto non vergognarcene non na(ccf- 45 feda poca, o nulla rama, che noi di lor faceflìmo. Eramiamo ancor quelli dall'altra parte, appretto dei quali teniamo rofloc di vergogna di quelle cofe, che più torto fecondo la verità, che 44 fecondo l'opinione, habbiano in fe del brutro . Son parimente da noi amati quelli, dai quali habbiam caro d'efler tenuti in 45 buon concetto & in conto d honorc, & di (lima. Et quelli me- dclimamcte o amiamo, o defideriamo haucr per amici, da i qua- li delìderiamo eflcr tolti, & fcelti per oggetti dcmnlatfonc, Se 46 d'imitatione, ma non d inuidia . Siamo ancor pronti ad amar quelli, inficmc, co i quali per acquifto, & confeguimcto di qual che bene, ci fiamo operati : fe già per quello non fi vedeile poi , 47 che fulle per venirne a noi mcnteamati. Et in fomma l'elìer grandemente amator de Ria- mici, & il non abbandonagli, & reftar d'amargli per qual iì vo- jo glia cafo> è cofa, che rende molto amabile I h uomo . peroche fe ogni forte di bontà, cV di virtù, far fuol le perfonc amabili, maf- 51 fimamence lo fa l'haucr bontà, & virtù nell'amare. Sogliamo oltradi quello amar quelli, che nel lor conuerfar non procedon con elTb noi con fintioni, & diflìmulationi de gli animi loro, & tali fon coloro, i quali i falli loro non fi vergognan di confeilarc, 51 cVmanifeftare; hauendo noi già detto, che con gli amici non ci vergogniamo di far lor palefi quelle cole, che fon più fecódo l'o- %\ pinione, che fecódo la verità colpabile. Onde fe colui, che di ciò lì vergogna, non ama,vcrrà confeguentementc colui, che no j4 prendcdi ciò vergogna a moftrar d amare. Siamo ancor pronti ad amar coloro, che formidabili, o tremendi non ci fi moftrano, & ne i quali fecurezza, & confidentia habbiamo, percioche nef- funo è ch'arai chi fia da lui temuto. Spctie dell'amici tia fono, lamicitia trà i compagni, ofotictà chclavogliam chiamare, la- micitia trà i domeftici, & familiari ; l amicitia trà i propinqui,©* f€ congiunti in (àngue, & altre fpctic parimente così fatte . Trà le Jfi [Secondo libro. Ì27 cofe poi) che producano, &: generano l'amici tia fon primierame* te li benefìci), Se il fargli iponcaneamence fenza afpeccar la forza dei prieghi. Se olerà di quello il no predicargli colui, che gli fì; conciofiacofa che nel predicargli, & nell'often targli farebbe egli parer d'haucrgli facci per caufa fua propria, Se non per cauta del" J7 l'alero,chegli riccuc. Quan co apparti en poi airinimiciua,& aU Thaucr in odio, è co fa manifefla che da i luoghi con era ri j a quel- li, che noi riabbiamo adeguaci dell'amicicia, Se dcll'amare,pocrà tS chi fi voglia per le ileiTo difcorrere Se cófiderare. Prodocc.ici,óc generatici cagioni dell'inimicicia fono l'ira ; il concrapporfi, o jS> conrrapponimenco, chevogliam dire, Se la maladicencia ► Ma l'ira non fi fuolc ccciccarc in noi, fe non per cofe» che riguardici noi tlellì : doue che l'inimicicia può in noi nafeer conerà d alcu- no, fenza c habbia egli facco cofa, che cocchi, o riguardi noi.pcr- ciochc fc della rale,& calcodiofa quali cà lo fumeremo, fenza du- 60 bio alcuno, fenza altra caufa gli porremo odio. Apprcilb di que- fio no s'eccita, ne ha luogo lira mai, fenon conerà di pedono parcicolari, come a dir con era di Callia, o di Socrace. ma l'odio può hauer luogo conerà d'alcuna force d'huomini in vniucr- Tale, confideraca nel gencr fuo : conciofiacoia che nciTun fia, chenonhabbia inodio il ladro, & il calunniatore in genere» 61 A quello s'aggiugne, che l'ira lì vede elìcr mecficabilcol cépo, 61 ma l'odio non riceue medicina da quello» L'ira olerà ciò fpinge a dcfiderare di cagionar dolore, & molellia ncirauueriario : do- i ue che l'odio hà fol la mira al male, &al dàno delia perfona odia 63 ca. pcroche l'iraeo vorrebbe, che fullè da chi lo riceue fencico, & fapuco donde gli viene il male, ÒV a colui» cheodia, purché t l'odiaco habbia il male, poco alerà cofa importa . Ec fono i mali , che doglia, Se molellia apporcano, in namralor fenfibili,&: dal- lo ilciTo fenfo percettibili . ma quei maliche principalmente fil- mar fideono, manco di cucci fi ftnfencire: & quelli fono l'In- giufìicia, Se Mmprudeneia, o ScoIticia,chela vogliam dire, po- feiache neiTun dolore, o molellia la prefentia del vicione fafen- *4 eirc . Olerà di quello l'vno dei decer affecti ila icmpre accompa- gnato con afTlicrionc, Se molellia di animo : doue che l'altro ne» hà fempre fcco cotal molellia: conciofiacoia che l huomo nell'ef fere irato (enea fempre dolore , Se nel portare odio non fempre 6 r il fenca . S'aggiugne ancora a quello, che l'irato nel veder gran» demente / 2 S ^ella llgtprìca d '' 'Arili Wefcs demente moltiplicare infortunij, & calamità nel fuo auuerfario, fuol finalmente muouerli a compaflìone: ma chi odia, non ferire pietà già mai . Et la ragion di quello e, che 1 irato altro non cer- ca, Se non defidera, fé non che colui, contra del quale ha ira, fen tacon dolore,& moleUiaellcr fatta contra di lui ricompera del la comincila orfefa . ma colui, che odia , brama, & vorrebbe l'vl- timaannullanonc,& deftruttionc, Se lo Hello non cller della pcr- 46 fona odiata. Hor per le cofe, che li lon dette, può eifer manife- fto come lì polla fare altrui, conolccre cllere amici , o nemici cuci, che veramente (bno : Se come quando tali non fieno, lì pof- ùn fax diuenir tali : Se come parimente q uando per amici, o per nemici fon porti innanzi ; fi polla difcioglier quella apparcntia , 4y Se far conoicer , clic tai non fiano : & oltra di quedo in che ma- niera , venendo in controuerfia s alcuna cola lìa fatta o per ira, o per inimici tia,s riabbiada far parere, o 1 vna cofa,o l'ai tra, lecon i 8 do che ci verrà ben d'eleggere . Quali fiano hor quelle cofe , per cagion delle quali nafee timor ne gli huomini : Se quai (orti di perfone fogliano cfTer temute , Se qualmente difpofti ficn [liei , che temono, per quel , ch'ai prefente diremo , potrà ci- ti manifcfto, / (apo j. *Del Timor e, & della Conjìdentia . ?3TH Ohi amo adunque per hora, ch'altro non fia il Ti- more, ch'vn con tri /lamento, Se vna pcrtnrbation dell'animo, nata da imninginatione, Se opinione Kì . di detlrueeitiuo, oafìlittiuo futuro male, concio- r — 32 ha cola che non tutti ì mali han tcrauu.comc a die | ledere in giù Ilo, o tardo di mente, o fi mi le. ma folamen te quelli» i quali o intentinomi dolori, Se molcftic, o l 'ideilo dellruggimc- 4 to, Se la (Iella morte, recar ne polfono . Et quelli ancor non tem- pre fon temuti, ma folamentealhota, che non per molto fpatio di tempo, lungi da noi fi moftrano, ma come vicini, cV quali che adhora inhora fian per venire, già già pendenti appaiono : po- (ciache i mali, che molto tempo flimiamo, che fian per tardare j a venire, temer non fi fogliono. Se che ciò fia il vero, nell'uno è , che non fappiaper cofa certa d'hauerca morire, Se nondimeno perche c immaginiam la morte molto da lunga, non par,che pen fiero, Jl Secondo libto . / 29 6 fiero,o timor ci mettale vicina non la vediamo. Effondo adun- que il nmor tale, quale habbiam delcritto, è uccellano che tut- te quelle cole ci liano da clfcr temute, le quali ci paia, che hab- bian gran forza, Se facilità di recar la dcitruttiohc, Se. la perdi- tione, o almen così graui danni, che molto acerbo dolorcóY pù- > i 7 gente arili ttione ne partorì fcano. La onde li legni ancoia,& gl'in- di rij di cosi-fatti mali fon da clfcr temuti; come quelli,che ci fan- no apparire, 6c Itamar, ch'i mali, di cui fon legni, ci llcn già vicH ni : ne altro che quello è il pencolo : cioè apprellamento di gra- 8 ue, & tremendo male. Et così fatti legni fon primieramente l'i- numana, & l'ira di quelli, c'han potere, Se facilità di nuocerci , Se di firci qualche importante male: perochceilcndo per quello manifefto, eh elfi polìbno, & voglion farlo, ne fegue che molto 9 vicino, Se propinquo (la, che lo facciano. Da temere ancor come indino di propinquo male lì dee ftimar, che fia l'ingiuftitia in man di color, che potendo affai, han facultà d'eseguirla : con- ciofiacota che liacon ella congiunto ancora il volere ; non eden- dò ingiufto colui eh e ingiufto, fc non perche clfcr vuole, Se Te- lo legge, il valore ancora, & la virtù dell'huoino, s'ella vicn di- fp rezza t i, & fchemita, Se fe forza, & poter non le manca; dee Teri(imilmcnte clfcr temuta: clfendo inanifefto, ch'ogni volta che la Ila dilprezzara, quel difprezzamcnto fa, ch'ella elegga, Se voglia nuocere, Se la forza,e'l poter che poi le le aggiugne,fa che 1 1 la polla farlo. La paura medelìruamcre, che fia di noi hauuta da pedone potenti, & habili a farci male, dee eller da noi temuta : perche clfendo elle tali, nccellàriamenre laran fempre difpofle, li & pirite a offenderci pcrfecurarlì . Oltra di queltu perche gli huomini per la maggior parte fon più tolto cattiui, che buoni, Se non potenti a refìlterc ali auara cupidità d hauere, Se timidi ol- tra cuS, Se vili ne 1 pericoli ; di qui è, ch'il più delle volte e cola da temer come pericolofa il por la propria (ahi re io potcre,& in ar- 15 bitrio d'altri . Onde vengono a douerc elfer temuti da noi colo- ro, li quali fon confapeuoli di qualche nollro importate delitto, o (celeraro fatto , o fon compagni in elio : potendo elìì agcuol- mcreo palefar quel, che fanno, o inqual lì voglia altro modo tra 14 dirci. Medclìmamente tutti color, che lon potenti, Se habili a fare ingiuria, deono elfer femprc temuti da quelli, che tono no- bili, Òe facilmente cfpofli àdellcrc ingiuriati : po.ci.iche perii R p.ù^li ij più gli huomini, quando polfono, fan volonticri ingiuria. Do» ucranno aacora elici da noi lemuri quelli, i quali o han riceuu- to da noi qualche offcla, o almen fi credon d haucrJa riceuuta : conciofiacola che femore quefti rali ftieno olferuado leoccalìo- il ni, ci rempo per vendicarli. Dall'altra parre fondaeflcr tenuti ancora coloro, c han fatto ingiuria, fe forza,& poter fi tritona in erti, come quelli, che temono,che non fialorrenduto con la ve- detta il cambio, hauendo noi già pofto quello tri le cofe, che te- 17 merli deono. Apprclfo di quefto quelli, che per lacquifto, fc poifelfo d'vna ftefla. cofa quau a gara tra di lorcontendono-, dcon temerli gli vni gli altri, ogni volta che la cofa fia talc,chil luo ac- quifto non polla negli vni , & negli altri hauere iniiemenicnre luogo: pcrochegli auuien fempre che quelli tali fi oppongano, &c li nemichino inlìeme per impedirli in tutto quel, che pollono. I 8 Coloro ancora, i quali fono atti a dar timore a quei, che lon più. poteri ti di noi, dcon parimente elfer da noi remuti ; come quel- li, che più atti, & potenti farebbero a fare offefa, & nocumento 15? a noi, eh aquelli . Et per la mcdelima ragione temer debbiam quelli, che noi vediamo ellcre effettualmente temuti da alcuni , 10 che fian di maggior potere, & valor di noi. Et quelli parimcn- re, c hanno orlclo, o vecifo perfona più potente, & più atta a di- II fenderli, che non fata noi. & non manco ancor quelli,c hanno airalito, & fatto fopr'vfo a pcrfone,ancor che di minor forze, Se 11 di minor conto di noi. perochc eglino, o fon già habili a tentar quello ftelìb contradi noi, c\r perconleguente da elfer da noi te- muti ; o fon per pigliar da quel fitto accrefeimenro di forze, 6c 15 d'animo da doucrc elfer da noi lemuri . Oltra di quefto trà tutti quelli, che pcrelfcrc ilari ingiuriati da.noi, o per elfer nemici , èc auuerfahj no il ri, ci dan caufa di temer di loro, fon principal- mente da elfer remuti, non quelli, eh à curi, & i ubici nell'ira fo- no, & molto nel parlar liberi ,• ma quelli per il contrario, che co di Hi mula rione, aftu ria, cV calidità, placati di fuora appaiono. 14 conciofiacofa che di quefti tali non ci polla mai elfer manifefto, ic il male, e il pericolo ci lia dapprclfo ; &c perconleguente non ci potiamo aliccurar, ch'il mal, c habbiamda temer,lia lontano. if Hor tutte le cofe, che ci polfbn cagionar timore, alhor di mag- gior* fpauento, òVpiù da elfer temutefono, quando al difordine, & al danno, che con erte venga, mal li può dar medicina, o re- car reme- Jl Secondo Ithro . ijt ear remedio, ma o in tutto correggere, Se rimediar non fi può, over (e remedio alcun ci fia, non e egli in min noftra, Se in po- ter noftro, ma in man più rollo degli auuerfanj, & nemici no- tò ftri. Et medeiìmamen terrà le cofe, cheli deon tcmcre,qucllefon maggiormente da temere, per la cui ncompenfa, & reltauro, o non da da trouarfi da alcuna parte aiuto, oaìmen molto difficile »7 fiail trouarlo . Et per dire in lomma in vna parola, fon da elfer temute tutte quelle cofe, le quali vedendoli accadute inalrn,o già già pendenti per accadere, fono atte a generare affetto di có- 18 paflione. Queftc, che noi habbiam dette adunque, fon ((i può dir) tutte quelle cole, che fon da elTcr temute, Se che per il più, foglion temere gli huomini. fegue hora che noi diciamo, qual forre d'huomini, & in che maniera difpofti, Se qualificati lien quelli, che temer fogliono. Ellendo dunque il timor cógiunto femprecon immaginationc, Se quafi afpettanon d'hauerea rice- ucr qualche lefione, o patimento corrottiuo, Se dcltruggitiuo ; chiara cofa è, che timor non farà per cadere in coloro, i quali habbiano opinione, & credenza di non hauere a patir male al- io cuno, oalmen temenza non haran di quelle cofe, le quali eflì nò 3 1 minino, ch'accafcarlor debbiano, ne di quelle perfone pan me- re, dalle quali non habbiano opinione, che mal ne debba lor ve- 51 nire: oalmen non ne temerannoin quel tempo, nel quale ma- 33 le alcun non n'afpcttino . Onde neceffariamenre fegue, che in quelli farà timore, i quali haran credenza, Se opinione di potere elfer da qualchegraue malcaflaliti, Se in quelli parimente, che da quefte, o da quelle perfone, Se da quefte, o da quelle cofe, Se in quefto, o in quel tempo, (ofpicheranno, Se (limeranno, ch'il 14 male, & il pcricol venga. Tra quelli, che non ftiman d hauere ad eflerc aflali ti da grane male alcuno, fon primieramente colo- ro, che fi truouan pofti in gran profperità di fortuna : Se per ouefto vengon quefti tali ad ellcr contumcliofi, infoienti, Se di- spregiatori d'ognuno, Se ripieni, 6V gonfiati fempre d audacia, $$ Se di confidentia. & così fatti gli foglion render le ricchezze, }6 la gagliardia,la copia degli amia, l'autorità, Se Ja potcntia. Co- loro ancora non penfàn, che graue male habbia da venir loro, li quali fumandoli, che già fien venuti loro addofTo tutti i più gra- ui, Se più atroci mali ; fenrono agghiacciara, & quali cilinta in elfi ogni fpcranza, ch'il futuro riguardar polla: come auuiert R ij (per cileni- / $2 Ideila lirica dj4rìttotc(z^> (per clTcmpioJin quelli, che all' vi rimo ftippìitio condénari, all'è- 57 lecution di quello menaci (ono . mailumoic ha Infogno itm- pre per l'elferè, Óc mantenimento (no di qualche Iperanza di fa- llite, 3c di (campo in quel pericolo, & in quel m u, clic u u me, 3S o pare. Di che chiaro indiiio ci può ellere il veder, eh il rimor reo del huomo conlulratiuo, & nellunoc, che coniiglio cerchi in quelle cole, in cui non lì in nmafte reliquie di fperanza alcu- 35? na. Pier laqual cofa quando noi corniceremo, o ltunercmo ciìcr comodo alla caufa noftra, che qualche timor ha negli alcol tarorij farà di mcftieri, che procuriamo di preparargli in modo con la noftra orationc, che li dicno a creder d'clfer tali, ch 'ancora erti polHin patire, 6c riceucr male, come faria dicendo, che patito 40 habbiano altri maggiori, & più potenti di loro : 3c facendo lor vedere, ch'alrri limili, òc pari loro habbiano il medetimo patito, o patano,& da tali, che mai (limato nò l'harebbero; & cai cofe,& 41 in tal tcpo,che non harebber creduto, calettato mai. Hor per- che già intorno al timor dichiarato habbiamo,chc cofa egli ha, genera parimente confidentia . Oltra di quello contìdentia fentirem venire in noi, fe, o in più numero , o di maggior valore,o in maggior nu mero, Se valore infieme,fari quel li , a cui tocchi il medeiimo interellc noltro, che non faran dalla 49 parte di quelli, da cui ci fia per venire il male. Le perfonepoi, nel le quali ha d'hauer luogo la confidenti!, nella gin la, che fiora diremo, difpofte fogliono eflerc. Se primieramente fon'cllc tali, quando par loro, che la maggior parte de i fatti , & delle ini prete loro, lìan lor (uccedute profperamente:& che ninna cofa attucr- jo fa, o pericolo fia lor venuto addotto . Et quelli d uTaltra parte fo gliono eirer confidenti ancora, i quali fpelle voltein graui peri- coli fi fon trouati, Se fempre nondimeno ne fon riufciti liberi, Se fcampati falui. conciofiacofa che in due modi, o ver perduceau- fe fogliano gli rinomini non fentire, o temere i pericolilo per che prouati altre volte non gli hanno , ovcramenre perche ltimano 51 di potere hauercin pronto aiuti da liberartene, come fi vede (per eirempio) auuenir ne i pericoli del mare : doue coloro,chccomc inefperti del nauigare,non han prouaro alerà volta le tempere marittime, ci ftan con animo confidente, Se fecirro di qucllo,chc ila pendente per accafeare. ma color parimente liberi , da timor quiui fi ti u ouano. ì n aiuto de i quali ila polla, Se parata l cfpericn 5 3 tia,che tengono in tai pericoli. Soglion medelimamente in qual- che pericolo elTcr conridenti gli huomini , quando conofeon no haucr dato coli fatti pericoli terrore a perfone fimili , o vguali a loro, o a manco potenti, eli cili non lono, o a tali, di cui eliì più 54 potenti, Se maggiori fi {ramino . Et alhora filmiamo d clTer più potenti d'alcuni altri, quando o quelli Iteflì, o altri maggiori, Se più potenti di loro, o almcn fimili, Se vguali ad elTì ,* vinti, f 55 pcrati riabbiamo. Diuengono ancor cófidenti gli huomini qua- do ilimano, Se fi perfuadon di polTcderein maggior numero, Se in maggior perfezione quelle cole, nelle quali color , ch'ecccdo- 56 no foglion dare di fe timore. Se cofi fitte cole (ono copia di ric- chezze, gagliardia della pcrfona,larghezza di dominio, Se di pof- fcffionij / 'Della r B^torica d % Aristotele fclììoni, abbondamia d amici, copia d in ftromenti, &mtinition da guerra, o d ogni torce, o almcn delie maggiori, & delle più im- j7 portanti . Co nhden eia ancor fi fuol trouarein coloro , i quali no han mai orfeio, o ingiuriato alcuno, o almcn non molti, ÓV fpc- tialmcntc nelfun di quelli, chetali fieno, che debbiano elfere a j8 ragion temuti . Et topra tutto grandemente diuengon le perfo- ne confidenti, quando par loro, che quelle co fé, dalle quali fi pof fa conietturar la mente, c'1 voler di Dio, fi inoltrino in lor fauore, come frà più altre cole fon gl'indi ti) degli aulpicij, le rifpofte de gli oracoli & limili : conciofiacofa che l'ira fia pe r Tua natura at- ta a recar confidenza. Ondefolendo, non dal fare ingiuria, ma 59 dal riceuerlanafcere, & generarli l ira : & douendofi ftimar,che Dio habbia da elfere in aiuto de gli ingiuriati, viene a poter con- ictturarfidai fegni del fauor diuino, d'hauer riceuuto ingiuria» éo onde l ira nafee, che rende I h uom confidente. Suol parimente diuenir confidente l'huomo, quando egli elfcndo quel, che pri- mo aliale, viene a preuenir nel pericolo. perochc andandoui in vn certo modo già preparato, Òc non improuifto,ii da a credere,chc la cola habbia da nule ire a modo Tuo, o che le pur non riefee, no habbia egli ne nel fatto ne doppo'l fatto da lenti rne lelione,o dan il no . Et tanto baiti hauer detto delle cofe , che fono habih a dar timorc>& di quelle parimente, che confidenza recar nepofTono. Capo 6. Della Verecondia, £f del- • l Jnuerecondia . rSJpSTSa Vali fieno hor quelle cofe, intorno alle quali fo- glion diuenir verecondi, o Inucrecondi gli rinomi- ni, o vero sfacciati, 6c al conlpetto di quai pedone foglia quello auucnire , & qualmente difpolti lìen quelli , che facilmente fon tocchi da quelli affetti , a da quello , c hora diremo , potrà renderfi manifcfto . Poniamo adunque che la verecondia fia vna certa mitezza, & perturbatoti dcll animo per cagion di quella forte di mali, che dishonore , & infamia riguardano, o prclcnti, o paffati , o futuri , che li dimo- I ftrino . & 1 Inucrecondia per il conttario viene ad elfere vn certo difprezzamento, óc vn non curarfi,& quali vn non fentir cofi fai ti ma- Jl Secondo librò . i jf 4 ti maH, che ( come ho detto ) ignominia importano. ElTendo dunque la verecondia tale nella Tua divininone, quale cfplicata 1 riabbiamo ; per quella forte di mali verrà neceflanamentc a cau farli in noi vcreco ndia, li quali ci pofla parer , che redondino in bruttezza, & macchia di biafmo, o di noi (tedi, o di perfone,che ci lì.mo a cuore, Se ch'alia noltra cura appartengano . Et coli far- ti mah fon tutte quelle opere, & quelle actioni, che dal vitio de / riuano : come farebbe (per ciicmpio ) nella maggior caldezza di vn fatto d'arme, ilgittarea terrai armi, o il fuggire, &abbando- 6 nar la pugna, il che dal vitio della timidità derma: o il negar di rendere, o ver d'hauer riceuuto vn depofito, il che dal vitio dcl- 7 l'ingiufhtia nafee : o il mefcolarlì in commertio venereo con per fone, che non conuengano, o ver in luogo, o in tempo, che non 8 ila lecito ; il che dcriua dal vitio dcH intcmpcrantia : o il cercare ingordamenrc di guadagnar d'ogni minutezza, over da cole no lccitc,cV poco honefte,o da cofe finalraente,onde fi a quali impof libile il cauar nulla, come fon le perfone molto poucre,& gli liel- f li morti . come fi (noi dire in piouerbio, fin da i morti voler ri- portar guadagno, il che rutto nafee dal brutto vitio del fordido i o guadagno, & dell'anal i eia . Medelimamcnte e cofa da poter ge- nerarein noi verecódiail non fouuenir di danari ne i bifogni,ha- u e ndo il potere, & la commodità di farlo: o fouuenir molto ma zi co di quel , che il polla , & che faccia di mcllicri . Et parimente l'eflèr noi fouucnuti da chi habbia manco il modo,chc no n hab- ix biam noi. Et il cercar di tor danari in preftanza , cV con vfura ancora, quando ftimiam ch'alcun ne voglia domandare a noi. 1 3 Et il domandar di nuouo in pretto da colui,che noi penlìam,che voglia domandai ci, che gli relhtuiamo quel che ci habbia già pre 14 (iato prima. Et il domandar ch'egli ci redituifea quello , che gli habbiam prelbro innanzi, preuedendo noi, che ci voglia in prc- 15 fto domandar di nuouo . Et il metterci oltraquefto a lodar qual che cola in vna certa coral maniera, che polla apertamente pa- rer, che il far quello Ha più tolto vn domandar, che la ci fiaoner- 16 ta in dono. Et il tornar di nuouo a domandar da coloro, dai quali hauendo domandati dell'altre volte, habbiam femprcre- 17 pulfahaumo. Tutte quelle cole, dico, fono atte a cagionarci rof- for di verecondia, per clfer tutte induij del vitio dellauaritia : 18 come ancor cagionar ce la fuolc il lodar molto alla feoperta al- cuno ij cimo in prefentia fua : elfcndo il far quello vno indino del virio 19 dell'adii Licione . Medefimamente il roiierchiamente lodare, & fino al Cielo innalzare in alcuno quelle qualità, che punto,in pu to buone lì truouano in lui, & (cancellar con le parole,& far co me incognite difparir quelle, che grandemente degne fono in lui 40 di bialmo : & il inoltrargli, fc punto lo vediamo afflino, di fen- tir molto maggior dolor del mal Tuo, che non lente egli ftelfo , 3c altre cole in lumina lomiglianti a quelle , fon tutte habili a cagio nar verecondia in noi, come quelle, che lono inditi), & fegnidel li vitiodclladiilatione. Può parimente caufare in noi rolTor di ve- recondia il non potere, o non voler loltcner quelle fatighc, che foltener vediamo a perfone più vecchie, o educate , ck ailuefatte in maggior delitic di noi , o vero a pcrfone,che fiano in maggior licentia, de habilità di comandare, che noi non fiamo , o che fie- no in lomma, men potenti,& men'atte a folìencr fatighe,che nó fiam noi : percioche tutti quelli fon legni d'effeminata molline . 1 1 Pare olirà quello, che ila caufa di verecondia 1 elìcr lempre quel, che riceua benditi) , & cortelie : & il ricorrer molte volte a vn medelimo per aiuto , Se per benefitio : & il rinfacciare , & rimprouerare i fauori, i benetitij,& gli aiuti fatti ; pofeiache tut- te quelle cole fono inditi), & legni di pulillanimita , ded animo 23 abbietto,& vile . Reca medelimamenre verecondia ri parlare in lode di fc medelimo,& il predicarci promerrcr di fc gran cole, cV l'artnbuirea fe ftelfo, & quali vfurparli iclodcuoli opere de- gli altri : elfendo rutti quelli non altro, ch'inditi) di quella Ione 14 di vino, che vantamenro li domanda . Et cofi decorrendo nella mcdelima guifa per ciafeheduno de gli altri vitij, limili a 1 lor vi. ti) debbiam dite elTef l'opre, de glinditij loro, & per confeguen- te pieni di bruttezza, & atti a cagionar verecondia, Iti mar fi deo- tj no. Oltra di quello ci luol recar verecondia il vederci mancare alcuna di quelle cole, delle quali non han mancanza o gli altri tutti, o almen tutti, o la maggior parte di quelli, che lon ùmili a 16 noi, overovguali, & pari noltri . Et per limili, o vguali unendo io coloro, che fono od'vna ItclTa nationc,od vna lidia citrà>o dk vna Itella età, o d'vno lìclfo fangue, o vogliam dir d vna parente- la, èV fameglia llclTa, o in qualcun fomma, fi voglia conditione,; X7 &r piopinqmtà fon limili, o vero vgn ali . & quello, chchodcc~ io, auuien per parer cofa indegna, Se che porci imperferuone,& macchia Jl Secondo libro . 7^7 macchia il non vederli partecipe di quello, in che tutti gli altri noftri vguali hano partc.come laria(per cflèmpio)s'alcu li vedefle priuodi tanta alracn parte d cruditionc,& difciplina>quanta co- munemente fogliono imparare, Se apprender ruttigli altri della 18 città Tua . & il medefimo li dee dire dell'altre cofe . Et alhor tue co quello fuol maggiormente dar caufadi vergognarli , quando quella mancanza delle dette cole, che ogià già fi fia villa, o al prefence fi vegga, o lìa per vederli in noi ; nafea per no lira colpa, 1 9 di maniera che noi la propria cagion ne damo . Apprettò di que fto il forieri re, &: patire, o l'hauer fonerto,Sc patito, o il vedere di hauerc a forferirc,& patire cofe, che portin feco infamia, & brut- ta dishonoranza, Se vitupcrofo obbrobrio, fon veramétecaufadi no piccola verecondia, Se coli fatte cofe fon principalmcnre quel le, nelle quali lì (ottoponela propria perfonaa brutto vfo,& a foz zo leruitio,o ad opre Se attioni in fomma,chc cótumcIia,eV brut 3 o ta- macchia d'ignominia imporrano . Et di coli fatte cofe, quelle ch'importano ofeena, Se lalciua intemperantia,o volontariamen te, o inuolontatiamente,che fe li fonerifcano,& fi riccuano,bruc tezza, Se verecondia recano . doue che l'altre orfefe , che folo da violentia, Se da forza nalcono, alhor folamente dishonorano, Se ignominia portano, qnando fuor del proprio volere , violente- mente fi riceuono, & lì fofferilcono: pcrochc da vile ignauia , Se timidità par, che nafcail parire,& fopportar tali ingiurie, & non 3 1 cercare di fcancellarle con la vendetta. Quelle dunque c'habbia- moairegnatc, Se tutte 1 altre coli fatte, fon quelle cofe, per lequa 31 li fogliondiuenir verecódi gli huomini. Hor perche la verecon- dia importa in fua natura immaginationc, Se fofpition di mala opinion, che fia hauutadi noi> Se ciò folamente per cagione, Se tema di tale opinione , Se non per qual fi voglia altra caufa , che 3 3 da quella accidentalmente feguir ne polla ; Se nell'uno è, che del- l'altrui opinione tenga conto, fenon in quanto ticn conto di co- loro, nell'animo de i quali,quclla opinion fi truoui , ne fegue ne ccflariaméte da tutto quello che folo appretto di quelle perfone, lcquali Himiamo J & teniamo in conto, lentiremo toccarci da ve- 34 recondia. Et ltima,& conto fogliam tener primieramente di co lor»da i quali llimiamo d eilerc hauuti in ammiratione,& di quel li parimente, che noi ammiriamo, o che defideriamo, ch'ammi- rino,& Himin noi; Se di quelli altri non manco ancora, co i quali S in emù- jjS T>eSa Ttgtortca d % Arìttotclt-j in cmulation d'honore contendiamo , & di tutti coloro in fom- ma, l'opinione, & il giuditio de i quali non difprczziamo,nè re- 5 niamo in nulla. Et quanto all'ammiratione, da coloro foglramo delìderar d'elTere ammirati, Se color parimente fogliamo noi am mirare, i quali fon dotati d'alcun di quei beni , che foglion ren- der reputati, cV: rifpettati gli huomini, o veramente qualche cola pofleggono, della quale bifognolì, Se grandemente deli«ècroÌj, ci ritrouiamo, come fi vede( per cflcmpio) accadere a gli amanti. 6 Quanto poi alla contentiofa cmulation d honore, tra color com- munemente ha ella luogo, trà i quali fi truoua parità, & equalità. 7 Quelli poi finalmente, lacui opinion e, óc giuditio, che di noi fac ciano non deprezziamo, ma teniamo in còro, fon principalmé- te coloro,che ellcndo da noi giudicati prudcti,lì può lìimar, che veraci,& degni di fedc.lìeno ne i lor giuditii, Se ne i lor pareri.& cofi fatti fono quelli,che già lì truouano d'età fenile,& maturi di anni: «Se quelli parimétcche fon bene educati, & di ragioneuolc 8 eruditionc ornati . Le cofe mcdelìmamctc,che fon habili a dar ve recondia, Se le perlone parimente, ver lo delle quali diueniam ve recondi , maggiormére ci meneranno a quello, fe in pai ci e, o ver fu gli occhi, & in prcicntiafi troueranno. Onde è nato il pro- p uerbio, che dice»che la verecondia ne gli occhi alloggia . Et da quello nafee, che molto più diueniamo verecondi apprcllb di co 0 loro, che fempre ci hanno da llar prefenti: Se appretto di quelli , che atten tamen te pongono alle cofe,che facciamo,o diciamo di- ligente auuertcntia, Se cura : pofeiachecofi gli vni, come gli al- 1 tri di quelli, par che ci ilien iu gli occhi . Ci genera parimente/ verecondia il ri ! petto, Se la prelentia di coloro, che non fon roac chiati di quel ma! e (imo errore, del qua] ci accafea di vergognar- ci in qualche no lira attionctcflèndo per qu cito cofa man ì fella do ucre ad elfi parere in torno a tale anione, il contrario» che pare a i noi . A pprello di coloro ancora ci accade di di ucnir verecondi , i quali poco inclinati fono a feufare, Se a perdonar gii errori di quei, che peccano . peroche fi fuoi dire, che l'huom facilmente quel, ch'egli Hello fa non riprende, ncavirio attribuifee in altri. Onde può per il contrario elfcr chiaro,ch'ei lìa agevolmente per riprendere, Se ftimar vitio in altri, quel, che conofee di non fare egli . Diueniamo oltra quello verecondi apprelfo di quelli, che fon volótieri diuulgatori,& diirorainatori di tutto quel, che fan- no - Jl Secondo lìhro . / $p 4f no. Concioflacofa che niente importi , & diffèrentia aterina non fia tra'l non apparire ad alcun l crror noftro, Se il non e/Icrgli re- 46 ferito. Et coli fatti diuulgatori, & diffamatori fogliono efTer due forti di perfbne; cioè quclli,che hanno da noi riceuuto ingiuria> & per quefto foglion Tempre ollcruar tutti li nomi errori per palefargli ; & quelli, che Con maligni, & malcdi ci per natura: co me quelli, che (olendo per la lor malcdiccntia infamar quci,che non errano, 8e attribuirlor quegli errori, che non fanno,* molto più fi dee credere, chefaran quefto con tra di quelli, che verame- 47 te peccano. Medeiimamenre apprcllo di color fogliamo eller ve recondi, i quali foglion , come per lor profeffionc confumare il tempo in riprender, notare, Se mordere i difetti, Se gli errori al- trui: come fono i Poeti Comici, & quella forre d'htiomini, che pare, che profeflìon facciano di muouerc, Se cattar motteggian- do, & pungcndo,rifo co i deferti d'altri : pofeiache cofi gli vni co megli nitri fi pollbn connumerar tra i maledici, 8cdiuulgatori; , l 48 Oltra di qucfto rifpetta di quelli,! quali cofa alcuna, che mai do mandato habbiam loroidincgato non ci hanno mai, ci fuol vere condi rendere : potendofìper qucfto parere, che cofi fatte perfo- 49 ne ci habbiano in conro,& in aramirarione. Etpcr la medefima ragione diueniam verecondi con quelli, i quali per la prima vol- ta domandan con prieghi da noi qualche cofa . pcroche non efc fendo ftara fino alhor punto macchiata la buona opinione,cV co- fldcnza c'hanno in noi j andiam con rifpetto per non macchiarla 50 in'quclla prima volta . Et tali s'han da ftimare cflcr primamen- te quelli, che da principio cercan d'hauer l'amici tia no/tra: pero- che danno inquefta guifainditiodinon hauer conofeiutoin noi 51 fe non quelle qualità che migliori habbiamo. Ondea ragione e giudicata buona la rifpofta, che fece Euripide a i Siracufani. 52 Et quelli parrimentc fon tali, i quali cflendo antichi domeftici nofrri, non han per anco mai conofeiuto in noi cofa , che come degna di biafmo habbia diminuito in lor la ftima,che di noi fan- J3 no. Sogliono ancora gli huomini, non folo hauer verecondia delle cole già dette di fopra, ma ancor degl'inditij, Se fegni di quelle : come a dir ( per elfempio) non fol delPvfo venereo nello ftefTo fatto, ma di tutte quelle cofe ancora, che dar poflbno indi- J4 tio di cofi fatta inconrinentia, Se lafciuia noftra . ne (blamente prendiam vergogna nel far quelle cofe, che cagionar la pollono, S ij ma ijLfiy "Della Teorica d'Arinotela SS maancornon manco nel dirle . Similmente ancora non folo ap- preso delle già di (opra aHegnatc Torti d'riuamini,ci iiiol verecón- dia artàlire, ma ancora apprelfo di chi polla facilmente riferire, òcdarraguaglio a quelli, come fono i lenii loro, cV gli amici lo- $6 ro. Quanto poi a quelli, la prefenria, e'irifperto deiquali non ci cagiona verecondia, cofi fatti totalmente lon quelli, il parere , e'1 giuditio dei quali (limiamo cfler communemente difprezza- to, ne eflcre habilcadarpunto di momento alla perfualion del vero : peroche nell'uno è, che perla prefen ria d'animali irratio- nali,o di piccioli fanciulli fenta accenderli il volto di vereco ndia. 57 Oltradiqucftonon per vna medcfima ragione, né intorno alle raedclìmc cofe rende verecondi la prefentia di quelli, che fon fa- miliarmente conofeiuti da noi,& di quelli, che ci fono ftranierr, & dalla noftra familiarità remoti, conciofiacofa che appre/Io di quelli, che domeftici,& noti ci fono, fentiam verecondia di quel le cofe, ch'il vero fteflb fcuopran delle noftrc attioni.douc che ap predo di quei, che lontani, & flranieri ci fono , ci fa verecondi quello, che la fteilà legge,& per confeguente folo l opinion , che 58 shabbia di noi, riguarda . Ma quelli , ch ailaliti fogliono cifer da verecondia, fatti, &c difpofti fogliono erter nella maniera , che 59 noi diremo. Et primieramente tali fogli on diucnir le perfone auando fi truouano appretto haucrc alcuni di quelli, il lifpctto 60 de iqualihabbiam già detto folcr caufar verecondia. Et quefti fono ( comeveduto habbiamo) tutti quelli, i quali, o fon da noi ammirati, oammiran noi, o dcfideriamo,checi riabbiano in co to,& in ammiratione ; & quelli parimente del cui aiuto bifogno riabbiamo in cofa,chc noi no fperafllmo di confeguire, feperdef- €1 fimo appreflb d'elfi di ftima, & di opinione. Il nfpctro eli que- lli adunque fuol render verecondo l'huomo : & ciò fpetial men- te in due cafi. L vno è fe quefti tali con gli occhi loro itcflì,prc- lenti la cofa (certa veggono, fi come ben difleCidia in quel- la oraoone ch'ei fece fopra ladiftribution, che fi trattaua di fare in Athcne,de 1 campi,& delle poflcflloni dei Samij . peroche pre gauagh Athcniefi,che volcfler nell'animo immaginarli, eh e tutti 1 popoli della Grecia fuflèrquiui prefenti in corona, loro intor- no : di maniera che non folo hauefler per relation d'altri a faper quello, chequiui con fuffragij , cV decretili determinane; ma 9) eglino ftcflìlo vedetìcr co ilorproprij occhi. L'altra cofa è fe quefti fi Jl Secondo libro . quelli tali, quando pur non fian per veder prefenti cflì ftcffi, fon nondimeno cofi propinqui, che facilmente, & commodamentc polla elfernc fatta lor relatione, & venirne notitia ali orecchie Io f 4 ro . Et da quello che fi e detto nafce, che quelli, che fi truouan caduti in milcro , & calamitofo (lato, non vorrebbero in modo alcuno edere in tale (lato veduti da coloro, ch'in altro tempo già cmulatione hauuta verfo di loro haucllero : emendo proprio 6f dell'emulare lhauereinammiratione, el tenere in conto. Oltra di quclìo ad cller verecondi faremo difpofti ancora , quando co- nolceremohaucr cola, ch'argomentar polla qualche anione, o fatto , che fia habilc a caufar verecondia, o commcllb che Ila da noi fteflìjO da i nollri progenitori, o da altri, che ci fiano in qual fi voglia propinquità congiunti, odaperfonain fomma,lacui infamia polla in noi ridondare, & farci partecipi di verecondia. 66 Et tali fono, oltra quelli, che pur hora habbiam detti , quelli al- tri ancora, i quali nelle loro attioni, paia che da noi dependano, & origin prendano, per efler noi o precettori,© ver configlicri lo 6j ro . Sogliono elTerc ancor verecondi quelli , che hanno altri lor limili, overo vguali, coi quali tengono honeftecontefe, cVemu- lation d'honore . concioliacofa che molte cofe per fola caufa de gli emuli, Ila tirato dalla verecondia a fare, o non fare l'huomo . 6 8 Suole ancor crefeer la verecondia in quelli, i quali veggon d'ha- ucre ad elfer fempre fu gli occhi, & a ri crollarli fpelTo prefenti in 69 nanzi a coloro, a cui già fian noti, & palcfi i falli loro . La onde Antifonte il poeta,cflendo per comandamento di Dionifio mena to all' vltimo fupplitio ; 6c vcdcndo,che gli altri fuoi compagni , chedoueuan parimente, morir con lui; nell'vfcir della porta del carcere , s'haueuan, quali che fi vcrgognallcro , co l lembo della verte coperto il capo , dille, A che cercate , o compagni,d'afcon dere, òc coprirei! volto ? fc domane nellun di quelli, che fon 70 qui prefenti, vi potran vedere. Della verecondia adunque fia a ba llanza quanto fin qui fi è detto, dell Inucrecondia poi, o sfacciataggine , o impudentia, che la vogliam chiamare; è cola mani fella, che dalle cofe , alle già dette contrarie, fi potrà com- modamentc no- titia haucrc. . Capo 14.2 fDeSa Teorica d'ArìHotcltj (apo 7. 'Della gratta . Erso diquai perfonc, Se inquai cofe foglionoef- fcreratificatiuigli huomini, Se qualmente difpo- fti (ogliono eiTer tali; potrà facilmente farli mani- fefto, ciiffinita prima, che fi farà la Giada . Ponia- mo dunque la Gratia eflerquclla, per laqual fo- gliarti dire, ch'alcuno, ch'habbia facultà di farla, faccia gratia a perfona, che ne fia bifognoia : & ciò non per render ricompenfa di qualche cofa riccuuta prima; ne perche ad elfo, che la fi ila per venirne giouamcnto,o rilieuo alcuno ; ma folo perche chi la \ riceue l'habbia. Grande poi fi dirà la gratia,quando,o colui che la riceue ne farà grandemente bifognofo ; o la confiderà in cofe di grande imporrantia, Se difficili molto, o farà fatta nelle tali , Se tali opportune occalìoni, Se tempi, o colui che la fa, farà da- to o folo, o il ptimo a farla, ofe al tri faranno frati ancorargli ha- 4 rà nel farla maggior diligen ria, & fariga de gli altri vfato. Et per bifogni debbiamo intender noi principalmente i defiderij, che fon quelli, che mifurano li bifogni : & maiTìmamente quei defì- dcrij, coi quali ftà congiunto dolore, & molellia in non confc- j guir|c cofe, die fi defiderano. Et così fatti fon quelli ch'inchiu dono in fe qualche vehemente cupidità : comeauuien nell ardé- te amor de gl'innamorati; Se nelle intenfe nftlitrioni, & dolor corporei, Se ne i graui pericoli, che ne fopraitino : pofeiache in coloro, che fon polii in pericolo, cupidità fi rnioua ; lì come pa- 6 rjmentein quelli, che fon da corporeo dolore afflitti . La onde a color, che da poucrtà oppreiTì fono, o in mifero*filio fcacciati ^ ritruouano, ogni quantunque minimo fooaenimento, che ri- «jcuono, tari la grandezza del lor bifogno, Se la grande opporrà- nità dell'occafion parere, che noa piccola gratia fi fia fotta loro , 7 fi comeauucnne a quel, chediede con vnacefta aiuro a colui , 8 ch'era in Liceo. Fidi meftieri adunque che i benefi tij, & le gra- ne, che fi fanno, a voler chegrandi appaiano, ficn principalmc- tefattc con tali, quali habbiara dette, occafioni, Se circonftan- tic : & fele medcfimeapunto non occorrono, fieno almen fimi- 9 li, o ancor maggiori. Per laqual cofà cffendolì già per quel, che fi e detto fatto chiaro, quando, Se a chi fi debba intender la gra- da fàrfi , Jl Secondo libro. %4A tiafarfi, S: qualmente fien difpofti colof, che le Tanno, porrà da quello farli manifefto, che volendo noi moftrar che lì ila fatta grada, fa di mcftieri,che con quelle auu erteti e, & luoghi,c'hab- Siamo allignaci, fi faccia veder, che coloro, che la riceuono, o l'hanno riceutita, fi truouino, o fi trouaifero in quella forte di bifogno, o in quella forte d'afHitdonc, & di dolore, che detto habbi amo, Se coloro, che l'hanno fatta, habbian fouucnuto in quella opportunità, iSc n cecili tà, &: di quella forte di fouuenimé 10 co, c'habbiam inoltrato, cVdifegnato di fopra. Etparimétepuò eirer da quel, che fi e detto manifefto, come 11 polla ofeurare, Se far quafi difparir quella grada, che 11 fulle fatta ad alcuno, Se far si, ch'il fatto non parclle grada ; nc.gradficatiui, ogratìofi colo- 1 1 ro, chel'haueller fatto, percioche dir potremo o ch'eglino Io fouuengano, o Thabbian fouuenuto per cagion (blamente di le 1 1 llclfi , il che già fi c veduto, che non conuienc alla gratia,o che quello, c'han tatto, fia venuto lor fatto acafo, o che concia lor 1 3 voglia fiano (iati quali forzati alarlo, o che finalrncntejhauendo eglino altra volta riccuuto benefido,fia (lato quefto più tofto vn ricompenfarlo, Se pagarlo, ch'vn far veramentegratia, o noto, o 14 non noto,che fufle loro, l'efier debitori di ricompenfa. peroche nell'vno, & nell'altro modo llvien veramente a ricompenfare vnacofa per l'altra, Se per confeguentc non può, ne ancora in 1 r quello modo fti mar fi grada. Doucrcmo medefimamente voien do ofeurar , Se annullar la grada, che ci habbia fatto alcuno, an- dar difeorrendofotto a tutti quei fommi generi, Se capi vniucr- fali delle cofe, che predicamend fi domandano, cóciouacola che gratiala cofa dir fi debba, quando lafia della tal foftan da, della tal quantità, della tal qualità, nel tal tempo, Se nel tal luogo fat- ta j dellequali conditioni, Ce alcuna gliene manca, viene a no ef- 6 fer grada. Et indino oltra ciò, ch'il tal fatto, Se il tal fouueni- mento ftimar non fi debba grada, fi dee (limar, che fia, fc coloro, c'han fatto quefto a noi»clTendo loro occorfo altra volta di fouucnirci in vn fimil bifogno con fouuenimento aflai minor di 7 quefto, non l'hanno voluto fare. Se Ce a i nemici loro ftctTi hano dato altra volta vn medefimo, o vero vgual fouuenimento, o an- cor maggiore, perciòche elTcndo quefto, chiara cofa c, che non 8 l'han per cagione, Se rifpctto noftro dato quella volta a noi. Se Ce finalmente il fouuenimento, che cihan dato>é fiato di cofa vile, ; ^ ^ T)eUa Hftortcd d' Jriitotelcj vile, & di nulla ftima, tk di niun rilicuo, & per tale erti parimé- If te lo ftimauano,& lo conofccuano. Et tanto baftt haucr detto della eratia, così per far parer, che la fia fatta,comc che la non fia 2 o fatta. Quai fieno hot quelle cocche generiti compattone, & verfo di quai perfone generar fi foglia ; & come dilpoftì, & Qualificati fian quelli, eh a compafllon h muouano, fegue al pre- lente, che noi diciamo . (apo S. T>ella compapont^ . iIciamo adunque, chela compafllon fia vn pungitiuo dolore, che fentiamo di qualche apparente gran ma e, ch'o dcftruttion della vita,o grande affli mone,*: cala- mità fia per recare in perfonadi talcofa indegna, a cui fia eia tal male, o prefente, o appaia già già vicino ; & fia da noi ftimatotalcchcpoiraanoi parimente accafcare,o almeno a per- a fona, che ci appartenga, peroche gli è manifcfto erter neceflario, che colui,chc s'ha da muouere a copafllone fia tale, eh egli b iti- mi, & fi conofea atto,& fottopofto a poter patire, o egli itello, o altra perfona delle fuc, che gli fono a cuore, vn cosi fatto male, quale habbiamo nella detta diffinitionc efpofto,o almen fimile,o 3 propinquo ad elfo. Et per quella ragione nó fogliono efler tocchi da cópafllonc,nc quelli,chc in eftrema mifcria iono,corae che pa 4 ialoro,ch'altro mal nórcfti lorda patire; nè quelli parimente 1 quali fi reputan di ritrouarfi in ccceflluo grado di felicità, tk per qucfto più tofto contnmcliofi, che cornpaflloneuoli lono : et- fendo manifcfto, che parendo loro di pofleder tutto quello, che fi puòtrouar di bene, parimente par loro, che male alcuno ve- nir non porta loro addotto : pofciac he ancor quefta fecurezzafi 5 dee connumcrar trai beni. Horquelli,chc ftimar fogliono d ef- fer tali, che patire, & incorrer portano gl'infortuni) , & i mah , che in altri veggono ; fon primieramente quelli, i quali han per innanzi altra volta foffeni, tk prouati i mali, tk ne lon poi fcara- 4 pati, tk rimafti liberi, de quelli parimente, che fon già peruc- nuti all'età fenile ; fi perla prudentia, ch e conucrKuole a quella 7 età i tk fi ancor per lifpcrientia, che porta la vecchiezza fcco . I deboli ancora di forze, & d'animo, fon medefimamente tali : &c & molto più fc fon per natura timidi,& vili, nè maco ancor quelli, * che di Jl Secondo libro . 14. j che di dottrina, & dcrudirion fon ripieni ; come quelli, che le 5 cofe con ragion difeorrono . Della medefima difpoiìtion di Ar- mar di poter ne i mali incorrere, fon coloro ancora, i quali han- no o genitori, o figliuoli, o mogli : conciofiacofa che quelle forti di pedone, iìan come cofe loro, Se membri loro, Se atte, Se (ot- topode tutte per le ragion già dette, a incorrer ne i già detti ma- 10 li. Soglion medcfimamente (limar d efferc habili a patire, Se ri- ceuer mal coloro, i quali non fi truouano in affetto d animo, che riguardi la virtù della fortezza,comc fon l'affetto dell'ira, Se del- t la confidenza : pofeiache così fatte paflìoni non lafcian difeor- rerc, Se confiderai, che cofa habbia da fuccedere, Se da venire. 1 1 & color parimente, ne i quali non fi truoua natura, o difpofitio- ne, che gli faccia contumcliofi : folendocosi fatte perfonc con- tumcliolenon penfar, ne cò ragion difeorrcred'hauer mai a fof- ii ferire, o a patir male alcuno : ma color perii contrario lo fanno clic nel mezo tra cofloro fi truouano, come remoti dalla difpoii- ij tiondcgli vni, Se degli altri. Oltra di queflo poco foglion fen- tir compafllon coloro, che per qualche lor gran pericolo fi rruo- uan da ri more op predi, come quelli, che modi dallo fpauento del mal proprio, mal poifono efler commoflì dal mal'altrui, dan- do occupati con tutto l'animo nel male, che fon per patire elfi . 14 Ma ben fogliano ad haucr compaflìonc efferc inclinati quelli, che non han per opinione, che neffun fi truoui,che fia giufto, Se da bene; ma ftiman pur, che ne fieno alcuni : perciòchc colui , che nclfun ne flimafle tale, llimarcbbe per confcguctc elfcr tutti ij degni d'haucre il male. Et perbreuemenredire, alhoi finalmctc fuoldar luogo 1 huomo alla compaflìonc, quando tal lìritruo- ua, che ricordar fi poira,che tali accidenti di mali, che in altri ve- de, fieno in altri tempi accaduti,o a lui (ledo, o ad alcun de i fuoi 1 6 o veramente teme, ch'accader poflan nellauucnire . Habbiamo dichiarato adunque qualmente dilpofti fien quelli, che fono atti 17 a muouerfi a compaflìonc. Quali fien poi quelle cofe, per ca- gion delle quali foglia nafeerc in noi quello affetto, può facilmc- tc apparir manifefto dalla diffinition, che fi e data della compaf- 18 fione. conciofiacofa che trà le cofe afHittiue, Se dolorofc, tutte quelle, fi deono fumar mifcrabili, Se arte a generar pietà,le qua- li fono habili a recar corrottione ; Se quelle parimente che fon 1$ dcflruggi triti della vita (leda: & tutti quei mali ancora, de T i quali j^. 6 T>ella lìgtprica d* Ariti otclt-j jquali la fortuna è cagione ; quando molto in gradezza, Se gra- io uczza fi vedrano eccedere. 1 mali, che dir fi poìlbn doloroii, Se corrotriui, oucrdcftruggitiui fon, le morti, le battiture, le afHit- tioni del corpo, l'aggrauata vecchiezza, le infirmiti, la mancan- xi za del ncceflario vitto . I mali poi, di cui la fortuna e cagione, 12 fono la total mancanza d amici, & il rimaner con pochi : onde auuien, che il fc parar lì, Se quali per dipartenza luellcrfi dagli amici, Se da gli altri cogitimi cari,ha molto del miferabile Se del t j degno di cópaflìone. fono ancor tai mali,la móltruofa bruttezza, la debilitatone delle corporee forzc,lo ftroppiamento, ouer tró- 14 camentodi qualche membro. E v cola ancor degna di compaf- fionc il veder, che donde fi fperaua, &: s'afpettaua, che douelle venir qualche bene, quindi perii contrario fia qualche danno,o %j qualche calamità venuta. Fa nafeer ne gli animi altrui compaf- fione ancora l'ellcre fpelTc volte da quello ftellb male allalito, Se z6 ilfrequenteincorrcrein cafiauuetlì . E' cola parimele compaf- fioncuole il veder, che qualche aiuto, o fcampo > oucr qualche cofa di bene venga a punto alhora, quando non ci fia più reme- dio, cllcndofi già partito, Se riccuuto il male, ne più a tempo lì 17 rrnouaquei benea fàrgiouamento alcuno- come (per ellerapio) accadde a Diopitho ; ilquale, eilendogli mandato dal I no Re a* iuto, Se fouuenimento, fù trouaro, che già poco prima era mor- 18 to. Parimente a pietà d'alcuno fuol muoucre il non haucre c- gli quali conofeiuto mai profperità, ne hauutobcncj Se fe pur cofa di buono qualche volta gli fia venuta innanzi, non hauer t$ potuto goderla mai. Quelle dunque, & al rre così fatte cofe fon quelle, che ageuol méte pofionorhuomo muoucre a compaflìo* 30 ne. Vcrfo quelli li fuolc egli muouer poi, chegli fon d'amore, Se di famigliarità, o cófanguinità cógiunti, fegià molto nó fia la concimi non propinqua : pcròche in tal calo viene egli adeller vedo di loro intere ila to, òv il il pollo, come verfodi fe medefimo. Et per quella cagione A mafe vedendo vn fuo figlio elfèr menato alla money nomando (per quel, che s'intede) lagrima alcuna da gli occhi fuora t Se venédogli innanzi vnoamico fuo, per pouer- tà a mendicar condotto ; non potè ritener le lagrime, il che d'al- tronde non nacque, fenon perche il calo dell amico gli cracópaf fioneuole, Se il calò del figlio gli era più tolto atroce, grane, Se 3 r acerbo, che miferabile : cllcndo l'atrocitàcofa diuerfa dalla mi- icrabiltà> Jl Secondo librò . 14.7 fcrabiltà, Se atta a fcacciarc, 6V a fuperar la itefTà compaflìone,& 53 vtile fpeirc volte aindurrc il contrario di quella. E' ben vero che coloro, che così fatti mali atroci, Se terribili non hanno an- cor prefenti, ma in pericolo fon d hauergli, diucngon perque- 54 ftoattiadarcompalIìondiloro.Soglion medelìmaméce muouer cerei, ne ilor mali a compadionefpctialmente quelli, che fimi- li, Se pari ci fono, o d'età, o di coftumi, o d habiti d'animo, o di 3 c grado di degniti, o di nobiltà, o fi in i 1 i : conciofiacofa che per tutte quelle parità, Se cqualità maggiormente ci venga a parer d edere efpofti ancor noi a i medclimi mali, Se ch'a noi ancora }6 polTan parimente accalcare, peroche come vna verità vniuerfa- le lì dee tener per certo, che tutte quelle cofe, che nel dubitar, che lìan per cadere in noi, cagionano in noi timore, vedendole J7 noi accalcare in altri, fono atte amuouerci a cópaflìone. Et per- che le aftlittioni, e i mali alhor muouer fogliono a pietà, quando già propinqui fono; di maniera che quelli, che fono (lati molti anni prima, o fon per tardare ad eder molti anni poi ; dato ben, che lì lufpichi, che vcnii debbbiano, o che memoria s'habbia, che lìcn venuti, nondimeno o totalmente non ci muouono a có- paflìonc, o non in quella maniera, che farebbero, fé prefenti fo(- 38 fero; nefegue da tutto quello necellariamen te, che Impiglian- do aiuto dall attione, Se dalla pronuntia, rapprefenreremo, Se efprclfion faremo d alcuno, co i getti, con la voce, co i veltimen- ti> Se con altre in fomma rapprelentatiue attioni, più milcrabi- 39 li, & degni di maggior pietà gli renderemo , peroche veniamo in quella guilaa far più vicina, Se propinqua apparir la cofa,po- nendoaltrui il mal quali dinanzi a gli occhi, come che o poco 40 doppo debba accafeare, o poco prima accaduto fia . Per la me- dclima ragione ancora, i mali, Se gl'infortunij,ch o di frefeo po- co innanzi fono auuenuti,o molto in breue fono per accafeare, 41 più mifcrabili appaiono, & maggior pietà muouono . Grancó- paflìone ancora aggiungon gl'inditij, e i fatti, Se 1 opere, che ri- mangono : com a dir (per euempio) gli (ledi vellimenti di colo- ro, ch'hanno i mali, & le calamità forterto, Se altri cosi fatti in- 41 ditij, legni, Se memorie d edì ; Se le parole delle da loro, mentre che patinano il male,vfate : come a dir mentre, ch'erano in ellre- 43 mo per finir la vita loro. Se madìmamentc ancora vien'aaccre- feer la compadrone l'haucrc ed) nel tempo, che nell'acerbità del T ìj mal fi / 4- & ^Della c R^tprica d*Arìttotelt~> mal Ci trouauano, dimoftrato animo forte, & cortame nel fop- 44 portarla, pcrcioche quelle cofe, che mentre che vengono a far parer più propinquo, Se a moitrar quafi prcfcntetl male, vcngon per conleguente a renderlo più compalfioneuolc : ó> inlicmc- mente a fu- parer più indegni di quello, color, che fofferto l'hab- biano : & lì viene infieme a inoltrar quali dinanzi a gli occhi . (apo 9. \Deli 1 Jndegnationz^ . Ll'hàver compaflione soppone principalmcn- te come contrario quell'effetto , che domandano Inde^nationc : conciofiacola chea! dolerli, Se al fcntirdifpiacer delle cole infelici, che indegname- tc in alcun (i veggono, ltia oppoito in vn certo mo- do, Se da vna medelima qualità dt collii me nafea, 1 hauer difpia- cerc, Se dolor dell'altrui profpcrità, le indegnamente, accada- no. Et fono ambidue quelli affetti congiunti colcolìumc ho- } nelìo, Se con difpofition lodeuolc : elfendo cofa all'hiiom con- ueneuolcil conciolerfi, Se fentir difpiacere del mal di quelli, che indegni ne fono, Se contrai meriti lorlopatono : & l'elfcr pun- to da indegnation della profpcrità di coloro, eh indegni nefo- 4 no: peroche alla giuftitia s'oppone ciò che indegnamente, Se f fuor de i fuoi meriti accafcaali'huomo. Et per quello a gli fteffi Dij ancora fogliam noi attribuir l'elfcr tocchi da indegnationc . f Ma può forfè parer, che l'Inuidia ancora s'opponga nel mede- fimo modo alla compaflione, come che molto propinqua fia, Se 7 quali vna cofa ftefla con l indegnatione. Ma molto c ella da quella diuerfa: pcrcioche fe ben l'inuidia è ancora ella vn do- lore, che conturba, Se affligge l'anima per 1 altrui cofe pro- fpere ; tuttavia non è ella tale, ne fà ella quello, per clfer colui che le profpcrità polfiede, di quelle indegno, ma per elfer'cgli t pari, fimilc, o vero vgualc. Bene è vero che il rattriftarli del be- ne altrui, non a fin, che da quel bene, non n'habbiaa venirqual- chedannoa noi, ma percaufa, & rcfpctto fol di colui, c ha quel bene, s'hà da Ihmar conditione, Se proprietà commune a tutti } due qucfti affetti , cioè* all'inuidia,& alrindegnatronc : cócio- liacola che fe ad altro fine non tendelfc così fatto dolore, Se di- fpiaccre,fc non perche a colui, che s'attuila del ben d'alcuno fuf- fcper Jl Secondo libro . I fe per venir facilmente qualche nocumento, o miferia per i felici auuenimenti di quello, non farebbe quello alhora affetto d in- degnationc, nè ancor d'inni dia ; ma farebbe paflìon di timore. 10 Appreflb di quefto, manifcfta cofa è, ch'aquefti due affetti fc- guono, Se vengon dietro paffioni,& affetti contrari) frà di loro . pcrcioche colui, ch e prclo da indignationc, fe fi rattrifta dei profperi fucccfTì di color ch'indegnamente gli poflcggono ; fi ral- legrerà parimente, o almcn non (enrirà dolore, odifpiacer degli infortuni;, Se calamità delle perfone contrarie a quelle, cioèdi 1 1 quclle,che fon degne di cotai mali . come a dir (per eflempio) che nell'uno huomo giufto, Se da bene fi rattriftarebbe in veder menare all'vltimo fupplicio,& punire vn parricida, o vn fangui- nario aflTaiìino : elfendo verametecofa conueneuoleil fentir pia il cere di cosi fatte punitioni : fi come ancora conuicn fentir dilet- to della felicità di coloro, che ne fon degni, perochecofi que- ftc,comc quelle, fon cofe ragioneuoli, &giuftc, Se che deono a i 3 vn'huom da bene allegrezza portare : potédo egli necclfariamé- tc fperarejch'ad effo pari mete pollàn venir quei beni, ch'ei vede 14 nei buonifìmilialui. Nafcon dunque tutti quelli già detri affet- 1 $ ti da vna ftefTa forte di cofìumc,cioc da buon coflumc ; fi come 1 6 gli afletti lor contrarij , da contrario coftume nafeono . pcrcio- che quella ftefTa perfona , che fi rallegra del mal de gli altri , non pct altra cagionc,fe non perche gli hanno male, quella della hà ancora inuidia, cioè fi rattrifta del ben de gli altri , non per altra 17 cagionc,fc non per che eli hanno bene : pofeiache colui, che fen te noia, & dolore dell'eli ftcntia, Se prefentia d'alcuna cofa, verrà neceirariamcnte a fentir diletto della priuatione,&:deftruttion di 18 quella. La onde cofì fatte paflìoni fon tutte impeditiue,& auucr urie della compaffione : Se fc ben trà di loro differifeono, per le ragioni, che habbiam dette; tuttauiafon tutte vgualmente vtili \$ a far, che le cofe non appaiano miferabili, Se di pietà degne . Pri- mieramente adunque diremo dell'haucre indegnatione : moftra do verfo di quai perfone, Se per cagion di quai cofe fi foglia haue re : Se come fatti , & difpofti fian coloro, che l'hanno. & detto c'harem di quella, diremo di quegli altri afferri, che le vanno ap- preso . Hor per quel che lì è detto, potrà facilmente quel, che fe 10 guc farli raanifefto . percioche confiftendo l'indegnatione in do- lerli Se fentir raoleftia, ch'ad. alcuno accafcjiin cofe profperc> il quai / f o Della Hgtortca d Arisìotelt^ il qual non ne paia degno ; può primieramente per quello efìcr chiaro che non intorno a tutte le forti de i beni , e poflìbil , che l'indcgnationc habbia luogo, non effondo alcun, che d'indegna- tion s'accenda in veder, che alcun fia giu/ìo, o forte, o altra virtù i 1 poiregga: pofciache i contrarij di quelle viriù,nó fono atti a muo 1 3 nere affetto di cópaflìonc . ma intorno alle ricchezze ha ella luo- go, & intorno alla potcntia , & ad altri cofi fatti beni, de i quali (per dir lìnccramcntc il vero) fon (blamente degne le perfonc vir 14 tnofe, cVda bene . Et parimente fono attiamuoucre indegna- tion color , che pofleggono beni di natura ; come a dir nobiltà , ì y bellezza, altri beni cofi fatti . Et perche quelle cofe , che fono antiche danno apparcntia d'effer propinque, &: fimili all'eller na turali, nefegue necellà ria mente, che fra coloro, chepolTeggono vno llcflb, o vero vn fimil bene, colui, che nuouamente l'habbia di frefeo acqui flato, & per tal caufa felice fi (timi ,* fia maggior- 16 mente per muouerc in altri ftoraaco , & indegnationc . concio- fiacofa che maggior dilpiacere, cV conturbamento d'animo die- no altrui coloro, che di nuouo , & quafi di fubito fon diuenuti ricchi, che non fan quelli, che antiche ricchezze pofleggono, & 17 da i lor maggiori per fucccfllon venute . Et il fimil dir fi dee di quelli, che nei mngiftrati, de nelle degnità fi truouano, o diue- nuti potenti fono , o l amicitia , & la gratia di molti tengono , o di molti, & ben qualificati figli dotati fono, o altre cofi fatte prò 18 fperità pofleggono. Et il medefimo parimenteadiuienc,fcad cf- fì per il mezo di quelli raccontati beni, qualche altro bene acca- ip fchi di confeguirc. concioliacofache in q netti beni ancora adi- uienCj che maggiormente ci rattrillinoA' ci offendan l'animo co loro, che per il mezo di ricchezze nuouamente acquiftate, fon faliti a qualche magiflrato,o principato,che fea tai degnità venu *i foiTer con eflerc anticamente ricchi. & quel , ch'io dico delle degnità, & dei principati, parimente fi dee ne gli altri profpcri 30 fucceflì intendere . Et la cagion di qucfto è, che gli vni, cioè gli antichi poflèflori pare in vn certo modo, che pofleggano quello, che veramente fia loro . doue chcgli altri, cioè Ji nuoui pofTcflb ri, par per il contrario, che non il loro, ma l'altrui pofleggano : polciache le cofe, che mottran di flar fempre in vna guifa mede* iima,&: in vno flato (letto, par,che vero, giudo, & naturale hab- bianoreflerloro,& per cófeguentc in quegli altri la lor nouitàfa parer , Jl Secondo libro . t y t 3 i parer: che non potfeggan veramente il loro . Oltra di quefto per- che qual fi voglia bene non può attamente conuenire a qual li vo glia perfbnaind (tintamente ; ma vna certa proportionc,& con- uenientia fi dee trouar trà i potfeduti , &c color che gli poligo- no: comcadir(perellempio) vnafecura, 3c ben temperata arma dura no propriamente conuiene,^ s'adatta all'huomgiulto, ma ji fi bene al Ih uo m forte j & vn nobilillìmo, ik eccellenti (lìmo par- tito di futura moglie, nona perfoni di nuouo arricchita» conuic 15 ne , mi a perfona molto nobdc, ite d'illultre l'angle nata . di qui è, che quando fi vedc.ch'vna pcrlon.i,quamunque virruola pol- fegga, & riabbia qualche forte di beni, a lei non propornon ita- mente conuenicnti ; genera per qucflo negli altrui animi inde- 34 gnatione. Parimente la genera ancor colui, che ellendo ad vno altro inferiore» 8c di minor valore, fi mette nondimeno a con r cu dere, & a voler controuerlìacon elib,quanrunque fuperiorc , de miglior di lui : & madlmamente auuerrà l'indegnatione, le l'in- feriorità, & la fupcriorità loro fàran fondate in vno dello (Indio, 3 j & in vna ftelìa cola . Onde non fenza ragione e detto, egli s'afte- neua, Se fchiuaua di venire in pugna a fronte con Aiace figlio di Telamone; però che Gioucera prefo da indegnarione contra di lui, ch'egli haueflè da venire in con tefa, 6c parragon di duello $6 con huom più forte, & più valorofo di lui » Ma le l'inferiorità , 6c la fupcriorità non faran fondate in vna ftellà cola, & in vno ftcllb ftudio , in ogni modo, come Ci voglia che l inferior fi met- ta a contendere, & ad hauer controuerfia con chi fia di maggior valor di lui , viene a procacciar contra di fc l'indegnatione : co- me auuerrebbe (per elfempio) Ce vn, che valclle in ma fica, fipo- nelfe a controuedare, Se contender con vpo, che poiredelìe a pie no l habito della giullitia: non cucendo ak .in dubio, chela giu- 57 ftitianon ecceda di preggio, 8c di degnità la mufica : Già può ef. Ter dunque manifcfto verfo di qual forte d'huomini fi foglia ecci- tare indegnatione,cV per cagion ancor di quai cofe fi ecciti, eltèn Sc di manco valor di loro . Et per dire in breuc, tutti coloro , che ftiman fc ftcflì degni di quei beni, de i quali (limano altre perfo- ne indegne , daran luogo contra di quelle, Se per cagion di quei tai beni, alPindcgnationc . Et da qucfto nafee, clic quelli che fon di coftuine, Se d'animo feruile, o perfone di viiiofa, Se poco ho- nclta vita, o tali, che l'honor tengano in poco conto, non foglio no etfer punto indegnatiui : pofeiache neiìuna cofa di pregio ap- prellbdi loro è tale, cheiTi fc ne ftimin degni . Et per quel , che fi e detto dell'indcgnatione, potrà ancora apparir manifefto di quai perfone conuenga rallegrarli, o al men non fentir dolore , chabbian la fortuna auuerfa, Se infelicemente trattin le cofe lo- ro, & cofa alcuna, che defiderino, non confeguifeano : perochc dalle cofe dette, potran parimente diuenir noti li contrari; loro. Perla qinlcofafc l'oration noftradifporrà , Se farà diuenir tali i giudici, quali habbiam detto elfer quelli, che fon molli dainde- gnarione : Se dall'altra parte moftraremo, che quelli, che doman dano, che fia hauuta lor compaflìone ; Se quei mali elpongono > onde confeguir la debbiano , non fiano indegni di quei mali> Se per confeguentc degni fian di non confeguir la compalfion , che cercano ; impodìbil cofa farà che compallìone fia hauuta loro . (apo io. c Dell y Jnuìdìa . Otra' elTere ancora ageuolmente manifefto intor- no aquai cofe fi foglia nell'huomo eccitar l'inui- dia , Se verfo di quai perfone, Se qualmente difpo- fti fien quelli, che facilmente dan luogo a quefto af fetto : ellèndofi già veduto eiTèr l'inuidia vn certo contriftamento del profperarc, che incucila forte di bcnj,c"hab- biam Jl Secondo libro . / j j biam raccontati di Copra, ci paia, che faccia alcun di coloro , die fono in qualche parità limili , & vguali a noi, & ciò non perche ne venga qualche vtile, o cOmmodo a noi, ma folo perche ci di- t fptacc,chc gli habbian bene. Quelli dunque a inuidia fi foglion muouerc , liquali hanno , o par lor d'haucre perfone in qualche | parità fimili a loro, per fimili , & pan intendo io di natione, di (angue, d'età, di profeflìone, di reputatione, o ver'auroiirà , di 4 ricchezze, Se beni di fortuna . Medefimamente inuidiofi loglio- no cflerquclli, a cui pare d'haucr confeguito poco meno «Fottìi | forte di bene, tal che pochi ne manchin loro . Onde nafee che coloro, che grandi imprefe trattano, & in clic fi nuouano h.iuer la fortunaamica,fon molto dediti a inuidiarealtrui:come quelli, acuì par, che ciò, che tutti gli altri han di bene , l'vfurpino, Se 0 tolganoad efli . Sono iuuidioli parimente quelli, ch'in qualche cola fon fopra gli altri ecceflìuamctc honorari, & (limati ; 8c maf /imamente fequefto loro accafea per ca ti fa di gran fapientia, o di 7 fomma felicità, che fi credano elfer di lor creduta. Gliambitiofi ancora, &auidi d'honore,più habili fono a cócepire inuidia, che 5 quelli,che tal ambinone, Scauidità non hanno. Et quelli pari- mcnte,che fono, o fi credon deflcre in opinion difaggi : perochc vegono in queftaguifa ad efler cupidi d honore pcrc^to-di qucl- ? lafapientia: & tutti color finalmente , i qualiintornoa qual fi voglia cofa fon'auidi deflcr tenuti in grande opinione, fonoan- 10 cora habili intorno alla medefima a conciperc inuidia. Color medefimamentc , i quali pufillanimi fono, de non punto alti di penfieri, 6c di fpirito, fogliono efler facilmente inuidiofi : come 1 1 quelli, a cui tutte le cofe paion grandi. Di quai forti di beni fien poi quelli , che foglion pungere altrui d'inuidia, viene ad cflèrfi 1 1 parimente detto, percioche tutri quei fatti, quelle opcrc,cV quel leattioni, intorno alle quali, auidi di confeguirc gloria, & repu- tatione , Se nell'animo noftro ambitiofi, Se cupidi in fomma di gloria,& di nome fiamo,& tutte ancorquelle profferirà, Se quei beni, che da buona fortuna vengono, tutti (fi può dir) fon matc- 1 $ rie, & oggetti dell'inuidia. Et maflimamentcquelli,i quali noi fommamentc defideriamo, o ver pretendiamo, Se (limiamo ch'a 1 4 noi ftia bene ; & apparrenga di confeguirgli ; o veramente tali , che nella pofleflìon di quelli, odi poco eccediamo, o di poco I j manchiamo, Se diminuti fiamo . Può medefimamentc etfergià V manifcfto /JY T>ella r R^torica d'Arinotele^ manifelìo verfo di quali perfonc fogliano elTere in u idioti gli huorainiiciTendoii in quel, che fi e dctto,accennato inlìememcn \6 te di queiìoancora. conciofiacofa che color primieramente ci fogliano eccitare inuidia, i quali propinqui ci fono, o per fpatio di tempo, o per diflantia di luogo, o per età, o per reputatone , 17 Se gloria, onde quali in prouerbio li fuol dirc,Trà quei, che 18 fon d'apprctTo cade l'inuidia fpclfo. Ci foglion prouocarc an- cora a inuidia quelli, co i quali teniamo competenza d ho- nore : pofeiache così fatta competentia, de contefa fogliamo ha- 1$ uer co 1 limili, de pari a noi. percioche con quelli, che già mil- le anni fono (lati, o doppo mille anni fon per elTere ,• o con quel- li, che già priuidi vita fono; nelmno è, chedhonor contenda, 10 né parimente con quelli, che habitano alle Colonne d'Hercole . 1 1 nè con coloro ancora d'honor contendiamo , a i quali (limiamo d'elfcre fecondo ! parer noftro, o ver fecondo'l giuditio d'altri, o 21 di gran lunga inferiori, odi gran lunga fupcriori. Et quel, che delle pedone quanto all'eccedere, de mancare habbiam detto, Ci t$ dee fimilmcntc intender delle cofe ancora. Et perche con quel- li, che nell'acquido di qualche cofa, auuerfari], o duali ci fono » cV con tutti quelli in fomma, che le medefime cofe defiderano , & cercanil poiTederc,chc cerchiarli noi; par,c'habbianio fempre vna certa contefa, de compctCntia, de quali gareggiamento; è ne- celTario per quello, che verfo di tutti quelli tali, foglia eccitarli 14 hi noi ma(fi inamente inuidia . Onde è nato il prouerbio , Il Va- ij laro porta inuidia al Vafaro » Apprcllb di quello tutti quelli,chc con gran fatiga hanno a pena confeguito qualche cofa defidcrata da loro, over confeguir finalmente non 1 han potuta; fogliano portare inuidia a chi fenza fatiga alcuna con facilità conleguita *f l'habbia » Parimente fe conofeeremo , che fe riefee ad alcuno il confeguire & felicemente mandare a fin qualche cofa, o qual- che imprefa, fia ciò per tornare in obbrobrio , de ignominia no- ftra,non e dubio che ageuol mente non riamo per portar loro in- a 7 uidia . percioche ancor quelli vengono ad clfer con qualche pa- 48 rità rimili a noi : de per confeguente può parer cofa chiara, che il non confeguir noi quello, che ilan per confeguire effi, non pof- fa da altro procedere, che da notìra colpa . Onde veniamo a fen- tir di ciò di (piacere , & con ti i (lamento ; il quale inuidia final- mente douenca. Medcfiraaraentc foglion cifer da noi inuidiati quelli , Jl Secondo libro . quelli,liquali confeguifcono, ogiàpolfeggono quelle cofelequa li a noi paia che per ragion conuengano, o che già prima , come 50 noflre polfcdute riabbiamo. Et per quella ragione i Vecchi fo- 31 glion portare inuidia a igioueni. Color parimente, i quali han confumaro, Se fpefogran fomma di danari per madare a fin qual che cofa, fenton pungerli d'inuidia conrra di quelli, che c5 mot to maggior vantaggio dì fpefa, la medefima , o lìmil cofa hanno ji mandato a fine. Può ancor da quel, c'habbiam detto renderli ma nifcflo verfo di quali perfone, Se in che forte di cofe Tentano alle grezza, Se piacer quelli tali inuidiofi, di cui ragioniamo :& qual méte fian qualificati, &difpoiri per dar luogo alla detta allegrez- za, cóciofiacofa che nella contraria maniera di quella, nella qual trouandofi satrrillano, vengono a trouarfi, quando fi rallegrano $5 delle cofe contrarie a quelle di cui fi dolgono. Per la qual cofa ic tali prepareremo, Se difporremo coloro, nelle cui mani Uà po Ila l'autorità del giudicare,quali habbiam detto eller coloro,che inuidiano ; Se tali dall'altra parte, quali fono flati da noi difegna ti color,che inuidiati fono,moftreremo efièr quelli,chc (limano, Se cercan, che fia hauuto lor compaflìonc, o che qualche cofa di bene ila lor conceduta; certa cofa e, chenècompafIìonc,nèqucl bene, ch'ottener defidcrano, faran perconfeguirgiamai . fopo ir. T^eWSmulattonc^ . I qual maniera fian color poi, i quali atti fi t molla- no ad emulare, Se in quai cofe, Se verfo di quai per fone foglia hauer forza Pemulatione,da quello che al prefen te diremo, potrà farfi manifcllo . percio- chc efiendo l'emulatione vn con tri (lamento , che nafeein noi dal parerci, ch'in perfone limili, Se pari a noi, fi truo ui prelente qualche forte di bene, ch'importi honore, Se polla in noi parimente cadere; il qual contrilìamcnto non è , perche in quelle perfone fi truoui quel bene,ma folamcnte perche ne fiam j priui noi: ne fegue da quello, che l'emulatione fia affetto honc- flo, eclodeuole, Se a perfone della virtù, Se dcll'honelìo amiche, non difdiceuole . Si come per il contrario 1 hauere inuidia è aA fetto brutto, Se biafmeuole , Se a perfone amiche de i vitij pro- 4 portionato . pcrciochc con l'emulatione ci eccitiamo a preparar V ij noi ijó Isella ^Rgtprìca dj4riBotelc~> noi fceflì a confcguir quei beni , che vediamo in altri : douc che Ti nuiiiia ad altro non ci muoue, oci prepara , fé non a defidera- 5 re, Se cercare, che eli alcriquei beni non habbiano. E' necclla- rio adunque, chad emulare fian primieramcnreinclinaci quelli, liqualidi quei beni, ch'in effi nonhanno,& in altri veggono, fti- 6 man fc ftellì degni :pcroche nell'uno è, che fi itimi degno di cofa, 7 che gli paiaimpollibildi confegune . Et di qui è > ch'i gioueni,. S & li magnanimi fogliono effere inclinati ad emulare . Sono emù latori ancor coloro, che poifeggon quella forte di beni , che par che propriamente ftien bene, Se conuenganoagli huomini ho- norati, Se di valore . Se cofi fatti beni fono le ricchezze » la copia degli amici , o ver la graria dimoici, li magiftrati,o ver principa- li ti, Se tutti gli altri beni cofi fatti . pcrciochc conofeendo eflì con ucnirfi, Se dòucrfi cotai beni a color, che fon virtuofi, Se merite- uoli, vengono ad ertere emulatori per cofi fatti beni , come cheper ch'ere ancora erti virtuofi, a lor parimente conuengano, Se co ro ragion fi debbiano-Sogliono elferc ancora indotti a emulatió co- i i loro,chefon dagli altri (limati degni de i detti beni.& color pari mctc,i quali hanno hauuto i lor progenitori,© quei del fanguc lo ro, o i domeftici loro, o quei della lor natione, o quei della iceila patria,in qualche forte di beni,repucaci,& honorati; fogliono in turno a tai beni ellcrecmularoriicome quelli, che par loro,checo me cofa lor propria, meri camere lor cóucngano, Se appartegano • n Oltradiqucfto elìendoacca maceria deH emulacionc quella force di benijch imporcano honore,& repucacione, verrà perqueftoad 13 efler le virtù ancora eiTe materie, Se caufe di cale affecco. Ec cucce quelle cofe parimcnce, che polfono ellèrc vcili>& recar commo- do, Se bendi rio* altrui ; folendo cilcr da cucci apprezza cc,& hono race le perfonc benefiche^ agiouare arte,& parimele levirtuo T4 fe. Et tutti quei beni finalmente eccitar pollono emulatione,! v- fo, il godimento, & lafruirionedciquali,olcracolui,chegli pof iiede, negli altri redundar fuole : come fon (per eiTcmpio) le ric- xj chezze, & la bellezza più che lafanità. Potrà cllcrc ancor per quel, che fi e detto, facilmente manifeilo quai forti di perfone fogliano altrui prouocaread' emulatione. concrodacofache tali ftimar Ci debbian quelli, ch i beni,c habbiam già decco,oalcri fo- if miglian ti poiTeggono . & cofi facci beni fono la fortezza, la fapic ua x 1 magjftrati, 0 vero i principati : potendo quei, ch'in tal gra- do di JL Secondo libro . / j ? do di principato fono, giouarc, Se far bcncfitio a molti . «Se oltr* di queito gl Imperatori degli eUcrciti, gli Oratori eloquenti , Se tutti quelli iu (omnia , c han potere, & autorità di quel , clic pu- 17 rchor fi e detto, del fargiouamenro altrui . Son medefi mani en- te atti ad efTerc emulati quelli, i quali han molti, che detiderano,. 1 8 cV cerca d'alTbmigliarfi loro . Se quelli ancora,c'han molti, 1 qua li fon defiderofi d'cllcr da lor famitiar.mciuexonofciuti,o cTefirre 1 9 amici loro, Se quelli parimente, che ibn da molti ammirati : fi co me quelli ancora, i quali ammirati fon da quei , che s'inducono 10 ad emulargli . Prouocaxe ad emulation fogliono ancor coloro , in lode, Se celcbration de i quali hanno o Poeti, o Oratori, o al- tri fcrittori fcritro% Coli fatti lonoadunque gli oggetti dcll'emu- x x latione. Se i contrari) lor fon quelli,chc non emulare, ma più io ilo difprczzar fogliamo^ elTendo all'emula tion contrario il di- 11 fprezzamento, Se l'emulare al difprezzare>&: tenere in nulla. Per- laqualcofa c neccfIario-,che coloro, i quali nella maniera già det- ta difpoiti, 8c atti fi truouano ad emulale alcuno, o vero ad eflc- ic emulati, fian confeguerrtcmcntc difprczzatori di coloro, nei quali fi truoui quella fottedi mali, che iìan contrarij a quella for 13 tedi beni, che fono atti a generare emulatione. Onde fpefic vol- te foglion diftfregiarc, Se tenere a vii coloro, che fortunati fono, quando fenza alcun di quei beni , c honore, & reputatione im- 14 portano, fi truoua quella buona fortuna loro. Habóiam duribitte fin qui di quelle cole , Se di quei modi detto , onde eccitare , Se ammorzar fi poflbno quelli affetti, &paflìoni humane, e han. 1 y da. feruire a perfuadere, Se far fede . Segue che doppo qucfto diciamo al prefentequai cornami fo- glion fecondo gli affetti, Se fecondo gli habiti dell'animo , Se fecon- do lediuerfeetà, & fortu- ne de gli huomini di- uer fa mente ac- calcare Capo /// 1 *DeHa 'Retorica d % ArtttotclzJ (apo 12. 'Della GiouineX&a , & condì- fiorii di quella . Ntendo io per paflìoni, Se alfcrti dell'animo l'ira f la cupidità, ìk gli altri limili a qucfti, de i quali già di (opra ragionato riabbiamo . Per habiti incendo poi le virtù, Se li viti; ; Se di cotali habiri fi è pari- 3 r"^ i iT^ 'i mente trattato prima, 6c iniieracmcnte fi è dichia- rato quai cofe fecondo cialchcdun di detti habiti, fogliano gli 4 huomini eleggere operare. L'età poi s in tencion principale $ mcn te eflcr la Giouinczza, la Virilità, Se la Vecchiezza. Fortu« ne chiamo io poi la nobiltà, le ricchezze, lapotcntia,& i lor con crarij : Se la profpcrità finalmente della fortuna, Se l'auuerfirà di 4 quella. Son dunque i Gioueni, quanto ai cottumi appartiene, molto vehementi nelle lor cupidità, Se come che paia lor d'eli e- 7 re a ciò potenti, fi mettono a fare ogni opra per confeguirle . Et irà tinte le cupidità corporee, o ver leniuali , di quelle malli ina- mente fon volontier feguaci, che fon compagne di lafciua venc- 5 re , nelle quali fon fuor di modo incontinenti . Son parimente nelle lor voglie, & cupidità facilmente fottopofti alla mutano- ne* Se torto diuengon fatij, Se faftidiofi di quel,che prima appe- 5 riuano. Sono i lor defiderij molto intenfi, ma poco durabili, Se i o pretto partano : eflèndo i lor voleri, Se li loro appetiti , acuti ma non tenaci, o potenti, nella guifa che fi veggono eflèr ne gli infec li mi la ietc,& la fame . Sono oltra di qucfto i gioueni iracondi per natura, & acuta, sfottile e Tiraloro, &fenza molto penfarui fopra, fon pronti a feguir l'impeto di quella : come quelli , che ftar non potendo incontra all'ira, vinti lempre da quella riman- 1 1 gono . conciofiacofa che per la grande (lima , che fanno deiTer reputati, Se dellhonor loro, non pollano in modo alcun foppor tar d'erter difprczzati,o tenuti a vile ; ma grandemente fi fdegna- no ogni volta, che punto s'accorpano, che fia fatta loro ingiuria. 13 Sono ancor per querto arabitiofi, &auidi d'honorei gioueni, o vogliam dir più torto contcntiofi, Se auidi di vincere : emendo la giouinczza molto cupida d eccedere, ne altro e il vincer, ch'vn 1 4 certo eccedere • Onde d'ambedue quefte cofe, cioè dell honore, &dcl Jl Secondo lìhro . Q? / / > \ & del vinccrc,fono eglino molto più amatorijchc non fono ama tori de i danari , dal dcfiderio de i quali molto poco fon mol dia- ti, per non hauere ancor prouato,6V efpcrimeniato la potiertà,e'I i j bilogno: fi come ben mollra Se accennala breue, & acuta rifpofta 16 diPutacoad Amfiarao. Sono oltra di quello i gioueni non ma» litiofi,doppij, o maligni, ma più torto fcmpljcj, aperti, cV liberi > come q,uclli, che non hanno ancor conofciute,& prouate le frau 17 di, & l'aftiuicdcl mondo. Et parimente Tacili fono a credere, & a dar fedea quello, che lui detto loro ; non elTcndo flati per la lor xS breue età molte volte ingannati. Sogliono appretto di quello i gioueni clfer facili a fpcrar bene . pcrciochc non altrimenti eglin fon caldi per caufa della natura loro (Iella, che fi licn caldi cola- li ro, che s'empion di fouerchio vino . Oltra ch'aiuta ancor la lo- ro fperanza il non hauere ancora in molte cofe prouato,& vedu- to to riufeir lor vani i difcgni,& Jc fpcranze loro , Etoltra ciò i gio- ueni per il più viuono a fperanza, Se dietro a quella menano i lor anni : conciofiacpfa che la fperanza riguardi il futuro , fi come la memoria il pallàto :& ne i gioueni il tempo, c hàda venìre,c lu- go aliai, & quel, ch e in lor già panato è breue,- potendo nel prin eipio della fua età l huomo ricordarfi quafi di nulla,&: fpcrarqua ai fi il tutto. Et quello ancor parimentec caufa, ch'i gioueni han fempre efpoflia facilmente eflere ingannati, per clfer ( com'hò 11 detto) a pigliare fperanza facili . Più forti ancora, cV più animo- li fono gli huomini nella giouinezza, che nell'altre età : come quelli, ch'ageuolmentc s acccndon d ira , 8c fempre bene fpera- no : delle quai due cofe la prima fa non temere, & l'alrra confida re: conciofiacofache niun, chefiaaflalito dall'ira, tema; & Io aj fpcrar qualche cofa di bene, generi confidentia. Sono medefi- mamentc i gioueni dediti naturalmente alla verecondia . 8c que- llo nafcedal non hauer eglino ancora hanuto cognition d'altra forte di cofe honefte, & lodeuoli, che di quelle folamente,di cui A4 fon dalle leggi inftrutti. Sono oltra di quello li gioueni, magna nimi, come quelli, che non fono ftati ancora abballati, de humi- liati d'animo dalle miferie, & necdfirà, che porta la vita huma- 1 j na.01tra che la magnanimità fa,chc l'huomo fi (limi degno di co fegrandijil che è* proprio di coloro, che pieni di fperaze fono,co 16 me fono i gioueni. Anrepor fogliono appretto di quello nelle lor attionirhoncftoaU'vule, come quelli, che viuó più fecondo l'in- iìitution ftfo \ € DeUa r Retorica d * Aristotele (litution ne i collii mi fatta, che fecondo'l calcili o della fuppurt- tione: ne è dubio,che il difcorrere,& fupputar non riguardi 1 vti *7 le,& linflitution della virtù non riguardi l honefto. Mcdefì- mamentc fo^lion ghhuomini in quella più, thcinqual fi voglia altra età,elfer vaghi d'haiierc amici, & compagni : come quelli , che molto godono, & diletto predono del cómun cóuitto, &del la conuerfarione . Oltraehe non hauendo cominciato a«coraa mifurar le cole con l 'inrereifo dcll'viile, parimente non mifuran iS con quello gli amici , ma col diletto (olo . Sogliono ancora in tutti gli errori, ch'occorra lor mai di fare, errar più tolto nel pjù, che nel meno, Se più nel molto , che nel poco : Se contra la len tenda di Chilone ogni cofa fan col troppo : come quelli,che ami 19 troppo , odian troppo , Se fomigliantc in tutte l'altre cole . Ol tra che fi perfuadono in vn certotnodo di fapere ogni cofa, Se c6 vna cerca refoluta certezza affermano, Se afTerifcono rutto quel , che dicono, il che anchora e caufa, che gli aiuta a traboccar nel 30 troppo. Le ingiurie, Se 1 offefe, che fanno i g{rìucni,fon più pre (lo in contumelia, & di 1 pregio, che con iniquità, Se malitia far-* £X te. Sono oltra quello i gioueni inclinati ad hauere altrui corti-' patti on e; pcroche tutte le perfonc (limano eglino virtnofe , Se migliori di quel , che le fono , come quelli , che con h lor fem- plicità , Se poca malitia mifurano i coftumi , 6c le attion de gli gli altri : cVper confeguentc gli (limano indegni dei mali, che 31 yeggan lor patire . Scnton per natura diletto ancor di (lare in ri- foj Se per quello fon faceti , vrbani , & fcflcuoli , Se amici del motteggiare : emendo l'vrbanità vna certa delira, honefta, Se ben moderata fpetie di contumelia . Coli fatti adunque (come habbiam detto) fono i coftumi, che porta feco la giouinezza- **4| Capo \ Jl Secondo libro . j 6 1 fi*po ij. Della VecchieXzL,a y & delle prò- prieta dt quella . Vecchi poi, Se gli hormai grani, Se carchi danni, han quali per la maggior parcc cortami, a i già dee-! ci contrariamente opporli, perciochc hauendo vif il peggio . pcrciochc fon di contraria di fpofition di fangue, che non fono i gioucni, clTcndo eflì agghiacciati, & quelli caldi : on- de par, che la vecchiezza venga in vn certo modo a dare adito, & a far quali la ftrada alla timidità; non ellcndo altro il timore,chc 13 vn certo agghiacciamento . Delideroli ancor grandemente, Se auidi della vitafono x Se maflìmamente quando s'apprettano a i giorni e ftremi: (olendo elTere il dcfidcrio propriamente delle co- le, che mancano , Se fono allenti ; Se di quello ,di che l'huomo- maggionnente edefettuofo, Se hàbifogno,maggiormcntcanco- 14 ra è defidcrofa . Coltume è ancor de i Vecchi i cilèr Tempre que- ruli, Se lamenteuoli, & Tempre et ogni cola rammaricarli , quali che non polFan contentarli mai. il che naTce dall'clìer quella vna l$ lpetiedi pufillanimità. Viuono olerà di quello più fecondo l'v- tile, che fecondo l honefto> molto più che non conuiene, per ef- 16 Ter molto amatori di Te medefimi: nè e dubio, che l'vtil non fia bene in refpctto di fe Hello, Se l honeftonon lìa bene in Tua natu- 17 ra, & allblutamente. Coftumcmedefimamcntecdiquci, che fon nell'età fenile, l'eller più prefto inuerecondi, che verecondi, concioliacofa che non tenendo effi il medefimo conto dell'hone ito, che dell vtile,tengon per conTcguenre poca (Urna dell'opimo 1 8 che s'habbiadi loro Poca Tperanza Togliono ancor nelle coTe ha uere ; parte per reTperientia, che gli hanno, rrouandofi per il più nelle coTe Tempre più il mal, eli il bene ; Se accadendo per confc- i$ gucntcgliauuenimcnri dell'humaneattioni in peggio : Se parte ancor per caufa della timidità, c'habbiam detto elfer lor familia- xo re . Danno mcdeilmamentc maggior parte della vita Ioroalla me moria, ch allafperanzarconcioliacoiachc riguardando la fperà- za il fu turo,. & la memoria il pallàto, picciola parte della lor vita % 1 è quella» che Ila futura, &: grande quella v eh è già palla ta.Ec que- llo parimente e la caufa, che gli rende loquaci, & gli fa fenza mi- Cura pigliar diletto di raggionare . peroche nonrellan mai di rac- contare, &c rirare in lungo le cofencllor tempo accadute, o ch'e- glino habbian perii pallato fatte : come quelli, che nel rinnouel Xt larfel e nella memoria, gran diletto,. & gran gu Ito prendono. Gli Tdegni, i crucci» & l'ire dei vecchi fono acute, Se fubite,mafner «5 uate, &: fiacche. Se li defiderij, Se le cupidità lot o, parte fon man care, Se diuenutevanein tutto ; & parte fon fatte languide Se de M biluatcLa onde non fon molto moleitati dalle fcnfualità delle cu pidità Jl Secondo libro. 163 pldità,nc indirizzan le loro attioni,o guidano la lor vira dietro i tj quelle, ma più tofto dietro ali vtilc, & al guadagno. Onde ven- gon lcpcrfoncdi quella grauc età a dare apparentia di Tempera- te : pofeiache lecupidità non fi veggon più in loro dominarcela ucndoeflì totalmente l'animo applicato, & comeferuo fottopo- x6 fto ali vtile, & all'affetto del danaro. Et da quefto nafce,chegui danlalor vita più torto con calculato , Se fupputatiuo difcorlo, ch'à modo dhabito, & di coltume : cllcndo vn cofi fatto fuppu- tare, & difeorrerc appartenente aU'vtile , & l'operar come per 17 .coftumc, più alla virtù propornonato . Onde le ingiurie, cV: Tof fefe loro, portan (eco più prcfto ingiù ftitia, & mahtia, che con*. 28 tumelia . Son pari mente i vecchi inclinati ancora etti alla compaf (ione ; ma non già perla caufamedeuma, che fono i gioueni.pcr ciochenei gioueni nafee quefto da vna certa Immanità , o voglia dir benigno affetto verfo gli huomini : doue che nei vecchi na- fcc da imbecillità , facendo ella lot patete , & in vn certo modo dubitare, che tutti i mali poifono ellcr loro cofi vicini , che age- uolmente poftonlor ventre addoifo : ti che giàhabbiam detto 2 cócorrerealle caufe della cópaffione. Et da quefto ancor viene, -che li vecchi fian queruli, & duri, & amari nel conuerfare,&: no punto atti alla vrbanità,& poco amici del follazzo,&: del rifo: ef- fendo cofetrà di lor contrarie l'elfer fefteuolc, & 1 elfcr lamente- 30 uole. Cofi fatti adunque fono i coftumi, & dei gioueni, & dei 3 1 vecchi . Perlaqual cola folendo communemente tutti volentie- ri abbracciare, & hauerc accette quelle otationi, che conofeono accommodate, & conformi ai coftumi loro, & affettionar- fi a coloro , da cui le vengono, come che a lor firn ih; non potrà per quel, che fi è detto, efler nafeofto, in che maniera pollan color, che parlano, ^ parlare in modo , che & elfi , & l'o- rationi,& parlamenti loro, pof- fan parer cofi fatti, cioè li- mili a color, che gli alcol tano. t x ij fa / 6 '4* Della llgtprica d % Aritiotel^j /^Oi Virilità , ^ condttioni di quella . Vahto poi a color, che fon nell'età virile, & vigoro fa, può ellèr manifelìo, ch i lor coftumi lìan pofH nel mezo trà quelli (ielle due età già dette: tollendo via da quei deli'vna, & da quei dell'altra l'eccedo , de la ioprabbondantia . Non fon dunque effi tali , che troppo trabocchin nella confidenza, il che è proprio dcll'au dacia , ne troppo parimente temino : ma neH'vna,& nell'altra di | quelle cofe, fon difpofti fecondo che fi conuienc . Non fon cre- duli, & facili a preftare ad ogn'vno vgualmcntc fede : ne dall'al- tra parte han coli fofpetta la veracità d ogn'vno, che cofa alcuna non credan veTa: ma dalla verità delle cole ftclfe pendono , & fo- 4 no i guiditi), & gli allenii loro . Medelìmamcnte quelli di que- lla età non fon ferui dell auaiitia ; ne ancor fon prodighi , &c dif- fipatori : ma tra quel mezo caminano, feconefo che le cofe ricer- $ cano.Et nella medefi ma maniera parimente con mediocrità di- 6 fpofli incorno all'ira, & intorno alle cupidità fi truouano. Son tcmperati,fcnza che manchi lor la fortezza, Se fon» forti fenza che lor manchi la temperanza . Le quali due virtù , igioueni , & i yecchi s hanno l vna dall'altra fcparatamentc trà di lor partite,cf /èndoi gioueni forti, ma intemperati, & i vecchi per il contrario 7 temperati, & timidi . Et per raccogliere il rotto in poche paro- le, tutte quelle cole, che di buono , & d'vtilc s hanno lagioui- nezza, & la vecchiezza trà di lor fcparatarnente dillribuitc, tutte 5 fi truouano infieme nella virilità congiunte. Et tutte quelle al- tre cofe poi, leqiraii per fouerchio eccello , o defetto traboccan nel troppo, o nel poco nelle due ellreme età già-dettc,tuttc ridot te al mediocre, & al comieneuole , lì truouano in quella età di 5 mezo . Ritien le fue forze nel Ino vigore quella età virile, & le fi confidcrano in quanto al corpo ,• daU anno uigefimo fino al trige fimo quinto : ma confidcratcquanro al vigor dell'animo , intor- lo no al quadragclìmo nont>,maflimamctcnorifcono.Et tonto badi hauer detto de i coflumi,& conditioni del la giouinczza,& della vecchiezza, & dell'età vigorofa, che nel ruezo di quelle è poda . Jl Secondo libro . ì6j fapo if. Della nobiltà, condizioni , proprietà di quella . V^ug^ Ecve al prefente, che noi diciamo intorno aTij^È^!^^ della fortuna, quali, & quanti di quelli fiano atti a variare i coltami de gli huomini, Se quali cofi fatti coilumiaccafchino . Etcominciandodalla nobil- tà, coitumc primieramente è di quella l eder chi la poifiede dedito molto ali ambinone, Se a tenere in ogni cola c&- S | to dellhonore . pcrciochc pare, che ordinariamente tutte le perfone » quando conofeono di polXeder qualche cofa, che piac- cia loro, fogliari tempre porre ftudio d'accrefcerla , & d'accumu- larle fopra : ne altro e in chi 11 lìa la nobiltà , che honoranza , Se c 4 fplcndor d'honore de i fuoi maggiori . Sogliono i nobili ellcr di- Iprczzatori d'ogn'vno; Se maiTì inamente di quei, che fon fimi li a i lor maggiori . conciofiacofa che li medefimi honori fogliano apparir più fplendidi, Se più gloriofì, quando Ci truouan per lun- go fpatio di tépo già fatti da noi lontani, che fe vicini in tempo, o 5 prefenti fono.Cófilte l'elfcr nobile nella virtù principalmente del 6 la (tirpe, Se della fameglia : ma la generofità condite in non vfei- 7 re, o tralignar dalla natura, & virtù dei fuoi maggiori, il che il 5 più delle volte non fi vcdeaccafcar ne i nobili ; tremandoli fpeflb S mol ti di loro vili, h umili, Se abbietti d'ani mo . Et pare in vero» che eli adiuega nelle ftirpi, & fameglic dc'gli huomini vna certa fertilità , Se abbondanza di ricolto per qualche tempo, fi come fuole auuenirca i lauoratiui campi della terra alle volte ne i frut ti loro . perche fe la ftirpe & fchiattad'vna fameglia farà buona, fi vedran per qualche campo vfeir di lei perfone in virtù eccellenti. & di poi all'incontro parrà , che come (tanca , Se quali sfruttata 5 di tai perfone, rem" per qualche tempo di parturirne. Et in coti fatti tralignamcnti di fangui, Se di ftirpi, loglion le fa m eglie d'a- cuto intelletto, Se di fottile fpiriro,& fottile ingegno, degenera- re, Se tralignare in perfone di coftumi adulti, melancholici> Se fu riofi-, come fi vede elTer quelli, che fon difeefi da Alcibiade; & io quei parimente, che dal primo Dioniùo per fangue deriuano . Et le fameghe dall'altra parte, che fon di quieti, manfucti, Se graui co (lumi « / 66 ^Detta r R^torica d*Arittotek^> co ftu mi, tralignar foglion finalmente in perfone inerti, digrof- fo intelletto, & quali ftolide, Se infenfate, come fi veggono elfer quelli, chedaCimonc, da Pericle, & da Socrate difeeh fono, (aj?o 16. De i cofiumi , & proprietà de i 'Ricchi . Vai maniere poi di cottumi foglian feguitare, Se ac compagnar le ricchezze ftando etti, aperto può cia- fchedun facilmente conolcere. pcrochc foglion pri mieramentc 1 ricchi elfer contumeliofi , Se oltrag- giofi, & oltra ciò fattoli, & fupetbi : facendo in effi coli fatte difpofitioni, il polfelfo , & l abbondantia delle lor ric- 3 chezze . conciofiacofa che clfendo le ricchezze la ricompenfa, Se quafi il prezzo della ttima,& del valore di tutte l'altre cole, in mo do, che chi polTìcde le ricchezze , pare che tutte le cofe compran- do cófcgnir polla -, vengon per quello i ricchi a difporfi d'animo, 4 non altrimenti, che fe tuttel'altre cofe polTèdano. Sonopari- mentei ricchi macchiati d'vna certa effeminata molline, & deli- 5 catuta, & molto fattoli ,& arroganti di fe medefimi. molli de delicati fono per l educationc delicata nata da i commodi, che 4 portan le ricchezze . arroganti, Se faftofi oftentatori fono, fi perche foglionocommunementegli huomini volontieri occu- parli, Se confumarc il tempo intorno a quello, ch'elfi amano, Se 7 che ammirano, & fi ancora per che lì danno a credere, che tutti gli altri tengano altrui felice per cagion di quelle ftclfc cofe , che 8 tengonloro. Nè forfè di ragion par, che in lor nafcaqueftapre- funtione, vedendo elfi, che molti fono, che di coloro,che polleg 9 gon ricchezze hanno di bi fogno. Il che fu efprclTo daSimonide Poeta in quel detto, eh egli in proposto de i iapicnti , «Sedei ric- chi vsòrvipondendo alla domanda fattagli dalla tnogliedi Hiero ne . concioliacofa che domandato da lei qual delle due cofe fi do- uelfe come migliore anreporre o l'elfcrricco, o l'clTer fapiente; rifpofe, cheei vedeua 1 lapiditi raggirarli tutto'1 giorno, Se (lare 10 allettando alle porte dei ricchi . S aggiugncancoraa confermar Tarrogantia de i ricchi , il parer loro , che lor fi debba , Se quafi per ragione appartenga vna certa maggioranza, Se imperio (opta degli Dig Jl Secondo libro . 167 degli altri : {limando lord'hauer quelle cofc,Ie quali chi poflìe- 1 1 de, (la degno di dominare,& di comandare a gli altri . Er per dir breuemete fono le maniere, Se li coitami de i ricchi quei medesi- mi, che farebber d'vno, chefuflefortunatOjCV infiemementc ftol 1 1 to.E^ ben vero,che no poca difFeren ria fi truoua tra i coftumi, che feguon le ricchezze di nuouo acquillate, Se quelli , chaccompa- gnan Ieanticamcntc poffedute. peroche tutte le cattiue,c\: biaf. mcuoli conditioni, Se proprietà, che ne i ricchi fi truouano,mol to peggiori fi fan conolccre in coloro, che fon fatti di nuouo rie- 13 chi . conciofiacofa chela nouità delle ricchezze fia quali vna ini- 14 peritia del poflederle, & vna ignorantia dell' vfo loro. Apprello di quello le ingiurie, Se le orlefe, che £mno i ricchi, non (ò{;lion nafeer da pura ingiuftitia,& malignità, mapiù tolta o da Scher- no, Se da contumelia, o vero da inconrinentia, Se da inrempera- tia : come faria (per eflempio) il dar delle battiture, Se il far for- za con violentati adulterij . fapo 17. De i coftumi di coloro, che h ari gran- de autt onta > £f potentia Jopra de gli altri* de i ben fortunati * Edesimamente li coftumi, che feguon la poten- tia, l'autorità, Se grandezza di flato fon quah per la maggior parte man ifelli . conciofiacofa che parte d'efli fian quei medefimi ne i potenti , che fon ne i ricchi ; Se parte fian migliori, Se più comportabili, perciochc le pedone potenti, Se di grande (laro tengon ne i coftu milorpiù conto dell honor, & han più del virile, Se del grande, che non auuicn nei ricchi . perche dando lor la potentia che gli hanno facilità di poter far cofe preclare, applicano a quelle l'ani- mo, & fon cupidi di condurle a fine. Sono ancor più diligenti , & manco otiofi , pofeiache il pender di conferuar faluo il loro fta to, gli sforza a dar vigilanti, Se a tener cura Se ftudio intorno alle cofe, che appartengono alla potentia loro. Mcdefimamentc quel la grauità, che fi truoua in loro, ha più tofto del venerabile, che del molcfto, Se fempliceracntc graue ► peroche tendendogli quel la de- \ / 68 T>eHa Ttgtoried d' sfrittotele^ ladegnità,& autorità loro riguardcuoli , vengon per quello a j moderare, & a temperare i modi, Se le maniere loro : non eflen- do altro in vero quella venerabili tà, ch'vna mitigata , & ben co- 6 porta grauità. Et fc pure eglino inclinano alle volte a fare ingiu- ria, fon leoffelc, Se le ingiurie loro, non di cofe leggieri , & di 7 poca importanza, ma di cofe grandi, Se d'aliai mométo. Quan to alla profperità poi della fortuna, ritiene ella inlieme quei co- S (lumi, che noi leparatamente riabbiamo clplicati. peroche tutte quelle, che fon communemente giudicate felicità di fortuna, pa re, che tendano, Se inclinino, cornea puncipaliflìme parti loro , 9 a quelli tre (lati d'huomini,ch" vi timamen te habbiam detti.quan tunque a colmar coli fatta felicità concorrer foglia ancor l hauer buon numero di ben qualificati figli, Se 1 hauer la pedona dota- 10 ta di quei beni, che beni dei corpo fi domandano.Sogliono adun que i ben fortunati più che tutti gli altri, traboccare ecce Ili uame 11 te in fuperbia ; Se elfcr molto feonlìderati, Se poco configliatiui> o difcoriìui nelle loro anioni : colpa della confidenza, che recali lor la profperità della lor fortuna. In vna proprietà nondime- no, Se in vn coftumc degno di lode , che feguc alla buona fortu- na a canto, vengono ad eccedere i fortunati , Se qucfto è, che.fon pij, Se deuori cultori, Se veneratori di Dio, & ripieni di ben co- pollo affetto verfo la bontà di quello . conciollacofa che veggen- dofi cfll profperar ne i beni, che dalla fortuna fon dati loro, facil- mente lì danno a credere, Se fi perfuadono, che ciò adiuenga lo- ij ro per hauere Dio amico, & bcneuolo. Et fin qui badi naucr detto de i coftumi, Se proprietà, che feguono alle diuerfe età del i'huomo ; Se di quelli, che portan feco i varij tlati della fortuna . 1 \ peroche i coflumi, che feguono a quelli itati , che fon con- traria quelli , c'habbiamo elpofti , cornea dire al- la poucrtà , all'auuerfa fortuna , Se ali impo- tenza, Se poca autorità, potranno ren- derli manifefti con volger ne i y.r;i.»..* f contrari; loro i luoghi, Se le conditioni , che alfegnate riab- biamo • C*po jfl Secondo libro . / 6 p (apo ìS. Continitafion delle cofe dette con quel- le, che shan da dtre nel rejlante di quejìo fe- condo Libro . Erta co /c e, che l' vfo d'ogni perfuafiuo parlare riguar g Ha finalmente qualche giuditio, o parer, che nalca in B colui che ode. peroche per cagion di quelle cofc, che alcun fappia eiTcr da noi conoiciute, & giudicare feco- 5 do l'animo Tuo, non fa di bifogno, ch'egli ce ne parli . & qucfto C'habbiam detto auuicne parimente fc alcuno apprettò d'vn fo- lo,o fuadendo, o diifiiademlo via le fue parole; come auuicne in color,ch'ammonifcono, o ccrcan di fare ad alcun fede di qual- che cola : non douendo punto manco (li mar fi colui, a chi fi par- 4 la, giudice di tai parole per eiTere vno . perche colui in fiam- ma li può conucneuolmenre (limar giudice dell'altrui parlare, nel qual fi cerca di far parlando nafeere perfuafionc, o aiìcnfo, j o vno o più, che cofi fatti fiano. Il medefimo auuicne ancora, così ncll'opporfi, col parlar nortroa chio litigando,o in altro modo ci fia auuerfario ; come ancora in parlar fopra qualche 6 prò polla carila, conciofiacofa che ancora in far quello facciadi Difogno d'vfar la forza delle noftrc parole, & cercar di difeio- ^lier le cofc, che ci ficn contra, òc contra quelle, come qua- 7 li contri d va© auuerfario, opporci col parlar noftro . Simil- mente fi può quello medefimo dire, ch'adiuenga neli'orationi dimofrratiuc venendo noi in quel genere ancora a contìituir, come quafi giudici coloro, cha modo di fpcttarori , fi pongo- 5 no ad ascoltarci. Ma pigliando al tutto quella parola giudice femplicemente, fi dee per giudice propriamente intender quel- lo, che nelle controuerfie, & caule ciuili, le cofe che fi dubita- 9 no , & fi propongono , determina con la fua (èli tenda . concio- fiacofa che de nelle caufc,che fi trattan nel foro giudicialc, Se in quelle, che fi maneggian nelle confulte, fi cerca in che ma- io nicra le (licno,& qual detcrmination fi conuenga loro. Ma de i collumr a ciafeheduna forte di republica accommodari, habbiam già a ballanza detto pr ima, nel trattar del ncncr dclibc- ratiuo : di maniera che può parer c homai fia fatto chiaro in che Y manie- *7 o. TteUaT^rtca, d* Arìftotelt^> maniera, Se con L'aiuto di quai cofe, damo per poter far le no- 1 1 ftre orationi coturnate. E t perche trouandou in ciafehedun ge- 1 1 ncr d'oraiioni difhnto, Se appropriato fine, riabbiamo per tutti i generi,. Se per tutti i finiailegnato loro, proprie, Se accomoda- te opinioni, propofitioni, Se luoghi, onde fi polla perfuadere,& *3 ^ ar fede confultando, demoftrando. Se litigando: &: habbia- mo oltra ciò inoltrato de detcrminato donde, & come formar fi 14 debbian le orationi, & li parlari coftumati ; reità ch'ai prefen te diciamo di quelle cofe, che communi fono a tutti li generi di *S caufe, Se tutti i modi di far fede abbracciano. Commune adun- que a tutti cnecclfario, chefiail feruirfi del poflì bile, &deH im- poflìbilc, Se il tentar di mofhar nell'oratione tal'lior che la cofa 1 6 habbia ad elfere, Se tal hor che la (la fiata t Se oltra di quefto co- mune è ancora a tutti i generi, delPoratione, il confìderare, Se 17 moftrar la grandezza della cofa : conciolìacofa che tutti fuaden- do, o difTuadcndo nelle confultationi, Se lodando» o vituperan- do, Se acculando, o defendendo^vfino, Se tentino di cftenuarco d'ampliar le cofe, o vogliam dir d'impicciolirle, o ingrandirle. tS Determinato charem poi quefte cofe, faremo pruoua di dirqual che cofa degli Enthimemi, Se de gli eflempi confederati ancora 1$ effi come communi a tutti i generi, accioche-aggiugnendo poi doppo quefto fé cofa alcuna ne renerà da dirli, poriam por final- io mente fine a quanto da principio fu da noi propoiìo. Et è da fa- pere, che delle cofe, c'habbiara già propone come communi, I amplificar, ch'appartiene alla grandezza, è alquanto più dome- nica, Se accommodata alle orationi demoftratiuc, come già in al- ir tro luogo fi è detto prima. La nn tura poi dell' elTer fiato, allegiudiciali è* alquanto più familiare : riguardando lcfententie dei giudici , maflìmamente le cofe fatte. Il poflìbil poi, & l haueread elic- le, alle confultatiue caufe princi- palmente s'accommodano,. Se fi fan domeftici . Jl Secondo Ulto. ìyj {apo t p. 'Della natura del pofòbile, dell' ejjère fiato, & dell' hauere ad ejfere, & de i luoghi loro£t della grandeX^a,^ piccolél^a con- fiderate m natura loro . I ry»MK?| Omi sciando adunque dal potàbile, òV dall'impof- 1 y2^gS£I fibile diremo primieramente, che fé l'vn de' contra- èo^Sjtì rij farà poffibile ad e il ere, o a farli, parimente l'altro contrario potrà parer poffibile. cornea dir (per cileni pio) che fé gli è poffibile all huom farfi fano, gli farà ancor poffi- | bilcildiuenhe infermo: conciolìacofa che vna medeiìma for- za, & potentia fia quella di due contrarij, confiderà» come con- 4 trarij. Parimente fe l vna di più cofe trà di lor fimili faràpoffibi- 5 le,faranno ancor poffi bili quelle altre fimili. Etfc poffibil farà vna cofa, che fia più difficile, farà poffibil quella, che farà più fa- 4 cile. Et ancora teglie poffibile a fard vna-cofa in modo,chc la fia ornata, bella, & perfetta ; potràmedefimamente farli femplicc» mente fenza quelle conditioni : perochepiù difficile (pcrciTcm- pio) a farfi, e vna caia ornata, & bella, eh* vna cafa, che fia fem- 7 plieemente cafa. Oltra di qucfto di quella cofa, il cui principio fia poffibile a farfi, farà poffibile il fine ancora : pofeiache ninna cofa di quelle, che fono imponìbili, può mai farfi, o cominciare 5 a farfi : come (per eifempio) diremo, che mai non potrà farfi, ne cominciarti a fare il diametro del quadrato al lato, ouero a la co- 2 fta di quello, con vna fteifamifura commenfurabilc. Dall'altra parte ancora di quella cofa il cui fine fia poffibile, farà poffibile il 10 principio ancora : hauendo tutte le cofe, che fi fanno , origine 1 1 dal principio loro . Oltradi qucfto fc di due cofe, quella che in foftantia, & in natura fua, oucr per via di gencrationc fia pofte- riore, farà poffibile ad efler fatta, poffibil parimente farà quella , che e anteriore, & preceder dee. come a dir (per ellempio) che potendo venire alcuno all'età virile, puòancor venire alla fan- 1 1 ciullezza; douendo per natura quefta età preceder quella.Et me» defimamentc per il contrario, fc gli e poffibil diuenir fanciullo, poffibile ancor farà venire all'età matura, elTcndo quella età prin 15 cipio di quefta. Quelle cofe ancora fi deono ftimar poffibili» Y ij delle ìyf, *Della c Retorica d 'drìftotele^ delle quali fi truoua per natura amore, Se cupidità ncH'huomo : peroche perii più nó e chi nmi, o appetilca le cofe, che fono im- 14 potàbili. Appretto di quello quelle cofe, pollbno & cllere, Se I j farli, delle quali fi truouano in piedi le feien tic, & le arti, quel- le cofe medclìmamente pollon da noi ellcr fatte, il principio del cui edere, & del cui nafeimento dà porto in cole, che o con for- 1 6 za, o con permasone in poter noftro (ia di valercene. Se tali fo- no fc o più potenti d'elle, oucr padroni,o amici di quelle damo. 17 Parimente le le parti d alcune cole laran potàbili, faranno ancor potàbili li tutti loro. Se all'incontta fevn tutto farà potàbile, fa- 18 ranno ancor per il più potàbili le parti fue. concioliacofa che fe far (per esempio) lì pollon le fuola, Se le tomara, parimente Ci pollon far Te (carpe : Se all'incontra fe lefcarpe far lì polfono, faranno ancor pombilt a farfi le tomara, & le luola. Mede/ima- mente fe tutto infamemente il gencr farà cofa podi bile, farà pof. 10 libile ancora qual lì voglia delle fise fpctic. Se all'incontra fe pof- II lìbil farà la fpetie, farà ancor potàbile il gcner tuo. come adir (per cileni pio) che fe potran farli legni da naiiigafrc, potrà f.irfi la galera ancora j Se potendoli far la g ilcra, potrà ancor farli vn le- zi gno da nauigare.Ohra di quello le di due cofe, c riabbiano in lor natura relatione, Se rifpetto di riferimento 1 vna all'airi a, farà pof libile l'vna,potàbil farà parimente l'altra, come a dir (pcrcliean- pio) ctiesVna cofa porrà eller, che fia il doppio d vn'altra, porrà ancor quella eirer la metà, oucroil mezo di quella. 6c all'incon- tra porendo ciTer quefta la metà di quella ; potrà ancor quella cC *5 fer di quella il doppio. Parimente fepotàbil farà di farfi vna co- fa fenza aiuto d'arte, Se lenza diligano*, o preparatione alcuna, maggiormenre farà potàbile a farli fe vi s aggiugne l'induftria 14 dclfarte, Se la oMigentia. Onde ben fu detto da Agathone, che moire cofe li fanno alle voi te a calo; male medefimc facciam noi a j con l'arte, e con l'induftria, che la nccetàtà ne mollra . Mcdefi- mamente s'vna cofa può cfl'cr fatta da quei, che fono di mcn va- lore, & di forza, o di potentia inferiori; mageiormen re potrà x6 eiler fatta da perfone contrarie alle già dette, li come dille lfo- crate, parergli cofa graue, fc quello, c haucua imparato Euthi- mo, non fulle egli badante a poter trouare, Se a poter fapere. 17 Quanto poi alle cofe impotàbili, chiara cofa è, che da i contrari j luoghi di quelli chabbiarao adeguaci lì potran comprendere. Per Jl Secondo libro . i ?j 18 Per conofeer poi fc le cofe fiano fiate fatte, o non fiano fia- te tacce, potiam difcorrere, & eonfiderare, nel modo, eh al prc- fente diremo. Pnmieramence adunque (e quella cola , che man- co in Tua natura è atta a farfi> nondimeno è fiata fatta, farà an- cora Itara fatta quella, che maggiormente in fua natura afar- 19 fi è habile. Et Ce quello, fi vede fatto, che fuol farli doppo, viene ad elfere ancor fatto quello, che far fi fuol prima, cornea dir(perellèmpio) che Ce alcun lì làrà (cordato di qualche cola, 30 l'harà ancora in qualche tempo imparata, ouer faputa . Medefi- mamentc s alcuno è,chabbia potuto, & voluto fate vnacofà, flimar lì dee, chei habbia fatta : conciohacofachc tutti quando potendo fare qualche cofa, voglion parimente farla, lenza alcun dubio la fanno, per non hauere in tal cafo cofa, che gli impedi- 41 fca. Il medefimo fi dee dire ancora di chi habbia hauuto la volo tà di farla, 6c nelfuna cofa eftrinfcca dalla partedi fuora impedi- 31 tol'habbia. Parimente s*alcuno harà potuto far qualche cofa,5c in quello Hello tempo farà flato accelo d'ira, ch a farla incitato 33 l'habbia ; fi può affermare, che l'habbia fatta . Et il medefimo s'ha da dire di chi habbia potuto far qualche Cofa, & habbia in- fiememéte hauuto qualche cupidi ù, di in fligato velhabbia. perciochc per il più coloro, c 'han poter di far cofa,della qual fia- 34 no defiderofi, & cupidi, la foglion fare, a ciò induccndogli,fe cattiui, &vitiofi fono, la loro incontinentia, & le fon virtuofi» J5 l honcllà, & bontà dei defiderij loro. Oltra di quello s alcuno era in vltima preparatone totalmente in punto, 8c in ordin per fare alcuna cofa, fi dee filmare, che l'habbia finalmente fatta: 36 efTendo verifimil, che colui, che Ila già del tutto parato a fare v- na cofa, in modo, che nulla gli manchi per efeguirla, laefegui- 37 fca, 3c la faccia per ogni modo . Mcdcfimamctefe fi veggon fat- te tutte quelle cofe, che foglion per natura precedere, &c andare innanzi a qualch'alrra cofa, ouer per caufa di quella fono, fi può 3 8 (limar, che quella tal cofa fia fatta ancora, com a dire, che Ce farà 35? balenato, fi potrà dir parimente, che fia tonato. cVs'alcunoha- ràaifalito, o fatto forza, o attentato di far la cofa, potremo ere- 40 der, che l'habbia fatta. 8c dall'altra parte ancora Ce lì veggon fat- te tutte quelle cofe, che foglion per natura feguire, &c andar die- tro a qualch altra cofa, o per caufa delle quali quella tal cofa fia; fi dee (limar, che fia ancor fatta quella tal cofa, che di natura và loro ijjf. ^Della r B^torìca dlArìSlotelz^j 41 loro innanzi, o per caufadi quelle ha l'elfcrfuo. come a dir, che 41 fc gli e tonato, bifogna, che ha balenato : Se s'alcu no harà dato effetto al tal delitto, o alla tale ingiuria; fi potrà ancor credere 45 c'habbia prima attentato, alTalito, Se fatto forza di farla. Et di tutti quelli, che come luoghi habbiamo allignati , alcuni fon ncceilarij, Se ch'infcrifeono, &" concludono di neceflìtà ; Se al- cuni fon più rollo verifimiii; Se han la forza loro per il più,cVper 44 la maggior parte. Quanto poi al poter inoltrar non effer la cola Hata fatta, potrà ciò clfer noto dai luoghi contrari; a quelli, ch'a 41 moftrar chelafia Hata fatta, alfcgnati habbiamo . Et da quelli medefimamente potrà diuenir manifefto quanto occorre intor- 46 no al moftrar, c'habbia la cofa ad clTère. percioche quelle cofe, che fono in poter di chi voglia farle, fi douerà ftimar, c'habbiam 47 da ellerc in ogni modo. Mcdelìmamente fe con ira,o con in ten- ia cupidità, o con rifoluco difeorfo di ragione, ch'in ftighi a fare vna cofa, farà congiunto il potere ancora ; fi douerà crcder,ch'el- 48 lafia per elici e, ouer per farli. Et perla medefima quali ragione, le vedremo, ch'vna cofa ftiagiàgià in procinto, & inordin per fai fi, o per clfcre, potiamo affermar ch'ella fia per haucre effetto : 45? pofeiache per il più fogliono effettuar/i più tolto quelle cofe,che fon parate, & polle in punto, Se inordin perfarfi, che quelle, che co tal preparation non hanno. Olerà di quello fe fi veggon già in cf fer quelle cofe, che foglion per natura precedere, & venire in- nanzi a qualch'altra cola, debbimi credetene quella ancora hab biada cllcre. come a dir, che fe il Cielo farà coperto di nuuole, 51 potrà verilìmilmenteafpettarlì, che la pioggia venga. Parimen- te fe fatta farà quella cola,laqual per cagion d'vnaltra fi fuole or- dinariamente fare, vcrilìmil ria, che quell'altra ancora habbia da effettuarli come a dir, che fe fatti fatano i fondamenti d'vna ca- j 1 fa, verifimilmc te ancor fi fat à la cala. Quan to poi alla grandez- za, Se alla piccolezza dellccofc, Se aU'efler quelle, o maggiori, o minori, o finalmente grandi ,0 picciolc, può quello renderli 53 manifcfto per le cofe, che già habbiam dette innanzi . peroche nel trattar noi dilopra delle cofe appartenenti alle confufte, Se al gencr dcliberatiuo, fu da noi trartaro della grandezza dei beni; Se infienie dcll'cirer maggiore, Se dell'efièr minore, fcmpliccmc- 54 te in fe confiderati. Per laqual cofa elfendo in ciafehedun gencr di caule propoli o per fin qualche bene, come a dir l' vtile, 1 bone- tto, e'1 Jl Secondo libro . / 7 j $ $ do, c'1 giudo, può efTer manifedo, ch'a tutti li detti generi, per l'araplincatione, che lor bifogni fare, pollon fcruir lccofe, che j6 quiuida noi furori dctte.Onde tutto quello, choltra a quel,ch'ap partiene a i detti generi, di più fi confideradc, 6c diceflè della gra dezza, de dell'eccedere, confiderati in fefempliccmente, fareb- 57 befouerchiamente, & fenza bilògno detto . conciolìacofa che nelle facultà,chan da eder porte ncll'vfb,& nell'attioni,più prò- prie fieno le confiderationi applicate alle cofe particolari, che quelle, che fi fanno fernpliccrnentc intorno alla natura dcll'vni- |S ucrfalc. Quanto apparticneadunque a veder, fe le cofe fon po£ fibili, o imponìbili, & fc le fon fatte, o non fatte, Se le l'hanno da edere, o non han da edere, Se quanto parimente appartiene alla grandezza, & piccolezza delle cole, può badar, quanto ha qui li è detto * (apo 20* Dell' Jffimpio, 0 vero Induritoti reto- rica> & delle Jpetie Jue, lor condit ioni, & del modo dyjarle^ collocarle nell'oratione. Està che diciamo di quelle pruouc, Se vie di far fede, che fon communi a tutti li generi di caufe; pofeiache già detto habbiam di quelle, che fono, o all'vno, o all'altro genere appropriate. Sono le communi pruouc* & vie di far fede, generalmente 3 due, l'edcmpio, &rEnthimema. percioche quanto alla fenten- 4 tias'hadadimar, che la fia parte dell'Enthimema. Direm dun- que primieramente dcirElIempio : edendo l'edcmpio fimilc al- j l'induttionc, la quale ha ragion di principio,. & di precedentia 6 nell'argomentare* Di due fpetie adunque fi foglion trouar gli 7 edempi. l'vna fpetie s'intende elfer,quando fi predono, &c sad- ducon neli'edèmpio cofe, che veramente fonafbtc, 8c li doma- 8 da propriamente edempio . L'alrra fpetie s'intende poi eller quando noi dedì fìngiamo, Se neHimmaginauon trouiamo le 9 cofe, che neiredempio addur vegliarne* Et cotale fpetie hà due parti, o vero è di due maniere, l'vna fi domanda parabola, oucr 10 Similitudine : & l'altra fi chiama Apologo, ovogliam noi dir fauola : come fon (per edempio) quelle d Efopo, & quelle, che fi foglion, / ? 6 *DelIa Tlgtortca d' Àrìftotelc^> li fi foglion chiamar le fauolc AtFricane. L elfcmpioadunqucche propriamente fi domanda esempio, farebbe vn cosi fatto, co- me te noi diceflUmo eller ben di far prouifionc, & apparato per opporfi contra'l Rè de i Pcrfi, & non lafciare in modo alcuno, il ch'egli occupi, de Ci faccia padron dell Egitto, percioche Dario non prima limette apalTar con reilercito in Grecia, ch'egli ha- uclTe occupato 1 Egitto ; il che fatto, fi motte fubito ad ailàlir la Grecia, parimente di nuouo Serfe non prima fece il medefimo palleggio, che quella fìeilà Prouincia hauefl'e foggiogato, & fog- giogara che l'hebbe pafsò ancora egli con le fue forze in Grecia 1 3 onde al prefente ancora fe a quclìo Rè vien fatto aimpadronirfi dell Egitto, fubito poi artalirà la Grecia: & per quello non fi dee 14 permettere , eh* egli fenimpadronifea. Le fimilitudini poi, le 15 quali per la frequentia, che tencua Socrate neH'vfod'cfie, So- lò cratichc fi foglion dire, farebber, come fe (per efiempio) alcun dicefle non eilcr ben fatto l'clcggere,o crearci magi (Irati a forte. 17 conciofiacofa che il far quello farebbe limile a punto, come fe alcun volendo elegger giocatori di pugna, o di lotta, non pren- deilc quelli, che più robufti, & più atti, & potenti fusero a tai 18 contefc,ma quelli, che ne delTe la pura forte : ofe tra tutti quei, che fi trouaflcro in vna nane, fi ponetfc in forte l elcttion del Nocchiero, o Gouernator di quella : come ch'a gouernar Pha- ueiTe, non chi meglio hauefiè di ciò la peritia, Se l'arte, ma chi 19 dalla cafual forte prò pollo fulle. Apologo, & fauolapoi s'hà da inrendere elTer qual fu quella, ch'vsò già Stcfichoro con tra di Falare, & quella parimente, di cui fi fcruì Efopo nella difenlìon xo il' vn concitai or del popolo. Stefichoro adunque vedendo che gl'Imerenlì haucuano eletto Falare per Capitan generale con fu- jjtcraa potcftà, 8c confultauano oltra ciò, di concedergli guardia di foldari per la fua pedona, fra l'altre cole, ch'egli a diilliadcr qucfto dille, vsò ancora il prefenre apologo, o ver fauola, dicen- 11 doloro, eli 'vnCauallo fi trouaua già in vno ampio prato, de io? 10 tutto lo godcua,& lo polledeua.mil foprauenendo vn Ceruio, & cu 1 aneto, difhirbando, & imbruttando tutto quel pafcolo , 11 Cai ilio defidcrofo di vendicarti contra del ceruio, domandò configli o da vn huomo, s'egli ordine con ofccllc alcuno da pote- re egli con lui infieme galligarc, & punir quel ceruio. A che ri- fpoic l'huomo, ch'a ciò gli baftarebbe ianimo, quando elio ca- Jl Secondo libro. 777 «allo prendclTe nella bocca vn freno, o vero vn morfo, Se egli fopra di lui falilfe, de con nafta, over lancia in mano, conerà del ccruio andante. Piacque il difegno al cauallo, Se accettato ilmor- fo,& fotopoftofi al caualcar deirhuomo,in cambio di vendicarli : contradel ccruio, rimafe foctopofto, Se in potere Se fcruitù dcl- * 2.1 rhuomo. Così voi Imerenlì (dicea Stclìchoro) guardate , che mentre che volete, Se cercate di vendicarui contra dei voftri nemici, non veniate a patire, Se a prouar quel, che patì quel Ca- uallo.concioliacofachegia vi r toniate hauereil morfo in bocca, hauendo fatto Palare con tanta autorità Capitano, Se Imperator voltro : onde fe concedendogli ancor la guardia della fua perfo- na, ve lolafciarete in quella guifa falire addollb, nonèdubio»' che perduta la libertà volìra, da recargli lerui, óc l'oggetti non i. 13 riabbiate. Efopo parimente hauendo prefo a difendere in Samo vn potente Cittadino, vfurpator delle loftantie publiche, Se per t tal caul'a acculato, Se polio in pcricol d'cllcr condonato a morte; 14 dirte trai altre cole in difenfion di lui, che vna Volpe gia,volcn« do paflare vn fiume, era caduta in vn follo, Se non potendo per la cupezza di quello vfeirne, era (lata quiui tutta afflitta affai buon tempo con grande incomodo, & difàgio fuo. Se trà gli al- tri mali fc le eran col morfo appiccati addollb molti tafanelli, o \cfpe canine, che glivogliam chiamare. Eceflcndo ftata acafo villa da vn Riccio, o ver da vno Hiftrice, che quiui errando an- daua j com mollo a pietà di lei, la domandò s'ella lì contentaua , ch'egli le leiiallc da dolio quei tafanelli, il che elTendogli da lei negato,& domandandola egli per qual cagione la non lene con- i£ tentalTe, ella così gli nfpofc. Quelli animaletti hormai fon quali pieni, & fatij dellanguc mio, Se poco più horamai nefugono. Qfr doue che fe tu cacciandogli mi libererai da quelli, verran (libito degli altri tutti affamati, Se finiran di fucchiar tutto lauanzo del 15 fanguechc mi èrimafto. In quello raedefimo modo o Cittadi- ni di Samo (diceua Efopo) collusene voi cercate di gal^gar', fro- llandoli già fatto ricco, non vi fa quafipiù danno alcuno, ina fe voi condennandolo a morte, ve lo leuaretc via dinanzi, non ma- chcran di fucceder de gli altri in luogo fuo,poueri, Se bifognoli, li quali vfurpando, Se furando, non refteran di confumar quel , t6 ch'ancora reità delle follantie publiche. Mora così farri apologi, ouerfauolc, fon molto accommodatc aquella forte d'orationi , Z che jyg 'Della Teorica d 'ÀrìUotelt^ 27 che fi Tanno alla moltitudine. & han quello di bene, chedoue chegliè cola difficile il trouar cali, & fatti veramente accaduti, clic fien limili a quello, che inoltrar vogliamo j il trouar così far- 28 te fauole, non c difficile : eiTendo in poter noftro il fingerle, & formarle ad immaginatiooe, fi come le parabole, ouer lefimili- 25 tudiniancora : purchel'huomo fiahabile a fapercauuertire, & conofeer la fomiglianza, che fi truoua tra le cofe. Il che potrà 30 rendere in gran parte facile, l'aiuto della Filologìa. Son dunque 31 affai facili a poterne diuenir copiofe, le fauole. ma nelle con- fulte fon più vtili gli eflempi, che proecdon conlecofc dette, 32 veramente accadute: pofeiache per il più lecofe, che vengon poi, fon fimili a quelle, che nel paflato fono auucnute prima • 33 Quantoallvlo dcircifempio poi,a!hor farà bifogno all Oraro- re d vfargli clTcmpi in luogo di demoftrationi,& d'Enthimemi, 34 quado nó harà Enthimemi. ma quado nó gli raacarano Enthi- memi douerà vfar gli efTcmpi,quafi in luogo di tcmmonij,ponc« 33 dogli peraggiuta,& cófermationedoppo gli Enthimemi. Percio- chegli elfcmpi porti innanzi a gli Enthimemi diuengon fimili a 36 vna induttione: ne è dubio, che linduttione all'orati oni ora- 37 torie non fia punto propria, & vrile fenon molto dr rado, ma fe fi pofpongono, vengono a renderli fimili a temmonij, li qua- li inoqni luoj;o,che fi truouino , fono vtili, & badanti a far 35 fede. Et per quello ènecellàrio a colui, eh antepone gli clldn- pi agli Enthimemi , il porne, & 1 acidume molti : douc che a chi gli pofpone, & pon doppo, balla, fenon più, daddur- 3 ne,& di porne vn folo : pcrochc vn fol te (limonio- degno di fede è badante, 6V vrile a prouare* 40 Quante fperic adunque d'eikmpi lic- no,& in che maniera Se quando s'habbian da trat ta r e, & da porre in vfo, riabbia- mo a ba danza fin qui ve- duto. Jl Secondo libro. j 2)^& Sententie oratorie , f^*// ///tf* / & per falute della propria patria : over s'vno altro volen- do dare animo di combattere a quelli, eh in minornumero dei 45 nemici fulleio> dicefle, che Marrec cpmmune. o fe parimente qualch'aluo fulTe, che volendoci efortarca cor la vita a i figl^chc iien reftati d vno, che fia (lato vccifo da noi ; per inoltrai ci , che tal cola non fia per eilereingiuflamente fatta , dicelle> lìolco,& lenza intelletto e colui, c'hauendo vccifo il padre, lafcia i figli re- 44 ftareinvita. Appretto di quelìo alcuni prouerbij (ono, che fen- ten tic (limar fi deono ,* cornee quel trito prouerbio, Foreftiero 45 in Athenc. Conuieneancora alle volte, Se e lecito dir 'fen. lentie pppofte, & contrarie a quelle, che già per innanzi diuulgate,& fa mofe fieno. & per famofe, & diuulgate le intendo io, come è (pei efìempio) quella, Cognolcc teflello> & quell'altra, Nell'una 46 cola vuole eller troppa. Étalhora (penalmente fi dee, & Ci pup far quefto, quando (i vien con quefto a porcr dare apparcntia di 47 maggior virtù, & di miglior coftumc, o ver quando trouandofi colui, che parla grandemente conturbato, manda fuor le parole 48 concitare da qualche grauc affetto . In calo di pertuibation d'af- fetto farebbe (per eifempio) s alcuno frollandoli tutto infiamma to d'ira, dicelle cfler fallò, & non ragioneuolmcntc detto , che biibgni conofeer fe medefimo : percioche fccoftui hauclfc ben conofeiuto fe Hello, non fi farebbe giambi llimato degno d'efler 49 Conduttiero, & Imperaror di quello cirprcuo. In cafo poi di dareapparentia di miglior collume, farebbe ( per eifempio) s al- cun diccire, che non con ui erre aruar, fecondo che dicono, come fes'hauefle doppo ad odiare ; ma più rollo per il contralio con- uicne odiare,come fe a qualche terupo dappoi s haiieUe ad ama che in neiftina cola (ha bene il trop- po, Jl Secondo libro . ifj po,cociofiacofachegli fruomini federati fi dcbbian fuor di mo- J5 eia odiare, Recan veramente le fenreniic molte vii] tra non pic- $6 ciolc all'oratione . L'vna prende occafionc,& fomento dali'mi- J7 petfettione, Se \ anità de gli afcoltatori . percioche quando fen- con, ch'alcuno in dir cjualchecofa in vniuerfale,li rincontri apu to con la (leda opinione, ch'elfi n haueuan prima in particolare, jS godono, & guftano in ciòdilctto. ma meglio quel, eh io dico potrà capirli, Se renderli manifefto, quclto modo : & io fieni eme- te potrà farli chiaro in che maniera s'habbian da crollare, & da }9 procacciar le fententic Già fu da noi neldimnir di (opra la (crf- tentia detto, eller quella vn proferimento,© alic i i mento, o cn m ciationc, chela vogliam chiamare, fatta di qualche cofi in gene- ro rale r ondccoloro, che hanno prima generato nell'animoopi- nion di qualche cofa in particolare, quando poi Icnton confor- marli con quella tale loro opinione, quel, cheli proferi fcc in vni 61 uerfalc ; prendono in ciò piacere, cornea dir (pei elìèmpio) che salcun farà, c habbia incomporrabiIi,& pcllìmi Vicini appretto; o vero fcelerari , Se viriofi figli ; accerrerà, & approuerà per ra- gioneuolmente detto, s'ad alain fentirà dire in vniuerfale, non eltcr la più moietta, & noiofa cofa, chel'haiier vicini : o ver che non può 1 huom far cofa più (tolta , che cercar d hauer figliuoli . 61 La onde fa di meitieri di procurar di conofecre, Se far conicttura prima, &: fàper in fornma, quali fieno i pareri , & le opinion de gli afcoltatori, & di poi con la fentenria adherire a quelle, com- 6$ prendendolcin vniuerlale. Et quella» c'habbiam detta è vna del- 6+ Letalità, che reca l'vfo delle fen renne. Vnalrraven'è' poi , Se di maggior momento, & è, chele feruono a firl oration coltnnn- 6$ ta. tic alhor fi dee dire, chel oratione habbia collii mc,quando in> 66 elfi appari elettione , c'1 voler di colui, che parla, il chetimele fenrentic fnno ; comequelle nellequali, colui,chcrvfa Se le prò ferifee, altèrifcein vniuerfale quel, ch'egli ftima intorno aqual- 6j che cofa theibile. Laondefe buone, Se honeftefiiran le fentcn- ciefaran confeguenremente buono, & virtuofo apparir colui , *S chele proferifee Della fententia adunque per conofeer che cola ella fia, Se quante fpeiie di quella fiano, Se in quale occalione , Se tempo fi debbiano vfare, Se quali vulirà finalmente rechino, può ba- llar quanto fin qui fi è detto ► / S 4. TteRa 'Retorica d* Arìttotdc^ (apo 22. TV gli Gnthimemiì & de i precetti necejfarij all'vfi di quelli . Et quali fi ano gli ènthimemi puri prouatiui , £f quali gli re- darguitimi & reprobami . I - leieciie loro . concionacela che queite due conli- 3 derationi fiano tra di lor diuerfe. Che l'Enthimema adunque fia vna certa forte di ullogifmo, già habbiam noi detto prima, de pa 4 rimente di che maniera fiafillogifmo, & in che cola dai iiliogif- 5 mi dialettici differifea. Pcrcioche in quefto da eflì è diuerfo, che non bifogna nell Enthimema raccoglier lecóclufioni da premei fc molto con la lor vniuerfalità remote : nè manco bifogna prcn- 6 der tutte le cofe, a raccoglier con concluiìonc. pofeiache la pri- ma di quefte due cofe con la troppa diftantia renderebbe la pruo 7 ua ofeura : & l'altra darebbe apparentia di fuperrìuità, & di gar- rulità , raccogliendo, & fillogizando cofe totalmente manifelte» 8 &note. Et quefta fi dee iti mare cAcr la cagione, che con mag- gior facilità, perfuadono alla moltitudine coloro, che fon poco periti , & di pocaerudirione ; che non fan gli eruditi, c i periti . $ come ben moftran di conofeere i Poeti, facendo appreflb la mol- titudine parlare gl'imperiti, & poco eruditi, piùgratiofamentc, 10 & piùattrahibilracntc. concioiìacofa che i dotti , & gli erudiri nelle pruoue loro procedano con caufe communi, & per vniuer- I I falità remore : douechc gl'imperiti procedon con le cole, ch'in particolar fon lor note, &c che più propinque, Seal fenfo (kclTo 11 più pronte fono . Per laqual cofa non li deon formare, «Scdedur gli Enrhimemi da tutte le propolìtioni , ch'in qual fi voglia mo- do pollono a qualunque fi lia parer vere •> ma da quelle , che pof- 1 * fono a determinate perfone parer tali ; come a dire a gli afcoltato 1 4 ri , c hanno da giudicare , o vero a tutti , o alla maggior parte di quelli, il giuditio dei quali fiaapprouato, &c (limato da gli ftefli , } giudici^ Ji Secondo lihró . igy l $ giudici, o dalla maggior parte d'elfi . Parimente non fi dee rac- cogliere, 3c concluderne gli Enthimcmi (blamente da premefle necclFane, ma ancor da quelle, che fon vere per il più, over per : 16 la maggior parte. Horquanto alle communi auuertcntic , che s'han d'hauere intorno aìl'cnthimema vniucrlàlmentc confiderà 17 to, primieramente s'hadauuertire, che di qual fi voglia colà, di cui s'habbia da dire, de da fillogizare, o con lillogifmo di ma- teria ciuilc, o con qual fi voglia altro, fa neccllariamenre di me- ftieri,chc fi pofl'eggan per note, o tutte, o almeno alcune di quel x 8 le cofe, ch'in efiTa li truoiiino, & d'cllà ii verifichino . pcroche fé nota alcuna di quelle cofe non ti tìa, non barai confeguentemert te donde tu polla di quella tal cola raccogliere, Oc dedurre con* 19 clulioneaLuna . Voglio dir (per eficmpio) come potrem noi dar confìglioagli A theniefi fc dcbbiam pigliare ,0 non pigliare a far la tal guerra , non hauendo noi prima notitia delle forze loro , 6c delle militie loro ? come a dir (e le fon marittime, o ver fcrreftri, ol'vno, & l'altro, & quante fiano in numero, quai fian l'entra-ic, quanti i danari, & quali, & quanti fiano o gli amici , o i ne- 10 mici loro. Et oltr.i di quello quali fiano fiate per l adierro le guerre, che gli hanno hauute, & in che manicra,& con quai fuc a 1 celli le habbian maneggiate, & altre cofe tali . Medefimamcnre come potrem noi parlare in lode,& gloria loro, fe non ci farà mi fintamente nota la battaglia nauale fatta appretto di Salamina , o il fatto d'arme di Marathone, o l'opre egregie fatte per la faluez- zadc idefeen denti dHcrcole, oaltre lor cofi fatte gloriofe im- ai prefe? pcroche tu ti i coloro, che han da dar lode ad alcuno, Ihan da cauarc dalle cole lodeuoli, che o fiano, o appaia che fiano iti \ 13 elfo . Et perla medefima cagione dalle contrarie han da dedurre il bial mo : confiderando (e alcuna di quelle fi truoui veramente in colui, che biafmar vogltofro, o almeno appaia , che vi fi truo- 14 «i . coroefe in biaùnar ( perch'empio ) gli A theniefi fidiccfle, che eglino Aggiogarono , cVa fc fcccr fuddita, ck fcrtu tuttala preda: & che clfcndo Itati gli Egincti, & li Potideatiin aiuto, 8c ki cópagnialoro contra 1 barbari lor nemici ;-6c ellendofi in cjò portati cgregiaméte,& có gran valore, erano Ilari nódimcn da lo- ro in fcruitù ridottile*: fe finalmcntein altre coli ratte co/e, hauef Icr cómelTo gli A theniefi errore; onde venir loro ne porcile biaf- i; rao.Nó altrimcci ancora coloro, clic nelle caufegitidiciali accufa- A a no,o / 8 slla r R^6rtca d 'Jrìftotelzj no,o difendono,altróde nó traggon le nccufationi,& ledifenfio- ni, che dalle cofc,che fi truouano,o fi verificano nella cola, del la 16 quale eflì trattano . Ne importa punto, o fa dirferentia alcuna , per far quanto habbiam detto chela caufa di cui fi tratta, riguar di gli Athenicfi, oi Laccdemonij, oqualchc huomo, o qualche 17 Dio,oqual fi voglia cofa. pcrciochc le (per ellcmpio) voleffimo dar qualche conliglioad Achille, o veramete voleilìmo lodarlo, o bialiraarlo, o accufarlo, o difenderlo, farebbe bifogno, che procacciaci mo, Se come note pofiedeflìmo le cofe, che in Achil le fi truouano, Se che di lui verificar fi poflbno, o ch'almcn fi eie &S dc,chc vi fi truouino, Se fc ne verifichino : acciochc tra quelle prcndclltmo in lodarlo,o in biafimario fe alcune ve ne fufler dcl- 19 l honefte, o delle brutte, Se in accufarlo, odi fenderlo, fc alcune jo vi fu (Ter delle gi urte, o dell'i ngi urte :Se in dargli finalmente con- figlio, prendemmo quelle, che vi lì trouafleroodannofe,ovtili. 51 Ilfimil parimente in tutte l'altre cofe intender fi dee, fecondo c'habbiamoin quella d'Achille detto : come a dir, chefes'hada trattare, Se cercar fe la giuftitia fia bene, o non bene, dalle cofe, chc # nella giuftitia, o nel ben fi truouano, o di lor fi verificano , 31 harem da prender le parole, & le pruoue noftre. pofeiache in qucftaguilafi vede, che procedon nelle loro argométationi tutti coloro, che fillogizano, o più efquifitamente, o più grollàmcn- tc, che qucfto facciano, peroche non tutte le cofe,che vengon lo ro innanzi, fen za di ftintione alcuna prendon per dedurne le lo- ro argo mentati oni, ma quelle (penalmente cleggono,c han qual- che ìnherentia. Se verifica tion nella cofa,chc particolarméte han 3 3 da prouare. Et che così fi debba fàrcoltra rcfperiétia(come hab- biam detto) ci s'aggi tigne la ragione ancora : per erter manifefto, ch'impofllbil cofa fia di prouare, Se di moftrarc altrimenti, che 34 nel modo, Se con 1 auucrtenria detta. Onde è mani fcfto, che fi come fi è detto nella Topica, auuenir ne i fillogifmi dialettici, è uccell ino d'hauer prima, che s'argomenti, la fcelta di quelle co- fe, ch'intorno a qual fi voglia foggetto, pollbn d ello verificarti , 350 per qual fi voglia occafion venir per caufa di quello in vfo. Et in quelle cofe medefimamenre, le quali di prefente, Se quali al- limprouiftaci fon pofte innanzi, fa di mcfticr di farla medefima 3$ preparation e, Se viaria medefima auuertentia, d'hauer l'occhio a elegger, non tutt c quelle cofe, che come indifUnce, Se commu- ni di- Jl Secondo libro. j oi dinanzi vengono; ma quelle, chadherenti fiano, &habbia« no in fomma a far con quelle, di cui s'han da diffonder le pruo- j7 ue, & le argomentationi : procurando nnalmcnted haucrne in maggior numero, che fi polla, Se quanto più fi polla vicine Se ap $8 propriate alla cofa (Iella, concioiìacofa che quanto maggior nu- mero haremo di cole c*'habbiano inhercntia, & verifìcation ne i (oggetti, ch'a trattar s'habbiano, tanto più facil fia per elfere il 59 trattargli, Se il far fopra quelli le pruouc noftrc. & quanto dal- l'altra parte più faran vicine, Se congiunte con quei tai foggerei , tanto più appropriate, & mcn communi, verranno ad ellcre. 40 per comuni intendo io,comc farebbe fé per lodare Achille lì di- cefie, ch'egli era huomo, ch'egli era heroe, ofemideo, che vo- gliam dire j Se ch'egli militò prefente nella guerra di Troia, tut- te quelle cofefi poflbn dir communi ; come quelle, che in molti altri ancora conuengono, Se fi verificano : Se per confeguente chi in quella gitila lodalfè Achille, niente più verrebbe a lodar 41 lui, che Diomede ancora. Per appropriate poi intendo io quel- le cole, che in nell'uno altro (oggetto fi truouano, Se fi veririca- 41 no, che in qucllodi cui trattiamo, comeadire in Achille l'ha- uer lui data la morte a Hettorc fortiflìmo fopra tutti gli altri Tro iani ; l'hauere vcciCo Cigno, ilquale, hauendo da i fatti di non potere ellcr ferito, impediua ai Greci lvfcir delle nani peraccà- parfi in tcrra^'elfere andato all'imprefadi Troia di più renerà e- tà, ch'alcun degli altri principi della Grecia, Se l'cllèrui andato di fua volontà lpontanca,fcnza elfere a quello a(lrctto,come tuc- 43 ti gli altri, da giuramene & altre cofe così fatte. Qucfta, c'hab- biam detta, c dunque vna auuertentia, ch'intorno agli Enthi- memi s'ha d'hauere, Se confitte nell'elettione, & fcelta delle co- fe verificabili Se inherenti a quel, che s'ha da trattare,come hab- biam veduto, Se è in così fatte auucrtentie, come primo luogo . 44 Segueal prefente, che noi diciamo degli elementi degli Enthi- memi, Se per elemento intendo io il medefimo, che luogo del- 4; l'Enthimcma. Ma prima che facciam quefto, e ben fatto di dir 46 quello, che neceflariamente fi dee dire innanzi , Se quello c,chc due fono le fpctie degli Enthimemi : alcuni fono, che fi doma- dano aucrtiui,o ver prouatiui, che direttamente molliano,& pruouan la cofa edere, o non elfere. & alcuni altri fi domandano 47 redarguitiui, o vero reprouatiui. Se differifeon quelle due fpe- A a ij tic i 8 8 T>ella ^tprìca d'Aritiotele^> tic frà di loro nella maniera, che dillet ilcono appreflo de i diale> 48 tiri l'Elcncho, & il (illogilmo. Lcnthimema adunque allerti- uo, & puro pi (iii.it ; no è cj nello, che conclude di rettamente col 45? mezo di premcllc confette, & conce iute per vere. & il redar- gmtiuo è quello, che conclude cola repugnanre alle già conce- do dute. Hor noi già riabbiamo intornoa cialchedun gener di cau- (e allignati tutti lì può di*,quafi i luoghi, ch'ad elfi generi polfa- 51 no eilere vtili, cV necellatij : hauendo con diligente (celta alli- gnato a ciafehedun di loro, appropriate propolitioni, dalle qua* li, comedaptopnj luoghi portoti dedurli , (k formarli cnthime- mi dell'vtile, 6c del nociuo, dell nonetto, & del brutro, del giu- ji fto, & dell ingiù fto . Parimente intorno a 1 coftumi , cV intor- noa gli affetti , Se a gli habiti Immani, lì truouano eletti, &de- / j terminati da noi già prima appropriati luoghi . Onde al prefen- tc refta, che con altro nuouo modo, di tutti i luoghi in commu- ne, & non più d vn genere, che d vno altro , tra vniucilalmentc J4 confederati , ragioniamo, & didimamente in far quello auucr- tiamo, & inoltriamo, quali feruir debbiano a gli enthimemi rc- prouaciui , o ver redarguirmi, & quali a gli a(1èrtiui,& pioua- e j uni . & medefimamente quali fieno vtili a quelli enthimemi, che apparenti, & non veri enthimemi lono, come quelli , che né an- j6 cor veri fillogiimi (limar li deono . Et dichiarate c'harcrno turre quelle cole, difeorreremo, cV determinai emo delle folunoni ,0 verdifcioglimenn,& dell'inllantico vero obbicrioni , ch'occor- ron farli contra de gli enthimemi, per annullargli, & mandar- gli a terra. (apo 23. T^e i luoghi communi, & quali tra gli Enthimemi fien quelli , che di nobiltà , £f di perfezione eccedino . N luogo dunque appartenente a gli Enthimemi af- fcrtiui, o ver prouatnu, dircmo,chc (iaquello,che dai contrari) li domanda . perochefì deeeon elfo confiderà re, s vn contrario (ì verifica d'vno altro contrario, o negatiuamente, fevorrem deftrugge- tc, & concluder con necatione, oaficrmatiuameote le coniti iu- te, & m Jl Secondo Ithro . iSjr f rr, Ce concluder con arici mation vorremo . comc(pcr eflempio) diremo eli eccola ville il vuier temperatamente, perche il viucre 4 jnrcmpcratamentc.ccata.dannofa,. ,comc fc ne tede «(Tempio nell orationMetTcniaca, douedicc, Sclagucrraè caufadi que- fti prelcnii mal», con la pace fi porri por remedio, & trouare cine j daadcllì. vno altio cirempio può eller quello ; Senon è cofa ra- gioneuole accenderli d ira conerà di quelli, di i quali lì fia. con- erà lor voglia riccuuto male, parimente non lì dee co ragione ha- uerc obligo, o render gratieachi contra fua voglia lia llaco nccef 6 fttato a far giouamenco alcuno . Et in quello, altro ch'empio an- cora, Se lì vede (peno accader fra gli huominì , che molte cole fi rcndon credibili, lequali fon veramente falle, lì dee parimente perii contrario Iti mar moire cofe folercauuenircagli huomini 7 ch'eirendo vere, incredibili appaian loro . Vno altro luogo è r che fi domanda da i cali o ver cadimenti limili . conciofiacola che fi-, mi I mente faccia di mc(tieri,che tai cali o ver cadimenti fi truoui- no cllerc, ononcifere. come (per cucio pio) diremo, che non tigni cofigiuftafia bene, o ver cofa buona : pcroche fc quello fuile farebbe ancor ben rutto quello, che nauuicn guidamente . & nondimeno non e cofa, come bene ad alcuno cligibile 1 ellèe 5 tolto di vita «nuftamente. Vn altro luogo è poi, ilqual confitte in quelle cofe, che l vnc all'altre fi riferirono, & vn certo cam- • bicnol rifpet:o tengono, perciochc fc (perch'empio) il farla tal , cola,c honclto,ò\:giulìoa colutene la fa,farà ancora aira!tro,che la riceuc.cV la pate,honefto,& giudo il patirla, e'I riceuerla . & fc farà giù Ito ^ll'vno il comandare, che la tal cofa fi faccia, firà ancoc 10 guitto ali altro l'obbedire in farla » come parlando de i Public.™ i, ( cioè di coloro,checóprauano,& negotiaua fopral entrate publi che) foleua dir Diomcdon te, ch'era vnodi quelli, diceua adùque, fea voi non e cofa brutta,o infame il vender le publichc entrare» 11 ne ancoi dee eflcreanoi cola brutra.il comprarle. puoflìdire ancora, che fc ad vno farà cofa honefta,& gioita il riceuere,& pa tire il tal danno,farà ancora all'altro Cofa guitta, & honefta il far- lo . & all'incontra fc farà nonetto il farlo, farà parimente honc- 1 1 nello il panilo . Ma e d'auucnire, che ncll vfo del prefente luo- go può alle volte accader fallacia , & fallo lillogifmo: pofeiache s'aleno meritando la morte, perdette guittamente la vita , none dubio, che guittamente non patine, & riceucttc tal danno, ma non / p o T>eHa Storica eUdrìHotelcj non per quello forfc patc egli tal danno giullamenrc da te , pollo 13 che giurtamentc non habbia ta fatto ad vcqdcrlo. Et per quello fa di mellieri di conliderar teparatamentc colui, che patc,s ci me ritamente, & guittamente pare, & colui, che fa, fc meritamente, & grullamente fi , & fatto quello , feruirfi dellvna, & dell'altra delle dette cofe , fecondo che più vedremo accommodarfi alla 1 4 cofa $ che moftrar vogliamo, concipfiacofa che alle volte fia quan toal giullo, Se nongiulìo, tra'l patire,^: fare,qualchc difcrepan- xj ria ; ne ci e caufa, che prohibifea, che la non vi fia . come lì vede ( perch'empio) apprcilb diTheodettc nella Tragedia intitolata 1 6 Alcmeonc . dice dunque Alfcfibca ad Alcmeone ; Chi è quel trà rutti gli huoraini,chc nó odiane tua madre? a che egli rifpondc- dodilfc,chcfaccadi mellieri, che quelle cofe,(cioc la mortc,cY li demeriti della madre) fi cótideralfcro feparatamcrc,& diftintame te.cV domàdandolo Alfefibcn,in che modo,foggiunfeegli,degna veramente di morte quei giudici la giudicauano -, ma non giaap 17 partenerfi giuftamentea me lvcciderla. Ma tornando agli ellcm del prefente luogo, vn tale è quello,che fu vfato nella caufa,& giuditiodi Dcmofthene, & di coloro ,c*haueuano vecifo Nicà- nore . percioche hauendo i giudici fententiato hauer grullamen- te fatto coloro in vccidcrlo> fu parimente (limato da ratti cflerfi implicitamente giudicato in quella fenrentia , hauer lui giutta- 18 mente riceuuta quella morte. Mcdelìmamentc cflèndo ftaro ammazzato vno in Thcbe, nel trattarfi in giuditio quella caula , tutta la forza detta pofero i giudici in difeutere fe l'vccifo era (la- to degno di quella morte : quali che per quello moftralTcr di (li- mare i giudici, non edèr cola ingiuda IVccider chi fia degno , Se ts> guittamente meriti d'etfere veci lo . Vn altro luogo è chiamato ao dal maggiore, & dal minore, come adir (per eliempio)chc fe gli Dij no fan tutte le cole, non le fapranno in modo alcuno gli huo mi . percioche quello modo di dire imporra quello, che s'vna co fa non li ritruoua, nò fi verifica in quella, doue più trouare , & verificar 11 douerebbe, è cofa chiara, che manco fi rroucrà, olì a i verificherà in quella, doue manco douerebbe . Ma il dir, che co- lui,che batte il padre,batterà ancora li vicini, &c congiunti fuoi, prede forza da quello, cioè che s'vna cofa e vera in quello , doue manco douerebbe, farà ancor vera in quel, doue più donerebbe. a i di maniera che può cflerc vtil quello luogo all'vna cofa, & all'al- tra econdo libro . i f / tra : cioè a moftrar , che la cofa fia , & a montar , clic la non ila , tj Parimente può feruirea inoltrar , clic non più, ne ancor mene vna cofa, che l'altra , ma vgualmente , Se parimente ambedue li 14 verifichino de i lor foggeti . Onde ha forza quel detto, Tuo pa- dre dùque dir lì dee milerabile per hauergli tolto la morte i (noi figli, & Oeneo non lì donerà due anch'egli infelice,hauendo per tj dutoil fuo figlio, ch'era lo fplendor di tuttala Grecia? Et ancor fé lì dicelle, che feThefco non fece cola ingiù Ita in rapire Hele- 16 na, ne ancor l'ha fitta Alell'andro. Et fc il fatto dei figli di Tin- daro, non fùingiulto, ne quel d Alellandro dee eller tenuto ta- »7 le . Et fc Hettore in vccidei Patroclo, non macchiò la giuftitia , 15 ne Paride ancor la macchiò in ammazzare Achille . Et fc gli al- tri artefici, &. periti d altre facultà rton fon degni di bialmo,li Ft- ij> lofofì parimente non ne dcono cller degni. Et fc a 1 Capitani de gli filerei ti, non dee recar biafmo,o macchia, alla lor repu ratto- ne il reftarealle volte vinti, Se fuperati,mcdelìmameute non dee 30 queltorccarbiafmoaiSofifti. Parimente s vlarebbe il medefì- mo luogo, fc in Senato coli (ì dicelle, Se gli è conucncuole, che ciafehedun priuato procuri, & habbia a cuore la publica reputa- tione, & la publica gloria voltra, e cofa ancor con uencuole, che 51 voi a cuore habbiate quella di tucta la Gre eia . Vn'altro luogo 3 1 Ci truoua,óc che n'auucrnfcc, cheli cófiderino li tempi . del qual li feruìlfìcrate nclL'oration , eh ei fece in fauor d Harmodio.q nar- do dice ; Certamente fc egli prima, ch'ei fitccilH opera, c'ha. far- lo, vi hauefle domandaro, che quando ei faccllè.vn tal latro , voi gli concedente l'crertion della lhttua, non è dubioalcuno.che voi promelTb,& conceduto non glie l'haueltc , hora hauendo egli 3 3 tfeguico il farro , non glielo concederere ? non vogliarc dunque comportare, che quel premio, che gli barelle promelfo nel tem- po, che voi hauellcafpetrato il beneririo come futuro, hora in te 54 po, che nceuuto l'hauetc, gli fìa da voi quafi ritolto. Fu parimé- te porto in vfo quello luogo da chi perfuadcr volena a i Thebani chedouendo paffar Filippo per il dominio loro a i danni de gli jj Athenicfì,gU co needellero il palio , eh' ei domandaua. dkeua adunque, che fe prima che Filippo delfe loro aiuto con tra i Fo- ccnlijhauellc egli domandato quclto paltò cglir» certamente glie i'harebber promelfo. onde è cofa fuora d ogni comtencuolezza» c'hauendo lui in aiutargli proceduto con elfi con tanta gencrofi- U, lenza / 9 2 Ttella Teorica cT ArìftotciLj tà, fenza domandar conditionc alcuna , per la confidenza , ch'in 36 elfi teneua, non gli concedino al prefente il palio. Vn'altro luogo e ancora, la forza del qual confitte in ritorcer le ftefle cole dette, contra di chi le dice. & fi può trouar qualche differcntia 57 nel modod'vfailo : fi come in vn modo fi vede vlato nella Tra- 3 8 gedia di Teucro . & parimente l'vsò 1 liei .ne conerà d' Ariftofon- tc. pcrochc elFcndo domandato A ri fio fonte da I fiera te, s'egli per danari li fu Ile indotto a tradir lenaui, & hauendo rifpofto , che •non ,* foggiunfc Ificrate, Tu dunque edèndo Ariftofontc non le $2 tradire Iti , Se le harò tradite io ellendo Ificrate ? Ma in quello modo d vfar quello luogo, fa di bifogno,chc colui, cótta del qua le s'ha da vlare,fia communcmcnrc tcnuro più di(pofio,& incli- nato a far cofe ingiufte, che colui, che 1 vfa: alrriroeoti chi 1 v fas- ica ppanrebbe ridicolo,comc auuerrebbe a chi acculato da Ai i- 40 Aide, nella detta maniera gli nfpondefle. In vno altro modo fi può viar e] licito luogo con cercar di tor fede all'acculato re, mo- 41 Orandolo lottopofto al medeiìmo delitto . percioche ordinaria- mente pare, che fi ricerchi, Se sai petti, che color , ch'acculano , 41 -& riprendono, fieno migliori degli accufaci, Se de i riprefi. Può eflcr dunque vtiliflìmo quello luogo vniuerfalmente a contradi- re a qualunque fi mette a ri prenci ere altri di quello ch'egli itefiò fa, o farebbe, o veramente ii mette ad eforrar,che fi Ceciati quel 43 le cofe, ch'egli non fa , o non farebbe mai. Vn'alrro luogo li 44 truoua chiamato luogo dalla dimni:ionc:come le diccflìmo,i De moni non elfere altro, che o>gli ftcflì Di j,oopcre>& fatture de (fi dij . onde qualunque (limai a cllcr 1 opra de gli Di j> verrà uccella 45 riamente a fti mar, elicgli Di) lìano . Se come parimente d' vno» ches'infuperbiua pcreiferdel fangued'Harmodio,.& d'Ari ftogi ione, difie Ificrate, genero filli mo eflcr colui, che ila ottimo , & valorofiflìmo: conciofiacofa che in Harmodio» & in Ariftogito- nenon ha 11 elle luogo cofagcnerofa alcuna, prima ch'operaro no 46 haticlTcr quel gcncrofo farto . & che più congiunto , & prollìmp era egli loro, percioche le mie anioni (diceua egli) & li mici gc- 4ti» fon più propinqui, &: più congiunti a quelli d Harmodio, Se 47 d A"(logitonc,che non fono i tuoi . Parimente in quella orazio- ne, che/u fatta in fauord'Aleflàndro , fi legge folci li da tutti có- /cilarc, eh i lafciui, Se poco in amare nonetti fon queili, che non fi contentano, ne filàtiandi fruire, & godere vn corpo lolo. Socrate Jl Secondo librò . Si i $3 48 Socrate ancora rendendo la ragione perch' egli non voleua anda- re a crouarc Archclao,diceua douerfì ftimare efler contumelia , Se vergogna il non poter rare in vn certo modo vendetta , & ri- compcnià, cofmci benefitij, che lì riccuono ,corac nciroffefe. 49 Tutti quelli adunque ne i già porti cifcmpi , hanno primamente con difrinir la cofa, che vogliono, moftrato quel, ch'ella fia,& di poi con la forza di tal diflinitione, han proceduto a prouarc l'in- fo tento loro . Vnaltro luogo e ancora, il qual prende vigore dalla moltiplicata fignificatione dvna medefima parola, fi come nei libri della Topica fen'c addotto eilcmpio dell'aiiuerbiogrcco hor thos, (che lignifica appreso di noi, rettamente , & appretto de i 5 1 Greci è parola moltiplice, cioè di più lignificati) Vnaltro luogo fi truoua poi fondato nella diuifionc : come fc noi diceflìmo , le tutt» quelli, che fanno ingiuria, per vna delle tre caufe la fanno , o per quella , o per quella , o per quell'altra ,* per le prime due chiaramente è imponìbile, che coftui l'habbia fatta ; Se quanto alla terza, gli accufatori (tedi non l'adducono, né 1 han per vera, 51 Vnaltro luogo è poi, chedepcnde dall'indù ttionc ; come fc ne 5$ ycdecirempioin quella lite, ch'accadde ncll'Ifola di Peparethia . douc cercando vnodi prouarc, eh al giuditio delle ftefle madri in ogni luogo fi fuol rimetter la detetminationc di chi fieno i Égli 54 loro ,* diceua che in Athene dubitando Manthia oratore , fe vno era veramente fu o figliuolo, fu decifa la caufa fecondo la de- 55 termination , che ne lece la propria madre, quclìo medefimo auucne in Thebe: douc efiendo controuerfìa tri Ifmcnia,& Stil- bone di chi loro filile figliuolo ThcfiTalifco , Dodone fua madre fu quella, che col fuo parer dichiarò, che gli era figlio dlfmcnia; Se per quello fù poi fempre minato, Se chiamato Thefialifco d'If $6 menia. Theoclcttc ancora vsò quello luogo in quella fua oratió 57 della legge, douc dice,fe a coloro, che trafeurati, eUa T{etprica d* Ariti otelz^ quando per prouar , clic eia nitri fono honorati gli huomini fa- 61 pienti, come lì voglia che nel relìo fiano, dice clic quelli dell'I- tala di Parohebber grandemente in honore Archilocho, nò ofta re che fu Ile mordaciflìmo mnldiccnrc. quei dell'Itala di Chio, hebbero in honorc, & in venerationc Homero, quantunque Cic tadin lor non fufTe . Saffo ancora, non olìante che Tulle Donna , fu fopramodo celebrata, Se tenuta cara da quei dell'Itala di Mi- €1 tilenc. I Lacedemonij parimente , ben che per l'ordinario non fian molto amatori de gli ftudij delle buone lettere > per honorar tfj nondimcnChilone, l'accettaron nel lor Senato. In Italia ancora fu Pithagora tammamentc reputato, ancora ch'egli forclìicro in ^4 auclla prouincia fulVc. fi come forelticro, & peregrino era Anaf (agora a i Lamfaceni,& non di manco lhonorarono d'ornatillì- hio fepolcro, Se aheora hoggi duran di celebrarlo , Se d'hauerlo in pregio. V farebbe ancor quello ftelfo luogo dell'induttione chi volendo prouar, che leCittà,che lì goucrnan col con figlio di huomini fàpienti, viuon taliccinenic, dicefie, che gli Athcnicfi mentre che vfarona, Se olìerwaron le leggi di Solonc, furon Tem- pre felici : de il medefimo fi puòd'irde gli Spartani, mentre, che vifTer con le leggi di Licurgo: Sé in Thebe parimente, come pri^ ma in man d huomini fapieriti , pieni di hlofoha , venne la po> renria,& l'autorità, cominciò quella Città a poter parer felice. 66 Vn'ahroluogo fi truoua ancora, ilqual depende dal giuditio,che altra volta lilla fatto, o della fìeUa cofa,o d Vna-fimUeo d'vnftOó 67 traria . Se miiflìmamente fc diluii iti^^fcroprè farà flato cengia dicato: Se tatton da tutti gli huomini , almen dalla maggior par- te, o ver da tutti li fapicnti, o almen da ì;più, o da i migliori . 68 & parimente fe farà (tato fatto altra volta tal giuditio da quelli Aedi giudici, dinanzi a i quali è la cauta ; o ver da pcrlonc, i cui 69 pareri fian da loro apprezzati , o da perlonc finalmente,al cui giù ditionon fia lor lecito opporli , come lana fe lor (ignorilo padro 70 ni tallero, o vertali , che non fu ile cola honctìa d efler lor con- trari) nel giudicare , quali ( per ellèmpio) fon gli Dij , i padri , li 71 precettori, Se fimili . fi come Autocle vundo il prefentc luogo ditfc, contradi Miflìdemidc, le l'Eumenide , che fon Dee no re- cufarono, ma fi compiacquero d agitare, Se tartopor la caula lo- ro fieli Ariopago,recufcràMiiIìdemide,o non fi contenterà di 71 farlo? over come diflè Sarto eirere infelice, & mala cofa il mo- rire, Jl fecondo libro. j pj rire, poi che gli Di; coli giudicano : perche fe con" non haueficro ilimato.non edubio ch'ancora em* nó haueiler voluto poter mo- 7 J rire. Arithppo ancor lì valfc di quello luogo centra di Platone : concioiìacofachchauendo detto Platone non io che alquanto troppo azeramente, & ouinatamente per quello, eh ad Ariftip- po pareua , fc gli oppofe con dire, eh vna coli fatta cofa non ap- 74 prouaua l amico loro, intendendo egli di Sociarc. Hegelippo parimente nel domandar con àglio dalloracol d Apollo in Delti, li feruì della ri (polk fattagli daiYOracol di Giouc in Oiimpo ; do- mandando Apollo, fcil medefimo pareua ad elfo, che era al pa- dre fuo paruto: come che lì itimilfoch ad Apollo haueueda pa 75 rer poco bonetto l'oppor li al padre, liberate ancora per confer- mar che Helena full!- virtuola fiata, dille che coli l'haueua «iu- 76 dicataThefeo. Se per confermare il valor d Alcllàndro , allegò 77 che per tale le ftellc Dee giudicato Ihauetiano. Il medelimo llo- cratc ancora per mourar,ch'Euagora fuiìc huom d egregia virtù, addulTe il parere, cV giudi tio di Cononc : il qtial nt gli auuerfi , & calamitoii cali fuoi, pofpofti turti gli altri potenti Principi, cjcucdi rifuggirli ad Euagora, Se di confidare alla v irt ù , Se alla 7* feded elio la ialine fua. Vn altro luogo c poi , il qual li può do- mandar luogo dalle parti, fi come nella Topica 11 è porto in cf- lempio, qual ione di mouimcntofia quello dell anima: perche «ella fi muouc , bifogna che o di quello, o di quel moui mento li 7) muoua . Se ne vede ancora edèmpio nella difen/ionc, che di So- crate fece Th codette, quando egli dice, Qual Tempio , o altra t* cofa facramottrò mai Socrate di non hauere in honore, odi dt- fprczzarc? qual di tutti quelli, che la Città fua appruoua.cc ticn • So per Iddij, non ri ueiK Se venerò egli tempre > Vn'altro luogo fi truouapoi, che fi può chiamar da i confcgucnti,ilquale, perche nella maggior patte delle cole accade, che fegua , & vada dietro lor qualche cola di bene , Se qualche cofa di male ; c infegna , Se c inrtruifcc a confiderai quella cofa , che fegue, Se col mezo di quella fuadere, o dilTuadere, acenfare, o difendere , & lodare , o *i vituperare, lecondocheci torna bene. come(percircmpio)all e- nuluionc, Se di(ciplina delle buone lettcre.feguc di male l'Ulcrc inuidiato,  7 54 cafchi : come fc ne vede effe m pio in vna argomentation di fi- orare . percioche hauendo egli vn figlio d'era molto renero, «5c quafi fanciullo, ilqual per erfer di flaturadi corpo, alto adii più, che l'età non comportaua, era ricerco dal magiilratoa fopporta- re i carichi, Se le fatighe publiche ; dille in difcnlìon di Un Ifìcra te, clic fc llimauano, che i fanciulli alti ,& lunghi della perfona fuilèro huomini maturi , doueuano ancor ragioneuolmentc fti- m.irc, Se giudicare, che gli huomini maturi piccioli, & bafli dcl- $6 la perfona, fu itero fanciulli . Theodettc parimente fi feruì dique fio luogo nella fua oration, che fece delle leggi, dicendo , Se voi hauetc donata la città dinanzi a quelli de i nollri loldati mcrcen- narii, ch'egregiamente fono fati vtili a quella Città , fi come ha- uetc fatto a Strabace,& a Charideno, non faretevoi efuli,& fcac darete dalla Città quelli, che le fono Itati con la loro infolcntia , 57 & infame viltà dannofi ì Vn altro luogo è quello, che confitte in voler, che fc vn mede fimo accidente nafee da più cofe, fian pari- j8 mente vna ftelTa cofa quelle cofe, donde egli nafec. come (per ef- fempio) argomcntaua Senofane, dicendo, che nonaltrimenti fi dimoftrano impii , Se poco religiofi coloro , che pongon la na- fcitadcgli Dii, che quelli, ch'affermano, e riabbiano ancora elfi a morire : conciofiacofa che all' vna, &: ali altra di quelle pofitio # ni fegua, ch'in qualche tempo gli Dii non lìano. Et fi può in fom ma vfar quello luogo in pigliar nella conclulìone quelle cole vna per l'altra , come s'vna (Iella cofa fiano, dalle quali vno Hello ac- xoe cidentenafec. come faria (per clTcmpio) dicendo, Ilgiuditio, chefete per fare in quella caufa, & la fentenria, che fetc per da- re, non riguardarà veramente Socrate, ma lo (Indio, cheshab- bia a porre intorno a la filofofia, fe fi debba più lìlofofarc, onò. 1 01 & in quello altro elfempio, ch'il dare acqua, Se rerra, non lìa al- 1 01 tro, che darfi in feruitù . Se in quello altro, che il volere accetta- re, Se entrare in quella pace commune, non fia altro,ch obligarlì 103 d'obbedire alle volontà de gli altri . Sidee dunque con la virtù di quello luogo, delle due cofe, dalle quali vnollelTb accidente nafee , pigliar l'vna per l'altra , fecondo che ci larà più vtile . 104 Vn'altro luogo prende forza poi dal diuerfo volere , c hanno in ti inerii tempi gli huomini, in non clcggcrco volere vna ftellà co- fa in vn tempo prima, o in vn tempo poi, ma IpeiTc volteil con- 10; trario . come ne può eilete elfempio qucll Endnmcma; Se quan per il quale deb biamo auuertir, fencl fatto sinchiudon cole, ch'in elio f acciari 1 44 contradittionc , o repugnantia alcuna . fi come l'vsòScnofanc re fpondendo a 1 Cittadini Eleati ; li quali domandato haueuan da lui conliglio s'eglino doueuano vfar di pianger quando facufìca uano a Lcucothea, (o Matura, che la vogliam chiamare ) rilpofe lord unqiie Senofane, che s'eglino haueuano opinione, ch'ella fu ile veramente immortale Dea, non doueuan piangere : óc fe per Donna mortale la reputauano , non le doueuan facrifìcarc, 14 j Vn'altro luogo riabbiamo ancora, la cui forza è porta in confide- rai qnalch'crror di difauuertentia, &con laconfcflion di quel- 146 lo accufatc, o difenderli, come ( per elTèmpio ) nella Medea di Cai ci no, gli accufatori di Medea le imputauano, de l'incolpaua- no , ch'ella hauclle vccilì i figli, poi che elfi in alcun luogo non 1 47 compariuano . Laqual accula haucua prelo occafione dall'crror, c'haueua fatto Medea d'hauer fegrctamente fatto allontanarci fi- 148 gli per faluargli . ÓVellainfua difenfion diceua, c hauendo da fare vecifione, non i figli, ma Io fttlTb Iafone harebbe vecifo. Ór che quello era flato veramente l'error fuo, il non hauerlo vecifo: & ch'in vero harebbe ella peccato a non far tal cofa , fe quella al- 149 tra haueilc fatto . Da quefto luogo, & da quello modo , & for- ma di dedurre Enthimcmi, è comprefa tutta la prima parte, o ve i/o ro il primo Libro dell arre di Theodoro. Vn'aUro luogo è anco- ra, ilqual prende forza da 1 nome della colà, o ver dall Éthimolo c , Ce già: 202 Della llgtorica d 'Arìttotelt^ i J i già : qual luojjo vsò Sofocle, quando parlando d'vna Donna cru dele.chiamara Sidira,chc ridotta in lingua noitra lì può chiamar Ferreria , dille , che conuenctiolmcntc portati^ ella quel nome . i Ji vfato ancor lì vede nell'Odi, Se ne i Canti, che lì fanno in lode de 1 Si g M Dei . Conone ancora folcita dir,chcThtalibulo,cra veramé- tcThrafibulo (cioè remcrario,&: precipitofo ne i configli fuoi . ) i J4 Medcfimamentc Herodico diceua , a Thralìmacho , che femprc farebbe Thralìmacho (nome chea noi luona litigiofo, cV audace i/f in contender femprc.) Et a Polo foleua dire il medefimo Hero- dico, che femprc era Polo (nome, cha noi importa, di fanciullc- \$6 fca lafciuia macchiato. ) Di Dracone legiflarorc ancora era det- to, che le leggi fuc, non cran d'ini omo , ma di dracone , cllèndo i $7 in vero molto afpre, rigorofe, 6V difficili ad ollèruaru" . Appretto d'Euripide ancora dice Hccuba conrra di Venere , Non lenza ra- gione ri domandi tu Afrodi te,elfendo tu la Dea della ftoltitia, Se il rifugio de gli (tolti (che cofi fuona nppreflo de i Greci quel no- i j8 me.) Chcrcmon parimente dille, che Pcnthco fu cofi chiamato, quali che con quel nome s'indouinallcr le future calamitofc mi- ferie fue. Trà gli Enthimcmi poi li redarguitiui, o ver reproua- tiui eccedon di gratta, Se di forza gli allertili : , & puri, Se diretta- lo mente prouatiui . perochc raccogliendoti in vn ccrro modo in 161 riftretto i contrari; infiemencll Enthimema redarguitiuo , ven- gon porti in quello modo in parragonc a farfi più nianifcfti a gli 161 afcoltatori . Ma di tutti poi gli Enthimcmi, & liilogi imi, coli re- darguitiui, comcaHertiui,quclli maflimamcnte fono atti a com- moucrc,&: a fare imprcifion ne gli animi degli auditori, Se con maggior quali applanfo fono acccttarì , liquali non ptima a pro- ferirti fon cominciati, che chi gli ode, coniettura, Se comprende i *3 il rcfto pcrfemcdelìmo. Se ciò,non perche caufa ne fia la troppo 164 fu per fi ci al facilità, Se chiarezza loro ; ma perche fon formati in modo, che gli auditori poflbn con 1 ingegno loro preuenire l'in- 16 f tclligentia d'elfi, Se fentir di ciò gran diletto . Son doppo quelli Eni h irne mi in fecondo grado d'cccellentia quel li, a i quali tanto oltra a punto feguon dietro con l'apprcnnon quei, che gli odono, quanto che Cubito , che fon finiti di proferirli , fon da quelli fenza fatiga imeli . ìf C a P° Jl Secondo libro. 2 o j 24.. Che fitruouino Snthimemi apparen ti, & quali epftano h&dei luoghi commu- ni, che pojfon lor Jerutrc^j . Onciosi acosa che poflìbil Ha, che fi rruoui vna for. tcdilillogifrai, che veramente fon fjllogifmi, Se vna fortedaltri, chefillogifmi veramente non fono, mano paion dellere; nè feeue necctfariamente.ch'eircndo afi Enthimcmi ancora etti lillogilm., Ciccia di mcfhcri, che di loro ancora alcuni lian veramenteenthimemi, & alrn non cllendo ve i ri enthimcmi , habbian nondimeno apparentia d'effi . I luoghi adunque degli Enthimcmi, che non veri, maapparenti fono! fa 4 ran quelli, che qui feguono. Et vno primieramente è quello, / che pende dalla locutione , più che dalla cofa . nel quale com- prendendoci più parti , vna di quelle shà da intendere efler , c ( fi comeauuicncancor nella Dialettica , ) quando non ellendofi ve- ramente ullogizato , fi proferire nondimeno nel finc,& fi ter- mina a conclufione con tal modo, &con talcallèucratione, co me fillogizato, & veramente conclufo fi fufie. come farebbe a dire , adunque non è la tale, & la tal cofa, ncceirariamen- € te e adunque la tal cofa, Se la tale. Et tanto più fi può faro ucfto ne gl, enthimcmi , che nei fillogifmi, auanto,chc negli enthi- 7 memi .1 dir, che fi fa implicato , Se inuolto, Se ripieno d'oppofi- tioni, può facilmente parere enthimema : poi che vn colf fatto 9 proceder nondillefamcnte ordinato, come nel fillocifmo, elfo 10 dee la regione, & il fito deirenthimema. Et puòqucllo modo , ? 1 ? a ? n °' C ! a biam derro ' P"er fimile a quella fallacia, chap - prello de 1 Dialettici prende il nome dalla figura della locutione 1 1 Et a quefto modo di dir fillog.iìicamente più tolto per virtù di lo cutione che di cofe è vtile ancora il raccoglimelo d, più capi conclufi con altrifillogifmi . ilqual raccoglimento fatto con ari 11 de efficacia,^ apparentia di nuouo argomento, come fe (per ef- le ™P»o) diceffimo, A molti ha egli recato falute, ha vendicatole U voftre ingiurie ha ridotto nella fu a libertà la Greca. Gafcun aunquedi quelli capi con altro appartato argomento è flato con cjulo: ma raccolti, & porti tutti iniìcmefanno apparentia, clic Ce ij da lo- 2 o *Della 'Retorica d'j4riHotelc_j doloro, quafida nuouo argomento, fi cócluda qualchal tra colà. 1 4 Quella dunque, c'habbiam dcrta, è vna parre del primo iopradet to luogo. L'altra parte poi Uà polla ncli'equiuocatione, ovo- 15 gliam dire ambiguità, & varia lignification dclleparole; come auuerrebbe in dire, che mis, (cioè il Sorcio) fulle molto Ignora- bile, 6c degno di lodceflendo da quello denuato il nome di cola tra tutte le cofe facre, degni (Ti ma, «Se venerabiliflìma. pcroche quelle cofe facrc,che fi domanda milleria, tutte 1 altre di degnirà, 16 de di venerationc auanzano. Il medelìmo auuerrebbe ancora , s'alcun volendo con lodi innalzare, & celebrare il Cane, com- prendere in tai lodi quelledellc llelle del cane in Ciclo, & quelle 17 del Dio Pane ,clfcndo egli da Pindaro chiamato cane,quando di ce, O veramente beato, poi che da gli Dij immortali lei chiama- 1 8 to vago, & delitiofo c ine della gran Madre, & grande Dea. o ver fe periodar parimente il cane, li di cefle, che rcltando prillato di molte cofe degne di lode, chi non ila in alcun modo cane, nefe- 1 s> gue, ch'ornamento, & pregio rechi lcller cane . Mcdefima men- te vfarebbe il prefente luogo dellequiuoco, chi periodar Mercu rio, diceire, ch'egli fulle, cenonico , ( cioè cornili unicati 110 di be- ndi tij, o benefico, che vogliam dire) più che turti gli altri Dij , pofeiache Colo egli frà tutti gli altri fi chiama, cenos, ( cioè coni- lo mune) . Parimente Ivfarebbe, chi diccllè, che logos, (cioè il par- lare, o veri oratione) Alile cofafopra tutte 1 altre pregiati (lì ma, pcroche gli huomini di gran virtù , non fogliamo per ingrandir- gli dire, che lian degni di ricchezze, ma che fian degni di logos , (cioè di Ai ma, & di pregio) di maniera che quello, eh e di eia nm , affion logu, (o ver degno di logos) contiene non vn folo fignifi- 2 1 caro, ma più, (cioè degno d oratione, & degno di pregio). Vn'al tro luogo per gli E ut hi memi apparenti fi truoua ancora, la cut virtù conulte in prendere, & dir per modo di cópofitione, quel- lo, che diuifo intendere, & prender fi dee , o ver per il contrario per modo di diuifione quel , che lolamente compollo li truoua ti vero, pevoche potendo fpeilc volrc parer, ch'il medefimo impor ti, 6V la mcdefima verità contenga il dir la cola ncll' vno , & nel- 1 altro de i detti modi, quello d'elfi fi donerà pigliare, che tome». 13 rà maggiormente a commodo. Et in cofi fatto luogo è fondata quella argomctatione vfata da Euthidcmo a prouaread vno, che fapelTe egli in Pireo efler 1 armata, o ver le galere : pcrcioche l'v- Jl Secondo libro . 2 of na, Se l'altra delle dette due cofe fcparatamentc fapeua , cioè fa- 24 pcuaeircnn Pireo, & fapeua le galere. Il fimile auuerrcbbe sai enn volefVe prouare, che alcun (aperte il tal verfo, per che egli hà notitia delle lettere, & charatteri di cui gli e comporto nò cllcndo ij altro quel verfo, che quelle lettere, che Iorio in elfo. Medclima- mente può ch'ere elfcmpio del detto luogo il dire, che (e il dop- pio della tal cola e nociua ad vno infermo, non gli potrà etfer ta- na, & gioueuolc Li metà di qucllajcrtendo cola all'orda , Se fuora di ragione, cheduc cole buone, Se gioueuoli , facciano, Se com- 1.6 pongano vna cola dannofa,& mala. Se in querta maniera vicn de dotto quefto argomento per modo redarguiti uo,& reprobatiuo. 17 douechepcr modo d argomento prouatiuo, Se moftratiuo, fi de duria fe dicefìimo, nó potere eflerc vtile, & fanala metàdi quel, eh e dannofo,pcrchc due cofe male, non po don congiunte inlìe- mc fare vna buona. Se come fi voglia in (omma, che fi deduca, iS riman per vigor di quefto luogo fallace l'argomento, fi come pa- rimente e fallace quello, ch'vsò Policrate , quando volca proua- re,cheThrafibulo haueuaeftinro trenta Tiranni. Nel qual'argo- mento peccaua egli per via di compolìtione, volendo, che fi veri 19 ficafie comporto, quello, cheli venficaua fcparato , & diuifo . fi come per il contrario per via di diuifione pecca quello , ch'vfa 30 Theoderte nella Tragedia fuad Orcftc: doue dice, Giufta cofa è, che qualunque Donna vecide il marito, fia priuata di vita . cofa honeftaancorè, ch'il figlio vendichila morte del padre fuo,il fat to dunque d'Orcfte fi dee ftimar giurto, Se honefto, conrenendo- 31 fi in elio ambedue le dettegiufte cofe. nel quale argomento rtà porto inganno , perche nei comporli, Se congiugnerli infieme le dette due cofe diuifamentegiufte , non confcruan più forfè il giù 31 fto, c'haueuan prima . Può ancor la fallacia di quefta medefima difefad Oreftc depcnderda vn'altro luogo, che li chiama luo- go dal difetto , o ver mancanza : pcroche nell'argomento viene a lafciarfi indietro, da chi doueua elì'er p mira, de priuata colei di | 3 vita . Vn'altro luogo condite poi in vna vehememe, Se di caldez- za, Se d'efficacia piena efaggeratione, che o conferii! imlo,o con- futando li faccia a ingrandir la bruttezza,& 1 enormità del fatto . j4 Et quello accade quando lenza haucr dimoftraro,o prouaro.chc la cofa fia ftata fatta, o non fia ftua fatta, s'ingrandi 'ce con vchc- mcnua, Se con rtomaco Tingiurtitia, Se lindegnuà di quella, pc- roche 2 o 6 ^eUa Tintorìe* d^rtttotelcs joche cotale ampli fi catione , & ingrandimento, fa fenza altro,pa rcr,ch'il reo non l'habbia fatta^'eghèquchcncrcfaggera,©^ 1 in grandifee, o ver ch'egli l'habbia fatta, fc l'amplificatore, & lcfag- $ r getatorcè colui, ch'accula. Quello modo dunque di procede- re, non è veramente enthimema : concioiìacofachc vengan per elio a cader da fé (ledi ne i lacciuoli dell'inganno gli afcoltatori , con lafciarfi in quella guifa tirare a creder, che la cofa (la fatta , o 3 6 non da fatta, fenza che ciò fia veramente prouato loro . Vn'altro luogo è poi , chiamato luogo dal fegno : Se egli ancor non con- 37 ticn concludente ragione, Se forma di lillogifmo . come(pcref- lempio) farebbe, s alcun diceile, che nelle Città fullcro vrili gli amori lafciui, o ver gl'innamoramenti trà vn'huomo , Se l'altro ; perche vn cofi fatto amore, che fu trà Harmodio , & Ariltogiro- nc, fù cagione, che fi mandalìc a terra la tirannide d'Hipparcho . 38 9 veramente s 'alcun volelfc dall'elici Dionifio huom vi nolo, in- ferire, Se prouar, ch'ei fulTe ladro . ilqual modo d'argomentare ancora egli non conclude nulla, per nó elfere ogni vitiofo ladro, 39 ma più torto per il contrario ogni ladro vitiofo . Vn'altro luogq 40 è ancora, domandato luogo dall'accidente •> come, per ch'empio, è quello, ch'vsò Policrate, quando parlando de i Sorci, diede lor lode, c'hauellèro anch'elfi recato aiuto all'efferato amiepj hauc- 41 do rolo, Se mangiato lechordede gli archi dei nemici . vn limi- le elTempio farebbe ancora s'alcun di celle elTercofadi grande ho- nore, &da tenere in grande llima, 1 elfere inuitato, o chiamato a cena : conciolìacofa che Achille per non eflcrc ftaro chiamato a cena in Tenedo li (degnali grandemerc conrradc i Gtcci, Se s'ac cendclle d'ira . ma l'ira , Se lo fdegno fu , ch'egli per quello indi- no di non elfer chiamato con gli altri a quella cena , fece coniet- 41 tura, ch'eglino lo tencllero in poco còro: il che rifpetto ali ellere 45 inuitato a cena era cofa congiunta per accidente. Vn'altro lungo 44 parimente fi cruoua,chiamato luogo dal confeguente : come s v- erebbe, per edempio, quando volclTe alcun inoltrar, eh Aief- fa miro fu ile flato magnanimo, perche di fp rezza co il commertio, &; laconucrfation di molti, fi rinrò nella fohrudin del monte Ida ballandogli di conuerlar con fe fh-ffo. lì quale argomento daque, 45 Ho prende apparcntia, che per folcrc cllerc i magnanimi coli fat- ti, può in apparcntia parere , eh egli ancora per elfer coli fatto , 46 fuflè magnanimo . Il mcdclìnioauucrrcbbcin dire, ch'il tal fia adul- Jl Secondo libro . 2 07 adultero, perche egli fi diletta d'andare tutto della perdona orna- to, & culto di delicata attillatura, folendo gli adulteri andare in 47 queftaguifa. Il fimile accaderebbe ancora in dir, ch'i poucrcrri mendicanti , che logliono (lare alle porte de i Tempi) a doman- 4S dare clcmofina, fi debbiano (limar felici , & parimente coloro, che (banditi dalla lor patria , efulando per il mondo vanno . po- feiache quelli fi veggon fempre ftar cantando, & ballando,^: que (li pollono vfare vna certa libertà d'habi tare , Se goder che parte del mondo vogliono, conciofiacola che vedendo noi, ch'in quei, che moftran di menar felice vi ta,fi foglion tronar coli fatti acci- denti di voluntier ballare, & cantare, Se di potei e a libera voglia loro viuer, douc più lor per il mondo piace , viene all'incontra a parer,chequclli,in cui tali accidenti il truouano,fi debbian con- 4P feguenremente ancora cflì (limar felici . nicntcdimancodirTcrif- con trà di lor nel modo,& nella caufa di trouarfi tali accidenti in 50 elfi . Onde viene a poter conuenire in vn certo modo la fallacia di quello luogo , con quella del difetto , o ver della mancanza • ji Vn'altroluogoc poi, il quale con fide in aflegnar la non caufa in j t vece di caufa : come auuien quando come caufa d'vna cofa, s'ad- duce, quello, che o inficine con eflà, o feguendo doppo elfo, ac- cafea , prendendo il doppo quello, in luogo del , percagiondi f 5 quello . & maflimamente foglion quello far coloro, che maneg- gian Io flato e'1 goucrno della Città, & trattan le cofe publiche . J4 fi come folcua dire Demade, che il reggimento , & l'amminiitra- tion della Republica, che tenne Dcmofthenc nel fuo magiftrato, 55 era fiata la cagione di tutti quei prefenti mali, della Cittàrpofcia- che doppo'l fuo goucrno, era fubito nata, & feguita quella rerri- 5 6 bil guerra . Vn'altro luogo fi truoua ancora, ilquale e pollo in far l'argomento defettuofo per la mancanza del quando , & del co- J7 me. fi comeaccafchcrebbe , perellempio, quando a prouar,chc AleiTandro giù riamente tolta hauefiè Hclena , s'alIcgafTe per ra- gion di quello, ch'il padre di lei le haucua data libertà d clegger- j8 fi quel marito, che più le fulTe piaciuto . nel quale argomento fi commetterebbe fallacia per cagió di defetto del tempo non le ha uendo fuo padre dato forfè quella libertà da vfarfi fempre, & per ogni tempo, ma lolamcnrc da vfarfi prima , che mai irata fullè: 55? polciachcfol fino a quel tempo era ella in poteftà del padrc.ll me defimo auucrrebbc, fe airolutamentediccillmo , che nel battere vna 2 o 8 *Della 'Retorica d ' Arìttotclt\j Tna perfona libera, fi commettefle ingiuria,o contumelia: perciò che non Tempre e il far quello, allblutamemc ingiulto , ma fola- mente quando altri fia il primo a battere , & a prouocar l'ingiu- éo ria. A pptclTb di quello fi come nelle contcntiofe difputationi occorre ili farfi fpclfb apparcnre,& fallace lillogifmo percaufadi prender le cofe, o come femplieemente tali, o come cofi taIi,o 6 1 vogliam dir, per aggiùta tali; nel modo che fra i Dialettici iì fuol tentar di prouar, che la cofa che non c, fia per eflcr vero , che la Ci cofa che non è, fia la cola che non è , Se che feientia fi pota ha- uer delle cofe, che faper non fi polTbno,pcr etfer vero, che faper 6} lì polla, non li poter faper la cola, che faper non iì può, cofi pari- mente nelle cole retoricali, & caufe oratorie fi può trouare appa rentc,&: non vero euthimema per caufadi prender per veramen- te, Se femplieemente verifimil quello , clic fia condirionatamen- 64 te, o vogliam dir con aggiunta limitato verifimilc. Il qual coli fatto verilimile non è puramente, Se vniuerfalmente verifimile , 65 ma limitato, conditionato, Se rilìrctto . quale c quello, ch'inten- de Agathone, quando dice, che non fi pattirebbe forfè dal ver co lui , ch'arTermalTè cflTer verifimilc, che mohe cofe accalchino in 66 quella humana vita, fuora del verifimilc . Nè fi parte egli dal ve- ro in quello, accadendo fenza dubio alle volte cofe lungi dal veri fimilc : & per confeguentc farà verifimilc ancor quello, ch'è fuo 67 ra del verilimile . & elTendo cofi, par che fi polla concluderete 6% quel, che non è verifimile, fia verifimilc . ma in vero gliè verifi- milc, non femplieemente, ma limitato, o vero in qualche patte . 6p perciochc fi come nelle altercatine difputationi dal mancare, o ver dal lafciar d'aggiugner, fecondo qual parte, o vero , in rifpct- to di qual parte, in che luogo, & limili, fi viene a commettere in 70 ganno,& fallacia nell'argomcntare; cofi parimente in quella ar- te della Retorica auuicn, che commetter fi polla fallacia in pren- derfi per verifimilc, quello, che non c legittimamente, Se fcmpli cernente verifimilc, ma è verifimil limitato, Se riftretto da' qiul- 71 che aggi unta. Et di quello prefen te luogo del difetro, ècorapo- 71 Ha, Se depcndel arte, che feri lìc Cora ce. Impeiciochc feil ieo non firà lofpetto, nè parrà habile al delitto oppollogli , come auuertia fe alcun di deboli, Se inferme forze fulfe acculato d'ha- ucr battuto vn più di lui gagliardo, in tal cafo potrà difenderlo > Se fargli fchiuar la colpa il non clfcr veramente vn tal fatto veri- limile • Jl S econdo libro . r 2 7 3 finite • ma Ce il reo porrà parer fofpcrto, 8c riabile a! delirro , co- me auuerrebbe s'egli nel calo dcrro, robulto, cV gagliardo fiì iTc porrà fchiuar la colpa con dire efe veri limi I, ch'egli non riabbia fiuto quello, che hilìe domito veramente parer verilimi le. óVil 74 fimi! li può dir negli altri cali, & delitti importi . concioliacofa che in qual li voglia caufa lia forzaglie il rco,o fia fottopoflo alla 75  on del delitto importagli, over fortopofto non le fia • & ali'vno,* all'altro di quelli cai] può ferirne il verilnmlc,apparcn do venlimili ambedue le forti del verHÌmile, clfendo nondimcn l vno (emplicemente, Se legittimamente venlimile, & I alno no 76 fcmplicemcnte tale, ma nel modo, che detto riabbiamo. Eg- ramente altro in foftantia, che la fallacia di quello luogo non è quella arrogante offerta , eh alcuni fuperbamentc fanno di voler con le lor parole qual Ci voglia caufa render 1 upcriorc , & fòr vit- 77 toriofa rcrtar di fopra. Laonde non fenzagiufta ragione con era de indegnarione , & ftomaco era abborrita dalle pedone l arro 7S gantepromella.&profertlondi Protagora, conciò fu Uè cofa,chc fai acc Alliccerai proraclfa, &in fclfità fondata, & da non vero & legittimo venlimile, ma da apparente, & poco folido, depen- 79 e i modi d'opporfi ali 'Auuerfario* (f di dife toglier le Jue ragioni . £f che cofa fia Jnfiantia, o -vero Obbiezione oratoria* & in quanti modi fi faccia . jN due modi può occorrer, che d.fcioglier Ci poflan leargomcntationi : cioè o con fare argomento, & lillogifmo incontra, o con addurre obbiezioni, 5c opporre inlranrie. Quanro al proceder con fare op- delimi luoghi che fono vali a filJog.zare impugnando , feruir D d pollbno ,2/0 Teorica d % Ariftotelc^> "J poflbno ad argomentar difciogliendo, o verconfutando . Pero- che componendoli 1 lillogifmi oratorij di propolìtioni probabili non è dubio che probabili non fogliano Ipeifo parer molte cofe, 4 quantunque contrarie fian fra di loro . Quanto alle obbicttioni, éc alle in lime poi,fi pollbn porrare,o vero addurre, lì come anco ra appreflb de i Dialettici nella Topica, in quatro modi, o ver da quatro luoghi, cioè o dai medefimo,o dal limile, o dal contrario 5 o da cofe giudicate . Dal medefimo intendo io elfer l'in Itanria , come (per clfcmpio) fc fi fufle con cnthimema cóclufo ch'Amor fuire cola buona, in due maniere fi potrebbe a degnare inftantia. 6 impcrcioche fi potrebbe, o vniuerlalmente dire, ch'ogni bifo- 7 gno , o ver mancanza fia cofa mala ; o particolarmente allegar % 8 che non fi vfarebbe di dire, il tale amore eller ottimo, & il tale ef fcr peUimo, fi come fu quel di Cauno, fe non fi trouafiero ancor 9 dei non buoni amori. Dal contrario poi fi portan le obbietioni & lcinftautie,come fc (per cllempio ) contcnendofi neil'enthi- mema, che limoni virtuofo a tutti gli amici fabenefino, &gio- uaméto, s'allcgalle, che l'huom cattiuo,o ver vitiofo non fa dan 10 no, 6c male a tutti gli amici . Nel limile s'adducon le indinne, come (e (pcrcflèmpio),ftando cóprefo neU'enrhiraema, che quei v C han riccu u tu of$clà,odÌ in Tempre col oro, clic l'han loi fatta,s al lcgallc, che q udii, c li .in ri cernito bendino, non tempre amano 11 chi l*hà fatto loro. Quanto alle inftantic poi .% lcquali, fi porta- no, cos'adducono da cofe giudicate, over da giuditij fatti , s'in- tendono dfer quelle, che dal giuditio,& parer dependon di per- fone d illu lire nome, & di chiara rama . come fe ( per eflempio ) contcnendofi in vnoenthimema, ch agl imbriachi fi deon perdo narei loro errori, come aqueHi> che per ignorantiapeccano, fi può recare in ftantia cucendo, che fc quello iulTe, nondoucrebbe ellèr commendato Pittaco>hauendo egli poflo trà lefueleggi,ef- fer di maggior pena degno colui, che commollb , Se fpintoda IX imbriachezza pecca. Horquattro fon le cofe, nelle qualififon- dano,& hanno luogo le retoriche argomentarioni : & quelle fono il vcrifimile, l'ellcmpio, il Tcmmirio,(o vero inditio certo) i 5 ci legno . delle quali argomcntationi, quelle, che fi compongo- no di cofe, che perii più, o ver per la maggior parte fono , o ap- 14 paiond ellere, fono argomentarioni fondate nei vèrinmili . & quelle poi pei via d esempio procedono > lcquali raccogliendo per Jl Secondo libro . j/g per via dinduttione da vna, o da più cofe rrà di Ior rimili, alcuna cofaìn vniuerfalc,da quella poi fillogizando concludon qualche t $ cofain particolare. Et quelle argomen radon i poi, lcquali da co i£ Ce necellàric nafeono, fon fondate in Tcmmirij . Etquellefinal- menteinfegnifondate fono, lcquali proecdon dacofa, che,o co- me pul vniuei fale, o come (ingoiare, o ha ella in etfere , o nó fia, viene ad eflerfegno della coliche fi conclude. Hora ftando la cofain qacfto modo,in tutte le già dette forti dargomentationi, 17 fi pollano addurre in ftantic. Se prima quanto a quelle , che fon fondate nel verifimile, -perche il verifmiile non c fempre,& vni- 1 8 .uerfahncnte vero, ma per il più, o ver per la maggior parte; è co- fa manifeita, che a coli fatti enthimemi, & argomentano ni fon- datene i vcrifìmili,fcmprc fi porrà recar difcioglimento con ad- 19 durre ìnftantie. Bene è vero, che cotal difcioglimento ri 11 feirà Ipcilc volte apparente, Se non tempre vero', conciofiacofa che colai, che centra del verifmiile adduce inftantia , non difciolga feropfcla verifomigliarrza, ma la neceflìràdellacofa , inoltrando non cllcre ella necellària, ma non già inoltra cller non verifimi- 10 le . La onde per cagion di quello apparente, Se non vero difcio- glimento dcrverifimilc, colui, che nelle caufe tien luogo di difen forc, harà fempre nel fuo prouar, più vantaggio, che non harà 11 colui, che tien luogo daccufatorc. perciochedouedo colui, che accufa proceder con legittimi verifimili,& non clfcndo vna fletta cofail moitrarnel difcioglimento, ch'vna cofa non fia verifimile, & il inoltrar, che la non fia ncceflariamente vera, Se oltra ciò nó mancando mai inftantia contta di quello, che non fempre, ma fol per il più c vero , pofeiache fe inftantia non haucllè , non fa- rebbe vcrifimileA- vero perla maggior parte, ma fempre, & ne- 11 ceijariameme vero; ne fegne da tutto queftojCh'i giùdici nel fen tire addurre qual fi vogliamitantia conrra'd vna propofition ve- rifimile, il dienoa credere, © che la propofition verifmiile prima addotta, totalmente non fia verifimile, oche fe pur qualche par te di verilomiglianza le reità, non fia tale, ch'eglino polìàn fècon 13 doquclla giudicarci dar la fententia loro. In che vengonocfll 14 ( c o«ie hò già detto) a ingannarfi quali per Ior medefimr: come quelli, che non ben cólideiano , che non folo è Ior lecito ci fon- darle lorfentcnne, & il giuditio loro nella nccclTìtà delle cofe, ma nella verilomiglianza ancorasse che que-aoc veramente gi»»- . Ce ij dicar 2 1 2, T>ella r B^torica d'Jriflotelella Ustorie* d' JrìBotelc^ nalmenre paia loro, che (Tori ragioni,^ con argomenti fi fia pro- 7 nato, Se lì lìa moftrato il vero . Habbiamo medclimaracnteaire- gnato donde, come da luoghi poflfa l'oratordiuenire abbondate, & copiofo denthimemi. dei quai luoghi alcuni fi domandano fpctie,& forme d'enrhimemi, & altri, come communi, propria- S mente fon detti luoghi. Refta al pi d'ente, che feguendo l'ordi- ne incomincialo diciamo, & trattiamo della locutione : concio- fiacofache non bafti l'h;iuer trouato,& tener nel concetto leco- 9 fé, ches han da dire, ma e ncccilano ancora d'cfpnmcrlc fuor 10 con paiole, nel modo che fi ricerca, Se che lor conuienc . il che feca importante giouamento a far parer l'oratione nel rale,& nel 11 ul modo qualificata. Primieramente adunque fu fecondo la natura cercato, Se inueftigato quello, che fecódo lordin di quel la fi conueniua,cioHe colerteli, donde trarre, & canaria credi- li bilità, & la pcrlìiafibilità fi potciVe. Secondariamente fu cer- cato , Se trattato poi in qual maniera le già ritrouatc , & con- cepute cofe, s'hauelfeioad efplicarc, Se a difporfe con l'aiuto i 3 della locutione . Nel terzo luogo poi doppo le due cole dette re fta vna altra confidcratione, che l'opra tinte 1 altre hà forza, & pof fanza, la quale all'anione, Se alla pronuntia appartiene : nè è fta- 1 4 ta per anco dachiunque fia, rcnraia, o trattata . perei oche ancor nella fletta tragica, Se epica poefia affai tardi fu ritrouata , tx vi I j ottenne luogo : concionile cola che li Poeti mcdefimi da prima, 1 6 le Tragedie, Se le fauole lor recitaiìcro, & rapprefenraflero.E' co fa mamfefta adunque, che nell'arte della retorica ancora può ha- uer luogo qualcheartifìtio, all'anione^ alla pronuntilapparte 17 nente, Yimilc a quello, che nell'arte della poclia fi ritruona ; del quale alcuni han diligentemente franato, & fra gli altri Glauco 15 Tcio. Horcofi fatta anione,& pronuntiatione oratoria, Ibpriu cipalmcte collocata nella ftctfa voce, in veder, come s habbia da ▼fare, Se da reggere neircfprcflìone di ciafeheduno arTetto,ò\: có- 1 9 cctto d'animo, come adir quando habbia da vfarfi grandc,quan- do piccola , Acquando mediocre. Et intorno pan min re .ti tuo- no^ ver fuonodi quella, comes habbian da vfar coli fatti tuoni, cornea dir lacuto, il graue, & quel, che partecipa di quelli due. &-medefimamentc con qual rithmo, o ver numero s habbia dcJU ao l cfprelTion di ciafeheduno affetto, o concetto a procedere, con- cionacela che tre cole confiderar logliano intorno alla voce nel i Jl TirZiO libro . 2 77 pronuncia coloro , che ne trattano, cioè fa grandezza, Pharmo- 11 nia, e'irithmo, over numero. Le quai cofe coloro, che fan ben nella pronuntia reggere, Se moderare, fon quelli, che Tempre ( Ci può dire) ottengono i premi/, Se la palina nelle lorcontrouerlìe, 11 Se contefe oratorie. Et lì come nella poelia par, che nei tempi d'oggi più vagliano, & maggior forza tengan coloro,chc con ar- tione hiftrionica recitano, Se rapprefentano, ch'i poeti detti ; 13 coli parimente il medefimoauuienc nelle ciuili contentioni, Se caufe oratorie : colpa dei già corrotti, &deprauati coftumi del- 14 leRepubliche. Ma non c fiata per anco ridotta, Se comporta in arte coli fatta attione, &ptonunciatione oratoria, ne raarauiglia è di ciò: pofeia che intorno alla ftellà oratoria locutione ancora, alfai tardi fu inueftigato, & trouato rartifitio,«5c lo ftudiod'ador 15 narla, Se di coltiuarla . Et in vero,(e noi vogliamo ben dentro al vino confidcrare, potrà veramente parer quella cofa della locu- tione, Se pronuntiatione, cola più tofto poco honefta, che pun- ici to conucneuole . nientedimanco douendo ogni trattamento, Se Audio di quella arte della retorica hauere vn certo riguardo d'ac commodarfì alla communc opinion di tutti, fa di meitieri di por 17 re parimente in tal cofa , Ce non come in veramente honefta , aU mcn come in neceflaria, qualche ftudio , Se qualche diligcntia . 28 conciofìacofa che fecondo la veri tà,gi urta, Se ragioneuol cofa fa- rebbe, che cola alcuna non Ci doucllecon più Audio cercare in- corno all'oratoria orat ione, che non far nalcerc o tri ftezza, o di- 15) letto in color, che odono : eflendo cofa conucneuole , Se giuda di contender folo nelle caufe oratorie con le cofe ftelìc , cioè con le ftelTe pruoue: di maniera che tutte le altre cofe, laluo che l'ar- gomentare, Se prouare, s'han da (limar fuperflue; come che fuor 30 della caufa fìano . Ma elle nondimeno fon di gran forza, & di gran momento, percagion (come habbiam detto) dellimperfcr- 1 1 tionc, & corrottion di coftumi de gli alcol tatori . Bene è vcro,& negar noli può, che la forza,& l'efficacia della locutione in ogni dottrina, Se feientia, ches'habbiaa infegnare, o trattare, non 31 tenga in Ce qualche poca d vtilità neceflaria : clìendo fenza alcun dubioqualche dirfercntia, quanto aH'efpreffione, Se dimoftra- 13 tion de i concetti, tra 1 parlare in vn modo, Se in vn'altro. ma non però ne tiencaltroue tanta , quanta in cjucrta arte del dire: 54 douc tutte le cofe, che fi cercano > Se Ci trattano, all'opinione» E e «Se im- zi Si  &c immaginatione altrui, &allo ftcilbafcoltatorcin fomma,han 3 j rifpctro . Et però vediamo, che nella Geometria , o in altra coi! fatta feicntia, ninno c, che con anifitio di locutione infegni . 3É Quando dunque atiuerrà, chequeftaattione , 6c pronunciatio- ne oratoria apparifea fuora ridotta fotto arti fi rio, il medefimo ef- fetto farà ella in quella aite della retorica , che far veggiamo l'ar- 37 tifitiodella rapprefenratione hiftrionica nella poefia. Et hanno " cominciato già alcuni a tentar di dir qualche cofa d'ella , ma po- chi flì mi han proceduto innanzi, come fra gli altri hà fitto Thra- fimacho ne i libri , ch'egli hà Icritto delle cole compaflìoneuoli . |S Et e quella hiftrionica anione l'oratoria molto congiunta con la natura, 6V per confeguentc poco depcndenre dall'arre . Ma la forza dell'oratoria locutione e capace più d'arteficio, cVallaftef. 39 fa arte concede luogo . Onde nafee, che quelli Oratori, che nell'arti fi rio di qucftilocution fon potenti, riportan facilmente ipremij, & la palma delle lor contentioni oratorie ; fi come fan parimente quelli, che molto nell'attione, & nella pronuntia va- 40 gliono. Perciochcgià vediamo, clic quelle orationi , che com- por fi foglion , perche habbian da rimanere fcrittc , più vaglion per cagion della locutione, che per cagion della fen tenda, & del 41 foggetto dello. Et il dee ftimar, ch'i poeti follerò i primi ainuc- ftigare, & à porre innanzi lo ftudio,& l'artefitio della locutione 41 per quel, che pare, chela natura voglia : conciofiacofachcli no 43 mi, & le parole altro non fiano , ch'imitationi : ne parte alcuna trà tutte le parti del noftro corpo humano è più atta,& più habi- 44 le ad imitare, chelaftella voce, da che vennero a comporli, & a nafeere, & haucre 1 clic re, più fpctie dell'arre della poefia , come 4j adirei Epica, le Rapprcfcntatiuc, Se altre. Et perche quantun- quei poeti molte volte diceuercofe, quanto alla fentenria, infi- pide,inette, Se di ncilun fucco, nondimeno per caufa dell artifi- tiofa, & ornata lor locutione, parcua, che reputationc, & gloria ne riporraflero . da quello nacque, che quella poetica locutione cominciale ad efler da prima accettata, & raccolta da gli Orato- 46 ri : fi come trà l'altre era quella di Gorgia. Et fino ad oggi an- cora non mancan molti imperiti, & poco gìadiriofi,iqualiap- pruouano cofi fatta locutione, & fon d'opinione,che quelli ora- 47 tori , che l'vfano, ottimamente parlino. Il che nondimeno no c cofi, ne per vero approuar fi dee > eflendo in natura loro molto diuerfe Jl TerZjO lihro . 2 ìp 48 diuerfc la locutionc oratoria,& la poetica locutione . Et ci con- ferma quefto l'efito della cofa, & 1 auucni mento fteflb , che n'è feguito . conciofiacofa che li Poeti medefimi nel compor delle lor Tragedie, non feguano d'vfar più quello fteflb modo di locu 4$ tionc, cn'vfaron prima : ma fi come qnanco alla mifura dei vcr- fi, hanno lafciato i vcrfi di quatro mi fu re, o ver d otto piedi, che Tetrametri fi domandano, Se in vece d'elfi han riccuuto i Iambi ci , per eflcrqucfta forte di vcrfi più di tutte le altre forti, accom modata, Se limile al commune,cV ordinano parlare fciolto; jo cofi parimente han difmellb, Se tralafciato tutte quelle parole, & modi di locutione,chepofian parer fuora del cófucto parlare, ji che communementc fi molcvfare. Et tutti quelli efquifiti ri- pulimenti di dire, han ributtato, Se ricufato , co i quali (bieuano eglin prima adornare le lor Tragedie, Se co i quali adornano an- j 1 cora oggi gli Epici Poeti gli diametri verfi loro . La onde è cofa ftolta ,& degna di rifo il volere in quella maniera di locutionc imitar coloro, i quali non Tvfan più , ma abbandonata, Se tra- j$lafciatal'hanno.Pcrlaqual cofa può ciìcr manifefto, ch'ànoi in trattar di queftarte, non fa di bifogno d'andar con minuta,^ efquifitadiligentia ritrouando. cV trattando tutte quelle cofe, ch'intorno all'artificio della locutione fi potrebber dire, ma quel le cofe fole, ch'à quefto retorico negotio,c'habbiam per le mani , /4 poflàno appartenere, eirendofi, per quel , che alla locution dei Poeti appartiene, detto a baftanza nei libri, c'habbiamo fcrit- 5J ti della Poetica. Suppongali adunque al prefente per manifefto quanto quiui fi e fpeculato , Se detcrminato . (apo 2. T^ella virtù della locutione oratoria 5 & delle condizioni, che le conuengono : ^ quai forti di parole fi ricerchino per tuli con- dizioni . della Metafora, & de gli 6t>ithe- ti, 0 vero aggiunti . I i^V Vanto allanoftra retorica locutione, intendali diffiniio al y 'prfffrrtr^ che la perfettione, & la virtù di quella, confi- 1 ftain dlèr primieramente lucida, o vero aperta, di che quefto ci E e ij può 220 'Della "Retorica d Aristotele può eder buono indino, che fc Toratione non mariifcfla, Se non rende chiari li concetti noftri, non viene a fare l ottino, &. I effet- 3 to Tuo. Se di poi confitte in eder non troppo luimile, abbietta , &vilc,nè troppo ancora alta, & gonfiata : ma di conueneuol 4 mediocrità tra l bado, Se l alto . concioliacofà che la poetica lo- cucione fi polla forfè (limar non humile; ma alla fciolta, Se dtde- j fa noftra oratione non è ella cóucncuole,o accommodata. Quan- to dunque a far la locution chiara, & aperta, quei uomi,& quei verbi fono atti, Se vtili principalmente a quefto, li quali proprij, o vero appropriati fi domandano. Quanto poi al renderla, no hu mile, & bada, ma ornata, Se magnifica, quelle altre forti di paro le, lo podbn fare, lequali fi fono aifcgnarc^cV: dichiarate ne i libri € della poetica : perciochc il difcoftarli dal trito, Se commune vfo 7 del parlare, fa parere il parlar più grande , Se più grane . perche quel medefimo par, ch'in vn certo modo accalcar foglia a gli huo mini intorno alla locutione,o ornata, o comune , ch'auemr luoL loro verfo di quei, che forefticri, Se nuoui vengon nella lor città, t Se de i lor Cittadini fteflì . Et per quello fi di bifogno di fare ap- parire il no (Irò parlare, con vna certa nouità foreilicro : polcia- che lccofe,chc dal commune vfoappaion lonrane,maggiore am miratione apportano; Se dilctteuolc, Se giocondo par quel , che f s'ammira. Ne i verfi de i poeti adunque a molte cole luogo, Se ricetto fi concede, le quali poflon cagionar la detta ammiratio- i o ne, & diletto ; Se ad elfi parer podbno accommodate,come che le cofe, Se le perfonc, intorno allcquali , la metrica orarion fi ra- i x uuolge,eccedino,cV rrapaffinol'vlirato,c l cómunc.ma nelle prò fc,& ne i parlari fciolri,nó fi da luogo a gran pezza a tante ; eden Il do qui ui i foggetti di minor grauità,& di minor grandezza . Im- percioche quiui ancora, appredo de i poeti (ledi , fe dalla bocca d'vn feruo,o d'vna perfona di molto tenera età, fi fenti ranno vfeir parolc,& locutioni.c'habbianoadai dell ornato,& del grade;par ràfenzadubiocofa molto difdiceuolc,& fproportionata,& il me defimo ancora auuerrà , s'alcun farà da loro introdotto a parlar con la medefìmapolitezza,& fplendordicofcfriuole, balìe, & vi 1 1 li.Ma in quefto (ledo parlare fciolto ancora,non (là fempre den- tro ai medefi mi termini, immutabilc,& fermo vno dello decoro; ma può ancora egli có maggiore,& có minore ornanicto,& gra- dezza riftringerc,& dilatare fecondo le occafioni, i confini (uoi . Ma fa Jl Ter&o libro. 221 14 Ma fa di mefticri , che ciò fi faccia in modo , che non appaia , Se alcollo rale artifìcio (fra; di maniera «ehe il parlar paia nó hnro,nè da Itudio, Se da diligcntia nato, ma paia per il contrario fcmplt- cc,& puro,& fecondo che la natura lo forma,& Io manda fuora. 1 5 percioche in quella guifa credibil diuiene,& fede truoua : doue 16 che in quella al tra maniera adiuien tutto'l contrario, conciolia- cofa che coloro,che d'vn cofi facto parlar saccorgono,fubico co- me inlìdiarore, & come che mefehiando il falfo col vero ingànar 17 gli voglin,rabborrilcon nó altrimenti, ch'abborrir fi fogliano i vi 1 8 ni có altro liquor mcfchiaii > & falfificati.Ec auuic crà quelli, ch'o nell'vno,o nell altro de i detri modi parlano,quel medelìmo,chc fi vede auucnir tra la voce,& pronùcia di Thcodoro,& quella de 1 9 gli altri hiftrioni, percioche la pronuciatió di Theodoro,pare,no d'Iiiftrionc,o di perlona,che rapprcfencijma della propria perfo- na Iccifa rapprclencara doucchcle voci, Se le pronutie de gli al- tri hillrioni,comed hiicrioni,cioè di perfone aliene, Se rapprefen 10 tati, fi fan conofeere. Etalhora potrà venir comodamente facto il già detto nafcódimenro,quado il parlarli formi, «Se fi cóponga co la fcelca,che dallo (ielTo parlar cómun fi faccia di quello , che mi- 11 gliorcinelfolicruoui.il che bene olferua di fare Euripide, Se è li egli llaco il primo,chà quello auuercico,& moftraco.Efscdoadu que i nomi,& li verbi quelli,di cui 1 oracione,& il parlar lì cópo- ne,& rrouadofi càce fpeciedi nomi,quà^c fi fono afferriate, & co- fideracc ne i Libri della Poecica.di quelle fpecie,& oornijli ilranie • ri, i doppij,& li di nuouo fatci,molco di rado, Se in pochi luoghi vfar fi deono.in quai luoghi, ÓVin quali occalìoni ciò fi polfafare, »3 dire più di focco.& la ragió di quello già di (opra toccato habbia mo;& e che có l'vfo di cai nomi , vien croppo vedo la parce della gràdezza a trapalTàre il parlare i termini del comune, Se dcll'vlìta 24 to.Ma li nomi,& le parole proprie,leappropriate,&: le mecafori che,o ver crafporcace,fon folamccc quelle,chc fono rtili,& accó- k$ modate alla locució del parlar fciolto. Et di quello ci puòelTer in dirio il vcdcr,chc quelle forci fole di parole fon da tucci nel lor co mun parlar frequaate,& polle 1 vfo: pofeiache alcu nó c,chc par Udo nó vii le metafore, & le parole appropriatele le jppncanco- x6 ra.Pcrlaqual cofa può clfer manifefto che s'alcù laprà bc fare, qua toauuertico habbiamo.in vn medefimo ccpoil parlar fuo,col ino ftrarfi alquanto forellic/o,fchiueràl humil baiTczza,nafcódcrà lo arci- 222 T>ella Tlgtorica d* Artttotelcj artifìtio della Tua grandezza, Se farà finalmente lucido , &aper- 27 co : nelle quali condicioni già habbiam detto confifter la virtù a 8 della retorica locutione . Sono trà le parole, quelle, ch'equiuo- che fi domandano, a iSofifti vtili, Se accommodate, come a quel li, che grandemente fi feruon d'elle nelle lor fallacie, Se ne i loro inganni. A i Poeti poi vtili, Se domeftichefono quelle,ch'vgual- |0 mente lignificando vna ftcflà cofa , finonime fi domandano. Se intendo io parole proprie, Se finonime, come farebber ( per cf- fempio) andare, & caminare, eflendo ambidue quelli verbi pro- 31 prij, Se finonimi fràdiloro. Hor che cofa s'habbia da intende- re oflcr ciafeheduna delle dette forti di parole , Se quante fperic di trafportamcnti, o verdi metafore li ritruouino ; Se che effe metafore fiano di fom ma efficacia, & forza,& ne i poemi,& nel- le orationi,fi e dichiarato (come già di fopra habbiam dctto)nc i 51 Libri dell'arte poetica. Et tanto maggior fa di meftier che fia nell'oratore la diligentia, Se lo ftudio intorno all'vfo delle meta- fore, quanto che di minor copia d'aiuti, Se rimedij da ili u (trarli ha l'oratione, e'1 parlar fuo, chcnonhàlalocution metrica dei 33 Poeti. Oltra che la metafora mafllmamente ha in fe del lucido, o ver'aperto,hà del giocondo, Se hà del forcm'cro, Se del nuouo, 3 4 Se è tale in natura fua, ch'vfata elfer non dee, come tolta da altri, }) ma come nata dall'ingegno rtcfio di colui , che l'vfa. Horci fa di bifogno che gli Epitheti, o ver'aggiunti, Se le metafore fi prcn ' dano, Se fi dicano in modo, che quadrino , Se conuenientia tcn- 36 gano. Se quello auuerrà facilmente alhora,chc da proportion de 37 pendano. Il che quando altrimenti fufle,vcrrcbbe maggiormc- te adifcopritfi ladifconueneuolezza , Se ladifcrepantia, pofeia- chc le cofe, c'han qualche oppofition trà di loro,alhora fi fan maflimamente conofeerc, quando l'vna appretto l'altra fi pongo 38 no in parragone. Bifogna dunqueauucrtire,& confiderar,chc fi come a vn giouinctto , Se fanciullo ftà bene il veftir di color di 3 j porpora j cofi a chi fi truoua nell'età fenile, conuiene,& quadra qualch'altro colore, non eflendo ali vna, & all'altra età diceuole, 40 Se conueneuoleil vcftir d'vn colore (tettò. Medcfimamente fi dee notare, che s alcun vorrà dar lode, Se recare ornamento coi parlar fuo, douerà prendere, Se trar le metafore da quelle cofe, che (otto di qualche genere , faran le migliori, Se le più nobili, che in quel fi comprendano : Se dalle peggiori per il contrario , Jl Terzj) libro. 41 Se più vili, s'egli infamia, & biafmo vorrà recare • vogliodir (per eflcmpio)ch'cflcndocomprefe folto d vno ftedu genere, co- me cofe in maggiore, o minore honcltà oppofte, il dir, che co- lui, che và mendicando fi raccomandi, Se il dir,chc colui, che fi raccomanda, vada mcndicandojeilendo cofi il mendicare, come il raccomandarfi, fpetie contenute fotto'l chiedere* o ver doma- dare, fi potrà col pigliar l'vna per l'altra, fare agcuolmente quan 41 to habbiam detto . Si come fece Ificratc in chiamar Callia Metra girte (ch'importa appretta di noi, mendicante, o ver Limofina- rio) in vece di Daducho ( cioè ceroferario, o vogliam dir, porta- 45 tor di face, o verdi torchio) . Madicca Callia,ch'Ificratecofidi cendo, moftraua di non ch'ere inftrutto nelle cerimonie di quei (aeriti ri; : perche fe inftruto ne futfe, non lo chiamarebbe Metra 44 girte, ma Daducho , emendo ambidue qucfti nomi contenuti ìotto'l nome d ofiitio, Se di minifterio nel facrificio della gran madre Dea , ma 1 vno honorato, Se honefto, Se 1 altro vile, Se in- 45 fame. Mcdcfimamcnte coloro, che da gli altri cran chiamati adulatori di Dionifio, chiaraauan fe ftcflì per ricoprir la bruttcz zadell'adulationc, artefìci,o ver macftri di quello .li quali nomi fon ambidue metaforici, ma l'vn trafportato da cofa fordida , & 46 brutta, Se l'altro per il contrario da cofa honefta . I Ladroni an- cora, Se predatori, per ricoprire in parte l'ignominia del lorocf- fercitio, foglion nominar fe ftcìE bufeatorùo per dir meglio, prò 47 cacciatori, oguadagnatori, che vogliam dire . La onde per U me- defima ragione fi può chiamare il peccato per malitia , peccato 4.2 per errore, Se il peccato per errore, peccato per malitia . Et di colui, c'habbia veramente furato, fi può dire, Se c'habbia prefo, 4^ Se c'habbia rapito . Ma quello, che Tclcfo apprciìo d'Euripide dice di coloro, i quali remauano, o ver vogauano, ch'efiì figno- reggiauano,& imperauano a i remi, per delccndcr torto nella Mi ila, ha del difdiceuole, Se dello fproportionaro, pofeia ch'il do- minare, Se vfar regio imperio, eccede di troppo più, che non có- uiene, il vile ellcrcitio del remare, o vogare, che vogliam dire, 0 Onde non può pallàr nafeo fio l'arti fi tio di tal metaforica locu- 1 tione. Può ancor cadere oltra di quefto nelle metafore errore intorno alle ftclfe (illabe^uando nelle parole, douefi truouano, l non dieno inditio di dolce, Se di foauc voce, nel quale error cad de (per ch'empio ) Dionifio , per cognome Chalcco , chiamando nei 2 24- tDel/a Hgtortca d* Arìttotelcj ne i fuoi clcgi verfi la poefia, ftridor di Calliope , cflendo ambe- due quelle cofe voci, come che comprefe dalla voce fiano , come 5$ da genere . Laqual metafora fi vede eller di ferrilo la, non conte- nendo ledetreduc voci,cioè la pocfia,& lo ftridore,ne i lor figni 54 ficati,fomigl»anza,o con uenientia alcuna. Appretto di quello nd conuicn nelle metafore trafportar le parole molto da tòtano, ma da cofe,c*habbian congiugnimene, Se quali parentela con la co- fa, che lignificar vogliamo, Se fian quafi d'vno (letto genere, o di 55 vna ftella fpctie con quella, nominando le cofe in modo,chefubi to,che la cofa vien proferita, appaia a chi ode manifcfta la fua có- 56 uenietia,& fomiglianza . come fe ne vede ettempioin quel famo- 57 fo,& tanto approuato Enigma, che dice , Io hò veduto huomo, il qual con fuoco incollaua fopra d'vn'altro huomo il rame, nel quale enigma s'efprimel appiccamene, che fi fa delle venrofe,iI qual non ha proprio nome, chiama dunque incollamento lap- 5$ piccamene delle ventole, ettendo coli l'vna, come l'altra di que- 55? fte cofe, accodamene. Ec in fomma dai ben formati enigmi fi polTbnp rendei e, Se trarre eccellenti, Se lodate metafore: pofeia- che cflendo le metafore quelle, donde fi forman quelle oleine propofte, ch'enigmi fi domàdano, appar manifetto, che ne i buo io ni enigmi con lodate metafore fi fia tralportato . Oltra di q netto fa di meftieri, che le metafore fi prendano, cV fi portino da cofe , che habbianoin fedeli bonetto, Se non contengano in fc bruttez fi za. Et la bellezza, Se bontà delle parole, fi come ancor la brut- tezza, confitte primieramente nelle due cofe, ch'aflegna loro Li- Ci cimo, cioè nel ! non della voce , Se nel lignificato . ma vna terza cofa di più è loro ancor neceflaria a quetto, con la quale fi può di feioghere, & render nulla quella argomentarion fallace , che fo- 6j gliono i Sofifti fare, conciofiacofa che vero, & ben cóclufo non fia, fecondo che Brifon voleua , che bruttezza nò fia nelle paro- le, uè fia alcuno, eh e fozzam ente parli, lignificandoti, Se dinota- dofi o con quefta, o con quella parola vno ttcflb foggetro, & vna 64 fletta cofa. Ma quella ragione ha infedcl fallo: pcrciocherrà due parole lignificanti vn fogge te ftcttb, l'vna più appropriata farà, Se più fomigliantea quel foggetto,che l'altra nó c,& più ac cómodara, Se habile a rapprefentarlo , & a porlo quafi dinanzi a gli occhi. Oltra che fe ben lignificano , Se dinotano vn medeii- rao foggetto, nicntedimanco nó cofi l'vna parola , come l'altra Io fieni fica Jl Ter z,o libro . ì 22j €6 lignifica nel medcfimo, o ver fomiglianre modo, di maniera che perquefta cagione ancora l'vna parola più honefta, opiù brutta, che 1 altra li può (rimare . peroche qualunque amheduc le parole (lenifichino vna ftellacofa honclh, o vna (Iella cofa brutta; tutta- uia nó ambedue la lignificano in quanto honcfta,o in qtuto bruc 68 ta,ofepur tal bruttezza , o tale honeftà denotano , non fan ciò 6p vgualmentc, ma l'vna lo fa più , & 1 altra manco . Le metafore adunque han da elfer picfe, o ver dedotte da cole, c'habbian del- 70 l'honeftojdel vago , & del bello ; o quanto al fuon della voce , o quanto alla virtù , cV potcntia loro , o quanto al fenfo del vede- 71 re, o ad alrro qual lì voglia fenfo : concioliacofa che non piccola ditfciéiia li a dal didurla più nell'vno, che nell'altro de i detti mo- di, come, perellempio, meglio fi dirà, l'Aurora rododattila, (cioè che ticn le dita di rofe) che non fi dirà, l'Aurora Fenicodac- tila,'cioè che tien le dita di porpora) &c peggio ancor fi direbbe, 71 l'Aurora erithrodattila (cioè,che tiene le dita rotte) . Negli Epi- theti ancora, o vero aggiunti , fi può trafportar quello aggmgni- 7 5 mento, nó folo da cole poco honefte, & da cofe fozze ; come fa- ri 1 (perellempio ) l'epithetodi matricida; ma ancor da cofe mi- 74 gliori; come (aria l'epirheto di vendicator del padre.Et Simoni de parimente, mentre che vidde, che colui, c'haueua conlcguito con le fue mule vittoria, gli offeriuanon degna merccde,ncequi- ualenre prezzo , non volfc co i verfi fuoi celebrarle : allegando , ch'indegna cofa gli faria paruro di fare, in fpcnder fuoi vedi in lo 75 de di quelle mezalìnc. ma come prima gli parue,che colui gli of- fertile conueneuol prczzo,poetizò in lode di quelle, comincian- do in quella guifa. j6 'Ben trattate* & pafeiutes Siate molti , & molti anni , 77 Di veloci Caualli inclite fi$lic_j; Ec non dimeno eran figlie 78 parimente d'aline. Puom" ancor fare ilmedefimo effetto d hone- liare,& imbruttir le cofe, col diminuir de i nomi, qual diminu- itone è quella , cheftenua , 6c fa parer minore il male, e l bene; 79 come mordendo, &cauillando via di fare Ariltofane in quella Coinedia, eh egli domanda li Babilonij : quando in vece d oro, dice, oretto, o vero oruccio ; in vece di ve Ite, verticali ola ; in ve- ce di reprenfione , reprenlìoncella ; in vece di malattia, malat- 80 tiuccia. Bene e vero che fa di meilierid'auuercire, & d haucr F f diligente 22 6 'Della ^Retorica d'^friftotelcj diligente cura, che nell'vfo d'ambedue quefte cofe,cioc cofi dcU le parole aggiunte, come delle diminutiiic , conuencuol medio- crità s'offerui. £aj?o 3. c Della fredderà, , overoìnetteT^a* & defetto della locutione oratoria : & quan- te* &. quali fìan le oc cafoni, onde e Ha najea. I UyJ=^Q Vatro fon principalmente le cofe , che poflbn come cau fc render fredda & inetta, lalocutione* Vna caufa conlifte nelle parole doppie, o per me- glio dir, compofte; fi come fc ne veggono cilempi in Licofrone, quando dice il molti/òrme, o ve- ro il moltiuolto Ciclo; la grandimon te terra langufticallc, 4 o vero ftretticalle litto . Gorgia ancora chiamauajmendicimufi, gli adulatori , & vfaua quefte parole falfigiurante , & vcrigiu- 5 rante. Se Alcidamantc dice, egli con l'animo colmo d'ira, & con la faccia colorifuoca . dice ancora, ei fi penfaua , che quel- la ior così gran prontezza d'animo hauclie da elTer fruttipor- tante. medclimamente la permasone dell oratorie orationi,fo- leuacgli chiamar rerminifera, ovogliamdir finifera: &la pia- nura del mare, coloricerula. Tutte le addotte parole adunque fono- accommadare alla poefia, perlacópofitione, & doppiez- za, che fi truouain elle. Et quella e la prima caufa della freddez- 6 za della lodinone. Vnaltra caufa e poi, laqual confitte nell'vfo 7 delle parole ltranierc, ouer peregrine, fi come l'vsò Licofrone chiamando Serie, huom pelorio (parola, che ftraniera in Athc- ne figniricaua huom di 1 midi rata gtadezza) Scironc ancora chia- mò egli,huoma finmo, (cioè adognvn molefto, parola pur qui- 8 ui lira mera.) A lcidaman te parimente chiamò la poefi*,athirma (cioè giocofa,) dille ancota I Arallhaliadclla natura (riocil pec- cato della, natura) &c volendo dire d'vn, c'haucua l'animo da vn mero furor d*ira punto, per efprimeret il participio, punto, vsò la parola, tethegmenon (parola, lì come 1 altre due precedenti ftraniera in Attiene). Laterza caula della fopradetta freddeza ftà porta ne gli Epitheti, quando, o come troppo lunghi, & trop- po da lunga piefi, o come fuor di tempo, & (enza bifogno porti , o final. i 3 Jl Tcrzj) libro . 227 • finalmen re come troppo frà di lor frequenti, Se inculcati, s'v- 10 fano. conciofiacofa che apprcllb de i Poeti nò difeiica il dir (per crfempio (il biàco latte, ma nelle oratorie orationi,alcuni di così 11 fatti epitheti fon, come vani, difdiccuoli , & alcuni fe confa- tieuol foprabbondantia s'inculcherano, diucrran rcprenfibili, come che troppo fcuoprano,& manifcftino, ch'alia poefia cóuc 11 gano. Perciòche fe ben conuiene all orationc l'vfo deflì epithe- ti (pofeiache vengono a dare vna certa apparenria cTafpctto forc- ftiero alla locutione,& a trarla alquàto fuora del cómune,& dcl- 13 l'vfitaco.) nientedimeno biiogna tentar di fir quefto co medio- 1 4 crità, 6c mifura. conciolìacoia che maggiore error fi farebbe in traboccare in ciò fuor della douuta mifura, che non Ci farebbe, fe (conlìderatamentc fidicclfe quel, che prima a cafo veni ile in 15 bocca: perche la cafual locutione non ha il bene,che le conuie- 16 ne, ma la troppo ornata ha il male, che le difeonuicne . Et per qnefta ragion gli ferirti d'Alcidamanteappaion freddi, & inetri» pofeiache ci non lì feruede gli Epitheti, ouer'aggiunri, come dì condimento delle folidc viuande ; ma gli vfa come viuande ftef- fe, così frequenti, & inculcati, così lunghi, & così aperti, & per 1 7 confeguente vani, gli pone in vfo. Perciòche (per ciìempio) no 18 dice egli,i 1 fudore, ma l'humido, o vero il molle (udore; nedi- 19 ce, agi 1 ! fth mij, ma alla pompa, &folennità de gl'I fthmij; ne di- io ce le legej, ma le leggi regine delle Città, parimente non dice, li il corfo dell'animo, ma il corrente impeto dell'animo, ne man- co dice fera pi i cernente, ilMufeo(per fignificare quel luogo in Athene dedicato alle Mu(e,& alle lcicntie)madiceilMufcodel- 11 lanatura. medefimamentc non dice, le cure dell'animo, ma le 13 pungenti, & trifte cure dell'animo, nè dice il largitor delle gra- 14 tic, ma il d'ogni gcncr di gratie vniuerial largitore, diccancora 15 ildifpenfator del diletto degli afcoltatoii. de in vece di dtrc,l a- 16 feofe trai rami, dice Tafcofe tra i rami della lelua. & in cambio di dire,gli coperfe il corpo, dice, eli coperfe le vergogne del cor- 17 po. & in vece di dir, la concupifeentia, dice la contrarintiua, o* uer la contra imitatrice dell'animo concupifeentia, in che con- corre infieme, l'elfer parola doppia, con 1 ellerc Epitheto, oucr iS parola aggiunta, onde poetica locution diuiene. Inqucita ma- niera adunque c'habbiam veduta, veniuan coloro a trouare, o- uer cagionare eccello di vitio nell'orationc. Onde pai Lindo più % Ff ij tolto 2 2 S *Della "Retorica  torto comodo poetico, venerper mancanza di decoro, & di con- 11 cneuolczza, a render ridicola, & fredda la locutione, & in vno lì elfo tempo a cagionar con quel moltiplicar di ciancic,& di pa- ip rolevane, oicurczza prù torto, che lucidezza., perche intefa che gli hà la cola ch'ode, colui, eh alcol ta, ciò che per più manife- llarglielaglis'aggiugne, deftruggc ofctiiando,& ditóni ba in erto 30 quel, che già prima, di manifelto, & dinoto vi truoua. Ne/i dee negar,che gli huomini nel lor parlare ordinario nò vrtno al- le volte le parole doppie, ouer comporte, ma ciò fanno, quando la cola, che voglion lignificare, non habbia nome fempliccjche fia fuo, &oltraciò le parole, eh iniieme Ci congiungono, fiano atte a far facile,& comoda compofitionc : comeadiuien (per cf- lempio) in quella parola, chronotribin, che lignifica ,coniuma- 31 re il tempo, ma è ben vero, che fe ciò troppo frequentemente li 32 facelle, farebbe al tutto diuenir la locution poetica. Et da que- llo nafee che le parole doppie, &: compoftelono vtiliflìme ai poc ti Dithirambici, com'a quelli, a cui non difdicc di procedere al- 3 3 ti,& gonfiati ne i verlì loro. Le parole ftranierc poi quadrano , & fono vtili principalmente a i Poeti heroici, feguaci dell'Epica 34 poefia, per haucr tai verfi in fe del grande,& del magnifico. La metafora finalmente fi vede clfer più, eh ad altri verfi, a i Iambi- ci accomodata: cllendo nei tempi nolìri quella forte di verli ac- 35 cettata,cV porta in vfo, come di lopra fi e detto . La quarta cau- fa dell'inettezza, & freddezza della locutione, depende dall'vfo delle metafore : polciache ancor tra erte fogliono alle volte tro- 36 uarfi di quelle, che fenza conucneuol decoro fono, alcune per cagion d'vn non sò che di ridicolo, & di vile, che le contengo- no ; folendo i Cornici poeti leni irli aneli erti delle metafore nel- 37 le lor comedie. & alcune per il contrario per cagion d'vna certa 38 gon fiat» altezza, & grau ita tragica. Pollonoancora elfcr defet- tuofe,& cagionar freddezza le metafore, per troppa o (cu rezza :& 3$ alhora adiuien, quando troppo da lontan liprendooo. come (per ertempio) la prefe Gorgia, chiamando alle volte li negorij 40 pallidi, Se alle volte fanguinolcnri : & altra volta dicendo, Tu bruttamente feminafti quelli tuoi negotij, & bruttamente gli gli hai poi mietuti. Le quai metafore non è dubbio, che troppo 41 del poetico in fe non ritengano, li come auuiene ancora in quel- le, eh' via Alcidamante, quando chiama la Filolbfia, propugna- colo, Jl lerZjO libro. 22 941 co!o,&: baftion delle leggi ; & l'OdilIea lucido fpecchio dell'hu 4$ mana vira. Se quando dice, Nellun coli fatto giuoco apporta al- 44 la poefia; nominando giuoco il diletto . Tutte quelle metafo re adunque fono atte a render la locution poco habile a perfuadc- 4 j re, per le ragioni, diedi fopra alìegnatc riabbiamo . La metafora ancora, laq itale vsò Gorgia conerà d'vna Rondine, che nel volar gli haueua fopra la tetta iafciaro cadere ilerco ; farebbe ftata ec- cellcntiilìma per vn Poeta tragico, perciochc le dille, ah Filome- na, quelto è ftato vno atto a te poco nonetto, il quale atto ctten- do fatto da vno vccello, non li può domandar brutto,o poco bo- netto ; ma farro da vna Vergine, poco nonetto fenza dubio fi dee (limare. Buona adunque, & ragioneuol diuenne la riprenfion di Gorgia, nominando quello vccello per quello, ch'era già ftato, &non per quel, ch'eraalhora. (apo 4.. 'Dell' Immagine, 0 'ver Comparata- ne : (f della dtffèr enfia j & conuenientia , ciò ella tiene con la Metafora . 'Immagine, o ver comparatone , è ancora ella non altro in fottantia fua, che metafora ; poco ef- fendo differente da quella. Imperciochc quando alcun parlando d'Achille diccflcegli impetuofo veniua comevn Leone, farebbe vn coli fatto di- re, Immagine : 6c fc fi dicette, impetuofo venia quel Leone, faria metafora . peroche ellcndo coli in Achille, come nel Leone , fu- rore, 6c iraconda forrezza,fì vien trafportando a chiamar col no- me di Leone Achille.PolTbn le immagini accommodarfi,& ef- ferc vtili al parlare oratorio ancora : maalquanro più di radeco- me quelle, c hanno aliai del poerico . & nella medefìma maniera s'hannoda trafportare, & dedurre, chele fteiìe metafore; non ellcndo elle altro in vero , che metafore 1 , differenti da quelle nel modo detto . Sono adunquele immagini ( per ch'empio ) come quella, ch'vsò Androtione contra d'Idrico, dicendo ch'egli era li milea quei cani, ch'elìcndo ftati buon tempo in catena, fciolti fi nalmcnte ne fono, percioche fi comcquelli, fciolti che fono mor don qualunque perfona venga loro innanzi , cofi Idrico vlcito di carcere,2 30 Della Hgtorica d!Arittotelcj 7 carcere, e diuenuto infoiente, & molcfto a tutti. Et come quel- la ancora, laqualc vsò Theodamantc alìomigliando Archidamo 8 a Eulfcno, ignudo, &c priuo di Geometria . Et fi può parimente con cambieuol proportione vfare, chiamando Euifcno Archida- £ moin Geometria perito . Coli fatte metafore ancora fi veggono nella Republica di Platone: douc egli aifomiglia coloro, che fpo gliono i corpi morti, a quei cani, che mordono i laflì,chc/on ri- to rati loro,& a color, che gli tirano non fan danno alcuno . Vn al- tra vene, douc parlando egli della popolar moltitudine, dice ef- fer quella fi mile advn gouernaroroi naue, chefiarobufto di for il ze, ma mezo fordo .& quella altra ancor,quando in propofito de i verfi de i Poeti, dice, che fon fimili a quei giouinetti,che fen za hauerfolida, & foftantial bellezza hanno folamente , vn nò fo che di fiorita vaghezza, che porta quella età . percioche come pri ma perdon qucfti quel primo fiore, «Se quelli reftano dalla lo- ro harmonia , & mifura fciolti , nonappaion più ne gli vni, ne il gli altri, i medefimi, chappariuan prima . Mcdelìmamcnte Pe- ricle parlando de gli habitatoii detllfola diSamo,gli alTomi- giiauaai bambini, ì quali non ricufan di prendere il cibo, eh è i 3 porto loro in bocca, &: mentre che lo prendon piangono, diceua ancora eflere i Beotij limili a i Lem : conciofiacofa che i Leui da fe tteflì co i rami loro fi perqtiotano, & fpezzino ; & i popoli di Beotia nó celli n di contrattare , & combattere 1 vn con tra l'altro 14 fempre . Demofthene parimente- aifomiglia il popolo , o ver la moltitudine della Città a coloro, che nauigando paton continua 15 naufta. Et Dcmocrate diceua eflcrfimih gli Oratori alle nutri- ci, lequali fucchiano,& inghiottifeon per  compagnia con elio mi parti), nelle quai parole fi vede, che più particelle s'interpongono prima, ch'ai fin fi renda quello, che vi safpetta. 2 $2 'Della r R^tortca cT j4rìttotelt^> 10 s'afpctra. & Te cofi fatra i nrcrpofitione fi ftcndclfc molto in lun- go, prima che fi rendefle il verbo (mi par ri;)fcnza alcun dubio 11 ofeura ncdiucrrcbbc. Quello è dunque lapri ma cofa nccellària alla purità della locutionc, polla nelle particelle congiuntiue, o li congiuntioni, che le voglia in dire. La feconda conlille poi in nominare, & lignificar lecofe con gli fteflì fcroplici, Se ignudi nomi loro, & non per modo di circonfcrittioni, & di delcnttio- 13 ni. La terza ricerca apprendo, che nella locu [ione fi fugga l'ambi 14 guità. & le dettecole han da ellèr fempre oflèruate ; fe già le co- lf trarie di quelle con detcrminato conligho non fi eleegelfero. il che far fogliono alcuni, quando non J unendo cofa che dire, vo- 1 6 glion pur parere, & inoltrar di dir qualche cofa. Et co fioro in far ciò vengono a far parer la lor locu non poetica : &c tra 1 poeti fa 17 quello malli inamente Empedocle, conciolìacofa che quel cir- cuito, & giro di parole, che troppo abbraccia, agevolmente in- 18 ganni : accafeando in quello a gli afcoltatori quel, che fuole ac- calcare a molti, quado in odiie gl'Involtini, & pronofticatoti del futuro,fenton dir le cofe ambigue,& dubbio(e,& in anfibologia raccolte: che fc bc nó le intédono,dàno nondimen loro alfenlo. j 9 vna così fatta locution fu quella, Ci clo pallàio il fiume Hai 1, a vn 20 regno opulcnriflìmo da ri fine. & acciochc manco polli apparir l'errore,& la falfità delle lor predizioni, per quella ragione han per co fin me quelli, che predicono, & pronolticano ilfuturo,di 2 1 dir le cofe fempre più in genere,& in vniuerfal,che pollone po- fciachencl giocare al paro, & imparo, o verdilparo, o caffo che vogliam dire, puòfacilmente pi 11 indouinar colui, che pronun- tia paro, oche pronuntia imparo, chequell altro,che più al par- li ticolar venendo, a fpecifico numero voglia determinarli. 6c più farà parimente per indouinar colui, che dirà la tal colà hauere ad ellère, che chi fpecificando il tempo,dirà quando la fia per ef (ère. & di qui è, che gli oracoli, & gli indonnii, non determina* 13 no nelle lor predittioni il quando. Tutte querce locuhoniadun 14 que vna fomigliantc ambiguità coregono , & per quella cau la (chinar li dcono, fc già per qualche fine a iòmmo ftudio non lì 2j eleggcllcro. La quarta cofa vtilc alla purità della locutione ftà pofta in dillinguere i generi de i nomi, fi come Protagora gli 1 i- ibn^ucua in mafcolini,feminini,& neutri: pofciache cobi lacti ge %6 Ben ancora, fa di bilogno, che quella conucncuolczza nel par- lar lar fi rendano, Sz s'allignino, che fi dee loro : come (per eHeui- 17 pio) dicendo, ella venuta chetò, Se fatia di confabular, lì par- 1$ ti. La quinta cola finalmente (là collocata in bene efpnmere nelle paro!e,la pluiitàja pochezza (cioè la dualità) & la (ingoia- mi, o per meglio dire vnità delle cofe. come (per ch'empio) di- 1 cendo, eflì amuati, dicderdclle battiture. Hora vniucrlaimen 30 te parlando q uelle cofe, che fi dicono^o lì fcriuono,fa di mcllie- ri, che fiano ben legibili, Se ben proferibili, che l'vna di quelle 3 t cofe, non puòftar lenza l'altra, & mal potrà quello auuenire in quella locutione, doue molte congiuntioni, o vogliam dir con- giuntine particelle, implicate, & moltiplicate (i troueranno: 5 1 ne ancora in quelle, doue diffidimele lì potran conolcerc le ÌQr tcrpuntioni, Se dillintioni trà parole, Se parole, per meglio in- 3 3 tender' li (entimemi, li come fi vede auucnir nelle co(c,che fcrif Ce Heraclito: concioliacofa che fatica lia di puntare, A: diftingue re gli feri tri fuoi, per non li poter chiaro vedere in clTì con qual parte, o con quella che fegue, o con quella, che precede, fi deb» 34 ha comporre, o adattare qual fi voglia parte, come (perclTèm- pio) li vede nello Hello principio dell'opera, doue ci dice, Della diuina mente,chc nel fuoeficr li con ferii a e li lìen te (empre inca- paci, & incomprenfiui fono gli rinomini. Nellequai parole non li vede ben chiaro con qual parola s'habbia nel puntare a congiu gnere la particella femprc, cioè ocon efiftente, o con incapaci. 35 Olrra di quello fi cornette nella location foleci Imo, o vogliam dire, incongrua, & imperfetra politura di parole,ogni volta eh a due, opiù cole, che rcfpondentia d altre cofe ricercano, non (ì rende aciafeheduna la(ua correfpon dente : le già non Ce n'an- dalle loro vna, ch'ad ambedue comunemente s accomoda Ile, Se $6 quadralle. come per elfempical mono, Se al colore 1 cllcr vedu ti non cconimune, ma l'eller lentiti, ad ambedue cómunemen- 37 tequadra. Apprcllo di quelìo ofeura, Se poco manifclladiuicn Ja locutione, quando occorrendo d hauere a congiugner molte parole pervn fentimento principale, non fi pon verlo l princi- pio la parte , c ha da chiuder quel fenrimento, ma tutte quelle 38 parole s'interpongono nel mezo tra'l principio,  eh abbia io. Ce del brutto, Se dellabomineuo- le, fcciò farà pcrapparir maggiormente con fa divininone, farà bendvfareil nome Se fc per il conciario farà per apparir pio 6 la bruttezza col nome, doucrà prenderli la diffinitione . Vtileè ancora all'ampiezza della locutione, il rcderla lucida, Se manife- llacon le mcrafore, &con gli aggiunti, pur che s'auuertifca, & fi guardi di non entrare in hi quello dentro ai confini della poe- 7 ila. Giona parimente alla medehma ampiezza, & grandezza, il nominare vna cofa, come fé la fulfe non vna,ina mo!te,come fo- 8 gliono fpefloi poeti fare; dicendo per cflcmp!o y gli' Achaici ? porti, intendendo nondimcnovn porto folo. Et quell'altro Poe- ta dice, in tendendo d vna fola lei ttra, ot;cro epi (loia, quelìc Ict- 10 tcre piene di lamenti, Se di pianto . Reca oltra quefto alla già detta ampiezza giouamento ancoraci feparare alle volte co qual che particella vn nome da vn'altro nome Tuo aggiunto: come 1 1 auuerria dicendo,la conforte la no (tra. dotte che fc vorremo ha- tier più alla brcuità,ch'all'ampiezza rifpctto, diremo, la confer- ii te noftra.. Giona oltra ciò alla detta grandezza il ligare alle vol- te le parole con la particella copulatiua: li come per il contra- rio rio alla breuità e vtilc il dir fcnza così fatte eopulationi, pur che i j non redi la locution dilciolta, Se dilfoluta in tutto, diremo a- dunque per ch'empio, a ingrandirla, Se vi andai, & t>arlai con elfo. Se pcrcagion di breuità diremo, Andatoui parlai conef. 14 fo. Vtihilìmo ancora alla medefima ampiezza della locutione, fi dee ftimare l artifitio, ch'vfaua Antimacho inalTegnare alle cofe, per mancanza ch'elle habbian d'accidenti, le priuationi di quelli, che le non hanno, il che fa egli quando parla del colle 1; Tcumelfo in quei verfi, che cosi cominciano, S ergequiuivn itf certo picciol ventofo colle, Se quel, chefegue. Et fi può con 17 quello artifitio ingrandir la locutione, quali ch'in infinito. Se ciò non folo nelle cofe buone, Se che lodar fi vogliono ; ma an- cor nelle cattiue, che a biafmar s'habbiano : alfegnando loro , cofi alPvne, come ali altre, le priuationi delle qualità, che non fono in elle, fecondo ch'il far più l'vna cofa, che l'altra ci farà 15 vtile. Et daquefta maniera d'aitifitio hanno prefo occafionc i Poeti di dedurre, Se formar di nuouo parole priuatiuc: come pcrelfcmpio, chiamando il canto vocale, con cento accordo,cioc lenza corde, Se aliro, cioè fenza lira, formando le parole col mc- 1? zo della priuatione. Et è atta quella cofa a portar lode, & va- ghezza a quella forte di metafore, che diproportion fidoman» 20 dano: come farebbe in dire, che il fuon della TróbafuiTe vn fuo* no, o vero vn canto aliro, ciò fcnza lira • (apo 7. *Del Decoro della locutione oratoria , & quante, £tf quali fiano le conditioni , le auuertentie , che per Jua cagione fi ricer- cano . qual fìa la locution proport tonata > quale la cottumafa 5 & qual la' Pathetica , 0 vero affettuofa . » •■] m»L 1 S*j^^3EcoRO fi potrà dire, c habbia la locutione oratoria, j j^ )quana 0 la farà pathetica, (o voglia dire,bcne efprcfliua gj^^B d'affetti) quando la farà coltumata, Se quando alle cofe 1 loggette, delle quai li tratti, farà cóformc,&: proportionata. Pro- G g ij portionata 2$f- T>eIIa r Retorka d'Arttlotelz^ portionara primicrameic farà ella,quando delle cofe ampie,gran di> & magnifiche, non fi parlaràcon Itile, Se maniera humile, àc vile : riè delle balTe, picciolc,& vili, co maniera graue, fplcdida, | cVgrade. Et quando parimele ad vna parola d'abbietto, humil fignificato, non fi darà ornamento, Se compagnia di parola, che maieltà habbia, Se grandezza . peroche quando quello fi facefie, 4 verrebbe ad apparir comica locutionej come era folitodi far Cleofone,il qual moire cofe diceua fimili a chi dicerie li vencran- $ di fichi . Pathctica, o vero cfprelTìua d'affetti la locution farà, fe hauendo ella a moftrar,chc fi lìa riceuuta contumeIia,farà efpref 4 fina, &e piena d'iracondia : Se fe hauendofi a far mcniion di cofe, c'habbian dell'impio, Se del brutto, lì diranno con vna certa in- degnationc, ftomaco,& naufea,& qua(ì sforzatamente, Se có ve 7 recondia. Scper il contrario con vna certa apparente lctiria d a- 8 nimo, fe di cofe honorate, Se lodcuoli fi donerà parlare . Se le co femiferabili, Se calamitofc, con vna cena liumiltà, Se iommiflìó d'animo fi proferiranno. Se il medeiimo intender fi dee dilcorré- 9 do per gli altri affetti . Et ha in vero gran forza vna cofi propria- mente efpreflìualocutionc a procacciar pcrfuafibilità , creden- 10 za,óc fede alle cofe. peroche elfendo notoagli afcoltatori , che per il più le perfonc, che ii ritruouano nel tale affetto, foglio par- lare in quella maniera, che fenton parlar roratore,concludon có falfo fillogifmo nell'animo loro,chc tale affetto lìacò verità pari- 1 1 mente in lui . di maniera che fe ben non è veramente la cola nel modo, the l'orator la moltra, o la dice, cglin nondimeno fi dan- ii no a credere, che cofi fia . Et pare che foglia fempre chi ode fen- tirfi in vn certo modo commuouerc, implicarli , Se diuenir par- tecipe di quello ftelfo affètto, ch'egli (limi elitre in colui , che pa- theticamenre parla, ancor che veramente non vi fia,& non fia ve 13 ro quel, ch'egli dice. Onde molti oratori foglion cofi commuo- ucre, Se perturbar d'affetti color , che gli odono , che ftupidi , Se 14 quafifuordi fe fpauen tati gli fan reftare. Coftumata locution domanderem poi quella, la qual come con inditio, Se con fègno i coftumi moftra, folendo feguire a ciafenn genere, òv a ciafeuno ij habito, locutione ad elfo appropriata , Se accommodata. Et per genere intendo io, fecondo l'età, come a dir fanciullo, d'età viri- le,5c vccchio-,fccondo'l fedo, come a dire donna, o h 11 omo; fecó- 16 do la nationc, come a dire Laccdcmonio, o Thcllalo . Per habi- ti intcn- J l Ter ZjO libro. 237 ti intendo io poi quelli, Hai quali può chi fi Ha denominarti nel cale, onel tal modo qualificato nel viuer Tuo : pofeiache nò tutti gli habiti pollbn la vita dell huomo da qualche qualità denomi- 17 nate, & determinare. Ogni volta adunque che le parole s'acco- moderanno, & s'approprieranno a quello , o a quello habito , fi 18 troucrà coftumc nella locutionc : conciofiacofa che non le mede lime cofe, & nel medefimo modo dette farà per vlare vn'huomo rozo, & nutrito in villa, che Tfcrcbbc vnohuom perito, &: cl- ip uilmcntcdiiciplinato . Suol fai e ancora impresone , Se effetto nell'animo de gliafcolratori quel, che fuole eiler da coloro, che cópongono orationi principalmente per lafciarle fcrittc, con fa- lò tieuolfrequcntia, & abbondantia vfato : quando dicono, Chi e 2 1 quello, che quello non fappia? a tutti è nota quella cola . perciò- che colui, che ode dir coli, ancora egli nell'animo Tuo vi allenti fcc,comc quello,ch'in vn certo modo fi vergogna di no elTer par- li tecipe di quello, che tutti gli altri fanno. Ma l'vlare vn'artifitio tcmpeltiuamentc, o intempefliuamenre è commune, non folo a quella auuertcntia detta, ma a tutte l'altre, ch'appartengono al 13 decoro. Bene e vero, ch'ad ogni trabocco, che nuoca al detto de coro , può recare alquanto di remedio, de di medicina quel , che { 14 fuoleeifer trito, & commune in bocca d'ognuno. Etèchcfàdi mellteri, chel huom nel dir l'errore riprenda, 6c corregga fe ilcf* ij fo? perciochc vedendoli, cha colui, che parla , non iia nafeo- flo quel, ch'egli fa, poi che egli con la correttion lo dimoftra; vie 16 per quelto ad edere (limato vero quel, ch'egli dice . Oltra di que- llo e ben fatto di non vfare inficme, &in vno lidio tempo tutte quelle cofe, che poflon giouare a far la locution proportionata : Ferciochc con quella auuertcntia verrà meglio a natconderfi al- afcoltator l'artificio . voglio dir , per elle m pio , che fe le parole faran dure, afpre, & terribili, farà bene, che terrore , Se durezza non appaia ancor nella voce, & nel volto,& in altre cofe, che pa 18 rimente fian conformi . altrimenti fi verranno a difeoprire , & a 19 paleiar cucii gli artifirij, come gli Hanno. Ma fe delle cofe pro- poitionatc le vnc fi prenderanno, & l'altre nò, fi nafeonderà l'ar- 30 tifino, vfandofi nondimen maggiormente quello. Bcncèvcro chele le cofe piaccuoli, & priuedi durezza, éc di turbulenria.là- ran dette có parlare , alpro , horrido, & duro, o ver per il córra- li© co parlar mice,& quietone dure, noiofe, & afpcre j priua di- ucrrà . Della c R(tprica d'Ariti otelts 1 1 ucrra la locutione di pcrfuafibilità, Se di fede . Frà le parole poi, Ieaggiunte,o ver gli cpitheti, le doppie di più compoite,& le (ha niere, a colui maffimamentc quadrano , clic pathecicamcntc , 8c 3 1 có efprcflìon d'affetti parla, percioche ad vn grandemente irato , farà dato perdono, fé tirato dal furor dell'ira , per ingrandire vn male, lo chiamerà con parola doppia , Empiecielo, o con parola ftranicra, pclorio , cioè vailo, 3c immenfo , ch'c parola (tramerà 3 3 in Athcne . Polfon quadrar coli fatte parole in vn'altro caio an» cora, 6c e quando colui, che parla conofeerà di po(Tedcrc,& d'ha uer già tirati a le gli animi degli afcoltatori,& d hauergli in Com- ma qua(i rapiti fuora di loro ftefll , o con lodi, o con biafmi,o có 3 4 ira, o con amore, o con quafaltro mezo fi voglia : fi come fa Ifo- cratenel fuo Panegirico verfo'i flne,& {penalmente in quella par te, che comincia, La fama,& la memoria. & in quell'altra parte, 3 5 Quelli che loftennero,6c quel che fegue . percioche coli fatte im- pctuole, & vehementi parole foglion mandar fuora coloro, che cómoflì, & alienati quafi di mente per qualche potente affetto fo no : & per queflo non è raarauiglia le coloro, che odono,cómo£- fi ancora elfi da vna limile alienacion di fc ftelfi , le accettan per 3 6 vere, & le appruouan col loro aifenfo . Onde corali locu tioni al- la poefia grandemente cóucngono, hauendo in fe la poefia vn no 17 fòchedi fpirito, & furordiuino . Incofi fatti cafi adunque può hauer luogo appreflb dell'oratore vna cotal maniera di loamone & in altri nò : fegiànó facellcegli ciò códiflimularione, tk con ironia, nel modo, che Gorgia foleua fare, &c come li vede nel Fe- dro parimente vfato. {apo S. Del numero, & ritmo oratorio : & in che fia differente dal metrico de i Poeti : & d'altre co/e appartenenti al ritmo a gli Accenti . [SS A forma, Se la figura del parlare oratorio ricerca de (fe- re , nè cofi miiuratamentc numerofa, come fefullc metrica,nèfenza numero, & ritmo in tutto. percioche l'elTcr metrica tolle Yialaperfuafibilità, & la fede , apparendo in tal Jl Terz^o libro . 2 5 tal guila finta, & piena d'arrifitio. Er inficine olrra ciò viene a di- : ftrarre,& a diftoglicr gli auditori daU'atrcnrió delie co fe,che fi di- cono; mentre che falor por l'animo ad attederete afpettar,che ù, 4 mil mifura di nuouo torni. di maniera che in preuedcrc&afpct- tarquel fine, auuicn Ioro,quel, che fi vede accalcare a i fanciulli, quàdo nelle parole del bàditore, antiueggono, & preoccupano il nome di colui, eh e eletto per aduocato da chi fia alla libertà dona . $ to,come a dir,per effèrapio,il nome di Cleonc-L'elfer poi la loca tionepriua,& lcioltain tutto di rituio,cV: numero, porta fcco vna ; certa infinità fenza termine ; il che a coi! fatto parlar difcóuiene, douédo egli per ragione haucre i fuoi fini,*& i iuoi termini, ma no giàmctrici:pofciachepoco foaue,& pocomanifeito,& noto è l'in 6 finito ; ne con altra cofa prendon fine, de termin le cofe, che con lo Hello numero ; ne altra cola è il numero della figura della lo- ttinone oratoria, che ritmo, di cui li metri ancora, & li verfi Con 7 parti . Dee dunque l'oratione hauer ritmo ; ma nó già quella fpe rie di ritmo, che fi domanda metro : pofeiache quando quella ha neire, diticrrta poema. & il ritmo, ch'ella hà d haucre, fa di me- ftier, che fia, nó grandemente cfquifito, & efatto , ma fino ad vn 8 certo ragioneuol termine. Hor frà i rithmi 1 heroico primicra- 9 mente hà in fc del grande , & no molto è atto al parlar , che fia fcioltoda metro, & pare, c'harmonia in fua compagnia ricerchi. i o 11 Iambo poi è tanro domelrico all'vlitato parlar della moltitudi- ne, eh e quafi vna ItelTa colà con cito . Et da quello nafee, che irà tutte le forti, & fpetiedi verfi , maflfìmamente più d'ogni altra , fuol cader frequente nel trito parlar comune, quella de i verfi ia- II bici. Dal qual parlar comune della raoltitudine,dec l'oratoria lo- cutionedifcoftarfialquàto : douendo hauerein fe qualche gran- ii dezza, cVgrauità più, che nó hà quello . Il Trocheo poi par, che per la fua celerità fia più atto, & accomodato adaccompagnarfi ij con le laltationr, che alla locutione, della qual parliamo. &di ciò nefainditio l'elTere ilverfo tetrametro fopra tutti gli altri . ritmi per natura fua fai ta torio ; ilqual di trochei principalmcn- 14 te abbonda. Retta dunque il Peane, ilqual molti, fenza auucr- tirlo, ne dargli nome, han feguitod'vfare* cominciando a far ciò daThialìmncho, che fu il primo : quantunque co chaobiam detti, continuato concili nel terzo luogo 10 li 240 "Della Ugo/tea d'Jrittotek 1 6 luoeo, come quel, che contiene in fc la proportione, o per me- c l,o dir la ragione di tre a due. conciofiacolachc 1 vno di quelli di l'opra dctti,cioc l'heroico, contenga la ragion, che tiene vno ad vno, Se l'altro cioè il Iambo, o 1 Trocheo (eh vguali nella mi- 17 fura fono) contenga la ragione di due ad vno . alle quali due ra- Cioni feguea canto per ordine, come terza la (cfquialtera, & que ,8 ftantlPeane fi contiene. Gli altri ritmi, & m. Iure dette adun- que, repudiar da noi, Se laiciar li dcono,fi per le cagioni di (opra io aWate, Se fi ancora per ciVer metrici, Se atti al vedo. Et il Peane dcbbiam riccuerc ; come quello, elicalo fra tutti 1 ri tmi, c hab- biam nominati,non fuolc entrar nel vcrfo:&: per conlcgucntc po trà inaflimamente nafeonderu loueruantia d'elfo . Hor nell vlo, eh al prefentc fi fadcl Peane , non è pofta in vfo , fc non vna (ola fpetie. Se quella folamente nel principio del periodo : douendo nondimeno elTer differente il fin dal principio . S. miouan dun- que due fpctic di Peancoppolte in vn certo modo fra di orotdcl le quali 1 vna conuiene, Se quadraa i principi), u come al prelcn- x 1 te l'vfano: Se è quella, la cui prima f.llaba è lunga , Se le tre altre, che (V R uon breui . come fi vede, per elTempio , in quelle greche parole, Dalogenes ite Licic, (ch'in noftra lingua (uonan , nato m Delo, over di Licia) & inquefte altre, Chrifeocoma e caete pc dios ( eh in lincrna noftra fuonano , Ornato di chiome d oro , ri- al eliuoldiGioue). L'altra fpetie di Peane è quella , per il contra- rio di cui le tre prime lillabc fon breui, £v 1 vltima lunga j come, per eirempio,in quelle greche parole, Meta de gan h.data t ocea- non iphanife nix , ch'in noftr, lingua importano , (opra la terra , & l'acqua, bloccano precipitò la notte. Et col» fatta (pene di Peane quadra accommodatamente a chiudere, Se terminare. * c concofiacofa che non cllcndo la (ìllaba breue d integra,* perfee tam.fura, venga in vn certo modo a render tronca >*C mutilala % 6 la locutionc,felaf.poncìn fine. Se per quello fa di b.logno di . 7 farla pofarc,* terminare con lafillaba lunga,accioch* l'altra raccolta , £5* in fi ritorta , & periodica . £cf che co fa Jia periodo , £c? de i membri , che fin parti • di quello . & di più maniere qualità di periodi . I tO^tttì ttf tX't t ' ' i 1 IO Zi lì Itili * 'Ij'ùtlltlf * Uìl»f»f'««J} ? tìyM 'Vna di due forti è neceflariamente forza , che fi rruoui la locutione : cioè o pendente , Se dirtela, in guifa che con l'aiuto delle congiuntine particel- le habbia la continuità, & l'vnitàTua , nella manie- ra che fi veggono cller le Anabale tra le dithirambi che Cantilene : o veramente in fe ritorta, &l quali raccolta in gi- ro, a quell'altra forte di dithirambiche cantilene fomigliante , le x quali Antiftrofe fi domandano • Di quelle due locutioni, la pen- dente è molto più antica, & da Hcrodoto Thurio vlata , come fi vede, quando dice , Quella farà 1 efplicatxó dell'hirtoria, & quel, 3 chefeguc. Et da tutti in quei tempi erada prima approuara, Se porta in vfo . ma ne i tempi d'oggi non molti fon rettati più, che 4 l'vfino. Hor quella diftefa, & pendente locutione intendo io etVer quella,che termine,o fine alcuno per fe (Iella non reca mai, fin che la cofa, che fi cfplica,& che s'efpone non termini nel fen- j timentoCuo. Et è veramente poco per fe gioconda, per l'infini- tà) & intcrmination , che tiene: defiderando per natura tutti 6 di conofeere, & preueder dalla lunga il fin delle cofe. Et da quello nafte, che coloro, che per arriuarea qualche termine > & a qualche meta corrono, Cubito, ch'arriuano alle Cuoltc del- le ftrade, fi fenton rifoluer gli fpiriii, &quafi auuiliti lafcian di ritener più il fiato: come quelli, a cui prima parendo loro di vedere il fine, c i tei min del corfo, non parca per conCcguente di 7 Cernir fatiga* Tale adunquequale habbiam detto s'hà da Iti mar, 8 che fia la locution pendente. La in le ritorta, & raccolta poi è $ quella, che in periodi Uà collocata, & di periodi fi compone, tic per periodo intédo io vna locutione, che in fe rtclla raccolta, pof H h legga 2^-2 ^eRa r R^tprica d' Arili otetz^> 10 feggavn fuo proprio principio, Se vn fuo proprio fine, &fiadt grandezza tale, che facilmente tutta inficmc comprender con 1 1 Fintelleteo, Se con l'apprénfion fi porta. Quella periodica locu- tionc adunque ha in le del foaue, Se del giocondo, Se è infierae- 11 mente bene apprenfibile, o percettibil, che vogliam dire . Soa- uc, Se gioconda è ella primieramente, fi perche elfcndo ella in Ce finita, viene ad effer contraria al non finito, Se non detcrmina- 1 3 to, ch'è per fé noiofo;& fi ancora perche airafcohator' odendola^ par fempre>di pofTeder di nuouo con l'appenfion qualche cofa , per caula che Tempre periodo per periodo viene a (coprirti qual- che termine : doue che perii contrario il non preuedere inditio di fine alcuno, Se il non terminarti, Se fpcdirfi nulla,hà in fedel- 14 l'infoaue, Se del difpiaceuolc Beneapprcnfibile,cv ben percet- tibile e ella poi, per poterfi fino al fin luo con facilità ritener nel- la memoria. Et quello le adiuicne per haucr ne i tuoi periodi mi fura, Se numero, ch e la cofa, che fra tutte l'altre e atta a dar bc- 1$ ne imprefla nella memoria. Et da quello viene,che ciafehedun molto meglio conlerua nella memoria i verfi, che la profa, Se il parlare fciolto, per haucr' i verfi più efatto numcro,chegli mifu- 1 6 ra. Hor'ei fa di bifogno, che il periodo fi diffonda. Se s incorpo ri con la fentcntia in modo,chc con ella proceda faluo,& fini Ica infieme, ne in modo alcun la fpczzi, o la rompa , o la laici len- za feguirla, andare: come fi vede auuenir ne i Iambici verfi 17 di Sofocle, Calidonia certamente la terra che già fu habitata 18 daPclope. perciòchc può per la diuilion fofpicai fi il contrario di quel, che fi drcan, come a dir nel detto eifempio, chcCalido- I j nia fia terra del Peloponneflo. De i periodi poi, alcuni fon com- porti di membri, Se alcuni altri fon femplici, o vgnoli, che vo- lo gliam dirgli, di membri cópollo s intede cfler quello periodo il quale elfcndo perfetto, Se finito in fc fldfo, Se dilli nto nelle par- ti fue, viene ad elfcr con commodo, Se nonratigofo o impedito 21 fpirito proferibile. & ciò. nelle diuife, Se inrenotte parti fue, fi come adiuien nel periodo pure hora per eifempio addotto, ma 21 nell'intiero giro fuo . Et di cofi fatto periodo le parti Con quel- 23 le> che fi domandan membri. Semplice, & vgnol periodo intc- 24 do io poi erter quello, che Ila raccolto in vn membro folo. Qua- to alla grandezza poi, deono clfer i membri, Se li periodi non cosi corti, che parer pollali monchi, Se troncati, ne troppo pa rimente Jl 7crzL,o Ithro . 24. 3 if rimente lunghi, conciofiacofa che i troppo corti, fogliari fare in li vn certo modo virare, Se inciampato 1 ascoltatore in odirgli. per cioche quando procedendo, Se difeorredo egli con l apprenfion dell'animo in lungo, verfo la mi fura di quel termine, alqual già nella mente, s'haconceputo, che debba feguir colui, che parla , fe in tal cafo dà d'intoppo nella cedanone & «ci finir di quello, prima ch'ei non s'afpctta, e uccellino, che come ributtato da ta 17 le odacolo, in vn certo modo quali inciampi, Se arredi. Dall'al- tra parte i periodi troppo lunghi vengono a lafciare,& a far rima nere l'auditore a dietro, nella maniera che tra q uei, che infieme paleggiano Se fpatij finno trapalando alle volte l'vno d'elfi più olrra del rcrmin (olito, prima che in dierro torni, vienea Ialciar, & abbandonar quali gli altri, che palleggiano, Se fanno fpatij 28 fcco. Mcdelimamente hanno i periodi troppo lunghi, quello d imperfcttione,chc finno apparentia più tolto di fermoni inte- ri, che di periodi, che fon pam d'elfi, Se iì polìbn perquedo af- 19 fomigliarc a quella forte di poema, che fi chiama Ànabole. on- de fi può a coli Tatti periodi accommodar quel mordace detto, ch'vsò Democriro Chio contra di Melanippide; il quale in vece d'Antiftrofi s'affarigaua in comporre AnabolcdilfcdunqucCo- ftui, che noia , & fatica fabrica ad altri ; fariga, Se noia fabricaa fe medefimo . Se in vero le lunghe anabolepeflìme fono al Poe- 50 ta, che le fa. Qitcdo medefimo può co ragione ancora adattarli, de dirli contra di quelli, che troppo lunghi membri dicendo 31 fanno. Dall'altra parte i periodi, che troppo brcui i Ior mem- bri tengono, non meritan d'elTer domandati veramente perio- di, cioè giri, &circuiri, mandando pertrauerfo precipiti gli a- 3 1 fcolratori. Hor di così fatte locutioni, che fon compofte di mc- bri, Se per quello fi podbn membruti periodi domandare, alcu- ne fono fcioltejibcre, Se difobligatej Se altre fottopofte a oppo- 3 3 da contrapolìtione. Sciolte, Se libere farien, come a dir (per ef. fempio) queda, Spelte volte hò io hauuto in ammirarione colo- ro, Che quede ibléni adunanzepanagiriche hanno ordinato, Secolor parimente, che quedi eiTercitanui giuochi, Se conrefe han 34 no inftimito. D'oppodapoi contrapofmon fon quelle, negli v- ni, Se ne gli altri membri de le quali, o fi fan corrifpondef gli v- ni contrari] a gli altri, o vna delia cola fi fa corrifpondere ad am- 3 5 biduc i contrarij. come (per elfempio) l'aria dicendo, A gli vni,effa borica d'Arinotela Capo io. DeltVrbanita della locutione orato- ria, che co/a la fia^tn che confijla ; quante coje pojfon concorrere a rendere il parlare orbano . Avendo noi già detcrminato di quelle cofea baftanza, fegue, che inoltriamo al prefente, onde procacciar quelle fi poffanoje quali fono atte a rc- dereil parlare vrbano,& a farlo apparir vago,&gra tiofo, perciochel yfare, &porreinarto I vrbanità del dire, e cofa dahuomo, che fia, o dalla natura bene inftrutto, Se accommodato a quejlo,o dalla lunga confuetudine aciò artue fatto, cVerterci tato, mail inoltrare li precetti , & le vie, che fi han da tenere in farlo, a quella prefente arte, & methodica via J appartiene. Direm dunque di quello al prefente, & affinere- mo, & raccoglieremo quelle colè, che poffono a ciò effere vtili, 4 pigliando alquanto da alto il principio in quella maniera. E co- la per natura a tutti gli h uomini grata, de gioconda il facilmen- teimpararc: & e/Tendo le parole inditij fignificatiui di qualche 5 cofa ; ne fegue, che giocódiflìme ci fatan tutte quelle parole, che * cauferan lo imparare, cioè nuouanotitia in noi. Kor le parole uranierc mal polìon far quelìo, come quelle, che ci fono ignote: 7 & le proprie ci fon già prima note . ma le parole metaforiche , o 8 ver trafponate, fopra tutte l'altre lopoffon fare, peroche s'alcun ( per cllempio^ chiama la vecchiezza ftoppia, o ver biadegià fcc che, viene a fare, a chi ode,imparare, & gullar nuoua notitiaper cagion di quella cofa comune, che comè genere Ila lor di fopra : efrendoambeducxioècofilavecchiezza^comc la ftoppia,o ver 9 tal biade, cofefattearidc,&giasfioritc.Fannoancorqucfto me defimo effetto Jc immagini, o ver comparationi de i Poeti,*: per quella cagion , quando fon ben formate, po/Tbn fare apparire 10 il parlare vi bano; come quelle, che fecondo c'nabbiam già det- to prima ; fono in foftantia metafore , differenti folo da elle, per 11 quella poca d'aggiunta, che le ricercano. Onde viene a parer l'immagine manco gioconda, per la Iunghezza,nella qual lì (ren- de j Jl Terzj) libro . * 247 iz de; n è dice breuemenre quella cofa eller quella : onde non ha 1 3 occalìon l'incelicelo di chi ode di cercare, & apprenderci qua- 1 4 fi guadagnarli la cofa egli ftellb . Neceflàriamentc adunque quei modi di locurioni, & quelli Enthimemi fi deono Itimare vrba- ni, i quali co facil prefiezza ci pollon fare imparare, &c qualche 1 j nuoua notitia acquilìarc.Et per quella ragione nè quelli enthime mi, che fon troppo fuperficiali, & patemi, polFono vrbani,cV'gra tiofi apparire : ( òe per iupcrliciali intendo io l'elferea tutti aper- tamente noti, Se leder di cola , che nó punto importi il faperla , o l'inucltigarla ) ne parimente quelli, 1 quali proferiti che lono , 1 6 ofeuri nondimeno,& non manifefti reftano : ma folamentequel li, li quali mentre che fi proferifeono Tono infiememente appre- fi, quantunque prima non le nhaueirc notitia alcuna: oalmen poco doppo, che proferiti lìano, fon dall'intelletto di chi ode, Se 17 có l'apprcnfion gli fegue, arriuati. Da qucfti enthimemi adun- que li viene a guadagnare, o inficme, o poco doppo,qualche no- titia di cofa, che prima non fi fappia . doue che da quegli altri , che poco fa diceuamo, nè nell'vno, nè nell'altro modo li può tal 18 guadagnofarc. Quanto dunque appartiene alla fentcntia,& feti timento della locutione, quelli c habbiam detti fono gli cnthi- 12 memi, che fi pollbno (limare vrbani. Quanto poi allaltellalo- cutione,rifpetto prima alla figura, Se forma di quella ; alhora vr- banità vi fi trouerà, quando vi faràinfcrta cótrapofition di con- io trarij : come , per ch'empio , dicendo, Quella, che da tutti in pu blico è (limata per pace, da colloro in prillato e giudicata per guerra : doue fi vede la cótentione, o ver còtrapofitione,cirendo 2 1 la guerra cetraria alla pace . Rifpctto alle parole vi fi tremerà pri- mieramente , fe vi fi conterrà metafora , & tal metafora , che la nonhabbia, nè dell alieno, Se del remoto , pofeiache cofi ver- Xi rebbe ad elfer quando la fi profenfee , difficilmente intefa : nè parimente habbia troppo dell'aperto, Se del luperficiale ; pofeia che cofi non darebbe ella occafion di diletto alcuno a chi l'ode, a 3 Et vi fi trouerà ancora, fe fi porrà la cofa in vn certo modo di- nanzi a gli occhi , come ch'in atto quali operante : peroche per l'impreiììon , c habbian le cofe a far nell'animo di chi ode, fa di mefticri, che più torto li mollrino, o vero appaiano, come inatto prefente operanti, che come quiete, & atte a operare in 14 futuro.Fà di bifogno adunque,ch'a quelle tre cofe,fi tenga l'oc- chio, 2 4- f Tfella ^R^tortca cT frìttotelo chio,alla metafora,alla contcntione,ouerc6trapofirion dei con- trariaci all'efficace euidenria nel por la cofa dinanzi a gli occhi, i f & emendo le metafore di quattro fpctie, quelle di degniti, & di grada fopra tutte le altre ccccdonoje quali confiftono in propor i6 tione: ficomc (per eilempio) fu quella, eh vsò Pericle, quando parlàdo di quei gioueni, cheran morti nella guerra diccua, che costerà (tata quella giouentù, dalla città tolta via, comes'alcun 27 togliclìe via dall'anno la primaucra. & Letine parlando dei La- cedemoni) di ire, non douerh* cóportare, &c tener poca cura, che 18 la Grecia hauefle da reftar priua d'vno de duoi occhi fuoi.Cefifo doto ancora,vedédo,chc Charcte ccrcaua,& facca diligétia di re der delle cole publichc da lui amminiftratc, conto, & ragione a punto in quel tempo, che la Città ftaua occupata nella guerra Òlinthiaca,indegnato di quefto fatto, dille cheCharcre aJhor, che gli pareua d hauer quel popolo in vn forno,tentaua,& facc- ia ua forza di rendere i conti,& le ragioni fue . & il medefimoCe- fìfodoto ellbrtando già gli Atheniclì a mandar gente nell lfola d'Euboca,per trar di lì frumento, per maggiormente infumargli diire loro,e(Tèrdi bifogno,ch a quella imprela vfcille fuorail de 50 creto di Milciade. Ificrate ancora, trattando, Se confutando gli Atheniclì di far pace,& amicitia con quei di £pidauro,& di tue ta quella riuiera,hauendo egli quefto a male,perditHiadergli dif fe loro,ch'cglin cercauan di priuarfi del viatico delle lor guerre. 5 1 Pitholao parimente foleua chiamar li (ola di Salamine,la fruita, 3 2 ouer la sferza del popolo Atheniefe. & la città di Scilo foleua e- 3 3 gli chiamar l'arca, o vogliam dire il granaro di Pireo. Pericle me defimamentecfortando,che fi rogliclTc via la città d Egina, dicc- ua che gli era da tot via quel fiocco da gli occhi dal porto di Pi- 34 reo. Mirocle ancora elfendo con non so chi venuto in mentio- ned'vnatal pedona, tenuta giufta, & da bene, dille non parerli elfer punto peggiore huom di quello : perochc quello (diceua egli) pone in atto la fua malitia con terzi tochi (cioè con vfure, ch imporran quatro per ccnto,che fon maggiori delle decimali , eh importan manco di due per cento) & io la pongo in atro con decimali tochi (cioè con dicci figli, lignificando appretto de i gre 3 j ci, la parola, tocos, co si rvfura,come i figliuoli.) Alclfandro pa- rimente in vn de i fuoi verfi Iambici, parlàdo delle figliuole fue, chaucuan già trapalfato l'età conuencuole a maritarli, dille, Le mie Jl Ter ZJ) libro . 24. 9 mievergini hanlafciato fpi rare il tempo di coparirein giuditio $6 dinazi al tribunale delle Nozze. MedelimamcntcPolicuto cétra di Speufippo, il qual'cra grandemente molcltato d apoplcflìa, di ccua,che quello nó potcua trouar mai fermezza, ancor chela for tuna l'hauefle raccluufo in quella infirmiti penteiiringa (cioè li- mile a quello inltromcnto da carcere, che in cinque parti tcneiu 57 la pedona ftretta, Se perciò pctelìringi li domàdaua.) Ccfifodoto |8 ancora foleua chiamar le galere, o ver le naui, molini ornati . Il Cinico chiamaua le tauernein Athene,le Fiditiede gli Athcnie- fi ; (elfendo le fiditic quelle femplici, Se modelle publiche cene 39 de i Laccdemonij.) Elione parimece dille, che gli Athcniell ha- 40 ucuan verfata la Città lopra la Sicilia. Se in quelle parolc,nó lo-, lo lì cótica metafora, ma fi pone ancora in ella la cola dinàzi a gli 41 occhi. come li pone ancora in quella, Onde la Grecia cfclaroaua, Se vocifcraua. doue fi vede in vn certo modo la.*ietafora,&: il po 41 ni meco della cofa dinazi a gli occhi, come lì vede ancóra in quer- elle già dille Cefifodoto,douerfi hauer cura,che le publichc adu- naze,nó parelfer più torto incurlioni militari, che ciuili raccogli- 4 5 raéti.óc il mcdclimo modo di dire vsò Kocratc cótra di quelli, che a modo di tutbuléte,& inordinate incorfioni,in quelle cómunif 44 fune adunaze panagiriche lì raccoglie u a no. Et ancora in quella funebre oratione domàdata rEpitafHo,fi legge, che gi ulta cofa fa rebbe,che fopraa quei fepulchro,doueeran fepolti quelli, ch'e- ran morti nel fatto d'arme appretto di Salaminc,lileualTe i capc- gli la Grecia,poi ch'infiemc có la virtù loro, era fepolta la libertà 45 di quella, doue fc fi fulfe detto, chegiufta cofa farebbe, che la Grecia piangere, Se facelfe fopraquel lepolcro lamenti per elTer quiui lepolta la virtù di coloro, farebbe Hata metafora, Se inlie- 46 memente ponimcto della cola dinazi a gli occhi, ma 1 hauere ag- giùto elici có la virtù fepolta inlieme la libertà, vi ha fitto elici e 47 ancor di più la contentione, Se contrapolition de i contranj. lu- crate ancora dille, il camino della mia orationeattrauerlerà perii mezo de i fatti, & delle attioni di Charete.doue li vede primiera- méte la metafora di proportione,& in quel dir poi, per il mezo, 48 fi viene a por la cofa dinazi agli occhi. Se parimente in dire, do- uerlì chiamare alle volte i pericoli in aiutodc i pericoli, li cótien 4 tal metafora,chc dinazi a gli occhi la cofa pone. Licoleone anco- ra difendedo Chabrio dille, Nó haretc voi alquàto di rtfpetto (o ^ li giudici) 2j o 'Della ^Retorica d* Ariti otelz_j giudici) Se di verecundia a quella ftatua di bronzo, che fupplica a 50 voi per lui. Le quai parole,nó Tempre, ma per quel répo, cV per quella occalionealhor prefente, contengono in le metafora, ma ben fonoattea por Tempre la cofa dinanzi agli occhi, perochc in quello flato di pericolo,in che Ti trouaua alhor Chabria,puòqua drar,che la (tatua Tupplichi,dàdo(ì alle coTe inanimate,qucl, che conuiene all'animate,come ch'altro non fiano e(Ic fiatile, che có- 5 i menrarij,& memonedelle coTe,che Ti fanno per la republica.Co fìmil metafora di proportion Ti dircbbe,crTalcuni co ogni manie ra di diligctia (Indiano, Se s'affatigano per Taper poco, Se per ha- uer l'animo vile.cóciolìacoTa che l'attribuir cura,ÓVdiligctia,pro- priamente s'accomodi al cercar d'accreTcere,& di migliorare, Se 51 nodi palfàr nel male. Simile ancor metafora Taria diccdo.haue- ic Iddio nel darci 1 intelletto, acccTo nell'anima noftra vn lume, poTcil&i e aro beatole qu erte co(e,intelletto, & lumc,conuengono 5$ in queftacótmwvc anione di far manifefto,& recar chiarezza. Si- mile ancora è quella, con quefta pace non difciogliamo la guer- 54 ra, mala proroghiamo : peroche ambedue quefrecofe, (cioè la prorogarione,& vna così fatta pace) conuengono in guardar co- 55 fa, c'hahbiaa venire . Simile ancora èquclla altra, che dice, Le paci vantaggiofe elìer più egregij Trofei* che non fon quelli, che j6 ti rizzano nelle battaglie, & ne i fatti d'arme . conciofiacofa che quelli lì Togliono Tpeìlb Tir percoli*, ch'all'importantia di tutta la guerra non Ton di molto momento, doue che quelle Ti pógoi» 57 per il felice fine,che Ga porto a tutta la guerra . ambedue que- ftecofe adunque (cioè corali paci,& li Trofei) conuengon nel- 58 ladetta metafora, in elFcr fegni, & indi ti j, di vittoria. Se cosi fatta metafora è quella ancora, Le città fono ancora elle grande- mente fottopofteàcondciiation di pagar la pena degli error lo- ro,laqual pena è il vitupcrio,nel quale apprello de gli huo- mini errando incorrono : non eilendo altro il pagar la pena, che lettone, Se danno guidamente rice- uuto. Habbiamo già veduto adunque, che la metafora, & il ponimento della co- fa dinanzi a gli occhi, Terne , Se gioitamenro reca alla cotn- pofition del parlar vrbano . f C«po Jl'Terzj) libro. aji (ajtoir. *Di quella locuzione } che pon la cofa di- nanXi^ a gli occhi : come le metafore* & le immagini pojfon fruire a rendere il par- lare : priue d'anima,per virtù delle metafore. In tutti i quai lucghi, quell attribuiteli ei fa energia d'atto, Se dopcrationeal- le cofe>reca gratia,& dilcuo,come(per eiTcmpio) in quel luogo. 10 Di nuouo il fallo sfacciato, & lenza volto di vergogna,daua voi ta in dietro, Se rotolando tornaua al piano. Si in quell'altro luo- li ij go. Il 2 j 2 *Del/a r B^torlca  come nell liola di Carpatilo, il Jl Terzj) libro . 2jy Se già detto incom modo é Quai cofc adunque rechin fo r za allalo- curionc vrbana ,* & onde lìa che talcffecro facciano, già pienamé S 6 te ( :i può dire) la cagione allegata riabbiamo . Frale hiperboli ancora, quelle che (on più lodate, 6V ingegnofe, fono ancora clic 87 metafore; co me (per elfcmpio)quelta,chc fu vfara conerà d'vno, c haueua la faccia tutta punta,  Kk Capo 2jS ' T>effa c B^tortca d % Àrittotek_j (apo 12. ^Deìla diuerjìtà delle locutioni orato- rie, fecondo la dtHintion de t tre generi di cau/e$£f fecondo che differenti fino le Ora- zioni, che han da rnoHrar la firz^a nel r e ci- tar fi h da quelle , che principalmente, accio- che habbtano da effer lette , £f da reflarcj (critte , fi compongono . A di meftieri di fnpere, Se che nó ad ogni gcner co- uicne, Se quadra vna ftc Ila forre di locutione, ma cialcun defli ne ricerca vna, che (ia propria Tua. conciofiacola che altra locutione habbia da efler quella, che hà da poter leggerli, Se reftarc fcrirta , & altra quella, e hà da vfar principalmente la forza fua nella con- tenderne, Se recitationc : fi come parimente diuerfa ha da elfer la 1 locution dclibcratiua dalla giudiciale . Et ambedue nondimeno 3 fa di meftieri di conofeere, & di fiipcrc . Pcrcioche la prima , ri- cerca, clic fi fappia puramente, Se lenza errore parlar nella legir- 4 cima lingua greca, Se di quello Ci contentarci 1 altra è ncceifario di fapere,acciochc 1 huomo non habbia da cfler forzaro di tacer con la penna, ogniuolta che defiderio gli venga di far partecipi gli altri dei concetti fuoi: il che fuole auuenirea color, che fcri- 5 ucr non fanno. Hor la locutione, c'hà da poter rimanere feri t- ta , Se per quello fctittibil fi può domandare > ha da ellere cfqui- fmfllma : Se la contentiofa grandemente, anione, &rpronunv 6 tia ricerca* Della quale due fpetie li rruouano , 1 vna pathciica , Se cfpreulua d'affetti , & l'altra coturnata , Se di cofhime efprcf- 7 (ìua . Et da quello nafee che gli Hillnom van dietro volun- tieri a rappxcfentar quelle fauole, che fon nella delta guifa di 8 affetti , & di coflumi cfpreflute . Se li Poeri dall'altra pai te vo - luniicri dan ricetto a cosi fatta forte d'hiftrioni, che ben lìano 5 atti a tale efprelfionc. Sogliono ancor de i poeti elfer lodati quelli > che nei lor poemi non tanto l'attione, quanto la lct- ùon riguardano* de i quali (per elfempio) è vno Chcremone : co me qucl- Jl TerZjO libro . 2jj me quello, che non altrimenti è efquifito,& diligente in quello, ch'egli fcriue, che fé orationi, che feritre hauelTer da reftare com ponellc. Se il medemo fi può dir di Licinnio trà i poeti dithirabi 10 bici, o lirici, che gli vogliam dire . Et Ce Ci pógono in compara- cionc, Se paragone l'vna, Se l'altra forte di orationi, fi vede chia- ro, che quellcchc perche habbian da efler lette fi fanno, pofte in atto di recitarfi nelle contefe delle concioni ; fneruate, riftrette , Se angurie appaiono.òV quelle dall'altra parte,lcquali nel recitar- fi, Se contenderfi, fon parure efficaci, Se potenti, venute poi in mano, Se lcrtc; languide, & roze, Se (per dir cofi) plebee Con riti 11 feitc. Di che altra cola non e cagione, Ce non ch'a quelle at doni, il Se contentioni, accommodate, & proportionare fono . Perla qua! cola quelle orationi, che ali amone, c\: alla pronuntia fon deftinatc-, feda loro fi tollc via quella atrionc,c\: quella pronun- tia, non potendo poi far lvfficio,& l'effetto loro, in fi pide, fred- de, Se inette appaiono: come (per eflempioj accaderebbe nel proferir quelle parole,chedifgiunrealle volte fi pògono, Se fciol 13 tcdaligatura,& da copula. Mcdefimamentc il repcter più volte in foftantia vna fteilà cofa ; nelle orationi fcrittibili (per dir cofi,) che fi fanno acciò fian lette ; non fenza caufa è reprouato, & po- co lodato : douc che nelle contentiofe, Se pronuntiabili oratio- 14 ni, fi vede a^ai dagli Oratori vfato : eflendo così fatte repetite 15 locutioni, molto bifognofe,di pronuntia,ó\r dattionc. Maène- ceiTario che in così fatte rcpetitioni,faccia colui, che le proferifee qualche agitatone Se mutatione nel proferirle,pcr inoltrar di di- re con vna cofa,diuerfe cofe. la qual mutatione dàadito, Se ("pia- na in vn certo modo la via all'hiftrionica attionc oratoria : come 16 fper ellcmpioj dicendo, Coftui e quello , c hi vfurpato, Se fu- rato le cofe vofìre, coftui e quello, che vi hà ingannati, cortili è 17 quello, c'hà finalmente tentato di tradirui. fi come Filemone hi- ftrionc parimente faceua nel rapprefen tare, Se recitar la fattola d'AnalIandridc, nominata la Gerontomania, o pazzia dei vec- chi, che la vogliam dire, Se fpetialmente doue parlano inficine 18 Radaraantho, Se Palimede. &nelprologo ancor di quell'altra fauola, che i Religiofi, ouero i Pij n domanda, Se fpenalmétc in quel luogo, doue più volte fi repctifee, Se Ci replica la parolaio. Xp Quelle forti di locutioni adunque a chi non le aiuralfe con l'at- tionc,Óc conlapronuntiajdiuerrebbero^om'in prouerbio fi di- Kk ij ce, co- 2 do *Della Teorica d 'ArìFlotelc^ 10 ce, colui, che la trine porrà. Se il medesimo fi dee  fouerchie,c\: inutili fono, Se più torto imperferrione, cheper- Ji fettione apportano. Ma lcgiudiciali orationi han di memeri di maggior politezza, & di piuefquifno Audio ; Se maggiormente fc dinanzi ad vn giudice folo accalca, ches'habbia da narrar la 3 1 caufa , eiTendo quella la minima dillantia, che nell'arte del dire 3 3 accafehi trà chi odc>& chi parla, pofeiache in elfo vien maggior- mente JlTerzjo libro. 261 mente veduto, & auuértiro quello, che fia proprio, 6V apparte- nere alla cau fa; & quello, che fiaalicno, &c remoto da quella, nò ha luogo quiui laconcenrio(a,& cócitata attione : & per có- fegucuee reità in chi ode ilgiuditio fchietto, ite incontaminato. 14 Perlaqual cola non tutti gli Oratori, ch'eccellono in vn di que- lli generi di locutione, eccellon parimente in tutti, percioche donerà matfìmamente ditneftien dell anione^ fa manco perii 3; contrario d'cfquilita diligenti.! bi fogno. & quefto accade douc è neccllària la voce, de mallimamcnte douegrande,alra, ÒV refo- }6 nantc fi ricerca. La locutione dimollratiua adunque viene ad cf » fcr la più habile a tettare feruta, & la più fcrittibil (per dir coti) eflendo quello quali l'viUcio fuo, periiqual principalmcnre Ci compone. Nel fecondo luogo poi larà attaaquelk> la giudicia- 37 le. Il voler poi aggi ngner nuouc dioilioni della locutione, con dire, che biiogna>ch'eiia (la foaue, &gioconda,& che la fia ma- 3 8 gnifica, c cofa vana,& fupcrtìua. perochc perche più torto ha ci la da ellercosì, che non ha da clfcr temperata, ex: liberale,!?»: d al 35? tra virtù, & coftumc tale ? Quanto adunque alla foauità,lc con- ditioni, che fin qui fi fono alla locutione allignate, la faranno ^ tale, feda noi è fiata rettamente determinata, de diffìnira la virtù 40 diquella. percioche a che fine s'hà da credere, che ha flato det- to clìer necelìatio, che la lìa aperta, Se lucida, Se non haimia del vile, Se dcll'humile, ma fia conucneuolmente temperata in quel 41 naczo ? pofeiache così dal troppo ella abbondare nel fupertiuo delle parole; come dalla troppo fuccinta brcuità, puòdiuenirc ofeura, Se poco mani fella : & per confeguentc nó può eller du- 41 bio, che mediocrità in tal cofa non le conuenga. Et alla giocon dita, & dolcezza d'ella, le conditioni & qualità già dette potran feruire bafìantemente, Ce ben tcmpcrate,Cv mifchiate, (arano in- ficine quelle parole,che nó fon lungi dal parlare vfirato; & quel- le, che tengono alquanto del nuouo,6V del forefticro : & le con- ueneuole oratorio ritmo, o numero, che vogliam dire, non le mancarà ; ne parimente il decoro,in modo,che credibile, cv per- 43 fuafibile, la poflà rendere. Della Locutione aduque habbiamo a baflanzadctto,sì per quel, che tocca a tutti li generi di caufe co- munemente; & sì per quello, eh a ciafehedun d'eflj era lac- ualmente ncccllano. Rellachc dellordin delle parti integrali dell Oiation ragioniamo . 2$2 i tDella Hgtorica d* *ÀrìttoteÌLj (apofj. 'Delle farti integrali dell'orazione ì del numero-, & Jufficientia di quelle . Et co- me diuerfamente errajfer diuerfi altri Scrit- tori della Retorica, nella diutjìone dell' ora- ti one, (f nel numero delle farti d'ejfa . Ve fon le parti dell'oratione oratoria . percioche gli e ncccilàrio, che Ci proponga la cofa, che s hà da prouare, & che fi proui la cofa, che ila propo- nga. Onde il non prouare, & non dimoftrarclaco- 1IW fa ,che fi efpone, & propon nella caufa, o il voler duiiofìrarc,& prosare, (e cola alcuna non lì fia cfpofta,&: propo 4 ila prima, fon cofc in natura lor non potàbili : polciachc cohri , diepruoua, & dimoitra, e forza che qualche cofa dimoftri : &c all'incontra colui, che propone qualche cofa, percagion d ha- j uerla poi a prouare, & inoltrar la propone. Delle quai due co- fe quella vi ti ma non e altro, che Propo fi ti on e, o proponimento o propofta che vogliam dire, 6c quella non e altro, che pruoua a 6 far fede : nella maniera, che s'alcun diuideflc le fciennc in prò- 7 blemi, o ver propofti quefiti,&: in dimoftrationi. Ma a i tempi 8 noitri hoggi vanaméte, & quafi ridicolofamentcdiuidono:con- ciofucofa che la Narratione, folamentc nel gcner giudicialealle $ volte habbia luogo, ma nel dimoftratiuo , &c neldeliberatiuo, come eflerpuò chcfitruoui narratione, &c fpctialmente tale, 10 quale eglino la intendono? o come vi fi può parimente tro- ttar quella parte, nella quale fi procede contra dell auuerfario ì 11 ol Epilogo ancora delle cofe già prima dimonrate ? Mcdefima- 1 1 mente il proemio, e il porre in parragone, 6c comparatone le proprie ragioni con quelle deU'auuerfario , & il recapitularcj alhor nelle delibciationi,cx: nelle codoni truouan folamctc luo- go;qufulo tra i cófiglieri, che dicon la lor fenrentia, cade per ca- 1 3 io qualche oppugnatione, & qualche controuerfia -, folcdo nel ocncr deliberati uo accafcarc ancor molte volte accufationc, &; difenlìone ; ma non in quanto è egli delibcratiuo, ouer conful- 14 tatiuo. Ma ne ancor l'Epilogo e tempre necellario ad ogni giù - diciale ( ! Jl Terzj* libro . V I j diciate orationc ; come a dir quando, o ella molro breue ila ; o le cofe, ch'ella contiene, fiano per loro fterte atre a reftar faciimé* \6 te nella memoria, di maniera che quando vi Ci truoua, accade 17 ciò per la lunghezza dell'orarione, che Io comporta. Son dun- que neceflaric la Propostone, o proponimento che vogliam di. re, &la pruoua a far fede : & quelle due fon veramente effentia- 18 li, 5c proprie parti dell'oratione. Qyellcpoi le quali al più ac- cader può, che trouar vi Ci pollano, Con quattro, il Proemio, la 19 Propolìtionc,la pruoua a far fcdc,& l'Epilogo-condoila cofàche l'opporiì, & il contradire alle volte ali auucrfario, altro verame- xo te non riguardi fé non lo ftelio prouarc, Se procacciar fede. Il porre ancora in comparatone, & parragone le proprie ragioni con quelle dcll'attucriano, (chccollationc da alcuni è detta) non e altro in ibftantia, eh 'ampliflcation delle proprie ragioni ; Se per conferente vien tal cofa a inchiuderfi , & ad hauer parte nella fterfo far fede, perche colui, che con quello parragonarc amplifica, qualche cofa di più vicnecgli adimoftrare, cVapro- I I ilare in far quello . Ma non già quello medefimo auuiene del proemio, & deli Epilogo; eflendo l vno, & l'altro indrizzato a imprimer meglio nella memoria le cofe, che fi fon dette, o che 11 s'handadirc. Mas'alcun vorrà far la diuilìon di tarparti nel mo do, chcfolcuan fare li feguaci di Theodoro ; altra parte farà la narratone, altra lafopranarratione, altra l'antenarratione, altra ' 13 laredarguirionc, & la fopra redarguì don e. Ma alhor fa dibifo- gno di trouarc, 6c impor nuoui nomi,quado s'han da cfprime- renuoue parimente nature, & differente nnouc. al- trimenti il volere imporre, & formar nuoui no- 14 mi, è cofa vana,fuperrlua,cVnugaforia : fi ^ come fece Licinnio nei libri che fcrif fc di queft arre; nominando al* cune parti Corrobot ationi, altre digreflìoni, Se al tre chiamando, rami* è 64. T>eUa ^Retorcia d* ArìHotele^j (apolli T)i quella parte dell'orazione > ch'i chiamata Proemio 5 & quali auuer tentici y , £g precetti sfacciati di b [fogno per la buona fir maison di quello in ciafihedun gener di caufe ; £f de gli "vfficij^ che conuengono a co- tal parler L Proemio oratorio adunque non e a!rro,che prin cipiotieirorarione; fi come nei Poemi il prologo, & appreflb de i fonatori di tibie, o di Hauti, quel- la prima lonata, che fanno di fantafia . conciofia- cola che tutti quelli fianoin vn certo modo princi P»j,c habbian quali come a {pianar la ftrada a quelli, chan da paf 3 iar per cita. Bene c vero, che così fatta prepara rione, che dal principia fanno li fonatori, s'aflòmiglia Ire rial mente al proemio i i 4 Jicl gener dimoftranuo. perochc i detti fonatori, (è in qualche forte di fonata fi fenton particolarmente valere, quella prendon per lor principio, & in quella vagando vanno ; & finalmente có t x buon congiugnimcnto l adattano con la fonata,cheprincipalmc j te incedono. Quefto medefimo nclledimolìratiueorationi cie- 6 .cito, 6c s'appariico di fare, percioche pigliando lorator da prin cipioadir di quella cofa,& di quel ioggerto,che più gli aggrada, èv in quello eiUndo proceduto alquanto, dee dappoi con deliro, & ingegnofo appiccamene congiugnerlo con fa cauti fua ; co- 7 ine fi vede* che molti fanno. & n riabbiamo i c Ikmpio dlfo#ra- ^ x te neirorationcjch'ci fece in lode d Helcna. cócioliacofa che nef- funa conuenientiapaia, che fi tritoni tra l'i rigane noi e, cV conren- S tiofa profefllon dei boli ih A I ' v lena, oc inficine ne viene ancor quello di bene, ch'injcosi fatto digredirei allontanarli dal fog- gerto parincipale, pare, che il corpo di turca l'orarionenediucn- p ga vario, & nó tutto d'vna ftefla forma. Hora i proemi) delle di- moilratiue orarioni fi poiIono,comeda lor luoghi trarre dalla lo 10 deprimieramcce,o dal vituperio: come fece Gorgia nella Tua ora rione Olimpiaca co quello principio,DigniiTìmi di amniiratione (Nobilitimi Greci) fon giudicati da molti coloro,& quel fegue. t perciò- fi TerZjO Uro . 2 eSa 'Retorica d'Arinotela ti ditirambici , o lirici, che gli vogliam dire , fon limili a quei 14 delgener di inoltra ti uo . come (per eflempio) quello , Per cagió tua, & delle cofe tue, & de i tuoi doni , & gran benefitij , & per 1 $ cagion de i tuoi trofei, vengo io a te , o (acro Baccho . Nelle fa- ttole adunque de i poeti, & parimente ne gli Epici poemi loro , hà d'apparir dal principio vno indino, Se vna inoltra di tutta 1 o- 16 pera, che feguir dee : acciochc fi polla preuedere in vn certo mo do innazi quello, che nel poema, & nell'opera fi contenga,^: no habbiachiodeda ftarcin tutto fofpcfo, & pendente d'ani mo,co- 17 me dubiofo di qucllo,che s'habbia a dire : ellcndo la indetcrmi- qation delle cole atta per fu a natura a fare errando , & vagando aS andare. Se fi darà dunque a chi ode, vn principio , come che quali in mano, fi farà in quella gui fa, ch'egli a quello attenendo- fi, polla andar feguendo con Tapprenfion le cofe, che fi diranno . Et per quella ragione fù fatto quel principio . (anta Dea l ira : Se que Ilo . Di (jHcU'buom dimmi 0 Afufa : Se quell'altro. 3 o Siami Duce a narrar con nuouo carme , • j La guerra , che d'Europa in Afta fiefej, 3 I I Tragici poeti ancora danno da principio qualche indino, Se lu- me di quello, che nella fauola fi contenga : fe non (ubico da prin 31 cipio, come fà Euripide, almcn nó mancan di farlo in qualche parte dentro allo Hello prologo, come fa Sofocle, quando dice , 3 3 Polibo fu il mio padre. & quel che fegue . Et nella Comedia pi 34 rimentefifa il medefimo. L'importantiflìmo, & necellàrifu- mo adunque orrido, c hà da fare il proemio,& che ptopriamen- te gli fi con ni cnc, s'hà da (limar, che fia l'indicare, & aprire i'in- 3J tentione, e'1 fine, per cagion del quale fia fatta l'oratione. con- ciofiacofa che correndo, che la caufa, & la cofa Itelfa , di cui s'hà da trattare, fia all'ai chiaramente nota , o di brcuiflìma oratione j 6 Labbia bifogoo, fi può in tal calo foprafeder dal proemio. Tut- ti gli altri effetti, & offitij poi, eh e loglio no vfar di farei proemi;» fon quaficome medicamenti, cV remedij : ne fon propri; fuoi , 37 ma communi all'altre parti dclloratione . Erquem fi pollon prc derc, o dalla perfona di colui, clic parln,o da quella dellafcolta- tore, o dalla ìtetfà cofa, doue Uà la caufa, o ver dalla perfona del- 38 l'auuerfario. Da colui, che parla , Se cWlaunerfario , fi polfon prender tutte quelle cofe , ch'appartenere, Se leruii poilbnoadi- fcioglierc, Jl Térzj) libro . 2 tf? $9 fciogtiere,&a impor calnmnic : ma non già nella medefima ma- niera, Se nello rtellb luogo . pcrciochc l'auuerfario, che fi difen- de, fe calumnia gli è rtara importa, hi da cercar la prima cofa da principio di purgarfene, Se di liberarfcne. doue che l'accu fa rorc 40 volendo impor calumnia, nell'epilogo hà ciò da fare . Et la ca- 41 gion di querto non è ofeura, ma Ila quafi in pronto, pcrcioche colui, che s'hà da difendere, fe vuol farli adito, Se rtrada ad ede- re odito, actefo, Se creduto, fi di meftieri , eh egli cerchi di i i- muouerc,&: tor via ogni impedimento : Se per confeguenre hà da procurar di difeioglierfi, Se liberarli prima dalle calamuie. 41 Ma colui dall'altra parte, chàintcntion di riprenderci di ca- lumniarc, hà da far ciò nell'epilogo, a fin, che gli afcolratori rac- 45 glio ciò riferbin nella memoria . Quanto poi a quel, che riguar- da la perfona deH'afcoltatorc,ftà primieramente ciò porto in cer- car di renderlo amico, Se bcneuolo a noi, Se irato , Se male ant- 44 mato verfo deU\iuucrfario . Et alle volte ci hà luògo il procurar di renderlo attento, o ver per il contrario dirtorlo dall attentio- 4j ne: conciofiacofa che non fempre fia vtile, Se profltteuole alla 46 caufa, l'haucrlo attento . Onde molti per tal ragione s'ingegna- no, Se pongono ftudio di prouocardertramentea rifogli afcolta- 47 tori. A render poi l'auditor docile, Se habile a intender quel, che s'hà da dire, pollono eflTer vtili , Se condurne tutte l'altre co- 48 fe dette fc ciò ci piace, Se torna ben di fare : Se oltra ciò il procu- rar colui che parla , d'apparire huom da bene , Se della giurtitia 49 amico : pofeiache a coli fatti huomini fi fuole ageuolmentc pre- 50 rtare attcntione, Se credito. Attcntionc foglion predare gli afeoi- tatori allccofe grandi, Se di gran momento, alle cofe lor proprie, &ch'a loro particolarmente tocchino, Se a cofe,chc rechino am- miratione, Se a cofe finalmente gioconde,& atte a portar diletto. Se per quefto fa di meftieri d'accennare, Se prometter d haucrea ji dir cofe tali.& per il c5trario,fe verrà commodo,& vtilealla cau fa, che gli afcolratori poco attenti fiano, bifognerà dcftramcnrc far credere, che le cofe, ches han da dire, fiano di poco momen- to , che le fiano poco, o nulla attinenti, Se toccanti ad erti, Se che ci finalmente noiofe, Se odiofe fiano. Ma dee ben non ci etfer na- feofto , che querte coli fitte cofe, fon tutte fa ora de i meriti del- la caufa, Se della foftantia dell'oratione : come quelle, c'han loia mente luogo apprelTo d'afcoltatori non incorroui,0 non finccii, L l ij Se parati 2 6& T>ella r B^torìca d^riflotel^j tk parati in fommaa dar volonticri orecchio , tk ricetto ancora 5 5 alle cofe, che fuor della caufa lono. peroche s'eglino coG farti 54 non fuilèto, non farebbe vtilc , o necelfario il proemio , fe non quanto con elfo saccennallero , «Se s'aprirò i capi , tk la fom- madell'oratione ,& della cofa, eh à trattar s'haucllc: accioche a guifa di ben formato corpo, haueli'e ancor ella il fuo capo, tk non rcftalTc come corpo tronco . Apprcllb di quello il cercar di procacciare attentione e cofa commune a tutte le parti dellora- tione,quando ve ne bifogno. concioliacola che in ogni altro luo go dell'oratione può più ageuolmentc accalcare , che gli animi degli afcolta tori iiano fianchi, & rimeflì, che nel principio di f6 quella. Onde par, che fia cofa fuor di ragione, tk degna quali di rifo il volere, ch'alhora lì procacci attentione, quando foglion J7 tutti mafiìmamente con attentione odirc. Per laqual cofa ogni volta che loccafion fi porga, o 1 bifogno lo ricerchi, farà ben di 58 dire, Attendete di gratis, & volgete la mente alle mie paiole: peroche la cofa di cui vi parlo, non apparrien niente più a me, 59 che s'appartenga a voi . Io fon per dirui cola tale,chc mai nò ha- 60 uere ventala più atroce, & la p.ù marauigliofa . Et quello era quello>chc intcndeua Prodico , quando diccua, che come egli vedeua fare a color, chcl'odiuano, fegno d addormcn tarlagli ec- citaua con dir loro, che direbbe , & proporrebbe loro innanzi , €1 cofa, che valeua cinquanta dramme. Non e dubio alcuno adun- que che li proemi) non riguardino gli alcoltatori, non in quanto 61 afcoltatori, tk propofii folo ad afcolrar la caufa . percioche tutti quelli, che gli via no, cercano, o di dare in elfi qualche caluronia altrui, o con difcolpar fe ftcflì, liberarli con feguen rem ente dal ti- mor, che pollano hauer di chi gli debba odi re. come fece colui , 6; che dille» Io dirò,o (acro Rè, non come, ne con quanto Audio» 64 cV quel, che fegue. & quel! altro dille, A che cerchi tu d vlar proemio? a che vai tu proemizando 2 Color parimente, che li truouano hauere il peggio nella cola, che voglion dire, o nella caufa, che trattar vogliono, o almeno firmano, tk dubitan , che coli li creda, fogliono vfar proemio : conciolìacofa che in ogni al tra cofa, che nella caufa ftctfa, ftimao,chc (ia lorpiù vantaggio 66 di far dimora. Onde vediamo, eh 1 noftri ferui , non nlpondo- no alle cofe, chclor fon domandate, ma van diucrtendo , tk cir- cuendo d'ogn 'intorno con le lor parole, tk lunghi proemij fan- noJl Ter&o librò. 2 6$ 67 ho. Onde, & come, scabbia poi da cercar di render l'auditore amico , & bencuolo, Se di tatti gli altri cofi fatti atFctti,già di fo- 68 praal luogo Tuo a baftanza fi è trattato. Et perche molto a ra- gione, & con buon giuditio dilfe Ho mero -, Goncedemi benigna Dea, chedouendo ioarriuarca i Feaci, vi venga creduto da loro, 69 o per lor'amico, o per degno di compatitone ; ci vien con tali pa rolcainfegnarc, eh à queftiduc affetti bifogna principalmente hauer l occhio , per cercare, & cattar dall'auditor bcneuolentia. 70 Et nel proemio del gcnc-F demoftratiuo fa di bifogno per cagione della detta bcneuolentia di procurar , che gli afcoltatori fi Itimi- no, che con le lodi, che a chi* hàda lodare fi danno, fian con- giunte in vn certo modo le lodi parimente, o d'\ loro fteili , o del- la ftirpc , & fameglia loro, o de i loro ftudij , o delle lor profefc 7 1 fioni , o in qual li voglia altro modo riguardin loro . Perciochc quello , che nel Dialogo intitolato l'Epitaffio dille Socrate, non elTer cofa difficile il lodar perfone Athpnicfi , dinanzi ad afcol- tatori Athcniciì, ina lì bene alla prefentia de i Lacedemoni , 74 s'hà da ftrmar per giudiriofamente, & veramente detto. Quan- to a i Proemij poi del gcner deliberanno , fa di mcftien,che quando bifogno ne viene, egli dal gcner giudicial gli tolga , co- me quello, che per natura fua manco di tutti glialtii generi 73 ha neceffità di proemio, conciolìacofa chegià prima fiano in- formati gli afcoltatori di che cofa s'habbia a trattare, & parlare, 74 &c nó habbia nel retto la caufa bifogno alcun di proemio, fegià non accadente coral bifogno per cofa, che guardante o la perfona di chi parla, o quella dcll'auucrfario : ouer quando l'orator ve* delle, che gli afcoltatori non ftimallcr la cofa di quella grandez- 7J za, ch'egli vorrebbe,mao maggiore, o minore. Per laqual cofa gli fj di meftieri in tai cali, o di calunniar', & riprendere, o di 76 purgarli, & liberarli dalle calunnie impofte, od'amplificar la 77 cofa con ampliarla, o con eftenuarla, & diminuirla. Per cagion di quelle cofe adunque può occorrere alle deliberatine orationi bifogno di premio, o per cagion finalmente d'vn certo ornamé- to, òc compimento dell'oratione : acciochc non habbiaella, re- ftandone fenza, da parere in vn certo modo tronca, & quafi fen- 78 za capo: come così fatta pare quella oratione, che fece Gorgia 72 in lode de gli Elicnfi : pcrciòchc fenza altra prepararionc,^ feri za induio alcuno d incominciamento, entrando fubito nella ma tcria, 270DellaHgtprìcad!driftotelcj teria,quafi ali'improuifta dice, Elide è vna Città felice, Se quel che firguc. £af?o ij. Del d'tfi'toglimento delle Calunnie^ , le quali Juole alle volte imporre l >e vna par- te auuerfaria alt altra : & de t luoghi njtilia far cosi fatto dtfeioglìmento . i l^^-^i^J Ntorno alle Calunnie adunque vn luogo dadi- NVJ| tHB  . | L , ci • 10 fri 1 nt 3Fi«« r*i\ i» 1 ^ , iv «ìLj'i j» , & dell' aff&ttuofo> che può occorrer di far fi in ejfa . ?5?25| A narratione nelle Orationi demoftratiuedee fàr- fi , non tutta inficine diilefamente continuata: ma dee parte per parte cfler djlcontinuamenic pofta N £prciòche fa di mcftieri di dimoftrare, & fare apparire, che fi racconci la lode, o il biafmo , che Ci truoui in tuuc quelle anioni, & quei Tatti, che fi con- M m tengono 2 ?4 T>eSa 'Retorica d y Arili otel^j 3 tengo n ncll'orarione . conciofia cofa che di due cofcl'orarion fia cópofta. lvna non ha bifogno d'arre, nó cllendo altro, che le 4 ftelFc attioni, che fi narrano , delle quali colui , che parla non è $ caula, & dallo Hello fattole prende. L'altra poi darti tino hà bifogno : Se quella altro non c, ch'il moftrare, & far conofeerc, 6 o che la cola veramente Ha , quando la fi conofea incredibile , o 7 difficile a crederi! , o che la lia della tale , o della tal q uali ù , o ver che Ha di tanta , o di tanta quantità , Se grandezza ; o final- 8 mente tutte quefte cole inficine. Per quella ragione adunque è ben fatto , che tutre le cofe, che s'han da narrarc,non fi narrin fempre continuatamente l'vna doppo l'altra: concionacene dif- fidi fi renda il ricordarli della pruoua, Se conflrmatione, che có 9 fi fatta continuationc fi faccia poi : come farebbe dicendo, Da quefte cofe adunque, che lì fon dette,!! può conofccr,chc coltili fia forte , da quefte , ch'egli fia prudente , Se da quefte , ch'egli 10 Ila guitto. Et in vero con vn coli fatto modo di narrare, diuien l oration più fempliee, Se vniforme . doue che l'altro modo dif continuato, la rende più varia , Se più vaga, Se per confeguente 1 1 manco humilc, & manco vile. Quelle attioni , Se quelle cofe poi , lequali fon molto note, Se dalla fama aliai diuolgate, fa di meftieri fol di toccare alquanto, Se con poche parole accennare, il tanto a punto, che baftia ridurle in memoria altrui. Et per quefto fon molti, che non han bifogno, che nel trattar con ora- i j tione i Ior futi , s'vlì la narratione : come auuerrebbe ( per ef- fempio ) a chi voledc lodare Achille, pofeia che i fuoi fatti , Se 14 le fuc attioni nori Ili me fono a tutti . Ondcfolofadi bifogno di prenderle come note, Se fcruirfene, Se porle in vfo nella confcr- I $ matione.doue che fedi Criria,& de i farri fuoi s'hà da parlare,fa rà neccllaria la narratione : nó ellèndo i fuoi fatti, & le fueattio- 16 ni molto note. Quanto a la duration della narratione parmi, che facciano oggi cofa degna di rifo coloro , che dicon douer la 17 narratione elTer breuc. A i quali fi potria rifpondere nel modo chevno rifpofead vn fcruo fuo; il quale nel rimenar Ja parta per fare il pane, lo domandaua le o dina, o tenera hauclTè egli da far quella palla, rifpofcegli dunque, hor non fi può ella far, che ftia bene , Se nella fua perfettione ? Et il medelìmo lì potria x 8 dire nel calo noftro a coftoro: conciofiacofa che non bifogni nel narrare elTer lungo, fi come nel proemio ancora > ne parimente nei Jl Ter zj> libro. 27 j f rie! prouare, Si far fede con la conferminone, perciochein coli fatta lunghezza non confitte il bene edere, Se la perfettion di rai cofe , fi come ancor non confitte ncllefter breue, Se concifo,ma 0 foloin vna mediocrità conuencuole. quefta, quanto alla narra- tione, in altro non è pofta, ch'in dite, Se narrare a punto tutte quelle cofe, che poftbno etter baftanti a inoltrare , & aprir bene 1 la caufa (Iella, Se la cofa, che s'hà da trattare , che poiron far na- fccrc in chi ode opinione, o che la cofa fia ftata fatta, o che fi fia nociuto, o fotta ingiuria con etta,o che il dano , & l'ingiuria fia di quella importantia, Se grandezza, che noi vogliamo , che fi 1 creda . & all'auuerlario poflbn per il contrario ballare a moftra- 3 te tutto il contrario di quanto è detto . Appretto di qucfto ti fa di biibgno d'interporre, Seinferir nella narratione tutto quello, che polla importare a dare opinione, Se coniatura della bontà 14 tua . come faria (per ettempio) dicendo, Io non mancai di con- figliarlo, Se cfortarlo fempre a quello , che ricercaua il douerc, c'igiufto per pervadergli, che non volefte abbandonare, ÓVtra- 1 j dire li proprij figli . O ver tutto quello , che polla, fare apparir l'iniquità, Se malignità deH'auucriario, come faria dicendo , Et egli tempre mi rifpondeua, ch'in qualunque luogo fi ritrouaftè, 16 nonfarienper mancargli de gli altri figli. La qual rifpofta fu parimente fatta, fecondo che fcriue Hcrodoto , già da gli Egitti) 17 al lor Rè, cirendo da lui liberati, oucr finalmente tutto quello vi bifogna inferire, che polla piacere, Se parer giocondo all'o- 18 recchic dei giudici, Se eie glialcoltatori. Oltra di quefto di mi- nor narratione ha di bi fogno il difenfore, o vero il reo, chel'ac- ip cufatorcnon hà : Se li punti delle controuerfie, ch'a lui di far narrando apparire appartengono, fon qucfti, cioè la negation del fatro, o vogliam dire, che la cofa non fia ftata fatta, o che no habbia recato danno, oche la non fia cofa ingiutta, oche l'in- giuftitia, e'1 danno non fia così grande, come l'accufatorc affer- 30 ma. La onde intorno a quelle cofe, che come note non può c- gli negare, o non confcfTare, non ha da confumar con parole il 31 tempo: faluo quando tirar le potette agiouamento d'alcuna delle controuerfie dette, come faria confettando d'hauer fatta la cofa, over commetto il fatto, ma non già d hauere per qucfto 31 fatto cofa ingiufta. Dee parimente il difenfore olrra dùbbia- mente confettar d haucr fatto quelle cofe, le quali operandoli M m ij non fono 2 7 6 T>eUa Hgtorica d J AriBotelc^> non fono atte a muoucrc, o compalììone, o indegnatione nel- 33 l'animo di chi l alcolca. diche cipuòellerc eifcilfpio l'apolo- go, & ragionamento facto in commendation di (e da Villi e ad Alcinoo,cheabbreuiato, Se nltrcrto l'elilinea vedi, fìj poi da lui 34 fatto a Penelope. Ce ne può ellere ancora elìcmpio qucllo,chc diceFaillo in quel fuo Poema, eh egli domanda Circolo. Se il 35 prologo parimente della Tragedia, intitolata Ocneo. Dee me- 36 degnamente lanarratione ell'er collumara: Se quello non ci farà difficile di confeguire, fc non ci farà nafco{lo,che cofa fac- 37 cianafecre, Se apparir coftumc nel parlar no Uro. Et vna del- le cofe, che polfbn far quello, conlilìe nel dar parlando inditio, Se (ìgmfìcacion della noftra elcttione : pigliando il coftume co- dinone, Se qtialicàdaqucfta, lì come quella prende qualità dal 38 fine , che nell'action s'attende. Et da quello nafee , che le ra- gioni, Se li difcorfi machemacicali non han coftume,pcroche e- lettionc alcuna non lignificano , ne manifeitano : come quelli, 39 fine, percagion delqual s'operi, non contengono . Ma ben lo contengono, & per confeguentc coilumaci chiamar li pollb- no li ragionamenti, Se difcorfi, cheli leggon di Socrate : come quelli, ch'intorno fono a così fatte cofe, ch'clctcion dernoflra- 40 no. Verrà no parimente a far la narration coftumaca quelle co- fe, che per il più feguono, Se van dietro aciafehedun collumc. come (per ch'empio) fe noi d'alcun diremo» coftui, menti e che rifpondeua, in vn medefimo tempo feguiua di caminarc ; ver- remo a moilrare vna cerca al fierezza, Se rullichezza del fuo ani- 41 mo,Sc del fuo coflume. Parimente rende lanarratione co- lìumata il narrare, Se parlar, non fecondo l'cfprcflìon folamen- te del concecto, come vun quelli , che parlano hoggi ; ma più torto conindicio d'intcntion dell'animo, Se d'elemonc. come 42 (ària dicendo, Io veramente voleua far quello : perche quan- tunque ciò non fulle per giouarmi punto ; tuttauia elcggeua di farlo, come che più honclìo fufle : pofeiache l vna di quelle cofe e cofa da huom diligente conferuator del fuo, & 1 altra e cofa da huom da bene, conciona che ali huom lagace, ÓV: pru- dente conferuator del fuo, foglia ellcr proprio il feguir 1 vti- le,& dell'huomo amico della virtù > fu proprio 1 abbracciar 4J l'honello. Ma fel'elcttione, che nel narrar li difcuoprc, Se Ci moftra, fufle di cofa, che parer potelTe incredibile;in tal cafo (idi Jl Terz^o libro. 277 44 fa di mcltierid'airegnarfcnefubito la cagione: fi come cilcm- pio lene vede nell'Antigona di Sofocle, la qual nel fuo parlar molti*.! di tener più cura, Se maggior penfiero del fratello, che del marito, Se de i figli, allega adunque ella di ciò la cagion di- 45 cendo, che morti i figli, c'1 marito era pollimi di nuouo pro- cacciar degli altri : ma elllndole già eltinti di vita la madre, e'I padre,& menando la vita lor nell inferno; non era più pollìbil, 46 eh altri fratelli hauclfe. Ma le in pronto cagione alcuna d'alle- gnar non hai, dei confeilare, Se dire in tal calo, che ben non ti è nafcolta la incredibilità di tal cola -, madie non hai potuto far 47 di non feguire in quello la natura tua. & quello dei dire, per- che non lì fuol communemente credere, ch'alcuno di fua fpon- tanea volontà cerchi di far altro mai, checofa, che gli fia vri- 48 le. Deefioltra di quello formar la narratione in modo, ch'af- 49 fertuofa.o vero el'prelliua d'affetti appaia. Se perche meglio ap- paia tale, lì deono cipri mere per inditi) d'affetti quelli acciden- ti, chefeguon loro: Se non folamcnte quelli, il cui confegui- 50 mento al tutto èmanifclto; ma quelli ancora , che propria- mente, Se peculiarmente, o a quel, che narra, o all'auuerfario , o vero a quella, o a quell altra perfona feguono. come auuerria51 dicendo , coltui nel partirfi di là, doue io era, non reflò per gran pezza di volgerli in dietro, per pormi gli occhi addotto. fi Eccome ancor córra di Cratilo dille Elchinc, ch'egli daua altrui có bocca il fifehio, o (per dir così) la filchiara,& battedo vna ma J3 con 1 altra, faccua Itrepito . Son dunque quelli modi di parlare molto atti a rendere a gli afcoltatori credibile, Se perfualibil la narratione: pcrcioche quelle cotai cofe,ch'cglin fanno foler fe- guire a i tali,& a i tali affetti; vegonoadar loro inditio, che tali affetti (iano,doucelfi nó fapeuano,o nó credeuano che fu itero. 54 Et molte di così fatte narrationi, Se locutioni fi pollon prender da Homero : come (per eflempio) quando dice, CosìdilTe ella aduque,& la vecchia Nutrice li mellefubito le mani a gli occhi. 55 percioche coloro, che cominciano a fentit venir fuor lclagri- 5 6 me, fogliono a gli occhi por le mani. Có li fatte narrationi adu- quecfpieHiue di coftumi, Se d'affetti, dei procurar fubito dal fmnei pio del tuo narrare,di fàreapparir te ftcllb d'honelte qua- ità dorato, Se di contrarie lauuerlario, acciochegli afcoltatori có fi fatta imprelGonc,& cócctto di tc,& di lui, t afcoltin poi in fattoi 2? S Della Retorica d!AriBotelt*j |7 tucto'I corto ctela tua orationc. Ma bene auueritr dei di far quefto occultamente, in modo che non fia conofeiuto talear- 58 tiritio. Et che non (la ciò diffìcile a fare, fi può comprender da quel, che vediam fare a coloro, che qualche ambaiciata ci $9 fanno , o qualche nuoua ci danno . percioche quantunque di loro notitia prima non habbiamo alcuna , nientedimeno l'ubi- to che cominciano a parlare , veniamo a formare vn certo con- cetto, &vna certa opinion nell'animo noftro della qualità lo- 60 ro, & del coftume, & natura loro • Fà oltra quefto di bifogno d'vfar lanarrationc, noninvn luogo folo determinato, ma in 6 1 molti ancora , & alle volte non è ben di narrar nel principio . Quanto al gencr deliberatiuo, manco, che in altro genere e ne- ccllario in eflo il narrare : cóciofiacofa che nellun foglia far nar- 61 ratione, & ragguaglio delle cofe future, chedeon venire. Effe pure occorre nelle confulte bifogno alcun di narrare, tal nar- ratone farà di cofe paifate, per cagion, che con la ricordanza , & con la notitia di quelle, fi venga meglio a poter prender con- icttura, & cófiglio nelle cofe, che han da farli, ÒV da feguir poi. 6j over per cagion di lodarle, o di biafimarle a giouamento di 64 quello, che s ha da rifoluer nelle coi u 1 te . di maniera che il far quefto in così fatti cafi, non è propriamente vfficio, & opera di 6 j chi delibera, o di chi confuka, ma per accidente. Et s'occorre alle volte, che la cofii, che fi narra, polla parere a color, che 1 a- fcoltano, molto difficile ad efTer creduta j fa di meftieri di pro- metter loro, che fubito fi farà lor conofeere, & toccar con ma- no la cagion di quella: offerendo di volerlcne in ciò ftare al giu- 66 ditio, & al parere fteifo di chi più piaccia loro : fi come nella Tragedia di Carcino intitolata Edipode, falo- cafta , in prometter femprc di fodisfare alla do- manda di colui,chc quel,che fullè del fuo figliuolo la domandaua.il medefimo parimente appreifo di Sofo- cle fà Emone. Jl Terzjo libro \ J7/ Qipo 77. 2)/ quella parte dell'Or Attorie, che Jl domanda Pruoua a far fede 5 laqual parte abbraccia la Confer mattone, & la Confuta tionc_j. ^ come tal parte sh abbia da fir- mare : & quali auncrtentie in ejfa fi debbia no bauere in ciajcbedun gener di caufLj . E pruouc, che s'han da far per far fede, fa di medie ^/J>CL£*5| ri j che nafeanoda dimoftrarione, & argomenta- li tione. Et perche quatrro fogliono cller nelle caufe 5 p IgkgM giudiciali le controuerfie, douc conliftono i punti ' " * delle caule, fa di bi fogno d'indirizzar le pruoue, & le argomentationi a quella controuerfia, nella quale farà po- rto il punto della caufa . cornea dir che fe lo ftato della contro- uerfia farà del fatto,in negar cioè, che la cofa fia ftata fatta,fi do- uerà nel trattar la caufa in giudi tio, indirizzar principalmente a quefto punto gli argomenti, & le pruoue. & il medclimo fi dee fare, fe la controuerfia confiderà in negar d haucr con tal fatto nociuto, & recaro danno : o vero in moftrar, ch'il nocumento , e'1 danno non lìa ftato di tanta importanza, di quanta l'accula- tore afferma: o veramente che la cofa fia ftata giudeamente fatta. Et nella medefima maniera fi dee procedere per la parte afferma tiua della controuerfia , in affermar , che la cofa da ftata fatta. Ne efTer ci dee nafeofto, che in quefta fola controucrfia,che con fìftc nel fatto, è neceflario, che 1 vno de gli auucrfarij,o l'accufa- tore,o il reo, fia veramente mentitore, o iniquo . conciofiacofa che non pofla in ciò eflerTignorantia caufa della contentione, & diferepantia loro,in modo, che feu far gli polla, come potreb- be auuenire nell'altre controuet lìe : come faria s alcuni d'elfere il fatto giufto non giufto contendellero, & diferepanti foftero . La onde nel punto di quella fola controuerfia, in cui condite la caufa, fa di bi fogno d'in lì iterc, & di confumar nelle puiouc il tempo: & non nell'altre controuerfie, Se ftati di caule, doue el- la non confiile . Nelle caule dimoftratiuc poi la lomma del prò uare 2 S o ^Della 'Retorica d' Arinotelo aare hà da eflcr l'amplificar rhoneflà,& l'vtilità dei fatti, &: del- io le amoni , che fi narrano, percioche quanto all'eller loro , già i i per vere fi deon prendcre,& fi deon credere: come che rare voi te accafehi, che ricerchinpruona, & dimolìratione del lor'elic- ii re : come a di re in cafo, che le fulfer per parere increbili , o che 13 fufl'c opinione, che fi doueflero attribuire ad altri . Nellecaufc deliberatine final mete potrà la cótrouerfia accalcare, o in negar fi, che la cola dairauuerfario conictturata , habbia da ellèrc, 14 o ver fc confettando, che fi a per elfere, fi niega, che la fia gl'urta, o vrile, o di tanta vtihtà, & giuftitia, quanta l'auuerfano arfer- ij ma. Deefi parimente auuertirc, fe 1 auuerfario fuor del punto della controuerfia , Se fuor della cola lìclla, che fi nella caufa, 16 diccllc qualche cofa euidentemente falfa. percioche quando quello ila, cofi fatte cole falfamcntc dette, verrebbeno ad etfèr chiari inditij, ch'egli nell'altre cofe ancora, che fan nella cauli, 17 non fulle veridico . Debbiamo appretto di quello fapcrc,che trà lepruoue, & modi d'argomentare, gli Eilempi fon molto ac commodati, Se proportionati al gencr deliberatalo: li come gli Enthimemi fi van più accommodando, Se conuenendo al gener 1 8 gindiciale, ch a gli altri generi . conciolìacofa che riguardando il deliberanno il tempo auuenirc, faccia di bifogno, che dalle cofegià panate s'alleghino, & sadduchino eflempi per inrtrut- tione, Se conlìglio dellcfuturc. doue che ilgiudicial genere le cofe riguarda, cheo già pallate, o già prefenti fono:lequali por tando feco necellìtà ( non potendo ellcr, che quello, eh è già Ila to, o prefente è, non fia ) vengono a ftar fottopoftealle deduttio 20 ni necellarie de gli enthimemi, Se delle demollrarioni . Nó deo no oltraquefto gli enthimemi, che $ han d addurre, ellcr 1 vn doppo l'altro fenza interpofition d'altra cofa, continuatamente porti : ma fa di incineri d'interporre , Se tramezare tra cllì o^uaU 21 che altra colà, altrimenti con inculcarli , Se quali premerli in- ai fieme, verranno a impedirli , Se a dannificarhTvno 1 altro : po- feiache ancor nello Hello numero, Se nella della quanrirà delle cole, fi dee trouar conucncuol termine, Se fcruar modo» Se mi- 13 fura . come bene accenna Homero, quando dice, Poi che nel ruo parlar (caro amico) tante cofe a piito hai dettequanteogni huomo faggio, Se prudente harebbe detto , Se quel che leguc. 14 dice dunque tante, Se non tali . Appretto di quello non lì deon cercare fi ler&o li ho . 2 g 1 ij cercare. & formare enthimemi a prouar qual fi voglia cola : altrimenti fata pericolo , che tu non incorra in quel raedefimo inconucnicntc, nel quale incorrer fogliono alcuni di coloro, che fan profeffion di tìlofofirc. liquali (illogizano alle volte, Se concludono alcune cofe, che fon più note, Se più atte ad cf- fcr credute di quelle, dalle quali, comeda premette le dedu- 16 cono,& le concludono. Et oltra ciò quando tu vorrai muouer qualche arTetto,o paflìone,nó dei inficmemente vfar l'cnthime 17 ma.pcrochc quando quefto fi facctte, faria pericolo , cheol'en thimema non (cacciatte,&: fa.cc(Tc quafi difparir l'affetto ; o che l'addotto cnthimema,comcnó attefo, & nóauuertito, reftaù 28 fc vano , & formato indarno: pofeiachei diuerfi mouimenti dell'animo, quando fi fanno inheme, vengono a ributtarli, Se impcdiifil'vno l'altro, in maniera cheo totalmente tutti fpa- rifeono, Se diuengon vani, o almeno indeboliti, 6cfneruati,cV: i fenza quafi alcuna forza Tettano . Nè parimente quando vo- gliam rendere il nottro parlare coturnato , debbiam cercar di 30 vfar Ten thimema in quello fletto tempo: conciofiacofa che le argomentationi non dicno per lor natura inditio di coftume,o 3 1 di elettione alcuna . Quanto alle Sententie poi, fi p jtfbno vfa- re, Se nella narratione, Se nel pruouare,& far fede, come quel- le, ch'in efprimere i cottumi grandemente vagliono. fi come 31 auuerrian dicendo , Io veramente confidai quelle cofe in man di cottili, quantunque io fapcttc molto bene, che l'huom non 3 3 doueria credere, Se hauer fede in alcuno a cafo . Et fc cfpref- fion d'affetto, & commouimento d'animo vorrem dimoftrare, 3 4 potremo aggiugner cosi , Et non ho d'haucr fatto quefto, pen- timento alcuno, quantunque ottefo, Se ingiuriato ne fia rima- llo : peroche a lui Tetterà il guadagno , Se l'vtile, & a me il giu- 35 fto, Se I nonetto. Sono oltra di quefto le caufe deliberatine $6 più difficili a trattare, che quelle del gener giudiciale. Se ciò non fenza conuenienti ragioni . peroche primieramente le có- fulte riguardano il tempo auuenirc, & delle cofe future fono: 37 0cli.giudi:.ij delle già pattate: Lcquali a quelli fteffi, che fan profeflìonc d'indouinare, Se palefar le cofe occulte, fon più fa- 38 cilia diuenir note, come affi, ima ua Epimenidc Cretcnlc . Pe- roche egli ucll'indouuiare, aprire, Se palefar le cofe occulte, N n non 2 $2 'Della 'Retorica d *Àrìttotele^> non s'intrometteua nelle cofe, che deon venire, ma in quelle fole, ch'elfendo già pafiate, cran nondimeno occulte, ignote, 32 & d'ofeurezza piene A quefto s'aggiugne , che nelle caufe, & controuerfic giudiciali, han da fuupor,lc leggi come fonda- 40 menti (labili , & principi) ferrai : ne èdubio, che coloro, che nelle loro argomcntationi, han fermi , & noti principi) , non poflan piùagcuolmcte rrouarc, & formarcargomenti,&: prno 41 ue. Et ci s'aggiugne ancora, che il gcncrdeliDeratiuo non hà molti refugij diuerticuli, doue 1 orator porta l oration ri- uolgcre: come a dir volgerfi contrala perfona dcH'aiuicrfario , o ver dir cofe, che tocchino la fua propria perfona ftelìajO vera mente cercar di muouere affetti nella perfona dclTafcolrato- 4$ re. ma meno d'ogni altro genere hà egli cotai refugii , ^: co ta- li ftradc, fe già non vfciflfcinfar quefto dei confini propri; . 44 ma quefto dee far Porator folamente quando mancandogli gli aiuti proprij di quel genere, fi vedeneceffitato a ricorrer per 45 aiuto altroue : come fon foli ti di fare gli Oratori Atheniefi, &Ifocrate fpctialmente, il quale mentre che con le fuc deli- beratine orationi configlia, fi diftende nell'accufarione , & ri- 46 prenfion di qualchuno : fi come fa nelloration fua panegirica riprendendo i Lacedemonij : Se nell oration, Sociale doman- 47 data, incolpando >& mordendo Charete. Nelle orationi, èc caufe del gcner dcmoftiatiuo poi , per non lafciarfi mancar ma tcria,fa di bifogno di fupplirc accumulando,& riempiendo l'o ratione a gui(a d'Epifodij, delle lodi di quefta cofa, o di qnel- 4 S la t fi come via di fare liberare . pcrciochcfempre nelle fue de- moftratiue orationi prende, de introduce di fuora qualche al- 49 tra perfona. nèin altroché in quefto confi Itcua in foftantia quello, di che Gorgia fi vantaua : cioè che mai non gli farebbe mancara materia da diftender, quanto egli haueffe volutola fua oratione. percioche s'egli haueflè( pereffempio) tolto a celebrare Achille, harebbe lodaro Pclco, 8c di poi Eaco, Se quindi Gione. Er nella medefima man cia prendendo egli a lodar lavinù della fortezza, liarchbc racconterò & cfalrarole atrioni forti di quefto, o di quello . il c\it far non c alno , che ji quello, che pur'hora derro habbiamo. Quando ti trouarai adunque non defcttuolo di pruouc,& di demoftrationi perfarJl Ter z,o librò. 2S3 far fede nella caufa tua, alhora harai da vfare, non folo l'ora- tion coftumata , ma lcdimoltrationi , Se argomcntationi an- 55 cora, interponendo trà clfe il coftumc. ma fe mancar ti ve- drai gli enthimemi , & le dimofhationi , alhora harai da riuol- gerti maggiorméte, & con ogni ftudio all'aiuto del parlar co- ftumato : percioche a coloro, che fono ftimati huomin da be- ne, pare che più quadri , &: ftia bene, òVgioui a far fede, l'ap- parentia , Se l'opinion della bontà loro, cheì la forza cfquuica 54 delle lor ragioni . Tri gli enthimemi poi li redarguinui,o ver conuincitiui , o reprouatiui, elicgli vogliamdire, par che fiati di maggiore ftima, & maggiormente approuati , che non fo- no gli aiterei ni ( per dir coli) Se puri moftratiui , Se prouariui . 55 conciofiacofii che douc fi truoua redargui rione, Se refurano- nc, maggiormente fi rendcaltrui manifefta la forza della con- cisione dell'argomento : pofeia che li contrari) porti l'v- no appreso all'altro , quali ch'in parragone, più euidente- $6 mente fi fan conofecre . Quanto a quelle cole poi , lequali shabbian d'addurre in confutatione delle ragioni , Se delle pruouc dell auuerfario, non fi deono (cimare altra fpetiedi- uerfa da quella della confermatione, che cófifte nello Hello far fede : il che fa ancor colui, che confuta; parte con difeioglier con inftantia, Se parte con addurre , Se formare in contra- 57 rio fuoi proprij, Se nuoui fillogifmi . ApprelTbdi quello dee colui, che è il primo a parlare, così nel gener deliberatalo, co- me nel giudiciale,efporrc,& addurda prima gli argomenti , Se le pruoue, che fan per lui , cV di poi opporli, Se con tradire a quelle cofe, che pollbno elTergli in contrario, difciogliendolc, jS Se con nuoui argomenti cftenuandole , & confutandole . Ma le fi vedrà, che molte, Se varie cofe fian quelle , che in contra- rio fi polfon dire , douerà in tal cafo da prima opporre, & con- J9 tradire a quelle : fi come fece Calligrafo in quella oratione, ch ei fece al popol Meffeniaco , in gran frequentia adunato, perciochc hauendo egli da prima ripruouato, Se confutato tutte quelle cofe, ch'egli fapcua, che incontra fi diccuano , o li faricn potute dire di poi fatto quello , lefuc proprie pruoue, fo Se ragioni adduiTe , Ma quando l'orator lari il fecondo a par- lare , douerà da prima rilpondere alle ragioni , ck alle obbict- N n ij doni 2 S y Tfella Ttgprkd d'Arinotela rioni fatte dall'ali ucrfarioj cercando di difeiogliere i detti Tuoi, Q\ & d'argomentare ; & fillogizare incontra: Òc mafll inamente fc le cole da quel dette , poflbn parer di momento , óc habili a fi fàrcimpreflìone , & fede, pcrcioche fi come vn'huomo hauu- to per infame, & granato di delitti , non fuolc ellcr nò caro, nè accetto all'animo noftro , cofi parimente non farà accetta , & con buono animo riceuuta la noftra oratione , fe partito fa- rà, c'habbia ben detto, & ben prouato rauuerfario noftro. £3 Fidi meftieri adunque di far dar luogo, & procacciar nell'a- 64 nimo dell'afcoltatorc adito, & palio alla futura oratione. Et quefto ageuolmentc ti auuerrà di fare, fc da prima le cofe, che 6f ti fon contrarie, confutarai, & annullami. Ter la qual cofa. fc prima harai fatto ftudio , & diligentia d impugnarle, o tut- te , o le più importanti , o quelle, che polTbn più parere atte ad clferc appruouate dagli afcoltatori, o quelle finalmente, che almen fon più habili ad clTer confutate , 6c mandate a ter- 66 ra; potrai in quella guifa poi più fecuramente produrre, fic credibili render le proprie tue ragioni . come fa colei, che di- 47 ce, Prima m'opporrò f 8c prenderò la pugna in fàuor de gli Dei, Iofempre nò tenuto in gran veneration Giunone, 6c C% quel , che fegue . nelle quai parole fi vede che nel far rifpo- fta, &oppolitione, fa principio da quella cofa, ch'era più fà- 60 cile a confurarfi. Et tanto può baftared'hauerne detto delle 70 pruoue , che s'han da far per far fede . Quanto all'vfar l'ora- tion morata poi, perche il parlare , & predicare apertamen- te lodi di fe ftellb , pare , che facilmente polla, o prouocare inuidia, o parer cofa lunga, Se tediofa,o trouar facilmen- te obbiettione, & contradittione, 8c il parlare in poca lode 71 d'altri hà in fe, o deicontumcliolb , o dell agrefte , & del 71 rozo , fa di meftieri per quefto, ch'à far ciò s'introduca qual- che altra perfona, come che da lei tai cofe fi dicano, co- 73 me vfa di fare Ifocratc ncll'orarione chiamata Filippo , & in 74 quella, che Antidofc fi domanda : Et come parimente fuo- le Archilocho biafraare, & mordere . pcrochc introduce, 8c fìnge che il padre ftcflb parli contra della propria figlia, 7j in quei Iambici verfi , the cominciano, Neftuna cofa im- maginar fi può, che non fi polfa afpettare, & credere, che per I. JlTerzj) libro. 28 j per danari habbiad'hauere effetto, c* che giurar {ipoteche non fia mai per eflèrc . Et il medefirao Archilocho introduce parimente Charonte fabro, & lo fa parlare in quei Iambici verfi, che cominciano, Non lo farei, fc ben le ricchezze di Giec , Se quel che feguc . Sofocle medefimamente fa, che Emone nel parlare a Tuo padre, in fauor d'Antigona, dica quel, ch'ei dice, non come da (e , ma come ch'odito da al- trilhabbia. là dibifogno parimente di trafmutare, & tras- formare alle volte gli Ènthimemiin forma di fenten tic; co- me fat ia dicendo ( per esempio) Dcono color, che fon di pru- dente intelletto fargli accordi ,& le paci loro coi nemici, quando veggon, come fuperiori andar le cofe profperc, po- feiache in quefta guifa le fanno con miglior conditioni, & con più vantaggiofi patti, la qual fentcntia raccolta in forma d'Enthimcma farebbe in quello modo , Perche le paci, i patti, & le conuentioni alhor s'haa da far coi nemici, quando fi potlbn fare vtihflìme, & vantaggiofiflìme, per qucfto adunque alhora maf (imamente far fi deono> quando le cofe paflàn feli- cernen- •!**^f * "* l te. :: ... 2 8 6 Della ^tprìca d'ArìHotela (apo 18. Del modo di domandarti > di rifondere yche occorre alle 'volte di farà a gli Orafort nel prouara, £tf argomen- tar, che fanno. & quante fiano le opportu- ne occajioni di far fai domanda , ri- JJtofie 5 £f quali le auuertentie , che shan d'hauere tn ejfa . & alcune cofe de i C R^ dtcoiiy £f dell'Ironia, £f della Scurrilità . Vanto appartiene alle domande, che Cogliono occorrer di fard trà gli Oratori, buoniflima oc- chione alhor malli inamente, & primieramen- te, harem noi di domandare, quando di due cole, che ci farien di bifogno per concluder con- tra dcll auuerfariOihaucndoncegli per fc iteiTb detta vna, do- mandandolo noi dell'altra, potiamo con ella condurlo a qual- che alTordo, Se inconuemcncc : li come auuenne nella doman- da, che fece Pericle a Lampone, peroche hauendol ricerco, che gli manifeiìafle la qualità dei legreti mifterij dei facrificij, che li faceuano a Cerer falutarc Dea, Se elicendogli da Lampon ciò negato, con dire, che non conueniua faper tai cofe a chi non fulfe a cai facrifitij già confagraco ; lo domandò Pericle, s'egli le (aperta, Se riipondendo Lampone, che sì ; fubito fog- gimi fé Pericle, Se come gli fai tu dunque, non clTcndo an- cor iù confagraco ? Vn'alcra opporcuna occaiion di doman- dare fccondariamenre farà, quando di due propoficioni, che ci fan di bifogno , 1" vna farà cuidencemence manifefta, Se dcl- 1 alerà non haremo dubio,che l'auuerfario non ila per con- cederla, (e gliela domanderemo, fichauuto c'haremo la do- mandata detta propofirionc , non è ben di domandarlo del- l'altra, che è manifefta ; ma fnbico fa di meftieri d inferirla conci ufione, Se chiudere il fillogifmo : fi come fece Socrace . peroche Jl Terzo libro . i 8? peroche incolpando! Mclito, ch'egli, non crccfcfle, che fuficr gli Di), lo domandò Socrate s'ei ftimaua, ch'egli hauellc opi- nionc, che fufic falche diurno (pino, che Demone lì do- mandale, il die ojfcrmando Melito, lo domandò Socrate, s'e- gli ftimaua, chei Demoni fu(Tero, o figli degli Dij, o parteci- pi della lordiuinirà. & confeirandogh ciò Melito, foggiunlc, Se conclufe Socrate, Adunque fi truoua a!cuno,che crcda,che fiano li figliuoli degli Dij,& no lìen gli Dij ? Walrraoccalìon di domandare, s'hà da ftimar, chefia parimente quando fi può far coniettura di poter moltra re, che ì'auucrfario dica, o cofe contrarie a fé ftcuo, o fuor dell'opinion comunemente d'ogni vno . Vn'altra opportuna occafione (Se quella lari la quarta) fi dee ftimar, che fia quando l auuet Cario altrimenti non può fodisfare alla domanda noftra,fenon rifpondendo fofiftica- mente. percioche s'egli in quefta maniera lifpondcrà dicen- do, che la colli (ìa, Se che la non fia, o che parte fia, Se parre non fia, o veramente che in vn certo modo fia, Se in vn certo modo non (latenza dubio gli afcoltatori verranno a reftar nella loro apprenfion confuta, Se dubiofi per tai rifpofte. Fuor delle dette opportunità , Se occafioni adunque non è cofafecura il tentat I auuedario con cotai domande, con- ciofiacofa che s egli con la Tua rifpolta facclfe reftare abbat- tuta,©^ fopita, Se finalmente vana la domanda noftra, par- rebbe agcuolmente, che fulTemo remarti vinti, perciochenó fi può riparar quello con domandar di nuouo più altre cofe : non comportando ciò la debolezza, Se la poca capacità degli afcoltatori. Se per quefta ragione e ancor benfatto, che gli cu thimemi fi raccolgano in forma più ftretta, che fia poHibile. Quanto al rifponderc alle domande poi, fa primieramente di meftieri , cheallcdomandc fatte con doppiezza , & con am- biguità, fi rifponda con diftmtionc, Se allegation di ragioni , Se non conciìamente , Se con breue , Se (empiite affcrmatio- nc, o negatione. Et a quelle domande, che poflòn conceden- doli parer contrarie, Se dannole a noi, fi di bilogno (libi- to , che rifpondendo lì concedono, alfegnar nella (iella rilpo- fta il difeioghmento di quella apparente contrarietà, prima chel'auuerfario fegua di domandar quel , the gli reità d ha- ute 2 88 Della Retorica £ frittotelo 1 6 ucr bifogno , & cerchi di chiudere il fillogifmo ; peroche dif: ficil cofa non c di vedere > &c di conictturare douc fticn porte lefue infidie, & la ragione, e il punto, eh' ci vuol concludc- 17 re. Ma ci ti poilon render tai co fé manifcfte, fi quanto a cofi fatte domande, cV sì quanto alle folutioni ancora, pcrquel- 18 lo, che fi e detto nella Topica. Oltra di quefto,fc potendo già per le rifporte noùre concluder con tra di noi l'auucrfario, ci farà nondimcn domanda della ftefla conclufionc, che vuol fare, laqual già più non potiam non concedere , ci fà di me- ftieri d'aflegnar lubito nella rifpofta, la cagion , che ci muo- ip ue a quella : come accadde trà Sofocle , & Pifandro. pcròche domandato Sofocle da Pifandro, s'egli haueua concorfocon gli altri configlicri , fuoi Colleglli reformatori dello ftato a dare , & a rtabilire col fuo fuffragio, & con la fua fententia , in mano di quei quattrocento Cittadini l'integro, & allofu- to goucrno della Città : 8c affermando che sì, feguì Pifandro, Hor non giudicarti tu cifere vn tal fitto cofa iniqua, & per- nitiofa ? a che ri fpofe Sofocle, che sì, & foggiugnendo Pifan- dro, con domandar la conclufionc Non faccfti ancor tu dun- que cola federata, & ingiufta ? La feci certamente, rifpofe e- gli, &: foggiunfc fubito la cagion, dicendo, perche non fu pof- ao fibil di fare altra cofa, che miglior fulfc . Nella medefima ma- niera vn Cittadino Spartano, cllcndo ftato del magiftrato de gli Efori , & douendo rendere anch' egli ragion di non so che decreto fatto in quel magiftrato ,* fu domandato fc gli patcua, che gli altri fuoi Colleghi fufter guittamente flati puniti, & condennati a morte. & rifpondendo egli, che sì, feguì colui , che lo domandaua,Hor non concorrerti tu ancor có eflì a quel medefimo ingiufto decreto ? a che parimente rifpofe egli che sì . & foggiugnendo colui con domandar la conclufionc , No meriti tu adunque defletè ancor tu condennato alla mede- ma pena ? Nò (rifpofe egli) tic foggiunfc fu biro la cagion di ceialo, perche gli altri mici Colleghi feccr tai cofe, indot- ti , & corrotti da i danari ; doue ch'io non da quefto fui mof- fo, ma dal parermi, che così ricercane, èV comportane il giu- ii rto. Per laqual cofa non fi dee mai far domanda, doppo la conclufionc , & doppo che fi è conclufo - t ne la conclusone ftefla Jl Terzj) libro. 289 ftefla domandar fi dee, Te già non conofeiamo efler molto aper il tamenre, Se fccur.imcnte la verità dalla banda no (tra. Quanto appartien poi a i Ridicoli, & a quelle cofe in fomma , ch'elfer pollbnoactca muouer nfo, perche pare, che portano conue- neuolmente hauer luogo , Se vfo irà gli oratori, Se fpctialmcn 15 te nelle contefe loro , Se Gorgia ftetfò diceua ( Se certamente con ragione) che le cofc,che fu'l ferio,& fui graue dice l'auuer , fario { debbiarti cercar d'ofeu rare, Se far difparirecol rifo : 6c il rifo di lui perii contrario, con la grauità delle cofe ferie : 14 per quello fi è di tal materia trattato ne i Libri della Poeti- ca : douc fi fon inoltrate , Se dipinte, quante fpetie, Se forti fìa t; no di ridicoli . Dei quali alcuni fono, che conuengono , Se ftan bene a perfonc libere, ingenue, de ben nate : Se alcuni al- tri fono, che non fhn lor bene . Onde ciafehedun dee pro- curar di fare elettion di quelli, che più gli quadrino, Se gli 16 conuengano. Se ("penalmente llronia, o diflìmul.iuon , chela vogliam dire, più parc,che ma bene a huomo ingenuo, & ho- 17 nclhmcnre educato, che non fa la Scurrilità, conciofiacofa che chi dillìoiula, & vfa ironia, hà per fine il diletto di fe ftellb , Se per cagion di fe (te fio fc ne fcrue . doue che lo Scurra, o buffo- ne, che lo vogliam chiamare,hà neh" vfo della Scurrilità per fi- ne il diletto, Se il piacer de gli altri . (apo ip. DeHa parte dell 'orazione, chiamata Epilogo 5 & quanti fi ano gli vffìcij , 0 'ver le partt di quello : & quali auuertentìe in ciajcheduna d'ejfe fi debbiano hauere £c? penalmente quanti modi di replicare, 0 re- capi t filarlo rammemorare, che vogliam dire, pojfano hauer luogo in eJJL^ . V e l l a parte dell 'oratione, eh' Epilogo fi do- manda, è compofta di quattro parti, le quali con- fìttone, in bene animare, Se bene edificare ver- fo di noi fteffi coloro , ch'odono , & male ver- O o fo del- 2$ o i 'Della Tintorìe* d ' Arili otel^j 3 (b dcli'autieriano ; In ampliare , & in eftenuare, o ver etimi- 4 nuir le cole; in commuoucte , & eccitare arìetti paf- | 5 (ioni dell anima nelle menti tic gli alcol cuori, & rinalmen- xe in ridurre compcndiofunente in memoria di chi ode, le 6 cofe dette. Conciolìacola che paia, che l'ordin della natu- ra moftri , che primieramente, doppo c harem prouato , de inoltrato elfer la ragione, & la verità dalla parte noitra, & ilfalfo,el torto dalia parte dell auuerfario, iia alhora il tem- po di poter dir qualche cofa in lode noftra, & in biaimo dcl- 7 lauueilario, de di potere in fomma dar qualche perfettior r 8 ne alla caufa ,& qualche ripolimento alle cofe dette. Etv- na di due cofe perconfeguir quanto è detto, ci fa di raemeri di riguardare , de di procurare , cioè che gli ascoltatori ci re- putino, o per perfone giù fte, de amabili aloro,o per perfone giuitc, & amabili ailblutamcnte, de medcfimamentereputi- no l'auuerfario noftro , o per pei Iona iniqua, de odiabile a lo- } ro, o iniqua, de odiabile aholutamcnte . Hor le cofe, che poilon fcruire a fare apparir le perfone tali, quali habbiam detto, fi podono hauer da quei luoghi, che già di fopra riab- biamo allignati a poter da ed! trarre, quanto faccia di bifo- gno per poter formare, de far parer le perfone, o virtuofe, 10 o dei vitij amiche. Fatto quefto, pare che poi fia tempo di amplificare con ampliatione, p con eftenuatione le cofe , che 11 già fi fon prouatc, de dimoftrate. perciochc a voler , che il pofTa moftrar l importantia , de grandezza delle cofe , fa di meftieri , che prima fi conofea , de fi conceda , che le fiano , o 1 2 che le fiano ftare : fi come fi vede, che l'augumento , che fi fa ne i corpi , fi fà in eflr doppo , che già fono in eflere . Don- 13 de poi s 'riabbia d hauerc aiuto per ampliare, o per efrenua- re, già fono flati prima da noi pofti di fopra, de affegnati i 14 luoghi. Doppo quefto , fatto che fi farà hormai manifefto non folola qualità, mala quantità ,de grandezza ancor del- le cofe, che Ci fon trattare; alhor pare , che fia tempo di com- 15 muoucrc con afTcìti gli animi de gli afcoltatori . Et tali af- fètti maiTìmamentc fono, la compadrone, lo fdegno , l'ira , 1 16 l'odio, Ti nuidia, l cmulationc , Tinimicitia. de di corali af- fetri , & paffioni , già fi fon prima alfcgnati di fopra i luoghi . ^ 17 Per la qual cofa nieme altro refta, fe non i vltima patte de|- lepù Jl Terz^o librò. 2$i •l'epilogo, che confitte in ricapitul.ire , de ridurre nella me- 18 moriade gli afcolratori le cole dette neHorarionc . Il mo- do di farqueflo fi dee ftimare aliai accommodato eifer quel- li lo , che alcuni infunano per collocarlo nel proemio . Et tal luogo in vero gli danno fuor di ragione; come quelli, i quali , accioChe le cofe fian meglio apprefe, de ritenute da gli aicoltatori , 'vogliono, de dan precetto., che non vna fa- lò la volta y ma molte, fi replichino ncllorationc . Ma in ve- rità nel proemio balta lolamcncc, & fi riccoca di toccare , & .accennare alquanto la cola , di cui s'hà da trattare , acciochc poira a gli auditori non eilerc nafeotto in fortantia quello, li ("opra di che han da allentire ,& da giudicare, doue chcncl- LEpilogo fi deon rcpetere, de replicare breuementc per ca- pi le cofe, donde le pruoue, de gli argomenti fi lono for- 11 mari. Il principio di cofi fatta replicatone , de ramracmo- ratione, potrà conueneuolmcnte farfi con dire , che già fi fia efeguito , de mandato ad effetto tutto quello fi era pro- metto : de fubito fi dee repcter quai fian le cofe , che il fon 13 dette, de con quai ragioni fi fian prouate. PuofTì ancor far la detta recapi tulatione-, & reperitone , con fare ali incon- tra parragonc delle ragioni proprie, con quelle dell'auuer- 14 fario. Et quefta comparatone , de parragonc fi può fare in più modi, o ponendo, de rcpetendo fempliccmente le cofe Tterrcda noi, - de le dette dall'anuerfario, come che porte a ij fronte l'vnc incontra dell'altre, come faria dicendo, Hor co- lmi intorno alla tal cofa, de fopra del tal Cupo ha detto le tai co ' Cede noi habbiam detto le tali,& n'habbiamo alfegnato le tali, 16 Scie tai ragioni: o ver repetendolc con dittìmulatione, de con ironia,come faria dicendo, Cottui certamente hà detto,& pro- 17 uaro le tai cofe , de noi le tali . de ancor dicendo , Che fareb- be egli Ce le tali, & le tai cofehauettedimoftrato, & non le 18 tali, fiele tali ? over per mo Ho di domanda, de dintcrroga- tione ; come faria dicendo, Che cofa è reftata , che prouata, de dimottrata non fi lìa da noi ? & che cofa hà finalmente di- ip moftrato,& prouaro cottui ? Nelle dette maniere adunque fi può far la reperitone , ponendo a fronte in comparatone, de in parragonc le proprie ragioni , & quelle dell auuerfario • 30 Et ancor fi può far con via, e" hà più del naturale, de men del- l'art- 2 p 2 'Della r R^torica d'Arinotela. l'artifitiofo , ripigliando, & repctendo Iccofc fcmplicemente 3 i con quel modo, & con quell'ordine, che fi fon dette . Et di poi fatto quefto , fe ti parrà, potrai, da altro quafi capo facendoti , feparatamcnte, Se appartatamente repetcr le cole dette $x dall auucrlario. Nell vltima eftremità finalmente dell Epilogo, & pcrconfeguente dcU'orationc, quadra, & conuiene aliai quella forte di locutione, che fenza aiuto divnitiuc particelle, che la coniungano, difeongiunta fi proferifee : & quello acciò che Epilogo appaia in quello c (tremo , de non orarion dirtela: come l'aria dicendo , Ho detto, haucte vdito, già pollcdctc la cofa, giudicate, detcrminate . ]l fine del Terreo & vltimo Véro della 1{etorica d x slr'iHotclcs a Tbcodetrzs : tradotta in lingua volgare^, da Al.ssfltjfandro Piuolomim. IN VENETI^ MDLXXI. oAppreJfi Francefco de Franceschi SancfL^ . Piccolomini

 

Grice e Piccolomini: la ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale del Lizio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo italiano. Grice: “What Piccolomini is trying to do, but knowing, is providing what I do in from the bizarre to the banal – a good functionalist interpretation of the rather poor functionalist explanation by Aristotle of what the Italians call the ‘anima,’ because it ‘animates’ the body (corpore).  Insegna a Macerata, Perugia, e Padova. Analizza il III libro del “Sull’anima” di Aristotele del Lizio. Saggio: “Peripateticarum de anima disputationum”; “Academicarum contemplationum”. Tutore di TASSO (si vieda), ricordato in “Il Costante; overo, dela clemenza”.  Formula una teoria sincretica tra l’accademia e il lizio.  ‘Unico’ dei Filomati. Altre saggi: “Universa philosophia de moribus” (Venezia, Franceschi); “Comes politicus, pro recta ordinis ratione propugnator” (Venezia, Franceschi); “Libri ad scientiam de natura attinentes” (Venezia, Franceschi); “Librorum Aristotelis de ortu et interitu lucidissima exposition” (Venezia, Franceschi); “In III libros de anima lucidissima expositione” (Venezia, Franceschi); “Instituzione del principe”; “Compendio della scienza civile”; “VIII libri naturalium auscultationum perspicua interpretatione” (Venezia, Franceschi); “In libros de coelo lucidissima expositio” (Venezia, Franceschi). Treccani Dizionario Biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Garin, “Storia della filosofia” (Torino, Einaudi); Malmignati, “Tasso a Padova” (Firenze, Riccardiana); Roma, Pieralisi (Firenze, Biblioteca nazionale, Conv. Soppr. (S. Maria degli Angeli, Roma, Pieralisi, P., Cavalli, La scienza politica in Italia (Venezia). Francesco Piccolomini. Piccolomini. Keywords: apollo lizio, lizio, licio, liceo, lizeo, statua di apollo lizio, in riposo dopo la palestra, il lizio, Aristotele lizio, i lizij, i lizii, gl’aristotelici, i peripatetici – gl’accademici e i lizii, gl’accademicij e i lizij. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Piccolomini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pico: la ragione conversazionale di Beniveni, o l’implicatura dell’accademia di Cicerone -- io priego Dio Girolamo che’n pace così in ciel sia il tuo Pico congiunto come’n terra eri, et come’l tuo defunto corpo hor con le sacr’ossa sue qui iace – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mirandola). Filosofo italiano. Grice: “I liked to say: some like Pico, but Pico’s my man! Since I always preferred his cousin to the uncle!” -- philosopher who wrote a series of 900 theses which he hoped to dispute publicly in Rome. Thirteen of these theses are criticized by a papal commission. When Pico defends himself in his “Apologia,” the pope condemns all CM theses. P. flees to France, but is imprisoned. On his escape, he returns to Florence and devotes himself to private study at the swimming-pool at his villa. He hoped to write a Concord of Plato and Aristotle, but the only part he was able to complete was “On Being and the One,”“Blame it on the Toscana!” -- in which he uses Aquinas and Christianity to reconcile Plato’s and Aristotle’s views about God’s being and unity. Mirandola is often described as a syncretist, but in fact he made it clear that the truth of Christianity has priority over the prisca theologia or ancient wisdom found in the hermetic corpus and the cabala. Though he was interested in magic and astrology, Mirandola adopts a guarded attitude toward them in his “Heptaplus,” which contains a mystical interpretation of Genesis; and in his Disputations Against Astrology, he rejects them both. The treatise is largely technical, and the question of human freedom is set aside as not directly relevant. This fact casts some doubt on the popular thesis that Pico’s philosophy is a celebration of man’s freedom and dignity. Great weight has been placed on Pico’s “On the Dignity of Man.” This is a short oration intended as an introduction to the disputation of his 900 thesesall condemned by the evil pope --, and the title was suggested by his wife (“She actually suggested, “On the dignity of woman,” but I found that otiose.””). Mirandola has been interpreted as saying that man (or woman) is set apart from the rest of creation, and is completely free to form his (or her) own nature. In fact, as The Heptaplus shows, P. sees man as a microcosm containing elements of the angelic, celestial, and elemental worlds. Man (if not woman) is thus firmly within the hierarchy of nature, and is a bond and link between the worlds. In the oration, the emphasis on freedom is a moral one: man is free to choose between good and evil. Grice: “This irritated Nietzsche so much that he wrote ‘beyond good and evil.’ Refs.: H. P. Grice, “Goodwill and illwillmust we have both?”  L'esponente più conosciuto della dinastia dei Pico, signori di Mirandola. L'infanzia di P., di Delaroche, Museo delle belle arti di Nantes (Francia). Nacque a Mirandola, presso Modena, il figlio più giovane di Gianfrancesco I, signore di Mirandola e conte della Concordia  e sua moglie Giulia, figlia di Boiardo, conte di Scandiano. La famiglia ha a lungo abitato il castello di Mirandola, città che si era resa indipendente e riceve da Sigismondo il feudo di Concordia. Pur essendo Mirandola uno stato molto piccolo, i Pico governano come sovrani indipendenti piuttosto che come nobili vassalli. I Pico della Mirandola sono strettamente imparentati agli Sforza, ai Gonzaga e agli Este, e i fratelli di Giovanni sposarono gli eredi al trono di Corsica, Ferrara, Bologna e Forlì. Soggiorna in molte dimore. Tra queste, quando vive a Ferrara, il palazzo in via del Turco gli permette di essere vicino agli Strozzi ed ai Boiardo. P. compì i suoi studi fra Bologna, Pavia, Ferrara, Padova e Firenze. Mostra grandi doti nel campo della matematica e impara molte lingue, tra cui perfettamente il latino, il greco, l'ebraico, l'aramaico, l'arabo e il francese. Ha anche modo di stringere rapporti di amicizia con numerose personalità dell'epoca come Savonarola, Ficino, Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Egidio, Benivieni, Balbi, Alemanno, ed Elia. Entra a far parte dei Idealisti Fiorentini. Si reca a Parigi, ospite della Sorbona, allora centro di studii, dove conosce alcuni uomini di cultura come Étaples, Gaguin e Hermonyme. Ben presto divenne celebre e si dice che ha una memoria talmente fuori dal comune che conosce l'intera Divina Commedia a memoria. e a Roma dove prepara CM tesi in vista di un congresso filosofico -- per la cui apertura compose il “De hominis dignitate” -- che tuttavia non ha mai luogo. Sube infatti alcune accuse di eresia, in seguito alle quali fugge in Francia dove venne anche arrestato da Filippo II presso Grenoble e condotto a Vincennes, per essere tuttavia subito scarcerato. Con l'assoluzione d’Alessandro VI, il quale vede di buon occhio la sua volontà di dimostrare la divinità attraverso la magia e la cabala, nonché godendo della rete di protezioni dei Medici, dei Gonzaga e degli Sforza, si stabile quindi definitivamente a Firenze, continuando a frequentare l'Accademia di Ficino. MUORE PER AVVELENAMENTO D’ARSENICO mentre Firenze è occupata dalle truppe francesi di Carlo VIII. Sepolto nel cimitero dei domenicani dentro il convento di S. Marco. Le sue ossa saranno rinvenute da Chiaroni  accanto a quelle di Poliziano e dell'amico Benivieni.  Siamo vissuti celebri, o Ermolao, e tali vivremo in futuro, non nella scuola dei grammatici, non là dove si insegna ai ragazzi, ma nelle accolte dei filosofi e nei circoli dei sapienti, dove non si tratta né si discute sulla madre di Andromaca, sui figli di Niobe e su fatuità del genere, ma sui principî delle cose umane e divine. Uno studio coordinato del dipartimento di Biologia dell'Pisa, del Reparto Investigazioni Scientifiche dell'Arma dei Carabinieri di Parma dimostra che e avvelenato con l'arsenico. Il volto di P. ricostruito con le moderne tecniche forensi Di P. è rimasta letteralmente proverbiale la prodigiosa memoria. Si dice conosce a mente numerose opere su cui si fonda la sua vasta cultura enciclopedica, e che sapesse recitare la “Divina Commedia” *al contrario*, partendo dall'ultimo verso, impresa che pare gli riuscisse con qualunque poema appena terminato di leggere.  Tutt'oggi è ancora in uso attribuire l'appellativo “P” a chiunque sia dotato di ottima memoria.  Secondo una popolare diceria, ha una amante o una concubina segreta. Tuttavia ha un rapporto amoroso con l'umanista Benivieni, sulla base di alcuni scritti, tra cui sonetti, che quest'ultimo dedica a Pico, e di alcune allusioni poco chiare di Savonarola. E comunque un seguace dell'ideale dell'amor platonico, privo cioè di contenuti erotici e passionali. Anche la figura femminile ricorrente nei suoi versi viene celebrata su un piano prevalentemente filosofico. La sua filosofia si riallaccia all’idealismo di Ficino, senza però occuparsi della polemica anti-aristotelica. Al contrario, cerca di riconciliare aristotelismo e platonismo in una sintesi superiore, fondendovi anche altri elementi culturali, come per esempio la tradizione misterica di Ermete Trismegisto e della cabala.  All'interno del testo delle Conclusiones si scaglia duramente contro Ficino, considerando inefficace la sua magia naturale perché carente di un legame con le forze superiori nonché di un'adeguata conoscenza cabalistica. Il suo proposito, esplicitamente dichiarato ad esempio nel “De ente et uno”, consiste infatti nel ricostruire i lineamenti di una filosofia universale, che nasca dalla concordia fra tutte le diverse correnti di pensiero sorte sin dagl’antichi, accomunate dall'aspirazione al divino e alla Sapienza. In questo suo ecumenismo filosofico vengono accolti non solo i filosofi esoterici insieme all’accademia e il lizio, e tutta la filosofia gnostica ed ermetica, anche mistica. Il congresso da lui organizzato a Roma in vista di una tale pace filosofica inserirsi proprio in questo progetto culturale basato su una concezione della verità come princìpio eterno ed universale, al quale ogni epoca della storia ha saputo attingere in misura in più o meno diversa. In seguito tuttavia ai vari contrasti che gli si presentarono, sorti a causa della difficoltà di una tale conciliazione. Si accorse che il suo ideale e difficilmente perseguibile. Ad esso, a poco a poco, si sostitusce nella sua mente il proposito riformatore di Savonarola, rivolto al rinnovamento morale, più che culturale, della città di Firenze. L'armonia universale da lui ricercata in ambito filosofico si trasforma così nell'aspirazione ad una  moralità meno generica. A differenza di Ficino, emerge un maggiore senso di irrequietezza e una visione più cupa ed esistenziale della vita.  Al centro del suo ideale di concordia universale risalta fortemente il tema della dignità e della libertà umana. L'uomo infatti è l'unica creatura che non ha una natura predeterminata, poiché. Già il Sommo Padre, Dio Creatore, ha foggiato,  questa dimora del mondo quale ci appare. Ma, ultimata l'opera, l'artefice desidera che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori né dei posti di tutto il mondo. Tutti erano ormai pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi. Dunque l'uomo non ha affatto una natura determinata in un qualche grado (alto o basso), bensì. Stabilì finalmente l'Ottimo Artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l'uomo come opera di natura indefinita e, postolo nel cuore del mondo, così gli parla. Nn ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Afferma, in sostanza, che Dio ha posto nell'uomo non una natura determinata, ma una indeterminatezza che è dunque la sua propria natura, e che si regola in base alla volontà, cioè all'arbitrio dell'uomo, che conduce tale indeterminatezza dove vuole. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti. Tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine. Nell'uomo nascente il Padre ripose semi d'ogni specie e germi d'ogni vita. E a seconda di come ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno in lui i loro frutti. se sensibili, sarà bruto, se razionali, diventerà anima celeste, se intellettuali, sarà angelo, e si raccoglierà nel centro della sua unità, fatto uno spirito solo con Dio.Quindi, sostiene che è l'uomo a forgiare il proprio destino secondo la propria volontà, e la sua libertà è massima, poiché non è né animale né angelo, ma può essere l'uno o l'altro secondo la coltivazione di alcuni tra i semi d'ogni sorta che vi sono in lui. L'uomo non è né «angelo né bestia. La sua propria posizione nel mondo è un punto mediano tra questi due estremi; tale punto mediano, però,  non è una mediocrità (in parte angelo e in parte bruto) ma è la volontà (o l'arbitrio) che ci consente di scegliere la nostra posizione. Dunque l'uomo è la più dignitosa fra tutte le creature, anche più degli angeli, poiché può scegliere che creatura essere. Il suo secondo grande interesse è rivolto alla cabala, che viene da lui spiegata come una fonte di sapienza a cui attingere per decifrare il mistero del mondo, e nella quale Dio appare oscuro, in quanto apparentemente irraggiungibile dalla ragione; ma l'uomo può ricavare la massima luce da tale oscurità. Non esiste alcuna scienza che possa attestare meglio la divinità che la magia. Connessa alla sapienza cabbalistica è la magia. In fatti, il mago opera attraverso simboli e metafore di una realtà assoluta  e dunque, partendo dalla natura, può giungere a conoscere tale sfera metafisica attraverso la conoscenza della struttura matematica che è il fondamento simbolico-metaforico della natura stessa.  Se la magia è giudicata positivamente per quanto riguarda invece l'astrologia egli ebbe un atteggiamento diverso, che lo porta a distinguere nettamente tra astrologia matematica o speculativa, cioè l'astronomia, e l'astrologia giudiziale o divinatrice. Mentre la astrologica speculative ci consente di conoscere la realtà armonica dell'universo, e dunque è giusta, la astrologia prattica crede di poter sottomettere l'avvenire degli uomini alle congiunture astrali. Partendo dall'affermazione della piena dignità e libertà dell'uomo, che può scegliere cosa essere, muove una forte critica a questo secondo tipo di credenze e di pratiche astrologiche, che costituirebbero una negazione proprio della dignità e della libertà umane. L’astrologica prattica (o giudiziale) attribuisce erroneamente a un corpo celeste il potere di influire sulla una vicenda umana (fisiche e spirituali), sottraendo tale potere alla Provvidenza divina e togliendo agl’uomini la libertà di scegliere. Non nega che un certo influsso vi possa essere, ma mette in guardia contro il pericolo insito nell'astrologia giudiziale di subordinare il superiore (cioè l'uomo) all'inferiore (ossia la forza astrale). La vicenda dell'esistenza umana e tanto intrecciata e complessa che non se ne può spiegare la ragione se non attraverso la piena libertà d'arbitrio dell'uomo. Tuttavia, alcuni concetti base furono ripresi e rielaborati da  Savonarola nel suo Trattato contra li astrologi. Altri saggi: “Lettera a Barbaro sul modo di parlare dei filosofi” – cf. Grice: “Full of implicatures – of the worst misleading type!” ; “Commento sopra una canzone d'amore di BENIVIENI” – amore accademico -- “Discorso sulla dignità dell'uomo”; “Tesi su tutte le cose conoscibili”; “CM conclusioni filosofiche”; “cabalistiche e teologiche in ogni genere di scienze”; “Apologia”; “Heptaplus: della settemplice interpretazione dei VI giorni della Genesi”; “Expositiones in Psalmos,  “L'essere e l'uno”; “Dispute contro l'astrologia divinatrice”; “Carmi”; Auree Epistole. Sonetti, “Le XII regole”; “Le XII armi della battaglia spirituale”; “Le XII condizioni d’un amante” “Preghiera a Dio”; “Tutte le cose e alcune alter”. A lui si attribusce anche la paternità dell’ “Amoroso combattimento onirico di Polifilo”. Sebbene egli preferisse farsi chiamare Conte della Concordia. È in particolare Grazias, dopo essere intervenuto presso i reali Isabella e Ferdinando, ad essere incaricato da Innocenzo VIII di confutarne l'Apologia.  Avvelenato -- caso risolto, in Gazzetta di Modena, Gallello et al. Già all'epoca della sua morte si vociferò che e avvelenato (cfr. S. Critchley, Il libro dei filosofi morti, Garzanti).  Recenti indagini condotte a Ravenna dall'équipe di Gruppioni di Bologna  riscontra elevati livelli di arsenico nei campioni di tessuti e di ossa pre-levati dalle spoglie del filosofo, che avvalorerebbero la tesi dell'avvelenamento per la sua morte (cfr. Delitti e misteri del passato, Garofano, Vinceti, Gruppioni (Rizzoli, Milano). L’avvelenamento, la cui morte finora si ritene fosse stata causata dalla sifilide, e ad opera della stessa mano che due mesi prima avrebbe uccide Poliziano, legato a P. da grande amicizia. Risolto il giallo della sua morte, Pisa, La sua memoria straordinaria. enivieni fa porre anche una lapide sulle spoglie tumulate nella chiesa di S. Marco a Firenze. Sul fronte della tomba è tuttora inciso. Qui giace Giovanni Mirandola, il resto lo sanno anche il Tago e il Gange e forse perfino gli Antipodi.  BENIVIENI, affinché dopo la morte la separazione di luoghi non disgiunga le ossa di coloro i cui animi in vita congiunse Amore, dispone d'essere sepolto nella terra qui sotto. Sul retro invece, in posizione poco visibile, è riportato l'epitaffio, “Girolamo BENIVIENI per lui e se stesso pose nell'anno. Io priego Dio Girolamo che 'n pace così in ciel sia il tuo Pico congiunto come 'n terra eri, et come 'l tuo defunto corpo hor con le sacr'ossa sue qui iace”. GARIN, Vita e dottrina (Monnier); Zeller, L’aristolelismo del LIIO rinascimentale, Luria, Yates, BRUNO e la tradizione ermetica Laterza; Perone,  Ciancio, Storia del pensiero filosofico, SEI, Torino, Garin, Vallecchi, Sul richiamo di Pascal a P., cfr. B. Pascal, Colloquio con il Signore di Saci su Epitteto e Montagne in Pascal, Pensieri, Serini, Einaudi, Torino, Secret, I cabbalisti, Roma, Conclusiones nongentae. Le CM tesi. Biondi, Studi pichiani (Firenze Olschki). Conclusiones Magicae numero XXVI, secundum opinione propria”. Fra le tesi redatte in vista del congresso filosofico di Roma, Non vi è scienza che ci dia maggiori certezze sulla divinità della magia (cit. da  Secret, ibidem, e in Zenit studi. P. e la cabala). La natura è una correlazione misteriosa di forze occulte che l'uomo può conoscere tramite l'astrologia speculative e controllare tramite la magia. Distingue due tipi di astrologia: matematica e divinatrice. Nega il valore della seconda (Granata, Filosofia, Alpha Test, Milano). Lo stesso Savonarola sostenne di aver scritto il suo trattato in corroborazione delle refutazione astrologice di P. -- cit. in Romeo De Maio, Riforme e miti (Guida, Napoli). Indizi e prove: e Alberto Pio da Carpi nella genesi dell’Hypnerotomachia Poliphili.  Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto La scienza in Italia, opera del Museo GALILEI. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, pubblicata sotto licenza Creative Commone, Mazzali, Basileae, per Sebastianum Henricpetri, Basileae, per Sebastianum Henricpetri, Doctissimi Viri P., Concordiae comitis, Exactissima expositio in orationem dominicam, Bernardini, Apologia. L'autodifesa di P. di fronte al tribunale dell'inquisizione, Fornaciari, Società per lo studio del medio-evo, Galluzzo, Firenze); Barone, Antologia, Virgilio, Milano, Studi Dario Bellini, La profezia, Oltre la C porta, Sometti, Busi, Vera relazione sulla vita e i fatti, P., Aragno; Cassirer, “Individuo e cosmo nella filosofia del rinascimento” (Nuova Italia, Firenze); Lubac, L'alba incompiuta del rinascimento” (Jaca, Milano); Giovanni, La filosofia (Palermo, Boccone del Povero); Frigerio, "Il commento alla Canzona d'Amore di BENIVIENI; Conoscenza Religiosa, Firenze, Fumagalli Beonio Brocchieri, Casale Monferrato, Piemme, Garin, L'Umanesimo (Laterza, Bari); Puledda, Interpretazioni dell'Umanesimo, Associazione Multimage, Quaquarelli, Zanardi, Pichiana. delle edizioni e degli studi, in "Studi pichiani" (Olschki, Firenze); Sartori,Filosofia, teologia, concordia, Messaggero Padova,  Zambelli, L’APPRENDISTA STREGONE SODOMITA DELL’ACCADEMIA Astrologia, cabala e arte lulliana in P. e seguaci” (Marsilio, Venezia); “Le fonti cabalistiche”; Busi, "Chi non ammirerà il nostro camaleonte?" La bibliotica cabbalistica, Busi, L'enigma dell'ebraico nel Rinascimento, Aragno Torino  Campanini, Moncada --  Mitridate -- traduttore di opere cabbalistiche, Perani, Moncada alias Mitridate: un ebreo converso siciliano, Officina di studi medievali, Palermo, Jurgan e Campanini, con un testo di Busi, Nino Aragno, Torino Saverio Campanini Fondazione Palazzo Bondoni Pastorio, Castiglione delle Stiviere; cabala; Ficino Filosofia rinascimentale Mirandola Umanesimo Prisca theologia.Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia; Il Centro P., L’Umanesimo, la cabala cristiana, Discorso sulla dignità dell'uomo, P., Orazione sulla dignità dell'essere umano, prima parte, su panarchy.org.  I "Carmina" e l'"Oratio de hominis dignitate", su the latin library The Kabbalistic Library of P., su pico-kabbalah.eu. Giovanni Pico, dei conti della Mirandola e della Concordia. Giovanni Pico, conte della Mirandola e della Concordia. Giovanni Pico della Mirandola. Pico. Keywords: amore platonico, amore socratico, Pico e Girolamo – l’epitafio – amore platonico Ficino – la dignita dell’uomo, la concordia degl’antichi, la magia, il platonismo di Pico. Pico e Pico, i apprendisti stragoni sodomiti, o dell’amore accademico.  Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Pico: the dignity of man," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Pico: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dello stregone sodomita – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Mirandola). Filosofo italiano. Grice: “It is very likely that Cartesio took the idea of the malignant daemon from Pico, who was obsessed with him – with the daemon, I mean! “Demonio!”” Grice: “I like Pico. Ackrill suggested that I should translate happiness as taking ‘daemon’ seriously. Pico does: He allows Alberti’s use of ‘demonio’ as a direct translation of Roman ‘daemone,’ which is Grecian in nature.”Grice: “A daemon is always ‘maschile,’ succubus, or incubus – and stregus is gender-neutral, too, as Pico was very well aware when he allowed the burning of a few male witches at Mirandola. On the other hand, he uses Sextus Empiricus and Phyrro against Aristotle!” Grice: “Like Gentile, and Rosselli, two other Italian philosophers, he was murdered – by his successor to the county!” “A very sad thing is that he was murdered along with his son Alberto.” Grice: “The murderer, a Pico, succeeded him without much of a revolt – That’s the Renaissance forya!” ---  Important if unjustly neglected, murdered, Italian philosopher. Italian nobile e  filosofo, nipote di Pico. Grice: “He was murdered by his ‘successore definitivo’ – along with his ultragenito figlio – Descendants of NERONE would be surprised to learn that his primogenito did not seek revenge – perhaps he couldn’t care less – MIRANDOLA ain’t ROMA!” Figlio di Galeotto I Pico, signore di Mirandola. Come lo zio, Pico, P. si dedica principalmente alla filosofia, ma ha reso soggetto alla bibbia, anche se nei suoi trattati, De monolocale divinae et humanæ sapientiæ e in particolare nei VI libri intitolati examen doctrinæ vanitatis gentium, si deprezza l'autorità dei filosofi, al di sopra tutti l’Aristotele del LIZIO. Scrive una biografia dettagliata di suo zio (“Ioannis Pici Mirandulae Vita”) e un altro di SAVONAROLA (si veda), di cui è un seguace. Avendo osservato i pericoli a cui la società è esposta, lancia un avvertimento in occasione del concilio lateranense: Oratio ad Leonem X et concilium Lateranense de reformandis Ecclesiæ Moribus (Hagenau, dedicato a Pirckheimer). Muore a Mirandola, assassinato dal nipote Galeotto, insieme a suo figlio. Mentre spesso sostene che la filosofia raggiunta una parte della verità, dice in effetti, che la filosofia da soli è una semplice raccolta di falsità confusi e internamente incoerenti. In possesso di un tale punto di vista, si schiera non solo con SAVONAROLA, ma con alcuni dei padri e con i riformatori pure. Su questo punto, è insistente. Il cristianesimo è una realtà auto-sussistente e che ha poco o nulla da guadagnare dalla filosofia, le scienze o le arti. Questa tesi centrale si diffonde attraverso quasi la sua intera produzione filosofica. Scrive di non lodare o estendere il regno della filosofia, ma di demolirlo. Saggi: “De studio di divinae et humanae philosophiae,” “De imaginatione” – Grice: “This is interesting. Pico starts by noting how Cicero mistranslated imaginatio from ‘phantasma.’ Vitters would not have agreed!” – “De pro-videntia dei,” “De rerum prae-notione,” “Quaestio de falsitate astrologiae,” “Examen vanitatis gentium doctrinae  et veritatis Christianae disciplinae, “”Strix, sive de ludificatione daemonum”; Libro detto strega o delle illusioni del demonio,” – Grice: Pico is using ‘demonio’ literally; Descartes isn’t!” – “Opera Omnia,” – C. Herbermann. Burke, "Stregoneria e magia: P. e il suo stragone," di SAnglod,  The Damned Art: Saggi in letteratura di Magia,  Londra. Herzig, "La reazione dei demoni alla sodomia: magia e omosessualità nel stregone di P." Kors e Peters.  La stregoneria in Europa, Una storia Documentario. Estratti dal P. Lo stregone, Schmitt, P. e la sua critica al Lizio (The Hague, Nijhoff); Pappalardo, “Fede, immaginazione e la scessi" (Nutrix), Turnhout: Brepols. Centro di Cultura; Springer. Nobile, filosofo e letterato italiano. Signore di Mirandola e conte di Concordia. Assassinato dal nipote Galeotto II Pico, suo successore. Succede al padre nel governo dei feudi, ricevendo conferma dell'investitura dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo. I fratelli, non contenti, assediano e bombardano la Mirandola e gli imprigionano. Rilasciato solo con la promessa di cessione dei domini. Si ritira a Roma. Critica il paganismo classico. Scrive una biografia dello zio  Pico, intitolata Vita, anteposta a un volume che ne raccoglieva l'Opera omnia, e riprese alcune sue dottrine, come la lotta contro l'astrologia. Seguace di SAVONAROLA, si batte inutilmente per la sua assoluzione, e ne scrive una bio-grafia e tanato-grafia: la vita e morte di SAVONAROLA. Sostenne da un lato la necessità di un rinnovamento della disciplina ecclesiastica e dall'altro i problemi della filosofia. Scrive il “De reformandis moribus,” che invia a Leone X, l'”Examen vanitatis doctrinae gentium et veritatis christianae disciplinae,” nel quale attacca la filosofia arcaica; e, non ultimo, “Libro detto strega o delle illusioni del demonio,” sulle possessioni demoniache.  L'”Examen” non attacca soltanto la filosofia arcaica, ma si scaglia ugualmente contro Aristotele del Lizio ed AQUINO. Dei due filosofi, contesta la fiducia nella conoscenza e nella ragione, che permetterebbero con la forza dell'intelletto di intuire la verità ultima. Al contrario, al pari della dottrina esposta dal Cusano nel De docta ignorantia, nutre una profonda sfiducia nelle capacità umane, riconoscendo alla ragione solo la possibilità di giungere a una conclusioni arbitraria. Riprendendo alcune tesi tipiche della SCESSI di Pirrone e Sesto Empirico, nega la validità dei sillogismi e dell'induttivismo, svaluta l'idea della causalità. Nulla è conoscibile, mentre la fede può fondarsi solo su una rivelazione. Muore assassinato dal nipote Galeotto II assieme a suo figlio. Altri saggi: “De studio divinae et humanae philosophiae”; “Dialogus de adoratione”;  “Quaestio de falsitate astrologiae”. Pompeo, Famiglie celebri di Italia. Torino,  Delumeau, “Il peccato e la paura” (Bologna, Mulino); Pappalardo, "Fede, immaginazione e la scessi" (Turnhout: Brepols). Assedio della Mirandola, Assedio della Mirandola di Giulio II, Caccia alle streghe nella Signoria della Mirandola, Sovrani di Mirandola e Concordia. Schizzo biografico a cura de Il Centro P.. Treccani Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Giovanni Francesco Pico della Mirandola. Giovanni Francesco II Pico della Mirandola. Gianfrancesco Pico della Mirandola. Gianfranco Pico della Mirandola. Pico. Keywords. Refs: Luigi Speranza: Pico. Keywords: demonio, demonologia – read excerpts of Stryx in the Italian volgare under entry for translator.  Refs.: “Grice, Acrkill, Pico and Alberti, on ‘demonio’,” Luigi Speranza, "Grice e Pico," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia -- Gianfranco Pico della Mirandola.

 

Grice e Pieralisi: la ragione conversazionale o la teoria del segno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Jesi). Filosofo italiano. Esalta il valore della pace fra i romani e fra tutte le creature. L’anima è presente non solo negl’esseri umani, ma anche negl’altri animali, ai quali appunto l'anima conferisce come agl’uomini un'esistenza eterna al di là della morte. Per tali motivi sottolinea la necessità etica di trattare gl’animali con rispetto ed amore. De anima belluarum: sopravvivenza? Una domanda, Rocco, Venezia. “Della filosofia razionale speculativa parte soggettiva ossia la logica” (Pace, Roma); “La filosofia razionale pratica; ovvero, dei doveri naturali” (Pace, Roma); “Sui vizi capitali dell'insegnamento scientifico: riflessioni” (Pesar). Segno chiamo una cosa qualunque che colla manifestazione di se indica una qualche altre cosa. Col vedere che e quell oche dico “segno” si viene a sapere che sia anche l’altro di cui e segno. Segno ARBITRARIO chiamo quell oche per libera disposizione degl’uomini e stato destinato ad indicar la cosa che significa.  Nel segno naturale l’eistenza sua coll’esistenza di quell ova naturalmente congiunta. Il segno è rappresentativo si sta in lugo della cosa che significa, la rappresenta, ne tiene le veci. Come l’immagine de un uomo si pone in lugo dell’uomo. Ci sono V massime della conversazione. I la parola si adopre ad esprimere ci oche l’uso stablito vi esprime. II si deve evitare la ambiguità: una parola che e equivoca non si adopria almeno nei contribuzioni alla stessa conversazione, ora cosi, or cosa. Ora nell’uno ora nell’altro dei suo significanti – o signati. Seppure la diversità loro non è tale che togliesse ogni pericolo di equivocare. III Adoprando un vocabolo oscuro, che non è di uso e non e di quell’uso che se nuo vuol fare, si fefnisca il senso nel quale se adopra, onde far nota che s’intende signare con esso. IV nell’esporre le cosa o dimostrare la verità, la parola è usata nel senso suo priprio, evitando tropi, figure, ed altre eleganze, che, se giovano al bello, pregiudicano spesso al vero; essendoche eccitano l’immaginazione a figurarise le cosa, anziche chiamo l’attenzione a vederle nell’esser loro ad a conoscerle quali son. V se per la scrazesa dei termini è necessario usare una stessa parola in un senso alquanto diverso, non si tracuri, per amore di brevità, di aggiugere ad essa quant’altre parole sieno necessario perche il senso che si vuole che abbia, riesca caro e preciso. Sezioni: ‘Sopra-sezione: il segno dell’idea. Segno. Segno naturale, segno arbitrario. Segno manifestativo e suppositivo o rappresentativo. Segno dell’idea, segno del pensiero. Il gesto – segno del pensiero. Parola è un segno articolato. La parola ha un aspetto fisico e un aspetto logico. Quanto considerate semplicemente nell’esere materialmente è un segno fisico. Se viene considerate in quate e segno di un’idea od esprime un pensiero, è presa formalmente – logicamente. Le parole sono comune o propri, di uno o piu eseri, la parola ‘pietro’ e semplice, un termine complesso e ‘uomo eminentemente virtuoso’, o semplicemente, un santo. Termine categorematico e sincategorematico. Una praole che da se soli nulla significa, ma solamente se si aggiune ad altra – della quale modifica la significazione specialemente in qualte all’estensione dell’idea de cui e segno. Essempli de segno sincategorematico sono ‘ogni’ e ‘qualche’. ‘Leone’ permette una figura. Si usa ad indicare una spezie di animale, una costellazione in forma di leone, o un uomo che si comporta come un leone. Un termino analogo e ‘saludabile’ che si applica al cibo, al scremento, ed al stilo di vita. Quando il segno è segno manfestativo d’una idea o segno suppositivo della cosa rappresentata da esse. Il segno dunque tiene nella conversazione il luogo della cosa della quali si parla, falle le loro veci, la rappresentato. Questo loro officio chiamo la loro supposizione, lo stare cio per le cose, il sustituirise, o, meglio, l’essere sostituiti ad essa. La supposizione è materiale se il segno sta per se stesso materialmente preso. La supposizone è formale se il segno e adoprato secondo il suo esser logico, se sta per quello che chi parla ha destignato a segnare. ‘uomo’, dotato di ragione. La supposizione formale puo essere semplice o logica reale. La supposizione formale è logica si il segno sta per l’idea di cui è segno, e ch’è la cosa da lui immediatamene espresso. ‘L’uomo e una specie’. La supposizione e reale quando sta per la cosa stessa esistente nella natura sotto quella forma, in cui l’essere è rappresentato dall’idea, di cui il segno è segno – L’uomo vive. La supposizione puo esser reale, colletiva e distributiva. La supposizione formale reale d’una parola puo essere colletiva o distributive. È colletiva se la parola sta nel discorso per TUTTI e ciasccuno CUPULATIVAmente gl’individuo di quell nome, ossia gl’essere che sonno nell’estensione dell’idea dal segno espresso. Come se si dicesse, le parti equagliano il tutto. La supposizione e distributiva se il termine sta per tutti e ciascuno DISGIUNTIVAmente gl’esseri prappresentati dall’idea, di cui e segno, sta per uno di esso, o queso o quell oche sia, e cosi sta per ognuno, ossia vale per ognuno chi o che è detto delle cose rappresentate dalla idea significate al segno. Le parti sono inferiori al tutto. Gl’uomini hanno forza minore di quella d’un cavallo. C’è la possibilità intriseca dell’origine naturale dei segni. Non pottrebe mai dimostrare dell’impossibilità in cui gl’uomini si arebero trovati di costituirse un linguaggio per comuniare fra loro e manifestare recipricamente i proppi pensiere. Sebeene molto e rilento e non senza gravi difficoltà hanno tuttavia posti nella necessità di farlo putoto elevera a segni delle cosa e costituirli cosi termini logici. Quelle che per una combinazione o relazione e coll’aiuto d’un gesto hanno puotuo associare alle idea della cosa. Nessuna ripugnanza in cio si vede, e finche ripugnanza non si vede, la possibilità d’una cosa non puo essere a buon diritto negata. La parola serve all’uomo mirabilmente per TRASFONDERE negl’altri le sue conosence, per mostrare le ragione nelle quali egli ha scoperto l’essere di tante cosa, che immediatamente non apparisicono e non si possoni in loro stesse vedere e perceptire, per guidare in somma per sentiteri gia battuti alla conoscenza di cose alle quali tutte ciascune da se solo sensa l’aiuto dell’altrui intelligenza I cui acquisti gl imanifesta la praola non avvrebe trovato la via di pervenire. Per intedere il discorso si tiene in cota tre fattori. I al senso che colla definizione il parlante ha dichiarato di voler dare alla sua parola. II a quello que aparisce DAL CONTESTO avvervi volute significare. III al CONCETTO che si sa ch’egli puo avere delle cose di cui parla, perche nessuno puo volere esprimere quell che non sa. Pieralisi. Keywords: segnare, segnato, segnante. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pieralisi.”

 

Grice e Pievani: la ragione conversazionale d’Enea l’antenato, o l’implicature conversazionali dei maschi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gazzaniga). Filosofo italiano. Grice: “Only in Italy, Dietelmo becomes Telmo –“ Grice: “I like Pievani – he defends Darwin when everyone attacks him! Talk about rallying to the defense of the under-dogma!” Studia a Milano. Conduce ricerche in biologia evolutiva e filosofia della biologia, sotto Eldredge e Tattersall presso l'American Museum of Natural History, New York.  Grice: “Some Italians would not consider him an Italian philosopher seeing that he earned his maximal degree without (i. e., not within) Italy!” – Insegna a Milano. Bologna, e Padova. Opere: “Il management dell'unicità (Guerini, Milano); “Homo sapiens e altre catastrofi” (Meltemi, Roma); “Immagini del tempo nel cinema d'oggi” (Meltemi, Roma); “Sotto il velo della normalità” (Meltemi, Roma); “Il cappellano del diavolo, Scienza e idee, Milano, Cortina); “Introduzione alla filosofia della biologia” (Laterza, Roma); La teoria dell'evoluzione. Attualità di una rivoluzione scientifica (Mulino, Bologna); Chi ha paura di Darwin?, IBIS, Como-Pavia, Creazione senza il divino, Einaudi, Torino; “In difesa di Darwin. Piccolo bestiario dell'anti-evoluzionismo all'italiana” (Milano, Bompiani); “Perdere la libertà per sante ragioni. Dal nascere al morire: la mano della chiesa sulla vita dei luterani (Milano, Chiarelettere); Nati per Credere (Codice, Torino); La vita inaspettata. Il fascino di un'evoluzione che non ci aveva previsto, Cortina, Milano,  Introduzione a Darwin (Roma, Laterza); La fine del mondo. Guida per apocalittici perplessi, Bologna, Mulino,  Homo sapiens. Il cammino dell'umanità, Atlante dell'Istituto geografico Agostini,  “Anatomia di una rivoluzione: la logica della scoperta scientifica” (Mimesis); “Evoluti e abbandonati. Sesso, politica, morale: Darwin spiega proprio tutto, Torino, Einaudi,  Il maschio è inutile. Un saggio quasi filosofico, Milano, Rizzoli,  Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così, Einaudi, Torino; Lectures, Giappichelli, Come saremo. Storie di umanità, Codice, Torino, "Homo Sapiens Le nuove storie dell'evoluzione umana", Geografica,  Imperfezione. Una storia naturale, Milano, Cortina, Perché siamo parenti delle galline? E tante altre domande sull’evoluzione, Scienza, Trieste,; Sulle tracce degl’antenati. L’avventurosa storia dell’umanità (Scienza, Trieste).   Fanto è vero, ammette Darwin, che "forse in nessun caso saprei dire con precisione perché una specie abbia riportato la vittoria su un'altra nella viande battaglia per la vita" (p. 143). La distinzione epistemologica con le sienze fisico-matematiche tornerà in altri esempi cari a Darwin. Ciò che conta. per il momento, è notare la forte accentuazione ecologica della sua pauposta teorica, che da un lato smitizza l'immagine di un Darwin asserto-te della guerra generalizzata tra i viventi e dall'altro rivaluta l'ambivalen-ta tra competizione e dipendenza. tra lotta per le risorse e cooperazione, in una rete intricata di relazioni tra fattori biotici e abiotici. Dalla lotta per l'e-sistenza discende, in ultima istanza, "un corollario della massima impor tanza" che riguarda anche i singoli caratteri delle specie:  La struttura di ogni essere organico è correlata, nel modo più essenziale ma anche spesso difficile a scoprirsi, con quella di tutti gli altri esseri viventi con i quali viene a trovarsi in competizione o per il cibo o per la dimora, o con quella degli esseri da cui deve difendersi o di quelli che sono sua preda. (p. 144)*  È da questa trama di relazioni ecologiche che nasce la celebre immagine della "ripa lussureggiante" (tangled bank) della chiusa di OdS:  È interessante contemplare una ripa lussureggiante, rivestita da molte piante di vari tipi, con uccelli che cantano nei cespugli, con vari insetti che ronzano intorno, e con vermi che strisciano nel terreno umido, e pensare che tume queste forme costruite in modo cosi elaborato, cosi differenti l'una dall'altra, e dipendenti l'una dall'altra in maniera cosi complessa, sono state prodotte da leggi che agiscono intorno a noi. (p. 553)*  Il mondo di Darwin è un mondo di relazioni, concorrenziali o di interdi-pendenza, plasmate dal tempo. Nell'artiglio di una tigre, come nella zampa di un coleottero o in un seme alato, sono scritte storie sedimentatesi per migliaia di generazioni.  6. Un sottotitolo fuorviante  In tale contesto, non è ben chiaro perché Darwin abbia allora accettato il sottotitolo proposto in fase di revisione dall'editore Murray: "la conservazione delle razze favorite nella lotta per la sopravvivenza". Molti hanno cercato strumentalmente in questa espressione il "lato oscuro" dell'evoluzione dar-winiana, la possibile giustificazione storica e scientifica di atrocità su base razziale ed etnica. In realtà la teoria discussa da Darwin in OdS è ben lontana da un'idea di guerra tra "razze". La competizione è prevalentemente tra individui singoli. non tra gruppi. Ancor meno essenziale è che questi gruppi siano "razze" o non piuttosto tribù e famiglie. Circa le "razze umane" in par-ticolare. Darwin ha parecchi dubbi persino sulla loro oggettiva esistenza, dato che gli studiosi le hanno classificate nei modi più diversi. e considera il termine troppo vago. A p. 108, paragona la razza al "dialetto di una lingua".  Per il resto. le razze umane in OdS sono citate raramente e incidentalmente, come casi aggiuntivi. per esempio alla fine del capitolo dodicesimo a proposito di gruppi umani molto isolati in zone montuose (p. 458).Dietelmo Pievani. Telmo Pievani. Pievani. Keywords: il maschio, maschile, maschilita, maschilita fascista, fascist masculinities, il concetto di maschio, dysmorphismo sessuale – sessualita e mascolinita, il maschio – uso del maschio in opposizione a sostantivi astratti come mascolinita, o maschilita. i macchi, homosociale, Romolo Enea l’antenato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pievani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Piovani: la ragione conversazionale d’Enea, l’eroe al portico, o l’implicatura conversazionale assente -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “Like Austin, and then again like me, Piovani could invent lingo. The whole point of ordinary-language philosophy was an attack on ‘philosophical language,’ and there we are, Austin, Grice and Piovani INVENTING unordinary philosophical language! In Piovani’s case is ‘assenzialismo’!” –Studia a Napoli. Insegna a Trieste, Firenze, Roma, Napoli. Dei lincei. Scrive su alcuni fogli del regime. La sua ricerca filosofica ha avvio all'indomani immediato della tragica conclusione della seconda guerra mondiale e di ciò porta i segni anche nell'elaborazione della propria caratterizzazione etico-politica, presto approdata alle ragioni del liberalismo democratico. Dinanzi alla drammatica conclusione dell'esito volontaristico dell'attualismo, la necessità di ripensare il modello idealistico lo induce ad un'intensa riflessione sul significato e sul valore dell'individuo nel suo farsi persona. Spazia dalla filosofia del diritto alla filosofia del concetto, soprattutto a quello meridionale, ricopre incarichi nelle più importanti accademie italiane. Fonda il centro di studi vichiani. Pratica una fenomenologia dell'individuale. Per il pensatore napoletano l'individuo non è concepito come un'entità chiusa ed ego-istica tendente all'assolutizzazione ma, al contrario, accettando egli la sua natura di vivente limitato, afferma sé stesso nella responsabilità della propria azione. Concorrono elementi esistenzialistici, l’analisi dell’esperienza comune. Di ciò è documento “Norma e società” (Napoli, Jovene). Utilizza anche temi della prima azione blondeliana. La necessità di fondare la persona grazie a un criterio o norma, che è la ragione dell’agire e del pensare -- la logica della vita morale -- fa scoprire il tema di fondo della  filosofia morale. Il soggetto è un volente non volutosi -- vale a dire che il soggetto, per quanto approfondisca il proprio essere che è il suo esistere, deve arrestarsi dinanzi alla constatazione di essere dato, di non essersi voluto. L’alternativa esistenziale dell’accettazione della vita ne riscatta, con la volontà di essere a fronte della possibilità contraddittoria del suicidio, l’originaria datità. Ma questa accettazione, che è la sola possibile fondazione della vita morale, rifiuta ogni ostinazione singolaristica e comporta che la vita è vita di relazione, dove questa non è conquista ma condizione consustanziale del soggetto che si accetta e dunque accetta l’altro, a iniziare dalla propria alterità rispetto a se stesso. L’essenziale instaurazione personalitaria consente la fondazione del diritto e della morale. Entrambe formazioni storiche, fondate dinamicamente in quanto capaci di comprendere ogni forma in cui si sostanzi l’attivo desiderio dell’uomo di soddisfare l’insaziabile bisogno di valori, anch'essi costruiti dalla scelta esistenziale dei soggetti storici. Sostiene che l'essere umano non possa fare affidamento su alcun tipo di fondamento poiché, essendo un essere limitato e storico, è di fatto costretto a fondare continuamente i suoi punti di riferimento. A questo proposito assumono appunto un ruolo primario  il valore, considerate non come assoluto bensì prodotto della specificità individuale. Del resto proprio il valore esalta la responsabilità dell'azione degl’individui, che, altrimenti, verrebbe mortificata nel riferimento obbligato a qualcosa di assoluto. Si può dunque parlare di un pluralismo etico che non significa relativismo ma relatività e, dunque, rispetto. Una posizione che sembra chiaramente riprendere il pensiero di Kant e, in particolare, il tema dell'agonismo etico. Per il ricorrere di questi temi, la sua filosofia può riassumersi nella formula tra esistenzialismo ri-pensato e storicismo ri-novato. Tra questi, un numero di “Gerarchia”, su cui scrive  riferendosi alla partecipazione emotiva degl’italiani al conflitto. Questo modo di sentire e di interpretare gl’eventi deve essere posto in luce perché esso indica che un ventennio di regime fascista è riuscito a dare agl’italiani almeno quel senso di pre-occupazione della tutela e della difesa dei propri interessi, che è il presupposto indispensabile per la formazione di una autentica e completa coscienza imperiale. Roma e Tirana, in Gerarchia, Evoluzione liberale, in Biblioteca della libertà, P,, Enciclopedia filosofica di Gallarate, Bompiani, Milano. Altre saggi: “Il significato del principio di effettività” (Milano, Giuffre); “Morte e tras-figurazione  dell'Università” (Napoli, Guida);“Teo-dicea sociale” (Padova, Milani); “Linee di una filosofia del diritto” (Padova, MILANI); “Gius-naturalismo ed etica moderna” (Bari, Laterza); “Filosofia e storia delle idee” (Bari, Laterza); “Conoscenza storica e coscienza morale” (Napoli, Morano); “Principi di una filosofia della morale” (Napoli, Morano); “Oggettivazione etica ed assenzialismo” (Napoli, Morano) – l’implicatura assente; “La filosofia nuova di VICO” ((Napoli, Morano); “ Per una filosofia della morale” (Milano, Bompiani); Tra esistenzialismo e storicismo: la filosofia morale (Napoli, Morano); Tessitore, Napoli, Società nazionale di scienze lettere e arti, Jervolino, Logica del concreto ed ermeneutica della vita morale. Newman, Blondel, Napoli, Morano, Acocella, Idee per un'etica sociale. Soveria Mannelli, Rubbettino, Amodio,  degli scritti su P., Napoli, Liguori, Lissa, Anti-ontologismo e fondazione etica (Napoli, Giannini); Nieddu, Norma soggetto storia: saggio sulla filosofia della morale (Napoli, Loffredo); Nieddu, Incontri blondellani”; “Volontà, norma, azione” (Cagliari, Editore); Perrucci, L'etica della responsabilità” (Napoli, Liguori); Morrone, La scuola napoletana: lettura critica e informazione bibliografica, Roma: Edizioni di Storia e Letteratura (Sussidi eruditi); Olivetti, Enciclopedia, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia, Etica Enciclopedia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia,  Centro di studi vichiani del Cnr di Napoli. La lezione etica più che mai attuale di Tessitore, Il Messaggero, di Tessitore, Napoli, 1 studi vichiani. Pietro Piovani. Piovani. Keywords: “i principi metafisici di Vico”, Vico, principio. Luigi Speranza, “Grice e Piovani: I principi metafisici di Vico”, filosofia nuova di VIco, la Gerarchia, Roma e tiranna – colletivo, guerra, esperienza condivisa, ventennio del regime – il debito di Vico a Roma --- la Roma di Vico e la Roma antica – interpretazione filosofica – idealismo, Hegel, implicatura assente, assenzialimso --. The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Piralliano: la ragione conversazionale del gruppo di gioco dell’accademia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosophical acquaintance of Elio Aristide. Accademia.

 

Grice e Pirandello – la ragione conversazionale -- e dov’è il copione? è in noi, signore – il dramma è in noi -- siamo noi – I ciclopu – identita personale, l’uno, nessuno, decadentismo – reduzione siciliana – filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo. Grice: “Pirandello would say he is no philosopher, but then I’m a cricketer!” --. Medaglia del Premio Nobel Premio Nobel per la letteratura. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i più importanti drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi (in lingua italiana e siciliana) e circa quaranta drammi, l'ultimo dei quali incompleto. Io son figlio del Caos. E non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Kaos. Figlio di Stefano Pirandello e Caterina Ricci Gramitto, appartenenti a famiglie di agiata condizione borghese, dalle tradizioni risorgimentali, nacque in contrada Càvusu a Girgenti..Nell'imminenza del parto che dove avvenire a Porto Empedocle, per un'epidemia di colera che stava colpendo la Sicilia, il padre decide di trasferire la famiglia in un'isolata tenuta di campagna per evitare il contatto con la pestilenza. Porto Empedocle, prima di chiamarsi così, era la Borgata Molo. Quando si decide che la borgata diviene comune autonomo. La linea di confine fra i due comuni venne fissata all'altezza della foce di un fiume essiccato che taglia in due la contrada chiamata u Càvuso o u Càusu, pantalone. Questo Càvuso appartene a metà alla Borgata Molo e l'altra metà a Girgenti. A qualche impiegato dell'ufficio anagrafe parve che non e cosa che si scrive che qualcuno e nato in un paio di pantaloni e cangia quel volgare càusu in caos. Il padre, partecipa alle imprese garibaldine. Sposa Caterina, sorella di un suo commilitone, Rocco Ricci Gramitto.  Il suo nonno materno, Giovanni Battista Ricci Gramitto, e tra gli esponenti di spicco della rivoluzione siciliana e, escluso dall'amnistia al ritorno del Borbone, fuggito in esilio a Malta dove muore. Il bonno paterno, Andrea Pirandello, e un armatore e ricco uomo d'affari di Pra', ora quartiere di Genova. La famiglia vive in una situazione economica agiata, grazie al commercio e all'estrazione dello zolfo. La sua infanzia e serena ma, come lui stesso racconta, caratterizzata anche dalla difficoltà di comunicare con gli adulti e in specie con i suoi genitori, in modo particolare con il padre. Questo lo stimola ad affinare le sue capacità espressive e a studiare il modo di comportarsi degli altri per cercare di corrispondervi al meglio.  Fin da ragazzo soffre d'insonnia e dorme  abitualmente solo tre ore per notte. E molto devoto alla Chiesa cattolica grazie all'influenza che ebbe su lui una domestica di famiglia, che lo avvicinò alle pratiche religiose, ma inculcandogli anche credenze superstiziose fino a convincerlo della paurosa presenza degli spiriti. La chiesa e i riti della confessione religiosa gli permettevano diaccostarsi ad un'esperienza di misticismo, che cercherà di raggiungere in tutta la sua esistenza.  Si allontanò dalle pratiche religiose per un avvenimento apparentemente di poco conto: un prete aveva truccato un'estrazione a sorte per far vincere un'immagine sacra al giovane Luigi; questi rimase così deluso dal comportamento inaspettatamente scorretto del sacerdote che non volle più avere a che fare con la Chiesa, praticando una religiosità del tutto diversa da quella ortodossa.  Dopo l’istruzione elementare impartitagli privatamente, fu iscritto dal padre alla regia scuola tecnica di Girgenti, ma durante un’estate preparò, all’insaputa del padre, il passaggio agli studi classici. In seguito a un dissesto economico, la famiglia si trasfere a Palermo. Frequenta il regio ginnasio Vittorio Emanuele II e dove rimase anche dopo il rientro dei suoi a Porto Empedocle. Si appassiona subito alla letteratura. Scrive “Barbaro", andata perduta. Aiuta il padre nel commercio dello zolfo, e puo conoscere direttamente il mondo degl’operai nelle miniere e quello dei facchini delle banchine del porto mercantile.  Studia a Palermo e Roma. Studia filologia sotto Monaci. Studia Bücheler, Usener e  Förster. Scrive “Foni ed evoluzione fonetica del dialetto della provincia di Girgenti.” Si trasfere a Roma, dove poté mantenersi grazie agli assegni mensili inviati dal padre. Qui conobbe L. Capuana che lo aiutò molto a farsi strada nel mondo letterario e che gli aprì le porte dei salotti intellettuali dove ebbe modo di conoscere giornalisti, scrittori, artisti e critici. Un allagamento e una frana nella miniera di zolfo di Aragona di proprietà del padre, nella quale era stata investita parte della dote di Antonietta, e da cui anche Pirandello e la sua famiglia traevano un notevole sostentamento, li ridusse sul lastrico.  Questo avvenimento accrebbe il disagio mentale, già manifestatosi, della moglie di Pirandello, Antonietta. Ella era sempre più spesso soggetta a crisi isteriche, causate anche dalla gelosia, a causa delle quali o lei rientrava dai genitori, o Pirandello era costretto a lasciare la casa. La malattia prese la forma di una gelosia delirante e paranoica, che la porta a scagliarsi contro tutte le donne che parlassero col marito, o che lei pensava che volessero avere un qualche tipo di rapporto con lui; perfino la figlia Lietta susciterà la sua gelosia, e a causa del comportamento della madre tenterà il suicidio e poi se ne andrà di casa. La chiamata alle armi di Stefano nella Grande Guerra peggiorò ulteriormente la sua situazione mentale.  Solo diversi anni dopo, egli, ormai disperato, acconsentì che Antonietta fosse ricoverata in un ospedale psichiatrico. Morirà in una clinica per malattie mentali di Roma, sulla via Nomentana. La malattia della moglie lo porta  ad approfondire, portandolo ad avvicinarsi alle nuove teorie sulla psicoanalisi di Freud, lo studio dei meccanismi della mente e ad analizzare il comportamento sociale nei confronti della malattia mentale.  Spinto dalle ristrettezze economiche e dallo scarso successo delle sue prime opere letterarie, e avendo come unico impiego fisso una cattedra di stilistica dove impartire lezioni private di italiano e di tedesco, dedicandosi anche intensamente al suo lavoro letterario. Inizia anche una collaborazione con il Corriere della Sera. Il suo primo grande successo fu merito del romanzo Il fu Mattia Pascal, scritto nelle notti di veglia alla moglie paralizzata alle gambe. La critica non diede subito al romanzo il successo che invece ebbe tra il pubblico. Numerosi critici non seppero cogliere il carattere di novità del romanzo, come d'altronde di altre opere di Pirandello.  Perché Pirandello arrivasse al successo si dovette aspettare a quando si dedica totalmente al teatro. Lo scrittore siciliano aveva rinunciato a scrivere opere teatrali, quando l'amico N. Martoglio gli chiese di mandare in scena nel suo  Minimo presso il Metastasio di Roma alcuni suoi lavori: Lumie di Sicilia e l'Epilogo. Acconsente e la rappresentazione dei due atti unici ebbe un discreto successo. Tramite i buoni uffici del suo amico Martoglio anche A. Musco volle cimentarsi con il teatro pirandelliano: Pirandello tradusse per lui in siciliano Lumie di Sicilia, rappresentato con grande successo al Pacini di Catania. Cominciò da questa data la collaborazione con Musco che incominciò a guastarsi dopo qualche tempo per la diversità di opinioni sulla messa in scena di Musco della commedia Liolà nel novembre al teatro Argentina di Roma: «Gravi dissensi» di cui Pirandello scrive al figlio Stefano. La guerra fu un'esperienza dura per Pirandello; il figlio venne infatti imprigionato dagli austriaci, e, una volta rilasciato, ritorna in Italia gravemente malato e con i postumi di una ferita. Durante la guerra, inoltre, le condizioni psichiche della moglie si aggravarono al punto da rendere inevitabile il ricovero in manicomio dove rimase fino alla morte. Dopo la guerra, lo scrittore si immerse in un lavoro frenetico, dedicandosi soprattutto al teatro. Fonda la Compagnia del Teatro d'Arte di Roma con due grandissimi interpreti dell'arte pirandelliana: Marta Abba e Ruggero Ruggeri. Con questa compagnia cominciò a viaggiare per il mondo: le sue commedie vennero rappresentate anche nei teatri di Broadway.  Nel giro di un decennio arrivò ad essere il drammaturgo di maggior fama nel mondo, come testimonia il premio Nobel per la letteratura ricevuto per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell'arte drammatica e teatrale. Degno di nota fu lo stretto rapporto con Abba, sua musa ispiratrice, della quale Pirandello, secondo molti biografi e conoscenti, era innamorato forse solamente in maniera platonica.  Molte delle opere pirandelliane cominciavano intanto ad essere trasposte al cinema. Pirandello andava spesso ad assistere alla lavorazione dei film; andò anche negli Stati Uniti d'America, dove famosi attori e attrici di Hollywood, come Greta Garbo, interpretavano i suoi soggetti. Nell'ultimo di questi viaggi andò a trovare, su invito, Albert Einstein a Princeton. In una conferenza stampa difese con veemenza la politica estera del fascismo, con la guerra d'Etiopia, accusando i giornalisti statunitensi di ipocrisia, citando il colonialismo contro i nativi americani. Pirandello e la politica: l'adesione al fascismo. Non aveva mai preso specifiche posizioni politiche, tranne l'ammirazione per il patriottismo garibaldino di famiglia, unica certezza in un'epoca di crisi. La sua idea politica di fondo e legata principalmente a questo patriottismo risorgimentale. Una sua lettera apparsa sul Giornale di Sicilia testimonia gli ideali patriottici della famiglia, proprio nei primi mesi dallo scoppio della Grande Guerra durante la quale il figlio e fatto prigioniero dagli austriaci e rinchiuso, per la maggior parte della prigionia, nel campo di concentramento di Pian di Boemia, presso Mauthausen. Non riuscì a far liberare il figlio malato neppure con l'intervento di Benedetto XV. Nella sua vita condivise alcune delle idee dei giovani fasci siciliani e del socialismo; ne I vecchi e i giovani si nota come la sua idea politica e stata oscurata dalla riflessione umoristica. Per Pirandello, i siciliani hanno subìto le peggiori ingiustizie dai vari governi italiani -- è questa l'unica idea forte che ci presenta.  Nella prima guerra mondiale e un interventista, anche se avrebbe preferito che il figlio non partecipasse in prima linea alla guerra, cosa che invece fa, arruolandosi volontario immediatamente e rimanendo ferito e prigioniero degli austriaci, situazione che e estremamente angosciosa per lo scrittore. Nel primo dopoguerra non adere subito ai fasci di combattimento, tuttavia pochi anni dopo esplicita l'adesione al fascismo, ormai istituzionalizzato. E ricevuto da Mussolini a Palazzo Chigi. Chiese l'iscrizione al partito fascista inviando un telegramma a Mussolini, pubblicato subito dall'agenzia Stefani. Eccellenza, sento che questo è per me il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se l'E.V. mi stima degno di entrare nel partito nazionale fascista, pregerò come massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario. Con devozione intera. Il telegramma arriva in un momento di grande difficoltà per il presidente del consiglio dopo il ritrovamento del corpo di Matteotti. Per la sua adesione al fascismo e duramente attaccato da alcuni intellettuali e politici fra cui il deputato liberale G. Amendola che in un a saggio arriva a dargli dell'accattone che voleva a tutti i costi divenir senatore del Regno. Pur non ritrovandosi caratterialmente con Mussolini e molti gerarchi, che ritiene persone troppo rozze e volgari, oltre che poco interessati al teatro, non rinnega mai la sua adesione al fascismo, motivata tra le altre cose da una profonda sfiducia nei regimi social-democratici, così come non si interessa mai del marxismo, solo ne “I vecchi e i giovani” mostra un leggero interesse per il socialismo -- regimi nei quali si andano trasformando la democrazia liberale, che ritene a loro volta corrotta, portando ad esempio gli scandali dell'età giolittiana e il trasformismo. Pova inoltre un deciso disprezzo per la classe politica che avrebbe voluto vedere, nichilisticamente, cancellata dalla vita del Paese, e una forte sfiducia verso la massa caotica del popolo, che anda istruita e guidata da una sorta di monarca illuminato. E tra i firmatari del “Manifesto” redatto da Gentile. La sua adesione al fascismo e per molti imprevista e sorprende anche i suoi più stretti amici. Sostanzialmente egli, per un certo conservatorismo che comunque ha, guarda al Duce come ri-organizzatore della società. Un'altra motivazione addotta per spiegare tale scelta politica è che il fascismo lo riconduce all’ideale patriottico ri-sorgimentale di cui e convinto sostenitore, anche per le radici garibaldine del padre. Vede nelli una idea originale, che dove rappresentare la forma dell'Italia destinata a divenire modello. Puo apparire un punto di contatto colli fasci il sostenuto relativismo filosofico di entrambi. Ben diverso pero è il relativismo morale dei fasci, fondato sull'attivismo e il suo relativismo esistenziale che si richiama allo scetticismo razionale. Si fa interprete di un relativismo pessimistico, angosciato, negatore di ogni certezza, incompatibile con l'ansia attivistica o il relativismo ottimistico dei fasci Sempre nel solco di Amendola e dei critici anti-fascisti vi è anche un commento più pragmatico alla sua iscrizione al Partito fascista, la quale avrebbe avuto origine nel suo ricercare finanziamenti per la creazione della sua compagnia di teatro, che ha così il sostegno del regime e le relative sovvenzioni. Il governo fascista, pero, perfino dopo il Nobel, gli prefiere sempre Annunzio e Deledda, anche lei vincitrice del premio, come letterati ideali del regime. Ha molta difficoltà a re-perire i fondi statali, che Mussolini spesso non vuole concedergli. Non sono infrequenti suoi scontri violenti con autorità fasciste e dichiarazioni aperte di a-politicità. Sono a-politic. Mi sento soltanto uomo sulla terra. E, come tale, molto semplice e parco. Se vuole potrei aggiungere casto. Clamorosoe  il gesto narrato da C. Alvaro in cui a Roma strappa la sua tessera del suo fascio davanti agli occhi esterrefatti del Segretario Nazionale. Nonostante ciò, una rottura aperta col fascismo non si onsume mai. Si conclude senza troppa fortuna l'esperienza del Teatro d'Arte. Dopo lo scioglimento, in tacita polemica con il regime fascista che a suo avviso era troppo parco di sostegno ai suoi progetti teatrali, si ritira. Forse a parziale compensazione di questo mancato sostegno, e uno dei primi trenta accademici, nominati direttamente da Mussolini, della neo costituita Reale Accademia d'Italia – i reali italiani! In nome del suo ideale patriottico, partecipa alla raccolta dell'oro per la patria donando la medaglia del premio Nobel. Questa scelta di adesione ai fasci è stata spesso sia minimizzata sia accentuata dalla critica. L’ideologia fascista non ha mai parte nella sua vita o nel suo teatro, abbastanza avulse della realtà politica, così che non fu in grado di vedere e giudicare la violenza dei fasci. Il contenuto anarchico, corrosivo, pessimista e quasi sempre anti-sistema del suo teatro e guardato con sospetto da molti uomini del partito. Non lo considerano una vera "arte fascista". La critica non lo esalta, spesso considerando il suo teatro non conformi all’ideale fascista. Vi si vede una certa insistenza e considerazione della borghesia altolocata che i fasci condanno come corrotta e decadente. Gl’arzigogoli filosofici dei personaggi dei suoi drammi borghesi sono considerati quanto di più lontano dall'attivismo fascista. Anche dopo l'attribuzione del Nobel parecchi teatro e accusato dalla stampa di regime di disfattismo tanto che anche fine tra i "controllati speciali" dell'OVRA. Nonostante i suoi elogi al capo del governo, il Duce fa sequestrare l'opera “La favola del figlio” cambiato, per alcune scene ritenute non consone, impedendone le repliche. A lui e imposta, per contrasto, la regia dell'opera dannunziana La figlia di Jorio! Le sue volontà testamentarie, che negavano ogni funerale e celebrazione, metteranno in imbarazzo i fascisti e lo stesso Mussolini, che ordina così alla stampa che non ci fanno troppe celebrazioni sui quotidiani, ma che ne fanno data solo la notizia, come di un semplice fatto di cronaca. Il rifugio di Soriano nel Cimino ama trascorrere ampi periodi dell'anno nella quiete di Soriano nel Cimino, un'amena e bella cittadina ricca di monumenti storici e immersa nei boschi del Monte Cimino. In particolare  rimase affascinato dalla maestosità e dalla quiete di uno stupendo castagneto situato nella località di "Pian della Britta", a cui volle dedicare un'omonima poesia, che oggi è scolpita su una lapide di marmo posta proprio in tale località.  Ambienta a Soriano nel Cimino (citando luoghi, località e personaggi realmente esistiti) anche due tra le sue più celebri novelle Rondone e Rondinella e Tomassino ed il filo d'erba. A Soriano nel Cimino, è rimasto vivo ancora oggi il suo ricordo a cui sono dedicati monumenti, lapidi e strade.  Frequenta anche Arsoli per molti anni, soprattutto durante i periodi estivi, dove amava dissetarsi con una gassosa nell'allora bar Altieri in piazza Valeria. Il suo amore per il paese si ritrova nella definizione che egli stesso diede ad Arsoli chiamandola La piccola Parigi. Appassionato di cinematografia, mentre assiste a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal suo romanzo Il fu Mattia Pascal, si ammala di polmonite. Ha già subito due attacchi di cuore. Il suo corpo, ormai segnato dal tempo e dagli avvenimenti della vita, non sopporta oltre. Al medico che tenta di curarlo, disse. Non abbia tanta paura delle parole, professore, questo si chiama morire. La malattia si aggrava e muore. Per lui il regime fascista vuole esequie di stato. Viene nvece rispettate le sue volontà espresse nel testamento. Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni -- né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. Per sua volontà il corpo, senza alcuna cerimonia, e cremato, per evitare postume consacrazioni cimiteriali e monumentali. Le sue ceneri furono deposte in una preziosa anfora greca già di sua proprietà e tumulate nel cimitero del Verano. Camilleri e altri quattro dettero il via a un lento e travagliato adempimento delle sue ultime volontà (in caso non fosse stato possibile lo spargimento). Far seppellire le ceneri nel giardino della villa di contrada Caos, dove e nato. Ambrosini trasporta l'anfora in treno, chiusa in una cassetta di legno. A Palermo il corteo funebre venne però bloccato dal vescovo di Agrigento G. Peruzzo. Camilleri si reca al vescovo, che rimase inamovibile. Propose allora con successo l'idea di inserire l'anfora in una bara, che venne appositamente affittata. Il corteo, per un breve tratto a piedi e poi a bordo di una littorina, giunse a Girgenti. Dopo una cerimonia religiosa, l'anfora con le ceneri e estratta dalla bara e riposta nel Museo Civico di Agrigento, in attesa della costruzione di un monumento nel giardino della villa. Solo dopo parecchi anni dalla morte, realizzata una scultura monolitica di R. Mazzacurati, artista vincitore del concorso indetto, costituita principalmente da una grossa pietra non lavorata, le ceneri vennero portate nel giardino e versate in un cilindro di rame inserito nel terreno, che venne chiuso da una pietra sigillata con del cemento.  Una parte rimanente delle ceneri, trovata anni dopo attaccata ai lati interni dell'anfora, non essendo più contenibile nel cilindro ri-colmo e ri-aperto per l'occasione, venne dispersa, rispettando il desiderio originario di lui stesso. Davanti agli occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque sistema filosofico. (L. Pirandello, dai Foglietti). E convinto che qualunque filosofia e fallita di fronte all'insondabilità dell'uomo quando in lui prevale la bestia -- l'aspetto animalesco e irrazionale. La sua e una teoria della pluralità dell'io. Pubblica i saggi “Arte e Scienza” e “L'umorismo” -- caratterizzati da un'esposizione di stile colloquiale, molto lontana dal consueto discorso filosofico. I due saggi sono espressione di un'unica identita artistica ed esistenziale che ha coinvolto lo scrittore siciliano che vede come centrale proprio la poetica dell'umorismo. In “L'umorismo” confluiscono idee, brani di scritti e appunti precedenti. Sue varie chiose e annotazioni a L'indole e il riso di L. Pulci di A. Momigliano e parti dell'articolo di A. Cantoni nella «Nuova Antologia». Il suo umorismo si inserisce in un rigoglioso e più che secolare campo di meditazione e ricerca sull'omonimo tema; e rappresenta il momento ri-epilogativo probabilmente più soddisfacente di una serie di acquisizioni teoriche che la cultura ha chiare e consolidate . Bisogna infatti aspettare il saggio di A. Genovese, “Il Comico, l’Umore e la Fantasia o Teoria del Riso come Introduzione all’Estetica” (Bocca, Torino) per avere un saggio di ampia informazione e documentazione, di solido spessore speculative pur nell'ispirazione idealistica da cui prende le mosse. Tecnicamente persuasivo, insomma, e con ben altre fondamenta teoretiche, praltro, in un panorama di non rara fossilizzazione culturale, va detto che l'opera di Genovese è stata appaiata forse soltanto dal coraggioso saggio, e Homo ridens. Estetica, Filologia, Psicologia, Storia del Comico” (Firenze, Olsckhi). Distingue il comico dall'umoristico. Il comico e definito come avvertimento del contrario, nasce dal contrasto tra l'apparenza e la realtà. Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un "avvertimento del contrario. L'umorismo, il "sentimento del contrario", invece nasce da una considerazione meno superficiale della situazione. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro. Da quel primo *avvertimento* del *contrario* mi ha fatto passare a questo *sentimento* del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico. Quindi, mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la situazione *evidentemente contraria* a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umoristico nasce da una più ponderata ri-flessione che genera compassione e un sorriso di comprensione. Nell'umoristico c'è il senso di un *comune sentimento* della fragilità dell’uomo da cui nasce un compatimento per la debolezze dell’altro che e anche la propria. L'umoristico è meno spietato del comico che giudica in maniera immediata. Non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci fa ridere adesso ci fa tutt'al più sorridere, o piantare. La filosofia  dell'umoristico in nasce già quando pubblica le due premesse de Il fu Mattia Pascal dove richiamandosi al “Copernico” di Leopardi riprende l'ironia che attribusce l’eliocentrismo alla pigrizia del sole stanco di girare attorno ai pianeti. Si vede una notazione dell’umoristico nella contrapposizione di due sentimenti opposti. Dopo l’accettazione dell’eliocentrismo, i terrestri accetano di essere una parte infinitesimale dell'universo e nello stesso tempo la sua capacità di compenetrarsene. L'analisi dell'identità condotta da lui lo porta a formulare la teoria della crisi dell'io. Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, i quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne risulti una nuova personalità, che pur fuori dalla coscienza dell'io normale, ha una propria coscienza a parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei casi di vero e proprio sdoppiamento dell'io. Talché veramente può dirsi che due persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel medesimo individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò comporre, costruire in noi stessi altri individui, altri esseri con propria coscienza, con propria intelligenza, vivi e in atto. Paradossalmente, il solo modo per recuperare la propria identità è la follia, tema centrale in molte opere, come l'Enrico IV o come Il berretto a sonagli, nel quale inserisce addirittura una ricetta per la pazzia: dire sempre la verità, la nuda, cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi, delle maniere, delle ipocrisie e delle convenzioni sociali. Questo comportamento porta presto all'isolamento da parte della società e, agli occhi degli altri, alla pazzia. Abbandonando le convenzioni sociali e morali l'uomo può ascoltare la propria interiorità e vivere nel mondo secondo le proprie leggi, cala la maschera e percepisce se stesso e l’altro senza dover creare un personaggio, è semplicemente “persona”. Esemplare di tale concezione è l'evoluzione di Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila.  Ancora sulla crisi dell'identità del singolo impotente con la sua razionalità di fronte al mistero universale che lo circonda, in Il fu Mattia Pascal, espone metaforicamente la sua filosofia del lanternino, tramite il monologo che il personaggio di Anselmo Paleari rivolge al protagonista Mattia Pascal, in cui la piccola lampada rappresenta il sentimento umano, che non riesce ad alimentarsi se non tramite le illusioni di fede e ideologie varie ("i lanternoni"), ma che altrimenti provoca l'angoscia del buio che lo circonda all'uomo, l'animale che ha il triste privilegio di "sentirsi vivere. Nella lanternisofia, il lanternino che proietta tutto intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi purtroppo dobbiamo credere vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine da un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione? (Il fu Mattia Pascal, capitolo XIII, Il lanternino) La sua sfiducia verso la fede religiosa tradizionale lo porta ad accentuare così il proprio vuoto spirituale, che cercò di riempire, come il citato personaggio del Paleari, con l'interesse personale verso l'occultismo, la teosofia e lo spiritismo, che tuttavia non gli daranno la serenità esistenziale. Il contrasto tra vita e forma Luigi Pirandello svolge una ricerca inesausta sull'identità della persona nei suoi aspetti più profondi, dai quali dipendono sia la concezione che ogni persona ha di sé, sia le relazioni che intrattiene con gli altri. Influenzato dalla filosofia irrazionalistica di fine secolo, in particolare di Bergson, Pirandello ritiene che l'universo sia in continuo divenire e che la vita sia dominata da una mobilità inesauribile e infinita. L'uomo è in balia di questo flusso dominato dal caso, ma a differenza degli altri esseri viventi tenta, inutilmente, di opporsi costruendo forme fisse, nelle quali potersi riconoscere, ma che finiscono con il legarlo a maschere in cui non può mai riconoscersi o alle quali è costretto a identificarsi per dare comunque un senso alla propria esistenza. Se l'essenza della vita è il flusso continuo, il perenne divenire, quindi fissare il flusso equivale a non vivere, poiché è impossibile fissare la vita in un unico punto. Questa dicotomia tra vita e forma, accompagnerà l'autore in tutta la sua produzione evidenziando la sconfitta dell'uomo di fronte alla società, dovuta all'impossibilità di fuggire alle convenzioni di quest'ultima se non con la follia. Solo il folle, che pure è una figura sofferente ed emarginata, riesce talvolta a liberarsi dalla maschera, e in questo caso può avere un'esistenza autentica e vera, che resta impossibile agli altri in quanto non è fattibile denudare la maschera o le maschere, la propria identità (Maschere nude è infatti il titolo della raccolta delle sue opere teatrali). Questa riflessione, che si rispecchia nelle varie opere con accenti ora lievi ora gravi e tragici, è stata, ad opera soprattutto dello studioso Adriano Tilgher, interpretata come un sistema filosofico basato sul contrasto tra la Vita e la Forma, che talvolta ha fatto esprimere alla critica un giudizio negativo delle ultime opere precedenti al "teatro dei miti", accusate a volte di "pirandellismo", cioè di riproporre sempre lo stesso schema di lettura. Il relativismo psicologico o conoscitivo «La verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola Ah! E la seconda moglie del signor Ponza Oh! E come? Sì; e per me nessuna! nessuna! Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra! Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede. Ed ecco, o signori, come parla la verità. -- Dialogo finale di Così è (se vi pare)). Dal contrasto tra la vita e la forma nasce il relativismo psicologico che si esprime in due sensi: orizzontale, ovvero nel rapporto inter-personale, e verticale, ovvero nel rapporto che una persona ha con se stessa. Gl’uomini nascono liberi ma il caso interviene nella loro vita precludendo ogni loro scelta. L’uomo nasce in una società pre-costituita dove ad ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi. Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso. Solo per l'intervento del caso può accadere di liberarsi di una forma per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro, come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal.  L'uomo dunque non può capire né l’altro né tanto meno se stesso, poiché ognuno vive portando consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente, una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.  Queste riflessioni trovano la più esplicita manifestazione narrativa nel romanzo Uno, nessuno e centomila. Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari. Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che ci giudicano. Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha centomila personalità diverse, invero, è come se non ne possedesse nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo io". Il relativismo conoscitivo e psicologico su cui si basa la sua filosofia si scontra con il conseguente problema dell'incomunicabilità tra i siciliani. Ogni personaggio siciliano ha un proprio modo di vedere la realtà. Non esiste un'unica realtà oggettiva, ma tante realtà quante sono i siciliani che credono di possederla. Dunque, ognuno ha una propria verità. Questa incomunicabilità produce quindi un sentimento di solitudine ed esclusione dalla società e persino da se stesso. Proprio la crisi e frammentazione dell'io interiore crea un altr’ io diverso e discordante. L’io consiste di frammenti che ci fanno scoprire di essere -- uno, nessuno – molti -- centomila --. Il personaggio come il Vitangelo Moscarda di “Uno, nessuno e – molti centomila e i protagonisti della commedia ‘a fare’, “Sei personaggi in cerca di autore” di conseguenza avverte  un sentimento di “estraneità” – alienazione o alterita – strano – etimologia -- dalla vita che lo fa sentire forestiero della vita, nonostante la continua ricerca di un senso dell'esistenza e di un'identificazione di un proprio ruolo, che vada oltre la maschera, o le diverse e innumerevoli maschere, con cui si presentano al cospetto della società o delle persone più vicine. Il peronaggio accetta la maschera, che lui stesso ha messo o con cui gl’altro tende a identificarlo. Prova ommessamente a mostrarsi per quello che lui crede di essere. Incapace di ribellarsi, pero, o deluso dopo l'esperienza di vedersi attribuita una nuova maschera, si rassegna. Il personaggio vive nell'infelicità, con la coscienza della frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che laltro lo fa vivere per come esso lo vede. Il personaggio accetta alla fine passivamente il ruolo da recitare che lui si attribuisce sulla scena dell'esistenza. Questa è la reazione tipica del personaggio più deboli come si può vedere nel romanzo “Il fu Mattia Pascal”. Il soggetto non si rassegna alla sua maschera. Accetta pero il suo ruolo con un atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico. Ne fanno esempio varie opere come: Pensaci Giacomino, Il giuoco delle parti e La patente. Rosario Chiàrchiaro è un uomo cupo, vestito sempre in nero che si è fatto involontariamente la nomea di iettatore e per questo è sfuggito da tutti ed è rimasto senza lavoro. Il presunto iettatore non accetta l'identità che gl’altro gli ha attribuito ma comunque se ne serve. Va dal giudice e, poiché tutti sono convinti che sia un menagramo, pretende la patente di iettatore autorizzato. In questo modo ha un lavoro: chi vuole evitare le disgrazie che promanano da lui dovrà pagare per allontanarlo. La maschera rimane – ma almeno se ne ricava un vantaggio. L'uomo, accortosi del relativismo, si rende conto che l'immagine che di sé non corrisponde in realtà a quella che l’altro ha di lui e cerca in ogni modo di carpire questo lato inaccessibile del suo io. Vuole togliersi la maschera che gli è stata imposta e reagisce con disperazione. Non riesce a strapparsela e allora se è così che lo vuole il mondo, egli e quello che l’altro credono di percipere in lui e non si ferma nel mantenere questo suo atteggiamento sino all’ultima e drammatica conseguenza. Si chiude in una solitudine disperata che lo porta al dramma, alla pazzia o al suicidio. Da tale sforzo verso un obiettivo irraggiungibile nasce la voluta follia. La follia è lo strumento di contestazione per eccellenza della forma fasulla della vita sociale, l'arma che fa esplodere la convenzione e il rituale, riducendoli all'assurdo e rivelandone l'inconsistenza.  Solo e unico modo per vivere, per trovare l’io, è quello di accettare il fatto di non avere un'identità, ma solo frammenti -- e quindi di non essere uno ma nessuno -- accettare l'alienazione completa da se stesso. Tuttavia il colletivo non accetta il relativismo. Il soggeto chi accetta il relativismo viene ritenuto pazzo dal colletivo. Esemplari sono i personaggi dei drammi Enrico IV, dei Sei personaggi in cerca d'autore, o di Uno, nessuno e centomila.  Divenne famoso proprio grazie al teatro che chiama “teatro dello specchio”, perché in esso viene raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell'ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è, e diventi migliore. Dalla critica viene definito come uno dei grandi drammaturghi del XX secolo. Scrive moltissime opera, alcune delle quali rielaborazioni delle sue stesse novelle, che vengono divise in base alla fase di maturazione dell'autore:  Prima faseIl teatro siciliano Seconda faseIl teatro umoristico/grottesco Terza fase Il teatro nel teatro (meta-teatro) Quarta fase Il teatro dei miti. Generalmente si attribuisce il suo interesse per il teatro agli anni della maturità, ma alcuni precedenti mostrano come tale convinzione necessiti di una rivalutazione. Compose alcuni lavori teatrali, andati perduti poiché da lui stesso bruciati (tra gli altri, il copione de Gli uccelli dell'alto). In una lettera  alla famiglia, si legge. Oh, il teatro drammatico! Io lo conquisterò. Io non posso penetrarvi senza provare una viva emozione, senza provare una sensazione strana, un eccitamento del sangue per tutte le vene. Quell'aria pesante chi vi si respira, m'ubriaca: e sempre a metà della rappresentazione io mi sento preso dalla febbre, e brucio. È la vecchia passione chi mi vi trascina, e non vi entro mai solo, ma sempre accompagnato dai fantasmi della mia mente, persone che si agitano in un centro d'azione, non ancora fermato, uomini e donne da dramma e da commedia, viventi nel mio cervello, e che vorrebbero d'un subito saltare sul palcoscenico. Spesso mi accade di non vedere e di non ascoltare quello che veramente si rappresenta, ma di vedere e ascoltare le scene che sono nella mia mente: è una strana allucinazione che svanisce ad ogni scoppio di applausi, e che potrebbe farmi ammattire dietro uno scoppio di fischi! -- da una lettera ai familiari. È in questa dimensione che si parla di teatro mentale: lo spettacolo non è subito passivamente ma serve come pretesto per dar voce ai "fantasmi" che popolano la mente dell'autore (nella prefazione ai Sei personaggi in cerca d'autore Pirandello chiarirà di come la Fantasia prenda possesso della sua mente per presentargli personaggi che vogliono vivere, senza che lui li cerchi).  In un'altra missiva, spedita da Roma, sostiene che la scena italiana gli appare decaduta:  «Vado spesso in teatro, e mi diverto e me la rido in veder la scena italiana caduta tanto in basso, e fatta sgualdrinella isterica e noiosa -- da una lettera ai familiari. La delusione per non essere riuscito a far rappresentare i primi lavori lo distoglie inizialmente dal teatro, facendolo concentrare sulla produzione novellistica e romanziera.  Pubblica l'importante saggio Illustratori, attori, traduttori dove esprime le sue idee, ancora negative, sull'esecuzione del lavoro dell'attore nel lavoro teatrale: questi è infatti visto come un mero traduttore dell'idea drammaturgica dell'autore, il quale trova dunque un filtro al messaggio che intende comunicare al pubblico. Il teatro viene poi definito da Pirandello come un'arte "impossibile", perché "patisce le condizioni del suo specifico anfibio":: un tradimento della scrittura teatrale, che ha di contro "il cattivo regime dei mezzi rappresentativi, appartenenti alla dimensione adultera dell'eco. È in questo momento che Pirandello si distacca dalla lezione positivista e, presa diretta coscienza dell'impossibilità della rappresentazione scenica del "vero" oggettivo, ricerca nella produzione drammaturgica di scavare l'essenza delle cose per scoprire una verità altra (come è spiegato nel saggio L'Umorismo con il sentimento del contrario).  Fondò la compagnia del Teatro d'Arte di Roma con sede al Teatro Odescalchi con la collaborazione di altri artisti: il figlio S. Pirandello, O. Vergani, C. Argentieri, A. Beltramelli, G. Cavicchioli, M. Celli, P. Cantarella, L. Picasso, Renzo Rendi, M. Bontempelli e G. Prezzolini -- tra gli attori più importanti della compagnia figurano Marta Abba, Lamberto Picasso, Maria Letizia Celli, Ruggero Ruggeri. La compagnia, il cui primo allestimento risale con Sagra del signore della nave dello stesso Pirandello e Gli dei della montagna di Lord Dunsany, ebbe però vita breve: i gravosi costi degli allestimenti, che non riuscivano ad essere coperti dagli introiti del teatro semivuoto costrinsero il gruppo, dopo solo due mesi dalla nascita, a rinunciare alla sede del Teatro Odescalchi. Per risparmiare sugli allestimenti la compagnia si produsse prima in numerose tournée estere, poi fu costretta allo scioglimento definitivo, avvenuto a Viareggio. Prima faseTeatro Siciliano Nella fase del Teatro Siciliano Pirandello è alle prime armi e ha ancora molto da imparare. Anch'essa come le altre presenta varie caratteristiche di rilievo; alcuni testi sono stati scritti interamente in lingua siciliana perché considerata dall'autore più viva dell'italiano e capace di esprimere maggiore aderenza alla realtà.  La morsa e Lumìe di Sicilia Roma, Teatro Metastasio, Il dovere del medico, Roma, Sala Umberto, La ragione degli altri, Milano, Teatro Manzoni,  Cecè, Roma, Teatro Orfeo, Pensaci, Giacomino, Roma, Teatro Nazionale, Liolà, Roma, Teatro Argentina, Seconda fase: Il teatro umoristico/grottesco. Pirandello e Marta Abba Mano a mano che l'autore si distacca da verismo e naturalismo, avvicinandosi al decadentismo si ha l'inizio della seconda fase con il teatro umoristico. Presenta personaggi che incrinano le certezze del mondo borghese: introducendo la versione relativistica della realtà, rovesciando i modelli consueti di comportamento, intende esprimere la dimensione autentica della vita al di là della maschera.  Così è (se vi pare), Milano, Teatro Olimpia, Il berretto a sonagli, Roma, Teatro Nazionale, La giara, Roma, Teatro Nazionale, Il piacere dell'onestà (Torino, Carignano) La patente, Torino, Alfieri, Ma non è una cosa seria, Livorno, Rossini,  Il giuoco delle parti, Roma, Quirino, L'innesto, Milano, Manzoni, L'uomo, la bestia e la virtù, Milano, Olimpia, Tutto per bene, Roma, Quirino, Come prima, meglio di prima, Venezia, Goldoni, La signora Morli, una e due, Roma, Argentina. Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano radicalmente. Il teatro deve parlare anche agli occhi non solo alle orecchie, a tal scopo ripristinerà una tecnica teatrale di Shakespeare, il palcoscenico multiplo, in cui vi può per esempio essere una casa divisa in cui si vedono varie scene fatte in varie stanze contemporaneamente. Inoltre il teatro nel teatro fa sì che si assista al mondo che si trasforma sul palcoscenico.  Abolisce anche il concetto della quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico. In questa fase, infatti, tende a coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma che rispecchia la propria vita in quella agita dagli attori sulla scena. Ha un incontro con  Filippo. Conseguenza, oltre alla nascita di un'amicizia e che Filippo sente come accadde in passato per lui, il bisogno di allontanarsi dal regionalism dell'arte verista pur conservandone però le tradizioni e le influenze. Incontra Eduardo, Peppino e Titina De Filippo. Sei personaggi in cerca d'autore, Roma, Valle, Enrico IV, Milano, Manzoni, All'uscita, Roma, Argentina, L'imbecille, Roma, Quirino, Vestire gli ignudi, Roma, Quirino, L'uomo dal fiore in bocca, Roma, Degli Indipendenti, La vita che ti diedi, Roma, Quirino, L'altro figlio, Roma, Nazionale, Ciascuno a suo modo, Milano, Dei Filodrammatici, Sagra del signore della nave, Roma, Odescalchi, Diana e la Tuda, Milano, Eden, L'amica delle mogli, Roma, Argentina, Bellavita, Milano, Eden,  O di uno o di nessuno, Torino, di Torino, Come tu mi vuoi, Milano, dei Filodrammatici; Questa sera si recita a soggetto, Torino, di Torino, Trovarsi, Napoli, dei Fiorentini, Quando si è qualcuno, Buenos Aires Odeón, La favola del figlio cambiato, Roma, Reale dell'Opera, Non si sa come, Roma, Argentina, Sogno, ma forse no, Lisbona, Teatro Nacional. Alla fase del teatro dei miti ase si assegnano solo tre opera. La nuova colonia Lazzaro I giganti della montagna Romanzi  Copertina de Il turno,  Madella. Scrive sette romanzi:  L'esclusa, a puntate su La Tribuna (Milano, Treves); Il turno (Catania, Giannotta); l fu Mattia Pascal, Roma, Nuova antologia. Suo marito, Firenze, Quattrini. (poi Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, I vecchi e i giovani, Milano, FTreves. Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, R. Bemporad & figlio. Uno, nessuno e centomila, Firenze, Bemporad; Novelle. Le novelle sono considerate le opere più durature. I critici hanno cambiato tale opinione ritenendo le opere teatrali più degne di essere ricordate. Fare distinzione tra il contenuto di una novello o romanzo  e un dramma è difficile. Molte novelle sono state messe in opera a teatro. “Ciascuno a suo modo” deriva dal “Si gira”. “Liolà” ha il tema preso da “Il fu Mattia Pascal”; “La nuova colonia” e presentata in “Suo marito”. Analizzando le novelle si puo renderci conto che ciò che manca è una delineazione tematica, una cornice. Sono presenti un crogiolo di personaggi ed eventi.  Il tempo in cui una novella e ambientata non è definito. Alcune  si svolgono nell'epoca umbertina, poi giolittiana e del dopo-giolitti. Diversamente accade nella novella siciliana. Iil tempo non è fissato. E un tempo antico, di una società che non vuole cambiare e che è rimasta ferma. I paesaggi della novellistica sono vari. Per quella detta siciliana si ha spesso il tipico paesaggio rurale. In alcune si trova il tema del contrasto tra le generazioni dovuto all'unità d'Italia. Altro ambiente delle novelle è la Roma umbertina o giolittiana.  Il protagonista e sempre alla presa con il male di vivere, con il caso e con la morte. Non si trova mai rappresentanti dell'alta borghesia, ma quelli che potrebbero essere i vicini della porta accanto: il sarto, il balie, il professore, il piccolo proprietario di negozi che ha una vita sconvolta dalla sorte e dal dramma familiare. Il personaggio ci viene presentato così come appaie. E difficile trovare un'approfondita analisi psicologica. La fisionomia e spesso eccentrica. Per il sentimento del contrario, il personaggio ha un carattere *opposto* a come si presenta. I personaggi conversano nel presentarsi per come essi *sentono* di essere. Ma alla fine, e sempre preda del caso, che li farà apparire diverso e cambiato.  Novelle per un anno -- è uno dei più grandi scrittori di novelle, raccolte dapprima nell'opera Amori senza amore. In seguito si dedica maggiormente per tutta la sua vita, cercando di completarla, alla raccolta Novelle per un anno, così intitolata perché il suo intento e quello di scrivere 365. Novelle per un anno, Firenze, Bemporad; Milano, Mondadori); Scialle nero (Firenze, Bemporad); La vita nuda, Firenze, Bemporad, La rallegrata, Firenze, Bemporad, L'uomo solo, Firenze, Bemporad, La mosca, Firenze, Bemporad, In silenzio, Firenze, Bemporad, VII, Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, Dal naso al cielo, Firenze, Bemporad, IX, Donna Mimma, Firenze, Bemporad);  Il vecchio Dio, Firenze, Bemporad,  La giara, Firenze, Bemporad, Il viaggio, Firenze, Bemporad, Candelora, Firenze, Bemporad, Berecche e la guerra, Milano, Mondadori, Una giornata, Milano, Mondadori). Si svolge la produzione letteraria di Pirandello meno conosciuta dal grande pubblico, quella delle poesie che, contrariamente alla composizione teatrale, non esprimono alcun tentativo di rinnovamento sperimentale estetico, e seguono piuttosto le forme e i metri tradizionali della lirica classica, pur non rimandando a nessuna delle correnti letterarie presenti al tempo dello scrittore.  Nell'antologia poetica Mal giocondo, pubblicata a Palermo, ma la cui prima lirica risale quando Pirandello aveva appena tredici anni, emerge uno dei temi dell'ultima estetica pirandelliana del contrasto tra la serena classicità del mito e l'ipocrisia e la immoralità sociale della contemporaneità. Sono presenti, come nota lo stesso Pirandello, anche toni umoristici, specie quelli derivati dal suo soggiorno a Roma. “Mal giocondo” (Palermo, Libreria Internazionale Pedone Lauriel); Pasqua di Gea, Milano, Galli (dedicata a Jenny Schulz-Lander, di cui si innamora a Bonn, con una chiara influenza della poesia di Carducci. Pier Gudrò, Roma, Voghera, Elegie renane, Roma, Unione Cooperativa) -- il cui modello sono le Elegie romane di Goethe); Elegie romane, traduzione di Goethe, Livorno, Giusti, Zampogna, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, Scamandro, Roma, Tipografia Roma, Fuori di chiave, Genova, Formiggini, Pirandello nel cinema Inizialmente Pirandello non amava molto il cinema, considerato inferiore al teatro, e questo interesse maturò lentamente, negli anni. Il rapporto tra Pirandello e il cinema fu complesso, ambiguo, conflittuale, a volte di totale rifiuto, altre volte di grande curiosità. E fu certamente la curiosità per questa nuova modalità di narrazione per immagini, che si era già strutturata come industria cinematografica, che lo spinse a scrivere il romanzo Si gira, poi ripubblicato con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. In questo romanzo il suo giudizio sul cinematografo è spietato sia quando teme che il pubblico abbandoni i teatri per correre a vedere su uno schermo "larve evanescenti" prodotte in maniera meccanica e fredda, sia quando descrive il mondo della produzione cinematografica popolato di personaggi volgari impeg confezionare prodotti commerciali per soddisfare il palato delle masse e gli interessi degli uomini d'affari. Nello stesso tempo la struttura stessa del racconto letterario e l'ipotesi, da lui stesso formulata, di trarne un film prefigurano un'idea di linguaggio cinematografico di grande modernità: il film nel film. Momento cruciale per la storia del cinema, nei primi decenni del suo sviluppo, fu l'avvento del sonoro. Anche in questo caso ad un iniziale rifiuto seguì una svolta significativa. In una lettera a Marta Abba, Pirandello scrisse: "L'avvenire dell'arte drammatica e anche degli scrittori di teatro è adesso là. Bisogna orientarsi verso una nuova espressione d'arte: il film parlato. Ero contrario, mi sono ricreduto" Pirandello sul set de Il fu Mattia Pascal con Pierre Blanchar e Isa Miranda Il lume dell'altra casa di Ugo Gracci. Il crollo di M. Gargiulo, Lo scaldino di A. Genina. Ma non è una cosa seria di Augusto Camerini, La rosa di Arnaldo Frateili Il viaggio di Gennaro Righelli Il fu Mattia Pascal di Marcel L'Herbier  La canzone dell'amore di Gennaro Righelli, primo film sonoro italiano è tratto dalla novella In silenzio. Come tu mi vuoi di George Fitzmaurice con Greta Garbo Acciaio di W. Ruttmann. Il fu Mattia Pascal di Pierre Chenal, Questa è la vita di Giorgio Pàstina, Aldo Fabrizifilm a quattro episodi, tutti tratti da una novella: La giara, Il ventaglino, La patente e Marsina stretta. Come prima, meglio di prima di J. Hopper Liolà di A. Blasetti Il viaggio di Vittorio De Sica Enrico IV di Marco Bellocchio Kaos di P. e V. Taviani, adattamento da Novelle per un anno, Le due vite di Mattia Pascal di Monicelli Tu ridi di P. e V.Taviani, adattamento da Novelle per un anno; La balia di Bellocchio, adattamento da Novelle per un anno; Pirandello nell'opera lirica La favola del figlio cambiato di Gian Francesco Malipiero, Liolà di Giuseppe Mulè, Six Characters in Search of an Author di Hugo Weisgall, Sagra del Signore della Nave di Michele Lizzi, Sogno (ma forse no) di Luciano Chailly. Altre opere: Mal giocondo, Palermo, Libreria Internazionale Pedone Lauriel); A la sorella Anna per le sue nozze, Roma, Tipo-Litografia Miliani e Filosini,  Pasqua di Gea, Milano, Galli,  Amori senza amore, Roma, Bontempelli); Pier Gudrò, Roma, Voghera, Elegie renane, Roma, Unione Cooperativa; Traduzione di Goethe, Elegie romane, Livorno, Giusti, Zampogna, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, Beffe della morte e della vita, Firenze, Lumachi, Lontano. Novella, in "Nuova Antologia", Quand'ero matto.... Novelle, Torino, Streglio, Il turno, Catania, Giannotta); Beffe della morte e della vita. Firenze, Lumachi, Notizia letteraria, in "Nuova Antologia", Dante. Poema lirico di G. Costanzo, "Nuova Antologia", Bianche e nere. Novelle, Torino, Streglio); Il fu Mattia Pascal, Roma, Nuova Antologia, Erma bifronte. Novelle, Milano, Treves); Prefazione a Giovanni Alfredo Cesareo, Francesca da Rimini. Tragedia, Milano, Sandron, Studio preliminare a A. Cantoni, L'illustrissimo. Romanzo, Roma, Nuova Antologia, Arte e scienza. Saggi, Roma, Modes, L'esclusa, Milano, Treves, Umorismo, Lanciano, Carabba); “Scamandro” (Roma, Tipografia); “La vita nuda” (Milano, Treves); “Suo marito, Firenze, Quattrini); “Fuori di chiave, Genova, Formiggini, Terzetti, Milano, Treves); “I vecchi e i giovani, Milano, Treves); Cecè. In "La lettura",  Le due maschere, Firenze, Quattrini, Erba del nostro orto” (Milano, Studio Lombardo); “La trappola” (Milano, Treves); “Se non così” "Nuova Antologia", Si gira ( Milano, Treves); “E domani, lunedì” (Milano, Treves); “Liolà” ( Roma, Formiggini); Se non così Con una lettera alla protagonista, Milano, Treves); “Un cavallo nella luna” (Milano, Treves); Maschere nude,  Milano, Treves, Pensaci, Giacomino, Così è (se vi pare), Il piacere dell'onestà, Milano, Treves); Il giuoco delle parti. Ma non è una cosa seria. Milano, Treves, Lumie di Sicilia. Il berretto a sonagli. La patente. Milano, Treves, L'innesto.  La ragione degli altri, Milano, Treves,  Berecche e la guerra, Milano, Facchi, Il carnevale dei morti. Firenze, Battistelli, Tu ridi. Milano, Treves); Pena di vivere così, Roma, Libreria nazionale,  Maschere nude” (Firenze, Bemporad); Tutto per bene. Firenze, Bemporad, Come prima meglio di prima. Firenze, Bemporad); “Sei personaggi in cerca d'autore -- commedia da fare” (Firenze, Bemporad); Enrico IV (Firenze, Bemporad); L'uomo, la bestia e la virtù” (Firenze, Bemporad, La signora Morli, una e due. Firenze, Bemporad, Vestire gli ignudi. Firenze, Bemporad, La vita che ti diedi. Firenze, Bemporad, Ciascuno a suo modo. Firenze, Bemporad, X, Pensaci, Giacomino! Firenze, Bemporad, Così è (se vi pare). Firenze, Bemporad, Sagra del signore della nave, L'altro figlio, La giara. Firenze, Bemporad); Il piacere dell'onestà. Firenze, Bemporad,  Il berretto a sonagli. Firenze, Bemporad,  Il giuoco delle parti. Firenze, Bemporad, Ma non è una cosa seria. Firenze, Bemporad, L'innesto Firenze, Bemporad, La ragione degli altri. Firenze, Bemporad, L'imbecille, Lumie di Sicilia, Cecè, La patente.Firenze, Bemporad, All'uscita. Mistero profano, Il dovere del medico. La morsa.  L'uomo dal fiore in bocca. Dialogo, Firenze, Bemporad, Diana e la Tuda.  Firenze, Bemporad,  L'amica delle mogli. Firenze, Bemporad, La nuova colonia. Firenze, Bemporad, Liolà. Firenze, Bemporad, O di uno o di nessuno. Firenze, Bemporad, Lazzaro (Milano, Mondadori); “Questa sera si recita a soggetto” (Milano, Mondadori); “Come tu mi vuoi” (Milano, Mondadori); “Trovarsi” (Milano Mondadori); “Quando si è qualcuno” (Milano, Mondadori); “Non si sa come” (Milano, Mondadori); “Novelle per un anno, Firenze, Bemporad, Milano, Mondadori, I, Scialle nero, Firenze, Bemporad, La vita nuda, Firenze, Bemporad, La rallegrata, Firenze, Bemporad, L'uomo solo, Firenze, Bemporad,  La mosca, Firenze, Bemporad, In silenzio, Firenze, Bemporad, Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, 1Dal naso al cielo, Firenze, Bemporad, Donna Mimma, Firenze, Bemporad,Il vecchio Dio, Firenze, Bemporad, La giara, Firenze, Bemporad, Il viaggio, Firenze, Bemporad, Candelora, Firenze, Bemporad,  Berecche e la guerra, Milano, Mondadori,  Una giornata, Milano, Mondadori, Teatro dialettale siciliano, 'A vilanza, Cappiddazzu paga tuttu, con Nino Martoglio, Catania, Giannotta, Prefazione a N. Martoglio, Centona. Raccolta completa di poesie siciliane con l'aggiunta di alcuni componimenti inediti, Catania, Giannotta, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, Uno, nessuno e centomila, Firenze, Bemporad, Prefazione a E. Levi, Lope de Vega e l'Italia, Florencia, Sansoni, Introduzione a S.D'Amico, Storia del teatro italiano, Milano, Bompiani); In un momento come questo, in "Nuova Antologia",Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, Tutti i romanzi, Milano, A. Mondadori, Novelle per un anno, Milano, A. Mondadori, Maschere nude, Milano, A. Mondadori); Lettere a Marta Abba, Milano, A. Mondadori, Saggi e interventi, Milano, A. Mondadori. Oltre al Nobel ricevette diverse onorificenze:  Cavaliere di Collare dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Collare dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme Arcade Minore della Secolare Accademia del Parnaso Canicattinesenastrino per uniforme ordinariaArcade Minore della Secolare Accademia del Parnaso Canicattinese — Canicattì Intitolazioni. A lui è stato dedicato un asteroide. Enciclopedia Italiana Treccani alla voce Girgenti. In A. Camilleri. Biografia del figlio cambiato, Milano,  Lettere da Palermo e da Roma, Bulzoni, Roma, Il risorgimento familiare. Medicina e Insonnia. in.. Riferimenti autobiografici a questo problema che affligge si trovano in numerose sue opere: Il turno, L'amica delle mogli, Il fu Mattia Pascal, L'uomo solo, La trappola, La giara  G. Bonghi, Biografia di Luigi P., Edizione dei classici italiani  A. Camilleri, In effetti, afferma in un lettera ai familiari da Roma. I professori di questa università, nella facoltà mia, sono d’una ignoranza nauseante (Lettere giovanili da Palermo e da Roma Bulzoni, Roma, difese pubblicamente durante una lezione un suo compagno rimproverato ingiustamente dal rettore.  M. Manotta, L. Pirandello, Pearson Italia S.p.a.,  Da Album Pirandello, I Meridiani Mondadori, Milano, A. Camilleri, Biografia del figlio cambiato, BU. La storia di Luigi e Antonietta è infatti quella di un matrimonio di una Sicilia di fine '800, combinato per interesse, da parte di due soci nel commercio dello zolfo. Antonietta porta la dote che assicura ai giovani sposi sbarcati da Girgenti in continente e approdati a Roma, una vita tranquilla e permette a Luigi di affermarsi come scrittore. Il matrimonio d'interesse è sublimato grazie alla letteratura e diventa un matrimonio d'amore con la moglie ideale (in Anna Maria Sciascia, Il gioco dei padri. Pirandello e Sciascia, Avagliano, S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano, Principato, Storia, G. Mazzacurati, Introduzione e biografia, dalla Prefazione a Il fu Mattia Pascal, Einaudi; Vita di Pirandello; Pirandello e la moglie Antonietta, G. GiudiceTipografico Torinese, M. Manotta, Pearson Paravia Bruno Mondadori, L. P., S. Pirandello, A. Pirandello, Il figlio prigioniero: carteggio tra L. e S. Pirandello durante la guerra Mondadori,  Motivazione del Premio Nobel per la Letteratura. TUTTI I NO DI MUSSOLINI A P.. L'arci-fascista non piace al Duce; G. Afeltra, Mia cara Marta, l'amore platonico di Pirandello  Tra Pirandello e M. Abba ottocento lettere di emozioni  Einstein e l'invito. Lo scontro che nessuno vide  L. Lucignani, Pirandello, la vita nuda, Giunti, Pirandello e la prima guerra mondiale. Chiede di entrare nei Fasci (La Stampa); F. Sinigaglia, I volti della violenza a teatro, Lucca, Argot. Non e l'unico filosofo che si iscrive al partito fascista nel pieno della vicenda Matteotti. Ungaretti si iscrisse appena nove giorni dopo il funerale di Matteotti (Stato matricolare di Ungaretti, Università "La Sapienza" di Roma. La sua adesione al fascismo, G. Giudice, Pirandello (POMBA Torino); Pirandello e la politica, su atutta scuola. G. Lagorio, Troppi idiotic. E P. partì; P., nudità e FASCISMO; P.. Gli anni del fascismo; B. Mussolini, Nel solco delle grandi filosofie -- relativismo e fascismo, in Il popolo d'Italia. Le idee di Mazzini e di Sorel influenzano profondamente il fascismo di Mussolini e Gentile (S. Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino. Sorel è veramente il notre maître (B.Mussolini, Il Popolo in Opera Omnia); Interviste: parole da dire, uomo, agl’altr’uomini, Rubbettino; riportato da G. Giudice. Prefazione alle Novelle per un anno, Milano, Storie dalla storia, L'oro alla patria Il Sole 24 ORE  M. Sambugar, Letteratura italiana per moduli, Incontro. R. Dombroski, L'esistenza ubbidiente – la filosofia sotto i fasci (Guida); L'Ovra a Cinecittà di Natalia ed Emanuele V. Marino,  Boringhieri, Il Post); I giganti della montagna, taote.  Così, in una bara in affitto, riportammo a Girgenti le sue ceneri. Malgrado i divieti prima del gerarca, poi del pre-fetto, e infine del vescovo. In Camilleri e lo strano caso delle ceneri di Pirandello. N. Borsellino, Il dio di Pirandello: creazione e sperimentazione, Sellerio, R. Alajmo, Le ceneri di Pirandello, Drago, in Saggi poesie, scritti varii Mondadori, Milano). I filosofi hanno il torto di non pensare alle bestie e davanti agl’occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque sistema filosofico. D. Marcheschi, L'umorismo, Milano, Oscar Mondadori, X.  Marcheschi rivela che copia intere pagine del saggio da opere precedenti di L. Dumont, A. Binet, G. Séailles, G. Negri, G. Marchesini, nonché dalla Storia e fisiologia dell'arte di Ridere di T. Massarani. Vedi articolo de Il Giornale, in “Caro P., ti ho beccato a copiare.  P., L'umorismo e altri saggi, Giunti; S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano, Principato, TP.: guida al Fu Mattia Pascal, Carocci, Scrittori sull'orlo di una scelta spiritista  Sambugar, La sua filoofia s'inserisce in un contesto culturale in cui è presente il concetto di relativismo: la teoria della relatività di Einstein, il Principio di indeterminazione di Heisenberg, la teoria quantistica di M. Planck. Simmel fonda il suo relativismo sulla convinzione che non esistono leggi storiche obiettivamente valide. Dizionario di filosofia). E nelle arti figurative il relativismo è ripreso dal cubismo caratterizzato da una rappresentazione dell'oggetto considerato simultaneamente da diversi punti di vista. S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano, Principato, Maschere nude, I. Zorzi, Newton Compton); E. Providenti, Epistolario familiare giovanile Quaderni della Nuova Antologia, Le Monnier, Firenze, Roberto Alonge, Pirandello, Laterza, Bari, Elio Providenti, Luigi Pirandello. Epistolario, Quaderni della Nuova Antologia, Le Monnier, Firenze); U. Artioli, L'officina segreta di Pirandello, Laterza, RomaBari, Luigi Pirandello, una vita da autore, repubblicaletteraria. C. Vicentini, Il disagio del teatro (Marsilio, Venezia). La prima rappresentazione della commedia La morsa si ha a Roma, al Metastasio, ad opera della Compagnia del "Teatro minimo" diretta da N. Martoglio che la mise in scena assieme all'atto unico Lumie di Sicilia. Cedendo alle insistenze di Martoglio acconsentì a che La morsa e Lumie di Sicilia sono rappresentate nella stessa serata. I due atti unici hanno diverso esito presso il pubblico, che accolge con favore La morsa, mentre non grade Lumie di Sicilia (in Interviste, Parole da dire, uomo, agli altri uomini" di I. Pupo, Rubettino,  Legato a ricordi della fanciullezza di Pirandello.  Da. Savio, Il carnevale dei morti. Sconciature e danze macabre nella narrative, Novara, Interlinea. l mio primo libro fu una raccolta di versi, “Mal giocondo”. In quella prima raccolta di versi più della metà sono del più schietto umorismo, e allora io non so neppure che cosa e l'umorismo ("Le lettere"); “Il cinema di Amedeo Fago Pirandello NASA. Enrico 4., Firenze, Bemporad e figlio, Esclusa, Milano, Fratelli Treves, Fu Mattia Pascal, Milano, Treves, I Pirandello. La famiglia e l'epoca per immagini, E. Zappulla, Catania, la Cantinella, R. Alonge, Roma-Bari, Laterza, U. Artioli, L'officina segreta” (Bari, Laterza); R. Barilli, La linea Svevo-Pirandello, Milano, Mursia, E. Bonora, Sulle novelle per un anno in Montale e altro novecento, Caltanissetta-Roma, Sciascia, N. Borsellino, Ritratto e immagini, Roma-Bari, Laterza, N. Borsellino e W. Pedullà (diretta da), Storia generale della letteratura italiana, Il Novecento, La nascita del Moderno, Milano, Motta, F. Michele e M. Rössner, L’identità italiana, Atti del Convegno internazionale di studi pirandelliani, Graz Pesaro, Metauro, Arcangelo Leone De Castris, Storia di Pirandello (Bari, Laterza); A. Benedetto, Verga, Annunzio, Pirandello (Torino, Fògola); L. Lugnani, L'infanzia felice (Napoli, Liguori); G. Macchia, “La stanza della tortura, Milano, Mondadori,  Pirandello e dintorni, Catania, Maimone, F. Medici, Il dramma di Lazzaro. Asprenas, A.  Pagliaro,  “U ciclopu, dramma satiresco d’Euripide ridotto in siciliano (Firenze, Monnier); G. Podestà,  "Humanitas", F. Puglisi, L'arte; Messina-Firenze, D'Anna, F. Puglisi, Pirandello e la sua lingua, Bologna, Cappelli, Filippo Puglisi, L. Pirandello, Milano, Mondadori, F. Puglisi, Pirandello e la sua opera Catania, Bonanno, C. Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano. D'Annunzio, Pascoli, Fogazzaro, Pirandello” (Milano, Feltrinelli); A. Sichera, Ecce Homo!Nomi, cifre e figure di Pirandello (Firenze, Olschki); R. Scrivano, La vocazione contesa” (Roma, Bulzoni, G. Taffon, Il gran teatro del mondo, in Maestri drammaturghi nel teatro italiano del '900. Tecniche, forme, invenzioni, Roma, Laterza, G. Venè, “Fascista. La coscienza borghese tra ribellione e rivoluzione” (Venezia, Marsilio); M. Veronesi (Napoli, Liguori); C. Vicentini, “Il disagio del teatro” (Venezia, Marsilio); R. Vittori, Il trattamento cinematografico dei 'Sei personaggi' (Firenze, Liberoscambio); E. Zappulla, Pirandello e la filosofia siciliana, Catania, Maimone, Filosofi siciliani del secondo dopoguerra, Catania, Maimone. Casa di Pirandello D. Fabbri Lanterninosofia  su Pirandello Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Conferenza Episcopale Italiana. nobelprize. Audiolibri di Luigi Pirandello, su LibriVox.  di Luigi Pirandello, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.:etteratura fantastica, Fantascienza. Movie Luigi Pirandello, su Internet Broadway Database, The Broadway League.Luigi Pirandello, su filmportal.de.  Centro Nazionale Studi Pirandelliani, su cnsp. Istituto di studi pirandelliani allo Studio Luigi Pirandello. E. Licastro, Pirandello fra Spengler e Wittgenstein. Girgenti (das alte Agrigentum), einer der sieben Haupt- orte, in welche sich Sicilien politisch teilt, liegt wenige Kilo- meter von der südlichen Küste der Insel und zählt etwa 20 000 Einwohner. Gegen Norden erstreckt sich seine Provinz bis Cammarata, westlich bis Sciacca, gegen Osten bis an den Flufs Maroglio, und umfalst die Gegenden Aragona, Favara, Naro, Canicattí, Casteltérmini, Cianciana, Cammarata, S. Stéfano, Ribera, Sciacca, Bivona, Re- calmuto, Raffadali, Licata u. a. Die mundartlichen Grenzen entsprechen aber nicht genau den Verwaltungs-Grenzen; wir finden deshalb, dals, während es zwischen Girgenti und den kleinen es umgebenden Gegenden, wie z. B. Porto-Empe- docle, Siculiana, Montaperto, Aragona, Recalmuto, Favara, aufser einer gewissen Dehnung der Aussprache nur sehr seltene oder fast keine Verschiedenheiten giebt, man das- selbe von den Gegenden, die sich mehr von ihm entfernen, nicht sagen kann. So z. B. Canicattí und Casteltérmini nähern sich mehr der mundartlichen Gruppe des Innern der Insel (Caltanissetta), wo die Aussprache im allgemeinen sehr gedehnt ist, und in ihren Gegenden bemerkt man besonders die Diphthongierung des e (g, e) und des o (e, ?), welche in Girgenti (Hauptort) und an den Küsten ganz unbekannt ist. So nähert sich auch Licata etwas den Mundarten der Südost- spitze, namentlich in der Entwickelung des kz (aus pl, cl, tl) zu & (canu, occu, veciu, wie in Noto, Múdica); ferner gehört Sciacca fast ganz zu der mundartlichen Gruppe der westlichen Küste der Insel, da in ihr die Hauptmerkmale selbst, die ge-wöhnlich in der ganzen Provinz sind, fehlen: /+ Hiati =gy, statt =/ (filiu = figgyu, agrig. fitu); Perfekt -avit = áu statt ú (purtáu, purtá); 9+a, 0, u=j: jammi, jaña (agrig. gammi, gaña) u. s. w. Bei der Verfertigung dieser Arbeit habe ich besonders die folgenden Werke benutzt: F. Diez, Grammatik der romanischen Sprachen. Meyer-Lübke, Grammatik der romanischen Sprachen. Italienische Grammatik. Leipzig 1890. H. Schneegans, Laute und Lautentwickelung des sicilianischen Dialektes. Strafsburg 1888. M. Hüllen, Vokalismus des alt- und neusicilianischen Dialektes. Bonn 1884. Gaetano Di Giovanni, Cinquanta Canti, novelline, sequenze e scritti popolari siciliani. Palermo 1889. Gaetano Di Giovanni, Venticinque Canti e novelline popolari siciliane. Palermo 1888. und manche andere, die ich in derselben nicht unterlassen habe zu citieren. Sehr viel aber hat es mir auch geholfen, dals ich aus der Provinz Girgenti gebürtig bin und in mir selbst die beste Grundlage meiner Arbeit gefunden habe. Für die gütige Teilnahme an der Arbeit sage ich Herrn Prof. Dr. W. Foerster hiermit meinen herzlichsten Dank; ferner mufs ich auch dem Herrn Prof. E. Monaci, meinem hochver- chrten Lehrer in Rom, danken und den Freunden Prof. E. Si- cardi von Palermo, Dr. Giovanni Taormina von Siculiana für die mir liebenswürdig gesandten Nachrichten.  Luigt Pirandello.  Laute und Lautentwickelung  der  Mundart von Girgenti.  Halle a. S.,  Druck der Buchdruckerei des Waisenhauses.Herrn  Prof. Dr. Wendelin Foerster  in dankbarer Verehrung  gewidmet.Girgenti (das alte Agrigentum), einer der sieben Haupt-orte, in welche sich Sicilien politisch teilt, liegt wenige Kilometer von der südlichen Küste der Insel und zählt etwa 20 000 Einwohner. Gegen Norden erstreckt sich seine Provinz bis Cammarata, westlich bis Sciacca, gegen Osten bis an den Flufs Maroglio, und umfalst die Gegenden Aragona, Favara, Naro, Canicattí, Casteltérmini, Cianciana, Cammarata, S. Stéfano, Ribera, Sciacca, Bivona, Re-calmuto, Raffadali, Licata u.a. Die mundartlichen Grenzen entsprechen aber nicht genau den Verwaltungs-Grenzen; wir finden deshalb, dafs, während es zwischen Girgenti und den kleinen es umgebenden Gegenden, wie z. B. Porto-Empe-docle, Siculiana, Montaperto, Aragona, Recalmuto, Havara, aufser einer gewissen Dehnung der Aussprache nur sehr seltene oder fast keine Verschiedenheiten giebt, man dasselbe von den Gegenden, die sich mehr von ihm entfernen, nicht sagen kann. So z. B. Canicattí und Casteltérmini nähern sich mehr der mundartlichen Gruppe des Innern der Insel (Caltanissetta), wo die Aussprache im allgemeinen selir gedehnt ist, und in ihren Gegenden bemerkt man besonders die Diphthongierung des e (g, e) und des o (8, p), welche in Girgenti (Hauptort) und an den Küsten ganz unbekannt ist.  So nähert sich auch Licata etwas den Mundarten der Südost-spitze, namentlich in der Entwickelung des liz (aus pl, c, tl) zu c (canu, ou, veccu, wie in Noto, Módica); ferner gehört Sciacca fast ganz zu der mundartlichen Gruppe der westlichen Küste der Insel, da in ihr die Hauptmerkmale selbst, die ge-wöhnlich in der ganzen Provinz sind, fehlen: /+ Hiat i = gy, statt = 1 (filiu - figgyu, agrig. fitu); Perfekt -avit = áu statt (purtáu, purtá); 9+a, 0, u-j: jammi, jaña (agrig. gammi, gana) u. s. w.  Bei der Verfertigung dieser Arbeit habe ich besonders die folgenden Werke benutzt:  F. Diez, Grammatik der romanischen Sprachen.  Meyer-Lübke, Grammatik der romanischen Sprachen.  -  Italienische Grammatik. Leipzig 1890.  H. Schneegans, Laute und Lautentwickelung des sicilianischen Dialektes. Strafsburg 1888.  M. Hüllen, Vokalismus des alt- und neusicilianischen Dia-lektes. Bonn 1884.  Gaetano Di Giovanni, Cinquanta Canti, novelline, sequenze e scritti popolari siciliani. Palermo 1889.  Gaetano Di Giovanni, Venticinque Canti e novelline popolari  siciliane. Palermo 1888.  und manche andere, die ich in derselben nicht unterlassen habe zu citieren.  Sehr viel aber hat es mir auch geholfen,  dals ich aus der Provinz Girgenti gebürtig bin und in mir selbst die beste Grundlage meiner Arbeit gefunden habe.  Für die gütige Teilnahme an der Arbeit sage ich Herrn Prof. Dr. W. Foerster hiermit meinen herzlichsten Dank; ferner mufs ich auch dem Herrn Prof. E. Monaci, meinem hochverehrten Lehrer in Rom, danken und den Freunden Prof. E. Si-cardi von Palermo,  Dr. Giovanni Taormina von Siculiana  für die mir liebenswürdig gesandten Nachrichten.Diakritische Zeichen.*  Vokalismus.  ç = offenes e, e = geschlossenes r, i = sehr offenes i,  beinahe e, a = sehr offenes u, beinahe o, !. Halbvokale.  Konsonantismus.  *Kons. = gedehnte Aussprache des Anlautes: dumama,  decottu, bannera, ve, "Roma,  k? = fl: zuri (flore), xmmi (flumen),  % = ts: carraratu,  2= ds: vurza,  i = palat. c,  g = palat. g,  J2 = ital. gh in ghiotto,  $ = franz. ch in „cheval",  del = Il (es wird bei uns nicht mit Schneegans gebildet, „in-dem man die Zungenspitze nicht wie bei d gegen die obere Zahnreihe drückt, sondern gegen die Gaumen-höhle, nachdem man sie nach hinten umgeschlagen hat"; denn es ist nicht das Gaumen-d der Sarden, klingt vielmehr palatal: es ist ein mit dem Zungen-rücken auf dem Mittelgaumen hervorgebrachtes g, wobei die Zungenspitze den Rand über den oberen Alveolen berührt,  4 = mouilliertes / (ital. gl),  ñ = mouilliertes n (ital. gn),  += ti + Vok. - ist die stimmlose zu der stimmhaften d!, Sf = sti+ Vok. — wobei die Zungenspitze sich gegen den Mittelgaumen mehr nähert als bei s,  i — faukales n in sanu (sangue),  le = ital. ch + Vok. im Hiat (liy = liz),  'm)  'n)  = Vokm, Vok.n.  *) Man entschuldige die Ungleichartigkeit ciniger Zeichen mit dem  Fehlen entsprechender Zeichen im Vorrat der Druckersi.I. Vokalismus.  Betonte Vokale.  §1. a  bleibt in der Regel sowohl in Girgenti (Hauptort) als in der Provinz unverändert: capu (caput); fava (faba); lizavi (clave); amu (hamu); vraca (braca); lagu (lacu); paci (pace); vaggu (radiu); maju (maju); gratu (gratu); gradu (gradu); nasu (nasu); manu (manu); bañu (*baneu); "raru (raru); ala (ala); pata (palea); cavaddu (caballu); annu (annu); gattu (cattu); passu (passu); parti (parte); arcu (arcu); árbulu (arbor); ama (arma); marba (malva); áutu (altru); cáudu (caldu); fúusu (falsu); canta (cantat); canca (cambiat); santu (sanctu); latte (lacte); matressa (metaxa); labbru (labru); pati (patre).  Besondere Fälle - lat. mälum. Im allg. Sicilianischen fehlt die entsprechende Form zum ital. melo aus griech. melon (u82ov); statt ihrer findet sich nur pumu; ammilatu, d.h. „del sapore o del colore d'una mela" ist aus ital. melo geholt und wird metaphorisch wie in „parlari ammilatu" gebraucht. Mu-luni (aus Angleichung des i an das tönende u) ist der ital. mellone. Lat. gravis (ital. grave und greve, cf. Canello, Arch. glott. ital. v. III 3, 315) ist allg. siz. gravi adjektivisch und ad-verbial, aber gelehrt, z. B. „casu gravi, malatu gravi"; zun ital. greve „con valore puramente materiale" entspricht agrig. gravisu; sonst hat *grevis in grevu „geschmacklos" „dumm" und „pesante nello scherzo", deshalb grizanza, und in grevia „mal' umore, pesantezza di spirito" seine Stelle ein-genommen. Lat. alacer hat sich nur im Sinne von „pronto, attivo, vivace" im ital. alacre, alacrità, alacremente, aber ge-lehrt und entlehnt, erhalten; im Sinne von „lustig, fröhlich, freudig, heiter" ist vulglat. *alécrus an seine Stelle getreten: ital. allegro, allg. siz. allegru, oft bei dem Volke: allégiru, mit  i - Einschiebung. Lat. ceraseus hat sich im ganzen Sicilianischen sing. crasa, plur. crasi erhalten; cf. sard. kerasa, neap.-röm. ierasa, ¿erase (nicht ierase, wie Meyer-L., Ital. Gram. § 50 schreibt). Lat. Suffix -aria, -arius erscheint im allg. Sic. und im Agrig. a) als -ara, -aru; 8) als ara, -are; a) als -cra,  -eri; d) als -er, - ergu.  Beispiele:  a) panaru, picuraru, nutaru, vurdunaru, azaru, jin-naru, frivaru, murtaru u. a. (echt volkstümlich);  B) sigritarzu, calanar, ssafalaru, mancataru, nivis-sargu u. a.;  1) vueri, giseri, camperi, lucanneri, luktigeri u. a.;  d) rifrigger, maggisterzu, virser u. a.  Doppelformen: abbirsarm entgegenstehend und virseru Widersacher, Teufel, adversarius; arginteri Silberarbeiter und Argintaru Name eines Berges aus argentarius; cavaddaru Führer der Lastpferde und cavaleri (die Landbewohner nennen cavalera eine Mandel, die harte Schale hat) aus *caballarius; galera (auch galia Galere) Gefängnis, z. B. „mannari 'ngalera" zur Zwangsarbeit verurteilen und gallaría (?), cf. Canello, op. cit. 305, aus *calaria von sãñov; quartara Krug „la quarta parte d'un barile" und quarteri Stadtviertel aus quartarius; cannilaru Lichtzieher und cannileri Leuchter aus *candela-rius u.a. Man konnte hier auch svarzu, sbar (ital. svago) Belustigung und sgarru, sbatu (ital. sbaglio) aus *ex-varius, varius = Badeós, cf. Canello, op. cit. 302, hinzufügen.  Die volkstümliche Entwickelung von -arius ist aber nur  -aru, wie Schneegans C. I, § 1, 8 gut erklärt hat; - arzu ist besonders ital. Einfuhr, v. g. calendario, proprietario, segretario, locatario „colvi che prende a pigione casa, bottega etc.", Fan-fani, Voc. ital. 8f3, neben locandiere „padrone d'una locanda" (statt lucataru oder lucataru findet sich aber agrig. lucateri neben lucanneri in demselben Sinne wie im Ital.); - eri, - eru sind besonders französisch oder italianisierend auf franz. Ur-sprung, vgl. boucher, agrig. vucteri, altfrz. jusier, agrig. giseri, prov. campier, agrig. camperi u. a.  Allg. sic. jittari, jetta, jittatu dürfte nicht auf ejéctat beruhen (Meyer-L., Ital. Gramm. § 50), sondern, wie im franz.  *jecère, a durch j beeinflufst sein.  Lat. natare (ital. notare, nuota) ist in Girgenti natari, nata in der Regel geblieben, und so auch aqua — acqua; caseu - cau (s + Hiat i s. II. § 12). Zu dem calab. miercu (Meyer-L., op. cit. § 50) entspricht agrig. mercu (ital. marco, marchio Zeichen), miercu in Casteltermini, Canicatti, mircari (cf. altfranz. merc, merchier).  Lat. habeo = aju, neben e, eju; darüber ist zu bemerken:  a) e kann einfache Kontraktion von aju sein, vgl. t'e mannatu,  l'e amatu Licata = t'aju mannatu, l'aju amatu; 8) e= aju a  + Infinitiv (von aj'a..., cf. franz. j'ai à ...). Die einfachen Formen des Futurums sind in Girgenti mundartlich ganz und gar ungewöhnlich: t'e fari moriri, t'e mannari a "Roma = t'aj'a "fari moriri, t'aj'a mannari a "Roma (ital. ti faró morire, ti manderó a Roma); y) die Form eju = aju, speziell aus Casteltermini, kann so gebildet sein: zwischen e (gewöhn-liche, einfache Kontraktion von aju) und a + Infin. ist ein j  vorgekommen, vgl. z. B. affirratu e janci (e = ai Artikel und  hanéi, anci von ganci, ital. gancio); ej a jiri = e a jiri; später  wird ej a zu eja, wie in m'eja namurari = m'aiu a "na-  murari, danach wird eja zu aju analogisiert eju. Sehr häufig ist ferner a von aju a, besonders in der Stadt Girgenti und an den Küsten: m'a namurari, m'a fari 'stu piacri = mai a fari stu piaciri; d) die literarischen Formen aja, ajamu, ajati, ajanu sind mundartlich ungewöhnlich; nur in einer verwünschenden Ausrufung - "mannagga! (mal ne abbia) findet sich agga von habea.  Agrig. lizovu, covu in Licata, aus clavus ist nicht klar; aber vielleicht läfst es sich aus clavr = clau-u = clau-v-u erklären. - Lat. sapio (ital. so) ist in Girgenti saie (p+i im Hiat = ē) regelrecht geworden. - Muncu (ital. monco) aus mancu ist nicht volkstümlich; statt seiner sagt das Volk:  ¿uncu (cf. ital. cionco), oder „sen:a manu", aber mancari,mancu, mancanza (für monco neben manco im Ital., of. Ca-  nello, op. cit. 315).  Suffix -abilis = abili, abuli: curabili, maniatuli; öfters aber hat ital. -evole seine Stelle eingenommen: ludevuli, cum-  passiunevuli, durevuli u. a.  Suffix-aticum = aggu; cumpanaggu (ital. companatico);  sarvaggu (silvaticu) u. a. - Gelehrtes -aticu is geblieben in: stallaticu (ital. stallatico, auch stallaggio), viaticu, estaticu.  Mlat. amandola (ital. mandorla) giebt ménnula (cf. occ.  amenlou).  Neben kuarke (ital. qualche) aus qualeque, findet sich uft, auch in agrig. lorki, vielleicht aus *kaurki; möglich finde ich es, weil ich viele Male kaurkidunu (ital. qualcheduno), be-sonders in Porto-Empedocle, gehört habe, obwohl das k sonst immer u an sich zu ziehen pflegt; vgl. kuatela von kautela  (auch cotela).  Endlich, der betonte Vokal a, sowohl in offener als in geschlossener Silbe, wird in einigen Mundarten der Provinz, besonders in Aragona und Recalmuto, nach Guttur, und Lab. in ua diphthongiert, z. B. guaddu, cuani, curcuari, puani.  §2. e  @ (= è litt. lat.) bleibt gewöhnlich in Girgenti (Hauptort)  und im allgemeinen an den Küsten. Im Innern der Provinz, und besonders in einigen Gegenden, wie z. B. Casteltermini,  Canicatti, wird e zum Diphthong ie.  e bleibt: crepa (crepat); leva (levat); tema (tremit); prega (precat); nega (negat); deci (decem); peju (pejus); meti (metit); pedi (pede); sedi (sedit); teni (tenit); seru (seru); feli (fel); peta (petra); lebbru (lepore); nela (nebula); merlu (merulu);  ecklqu (vetulu); metu (melius); teña (teneat); menzu (medius); ferru (ferru); beddu (bellu); pettu (pectus); setti (septe); sé sex); vespa (vespa); festa (festa); jinessa (genestra), erba (herba);  certr (certu); perdi (perdit); sempri (semper); centu (centí).  frieri, wieni, tieri, nierier, miete, mienzu, viers, viene,  bieni, liévitu, miévula, mierlu, mienzu, viersu u.s. w.  (Casteltermini, Canicatti). Dieser Diphthong findet sich immerim Munde des Volkes, und er ist das bemerkbarste Kennzeichen dieser Gegenden.  Dafs die gebildeten Stände beim Spre-  chen versuchen ihn zu vermeiden, versteht sich, weil er immer einem Ohre, das an gebildetes Sprechen gewöhnt ist, unangenehm auffällt. Und so wird es kommen, dals eine gebildete Person, nehmen wir an in Casteltermini selbst, um nicht mit dem Volke: „viersu, mienzu, mierlu" zu sagen, „versu, menzu, merlu" sagen wird, was dann nicht die Mundart von Casteltermini, sondern gewöhnliches Sicilianisch ist, das von jedem Gebildeten in Sicilien gesprochen wird. Die Leute aus dem Volke, die die Wörter am meisten dehnen, sprechen: „viersu, miensu, mierlu" in einer noch mehr offenen und gedehnten Weise aus, als die besser Gebildeten, welche die Diphthongen doch immer aussprechen, aber in einer weniger unangenehmen Weise. Damit will ich sagen, dals die Diphthongierung des e existiert in einigen Gegenden des Innern der Provinz, abgesehen von der Affektation und der Dehnung, mit welchen sie ausgesprochen werden kann; und dals es, nach meiner Meinung, unverantwortlich ist, aus der einfachen That-sache, dals die Gebildeten diesen Diphthong zu vermeiden suchen, zu schliefsen, wie jemand es gethan hat, dals es die blofse Wirkung affektischer Rede sei.  Dals der Vokal,  welcher die folgende Silbe schliefst, einen Einfluls auf das e ausübt, finde ich sicher (cf. neap. und calab.).  Wir finden  ½ B.: piettu, liettu, frummiente, priezza, lamientu, bieddu, mienzu, viellzu, bieni, pietti, lamienti u.s.w. - und: erba, beddo, petta, picuredda, palummedda, cublizaredda, petta, testa, terra, ichliga u. s. w.  Wenn wir hierauf keine Rücksicht neh-  men, wie können wir die zwei Formen: „bieddu" und „bed-da", „pietti" und „petta", „vieklizu" und „velkza", „patum-mieddi" und „palummedda" erklären?  Anmerkungen. Linnina aus lens, lendis, mit den calab. lindine, campob. linenc (dagegen im ital. lendine) scheint auf ein & zurückzugehen.  Vestice aus bestia (ital. bestga) würde zu Gunsten eines g sprechen, ist aber nicht volkstümlich entwickelt.Lat. heri (ital. ieri) ist agrig. ajeri, wie im ganzen Sicil.  (cf. span. ayer = ad heri).  Bei múntua (ital. méntova) ist e nach m zu a geworden,  ct. § 10.  Ital. scendere, allg. sic. sinniri aus lat. descendere (kaum vermischt mit discindere, wie Meyer-L., Ital. Gramm. § 62).  'Ntinna (wie das ital. antenna) scheint auf ein lateinisches ®  zurückzuführen.  e zu i im Hiat.: diu, auch "di (Deus): „Di nun móta"  Gott behüte; „pi l'amuri di di" um Gottes willen; miu  (meus); in Casteltermini findet sich ma = miu, mia (vgl. ia  = iu) „ma pati", „ma mati", in der ganzen Provinz aber auch me frati, me mati, und fraturzu me neben fraturäll miu; endlich riu aus reus.  § 3.  alls vulglat. e = a) è, B) i, y) vulglat. i = kl. lat. i wird agrig. i.  a) aus lat. è: mi (me); ti (se); si (se); sivu (sebu); fici (fecit); liggi (lege); sita (seta); cridi (credit); pisu (pesu); vini (renes); sira (sera); tila (tela); cannila (candela).  Besondere Fälle: Volkstümlich (aber meist ital. Einflufs)  e statt i zeigen die Wörter: statera, neben statía (cf. ital. sta-dera); veru (veru); fera (feria); tettu (tectu), sirenu, Unbe-wölktheit, heiterer Himmel (ital. sereno); kuatela (cautela); iercu, cerki, cerca, cercanu, v. cercare; nettu (ital. netto); tirrenu (terrenu); -emu (-emus); vulemu, facemu u. s. w.; ie (-U, i) in Casteltermini, Canicattí: buliemmu, jemmu; vieru, niettu u. s. w. Ferner kuetu (quietus) vgl. ital. queto, das  Canello, Arch. glott. ital. III, 3, 316 „forma semipopolare" nennt. Findet sich auch e statt i in den folgenden ital. Lehn-wörtern: re (re); spera (spera); velu (velo); frenu (freno); reñu (regno); sigretu (segreto); prufeta (profeta); debitu (debito); sinceru (sincero); eredi (erede); cullega (collega); essemu (estre-mo); misteru (mistero); ecu (eco); -esimu (-esimo); primavera (primavera).8) aus lat. I: ficatu (ficatu); liga (ligat); siti (siti); vidua (vidua); pilu (pilu); mitr (miliu); sajitta (sagitta); pinna (pinna); friddu (frigidus); siklza (sitla); ssita (strigile); nivru (nigru);  vitu (vitru); pudditu (pullitru); vinti (viginta); capissu (ca-pistru); massu (magistru); virga (virga); pasi (pisce); viscu  (viscu); rissa (rixa).  Besondere Fälle. e statt i zeigen auch hier die Wörter:  veci und 'mmeci = in + vice, ital. invece (vice); stelu, gelehrt  (stilu); selva, gelehrt (silva) - ital. stelo, selva; fermu (fir-mu) wohl Eintlufs des r; ferner vor n in menta (mintha); ssega aus ital. strega (striga); lenza (lintea); menu (minus); cumenia (aber auch 'ncuminia); tenta (triginta): die Form tinta ist mir ganz und gar unbekannt. Die niedrigen Leute zählen immer nach zwanzigen und sagen z. B.: 'na vintina e deci, di vintini, du vintiari e deci, ti bintini, um tenta, quaranta, cinquanta, sissanta zu sagen. E statt i zeigen auch empru (impiu) gelehrt; vérgini, neben virgini als kirch-licher Ausdruck: Vergini Maria. Neben rissa (rixa), findet sich ressa, gelehrt, wie im Ital. (Canello, op. cit. 322); dema-  nu gelehrt - Besitztum - neben duminzu ebenso gelehrt - Herrschaft -, Doppelformen aus dominium. - Dagegen i zu a oder ai, etwa durch das franz., in ammáru, ammáina, aus adminare (altfranz. amaine), heute amène,  ist einfach  unmöglich und mufs andern Ursprung haben, vgl. Flechia Arch.  Glott. IV, 372, Meyer-Lübke it. Gr. 292.  8) aus lat. i: ripa (ripa); lisía (lixiva); lima (lima); amicu (amicu); fatiga (fatiga); radici (radice); viti (vite); nidu (nidu); ritu (risu); vinu (vinu); carina (carina); suspira (su-spirat); filu (filu); viña (vinea); milli, oft auch mirza (mille, milia); faidda (favilla), scrittu (scriptu), lintikhzu (lentiscu);  cincu (quinque).  Anmerkungen. Es fehlen in Girgenti die entsprechenden  Formen zu den ital. trebbia (durch Vermischung von tribulum und tribula, Meyer-Lübke, op. cit. § 52), merxo (wenn es zu mitis gehört), segala, elce, stegola (stivula, stiva Caix, Studi 595, wenn man nicht mit Mussafia Beitrag 111, 1 zu hasticula stellt); vetrice, artetico (s. Meyer-L. op. cit. § 52): finden sichaber in der Regel crisima, carina, lítica, ital. cresima, carina, letica (von litigare).  In Recalmuto, besonders bei den Landbewohnern, wird i  fast zu e, mit groser Dehnung ausgesprochen: decu (dicu);  felu (tidu); venu (vinu); veña (viña); durena (duzzina).  $4. 8.  ! (= ö litt. lat.) bleibt o in Girgenti und im allgemeinen  an den Küsten; wird in Casteltermini, Canicattí in -uó- diph-thongiert. Beispiele: tova (*tropat); prova (proba); novu (novu);  vo (bovef); omu (homo); coc (cocu); jocu (jocu); coct (cocit);  rota (rota); sonu (sonu); soru (soror); scola (scola); ópira  (opera); sóggiru (soceru); folu (foliu); córe (coriu); oggi (ho-  die); okhiz (oclu), coddu (collu); fossa (fossa); notti (nocte); cosa (coxa); postu (posto); nossu (nostru); forti (forte); corda (corda); or (ordeu); corpu (corpu); corvu (corvu); porcu (por-cu); cornu (cornu); morsu (morsu); sonnu (somnu); lonu (lon-  gu) - und: uokki, suonnu, suonu, tuovu, ruoppu, muoddu,  muortu, juornu,  buonu, suoru, tistimuoni, cuoddu, cuornu,  I. S. w., aber immer tova, ¿oppa, modda, morta, "bona, cor-na, picotta, cosa, fora, u. s. w.  Besondere Fälle. Agrig. munti, frunti, funti (seltener  fonti) scheinen auch auf ein vulglat. ont zurückzugehen (im  span. aber ?). Purpu, gruncu und gulfu, urma, gelehrt, ent-sprechen den ital. polpo, grongo, golfo, orma; aber tornu, oni, forsi, corpu ital. torno, ogni. forse, colpo (s. Meyer-Lübke Ital. Gramm. § 65). Zu bemerken sind auch arrustu  cf. sard. arrustu; atturru (torreo) cf. calab. atturru, sursu, neap.-calab. sursu, ital. smso, aber grossu (sard. russu), sorba (calab. surba, lecc. survia) - lat. cofinu (ital. cófano) ist agrig. cufinu, durch die Versetzung des Accents vortonig und ge-  schlossen geworden. Lat post, po in Girgenti, unterliegt in  Casteltermini energischer Diphthongierung: à zu úa, pua. -  Endlich a statt o zeigen die Wörter: nannu, nanna (Grofs-  vater, Grofsmutter), = ital. nonno, nonna, und vassa = ital.  costra signoria, „vassa si ni va", vassa veni ca'". - Schnec-  gans erklärt das durch die mit der Häufigkeit des Gebrauches  sich einstellenden Lässigkeit der Lautbildung.Aus vulglat. o = a) litt. lat. ü, 8) i, d) vulglat. e = litt. lat. u wird agrig. u.  a) aus lat. ö: pumu (pomu); duga (doga); vuci (voce); nute (votum); cuti (cote); rudi (rodit); spusu (sposa); via (hora); zzuri (flore); curuna (corona); curti (*corte); sulu (solu); tuttre (*tottus); furma (forma); curca (collocat, vgl. altfranz.  colche, ital. corica). 1  Anmerkungen. O statt u zeigen die gelehrten Wörter vittora, groba (gloria), códici, nonu, nobili (nobuli bei den Volke), mobili und doti, divoto, sacerdoti (sacardoti) schon  volkstümlich geworden.  Neben ura (hora) findet sich gra  aus há hora, Zeitadv., z. B. „pra veñu" (ital. ora vengo), „gra  -¿i vajr" (ital. ora ci vado). - Besonders zu bemerken ist auch "nomu (nomen, ital. nome), cf. Romania X, 397. O ist auch in: prdini, firçõi, prontu, conta, 'Roma, "Ragona, ripasu, pilu, tonaca, testimonu bemerkbar, und in den ital.  Lehnwörtern flora, votu, dom, conti, nodu (nicht mit p, wie  Schneegans § 3, 11, 20 sagt; - überhaupt ist die Aussprache ganz im Süden charakteristisch immer offen und gedehnt). -  -Onem, -ionem, mundartlich zu -uni: añuni (angone); rub-buni (von robba Priestermantel); 'mrzacuni (von 'mracu, ebriacu); raguni, caguni, staguni u. s. w., bleiben bei gelehr-ten Wörtern als -igni: lustioni (ital. quistione), naxioni, pas-sioni, tintazioni, suggizioni, affizzioni, uccasioni u. a. — Neben forma Gestalt, gelehrt, findet sich regelrecht furma, aber nur im Sinne von „Leiste". Dem ital. uovo (aus *(vum) entspricht agrig. quu. Auffällig ist endlich culossa (colostrum,  s. Meyer-Lübke, Gramm. d. rom. Spr. § 119).  8) aus litt. lat. й: lupu (lupu); cuva (cubat); guritu (cubita);  guva (juvat); gúvini (juvene); jugu (jugu); fuji (fugit); cruci (cruce); cútica (cutica); furza (furia); gula (gula); сии (cuneu); rugga (rubia); puzzu (puteu); calunma (calumnia); uti (utre); supra (supra); duppe (duplu); gulutu (glutu); stuppa (stuppa);  russu (russu); turri (turre); savurra (suburra); cunnuttu (con-  1) So Meyer-Lübke, Fanfani hat corica.ductu); vucca (bucca); musta (mustu); crusta (crusta); curtu (curtu); furca (furca); gurgu (gurge); turtura (turtura); surcu  (sulcu); vurpi (vulpe); súrfaru (sulphur); prúvuli (pulver);  curpa (culpa); sunnu (sunt); unna (unda); tuncu (truncu); runca (runcat); kumm (plumbu); unnici (undeci).  Anmerkungen. — ? statt u zeigen auch hier: docca (*duc-tia); satoll (satullu); lonta (ital. lontra) alle gelehrt, und die ital. Lehnwörter: tossicu (tosco); lotta (lotta); conzu (conio, neben ruñu); vrigña (vergogna); culonna (colonna); gottu (auch" bottu: un bottu d'acqua) ital. gotto. Moli aus mulier (ital. moglie) ist gelehrt und sehr selten, ebenso gobbu aus *gublus (ital. gobbo); nozzi aus nuptias (ital. nozze); das Volk sagt: muléri (*muliére), jimmu, nguayyu oder spusalizzu. Zu bemerken ist  Izoviri, lovi (pluere - plovere, Grundform plovia, of. Foerster, Zs. f. R. Ph. III.): to, so (tuus, suus — vgl. ital. tuoi, suoi, aus tü-i, sũ-i für tui, sui, Schneegans § 3 II, 41). - Colobra und colubra ist mir ganz und gar unbekannt. Unklar ist jornu aus diurnus (Analogie zu notti? Mussafia). Zu dem ital. scuo-tere (excutere) entspricht agrig. scotiri.  Auffällig ist Suffix  -uru)lum = okku cunokka, finokkau, pidokku, gunoklizu.  Fommu (fuimus), foru (fuerunt) und die Formen des Condit. fora, foratu, fora, foramu, foravu, faramu sind nicht klar.  Zusatz. - In Casteltermini, Canicattí wird dieses ó (+ u, i) in nó diphthongiert: juornu, aber Plur. jorna, vollizu, nolli, Tinuokkau, piduokhau; fuommu, tuoru u. s. w.  y) aus vulg. lat. u = litt. lat. u: fumu (fumu); sucu (sucu);  suca (sugat); lue (luce); mutu (mutu); crudu (crudu); fus (fusu); una (una); muru (muru); mulu (mula); purci, puer (pullice); guñu (juniu); lulu (juliu); gula (acuc|ulla); gustu  (gustu); fruttu (fructu); nuddu (nullu), susu (sursum).  Anmerkungen. - Statt -itu Partizipendung findet sich fast immer -utu: tradutu, finutu, zzurutu, partutu, sintutu.  - Ganz selten ist o statt y: unklar ist gró aus gruem; ebenso lordo aus luridus, was D'Ovidio (Grundr. 515) als Anlehnung an sordo (?) erklärt.  1) Die Landbewohner sagen junettu, wie altfrz. juignet.§ 6. griech. v.  Griechisch i, i wird meist durch u, seltener durch i wie-dergegeben; doch manchmal findet sich auch o und e statt u, i, wie im Ital.  Beispiele: vurza, grutta, cutuñu, tunnu, tuffu (mustárau, crókkmula, mit Versetzung des Accents); aber torsu (ital. torsu, thyrsus), martorzu geistliches Schauspiel in einigen Gegenden der Provinz während der Passionswoche, neben martirz, gelehrt (Doppelformen aus martirium, wie im Ital., cf. Canello, op. cit. 32f.); lonxa gelehrt (cf. ital. lonza); tollu (ital. stollo);  brutiru, aber libezin, ménnulr, cémmalu, gettu, die zwei letzteren gelehrt. In tapúnu (toúravor) kann das a vom Verbum tapanari verschleppt sein (Meyer-L., Ital. Gram. § 16, 16) oder aus Angleichung an den folg. lat. Vokal: - tepúnu - tapinn.  § %. ae, oe  (schon vulglat. e) sind agrig. als & behandelt: celu, fenu, fetu, neu (naevum); ¿ena, grecu, ebreu (Abbreu, Abbré), juden (judé), prestu, seralu, spera, tedmo, fería, preda, eru, die vier letzteren gelehrt. (Foedus, laetus, suepes, taeda, perit, quaesi, caccus fehlen). - In Casteltermini, Canicattí wird dieses g in -ic- diphthongiert: fienu, fictu, griecu.  $ 8. lat. au.  Es ist nicht leicht, eine bestimmte Regel für die Entwicke-lung des lat. au festzustellen. Man kann im allgemeinen sagen, dals im Sicil. lat au, sowohl primär als sekundär beibehalten ist, jedoch Ausnahmen fehlen nicht, obwohl viele durch ital.  Einflufs gebildet worden sind.  Beispiele:  1. Primäres au - a) bleibt au: táuru, addaure, vaucu, causa (neben cosa, Doppelformen wie im Ital., cf. Canello, op. cit. 328), lausu (neben lodi gelehrt), pause, gelehrt; canlu, Niculau, öfters bei Anreden Niculá.Zusatz. — an wird oft zu aru agu verdehnt: túgurn, addáguru, cávusa, rúcule u. s. w.  P) au — 0: oca (ital. oca); robba (ital. roba), bei den Landbewohnern ist robba das Landhaus; cos (ital. cosa); pocu, neben picca (ital. pocn); póriru (ital. povero); cotu kann aus cautus kommen, obgleich es keine entsprechende Form zu ital. chiotto, neap. hipte,' aus quietus |cf. Diez 13, 123 (kaum) durch franz. coit] ist; oru (ital. oro); o (ital. 0, aut); goja (ital. gioja); nolu (ital. nulo), godu, júdivi, neben udiri (ital. godo), lodi gelehrt (ital. lode), lodr, loda, lúdane (ital. lodo, loda, lodano) - tisore, auch fisoru, tisole bei dem Volke (ital. tesuro); parole, palore (ital. parola); frori gelehrt (ital. frode), lúnare (ital. lodola), foci, gelehrt (ital. foce); clanstrum, anru, unsu, planta, guute fehlen.  Zusatz. — o diphthongiert in no: prore, cuotu, not  1. s. 11: (Casteltermini, Canicatti, puoru auch in Recalmuto).  7) « - ar (ital. al) vor m: rarma (sacua, ital. calma), sarme (sauma, ital. salma aus oágua).  2. Sckundäres - aut (Perfect - avit) ist in Girgenti (Haupt-ort) und in der ganzen Provinz, aufser von Sciacca (-au), - geworden: amú, purtú, currú, mannú etc.  Das sekundäre aus al entstandene an hat in der Provinz von Girgenti eine mehrfache Behandlung. Es ist merkwürdig. wie man in einer Gegend selbst, nehmen wir an, in der Stadt Girgenti, zwei oder drei verschiedene Entwickelungen des al hören kann: z. B. autu, ácute, neben utu, antu; srauzu, siu-vuzu, scuzu, scanzu; sautu, sautu, satu, santu u. a. - Die volkstümliche Entwickelung des al ist aber au: autu, scruzi; sautu, fausn, caudu u. s. w., das Zerdehnen des an zu avu ist ganz gewöhnlich; die Formen atu, satu, scazu u.s. w. entstanden aus áu, «(u) (autu = atu); wichtig ist die Form untu, santu, scanzu u.s.W., wo l zu n geworden ist. Diese Form findet sich nur bei dem niedrigen Volke, besonders Landbewohnern. Meyer-Lübke, Ital. Gram. § 281, S. 162, er-  1) D'Ovidio (Arch. glott. IV, 136) erklürt das neap. kiuote aus dem lat, plotus, und Canello das ital, chiotto aus dem neap. kivote.klürt die Form antu (altru) aus der Verbindung unaltro; aber das, glaube ich, kann nicht auf fanzu, canza, santu u. s. w. bezogen werden. Merkwürdig ist auch an aus unbet. au in anceddi (Casteltermini). Vgl. altfrz. ancun. - In callu neben caudu (ital. caldo), falla (ital. falda), nur bei den niedrigen Leuten zu finden, ist Id zu ll geworden. - In Cianciana wird al vor d zu ai: caidu, faida, so auch ale: caidára, caichúri. - S. Kons. $ 1. 4, S. 88.  Unbetonte Vocale.  Vortonige.  § 9. Ohne Einflufs von Kons. bleibt a bewahrt als a: für die unter i und u zusammengefallenen Vocale (e, e, й, 0, й, й) ist zu bemerken, dafs diese i- und u-Laute (sowohl vortonig als nachtonig) nicht immer ein ganz reines i und u sind, sondern ein Mittellaut (i, 4) zwischen e und i, o und u, cf. Meyer-Lübke, Ital. Gram. § 123, Schneegans S. 49ff. - Doch dieses Schwanken finde ich nicht so ausgebreitet und zuchtlos, wie Schneegans leicht annehmen lassen würde. Auf die gewöhnliche Schreibung des sicil. Dialektes mufs man sich im allgemeinen sehr wenig verlassen, und die selbst von Schneegans dargereichten Texte zeigen es deutlich; in der That: uno, su-bito, solito, danno, anno, successo (in den Cicalate), impie-gato, Municipio, saluto („le Maschere"), tanto, spartavano, ognun, mode (bei Papanti), mio, argento, mano, lo esercixio, pavento, eccidio, campo, immenso, obboé, dire, contento, dente, allegria, mascherati, verità sind keine sicil. Wörter mehr, sondern ganz und gar italienische, mit italienischer Schreibung.  Wenn ich also kein Gewicht auf diese ungenaue Schreibung lege, und mich nur an den echten Volksausdruck und meine natürliche Aussprache halte, so finde ich, besonders in der Provinz von Girgenti: 1. dals i und u im Auslaut den reinen und bestimmten Laut des i und u wirklich nicht mehr haben, sie sind unklar, offen und fast lautlos: ital. anno ist sicil. weder anno, noch annu, sondern annu; 2. dals dieser Mittellaut zwi-schen e und i, o und « besonders in gelehrten und italienischen Lehnwörtern mit e und o zu bemerken ist, z. B. alligrin, prisenti, filici, riggimentu, sicunnu, cmlentu, prepositu u. a.  Formen wie scordatille machen keine Ausnahme, weil es ein zusammengesetztes Wort ist (scorda+ti+ lu, vgl. ital. scorda+ te+lo) und das o von seinem Accent (córda) aufgehalten ist, sonst scurdári, scurdústi, scurdátu. Teátu (Schneegans S. 51) neben tijatu ist gelehrt (ital. teatro), ebenso mascherati volkstümlich mascarati (durch Einflufs des r).  Lat. au ist als au bewahrt geblieben in den Wörtern aurikki, Laurenzu (oft zu Lagurenzu, daher Lagrenzu bei dem Volke, besonders Landbewohnern), ferner in audaci, au-tunnu, rumentu, nauszatu, cautela (neben cotela s. unten) gelehrt und Lehnwörter; sonst wird es zu a: agustu, ascuta, ascutari, agur (wie schon im Vulglat. agustus, ascultare, agurium), Agustinu, aceddu (anceddu Casteltermini); arikkini (ital. orecchini, Ohrringe), xzatari (flautare), ladari, ladatu Castel-termini, Cianciana. Neben aurikli, arikki, arilkini, Laurenzu, areddu, finden sich oft auch oribli, orillini, Lorenu, oceddi, wohl vom Ital., wo anl. o unverändert blieb, während es inl. zu u werden mufste in: pusari, ripusari, purureddu, gudiri (neben gódir), lydari, rubári. - Beachte au in auliva, aulivi.  Romanisches au entstanden aus al-Kons. bleibt au, wie in autirra (altezza), oder durch Einflufs des l, das u an sich zieht, wird au zu va in kuadara (caldaia), kuacina (calcina), luadári (caldicare), aus kaudara, lavina, kaudzari; neben diesen finden sich aber auch die Formen callara, callari, fal-laru, fallarinu (deriv. v. falda), caidara, caidiari, faidduzza in Cianciana, fadali aus au verkürzt. In cotela aus cautela und cocina aus caucina (calcina) ist au (primär und sekundär) zu o geworden.  Vor Labialen wird al nicht zu au, sondern zu ar: par-ment (palmento), marva, arbulu, sara. Ferner in Girgenti vor Dentalen: artaru (altare); farsari (falsare), s. II, § 14.  § 10. Unter Einflufs von Kons. - Der Übergang der unbetonten Vocale a, e, i zu a vor oder nach einer Labialis(s. Schneegans § 7, 55, Meyer-L. § 128, S. 77) ist in Girgenti  (Hauptort) sehr selten.  Beispiele: cannavi, nie cánnuru (cannabis), carrabbina, livari, rimita, rimiteddu, seltener rumitu, rumiteddu (here-mita); birritta, carnalivari, arristitari, misura, misurari,  dimannari, addimanna neben dumannari, dumanna, aubi-  dienti, disublidienti, assimitari, súbitu, úrtimu, annivuricúri,  simenza, siminari, ammintuari, ammintuatu, addiminari, milincana, rivirsari; aber duviri (debere); dumani (demane), cf. ital. dovere, domani. Dagegen findet sich häufig u vor oder nach Labialis in einigen Gegenden der Provinz, besonders in Licata, z. B. luvanti (levante); luvari, buvatuvilla (ital. levare, levátevelo), rumitu, rumitedde, dumanna, burritta, pu-naru (ital. paniere), musura (misura); ammuntuari, sulnitu  (subitu); mulungana (melengiana), annuvricari (anivricari), car-  rubbina, sumenza, fumurar (fimus + ariu), sduvacari (deva-care) - in Casteltermini: Musummulisi (die Bewohner von  Mussomeli), vutieddu (vitellu) u. a.  Durch Einflufs des folg. p ist a an die Stelle von urspring-lichem vortonigen e getreten in sapurtura (ital. sepoltura); sre-  purcru (ital. sepolcru).  Einflufs des v: a) e, seltener i, o + i= a + v: faraci (ferace); sarbari (servare); kuarela (querela); sacardoti (sacer-dote); arsira (hersera); Arasimu (Erasmus) Cianciana; Sara-fina (Seraphina); sarüzzu (ital. esercizio); viparedda (ital. vi-perella); arruri (errore); carzaratu (ital. carcerato); purcaría (ital. porcheria); massaria (ital. masseria); Castartermini (Castel-termini), viklareddu (ital. vecchierello), battaria (batteria); sarvaggu (silvaticu); maravila (mirabilia); arreprensilli (ital. irreprensibile); arasiluli (irascibile); marabinenne (moribondo);  tartuca (tortuca); partualle (Portogallo).  Anmerkung. In Girgenti, wie im allgemeinen im ganzen  Sicilien, kann auch hier von den Formen des Futurums keine Rede sein, weil keine eigentliche Form des Fut., sondern nur die Verbindung des Infinitivs mit den Verben aju, seltener rotu, sich noch ganz deutlich in seinen zwei Teilen findet. - Formen wie arir, amiró, saró u. a. sind Einfuhr der Schrift-sprache; doch habe ich manchmal amaró, avaró (ameró, avró) gehört.  8) i, e + I = u + r in Girgenti: Gurgenti (Girgenti),  survigzu (servizio).  p) r + e, seltener o = v + a: rapprisintari (v. represen-  tare); racenti (recente); raclúta (ital. recluta); raccoliri (recol-ligere); valogu (horologiu); forasteri, Lehnwort (forestieri) u. a.  Dieses a wird zu ü in manchen gelehrten Wörtern, rütturi (rettore), rüdattu (redatto), rütipunte (ital. dietropunto, retro-puntu), rättorica (retorica).  Einflufs des k auf au. - Das k zieht u an sich: liun-dara, kuacina, lundiari, kuatela.  Einflufs des n: e, i + n werden a + n: antari (entrare), anconta (incontra), anutuli (inutile); ancumenãa (incomincia), ssanuto (ital. sternuto), manziornu, manzió (ital. mezzogiorno); vorñ: añuranti (ignorante), añumina (ignominia), añranza (ignoranza). - Sporadische Veränderung: suluczu sulusiari von singultu, singultare.  otn=atn: eamusu, camsiri, ermasatu (8. cogno-  scere); anuri (honore) ricanusenza (riconoscenza), disanuratu (deshonoratu); anniputenti (omnipotente).  Vor der Gruppe mm wird i zu a: ammattutu (ital. im-  battuto); masate (ital. imbasciata); cmenagrute (ital. imma-  grito); Ammaculata (Immacolata).  Vor m wird e zu i in:  mümorga (memoria) Lehnwort.  Nachtonige.  § 11. Ohne Einflufs von Kons. bleibt nachtoniges a in-und auslautend bewahrt: stómacu, timpanu und tégula, "rose, cosa, badda, cuda, canta, puma; für die unter i und « 4u-sammenfallenden Vocale (ẽ 7, i, 0, й, ù) s. Vorton. § 9.  Kein auslautendes e in cincu (quinque, ital. cinque); agrig. sunca (cf. altital. dunqua) bestätigt ein schon im Vulglat. dun-qua aus dunque in Anlehnung an unquam. Ferner zu bemerken sind puru (ital. pure); comu (ital. come, cf. senes. como):  conta, fina = cont'a, fin'a; fora = foras (ital. fuori und fuora);  manu bleibt manu auch im Plur. (cf. altital. le mano). Aus-laut. ae wird i: curuni, culonni; auffillig ist die tonlose Par-tikel ca = ital. che (dafs) und ca — quae Pron., wie z. B.:  Sacêu di tértu ca | du soru siti,  Ca státi emmernu 'nrémmula abitati  (Di Giov. 50 Canti etc. - VI, 9. Cianciana.)  und „vó ca veñu" (ital. vuoi che venga) u. dgl. - Für die  Weglassung einer Endsilbe s. § 17.  § 12. Unter Einflufs von Kons. - Vor r wird e, seltener o zu a: númaru (numeru); cámmara (camera); vipara (vipera);  ruccaru (ital. zucchero); vómmaru (vomere); Gásparu, neben  Gaspinu (Gaspero); Luñfaru (Lucifero); bifara (biffera); gámmaru (ital. gambaro); misara Casteltermini (misera), cán-taru (ital. cantero); cólara (xohepa); jüniparu (juniperu); Ettari (Ettore); Cristófaru (Cristoforo); cárcari (ital. carcere) - nach  i: érramu (onuos).  Labialis +e, i = Lab. +u: pruvuli (pulvere); murula  (nubila); simuli (similis), súltu, urtumu, Licata (subitu, ultimu); und Suffix -couli, -abuli, -ibuli (-abile, -ibile).  L verlangt u vor sich: áttula (dactilus, ital. dattero); utuli (utilis), ácula (aquila), ménnula.  Vor e findet sich a für i, seltener o: calacu (calice), ca-nonacu, tonaca, cronaca, mantacu, sinnacu, monacu, monaca,  parracu, funacu, aber kúvica («f. ital. chiavica) neben cluuca gelehrt, ital. cloaca - nie vor n: pampina, guvini, cufinu (ital. cófano); órfan ist Lehnwort.  Für den Schwund des tonlosen Mittelvokales s. § 15 § 16.  § 13. Aphärese.  Die Aphärese ist in Sicil. sehr häufig, weil alle Würter  vokalisch auslauten:  1. a-Aphärese. a) in einzelnen Wörtern: cttula, Castel-termini (kleine Axt, ital. accetta); Ragona (Aragona), Gur-gentz (Agrigentum), sañaturi Licata (lasañaturi, Rollholz, von lasaña); rina (arena), gula, Nadel (acucula), ramu (aeramina), pretia (apotheca); sparau, sporaci (asparagus); - @) bei mit « anlautenden Femininis, die mit den Artikeln la, 'no (una)zusammentreffen: la'ffizioni (la affezione); la icetta (la accetta),  'na marena (una amarena); - y) vor Nasalen: 'mmátula (am-matula, Adver. umsonst, von griech. uárnv?) 'Ntonia, 'Ntuniktiza (Antonia, Antonietta), 'nüddi Porto-Empedocle (ital. anguille),  'ncina (ital. angina); 'ncinala (ital. anguinaglia), neuviceddi Porto-Empedocle (ital. acciughine); 'naría (ital angaria), 'narsári (ital. angariare); 'mmasaturi (ital. ambasciatore); 'mminsilatu,  'mminsitari (amminsitatu, amminsitari, it. vezzeggiare); 'nusari (angosciare); 'ncunza (ital. ancudine); 'ntinna (antenna).  2. i-Aphärese. a) in einzelnen Wörtern: munnizza (im-monditia); rinnina (hirundina, aber hier scheint Umstellung zu sein: hurindina statt hirundina); Nazzu (Ignatiu); - 8) bei Verben, vor Nasalen: 'mmarazzari (ital. imbarazzare),  'mmarrari  (ital. imbarrare), 'mmasari (invasare); 'mmástiri (imbastire);  'ncarcari (incalcare); 'nzzammari (inflammare); 'mpinciri (im-pingere) und 'nnucienti (innocente); 'mmastu (ital. imbarazzo, impaccio); 'mmernu (inverno); 'mmeru (in verso, verso, circa); mmesta (v. vesta, ital. federa); 'mminzioni (inventione); 'nien-tivre (incentivo); 'nienzu (incenso); 'néura (ingiuria); - y) in formalhaft gewordenen präpositionalen Verbindungen: 'mpuntu (in puntu); 'mpresa (in prescia); mpiñu (in pegno); 'mparu (in pare); 'mpixzu (in + pizzu, in punta); 'mpró (in pro); 'ncapu (in capo, sopra); 'nkzaru (in chiaro); 'nima (in cima) 'ncostre (accosto, in + costu); 'ncoddu (in collo); 'ncanir (in cambio);  'nfunnu (in fondo); 'uninari (in denari); 'noceu (in cio'che) u. a.  3. c-Aphäresc. a) in einzelnen Wörtern: rumitu, rimita (eremita), rumitorzu, rimitorzu (eremitoriu), vispicu (episcopu),  -réticu (ereticu), limósina (Elenuocion); cillenza cillen:asi (eccellenza, eccellenza si); sarczzu (esercizio); kgesa (ecclesia);  ¿angel (evangeliu); - 8) vor Nasalen: 'mpiña (frz. empeigne)  'mmracu, mmracari (ebriacu).  1. 0-Aphärese in: spitali (hospitale), riganu (origanu), ralogu (horologiu), auch roggu ([lo]roggu); micidaru (homi-cidariu); miupáticu (omeopatico); la 'bbidienza obbe-dienza).  5. 1- Aphärese in: vindicu (umbilicu), 'na (una); napocu  (una + poco = etwas, z. B. nap d'acqua  etwas  Wasser,cf. una picca Messina); lu 'ffizzu (lo ufficio); vor Nasalen  'nyuentu (unguento).  6. ae-Aphärese in: rúggini, rugga (aerugine); ram  (acramina), stimari (aestimare).  Die Anreden und die Vornamen erleiden oft stärkere  Aphärese: ñuri und nu, ñura, ña von siñuri, sinura (Herr und Herrin). Es ist aber zu bemerken, dafs diese zwei For-  men sich nicht für einen wirklichen Herrn und für eine wirk-liche Herrin passen, sondern für einen Mann und ein Weib aus dem Volke. Ferner: ñuri taugt als Anrede eines Kut-schers; —'mpari von cumpari (ital. compare), z. B. 'mpari Pé (compare Giuseppe); - ñursi, murnó und nasi, nanó (Signor si, signor no). Die Eigennamen erleiden fast immer Aphärese:  Minicu (Domenico), Peppi (Giuseppe, cf. ital. Beppe), Sare  (Rosario), Tanu (Gaetano); Vanni (Giovanni) u. a  Besonders ist zu bemerken: mu, mullu gieb mir, gieb es mir (von dammi, dammelo: dammüllu); sutu = nisutu (aus nesiri = ital. uscire, uscito); ncavà also (von dunca, unca,  'nca + va, 3. Pers. Praes. Ind. von andare); emu (habemus); tidicari kitzeln (von ital. titillare und solleticare, *(ti]tillicare); mótaca (von una vota ca = ital. una volta che ...); tellia  Cianciana (= tantilika, ital. un tantino); ña! (von dunca, anca); ici, ña (dunca von donique, cf. Foerster, R. E. 1, 322).  § 14. Prothese.  Die a-Prothese ist besonders von den mit ad erweiterten  Verben gebildet, die oft den Urverben, des Sinnes wegen, an-geglichen worden sind; dadurch ist es entstanden, dafs dies a anderen Verben vorgesetzt wird und endlich den Substantiven, auf welche sie Bezug haben (cf. Meyer-L., Gramm. d. rom. Spr.  $ 383). Wir haben also:  1. mit arl anlautende Verben, bei welchen die Präposition nd einen reellen Wert hat, sogar oft ihren lateinischen Wert: ldummisiri und dórmiri (cf. oudormisco und dormo); appurtari und purtari (of. affero und fero); abbanuri cintauschen und riñari wässern, baden; uurnari tagen von jornu, all'aymur-nute bei Tagesanbruch; aldumari Licht machen von lumi;2. und Verben, bei denen die aus Angleichung vorge-  kommene Präposition ad ganz und gar schmarotzerisch ist: accumenta neben cumenia, abballari neben ballari, addi-mannari neben dimannari, assapiri neben sapiri, addifén-  niri neben difenniri u. a.  3. Substantive, auf welche diese Verben Bezug haben:  abballu, addimanna, addimanneri u. s. w.  Ajeri, apprima könnten auch ad einschlielsen.  Die Resonanz des & entwickelt oft ein a: arridiri (ridere); arriparu (riparu); arrinésiri (riuscire); arripezzu (rappezzo):  arraccuntari (raccontare) - fast alle Volksnovellen beginnen: si cunta e s'arraccunta ...; arrazzimi (von razza); arrisettu (risettu); arriccamari (ricamare); arriccamu (ricamo).  ite bei Verben wird fast immer zu ar, arra: arraccóliri  (recolligere); arraccumannari (ital. raccomandare); arrassumi-tari, arritiniri (retinere); arrispúnniri (respondere); arristai  (restare) u. a.  Besonders ist zu bemerken: ad attia Aragona (a lia = ital.  a tc); unquániki Aragona = ital. qualche, aber sicher von un + qualche; a-Prothese bei den femin. Substantiven auch ohne Einfluls des Artikels la: aggenti, abbili, amenta, addan-nazioni; artá (etá); ferner abboné = bonum est; accussi = cosi;  abbasta = basta; accura = cura findet sich nur in der Verbin-  dung duna accura = ital. datti cura, es kommt aber gewifs  ron duna a + cura = ital. prendi a cura.  § 15. Synkope.  Die Synkope ertolgt sehr selten und nur unter Einflufs des halbrokalischen v. So wird es kommen, dals, wenn das / zu & werden kann, die Synkope erfolgt, sonst nie, ½. B. póllici  (pollice) und purci, puci.  Ein schönes Beispiel giebt uns  »salicem" mit seinen zwei Formen: sálair; gelehrt, neben sarcu; surer (sorice); spirda (spiriti); purpu (polpo).  Inlautendes ¿ aus e fällt vor r ab: o(i)ritá (veritá); pri-culu (pericolo); oprari (operare); disperdri (disperdiri); krilhia (chierica); mráculu (miraculu); tati (tirati); tari (tirare); vita-teddi Cianciana (ritirateddi); dettu (dettiru); mitti (mettiri); vittu(vittiru) Licata. Auffällig ist in érramu (ital. ermo) e vor i zu  n geworden.  Abfall des inlautenden u vor r: sapritu (sapuritu) Licata; cruna (curuna); 'ncrunatu (incurunatu); frusteri (forestiere);  crusu (curiusu) Licata.  Bei den Formen des Infinitivs + le (lo pronom. Artikel) erfolgt die i-Syncope immer: mannarlu (= mannari + lu, ct. ital. mandarlo); purtarlu (= purtari + lu, cf. ital. portarlo) u.s.w.  § 16. Kontraktion.  Die Kontraktion ist sehr häufig, besonders unter Auf-hebung des Hiats. Es ist hier zu bemerken, dals dic Artikel lu, la, li nach da, di (de), pi (per); a ihr / verlieren und  dadurch haben wir:  do = da lu von da 'u,  du = di lu von di 'u,  da = di la von di'a,  da = da la von da 'a,  pa= per la von pi(r) 'a, pu — per le von pi(r) 'u,  pj = per li von pi(r) 'i,  U= a lu von a 'u, e= a li von a 'i.  Beispiele: Do munti = da lu munti (ital. dal monte); du  mari = di le mari (ital. del mare); da mati = di la mati (ital.  della madre); pa genti — pi la genti (ital. per la gente); pre  menu = pi lu menu (ital. per lo meno); scupittinu pj denti  = pi li denti (ital. spazzolino pei denti); u forti ca = a lu forti  ca... (ital. una volta che ...); e vintunu = a li vintunu (ital.  al ventuno ...).  Für e, eju = aju s. § 1. Betonte Vokale.  Fina, conta sind aus finu ta, contu + a (cf. ital. contra, oltra) gezogen; ebenso sa aus sia, ava aus avía: „sa ladatu "diu" ital. sia lodato dio; „ava jutu" = avia jutu (ital. era andato) in Cianciana; ma aus miu und mia: „ma pati, ma mati " in Casteltermini, Licata; au, za aus xiu, xia (ital. zio, zia).  Ferner jencu aus ju(v)encu; orallannu = ora è l'annu; vosenia= vostra eccellenza; cossía, vossa = ¿ostra signoria; Saru aus  Saria (Rosario). Es ist zu hemerken, dals der durch einen ausgefallenen Kons. hervorgerufene Hiat dagegen durch j be-hoben wird in majisi (magese); pajisi (pagese); majulda (cf. ma-  gida); sajitta (sagitta); fajida (favilla); projiri (porrigere); fri-jüri (frigere); rijuddu (regillu); fújiri (fugere) - beachte noch castzari (castigare); und oj (hodie); raja (radia) - ferner frúula  (fragola); aber paúni (pavone).  § 17. Weglassung einer Endsilbe.  «) Sehr häufig bei der Proklise:  a list' ura, a 'st' ura =« ista ora; em' a-fari = emu  « fari; aj", ej a + Infinitiv = ju a, eju a etc:;  $) nach betontem Vokale:  di = dui (ital. due); jü =jiu, in (ego); mi = mei (ital.  noi); qua' = guai; Di = Diu (Deus); me' = mcu, „me' pati, me' frati", auch me'= mea, „me' mati" und „fratursu me'"; po'= puoi und poi (potes und post); -a'=-au (-avit): purta', liga, curca; -i =-iu (-ivit): jiuniï, curri, muri; se'= sci (sex); assa'= assai (satis);  d) bei Anreden und Eigennamen:  rumpa' (cumpari, ital. compare); cura' (curatulu, ital. cur-  torc, castaldo); piccil (picciliddi Kinder); nu (nuri Kutscher):  do, don (donnu: "do Matteu, don Cola, aber donnu Mi-  nicu); Sa und San (Santu: Sa Lenardu, Sa Luigi, Sa Lenil, San Franiscu, San Petu, aber Sannu Minicu, sannu statt santu, wenigstens so in manchen Texten geschric-  ben, ich glaube aber, dals man San Numinicu = San Dumi-  nicu (Domenico) lesen mufs, in der That wird nd immer zu  un, vgl. cannila = candela; ebenso vielleicht auch oben mufs  donnu Minicu = don Numinicu sein); pa, tr' (papa, tata);  mả' (mama'); Li (Lina); Ti' (Tina); Ste' (Stefanu); Anne'  (Ametta); Nute' (Nuien u, 'Innocen:o); Ro' (Roccu); Pe  (Peppi) u. a.;  d) besondere Fälle:  in Licata statt voli (ital. vuole); je Cianciana statt jeva (ital. giva): Giufa li je' mittennu (Di Giovanni, 50 Canti et cet.XXXV, 21. Cianciana); mide statt milemma (ital. mede-simo).  § 18. Epenthese.  1. i-Epenthese zwischen: a) Labiale + r: Sittemmiru, Ottúviru, Nevémmiru, Diemmiru neben Sittemri, Otturru, Nuemru, Duemii; úmmira neben ummra (umbra); piruni (prunu); 'mmirazza neben 'mmraxza (in brachiis); () 9+r: sóggiru, soggira schon in früher Zeit socerus, ital. suocero; mágiru statt magru findet sich in Girgenti sehr selten; allégiru neben allegru; g) s + m bei fremden Wörtern: Cósimu (Cosmo); cataplasima (nataháoua); biasimu; spasimu; asima neben  d) 9+1: 'ngilisi (inglese); Ingilitterra (Inghilterra) Casteltermini.  Zusatz. Der Einschub eines 2, wie er in ital. inchiostro, chioma, älter * inclaustrum, *cloma vorliegt, findet sich nie in Girgenti: inlzossu, koma sind ganz gelehrte Wörter; das Volk sagt inca, coma nur im Sinne von „sopore, disposizione al sonno", z. B. „coma 'ntesta"; ferner scuma neben spuma (ital. schiuma), rifutari, favu, furina (lat. fuscina, ital. fiócina).  2. u-Epenthese, durch Guttural hervorgerufen, zwischen «) guranu (grano), néguru (nigru), gulutu (gluttu); 8) c+*: neuruc, curucifissu (croce, crocetisso), 'ncgrustari (incrostare), curudu (crudo), curucelone (corbello).  § 19. Epithese.  1. Die Formen aut -ati, -uti an Stelle der ital. Sub-stantiva auf -á, -ú (roci tronche) sind nicht epithetisch; sie kommen gerade von dem lat. vierten Falle auf - ate(m), - ute(m) her: piatati (pietate), voluntati (voluntate); caritati (caritate), cirtuti (virtute). In Girgenti sind diese Formen sehr selten, nur bei dem Volke findet sich oft die Form auf -ái (von  -«(1)i): aitai, nicissitai (etú, necessitá).  2. Die Formen auf -aju, -au bei Verben (ital. -ó, -o)  sind auch nicht epithetisch: aju = habeo, saccu = sappio, seju  = sedeo; — staju, daju sind analogisch zu aju — neben daju findet sich auch duñu analogisch zu suñu (sum).3. Die a-Epithese ist sehr häufig: Neben Lúnidi, Már-tidi, Mércuri, Jóvidi, Vénniri, Silbatu, Dúminica (Namen der Wochentage) finden sich: Lunidia, Martidia, Mercuridía,  Juridia, Venniridia, Sabbatulia, Duminicadia, cf. dia = dies  span., prov.  Bei Pronomen: In Licata, Casteltermini findet sich jia von ji (ego), mia, tia statt mi, ti — me, te (zur Vermeidung des Hiats mija, tija). - Gewöhnlich, bei dem Volke, ist die  Form Dia, Dija = Dii, Dei, Dee.  In Casteltermini findet sich ada = ad; vgl. sardisch.  1. Sehr häufig, immer bei dem Volke, ist auch die ni-  Epithese nach betonten Vokalen:  a) bei Verben: eni = é (est); pinsni = prinsú (ital. pensó); curcani = curcú (coricó), addivintani = addivintá (diventú),  funi = fu (fuit);  $) bei Pronomen und Zahlwörtern: jini = ji (iu ego), tini, seni, Casteltermini, — ti, sé (tre, sei):  d) bei Adverbien und Konjunktionen: nuni = line (plus);  rucussini - accussi (cosí); cúni — cú (qua); lani = da (lá):  pirioni (öfter pirco(n)i) = pirió (perció).  Siddu, seddu in Licata = si †ildu (ital. s'egli, si + illu).  Vokalzusatz am Wortende zeigt auch das Sicil. bei kon-sonantisch auslautenden Fremdwörtern: tammi (Tram), onni-bussi, lapisi, gassi (gas), wie toscan. - c.  Sonderbar und wichtig ist die Weise, in der das Volk das geistliche Lateinisch in Gebeten ausspricht: „Stababat matri ilclorosa | iusta croce lacrimusa | ed abbatti filiussu" (Dum pendebat Filius), Casteltermini - „Oi cruxisi vada spissonia passionama tempori | piassi cuci graxia | Reixi de la china" Casteltermini (Text: O Crux, ave spes unica, - Hoc Passionis tempore - Plis adauge gratiam - Reisque dele crimina) -  „Posuarenti supra caputti causanti rexi o scrittu Jesusi Naxia-renu rexi joduro omini (Text: Posuerunt super caput ejus causam ipsius scriptam: Jesus Nazarenus, Rex Judaeorum), s. Di Giovanni, 50 Canti et cet. XLII, 29. XLIII, 27. XLVII, 30 u. a.;  Di Giovanni, 25 Canti et cet. XXV, 30.20. Angleichung.  a) Angleichung des anlautenden Vokals an den betonten  Vokal:  a - á: piatá (daher piatusu), matassa, gazanti (gigante), valanza neben vilanza (bilancia), cf. altirz. garant, frz. balance  — aquali (equale), aquannu (hoc annu).  i - i: birritta (baritta), filinza (fuligine?), ficili (fucile).  U —ú: ruñuni, sutuzzu aus *si(n)glutiu.  f) Angleichung des nachtonigen Vokals an den betonten: á — a: ánasu (anisu), cálacu, párracu, ássacu.  i - i: tírici (tiraci), pítila (pigliala) Licata. ù - U: disituti, anútui.  %) Der pronom. Artikel lu (lo) bei den Verbalformen hat den Wandel von unbetontem sekundären i zu u hervorgerufen: facitulu, luvátulu, mittitulu, maritatulu (Licata).  Ferner ist die Angleichung des unbetonten sekundären Vokals an den Endvokal u besonders in Licata sehr häufig: avissur, vitturu, avissumu, scannulu.  Zusatz. Aus Angleichung an die 1. Pers. Praes. (-4) findet sich in Licata: appu statt appi (ital. ebbi), vittu statt vitti (ital. vidi), persu statt persi (perdetti), vinnu statt vinni (venni)  — in Girgenti aber appi, vitti u.s. w.  § 21. Vokal-Bevorzugung.  Der Vokal a drängt sich oft an die Stelle eines anderen anlautenden Vokals: aserätu (esercito), assequiu gelehrt (osse-quio), assirvari (osservare), asistiri (esistere): „un assisti "li" (non esiste piu), afennir (ofiendere), affiru, gelehrt (officio), arcasioni (occasione), aduri, adurari (odore, odorare), abbré, abbreu (ebreo), aternu (eterno), ammitu (invito) u. a., s. Schnee-gans § 57.Il. Konsonantismus.  Die Veränderungen, die der Konsonantenanlaut im Satz-innern erleidet, hat schon Schneegans § 24, S. 145-50 sehr fleissig nachgewiesen und erklärt. Es steht fest, dafs besonders ki (quid); a (ad); pi (per); e (et); "kau (plus); fa (facit); va (vadit); sta (stat); si (es); é (est); ddú (illac); ti (tres); 'nla (intra), wie übrigens alle vokalisch anlautenden Oxytona, die Dehnung von p, 6, m, f, c, 9, d, t, n, s und die artiku-latorische Verschiebung (wie Schneegans schreibt), von v - sowohl primär als sekundär — zu b; j zu ge; d aus gi zu i;."— aus d— wieder zu d; n+j=n; n+o;n+6  = m+ b = mm; bewirken:  Beispiele - nach Schneegans loc. cit.  1. Quantitative Veränderung:  Labiale: p: = i ppezau di pani! a ppala:zu la ppinnin,  a pperru a ppexsul.  b: — s. unten § 26.  m: — pi mmati (per matrem) latti e mmeli.  f: - si ffoddi, ti fimmini.  Gutturale: c: = ki ccosa: a ccasa!  g: - a gyamm a l'aria:  Dentale: d: - dittu pi dditta; é dduci - s. unten.  t: — a ttia, é Hoppu — (é troppo).  n: — ti notti, é menti.  8: — ddá ssupra, lii ssonnu!  2. Artikulatorische Verschiebung:  " (sowohl primäres als secundäres aus & entstandenes 1)  wird b: uncora é biru; ste binenme; lizu bicinu; ...j wird zu ge = ti gudici; te gorna, á grunta.  ¿' aus gr entstanden wird zu vr: La mmidia di li ggenti  é rranni assá (Girgenti).  mis donn in wie sei migans meint: Imfermu mi  la vita bedeutet nicht: Imfermu nni la vita, sondern: mi liidda (illa, ital quella) vita; pri ddi junini, nicht pri li juvini, sondern pri kiddi éuvini; trattamu a ddu siñuri! = a kiddu siñuri! pri ddi mobili = pri liddi mobili.  n tj=ñ: u ñardinu (un jardinu) u ñornu (un jormi);  do Nakinu (don Jakinu) u ñocu (un jocu).  1+01=m+6= mm: 'mmarca (in barca); 'mmucca n + 11 (in bocca) mmita (in vita) ni mmeñe (non  vengo).  Doch eine wichtige Anmerkung habe ich bei Schneegans nicht gefunden; nämlich, dals einige Konsonanten, besonders 6, d, r, g, manchmal auch m, n, & schon im Anlaut eine gedehnte Aussprache haben, und dafür im Satzinnern nicht mehr verstärkt werden. Das d, z. B. von decottu, duman-na, dannatu, dugana, ist nicht dasselbe wie in deci, duñu, domu, dormiri, doti, dori, durz; während dieses im Satz-innern verdoppelt wird: a deci, a deci (ich schreibe im Anlaut d = dd) u. s. w.; bleibt jenes ganz und gar wie wenn  es isoliert gesprochen würde, weil es schon für sich selbst gedehnt ist. - Zwischen decottu, so vereinzelt ausgesprochen, und decottre (ddecottu) in  E mmi vinni decotti Pi dormiri la notti  giebt es gar keinen Unterschied.  Immer als *Ъ (bb) lautet das anlautende b: Tritturi, batia, buttana, bestia, bagganc u. s. w. nur in Indienan, budienti, Aphärese aus ubbudienza, ubirdienti u. dergl. findet sich das einfache b; wie obiges & verhält sich auch i: "ie, riggina, veñu, rumitu, robba (in ranni, rossu, arusa ist das & aus gi entstanden); g: gelu,  ยู่เทน, "genti,  gilu, "golu; " nur in nome, nappa, norea, sonst nu  (nos), masiri, nespule n. s. W.; m nur in mermcar (marner)miraculu, mraculu, merda (ital. merda), sonst mennula, menu, mari, munti u.s. w.; & nur in rippu, sonst Ciccu, ruffu, celu, cima u. s. w.  Über die Konsonanten im Auslaut ist wenig zu sagen, da im allgemeinen das Sicil. sich hierin wie das Ital verhält. Auffällig ist suñu = sum (vgl. neap. songo, donyo, stonyo, calab.  ราทีห, *ponyo, *donyo).  Lat. non findet sich als nun, oft  'un:  "'un ci volu jiri, un aju lii ti fari", im Satzinnern wird das n t j zuñ: „pirli nu ñoki?" (ital. perché non giochi?), n + 0 = mb = mm „nu meñu (non venio) - aber  no, Verneinungswort; in ist ni geworden, ada = ad findet  sich in Cianciana, „ada mia, ada tia" (ital. a ma, a te), con wird cu. In einsilbigen Wörtern bleiben 1, &, nehmen aber wie im Italienischen ebenfalls einen Vokal an: feli, meli. sali, cori, aber pj = per (pri, durch Umstellung er — ve tindet sich nie in Girgenti), in mehrsilbigen Wörtern bleibt i nur in crru, marmaru, sonst frati, soru, ebenso 1, bar-came (aus baccanal D'Ovidio Arch. Glott. IV, 410). - Iu sempri, quattu (wie schon im Vulglat.) findet sich die Umstellung -er, re, welches oft nach st fällt, nicht nur in nossu,  vossu, die doch bei dem Volke ofters zu nosu, vosa werden;  sondern auch in capissu, maissu, aber auch masu. — S fällt in einsilbigen Wörtern ab: nu, vu, ti, ve, "lu, po, sé, ha, da' (neben duna) str; die Formen mit i: nui, rui, poi, sei. hai, düi sind nicht volkstümlich (vgl. ital. noi, voi, poi, sei, has, das); -aut (avit) = -á in Girgenti: purtá, amú, curcú; est =é, oft eni bei dem Volke, s. § 19; -nt verliert sein t nur bei 3te Pers. Praes. amanu, vidina, lodane; sonst fallt es ganz: amaru, rittira, ludar.  Labiale.  §1. P - a) Anlautend wird gewühnlich beibehalten: passu, pati, puru, ponti, pilu, peta, pirnici (perdice), putia ([a)potheca); puse (pulsu); pirani (prunu); pifania (epiphania):  - wird = 1 in badda, baddóttule (ital. palla, vallottola),-busa (pasciá); ballaccuni (ital. pollaccone); bizzocca (ital. pinzochera); buttana, buttaneri (ital. puttana, puttaniere); — wird o in vastunaca (ital. pastinaca); vispicu (episcopu) durch Dissimilation (bemerken auch die Umstellung vispicu statt piscopu, vgl. span. (o)bispo).  ®) Inlautend bleibt p: ripa, capu, lapa (apis + Artikel / zusammengewachsen); pipi, lupu, scupa, sapiy in varvasapiu (zusammengesetztes Wort: varva + sapiy, vgl. ital. barbas-súro) — wird = bb in cubbu (cupu z. B. arz cubbo = it. aere cupo), cúbbula (cupola); lebbru, lebbiru (lepore); lebbra (lepra)  - wird = v in pouru, puritá - durch Binfluls des folgenden r, cf. Meyer-L. Cons. c. II, 434 - riciri (recipere, cf. ital. ricevere). Vor dem Tone — e nur in arrivari, sti-  rari, cuverta Fläche des Schiffes, neben cuperta Decke, sti-vari ist auch zum Seewesen gehöriges Wort — y mit f vertauscht in gulfu (ital. golfo), tufeu (ital. trofeo), alle beide gelehrt.  8) p + , im Hiat = ¿c: sicca (sepia), saccu (sapio), arca (apium, *apia), saccenti (sapiente); bleibt im Anlaut in ital.  Lehnwörtern piatusu, piaté, tempu, pir, duppre, impiassu, piuma, esempiu u. a.  • pp bleibt pp: stuppa, ssuppre (struppu); cippu (rip-pu); lippu, puppa, scoppu.  &) in Verbindung mit Kons. y + Dent. wird gewöhnlich an diesen assimiliert in:  pt = tt: attu (aptu); rutta (ruptu); accatta (captat); setti (septe); grutta (crupta); cattivu (captivu), volkstümlich nur im Sinne von „Witwer", cattiva, Witwe, vgl. dasselbe im Sard. battíu, battía. - In pt, griech. Anlaut, füllt p ab: tisana (ptisana). ps = ss: jissu (gipsu); kissu (eccum ipsum); scrissi (scripsi); = s in casa (*capsea); - nach & fällt y ab: scarsu (excarpsus) — im Anlaut sarmu (psalmus).  /: crapa (capra); grúpiri (aprire); — wird zu 2 nurin liereri (cani livreri) gelehrt. vgl. ital. lerriere, sonst supra, suprana, sapro u. s. v.  Durch Einflufs eines Nasals wird p oft zu l in Castel-termini: cumbitu (ital. compito), cambana (campana), esembir (exemplu), timiniluni statt timpuluni (Maulschelle), bleibt in Girgenti, tempu, rumpiri, tempru. Sporadisch sp - se in scantari, daher scantu, scantusu, nach Traina, Sicil. Wtb. 872 ,viene da *spantari, che a sur volta à scorciato de sparin-tari"; vgl. sard. ispantu, ispantusi; und siche Schneegans  S. 69. - Scattusu (nicht scuttica, wie Schneegans schreibt) kommt nicht von dispettoso, sondern von scattari, ef. Traina.  Sic. Wtb. scattu 880, vgl. ital. schiattosn.  Für rascari,  neben raspari, scuma neben spuma, vgl. ital. raschiare neben raspare, schiuma neben spuma.  Sonst sp bleibt: respa, vi-  spanni, cripu, nespola, spata, spalda, spissu, spusa, spusa  U. S. W.  Spl findet sich nur in splumenti, splénnite, spleniri, splmuri, gelehrt und Lehnwörter, sehr selten im Volksmunde, der shrannenti, sblémitu, sblemi, solénniri, shamári aus-spricht.  § in Verbindung mit 1. pl = lit: lzanu, laga, lattu, kummu, lizazza, lioviri, lau, lizuma, culkia. - Volkstümlich in Porto-Empedocle ist „plaga" im Sinne von Erdstrich  - Ufer - pilaija geworden, neben kraga, Wunde.  Mundartlich in Licata pl = c: canu (planu), caja (plaga),  ñummu (plumbu), coriri (plovere), canziri (plangere) u. s. w.  Zusatz. Scola (scoplus) mufs ital. Lehnwort sein (vgl.  scoglio).  Pruculi ist nicht aus *pluvure, sondern aus *pur-  ruli, mit Metathesis des v. In entlehnten und gelehrten Wörtern bleibt pl: plausibili (ital. plausibile); placari (ital. pla-care); plebi, cumplimente (rumblimentr in Casteltermini): plácitu (ital. placido) u. a.  § 2. 1, - «) Anlautend, mit starker und gedehnter aus-sprache, bleibt 1, in: "beddu, bedde, bon, bone, boutire, bañn, bena, batia, batissa, basta, bastari, hitlivi,  ballari; - bleibt auch in entlehnten und fremden Wörtern, wie: hallakkinu, bagasa, battisimu, tuggacca, bajunetta, balena, baruni, battatuni, basalicó, 'bastardu, battaria, bannera, barrera, bamminu, botta, -benna, borza, bar-  cuni; - wird = e in vo (bove); vivu, viviri (bibere); vucca  (bucca); vancu, rastuni (bastone); vilanza (bilancea); vasari (basiare); varca (barca); vasu (basso); vutti (botte); vestza (bestia); varba (barba); varbarottu Kinn; vastasu (von BaGrá(u);  vucceri (frz. boucher) u. s. w. - wird = m: matu, mia-  tiddu (beatu, beatu + illu); muniuré (t. bot. stirax benzoin, ital. belgiuino).  8) inlautend, bleibt und wird verdoppelt in den Lehn-wörtern: robba, nóbbili, débbuli, súbbatu, cible, (aber vollis-tümlicher civu „pasto degli uccelli"), plebbi (plebe); sebba, rabina, neben volkstümlichem ragga (ital. rabbia); parab-bula (parabula), aber parola, palora - nach r: varba (barba); erba (herba); orbu (orbu); arbulu - wird volkstümlich = 2: cuvari, cavaddu, duviri, lavuru, maravita, pru-  vari, aviri, cannavu, nuvula, fava, sivu, viviri, scrivu (ar-vule, neben arbulu, ist sehr selten); guvitu, suvaru (suber).  Von diesem o geht & oft in u auf, wenn nach & ein u steht: neula (nebula); taula (tabula); diaulu (diabolu); faula (fabula); parola, palora = paraula (parabula). - Auffällig ist jimmu (gibbus); mmiucr (ebriacu), vgl. ital. imbriaco: calab. imine (gibbus); rogu, gelehrt (rubus) entspricht dem ital. rogo - fabbro fehlt im allg. sic.; ebenso ove (ubi); unni kommt von unde her. B wird zu m in ssúmmula neben dem häufigen tottula (orgoußos), durch Einflufs des vorhergehenden m. - Sporadisch / -- f in vifardu, ital. ribaldo.  (ital. nebbia, nibbio) können sich nur durch Abfall des b erklä-ren: *neha, *mihus (miblius vgl. Wölflins Arch. IV, 131),  affiliari (ital. affibbiare) von *affilare. - & + u = pp:  «ppi (habui); appimu, appiru, rippi (*bibui); cippi (bibuit);  rippine, minppire.d) in Verbindung mit Kons. bt = tt: suttirrangu (sub-  terraneu); suttili (subtile); detta (deb'tu); sutta (subtu). les := ss: assenti (absente); assólviri, gelehrt fällt vor st, se: sustanzn, astiniri (abst.); scuru (obsc.); entlehnt osenu (obscoenu). - mb = mm: tumma (tromba); gamma (gamba); rummáttivi  (combattere); kumm (plumbu). - hr = vi volkstümlich: uraco (braca); vraxzu (brachiu); aber labra, labbru, gelehrt, in frevi, frivaru (febris, februarius) ist die Umstellung des i  zu bemerken.  e) in Verbindung mit 1: Il = j in Sciacca janru, jan-  lizz:a; in Girgenti: Inancu, hiankia (vgl. ital. bianco, bian-chezza); agrig. gastima (blasphema?) ist mir nicht klar. Bl bleibt in fremden und gelehrten Wörtern: blannu (blandu):  ble, oft bili (frz. bleu); blusa (frz. blouse); problema (pro-blema); aber Iunnu (ital. biondo). Volkstümlich in Porto-Empedocle findet sich pilorca, pilotili? (ital. blocco, blocchi), cf. § 1 pilaja (plaga).  § 3. f. - a) im Anlaut bleibt f: filu, fava, fusu, fim-  mina, furnu, ferru, focu u. s. w. — wird sporadisch zu b in  -burietta, Iurcittata, hurcittuni (it. forchetta, forchettata, for-chettone).  buffet).— Tafánu (ital. tafano, aus tabanus) ist nicht volkstüm-  lich. — f zu bo in carabba (arab. garâfi, ital. caraffa), spora-disch. Im Inlaut findet sich f verdoppelt in: riffa (cast. rifa), goffa (cast. gafa). Schneegans § 11, 80; aber mafia (ital. mat-fia). - Cunortu, cunurtari, wohl von *rum + hortari, nicht  von conforto, confortare.  y) in Verbindung mit Kons. - fi bleibt fr: frenu, fra-pula, frati, friddu, frana, frunna u. s. w. - f sogar zieht oft das & an sich: frevi (febris), frivaru (februarius), friscari (fistulare, *fisclare, *fiscrare, - friscari), frummicula, neben furmicula, sfrazcu (ital. sfarzo). - sf wird oft sp: spilari,  spolatura = sfilare, sfilatura; spunnari = sfunnari; spu-  yari = sfogare; spogu = sfogo; spari = sfare; spatte =sfatto. — of bleibt in Girgenti: 'nfami, nfunnu (in fondo); cunfusu; nfattu (in fatto), 'nfernu (inferno) etc. — wird zu mp in Porto-Empedocle: 'mpunnu (in fondo), 'mpami (in fame);  'mpattu (in fatto) 'mpernu (infernu) - zu mb in Casteltermini: mbami, mbiernu, mbrimmitati (infirmitate), 'mbattu.  d) In Verbindung mit 1: f = x, mit starker Aspiration  bei dem Volke, beinahe $ im gebildeten Stande: xamma (flamma); xzatu (flatu); zuri (flore); xzumi (flumen); xzumara (flumara), xasc (flascu), x2águr (v. flagrare) etc., sporadisch zu ke in gunkari, gunkratu (ital. gonfiare, gonfiato) neben vun-curi, vuncatu. In gelehrten Wörtern bleibt fl: femma, flim-máticu, flussu, riflussu, flora, floridu, fluidu, fluttu, flas-sioni, flaggellu, flotta, flautu.  §4. 0 - a) anlautend, bleibt v: ventu, vuci, vucca, vernu, vuturu, orddan, indir - mit einer sehr weichen  Aussprache. - Wird = m in mascu (vascu), minnitta (vin-  dicta), minniña, minniñari bei dem Volke, neben vinniña, vinniñari (vindemia, vindemiare), macabbunne (ital. vagabondo), mocaveña neben vocaveña (vo + ca + veña, vuoi che venga, ital. viavai). - Das deutsche w findet sich durch gu wieder-gegeben, aber schon als gu, wie Schneegans richtig bemerkt, ist es aus dem Ital. nach Sicilien gekommen: guerra neben verra Kinderwut, guastu, quastari, quai, guardari gelehrt, guadañari, guadañu; - vagina, ital. guaina, ist aber agrig.  vajina.  8) Im Inlaut bleibt v: navi, vivu, lavi, nivi, moviri, cava, favu, lavari, novi (nove), leva (levat), novu (novu) - juvini (juvene) ist gelehrt (ital. giovine), ebenso brevi (breve);  - o schwindet in neu, vo (bove), pau (pavo), pauni (pavone), paura, fauri (favore), Guanni (Giovanni); fajulda, jina (avena), lisa (lixiva). - Übergang des o zu g in núgula neben nu-vula, annugulatu neben annuvulatu, ragatusu (ravitosu); grugini (juvene), purguli, pogir in Casteltermini; neben pau, paum, fauri, faurire finden sich oft pagu, pagun, fagur, seltener pagura, Giuganni, wo sicher au zu agu  verdehnt wird, vgl. taguru (tauru), addaguru (lauru), Lagu-renzu (Laurentiu), agulivi (aulivi) s. I, § 8. 9. - Unklar ist sinzli (gingiva) männlich, statt * sincia (sard. sinzia), vgl. lisin; saliva fehlt im allgemeinen Sicil., statt seiner findet sich spu-taxza; auch rivu fehlt. In addiminari (ital. indovinare) ist der Einflufs des Nasallautes, der oft teilweise Assimilation aus-übt, i -n zu m-n (vgl. minnitta, vindicta) zu bemerken.  d) In Verbindung mit Kons.  n+o=mm durch ne):  mmintari (inventare) 'mmidiari, 'mmidguse (invidiare, invi-dioso), 'mmidia (invidia), 'mmersu (inversus), cumméniri (con-veníre) 11. s. w.  d + 0 = bb (durch 22): abbente (adventu), abbirsarzu (ad-  versariu).  r+ i=*+b: sérbiri, sirbútu (servíre, servito), sarbari, sarbatu (servare, servato).  s+ x=s+0: sutar, sointariar (v. venter, ital. sven-trare), sbummicari (s + vomicare, vomitare), sbinari, sbinatu ital. svenaro, senato, shinniri (ital. svendere) u. s. w.  § 5. m. - a) Anlautend bleibt m: minutu, maturu, munita, maravita, mira, in marmaru, merda, mraculi (ital. miracolo) hat m die gedehnte Aussprache des Anlautes,  s. II, p.30. — m zu 2, durch Dissimilation, in videmma, vidé, neben midemma, midé (ital. medesimo) - sporadisch zu b in minaca (nach Avolio 42, von arab. menaca) - m zu n in nespula (mespilu) gemeinrom.; nillza (mitulu), cf. ital. nicchio, niechia, also wie in nite = ital. nibbio, worüber bereits S.34 gehandelt worden ist.  8) im Inlaut bleibt m: nomu, ramu (ramu); fumu (fumu); premi (premit); lima (limo); amari (amare) — wird sogar häutig verdoppelt: fimmina, cummedia, cummidianti, com-maru, tommaru, nummaru, cucummaru, cámmaru.  8) mti =ñ: vinniña (vindemia), vinniñari (vindemiare);  • siña, neben sima gelehrt (simia), sparañari (ital. risparmiare);  aber lmia (ital. lumia) neben limuncellu. scanneddu, culouna, anniputenti, autunnu, sonnu; — vgl. ital. ogni; balénu (BéDEuvOS, Diez 217, ital. baleno) ist gelehrt.ml, nd = nt, un: contari, conti, sinteri gelehrt (ital.  sentiero, sem'tariu); nur nach Synkope des inneren Vokales; sonst limitu (limitu); linnu, Ercumaru, circunnari.  om bleibt rm: furmicula, furma, furmari, fermu, firmari.  Gutturale und Palatale.  §6. c. I. c ta, 0, U. - a) Anlautend bleibt gutturales c: cavaddu, casa, cornu, cantari, cantunera, cura, cori, conta, cútina, cóppula etc. - wird zu y in: gattu, gámmaru, júvitu, guvitata (neben vúvitu, cuvitata durch Assimilation), garófalu, garrubba, ganiu, gamma, jagga (ital. gabbia, fi. cage, cf. Wölffins Arch. II, 234). - gulfu (Ró2os) ist ge-lehrt, ital. golfo. Die Wörter cantu, piania, peria, piriari, scurcari zeigen keine Palatalisierung des c vor a, sondern erklären sich, wie schon Schneegans gesagt hat, aus französischer Herkunft: cantu (chantre), piania (planche), perca (perche); piriari (percher); scuriari (ecorcher). — ¿armu (charme), iar-mari (charmer) fehlen in Girgenti; aus cheminée erklärt sich  riminia. Franzosische Worter sind ebenso tabare und tasen,  taskettu, wo das c (cabaret, casque) zu t geworden ist. - Famiari neben camiari „riscaldare il forno" ist nicht klar; es kann keine Angleichung an flamma sein, da fl immer zu  2 wird (flamma = xiamma); vielleicht aber an fum.  P) Inlautend bleibt e nach dem Accent: spica, littica, lattuca, fastuca, tartaruca, locu, focu, pocu, jocu, sucu, dieu, ficatu; lagu (lacu) ist gelehrt (ital. lago), pregu (precor), pagu nach Schneegans aus Angleichung an den Infinitiv prigari, pagari.  Inlautendes e vor dem Accent zu g: pagari, prigari, arrigurdari, arrigurdanti, lagusta, addugari (adlocare); Sira-yusa; aber carricari, vucari (ital. vogare), affucari (adfaucare, ital. affogaro), asucari (exsucaro, ital. asciugare), cicala (cicada), sicuru (securu), jucari. - C schwindet in putia.  II. c+e, i = ie, ci. a) Im Anlaut: centu, cerou, cra,  cmiri, ¿erca, cincu, cimici, riveddu, ccir, tima, cu,cirasa etc. - è wird zu g in fremden und gelehrten Wörtern: ginisi (span. ceniza), gileccu (span. chaleco), gitá, Licata (cittá),  gafaluni (cefaglione).  8) Inlautend bleibt ic, ii: viünu, radici, paci, nuüi, dei, pici, cuci, cruci ete. — Unklar ist kirkiri (ital. cicerchia = cicercula, nach Avolios p. 121 wahrscheinlich richtiger Erklä-rung Rest der alten gutturalen Aussprache des c, vgl. sardisch).  Sporadisch è zu & in babalusi, Licata (span. baba + lueir, ital. lumaca). — è zu & in sóggiru, sóggira, wohl weil Propar-  oxytonon (soceru).  8) Ee, e im Hiat. = ix: aaru, fasia (facio), laziu  (laceu), mustarola, abbracari, eraru, risu (ericiu), jarill (glacies); ¿occu (ecco hoe), -axu (-accus): ramurazza, ca-  tinain, vista, gintari, sicca,u, mula:u, cudar:u; - ux21  (-uceus): sanguzzu, santurru, curviäu, piduzau ete; aber  face (facies), minacer gelehrt.  d) In Verbindung mit Kons. c+f(-x-) = ss: matassa,  rissr, tossicu, tessiri, fissu, lissu, lassari; - wird -s in Lisannaru, Lisannara (Alexandru, Alexandria), lisia (lixiva), nésiri (exire), cosa (coxa): seliri (exeligere), salari (exh.), asu-  rari (exsuc.), masidda, - als s findet sich in esempru, spiri-mentu (exper.), esilu gelehrt (vgl. ital. esempio, esperimento, esilio).  c+t=It: fattre, notti, otte, pettu, fruttu, dotta, di-  fette, aspettu, vettr etc.  c+*= gr: grassu, gradila, gridari, cunsagrari, sigri-  tarm, sigretu; nach dem Accent in agru, magru, sagru, aber  auch agru, magre, sagiru.  né = ni: cunzari (ital. conciare) ammunciddlari (amon-  cellare), dun«ellu (do'n'cella), vilanza (bilancia), lanza (lancea),  unza (uncia).  e) In Verbindung mit 1 + Vok. cl = liz: ohkzu, lizovu,  logavi, kesa, kzaru, lanu, lavi, lugiri, finokkzu, kizamari ete.  Mundartlich wird è in Licata (vgl. & in Noto, Modica); anu, caru, cesa, covu, cav, camar, speciu (speclujlu), macca (macla) etc. - In einigen gelehrten Wörtern bleibt cl: clamurusu,clamuri, clavicula, aber lizossu; cli, clac zu 1: quali, spirali, juli, graditi, armiti, nie zu ye: quayga, gradigga, vie z. B.  in Palermo.  §7. qu. a) Im Anlaut bleibt qu in quattu, quaranta, quannu, quantu, quinnici. Vor o wird oft zu cu, cutilan (quotidian). - Für corki neben quarki, corkidunu, auch cor-  runu neben quarkidunu, quarkunu, s. 1, § 1.  Vor e, i bleibt qu nur in gelehrten Wörtern: quarela, questura, questurinu, quistioni, querannari u. a. Das Volk sagt aber oft: curela, custura, custioni. Auffallig ist quetu, volkstümlich, s. I, § 3. Quid (ital. che) ist lie' geworden; cu muls, wie Schneegans gut bemerkt, auf cui Dat. beruhen. -  Qu durch Dissimilation zu è in cersu, úncu, cinquanto.  B) Inlautend bleibt qu in gelehrten Wörtern: ossequzu, ossequari, equipaggu; wird aber zu y in cunsiyuiri (ital. conseguire), cunsiguenza (ital. conseguenza), aguali (ital. eguale).  Mit verdoppelter Tenuis findet es sich in acqua (ital. acqua).  - Qu zu c in acula (aquila), sicutari (sequitari); niculizia (ital. liquirizia), cincu (cinque), cocu (coquus), licori (liquore), anticu, sunca (dunqua) — vor e zu è in cociri, toriri.  §8.. I. y +0, 0, U: a) im Anlaut bleibt ya, go, yu:  gaddu, gaddina, gódiri, yustu, yula etc. Nur im Satzinnern wird y manchmal zu h: ¿aju hustu, piccatu di la hula be-sonders in Licata; jaddu, jaddina, justu (gustu); jabbari,  jabbatre, jabbillotu (von gabella), nur in den  Mundarten  von Sciacca und Casteltermini. Häufig auch in Girgenti, wie in vielen anderen Mundarten der Insel, findet sich die Pro-these des y vor gutturalen Vokalen: gunu, juna (unu, una), gómini (omini), gavutu, yavutizia (altu, altezza); in li gulivi (autivi), li yuriklie, könte aber in letzterem Fall Aphärese des a sein, of. au zu ayu verdehnt, 1, § 8. In grapu, grapi, grapiri, graputu (von aperire) ist auch die Metathesis des i  zu bemerken.  P) Inlautend wird y +«, o, u in Girgenti  gewöhnlich  beibehalten: ruga, laya, fayu, magu, fragula, liya, ligaturi, juyu, prigatoru, prigari (von preyare aus precare), rinneyu,rinnigate, rinnigari, rigale, arrigulari, annegu, annigari, figura, figurine, figurari. Seltene Fälle: allg. sieil. ist h aus g in litica (litigat), wie ital. lética (vgl. § 11.8); in Porto-Empe-docle findet sich pilaja (Erdstrich, Ufer) neben lzaga (plaga) und in Girgenti gayanti neben gaganti (gigante). Ego (nach Schneegans) wird zuerst zu eju, dann eu (wie z. B. in Ribera), dann, mit j-Prothese jec, und aus jeu —jüu, wie Deu--Diu, meu — miu. In Girgenti findet sich nur in (ef. ital. io), mit  vanni, 50 und 25 Canti etc.) auslautend u mit a vertauscht. - Auf älteres & führt garn „blafs", vgl. ital. giallo, wie denn auch im span. portug. ein lautwidriges & vorausgesetzt wird;  nur im fiz. jaune ist es berechtigt.  II. y te, i = ge, gi. a) Im Anlaut wird y to, i volkstümlich zu j: jenniru (generu), jissu (gipsu), jimmu (gibbu), jinessa (genista); bleibt ge, gi in gelehrten und fremden Wör-  tern:  genti, genu, goa, gilatina, "gilatu, gebbia, giru, galle, gestu, gergu, ginia, gilusía, gilusu, gelu, géniri, ginirali u.a. Auffällig ist agrig gunokly, gunoklya, ayyunik-lizari, agyunilhzatu (also älteres *gunuclu durch Vokalharmonie) neben dinokkzu (Dissimilation bei Ähnlichkeit y - k zu d - li).  Sporadisch zu s in sincili (gingiva), cf. sard. sinzia.  8) Inlautend schwindet y te, i und wird i zu j: majisi, majissu, majidda, pajísi, sajimi, sajitta, jitr (digitu), projii, rigiri (regere), frigri (frigere); fujiri (fugere), fuj (fugit), rigiddu (regillu), bleibt als de, gi in gelehrten Wörtern: priguni, vir-gini, virginitá, virtiggini, riggissu, riggissari, greggi, leg-giri, riggina, magissatu, furmagiu, tragie u. a.  d) In Verbindung mit Kons. n + g nach dem Ton = i: saiu  (sangue); staña (stanga); linua (lingua); gana Zahn; fanu (fango); loir (longu); zu ñ aber in añuni (angone); zu ni nur in san-  csuca (sanguisuga) - n+ ge, gi = ni: kjanciri (plangere);  ssincri (stringere); tinciri (tingere); finüri (fingere); nura (in-giuria); ancilu (angelu); munciri (mungere); nicñu (ingeniu); funca (*fungea). Nur in Licata bleibt ng: mungiri, pungiri, punigusu, ligangiri, tiniiri u.s. w.g + n verbindet sich zu ñ: puñu, mañu (magnu), reñu, sinu, añeddu, liñu, stañu, cuñatu, piñu, diñu. Canusiri (ef. ital. conoscere) kommt von dem vulglat. * conoscere, cf. Meyer-L.,  Cap. II. 466. — ngi zu ni in sponia, nzunza (ital. spugna, sugna). - ngl zu i in ciña, uña, ciñali, gelehrt (ital. cigna,  ugna, cignale).  yin = mm: domma, enimma, frammentu, flemma, gelehrt.  go bleibt go: griddu, granatu, granula, grecu, gro (grue), gradu, gren, grivanza - manchmal fällt y in gra: ranni, raufa, ravusu, rasta (grasta), radu, ranatu.  Im Inlaut,  neben agru, mayru, allegru, findet sich agiru, mayiru, alle-  giru, s. § 18; ferner nigure, xaguru (nigru, *flagrore).  gl. = t: lommaru (glomere); alannara (glande), abuttiri  (glutire); qualari, vilari, ssiari, ssia, - ylobu, ylora sind gelehrt, ebenso giarza, ital. ghiaccio.  $ 9. j.  Anlautend bleibt j: jencu (juvencu); jiniparu  (juniperu), jittari, jettitu, jittena (s. *jecere), jugu, jocu, ju-culanu, jucari, jucata, jovidi, jumenta, juntri, judici etc.  - In gelehrten entlehnten Wörtern wird j zu g: ga (jam), guvini (juvene); gustu, gustizza (justu, justitia), gudixm, gu-dicari, gurari neben jurari, volkstümlich. Für Gesú, Gesuziu, Guvanni, ital. Gesù, Giovanni. In den Mundarten von Cian-ciana und Casteltermini (manchmal auch in Girgenti) findet sich  92 statt j: grugini Casteltermini (juvene), gustizia, gustu, garnu, grattena, agruccu, agruccatu, agruccari (v. guccu)  (vgl. frz. juc). - So wird j - ge auch in den adverbialen Verbindungen, wie z. B. a gocu, a giettito, a grunta, pi giunta u. s. w.  ß) Inlautend wird j volkstümlich auch als j bewahrt: peju  neben peigu (pejus) gelehit, majuri neben magguri (ital. mag-giore); maju (maju), dijunu, dijunari. - Von dem golehiten & wird durch Einflufs des n, zu è in 'niuga (ital. ingiuria).Dentale.  § 10. t. - a) Sowohl im Anlaut als im Inlaut bleibt t gewöhnlich unverändert: tantu, tauru, tu, tortu, tila, tempu, talari, tizzuni; - viti, vita, latu, cuntata, batia, putia, ba-tissa, legitimu, ssata, siti, rota etc. - Tonloses t vor dem Tone =d nur in padedda, gridari, rudeddu, gradita (vgl. ital. pa-della, gridare, budello, gradella); gelehrt ist grada, cf. ital.  grada (grata);  B) tt bleibt tt: gatta, sajitta, batti (*battit), gutta neben yuccia, cf. ital. goccia (*guttea). - It gekürzt in t: matinu (ital. mattino). — ut statt it findet sich in mintiri, minti, mintutu (mittere) durch Einflufs des Nasals des Anlauts.  y) in Verbindung mit Kons.  it bleibt rt: porta, marteddu, morti, murtaru, mur-tidda etc. - wird zu rd in spirdi (spiriti).  ut=nt: lisantu, lianta, cente, frunti, munti, funti ete.  st = st (nie st): agustu, mustu, gustu, testa, castedu etc.  ti=t: pati, mati, vite, tovati, quattu, metu, uti etc.  str = ss: ssata, assu, massu, nossu, rossu, culossa ete.;  bei den niedrigen Leuten findet sich manchmal & statt $$:  masu neben massu (maistru), nos2 (nostru), 2052 (vostru),  ásacu neben ássacu (astracu, ital. terrazzo).  t=lil: veklzu, silliza, niklia; in fist'lare (ital. fischiare) ist das l zu r geworden: fiscrare und dann durch Metathesis friscari statt fishzari. Mundartlich in Licata i =й: vei, sicia, nicca; cf. cl, pl=.  d) t, volkstümlich = iñ: peru, maxa, ssaari (ex-tractiare), palar, prezal, accarizari. Suffix - antia =  spiranza, luntananza, crianza, mancania a.sV entia - crsa: prisenza, sensa, sintenza, simenza,  cusenza, pruvidenza; - itia = ira: duczza, cuntintizia,  frankirza;  - atium = azzU: minurza, palazau; - itiun  = irzu: timulizzu, capizzu u. s. w. (s. Schneegans, s. 111). -  (angustiare), ef ital. angosciare. Rasuni, stasuni u. dgl. sind,wie Schneegans gut bemerkt, eine Popularisierung der fremden Form mit & - doch hört man sie sehr selten - Sir-vizu neben sirvizzu, prisenza neben prisenza, stazioni neben stazzuni, oxzu, privinzioni sind alles gelehrte Wörter.  Unklar sind paien:a (patientia, ital. pazienza), wobei Schnee-gans an eine volksetymologische Ableitung von paci denkt, und scorca (*scortea), das Avolio von écorce ableiten möchte.  § 11. d: a) Im Anlaut bleibt gewöhnlich d: donu, duru, deci, dormiri, dinari, durari, doti, dari, mit weichem Ausdruck im Gegensatz zu decottu, dugana, duguneri, dannari, dumannu, s. II: Cons. p. 51. - Sporadisch d zu t in tusellu (span. dosel); zu s in sunca (dunqua); fällt in attula (dactylus).  f) inlautend wird d auch beibehalten: nidu, nudu, gra-du, fidi, pedi, cuda, sehr weich ausgesprochen, aber nie in ? übergehend - doch manchmal verstärkt es sich in t, bes. bei Proparoxytona: tispitu, stúpitu, ácitu, vgl. ámitu. - D zu n, durch Dissimilation in lónara ([alaudula), sporadisch zu / in ricala (vgl. ital. cicala, franz. cigale); schwindet in 'ncúnia (incudine). 1  8) dd zu on in rénniri, vgl. ital. rendere.  d) in Verbindung mit Kons.  dr = t in quatu, citu (ital. quadro, cedro).  id bleibt id: tardu, pirdutu, pérdiri, virdi u. s. w.  Id = Il in calle (caldu), calliari ('caldicare), falla, ful-  larr, fallarinu (v. falda); callara, callaruni (caldaja), nur bei den niedrigen Leuten.  nd = nn: camila, funu, quann, bunnu, cunfún-niri, mannari u. s. W.  &) in Verbindung mit Hiat. i: de volkstümlich = j: jorme (diurnu), seju (sedeo), viju (video), raja (sing. raju sehr selten, radiu), criju, ligeju (*cludeo); oji (hodie); caju, appoju, appu-jari (v. podiu). - In gelehrten, entlehnten Wörtern bleibt dị: darule, dialugu, dialette, mediu, rimedre u. a. — Segga (sedia),  1) Keine Umstellung des d findet sich in mpatidiri, da es nicht von impallidiri, wie Meyer-L. (It. Gram. § 201) glaubt, sondern von patedde (Schalmuschel) kommt, das heisft, ,restringersi, per paura o per freddo, coma und patella."raggu, gurnali, gurnalista, gurnaleri sind ital. Wörter, ebenso pranzu, manzu (*mandium), roxzu, shixzu, frizzu. - Auffällig ist orzu (ordeu) volkstümlich. In menzu, mazzornu, man-inó (mezzo giorno) ist der Einflufs des Nasales des Anlautes zu finden.  §12. s. a) im Anlaut bleibt s gewöhnlich: sali, sucu, siti, sonu, se (sex), soru, suitta, sudari, simen:a, sava, surfaru, sampuña (sambagna), sirina ete. - wird zu & nur in sorba (sorba), salbara (arab. sebbara). - Simia, neben siña, siroceu sind ital. Lehnwörter. - Nur st, sp, sc, nie &  () inlautend wird s auch beibehalten: risu, fusu, casa, rasu, spusu, misi, cosa, rosa ete. Die Form riciñolu, Nach-tigall, ist in Girgenti unbekannt, statt seiner findet sich vi-siñol, gelehrt (cf. ital. rosignuolo).  y) ss bleibt ss: russu, grossu, passaru, passu, grassi, missa, passari etc. - Porau (possum) mufs, wie Schneegans bemerkt, analogisch zu fazu sein. Vasu, grasa, nisun beruhen auf si.  d) in Verbindung mit Kons. sc vor oder nach Palatal-vokalen =$: camúsiri etc. s. § 6.  rs bleibt rs: ursu, cursa, scarsu, pirsuna, pirsuasu etc.  - wird zu rz in vurza (bursa). ns = nz: pinzari, 'nzémmula (insimul), lunitu, 'nziñari,  'ncusu (insursum), 'nzumma (in summa) etc.  &) in Verbindung mit Hiat. i. Schneegans hat kaum  recht, nach meiner Meinung, zu sagen, dafs s + Hiat. i = e  (ital. g) wird. Diejenigen Beispiele, die er giebt, beweisen die Thatsache nicht; denn occasionem, prehensionem, phasianus lauten nicht cacuni, pricuni, facani, sondern prisuni, casuni, fasanu, alle drei sind aber aus dem Ital., prigione, cagrone, fagiano, entlehnt und sehr wenig gebraucht. Camisia lautet nicht camica (wie im Ital.), sondern cammisa; *asium (ital. agio) nicht au, sondern asu.  Also lautet von allen Beispielen bei Schneegans nur caseus = cazu und dieses ist auch gelehrt (vgl. ital. cacio), da das Volk statt seiner immer tumaxzu sagt.Welches ist nun die volkstümliche Entwickelung von s + Hiat i? Ich lasse es bei den Beispielen bewenden: cam-misa (camisia); vasu (basiu); vasari (basiare); ginisi (cinisia);  ¿irasa (cerasea); lizesa (ecclesia); riversu (ital. rovescio); fasola fasoli (phaseolus) alle volkstümlich; dann cau gelehrt, asu,  rasune, fasam, prisuni Lehnworter:  § 13. n. a) im Anlaut wird n beibehalten: nodu, nasu, nudu, novu, niguru (nigru), nidu, natali etc.; — schwindet gewöhnlich in nun (non): „un sacõu nenti, un ti ni volu dari, un ti porzu ajutari, un & é bersu" u.s. W. - Zusatz eines n findet sich in nesiri (exire), nguanta (ital. guanto), nita Geschwür, nxiru (seria). - Für nomu, "nappa, "nocca siehe II.  8) inlautend, bleibt n auch fast immer: luna, gaddina, fini, lana, manu, pani, jina, fenu, bona, finessa, minutu, finokkau. etc. - N-n, durch Dissimilation, in 1-n in vi-lenu, cunfaluni; n-m zur -m in arma (anima), armali (animale) - Dissimilation.  8) in Verbindung mit Kons. n vor s schwindet, wie allg.  rom. isula, misura, spusu, spusa, misi etc.  d) nn bleibt nn: annu, pinna, nannu, nanna, pannu etc.  8) nị =ñ: cuñu, suñu, duñu, tiña, viñu. - In gelehrten Wörtern bleibt n: calunma, crimoma, querimonia u. a. Auffällig ist ssamu, ssamari, ssamatu (von extraneu), volkstümlich.  § 14. l. a) im Anlaut: liu, loda, lumi, locu, liggi, lattuca, luntanu, littica etc. - l zu g durch Dissimilation in gitu, golu (aber schon vulglat. jilium, jolium). - I zu & in rimarra (limarra von limu), rusiñolu (cf. ital. rosignuolo).  B) inlautend bleibt l zwischen Vokalen: gula, pala, mula, pilu, gelu, cuturi, pilucca etc. - Wechsel des / und & miteinander in palora (parola), grola (gloria), ¿artiri (barile), acqua-loru (acquarolo), rogu aus lorogu (horologu). - 1- 1 zu r-1 in fragelle (flagellu), caramedda (frz. chalemel). - I zu t in úmitre (amylum), cf. ital. ámido. - 1-1 zun - 1 in canollia (aber schon volkslat. conucla); Filmena (für Filumela).d) Il = dd [für die Aussprache s. Diakr. Zeichen]: idda (illa), -beddu, -ada (bellu, -a), sedda (sella); midudda (medulla); cipudda (cepulla), nuddu (nullu), griddu (grillu), cavaddu (ca-ballu), foddi (folle), peddi (pelle), stidda (stella) etc. - In ge-lehrten, italianisierenden Wörtern wird Il beibehalten: bell, bella, billia neben beddu, bedda, biddixza, pullu, satollu, valli, aber vadduni, abbaddatu (ital. vallone, arvallato), villa (villa), aber viddanu, sogar milli (mille); beim Volke findet sich aber öfters mira (milia). Ferner balla (frz. balle) neben badda. (ital. palla Kugel), fratellu Klosterbruder neben frateddu Vetter; coll Last neben coddu Hals (s. Schneegans 132). - U—1 zu un - 1, durch Dissimilation, in pinnula (ital. pillola).  d) I vor Kons., im Silbenauslaut. I + Labialis zu r: tarpa (talpa), purpa (pulpa), corpu (colpu), curpa (culpa), purpu (polpu), sarpari (salpare), vurpi (vulpe); arba (alba), sarvaggu (silvaticu); sariza (salvia), sarvari (salvare); surfaru (sulfaru), parmentu (palmentu), parma (palma), ermu (elmo). -— In pru-vuli ist die Metathesis des r (aus / + Lab.) zu bemerken.  l + Gutturalis zu r: arcova (ital. alcova); surcu (sulcu); sapurcru (sepuleru); carcañu (calcaneu); 'ncarcari (incalcare); barcuni (balcone); quarki, corki (qualisque, ital. qualche); curcari (collocare) - cravaccari von cavarcari (cavalcare). 1+c= r in purci (pulce); sarõu (salice); farci (falce). - l+ ¿ vocalisiert in caucu (ital. calcio); quacina (aus caucina calcina). - I + & schwindet in puci neben purci, duci (dulce),  ducizza (dulcitia); - l+i = n in fanci (falce) bei den  Landbewohnern.  l + Dental.  1. l + Dent. = v: artaru (altare); Marta (Malta); Car-  taggiruni (Caltagirone); surdatu (soldato); sordu (soldo); ger-suminz (gelsomino); farsari (falsare); sarsa (salsa); nurtu (insultu); garnu (afrz. jalne).  Anmerkung. Wenn jemand aus dem Volke, der einen Anstrich von Bildung hat, entweder durch Schulbesuch oder Dienstzeit, mit einem aus höherem Stande spricht, wird er immer liardu (caldu), mortre (molto), artu (altru), martempu (maltempo), farda (falda), sarsica (salsiecia), sarte (saltu),sartari (saltart) u.s. w. sagen, in der Meinung italienisch, oder wenigstens ein feines Sicil. zu sprechen. - Wirklich volkstümlich ist aber artaru (altare), nie otaru, neben ataru; die anderen Wörter sind entlehnt und fremd.  2.1 + Dent. vocalisiert: autu (altu), autu (altru), sau-tari (saltare), sautu (saltu), fauda (falda), fausu (falsu),  ceusa  (gelsu), meusa (milsa). - In diesem Fall ist die Einschiebung des o, 9 sehr häufig: avutu, avutu, sagutu, cavudu, favusi, cevusu. In Cianciana findet sich / + Dent. in ¿ vokalisiert: fúida (falda), caidára (caldaja), cáidu (caldu), caidiari (caldi-care), caidiatu caldic + atu) - nur bei den niedrigen Leuten geht / + d in ll über, wie in falla, fallaru, fallaririnu, callu, calliári, callara, callaruni. - Formen wie atz, atu,  satu, satari, sasixxa, caxi sind sicher contrahiert (ar = (),  ebenso in pusu (pulsu), vuturu (vulture), voxi (*volsi), ascutari (auscultari), cuteddu (ital. coltello).  1. bei dem niedrigen Volke, besonders Landbewohnern, wird / + Dent. zu n: antu (altu), antu (altru), santu (saltu), santari (saltare), fanzu (falsu), canzi (calx), ascunta (auscul-tat), punsu (pulsu), sanzizza (salsiccia), monta (volta), auch mota.  8) / + Hiat. i.  h = 7 in der ganzen Provinz, ausser von Sciacca und  Ribora: fitu, mitu, gitu, golu, mutúri, pita, tata, vota, cun-rilu, famila, olu, melu u. s. w. ohne Ausnahme.  § 15. r - a) im Anlaut findet sich nur als scharf gerolltes alveolares y (v): re, renniri, ridiri, russu, ris-tari, rasu, Roma, rosa u. s. w.; - ranni, varusu, rat-tari sind aus gr entstanden.  8) inlautend, bleibt & gewühnlich als weiches ungerolltes  vaibberi (barbierc), feimmu (fermu) - nach Labialen schwindet o in derselben Mundart: fevi (sicil. frevi), firaru (sicil. frivuru), pimu (primu), pivari (privare). - Aus Dissimilation schwindet i aber in der ganzen Provinz in crivu (vgl. kalab.neap. krivu). Zutritt eines &, fast immer bei auslautendem t erfolgt in: anata (cf. ital. anatra), inhiossa, gelehrt, (ct. ital. inchiostro), cilessi (ef. ital. vilestre), jinessa (genista) - nach  anlautendem t in tisolu (tesauru), tuniari, vgl. Diez Wtb. trono. -  /-* zur - 1, durch Dissimilation in: arbulu (arbore), in-  ruca, rasola (rasoriu). - Sporadisch & zu n in Gaspanu (Gas-par), fisini (viscere); r zu l in siloccu neben siroccu.  Metathesis der y in: prevula (pergula), sfrazzu (ital. star.  20), ssanutu (stirnutu), scravalu (scara-beu), vrigoña (ital. ver-  gogna), friscari (fiserare), prevuli (*purvure), tubbu (torbido), proji (porrigere), prummettiri (ital. permettere), cravuni (car-bone) - crapa (capra), crastu (castru), frevi (febris), frivaru  (februariu), graniu (cancru), catteda (cathedra). - Dagegen stehen furmentu (frumentu), purpama (propagine), tirdinari  (tre + denari).  d) or bleibt er: ferru (ferru), terra (terra), carrettu (v.  carTu), cord (currit), turri (turre) u. s. w.  0) / + Hiat. i.  1? + Voc. =• + Voc: argu= arus. §1 - fera (feria), munaster (monasteriu), cannilaru (*candelaria), syarra (*ex-  variu), axxaro, jinnaru, fricara, murtare, panare, nularu,  rurdunaru, panaru u. s. w.  In gelehrten Wörtern bleibt : coru, sigritarn, mug-  gisterzu, messaru, rifriggerne u. a. — Auffallig ist virsérge (adversariu) volkstümlich.-Im letzten Augenblicke, als ich eben diesen meinen ersten kleinen Versuch nicht ohne einiges Bangen in die Welt hinausschicken und den Fachgenossen vorlegen wollte (9. März 1891), langte in Bonn eine neue Arbeit über die sicilianischen Mundarten an von meinem durch eine Reihe sprachvergleichender Arbeiten hochverdienten Landsmann, Herrn Dr. Giacomo de Gregorio aus Palermo, unter dem Titel: Appunti di Fonetica Siciliana, Palermo 1890.* Indem ich dieses Zusammentreffen als einen besonders günstigen und glücklichen Umstand betrachte und nicht wenig darauf stolz bin, dals meine süfse Muttersprache Gegenstand einer solch vertieften und andauernden Forschung zu sein gewürdigt ist, so habe ich noch andere Gründe, mich des Erscheinens dieses wichtigen Buches zu freuen. Ich sehe nämlich, dafs wir nicht nur in fast allen Punkten, wo wir uns mit unserem unmittelbaren Vorgänger, der vortrefflichen Arbeit von Heinrich Schneegans (1888), dieselbe stellenweise berich-tigend, beschäftigen, jedesmal zusammentreflen, was sich durch unsere Kenntnis des Sicilianischen als Muttersprache ohne weiteres erklärt, sondern obendrein wir uns beide in demselben Gedanken begegnet sind, unsere Arbeiten Herrn Prof. Foerster  *) Die Hindernisse, die das endliche Erscheinen des nach dieser Jahreszahl offenbar schon länger als ein Vierteljahr fertiggedruckten Buches so lange verzögert haben, sind in der Einleitung nicht angedeutet. Durch die Güto des Herrn Prof. Foerster konnte ich das oben eingetroffene Wid-mungsexemplar sofort benutzen. - Meine Arbeit wurde den 28. Januar 1891 bei der hohen philosophischen Fakultät der Universität Bonn als Doktor-dissertation eingereicht und den 7. Februar angenommen. Die Korrektur des letzten Bogens erhielt ich den 10. März desselben Jahres.in Bonn zu widmen, der bereits vor acht Jahren die erste wissenschaftliche Bearbeitung des Sicilianischen nach den in Deutschland allein erreichbaren Schriftdenkmälern veranlalst hat in der Bonner Dissertation von Matthias Hüllen (1884) und welcher der Untersuchung der Mundarten unserer beiden grofsen italienischen Inseln seit Jahren liebevoll seine Kräfte widmet.  Durch die bis jetzt erschienenen Arbeiten steht die Laut-Ichre des heutigen Sicilianischen im grofsen und ganzen fest und fertig da; allein bei der unendlichen Mannigtaltigkeit der Lautentwickelung, die fast mit jedem Orte wechselt, ist es klar, dals ein vollständiger Aufbau erst dann wird vorgenommen werden können, wenn eine möglichst grofse Anzahl von Einzelnuntersuchungen über die lautlich irgend wichtigeren Punkte unserer herrlichen Insel, und zwar möglichst von Sicilianern, erschienen sein werden, wozu ich mit dieser Arbeit mein bescheidenes Scherflein beizutragen gewagt habe.  Auf eine eingehendere Würdigung der Arbeit Dr. Gregorio's kann ich mich hier nicht einlassen. Ich bemerke nur nebenhin, dals ich in einigen Punkten, wie Erklärung des grevia von *grai-vius (S. 11, § 4) - ai kann sicil. unter diesen Bedingungen nie e geben -, der analogischen Erklärung des - oklin aus uculu durch Anlehnung an culu (S. 39, § 20), Ableitung von brui-cetta von broccus S. 68, § 57 - ich kenne nur burietta, das ja irgendwo in brucetta umgestellt sein könnte, das aber von furca kommt und dem ital. forchetta genau entspricht, während natürlich brocca zu broccus gehört -, Anwendung des Zeichens ti statt des einfachen t für lat. ti S. 95, § 100 (ich wenigstens kenne es blols als einen einzigen Laut !, welcher bestimmt der stimmlose zu dem stimmhaften da ist), die Annahme, dals lat. -ss- allein & geben könnte in grasu u.s.f. (S. 103, § 113)  - meiner Ansicht nach ist stets ein folgendes i im Spiel, auch in casa, vgl. frz. causse, portug. caixa -, die Ableitung des porzu von possum (statt von *potio) S. 104, § 113, die Au-wendung des Doppelzeichens ij statt des einfachen n, da man nach ñ nichts einem / ähnliches hören kann, u.ä; nurin einem Punkte möchte ich, weil es meine Heimat betrifft, wiedersprechen: Auf S. 20, § 9 wird gesagt, dals in Girgenti sich manchmal die Diphthongierung des & und des p findet, was aber nie der Fall ist. Thatsächlich sind nämlich caétuóf-fuli, suoddi keine agrig. Wörter; statt ihrer sagt man immer und nie anders als cacóciuli, sordu, sordi.  Bonn, 16. März 1891.  L. P.Luigi Pirandello. Pirandello. Keywords: e dov’è il copione? è in noi, signore – il dramma è in noi -- siamo noi – R Chiede d’entrare nei fasci, La Stampa, Gentile e Sorel, Mussolini e Nietzsche, Mussolini e Sorel. – ridotto in siciliano. U ciclopu, decadentismo, identita personale, l’io e la societa, il collettivo, l’intersoggetivo. Refs: Luigi Speranza, “Grice e Pirandello” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pirro: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale rovesciata nel’idealismo di Gentile – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Severo). Filosofo italiano. Studia a Roma sotto SPIRITO (si veda). Studia ALLMAYER sotto PLEBE. Insegna a Perugia e Palermo. Studia GENTILE (si veda). Pubblica “L'attualismo di GENTILE e la religione” (Sansoni, Firenze). Fra i suoi saggi si ricordano anche “Filosofia e politica in CROCE” (Bulzoni, Roma). Si interessa alla ricerca storio-grafica e svolse numerosi saggi su Terni. Esponente di spicco della vita culturale della città umbra, studia gl’aspetti poco indagati di quella che fino ad allora era una città ancorata ad una dimensione prettamente industriale. Sotto la giunta di Ciaurro, co-ordina il progetto per la realizzazione di un museo archeologico nel convento di S. Pietro sotto. Peroni. Nei suoi studi di storia ricostrusce prima della pubblicazione de Il sangue dei vinti di PANSA, episodi della guerra civile tra cui l'assassinio del sindacalista CARLONI e del dirigente d'azienda CORRADI.  Fonda il "Centro di studi storici", un'associazione culturale di ricerca storica a cui viene collegata la rivista “Memoria” L'obiettivo di “Memoria”  è quello di porre fine all'amnesia organizzata, facendo conoscere a tutti le vicende di una città figlia non solo dell'industrializzazione. Accanto ad un nuovo sguardo per le vicende passate “Memoria” inaugura una stagione di storiografia libera da condizionamenti ideologici e basata sulle fonti.  Suscita critiche per la ricostruzione d’alcuni episodi di violenza avvenuti durante la resistenza anti-fascista, critiche di storici locali, che lo accusano di revisionismo. In realtà il suo lavoro è sempre suffragato dalla presenza della fonte documentale. Le vicende ricostruite, come ad esempio quella dell'uccisione di CORRADI o URBANI, ad opera dei partigiani non sono mai trattate dalla storio-grafia ufficiale. Consigliere dell'stituto per la storia dell'Umbria e dell'stituto di cultura della storia dell'impresa Momigliano, dell’istituto per la storia del risorgimento. Il saggio  “Regnum hominis: l'umanesimo di GENTILE” fa parte della collana della Fondazione SPIRITO e FELICE di Roma. Un saggio dedicato al risorgimento pubblicato da Morphema intitolato “Risorgimento.” Un saggio "Dopo GENTILE dove va la scuola italiana" (Firenze, Lettere). Il consiglio comunale di Terni delibera di dedicare la sala Tacito di Palazzo Carrara in Terni a P.. Con l'occasione si presenta il carteggio "La vita come Ricerca, la vita come Arte, la vita come Amore", titolo riferito all’omonimo saggio di SPIRITO In occasione delle celebrazioni della fondazione del Liceo Tacito di Terni, gli viene dedicate nell'atrio della scuola, una targa con una dicitura tratta da una poesia di Gibran. Altre saggi: "Italia e Germania", raccolta di saggi da “Studi Politici". Pubblica una raccolta di memorie di scritti di garibaldini intitolata "Corre l'anno” “Terni e l'affrancamento di Roma nelle memorie dei garibaldini; il saggio "Filosofia e Politica e GENTILE" (Aracne). Il comune di Terni delibera la posa di una targa in memoria presso la dimora di  P.. La soprintendenza archivistica dell'Umbria e delle Marche dichiara il suo archivio di notevole interesse culturale ai sensi del T.U. dei beni cultural. Viene scoperta sulla casa a Piazza Clai a Terni una targa commemorativa. Viene pubblicato da Intermedia "L'unica via è il Pensiero: scritti in memoria". Altre saggi: “Una missiva a SPIRITO”“Filosofia e politica in GENTILE” (Firenze, Sansoni); “La riforma GENTILE e il Fascismo”, Giornale critico della filosofia italiana” (Firenze, Sansoni); La politica dell’idealismo italiano” (Firenze, Sansoni); “La prassi come educazione nella gentiliana interpretazione di Marx” (Firenze, Sansoni); “Cultura e politica” (Firenze, Sansoni); “Filosofia e politica: il problematicismo” (Roma, Bulzoni); “La repubblica fascista”; “Per una storia dell'Umbria durante la repubblica fascista” (Perugia, IRRSAE); “Terni nell'età rivoluzionaria e napoleonica,”Arrone, Thyrus,  Terni e la sua Provincia durante la repubblica sociale” (Arrone, Thyrus); Ugolini, Petroni, dallo Stato Pontificio all'Italia unita” (Scientifiche, Napoli); “Interamna Narthium materiali per il museo archeologico di Terni” (Arrone, Thyrus); Le acque pubbliche gl’acquedotti di derivazione e l’utilizzazioni idrauliche del territorio di Terni nei sommari riguardi: tecnico, legislativo e storico” (Terni-Giada, ICSIM); Una scuola una città: il liceo ginnasio di Terni” (Arrone, Thyrus); “Terni nel risorgimento” (Arrone, Thyrus); “Sull'avvenire industriale di Terni, scritti di L. Campofregoso; Perugia: CRACE/ICSIM, “Garibaldi visto da GENTILE” (Roma, Istituto per la storia del Risorgimento Italiano); "Per Garibaldi" (Arrone, Thyrus); “I giustizieri, La brigata GRAMSCI tra Umbria e Lazio, di Marcellini, Mursia, Regnum hominis, L'Umanesimo di GENTILE” (Collana Scientifica Fondazione SPIRITO e FELICE, Roma, Nuova Cultura); “Scritti sul Risorgimento” (Furiozzi), Terni, Morphema); La vita come ricerca, la vita come arte, la vita come amore” (Terni, Morphema); “Italia Germania” Saggi di Filosofia Politica, Amazon, Filosofia e Politica in GENTILE” (Aracne, Roma); Carloni: Storia e Politica (Intermedia, Orvieto); Manifesto del convegno su Petroni; Garibaldi Terni Mostra documentaria e pubblicazione Istituto della storia del risorgimento Petroni, Dallo Stato Pontificio all'Italia unita. Convegno di Studio Terni, La Rivoluzione Francese, Terni, La nascita della Repubblica e gl’anni della ri-costruzione”; Biblio-media-teca, Terni, 7ricerca storico documentaria; sezione della mostra in collaborazione con archivio di stato di Terni e Biblioteca comunale di Terni; in collaborazione con centro per la promozione, istituto per la storia dell'Umbria contemporanea (Arrone, Thyrus); Intorno alle miniere di ferro e alle ferriere dell'Umbria meridionale, scritti di Vaux et al.; Terni: CRACE/ICSIM; Passavanti, Atti del Convegno di studi (Terni) (Arrone: Thyrus); Convegno dei lincei (Terni), Cesi e i primi lincei in Umbria, atti del Convegno dei lincei: Terni” (Arrone: Thyrus); dei lincei, “MAZZINI nella cultura italiana:”, atti del Convegno di studi, Terni” (Arrone: Thyrus); Magalott,  erudito, giureconsulto, docente di diritto” (Arrone: Thyrus); “Per Garibaldi” (Arrone: Thyrus); Valentino patrono di Terni, atti del Convegno di studi: Terni (Arrone: Thyrus); “La vita come arte” (Sansoni, Firenze); “La vita come amore” (Sansoni Firenze); “La riforma della scuola” (Sansoni, Firenze); “Il problema dell'unificazione del sapere”; “Dal mito alla scienza” (Sansoni, Firenze); “La mia ricerca” (Sansoni, Firenze); “Dall'attualismo al problematicismo” (Sansoni, Firenze); di GENTILE;  Il concetto di “pedagogia, in Scuola e Filosofia” (Sandron Palermo); “Giornale critico della filosofia italiana” (Sansoni, Firenze); “La scuola laica” (Vallecchi, Firenze); “Sistema di logica’ (Laterza, Bari); “La scuola” (Vallecchi, Firenze); “Che cos'è il fascismo”; Discorsi e polemiche” (Vallecchi Firenze); “Saggi critici” (Vallecchi, Firenze); Scritti pedagogici” (Treves, Milano); “Origini e dottrina del fascismo” (Istituto Fascista, Roma); di Croce  Contributo alla critica di me stesso (Napoli); Conversazioni critiche (Laterza, Bari); “La letteratura d’Italia” (Laterza, Bari); “Cultura e vita morale” (Laterza, Bari); “Etica e politica” (Laterza, Bari); “Pagine sparse” (Laterza, Bari); “La guerra civile”; “Memoria” (Thyrus, Arrone); “La storia rovesciata” – cf. PISONE – implicatura rovesciata -- ; “L'umanesimo di  GENTILE” (Cultura, Roma); “L'uomo e la storia” (Thyrus, Arrone). Il percorso storico, "Regnum hominis". L'ospite di passaggio, la difesa. Sull'avvenire industriale di Terni; Rassegna storica del Risorgimento. La vita come ricerca, la vita come arte, la vita come amore.  Vincenzo Pirro. Pirro. Keywords: l’idealismo di Gentile, Istituto Nazionale Fascista, Origini e dottrina del fascismo, che cosa e il fascismo – discorsi e polemiche vallecchi, Firenze, Mazzini, per una storia dell’umbria durante la repubblica fascista, la repubblica fascista, gentiliana interretazione di Marx; la filosofia di Gentile, filosofia e politica in Gentile, Gentile nella grande guerra, il partito ha un capo che e dottrina vivente, Gentile e Mussolini, il concetto di stato, il concreto di Mussolini nel astratto dello stato, Pirro interprete di Gentile – la universita fascista di Bologna, la formazione dei dirigenti del regime – la repubblica fascista, storia e filosofia, la critica de Pirro alla damnatio memoriae di Croce, lo studio della filosofia nel veintennio fascista, l’origine del fascismo filosofico – Gentile, filosofo del fascismo – dizionario filosofico del fascismo, stato, spirito nazionale, italianita, romanita, propaganda, democrazia, repubblica, Italia, stato italiano -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pirro” – The Swimming-Pool Library.  

 

Grice e Pirrone: la ragione conversazionale della diaspora, da Crotona a Meta-ponto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.

 

Grice e Pisone: la ragione conversazionale del portico dell’orto – il gruppo di gioco del Vesuvio -- Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Ricordato come seguace della filosofia del portico un Pisone, che si è identificato con Lucio Calpurnio P. *FRUGI*, tribuno della plebe, pretore e console della repubblica romana, combatte la rivolta degli schiavi in Sicilia e la doma. P. ottenne la censura.  P. lascia un’opera storica -- "Annales" -- che si estende dalle origini. In essa, P. combatte le tendenze che si introduceno in Roma e il ri-lassamento morale. Della gente Calpurnia. Politico, militare e storico romano.   Talora detto Censorino – cf. P. Cesorino -- tribuno della plebe, si fa promotore della lex Calpurnia de repetundis, la prima legge romana che vuole punire l’estorsioni compiute nelle province dai governatori. Pretore. Dopodiché, eletto console con PUBLIO MUZIO SCEVOLA (si veda) e gli fu comandato dal senato di restare in Italia per domare una rivolta di schiavi. P. riusce a sconfiggerli, senza però ottenere una vittoria definitiva e dove passare il comando a PUBLIO RUPILIO. Autore di “Annales”, un'opera in almeno VII libri, che andava dalle origini e che sono tra le fonti precipue di LIVIO (si veda) e Dionigi d'Alicarnasso. Gl’Annales -- di cui restano una quarantina di frammenti -- si propone di descrivere la pretesa onestà dell'epoca antica, contrapponendola alla contemporanea corruzione operante a Roma. Che si tratta però di un'opera a tesi pre-costituite lo dimostra il fatto che, durante il suo consolato, avvenne l'assassinio di TIBERIO GRACCO, e che, nonostante l'estrema gravità del crimine -- che tra l'altro viola il sacro obbligo dell'incolumità personale che s'accompagnava alla tribunicia potestas – P. e l'altro console non prendessero alcun provvedimento in merito. Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston: Little, Brown and Company. Cicerone, Brutus; In Verrem, De officiis, Catalogo Perseo; Cornell-Bispham, The fragments of roman historians, Oxford, Historicorum Romanorum reliquiae, Hermann Lipsiae, in aedibus Teubneri; discussione su vita, opere e frammenti). Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia, Dizionario di storia, PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute, Predecessore Console romano Successore Gaio Fulvio Flacco e Publio Cornelio Scipione Emiliano II con Publio Muzio Scevola Publio Popilio Lenate e Publio Rupilio V · D · M Storici romani, Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Politici romani, Militari romani Storici romani Militari, Storici, Consoli repubblicani romani Calpurnii. P. is the father-in-law of GIULIO CESARE and spends years of his political life trying to prevent the civil war. He is a follower of L’ORTO, under Filodemo’s tutelage. Filodemo lives in P.’s villa at Herculaneum -- his library has been discovered there.  Pisone – Roma – filosofia italiana (Herculaneum). Pisone Cesonino. When he moves to Rome, Filone becomes friends with Pisone Cesonino, who gives Filodemo a room at  his villa at Herculaneum in which to live. At the villa, Filodemo co-ordinates P.’s ‘gruppo di gioco’. Filodemo composes poems and a history of philosophy. After he died, Filone’s parchments remain in P.’s villa, where they were subsequently buried by the eruption of Vesuvio. With the excavations, a number of parchments from the library are recovered. More remain buried. Lucio Calpurnio Pisone Cesonino. Lucio Calpurnio Pisone Censorino. Lucio Calpurnio Pisone Frugi. Kewyords: Portico.

 

Grice e Pisone: la ragione conversazionale del DE FINIBVS o del lizio romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma) Del Lizio, con mescolanze del portico e dell’accademia -- cioè eclettico -- trionfa della Spagna, ed e console. Detto eloquentissimo e dottissimo, scrive V libri "DE FINIBVS" He is a friend of CICERONE, although they eventually fall out. Cicerone uses him in his ‘On moral ends’ to articulate the philosophy of the Portico. P.’s tutors had been Antioco and STEASEA di Napoli. Marco Pupio Pisone Calpurniano. Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano.

 

Grice e Pitea: la ragione conversazionale della filosofia ligure -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He settles in Marseglia, and achieves fame as a philosopher.

 

Grice e Pitodoro: la ragione conversazionale della la setta di Velia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. A pupil of Zenone – il Velino. Grice: “We know who Parmenide’s lover – beloved – was: Zenone. And P. is Zenone’s.  Nella bimillenaria tradizione filosofica occidentale il termine «essere» ha gio-   cato un ruolo decisivo, e questo ha contribuito a rendere a poco a poco del tut-  to incomprensibile il significato originario dei frammenti che ci restano del poe-  ma di Parmenide di Elea. Ho già notato che la contrapposizione folkloristica di  Parmenide, guru dell'essere e di Eraclito, guru del divenire, è degna dei giochi te-  levisivi a quiz, ed ha lo statuto epistemologico della canzoncina della Vispa Teresa.  Tuttavia, è bene ricordare al lettore almeno alcuni significati principali assunti dal  termine «essere» nel pensiero occidentale dalle origini ad oggi.   Trascurando qui gli antichi Greci, il primo significato rilevante di «essere» è  quello che lo identifica prima con l’Uno dei neoplatonici e poi con il Dio monoteista  dei cristiani e dei successivi musulmani. Si tratta di una vera e propria onto-teo-  logia unificata, come dirà poi Martin Heidegger. A questa onto-teo-logia unificata,  mirabilmente sistematizzata da Tommaso d'Aquino e dalla teologia domenicana  medioevale — che risacralizzò così in forma “razionale” l’unità ontologica del ma-  crocosmo naturale e del microcosmo sociale —, reagì fortemente prima il nomina-  lismo sia laico (Abelardo) che religioso (Guglielmo di Occam), e poi il panteismo  rinascimentale (Giordano Bruno). Il periodo storico della costituzione formalistica del  soggetto, da Cartesio a Kant, è un periodo di declino storico della onto-teo-logia, e  questo non certo a caso, in quanto l’onto-teo-logia consacrava in quel periodo sto-  rico il dominio simbolico delle vecchie classi signorili e tardo-feudali, e la borghe-  sia nascente era interessata ad infrangere razionalmente il nucleo metafisico di  questa onto-teo-logia, e cioè l’unità delle categorie dell'essere e delle categorie del  pensiero. Il grande filosofo Kant infranse questa unità ontologica, sostituendo la  nuova religione gnoseologica borghese alla vecchia religione onto-teo-logica tardo-  feudale e signorile, e si acquistò così la riconoscenza perenne di tutto il nuovo  clero universitario. La restaurazione della categoria di «essere» da parte di Hegel  è basata sull’attribuzione all'essere di una genericità assoluta, che si concretizza e  si determina progressivamente mediante una logica dialettica (Scienza della logica,  ecc.). Per Marx e poi per Lukécs il termine «essere» non può che significare l’insie-  me pensabile concettualmente della totalità espressiva della società e della storia.  L'Uno-Tutto non è però più declinato in modo religioso e bimondano - come per  Plotino ed i neoplatonici - ma è costruito concettualmente con l'intreccio della per-  manenza ontologica («ciò che è, ed è eternamente») e della determinatezza storica  («il proprio tempo appreso nel pensiero»). È questo l’unico possibile “ritorno” a  Parmenide, non certo la ripetizione ieratica e sapienzale (più esattamente: pseudo-    69    CAPITOLO X    jeratica e pseudosapienziale) secondo cui è da “pazzi” (e tutto il mondo moderno  sarebbe pazzo, al di fuori di un professore universitario in pensione di Brescia)  ritenere che le cose possano mutare nel tempo.   Parmenide, di cui presuppongo qui l'appartenenza alla scuola pitagorica, già  ampiamente attestata dalle fonti classiche, pensa radicalmente un numero solo, il  Numero Uno. Sostenendo la cosiddetta «sfericità» dell'essere, non bisogna pensare  che alluda ad una sorta di palla splendente in cielo. Il termine sfairikòs significa  infatti congiuntamente “sferico” ed anche congiuntamente “globale”, “totale” e  “complessivo”. In greco moderno, duemila e cinquecento anni dopo Parmenide (la  non conoscenza del greco moderno, custode semantico incomparabile dei signifi-  cati originari della filosofia classica, rappresenta uno dei più pittoreschi elementi  di ignoranza dei professori europei di filosofia), il termine sfairikòs continua ad  avere lo stesso doppio significato semantico; si dice, ad esempio, «un'idea globale  del problema», «mia sfairikì andilipsi tou provlimatos»).   Non avrei fatto questa “deviazione” semantica se non avessi voluto sottoline-  are il fatto che il termine parmenideo di «sfericità dell'essere» non allude ad un  gigantesco pallone aerostatico in cielo, ma connota semanticamente e concettual-  mente lo stesso oggetto teorico che Hegel e Marx (senza contare anche Adorno,  Marcuse e Luk4cs) hanno più tardi connotato in termini di totalità espressiva. Certo,  sarebbe sbagliato “attualizzare” eccessivamente questa analogia, perché da un lato  Parmenide non poteva ancora “isolare” l'essere sociale dall'essere naturale, ma li  pensava in strettissima unità ontologica (vedremo più tardi che questo “isolamen-  to”, parzialmente anticipato da Aristotele, dovrà aspettare il Settecento illuministi-  co-borghese per poter essere concettualizzato e sviluppato), e dall'altro non poteva  ovviamente ragionare sulla base della distinzione kantiana e della successiva ride-  finizione hegeliana di intelletto (Verstand) e di ragione (Vernunft). È quindi chiaro  che il concetto di «sfericità» di Parmenide ed il concetto di «totalità» in Hegel e  Marx non ricoprono esattamente lo stesso spazio teorico. E tuttavia, pur non rico-  prendolo, sono largamente comparabili, e questa comparabilità deve essere messa  alla base del ragionamento.   Ma qual è l'esatta natura storico-genetica ed ontologico-sociale del concet-  to parmenideo di «essere»? Di quale «sfericità», cioè di quale totalità è il riflesso  astrattizzato? Ammetto che non possiamo saperlo con certezza. Non possiamo ar-  rivarci con il metodo deduttivo diretto, e neppure con il metodo induttivo indiret-  to. Dovremo arrivarci con quello che Peirce chiama il metodo «abduttivo», e cioè  non il metodo di Aristotele (la deduzione) o il metodo di Stuart Mill (l’induzione), ma  il metodo di Sherlock Holmes e di Hercule Poirot: succede X, un fatto straordinario  ed inesplicabile; se però Y è vero, X smette di essere straordinario ed inesplicabile,  e diventa invece razionalmente spiegabile.   L'«essere» di Parmenide è un tipico esempio di sfida all'abduzione. È infatti  “straordinario” decidere di chiamare «essere» la totalità «sferica» di tutto ciò che  può essere pensato. È allora plausibile che ci sia un sostrato socialeche fa da riferi-  mento materiale a questa concettualizzazione ideale. Si tratta di discutere spregiu-    70    L'Essere di Parmenide come metafora della stabilità e della permanenza nel tempo della buona legislazione    dicatamente tutte le ipotesi che ne possono essere date, scartare le meno plausibili,  ed accettare la più plausibile.   Alfred Sohn-Rethel, che è stato uno dei grandi fondatori del metodo della de-  duzione sociale delle categorie filosofiche (e che appunto per questa ragione è oggi  trascurato e dimenticato), ha cercato di dare una spiegazione materialistica della  categoria parmenidea di «essere». Sohn-Rethel nota acutamente che il concetto di  Essere in Parmenide è caratterizzato da una totale genericità indeterminata (è infat-  ti indeterminato come l’apeiron di Anassimandro), e si chiede allora che cosa possa  aver causato questa indeterminatezza astratta assoluta. Se infatti io penso in modo  astratto — sostiene Sohn-Rethel — ci vorrà qualcosa di astratto che faccia sì che io  pensi astrattamente. E Sohn-Rethel ritiene di individuare la sorgente materiale e  sociale di questa “astrattezza” nella moneta coniata, moneta coniata originatasi  prima in Lidia, poi passata dalla Lidia alle isole greche di Chio e di Egina, e pro-  gressivamente diffusasi in tutto lo spazio economico e culturale greco. La moneta  implica il passaggio dal baratto “concreto” allo scambio “astratto”, perché con una  moneta si possono comprare le cose più diverse, indipendentemente dai materiali  con cui sono costruite.   Non c'è dubbio che la moneta, insieme con la fusione dei metalli (e del ferro  in particolare), abbia giocato un ruolo decisivo nella costituzione materiale della  civiltà greca. La moneta è stata anche un fattore primario per il sorgere dell’econo-  mia schiavistica antica, perché ha permesso di comprare gli schiavi come si com-  prano tutte le altre merci, mentre prima ci volevano guerre di conquista di tipo  assiro-babilonese. E tuttavia a mio avviso Sohn-Rethel si sbaglia. E si sbaglia di  grosso, nonostante il fatto che almeno “ci ha provato”, e gli sciocchi che continua-  no a proporre un concetto indefinibile, ieratico, sapienziale, sacerdotale e «falsa-  mente profondo» (come direbbe Hegel) di «essere» non gli arrivano neppure alle  caviglie. Chi ci prova può sbagliare, ma chi non ci prova neppure resterà sempre  a pestare sul suo quadratino di terra, come un tempo facevano i soldati nel cortile  delle caserme.   Sohn-Rethel sbaglia perché proietta nel lontano passato greco l’importanza che  la «forma merce» — e quindi il denaro come merce astratta per eccellenza - ha  assunto a partire dal Settecento europeo, importanza che ha determinato prima  l'economia politica di Adam Smith e poi la critica dell'economia politica di Karl  Marx. Per i Greci, ed in particolare per i Greci del tempo di Parmenide, ciò che  contava non era la forma astratta del valore di scambio e della moneta coniata  che ne era la portatrice “astratta”, ma era proprio l'esatto contrario, e cioè la buona  legislazione comunitaria che ne permetteva la limitazione e la sua sottomissione al  metron. Come si vede, la realtà storica e concettuale è invertita rispetto a come se la  rappresenta Sohn-Rethel.   Il concetto generale ed astratto di Essere, infatti, presumibilmente non deriva  dalla proiezione della funzione mercantile-astratta della moneta coniata, la cui  introduzione nel mondo greco equivale appunto (e qui Sohn-Rethel ha ragione)  all’irruzione del Nulla nel mondo dell'Essere, ma proprio al contrario, e cioè dal    71    CAPITOLO X    ” x    concetto di buona legislazione comunitaria, che essendo “buona” è pensata come non  migliorabile e non modificabile, e quindi eterna, stabile e permanente. Parmenide  allude certamente alla sua polis di Elea, ed i suoi frammenti descrivono proprio le  cavalle che salgono sulla akropolis della sua città per un sentiero erto e difficile. E  sono queste cavalle concrete le portatrici materiali del concetto astratto di «essere»  inteso come proiezione “metafisica” della buona legislazione comunitaria, dotata  per ciò stesso di stabilità e di permanenza, e quindi di “eternità”.   Riflettere su Parmenide in modo ieratico-sapienziale, destoricizzato, desocia-  lizzato (e quindi privato di ogni chiave di interpretazione semantica) e pomposo-  giornalistico non serve a niente, se non ad incrementare quella particolare forma  di idiozia presente in molti filosofi di “professione” fondata sull'idea che meno ci  si fa capire, più si è profondi. Se invece ci si accosta a Parmenide in modo storico-  genetico ed ontologico-sociale, allora si guadagnano molti punti di vista illumi-  nanti, nuovi ed inediti.   In primo luogo, che i Greci pensavano in modo «sferico», sulla base cioè  dell'idea di totalità espressiva, e questo modo «sferico» è esattamente quello che  verrà poi “restaurato” in forma storica da Hegel e da Marx. In secondo luogo, che  la permanenza e la stabilità “eterna” della buona legislazione comunitaria sta alla  base dell'idea sociale di “eternità” della cultura occidentale. In terzo luogo, che  tutte le forme di sensismo e di empirismo non possono giungere a questo tipo di  comprensione, e nonostante si presentino come più “concrete” sono paradossal-  mente molto più “astratte” della stessa idea di Essere, perché questa idea allude  alla cosa più concreta di tutte, e cioè all'idea della coesione sociale e comunitaria,  mentre l’empirismo sacralizza invece concettualmente la dispersione caotica degli  atomi sociali individualizzati. In quarto luogo, infine, che il concetto di Uno non  ha bisogno necessariamente di un supporto teologico per essere pensato (il Dio  monoteistico cristiano, musulmano ed ebraico), perché l’Uno stesso è del tutto au-  tonomo ed autofondato in modo logico ed ontologico.   Bisogna quindi rispettare l'onto-teo-logia, ed io la rispetto mille volte di più  dell’empirismo e del sensismo, ma essa non può essere “l’ultima parola” di una  trattazione ontologica dell’«essere». In quanto a Parmenide (ed affermo voluta-  mente una cosa paradossale e provocatoria!) la sua trattazione dell'essere socia-  le del suo tempo è filosoficamente del tutto omogenea alla trattazione che ne farà  Lukécs (e sulla sua scia, ma più modestamente, chi scrive) nel suo tempo. In en-  trambi i casi, l'essere sociale è pensato in modo unitario con una categoria «sfe-  rica». La differenza ovviamente sta nel fatto che in Parmenide non può esistere  la “storia”, intesa come concetto universalistico di tipo trascendentale-riflessivo  (concetto sorto nella seconda metà del Settecento europeo sulla base di una ge-  nesi ideologica “borghese”), e per questa ragione la buona legislazione comunitaria,  concepita in modo pitagorico, viene rappresentata nella forma della stabilità, della  permanenza e della eternità temporale. Oggi, sulla scorta di Eraclito, sappiamo  invece che il polemos non si può esorcizzare.  Pitodoro. Keywords: VELIA, VELINO. Pitodoro.

 

Grice e Pizzi: la ragione conversazionale e la regola conversazionale di Boezio – la causa della cosa – adduzione e prova – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “About time an Italian philosopher takes ‘la regola di Boezio’ seriously!” Studia a Milano. Studia il condizionale contro-fattuale.  Insegna a Calabria e Siena, “Logica della prova” a Milano. Cura Hughes e Cresswell, ed offre una panoramica completa e aggiornata della logica intensionale. Ampliando questa linea di ricerca, compila due antologie con introduzioni. Una dedicata al tempo e una dedicata al condizionale (se-ismo). Compone una serie di saggi in cui viene introdotta una logica dell'implicazione consequenziale. Il scopo della logica dell’implicazione con-sequenziale è riformulare le basi della logica connessiva nel quadro della logica modale. Questa traduzione consente di assiomatizzare un sistema G-HP che risulta complete e decidibile mediante tableaux con un sviluppo verso una generalizzazione di questi risultati. Altri temi di ricerca sono il problema della definizione a della reduzione della necessita ai termini di contingenza, l'applicazione del quadrato dell’opposizione e del cubo dell’opposizione al modo, l'approccio al modo in termini di multi-imodo, cioè mediante l'impiego di un linguaggio base avente come primitivi una moltitudine d’operatori modali – contro la tesi dell’aequi-vocita di Grice. Nel campo della scienza il tema su cui filosofa in modo preminente è stato quello del contro-fattuale della causa, a cui dedica saggi destinati a un pubblico interessato all'epistemologia giudiziaria alla Hart/Honoré– causation in the law. If you are looking for the cause of what he did, what he did was very wrong – implicature! Sempre in questo settore compone un saggio sull’adduzione, dove analizza un caso giudiziario controverso, il disastro di Ustica. Sul tema di Ustica compone un saggio che contiene una discussione metodologica delle indagini ancora aperte sul caso, in merito alle quali cura attualmente un blog. Altre saggi: “Introduzione alla logica modale” (Saggiatore, Milano); “La logica del tempo” (Boringhieri, Torino); “Leggi di natura, modalita, ipotesi” (Feltrinelli, Milano); “Eventi e cause: na prospettiva condizionalista” (Giuffre, Milano); “Diritto, abduzione e prova” (Giuffre, Milano); “Ripensare Ustica, Createspace); “Implicazione logica”;  “Causalità (filosofia) “Adduzione”; “Strage d’Ustica, claudio pizzi it. wordpress.com.   Since 1952 the kind of implication known as connerive implication has been the focus of an original research program. The main formal contributions in this area are due to Robert Angell (1] and Storrs McCall (8), but the basic idea of connexive implication was clearly outlined by Everett Nelson in the Thirties (13). Nelson was critical of the so-called Law of Simplification, viz. the principle that, for every p and every 4, the conjunction of p with q implies each one of the conjuncts. Clearly inferences of this form are valid when p and q are jointly consistent. But what should we say when they are not, for instance when q is just -p or when q is  -(P→P), which states that p cannot imply itself'?  The idea of connection which Nelson was trying to capture is characterized by the property that, if we have the truth of A - B (where "-" relation of connexive implication) we cannot also have the truth of A 4 -B. If we accept the logical principle A → B- -(A → -B) - which we shall name Boethias' rule following Kielkopf?- along with unrestricted substitution, then this leads to a rejection of Simplification in the form (p^q) → q. If we had, in fact, (pAg) → g as a law of logic, we would have by Uniform Substitution both (pAp) - p (asan instance of A → B) and also (pA-p) - -p (as an instance A → -B), a result: which is incompatible with Boethius' Rule,  If we assume that p  → pis a valid formula, and there seems no reason not  to do so, and we accept it as an instance of A - B, then by applying Boethius Rule we obtain what is known as Aristotle's Thesis: -(p - -p). Aristotle's Thesis is the cornerstone of connexive implication, since it states a new version of the Principle of Non-Contradiction. Indeed, in connexive logic p — -p is the paradigm contradiction. If L is a symbol for an arbitrary contradiction, then it follows from Aristotle's Thesis that L- p cannot be a connexive thesis since p could be exactly L, that is, an arbitrary tautology. (Henceforth we will symbolize an arbitrary tautology by T). It is thus clear that connexive logies are "non-Scotian" in the sense that in such logics contradictions can imply only contradictions while tautologies are implied only by tautologies.  What is the correct formulation of Boethius' Rule in the object language? In the first papers written by Angell and MeCall we find the law : (p → q) - -(p → -g)-Angell's original system PAI (see (1]) was axiomatized as follows.  p→419→7→0p→7 (р→ -(gA)) - ((дЛр) → пг)) (р - q) → ((рАг) → (г Л)) (рА (q Аг)) → (дА (рАг)) (р → q) → -(р → -q) -pA-p/p)) (p → q) - -(p→ 7g) g→pp→g пр - р Transformation Rules:  RL. IfF SandPS → S' then I S' R2. If S and F S' then FS NS'  R3. If S and v is a propositional variable occurring in S, and S' is obtained by Uniform Substitution of any t for u, t S'  RA If S, and S' is got by replacing any part, or all, of S by an erpression equivalent through rules of abbremation, then 5'  It should be noted that Modus Ponens is formulated in terms of "—" and the same holds for R4, which amounts to a Rule of Replacement for - -equivalents.  Axiom 3 is a strong version of the so-called Factor Law (Factor for short). If we  define S and = as usual in terms of A, - and V; we obtain the standard propositional  calculus PC as a sub-system. Notice that Axiom 5 is equivalent to (p → q) → (pD  9). Thus, thanks to R1, any theorem of the form A - B also holds in the weaker  form A B. We then have at our disposal the derived rule A ++ B/A = B, but we  do not have the converse rule, which would amount to having as a rule Replacement of Proved Material Equivalents. This restriction leads to some paradoxical results, for example that (pAp) cannot be replaced by p since (pAp) - p is not a theorem of PAL (Note that we cannot derive this wff by using (pAg) - q since the latter is not a theorem of connexive logic).McCall's system CC1 (see (9]) turns out to be equivalent. to a system obtained by extending PAI with the following axioms:  p - (pAp) Ap) (pAp) - ((p- p) - (pAp)) ((p → q) → q) - g) (q Aq) - (р - р) pV (((p→ p) → p) V ((gq) → p))) For a detailed criticism of PAI and CC1 the reader is referred to (11]. These criti-cisins were accepted by Angell (see [2]), but the attempt to overcome the difficulties pointed out by Montgomery and Routley involves extending the formal language of connexive logic as it was initially formulated, McCall's recent reformulation of connexive logic - named CFL in 9) - also requires a reformulation of the language of the original formal system since its formation rules prohibit wifs with iterated  2. Analytic and synthetic consequential implication  The logic of consequential implication (see [15]) differs from the logic of connex-ive implication in a number of respects, which can be outlined as follows: Firstly.  Boethius' rule is represented in the object language by (p → q) D -(p - -q) and not by (p → g) - -(p  → -q). We will distinguish these two wits by calling the  first the Weak Boethius' Thesis (WBT) and the second the Strong Boethius' Thesis  (SBT). Secondly, Factor holds only in the following weakened form:  WWET→ →PAT))((p→93p^rqAr)).  Thirdly, a distinction is drawn between the logic of "analytical" and "syntheti-cal" conditionals. The latter are conditionals whose truth depends on a set of true statements which are contextually understood but not explicitely stated. Counter-factual conditionals are paradigm examples of context-dependent statements, and so they should be formalized as synthetical consequential conditionals. However, intuitions concerning the logical properties of synthetical conditionals are not clear.  It appears that in ordinary language we have a whole family of different condition-als, whose logical properties we frequently confuse. To clarify the situation we can state two minimal properties of the so-called "circumstantial operator «** , which can be read as "ceteris paribus" ("other things being equal") or "rebus sie stantibus" ("things being thus and so")%.  The minimal requirements for the logic of this operator are axiomatized as fol-  lows:  i  i *ート3 p→  The most natural definition of a synthetical conditional is A > B = D/ *A - B.  But many other definitions are possible which satisfy the properties required forconsequential implication. The weakest connective of this family is defined as fol-lows:  1 > B = D/ (T → (*A 5 В)) A (-(Т → -В) Л-(Т→ - * А))  3. Translations between logics of consequential implication and standard modal logics  If we want to stress the similarities between connexive implication and consequential implication, we should note that they are both compatible with Nelson's informal treatment of implication. Historically speaking they both have a com-mmon ancestor in Chrysippus conception of conditionals and so may be called Chrysippean conditionals'.  If, however, we want to stress the differences, apart  from the analytical/synthetical distinction which is mirrored by the proposed extension of the object language, the most important difference between the two formal theories is just their attitude toward Factor.  Intuitions about Factor are not clearly related to Aristotle's Thesis and Beethius' Rule and they should be subjected to a specific analysis. Indeed it may be claimed that Factor is implausible in the light of the underlying motivations for introducing the notion of connexivity. To see why consider the following argument. Suppose that  p→ q stands for "If Smith is a bachelor is a male" pAr stands for "Smith is a bachelor and married" gAr stands for "Smith is a male and is married".  Then p  → q stands for a statement describing a necessary connection and  pAr stands for a contradiction, while q Ar stands for a contingent statement.  Since the conjunction of p and r in this particular example is consistent, deriving r by application of Simplification is connexively sound. So along with (p - q) D ((pA) → (gr)) (Factor), we have also (gAr) → r and so, by transitivity of *-*", (p +q) → ((р\т) - r). So assuming the necessary statement p - q we conclude that "Smith is bachelor and married" (pAr), connexively implies "Smith is married" (r). But this result is connexively unsound, since the conjunction symbolized by pAr is inconsistent while r is not.  This argument could of course be questioned since it relies on the presupposition that some instances of Simplification should be accepted. Now it does seem plausible that at least the following weakened version of simplification should be a theorem of connexive logic, since it states that Simplification holds provided the antecedent is not equivalent to a contradiction and the consequent is not equivalent to a tautology:  (WS) (-(IHPAS)AT(TAT))3(0Ar)-)  In fact, this law can be proved even in the weakest calculus of consequential implication in the class of systems which will be introduced in the next section".It should be pointed out that consequential implication has different origins from connexive implication since it originated in modal logic as a variant. of strict implication. Given that contradictions may imply and be implied only by contra-dictions, and tautologies imply and are implied only by tautologies, the key idea of consequential implication can be expressed by saying that it connects two propositions A and B when we have:  (i) A strictly implies B: 0(A B) (ii) A and B have the same modal status.  The sense of (ii) is that if A → B is to hold then A and B are both necessary, or both impossible, or both possible, or both not-necessary. Summing up, a relation of consequential implication holds between A and B when we have C(A > B) A(0A = 0В) A (0A = 0В) A (-DA = -OB) A (-0A = -OB), which is equivalent to  •(AD B) A (DA = OB) A (04 = 0B), a wif which in normal modal systems equals the simple D(AS B) A (OBS DA) A (OB O QA). The equivalence between A → B and the latter formula suggests that we look for a translation between the languages of modal logie and consequential implication.  At this point it is useful to set out some results about the interrelations between modal systems and systems of consequential implication. For sake of simplicity we will confine ourselves to the analytical fragment of logics of consequential implica-  Let Lo be the set of wifs resulting from standard combinations of propositional variables p, q.r, parentheses (.), the primitive functors {L, 5, ) and the standard definitions of -, A, v. 0.  Let L. be a language which is like Lo with the only difference that replaces Let us define two mappings: @ from L.., to Lo and a from Lu to L., by the  following conditions:  1a, pip=p  28. =  3a. oAD B =AoB  1a. 0(4-B)=0((A) (B)^ (0(B)>0())^(0(B)0(A)  1b. 4(p) = p  2b.   36.2A3B=44B  4b. 0(0A)=T= 0(A)  A normal system in L_ is a set X C L containing all the truth-functional tautologies and the wiis derived from the following axioms:  (PC). All the theorems of the classical propositional calculus PC  a p→q4→r))(pir  (b) (T → (рал -(Т → -р) Л -(Т → 9)) Р (р → q)  (с) - (Т → - (рАг)) > ((р→ g) Р ((рАт) → (дЛг))  d Jp→g29→  (p → 1) D (1→p) (1→ p)D (p→L) p. - p The rules are Uniform Substitution (US), Modus Ponens (MP) and Replacement of Proved Material Equivalents (Eq).  We shall call the smallest normal system of consequential implication CIw. If we add the Weak Boethius Thesis (p - q) D -(p → -q) (WBT) to CIw then we obtain a system which we shall call CI, and if we add (p → q) (pS q) we obtain another system which we shall call CIO.  Let us now consider the weakest normal system of modal logic, i.e. the well known system K which is axiomatized by adding to the standard propositional calculus PC  K1. 0(p)q D (Op 3 0g)  with MP,US, Nec (F A → - DA) as the only rules of inference.  We now define a translation between the systems X C L. and between  Y C Lo as follows:  We say that X translates Y when, for every A € L... we have A € X iff ф(A) € Y. We will say that (A) is the modal counterpart of A.  We say that Y translates X when, for every A € Lo, we have A € Y iff 4(A) € X. 4(A) will be called the consequential counterpart of A.  Using these definitions we can prove the following metatheorems [19]):  If Y translates X and X is normal in L.., then Y is normal in Lo. If Fk 4 then Fciw #(A) If X translates Y and Y is normal in La then X is normal in L... If FCiw A then Fk (A) For all A € L, Fciw A = 4(ó(A)) For all A € La, Fa A =ф(@(A)) K translates CIw and CIw translates K If X is normal in L., and Y is normal in L, then X translates Y iff Y translates X. Suppose that X° C L.., Y" C Lo and X is the smallest normal system L_, such that X" § X; Y is the smallest normal system in Lo such that Y° CY; (a) € Y whenever a € X"; 4(a) € X whenever a € Y. Then X and Y translate each other. Proposition 9 states that and induce a one-one embedding between the theses of any normal system of modal logic and the theses of the system of consequential implication which translates it. Hence we can show that there is a one-one translation between CI = CIw + (p → q) D -(p→ -g) and K + Op 3 Op (ie. the deontic system KD) and also a one-one translation between CIO = CIw + (p →  9) D(pOg) and K+Op 3 p, i.e.  KT. Since -(p → -p) is equivalent to  (p→q) D-p→ ng), CI is the weakest system containing Aristotle's Thesis®.These results about translations provide us with a decision procedure for all extensions of CIw whose modal translation is decidable. Tableaux methods which are appliable to normal modal logics turn out to be practical methods to test the validity of consequential wifs.  A remarkable by-product of this modal translation is that it provides us with a tool for analyzing typically connexive wifs, and for studying the properties of systems which are intermediate between systems of connexive implication and systems of consequential implication.  An example of the kind of investigation which can  be carried out in this way concerns what we labelled earlier the Strong Boethius' Thesis SBT (which is axiom 8 of Angell's PAI). The first question to ask is, of course, whether SBT is a theorem of the basic systems of consequential implication CIw, CI, and CI.O.  This question was anwered negatively in [17] using a result of [22]. In fact, the system KT has the so-called double cancellation property (DCP), which we can state as follows:  (DCP) If X is a normal modal system, -x CA = OB and -x 0A = B, then  -x A = B.  Let us suppose that (p → q) - -(p- -g) is a theorem of CI.O; then, by Reductio, in KT we should have @(p → q) 3 (-(p → -q)) as a theorem, hence also (T - p) = (-(T → -p)), which we know to be impossible, since the latter  wif is equivalent to the non-theorem Op = Op. The Strong Boethius' Thesis SBT  cannot then be a theorem of any system at least as strong as CIO. Let us call e-normal every normal modal system such that the "erasure transformation" yields valid PC-wffs (see [4], P. 23).  Then, since Op Op is consistent with every e-  normal modal system, SBT is also consistent with any consequential system which translates an e-normal modal system.  The next question is: since SBT is consistent with CIw, which is the modal system translating CIw + SBT? The answer is as follows. Let us call the required system CIw- and let us call the smallest fragment of La which contains the following Kdf:  (1D) OT  (2F) 00p 3 00p  The semantic properties of Kdf are obtained by standard correspondence theory and can be described as follows:  Quasi-seriality: Wwva(wRy 3y aRy)  ofunctionality Vutzty wRy AaRyarwRがへR23))  (The latter wif is equivalent to the simpler VwVrVy(wRy AzRy AaRa 52 =By an application of the Henkin technique for completeness proofs, we obtain the following completeness result:  THEOREM 4.1. A is a theorem if and only A holds at all the frames which are  quasi-serial and O-functional.  This characterization result allows us to find a quasi-serial and (Q-functional frame which refutes the converse of SBT. We have thus:  THEOREM 4.2. T2. -(p → ~g) → (pq) is not a CIw→ theorem.  (See (18)).  This result is not a trivial one, since in the light of the application of (DCP) we have, for system CI.O.  (a) Fcio A - Biff Icio B = A  from which it follows by replacement of material equivalents that  (b) Fcto A → Biff Icio B → A.  We thus have the rather unwelcome result that if SBT were added to CI.O the system would contain its converse as well, and also the equivalence + (A → B) -  -(A → -B).  Even if not strictly trivial, Ciw→ has properties which throw a negative light on the Strong Boethius Thesis. For example, it can be proved that the Denecessitation Rule (- DA → A) is admissible in any modal system X iff Modus Ponens for + (If Fcro A → B and Fcio A then Fcro B) is an admissible rule of its  consequentialist translation. Now in Kdf we have a proof of the wff (Op = p), while  (Op = p) is refuted (see (18)). This proves that Kdf does not admit Denecessitation,  and hence that CIw- does not admit Modus Ponens for →. But it can be proved that every extension of CIw- which admits Modus Ponens for -, (such as CI.O) contains the undesirable equivalences (p → q) = (g - p) and (p → q) = -(p → -q).  Having Modus Ponens for "—"  means the possibility of interpreting  "—" as  an implication connective, but this destroys the very possibility of entertaining non-trivially the Strong Boethius Thesis. It can also be proved that adding the characteristic axiom of CI.O, namely (p → q) D (p D4), to CIw-, yields the  equivalence p = (T = p), whose modal counterpart is the collapse - formula  P= Op).  5. Factor and consequential implication -  Let us now consider the formula which distinguishes connexive logic from consequential logic, namely Factor. In systems of connexive logic we find two variants of this law, which we we will call "Strong Factor" (SF) and "Weak Factor" (WF).  (SP) (p → q) → ((р^т) → (gAr))  (For the latter see, for instance, (9]).  An equivalential variant of WE may also be found in the literature, viz.  which is of course equivalent to (p - q) ((pAr) - (g))(see for instance (2]). WFEq is unproblematic, since it can be shown that it is a theorem of even the minimal system CIw. Since K is the modal translation of CIw, it may be proved that the following wils are K-valid (where "_" is the symbol for strict equivalence).  ((pニタコロ((p/r9^z))  E)((ニタ^p=D4))20g^72pAr))  m)((#=4^0p^04)) 20g^r3Qp/r))  Thus by applying the so-called Theorema Praeclarum ((PS q)A(r 5 s)) 5 ((PAr) D (gAs)) it turns out that (p → q) 5Ф(рЛг) - (gAr)) is K-valid, and hence that (p +q) 3((рлг) → (gA)) is a CI-theorem. The problem of derivability then concerns the two wffs SF and WF  The first result to be noticed is that SF is inconsistent with any system of consequential implication which contains the Weak Boethius Thesis or, which amounts to the same thing, Aristotle's Thesis. If SF were a theorem of CI, in fact, we would have the following proof:  (р - -р) - ((рЛ-р) - (-рЛ тр)) (р- -р) - ((рАтр) - -р) 3 p→ Jp =1  1- ((рА-р) → тр) 1→ (p - T) SF(-P/g)  1), PC  + -(p--p) = T, Eq  , 2), Eq , Az. (d) The modal counterpart of line 5) is the wif -OOp, which is inconsistent with every normal system containing OT, namely with the modal counterpart of Aristotle Thesis. In fact an instance of it is -QOT, while in KD from T we have  However, it is to be noted that WF is consistent with every extension of CIw translating some e-normal system. This can be easily proved by replacing every occurrence of "—" with "=" in the axioms and checking that (i) the resulting wifs are PC-valid and (ii) the rules preserve the PC-validity of the transformed wffs.  If we now apply the transformation to WF we obtain (P=q) > ((pAr) = (gA)).  which is a PC-thesis.  Thus, by a standard argument, we can prove that WE is  consistent with CIw and with every extension of CIw whose axioms have PC-valid  The problem with WF is indeed not inconsisteney but the fact that adding WF to Cl yields counterintuitive results, which may be compared to the result of adding Strong Boethius Thesis to system admitting Denecessitation. It is remarkable, in fact, that by adding WE to CI we lose the asymmetry of the arrow, since we may prove the equivalence between (p → q) and (q p). This may be seen looking at the following proof, in which A and A are introduced by the two definitions:  (Def) 0A =DJ -(T→-A).  Thanks to such definitions (one of which is of course redundant) and to the mentioned embedding results, we know that every theorem of K belongs to CI + DefO.It is useful to recall that in CI + DefO (we have the equivalence  )(pg^p ^ 0g 3p)) =n→q  We may then exhibit the following proof:  1 p→93((pAr9^r))  (р → q) 3 ((р\-р) → (gA-р)) (р → q) D (1→ (g-р)) WF  , тр/г , 1= (р.Л-р) , (d), (e), (f) , 5), Defu K 7), (-) 6), 8). 6)(p→gコロp=q  7p=4((p3/^Op3^4 ^92p))  8) 0(p=q) > (9-p)  9 p→9 391p  A simple consequence of 9) is the theorem  1)(p→g=g→p  which asserts the equivalence between → and -.  On the other hand, suppose we add  (S) (p - g) 3 (g -p)  as an axiom to CI, so to obtain a system CI+S. Obviously we have (-) as a theorem of CI+S. But since we already know that (p - q) > ((pAr) → (qA)) is a theorem of CI, we have by replacement (p → 4) - ((р\г) - (gA)), i.e. WF, as a theorem of CI+S. So, if X is any system containing CI, CIW is equivalent to CI+S.  6. Factor and a non-contrapositive variant of consequential implication  An interesting property of systems of consequential implications is that by introducing the definitions of the modal operators in terms of the arrow we may define different arrow-operators which are variants of the standard arrow operator which have the minimal properties originally required for connexive implication.  For example, we may define a new arrow in terms of O as follows  4→B=D43B^QB3>4  and also define a second couple of modal operators as  ロロ4=D/T=4  4=Dr→4  Of course we have that A - B imples A → B but not vice-versa, while it is straightforward to prove that D°A is equivalent to CA and 0°A is equivalent to  •A'  The logie of = can be proved to be slightly different from the one of →, even if it is clearly a logic of a connective endowed with the properties of consequential implication. Among its theorems we have in fact  WB→)(p=9 3p= -9(AT →) -(p→ p)  1→)((p34^p p=g  2=)(14=(4→1  We lose Contraposition for → in its standard form but we have the advantage that Simplification holds in the manageable variant  (S →0(pAq) D((pAq) → q).  It may be proved (but we will not do so now) that the fragment of CI containing only truth-functional wffs, and →-wfis can be axiomatized in a system which we will name CI→, and that the truth-functional and →-fragment of CIO, CI.O=, is definitionally equivalent to CI.O itself*.  What we want to do now is to extend CI not with WF but with its →-variant which is  (WF →)(p → q) 3 ((рАг) → (9Л г)).  Since (Og A Op) implies (gAr) @(pAr), a straightforward result of this new axiomatization is that  (3 →) ((р » q) A(0q> D)) О ((рАт) → (дЛг)) ЛО(дАт) рО(рЛг))  is a theorem (by Theorema Praeclarum). But since (3 →) is indeed equivalent to (WF) thanks to (-), we have that every theorem of CI+WF is also a theorem of CI+WF=.  What we may now prove is that there is a one-one embedding between CI= +WF and a modal system which in the literature is known as KD!, where KD! is KD +045 DA (see [4), p. 83). An established result concerning KD! is that KD! is characterized by the class of the frames  whose accessibility relation  is both functional: Vryz(rRy AaRz Sy = 2) and serial: VaZycRy. Now we can  prove the following two theorems:  MTI: If -KD: A then Fci»+ WE WA MT2: If -cI»+WP A then F-KD: ' A  MT1 The proof is by induction on the length of the proofs. We already know that the consequential counterparts of axioms of KD are theorems of CI→+WF and that the rules of KD preserve such a property. What we have to add to what is already known is the proof that Op D Opie.-(T → -p) (T → p) is a theorem of CI+WF→. The proof is as follows:  1 p→43((p^rg^r))  (p → 4) Р ((рА тр) → (g Л -р)) (р → q) D (1→ (фЛ -р)) (p→q) 00(93 p)) 5 0pハリT→9P^q))  6 0pAgpAq →9))  7 0((p^4T→92p^g)))  WF  , пр/т , 1= (pA-p) 3.Dejo' 4)p Ag/p (S →) 6), 5)0p 2 0p  7T/9,DefD%F D°p=Op  MT2 (Sketch of the proof) We simply have to show that the modal counterparts of the axioms of CI+ WF→ are valid in all serial and functional frames, that is in all serial and functional models. We already know that the modal counterpart of the axioms of CI hold in all serial models, so a fortiori in all serial and functional models. We have simply to show that the modal counterpart of WF→ is valid in every serial and functional model.  This fact is established by the following closed tableaux, where the first world w sees one and only one world w10,  w'  The above wif is then KD!- valid and, by the completeness of KD!, a KD!-theorem.  Thus, since the wff D(p 5 q) 5 0((pAr) 5 (gAr)) is a theorem of all normal systems  of modal logic Op 3g^og 0p)) 3 ((pAr gAr))^>gArpAr))  is a KD! theorem. But this formula is the modal counterpart of WF→.  This completes the proof of the definitional equivalence of the two systems.  The partial collapse of modal distinctions which occurrs in KD! is mirrored by a counterintuitive theorem of CI+WF→: as we can easily check by using the KD!-tableaux, a theorem of CI+ WF → is the converse of Boethius Thesis, namely (CB) -(p→ ng) > (p → q)  which can be proved also in a -version.  7. A recent connexive logic containing Factor  The preceding negative result about weak and strong Factor Law casts a shadow over all systems of consequential implication containing WE. The analytic fragment of the system named CA*1 in [14) contains WF and, being closed under the replacement of material equivalents, it can be proved to contain also the undesirable equivalence (p → q) = (q → p).  This system then has an interest only as a limit  case of a connexive-consequential system. Another example is given by McCall's system CFL (see [8]), whose language does not allow the iteration of arrows, CFL is axiomatized as follows:  1. p-42((*→p2→g2p3419t2par))  3. p→9((pArrAg))  pAg^r))((p^q ^r)) (pA-p) - (qA-q) p - (pAp) (рАр) - р 9, -p → P  ((p/9P^→P))^pV→4)) 3p→g)) (р - 9) 3 -(р- -q) (9 → -p) 5 (p--g) pp→ pap)) (p → (pp)) Рр The only primitive rules are Uniform Substitution and MP for 3.  In CFL p → (pOp) is assigned the meaning of "p is true" (not. "p is necessary") and p - q turns out to be equivalent to (T → (p q)) A (q p). In [9) R.K. Meyer showed that if we define the arrow in this way:  (*)A → B =Dj (A - 3B) ^ (A = B)  then the first degree fragment of the systems S1-S5 is exactly CFL. The result is unwelcome, since the arrow seems to identify a particular subclass of material equivalences. On this subject, note also that we have (A - B) > (B 5 A) and  ((A - B) A B) D A. So, if we want to interpret "—" as an implication connective, we have to face something which recalls the fallacia consequentis.  McCall sees two possible ways to solve this problem: 1) dropping the restriction to first degree wils, and 2) introducing axioms which are not equivalential.  It is worth noticing that the minimal system of consequential implication CIw satisfies both McCall's conditions. Its formation rules are here unrestricted, while axiom (f), ie. (L-p) > (p -L), is a simple example of a wff which does not admit Meyer's interpretation: the wff ((1 -3p) Ap =1) 3 ((p- 3 1) Ap al) is in fact underivable even in S5, so that (f) is not a theorem of CFL. However, a more direct move would be to remove the factor law WE and replace it with some of the weakened variants of it which have been examined in the present paper.  If we introduce this modification it is no longer true that the resulting system is coincident with the first degree fragment of S1-S5.  We conclude by noting that (p - q) D ((pAr) - q) is neither a law of connex-ive logies, nor of consequential implication logics. If it were, by substituting p for q we would have (pAr) - p, which is not a theorem of consequential implication logics. If we call (p → q) > (pAr) - q) the "principle of monotonicity", we can then say that → symbolizes a particular kind of monotonie implication. add that also Weak Factor (WF) may justifiably be said to express a monotonicity principle of implication". Thus the representation of the arrow as a symbol for aparticular kind of non-monotonic implication receives a support from the fact that we have to exclude Factor Law from logics of consequential implications and to work only with suitable modifications of it 12.  ANGELL, R.B. A Propositional Logic with Subjunctive Conditionals, Journal of Symbolie Logic, XXVII, 1962, pp. 327-343.  ANGELL, R.B. Tre logiche dei condizionali congiuntivi in Pizzi C. (a cura di) Leggi di Natura, Modalità, Ipotesi, Feltrinelli, Milano, 1978, pp. 156-180.  AQVIST, L. Modal Logic with Subjunctive Conditionals and Dispositional Properties, Journal of Philosophical Logic, 11, 1973, pp. 1-76.  CHELLAS, B. Modal Logic, Cambridge U.P., Cambridge 1980.  KIELKOPE, C. 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Grice e Pizzorno: la ragione conversazionale -- J. Grice è la politica assoluta – filosofia del sindacato, filosofia fascista – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Trieste). Filosofo italiano. Studia a Torino. Insegna ad Urbino, Milano e Fiesole. Oltre agl’importanti studi sulla materia sociologica conduce ricerche di sociologia economica e politica, in special modo sulle organizzazioni sindacali e il conflitti di classi sociali, sulla politica e i suoi aspetti, sui rapporti tra sistemi politici ed economici nella società. Saggi: “Le V classi sociali” (Il Mulino); “Comunità e razionalizzazione” (Einaudi); “Lotte operaie e sindacato”, “Le regole del pluralismo”; “I soggetti del pluralismo”; “Classi, partiti, sindacati (Bologna); “Le radici della politica assoluta” (Feltrinelli): “Il potere dei giudici” ("Il nocciolo", Laterza); “Il velo della diversità: studi su razionalità e ri-conoscimento (Feltrinelli); “Sulla maschera” (Il Mulino). Treccani, Istituto dell'Enciclopedia. Grice: “The reason why Pizzorno – bless his soul – does not criticise fascism, is that he possibly finds his theory of ‘communitarianism, razionalization and community, and the appeal to Tonnies’s community, almost too fascist to be true! – it’s the ‘bund’ – and other fascist conceptions against which i sindacati had to fight during the ventennio fascista!”. Grice: “The pity with P. is that he focuses on sindacati as from 1968, when he was getting drunk in Paris! He should have studied the sindicati during the veintennio fascista!” -- Grice: “I am pleased that P. quotes me. He apparently says that he is not into ‘conversation’ in the *sense* (senso) of Grice. Footnote there. When the index was compiled, P., who is at Oxford at the time and could have asked (or axed), had no idea what my Christian name was, so he follows Speranza’s advice: ‘when you do not know the first name or Christian name use ‘John’’ – so he did. (The corollary to Speranza’s corollary is: when you don’t know the surname, use ‘Smith’). So Grice, J. I became in his name index!”.  Avrei dovuto annotarmi il giorno esatto, in fondo cambio la mia vita (se mai si può dire che ci sono giorni che cambiano la vita di una persona), ricordo solo che era l'estate del 1953, e che era la prima volta in assoluto che andavo a un colloquio di assunzione.  Probabilmente ero intimidito, ma non poi moltissimo, anzi, piuttosto distaccato, perché quello che mi stava accadendo, o meglio, che si disegnava come un'assai evanescente possibilità che acca-desse, apparteneva a un mondo cosi diverso da quello cui le mie vicende avevano appartenuto fino ad allora, che il suo realizzarsi o meno non solo lo tenevo per incommensurabile con i riferimenti di cui disponevo, ma non arrivava a suscitarmi nessuna precisa emozione. La stagione parigina per il momento era inevitabilmente da chiudere. Non avevo più lavoro fisso (da un anno non ero più lettore d'italiano ai licei Louis Le Grand e Henry IV, e ci stavamo mantenendo, mia moglie Anne e io, con il suo stipendio di giovane ingegnere in un laboratorio di disegno acronautico e con miei incarichi saltuari e lezioni private). Concluso tra un anno il mio diploma a Hautes Études, cosa avrei poi fatto? Mi avevano offerto un incarico di Histoire et ciilisation italienne all'Università di Algeri. Non avevo detto di no ed ero pronto ad accet-tarlo, un vagabondaggio dispersivo in più, dopotutto, come lo erano stati gli anni di Vienna e di Parigi, ma questa volta assai più per ripiego che per entusiasmo o curiosità; e speravo che mi capitassero altre occasioni. Non erano quelli anni in cui le «occasio-ni» ti capitavano addosso mentre camminavi per la strada, ma una me ne capito.  Il colloquio me lo aveva procurato un'amica dei tempi del-l'università. Olivetti sta cercando giovani laureati, mi scrisse, per aiutarlo a mettere in piedi un'organizzazione culturale. Quando vieni a Torino ti vedrebbe volentieri.  Mi trovai così dall'altra parte di un tavolo al quale era seduto Adriano Olivetti, che mi guardava, in quel modo che poi capii era il suo naturale, non dritto in faccia, ma quasi di sottecchi, con uno sguardo che si muoveva qua e là verso il basso, timidamente, si sarebbe detto, ma di cui si capiva la cura di essere insieme gentile e seriamente interrogativo, e forse celava un'attenzione a non imbarazzare l'altro. Gli raccontavo di quello che avevo fatto a Pari-gi, il lettorato, le ricerche alla VIème Section di Hautes Etudes.  Non ricordo se accennai al lungo lavoro antropologico-teatrale sulla «maschera», frutto di quelle ricerche, e che avevo appena fi-nito. Se non lo feci, malgrado mi stipasse ancora piena la mente, fu forse perché ero trattenuto dall'incongruità di quel tema rispetto al mondo nel quale attraverso quell'intervista mi si prospettava di farmi penetrare. Ma se la ragione era questa sbagliavo.  Non soltanto perché quel mondo, scopri poi, includeva personaggi dai più vari e multicolori trascorsi culturali; ma anche per-ché, in due sensi più specifici, uno facile da intuire, uno invece del tutto imprevedibile, come si vedrà, proprio quel mio lavoro sarebbe stato una sorta di chiave di entrata in quel mondo. Ritenni invece più appropriato raccontargli che nel 1948-49, con lo pseudonimo di Andrea Marini, avevo scritto diverse corrispondenze da Parigi per «Comunità», allora settimanale, e che negli anni suc-cessivi, quando ero a Vienna, per «Comunità» mensile avevo scritto alcuni articoli di critica d'arte. Lui mi chiese se avessi mai sentito parlare di «Economie et Humanisme», la rivista dei domenicani di sinistra, le cui idee, seppi poi, erano molto vicine alle sue. No, non ne avevo mai sentito parlare, e lui, per non imbaraz-zarmi, attenuò subito il rilievo di quella circostanza. Cercò di spiegarmi a quale incarico mi avrebbe destinato se fossi andato a Ivrea. Sarei stato assunto in fabbrica, ma il compito non avrebbe avuto a che fare con le attività produttive, si sarebbe trattato piuttosto di un compito culturale, fuori della fabbrica, non era ancora ben definito, lo si sarebbe definito un po' alla volta. Non siesprimeva del tutto chiaramente, ma pensai che fosse logico per me non capire situazioni così lontane dall'esperienza che avevo avuto fino ad allora, e non feci troppe domande. Invece le ragioni della non chiarezza erano altre, lo avrei capito in seguito, e quando lo capii mi trovai davanti, come dirò, a scelte non facili.  Nei giorni seguenti non dico che dimenticai l'intervista, ma non ci pensai troppo, non contavo che avrebbe avuto seguito, e poi, come succede in questi casi, anche per chi non abbia pratica dell'eserciziario stoico, si mette in marcia la premeditatio malo-rum, quell'operazione mentale che censura ogni pensiero sui possibili eventi desiderabili, in modo da evitare che ci si debba sentire delusi se poi tutt'altro succede. Andai a Roma, dov'erano i miei, che volevo far conoscere a mia moglie, che avevo sposato in Fran-cia, e anche per riuscire io a conoscere qualcuno, dopo anni che di fatto mancavo dall'Italia. Inoltre, avevo mandato a «Nuovi Ar-gomenti», se ben ricordo consigliato da Franco Lucentini, mio compagno di disoccupate riflessioni nei caffè della rue de Tour-non, quel saggio sulla «maschera» di cui ho appena parlato. Mi avevano risposto che il saggio era piaciuto, ma era troppo lungo e poco adatto alla rivista. Era la solita risposta, mi ero detto; ma poi aggiungevano che l'avevano passato a un loro lettore, Bobi Baz-len, il quale ci teneva a parlarmene, eventualmente per consigliarmi cosa fare.  2. Bobi Bazlen  Si è scritto a iosa, a parer mio esageratamente e imprecisamente, sul ruolo che ha avuto per una certa cultura italiana questa sirena ombrosa e misteriosa, si è detto della sua influenza su Montale per la scoperta di Svevo e di altre sue scoperte di scrittori marginali e fuori della via maestra, e del suo gusto per l'inedito, l'anomalo, l'inconsueto, il prezioso. Se ne è scritto molto, dicevo, e negli anni è capitato anche a me di leggerne, ma allora, rientrando in Ita-lia, pur montaliano e sveviano di adolescenza com'ero, questo personaggio mi era sconosciuto. Ne chiesi a Giampiero Carocci (credo che anche a lui fossi stato indirizzato da Lucentini, perché in quei giorni, rientrando in Italia dopo anni, andavo un po'  a ten-  toni, soprattutto fuori da Torino, quanto a incontrare persone in-teressanti); e lui mi parlò con molte, anche se sibilline, esclamazioni elogiative, di questo Bobi Bazlen, delle sue vastissime letture in molte lingue, del suo gusto raffinato e sicuro, della sua intuizione critica e via discorrendo. Concludendo che era certo la persona più appropriata per giudicare il mio saggio.  I grandi elogi che Bobi Bazlen profondeva su quel mio testo, quando, sorridente e cortesissimo, mi ricevette nel suo appartamentino di via Margutta (o era via del Babuino?), per le vaste letture antropologiche che vi trasparivano, di un tipo che nessuno in Italia, diceva, si sognava di fare (ragione per la quale, del resto, era difficile pensare a una rivista nella quale pubblicarlo...), per l'interesse della tesi che esponevo e via discorrendo, mi lusingarono certamente assai; ma, senza sapere veramente il perché, e pur ringraziando ripetutamente e con il dovuto imbarazzo, rimanevo, come dire, un pochino sulle mie. Bazlen aveva letto bene il mio testo - senza darlo a vedere avevo manovrato il discorso in modo da accertarmene -, ma non volle entrare nella discussione del conte-nuto, Il suo, capii, era un apprezzamento di gusto, di pelle. E, forse influenzato dall'impressione di quell'incontro, quando lessi molti anni dopo alcuni suoi scritti, Lettere all'editore (o un titolo simile), mi sembrò di capire che quello era in genere il suo modo di giudicare. Apparteneva, ne dedussi, a quel tipo di persone che leggono voracemente di tutto, senza qualche piano preciso, e hanno la capacità di intuire immediatamente quali siano le cose di qualità e quali le altre, o meglio, quali avranno successo e quali no, ma non sanno articolarne le ragioni. Sanno mostrare, in un testo, dove stia la pepita d'oro e dove la spazzatura, e quando te lo mostrano non puoi che dargli ragione, ma si astengono poi dal tradurre i loro giudizi in un linguaggio critico. Probabilmente perché rifiutano di costringere le loro intuizioni in concetti discipli-nati, concetti, voglio dire, che siano ricevibili da una disciplina cri-tica, e quindi sortoponibili a un uditorio non familiare, in grado, per dir così, di valutarli autonomamente, staccandosi dal dialogo diretto con la persona che li formula. Destinano i loro giudizi a pochi intimi, sottovoce, quasi in a parte, pronti a ritrarsi di fronte a chi li metta in discussione; che poi diresti che si sentirebbero of-fesi, se, ascoltandoli, ti venisse di chiedergli «perché?» perché quel testo lo ritengano di gran valore, e invece quell'altro buttar via; potrai tutt'al più mormorate qualche sfumato accenno didissenso, questo lo sopportano, anche se con esclamazioni di meraviglia per tale inaspettata non concordanza; o con congedante freddezza, se il dissenso dovesse venir reiterato; ma la domanda di spiegazioni no, non puoi farla, perché non saresti più uno dei loro, uno per il quale le ragioni dei giudizi debbono rimanere ov-vie, intese tra affini, sigillanti l'implicita comune appartenenza.  Chi abbia conosciuto Bobi Bazlen meglio di me (io gli parlai a lungo solo quel pomeriggio, e poi un'altra volta, in casa di amici, ma stava in un angolo sorridente e silenzioso, mi accorsi che forse era timido), magari dissentirà da questa mia caratterizzazione.  Ma il tipo che mi sembrava di aver riconosciuto era quello. Ed è un tipo che ritrovo in altri amici miei, pur diversissimi per più di un tratto da Bobi Bazlen. Mi viene in mente, e la collego con il tipo che sto cercando di ricostruire, una indimenticabile performance di Fruttero e Lucentini in sei trasmissioni televisive, di alcuni anni fa. Gli era stato dato l'incarico di commentare per il pubblico televisivo, ogni serata, un certo numero di libri, recenti e no. Lo facevano pantofolando con grande agio e ironia da una stanza all'altra di casa Fruttero, da uno scaffale all'altro, prendendo un libro - potevano essere i Promessi Sposi, piuttosto che la Cousine Bette o Il mondo secondo Garp o invece un romanzo appena uscito - lo tenevano in mano qualche secondo, se lo mostravano scambiandosi esclamazioni di compiacimento, approva-zione, entusiasmo o visibilio appena trattenuto, raccontavano un po la trama, ma non più che in due parole, indicavano quali erano i passaggi più straordinari, da non mancare, e quando avevano riposto il libro su di un tavolo non si era ancora capito perché mai lo dovessimo ritenere un bel libro. Uno spettacolo, fatto di nien-  te, ma a modo suo esilarante.  Uscii contento degli elogi ricevuti, si è sempre contenti quando qualcuno ti dice anche solo di aver letto con interesse un testo che hai appena scritto, e che magari sei insicuro che valga; ma senza che avessi l'impressione, per dirla un po' volgarmente, di aver intascato un granché. Il saggio non mi aveva detto dove avrei potuto pubblicarlo (me ne dimenticai, e solo alcuni anni dopo Edgar Morin, a cui l'avevano dato da leggere, lo passo ai «Cahiers Madeleine Renault-Jean Louis Barrault», che lo fecero tradurre in francese e lo pubblicarono), né mi aveva fatto altre proposte di collaborazione o incontri. Insomma ero al punto diprima. Ripensavo soprattutto, andandomene verso piazza di Spa-gna, a quella specie di elogio della «non professionalità» sul quale Bazlen si era dilungato con esclamazioni e giudizi che mi argomentava e amplificava come se fosse ovvio che dovessi condividerli (e non erano giudizi estetici, in questo caso, ovviamente, ma etici; o forse, è vero, etico-estetici). Essendo al corrente delle mie peregrinazioni fuori d'Italia, ed essendo al corrente di quel mio, dopo tanto andare, essere ancora senza un mestiere (e lo avevo informato che aspettavo una risposta da Adriano Olivetti per una possibile assunzione), credette forse di mostrarmi amicizia dicendo che anche lui era stato sempre senza un me-stiere, perché appena si accorgeva che in qualche modo stava per venire imprigionato nella gabbia anche dorata di un mestiere si ritraeva, come per istintiva renitenza. E cosi che aveva sempre conservato la sua libertà, concludeva. Io sorridevo annuendo, ma senza contribuire con miei argomenti, perché di quel tipo di libertà mi sembrava di aver già goduto in eccesso, e mi sentivo ben disposto a non ritrarmi se si fosse aperta la porta di qualche gabbia dorata, come quella dell'Olivetti, appunto. Ma forse la vera ragione, di fronte al suo elogio della non professionalità, della mia renitenza ad andare al di là di quel mio annuire un po'  stac-  cato, era che quel mio testo stesso su cui ci eravamo incontrati, pur non strettamente accademico, rifletteva per me chiaramente una tensione verso qualche cosa che sarebbe proprio potuto diventare mestiere (anche se poi il mestiere che ho acquisito, o che credo di aver acquisito, è stato un po' diverso), frutto com'era di lunghi mesi di letture concentrate su un preciso tema, giornate intere alla biblioteca del Musée de l'Homme, a pranzare con un panino, storzi di chiarezza nell'esporre una tesi, rigore, o speranza di rigore, nello sceverare la letteratura antropologica attendibile da quella che non lo era. E in fondo ciò cui io ambivo era proprio di impadronirmi meglio di quel mestiere. Sarebbe ora stata interrotta, quella mia tensione, nel caso fossi entrato all'Olivetti? L'incontro con Bobi Bazlen mi aveva lasciato al punto di prima. O così mi pareva. Ma mi sbagliavo, come si vedrà.  Quando si ha, era il mio caso, un gran rispetto per le vie segrete del destino, ci si deve astenere dallo sforzo ibristico di immaginarne le tracce prima di calpestarle veramente.Una settimana o due più tardi ricevetti una lettera che mi convocava a Ivrea. Arrivai in questa città un po' sformata, cosi fuori dal mondo in cui avevo vissuto fino a qualche mese prima, ma che sarebbe stata per tre anni la mia - non so quanto capace, durante quei tre anni, di infondermi il sentimento che vi appartenessi, ma certo anche oggi, dopo più di quarant'anni, rimasta ben distinta e pesante nella mia memoria -, lasciai la valigia all'albergo Dora, che avrei imparato esser luogo celebrato nel folklore del mondo dirigenziale Olivetti per incontri, intrighi, sollazzi e imbarazzi, ritornai sui mici passi, oltrepassai la stazione, per imboccare la ben acciottolata via Jervis, costeggiai la lunghissima facciata di vetro della fabbrica, mi sembrava di scivolare lungo una pagina di «Do-mus» o «Casabella», e salii al Sancta Sanctorum, cioè negli uffici della presidenza. Adriano Olivetti era già da qualche tempo ma-  lato, mi dicono, ma intanto avrei potuto incontrare qualche diri-gente, Mi conduce prima degli altri nel suo ufficio, gentilissimo, Ignazio Weiss, direttore del Servizio pubblicità, e il primo nome che mi fa è, sorpresa! sorpresa!, quello di Bobi Bazlen, suo caro amico, mi dice, il quale gli aveva parlato di me e del bel saggio che avevo scritto. Mi fa i complimenti per i miei studi, si augura che io possa entrare all'Olivetti, ma che stessi in guardia, mi avverte, il lavoro che mi avrebbero assegnato poteva anche non corrispondere alle mie aspettative (non ne avevo), poteva essere più semplice di quello che io ero in grado di fare (e io a quel punto non mi sentivo davvero capace né di fare lavori semplici, né di farne di complicati), ma proprio per questo anche noioso e magari deludente. Incoraggiato da quell'accoglienza che lasciava prevedere un esito positivo del processo dal quale senza merito e senza manifesta volontà ero ormai risucchiato, gli strologai una complicata risposta sul fatto che anche quando i compiti appaiono più facili di quanto si sia in grado di assolvere, rappresentano pur sempre una sfida, perché il passare da impegni difficili a impegni facili può in un certo senso considerarsi cosa difficile, e via cosi in-garbugliando. Spero che abbia creduto che il mio ragionamento contenesse concetti più profondi di quelli che in realtà contene-va, poiché, tradotto in soldoni, credo consistesse nel dire niente più che quando a qualcuno fanno fare un lavoro poco interessan-te è una bella noia per lui accettarlo, e se lo accetta, ma questo punto era lasciato fuori dal concettoso ragionamento, lo fa solo perché lo pagano bene.  Poi passai nell'ufficio di Geno Pampaloni, che allora non sapevo ancora fosse colui che esercitava il vero potere nei rapporti tra il mondo della cultura e Adriano, e cioè la vera eminenza grigia di costui (o era forse soltanto eminenza ligia, come sussurravano gli infaticabili ideatori di maliziosi calembours aziendali?  Ideatori del resto non da poco, avrei ben presto imparato: erano Libero Bigiaretti, Franco Fortini, Egidio Bontante e simili, i quali si divertivano a prendere di mira più di altri proprio il povero e potente Pampaloni). Anche lui assai cordiale (ma la cordialità, si sa, è l'immancabile sigla di questo tipo di incontri), mi disse che si era andato a leggere con attenzione tutti i miei articoli su «Co-munità», che gli erano piaciuti, erano ben scritti, soprattutto le corrispondenze del 1948-49 dalla Francia, aggiunse qualche altro complimento, e poi incominciò a spiegarmi all'ingrosso cosa mi sarebbe stato chiesto di fare nel caso venissi assunto. Il presidente (incominciavo a imparare che a Ivrea questo era il nome con cui designarlo in colloqui ufficiali, «Adriano» quello parlando tra amici) voleva dare impulso a una rete di centri sociali con biblio-techine che andava creando in vari paesi del Canavese, e appoggiandosi su di queste voleva far nascere una specie di movimento culturale - non politico, diceva, anche se naturalmente Olivetti una tendenza politica l'aveva, di sinistra, ma né comunista né de-mocristiana, forse vicina a quella che era stata del Partito d'Azio-ne, e aveva appoggiato Unità popolare contro la legge truffa (era-  no, come sbagliarsi!, le stesse mie posizioni) e poi aveva le sue idee su come trasformare il governo locale, l'idea di piccole comunità, che io del resto conoscevo, e via discorrendo. Pensai che avrei capito meglio quando l'avventura fosse incominciata, e tornai a Ro-ma. Dopo pochi giorni arrivò la notizia che ero stato assunto.  Di fatto. Ma prima sembra che occorresse un ulteriore passaggio formale, e di che natura fosse me lo chiari (ma «chiarire», si vedrà subito, non è il verbo appropriato) un episodio che mi resta ruttora insondabile, e che mi limiterò a raccontare esattamente come è avvenuto (o come me lo ricordo, devo naturalmente di-  re; ma mi sforzerò di mettere all'opera tutta la mia perspicacia mnemonica, facilitato del resto dal racconto che a più di un ami-co feci immediatamente dopo, quando speravo ancora che me lo decifrassero loro). Manca ancora un colloquio con il capo del per-sonale, mi disse Pampaloni, vai nell'ufficio del dottor Z. Il dottor  Z. mi aspettava, mi fece subito entrare, si sedette al suo tavolo, mi fece sedere su di una sedia dall'altra parte del tavolo, io dissi: sono A.P., mi hanno indicato di passare da lei. Sì lo so, rispose, e mi guardò. Aspettavo che mi facesse qualche domanda, mi desse qualche istruzione, o insomma mi dicesse qualche cosa, ma lui si limitava a guardarmi. Aveva sulla bocca un sorriso stereotipato che non capivo bene se significasse incoraggiamento per me, o imbarazzo per se stesso, Io gli restituivo lo sguardo, con un dovuto sorriso timido, ma lui taceva. Cominciai a muovere lo sguardo sugli oggetti del tavolo, sempre mantenendo il sorriso timido, che non avici saputo come mutare, ma lui continuava a tacere e a sorridere enigmaticamente. Adesso mi dirà qualcosa, pensavo, è già passato qualche minuto, e spostavo di quando in quando lo sguardo anche sui mobili o sulle pareti. O forse che gli devo dire io qualcosa, mi chiedevo, ma cosa posso dirgli? I minuti passavano, il silenzio totale continuava. Forse si tratta di un test, mi dissi, vuol veder come reagisco al silenzio, come mi comporto in una situazione imbarazzante (in quei giorni si parlava molto di test strani cui venivano sottoposti futuri dirigenti aziendali, per verificare come si comportavano in situazioni inattese). Ma più che restare zitto non mi sembrava di poter fare. Forse gli devo raccontare qualcosa di me, ma se lui non mi fa domande sarebbe sgarbato da parte mia aprire il discorso. Dirgli che son contento di essere assunto all'Olivetti può essere fuori luogo, perché ufficialmente l'assunzione non si è ancora perfezionata. Così continuavo a tacere.  E taceva lui. Il mio disagio cresceva. Forse anche il suo? Come ca-pirlo, la situazione continuava ad apparire inscrutabile. Passarono diversi minuti. Quanti? Non potevo ovviamente guardare l'orologio. Erano molti, moltissimi, nella mia percezione soggetti-va. Dieci, quindici? Come finirà, mi chiedevo, cercando di rilassarmi interiormente, e aspettando la fine. Che non potrà manca-re, mi ripetevo. La frasetta che pronunciò alzandosi, l'unica, non la ricordo esattamente, sarà stata del tipo «le auguro buon lavo-ro», o «spero che si troverà bene». Mi strinse la mano e mi accompagno alla porta. Il silenzio era finito. Ero assunto alla Ico (In-  gegner Camillo Olivetti) spa. (Gli amici cui raccontai l'episodionon seppero spiegarmelo, e, stranamente, mi sembrò che non gli dessero importanza, Esclusero l'ipotesi del test. Il dottor Z. lo ritrovai anni dopo, in una circostanza anch'essa un po' imbaraz-zante, come racconterò, ma di altro tipo.)  Ero quindi diventato impiegato di un'azienda industriale di gran prestigio, con regolare contratto del settore metalmeccanico.  Quanto era esattamente il mio stipendio? 120.000 lire al mese, poi quasi subito aumentate a 140,000 se ricordo bene (nello stesso periodo sembra ci fossero stipendi, fra i dirigenti, anche cinque o sei volte superiori, e più); ma, fossero state anche meno, si trattava di uno stipendio contrattualmente stabilito, il primo di questo tipo nella mia vita. Tutto ciò senza che potessi dire di aver veramente scelto, o senza che fossi in grado di spiegare, se mi fosse capitato di aprirmi con un amico, la parte che questa vicenda poteva rappresentare in un mio progetto di vita. Forse avrei detto che si trattava di un'«esperienza», termine magico, si sa, che è sempre possibile invocare per giustificare a se stessi e accreditare di fronte agli altri ogni attraversamento di giorni difficili o strani. Almeno per chi - è per lo più il mio caso - è riluttante a sovrapporre lo schermo del «progetto di vita» alla figura velata, ma riposante, del «destino».  4. Lavoro manuale, ma non davvero  Una regola per gli impiegati nuovi assunti, esclusi gli amministra-tivi, voleva che prima di venir assegnati alla loro specifica mansione dovessero lavorare per un mese come operai. Era un modo per far loro imparare a conoscere bene l'oggetto (che allora era costituito dai vari tipi di macchine per scrivere - e che non si dicesse da scrivere, veniva raccomandato - e per calcolo) che l'organizzazione di cui entravano a far parte era impegnata a produrre e vendere. Si trattava di un'esigenza di apprendimento, per dir così terminologico, sapere cosa significavano i termini che designavano le centinaia di pezzi di cui questo o quel tipo di macchina era composto; e naturalmente sapere come funzionavano. Perché sarebbe potuto occorrere che ognuno, nel compito specifico che svolgeva, vi si dovesse riferire. Ma si trattava anche, più o meno esplicita, di un'esigenza moralistica: aver fatto provare a tutti i di-pendenti di che natura fosse il lavoro manuale della «produzione» (parola mitica, questa, del linguaggio aziendale, con connotazioni moralistiche il cui pieno valore avrei ben presto imparato ad ap-prezzare), quello da cui, come impiegati, ricevevano il contenuto ultimo del loro compito, e simbolicamente quindi parificare i lavoratori del braccio e quelli della mente. Era insomma una sorta di rito di passaggio che siglava l'appartenenza di tutti alla stessa comunità, in nome della moralità della produzione.  Cosi fui messo anch'io a lavorare manualmente in un reparto dove si aggiustavano macchine difettose. Me ne stavo seduto a un banco, insieme con qualche diecina di altri operai in un grande stanzone, a smontare e rimontare, macchine, secondo precise istruzioni, senza far nessuna fatica fisica, e semmai, soprattutto all'inizio, con qualche fatica intellettuale perché dovevo sforzarmi di capire le istruzioni che ricevevo su come andavano rimessi insieme tutti quei pezzi. Non c'erano costrizioni temporali per completare la mia parte di lavoro. Avevo anche pochi rapporti con gli operai che lì intorno facevano, meglio di me, il mio stesso lavoro, e l'unica cosa che mi accomunava a loro era la bottiglietta di chinotto, bevanda di cui avevo ignorato l'esistenza fino a quel giorno, e che adesso avevo imparato a tenere sul bancone vicino alla macchina, sorseggiandola di tanto in tanto; e non perché avessi sete, ma perché mi permetteva, facendo finta di bere, ma in realtà limitandomi a bagnare la lingua, di interrompere di tanto in tanto il lavoro. Insomma, non sentivo di essere coinvolto in un esperimento serio. L'unica costrizione, importante è vero, viste le mie abitudini parigine, era quella di entrare in fabbrica e firmare il cartellino alle sette e trenta in punto. La sveglia mattutina, le otto ore di lavoro giornaliero, l'andarmi a coricare presto la sera, la sospensione del lavoro intellettuale, avevano così ben regolarizzato il mio ritmo fisico, che in un mese, ricordo esattamente, ingrassai di due chili (da 60 a 62, o da 62 a 64, non ricordo esatta-mente, ma giù di li). Davvero non un'esperienza stremante.  In quei giorni so che anche in altre fabbriche era d'uso la stessa pratica di iniziazione degli impiegati nella comunità aziendale.  E probabile che da tempo se ne sia perso ovunque, nonché l'uso, il ricordo. Già all'Olivetti quando vi fui sottoposto io era molto discussa per quella vaga tinta di ipocrisia che la colorava. È vero che se fosse stata fatta seriamente avrebbe accresciuto fra gli altrimembri della comunità aziendale la conoscenza delle condizioni in cui lavoravano gli operai. Lavorare al montaggio, per esempio, sotto costrizione di tempo, poteva dar l'idea di che cosa si provasse a fare quel lavoro - ma questo, d'altra parte era difficile chiederlo a impiegati nuovi assunti, che avrebbero ritardato il lavoro della linea (quella che in linguaggio giornalistico si chiamava a quer tempi la «catena») in cui li si tosse inseriti. L'ipocrisia stava nel far credere che chi lavora in un posto sapendo che ci resterà solo un mese, passi attraverso la stessa esperienza di chi lavora a quello stesso posto ma sapendo che ci resterà anni. E inoltre nel voler credere che l'esperienza operaia che contava fosse quella delle condizioni tecnologiche, che si fa durante le ore passate sul luogo del lavoro, e non quella delle condizioni economiche, che si fa sui luoghi della vita, nelle ore dell'intera giornata e degli anni.  Una mattina chiesi un permesso, dissi che dovevo andare in un ufficio lontano, o qualcosa di simile, sarei stato via una mezz'oret-ta, e appena fuori mi intrufolai invece, quasi di soppiatto, nella bi-blioteca, che era proprio li, vicino all'uscita dell'officina dove la-  voravo. Avevo voglia di interrompere quelle ore di forzata assenza di pensiero con un minima parentesi di attenzione intellettua-le. Mi ricordo ancora nitidamente cosa lessi: era il dibattito, in «Nuovi Argomenti» e in un altro paio di riviste appena uscite, tra Ernesto De Martino e i suoi critici, sull'antropologia, se dovesse essere storicistica o meno. Era estraniante leggere di questo dibattito tra un montaggio di macchine e un altro. Ma era estraniante per me anche per un'altra ragione. Negli anni precedenti in cui, a Hautes Études, i miei studi erano stati essenzialmente di antropologia culturale, mai mi ero trovato di fronte a un dibattito di quel tipo, così lontano dalla letteratura antropologica inter-nazionale, così impasticciato di terminologia crociana, preoccupato più di definire i rapporti con Croce che con la ricerca che si sviluppava nelle discipline antropologiche dove queste erano più avanzate e scaltrite. Per cui, scuotendo la testa, tornai in officina, più incerto che mai su cosa sarebbe successo di me in questo sovrapporsi di mondi diversi.  Dopo circa un mese, si avvicinava la fine del rito di passaggio, Pampaloni mi chiamò e mi disse che lo si poteva concludere e che mi avrebbe mandato in giro per il Canavese, sotto la guida di un dirigente locale del Movimento di Comunità, per farmi visitare lebiblioteche comunali che si stavano organizzando, più qualche altra delle iniziative del Movimento. Si sarebbe trattato di una specie di ispezione e alla fine avrei dovuto scrivere un rapporto. Durante questa esperienza di visite «sul campo», che durarono qualche settimana, mi furono presentate altre persone che avrebbero potuto orientarmi sulla realtà sociale della fabbrica. Mi accorsi ben presto che sia l'ambiente dirigenziale, sia quello intellettuale, intorno ad Adriano Olivetti, erano radicalmente divisi. Chi mi prese per mano a farmi percorrere e ricostruire i nervi del governo olivettiano, che Pampaloni si limitava a delinearmi a fior di pel-le, fu Franco Momigliano, che allora reggeva quella che si chiamava la Direzione delle relazioni interne, comprendente Servizio del personale, Servizi sociali e altre funzioni affini.  Momigliano era responsabile sindacale del Partito d'Azione quando conobbe Adriano Olivetti, che lo assunse per occuparsi delle relazioni del personale nella fabbrica di Ivrea, Era un liberal-socialista, di colorazione vagamente marxista, ma senza nessuna ortodossia, semplicemente incline a quella generica concezione economicistica, che più o meno tutti avevamo nella pelle in quel periodo. Le categorie con cui analizzava la situazione della fabbrica e dei rapporti tra proprietà e maestranze mi sembrarono subito molto familiari ed efficaci, le conclusioni dell'analisi, però, ina-spettate. Per spiegare il senso della mia sorpresa sarà utile che io qui ricostruisca l'atmosfera di quegli anni nell'industria italiana.  5. L'eccezionalismo olivettiano  Erano gli anni di quella che si può convenire di chiamare, col gergo allora usato, la «controffensiva padronale». Le elezioni del 1953, con il fallimento della cosiddetta «legge truffa», avevano bloccato il tentativo politico di emarginare le sinistre e di escluderle da ogni interferenza sul governo del paese. Ma l'esigenza di chi guidava la ricostruzione capitalistica dell'economia restava quella di annullare, nei luoghi della produzione, l'autonomia che le maestranze avevano conquistato durante gli anni immediatamente successivi alla liberazione. L'offensiva fallita a livello elettorale si era quindi diretta verso i luoghi dove si concentrava la classe operaia di persuasione comunista. Lo richiedevano le esi-genze del buon ordine produttivo, lo richiedevano soprattutto gli Stati Uniti, che erano indignati, come si sforzava di far capire la famigerata ambasciatrice Vera Luce, che nelle fabbriche italiane, anche quelle che godevano di commesse americane, gli operai fossero rappresentati da sindacalisti comunisti o loro alleati. O così almeno sembrava, e si diceva. Anche se una domanda era lecita: erano veramente gli americani, cioè gli uomini d'affari americani che trattavano con gli italiani, a essere così preoccupati, o non piuttosto gli industriali italiani che volevano far intendere che fossero gli americani a premere in quel senso? Mi ricordo che mi posi la questione un giorno - alcuni mesi dopo che ero arrivato - quando Pampaloni, nel discutere i risultati delle elezioni della Commissione interna, che avevano di nuovo registrato una maggioranza della Cgil, mi disse con tono allusivo, quasi fosse una cosa di cui non bisognava parlare in giro, che questo risultato avrebbe creato difficoltà all'Olivetti con gli americani. Lì per lì rimasi impressio-nato, ma subito dopo mi chiesi se quell'aria di segreto non avesse proprio lo scopo di farmi andare in giro a divulgare la notizia. Ero però, lo sappiamo oggi, più diffidente del necessario, e avrei dovuto credere alle convergenti allusioni di parte padronale e rumorose denunce delle sinistre: il ricatto americano c'era, ed era esplicito e pesante, e operava, fra l'altro, condizionando le commesse alle fabbriche italiane (ma l'Olivetti ne aveva meno bisogno di al-tre) e soprattutto della Fiat, alla loro capacità di eliminare l'ege-monia della Cgil nelle commissioni interne e fra le maestranze!  Sostanzialmente il risultato che si voleva ottenere in quegli anni era quindi la pace sociale nei luoghi della produzione, anche a costo di accettare una limitata forma di condivisione del poterecon l'opposizione nei luoghi istituzionali. Condivisione (si sarebbe chiamata poi, negli anni Settanta, «consociativismo», quando il fenomeno divenne più esplicito) che era inevitabile: la Costituzione repubblicana assegnava al Parlamento un ruolo centrale, così che una minoranza forte, com'era quella delle sinistre già in quegli anni, era in grado, volendolo, di bloccare i lavori parlamentari e quindi l'opera del governo; senza contare il potere di scambio che poteva far pesare sulla bilancia un partito che controllava le regioni rosse. Scambi di favori legislativi e amministra-tivi, al centro e alla periferia, tra maggioranza e opposizione, servivano a smussare il conflitto, che sarebbe diventato drammatico se si fosse messo in opera con coerenza quanto era contenuto nelle premesse dell'ideologia proclamata. Certo, servivano anche per, come dire, ingrassare la macchina della politica, e ci potevano guadagnare gli uni e gli altri, pur a spese della maggioranza dei cittadini, Dapprima limitati e coperti, più tardi, negli anni Settan-  ta, tali rapporti sarebbero diventati la regola.  Nelle fabbriche, invece, gli interessi si contrapponevano con immediatezza e l'offensiva era senza quartiere, probabilmente anche animata da personali sentimenti di vendetta da parte delle dirigenze industriali che, nei non lontani anni successivi alla libera-zione, avevano visto sfidata la loro autorità, quando non anche ferita la loro dignità. Da qui, in molte di esse, il moltiplicarsi di licenziamenti arbitrari di membri di Commissione interna e di attivisti sindacali in genere (fu a proposito di uno di questi casi che udii in quegli anni per la prima volta il nome di un operaio della Riv, che, quindici o venti anni dopo, mi sarebbe diventato collega e molto amico, Aris Accornero), e anche di umiliazioni agli operai comunisti, messi a spazzare i locali quando magari erano vecchi operai abili nel loro lavoro specializzato, e contemporaneamente di corruzione di sindacalisti. Leggendaria in quegli anni era la vicenda del cosiddetto «reparto confino» (ufficialmente  Officina sussidiaria ricambi) della Fiat. La direzione vi aveva raccolto gli operai sindacalmente attivi, quasi tutti comunisti, isolandoli completamente dal resto delle maestranze, obbligandoli, operai qualificati o specializzati che erano, ai lavori più umili e inutili e sottoponendoli ad angherie di ogni genere.  Questi metodi erano possibili sia perché perdurava (e andrà avanti almeno fino ai primi anni Sessanta) una disoccupazioneche, pur decrescente, era sufficiente a mantenere alto, per un ope-raio, il timore di perdere il posto; sia perché, come ho accennato prima, si era formata una separazione tra livello politico e livello sindacal-industriale nella strategia dell'opposizione. Come avrei imparato ben presto, appena entrato in contatto con gli ambienti della Cgil, e come mi era stato invece assolutamente impossibile capire quando vivevo all'esterno del mondo industriale, il Partito comunista si interessava della situazione delle fabbriche meno di quanto i sindacalisti di base, che erano isolati e depressi e in perdita di consenso (era iniziata la serie di sconfitte nelle elezioni per le commissioni interne sui luoghi di lavoro), sentivano di aver bi-sogno. Togliatti viene a Torino e ci parla della situazione interna-zionale, mentre alla Fiat funziona il reparto confino, mi disse un giorno un sindacalista comunista. E ricordo ancora vividamente, alla fine degli anni Cinquanta, quando partecipavo a un semina-tio organizzato dalla Società umanitaria nella sua sede di Meina, con quadri operai della Cgil, il racconto di un operaio comunista che qualche anno prima era stato arrestato dalla polizia di Scelba.  Mi rimane nella memoria la sua particolareggiata descrizione delle torture che la polizia infliggeva agli arrestati: alcuni venivano picchiati, ad altri schiacciavano i testicoli, mi preciso.  In questo clima generale la Olivetti era l'eccezione. Non licenziamenti arbitrari, non reparti confino, non maltrattamenti psicologici di operai, non corruzione di sindacalisti, non interruzione degli incontri regolari tra la direzione e la Commissione in-  terna, nella quale continuava a venir eletta una maggioranza della Cgil, senza che la direzione prendesse provvedimenti repressi-vi, come appunto era comune in altre fabbriche. Assunto in maniera così improvvisa ed enigmatica in questa azienda, ero curioso di capire a cosa fosse dovuta la sua eccezionalità, di cui avevo già sentito parlare. Soltanto alla bontà e onestà del padrone?  Al suo successo economico che sembrava folgorante? I colloqui che avevo con Momigliano (e naturalmente anche con altri «in-  tellettuali di fabbrica», che un po' alla volta venivo a conoscere, soprattutto Michele Ranchetti, che era l'assistente di Momiglia-no, e poi Libero Bigiaretti, Luciano Codignola, Roberto Gui-  ducci, Antonio Carbonaro, Luigi Ortina, che era il capo dell'ot-ficina in cui avevo svolto il mio tirocinio di lavoro materiale, e lui stesso figlio di un imprenditore, e qualche altro), mi permette-vano un po' alla volta non solo di dare una prima risposta all'ingenuo quesito iniziale, ma anche di delineare un quadro per molti versi inaspettato.  La tradizione di buoni rapporti tra padrone e maestranze risaliva ai tempi di Camillo Olivetti, fondatore dell'azienda e padre di Adriano. Ingegnere geniale, imprenditore ardito, padrone bona-rio, di idee socialiste (aveva organizzato la fuga di Turati in Svizzera nel 1926), la sua grande figura barbuta era rimasta leggendaria tra i vecchi operai, e più d'uno, quando cominciai ad andare in giro per la fabbrica per il mio lavoro, mi raccontava in tono affettuoso buffi aneddoti su questo vecchio, morto una decina di anni prima. Adriano, al suo ritorno dalla Svizzera dopo la guerra, aveva ripreso in mano l'azienda (che durante gli anni di guerra era stata diretta dall'ingegner Gino Martinoli, altro dirigente industriale di riconosciuto carisma, fratello della moglie di Adriano) e continuato una politica di buone relazioni con il personale. Adriano aveva, sì, dato un forte apporto innovativo all'azienda nella riorganizzazione degli anni Trenta e continuava a darlo soprattutto con le sue intuizioni originali nel campo pubblicitario e delle relazioni pubbliche, ma la considerava piuttosto uno strumento per i suoi interessi di natura generalmente cultural-politica. O almeno, questo era il rimprovero che dall'interno dell'azienda gli veniva fatto, soprattutto da quello che si poteva chiamare il partito degli ingegneri. Non che costoro fossero nella loro maggioranza reazionari e mirassero ad assimilare lo stile dei rapporti politici interni all'Olivetti a quello delle altre grandi aziende italiane. Si trattava di dirigenti in gran parte selezionati da Camillo, i più vec-chi, o dallo stesso Adriano, o da altri selezionatori che condividevano le sue posizioni. Ma essi ritenevano che Adriano sacrificasse l'efficienza della fabbrica ai suoi scopi di innovatore culturale, e questi li giudicavano un po' troppo grandiosi, sia in relazione alla realtà eporediese (imparai allora che questo era l'aggettivo che si riferiva alla città di Ivrea), che Adriano voleva trasformare facendone un laboratorio esemplare di buon governo locale, sia soprattutto in relazione alle sue ambizioni di giocare un ruolo trascinatore nel mondo della cultura italiana e internazionale.  Chi difendeva Adriano sosteneva che l'attività culturale di Oli-vetti, i suoi rapporti con il mondo dell'arte, dell'architettura e dell'urbanistica, cosi come delle scienze sociali e della letteratura,producevano una tale ricaduta pubblicitaria, che tutto quello che veniva sottratto agli investimenti in fabbrica ritornava dall'espansione di mercato che in quel modo si otteneva. Mi ricordo che un giorno un operaio con il quale parlavo dei progetti di Adriano mi obiettò, non capii se con ingenuità o con cinismo, che tutto quello che si faceva era buona pubblicità che serviva all'azienda, perché in fondo, cosa produceva la fabbrica? macchine per scrivere, no? e chi doveva comprarle, se non quella gente li, gli intellettua-li, insomma! Altri sostenevano che soltanto rendendo la città di Ivrea sopportabile a una borghesia colta si poteva far accettare al tecnici d'elite di cui una fabbrica così avanzata aveva bisogno il sacrificio di abitarvi (non c'erano ancora autostrade in quegli anni e la pendolarità con Torino non era pensabile). Ma erano, come si vede, poco convincenti, o in ogni caso parzialissime, giustificazioni funzionaliste.  6. Dialettica contro paternalismo  L'analisi di Momigliano muoveva da sinistra, ma concludeva su posizioni che lo collocavano in qualche modo sulla stessa linea del partito degli ingegneri. La sua critica era rivolta al paternalismo implicito, anche se accorto e non sfacciato, di Adriano. Adriano, per i suoi fini, a volte dà agli operai anche quanto non chiedono, mi diceva. In questo modo implicitamente li corrompe, desta il sentimento di gratitudine, e per gli operai non è bene sentirsi legati da gratitudine al padrone. Questi operai finiscono per essere non soltanto dei privilegiati, ma anche dei viziati. Mi citò una volta un episodio di alcuni rappresentanti operai della Cgil (di tendenza anarchica, se ricordo bene) che dovevano andare a Torino al funerale di un sindacalista eroe della resistenza. Sai cosa hanno chiesto alla direzione? esclamò: di essere portati a Torino con una macchina dell'azienda! Te li immagini operai anarchici o comunisti di quaranta o cinquanta anni fa chiedere favori di questo tipo al «nemico di classe»!  Occorreva invece, mi diceva, che i dipendenti dell'azienda si ponessero con la direzione in rapporto dialettico (decisamente avrei dovuto riabituarmi all'uso abbondantemente polisemico di questo termine che avevo imparato come servisse ai miei amicifrancesi per ironizzare sul linguaggio politico italiano), attraverso i loro rappresentanti, che questi avanzassero le loro rivendicazio-ni, e se la direzione gliele concedeva, bene; se no, e se se la senti-vano, che entrassero in vertenza. La direzione, d'altra parte, doveva dare quello che il mercato le permetteva di dare, non offrire il non richiesto, soltanto perché in certi momenti il padrone aveva determinati motivi di politica personale per fare il generoso. Il mio compito qui, mi diceva, è di governare il personale facendo gli interessi di questa azienda sul mercato, e insieme rendere possibile ai dipendenti di perseguire gli interessi loro autonomamen-te, assicurando, fino a che mi è possibile, che non vengano alterate le regole del gioco: e cioè impedendo sia ogni forma di repressione sindacale, come quelle che si verificano nelle altre fabbriche italiane; sia ogni forma di corruzione dei dipendenti da parte del padrone. (Fu del resto in uno di questi colloqui che mi accenno alla possibilità, ancora non ben definita, che Adriano intendesse formare un suo sindacato, inglobando, che in termini crudi voleva dire comprando, quello che restava della Uil locale, collegarlo con il Movimento di Comunità e cosi rovesciare l'egemonia della Cgil. In questo caso lui si sarebbe rifiutato di concedere qualsiasi trattamento di favore a questo nuovo sindacato padronale, anche se Adriano, come era probabile, glielo avesse chiesto.) In altre pa-role, Momigliano vedeva il suo ruolo come quello del rigido guardiano delle regole quali l'ordine giuridico del capitalismo le aveva stabilite. All'interno di quest'ordine i capitalisti dovevano fare i capitalisti, gli operai fare gli operai, e formarsi la loro coscienza di classe antagonista grazie al confronto, appunto, dialettico nelle trattative sindacali.  Mentre mi esponeva le sue idee non mi fu difficile riconoscerle come quelle di un lettore assiduo di Sorel (io stesso lo ero sta-to). Glielo dissi, e riconobbe infatti non soltanto che da giovane aveva letto appassionatamente Sorel, ma che suo padre era stato sindacalista rivoluzionario e seguace del pensatore francese. Non gli dissi invece che la sua strategia mi ricordava un'altra figura, di cui probabilmente lui non aveva sentito il nome (e mi sarebbe stato troppo complicato, e non interamente lusinghiero, illustrar-glielo), quella di Bug Jargal, il protagonista di 1793, il romanzo di Victor Hugo sulla rivoluzione di Haiti. Bug Jargal era il capo-ciur-ma dei lavoratori schiavi del maggiore proprietario agricolo delpaese. Esercitava il suo compito in nome del padrone, nella maniera più rigida e crudele, non risparmiava una sola delle fustigazioni o altre punizioni che la legge del luogo prescriveva, e verso la quale in tal modo attirava l'odio degli schiavi. Quando la rivoluzione scoppia, viene alla luce che Bug Jargal ne era l'ideatore e il cape. E il successo della rivoluzione sarà dovuto proprio all'odio contro i padroni stranieri che i modi tirannici di Bug Jargal avevano contribuito ad attizzare tra la popolazione. Non leggo quel romanzo da oltre cinquant'anni, e forse il mio riassunto non corrisponde esattamente alla trama, ma cosi me la ricordo, e cosi è rimasta in me da allora come metafora del dilemma drammatico di chi vuol conseguire il bene passando per il male, e, più precisa-  mente, di chi vuol risvegliare la coscienza di quelli che ama, presentandosi come il male che in tal modo, facendosi odiare, insegna a odiare. Dilemma che si affaccia, anche se copertamente, in più di un rapporto, che voglia essere eroico, di amore e formazio-ne, fra genitore e figlio, per esempio, o fra maestro e allievo, che Nietzsche più di ogni altro ha scandagliato, e che Sorel appunto ha saputo intravedere anche nella costruzione della politica rivo-luzionaria. Naturalmente l'abbraccio in cui scoprivo allacciati gli operai dell'Olivetti e il direttore Momigliano non aveva questa drammaticità. Non solo perché Momigliano non faceva fustigare nessun operaio, né, fosse anche venuto il momento, avrebbe capeggiato nessuna rivoluzione, ma soprattutto perché le regole cui quei rapporti con il personale ubbidivano non istigavano odi né impulsi rivoluzionari. Il merito di Momigliano era appunto quello di saper mantenere i rapporti su quel tono di corretta intransigenza e di osservanza di regole trasparenti.  Ammiravo Momigliano e lo sentivo congeniale quando discu-tevamo. Mi piaceva la sua moralità secca, senza pleonastici ricami ideologici o fervori umanitari, una moralità laica per eccellenza. II realismo delle sue analisi derivava dalle categorie economiche che usava per determinare i moventi dell'agire dei soggetti con i quali aveva a che fare, il realismo delle sue scelte personali derivava dalle categorie giuridiche che usava per definire i ruoli suo e degli altri. Pensavo che fosse giusto il suo modo di vedere la situazione e il modo di muoversi in essa. Che poi occorresse anche prevenire che tra gli operai nascesse gratitudine verso il padrone mi giungeva come un giudizio rivelatore cui non mi era difficile ade-rire in teoria (avevo già a suo tempo riflettuto sul caso Bug Jargal), ma sul quale potevo aver qualche esitazione in pratica. L'opposizione al formarsi di qualsiasi sindacato giallo, invece, coincideva con le mie convinzioni di sempre, e non avevo dubbi che sarei stato dalla parte di Momigliano e contro Adriano se l'evento si fosse verificato (e vedremo che cosi fu).  7. Rifiuto Comunità  Queste analisi della situazione politica della fabbrica influenzavano ovviamente l'animo con cui stavo conducendo il mio compito di ispezione dei centri comunitari del Canavese. Certo non era senza una qualche attrazione per un intellettuale capitare in quel di Aglie o Pavone o Strambino (eravamo, si ricordi, nel 1953) ed entrare in una sala pulita e ben illuminata, con tavoli e seggiole, a volte anche qualche persona che leggeva, e vedere negli scaffali alle pareti allineati i volumi delle edizioni Einaudi o Laterza o Editori Riuniti o altri di quel genere. Ma poi parlavo con il responsabile del centro e mi accorgevo che non molto vi succedeva, che se c'era qualche segno di vita associativa, mostrava ben poca vivacità e autonomia, e che se un significato poteva avere la presenza di quella biblioteca in quel paesetto, era, oltre che di farci venire al sabato qualche operaio della fabbrica che pendolava gli altri giorni con Ivrea, quello di attrarvi qualche giovane che in fabbrica non ci andava ancora, ma sperava di potersi far assumere un giorno proprio grazie al mostrarsi interessato alle attività del centro co-  munitario del suo paese,  Segretario del Movimento di Comunità del Canavese era allora Barolini, uno scrittore colto e gentile, sposato a un'americana, il quale non aveva più voglia di fare quel mestiere e voleva tor-narsene in America (probabilmente, ma non ricordo bene, con una posizione nella Olivetti americana, che si andava sviluppando in quegli anni). Si era mostrato subito cordialissimo con me; capii più tardi, però, scontata la sua naturale gentilezza, il senso di quella cordialità immediata, quando mi accorsi che Adriano, o, meglio, Pampaloni, aveva in mente di offrire a me la sua carica, e Barolini non vedeva di meglio che qualcuno arrivasse presto a so-stituirlo. Ma un po' per le ragioni che ho già detto, un po' per co-me nel frattempo, con l'aiuto di Momigliano e degli altri amici, riuscivo, o mi sembrava di riuscire, ad analizzare la situazione complessiva, e in particolare i rapporti tra il movimento culturale e l'azienda in quanto tale, io andavo rapportando a Pampaloni valutazioni abbastanza negative di quello che osservavo, e quando a un certo punto, dopo qualche settimana, lui mi propose di diventare segretario di Comunità nel Canavese e impegnarmi a risollevare la situazione trovando modi di ravvivare l'attività dei centri, gli risposi che non ero interessato e che preferivo svolgere qualche compito nel quadro dell'azienda vera e propria. Mi ricordo che alla fine di quel colloquio alzò la cornetta del telefono, chiamò Momigliano e gli disse: «Hai vinto tu anche questa volta». Poi continuò dicendo che ora si poneva la questione di assegnarmi qualche mansione nell'organizzazione aziendale e che a questo doveva pensarci la Direzione delle relazioni interne, quindi lui,  Momigliano.  A guardar bene, questa mia vicenda era stata scandita da un doppia finzione. Olivetti mi aveva assunto per un compito che al momento di assumermi non aveva chiarito bene in che cosa con-sistesse, e questo perché non voleva farmi capire che, con uno sti--pendio pagato dalla società, in realtà voleva farmi svolgere un lavoro funzionale ai suoi fini privati, che poi sarebbero diventati, nel lungo periodo, fini politici. Né era stato molto più trasparente Pampaloni quando mi aveva indicato il compito specifico per quelle prime settimane di rodaggio. Io d'altra parte, rifiutando un incarico che si era andato chiarendo dopo che ero stato assunto e assunto con un contratto di impiegato metalmeccanico, mi facevo forte della posizione sicura in cui ero stato messo da quel con-  tratto. Mi sono spesso domandato se avrei avuto lo stesso coraggio di rifiutare nel caso in cui l'alternativa fosse stata non il riassorbimento nell'organizzazione aziendale, bensi il licenziamento e quindi la disoccupazione nuda e cruda. (Vero è che, come racconterò fra poco, la scelta mi si ripresento implicitamente tre anni dopo, e non esitai a scegliere una assai probabile, e poi, ahimè!, realizzatasi, condizione di disoccupato. Ma allora erano passati tre anni decisivi, in cui mi ero rafforzato, avevo acquistato amici che sapevano apprezzare le scelte che facevo, non ero più il tremante studente di Hautes Études, che aveva appena lasciato la buia stanza dell'Hotel Marignan, in rue du Sommerard, nel Cinquième.)In ogni caso presi quella decisione senza troppo riflettere sulle conseguenze. L'unica difficoltà fu nel rimanere fermamente negativo durante il colloquio con Pampaloni, per il quale provavo simpatia, anche se di un tipo del tutto diverso da quella che provavo per Momigliano. Come del resto diversissime erano le due personalità. Di finissima cultura letteraria ed elegante critico, a Pampaloni era del tutto estranea la moralità contrattualistica rigorosa che guidava Momigliano. Non mirava a metterti con le spalle al muro per via di logica, piuttosto a sedurti con allusioni, ed era dovuto probabilmente a questo stile il suo successo con Adriano, del cui cuore tenne in mano per un periodo entrambe le chiavi. Sembrava allo stesso tempo capace di tortuose strategie volte all'accrescimento del suo potere e di autodistruttivi, imbarazzanti coinvolgimenti sentimentali. E l'avversione che poteva provocare il suo machiavellismo veniva coperta dalla simpatia con cui si guardava alla sua ingenuità, in fondo generosa. Cattolico di sinistra tormentato, quasi figura uscita da un romanzo di Berna-nos o di Mauriac, non era chiaro se si trovasse più a suo agio nei nidi di vipere o nei nidi di colombe. Lui, a dir il vero, preferiva dichiarare la sua ispirazione a Péguy, il cui cattolicesimo impegnato e vicino a idee socialiste offriva un modello di più immediato riferimento per il mondo entro il quale Pampaloni in quegli anni voleva muoversi. Ma sia il suo stile letterario - così diverso dal tono alto, a respiri lunghi, di Péguy - sia le vicende politiche e giornalistiche in cui finirà per trovarsi coinvolto, hanno finito per pot-tarlo lontano anni luce dall'immagine eroico-sacrificale che ci è rimasta dello scrittore francese. A lungo rimasi incerto su come va-lutarlo, o, meglio, su come capirlo. Qualche hanno fa vidi in libreria e immediatamente comprai un suo libro, Fedele alle amici-zie, che è una raccolta di suoi articoli ordinati in modo da comporre una specie di autobiografia. Ritrovai la sua prosa sapientemente evocativa, lo stretto controllo di ogni narcisismo, il suo raccogliere le «cose viste» e offrirle come un servizio al lettore. Un lungo pezzo sulla «saga degli Olivetti», impeccabile per le cose che diceva, deludente per quelle che taceva, lui che tanto aveva visto e avrebbe potuto dire, Allora capii qualcosa del suo doppio modo di stare al mondo. Quello di viverne, senza troppo discrimina-re, le strategie, gli intrighi, come anche gli impegni generosi di parte e di amicizia; e quello, invece, di rappresentarlo agli altri at-traverso la letteratura, scegliendo con tocchi leggeri ed evocativi gli aspetti che proteggano il lettore, e in conclusione se stesso, da ogni scavo della realtà che sia un po' meno accessibile di quella che non sta proprio li sotto i nostri occhi. Cosi evita possibili drammatizzanti faccia a faccia con l'inaspettato e il discrepante, e può invece passare alla pagina che segue con il sorriso dell'accomodante e un po' ironica nostalgia. Non so se ho raccolto i frammenti giusti di questa persona che in fondo ho conosciuto assai poco. So però che le due o tre volte che lo reincontrai dopo Ivrea provai una non forzata simpatia, e che quando mi disse che aveva letto alcuni mici scritti e me li elogiò, me ne inorgoglii.  8. Spiegare la fabbrica  Ero rimasto senza compiti precisi e Momigliano ebbe l'idea di af-fidarmene uno nel quale erano falliti, nel corso degli anni, tutti quelli che ci si erano provati: redigere il manuale di fabbrica. Molte aziende americane, e qualche azienda italiana, avevano pubbli-cato, in una forma o nell'altra, e distribuito ai dipendenti, un li-bretto, la cui funzione consisteva nel cercar di far conoscere agli operai la fabbrica nella sua complessità; con l'idea che, al di la di quel settore con cui ognuno si trovava direttamente in contatto per le sue mansioni, l'insieme della struttura produttiva era probabile restasse a molti abbastanza misteriosa. Cosi l'operaio si sarebbe sentito parte della fabbrica, e chissà che anche la produttività non ne avrebbe ricevuto vantaggio. O cosi si immaginava potesse essere. La gran parte delle aziende italiane mancava di questo manuale perché non era interessata, anzi probabilmente era contraria, a che gli operai avessero una conoscenza della fabbrica più ampia di quella strettamente funzionale al loro lavoro specifi-co. I sindacati d'altra parte temevano che l'azienda descrivesse la realtà della fabbrica in maniera diversa da come la descrivevano loro, e gli sottraessero quel monopolio, per dir così, delle definizioni della realtà produttiva che per lo più detenevano. All'Oli-vetti, invece, più di un dirigente, e Adriano stesso, ritenevano utile che l'azienda si fornisse di un simile strumento, ma i timori su come esso si potesse presentare erano molti, e così i timori che i sindacati reagissero negativamente, e ne nascessero grane inutili.Momigliano mi illustrò tutte queste difficoltà, mi raccontò dei vari tentativi andati a male, mi forni una pila di manuali di fabbriche americane di vario genere e di altra documentazione già esistente sull'Olivetti e mi elencò le qualità che il prodotto che mi era stato affidato doveva possedere. Doveva essere assolutamente obiettivo e neutro, senza valutazioni negative o positive di questa o quella situazione lavorativa, doveva descrivere le diverse componenti del processo produttivo e i rapporti di interdipendenza fra di esse, e la loro rispettiva posizione nel flusso della progetta-zione, fabbricazione, montaggio e distribuzione del prodotto.  Linguaggio secco, senza fioriture e tanto meno imbonimenti (di cui abbondavano i manuali americani che mi lessi rapidamente senza troppo frutto) e tecnicamente preciso, ma semplice, alla portata di un operaio comune. Mi son chiesto poi se Momigliano, che già nell'illustrarmi le difficoltà aveva a malapena nascosto il suo pessimismo sulla realizzabilità dell'impresa, non avesse gia deciso che quel manuale era meglio non si facesse, e mi avesse proposto di lavorarci per trovarmi un compito che mi tenesse nella sua Direzione, e nel frattempo mi permettesse di impadronirmi dei dettagli dell'organizzazione aziendale, Avrei infatti dovuto andare in giro per la fabbrica, capire la natura delle lavorazioni e della logica produttiva, parlare con chiunque potesse farmi capire questo o quell'aspetto dell'organizzazione aziendale, ingegneri, capi intermedi e operai (ma con gli operai non avrei potuto parlare senza passare per il capo reparto), e discutere sia del loro lavoro specifico, sia della visione d'insieme che si facevano dell'organizzazione e della posizione produttiva in cui erano collocati.  Di tutte queste informazioni, era il compito, traessi l'essenza e mi mettessi a scrivere un limpido manualetto! Mi fu subito chiaro che, qualunque fosse stato l'esito, il valore di apprendimento che avrebbe avuto per me il compito in cui stavo impegnandomi sarebbe stato assai superiore al possibile valore che il prodotto avrebbe potuto avere se mai fosse arrivato nelle mani di altri.  Avevo tutte le ragioni visibili di mettermi all'opera con entu-siasmo. Se ne aggiungeva però anche una invisibile, che la memoria è ora quasi riluttante a far affiorare tanto si presenta con la parvenza di un'improbabile testimonianza di ingenuità. Ma tant'è, perché ancora una volta non cedere alla sollecitazione maieuticache ogni scrivere del proprio passato esercita sui sentimenti più  remoti?  La ragione cui mi riferisco è questa. Intorno ai sedici-vent'an-ni (spero di non sbagliarmi troppo indicando quell'età) io mi ritrovai a provare un intenso e, ora mi sembra, inspiegabile e quasi incredibile desiderio di capire esattamente, voglio dire, nel dettaglio dei gesti, in che cosa consistessero esattamente gli atti del «la-  vorare». Non avevo infatti mai visto una persona nell'atto di fare un lavoro produttivo. Del resto l'attributo «produttivo» è troppo specifico, e non credo che allora mi fosse presente. Era il lavoro fisico in quanto tale che non sapevo che apparenza avesse. Si noti che a quell'età, differentemente da tanti mici compagni, trovandomi in Eritrea del tutto isolato per molti anni dalla mia famiglia, io avevo già lavorato per guadagno, avevo lavorato come dattilografo in uno studio di avvocato, poi come produttore di una piccola agenzia di pubblicità, avevo fatto il capo-magazzino e capo-  zona in un'organizzazione di lotta contro le cavallette nel bassopiano sudanese, avevo dato lezioni private di storia e filosofia per il liceo. Ma evidentemente non consideravo che quello fosse lavo-ro. Né, prima, consideravo che tosse lavoro quello che vedevo tate a mio padre, o a tutti quelli che lavoravano con lui negli uffici che, quando andavo a prenderlo, visitavo. Si potrebbe quasi dire che avessi - e senza averlo ricevuto dai libri, perché nessuno mi aveva certo spiegato Marx al liceo - un senso innato della distinzione marxiana tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo. Di che gesti era fatto, insomma, il lavoro materiale? Gli anni passati all'università tra filosofi o a Vienna tra artisti o a Parigi tra antropologi e antichisti non solo non mi avevano ovviamente dato la risposta (eppure era solo un'immagine che chiedevo, non avrei avuto bisogno dopo tutto di vedere più che qualche documentario, ma a quei tempi non ne giravano su questo tema, o erano irreali-stici); ma avevano semmai ispessito l'arcano di quella mia curio-sità. Ecco che ora mi veniva assegnato proprio il compito di descrivere il lavoro materiale dell'uomo, e nella sua forma più mo-derna. Avrei non soltanto osservato la variegata tipologia dei possibili gesti del lavoro, ma avrei imparato che esistono metodi per descriverli e misurarli scientificamente (sarei cioè entrato in contatto con quella sorta di metalavoro che svolgono coloro che operano all'Ufficio tempi e metodi, di cui incominciavo a sentir parla-te come di una realtà misteriosa e dominante); avrei capito, o cercato di capire, i problemi che il lavoro generava per la persona che lo compiva e per chi doveva coordinarlo. Mi tardava di mettermi all'opera.  Pensai di farmi anzitutto un'idea d'insieme dell'organizzazione parlando con qualche ingegnere che fosse in posizione un po' meno specializzata di altri, al quale mi avrebbero presentato Mo-migliano o Ranchetti. La mia ignoranza della realtà di un'azienda era assoluta. Persino apprendere che un'organizzazione aziendale si divideva in amministrazione, produzione, distribuzione, che ognuna di queste componenti dipendeva da una direzione sepa-rata, che la produzione era composta di progettazione, attrezzag-gio, fabbricazione e montaggio; che la progettazione era il cervello dell'azienda, dove lavoravano gli ingegneri più originali e presti-giosi, artisti del disegno di macchine; che l'attrezzaggio, dove si costruivano le macchine utensili, cioè le macchine per costruire macchine, era l'officina dove lavoravano gli operai specializzati, i migliori operai della fabbrica, per preparare i quali, lungo cinque anni di studio teorico e manuale, l'azienda possedeva un apposito severissimo istituto tecnico per meccanici, e che questi operai erano anch'essi da considerare un po' come degli artisti nel loro mestiere, guardati con ammirazione e invidia dagli altri operai, e non soltanto per la loro posizione salariale, ma perché la loro figura appariva quasi come quella di un'élite leggendaria nel folklore aziendale; che la fabbrica era divisa in officine, le officine in reparti, i reparti in squadre - persino queste nozioni elementari, che avrei potuto quasi tutte apprendere dalla lettura di qualche libro di testo di organizzazione aziendale (di cui del resto incominciavo a fornirmi, e che mi proponevano letture, non sto a dirlo, cosi stridentemente discrepanti rispetto a tutte quelle che avevo fatto fino ad allora), erano una scoperta viva per me. Mi inoltravo passo a passo in questo ambiente, che, familiarissimo a tutti coloro che mi attorniavano, si presentava invece a me come una terra incognita e avvincente.  Avvicinavo con apprensione dirigenti di questa o quella divi-sione, capi-officina e, con ancor più interesse, perché erano di origine operaia e avevano asceso la gerarchia aziendale, capireparto e capisquadra - timoroso che le domande che avrei fatto potessero tradire la mia ignoranza, o che addirittura mi venisseopposta preliminarmente l'inutilità del lavoro che andavo facen-do. A volte, essendomi prima informato di chi fosse la persona da cui sarei andato, e avendone ricevuto giudizi di rispetto e notazioni sul prestigio di cui costui godeva in fabbrica, si acuiva il mio interesse a parlarle, ma anche la mia timidezza nel presen-tarmi. In questo modo andavo costruendo un po' alla volta l'ambiente della fabbrica come una cerchia di riconoscimento (per usare un termine che non usavo allora, ma che mi è familiare oggi come appartenente alla teoria nella quale, continuando a pensare a quelle cose, sono andato ingrovigliandomi), cioè come un ambiente in cui le persone si muovevano quasi davanti a sguardi virtuali dai quali si sentivano valutati e dai quali il loro lavoro riceveva senso e ambizione. Un intellettuale senza radici - come mi sentivo certamente io in quel momento, essendo state oramai trascinate via da successivi venti le esili radici che mi avevano tenuto precariamente fisso a questo o quel terreno, negli anni dell'università a Torino o in quelli di Vienna o di Parigi - un intellettuale senza radici, dicevo, è generalmente capace soltanto di immaginare cerchie di riconoscimento che siano pubbliche, che appaiono forti e ambite solo appunto perché pubbliche, cioè sanzionate attraverso comunicazioni che circolano apertamente tra tutti, per giornali, libri, premi, onori, celebrazioni, nomine isti-tuzionali. Più tardi avrei imparato che anche per gli intellettuali esistono, e tali da vincolarli intimamente, cerchie locali, assai limitatamente aperte al pubblico: gli studenti, i colleghi di un'università o di un istituto di ricerca o di un giornale, i propri pari di una determinata disciplina. Ma li trovavo una cerchia che si chiudeva all'interno di una fabbrica e del suo intorno formato da una piccola città più qualche paese, e chiuso in questa cerchia vedevo costituirsi un sistema di moralità forte, in cui le persone, per la qualità del loro lavoro, ma non solo, venivano giudicate, am-mirate, imitate o evitate, fatte oggetto di affabulazioni e leggende e motteggi, cui conseguivano rispetto o disprezzo, deferenza o dileggio o noncuranza, ma senza che tutto questo fuoriuscisse, trovasse corrispondenza in cerchie estranee, si comunicasse a persone non coinvolte. Cosi mi sorprendevo a speculare su come fosse diverso per i Pampaloni, i Momigliano, i Michele Ranchet-  ti, i Libero Bigiaretti, i Luciano Codignola, i Marco Forti, gli Ot-tiero Ottieri, i Giovanni Giudici, il senso di ciò che facevano inquella fabbrica, del prestigio che vi potevano godere, dei riconoscimenti da cui si facevano definire. La loro vera identità si era costituita, o, almeno, mirava a costituirsi, in un mondo diverso, tra intellettuali, cioè tra professionisti del far circolare il nome dei degni di riconoscimento tra una cerchia larga di pubblico anche remoto; quell'identità ognuno di loro avrebbe poi potuto arric-chirla, ma a suo beneplacito, se gli fosse convenuto, con i giudizi che riceveva da quanto faceva nella fabbrica. Come era diffe-rente, voglio dire, il senso dell'attività che costoro andavano svolgendo quotidianamente dal senso del lavoro dell'operaio attrezzista Giovanni Bovero, del caporeparto Giorgio Pautasso, dell'ingegner Carlo Corniglia e così via e così via, tutto racchiu-so, quel senso, nella tensione verso il prestigio che un po' alla volta si era formato fra i compagni di lavoro, fra i superiori, nella loro officina, poi per «voci» nelle altre officine, poi magari tra qualche conoscente fuori fabbrica: ché era questa la realtà che gli permetteva di pensare a se stessi con un po' di orgoglio, pur senza che nulla si trasmettesse a chi era fuori portata di quelle «voci».  E mi sembrava di poter estendere queste considerazioni alla situazione esistenziale dello stesso Adriano Olivetti e all'ambiguità dell'immagine che di lui si disegnava in azienda (in ditta, come si usava dire), al cui riconoscimento in qualche modo egli sfuggiva. per la molteplicità delle cerchie remote, ed estranee alla ditta, davanti alle quali, da gran signore della cultura internazionale, egli andava rappresentandosi. Apparteneva troppo poco a loro, ai suoi dipendenti, intendo, quel personaggio, troppo ricco di un patrimonio simbolico che andava cumulando per il mondo senza che loro vi partecipassero, e neppure ne capissero esattamente la natura, quando pur lui utilizzava il patrimonio materiale che proprio il loro lavoro gli forniva.  Andavo facendo queste riflessioni, o mi sembra che andassi facendo allora queste riflessioni, mentre entravo in contatto con una realtà che chiunque avrebbe considerato delle più normali; ma io mi trovavo in quello stato d'animo stupito e prensile, proprio di chi viaggia per un paese sconosciuto di cui ha sentito a lungo e vagamente parlare e ogni osservazione che va raccogliendo gli offre l'occasione per completare qualche percorso cognitivo già tracciato a casa propria, ma rimasto sospeso fino all'affiorare di questo o quell'inedito frammento di realtà.Ho sottolineato che quelle riflessioni «mi sembrava» che le fa-cessi, perché è probabile che allora non ci fosse nulla di più preciso che il sentimento nebuloso che avrei potuto farle. Soltanto in seguito maturerà lentamente in me la curiosità di capir meglio la vera natura del fenomeno della reputazione, del prestigio, della fama, che è poi a dire, con un termine comprensivo, del riconoscimento con cui gli altri ci definiscono, e dell'effetto che questo riconoscimento, o l'ambizione di esso, hanno su di noi, su quello che miriamo di compiere e sull'idea che riusciamo a farci di noi stessi. In quei giorni tutto restava in nuce, in uno stato d'animo di attenzione acuta, ma insieme di rinvio a sperate, più chiare comprensioni future.  Non potevo parlare con gli operai - «era meglio che non lo fa-cessi», mi era stato detto - per la doppia ragione che non andavano disturbati nel loro lavoro, il quale era quasi sempre a cottimo. cioè pagato per la quantità di produzione completata ogni ora, e ci avrebbero rimesso se li avessi costretti a interromperlo; e poi perché qualunque cosa dicessi avrei potuto esser visto come un membro della direzione che interpellava direttamente un operaio, e così commetteva un interferenza sia nei confronti del capo del reparto in cui quell'operaio lavorava, sia nei confronti dei sindacati, i quali erano l'altro organo autorizzato a parlare in fabbrica con gli operai. Li osservavo lavorare passando lungo le file delle lavora-zioni, dei montaggi, mi soffermavo davanti a questa o quella ope-razione, cercando di mostrare interesse più per la tecnica che per i gesti e il ritmo, ma dedicando attenzione nascosta proprio a quel-  li. Mi informavo poi con i capisquadra, o all'Ufficio tempi e meto-di, dei dati esatti relativi ai ritmi. Purtroppo non li ricordo più ora con sicurezza, anche se in quei giorni me ne ero impressi molti a memoria. Non erano ritmi chapliniani, né alle lavorazioni, né ai montaggi, i gesti sembravano calmi. Unanime poi era l'opinione - confermatami da sindacalisti e da operai con cui in seguito parlai  - che l'operaio preferiva fare operazioni di minor durata, e ripetere sempre la stessa operazione meccanicamente, piuttosto che variare operazione, o farne di più complesse da ripetere soltanto dopo passato un certo periodo di tempo. Le operazioni brevi e sempre le stesse rendevano possibile un atteggiamento meccanico verso il lavoro e assicuravano l'assenza assoluta di impegno mentale, e permettevano di pensare ad altro mentre si compivano quei ge-sti meccanici («penso alle cose da fare a casa» - «penso alla parti-ta», dicevano: le distrazioni generalmente non mettevano a rischio l'esattezza di una operazione). Era l'opposto di quanto andavano scrivendo, su giornali e riviste, gli intellettuali ben intenzionati che proponevano di riformare il lavoro nelle fabbriche. Ed era invece in linea con quanto sostenevano i sindacalisti, soprattutto di estrema sinistra, i quali consideravano che grazie all'esecuzione meccanica dei gesti lavorativi l'operaio manteneva la sua autonomia e il suo non coinvolgimento in quello che faceva, che non costituiva il suo lavoro, ma sempre inevitabilmente il lavoro del padrone. Un altro rovesciamento dialettico su cui meditare!?  Erano tutti d'accordo invece nel sostenere che si doveva affrettare l'eliminazione di quelle operazioni che si prestavano a venire eseguite così meccanicamente da poter essere affidate a una macchina. E infatti, in certi casi potevo osservare che la stessa operazione che in un'officina qualche operaia eseguiva manualmen-te, veniva già affidata a una macchina nell'officina vicina. Un'operaia prendeva da un cestello un bulloncino, lo collocava su di un altro pezzo già preparato nel quale doveva venir incorporato, con una leva spostava la testa di una pressa, col piede azionava un pe-dale, la pressa schiacciava il bulloncino e l'operazione era com-pletata. Erano passati dieci o quindici secondi. E subito l'operaia ricominciava, prendeva dal cestello un bulloncino, lo collocava sul pezzo... e avanti così (questo voleva dire che nella giornata di otto ore quell'operaia aveva ripetuto quella stessa operazione circa duemila volte). In un'officina vicina avevo visto l'identica operazione eseguita non dal braccio di un operaio, ma da un braccio incorporato in una macchina e totalmente automatico, che prendeva il bulloncino, lo collocava sopra il pezzo già preparato e così via. Li un operaio si limitava a sorvegliare diverse di queste mac-chine, e a intervenire solo quando s'inceppavano. Si trattava diuna tase di transizione, mi spiegavano, tutte le operazioni di quel tipo sarebbero state ben presto interamente automatizzate. Lo scopo dell'Ufficio tempi e metodi era proprio quello di ridisegnare il lavoro di fabbricazione e di montaggio in operazioni sempre più elementari, fino al punto che per eseguirle il braccio umano poteva venir agevolmente sostituito da un braccio automatico disegnato all'uopo.  Dopo qualche settimana avevo girato la fabbrica in largo e in lungo e paradossalmente la conoscevo meglio di molti che ci lavoravano dentro da anni e sul serio. Quando arrivavano visitatori illustri mi chiedevano di accompagnarli perché gli spiegassi le varie lavorazioni e funzioni. Avevo oramai parlato con qualche decina di ingegneri, funzionari amministrativi e capi-operai, e con alcuni di essi cominciavo ad avere, relativamente al mio compito, un rapporto di familiarità. Mi accorgevo che alcuni si erano fatta del mio ruolo - al di là dell'impegno che avevo in quel momento di redigere il manuale di fabbrica - un'impressione tutta sbaglia-ta. Non al corrente del mio rifiuto di adattarmi al compito originariamente assegnatomi da Adriano (preludio di ovvia e prossima caduta in disgrazia cortigiana), e vedendomi andare in giro per la fabbrica con la benedizione della presidenza, si figuravano che fossi nelle grazie del presidente stesso, e che questi mi avrebbe de-stinato, dopo una mansione ovviamente di iniziazione, a incarichi dirigenziali importanti. Li lasciavo pensare cosi (a meno che non gli scappasse qualche allusione sul tema, in questo caso smentivo animatamente) e approfittavo della loro buona disposizione per trar vantaggi per il mio lavoro, Malgrado però tale circostanza fa-vorevole, e malgrado avessi letto e riletto manuali di fabbrica i più esotici, e incominciato a buttar giù pagine di questo o quel previsto capitolo, cercando di semplificare, appianare, ammorbidire, distendere, sciogliere la mia prosa, abituata a un anno di attorci-gliamenti intorno al significato delle maschere dei Dogon o della tragedia greca, il lavoro procedeva molto a rilento.  9. Adriano  Intanto era ritornato Adriano. Non mi disse nulla riguardo al mio rifiuto di occuparmi delle sue biblioteche e centri comunitari. Miinvito a qualche riunione con visitatori stranieri che volevano conoscere la realtà aziendale, e due o tre volte, probabilmente su suggerimento di Pampaloni, mi chiese di scrivergli discorsi che doveva fare agli operai o a qualche altro uditorio. È difficile ricostruire ora l'atteggiamento che si andava formando in me nei confronti di Adriano Olivetti mano a mano che lo conoscevo meglio e che si scioglievano i reciproci atteggiamenti iniziali, di cortesia un po' convenzionale da parte sua e di silenziosa deferenza da parte mia. A casa sua, durante qualche ricevimento, o in casa di ami-ci, i Momigliano, i Pampaloni, avevo avuto qualche occasione di parlargli a tu per tu di cose non attinenti al lavoro, ma senza mai andare a fondo degli argomenti avviati. Una volta, a un gruppetto di persone in casa di amici - c'era anche, ricordo, Vasco Pra-tolini, tutto sorridente e sperso in quella realtà per lui nuova e verso la quale si sforzava di mostrare una diligente curiosità di neorealistico visitatore -, Adriano parlava delle sue idee sulla riforma sanitaria, e sosteneva, mi ricordo, che quando gli operai erano in assenza per malattia avrebbero dovuto venir pagati più che con la loro paga solita, perché dovevano sostenere maggiori spese. Gli ascoltatori annuivano tra il cortese e il perplesso, nessuno notava ad alta voce come fosse paradossale che proprio un imprenditore parlasse così, o osservava che in ogni caso la soluzione andava raggiunta con altri mezzi. Quando non parlava a un piccolo pubbli-co, durante i ricevimenti Adriano si sprofondava in un angolo di divano, in silenzio, mentre la gente chiacchierava intorno a lui, guardava nel vuoto tenendo in bocca l'indice di una mano, e ar-cuandolo, probabilmente perché non gli scivolasse via dalla boc-ca, sì che nella guancia gli appariva una sorta di rigonfiamento.  Erano le occasioni in cui provavo per lui una non ben determinabile simpatia, lo vedevo personaggio ricco e famoso e potente e insieme insicuro, tormentato; ideatore di opere capaci di dura-re, ma anche continuamente ansioso di fare più cose di quante gli riuscisse di ben definire; seduttore con il gusto di attrarre a sé e influenzare (e, alcuni dicevano, «intimamente corrompere») le persone che lo incuriosivano, o che gli era capitato di ammirare fuggevolmente, per poi magari sentirsi in diritto di lasciarle scivolar via per i rivoli non importa se fangosi del mercato; e insieme persuaso di essere un incompreso, e quindi timido e sospet-toso; calcolatore machiavellico e insieme compassionevole e ge-neroso; e lo vedevo li su quel divano, circondato da persone, assai poche delle quali gli erano in qualche modo familiari, in verità totalmente solo, forse consapevole che le forze per fare quello che avrebbe voluto fare stavano declinando malattia dopo ma-  lattia, forse incerto se quello che gli restava da fare valesse la pena di essere intrapreso.  Si diceva di lui che fosse rimasto profondamente colpito da giovane dalla preferenza che il padre, fondatore della fortuna fa-miliare, aveva mostrato verso il fratello più giovane, Massimo, dalla personalità geniale anche se labile, e morto precocemente subito dopo la fine della guerra. Si diceva anche che al momento delle leggi razziali la famiglia Olivetti si fosse riunita e il patriarca avesse deciso che uno di loro si sarebbe dovuto sacrificare e iscrivere al Partito nazionale fascista, indicando all'uopo Adriano, il quale del resto legalmente non era definibile come ebreo, la madre essendo protestante (il nonno era un pastore valdese). Così Adriano, pur furioso contro il padre, si era dovuto iscrivere. La leggenda è solo in parte vera. I rapporti di Adriano col fascismo, e più specificamente con la tendenza corporativa di sinistra che faceva capo a Bottai, risalivano ai primi anni Trenta ed erano funzione dei suoi progetti di pianificazione urbanistica e di riordino sociale in genere. Erano parte, cioè, di quell'onda di speranza che aveva avvicinato al regime architetti e urbanisti e altri intellettuali fascisti che si sentivano di sinistra e che immaginavano di poter influire sulle intenzioni corporatiste e pianificatrici intravedibili nel regime in quegli anni. Adriano vi vide qualche segnale di contiguità con le sue idee e ne scrisse su riviste quali «Il Lavoro fa-scista», «L'Ordine Corporativo», e fondò infine una rivista di tendenza corporativista, «Tecnica e Organizzazione», che continuò anche dopo la guerra.  Dopo 1'8 settembre era passato in Svizzera, lasciando la direzione dell'azienda a Gino Martinoli, suo cognato (era fratello di Natalia Ginzburg, oltre che della prima moglie di Adriano), il quale l'aveva diretta con molta abilità e molto consenso tra le maestranze e i dirigenti; tanto che al ritorno Adriano, sempre secondo «voci», era diventato geloso dell'ascendente del cognato e, con l'accordo della famiglia, gli aveva fatto abbandonare la direzione.  Martinoli, che poi conobbi e con cui collaborai in diverse occa-sioni, persona dolcissima e in qualche modo ingenua, ne rimaseassai ferito. Continuò poi una brillante carriera di alto dirigente industriale e, quando in pensione, di generoso organizzatore di ricerche sociali.  In Svizzera Adriano era andato elaborando le sue idee politi-che, aveva redatto un progetto di Stato comunitario che aveva inviato per lettera a una serie di personalità allora rifugiate in Svizzera come lui, e (mi raccontava anni dopo l'allora vicepresidente, e poi presidente, dell'Eni Boldrini, il quale tra gli altri aveva ricevuto la lettera) immaginato persino la bandiera che questo Stato avrebbe dovuto inalberare, non mi ricordo il colore (forse era pur sempre tricolore), ma mi ricordo lo stemma, una campana, la stessa che diventerà poi il marchio di Comunità; ed era disegnata a mano in chiusura della lettera. Verosimilmente quella lettera conteneva l'abbozzo del progetto che Olivetti avrebbe pubblicato subito dopo la fine della guerra nell'elegantemente curato volume  L'ordine politico delle Comunità (dello Stato secondo le leggi dello spirito), uno dei primi della nuova casa editrice da lui appena fondata con l'aiuto di Luciano Fuà. Ne ebbi subito una copia, quando arrivai, e così l'avevano tutti gli intellettuali e semi-intellettua-li, lì intorno, ma tutti ostentavano di non averlo letto, e sorridevano (a meno che non fossero true believer comunitari, e ce n'erano pochi), se uno glielo chiedeva. Come sempre in ambienti che vivono sotto l'ombrello di un personaggio carismatico, circolavano le battute sul linguaggio olivettiano; e così bisognava star attenti, in un salotto di Ivrea, a non informarsi di che misura avrebbero dovuto essere le dimensioni di qualche oggetto, piatto, mobile, edificio, macchina o territorio o altro di cui si parlasse, perché la risposta era già sulla punta della lingua dell'eventuale ben informato interlocutore: «né troppo grande, né troppo piccolo», che era appunto la dimensione che Olivetti insisteva dovesse essereassai ferito. Continuò poi una brillante carriera di alto dirigente industriale e, quando in pensione, di generoso organizzatore di ricerche sociali.  In Svizzera Adriano era andato elaborando le sue idee politi-che, aveva redatto un progetto di Stato comunitario che aveva inviato per lettera a una serie di personalità allora rifugiate in Svizzera come lui, e (mi raccontava anni dopo l'allora vicepresidente, e poi presidente, dell'Eni Boldrini, il quale tra gli altri aveva ricevuto la lettera) immaginato persino la bandiera che questo Stato avrebbe dovuto inalberare, non mi ricordo il colore (forse era pur sempre tricolore), ma mi ricordo lo stemma, una campana, la stessa che diventerà poi il marchio di Comunità; ed era disegnata a mano in chiusura della lettera. Verosimilmente quella lettera conteneva l'abbozzo del progetto che Olivetti avrebbe pubblicato subito dopo la fine della guerra nell'elegantemente curato volume  L'ordine politico delle Comunità (dello Stato secondo le leggi dello spirito), uno dei primi della nuova casa editrice da lui appena fondata con l'aiuto di Luciano Fuà. Ne ebbi subito una copia, quando arrivai, e così l'avevano tutti gli intellettuali e semi-intellettua-li, lì intorno, ma tutti ostentavano di non averlo letto, e sorridevano (a meno che non fossero true believer comunitari, e ce n'erano pochi), se uno glielo chiedeva. Come sempre in ambienti che vivono sotto l'ombrello di un personaggio carismatico, circolavano le battute sul linguaggio olivettiano; e così bisognava star attenti, in un salotto di Ivrea, a non informarsi di che misura avrebbero dovuto essere le dimensioni di qualche oggetto, piatto, mobile, edificio, macchina o territorio o altro di cui si parlasse, perché la risposta era già sulla punta della lingua dell'eventuale ben informato interlocutore: «né troppo grande, né troppo piccolo», che era appunto la dimensione che Olivetti insisteva dovesse esserezione giusta, Olivetti a un certo punto si spazientisse e volesse metter mano alla cazzuola, ma, bloccato al suo tavolo, finisse per ritrovarsi bambino a combinare i cubetti del Lego. Si presentò con il suo Movimento, diventato apertamente politico, e alcuni al-leati, alle elezioni del 1958, e dopo una campagna costosissima ottenne un seggio di deputato, quello del capolista, il suo, invece dei sette-otto, più almeno tre di senatore, che si aspettava. I maligni sussurravano che con metà dei soldi che aveva speso la De di seggi gliene avrebbe dati ben di più. In realtà trattative per presentarsi alle elezioni nelle liste della democrazia cristiana se ne erano avute a più riprese, e la segreteria romana, che era favorevole, aveva dovuto cedere all'opposizione dei democristiani locali che invece non ne volevano sapere (probabilmente anche per timore di dover cedere seggi; questo era soprattutto il caso di Pella, che non voleva vedersi capitare Olivetti nel suo biellese). Adriano, del re-sto, aveva molta ammirazione per Fanfani; e inoltre era recente la sua conversione al cattolicesimo. Da documenti ritrovati dopo la morte si è visto che quella conversione non era soltanto funzionale al matrimonio religioso con la nuova moglie, come molti pen-savano, ma rispondeva a un reale atteggiamento di ammirazione per il cattolicesimo come dottrina di ordine socialet  Dopo qualche mese si stancò di fare il deputato, si dimise e lasciò il suo seggio a Franco Ferrarotti, che aveva avuto il secondo posto nella lista grazie a una campagna elettorale molto attiva e abile nel Canavese.  Negli anni prima di morire Adriano lottò contro la malattia e contro la famiglia che voleva togliergli il controllo della società, temendo che ne sperperasse le risorse per le sue fantasie politiche.  Seppi della sua morte a Teheran, dove mi trovavo per il primo lavoro che mi era stato offerto dopo gli oltre due anni di disoccupazione seguiti al licenziamento dall'azienda. Qualcuno mi disse che era morto viaggiando verso la Svizzera, dove andava a trovare la figlia bambina, e che quando si era accorto dell'attacco al cuore si era trascinato per il corridoio, sballottato per gli urti del treno in corsa, da uno scompartimento all'altro, senza che dapprima i viag-giatori che lo vedevano agitarsi capissero bene di che cosa quell'uomo stesse in quel modo strano andando in cerca.  10. Organizzazione aziendale  o corte del principe?  Armanda Guiducci, letterata pura, era sempre presente e attiva alle nostre discussioni culturali e politiche, ma restava assolutamente estranea a tutto quanto riguardasse la fabbrica e non capiva come invece noi, pur fondamentalmente formati in una cultura filosofica e letteraria, ne potessimo essere coinvolti, mostrandoci appassionati a interpretare quanto vi succedeva. Si stupì assai quando, avendomi chiesto come giudicassi l'esperienza che stavo attraversando, io le dissi che la consideravo fondamentale, un po' come una mia seconda università. Me ne chiese il perché, e le parlai della straordinaria, almeno per me, esperienza che era quella di operare quotidianamente all'interno di un'organizzazione produttiva a vincoli forti, dall'ordine rigoroso, dove ogni mossa è finalizzata a precise e prevedibili conseguenze, dove è necessario entrare in questo gioco di ricostruzione delle aspettative diffuse riguardanti il proprio comportamento se non si vuole che esso risalti subito non soltanto come insipiente, ma come diretto a vuoto, vano, poco serio, egotistico. L'osservazione delle interdipendenze produttive, delle prevedibilità incorporate nel più minuto operare di ogni persona, della coerenza tra ambiente tecnico e mosse umane, mi aveva aperto un mondo che era estraneo, sì, a quello nel quale mi ero formato, ma che si mostrava capace di affascinarmi quanto più mi accorgevo che stava diventando naturale muovermi in esso; quasi si aprisse davanti a me, mi occorse ironicamente di pensare, in maniera analoga a come si erano elettronicamente aperte davanti ai miei passi le portiere che dividevano uno dall'altro i reparti della fabbrica, suscitandomi, la prima volta che le avevo attraversate, una stupita incredulità (erava-  mo, si ricordi, nel 1953), che mi aveva fatto sostare di botto, ritornare indietro, esaminare tutto intorno gli stipiti, poi guardare in alto, riattraversare due o tre volte, improvviso e non mimato Jacques Tati, per fortuna in quel momento senza spettatori, prima di capir bene (ma l'ho mai capita bene?) la diavoleria. E ri-cordo l'infantile vanità di ostentare confidenza con l'ambiente tecnico, durante la visita di un mio vecchio amico parigino che condussi in giro per la fabbrica. Passammo per quelle stesse porte che ci si spalancavano davanti, io con una naturalezza che intendevo sottolineare stando attento a trattenermi dal far com-menti, ché dovevo mostrare come per me fossero superflui, mentre però spiavo con la coda dell'occhio le contenute espressioni di sorpresa dell'amico, che anche lui si trovava per la prima volta di fronte a quel tipo di marchingegno.  Ma c'era di più, nell'esperienza che si faceva all'Olivetti, che non i calcoli dell'organizzazione e gli stupori della tecnica. Almeno per chi girasse negli ambienti della presidenza e dell'alta diri-genza, la Olivetti non era soltanto una per quegli anni modernissima organizzazione produttiva, era anche una corte. A chi mi avesse chiesto come meglio prepararsi per andarci a vivere, prima dei lavori di Herbert Simon o Jim March, gli avrei consigliato di leggersi attentamente il Castiglione o le memorie del duca di Saint Simon.  Un'atmosfera di corte la percepisci ai primi imbarazzi. Ti accorgi che qualcuno si comporta nei tuoi confronti in maniera che non ti aspettavi e capisci, o credi di capire, o credi che ti vogliano far capire, che quel nuovo comportamento va riportato a qualche evento che ha alterato i tuoi rapporti con una terza persona da cui lui e te in qualche modo dipendete. Se tardi a capire, allora è lui che ti ci conduce con qualche innuendo. Se la terza persona cui si allude, cui si sembra alludere, risulta essere «il presidente» - che è come dire «il principe» - gli effetti di questo comportamento inatteso non sono da prendere alla leggera, te li ritrovi addosso per giorni. Vai a parlare con altri, cerchi di capire, sempre il più obliquamente che puoi, se hai proprio visto giusto, se sei irrimediabilmente in «disgrazia», a che cosa ciò possa essere dovuto, se intorno a te gli altri pensano che questa situazione durerà. Rivedo una pagina di diario in cui raccontavo di un amico che si era accorto di essere in disgrazia:  A. mi racconta - scrivevo - dei modi con cui il Presidente gli esprime il suo malgarbo, o scarsa simpatia, oppure indifferenza. Capita che saluta tre o quattro persone in mezzo alle quali si trova lui, e lui lo sca-valca, e poi magari, come ripensandoci, ritorna indietro e gli dà la ma-no, ma assai frettolosamente. Alcuni amici gli hanno riferito che il Presidente si è lamentato con loro perché lui aveva svolto male il lavoro che gli era stato affidato. E evidente che ad A. costa molto parlare con altri, anche suo amici, quale sono io, di questi segni della sua 'disgra-  zia', e che a lungo si è sforzato di tenersela per sé. Mi dice: le racconto a te queste cose perché tu sai di che natura sono, sai che cosa significa 'essere in disgrazia.  Se mi guardo dentro con attenzione - continuavo in quella pagina di diario - mi accorgo di sentire una punta di soddisfazione ascoltan-dolo. Malgrado mi sia amico e lo abbia in simpatia e sia riconoscente della gentilezza che mi dimostra anche essendo io, appunto, in disgrazia [...] mi urta la sproporzione tra quanto lui dà mostra di credere di sé e quanto in realtà vale. Adesso, vederlo riabbassato dalla sua disgrazia lo giudico un riequilibrio dovuto. Ma mi rimprovero immediatamente di questo sentimento, che per fortuna resta tenuissimo e scompare. Occorre dare importanza a giudizi più fondati nei nostri rapporti con gli altri.  Si tratta di una pagina, è chiaro, il cui interesse non sta tanto in ciò che racconta, quanto in ciò che implicitamente rivela; poiché illustra la tortuosità delle situazioni cortigiane: scritta da una persona che si trovava «in disgrazia», come era appunto il mio ca-so, la quale annotava gli stati d'animo di un amico a sua volta «in disgrazia», e osservandoli si faceva tentare da sentimenti di approvazione della disgrazia altrui, subito però vergognandosene e cercando, con più o meno successo, di espellerli.  In simile clima si sviluppavano poi strane tecniche di rapporti burocratici. Ti capitava di essere molto in confidenza con qualcuno, e aver con lui rapporti normali e cordiali. Un giorno lo vai a trovare, ti risponde appena, non ti guarda, se sei nel suo ufficio ti fa capire, o ti dice esplicitamente, che non ha tempo per parlarti e che è meglio che te ne esci. Lo incontri dopo qualche giorno e magari lui è ritornato alla cordialità di prima. Incominci a guardarti meglio in giro e ti accorgi che questa tecnica del caldo e freddo non è sporadica, la scopri in altri casi, la trovi applicata sistematicamente, te la senti, insomma, tutt'intorno come una pellicola che ti si può appiccicare addosso quando meno te lo aspetti e hai terrore di restare poi incapace di spiccicartene.  Capisci allora che si tratta di una tecnica che ha la funzione di permettere a chi pur non sia collocato in posizione gerarchica-mente eccelsa di auto-attribuirsi il potere di determinare «micro-disgrazie» e «micro-fortune», sia facendo credere di possedere autonomamente questo potere, sia alludendo che si tratta di un potere che costui riceve dai suoi contatti con la fonte ultima di tutti i poteri aziendali. E questo ti umilia ancora di più, perché ti rendi conto che a lui non costa nulla comportarsi in quel modo offensivo con te, non teme tue rappresaglie, quindi tu sei poco più che spazzatura, e neppur ha senso che te la prendi con lui, la colpa evidentemente sta in te.  11. L'illuminismo magico  Aggiungi, altro tocco, come dire, rinascimentale, la presenza di una dimensione che ti sfuggiva, nei confronti della quale tutt'al più potevi difenderti ironizzando, una dimensione misteriosa, quella dei riferimenti magico-religioso-junghiani di Adriano. Negli ambienti intorno ad Adriano se ne scherzava, ma si sapeva anche che quei riferimenti, e le tecniche di valutazione umana che ne derivavano, influenzavano i giudizi che Adriano si formava delle persone che lo interessavano, e persino le decisioni su chi assu-mere. Si diceva che Adriano si servisse di due grafologi (non intendo assolutamente affermare che la grafologia sia magia, ma spesso chi bazzica con l'una bazzica anche con l'altra), in due città differenti, e che mandava a entrambi le domande di assunzione di dirigenti e collaboratori vicini (si era imperativamente richiesti di scriverle a mano). I grafologi consultati erano due perché, non si sa se per residuo di spirito scientifico o per diffidenza, Adriano li controllava uno con l'altro. Un giorno, quando Adriano era via, capito che alcuni amici che lavoravano agli uffici della presidenza avessero in mano le chiavi degli schedari dove erano conservate le analisi grafologiche. Vennero da me e da altri a raccontarcelo ri-dacchiando. Avevano visto tra le altre anche la mia. Curiosissimo, chiesi subito cosa conteneva. «E buona, è buona..» - «Ma cosa contiene esattamente?», cercai di insistere. Non me lo vollero di-  re, ripetendo solo «si, si, è molto buona». Ne dedussi che doveva contenere anche qualche malevolo negativo giudizio, ma lasciai andare, oramai i giochi erano fatti, ero già assunto, e da tempo «in disgrazia», in ogni caso.Potrà sembrar strano che una persona come Adriano Olivetti. di formazione tecnica, oltre che di ampia cultura moderna, frequentatore di letterati, filosofi e intellettuali laici in genere, si muovesse poi, privatamente, quasi nascostamente, entro questo «sce-nario magico-religioso», come lo descrive Pampaloni in quel suo ricordo che ho citato prima, nel quale qualche riga dopo definisce Olivetti «uno strano illuminista» («magico»). Ma bazzicando in quegli anni, per ragioni di lavoro, tra la letteratura (libri e liberco-li, riviste, opuscoli) di cui si pascevano i dirigenti industriali e gli imprenditori, mi accorsi che la cosa era poi meno eccezionale di quanto a prima vista si sarebbe potuto credere. Astrologia, erme-tismo, cultura magica varia abbondavano tra le letture dei capi della nostra industria in quegli anni (e oggi?). Cercai di darmene spiegazione congetturando che il grande, incontrollato potere umano (potere sul destino di altri uomini) di cui quella classe di persone arrivava a godere, a volte, per vicende varie, senza esserselo aspet-tato, e quasi sempre senza esservi umanamente e culturalmente preparati - preparati, voglio dire, a capire e osservare le regole che quello specifico tipo di rapporti umani comportava - li lasciasse spesso assai incerti sulla natura di quel potere, e sulla legittima-zione, non soltanto giuridica, con cui giustificarlo. Ne scaturiva un desiderio di spiegazioni facili e rapide (è gente che non ha molto tempo libero, si sa) del mondo in generale (magari dei mondi, ancor più in generale), e quindi anche del loro ruolo nel pezzo di mondo in cui qualche destino li aveva condotti a operare e co-mandare. Quel tipo di letteratura glielo soddisfaceva.  In quel mondo, dunque, o ai suoi margini, mi andavo muo-vendo, cercando di spiegarmi le sue sottigliezze e i suoi giuochi, in termini augurabilmente più razionali di quelli dell'astrologia, non con l'ambizione di teorizzarlo, ma semplicemente per sentir-mi, e apparire, meno impacciato, quando non sapevo se entrare nell'ufficio di un incerto amico o non entrarvi; se salutare il potente direttore amministrativo che faceva finta di non vederti o far finta di non vederlo a tua volta, e rivolgergli, o no, la parola quando stavate quei terribili secondi insieme nell'ascensore; se ritenerti offeso da qualche sgarbo, o invece no, perché in realtà quell'atto nel codice di corte sgarbo non era, e in ogni caso, poi, cosa avresti veramente fatto, una volta che avessi deciso che era sgarbo, e che, si, ti dovevi sentire offeso?Mi resi conto ben presto che anche a capirne il gioco non bastava a liberartene veramente. Fossi rimasto qualche anno ancora, presagivo con un certo, non so quanto palesato a me stesso, spa-vento, anch'io, nel mio piccolo, se devo dir cosi, pur restando, cioè, per quel rifiuto iniziale di collaborare con «Comunità», nella mia situazione di originaria e non superabile cortigiana «di-sgrazia», avrei finito per omologarmi, avrei cioè adottato le stesse superflue strategie, le stesse mosse felpate, le stesse calcolate cau-tele, e sarei stato percorso dalle stesse subitanee agitazioni, e adombramenti segreti, e poi piccole agognate soddisfazioni, che vedevo rivelarsi negli sguardi delle persone attorno a me. Forse è anche per questo, senza rendermene conto chiaramente, che colsi l'occasione di rompere radicalmente con quel mondo quando partecipai alle elezioni del Consiglio di gestione contro il sindacato del padrone. O forse non solo per questo, vedremo, ma, in-  somma, così andò.  12. I primi passi «miei»  Prima però occorre che dedichi qualche riga all'unico lavoro serio che riuscii a portare a termine in quella fabbrica. Stabilito, per ammissione di tutti, che un manuale di fabbrica che accontentasse insieme il presidente, gli ingegneri, i capi, la Commissione in-terna, e servisse poi agli operai, era impresa impossibile, si pose il problema di cosa altro farmi fare. La soluzione, per la direzione, fu semplice. Mi dissero: hai ormai esperienza sufficiente della situazione organizzativa dell'azienda: pensa tu a un servizio che possa essere utile, facci tu una proposta, compila un ordine di ser-vizio, con un buon memorandum che ne illustri le ragioni.  Mi chiusi nell'ufficetto che mi avevano assegnato e mi misi a pensarci su. Si noti che non mi dettero una scadenza, potevo prendermi tutto il tempo che volevo. Ero un po' preoccupato, perché dovevo dedurne che la mia presenza contava poco, era vista come un sopportabile costo e niente più. Ne parlai con amici, che però mi rassicurarono: sappi che l'ingegner B. (uno dei dirigenti carismatici dei «Progetti»), quando fu assunto, anni fa, restò sette-ot-to mesi senza che gli dicessero cosa l'avessero preso a fare. Poi la sua carriera svetto. Sorrisi all'idea che la mia carriera potesse maisvettare, ma pensai che era in ogni caso nel mio interesse avere una mansione precisa al più presto possibile. Mi informai di cosa fosse veramente un «ordine di servizio» mirante a istituire un nuovo ufficio, come dovesse esser redatto, e dopo qualche tempo ne produssi uno con il quale, in cinque o sei pagine, proponevo la costituzione dell'Ufficio studi relazioni sociali (nome un po' barzotto, al quale però si dovette arrivare dopo negoziati e veti vari) - praticamente un centro di ricerca di sociologia del lavoro (ce n'era già uno per le applicazioni della psicotecnica, ma non per ricerche che restassero autonome dalle richieste della direzione del perso-nale). Con mia, e non solo mia, sorpresa (avevo già capito abbastanza di come funzionasse l'organizzazione aziendale per non essermi armato del necessario corazzante scetticismo), la mia proposta fu accolta, e ricevetti persino lodi per come era redatto il me-  morandum.  Mi assegnarono uffici e personale, e non mi sognai di lamentarmi anche quando ben presto mi accorsi che si trattava sia di uffici sia di personale che non si sapeva come altro impiegare. Gli uffici erano nel cosiddetto «convento» (immagino che esista ancora - era appunto stato originariamente un convento), luogo sacro nella tradizione della famiglia Olivetti, poiché era servito da abitazione a Camillo, che da li aveva guidato i primi passi del-l'azienda, una quarantina di anni prima. Nessuno voleva andare a lavorarvi perché era collocato in un posto un po' staccato dalla fabbrica e dalla direzione, e ciò rendeva difficili i rapporti quotidiani con gli altri uffici. Ma a me stava alla perfezione, tre o quattro grandi stanze, in pieno verde, bosco e campi da tennis vicini. dove potevo andare appena finito il lavoro. Quanto al personale, era anch'esso «residuo», per dir così, erano cioè impiegati che nessun altro ufficio desiderava tenersi. La segretaria, mi informarono amici, era considerata una specie di strega (un po' ne aveva l'aria, pur dovendo essere stata una bella donna da giovane), che litigava con tutti e veniva quindi immancabilmente trasferita da un ufficio altro. Ma con me andò d'accordo, fu gentilissima e lavorò senza una pecca, o senza una pecca grave che io ricordi, al-meno. Era la prima volta in vita mia che avevo una segretaria a mia disposizione, e probabilmente ero particolarmente gentile anch'io (ma non è stato diverso negli altri otto o dieci casi in cui mi capito di avere segretarie che hanno lavorato per me). Quanto all'assi-stente, era un impiegato sulla quarantina, laureato credo in legge (e, anche scontando il basso livello delle università italiane del do-poguerra, mi domando per quali mai vie traverse), giudicato da chi lo conosceva, e non se lo voleva vicino, un tipo un po' stram-bo, con vaghe ubbie culturali. Devo dire che non riuscii a utilizzarlo del tutto efficientemente, ma ci andai d'accordo, ogni tanto entrando con lui persino in discussioni culturali, nelle quali mi spiegava le sue teorie del mondo, il quale mondo, mi accorsi una volta, secondo lui esisteva dal 4000 a.C. (la persona, si noti, non era credente). Quando gli obiettai che, a quanto si poteva sapere, esisteva da molto più tempo, mi rispose che intendeva dire che era l'uomo che esisteva da quelle sei migliaia di anni. Debolmente insistei che anche per l'origine dell'uomo la data andava di molto anticipata. Sembrava pronto a negoziare anche la data dell'origine dell'uomo, ma almeno qualcosa che ci fosse soltanto dal 4000 a.C. gli sembrava necessario trovarlo. Il linguaggio? Anche su quello, gli dissi... Infine gli proposi di considerare che quella poteva essere una buona data per fissare all'incirca l'origine della scrittura, e lui sembrò pacificato e pronto a riprendere il ragiona-mento; che non ricordo quale fosse, cioè che cosa mirasse a dedurre da quella datazione, una volta impietosamente sottrattogli il riferimento ad Adamo ed Eva. Avevo insomma di fronte un interessante caso di disordinato provinciale desiderio di sapere - o meglio, bisogno di sistemare un certo scarso numero di disparate informazioni - che si muoveva da un'incredibile assenza di basi culturali elementari, supplita al più da alcune nozioni bibliche ricevute forse in catechismo e non più corrette. Ne dovetti concludere che in ben poche situazioni avrei potuto da lui farmi as-sistere.  Bloccata l'ansia del mio assistente di discutere sull'origine del mondo, negoziai con la direzione (cioè, in questo caso, Momi-gliano, ma credo che lui si consultasse con Pampaloni) il lancio di una ricerca sui cosiddetti «capi-intermedi». In gran parte della letteratura aziendalistica di allora la «questione dei capi» era considerata cruciale per l'andamento di una buona organizzazione aziendale. Costituivano la mediazione indispensabile tra la direzione che dava gli ordini generali e la mano d'opera che doveva eseguire. Se di origine operaia, come era spesso il caso, non conoscevano i metodi nuovi di organizzazione, o non li credevanonecessari. Se di origine tecnica (alcuni capiofficina erano inge-gneri, la gran parte erano periti tecnici industriali) potevano trovare difficoltà ad avere rapporti sciolti con gli operai. La riuscita di eventuali innovazioni organizzative o tecniche (che erano con-  tinue) dipendeva inevitabilmente da loro. E da loro dipendeva anche il cosiddetto «morale» dell'azienda, quell'entità che resta in-  definibile, malgrado gli sforzi definitori della letteratura azienda-listica, ma che è assai facile, passati alcuni giorni in un'azienda a guardare e parlare, capire se sia alto o sia basso:  Lavorai diversi mesi e alla fine consegnai un rapporto di ricerca di una cinquantina di pagine, corredato da diverse decine di pagine di protocolli d'interviste. Credo di aver riletto per la prima volta quel rapporto ieri, dopo - quanti sono ormai? - 43 an-ni! Mi aspettavo di peggio, è ancora leggibile. E ho scoperto persino alcune cose interessanti che avevo dimenticato.  Feci, tutte io (mica potevo fidarmi di mandarci il mio cosmo-gonico assistente), più di 50 interviste (34 scelte con regolare cam-pionamento, le altre a informatori qualificati), a operai, a capi, a dirigenti. Mi si rivelò allora quanto fosse forte in me il gusto del-  l'intervistare. Da allora per anni e anni, a ogni occasione di ricer-ca, mi sono organizzato per intervistare io stesso il maggior numero possibile di persone, e nel corso della mia vita di lavoro sociologico calcolo, all'ingrosso, che avrò fatto, tra l'una o l'altra ri-cerca, da solo o con aiuti, diverse centinaia di interviste. Ricordo l'ultima, quattro o cinque anni fa, insieme con Donatella della Porta, e con solo iniziale imbarazzo, a un politico locale in attesa di sentenza definitiva di condanna per corruzione. Nella situazione di intervista «non strutturata» (così si chiamano nel nostro gergo le interviste in cui non si usa un questionario predeterminato, ma soltanto una traccia che puoi adattare a seconda di come procede il colloquio) ti attrae il gusto di far parlare una persona che non conosci su temi che tu scegli, e su cui magari lei all'inizio non capisce bene di cosa esattamente si tratta, ma dopo un po' ti accorgi che le viene voglia di dire più cose di quanto tu le chiedi, perché si trova di fronte a un'occasione rara: qualcuno che sta ad ascoltarla su argomenti che lei conosce, o crede di conoscere, e che la lascia parlare. Ti si apre così la possibilità di penetrare nella nicchia delle immagini familiari di una persona (pensai una volta di chiamare questa attrazione il «complesso di Asmodeo», ri-cordando il diavolo che scoperchia i tetti delle case, caro a François Mauriac), scavando al di sotto dei riassunti vaghi, che lei di primo acchito sarebbe pronta a darti, ma che tu ti sei preparato a non accettare ciecamente per buoni, delle situazioni che t'interessano, per arrivare ai gesti, agli atti visibili che le hanno create, alle connessioni inattese con altre situazioni; e mentre l'ascolti cercar di trarre da sé il più presentabile di sé, la vedi poi finir per rivelarti ciò che lei stessa arriva a capire mano a mano che ti parla.  La ricerca fece venire alla luce - tra altre cose che ora hanno perduto il loro interesse - che anche in un'organizzazione tanto attenta al cosiddetto «fattore umano», qual era l'Olivetti, i germi dell'autoritarismo erano vivi, e cosi l'insofferenza per esso. Ma la protesta oscura che veniva alla luce non era tanto quella contro l'autoritarismo del comando aspro o ingiusto, piuttosto, invece, quella contro l'esercizio dell'autorità che rende possibile l'indif-ferenza, il non ascolto, lo sprezzo per la collaborazione offerta, il non riconoscimento della tua esistenza. E capivi che quella forma di «potere culturale» (come altro chiamarlo?), di cui si fa forte chi ti tiene condiscendentemente a distanza, si rifiuta di prendere in considerazione ciò che chiedi o che proponi, ti ignora o non ti par-la, ti esclude, mostrando la tua irrilevanza, dalle decisioni che riguardano il modo in cui tu devi lavorare, insomma ti fa «sentire una merda», come mi si diceva, perché non sai quello che solo sa chi sa - era quel potere a creare dispetto, o ribollimento interiore, e umiliazione. Mentre il puro comando gerarchico, prevedibile, apparentemente anonimo, quasi prodotto da una macchina, che non fa emergere responsabili contro cui indignarsi, è uguale per tutti, stabilisce automaticamente chi deve ubbidire e chi corrispondentemente deve comandare, si presenta come assai meno offensivo dell'altro, e tutt'al più provoca risentimenti astratti. Forse in quelle deplorazioni e querele veniva a galla una certa nostalgia dei rapporti paternalistici che avevano retto l'azienda fino a poco tempo prima, e ancora vigevano qua e là, pur perdendo terreno di fronte all'introdursi di rapporti gerarchici più freddi e distanti.  Ma c'è dell'altro, credo, in questo processo dello stratificarsi soggettivo in termini di sapere, che lo fa più escludente e più offensivo di altre forme di distanza sociale. Lo ritroverò quando, anni do-po, condurrò ricerche nelle sezioni dei partiti di sinistra, e me ne rioccuperò con più attenzione.Nello stesso tempo si manifestava, in chi aveva l'età per con-frontare, la consapevolezza che gli atteggiamenti impositivi fossero assai mitigati rispetto a prima della guerra, e che erano assai rari i casi di scortettezza da parte dei capi; anche se si riconosceva che pure durante il fascismo all'Olivetti il rispetto degli operai si era in qualche modo mantenuto. Del resto, durante il fascismo, la dialettica interna di fabbrica, come sembrava di poterla ricostruire dai ricordi di chi era stato operaio allora, non era così linearmente determinabile come ce la si può immaginare sulla base dei luoghi comuni. Il ricordo era che i fiduciari dei sindacati fascisti (e questo mi sarà confermato in colloqui che ebbi altrove con operai anziani della Cgil), quando c'erano controversie con la direzione, intervenivano spesso, non senza effetto, in favore degli operai.  Ritornando all'importanza del possesso di sapere come criterio duro di separazione sociale, mi andavo domandando se il prestigio che all'Olivetti veniva attribuito dall'alto agli intellettuali non percolasse giù fino ai livelli inferiori dell'organizzazione e rafforzasse la separazione tra chi vedeva incluso nei suoi compiti quello di conoscere, informarsi, accrescere il suo sapere, fosse pure non immediatamente funzionale alle sue mansioni, e chi di questa possibilità era privo. Simile atteggiamento rafforzava anche quel contrasto, che è consueto in tutte le organizzazioni, tra line e staff: o volendo italianizzarlo con la più espressiva terminologia milita-re, tra comando e stato maggiore (di cui staff, si sa, è la traduzione inglese). Lo staff include chi dice come si deve lavorare; la line chi comanda che si deve lavorare. Nello staff risiede il sapere, e la responsabilità di accrescerlo; nella line c'è il rapporto tra persone, o, come ci si esprime con un certo orgoglio usando la terminologia militare, il comando di uomini, con relativo possesso del-l'ascendente necessario per farsi ubbidire. E non ci si meravigli se mi servo della terminologia militare; non è soltanto per confronti che ho personalmente avuto occasione di poter fare, ma anche perché si dà caso che lo stesso Adriano Olivetti non trascurasse di notare le analogie tra una fabbrica e un'unità militare. Pensava in particolare alla nave da guerra; tanto che aveva assunto, per farli diventare dirigenti, una certa quantità di ex ufficiali di marina (che nel dopoguerra si trovavano ovviamente in abbondanza sul mercato). Uno di questi, l'ingegner Tufarelli, che arrivò poi ai vertici aziendali non solo dell'Olivetti, ma anche, successivamente,della Fiat a cui era passato, fu assunto lo stesso giorno in cui ero stato assunto io, e restammo a lungo amici, comunicandoci i nostri primi disvelamenti della fabbrica; e mi diceva appunto come Adriano gli avesse sostenuto l'importanza di quell'analogia, perché nave e fabbrica richiedono insieme, per esser guidate bene, sapere tecnico e capacità di comando di uomini.  Per parte mia, mi colpiva una diversa analogia, la quale richiama piuttosto una fondamentale capacità umana, la capacità di investire di valore una situazione che in partenza appare di inferio-rità. Cerco di spiegarmi. L'appartenere allo staff, allo stato mag-giore, proprio per il prestigio del possesso di «sapere» che lo ca-ratterizza, comporta, a parità di altre condizioni, una presunzione di superiorità, e quindi un potenziale atteggiamento di spregio per chi non vi appartiene. Corrispondentemente, lavorare nella li-ne (nel caso dell'esercito, «con la truppa») comporta lo svolgimento di compiti altrettanto indispensabili di quelli dello staff, ma assai meno prestigiosi. Per evitare frustrazioni e malcontenti occorre riequilibrare le attribuzioni di prestigio. Ciò avviene attraverso un processo di reinterpretazione dei significati dei compiti organizzativi. Di quelli che rischiano di venir sviliti si mettono in risalto qualità arcanamente preziose, più innate che acquisibili, la «capacità di conoscere gli uomini», il «saper come si risolvono situazioni umanamente difficili», il «saper motivare i dipendenti», e, in una parola, appunto, il possedere ‹«l'arte del comando di uo-mini». La capacità di distinguersi in quelle posizioni organizzative viene allora apprezzata per un suo valore intrinseco, e genera prestigio, che si può contrapporre allo stesso sapere tecnico, quasi a permettere di tenerlo, o di pretendere di tenerlo, a vile; e chi svolge quei compiti potrà inorgoglirsi. Si capisce meglio, considerando questo meccanismo psicologico, anche il fallimento del fordismo prima maniera, che, nella fabbrica, aveva mirato a ridurre tutti i rapporti gerarchici a rapporti funzionali.  Queste osservazioni trasparivano nei colloqui che andavo fa-cendo, anche se non le ripresi esplicitamente nel rapporto che scrissi.  Nel quale, pur marginalmente, trattai invece di un'osservazione curiosa che, dopo decenni di lontananza da quegli ambienti, mi sono accorto che avevo scordato, e che leggendo il rapporto mi è ritornata nella sua vivezza e nella sorpresa che mi aveva provo-cato: che la capacità o meno di usare il disegno industriale distingueva due classi di lavoratori, e l'accedervi rappresentava l'ambizione maggiore degli operai non specializzati che ne erano privi.  Era quasi commovente ascoltare come tra molti di quegli operai l'idea di imparare un giorno a usare il disegno si ponesse come una meta di emancipazione dal lavoro bruto cui erano in quel momento impiegati. Esser capaci di disegnare una macchina, un meccanismo, un processo produttivo, e operare poi con quel di-  segno, rappresentava la possibilità di avere a che fare con una realtà della mente, invece che con la realtà delle mani, del corpo, con cui aveva invece a che fare il loro lavoro di operai comuni. Era una manifestazione emotiva del riconoscimento di superiorità che l'astratto gode sul concreto. E non era soltanto perché il possederlo poteva rappresentare promozione sociale. Nelle loro parole si esprimeva forte l'esigenza di liberarsi dall'indecifrabilità bruta della macchina, e ridurre a segni ordinati la materia che li so-  vrastava.  Consegnai il rapporto, fu lodato. Occorreva ora, mi si disse, discuterlo in gruppi più ampi, organizzare riunioni con capi e diri-genti. Ma tutto questo non avvenne. Stava succedendo dell'altro.  Per qualcuno, il finimondo.  13. Il finimondo  Il Movimento di Comunità si era trasformato da culturale in politico nel 1954. Nel maggio del 1956 aveva partecipato alle elezioni amministrative, ottenendo una clamorosa vittoria nel Canave-se, e Adriano Olivetti era diventato sindaco di Ivrea. Contemporaneamente viene fondata, col nome di Autonomia operaia (sic!), l'organizzazione sindacale del Movimento, che assorbe la socialdemocratica Uil. Contro il parere di Momigliano, che ne era il superiore diretto, viene allontanato il capo del personale operai, Filiberto Pomo, un ex capo partigiano carismatico, e il suo assi-stente, accusati di porre ostacoli all'introduzione in fabbrica del sindacato di Comunità. A Franco Momigliano vengono sottratte gran parte delle sue competenze (alcuni mesi dopo verrà trasferito a un ufficio studi economici dell'Olivetti a Milano). Luciana  Momigliano Nissim, moglie di Franco, reduce da Auschwitz, pe-diatra, che aveva a lungo diretto l'asilo ed era diventata da poco direttrice dei servizi sociali, viene licenziata. In un'assemblea di fabbrica aveva attaccato la politica di Comunità. Si rovesciavano  amicizie di un decennio.  Mancavano pochi mesi alle elezioni della Commissione interna e del Consiglio di gestione; un organismo, questo secondo, che non aveva potere effettivo di negoziare per le maestranze, ma che conservava un certo valore simbolico, poiché l'Olivetti era una delle poche aziende che l'aveva mantenuto in vita dai tempi della sua diffusa introduzione nel dopoguerra. Si poteva prevedere che la campagna elettorale sarebbe stata assai calda. Non c'era da meravigliarsi che le riunioni allargate per discutere il mio rapporto di ricerca tardassero a venir convocate. Un giorno vennero a trovarmi in ufficio tre rappresentanti sindacali della Cgil; tra di loro c'era quella che nella memoria Olivetti resterà poi come «la mitica Bertolè», un'ex partigiana comunista, dal grande ascendente sugli operai e dall'abile capacità negoziatrice negli incontri con la direzione aziendale. Mi chiesero se accettavo di presentarmi alle elezioni del Cdg con la loro lista. Mi ricordo che non stetti molto a pensarci su, dissi subito di si.  Perché lo feci, e con tanta immediatezza? Forse pesò (come in numerose altre occasioni, quando mi sia capitato di accettare proposte di mutamento di lavoro o di residenza, o anche per decisioni più intimamente personali) l'interiorizzazione di una regola di condotta (chi sa per quali stratagemmi educativi instillatami) che non manca mai di impormisi in questo genere di situazioni, secondo la quale è doveroso, includibile, di fronte a una sfida che ti si presenta improvvisa, rispondere senza stare a pensarci su, senza mostrare di calcolare le conseguenze, ché a indugiare a calcolare ti sembrerebbe mancanza di coraggio, grettezza, non sentiresti più di essere quello che ti eri immaginato di essere. Non la ritengo una qualità positiva. Probabilmente deriva da qualche oscuro timore che a prender tempo per deliberare calcolando non saprei tenere in mano con chiarezza le fila dei criteri con cui determinare vantaggi e svantaggi. E che forse dovrei accorgermi che quei criteri non ci sono veramente e mi sperderei. Naturalmente, per tanta prontezza, che non è, dunque, sicurezza, della decisio-ne, il contenuto ha da non essere disaccetto. Questa volta la scelta rispondeva al bisogno di fare cose di sinistra, dopo avere perdiatra, che aveva a lungo diretto l'asilo ed era diventata da poco direttrice dei servizi sociali, viene licenziata. In un'assemblea di fabbrica aveva attaccato la politica di Comunità. Si rovesciavano  amicizie di un decennio.  Mancavano pochi mesi alle elezioni della Commissione interna e del Consiglio di gestione; un organismo, questo secondo, che non aveva potere effettivo di negoziare per le maestranze, ma che conservava un certo valore simbolico, poiché l'Olivetti era una delle poche aziende che l'aveva mantenuto in vita dai tempi della sua diffusa introduzione nel dopoguerra. Si poteva prevedere che la campagna elettorale sarebbe stata assai calda. Non c'era da meravigliarsi che le riunioni allargate per discutere il mio rapporto di ricerca tardassero a venir convocate. Un giorno vennero a trovarmi in ufficio tre rappresentanti sindacali della Cgil; tra di loro c'era quella che nella memoria Olivetti resterà poi come «la mitica Bertolè», un'ex partigiana comunista, dal grande ascendente sugli operai e dall'abile capacità negoziatrice negli incontri con la direzione aziendale. Mi chiesero se accettavo di presentarmi alle elezioni del Cdg con la loro lista. Mi ricordo che non stetti molto a pensarci su, dissi subito di si.  Perché lo feci, e con tanta immediatezza? Forse pesò (come in numerose altre occasioni, quando mi sia capitato di accettare proposte di mutamento di lavoro o di residenza, o anche per decisioni più intimamente personali) l'interiorizzazione di una regola di condotta (chi sa per quali stratagemmi educativi instillatami) che non manca mai di impormisi in questo genere di situazioni, secondo la quale è doveroso, includibile, di fronte a una sfida che ti si presenta improvvisa, rispondere senza stare a pensarci su, senza mostrare di calcolare le conseguenze, ché a indugiare a calcolare ti sembrerebbe mancanza di coraggio, grettezza, non sentiresti più di essere quello che ti eri immaginato di essere. Non la ritengo una qualità positiva. Probabilmente deriva da qualche oscuro timore che a prender tempo per deliberare calcolando non saprei tenere in mano con chiarezza le fila dei criteri con cui determinare vantaggi e svantaggi. E che forse dovrei accorgermi che quei criteri non ci sono veramente e mi sperderei. Naturalmente, per tanta prontezza, che non è, dunque, sicurezza, della decisio-ne, il contenuto ha da non essere disaccetto. Questa volta la scelta rispondeva al bisogno di fare cose di sinistra, dopo avere pertanto tempo espresso opinioni di sinistra. Aggiungi il sentimento di voler mostrare solidarietà con le persone che in quei giorni venivano colpite, alcune di loro molto amiche; forse il desiderio di acquisire valore ai loro occhi.  Per il Cdg si votava separatamente secondo settori organizza-tivi. Quello in cui mi presentavo io era chiamato «Uffici della pre-sidenza» e contava 61 elettori. Formato da personale scelto o direttamente da Adriano o da suoi assistenti, era ovviamente ritenuto un covo di comunitari. Ma andando in giro per parlare con questo o quel conoscente (non si doveva trattare ufficialmente di propaganda elettorale) mi accorsi che ero guardato con sorrisi di simpatia, e quasi con ammicco. Il giorno successivo al voto il giornale di fabbrica della Cgil, il «Tasto», annuncio che io ero risultato eletto con 31 voti. Il risultato era cosi inaspettato che i comunitari chiesero una riconta, la quale concluse che io avevo ricevuto 30 voti, non 31, e quindi non risultavo eletto. Non me ne preoccupai più di tanto, la carica non era attraente, mi bastava il successo ottenuto, molti venivano a complimentarsi, e del resto complessivamente nella fabbrica il sindacato di Comunità era stato sconfirto. Poi ci ho ripensato: fossi stato eletto, la direzione avrebbe avuto difficoltà ad allontanarmi da Ivrea e poi licenziar-mi. Che invece fu proprio quanto avvenne qualche mese dopo. Mi fu dato un anno di tempo per trovare un altro lavoro e nel frattempo fui assegnato al Centro di ricerca operativa dell'Università Bocconi (era finanziato in gran parte dall'Olivetti) come assistente del professor Francesco Brambilla, che lo dirigeva, spirito geniale e bizzarro dal quale, nell'anno che ci lavorai insieme, imparai un po' di statistica, ma non molta.  Il primo novembre 1956. 'I di dei mort alegher!, caricatici sulla Topolino che avevo comprata a Ivrea di seconda mano, mia mo-glie, mia figlia di due anni, io e un po' di valigie, ci dirigemmo verso Milano. A Rho al sole si sostitui un chiarore lattiginoso sporco, impenetrabile, e, per mesi e mesi, piogge a parte, tale sostanza plano tra il cielo e la città, tanto da convincermi che in quella Milano dai camini ancora non filtrati, quello e nient'altro era da chiamarsi «sole». Ma in qualche giorno di aprile anche il sole come usa nel resto d'Italia riapparve.  Si conclusero così quei tre anni di un'esperienza che più inaspettata per me non avrebbe potuto essere, durante la quale di-ventai, in qualche definizione di questo termine, sociologo, acquisii conoscenze dirette del funzionamento di quella che veniva allora marxisticamente chiamata la struttura dei rapporti di pro-duzione, strinsi amicizie alcune delle quali durarono a lungo. A uno degli amici di allora, l'ingegnere che era stato direttore delle costruzioni dell'azienda, che, malato da anni, usavo andare a trovare quando mi capitava di passare da Milano, una sera raccontai che avevo intenzione di scrivere delle memorie sul periodo all'Oli-vetti. Si mostrò stupito, ma certo voleva leggerle appena le avessi scritte. Sul pianerottolo, dove mi aveva accompagnato con fatica, lo salutai battendogli una mano sulla spalla: «Ciao, vecchio», gli dissi. «Ciao, vecchio? Ciao morto, devi dire» mi ribatté, in una delle sue abituali, esplosive esclamazioni di ironia. Era Roberto Guiducci, il miglior amico tra i sopravvissuti degli anni di Ivrea, eta l'ultima volta che lo avrei visto, gli posso solo dedicare, non far leggere, queste pagine, che non ho scritto in tempo.Alessandro Pizzorno. Pizzorno. Keywords: politica assoluta, razionalita e riconoscimento, razionalizzazione, soggetti del pluralism, lotta operaia, sindacato, la politica assoluta, fascismo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pizzorno” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Plantadossi: l’implicatura conversazioale e gl’universali -- l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripatransone). Filosofo italiano. Saggi: “Conclusiones”, “Lectura super I Sententiarum”, “Prologi”; “Questiones”; “Questio de gradu supremo”. Dizionario Biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Not to be confused with FRANCESCO of Marchia. This is JOHN of Marchia. Nannini – metafisica, idea, exemplaris. Cf. H. P. Grice, “The problem of the universals: from Ripa to me.” Giovanni da Ripa. Giovanni da Ripatransone. Giovanni Plantadossi. Keywords: implicatura, universale, il problema degl’universali, A. Combes, Vignaux, Nannini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Plantadossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Plauto: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale, o la filosofia nel principato di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Scolaro di Musonio. Insigne. Roman noble and a political rival of Emperor NERONE. A relative of the Julio-Claudian dynasty. He is the grandson of DRUSO -- only son of TIBERIO CESARE --, and the great-grandson of TIBERIO and his brother DRUSO. Also descends from MARCO VIPSANIO AGRIPPA and MARC’ANTONIO. He is descended from GIULIO CESARE. His father is Gaio Rubellio Blando. Blando’s family originates from Tivoli and are of the equestrian class. He is the grandson of DRUSO, his mother having previously been married to NERONE GIULIO CESARE, without issue. P. derives his cognomen from his great grandfather LUCIO SERGIO P., and may have used his nomen gentilicium SERGIO as his own prae-nomen, as a lead pipe is attested with the name of SERGIO RUBELLIO P. But this person may have been his son. He becomes an innocent victim to the intrigues of Empress Valeria Messalina. One possibility is that P. is seen by Messalina as a rival to her son BRITANNICO. Emperor CLAUDIO -- who was husband to Messalina, father to BRITANNICO and maternal uncle to Julia -- does not secure any legal defense for his niece. Consequently, Julia is executed. Julia  is considered to be a virtuous person by those who know her.  P. marries the daughter to LUCIO ANTISTIO VETO. P.’s father-in-law serves as consul, legatus of Germania Superior, and Proconsul of Asia. P. is considered a loving husband and father. The names of his children are not known -- none of them survived NERONE’s purges. P. appears to have been a follower of IL PORTICO. According to TACITO, TIGELLINO writes to NERONE. Plautus again, with his great wealth, does not so much as affect a love of repose, but he flaunts before us his imitations of the old Romans, and assumes the self-consciousness of the PORTICO along with a philosophy, which makes men restless, and eager for a busy life." When he was exiled from Rome by NERONE, P. is accompanied by the famous teacher of IL PORTICO MUSONIO RUFO (si veda). P. is associated with a group of philosophers from IL PORTICO who criticise the perceived tyranny and autocratic rule of certain emperors, referred to today as the Opposition from IL PORTICO.  Junia Silana, sister of CALIGULA's first wife Junia Claudilla, a rival of Empress Agrippina the Younger and the ex-wife of Messalina's lover GAIO SILIO, accuse Agrippina of plotting to overthrow NERONE to place P. on the throne. NERONE takes no action at the time, but over time, NERONE's relationship with Silana warms while his relationship with his mother sours. After a comet appears, public gossip renews rumours of NERONE's fall and P.'s rise. NERONE exiles P. to his estate in Asia. After rumors that P. is in negotiations with the eastern general GNEO DOMIZIO CORBULO over rebellion, P. is executed by NERONE. When P.’s head is given to NERONE by a freedman, NERONE mocks how frightening the long nose of P. is. P.’s widow, children and father-in-law are successively executed, victims of the increasing brutality of NERONE. TACITO states that P. is old-fashioned in tastes, his bearing austere and he lives a secluded life. He is greatly respected by his peers, and the execution of his family is cause for consternation among those who know him.  Possibly named Gaio or Sergio. The Journal of Roman Studies, Society for the Promotion of Roman Studies, TACITO, Annals, Holiday, Hanselman, P. the Man Who Would Not Be King". Lives of the PORTICO. New York: Portfolio/Penguin.Categories: Romans Julio-Claudian dynasty Rubellii. Rubellio Plauto. Keyword: Portico, Musonio Rufo, Nerone, la filosofia nel principato di Nerone.

 

Grice e Plebe: all’isola -- la ragione conversazionele o il dizionario della conversazione – filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Alessandria). Filosofo italiano. Grice: “I think I love Plebe: he contributes a beautiful chapter on Cicero and Latin rhetoric for his ‘brief history of ancient rhetoric,’ and, like my tutee Strawson, he approaches Aristotle and modernist logic in a genial way --.” I have been criticised for titling ‘Sicilian philosophy’ -- anyone from Sicily, even if he left Sicily when he was three years old. In such a case, Plebe is a representative of Sicilian philosophy, my critic would say. Born in Italy, he jumps to the isle to teach … philosophy!” Seguo il verso di ORAZIO (si veda). Odio la massa e me ne tengo lontano. Solo in questo sono uomo di destra. Studia a Torino. Insegna a Perugia e Palermo. Filosofo inizialmente marxista, ha una clamorosa rottura e viene annoverato fra i sostenitori dell'anti-comunismo politico-culturale. Dopo una militanza con i social-democratici di Saragat, aderisce al movimento sociale. Rompe anche. Adere  al partito democrazia nazionale. Storico della filosofia, in particolare la antica filosofia italica. Riavvicinatosi al marxismo,  è editorialista di “Libero”. Si define come un illuminista della scessi sostenitore d'un anarchismo. Altre saggi: “Hegel. Filosofo della storia” (Torino, Edizioni di Filosofia); “La teoria del comico” (Torino, Giappichelli); “Gli hegeliani d'Italia” – VERA, SPAVENTA, JAJA, MATURI, GENTILE (Torino, SEI); “Spaventa e Vera” (Torino, Edizioni di filosofia); “La nascita del comico: nella vita e nell'arte degl’antichi italici e romani” (Bari, Laterza); “Filodemo e la musica” (Torino, Edizioni di filosofia); “Processo all'estetica” (Firenze, Nuova Italia); “Il problema kantiano” (Torino, Edizioni di filosofia); “Breve storia della retorica” (Milano, Nuova Accademia); “La dodeca-fonia” (Bari, Laterza); “La logica formale” (Bari, Laterza); “Discorso semi-serio sul romanzo” (Bari, Laterza); “Estetica” (Firenze, Sansoni); “Storia della filosofia” (Messina, D'Anna); “Termini della filosofia” (Roma, Armando); “Antica filosofia italica” (Firenze, Nuova Italia); “Che cosa è l'illuminismo” (Roma, Ubaldini); “Che cosa ha veramente detto Marx (Roma, Ubaldini); “Che cosa ha veramente detto Hegel” (Roma, Ubaldini); “Atlante della filosofia: termini di denunzia, categorie dell'anti-conformismo, formule di moda, vecchi concetti in nuove filosofie” (Roma, Armando); “L'estetica italiana dopo CROCE” (Padova, RADAR); “Che cosa è l'estetica?” (Roma, Ubaldini); “Che cosa è l'espressionismo?” (Roma, Ubaldini); “Dizionario filosofico” (Padova, RADAR); “Storia della filosofia” (Roma, Ubaldini); “Filosofia della re-azione” (Milano, Rusconi); “Quel che non ha capito Marx” (Milano, Rusconi); “Il libretto della destra” (Milano, Borghese); “A che serve la filosofia?” (Palermo, Flaccovio); “Un laico contro il divorzio” (Roma, INSPE); “La civiltà del post-comunismo” (Roma, CEN); “La filosofia italica” (Milano, Vallardi); “Il materialismo: fisica, biologia e filosofia oltre l'ideologia” (Roma, Armando); “Semiotica ed estetica” (Roma-Baden Baden); Il libro-Field educational Italia-Agis); “Leggere Kant” (Roma, Armando); “Logica della poesia” (Palermo, Ila Palma); “Storia della filosofia” (Palermo, Ila Palma); “Manuale d’estetica” (Roma, Armando); “Manuale di retorica” (Roma, Laterza); “La filosofia” (Roma, Armando); “Contro l'ermeneutica” (Bari, Laterza); “L'euristica” (Roma, Laterza); “I filosofi e il quotidiano” (Roma, Laterza); “Dimenticare Marx?” (Milano, Rusconi); Politica (Milano, Rusconi); “Filosofi senza filosofia” (Roma, Laterza); “Torna il comunismo?” (Casale Monferrato, Piemme); “Manuale dell'intellettuale di successo” (Roma, Armando); Il quinto libro del capitale. Marx contro i marxisti” (Milano, via Senato); Gl’illuministi. Obiettivo libertà (Milano, via Senato); “Memorie di sinistra e memorie di destra. Un filosofo negl’anni ruggenti” (Palermo, Qanat). Storia della filosofia: Filosofi italiani (Bompiani, Milano); Il filosofo trasgressivo, cinema gay, Sesso, politica e frecciate di un bastian contrario, La destra fece un brutto affare. Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Armando Plebe. Plebe. Keywords: il dizionario – Gentile hegeliano – Torino SEI – storia della filosofia, antica filosofia italica, filosofia italica e filosofia romana, antica filosofia romana, filosofia dell’antica roma, azione e reazione, cicerone e la retorica Latina, la rhetorica ad herennium; Cicerone e la disputa tra retorica e filosofia; la retorica come arte nel ‘De oratore’ ciceroniano; la polemica di Quintiliano contro Seneca sulle sententiae; forma a contenuto nella retorica ciceroniana; il dialogo de oratoribus; quintiliano, la decadenza della retorica Latina; lessico logico, valore di verita, Strawson citato da Plebe, testo di Strawson tradutto da Plebe in “Logica formale”, la polemica Grice/Quine sotto Aristotele, connetivi, quantificatori, quadrato dell’opposizione, indice alla storia della filosofia antica di Plebe, approccio hegeliano alla storia della filosofia antica Latina – indice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Plebe” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Poggi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il ventennio fascista – incontro con Mussolini ad Ancona – filosofia ligure – I fatti di Sarzana – lasciato in libertà da Mussolini – massoni proibiti – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Sarzana). Flosofo italiano. Colpito dalla violenza usata nei confronti del popolo durante le giornate milanesi e dal temporaneo esilio che doveno subire alcuni socialisti amici di famiglia. Questo lo porta a simpatizzare per quel partito che sta nascendo e al quale si iscrive. Studia a Palermo e Genova. Pubblica “La questione morale: Kant e il socialismo.” Insegna a Genova. Partecipa come delegato al congresso socialista di Ancona, nel corso del quale ha un duro scontro con il massimalista  MUSSOLINI (si veda) sul problema della compatibilità o meno del socialismo con la massoneria.  L'assemblea da in quell'occasione una larga maggioranza alla tesi di MUSSOLINI dell'incompatibilità. Si reca nelle domeniche d'inverno al palazzo genovese di via Palestro, dove RENSI (si veda) anima un vero e proprio salotto – o gruppo di gioco --, arricchito dalla presenza di illustri personalità quali PASTORINO, BUONAIUTI, SELLA, e ROSSI. MUSSOLINI si ricorda di quel suo leale tenace avversario e lo libera, come attesta una registrazione esistente nel suo fascicolo personale presso l'archivio centrale dello stato, lasciato in libertà dal tribunale speciale per la sicurezza dello stato per atto di clemenza di S. E. il capo del governo. Saggi: “Lo stato italiano” (Firenze, Bemporad); “Cultura e socialismo” (Torino, Gobetti); “Gesuiti contro lo stato liberale” (Milano, Unitas); “Filosofia dell'azione” (Roma, Alighieri); “Concetto del ciritto e dello stato romano: saggi critici” (Padova, Milani); “La preghiera dell'uomo” (Milano, Bocca); Meneghini, Socialismo spezzino, appunti per una storia, Massa; Meneghini, Meneghini Sui luttuosi fatti del luglio v. Meneghini, La Caporetto del fascismo Sarzana Mursia Milano,  Pastorino, Mio padre Pastorino, Genova Meneghini, Meneghini, Poggi Meneghini, Poggi, Pastorino, Mio padre Pastorino, Genova, Liguria Sabatelli, Meneghini, Socialismo spezzino Appunti per una storia, Massa, Centro Studi Bronzi, Fatti di Sarzana Social-democrazia. Anti-fascista e uomo di cultura, da Testimoni del tempo e della storia di Carabelli. Alfredo Poggi. Poggi. Keywords: stati pontificii, positivismo giuridico, filosofia giuridica italiana contemporanea – il concetto di diritto, il concetto dello stato italiano – incontro con Mussolini, lasciato in liberta da Mussolini, I fatti di Sarzana, filosofia ligure, criticism kantiano, Adler, saggi sulla filosofia dell’azione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Poggi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pojero: la ragione conversazionale alla villa Pojero e la setta iniziatica – filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Grice: “Like me, he held symposia at his villa – Villa Amato-Pojero, The Giardino inglese a Palermo – lots of Brits there!” Studia a Napoli e Pisa. La sua villa ai giardini inglesi divenne luogo di incontro di un gruppo di gioco di filosofi. La sua biblioteca è punto di incontro di filosofi come GENTILE, VAILATI, Brentano, e GEMELLI. Critica il razionalismo, incapace di comprendere la meta-fisica. Dizionario biografico degl’italiani,  Istituto dell'Enciclopedia. Giuseppe Amato Pojero. Giuseppe Pojero. Pojero. Keywords: la setta iniziatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pojero” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Polemarco: la ragione conversazionale della diaspora di Crotona– Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Pythagorean cited by Giamblico.

 

Grice e Polemarco: la ragione conversazionale o PLATONE IN ITALIA – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Thurii). Filosofo italiano. He comes from a very rich family and owns the villa in Piraeus where the ‘Republic’ of Plato is set, and in which he is featured as the host and participant. He lives most of his life in his villa at Thurii, except for a very brief sojourn in the countryside of Attica – across the pond --, where he unfortunaly falls foul of the rustic rulers and is condemned to death. The events of his last days are recounted by Plato in “Lisi”. Refs.: Cuoco, PLATONE IN ITALIA. Polemarco.

 

Grice e Poli: la ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale del pappagallo di Locke– filosofia italiana. Luigi Speranza (Cremona). Filosofo italiano. Si laurea a Bologna. Insegna a Milano e Padova. Pubblica il saggio di “Filosofia elementare”, un eclettico sistema di empirismo e razionalismo. I “Saggi di scienza politico-legali” considerano il diritto un insieme di scienza in quanto trattano dei principi e di arte in quanto applicazione di un principio giuridico nella valutazione dei singoli casi. Il diritto e un'espressione provvidenziale. Si distingue in naturale e in positivo. Combatte il positivismo negli “Studii di filosofia”, ri-vendicando la superiorità dello spirito sulla materia. “Saggio filosofico sopra la scuola dei moderni filosofi naturalisti -- coll'analisi dell'organo-logia, della cranio-logia, della fisio-gnomia, della psico-logia comparata, e con una teoria delle idee e de' sentimenti” (Milano); “Elementi di filosofia” (Napoli); “Elementi di filosofia teoretica e morale” (Padova); “La filosofia elementare” (Milano); “La scienza politico-legale” (Milano), “Filosofia” (Istituto Lombardo. Rendiconti); “Studii di filosofia” (Istituto Lombardo); Rendi-conti, “Cenni su CORLEO (si veda): il sistema della filosofia universale, ovvero la filosofia dell'identità” (Istituto Lombardo); Rendi-conti, “La filosofia dell'incosciente”, Istituto Lombardo. Memorie, Studi CANTONI, Studio della vita e delle opere. Milano, Filosofia Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Dizionario biografico austriaco. Il linguaggio, presidendo dale grandi controversie de’ filosofi intorno alla sua origine e alla sua formazione, antro non è che il complesso de’ segni destinati ad esprimere le nostre idee e i nostri sentimente. E comeche vari sono codesti segni per la loro indole e per la loro origine, cosi varia è la specia del linguaggio naturale -- ossie delle grida, dei gesti e dell’azione – e del linguaggio artificiale -- ossia della parola e della scrituttura. Fra tutte le opinioni, sembra incontrastabile, prima di tutto, che gl’animali hanni i segni d’una specidie di linguaggio naturale nelle gride e nei moti. Ma questi signi sono o incerti e inisignificanti. O quasi sempre dubii almameno per noi, senza che sia in loro il potere di perfezionarli. In secondo luogo, è dimostrate che gl’animali quantunque forniti dell’organo della loquella e dell’udito, come anche della facultata di associare e d’imitare, non poterono mai giungere all’invenzione del linguaggio veramente articolato, e cio per difetto senza dubbio della facolta superior di della ragione. Sicche i pappagalli – come il famoso riportato di Locke (Grice – si veda), che pur vanno ripetendo le voci umana, non hanno, al pari delle scimie, ne’ loro gesti una vera connessione mentale tra i suoni e le idee annessse, come il dimonstrano il loro parlare a caso ne mai correlative alle domande nuove e straordinarie, e la loro incapacita a ingrandire ed estendere il linguaggio gia appreso. In terzo luogo, è sicuro che com’è impossibile che gl’animale reseano dell’uso d’un linguaggi overamente articolato, non possedendo le idee astratte e generali delle quali esso si compone, cosi riusicrebbe loro affatto inutile, non avendo bisogno di espremiere tutti i nostri pensieri e tutti i nostri sentimenti. Baldassare Poli. Poli. Keywords: naturalisti, organologia, craniologia, fisiognomia, psicologia comparata. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Poli,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. Poli.

 

Grice e Pollastri: la ragione conversazionale delle conversazioni sull’olismo hegeliano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Studia a Firenze. Studia la filosofia della natura di Hegel. Si occupa in particolare di filosofare con le persone, campo nel quale dsvolge la filosofia. Ha uno sportello di consulenza presso il quartiere 4, centro di salute mentale della ASL. Pubblica Apogeo Il pensiero e la vita, Consulente filosofico cercasi, Il filosofo in azienda e L’uomo è ciò che pensa. Fonda Phronesis, una associazione per la consulenza filosofica, IPOC.  Collana “Pratiche Filosofiche” diretta da GALIMBERTI (si veda) per Apogeo e cura la collana “Dialogos”, sempre per l’editore IPOC. Insegna consulenza filosofica in numerose università italiane. Ha inoltre all’attivo ricerche in campo tradizionalmente filosofico come l’assoluto eternamente in sé cangiante. Interpretazione olistica del sistema hegeliano (La Città del Sole), alcuni articoli di filosofia politica e altri di filosofia dell’improvvisazione.  Accanto al suo impegno nella filosofia, si occupa di commenti alla musica, in particolare nel campo del jazz. Collabora con “Musica Jazz”, “Il Giornale della Musica” e “All About Jazz Italia”. Pubblica la biografia artistica di Tesi, Una vita a bottoni (Squilibri). Attivo in campo teatrale, come amatore ha esperienze di attore, recitando in lavori di Ionesco, Nicolaj, Feydeau, e Simon, e regista. Direge Sorelle Materassi di Storelli dal saggio di Palazzeschi, “La tettonica dei sentimenti” e “Siamo momentaneamente assenti” di Squarzina.  La sua teoria della consulenza filosofica e tutt'uno con una più generale concezione della filosofia e del filosofare. È all’interno di questa idea generale, che comprende una visione della società, degl’orizzonti, dei destini della filosofia e il ruolo che il filosofo si svolge, che può essere inserita la sua visione della consulenza filosofica. Il punto di partenza potrebbe essere posto in un’analisi della società e nel ruolo che in essa giocano le psicoterapie e, più largamente il linguaggio e la cultura psico-terapeutica. La sua idea sembra essere quella di chi vede in corso un processo di tras-formazione del dolore del male in una pato-logia psicologicamente rilevabile e curabile. Oggi, tanto i manuali psico-patologici come DSM-IV, quanto la cultura diffusa, da rotocalco -- sovente però confortata da medici e psicologi che sui rotocalchi scrivono --, tendono a far credere che ogni qualvolta si stia male ipso facto si sia malato e che, di conseguenza, sia necessario un terapeuta che ci guarisca. Ciò ovviamente porterebbe ad un estremo impoverimento nella capacità umana di comprendere e affrontare la vita. In un mondo in cui ogni dolore è SINTOMO e l’unica cosa che sembra avere importanza è che esso venga eliminato, la filosofia e la consulenza filosofica -- che sembrano più essere due momenti di un'unica disciplina piuttosto che due cose diverse -- non si presentano come pensiero risolutivo. Prendere decisioni e risolvere problemi sono due modi attraverso cui si banalizza la complessità e anche il fascino di ogni esperienza vitale umana. Se c’è qualcosa di davvero originale e inattuale che la filosofia offre agl’uomini ciò è giustappunto una prospettiva che vada oltre l’agire tecnico finalizzato, l’intervento manipolativo sulla realtà e, dunque, l’idea stessa di efficacia. Con questa impostazione non stupisce dunque che veda in modo estremamente critico la presenza del concetto di aiuto nella consulenza filosofica. Chi si concentra sull’aiutare il consulente rischia di fare semplicemente una psico-terapia mascherata e poco efficace. Concentrarsi sull’ausilio e la soluzione dei problemi posti dal consultante può disperdere la realtà e originale potenzialità della filosofia nel campo della considerazione dei problemi degl’individui e della loro vita. Può annullare la capacità di ri-orientare il pensiero e l’agire che la ri-flessione filosofica porta con sé come sua assoluta specificità. Può, infine, privare gl’individui e la società di quella che è forse oggi rimasta l’ultima branca del sapere svincolata dallo strabordante e a-critico dominio del produrre, del finalizzare, e della tecnica. L’onni-presenza del paradigma tera-peutico non deve fare sì che si dimentichi anche il rapporto sano che la filosofia può mantenere con la psico-logia rettamente intesa. La psicologia cioè come ricerca di ciò che è proprio del comportamento umano che ogni filosofo coltiva. Come studio sull’uomo, e al pari di altre scienze umane che cercano di coglierne altre limitate ma fondamentali dimensioni -- si pensi all’antropologia o alla sociologia --, la psicologia e tenuta in considerazione dallo sguardo del consulente. La psicologia è stata nient’altro che una conoscenza tra le molte che la filosofia dove comprendere, criticare, porre nel giusto posto che a essa spetta entro una comprensione filosofica del mondo. È se il filosofo non disdegna di occuparsi anche di psicologia, perché oggi il filosofo consulente dove temere oltre-misura di fare riferimento anche a essa? Posta in un orizzonte conoscitivo e non terapeutico, la psico-logia non è evitata, al pari di ogni altra disciplina, al consulente filosofico. Lo spazio entro cui colloca la sua azione e la sua riflessione implica una lettura della filosofia come del tutto connessa con la vita di ogni singolo uomo. Difficile cogliere la cesura tra questi e il filosofo. Se questa differenziazione ha sicuramente un valore indicativo, convenzionale, utile per distinguere chi ha fatto della riflessione il centro della vita, è difficile invece trovare una differenza essenziale tra costui e l’uomo comune. L’uomo è necessariamente filosofo. Le ragioni di questa necessità sono connesse con nell’essenza fragile, limitata, mortale dell’uomo, è da questa necessità che deriva l’urgenza dell’uomo a porsi domande, cercare senso, aspirare alla conoscenza, essere, cioè philo-sophos, amante del sapere. Ma se l’uomo è perennemente filosofo è anche perché è propria della filosofia l’incapacità di arrestarsi a un dato, a un risultato che non sia ulteriormente indagabile. La disciplina in questione così si mostra propriamente nella sua attività più che nel suo corpus di conoscenze. Anche la filosofia pratica, dunque, si conclude là dove produce qualcosa di pratico per diventare altro: morale, politica, diritto. Da questa visione se ne deduce la inapplicabilità della filosofia in generale e più specificatamente l’impossibilità di concepire la consulenza filosofica come una sorta di filosofia applicata alla vita. Il fatto è che la filosofia non si applica, oppure è sempre applicata: essendo amore per il sapere, è infatti qualcosa di perennemente in movimento -- è un agire, un fare. E non c’è fare che non sia fare qualcosa. Quello della filosofia è il filosofare, vale a dire il cercare e ri-cercare, il ri-tornare sempre di nuovo sul problema, inappagati dall’apparente soluzione, il ri-flettere incessantemente per mettere a prova le nostre capacità di comprensione. Questo agire, che è pura e semplice filosofia, non può essere applicato perché lo è già sempre, non potendo avvenire senza un argomento, un tema, un problema e senza individui pensanti sui quali esso agisce, produce, come tutte le attività, effetti pratici concreti. Altri saggi: “L' assoluto eternamente in sé cangiante”; “Interpretazione olistica del sistema hegeliano”; “Studi sul pensiero di Hegel (La Città del Sole); “Il pensiero e la vita”; “Guida alla consulenza e alle pratiche filosofiche (Apogeo); “Consulente filosofico cercasi” (Milano, Apogeo); “L’uomo è ciò che pensa: sull’avvenire della pratica filosofica” (Girolamo, Trapani); “Il filosofo in azienda: pratiche filosofiche per le organizzazioni” (Apogeo, Milano); “Tesi. Una vita a bottoni, in A viva voce, Squilibri); “La consulenza filosofica”; “Breve storia di una disciplina a-tipica, in Intersezioni, Achenbach e la fondazione della pratica filosofica, in Maieusis, La consulenza filosofica tra saggezza e metodo, in“Inter-sezioni, Razionalità del sentimento e affettività della ragione”; “Appunti sulle condizioni di possibilità della consulenza filosofica”; “Discipline Filosofiche, Teoria pratica” e palle di biliardo”; “La consulenza filosofica come mappa-tura dell’esistenza, in “La cura degl’altro: la filosofia come terapia dell’anima” (Siena); “Il consulente filosofico di quartiere, in Aut aut, Analisi di Rovatti, La filosofia può curare?, in Phronesis, Prospettive politiche della pratica filosofica, in Humana.mente, Improvvisare la verità. Musica jazz e discorso filosofico, in Itinera.  Miccione, La consulenza Filosofica, Xenia. Neri Pollastri. Pollastri. Keywords: olismo hegeliano, etimologia di consultare, consolare, consultare, console – con-solus --, mutuo consiglio, Böttcher Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pollastri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pollio: la ragione conversazionale contro il lizio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He plays a leading role in Rome’s political and cultural life. He is a friend of both VIRGILIO (si veda) and ORAZIO (si veda), and wrote a history of the civil war. He is NOT a lizio, and his most famous tract he entitles, “Contra Aristotelem”. He rather follows the philosophy of Musonio RUFO (si veda), whom he deems superior to ‘that ginnasio where an over-rated Stagirite used to ramble with friends.’ Historians debate this, since Musonio Rufo apparently was born well after P. dies – but, as Kunstermann says, ‘there is no obvious earlier candidate.’ Hohlertter suggests that the work was written by a LATER Pollio – ‘most likely Pollio Valerio’. Gaio Asinio Pollio

 

Grice e Pollio: la ragione conversazionale contro il Lizio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). The author of “Contra Aristotelem” according to Hohlertter. Pollio Valerio.

 

Grice e Pollio: la ragione conversazionale dell’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Orto. Patron of Stazio (si veda). Pollio Felice.

 

Grice e Polluce: la ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Giulio Polluce or Polideuce – Friend of Commodo to whom he dedicates a treatise entitled “Onomasticon,” a thematically arranged dictionary containing many excerpts from different authors, mainly and especially the Roman philosophers with which he was familiar and thought Commodo would find of slight interest.

 

Grice e Polo: la ragione conversazionale e la scuola di Lucania – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. He is said to have been a Pythagorean, although some think he was a spelling mistake that should be corrected to ‘Eccelo di Lucania.’ He wrote a treatise on justice. Polo.

 

Grice e Pompedio: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to the historian Giuseppe, a senator who followed the Garden – Some believe that the reference is to Publio Pomponio Secondo, a statesman and author. Pompedio.

 

Grice e Pompeo: la ragione conversazionale e il portico romano e il diritto – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza.  Le nozioni di stato e di proprietà in Panezio e l’influenza della dottrina stoica sulla giurisprudenza romana dell’epoca scipionico-cesariana. Il portico è un fenomeno che abbraccia un arco temporale vastissimo ed è di difficile, se non impossibile definizione. Pohlenz ne ha parlato come di un movimento spirituale, ma se si dicesse che è una ‘dimensione del pensiero’ forse non si sbaglierebbe. Comincia con  * Testo rielaborato con le fonti e i riferimenti bibliografici essenziali della relazione alla 59ème Session de la Société Internationale Fernand de Visscher pour l’Histoire des Droits de l’Antiquité. [Per un primo approccio alla filosofia del Portico si v. POHLENZ, Stoa und Stoiker. Die Grunder, Panaitios, Poseidonios (Zürich); ID., La Stoa. Storia di un movimento spirituale (Milano); Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung (Göttingen); ISNARDI PARENTE, Stoici Antichi (Torino l’età del suo fondatore, il cipriota Zenone, un fenicio dalla pelle scura e di sangue semitico, attivo ad Atene, ma comprende anche ANTONINO. Non dimentichiamo, in aggiunta, la rielaborazione del de officiis di CICERONE fatta da AMBROGIO e, ancora, la fortuna medioevale dei precetti morali di Seneca che è addirittura indicato con la sua felice formula honestae vitae da Martino di Bracara come una sorta di cristiano occulto per aver intrattenuto una leggendaria corrispondenza con S. Paolo e tentato di convertire al cristianesimo un suo discepolo. La filosofia del Portico domina dunque la scena culturale romana per molti decenni durante l’ellenismo e la prima età imperiale, ma subì intorno al terzo secolo d.C. una repentina e considerevole decadenza. Agostino, in epist. 118.21, infatti potrà dire: « [i seguaci del Portico] sono ridotti al silenzio, al punto che le loro teorie vengono appena menzionate nelle scuole di retorica ». In effetti della letteratura del Portico a noi non è arrivato molto. A parte un “Inno a Zeus” scritto da Cleante e una serie di citazioni più o meno letterali tramandate da autori di altre tendenze filosofiche, a volte addirittura ostili come Plutarco o Alessandro d’Afrodisia, conosciamo qualcosa attraverso le opere di Seneca ed Epittèto, ma dei pensatori dell’era scipionica è sopravvissuto pochissimo. Ciò nonostante, credo che le nostre conoscenze sul contributo dello  ); ID., Filosofia e scienza nel pensiero ellenistico (Napoli IOPPOLO, Aristone di Chio e lo stoicismo antico (Napoli 1980); ID., Opinione e scienza. Il dibattito tra Stoici e Accademici nel III e nel II secolo a.C. (Napoli HUSLER, Die fragmente zur Dialektik der Stoiker (Stüttgart-Bad Cannstatt 1987- 1988); F. ALESSE, Panezio di Rodi e la tradizione stoica (Napoli RADICE (Introduzione, traduzione, note e apparati a cura di), H. von Arnim, Stoici antichi, Tutti i frammenti (Milano ARNIM, Stoicorum Veterum Fragmenta (Lipsiae VIMERCATI (Introduzione, traduzione, note e apparati di commento a cura di), Panezio, Testimonianze e frammenti (Milano POHLENZ, La Stoa 978. 3 Si v. per un primo approccio M. POHLENZ, sv. Panaitios, in PW. 18.3 (StuttgartWeimar L’epistula fu indirizzata al vescovo Dioscoro che chiedeva informazioni sull’opportunità di studiare Cicerone. 5 Per un sintetico sguardo d’insieme si v. anche REALE, Accettare i voleri della ragione, in Valori dimenticati dell’occidente (Milano 2004) 101 ss. Revue Internationale des droits de l’Antiquité LII (2005) stoicismo per lo sviluppo del diritto romano come scienza, e in particolare in epoca scipionico-cesariana, possano ancora migliorare. 2. I giuristi romani e la Stoa Sul rapporto tra giuristi romani e la dottrina filosofica stoica esiste già una documentazione ricchissima6 . Anzitutto, il cliché dell’uomo  6 Si v. sul punto M. POHLENZ, La Stoa 546-549. Senza alcuna pretesa di completezza segnalo KAMPHUISEN, L’influence de la philosophie sur la conception du droit naturel chez les jurisconsultes romains, RHDFE. FREZZA, Rec. a M. Pohlenz, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung 1 (Göttingen Göttingen SDHI. 17 (1951) pag. 318-332; P. STEIN, The Relations between Grammar and Law in the early Principate. The beginnings of analogy, in La critica del testo (Firenze 1971) 757-769; P.A. VANDER WAERDT, Philosophical Influence on Roman Jurisprudence? The Case of Stoicism and Natural Law, in ANRW. DUCOS, Philosophie, littérature et droit à Rome sous le Principat, in ANRW. WINKEL, Le droit romain et la philosophie grecque, quelques problèmes de méthode, in Tij.  Da ultimo per tutti SCHIAVONE, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente (Torino  Questi, a proposito della ‘rivoluzione scientifica’ che ha riguardato il modo di operare (e di essere) della giurisprudenza romana nei decenni tra l’età dei Gracchi e quella di Cesare e, in particolare, sull’influenza della cultura proveniente dalla Grecia esplicita in questo modo il suo pensiero. In realtà, non di riduzione o di impoverimento si trattava, né di un semplice e superficiale trapianto di qualche metodica, priva di particolare significato sostanziale. Bensì di un delicato e cruciale processo di integrazione, che riuscì a proiettare il sapere giuridico romano al di là degli orizzonti che aveva acquisito, senza tuttavia fargli smarrire il senso della propria fortissima identità: in certo modo a rivoluzionarlo per dargli il compimento. Il risultato sarebbe stato, alla fine, la nascita di un nuovo modo di pensare il diritto, che ne avrebbe tramutato le procedure in quelle di una scienza senza eguali nell’antichità, non meno compatta e concettualmente densa della grande filosofia classica ». Appare evidente che nello studioso salernitano sia maturato un superamento della posizione tradizionale risalente a F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana [Firenze Nocera Lo dimostrano ancora di più le seguenti parole [SCHIAVONE, Ius] Ma perché Quinto Mucio aveva deciso di utilizzare a fondo gli apparati diairetici, fino a farne il tratto caratterizzante – almeno agli occhi di Pomponio – di tutto il suo trattato? La risposta più consueta cerca di spiegarlo con un generico richiamo al clima intellettuale dell’epoca, cui non sarebbero state indifferenti un paio di generazioni di giuristi: una parentesi dovuta all’imporsi di una specie di moda. E’ un’interpretazione a dir poco insoddisfacente, elusiva di un tema essenziale: la connessione fra l’uso della diairetica e la qualità delle conoscenze per la prima volta elaborate attraverso quei modelli. Il problema, cioè, della forma logica attraverso cui a partire da Quinto Mucio e dalle sue innovazioni, l’esperienza del diritto veniva costruita e pensata. Se non si ha lo sguardo fermo su questo intreccio, si smarrisce il filo di ogni interpretazione plausibile. E non c’è da temere solo il vecchio equivoco che portava a distinguere meccanicamente fra ‘metodo’ greco e ‘contenuti’ SACCHI virtuoso che è una caratterizzazione tipica del pensiero stoico. Ateneo, citando Posidonio, ricorda la ferma presa di posizione di Q. Mucio Scevola l’augure, Q. Elio Tuberone e P. Rutilio Rufo (tutti allievi del filosofo stoico Panezio: Cic. Lael.), a favore della lex Fannia cibaria del 161 a.C.7 Proverbiali inoltre sono rimasti il rigore e la coerenza con cui Scevola il pontefice esercitò la sua carica di proconsole nella provincia d’Asia, coadiuvato da Rutilio Rufo suo legato proconsolare8 . A quest’ultimo, prope perfectus in Stoicis (Brut.), si ricollega anche il famoso otium cum dignitate che rimarrà come monito per gli uomini della sua classe; tanto che, come è noto, Cicerone ne farà una strenua difesa contro l’epicureismo dilagante soprattutto in Campania, quando scrisse, fra l’altro, negli ultimi due anni della sua vita il de finibus e le Tusculanae disputationes. Riferimenti precisi nel de oratore e nel Brutus ciceroniani indicano esplicitamente come stoici anche Marco Vigellio (qui cum Panetio vixit), Sesto Pompeo e due Balbi: Cic. De orat. Quid est, quod aut Sex. Pompeius aut duo Balbi aut meus amicus, qui cum Panaetio vixit, M. Vigellius de virtute hominum Stoici possint dicere, qua in disputatione ego his debeam aut vestrum quisquam concedere? Il primo, Quinto Lucilio (Balbo), fu sostenitore della tesi stoica prospettata nel de natura deorum9 . Mentre il secondo, Lucio Lucilio (Balbo), espertissimo in agendo et in respondendo, fu discepolo di  romani, quanto un rischio più grave e sottile: quello di misurare il lavoro dei giuristi con i criteri adoperati per valutare il dibattito filosofico ed epistemologico da Platone al tardo stoicismo, suggestionati solo dalla traccia superficiale di alcuni evidenti debiti della giurisprudenza verso la filosofia, e da qualche sporadica contiguità di lessico e di categorie. Mettendosi su una simile strada, non si può che arrivare alla conclusione di un drammatico impoverimento dell’impianto logico del pensiero classico, quando passa dai filosofi ai giuristi, e alla constatazione del carattere irrimediabilmente minore e senza vocazione teorica del lavoro della giurisprudenza. Ma sarebbe un’indicazione infondata, anche se è stata tante volte riproposta, da diventare un luogo comune storiografico. » 7 Athen. Dipnosoph. 6.274 c-e = Posid. Jacoby. 8 Per tutti CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea. I. Dalle origini all’opera di Labeone (Torino MÜNZER, sv. Lucilius, in PW. 13.2 (Stuttgart-Weimar   Q. Mucio Scevola il pontefice e anche maestro di Servio Sulpicio Rufo  Il Circolo degli Scipioni C’è poi il Circolo degli Scipioni 11 . Questo sodalizio culturale era frequentato, come è noto, da letterati e filosofi come Terenzio e il  10 Cic. Brutus 42.154: Cumque discendi causa duobus peritissimis operam dedisset, L. Lucilio Balbo, C. Aquilio Gallo, Galli hominis acuti et exercitati promptam et paratam in agendo et in respondendo celeritatem subtilitate diligentiaque superavit; Balbi docti et eruditi hominis in utraque re consideratam tarditatem vicit expediendis conficiendisque rebus. Sul rapporto tra lo stoicismo e i giuristi romani v. anche F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città (Napoli Sul circolo scipionico si v. in generale H. BARDON, La littérature latine inconnue. I. L’époque républicaine (Paris 1952) 45 ss., 87 ss.; H. BENGTSON, Grundriss der römische Geschichte, I, (München GRIMAL, Le siècle des Scipions Paris Il secolo degli Scipioni. Roma e l’ellenismo al tempo delle guerre puniche (Brescia, Plataroti, CANALI, Storia della poesia latina (Milano) Anche se è stata negata l’esistenza di questo sodalizio culturale [H. STRASBURGER, Der ‘Scipionenkreis’, in Hermes l’espressione grex Scipionis usata da Cicerone in Lael. e la considerazione, nel paragrafo 101 dello stesso dialogo, di Scipione, Furio, Spurio Mummio, Tuberone, Rutilio, (Virginio e Rupilio); oltre che degli interlocutori del Lelio: Mucio Scevola, Fannio e appunto Lelio, come aequales per essere stati amici o giovani devoti di Scipione, lascia pensare che questo circolo di intellettuali sia stato effettivamente sentito come tale dai suoi protagonisti. Così, con somma erudizione CANCELLI, Cicerone, Lo Stato (Milano scrive: Va da sé che non bisogna credere a un sodalizio, magari con tanto di statuto, ma a un gruppo di uomini che seguivano stesse tendenze politiche, e che facevano capo, in vario modo, a Scipione o al suo amico Lelio. Cicerone assunse appunto a comune carattere dei suoi personaggi l’essere stati amici o in relazione con Scipione e Lelio, e l’essere stati seguaci più o meno fermi dell’insegnamento paneziano ». Fra l’altro, come rileva lo stesso Cancelli, a questa lista di nomi manca solo quello di Manio Manilio, il famoso giurista (e generale di Scipione Africano a Cartagine), per ricostituire il gruppo di personaggi che partecipano al famoso dialogo del de re publica ambientato negli horti suburbani di Scipione Emiliano dove Cicerone ambienterà l’enunciazione della famosa definizione di res publica in 1.25.39 su cui ritorneremo più avanti. Per l’uso di grex per indicare un ‘gruppo di amici’ o un ‘sodalizio culturale’ si v. Cic. Lael. Saepe enim excellentiae quaedam sunt, qualis erat Scipionis in nostro, ut ita dicam grege. Anche Orazio che riferisce la parola proprio ai seguaci della Stoa di Crisippo di Soli. Horat. sat. 2.3.44 Chrysippi porticus et grex. Sul circolo degli Scipioni si v. anche F. LEO, Geschichte der römischen Literatur (Berlin BROWN, A Study of the Scipionic Circle (Iowa TATAKIS, Panétius de Rhodes. Le fondateur du moyen stoïcisme. Sa vie et son oeuvre (Paris BRUWAEUM, L’influence culturelle du cercle de Scipion 330 OSVALDO SACCHI campano Lucilio12 , ma anche da storici come P. Cornelio Scipione, C. Fannio, C. Sempronio Tutidano e forse Emilio Sura. Altri possibili frequentatori di tale circolo furono Cassio Emìna e L. Calpurnio Pisone Frugi che normalmente viene ritenuto avversario dei Gracchi, ma la legge agraria del 111 a.C. lo ricorda come il console che insieme a P. Mucio applicò la lex Sempronia: Lex agr. l. 13 (= FIRA): Quei ager locus publicus populi Romanei, quei in Italia P. Mucio L. Calpurnio cos. fuit. Quando però, nel 167 a.C., Paolo Emilio portò a Roma per i suoi due figli la biblioteca di Pella13 , diventò possibile in questa città accedere direttamente ai testi dei filosofi greci ed in particolare a quelli degli stoici14 . Fu così che il circolo scipionico, a ridosso dell’età graccana, diventò il luogo di incontro principale tra lo stoicismo e gli intellettuali romani. L’amicizia tra l’Africano minore e Polibio nacque  Emilien (Schaerbeeck ABEL, Die kulturelle Mission des Painaitios « Antike und Abendland BRETONE, La fondazione del diritto civile nel manuale pomponiano, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani 2 (Napoli 1982) 259, nt. 8; v. anche 358 ss.; H.I. MARROU, Histoire de l’éducation dans l’antiquité. I. Le monde grec. II. Le monde romain (Paris  WIEACKER, Römische Rechtgeschichte 1 (München 1988) 540, nt. 58; F. ALESSE, Panezio di Rodi e la tradizione stoica (Napoli CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea 217. 12 Sul rapporto tra il poeta Lucilio e il circolo scipionico cfr. Lact. div. inst. 6.5.4. G. MAURACH, Geschichte der römischen Philosophie. Eine Einführung2 (1989, 1997) 22 ss. 13 Plut. Aem. 28.11: Møna tÅ biblºa to† basil™vq filogrammato†si to¡q y™sin ®p™trefen ®jel™suai. [tr. M.L. Amerio (a cura di), Plutarco, Vite, vol. III (Torino Fece prelevare soltanto i libri della biblioteca del re per darli ai figli amanti delle lettere »; Isid. etym. 6.5.1: Romae primus librorum copiam advexit Aemilius Paulus, Perse Macedonum rege devicto; deinde Lucullus e Pontica praeda. Post hos Caesar dedit Marco Varroni negotium quam maximae bibliothecae construendae. Primum autem Romae bibliothecas publicavit Pollio, Graecas simul atque Latinas, additis auctorum imaginibus in atrio, quod de manubiis magnificentissimum instruxerat. 14 Per i rapporti culturali e l’influenza della cultura greca nel circolo scipionico si v. anche SACCHI, La nozione di ager publicus populi Romani come espressione dell’ideologia del suo tempo, in Tij.  Adesso si v. A. SCHIAVONE, Ius. Quinto Mucio, che non ignorava il greco aveva un accesso diretto a questi testi. Erano in gran parte opere incluse nell’imponente biblioteca di Perseo di Macedonia, trasportata a Roma nel 167, dopo Pidna, da Emilio Paolo – nella capitale non si erano mai visti tanti libri – e poi utilizzata dal circolo di Scipione Emiliano. infatti proprio grazie ad una richiesta di libri e alla discussione che scaturì tra questi due personaggi Personalità di assoluto livello sul piano giuridico che possiamo ricordare tra i frequentatori di questo circolo lungo l’arco di almeno due generazioni furono Manio Manilio (ad Att.; ad Q.fr.; Lael.; de re p.; Plut. Ti. Gracc. 11.2) e Gaio Lelio, definito dallo stesso Manilio, valente giurista (de re p. Tum Manilius: Pergisne eam, Laeli, artem inludere, in qua primum excellis ipse, deinde sine qua scire nemo potest, quid sit suum, quid alienum?) che fu allievo prima di Diogene di Babilonia e poi di Panezio (de fin.  Nec ille qui Diogenem Stoicum adulescens, post autem Panaetium audierat). Anche P. Mucio Scevola, il pontefice massimo (console): Cic. de re p. Sed ista mox; nunc audiamus Pilum, quem video maioribus iam de rebus quam me aut quam P. Mucium consuli, l’antagonista di Crasso nella causa Curiana, prima di scegliere di seguire con il fratello di appoggiare le riforme graccane (Cic. de re; Acad. Prior.; Plut. Ti. Gracc.), pare che fu molto vicino a tale ambiente16 . Tra i frequentatori del circolo scipionico che aderirono alla Stoa, troviamo infine anche Furio Filo e Aulo Cascellio, che furono considerati insieme a Q. Mucio l’augure, tre dei più famosi esperti di diritto prediale dell’epoca graccana: Cic. pro Balbo Q. Scaevola ille augur, cum de iure praediatorio consuleretur, homo iuris peritissimus, consultores suos nonnumquam ad Furium et Cascellium praediatores reiciebat. Attraverso Gaio sappiamo anche cosa sia il diritto prediatorio: Gai. 2.61 nam qui mercatur a populo, praediator appellatur 17 . Il discorso tuttavia non finisce qui perché in base a Cic. de orat. apprendiamo che anche Q. Mucio il pontefice massimo aveva subito l’influenza di Panezio di Rodi: Quae, cum ego praetor Rhodum  15 Polyb. il rapporto tra costoro iniziò da un prestito di libri e dalle conversazioni avute su di essi » [tr. R. Nicolai (a cura di), Polibio, Storie. Libri XXIIXXXIX. Frammenti (Roma 1998) 245]. 16 Quadro storico in A. GUARINO, La coerenza di P. Mucio (Napoli Su P. Mucio particolari prosopografici in C.A. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea Particolari prosopografici con fonti e bibl. in C.A. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea 1.235 s. venissem et cum summo illo doctore istius disciplinae Apollonio ea, quae a Panaetio acceperam, contulissem, inrisit ille quidem, ut solebat, philosophiam atque contempsit multaque non tam graviter dixit quam facete. Il quae a Panaetio acceperam mi pare estremamente efficace18 . La corrispondenza tra il titolo di un’opera famosissima di Quinto Mucio, il Liber singularis Œron, e quella di Crisippo di Soli dimostra [insieme a D.: post hos Q. Mucius P.f. pont. max. ius civile primus constituit generatim, in libros XVIII redigendo] la vicinianza del giurista alla cultura stoica19 . 4. La Stoa e il diritto romano Alla luce di questi dati, quindi, non stupisce se Paolo Frezza abbia dichiarato già nel 1951 di credere all’esistenza di una: « …profonda influenza della Stoa sulla formazione e sull’evoluzione del pensiero giuridico romano »20 . Gli esempi della fecondità di tale rapporto, del resto, sono sotto gli occhi di tutti. Nel rilievo che Q. Mucio Scevola dava alla bona fides si nascondono infatti i prodromi di una svolta importante per la disciplina e la struttura dei rapporti obbligatori in tema di emptio venditio e di locatio conductio Schiavone, credo con  18 C.A. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea 1.250 ss. 19 Cfr. anche Gai. 1.188. Diog. Laert. [= SVF. App. 2.42 (Arnim) = Radice 1370]; SVF. (Arnim 2.76) [Radice 424]. Già rilevato da F. LEO, Geschichte der römischen Literatur 350. Mette in dubbio l’autenticità di quest’opera Schulz [Storia della giurisprudenza romana] che si richiama ad  KRÜGER, in St. Bonfante 2.336], ma oggi si propende per l’autenticità. Si v. sul punto P. STEIN, Reguale iuris. From Juristic Rules to Legal Maxims (Edimburg  BRETONE, Tecniche e ideologie Storia del diritto romano4 (Roma-Bari 1989), 185; C.A. CANNATA, Per una storia della giurisprudenza europea FREZZA, Rec. a M. Pohlenz, Die Stoa 326. Sul rapporto tra giurisprudenza romana e filosofi stoici già il Cuiacio con dovizia di indicazioni di fonti e bibl. in J. CIUAICI, Opera. Ad Parisiensem Fabrotianam editionem diligentissime exacta in tomos XIII. distributa auctiora atque emendatiora Pars prima. Tomus primus (Prati Utile, sebbene con meno approfondimento anche J.G. HEINECCII, Historia Juris Civilis Romani ac germanici qua utriusque origo et usus in germania ex ipsis fontibus ostenditur, commoda auditoribus methodo adornata, multisque Observationibus haud Vulgaribus passim illustrata (Venetiis Cic. de off. Si v. su questo argomento LOMBARDI, Dalla fides alla bona fides (Milano 1961); L. FASCIONE, Cenni bibliografici sulla ‘bona fides’, in Studi sulla buona fede (Milano TALAMANCA, La bona fides nei fondatezza, ha sottolineato l’importanza e la pertinenza della già felice intuizione di Nietzsche che giudicava la bona fides del linguaggio giuridico repubblicano come una versione rielaborata in chiave ‘aristocratica e proprietaria’ (è questo il punto) della più antica fides romana22 . La legge agraria del 111 a.C. può essere vista, infatti, come una delle espressioni più immediate di questa nuova sensibilità dei giuristi romani verso una concezione di appartenenza dell’ager publicus distribuito ai privati in senso ‘proprietario’ 23 . Inoltre, si può leggere un legame tra gli insistenti appelli di Antìpatro di Tarso a favore del sentimento di solidarietà umana e il divieto individuato dai giuristi romani fondato sul diritto naturale di approfittare dell’ignoranza del compratore. Del resto, l’impegno profuso da Aquilio Gallo, il difensore dell’aequitas, nel cercare il fondamento definitorio del dolus malus è stato visto, insieme al rilievo della buona fede in Q. Mucio Scevola, esattamente come conseguenza di una volontà di dare maggiore riconoscimento, nell’ambito del diritto formale, al nuovo sentimento etico portato dalla Stoa tra gli intellettuali romani. La sequenza evolutiva, almeno nel caso dell’aequitas, passa dal secondo giurista che fu maestro del primo, e arriva fino a Servio Sulpicio Rufo che seguì l’insegnamento dello stoico Lucilio Balbo e di Aquilio Gallo a Cercina (D. Servius institutus a Balbo Lucilio, instructus autem maxime a Gallo Aquilio, qui fuit Cercinae: itaque libri complures eius extant Cercinae confecti) giuristi romani: ‘Leerformeln’ e valori dell’ordinamento, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del convegno in onore di A. Burdese IV (Padova CARDILLI, ‘Bona fides’ tra storia e sistema (Torino); E. STOLFI, ‘Bonae fidei interpretatio’. Ricerche sull’interpretazione di buona fede fra esperienza romana e tradizione romanistica (Napoli SCHIAVONE, Ius Per il riferimento a Nietzsche si v. Zur Genealogie der moral, Eine Streitschrift (Leipzig Genealogia della morale, in Opere (Milano Colli-Montinari) Su questi temi rinvio anche a SACCHI, I maiores di Cicerone e la teoria della fides nelle scuole giuridiche dell’età repubblicana a Roma, in Atti in onore di G. Franciosi (Napoli Rinvio sul punto a O. SACCHI, Regime della terra e imposizione fondiaria nell’età dei Gracchi. Testo e commento storico-giuridico della legge agraria del 111 a.C. (Napoli Si v. C.A. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica SCHIAVONE, Ius SACCHI Si potrebbe anche parlare, poi, del concetto di utilitas (D.) e del suo rapporto con la nozione di iustitia (Cic. de inv. 2.53.160) 25 . C’è poi la nozione di matrimonio di C. Musonio Rufo, maestro stoico dell’età neroniana (autore a detta di Prisciano di oltre 700 libri), a cui sembra essersi ispirato direttamente Modestino (D.) con il suo celeberrimo consortium omnis vitae26 . Ancora, possiamo citare il rapporto tra ius naturale, ius civile e ius gentium27 , il famoso honeste vivere, alterum non laedere di Ulpiano [D. (Ulp. 1 regularum): Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere] e il paradigma concettuale per la teoria della legge come ente razionale obbligatorio per tutti gli uomini, che i compilatori di Giustiniano scelsero da un’opera di Crisippo di Soli  25 Ampio ragguaglio bibliografico sul tema in NAVARRA, Ricerche sulla utilitas nel pensiero dei guristi romani (Torino 2002) 3 ss. Le parole ius, iustitia e aequitas nel mondo concettuale di Servio acquistano rilievo come espressione del ricongiungimento di legalità, legittimazione, etica e formalismo. La deduzione, ricavata da un notissimo passo delle Filippiche di Cicerone è di A. SCHIAVONE, Ius Il passo è Phil. Nec vero silebitur admirabilis quaedam et incredibilis ac paene divina eius in legibus interpretandis, aequitate explicanda scientia. Omnes ex omni aetate, qui in hac civitate intellegentiam iuris habuerunt, si unum in locum conferantur, cum Ser. Sulpicio non sint comparandi. Nec enim ille magis iuris consultus quam iustitiae fuit. [11] Ita ea quae proficiscebantur a legibus et ab iure civili, semper ad facilitatem aequitatemque referebat neque instituere litium actiones malebat quam controversia tollere. D. (Modest. 1 regularum): Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio. 27 Sul rapporto tra ius naturale, ius civile e ius gentium mi limito a segnalare C.A. MASCHI, La concezione naturalistica del diritto e degli istituti giuridici romani (Milano LOMBARDI, Sul concetto di ‘ius gentium’ (Roma 1947); A. BURDESE, Il concetto di ius naturale nel pensiero della giurisprudenza classica, in RISG. NOCERA, Ius naturale nell’esperienza giuridica romana (Milano 1962); Ph. DIDIER, Les diverses conceptions du droit naturel à l’oeuvre dans la jurisprudence romaine des II e et III e siècles, in SDHI. ARCHI, Lex e natura nelle istituzioni di Gaio, in Scritti di diritto romano 1. Metodologia giurisprudenza. Studi di diritto privato 1 (Milano BRETONE, Storia WINKEL, Einige Bemerkungen über ius naturale und ius gentium, in MJ. Schermaier-Z.Végh (ed.), Festschrift für W. Waldestein zum 65 Geburtstag (Stuttgart KASER, Ius gentium (Köln-Weimar-Wien 1993) 54 ss.; P.A. VANDER WAERDT, Philosophical Influence on Roman Jurisprudence? The Case of Stoicism and Natural Law DUCOS, Philosophie, littérature et droit; S. QUERZOLI, Il sapere di Fiorentino. Etica, natura e logica nelle Institutiones (Napoli che diresse la Stoa di Atene [D. 1.3.2 (Marc. 1 inst.)] La nozione di res publica come effetto dell’influenza diretta del pensiero politico di Panezio Questo elenco di dati non è certo esaustivo e può essere ancora integrato. Possiamo tuttavia affrontare due argomenti che ritengo molto significativi per dare una dimensione ancora più esatta dell’impor-tanza del rapporto tra Stoa ed evoluzione del diritto romano. Anzitutto, la nozione di ‘stato’. Panezio, per la prima volta rispetto a questo problema, mise in primo piano il momento giuridico. Lo stato è considerato dal Portico un insieme di uomini che vivono sullo stesso territorio e sono governati da una legge.  Questo enunciato è la traduzione più o meno letterale della celeberrima definizione di Scipione Africano minore in Cic. de re p. Siamo in un momento di massima influenza culturale del circolo scipionico e si cerca di dare un assetto costituzionale alla res publica31 .  28 perÁ nømoy: Ø nømoq påntvn ®stÁ basileÂq ueºvn te kaÁ Ωnurvpºnvn pragmåtvn? de¡ d‚ aªtØn proståthn te eµnai t©n kal©n kaÁ t©n a˝sxr©n kaÁ “rxonta kaÁ Ôgemøna, kaÁ katÅ to†to kanøna te eµnai dikaºvn kaÁ Ωdºkvn kaÁ t©n f¥sei politik©n zúvn, prostaktikØn m‚n ˘n poiht™on, ΩpagoreytikØn d‚ ˘n oª poiht™on. [D. 1.3.2 (Marcian. 1 inst.)] « Bisogna che la legge sia sovrana di tutte le cose, divine o umane. Deve sovrastare tutte le realtà buone e cattive e su di esse esercitare potere ed egemonia; deve fissare i canoni del giusto e dell’ingiusto e, per i viventi che stanno per natura in società, comanda quel che va fatto, e vieta quel che non va fatto ». Su Crisippo di Soli v. M. POHLENZ, La Stoa 39-43. Su Crisippo di Soli si v. H. VON ARNIM, sv. Chrysippos, in PW. 3.2 (1899, rist. München 1991) coll. Dio Chrysost. or.  [= SVF. (H.von Arnim) (R. Radice, Stoici Antichi, Milano 2002, 1130)]: pl∂toq Ωntr√pon ®n taªtˆ katoiko¥ntvn ÊpØ nømon dioiko¥menon. 30 Segnalo sul punto G. MANCUSO, Forma di stato e forma di governo nell’esperienza costituzionale greco-romana (Catania 1995) 73; P. DESIDERI, Memoria storica e senso dello Stato in Cicerone, in M. Pani (a cura di), Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di antichità romane 6 (Bari) VALDITARA, Attualità nel pensiero politico di Cicerone, in F. Salerno (a cura di), Cicerone e la politica (Napoli SACCHI, La nozione di ager publicus populi Romani Cic. de re p. ‘Est igitur’, inquit Africanus, ‘res publica res populi, populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus’. Cfr. F. CANCELLI, Marco Tullio Cicerone, Lo Stato 33 ss. Sul significato di res publica si v. H. DREXLER, Res publica, 336 OSVALDO SACCHI Il riferimento di Cicerone alla definizione dell’Emiliano è importante perché in essa rileva una nozione ‘costituzionale’ di populus che è costruita su un’idea di legge che a sua volta è basata sul concetto di patto32 . Come in Papiniano D. 1.3.1 (Papin. lib. 1 def.): Lex est commune praeceptum, virorum prudentium consultum, delictorum quae sponte vel ignorantia contrahuntur coercitio, communis rei publicae sponsio, in cui si rileva un concetto di sovranità ‘orizzontale’ piuttosto che ‘verticale’. La differenza del pensiero di Panezio è tuttavia evidente anche rispetto ad Aristotele33 . Lo Stagirita, si limitava infatti a dichiarare che lo ‘Stato’ poteva essere la società perfetta, atta a promuovere la vita buona o migliore (1252 b27) 34 . Il ‘vivere felice’ cui allude lo stesso  in Maia ANRW. Cosiderano res publica nel senso di ‘patrimonio comune’ ORESTANO, Il problema delle persone giuridiche (Torino KOHNS, Res publica-res populi, in Gymnasium MARTINO, Storia della costituzione romana2 1 (Napoli 1972) 494 ss. Considera res publica nel senso di ‘organizzazione del popolo’ J. GAUDEMET, Le peuple et le gouvernement de la République romaine, in Labeo Gouvernés et gouvernants, in Recueil J. Bodin 23.2 (Bruxelles Per R. KLEIN, Wege der Forschung (Darmstadt Der Staat ist das Volk. Su tutto SCHMIDT, Cicero ‘De re publica’: Die Forschung der letzen fünf Dezennien, in ANRW. Si v. ora anche M. KOSTOVA, Res publica на цицерон. Res publica est res populi (Sofia Sul concetto di consensus si v. fra altri FRANCISCI, Arcana imperii (Milano) Forse il fatto che Cicerone (Rep.) insiste sul consensus iuris, sul vinculum iuris, ha fatto pensare che lo scrittore esponesse concetti e dottrine romane, mentre tale idea del vincolo giuridico (nømoq) era già nelle definizioni stoiche». Il governo secondo Cicerone si identifica nel consilium che è l’equivalente del platonico logistikøn e dello stoico Ôgemonikøn. Si v. per questo F. CANCELLI, Cicerone, Lo Stato 76. 33 Non si tratta di una convenzione artificiale come volevano gli scettici e gli epicurei [F. CANCELLI, ibidem 59], né della realizzazione di un bisogno materiale come in Platone [Rep. 2.369b; Leg. 3.676a-680c; 9.875a-d]. E’ lo spontaneo sentimento che spinge l’uomo a riunirsi in società. La congregatio ciceroniana (fin. 3.65; 4.4) corrispondente al f¥sei politik©n zúvn di Aristotele (pol.) che però fu recepito dagli stoici, secondo i quali, nell’uomo vi sarebbero i semina della virtù e della ‘sociabilità’ stessa: Cic. de re p. 1.41; fin. 5.18; Tusc. 3.2. 34 Ô d| ®k pleiønvn kvm©n koinvnºa t™leioq pøliq, ˚dh pÅshq ‘xoysa p™raq t∂q aªtarkeºaq ˜q ‘poq e˝pe¡n, ginom™nh m‚n to† z∂n ’neken, o«sa d‚ to† e« z∂n. DiØ p˙sa pøliq f¥sei ®stºn, e¬per kaÁ a pr©tai koinvnºai? t™loq gÅr a‹th ®keºnvn, Ô d‚ f¥siq t™loq ®stºn? oÚon gÅr ’kastøn ®sti t∂q gen™sevq telesueºshq, ta¥thn fam‚n t¸n f¥sin eµnai „kåstoy, Æster Ωnur√poy Òppoy o˝kºaq. [Arist. pol.]: Cicerone in de off. 1.85 citando però il solo Platone. Per Panezio, invece, lo ‘Stato’ doveva essere una società basata sull’eguaglianza di diritti e mirare all’utilità comune fondata sul valore vincolante della legge. Se questo è vero, dobbiamo allora riconoscere che il filosofo di Rodi portò alla riflessione romana un dato assolutamente originale e del tutto incomparabile con altre esperienze antiche del passato e anche successive. Lo dimostra anche il confronto con un altro frammento, altrettanto famoso, del de re publica di Cicerone in cui, l’Africano minore, parafrasando Catone Censore, fa la differenza tra l’origine delle città greche e l’origine della res publica romana. Qui, forse, si coglie ancora di più il dato di novità apportato da Panezio. Catone parla del peso positivo di una tradizione (Cic. de re p. nostra autem res publica non unius esset ingenio, sed multorum, nec una hominis vita, sed aliquot constituta saeculis et aetatibus), mentre Panezio, attraverso Cicerone, come abbiamo visto, parla solo del valore della legge come dato fondante (iuris consensu et utilitatis communione sociatus). Se questo è vero, sarebbe allora quantomeno da rivedere la nota affermazione per cui lo ‘Stato’/‘res publica’, e i principi che lo regolavano, avrebbero avuto origine dall’idea di Catone fondata sui mores maiorum e che questa posizione ideologica avrebbe segnato il pensiero politico romano anche negli ultimi decenni della Repubblica35 .  comunità perfetta di più villaggi costituisce la città, che ha raggiunto quello che si chiama il livello dell’autosufficienza: sorge per rendere possibile la vita e sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza. Perciò ogni città è un’istituzione naturale, se lo sono anche i tipi di comunità che la precedono, in quanto essa è il loro fine e la natura di una cosa è il suo fine » Viano (cur.), Aristotele, Politica (Milano BRETONE, Pensiero politico e diritto pubblico, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani L’idea che lo stato, e i principi che lo reggono, abbiano la loro origine nei mores maiorum, - l’idea di CATONE, - segna il pensiero politico anche negli ultimi decenni della Repubblica ». La differenza di significato è anche nel fatto che Roma era stata fondata da Romolo che fu abile e prudens (titolare di ‘saggezza pratica’), ma non sapiens come si ritenevano i raffinati intellettuali gravitanti intorno al circolo scipionico. Cfr. Cic. de orat. 1.37; de re p. 2.7 e per tutto CANCELLI, Cicerone, Lo Stato SACCHI 6. Idea di ‘proprietà’ fondiaria nel pensiero di Panezio Un altro profilo del pensiero stoico che potrebbe aver influenzato sensibilmente la riflessione dei giuristi della tarda repubblica, riguarda la nozione di proprietà. Anche questo punto credo che meriti una riflessione più attenta di quanto non si sia fatto finora. Il diritto romano, fino all’epoca dei Gracchi, come ben dimostra ancora tutto l’impianto della legge agraria del 111 a.C., aveva conosciuto forme di appartenenza come la possessio dell’ager publicus, la possibilità che i lotti di terreno assegnati dal Senato venissero alienati e che i figli degli alienatari potessero ereditare dai loro padri; o che questi potessero alienare a terzi i loro cespiti immobiliari. Ma non la proprietà così come è intesa negli ordinamenti moderni che la qualificano come un diritto assoluto (o soggettivo perfetto) ovvero come la intendevano i giuristi dell’età classica, nella dottrina dei quali, la differenza tra possessio e dominum fondiario appare finalmente più nitida36 . Con Panezio, invece, e per la prima volta, la consapevolezza di una sostanza ontologica della nozione di una proprietà fondiaria, e la necessità di difendere tale posizione come dovere primario da parte  36 D.  (Ulp. ad ed.): pater autem familias appellatur, qui in domo dominium habet;  (Ulp. 50 ad ed.): Domini appellatione continetur qui habet proprietatem; 41.1.13pr (Nerat. regularum): Si procurator rem mihi emerit ex mandato meo eique sit tradita meo nomine, dominium mihi, ‘id est proprietas’, adqquiritur etiam ignoranti [da ricordare al riguardo che l’inciso id est proprietas è considerato una glossa da S. SCHLOSSMANN, Der besitzerwerb durch Dritte nach römischen und eutigem Rechte (Leipzig KNIEP, Vacua possessio 1 (Jena FRANCISCI, Translatio dominii (Milano) 28; ID., Il trasferimento della proprietà (Padova BETTI, in Bullettino dell’Istituto di diritto romano 41 (Roma) 183, nt. 1]; CTh. 9.42.4: bona capite damnatorum fiscali dominio vindicare. Nel senso di dominium contrapposto a ususfructus si v. D. 7.6.3 (Iul. 7 digestorum): qui possessionem dumtaxat usus fructus, non etiam dominium adepti sint. Cfr. R. LEONHARD, sv. Dominium, in PW. 5.1 (München) coll. Si v. ora anche indicazioni in O. SACCHI, Regime della terra e imposizione fondiaria 213 ss. Molto interessante il riferimento di [LEONHARD a Varro r.r. 2.10.4: In emptionibus dominum legitimum sex fere res perficiunt: si hereditatem iustam adiit; si, ut debuit, mancipio ab eo accepit, a quo iure civili potuit; aut si in iure cessit, qui potuit cedere, et id ubi oportuit [ubi]; aut si usu cepit aut si e praeda sub corona emit; tumve cum in bonis sectioneve cuius publice veniit. In tale fonte tuttavia, ai vari modi di acquisto della proprietà sullo schiavo, è riferito ancora il ‘parlante’ dominum secondo un uso consolidato nel linguaggio anche tecnico latino della media tarda repubblica. della res publica, vengono messe al centro di un dibattito scientifico e culturale37 . Per avere un’idea più precisa al riguardo, si deve fare riferimento ad alcuni noti passaggi del de officiis di Cicerone che l’Arpinate potrebbe aver tratto direttamente dall’opera maggiore di questo filosofo. Il più significativo è: Cic. de off. Sunt autem privata nulla natura, sed aut vetere occupatione, ut qui quondam in vacua venerunt, aut victoria, ut qui bello potiti sunt, aut lege, pactione, condicione, sorte; ex quo fit, ut ager Arpinas Arpinatium dicatur, Tusculanus Tusculanorum; similisque est privatarum possessionum discriptio. Ex quo, quia suum cuiusque fit eorum, quae natura fuerant communia, quod cuique optigit, id quisque teneat; e quo si quis sibi appetet, violabit ius humanae societatis. Il problema da cui parte Panezio è che la proprietà privata non esiste in natura (sunt autem privata nulla natura). Un approccio quindi comune anche al diritto romano più antico se è vero che questo aveva conosciuto ab origine, a parte il problema dell’heredium, forme di proprietà/appartenenza individuali soltanto mobiliari. Sennonchè, lo ‘stato’ e la ‘proprietà’ in Panezio hanno stessa origine e nascono da uno stesso atto storico, perché il primo nascerebbe per proteggere la seconda. In questo modo, entrambi acquisterebbero così anche una rilevanza giuridica. Guardando de off., che è un altro dei frammenti che Cicerone potrebbe aver preso direttamente dall’opera di Panezio CANCELLI, Marco Tullio Cicerone, Lo Stato 61: « Se non è lo Stato sorto per bisogni materiali dell’uomo, è però nei suoi fini primari favorire proprio anche le condizioni di benessere materiale; e la direzione dello Stato deve essere rivolta al fine di attuare il motivo stesso dell’associarsi degli uomini, Rep. 1,41, che è la migliore condizione di felicità di tutti i componenti il gruppo sociale, Rep. 5,1, e naturalmente la tutela stessa della proprietà privata, come si dirà in Off. 2,73 ». 38 Cic. de off. Sed, quoniam de eo genere beneficiorum dictum est, quae ad singulos spectant, deinceps de iis, quae ad universos quaeque ad rem publicam pertinent, disputandum est. Eorum autem ipsorum partim eius modi sunt, ut ad universos cives pertineant, partim, singulos ut attingant, quae sunt etiam gratiora. Danda opera est omnino, si possit, utrisque, nec minus, ut etiam singulis consulatur, sed ita, ut ea res aut prosit aut certe ne obsit rei publicae. C. Gracchi frumentaria magna largitio exhauriebat igitur aerarium; modica M. Octavi et rei publicae tolerabilis et plebi necessaria; ergo et civibus et rei publicae salutaris. [73] In primis SACCHI vediamo che il tema della necessità per lo Stato di apprestare tutela alla proprietà privata viene esplicitato in modo chiaro e diretto. Leggendo Cicerone apprendiamo che coloro che sono deputati all’amministra-zione dello ‘Stato’ (qui rem publicam administrabit) dovevano badare in primo luogo a che non ci fosse una diminuzione dei beni dei privati (ut suum quisque teneat neque de bonis privatorum publicae deminutio fiat). Questo perché il compito precipuo degli ‘Stati’ e delle ‘città’ (qui l’allusione è chiaramente a de re p. 2.1.2: nostra autem res publica non unius esset ingenio, sed multorum, nec una hominis vita, sed aliquot constituta saeculis et aetatibus) avrebbe dovuto essere quello di difendere le ‘cose di ciascuno’: Cic. de off. 2.21.73: Hanc enim ob causam maxime, ut sua tenerentur, res publicae civitatesque constitutae sunt. Nam, etsi duce natura congregabantur homines, tamen spe custodiae rerum suarum urbium praesidia quaerebant. Il rodiense su questo punto è originale anche rispetto al pensiero stoico che lo aveva preceduto perchè il problema dell’inesistenza in natura della proprietà privata, come è noto, era risolto da Crisippo con la famosa metafora del teatro, dove lo spettatore chiama suo il posto che occupa e si considera, questa, una cosa legittima. Si superava così il problema di qualificare come ‘proprio’ qualcosa che nel mondo invece si sentiva come comune a tutti.  autem videndum erit ei, qui rem publicam administrabit, ut suum quisque teneat neque de bonis privatorum publicae deminutio fiat. Perniciose enim Philippus, in tribunatu cum legem agrariam ferret, quam tamen antiquari facile passus est et in eo vehementer se moderatum praebuit; sed cum in agendo multa populariter, tum illud male, «non esse in civitate duo milia hominum, qui rem haberent». Capitalis oratio est. Ad aequationem bonorum pertinens, qua peste quae potest esse maior? Hanc enim ob causam maxime, ut sua tenerentur, res publicae civitatesque constitutae sunt. Nam, etsi duce natura congregabantur homines, tamen spe custodiae rerum suarum urbium praesidia quaerebant. Cic. de fin. Sed quem ad modum, theatrum cum commune sit, recte tamen dici potest eius esse eum locum quem quisque occuparit, sic in urbe mundove communi non adversatur ius quo minus suum quidque cuiusque sit. La trasformazione del ius civile in ars iuris civilis e l’emersione del dominium quiritario A questo punto credo sia difficile negare un’influenza anche solo indiretta della riflessione paneziana sul processo di trasformazione della possessio dell’ager publicus in dominium quiritario in età cesariana. Il pensiero corre subito allora all’espressione dominium riferita al fondo di terra come cespite immobiliare presente in un passo di Alfeno Varo [D.  (Paul 4 epit. Alfeni dig.) Nella ricostruzione di Lenel esso è collocato al n. 61 e si tratta del caso più tipico di esposizione di un responsum, giustificato da una necessità pratica. Ebbene, in questo frammento, la doppia locuzione dominium loci, potrebbe dirsi un apax legomenon, dato che non abbiamo testimonianze di altri giuristi coevi o anteriori in cui si ritrovi  40 D. (lib. 4 epitomarum Alfeni digestorum): Qui duo praedia habebat, in unius venditione aquam, quae in fundo nascebatur, et circa eam aquam late decem pedes exceperat: quaesitum est, utrum dominium loci ad eum pertineat an ut per eum locum accedere possit. respondit, si ita recepisset: ‘circa eam aquam late pedes decem’, iter dumtaxat videri venditoris esset. LENEL, Palingenesia iuris civilis (Graz Sull’opera di Alfeno Varo cfr. L. DE SARLO, Alfeno Varo e i suoi digesta (Milano FERRINI, Intorno ai digesti di Alfeno Varo, in BIDR. JÖRS, sv. Alfenus Varus, in PW. 2.1 (Stuttgart VERNAY, Servius et son Ecole 35 ss.; S. SOLAZZI, Alfeno Varo e il termine ‘dominium’ KUNKEL, Die römischen Juristen. Herkunft und soziale Stellung SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana BRETONE, Il responso nella scuola di Servio, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani 91 ss.; I. MOLNAR, Alfenus Varus iuris consultus, in Studia in honorem V. Pólay septuagenarii (Szged TALAMANCA, La tipicità dei contratti romani fra ‘conventio’ e ‘stipulatio’ fino a Labeone, in F. Milazzo (a cura di), Contractus e pactum. Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza tardo-repubblicana. Atti del Convegno di diritto romano e della presentazione della nuova riproduzione della ‘littera Florentina’. Copanello (Napoli NEGRI, Per una stilistica dei Digesti di Alfeno, in D. Mantovani (cur.), Per la storia del pensiero giuridico romano. Dall’età dei pontefici alla scuola di Servio. Atti del seminario di S. Marino, Torino CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea ROTH, Alfeni Digesta. Eine spätrepublikanische Juristenschrift, « Freiburger Rechtgeschichtliche Abhandlungen. Neue Folge, Berlin  su cui cfr. V. CARRO (rec.), Su Alfeno Varo e i suoi Digesta, in Index Si v. anche C. GIACHI, Studi su Sesto Pedio. La tradizione, l’editto (Milano SCHIAVONE, Ius 215 e passim. SACCHI un’espressione analoga . La supposizione è rafforzata dal fatto che il legislatore del 111 a.C. non usa mai, in 105 paragrafi di legge, l’espressione dominium; inoltre, dal fatto che tale termine è assente nel lessico di Cicerone e, infine, che nel vocabolario festino troviamo la parola dominus legata a dubenus (L. 59, 2)/heres (L. 88, 28) (dunque inquadrata semanticamente nel lessico giuridico in una concezione potestativa), ma non ancora ad una definizione giuridica di proprietà43 . Sempre che non abbia ragione Solazzi nel considerare La vicenda dell’emersione della figura del dominium nel lessico della lingua latina e nell’ordinamento giuridico romano si può ricostruire attraverso una serie di indizi di carattere storico, giuridico, etimologico che segnano il passaggio, nella mentalità giuridica romana, della nozione giuridica arcaica di appartenenza espressa con la sequenza herus/heres/heredium/hereditas, alla nozione di dominio assoluto espressa mediante la sequenza dubinus/duminus-dominus/dominium/dominium ex iure Quiritium. Quest’ultima indice dell’affermazione, nella mentalità giuridica romana, dell’idea di proprietà in un territorio dello ‘Stato’(=res publica). Per inquadrare tutto questo nella sua più esatta cornice storica bisogna valutare i termini del rapporto tra la nozione di dominium ex iure Quiritium (che si rileva dalle fonti romane tecniche e non) e le forme di appartenenza arcaiche (fino ad una certa epoca potestas e, a livello processuale, il meum esse) di beni mobili (mancipi e nec mancipi, le ceterae res di età tardo repubblicana) e di beni immobili (heredium, ager privatus, res mancipi, fundi). Sulla terminologia usata per indicare in età più antica le manifestazioni del potere del pater familias si v. L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione dei iura praediorum in età repubblicana 1 (Roma GALLO, Osservazioni sulla signoria del ‘pater familias’ in epoca arcaica, in St. De Francisci 2 (1956) 193 ss.; ID., ‘Potestas’ e ‘dominium’ nell’esperienza giuridica romana, in Labeo., in part. sulla nozione di proprietà romana 32 ss.; sul rapporto tra erus e dominus CORBINO, Schemi giuridici dell’appartenenza nell’esperienza romana arcaica, in Scritti Falzea MARRONE, Istituzioni di diritto romano (Palermo 1987) 302 e nt. 29; M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano (Milano 1990) 391; M.J.G. GARCIA GARRIDO, Derecho privado romano. Casos. Acciones. Institutiones13 (Madrid 2004) 211 ss. 43 Il processo di affermazione del termine dominium nel lessico dei giuristi della tarda repubblica presenta in verità un percorso con andamento anomalo. Nelle opere di Cicerone sembrerebbe essere assente [cfr. E. COSTA, Cicerone giureconsulto (Roma FRANCIOSI, Usucapio pro herede. Contributo allo studio dell’antica hereditas (Napoli Però Festo spiega la voce heres (L. 88) dicendo che heres apud antiquos pro domino ponebantur [si v. G.G. ARCHI, Il concetto di proprietà nei diritti del mondo antico, in RIDA. 6 (1959) 234]. Il dato è anche ripreso dagli eruditi giustinianei Inst. 2.19.7: pro herede enim gerere est pro domino gerere: veteres enim heredes pro dominis appellabant. Sennonchè Varrone, affermando in r.r. Bina iugera quod a Romulo primum divisa dicebantur viritim, quae heredem sequerentur, heredium appellarunt, stabilisce una derivazione di heredium da heres. Siamo allora già in grado di stabilire una prima connessione semantica: heres sta a heredium come dominus sta a dominium. In termini schematici abbiamo spuria la presenza della parola dominium in questo famoso passo di Alfeno Varo , nel qual caso il termine di emersione di tale figura giuridica si abbasserebbe ancora di più .  così le prime due contrapposizioni di parole in senso soggettivo/oggettivo delle prime due sequenze: heres/heredium e dominus/dominium. In base al nesso stabilito da Festo (L.) possiamo anche riconoscere un legame tra la posizione dell’heres e quella del dominus. Il che accrediterebbe l’etimologia (peraltro sin qui negata dalla dottrina: cfr. FRANCIOSI, Usucapio pro herede 183, nt. 149) di heres come un derivato da erus/herus. Lo conferma anche D.  (Ulp. 18 ad ed.): Legis autem Aquiliae actio ero competit, hoc est domino; Serv. ad Aen. 7.490 nam (h)erum non nisi dominum dicimus; Cass. ex ps. 2.8(40): hereditates ab ero dicta est, id est domino. Su cui L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della proprietà La connessione è importante perché è un’ulteriore indizio nella direzione di riconoscere l’origine potestativa della posizione del dominus. Quanto all’etimologia di erus, questa parola è noto che significa ‘signore’(era = ‘signora’). Sembra difficile pensare al gallico Ēsus che è una divinità; ovvero all’ittita eŝha (signora) che richiama l’accadico aššatu (sposa) o l’ebraico iššā (donna). Erus sembra derivato direttamente dall’accadico ešeru (legittimo): ‘colui che porta lo scettro’ che ha corrispondenti in aramaico hārā e in ebraico hōr (il ‘nobile’, il ‘libero’). Cfr. sul punto G. SEMERANO, Le origini della cultura indoeuropea. Vol. 1. Rivelazioni della linguistica storica Firenze Altrettanto complesso è il problema della ricostruzione etimologica di dominus che parimenti significa ‘signore’. Si v. su questo É. BENVENISTE, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee. 1. Economia, parentela, società. 2. Potere, diritto, religione (Torino tr. rist. 2001) 1.231 s. Sul punto è interessante la glossa festina per cui alla voce dubenus (L. 59,2) si legge: Dubenus apud antiquos dicebatur, qui nunc dominus. Questa fonte consente di stabilire l’etimologia di dominus in modo abbastanza affidante con un base di accadico dābinu, dappinu, dapnu (nel significato di ‘potente’, ‘dominatore’). Più propriamente nel senso di dominatore ‘per titoli di valore specialmente bellico’ che, insieme all’accadico dannum nel segno di ‘potente detto di re’ o ‘di divinità’, costituisce la base semantica forse più risalente di tale vocabolo: G. SEMERANO, Le origini della cultura europea 2.387. Il riferimento al significato di dominatore ‘per titoli di valore specialmente bellico’ è interessante perché è un dato coerente con l’uso di erus/dominus in Plauto e Terenzio nel significato di ‘padrone di schiavi’ dato che in età antica la forma di procacciamento più diffusa di schiavi era la conquista bellica. Secondo COLOGNESI, La struttura della proprietà (a cui si rinvia per i passi di Plauto e Terenzio dove compare il termine dominus) la sostituzione di erus con dominus sarebbe avvenuta nel de agri cultura di Catone, dunque nel corso del II secolo a.C. 44 Cfr.  MARUOTTI, ‘Proprietà assoluta’ e ‘proprietà relativa’ nella storia giuridica europea, in Drevnee pravo-Ius Antiquum Mosca che ribadisce a p. 17 ancora la mancanza nel II secolo a.C. di vocaboli atti a esprimere compiutamente un’idea astratta della signoria giuridica su una cosa, cioè un’idea astratta di proprietà. La parola dominium, che rappresenta per l’autrice la conquista dell’astratto, sarebbe comparsa solo nel I secolo a.C. ad opera di Alfeno Varo (D.) o del suo maestro Servio Sulpicio Rufo, senza escludere però la SACCHI Ed allora, se crediamo che Cicerone abbia utilizzato in Cic. de off. del materiale paneziano, e non vedo come si possano superare le testimonianze di Gellio e Plinio (praef.),  possibilità che l’autore dell’espressione dominium loci riferita ad una questione di servitù prediali sia stato il giurista Paolo. Già così però G. FRANCIOSI, Usucapio pro herede Studi sulle servitù prediali (Napoli  riprendendo R. MONIER, La date d’apparition du dominium et de la distinction juridique des res en corporales et incorporales, in St. Solazzi PUGLIESE, Res corporales, res incorporales e il problema del diritto soggettivo, in RISG M. LAURIA, Usus, in St. Arangio Ruiz BRETONE, La nozione romana di usufrutto Così L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della proprietà In senso critico nei confronti del Franciosi v. L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione dei iura praediorum in età repubblicana 2 (Milano Poi, però, ancora G. FRANCIOSI, Gentiles familiam habento. Una riflessione sulla cd. proprietà collettiva gentilizia, in G. Franciosi (a cura di), Ricerche sull’organizzazione gentilizia romana 3 (Napoli MANZO, La lex Licinia de modo agrorum. Lotte e leggi agrarie tra il V e il IV secolo a.C. (Napoli SACCHI, I limiti e le trasformazioni dell’ager Campanus fino alla debellatio del 211 A.C., in Ager Campanus Atti del Convegno internazionale « La storia dell’ ager Campanus, i problemi della limitatio e sua lettura attuale », S. Leucio Napoli  L’ager Campanus antiquus. Fattori di trasformazione e profili di storia giuridica del territorio dalla ΜΕΣΟΓΕΙΑ arcaica alla centuriatio romana (Napoli GARRIDO, Derecho privado romano 211, nt. 24. 45 Cfr. sul punto S. SOLAZZI, Alfeno Varo e il termine ‘dominium’, in SDHI. Non è questa la sede per affrontare un tema complesso come quello dell’affermazione della figura giuridica del dominium ex iure Quiritium (proprietà privata immobiliare) nella giurisprudenza e nel diritto romano dell’età arcaica e repubblicana, tuttavia, sulla storia della proprietà arcaica a Roma si v. almeno A. WATSON, The Law of Property in the Later Roman Republic (Oxford COLOGNESI, La struttura della proprietà DIOSDI, Ownership in Ancient and preclassical Roman Law (Budapest GROSSO, Schemi giuridici e società nella storia del diritto privato romano (Torino; GALLO, “Potestas” e “dominium” nella esperienza giuridica romana, in Labeo KASER, Das Römische Privatrecht; Ye.M. STAERMAN, La proprietà fondiaria in Roma, in VDI. Gell. (Vimercati): Legebatur Panaeti philosophi liber de officiis secundus ex tribus illis inclitis libris quos M. Tullius magno cum studio maximoque opere aemulatus est. Non esclude un’influenza diretta di Panezio neanche Francesco De Martino che ritiene possibile che questo filosofo possa essere stato fonte comune di Cicerone e Appiano. Si v. sul punto F. DE MARTINO, Motivi economici nelle lotte dei ‘populares’, in F. D’Ippolito (a cura di), Nuovi studi di economia e diritto romano (Napoli E’ probabile che i passi ciceroniani [Cic. de off.] derivino da Panezio, che è citato poco più sopra, il quale viveva sicuramente ancora al tempo delle agitazioni graccane e scriveva dunque sotto dobbiamo quindi riconoscere che attraverso Cicerone è possibile stabilire un legame molto stretto anche tra la nozione di proprietà privata (come dominium immobiliare), la cultura stoica, e il diritto romano dell’epoca scipionico/cesariana. La cosa non sorprende se si pensa alla cd. ‘svolta ellenistica’ di giuristi come Ofilio, Trebazio e Aquilio Gallo, o allo stoicismo di Catone Uticense Lucio Elio Stilone Preconiano Il discorso sul rapporto tra Stoa e giurisprudenza romana nell’ultimo secolo della repubblica però non si esaurisce qui perché si possono aggiungere nuovi argomenti di discussione anche in ordine alla vexata quaestio della trasformazione del ius civile romano da esercizio di abilità pronetica in ars iuris civilis 49 .  l’impressione provocata da esse. Data la somiglianza degli argomenti di Appiano e di Cicerone non è troppo ardito pensare che entrambe le fonti possano derivare da Panezio o comunque da scrittori dell’epoca, il che spiega bene la correttezza degli argomenti ». Sul punto si v. anche infra paragrafo 9. 47 Plin. praef. 22 = Vimercati 113 frgm. A79: (Tullius) de Republica Platonis se comitem profitetur, in Consolatione filiae ‘Crantorem’ inquit ‘sequor’, item Panetius de Officiis. 48 Cic. de fin. Nam in Tuscolano cum essem vellemque e bibliotheca pueri Luculli quibusdam libris uti, veni in eius villam ut eos ipse ut solebam depromerem. Quo cum venissem, M. Catonem quem ibi esse nescieram vidi in bibliotheca sedentem, multis circonfusum Stoicorum libris. Erat enim ut scis in eo aviditas legendi, nec satiari poterat. Parlo di svolta ellenistica seguendo IPPOLITO, L’organizzazione degli ‘intellettuali’ nel regime cesariano, in Quaderni di storia Si v. sul punto con indicazioni bibl. USSANI, Tra scientia e ars. Il sapere giuridico romano dalla sapienza alla scienza nei giudizi di Cicerone e Pomponio, in Ostraka, Mantovani, Atti del seminario giuridico di S. Marino. Per la storia del pensiero giuridico romano dall’età dei pontefici alla scuola di Servio (Torino L’ars dei giuristi. Considerazioni sullo statuto epistemologico della giurisprudenza romana (Torino ALBANESE, L’ars iuris civilis nel pensiero di Cicerone, in AUPA. Studi con Albanese, Palermo Schiavone è tornato su questo tema che era già stato al centro di un dibattito molto approfondito in storiografia. Nel suo più recente lavoro [Ius] lo studioso parte dalla ricorrenza terminologica in de oratore e in Brutus della parola ars riconducendovi, tuttavia, uno scarto di significato. Nel de oratore. Per rif. bibl. e discussione critica cfr. A. SCHIAVONE, Ius] ars significherebbe ancora ‘sistema’. In Brutus Cfr. per bibl. e disc. SCHIAVONE, Ius] la parola sarebbe stata usata nel significato di ‘conoscenza tecnico-specialistica di una determinata disciplina, senza alcuna SACCHI All’interno di un dibattito certamente più ampio, in questa sede mi riferirisco al ruolo svolto dalla figura di Elio Stilone Preconiano, un’intellettuale che visse proprio negli anni a cavallo tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. Fu proprio grazie a questo personaggio che a Roma si cominciò a studiare la struttura del latino. Proprio Stilone, che fu maestro di Varrone reatino, oltre che dello stesso Cicerone, sull’esempio degli alessandrini, fondò una scuola di filologia a Roma e per primo applicò l’etimologia al materiale linguistico latino mettendo in primo piano il ruolo del neologismo. Ebbene, nel processo di trasformazione del ius civile in una tèchne, insieme all’acquisizione della metodologia diairetica appresa dalle scuole filosofiche greche di varia estrazione culturale, un ruolo di primissimo piano potrebbe essere stato svolto proprio dalla metodologia filologica che trovò in Stilone e nella scuola stoica, il suo  accentuazione degli aspetti sistematici’. Alla lettera Ars traduceva sempre qualcosa che stava, in greco, tra la techne e l’epistème: nel De oratore, sottolineandone le implicazioni sistemiche; nel Brutus, il lato più genericamente gnoseologico ». A mio sommesso avviso il grande salto di qualità dei giuristi romani formatisi alla scuola degli eruditi/gramma-tici/filosofi/linguisti di derivazione stoica (che però non vuol dire rifiuto o ignoranza della tradizione filosofica precedente; uno per tutti: Cic. Tusc. Credamus igitur Panaetio a Platone suo dissentienti?) è stato di passare, da una condizione di eccellenza nell’esercizio di un sapere pratico (phronètico), vicino alla forma ‘doxastica’, dove ciò che contava era la capacità di adeguare la conoscenza della norma al fatto concreto (in questo senso, saggezza), ad una ricerca di ciò che è scientificamente esatto, che appunto è campo di elezione dell’epistème. Su Elio Stilone Preconiano cfr. FUNAIOLI, Grammaticae Romanae Fragmenta, Stuttgart. Non come soltanto grammatico cfr. SACCHI, Il mito del pius agricola e riflessi del conflitto agrario dell’epoca catoniana nella terminologia dei giuristi medio/tardo repubblicani, RIDA. Per la posizione della dottrina prevalente su tale personaggio cfr. F. SINI, A quibus iura civibus praescribebantur. Ricerche sui giuristi del III secolo a.C. (Torino. Sul valore che gli stoici assegnavano all’esatto significato delle parole si v. M. ISNARDI PARENTE, Filosofia e scienza nel pensiero ellenistico 31 e passim. Sulle teorie linguistiche stoiche cfr. C. ATHERTON, The Stoics on Ambiguity (Cambridge; W. AX, Der Einfluss der peripatos auf die Sprachtheorie der Stoa, in K. Döring-Th. Ebert (a cura di), Dialektiker und Stoiker. Zur Logik der stoa und ihrer Vorlaufer (Stuttgart FORSCHNER, Die Stoische Ethic. Über den Zussammenhang von Natur-Sprach und Moral philosophie im altsoischen System (Darmstadt 1995) 67 ss. Sul rapporto tra le teorie linguistiche di Favorino di Arles e le teorie linguistiche degli stoici si v. QUERZOLI, Il sapere di Fiorentino 231 ss. punto di massima realizzazione51 . E’ questo un argomento che non credo sia stato ancora sufficientemente approfondito in dottrina. A supporto di tale ipotesi si può richiamare un frammento famosissimo del de oratore, in cui Cicerone, attraverso Crasso, parlando degli Aeliana studia, rievoca con nostalgia le lezioni e i corsi tenuti da questo maestro. A leggere con attenzione le sue parole, sembra che in questo caso Cicerone stia facendo un discorso apologetico su ciò che si potrebbe considerare anche una testimonianza del primo approccio allo studio del diritto romano articolato in chiave storica. Un modello, fra l’altro, che pare sensibilmente diverso nella sostanza dallo schema isagogico offerto dal celeberrimo trattatello pomponianio: Cic. de or. Accedit vero, quo facilius percipi cognoscique ius civile possit, quod minime plerique arbitrantur, mira quaedam in cognoscendo suavitas et delectatio. Nam, sive quem haec Aeliana studia delectant, plurima est et in omni iure civili et in pontificum libris et in XII tabulis antiquitatis effigies, quod et verborum vetustas prisca cognoscitur et actionum genera quaedam maiorum consuetudinem vitamque declarant. Insieme a questo, vanno considerate altre situazioni che sono tipiche del periodo che stiamo trattando. Mi riferisco alle dispute tra i giuristi repubblicani sul significato della penus legata52 , agli adeguamenti terminologici del testo decemvirale e anche al complesso  Schiavone [Ius], in una messa a punto molto interessante, pare voler superare il giudizio negativo e minimizzante di Fritz Schulz sul rapporo tra filosofia greca e giuristi romani. Sul punto, già con riferimento al contributo stoico, si v. la posizione di Paolo Frezza per cui rinvio a retro, nt.6. Da tener presente anche M. BRETONE, Uno sguardo retrospettivo. Postulati e aporie nella History di Schulz, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani [Festschrift für Franz Wieaker zum 70. Geburstag (Göttingen che affronta il problema discutendo il cosiddetto ‘secondo postulato’ di Schulz, ossia l’isolamento della scienza giuridica. Significativa la seguente affermazione (p. 341): « E’ nota la sensibilità grammaticale (ancora tutta da indagare) di parecchi fra i giureconsulti. Come gli antiquari e i filologi, essi praticarono la ricerca delle etimologie. Ma non è la ricerca delle etimologie, con tutto ciò che sottintende, carica di significato filosofico? ». Sul metodo diairetico si v. C.A. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea Per la penus legata cfr. ORMANNI, Penus legata. Contributi alla storia dei legati disposti con clausola penale in età repubblicana e classica, in Studi E. Betti 4 (Milano 1962) 652 ss. (indicazioni bibl. SINI, A quibus iura civibus praescribebantur (con altre indicazioni bibl.) 348 OSVALDO SACCHI problema della incorporazione tra lex e interpretatio. Bisogna anche aggiungere che Elio Stilone fece molto probabilmente un commento alle XII tavole54 . Ed allora, senza la svolta determinata dagli studi di filologia importati dalla Grecia e sviluppatisi intorno alla figura di Cratete di Mallo, che fu appunto maestro di Panezio e Stilone, sarebbe semplicemente impensabile che i giuristi romani si fossero potuti occupare di questioni del genere55 . 9. Lessus, bona fides e dominium quiritario: ars diventa scientia. Qualche esempio pratico forse può aiutare a chiarire meglio il discorso che sto facendo. Il primo, che per la verità è forse poco più di una suggestione, riguarda la storia della parola lessus che è causa di  53 Sul tema dell’incorporazione tra lex e interpretatio cfr. BRETONE, I fondamenti 27 ss.; FRANCIOSI, Due ipotesi di interpretazione « formatrice »: dalle dodici tavole a Gai. 2.42 e il caso dell’usucapio pro herede, in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor Filippo Gallo (Napoli SACCHI, L’antica eredità e la tutela. Argomenti a favore del principio d’identità, in SDHI.; ID., Il privilegio dell’esenzione dalla tutela per vestali (Gai. 1.145). Elementi per una datazione tra innovazioni legislative ed elaborazione giurisprudenziale, in RIDA. I seguenti frammenti di carattere lemmatico mi paiono sufficienti per giustificare l’ipotesi avanzata nel testo: GRF. (Funaioli)  [Cic. top.]: is est assiduus, ut ait Aelius, appellatus ab aere dando; GRF. (Funaioli) [Cic. de leg.]: L. Aelius lessum [suspicatur] quasi lugubrem eiulationem, ut vox ipsa significat; GRF. (Funaioli 66) 36 [Fest.]: sonticum morbum in XII significare ait Aelius Stilo certum cum iusta causa; GRF. (Funaioli 67) 41 [Fest.]: transque dato notavit Aelius in XII significare traditoque; GRF. (Funaioli) 54 [Paul.-Fest. 77,1]: endoplorato implorato, quod est cum quaestione inclamare; GRF. (Funaioli) [Paul.-Fest.; Cic. de leg.]: forum – cum is forum antiqui appellabant, quod nunc vestibulum sepulchri dici solet; GRF. (Funaioli) 57 [Prisc.]: Aelius: inpubes libripens esse non potest neque antestari, prodiamartyreϑ∂nai; GRF (Funaioli) [Plin.]: inde illa XII tabularum lex: ‘qui coronam parit ipse pecuniave eius, virtutis suae ergo duitor ei’. Quam servi equive meruissent, pecunia partam lege dici nemo dubitavit. Quis ergo honos? ut ipsi mortuo parentibusque eius, dum intus positus esset forisve ferretur, sine fraude esset inposita; GRF. (Funaioli 76) 78 [Fest.]: viginti quinque poenae in XII [8.4] significat viginti quinque asses. Sul punto v. anche O. SACCHI, Il mito del pius agricola Sullo stoicismo di L. Elio Stilone cfr. Cic. Brutus: Sed idem Aelius Stoicus esse voluit. un interessato dibattito sin dall’epoca più antica56 . Sappiamo da Cicerone che un versetto delle XII tavole (neve lessum funeris ergo habento) stabiliva che la donna romana avrebbe dovuto conservare la sua dignità di fronte al dolore per un familiare scomparso: Cic. de leg. Hoc veteres interpretes Sex.Aelius, L.Acilius non satis se intellegere dixerunt, sed auspicari vestimenti aliquod genus funebris, L.Aelius lessum quasi lugubrem eiulationem, ut vox ipsa significat; quod eo magis iudico verum esse, quia lex Solonis id ipsum vetat. Il retore, come è noto, tornerà sul punto nelle Tusculanae Cic. Tusc. Ingemescere non numquam viro concessum est, idque raro, eiulatus ne mulieri quidem; et hic nimirum est ‘lessus’, quem duodecim tabulae in funeribus adhiberi vetuerunt. Come si vede due espertissimi esegeti antichi, Sesto Elio e Lucio Acilio , misurandosi sul significato di tale vocabolo confessarono di non comprenderne il significato (non satis se intellegere dixerunt) e avrebbero tradotto lessus nel significato di ‘abiti da lutto’ (auspicari vestimenti aliquod genus funebris). Cicerone, invece, dichiarando apertamente di seguire Elio Stilone, dimostra di aver optato per il significato di ‘lugubre pianto’ (lessum quasi lugubrem eiulationem). Lessus, in sostanza, avrebbe il significato di ‘nenia funebre’.  56 Si v. con rif. bibl. essenziali F. SINI, A quibus iura praescribebantur Ritorna sul tema F.M. D’IPPOLITO, Problemi storico-esegetici delle XII tavole Napoli che rileva l’uso di genus in accezione diairetica e riconduce (da parte di Sesto Elio) il termine lessus nel circoscritto ambito degli abiti funerari e quindi di un oggetto. Lo studioso napoletano [citando F. BONA, La certezza del diritto nella giurisprudenza tardo-repubblicana, in La certezza del diritto nell’esperienza giuridica romana] ipotizza che Stilone possa aver ragionato prendendo come riferimento l’opera ‘canonizzata’ da Sesto Elio. 57 L. Acilio fu detto sapiens nella stessa epoca di Catone Censore [Cic. de leg.; Lael.; Pomp. in D. accettando l’emendazione di P. Atilius in L. Acilius]. Così E. COSTA, Storia delle fonti del diritto romano (Torino BRETONE, Cicerone e i giuristi, in Techniche e ideologie dei giuristi romani 2 75, Rimarchevole per me che un altro Acilio (senatore) fece nel 155 a.C. da interprete innanzi al senato in occasione della famosa perorazione di Carneade, Diogene e Critolao ricordata anche da Cic. Acad.; Tusc.; Plut. Cato; Gell. Et in senatum quidem introducti interprete usi sunt C. Acilio senatore. SACCHI La soluzione di Elio Stilone, come è noto, prevalse. E la ragione è forse meno complicata di quanto si sia ritenuto finora. La spiegasione di Stilone fu probabilmente solo quella scientificamente più corretta ed è possibile che di questo Cicerone fosse pienamente consapevole. Non quindi una scelta fatta dall’Arpinate in base ad un confronto che avrebbe fatto lo stesso Stilone con le norme soloniche; né una soluzione al problema interpretativo sulla considerazione che Cicerone sarebbe stato convinto che la norma attribuita alla decima tavola avesse delle ascendenze soloniche58 . Il ragionamento che Federico Maria d’Ippolito fa al riguardo è sicuramente corretto. Se la soluzione interpretativa proposta da Stilone (e accolta da Cicerone quando attese alla compilazione del de legibus e nel 45/44 quando scrisse le Tusculanae disputationes) avesse prevalso per la sua corrispondenza all’omologa prescrizione solonica, Sesto Elio e Lucio Acilio non avrebbero avuto problemi interpretativi e, aggiungerei, non avrebbero sbagliato in modo così vistoso. La soluzione evidentemente va cercata in altra direzione (che, per altro, non è certo quella ‘onomatopeica’)59 . La parola lessus (o le lezioni lausum e losum indicate dal Lipsio commentando il famoso passo del Truculentus plautino in cui Theti con il suo lamento ‘lessum fecit filio’)60 infatti potrebbe derivare da una lingua di ceppo semitico, dato che in ebraico lahas significa ‘strazio’ 61 . Ebbene, uno dei maggiori esponenti dello stoicismo (alla cui scuola si formarono proprio Panezio e Stilone) fu Crisippo di Soli, che aveva delle origini semitiche, e scrisse, come Stilone, un trattato sulle proposizioni giudicative. Evidentemente, senza l’influenza della cultura stoica, il problema del significato etimologico di lessus sarebbe rimasto per i Romani insoluto. La via  58 Così Fr. BOESCH, De XII Tabularum lege a graecis petita citato d’IPPOLITO, Forme giuridiche di Roma arcaica3 (Napoli IPPOLITO, Forme giuridiche di Roma arcaica Plaut. Truc. Theti quoque etiam lamentando pausam fecit filio. Questa versione è quella accolta da LINDSAY, T. Macci Plauti Comoediae II (Oxonii che segue l’integrazione del Valla, ma Schoell restituisce lausam e il codice Palatino lausum. Nell’edizione di ANGELIO (traduzione e note di), Le Commedie di M. Accio (sic!) Plauto (Venezia 1847) 1803 leggo: Thetis quoque etiam lamentando lessum fecit filio, così tradotto: « A questo modo Tetide, piagnucolando, cantò ancor la nenia ad Achille suo figlio. Si v. sul punto G. SEMERANO, L’infinito: un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco (Milano LE NOZIONI DI STATO E DI PROPRIETA IN PANEZIO Revue Internationale des droits de l’Antiquité  giusta è suggerita invece attraverso l’analisi dei corretti significati che fu, come abbiamo visto, uno dei temi dominanti di influenza della cultura medio-stoica. Una realtà che, dobbiamo presumere, non risparmiò neanche il campo dell’interpretazione giuridico/antiquaria. Il secondo esempio riguarda la teoria della fides bona nei giuristi della scuola muciana dell’età tardo repubblicana. Bretone spiega molto bene come la fides bona (ovvero la pistis) sia rientrata nel campo semantico della fiducia perchè frutto di un pensiero giuridico evoluto. Esemplari sul punto le parole di Bretone. Come la pistis, anche la fides bona rientra nel campo semantico della fiducia. Tutti i contratti del diritto commerciale, e non solo la compravendita, hanno nella ‘buona fede’ la norma che fonda il vincolo e misura la responsabilità. Non è un valore giuridico del tutto nuovo, ma acquista ora una grande portata. Nella buona fede, un pensiero giuridico evoluto potrà individuare l’elemento comune di istituti diversi, anche nella stessa tradizione civilistica. Si potrebbe ipotizzare che la teoria della fides ciceroniana, come valore assolutamente originale per le conoscenze giuridiche dell’epoca medio/tardo repubblicana, non sia frutto solo dell’ingegno di pochi, ma anche conseguenza dell’incontro tra la filosofia stoica e le conoscenze dei giuristi romani. La questione va storicizzata. Pensiamo al contributo offerto per l’evoluzione del ius civile dalla scuola dei Mucii Ebbene, la nota teoria della fides ciceroniana sul valore del giuramento richiama proprio l’altrettanto nota teoria muciana sull’importanza della fides per la struttura dei rapporti obbligatori della emptio venditio e della locatio conductio. Ai tempi di Plauto era in voga ironizzare sulla graeca fides. I giuristi di quella che all’epoca di Scipione Africano minore si credeva fosse una nascente res publica (ma finse di crederlo anche Ottaviano Augusto) tentarono però di costruire nuovi schemi giuridici confortati proprio da nuovi schemi teorici provenienti dalla Grecia. Anche questo un segno della maturazione dei tempi. Dobbiamo rifarci, allora, ancora al famosissimo frammento del de officiis ciceroniano in cui il retore fa un discorso sul concetto di fides come ‘obbligo di onestà sostanziale’ che è un concetto che si fonda BRETONE, Storia del diritto romano Sulla scuola dei Muci cfr. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica proprio sulla nozione di fides/pistis. Cicerone in questo caso rileva con enfasi e consapevolezza: « un significato profondo in tutti quei giudizi arbitrali in cui è aggiunta la clausola ‘secondo buona fede’, ex fide bona. Resta quindi solo l’eco della fides arcaica intesa nel senso descritto prima, in un’ottica pertanto marcatamente ideologica, circostanza che Gellio, in un altro passo famoso, coglie peraltro molto bene66 . Possiamo pensare a questo punto all’influenza del pensiero stoico data la forte incidenza dell’ethos nel modo di impostare il problema da parte di Cicerone, cosa di cui peraltro ci dà anche una chiara testimonianza Gellio. La cosa non deve sorprendere se si pensa che la riflessione ciceroniana è tratta dal de officiis che, a sua volta, sarebbe stato ispirato ampiamente (almeno i primi due libri in modo quasi letterale) al PerÁ toy kau¸kontoq (« Sul dovere morale ») di Panezio. Se non bastassero i chiarissimi riferimenti di Plinio e Gellio, citati prima68 , è lo stesso Cicerone che elimina ogni  [Rinvio per questo a SACCHI, I maiores di Cicerone e la teoria della fides nelle scuole giuridiche dell’età repubblicana a Roma, in Atti in onore di Franciosi Napoli Cic. de off. Sed, qui sint boni et quid sit bene agi magna quaestio est. Q. quidem Scaevola, pontifex maximus, summam vim esse dicebat in omnibus iis arbitriis, in quibus adderetur ‘ex fide bona’. Il virgolettato è di BRETONE, Storia del diritto romano. Il significato della nozione di buona fede pertanto nelle parole di Cicerone si slarga fino a diventare operante: nelle tutele, nelle società, nei patti fiduciari, nei mandati, nel comprare e nel vendere, nel locare: tutti rapporti nei quali si manifesta la vita comune di tutti gli uomini -- fideique bonae nomen existimabat manare latissime, idque versari in tutelis, societatibus, fiduciis, mandatis, rebus emptis, venditis, conductis, locatis, quibus vitae societas contineretur. Si v. su questo ancora BRETONE WIEACKER, Zum Ursprung der bonae fidei iudicia Fra l’altro in questo passo rileva anche un uso suggestivo del termine maiores: Gell. Omnibus quidem virtutum generibus exercendis colendisque populus Romanus e parva origine ad tantae amplitudinis instar emicuit, sed omnium maxime atque praecipue fidem coluit sanctamque habuit tam privatim quam publice. Hanc autem fidem maiores nostri non modo in officiorum vicibus, sed in negotiorum quoque contractibus sanxerunt maximeque in pecuniae mutuaticae usu atque commercio. Sul punto si v. FEDELI, Il De officiis di Cicerone. Problemi e atteggiamenti della critica moderna, in ANRW. 1.4 (Berlin dubbio al riguardo 69 : de off. 1.6: sequimur igitur hoc quidem tempore et hac in quaestione potissimum Stoicos; de off. 3.20 erit autem haec formula Stoicorum rationi disciplinaeque maxime consentanea. Come non citare, infine, Lattanzio che afferma Nella sua casa di Pozzuoli, Cicerone rivolgendosi ad Attico, dichiara esplicitamente che i primi due libri del de officiis sono deliberatamente ispirati al libro paneziano (ta perÁ toy kau¸kontoq quatenus Panaetius, absolvi duobus) e che lo stesso titolo corrisponde alla translitterazione del titolo dell’opera paneziana. Quod de inscriptione quaeris, non dubito quin perÁ toy kau¸ kontoq ‘officium’ nisi quid tu aliud.; sed inscriptio plenior ‘De officiis’). Quanto al terzo libro del de officiis, mi pare che non si posa seriamente dubitare che sia stato ispirato dall’opera di Posidonio, maggiore allievo di Panezio, ancorchè mediata dall’epitome di un altro filosofo stoico che corrisponde al nome di Atenodoro di Tarso. A tutto questo va aggiunto che il noto frammento ciceroniano del de officiis potrebbe essere attribuito al pensiero di Panezio come mostra di credere Emmanuele Vimercati: de off., Vimercati: Fundamentum autem est iustitiae fides, ‘is est dictorum conventorumque constantia et veritas. Cic. ad Att. Haec ad posteriorem. perÁ toy kau¸ kontoq quatenus Panaetius, absolvi duobus. Illius tres sunt; sed cum initio divisisset ita, tria genera exquirendi offici esse, unum, cum deliberemus honestum an turpe sit, alterum utile an inutile, tertium, cum haec inter se pugnare videantur, quo modo iudicandum sit, qualis causa Reguli, redire honestum, manere utile, de duobus primis preclare disserit, de tertio pollicetur se deinceps scripturum sed nihil scripsit. Eum locum Posidonius persecutus est. Ego autem et eius librum arcessivi et ad Athenodorum Calvum scripsi ut ad me ta kefålaia mitteret; quae expecto. Quod de inscriptione quaeris, non dubito quin kau∂kon ‘officium’ sit nisi quid tu aliud; sed inscriptio plenior ‘De officiis’. Sono da considerare in questo quadro anche: Cic. de off.  [= Vimercati = Alesse. Fides autem ut habeatur duabus rebus effici potest, si existimabimur adepti coniunctam cum iustitia prudentiam. Nam et iis fidem habemus quos plus intellegere quam nos arbitramur quosque et futura prospicere credimus et, cum res agatur in discrimenque ventum sit, expedire rem et consilium ex tempore capere posse; hanc enim utilem homines existimant veramque prudentiam; e de off. [= Vimercati  = Alesse. Iustis autem et fidis hominibus, id est bonis viris, ita fides habetur ut nulla sit in iis fraudis iniuriaeque suspicio. Itaque his salutem nostram, his fortunas, his liberos rectissime committi arbitramur. Harum igitur duarum ad fidem faciendam iustitia plus pollet, quippe cum ea sine prudentia satis habeat auctoritatis, prudentia sine iustitia nihil valeat ad faciendam fidem. Quo enim qui versutior et callidior, hoc invisior et suspectior detracta opinione probitatis. Quam ob rem intellegentiae iustitia coniuncta quantum volet habebit ad faciendam fidem virium. Iustitia sine prudentia multum poterit, sine iustitia nihil valebit prudentia. Specialmente nel primo di questi due frammenti, dove si dà rilievo alla posizione di coloro che mostrano si sapere e di avere competenza in quello che fanno, è immediato il riferimento a Senofonte (mem.) che dimostra quanto Panezio (e quindi Cicerone) si fosse ispirato, fra l’altro, nella sua concezione del dovere, anche a modelli socratici. Cfr. GARBARINO, Il concetto etico-politico di gloria nel div. inst.: Ab his definitionibus (n.d.r., virtutis), quas poeta (n.d.r., Lucilius) breviter comprehendit, Marcus Tullius traxit officia vivendi Panaetium Stoicum secutus eaque tribus voluminibus inclusit. Quanto al rapporto tra pensiero filosofico della media stoa e la scuola dei Muci, le fonti dimostrano che questo è stato molto stretto e non se ne può dubitare. Basti ricordare, l’illius tui di Licinio Crasso riferito a Panezio nei confronti di Mucio Scevola del celebre frammento del de oratore di Cicerone: Cic. de orat. [= Vimercati = Alesse. Audivi Crassus enim summos homines, cum quaestor ex Macedonia venissem Athenas florente Academia, ut temporibus illis ferebatur, cum eam Charmadas et Clitomachus et Aeschines optinebant. Erat etiam Metrodorus, qui cum illis una etiam ipsum illum Carneadem diligentius audierat, hominem omnium in dicendo, ut ferebant, acerrimum et copiosissimum; vigebatque auditor Panaeti illius tui [= Scaevola] Mnesarchus et peripatetici Critolai Diodorus, de officiis di Cicerone, in Tra Grecia e Roma. Temi antichi e metodologie moderne, Roma; ERSKINE, The Ellenistic Stoa. Political Thought and Action, London; ALESSE, cur. Panezio di Rodi, Testimonianze, Napoli. Insieme a questi, POHLENZ, La Stoa, ricorda: l’altro genero di Lelio, insieme a Mucio Scevola, Gaio Fannio; il nipote di Scipione Emiliano, Quinto Elio Tuberone; Publio Rutilio Rufo -- Cic. Brutus Habemus igitur in Stoicis oratoribus Rutilium; Marco Vigellio e il nipote di Scevola, Quinto Mucio Scevola il pontefice massimo, l’antagonista di Crasso nella causa curiana; inoltre, Spurio Mummio (Cic. Brutus: Spurius autem nihilo ille quidem ornatior, sed tamen astrictior; fuit enim doctus ex disciplina Stoicorum) e Manio Manilio. L’elaborazione dell’editto provinciale, fatta da Q. Mucio con l’aiuto di Rufo (che poi Cicerone riprenderà nel suo impianto di base) è rimasto proverbiale (e non a caso inviso ai publicani) come esempio di intransigenza stoica. Sull’esistenza di un rapporto strettissimo tra Stoa e pensiero giuridico romano dell’età cesariana non si può quindi dubitare. La questione della fides, e del suo rilievo morale, come espressione di un nuovo sentimento etico, potrebbe quindi essere visto come uno dei tanti riflessi che l’influenza del pensiero stoico produsse nelle persone di cultura a Roma a partire dal secondo secolo a.C. Cfr. sul punto specifico CARDILLI, Bona fides tra storia e sistema con riflessioni anche sul pensiero labeoniano. Ora anche A. SCHIAVONE, Ius L’impegno profuso da Aquilio Gallo, il difensore dell’aequitas, nel cercare il fondamento definitorio del dolus malus è stato visto, insieme alla considerazione della buona fede in Quinto Mucio Scevola, esattamente come conseguenza di una volontà di dare maggiore rilievo, nell’ambito del diritto formale, al nuovo sentimento etico portato dalla Stoa tra gli intellettuali culturalmente L’ultimo esempio ci consente di tornare alla nozione di proprietà fondiaria di cui parlavamo prima e di avviarci anche rapidamente alla conclusione. Proprio attraverso Varrone, seguiamo infatti una traccia sottile che attesterebbe un collegamento diretto tra la metodologia filologico antiquaria di Elio Stilone e i giuristi dell’età ciceroniana. Tale traccia porta fino a Servio Sulpicio Rufo e alla sua scuola che Cicerone, come sappiamo, considerava all’avanguardia. In un noto frammento di Gellio sulle favissae Capitolinae è attestato uno scambio di corrispondenza proprio tra tale giurista e Varrone e si riconosce in Servio curiosità grammaticale e un gusto antiquario di marcato stile varroniano: Gell. Servius Sulpicius iuris civilis auctor, vir bene litteratus, scriptis ad M. Varronem rogavitque, ut rescriberet, quid significaret verbum, quod in censoris libris scriptum esset. Id erat verbum ‘favisae Capitolinae. Allo stesso modo, Alfeno Varo, Servi Sulpicii discipulus rerumque antiquarum non incuriosus, risulta coinvolto in una questione filologico-esegetica sul rapporto etimologico tra i termini purum e putum -- Gell. Se queste testimonianze sono attendibili, si potrebbe dire allora che la generazione dei giuristi dell’età cesariana seppe trasformare in realtà concreta ciò che all’epoca del circolo del terzo Scipione si potè  più sensibili della società romana. In questo senso mi pare molto indicativa la seguente testimonianza di Varrone sulle conseguenze delle deliberazioni del pretore in giorni nefas: Varro l.L. Praetor qui tum factus est, si imprudens fecit, piaculari hostia facta piatur; si prudens dixit, Quintus Mucius abigebat eum expiari ut impium non posse. Cic. Brutus Sulla scuola di Servio Sulpicio Rufo v. M. BRETONE, Il responso e la scuola di Servio, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani Cfr. SCHIAVONE, Ius. Gell. Alfenus iureconsultus, Servii Sulpicii discipulus rerumque antiquarum non incuriosus, in libro digestorum tricesimo et quarto, coniectaneorum autem secundo: « in foedere » inquit « quod inter populum Romanum et Carthaginienses factum est, scriptum invenitur, ut Carthaginienses quotannis populo Romano darent certum pondus argenti puri puti, quaesitumque est, quid esset ‘purum putum’. Respondi » inquit « ego ‘putum’ esse valde purum, sicuti novum ‘novicium’ dicimus et proprium ‘propicium’ augere atque intendere volentes novi et proprii significationem. SACCHI solo teorizzare. Forse non si riuscì a determinare l’ideale della res publica che rimase un modello meramente teorico, però si portò a termine il processo di trasformazione della possessio dell’ager publicus in dominium quiritario che fu uno dei problemi che afflisse di più gli intellettuali del circolo scipionico, se è vero quanto Manio Manilio riferisce di Gaio Lelio sul suo interesse ad applicare al diritto romano la distinzione tra ciò che era ‘proprio’ e ciò che era ‘di altri.  Sono veramente alla conclusione e vorrei citare uno dei più grandi maestri della filologia moderna, August Boeckh. Questi ha scritto, in termini solo apparentemente paradossali, che i popoli o gli individui ‘colti’, avendo evidentemente la consapevolezza di un passato da custodire e da tramandare, sentirono inevitabilmente, come segno di maturità, l’esigenza di filologhéin (filologe¡n). Popoli incolti e privi di senso della tradizione, poterono al più, filosoféin (filosofe¡n). Riflettendo su quanto detto finora, questa affermazione forse ci conduce direttamente al cuore del problema. I giuristi romani degli ultimi due secoli della repubblica, sia pure con diverse sfumature di approccio, seppero infatti sentire l’esigenza di filologhéin. Lo dimostra la cura con cui il testo delle XII tavole e conservato fino all’epoca di Sesto Elio e ancora discusso e interpretato in epoca scipionico-cesariana. Opere di taglio giuridicofilologico, come quelle di Lucio Acilio, Elio Stilone, Aquilio Gallo e [Mi riferisco a Q. Elio Tuberone, l’allievo di Ofilio, che riconobbe a Cesare e Pompeo la volontà di salvare insieme la res publica come fine della loro contentio dignitatis (Suet. Iul.). Augusto aveva adibito il principio della concordia cesariano-pompeiana come postulato necessario per la costruzione della sua idea di res publica appoggiata dagli intellettuali dell’epoca cesariana. In questo quadro si chiariscono le famose parole riferite da Macrobio ad Augusto in cui si definisce Catone Uticense buon cittadino perché non voleva che si modificasse l’ordine costituito (Macr. sat. de pervicacia Catonis ait: quisquis praesentem statum civitatis commutari non volet et civis et vir bonus est). Ampio ragguaglio sui vari tipi di costituzione teorizzati negli ambienti colti romani dell’epoca scipionica in CANCELLI, Cicerone, Lo Stato Cic. de rep. Tum Manilius: Pergisne eam, Laeli, artem inludere, in qua primum excellis ipse, deinde sine qua scire nemo potest, quid sit suum, quid alienum? Su Lelio come stoico v. anche Cic. Lael. BOECKH, Enzyklopädie und Methodenlehre der philologischen Wissenschaften, Leipzig, MASULLO, La filologia come scienza storica, cur. Garzya, Napoli]. Verrio Flacco e le incursioni non sporadiche di Servio e di Alfeno Varo in questo campo, ne sono una chiara dimostrazione. I filosofi stoici smisero di considerare (come Platone) la filosofia come il tutto di fronte alle parti e fecero entrare tale disciplina in rapporto con la scienza parziale. L’attività della giurisprudenza romana, da usus consolidato nella prassi (cavere, agere e respondere) ed espressione di un sapere -- si potrebbe dire, alla greca phronètico -- seppe invece trasformarsi in ars. E questo, probabilmente, non soltanto grazie all’uso della diairetica, cioè delle metodologie importate dal mondo culturale ellenico, ma anche per effetto dell’applicazione della filologia allo studio del diritto. Mi diverte allora pensare, e concludo, che i giuristi romani potrebbero essersi comportati da ‘colti’, a differenza dei filosofi greci, che sembrerebbero essere rimasti confinati per sempre nel loro meraviglioso, ma forse ‘incolto’, isolamento. Parafrasando Nietzsche. Quae philosophia fuit, facta philologia est. Inutile dire che in questo caso il filologo/filosofo tedesco si sta richiamando ad un passaggio delle Epistulae di Seneca che fu uno degli esponenti migliori dello stoicismo romano del periodo post paneziano M. ISNARDI PARENTE, Techne. Momenti del pensiero greco da Platone a Epicuro, Firenze. Sul significato del concetto di ars si v. retro nt. 42. 81 Sen. ep. 108.23. V. anche M. POHLENZ, La Stoa 608. Sulla figura di Nietzsche filologo rinvio alle belle pagine di M. GIGANTE, Classico e mediazione. Contributi alla storia della filologia antica, Roma, [=in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli]. Pompeo

 

Grice e Pompeo: la ragione conversazionale al portico romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The uncle of Pompeo, the general. He is well versed in the Portico and a man of considerable learning, especially in the area of geometry. Sesto Pompeo.

 

Grice e Pompeo: la ragione conversazionale al portico romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A statesman and general ultimately defeated in the civil war against GIULIO (si veda) Cesare. A pupil of Posidonio at Rome. It is said that this tutelage had a great effect on him – “It changed my life” -- but it is not clear to what extent Pompeo himself became a follower of the Portico. Gnaio Pompeo Magno.

 

Grice e Pomponazzi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale materiale - l’affair Pomponazzi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Flosofo italiano. Important Italian philosopher. Studia a  Padova sotto Nardò, Riccobonella e Trapolino. Insegna a Padova, Carpi, Padova, Venezia, Ferrara, Mantova, e Bologna. Pubblica “De maximo et minimo”. Publica un commento al “De anima” aristotelico del Lizio. Scrive il “Trattato dell’immortalita dell’anima” (Bologna), il “Il fato, il libero arbitrio e la predestinazione” (Grataroli, Basilea) e il “De naturalium effectuum causis, sive de incantationibus” (Grataroli, Basilea) oltre a commenti delle opere di Aristotele. Il “Tractatus de immortalitate animae,” in cui sostiene che l'immortalità dell'anima non può essere dimostrata razionalmente, fa scandalo. Attaccato da più parti, la pubblicazione è pubblicamente bruciata a Venezia. Denunciato da Fiandino per eresia, la difesa di Bembo gli permette di evitare terribili conseguenze. É condannato da Leone X a ri-trattare la sua tesi. Non ri-tratta. Si difende con la sua Apologia e con il Defensorium adversus Augustinum Niphum, una risposta al De immortalitate animae libellus di NIFO (si veda), in cui sostiene la distinzione tra verità di fede e verità di ragione, idea ripresa da ARDIGÒ (si veda). Evita ogni problema pubblicando il “De nutritione et augmentatione”, il “De partibus animalium” e il “De sensu”. Muore suicida. Per i peripatetici del LIZIO, l'anima è l'atto – entelechia -- primo di un corpo che ha la vita in potenza. L’animo è la sostanza che realizza la funzione vitale dei corpi. Tre sono le funzioni dell'anima: la funzione vegetativa per la quale gl’esseri vegetali, animali e umani si nutrono e si riproducono; la funzione sensitiva per la quale gl’esseri animali e umani hanno sensazioni e immagini; la funzione intellettiva, per la quale gl’esseri umani comprendono.  La funzione intelletiva è la capacità di giudicare le immagini fornite dai sensi. L'atto dell'intendere si identifica con l'oggetto intelligibile, cioè con la sostanza dell'oggetto, ossia con la verità. L’intelletto possibile o passivo è la capacità umana di intendere. L’intelletto attuale o attivo o agente è la luce intellettuale. L’intelleto agente contiene in atto ogni intelligibile, e agisce sull'intelletto potenziale come la luce mostra, mette in atto i colori che al buio non sono visibili ma pure esistono e dunque sono in potenza. L’intelletto agente mette in atto una verità che nell'intelletto possibile e soltanto in potenza. L'intelletto agente è separato, non composto, impassibile, per sua essenza atto separato, esso è solo quel che è realmente. Questo è immortale ed eterno. Bisogna esaminare se la forma esista anche dopo la dis-soluzione del composto. Per alcune cose nulla lo impedisce, come, ad esempio nel caso dell'anima, ma non dell'anima nella sua interezza, bensì dell'intelletto, poiché è forse impossibile l'esistenza separata dell'anima intera. I parepatetici del LIZIO a Padova si sono divisi in due correnti: gli’averroisti e gl’alessandrini, seguaci questi delle interpretazioni di Alessandro di Afrodisia. Gl’averroisti, secondo una concezione influenzata dall’idealismo sosteneno l'unicità e la trascendenza non solo dell'intelletto agente, ma anche dell'intelletto possibile, che per lui non appartiene agl’uomini ma è unico e comune all'intera specie umana. Gl’alessandrini manteneno l'unicità dell'intelletto agente, che fano coincidere con il divino, ma attribuisceno a ciascun uomo un intelletto possibile individuale, mortale insieme con il corpo. Va ricordato che per AQUINO (si veda) nell'uomo è presente un'unica anima per sua natura – simpliciter -- immortale, ma per un certo aspetto -- secundum quid -- mortale, in quanto anche legata alle funzioni più materiali dell'essere umano.  Trae spunto da una discussione con RAGUSEO (si veda) il quale, avendo sostenuto che la teoria d’AQUINO sull'anima non si accorda con quella aristotelica del LIZIO, lo prega di provare le sue affermazioni mediante mezzi puramente razionali. Fanno bene gl’antichi a porre gl’uomini tra le cose eterne e quelle temporali, cosicché gl’uomini, né puramente eterni né semplicemente temporali, partecipano delle due nature e stando a metà fra loro, può vivere quella che vuole. Così, alcuni uomini sembrano dei perché, dominando il proprio essere vegetativo e sensitivo, sono quasi completamente razionali. Altri, sommersi nei sensi, sembrano bestie. Altri ancora, uomini nel vero senso della parola, vivono mediamente secondo la virtù, senza concedersi completamente né all'intelletto e né ai piaceri del corpo. Gl’uomini dunque, sono di natura non semplice ma molte-plice, non determinata ma bi-fronte – ancipitis -- media fra il mortale e l'immortale. Questa medietà non è il provvisorio incontro di due nature, una corporea e una non-corporea, che si divideranno con la morte, ma è la dimostrazione della reale unità degl’uomini. La natura procede per gradi. Gl’esseri vegetali hanno un poco di anima. Gl’animali hanno i sensi e una certa immaginazione. Alcuni animali arrivano a costruirsi case e a organizzarsi civilmente tanto che molti uomini sembrano avere un'intelligenza molto inferiore alla loro. Vi sono animali intermedi fra la pianta e la bestia, come la spugna della scimmia non sai se sia uomo o bruto, analogamente l'anima intellettiva è media fra il temporale e l'eterno. Polemizza cogl’averroisiti che hanno scisso dalla naturale unità umana il principio razionale da quello sensitivo e con’AQUINO, ri-levando che l'anima, essendo unica, non può avere due modi di intendere, uno dipendente e un altro indipendente dalle funzioni dei corpi. La dipendenza dell'intelligenza dalla fantasia, che dipende a sua volta dai sensi, lega l'anima indissolubilmente al corpo e ne fa seguire lo stesso destino di morte. È capovolta la tesi fondamentale d’AQUINO. L'anima è per sé mortale e secundum quid, in un certo senso, immortale, e non il contrario, perché nobilissima fra le cose materiali e al confine con le immateriali, profuma di immortalità ma non in senso assoluto -- aliquid immortalitatis odorat, sed non simpliciter. E ricorda che per Aristotele e il LIZIO l'anima non è creata dal divino. Gl’uomini infatti sono generati dagl’altri uomini e anche dal sole. Riguardo al problema del rapporto fra ragione e fede, solo la fede, non le ragioni naturali, può affermare l'immortalità dell'anima e coloro che camminano per le vie dei credenti sono fermi e saldi,  mentre per quanto attiene i problemi etici che la mortalità dell'anima potrebbe suscitare, afferma che per comportarsi virtuosamente non è affatto necessario credere all'immortalità dell'anima e alle ricompense ultra-terrene, perché la virtù è premio a sé stessa e chi afferma che l'anima è mortale salva il principio della virtù meglio di chi la considera immortale, perché la speranza di un premio e il terrore della pena provoca comportamenti servili contrari alla virtù. Il Tractatus provoca clamore e polemiche alle quale rispose, ribadendo le sue tesi con l'apologia, dove risponde alle critiche amichevoli di Contarini, Colzade e Fiandino. Replica con il Defensorium adversus Agostinum Niphum alle critiche di NIFO (si veda), professore di filosofia a Padova. Panizza chiede a P. se possono esserci cause sopra-naturali di eventi naturali, in contrasto con le affermazioni di Aristotele del LIZIO, e se si debba ammettere l'esistenza del demonio anche per spiegare molti fenomeniche si sono verificati.  Dobbiamo spiegare questi fenomeni con cause naturali, senza ricorrere al demonio. É ridicolo lasciare l'evidenza per cercare quello che non è né evidente né credibile. D'altra parte, poiché l'intelletto percepisce dati sensibili, un puro spirito non puo esercitare un'azione qualunque su qualcosa di materiale. Uno spirito non puo entrare in contatto con il mondo. In realtà vi sono uomini che, pur agendo per mezzo della scienza, hanno prodotto effetti che, mal compresi, li hanno fatti ritenere opera di santi o di maghi, com'è successo con ABANO (si veda) o con Cecco d'Ascoli. Altri, ritenuti santi dal volgo che pensa avessero rapporti con gl’angeli sono magari dei mascalzoni. Facessero tutto questo per ingannare il prossimo. Ma, a parte casi di incomprensione o di malafede, è possibile che fenomeni mirabolanti hanno la loro causa nell'influsso degli astir. È assurdo che un corpo celeste, che regge tutto l'universo non possa produrre un effetto che di per sé e nulla considerando l'insieme dell'universo. Cause naturali, comunque, secondo la scienza del tempo: il determinismo astrologico governa anche le religioni. Al tempo degl’idoli non c'è maggior vergogna della croce, nell'età successiva non c'è nulla di più venerato. Ora si curano i languori con un segno di croce nel nome di Gesù, mentre un tempo ciò non accadeva perché non è giunta la sua ora. Ogni religione ha i suoi miracoli quali quelli che si leggono e si ricordano nella legge di Cristo ed è logico, perché non ci possono essere profonde trasformazioni senza grandi miracoli. Ma non sono miracoli perché contrari all'ordine dei corpi celesti ma perché sono inconsueti e rarissima. Nessun fenomeno ha dunque cause non naturali. L’astrologo che ha colto la natura delle forze celesti, può spiegare tanto le cause di fenomeni che sembrano sopra-naturali che realizzare opere straordinarie che il popolino considera miracolose solo perché incapace di individuarne la causa. L'ignoranza del volgo è del resto sfruttata da politici e da sacerdoti per tenerlo in soggezione, presentandosi ad esso come personaggi straordinari o addirittura inviati dal divino stesso. Se il divino crea l'universo ponendo su di esso leggi fisiche precise, è paradossale che egli stesso agisse contro queste leggi utilizzando eventi sovrannaturali come i miracoli. L’universo è controllato e determinato dall'agire degl’astri e il divino agisce indirettamente muovendo questi ultimi. Sviluppa quindi una concezione dell'universo deterministica. Se tale e la forze che governa il mondo, se anche un fenomeno sopra-nturale ha una spiegazione nell'esistenza della forza naturale così potente, esiste ancora una libertà nelle scelte individuali dell'uomo? Nel divino, conoscenza e causa delle cose coincidono e dunque egli è veramente libero. Gl’uomini si esprimeno invece in un mondo dove tutto è già determinato. Rifiutato il contingentismo degl’alessandrini, che salvano la libertà umana criticando gli stoici per i quali non esiste né contingenza né libertà umana, è costretto dalla sua concezione strettamente deterministica, ove tutto è regolato dalla forza naturale superiori agl’uomini, a propendere per l'impossibilità del libero arbitrio. L’argomento è difficilissimo. Il portico sfugge facilmente alle difficoltà facendo dipendere dal divino l'atto di volontà. Per questo l'opinione del Portico appare molto probabile. Nel cristianesimo c'è maggiore difficoltà a risolvere il problema del libero arbitrio e della predestinazione. Se il divino odia ab aeterno i peccatori e li condanna, è impossibile che non li odi e non li condanni. Così odiati e reietti, è impossibile che i peccatori non pecchino e non si perdano. Che rimane, allora, se non una somma crudeltà e ingiustizia divina, e odio e bestemmia contro il divino? E questa è una posizione molto peggiore di quella del Portico. Il Portico dice infatti che il divino si comporta così perché la necessità e la natura lo impongono. Secondo il cristianesimo, il fato dipende invece dalla cattiveria del divino, che puo fare diversamente ma non vuole, mentre secondo il Portico il divino fa così perché non può fare altrimenti. Espone la mortalita dell’animo con voce dolce e limpidissima. Il suo discorso è preciso e pacato nella trattazione, mobile e concitato nella polemica. Quando poi giunge a definire e a trarre le conclusioni, è grave e posato. Nulla tenero con gl’uomini di chiesa, isti fratres truffaldini, domenichini, franceschini, vel diabolini riassume il suo spirito ironico e motteggiante consigliando alla filosofia credete fin dove vi detta la ragione, alla teologia credete quel che vogliono i teo-logi e i prelati con tutta la chiesa, perché altrimenti farete la fine delle castagne ma e serio e senza compromessi nelle sue convinzioni scrivendo nel “De fato” che Prometeo è il filosofo che, nello sforzo di scoprire i segreti divini, è continuamente tormentato da pensieri affannosi, non ha sete, non ha fame, non dorme, non mangia, non spurga, deriso, dileggiato, insultato, perseguitato dagli inquisitori, ludibrio del volgo. Questo è il guadagno dei filosofi, questa la loro ricompensa. Epperò un filosofo è un dio terreno, tanto lontano dagl’altri come un uomo o e dalla sua figura dipinta e lui e pronto, per amore della verità, anche a ritrattare quel che dico. Chi dice che polemizzo per il gusto di contrastare, mente. In filosofia, chi vuol trovare la verità, dev'essere eretico. Trattati peripatetici del Lizio  (Milano, Bompiani);  Nardi (Firenze, Monnier); Badaloni, Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Bari, Laterza); Zannier, Ricerche sulla diffusione e fortuna del De Incantationibus” (Firenze, Nuova Italia);  Garin, Aristotelismo o lizio veneto, Peripatetici veneti” (Padova, Antenore);  Sgarbi, “Tra tradizione e dissenso (Firenze, Olschki); Vitale, “Un aristotelismo problematico: il «De fato», Aristotele si dice in tanti modi, “Lo sguardo”. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di filosofia. Post expositiouem primi textus primi De auima Petnis Pomponacins miiltas movet  quaestioues,  quarum  prima  est: Numquid  sit  verum  quod  peripatetici  dicuut  animam  scilicet  esse  subiectum.  Chartae In  qua  materia  suut  tres  opiniones.  Prima  est  Alberti  de  Saxouia  quod  corpus animatum  est  liic  subiectum  et  non  anima:  et  ratio  quia  illud  est  subiectum  de  quo probantur  passiones  et  proprietates.  Sed  hic  iuvestigantur  passiones  corporis  auimati, crgo.  Anterior  est  nota;  et  bvevior  probatur,  quia  sentire  moveri  et  nutriri  sunt  passiones corporis  animati,  et  forte  intelligere;  si  quis  euim  dicat  animam  sentire,  diceret  etiam tessere  (sic)  vel  filare  (sic).  Item  corpus  animatum  hic  consideratur  quod  uon  fieret nisi  esset  hic  subiectum. Alia  est  opinio  (')  P.  V.  et  Apollinaris  dieentium  quod  ex  hoc  libro  De  anima,  et es  Pavvis  naturalibus  et  ex  libro  De  animalibus  integratur  unus  liber,  cuius  est  as- signare  duo  subiecta,  subiectum  quod,  scilicet  corpus  aniraatum;  et  subiectum  quo, scilicet  auimam:  ei  colorant  etiam  dicentes  quod  sicut  in  libro  Physicae  corpus  rao- bile  est  subiectum,  tamen  in  primis  libris  naturaUbus  principia  naturalia  sunt  sub- iectura.  Sic  in  proposito  est,  quia  anima  est  per  quam  fiunt  operationes,  et  est  subie- -ctum  qim;  covpus  vero  auimatum  est  subiectuoi  qivod. Tertia  opinio  est  omniura  bene  sentientium.AIexander,  Theraistius,  Averroes.  A (')       Ch.  l  veiso Aegidius;  et  videtur  etiam  quod  sit  mens  Aristotelis,  quod  dat  definitionem  de  anima et  investigat  passiones  et  proprietates  eius.  Non  tameu  dico  quod  est,  ut  demoustro; mihi  tamen  magis  phicct.  Et  Aristoteles  hoc  ubique  videtuv  diceve  quod  sit  anima. Advationes:  «illud  est  subiectum  etc»  respondetur  quod  illse  passiones  probantur de  composito  et    aniraa:  ut  autem  auima  est  principium  istavum  passiouum,  istffi passiones  sunt  auimae  ut  quo,  covpovis  autem  ut  quod. Ad  secundum:  covpus  animatum  non  est  hic  cousidevatum  ut  de  eo  pvobentuv passiones  eius;  sed  ut  est  subiectum  animae,  et  ut  ponituv  in  eius  definitione:  et  si (!)  Pauli  Veneti. (-)  rasura  in  coJice. propter  hoc  ipsum  esset  subiectum,  cuiuscumque  scientiae  possemus  assignare  infinita subiecta. Ad  argumentum  P.  V.  dico  quod  argumentum  supponit  falsum  quod  corpus  ma- teriale  sit  subiectum  in  libro  Phj^sicae,  imo  principia  uaturalia  sunt  ibi  subiectuin. Quem  locurn  occupet  iste  Liber.  Quaestio  secunda. Haec  est  secunda  quaestio  mota  in  prima  textus  (sic)  de  ordine  liuius  libri,  quem- nam  locum  obtiueat  iste  liber  inter  ceteros  libros  pliilosophiae  naturalis.  Ordo  enim necessarius  est  iu  scientiis.  et  loquor  hic  de  ordine  doctrinae,et  nou  perfectionis;  quia ordine  perfectionis  est  primus  iste  liber. Ch.  2  recto  In  hac  materia  sunt  opinioues.  Avicenna  in  Naturalibus,  qucm  fere  omnes  latiui insequuutur,  tenet  quod  sit  sextus  in  ordine;  et  ponunt  lil)rum  De  plantis  in  septirao loco,  et  librum  De  animalibus  in  ultimo  loco.  Huic  sententiae  multi  adversautur.  De ordine  priorum  omnes  conveuiunt,  quia  Aristoteles  ponit  illiim  ordinem  in  principio Metaphysicorum.  De  aliis  vero  disseutiimt. Averroes  in  primo  Metaphysicorum  tenet  quod  liber  De  plantis  et  De  auimali- bus  praecedat  librum  De  anima;  et  ita  volunt  Graeei.  Isti  tamen  discordant  inter  se, quia  Averroes  in  loco  citato  vult  quod  liber  De  plantis  praecedat  librum  De  anima- libus.  Alii  vero  volunt  oppositum;  et  ratio  est  quia  volunt  quod  liber  De  animalibus praecedat  librum  De  anima,  quia  partes  animalium  et  animalia,  plantie  et  partes  plan- tarum  habent  se  ut  materia  respectu  animae:  materia  autem  est  prior  forma.  Amplius  in  definitione  animae  plantae  et  animalia  ponuutur;  et  sic  secuudum  istos  liber  De  aui- ma  est  nou  sextus  in  ordine. Isti  autem  bipartiti  sunt,  quia  aliqui  volunt  quod  liber  De  aninialibus  ponatur in  sexto  loco  et  liber  De  plautis  in  septimo:  et  adducunt  pro  se  dictum  Aristotelis in  libro  Metaphysicorum,  ubi  dicit:  «determinato  de  motu,  oportet  determinare  de  ani- malibus  et  plantis».  Ecce  quod  ponit  librum  De  animalibus  ante  libram  De  plantis;  et ratio  est  quia  a  notioribus  incipiendum  est;  sed  sic  est  quod  organa  in  animalibus Ch.  2  verso  sunt  notiora  quam  organain  plantis,  quia  tantum  cognoscimus  organa  in  plantis  per  si- militudinem  ad  animalia.  Unde  Aristoteles  hic  in  secundo  huius  dicit,  quod  radices assimilantur  ori;  et  ista  est  opinio  Themistii  et  Graecorum. Alia  est  opinio,  quam  tenet  Averroes  in  Paraphrasi  Metaphysicorum,  quod  liber De  plantis  praecedat  librum  De  animalibus;  et  ratio  sua  est,  quia  natura  teudit  de  im- perfecto  ad  perfectum:  ideo  (libro)  De  plautis  quae  sunt  imperfectiores  auimalibus  debet praecedere  liber  De  animalibus. Quae  autem  istarum  opinionum  sit  verior  indicium  est  difficile,  nec  multi facio  hoc.  Tamen  Avicenna  in  libro  dicto  dicit,  quod  si  alius  alium  fecerit  ordinem non  multi  facit:  et  Averroes  in  loco  dicto  dicit,  quod  si  quidem  est  ordo  neeessarius sicut  in  principiis,  in  aliis  vero  non.  Dico  tamen  unum,  quod  secunda  opinio  mihi magis  placet,  et  videtur  magis  consoua  veritati.  Quod  autem  Avicenna  non  loquatur ad  mentem  Aristotelis,  patet  in  extremis  verbis  De  motu  animalium,  ubi  dicit:  «dixi- mus  de  animalibus  et  plantis»:  et  iu  calce  libri  De  longitudine  et  brevitate  vitae  dicit: «perfecto  libro  De  auima  et  Parvis  naturalibus,  est  perficere  scientiam  de  animalibus». Hoc  autem  non  esset  si  adhuc  sequeretur  liber  De  animalibus.  Scieudum  quidem  quod ista  clicta  possent  glosari:  sed  glosa  destruit  textum,  quia  Aristoteles  fuit  ordinatissimus. Quare  videtur  dicendum  quod  post  librum  De  mineriis  ponatur  liber  De  animalibus; deiude  liber  De  plantis;  deinde  liber  De  anima. Ad  opposita  autem  respondehir  quod  Avicenna  et  alii  recte  dicuut  loquendo  de ordine  naturae;  sed  uotandum  est,  ut  beue  dicit  Aristoteles  qiiinto  Metaphj-sicorum, quod  non  est  semper  uude  natura  incipit,  unde  etiara  apparet  nobis:  quia  autem  liber De  nnimalibus  est  faeilior,  imo  dicitur  liistoria  quae  aeque  nota  est  grammaticis  ac  phi losophis,  ideo  ab  eis  liber  incipit. Ad  Averroem  similiter  dicendum  est  quod  verum  est  quod  ordine  naturae  imper- fecta  praecedunt  perfecta;  sed  quia  nou  possumus  coguoscere  plantas  nisi  cognoscamus organaearum:baec  antem  uon  suutcognitanisicognitis  organis  aniraalium,(hocest)quare liberDeanlmalibus  praecedit.  Et  Aristoteles  primo  Metaphysicorum  praepouit  librum  De animalibus  libro  De  plautis:  et  ita  habet  textus  graecus.  Consuli  enim  ego  Graecos  in  hoc. Nobilitas  scientiae  a  quo  sumatur. Quaestio  est  a  quo  sumatur  magis  nobilitas  scientiae,  an  a  nubilitate  subiecti, an  a  certitudine  demoustiationis,  vel  aequaliter  ab  ambobus. Thomas  eleganter  dicit  quod  irapossibile  est  quod  aequaliter  ab  arabobus  suma- tur,  quia  sunt  diversarum  specierum;  et  quia  suut  diversarum  specierum,  habent  se secundum  prius  et  posterius.  Sed  est  dicendum  quod  magis  sumitur  a  nobilitate  subie- cti;  et  ratio  est  quia  snbiectum  est  essentia  rei;  modus  autem  declaraudi  est  instru- menti'.m  adventicium  superadditum  rei,  sicut  qualitas  quaedam;  ergo  magis  sumitur  a noliilitate  subiecti.  Et  Aristoteles  inprimo  De  partibus  animaliura,  capite  ultimo,  dicit: «  melius  est  scire  modicum  de  honorabilibus,  etiam  si  topiee  illud  sciamus,  quam  mul- tum  scire  de  ignobilioribus  etiam  demonstrative». Sed  coutra  argumentatur,  quia  si  a  nobilitate  subiecti  sumitur  nobilitas  scientiae, sequitur  quod  scientia  de  Deo  esset  infiuitae  perfectionis.  Consequentia  probatur,  quia sicuti  se  habet  subiectum  ad  subiectum,  ita  scientia  ad  scieutiam.  Assumo  ergo  scien- tiam  de  auima,  quae  cum  sit  aliquants  perfectionis,  situtunum:  et  probo  quod  scientia de  Deo  est  infinita,  quia  proportio  Dei  -ad  animam  est  infinita;  ergo  et  scientia  de  Deo est  iufinita.  Apollinaris  rospoudet,  et  est  responsio  Tlioraae  in  3."  Contra  gentiles  ubi quaerit  an  scientia  de  Deo,  quae  habetur  in  patria,  sit  iufinitae  perfectiouis,  Isti  qui  te- uent  scientiara  capere  nobilitatem  a  subiecto,  negant  iliam  similitudiuem,  quia  illa scieutia  est  in  intellectu  humano  qui  finite  apprehendit,  Ista  responsio  non  placet  mul-  Ch.  :i  verso tis,  quia  'dato  quod  Deus  sit  infinitus  et  scientia  sua  finita,  sequeretur  quod  daretur aliqua  cognitio  alicuius  creaturae  uobilior  coguitione  Dei.  Sit  euim,  verbi  gratia,  co- gnitio  quae  habetur  de  Deo,  ut  octo;  cognitio  vero  de  anima  sit  ut  unum:  et  cum  quae- libet  cognitio  ipsius  Angeli  sit  perfectior  cognitione  ipsius  animae,  erit,  verbi  gratia, cognitio  Angeli  ut  duo:  et  cum  Deus  quocumque  Angelo  dato,  perfectiorem  eo  possit producere  Angelum,  ita  perfectum,  ut  eius  proportio  ad  animam  no.^tram  erit  ut  decem; et  ita  cognitio  talis  Angeli  erit  perfectior  cognitione  de  Deo.  Et  hoc  est  maximum  in- conveuiens.  Sed  uoscitur  quod  uullum  horum  argumentorum  procedit  secundum  Phi losophum,  quia  Philosophus  tenet  Deum  esse  finiti  vigoris;  nec  posse  producere  Angelura novum,  nec  addere  sibi  illam  perfectiouem,  quia  ea  quae  faMt  necessario  facit. Quomodo  sclcntia  dc  anhna  cxccdat  alias  ccrtitudinc  dcinonstrationis. Quaestio  est  qiiomodo  scientia  de  aiiima  excedat  alias  scientias  certitudine  demon- strationis, utdicithic Averroes; cumtaraenipsemet AveiToessecnndoMetapliysicorumconi- mento  ultimo  dicit  qnod  demousti-ationes  matheraaticae  suntin  primo  gradu  certitudinis, naturales  vero  sequuntur;  et  habet  ibi  Aristoteles  quod  astrologia  et  mathematica  non  est in  omnibus  expetenda,  et  in  primo  lletaphysicorum  enumerans  conditiones  sapientiae dicit  quod  ipsa  habet  demonstrationes  certiores:  quare  videtur  contradictio  et  ideo  de- bemus  conciliare  ista  dicta. In  oppositum  est  Averroes  hic,  pro  quo  est  notum  quod  Thoraae  et  Averrois  ex- positio  non  se  compatiuntur  ad  invicera.  Dicebat  enim  Thomas  certitudinem  de  ani- ma  ideo  esse  quia  eani  in  nobis  experimur,  et  si  sic,  expositio  Averrois  uon  potest stare,  nec  potest  dictum  Averrois  verificari,  quum  hac  ratione  etiam  scientia  de  ani- malibus  et  libri  Parvorura  naturalium  excederent  alias  scientiss,  quum  certiores  de Ch.  4  recto  talibus  reddamur,  quia  in  nobis  experimur  ea;  et  etiam  scientiam  divinam  excederent, cum  de  intelligentiis  parum  aut  nihil  sentiamus,  nec  eas  in  nobis  experimur.  Dato ergo  hoc,  non  tamen  scientia  de  anima  haberet  hoc  privilegiura.  nec  etiam  divina  scien- tia  excederet  hoc  modo  alias  scientias.  Xec  etiam  si  teneamus  expositionem  Themistii, dictum  Averrois  potest  verificari;  dicit  enim  Themistius  certitudinem  de  anima,  quia  con- sideratur  de  intellectu  qui  omnium  est  regula  et  mensnra;  sed  hac  ratione  etiam  ista scientia  excoderet  divinara.  quum  divina  non  considerat  de  intellectu  nostro.  Sequendo autem  expositiouem  istorura  patet  solutio  ad  argumeutum  et  ad  contradictionem.  Ad primum  dicitur  quod  aequivocatur  de  certitudine  hic  et  ibi,  quia  in  hoc  loco  dicit  qiiod scientia  de  anima  est  certa  certitudine  obiecti,  quia  est  de  rebus  in  nobis  existenti- bus,  et  in  secundo  Metaphysicorum  loquitur  de  alia  certitudine.  scilicet  demonstra- tionis.  Et  iu  aequivocis  non  est  contradictio. Ad  secundum  respondetur  ponendo  distinctionem  quoad  uos  et  quoad  naturam. Mathematica  est  de  maxime  notis  naturae sed  volendo  salvare  dictum Averrois  dicemus  certitudiuem  demonstrationis  duplicem  esse,  quoad  nos  et  quoad  na- turam:  talis  distiuctio  est  manifosta  ex  primo  Posteriorura  sexto.  Dicitur  notior  quoad nos,  quia  est  minus  diibia  nobis:  quoad  naturam  veio  est  cognitio  rei  quae  de  se est  manifesta,  sed  si  nos  lateat,  hoc  est  ex  defectu  nostri  et  non  sui,  ut  dicitur  se- cundo  Metaphysicorura  textu  coraraenti  primi;  et  ita  dico  quod  mathematicae  quoad  nos sunt  in  primo  gradu  coguitionis  (?),  qiiia  causae  eorum  sunt  nobis  certiores  quam  eft'c- ctus,  abstrahunt  enim  a  motu;  et  ideo  Philosophus  sexto  Ethicae,  cap.  nono,  dicit  quod pueri  possunt  bene  in  matheraaticis  iustrui,  et  ab  hoc  doctrinales  dicuntur  cum  bene possunt  doceri.  In  secundo  autera  loco  ponuntur  naturalia  cum  in  eis  ab  eifectu  sen- sibili  noto  in  cognitionem  causae  deveniauius:  sed  cuni  effectus  sint  variabiles,  uuum  et idem  a  diversis  causis  poterit  provenire.  Unde  erunt  plura  media  ad  unam  conclusio- nem,  quia  naturalia  non  possunt  esse  ita  certa  sicut  inathematica  (?)  tantum  unum Ch.  4  verso  medium  habentia,  sed  divina  ipsa  (scientia)  in  ultirao  loco  est  ponenda  cum  sub  nullo sensu  cadant  ipsa  abstracta;  et  ita  uec  de  causa  noc  de  effectu  eorum  sumus  uaturaliter certi.  Sed  si  volumus  loqui  de  cognitione  quoad  naturam,  est  totaliter  ordo  praepo- sterus;  et  in  primo  loco  divinam  collocabimus  taraquam  perfectiorem,  et  quae  est  ma- ioris  entitatis;  iu  secundo  voro  loco  pouetur  naturalis  quae  firraiorem  entitatem  habet —  97  — ipsis  matliematicis;  et  iuter  eas  scientia  de  anima  est  primum,  qiiia  anima  iutellectiva habet  tirmius  esse  omnibus  a  natiirali  consideratis,  et  est  certior  in  se:  licet  quoad nos  sit  oppositum,  et  propter  lioc  forte  Aristoteles  vocat  scientiam  de  auima  liistoriam, propter  non  esse  tantam  certitudinem  de  illa  sicut  de  aliis.  Et  ita  hie  vult  Commen- tator  habere  scientiam  de  anima  quoad  naturam  excedere  omnes  alias  sciontias  prae- ter  divinam,  cum  anima  ipsa  sit  perfectioris  entitatis  omnibus  generabilibus  et  cor- ruptibilibus:  et  ita  patet  solutio  quia  est  aequivocatio  de  demonstratione. Sed  si  diceret  Commentator:  diiisti  matheniaticam  quoad  nos  esse  certiorem;hoc  vi- detur  falsum,  quia  mathematica  est  de  sensibili  communi,  naturalis  vero  de  seusibili proprio.  Sed  iuxta  Philosophum  secundo  huius,  sensibile  commune  non  habetur  nisi per  proprium  seutiri;  ergo  et  quoad  nos  naturalis  erit  certior.  Tum  etiam  quia  ma- thematica  procedit  demonstratione  propler  quocl  (')  naturalis  vero  demonstratione quia  (');  demonstratio  autem  quia  est  notior  nobis  demonstratiouQ,  pro/iter  quod.  Ergo. Item  exemplum  de  astrologia  et  geometria  non  accomraodatur  nisi  de  notitia quoad  nos;  quomodo  ergo  Averroes  loqui  potest  de  notitia  quoad  naturam?  Item  idem esset  dicere  habere  nobilius  subiectum  et  certitudinem  demonstrationis  quia  unum  de- pendet  al)  altero.  Ad  primum  respondetur  quod  licet  naturalis  scientia  sit  de  obie- cto  certiori,  non  tamen  eius  scientia  erit  certior,  eum  esse  obiectum  certum  dicat  tan- tum  cognitionem  simplicem:  sed  esse  scientiam  certiorem  dicit  relationem  causae  super effectum,  et  ita,  licet  obiectum  scientiarum  materialium  sit  minus  uotum  quoad  nos,  ta- men  eorum  causae  sunt  magis  notae  et  sensatae  quoad  nos,  ex  quibus  procediraus.  Ch.  5  rotto Et  hoc  nou  videnmt  moderni. Ulterius  est  alia  dubitatio,  penes  quod  attendatur  certitudo  quoad  nos  et  quoad uaturam.  Respondetur  quod  certitudo  quoad  nos  habet  attendi  penes  notitiam  causae  su- per  effectum,  et  perhocexcludunturoranesvelquasi  omnes  dubitationes;quod  si  aliquando procedamus  ab  effectu  super  caiisam,  est  via  indirecta,  et  sodomitica  proprie  dici  debet, et  semper,  sive  a  causa  sive  ab  effectu  procedamus,  a  notioribus  nobis  procedimus;  sed diversimode;  aliquando  enim  in  mathematicis  procedimus  a  notioribus  nobis,  et  na- turae,  aliquando  solum  ex  uotioribus  uobis,  numquam  a  notioribus  uaturae  tantum. Utrum  spectet  ad  naturalem  considerare  de  anima.  Cli.  9  ver.^u Dicendum  igitur  est  aliter  quod  consideratio  de  omni  anima  est  naturalis.  De vegetativa  et  sentitiva  uon  est  dubium;  sed  tota  lis  est  de  intellectiva;  quod  si  tenea- mus  eam  mortalera,  ut  teuuit  Alexander,  clarum  est  hoc  quia  educitur  de  potentia materiae:  sed  quia  haec  opinio  est  falsa,  ideo  relinquo  eam. Dicimus  ergo  quod  sive  intellectus  sit  unus,  sive  plures,  est  naturae  ancipitis,  et      Cb.  iMccto (est)  medium  inter  aeterna  et  non  aeterna,  quia  natura  vadit  ab  extremo  ad  extremum cum  medio  ....  videmus  ut  in  animalibus;  suut  enim  quaedam  auimalia  media  inter plantas  et  animalia,  ut  spungiae  marinae,  quae  habent  do  natura  plantarum,  quae  sunt afBxae  terrae,  habent  etiam  de  natura  animali  pro  quanto  sentiunt.    Similiter  inter (1)  T6  «/o-i.    [■)  TiiVi. 13 Ch.  14  lecto —  98  — animalia  est  simia,  de  qua  est  dubium  an  sit  liomo  an  auimal  brutum;  et  ita  ani- ma  intellectiva  est  media  inter  aeterna  et  non  aeterna:  et  ideo  Plato  ponebat  eam  crea- tam  in  horizonte  aeternitatis.  Quibus  stantibus,  oportet  ponere  eam  duplicis  naturae  et habere  duplicem  operationem.  unam  nuUo  modo  depeudeutcm  a  corpore,  et  hoc  patet  se- cuudum  tiilem  in  anima,  et  etiamsecuudumP!atonem,utinfra  determinabimus  de  mente Aristotelis  et  Averrois  tenendo  autem  quod  sit  unica.  Habet  etiam  operationem  de- pendentem  a  corpore,  de  qua  non  est  dubium:  quo  stante  patet  quod  non  est  consi- deratio  ic  dictis  Aristotelis,  quia  si  anima  est  naturae  ancipitis,  partim  est  de  con- sideratione  naturalis;  in  quantum  mobilis  et  trausmutabilis,  est  physicae  considerationis; in  quautum  vero  ad  sUam  operationem  separatam,  est  considerationis  divinae;  et  haec  opi- nio  mihi  videtur  concordare  ciun  dictis  Aristotelis  il)i.  Mihi  autem  contingit  quod dicit  Hieronymus  quod  contingit  de  se:  «multi  latrant  in  foro  contra  me,  et  scripta  mea legunt  et  honorant  iu  thalamo  »;  nam  concurreutes  nostri  ascribunt  sibi  nostra. Numquid  scientia  de  anima  sit  difficillima. Ex  quibus  sequitur  quod  nihil  intelligitur  nisi  sit  iu  actu:  anima  enim  intel- ligit,  et  non  nisi  reclpiendo;  nihil  autem  movet  nisi  quod  est  in  actu:  quod  si  aliquid occurrat  uostro  intellectui  quod  non  sit  in  actu,  per  accidens  intelligitiir,  sieut  est materia  prima.  quae  non  est  in  actu,  vel  parum,  saltem  ita  ut  non  sit  suflBciens  mo- vere  intellectum  de  se,  sed  per  suffragia  et  intellectiones  aliorum  iutelligitur.  Quia autem  omnia  non  sunt  in  actu  aequaliter,  sciendum  est  quod  quaedam  sunt  in  actu perfecto,  ut  merito  debilitatis  intellectus  nostri  nequeant  intelligi,  sicut  Deus  et  In- telligentiae,  suut  euim  hic  in  maximo  actu:  imo  Deus  est  totus  actus.  Unde  quamvis intellectus  noster  sit  iu  pura  potentia,  et  abstracta  sint  multum  activa,  non  est  cre- dendum  quod  intellectus  possit  ea  recipere,  quia  intellectus  uoster  est  debilis  ita  ut non  possit  tautum  lumen  sustinere,  ideo  non  movetur  ab  ipsis:  et  propter  hoc  poetae fingunt  quod  luppiter  quando  accedebat  ad  aliquam  mulierem,  deponebat  suam  divi- Ch  14  verso  uitatem.  Sic  est  de  intellectu  nostro,  quamvis  (non)  sit  in  pura  potentia;  quia  tamen  est delnlis  entitatis,  non  potest  recipere  maximum  lumen  Intelligentiarum  et  Dei  qui  est purus  actus:  et  iioc  maxime  est  verum  secundum  fidem  quae  tenet  Deum  esse  infi- uiti  vigoris.  Aliqua  autem  sunt  quae  etsi  sint  in  actu,  tamen  intellectus  non  potest illa  recipere  ratione  debilitatis  quam  in  se  iucludunt  talia  entia,  et  ex  hoc  non  pos- sunt  agere  in  intellectu  nostro,  sicut  sunt  motus  et  tempus,  de  quibus  dicitur  quod non  sunt  apta  intelligi  ratione  debilitatis  eorum,  non  autem  ratione  intellectus.  Re- linquitur  ergo  quod  media  iuter  ista,  sicut  proportionata  intellectui  nostro  et  ex  parte modi  cognoscendi  et  ipsius  obiecti,  sunt  intelligibilia  ab  iutellectu  nostro;  et  hoc  est quod  dicit  Phiiosophus  secundo  Metaphysicorum  textu  commeuti  noni,  quod  ditficultas cognosoendi  in  nobis  nascitur  vel  ex  parte  rei  cognitae  vel  ex  parte  modi  cognoscendi; ideo  dicitur  ibi  quod  sicut  se  habot  oculus  noctuae  ad  lumen  solis,  sic  intellectus nostor  ad  manifestissima  in  natura.  Intellectus  ergo  bene  cognoscit  intermedia  quae ipsi  suut  proportionata.  Aliud  est  advertendum,  quod  ex  quo  anima  intellectiva  est naturae  ancipitis  inter  bruta  et  abstracta,  non  intelligit  nisi  cum  admiuiculo  sensuum iuxta  illud:  «necesse  est  quemcunque  intelligentem  phantasmata  speculari».  Ex  quo ■    99  — sequitur  quod  quae  offeruntur  sensui  a  nobis  faciliter  possunt  intelligi,  quae  non  pu- tantur  difficulter:  et  ista  difficultas  (est)  ex  parte  nostri  modi  coguoscendi,  quia  nounisi per  sensum  cognoscimus.  Aliud  etiam  est  notum,  quod  triplex  est  anima,  vegetativa sensitiva  et  intellectiva.  Stantibus  liis,  dico  quod  metapliysica  est  in  supremo  gradu difficultatis;  et  ratio  est  clara  ex  praedictis,  quia  difficultas  creatur  in  nobis  ex  eo  quod non  sumus  capaces  tanti  luminis  quautum  est  Intelligentiarum  ct  Dei,  qui  in  meta-  Ch.  ir.  recfo piiysica  considerantur.  Ad  hoc  accedit  secunda  ratio,  quia  iutellectus  noster  uon  in- telligit  nisi  per  fenestras  seusuum,  quae  vero  in  metaphysica  considerantur  sunt  re- motissima  a  sensu.  Sed  dices:  nonne  abstracta  habent  accideutia  per  quae  possunt  cogno- sci,  ut  motus  et  tempus?  Respoudeo,  ut  beue  dicit  Comraeutator,  quod  ista  aceideutia  non ducunt  in  cognitionem  Dei  et  aliarum  lutelligentiarum  ut  sunt  de  consideratioue  nie- taphysici,  sed  ut  de  uaturali:  aeternitas  euim  niotus  creat  notitiam  naturalem:  quod enim  sunt  Intelligentiae  pertinet  ad  naturalem ;  metaphysicus  autem  considerat  altiores operationes  lutelligentiarum;  non  quia  est  sed  propter  quid  Intelligeutiarum  considerat. Ch.  24  rcclo Utrum  dentur  universalia  realia. Praestat  maius  perscrutandum,  quia  dicit  Aristoteles:  «  Universale  aut  uihil  est aut  posterius  est». Quomodo  est  de  ipsis  universalibus,  an  dentur  univcrsalia  realia;  et  ut  obtrun- ceraus  obtruucanda  et  dicamus  dicenda,  quatuor  occuriunt  opiniones,  quas  intendo  de- clarare  cum  suis  fundameutis.  Prima  est  opinio  Platonis,  quae  volebat  quod  in  rebus uaturalibus  singulae  speciei  corresponderetur  sua  idea  quae  esset  aeterna.  Ista  vera  sin- gularia  dependentia  suut  propter  participationem  illius  ideae.  Et  ista  talis  idea  est  quae vere  intelligitur  et  quae  vere  scitur,  et  quantumcumque  habeatmultas  ratioues  por  se, tamen  adducemus  solum  secundas  (sequentes?)  omues  alias  comprehendentes. Plato,  ut  bene  recitat  Aristoteles  decimo  libro  Metaphysicorum ,  imaginatus  est illara  idealeni  formam,  primo  ut  salvaret  gcnerationem;  quia  ut  bene  ad  lougum  habet videri  iu  duodecimo  Metaphysicorura  textu  coramenti  tertii  et  decimoctavo,  cum  videmus  ch.2t  verso Socratem  generari  mortuo  patre,  tunc  quaerebat  a  quo  generatur  Socrates.  Non  enim  a patre,  quia  ille  nou  est:  nihil  enim  agit  nisi  ut  est  in  actu;  non  a  virtute  semiuali, quia  est  imperfecta;  nihil  autem  agit  ultra  gradum  proprium;  quare  oportet  recurrere ad  ideam  quae  est  vere  agens,  Quod  si  hoc  est  verum  de  genitis  per  propagatio- nem,  idem  erit  de  genitis  per  putrefactionem.  Similiter  est  dicendum  de  inaniraatis. Secunda  ratio  Platouis  ad  ponendum  ideas  fuit  ex  parte  scientiae  et  raodi  intelligendi: nam  aliquando  intelligimus  naturam  horaiuis  in  se  esse  risibilem,  et  ita  quia,  ut  ma- nifestum  est,  possumus  intelligere  hominera  in  uuiversale  absque  intellectione  singu- larium.  Ista  ergo  inteilectio  aut  est  vera,  aut  falsa.  Non  falsa,  esset  enim  inconve- niens  iutellectus  ficticie  operari;  ergo  est  vera;  ergo  aliquid  correspoudet  ei  iu  re. Non  singularia;  ergo  ideae.  Ratione  etiam  scientiae,  quum  scientia  dittert  ab  opinione: quia  opiuio,  ut  singularium  et  contingentium,  non  potest  esse  scientia,  sed  tantum opinio;  ergo  alicuius  perpetui  erit  scientia,  et  talis  est  idea  secuudum  universale: ergo.  Hanc  opiniouem  damnat  Aristoteles  primo  et  septimo  Metaphysicorura;  prinio quum   destruit   generationem  univocam;  ni.m  ideae  sunt  aeternae,  siugularia  vero —  100  — siint  corrtiptibilia;  modo  si  comiptibile  ab  iucoiTuptibile  geiieratur,  ergo  genera- tio  uou  est  univoca,  quia  generabile  et  iucorruptibile  differuut  plusquam  genere. Secundo,  frustra  fit  per  plura  quod  potest  fieri  per  pauciora,  et  aeque  bene;  en- tia  euim  non  sunt  multiplicanda  sine  necessitate;  Sed  generatio  potest  absque  ideis salvari,  quum  sol  et  homo  generant  hominem:  ergo.  Tertio,  ista  opinio  destruit  modum intelligendi;  quando  volo  iutelligere  aliquid  artificiale,  universaliter  iwssum  iutelligere; Ch.  25vccto  et  nou  posuit  Plato  aliquam  ideam  iu  artificialibus.  Quarto,  positis  ideis  destruitur scientia,  quia  potest  sciri  idea,  et  non  ideata:  quod  probatur,  quum  definitio  est  prin- cipium  determinationis,  et  definitio  debet  praedicari  de  definito;  idea  autem  uon  prae- dicatur  de  ideatis;  ergo  ideata  non  sciuntur;  vanum  est  ergo  ponere  ideas  ut  sciantur ideata,  quia  non  possunt  sciri. Secunda  opiuio  est  Kealium,  quae  est  monstruosior  prima,  quam  numquam  potui recipere,  cuius  iuveutores  fuerunt  Buridauus,  Paulus  Venetus,  et  Scotus,  qui  voluerunt quod,  seclusa  omni  operatione  intallectus,  detur  universale  reale.  Qiiod  probant:  quum scientia  est  de  ente  reali,  ergo  subiectum  vel  erit  universale,  vel  singulare:  uon  sin- gulare,  quum  siugularium  non  est  scientia  ut  singularia  sunt;  ergo  istud  erit  uuiversale. Secundo,  intellectus  in  prima  sui  apprehensione  intelligit  universale,  quia  uni versale  est  obiectum  intellectus;  sed  non  potest  dici  quod  tale  universale  sit  causa- tum  ab  iutellectu,  qu'a  uumquam  fuit  ab  iutellectu  uisi  nunc;  ergo  tale  universale est  reale:  et  sic  dicendum  est  de  omnibus. Tertio,  desiderium  est .  .  .  et  potius  in  universali  et  non  huius  vel  illius;  sed  de- sideriura  est  ad  reale:  ergo  datur  universale  in  re. Quarto,  contractus  est  universalium,  quum  emptio  frumenti  nou  limitatur  ad  hoc vel  illud  frumentum,  sed  ad  frumentum  iu  generale.  Contractus  tiutem  non  fiunt  de couceptibus,  sed  de  realibus. Quiuto,  Socrates  et  Piato  magis  conveniunt  quam  Socrates  et  Brunellus:  sed  ista convenientia  non  est  conceptuum,  imo  realitatum Secunda  consideratio  est  quod  universale  reale  realiter  distin- guitur  a  singulari;  quae  consideratio  probatur  sic :  illa  non  sunt  idem  realiter,  de Ch. 25verso  qnil'iis  praedicantur  contradictoria;  sed  universale  et  singulare  sunt  huiusmodi ; ergo  distinguuntur.  Auterior  patet,  et  brevior  probatur;  quia  universale  est  aeternum, et  singuhre  corruptibile:  universale  non  est  de  numero  siugularium,  uam  universalia praedicantur  de  pluribus,  singularia  nou.  Et  in  his  duabus  considerationibus  videtur convoniri  cum  opinione  Platonis.  Tertia  consideratio:  licet  uuiversalia  sint  realia et  realiter  distincta  a  singularibus,  nou  tamen.  propter  hoc  universalia  sunt  separata a  suis  singularibus  loco  et  subiecto;  patet  es  dictis  Averrois  septimo  Metapliysicorum textu  commeuti  trigesimiprimi:  Mi.xtio  universalis  cum  siugulari  est  fortior  mixtione accidentis  cum  subiecto.  Secunda  raiio:  si  universalia  esseut  separata  a  singularibus, non  videretur  quomodo  possent  declarare  essentiam  singulariura;  et  hoc  est  in  quo Aristoteles  arguit  Platoncm.  Est  ergo  consideratio  responsalis  ad  quaet.itnm  quod  uni- versalia  sunt  res  distinctae  realiter  a  singularibus. Ista  secunda  opinio  raihi  videtur  in  extremo  moustruositatis,  non  intelligibilis: nam  si  haec  natura,  ciuam  ponunt  isti,  esset  iucorporea,  adhuc  posset  esse  tolera- bilis,    quiim  f.d  minus  posset  iutelligi  sicut  unicns   intellectus  Averrois,   quamvis —   101  — esset  una  cbimera.  Sed  ista  opinio  iudicio  meo  vult  quod  sit  una  natura  communis verbigratia  liominis,  quod  sit  in  re,  et  eadem  in  me,  et  quod  sit  composita  ex  ma- teria   et   forma,    et    quod   sit   in   diversis   locis.   Haec    milii   videtur   una   fatuitas. Unde  videtur  milii  quod  isti  fuerimt  astricti  propter  aliqua  argumenta  ad  incurren- dum  in  hunc  manifestissimum  errorem,  et  quod  dixerunt  hanc  opinionera  ore,  corde vero  nescio  quomodo    potueruut  hoc  affirmare:  et  isti   mihi  videutur  similes  Zenoni qui  patielmtur  infinita  tormenta,  et  videbat  unum  motum  causari,  et  propter  quan- dam  ratiunculam  negabat  motum  esse.  Secundo,  quando  generatur  aliquid  siugulare,       ch.  26  lecto quomodo  hoc    singulare    ingreditur   hanc  naturam  compositam  ex  materia  et  forma? Tertio,  universale   debet  praedicari   de   suis   singularibus,    praedicatione  dicente  hoc est  hoc;  sed  universale    reale  est  realiter   distinctum  a   singnlare   per  se;  ergo  non poterit  de  singulari  praedicari  praedicatione  dicente  hoc  est  hoc;  ergo  si  natura  homi- nis  est  de  essentia  Socratis,  quomodo  poterimus  concedere  naturam  homiuis  esse  aeter- nam,  quum  uatura  Socratis  erit  corruptiliilis?  Diccs  lianc  naturam  non  esse  corruptibilem per  se  sed  per  accidens;  saltem  habebo  quod  haec  natiira  erit  corruptibilis  vel  per  se vel  per  accidens.  De  hoc  nihil  ad  me.  Quarto,  iutelligendo  formam  et  materiam  Socratis videtur  mihi  quod  perfecte  Socratem  intelligam  absque  consideratione  illius  naturae,

quara  nescio  si  sit  una  tuuica  sicut  in  rege.  Quinto,  uniTersale  est  quid  distinctum realiter  a  re  reali;   ergo  Deus  poterit  facere  universale  et  singulare  distincta  reali- ter.  Ideo  dimitto  hanc  fatuitatem  expressam. Tertia  opinio  est  Scoti  in  hac  materia,  sicut  narratur  ab  ipso  secundo  Senten- tiarum  et  septimo  Metaphysicorum,  quaestione  propria,  quae  tres  habet  considerationes; quarum  prima  est  ista,  quod  universale  est  natura  communis  realis  apta  nata  esse  in pluribus  seclusa  operatione  intellectus;  et  iu  hoc  convenit  cura  secunda  opinione. Quae  consideratio  sic  probatur:  si  non  esset  vera  ista  cousideratio,  sequeretur  quod intellectus  sua  priraa  apprehensione  falsa  intelligeret;  quod  probatur  quia  si  ex  parte rei  non  esset  nisi  singulare,  intellectus  semper  intelligeret  singulare  in  quautum universale:  ista  autem  intellectio  esset  falsa.  Antecedens  probatur  quia  obiectum  iutel- lectus  est  universale  et  non  singulare;  si  ergo  obiicitur  singulare,  intellegitur  ut  uni- versale,  et  sic  apprehendet  semper  singulare  sub  opposito  actu,  et  per  accidens;  et  si intellectus  errabit  in  sua  prima  apprehensione,  errabit  etiam  in  pliis  intellectionibus, quum  aliae  a  prima  depeudent:  et  si  haec  prima  est  falsa,  aliae  quoque  falsae  suut,  nisi per  accidens  siut  verae;  sicut  ex  falsis  verum  concluditur.  Secuudo,  obiectum  alicuius potentiae  semper  praecedit   operationem  illius  potentiae;  sed  universale  est  obiectum inteliectus:  ergo  quamlibet  intellectionem  praecedit  universale:  ergo (').  Tertio,  obie- ctum  alicuius  poteutiae  praecedit  operationem  illius  potentiae:  sed  uuiversale  est  obie- ctum  sensus,  ergo  universale  est  ens  reale  uullo  modo  spirituale.  Anterior  est  evidens; brevior  probatur ;  quum  aut  obiectum  sensus  est  universale  aut  singnlare:  uon singulare,  quia  dicas  tu  quod  obiectum  sensus,  ut  puta  visus,  sit  hic  color:  coutra obiectum  alicuis  potentiae  movet  illam  potentiam;  sed  sensus  visus  potest  moveri ab    alio    colore,    quam  ab   isto;  ergo  iste  color  uon  est  obiectum  adaequatum  visus. (')  Qai  manca  la  transiziune  d.all'  argomentazioRe  prcceJeute,  funJata  sul  supposto  Jeiruiiiver- sale  eome  obbietto  deirintelletto,  alla  segueute  che  pone  la  tesi  deiruiiiversale  corae  oljbietto  del  senso. Ch.  2G  verso —  102  — Et  sicut  dictiim  est  de  uno,  ita  dicatur  de  aliis;  quare  rclinquitur  quod  obiectum aJaequatum  sensus  sive  potentiae  sensitivac  est  universale.  Ergo  universale  est  ens reale  et  non  spiriluale.  Quarto,  scientia  est  rei  realis;  non  enim  determiuamus  risi- bilitatem  inesse  conceptibus,  sed  determinamus  Loc  praedicatum  reale,  scilicet  risibi- litatem  inesse  homini  per  se  primo :  et  similiter  definimiis  res  et  non  eonceptus. Quaero  ergo  aut  ista  res  realis,  verbigratia  risibilitas,  insit  per  se  primo  singu- lari  hominis  aut  universali  naturae  hominis.  Non  primum,  quia  tantum  iste  homo esset  risibilis:  ergo  haec  risibilitas  inest  per  se  primo  universali  naturae  hominis, et  sic  est  ens  reale  sicut  dictum  est.  Ergo  universale  est  illa  natura  commuuis  reaiis. Qiiinto,  in  omni  genere  est  uuum  quoddam  i.anquam  metrum  et  mensura  aliorum in  eo  genere,  sicut  in  genere  colorura  est  albedo;  sed  mensura  entis  realis  est  realis, Cli.  27  recto       quia  mensuratum  reale  est  a  mensura  reali.  Quaero  ergo:  aut  ista  mensura  est  hoc singuhire,   verbigratia et  quia  hoc  singulare  est  corruplibile,  talis  ergo mensura  erit  corruptibilis;  ergo  universale  reale  erit  hoc  tale  quod  est  mensura.  Sexto, contrarietas  quae  cadit  inter  contraria  est  realis;  sed  calidum  non  contrariatur  frigido per  lianc  fvigiditatem  vel  caliditatem  particuhxrem,  quum  etiam  alia  caliditas  et  frigi- ditas  sunt  contraria;  ergo  contrariantur  per  calidum,  et  sic  in  universali;  dabitur  ergo universale  reale.  Septimo,  comparo  eadem  inter  species  et  inter  genera,  sicut  dicit Aristoteles  septlmo  Metaphysicorum  et  septimo  Physicorum:  sed  in  conceptibus  specificis potest  cadere  comparatio;  ergo  Avistoteles  per  genera  et  species  intelligit  universalia  rea- lia,  aliter  dictum  eius  esset  falsum;ergo.  Similitudo  fundatur  super  qualitate,  et  non  su- per.  qualitate  secundum  numerum  sed  secundum  speciem  in  universali;  sed  qualitates multae  supra  quibus  fundantur  similitudines  sunt  res;  ergo  universalia  eruut  entia realia.  Octavo,  si  nou  darentur  universalia  realia,  sequeretur  quod  omnia  entia  realia inter  se  solo  uumero  differrent.  Consequens  est  falsum  et  impossibile;  ergo  et  antece- dens.  Consequentia  probatur;  quia  differentia  est  ens  reale:  scd  per  se  nihil  est  reale nisi  singulare:  ergo  omuis  differentia  erit  singularis;  quare  uulla  erit  specifica;  sed  quae differunt,  tantiim  per  differeutiam  difterunt;  ergo  omnia  quae  differunt,tantum  secuudum numerum  differunt.  Cousequenlis  impossibilitas  patet,  quia  omnia  aequaliter  differunt. Stante  ergo  hac  prima  consideratione,  ponitur  secunda  consideratio  per  quam  discrepat Scotus  a  Buridauo  quae  talis  est:  tmiversalia  realia  non  sunt  realiter  distincta  a singularibus:  probatur,  uam  quae  sunt  realiter  distincta,  possuut  ad  invicem  separari; sed  per  se  universale  reale  est  distinctum  a  siugularibus;  ergo  singalaria  possunt  esse absque  eorum  uatura  universali.  Secundo,  si  sic  esset  ut  isti  volunt,  universale  nou Ch.27verso  posset  praedicari  de  pluribus  praedicatione  dicente  hoc  est  hoc.  Terlia  consideratio:  uni- versalia  distinguuntur  a  singularibns  ex  uatura  rei;  probatur,  quia  si  non  distinguerentur ex  natura  rei,  sequeretur  quod  praedicata  contradictoria  praedicarentur  de  eodem;  nam incorruptibilitas  praedicatur  de  universali,  corruptibilitas  de  singulari.  Ista  opinio  licet sit  doctissimi  viri,  tameu  mihi  videtur  esse  falsa,  et  primo  contra  primas  consequentias arguo  unico  argumento,  quod  facit  Thomas  iu  libello  De  ente  et  essentia:  prima  euim consideratio  fuit  quod  secluso  omni  opere  intellectus  datur  una  natura  communis  apta  esse in  pluribus;  sed  contra  dicit  Thomas:  aut  ista  natura  commuuis  apta  nata  esse  in  pluri- bus  est  ens  realc,  aut  intentionale  scilicet  por  opus  intellectus.  Si  secundum,  habeo  inten- tum;  si  primuni,  ergo  omne  praedicatum  attributum  speciei,  vel  ei  attribuitur  per  se, vel  per  accidens;  si  per  se,  ergo  quidquid  do  intriuseca  ratione  inest  alicui  rei  est  aptum natiim  praedicari  de  quovis  coutento  sub  illa  re;  et  isto  modo  cum  singulare  conti- neatur  sub  universali  suo,  praedicabitur  de  multis.  Si  autem  dicas  quod  hoc  praedi- catum,  verbigratia  humanitas  realis,  attribuatur  speciei  hominis  per  accidens,  quaero: aut  hoc  praedicatum  attribuitur  huic  speciei  per  accidens  proprie,  sicut  esse  risibile attribuitur  speciei  hominis;  et  tunc  arguitur  ut  prius;  aut  per  accidens  attribuitur  speciei verbigratia  quod  primo  attribuatur  individuis,  secundarlo  et  per  accidens  speciei,  sicut nigredo  speciei  corvi;  ergo  hoc  praedicatum  de  pluribus  attribuitur  prirao  et  per  se proprie  singularibus,  secuudario  vero  et  per  accidens  universalibus,  quod  est  incon- veniens;  et  hoc  argumentum. Secunda  consideratio  est  admiranda,  quum  si  unum  et  idem  est  singulare  cum univsrsale,  quot  erunt  singularia,  tot  erunt  universalia.  Item  corrumpetur  universale ad  corruptionpm  unius  singularis. Quarta  opinio  iudicio  meo  est  Averrois,  Thomae,  A.egidii,  et  Nominalium,  licet  Nomi-       Ch.  28  recto nales  in  solo  modo  respondcndi  non  conveniant  cum  istis.  Quae  opinio  dicit  qucd  secluso omni  opere  intellectus  non  est  ponendum  universale,  et  per  universale  intelligunt  quod est  aptum  natum  esse  in  pluribus  et  de  multis  praedicari,  indifferenter  se  habens  ad multa  singularia:  irao  nullum  reale  est  indifferens  ad  plura  singularia,  sed  omne  reale  est siugulare quod  probatur  per  Averroem  hic  in  commento  octavo,ubi  dicit  quod definitioues  non  sunt  generum  et  specierum  existentium  extra  animam,  sed  suut  rerum particularium  extra  intellectum,  sed  intellectus  est  qui  facit  universalitatem  in  rebus.  Et primoMetaphysicorum  textu  commeuti  sexti  dicit  speciem  esse  intentionem  existentem  in pluribus  secundum  numerum,  et  adhuc  evidentius  in  textu  commenti  vigesimisexti  et  vige- simiseptirai  eiusdem  primi  et  iu  raultis  aliis  locis.  Advertendum  tamen  est  quod  univer- sale  causatum  ab  intellectu  duplex  est,  unum  quod  dicitur  indifferens.  quod  sumitur  pro quadam  natura  commuui  iudifferenter  se  habente  ad  omnia  sua  singularia.  Alio  modo  su- mituruniversale  pro  quanto  non  intelligiturillanatura  communis  indifferens.sedultrahoc attribuitur  huic  naturae  communi  intentio.  Utrumque  enim  istorum  tit  per  opus  intelle- ctus,  primum  enim  fit  per  intellectum  agentem,  quando  verbigratia  intelligo  hominem indifferenter  se  habentem,  et  de  hoc  intellexit  Commentator  in  hoc  primo  commento  octavo; et  comrauniter  tale  universale  dieitur  primaintentio.Secundura  universale  fit  per  compa- rationem  suorum  siugularium  inter  se,  et  coliationem  sirailitudinis  inter  sua  individua. Unde  maxima  similitudo  ex  comparatione  individuorum  inter  se  per  opus  intellectus  ele- cta  causat  speciem  specialissimam;  non  ita  magna  causat  genus  respectu  illius  speciei; et  ideo  minima  similitudo  causat  genus  generalissimum,  et  hoc  voluit  Averroes  duode- drao  Metaphysicorum  commeuto  quarto.  Unde  in  assimilanda  individua  inter  se  potest       Cli.28veiso fieri  intensa  vel  remissa  assimilatio,  ut  large  extendamus  vocabulum. Sed  dubitatur;  mirum  enim  videtur  quod  tantum  ex  parte  rei  sit  singulare,  et intellectus  habeat  potestatem  causandi  istud  universale.  Unde  enira  intellectus  liabet tantara  potestatem  causandi  hoc  universale  quod  nou  est  re  ?  Ad  hoc  dicitur  quod habet  hoc  ex  sua  perfectione  et  excellentia,  cura  coniungit  separafa  per  collationem similitudinis  sumptae  ex  comparatione,  et  coniuncta  disiungit  abstrahendo  quum  . multura  habet  de  divino.  Sicut  enim  ideae  omnium  entium  couiunctae  sunt  in  mente, sic  intellectus  potest  congregare  similia  iu  uuo  conceptu  et  secundum  altiorem  vel breviorem  siiuilitudinem  causat  genus  et  spesiem:  ex  quo  apparet  quod  seomidtim diversas  constructiones  intellectus  causat  diversos  effectus. Altera  dubitatio  est  .  .  .  .  si  ex  parte  rei  uon  sunt  nisi  singularia,  quae  sunt entia  determinata,  et  infellectus  ea  indifferenter  inteliigit,  intellectus  ergo  intelligit determiuatum  in  quantum  indeterminatum,  et  sic  intelligit  res  aliter  quam  siut;  quare erit  falsum.  Ad  lioc  dicitur  quod  duplex  est  operatio  intellectus:  una  est  eius  prima apprehensio,  quae  est  simplicium  iutelligentia,  in  qua  sua  prima  operatione  causat primam  intentionem,  abstraliendo  a  conditionibus  singularihus  uuam  naturam  commu- nem  pluribus  singularibus,  eam  intelligendo  uou  ut  limitatam,  sed  ut  se  habet  indiffe- renter  ad  hoc  vel  illud.  Seeunda  operatio  intellectus  est  comparare  individua  inter  se, et  ex  collatioue  similitudinum  attribuere  alicui  naturae  indiffereuter  (?)  esse  genus  vel esse  speciem.  Et  si quantum  ad  operationes  istas;  sed  potest errare  iutellectus  quando  attribuit  alicui  rei  quod  non  est,  sicut  si  diceret  liominem Ch.  29rccto  esse  asinum,  vel  omnes  liomines  esse  unum  liominem,  vel  diceret  lineas  consideratas a  raetaphysico  non  esse  sensibiles;  et  do  exemplum  de  lineis  quae  considerantur  a  meta- pliysico;  possunt  enim  dupliciter  considerari,  uno  modo  ab  intellectu  abstrahente  ipsas a  sensibilitate,  et  in  isto  omnes  confitentur  iu  via  Aristotelis  quod  intellectus  uon errat,  quum  abstrahentium  non  est  mendacium;  quamvis  enim  illae  liueae  sint  sen- sibiles,  tamen  intellectus  non  curat  considerare  illam  sensibiiitatem.  Alio  modo  possunt considerari  illae  lineae,  ut  puta  dicendo  illas  non  esse  sensibiles,  et  si  iutellectus  assen- tiret  huic  considerationi  scilicet  quod  lineae  mathematicae  sint  insensibiles,  cum  sint in  materia  sensibiii,  mentiretur.  Sic  dico  ad  rem  quod  quando  intellectus  apprehendit Iiominem  indifferentem,  quod  non  mentitur,  quamvis  Socrates  et  Plato  sint  entia  determi- nata,  hoc  enim  nou  inconvenit  quum  iutellectus  abstrahit  a  consideratione  talis  termi- nationis;  si  euim  intellectus  assentiret  huic  propositioui  «  homo  est  animal »  carenti  ter- minatione,  capiendo  huiusmodi  (?)  homo  prout  est  idem  quod  prima  intentio,  procul- dubio  mentiretur,  sicut  si  gustus  comprehendeus  dulcedinem  lactis,  non  sentiendo  eius albedinem,  et  tamen  non  errat;  ideo  intellectus  etsi  erret  componeudo  et  divideudo, tamen  non  errat  abstraheudo  ('). Dubitatur  iterum,  quia  non  videtur  quomodo  sit  verum  illud  dictum  quod  homo  sit prior  suis  singularibus,  quum  dato  pro  possibile  vel  impossibile  quod  uumquam  fueriut Iiomines  nisi  praesentes,  tunc  singulare  eius  in  eodem  tempore  vel  aeque  primo  est sicut  natura  humana  indifferens,  tel  arguitur  sic:  ab  aeterno  semper  fuerunt  singularia hominis;   ergo  non  est  verum  dicere   naturam  conimunem  indifferentem  esse  priorem. (')  Conf.  Coniniciito  manoscritto  al  Ilff  i 'r^f/^.-iiv.-ia;  esistente  nella  Biblioteca  deirUniversita  di Bologna.  Ne  tolgo  il  seguente  estratto: An  in  secunda  operalione  iniellectus  solum  sit  veiitas  et  falsitas. Videlur  Arisloleles  sibi  conlrarius  in  primo  De  anima  el  sexto  Metaphysicormn,  nam  hic  dicit  quod iihi  est  enuntialio  est  vcriim  el  falsum,  et  rjus  opjwsitum  dicit tertio  De  aiiima:  intellectus simplicium  semper  vcrus  cst;  et  idern  nono  Metaphijsicorum:  sunt  tongae  ambages  de  lioc Vull  ergo  dicere  quod  intelleclus  aliquando  judicat,  atiquando  nonjudicat.  Quando  esl  sine  jtuli- cio,  neque  verus  neque  falsiis  est.  Quando  vero  judicat,  est  cum  vero  et  falso.  Quod  vcro  alibi  dicit quod  intellectus  simplicium  est  verus,  tegitur  de  vero  qui  est  sine  judicio;  unde  icicndum  quod  quando album  vidctur  ct  judicatur  esse  atbwn,  est  verus,  quia  specics  repracsenlat  objcctum  sicut  est;  si  vcro judicatur  nigrum,  tiinc  est  falsum,  quia  species  non  repraesentat  objectum  sicut  cst.  Ita  etiam  dicatur Respondetur  quod  argummtum  concludit  ex  parte  rei  homiueui  uou  esse  yrio- rem  Socrate  vel  Platoue:  sei  p;'o  tauto  dicimiis  priorem  quolibet  suo  iudividuo.  ut liujusmodi  quoUbet  stat  divisive,  quum  potest  esse  liomo  et  nou  essa  hoc  vel  illud  Ch.20verso individuum  homiuis;  et  ideo  dicimus  homiuem  priorem  natura  Socrate,  quum  in  ordlne ad  naturam  prius  est  esse  hominem,  quam  esse  Socratem  dicta  de  causa.  Secuudo  dici- uuis  hominem  esse  priorem  Socrate  ex  parte  modi  intelligendi;  uam  possum  intelligere hominem  non  intellecto  Socrate,  quum  res  primo  concipitur  modo  uuiversali  quam raodo  particulari. Ad  argum*.'nta  in  oppositum  adducta  respondendum  est,  nec  volo  adducere  ratioues Nominalium,  quum  ille  modus  est  sophisticus.  Ideo  aliter  respondebimus,  et  magis physice.  Ad  argumentum  primae  opinionis:  ad  primum  dico  quod  salvatur  generatio univoca  absque  ideis,  quumiu  genitis  per  propagalionem  corpora  caelestia  concurruut tanquam  cauiae  uuiversales:  iste  vol  ille  homo  tamquam  causa  particularis;  semen cum  spiritu  gignitivo  tanquam  causae  instrumentales:  et  quod  dico  de  homine  re- spectu  generandi  hominis,  est  etiam  de  aliis  iudividuis  aliarum  speciarum  generandi individua  propriae  speciei.  In  talibus  autem  genitis  per  putrefactionem  corpora  caelestia cum  aliqua  causa  particulari  sunt  causa  generatiouis  talium  animaiium.  Ad  secundum argumentum,  cum  dicitur:  «sicut  se  habet  res  ad  esse,  ita  et  ad  cognosci»;  (concedo) quantura  ad  secundam  operationem  intellectus,  non  autem  quantum  ad  primam,  quae est  simplicium  apprehensio;  aliter  sequeretur  lineas  non  posse  intelligi  absque  materia. Ad  tertium  dico  secundura  Thomam  quod  scientia  realis  est  de  obiecto  reali quoad  considerationem,  non  quoad  modum  considerandi;  idest  scientia  realis  consi- derat  ista  particularia,  sed  non  sub  modo  particulari,  sed  secuudura  quandara  naturam communem  illorum  consideratam,  ut  est  apta  nata  esse  indifferentem  in  iioc  vel  illo individuo;  et  hoc  est  idem  quod  dicere  secundum  modum  universalem;  sic  enira  mathe- matici  considerant  lineas  sensibiles,  seu  secundum  modum  abstrahendi  a  sensibilitate. Mathematica  enim  scientia  considerat  res  sensibiles,  et  quantum  ad  hoc  dicitur  scientia  ch.  30  rccto realis,  quum  obiectum  suum  ab  ipsa  consideratura  est  reale,  modus  tamen  abstra- hendi  tale  oliiectum  non  est  realis;  ideo  mathematica  et  omnes  aliae  scientiae  reales dicuntur  reales  ab  obiecto,  non  autem  a  niodo  consideraudi ,  quum   talis  modus  fit per  opus   intellectus.    Dices ' quomodo    ergo   diftert  scientia   realis  a  scientia   rationali  ?  Dico quod  differt  primo  ab  obiecto,  quum  obiectura  scientiae  realis  est  reale,  sed  obiectum scientiae  rationalis  esf  rationale.    Secundo   modus    considerandi  ens  reale  est   prima do  guslv,  el  aliis  sensibus,  el  de  inlelleclii.  Unde  quando  species  repraesenlal  rcm,  sic  esl  verus;  quando non,  non  est  verus.  El  sic  proprie  est  veritas  et  falsirc.-Y i:i]i\  Aralolclis  Ik  Ammalibii  trcs ciimAvcrrois Commenlariis -Vendiis  cqmd  .hinclasl^Qi. scilicet  cogiioscatur  per  propriam  speciem,  an  (m-o)  ex  solo  dibcursu  ut  tenet  Sco- tus,  forte  bene  pertractabitur  teitio  liuius.  Quia  taiLeu  hic  solet  moveri,  ideo  volo de  hoc  alic|ua  dicere. Multi  modi  recitantur  ab  istis  quorum  unus  est:  Accidens  ducit  in  cognitionem substantiae,  quia  sicut  virtus  phantastica  brutorum  ex  specie  rei  sensatae  elicit  insen- satam;  sic  intellectus  noster  ex  specie  sonsata  accidentis  elicit  speciem  insensatam substantiae.  Nam  agnus  et  ex  figura,  facie,  et  colore  lupi,  et  voce  statim  elicit  speciem inimicitiae  quae  est  insensata,  et  fugit;  et  sic  ex  specie  sensata  elicit  insensatan^  pa- riformiter,  quia  nullus  sensus  profuudat  se  ad  substantiam,  sed  intellectus  est,  qui  eam cognoscit  cognitis  primis  accidentibus  per  sensum;  et  sic  per  viam  resoluticnis  acci- dens  causat  spejiem  insensatam  substantiae;  ex  quo  enim  aecidens  tantum  causat  suam speciem  ex  accidentibus  cognitis,  statim  inteliectus  per  quamdam  congenitam  natu- ram  elicit  speciera  substantiae.  Nolo  autem  recipere  impugnationem  quam  facit  hic Joannes.  Secundus  raodiis  dicendi  est,  quia  ita  est  in  actione  spirituali  sicut  in  reali  et materiali ;  sed  in  materiali  non  inducitur  forma  substantialis  in  materia  nisi  prius inductis  ciualitatibus  accidentalibus  in  rnateria;  videinus  euim  experientia  quod  in  ma-  Ch. 3.3voro teria  non  inducitiir  foruia  ignis,  nisi  prius  inducatur  caliditas  et  raritas  convenientes  pro forma  ignis;  sic  et  intellectus  non  potest  causare  couceptum  substantiae  nisi  prius  dispo- natur  per  conceptus  accidentium;  cum  actus  aclivornra  non  sint  nisi  in  patiente  bene disj  osito,  et  actio  ^piritualis  debet  proportionari  actioni  raateriali.  Erit  ergo  sensus  buius opinionis:  sicut  accidentia  faciuut  ad  generationem  substantiae,  ita  ad  cognitionem  eius. Etsi  multi  sint  conccrdes  in  boc  modo  dicendi,  sunt  tamen  adhuc  diversi  de  geueraiione speciei  in  intellectu.  Joannes  imaginatur  quod  in  virtute  phantasticasitsinuil  species  sub- stantiae  et  accidentis,  et  quod  intellcctus  non  potest  recipere  speciem  substantiae  nisi prius  recipiat  speciera  accidentis  disponentem  et  praeparantem  pro  receptione  speciei substantiae;  tamen  cum  hoc  etiam  species  substantiae  generat  notitiam  substantiao, mediante  tamen  specie  accidentis. Alii  dicunt  quod  sicut  in  actione  reali  caliditas  prius  generat  caliditatem  in  vir- tute  propria,  in  virtixte  vcro  substantiae  formam  substantialem,  sic  in  spiritualibus; et  haec  est  via  Thoraistarum  volentium  sensum  se  profundare  usque  ad  substantiam;  et talem  cognitionem  substanliae  Joannes,  Caietanus  et  Apollinaris  appeilant  intuitivam,  sed '  valde  improprie  et  raale,  quia  notitia  intuitiva  terminatur  ad  rera;  nullam  autera  taleui haberaus  in  lioc  raundo,  sed  liabebimus  iu  patria.  Quod  si  in  hac  vita  cognitio  ter-

rainatur  ad  rera,  quia  phantasraa  formaliter  terminatur  ad  rem,  non  propter  hoc  esl intuitiva. De  istis  raodis  nihil  dico  nunc,  quia  iu  tertio  huius  dicetur.  Ununi  dico  quod  Cli.34rccto nullus  istorura  est  ad  mentem  Philosophi,  quia  in  isto  loco  non  loquitur  de  ista  co- gnitione  intuitiva  sine  discursu,  sed  loquitur  de  cognitioue  cura  discursu  ,  ut  patet per  Philosophum  dicentem:  videtur  autem  non  solum  quod  quid  est  cognoscere  utile;ubi patet  quod  loquitur  de  processu  demonstrativo,  ubi  per  coguitionem  causae  venimns  in cognitionem  effectus.  Et  qr.od  verum  sit  quod  non  loquitur  ad  mentem  Philosophi  patet, quiadicitPhilosophus:  non  solum  accidens  ducit  in  cognitionem  substantiae,  sed  etiam e  converso.  Non  potest  autem  substantia  ducere  in  cognitionem  accidentis  nisi  discur- sive:  non   (nim  pcr  speciera  substantiae  duciraur  in  cognitionem  accidontis.  Et  ideo aliter  est  dicendum,  per  accidens  ducimur  in  cognitionem  substantiae  et  e  coni^erso,  sed per  discursum,  nam  causa  in  aliquibus  est  apta  dare  coguitionem  effectus,  et  quia, et  propter  quid;  iu  aliquibus  vero  non  solum  propter  quid,  ut  in  regressii,  nam  ali- quando  cognita  causa  per  effectum,  devenio  a  cngnitione  causae  in  propter  quid  effe- ctus;  et  prima  uotitia  est  perfectissima,  secunda  vero  non.  Ideo  dixeruut  et  bene,  quod confert ;  sed  videatis  Tljemistium  hic  dicentem  quod  est  quasi  circulus,  volens  dare intelligere  quod  quandoque  causa  notificat  effectum,  et  quia  et  propter  quid;  quan- doque  vero  propter  quid  taiitum,  et  tunc  est  demonstratio  causae  tantuiu;  qaandoque e  converso,  et  dicitur  demonstratio  signi. Est  et  alius  modus  quem  Thomas  bene  tauglt  diceus;  quomodo  ultra  notitiam  di- scursivam  accidentia  couferant;  etest  quia  multoties  habemus  cognitionem  accidentium propriorum  et  iguoramus  ultimas  differeutias;  et  ut  dicit  Commentator  octavo  Metaphy- sicorum  commeirto  quinto,  loco  ipsarum  ponimus  accidentia  propria,  et  per  accideus  de- Ch. 34verso  venimus  in  cognitionem  substantiae.  Unde  cum  aliter  non  possumus  facere,  facimus  si- cut  possumus,  et  substantia  confertad  cognitionem  accidentis  non  solum  discursive,  sed quia  substantia  ponitur  in  definitione  accidentis;  et  sic  in  via  definitiva  et  discur- siva  accidens  coufert  ad  coguitioneoi  substantiae,  et  e  contra;  et  ideo  non  approbo illos  modos  dictos,  non  quia  sint  falsi,  sed  quia  non  sunt  ab  intentionem  Aristotelis hic.  Ex  his  sequitur  quod  stat  me  habere  conceptum  accidentis,  et  conceptum  sub- stantiae;  et  tamen  quod  accidens  ducat  me  in  cognitionem  substantiae  et  e  contra ; sic  quia  cognitio  substantiae  confert  ad  cognitionem  accidentis  et  e  contra,  patet  de demonstratione  propter  quid,  quae  babita  prius  notificat  quia  est  ipsius  causae  per effectum,  et  ducit  nos  iu  notitiam  propter  quid  ipsius  effectus.  Similiter  stat  quod  co- gnoscam  substantiam  et  accidens,  et  quod  tamen  accidens   conferat   ad   cognitionem substantiae,  quia  stat et  hoc est  maxime  verum  de  uotitia  accidentis  imperfecta  prius  habita,  perfecta  enim  cognitio accidentis  non  potest  haberi  nisi  post  cognitionem  substantiae;  ex  quo  patet  nostram consequentiam  esse  veram,  scilicet  quod  stat  substantia  et  aceidens  ambo  esso  cognita, et  tamen  cognitio  aceidentis  confert  ad  coguitionem  substantiae  et  e  contra ;  et  hoc iu  via  discursiva  et  definitiva  nou  oportet  dubitare ,  nam  ipsum  accidens  definitur per  substantiam  et  e  contra;  et  sic  non  semper  est  verum  quod  substantia  ducat  in  co- gnitionem  accidentis,  sed  beue  propter  quid  et  e  contra,  ut  dictum  fuit.  Stat  tamen cum  hoc  quod  uotitia  s  .bstantiae  ducat  in  cognitionerc  accidentis,  ubi  piius  nullam Cli.Sorecto  notitiam  haberemus  de  accidente;  patet  iu  demonstratione  simpliciter,  iu  qua  ex  cau- sa  nota  nobis  et  naturae  ducimur  in  cognitiouem  quia  est  et  propter  quid  ipsins  acci- dentis.  Similiter  notitia  quia  est  accidentis  ducitin  cognitionem  substantiae,  nulla  prius habita  notitia  de  ipsa;  patet  quando  ex  notitia  accidentis  proprii  devenio  in  notitiam substantiae.  Ex  lioc  patet  quod  cognitio  accidentis  uou  semper  causatur  ab  ipso  phan- tasmate,  nbi  per  viam  discursivam  devenioiu  notitiam  aceideutis  ex  uotitia  ipsius  sub- stautiae.  Ex  quo  patet  quod  ille  modus  dicendi  non  est universaliter  verus:  sicut  res  se  ha- bet  ad  actionem  realem  ita  ad  spiritualem;bene  aliquaudo  est  verum,  non  tamen  semper; quia  nunquam  forma  potest  esse  et  recipi  iu  materia,  nisi  prius  materia  fuerit  disposita per  accidentia.  Stat  auteni  totum  oppositum  in  actioue  spirituali,ut  dictum  ost.In  mate- rialibus  prius  est  substantiu  quam  i>assiu;  iu  spiritualibus  multoties  est  totum  oppositum, —  111  — ut  qiuindo  siibstantia  esset  nobis  ignota,passione  existente  nota;et  lioc  modo  est  veiiim  de irapevfecta  nolitia,  non  autem  de  perfecta;  et  quantumcumque  accidens  notificet  substan- tiam  et  e  contra,  verius  tamen  substantia  notificat  accidens,  quam  accidens  substantiam,  et definitio  definitum  qiiam  e  contm.  Omnia  sunt  clara.  Unum  tantum  liic  esset  dubi- tanJum,  quum  ex  causa  uotificatur  effectus  et  ex  definitione  accideutis,  numquid  iila

coguitio  sit  habita  pcr  discursum  an  per  propriam  speciem;  non  euim  est  verum  quod quidquid  est  per  propriam  speciem  cognoscatur;  mnlta  enim  cognoscuntur  quae  non liabent  speciem  propriam  et  substantiae  separatae  et  relationes:  imo  tenet  Scotus  quod substantia  solum  discursive  cognoscatur.  Sed  de  hoc  in  sequentibus. Ali-id  oportet  scire,  quod  substantia  ducit  in  cognitionem  accidentis  et  e  contra via  discursiva  et  demonstrativa;  quia  dicit  Averroes  quod  definitiones  et  demonstra-       Ch.Soverso tiones,  quae  no;i  declaraut  accidentia,  sunt  vanae;  quod  eodem  modo  contiugit  quum accidentia  declarantia  ipsam  substantiam  sunt  maxime  propria;  quae  vero  non  sic.  non sunt  propria  saltem  eodem  modo.  Sic  enim  perfectissima  definitio  declarat  omnia  ac- cidentia.  Numquid  vero  proprium et  non  aliud  ducat  in  cognitionem  sub- stantiae,  credo  quod  non  semper;  beue  verum  est  quod  quanto  magis  est  prcprium et  esseutiale,  tauto  magis  ducit  in  cognitionem  substantiae. Et  sic  fiuis  imponitur  quaestionibus  super  pvimo libro  De  auima.  Deo  favente. Cli.45  veiso QUAE3TI0NES  MAXIMI  ILLItTS  PHILOSOPHI  PETRI  SCILICET  rOMPONATII SUPER  SECUNDO  DE  ANIMA Cli.48v'erso  Utrum  definitio  animae  sit  hene  assignata. Visa  definitione  auimae  in  miltis  textibus,  Pampouuaciiis  eam  exanimat  iu  textu imclecimo  (').  Et  prim)  circa  p.imam  particulam  dubitatur  utrum  sit  actus,  et  videtur quodnon, quia  si  esset  astus,  esiet  forma;  sed  nou  est  forma;  igitur  etc.  Autecedens  patet, quia  forma  et  actus  idem  sunt:  brevior  probatur,  quia  si  anima  esset  forma,  esset  vel substautialis  vel  accideutalis;  sed  uon  est  aliqua  istarum;  ergo.  Quod  non  sit  accidentalis patet  per  Averroem  secundo  liuius,  coramento  secundo,  ubi  dicit  quod  secundum  quod dat  nobis  prima  cognitio  naturalis,  anima  est  substantia,  et  etiam  pars  substantiae  est siibstautia.  Secnndura  probatur  quod  uon  sit  forraa  substantialis  sic:  proprium  est  sub- stantiae  in  subiecto  non  esse;  anima  est  in  subiejto;  ergo.  Auterior  patet  ex  praeceden- tibus;  brevior  probatur,  quia  Aris^oteles  iam  probavit  animam  non  esse  corpus,  qnia est  in  subiecto.  Item  proprium  est  substantiae  per  se  stare  et  accidentibus  substare; sed  anima  non  per  se  stat,  nec  accidentibus  substat;  ergo.  Anterior  patet  ex  praece- dentibus,  et  brevior  probatur,  nulla  enim  est  aniraa  quae  per  se  stat,  nec  intellectiva; nam  dicitur  in  primo  liuius,  quod  si  quis  dixerit  animam  p3r  se  intelligere,  est  ac  si diceret,  eam  texere  vel  filare;  et  hoc  est  ia  textu  commenti  sexagesimiquarti,  et  haec  est prima  quaestio  quara  tangit  Joannes. Dubitatur  secundo  utrura  sit  actns  priraus;  et  videtur  quod  non,  quia  ille  non est  actus  primus  quem  praecedunt  alii  actus;  sed  animam  in  corpore  multi  actus  prae- cedunt  tara  substantiales  quam  accidenteles;  ergo.  Prima  patet.  quia  primo  non  datur prius;  brevior  probatur  dupliciter,  prhiio  quia  animam  ipsam  in  corpore  praeceJuut actus  esseutiales  et  accidentales;  ergo.  Di  accidentali  patet,  quia  actus  activorum  sunt in  patiente  beue  disp  )sito,  nt  dicit  Aristoteles;  unde  quomodo  aniraa  posset  iuformare materiam,  nisi  illa  esset  disposita  et  per  debitas  organizationes  et  per  debitara  pro- portionera  qualitatnm  priraarum?  Item  praeceduut  in  corpore  animara  multae  formae substaniiales  tam  partiales  quam  totales:  non  enim  est  homo  nisi  prius  sit  corpus, et  nisi  sit  cor  et  epar,  et  alia :  quis  enira  diceret  omuia  ista  membra  unica  forma informari,  cum  habeat  tam  diversas  operationes  et  complexiones?  Deinde  ponitnr  actus priraus  ad  differentiam  secundi:  lioc  non  est  universaliter  vernra  qnod  auima  sit  actus priraus,  ut  distingnatur  coutra  secundum,  quia  quaudo  homo  nutritur  in  homine,  non esset  actus  pr  raus,  quura  iu  eo  uon  est  actus  secuudus;  quare  ibi  non  esset  actus priraus,  et  iiic  tangitur  quaestio  quae  tangitur  ab  Averroe  coramento  octavo. Dubitatur  tertio  utrum  anima  sit  actus  primus  corporis ;  et  videtur  qnod  non, quia  si  ipsa  esset  actus  corporis,  tunc  esset  accidens;  hoc  autem  est  falsum;  ergo.  Con- (')  II  tcsto  di  Aristotele  e  questo:  810  ■^•JX^  s^rr/  svr=\cx^n-z  -h  TZfirn  auaaro;  fjTr/.0'j  8uv5t(/si fuvj/  E^ovTo,-.  Toiouro  Ss,  0  av  r^  ojyavizov.  De  anima  II.  1-   6. CoDsequentia  probatur,  quia  omiiis  forma  adveiueus  euti  in  actu  est  accidens  ex  secundo De  generatione,  textu  commenti  quarti  huius  seeundi;  anima  autem  estt  alis  quia  per se  advenit  corpori,  quod  est  iu  actu;  ergo. Dubitatur  quarto  super  illud  verl)um  «  physici »  quia  non  videtur  bene  positum  esse, quia  in  detinitione  sribstautiae  nou  ponitur  accidens:  sed  physicus  ponitur  in  detiui-  Ch.  49recto tione  auimae  et  anima  est  substantia;  ergo.  Brevior  probatur,  quia  si  loco  «  physici  » ponitur  sua  defiuitio,  quae  est  esse  principium  motus  et  qnietis;  tuuc  in  definitione animae  ponitur  accideus.  Item  ablataista  particula  «physiei»  non  minus  eiit  peifecta  ct completa  ista  definitio  animae;  ergo  supevtiue  ponitur.  Consequentia  patet;  anteeedens probatur.  quia  dicunt  quod  ponitur  «  physici  »  ad  ditferentiam  artificialium,  modo  suf- ficit  pro  distinctione  corporam  artificialium  «  in  potentia  vitam  habentis»  et  estdefinitio completa;  vera  autem  definitio  non  continet  superfluum  ut  in  octavo  Metaphysicorum. Dubitatur  quinto  circa  illam  partem  «orgauici»  quia  in  definitioue  organici  ponitur quantitas,  qualitas  et  .situs,  quae  sunt  accidentia  quorum  nullum  debet  poni  in  definitione substantiae.  Secundo  anima  est  simplicior  formis  elementornm,  cum  magis  accedat  ad divinum;  ergo  debet  habere  subiectum  simplicius  quam  elementa;  quare  non  debet  ha- bere  pro  subiecto  corpus  organicum.  Consequentia  potest  patere,  quia  nobilioris  for- mae  nobilius  est  subiectum;  quanto  autem  aliquid  est  simplicius,  tanto  nobilius  est, quia  magis  accedit  ad  illud  quod  ep  .  ,  citur  actus  primus  quia  ab  ea  non  proveuit  operatio,  quae  est  apta  uata  provenire, sequeretur  quod  cura  sentirem  in  rae,  nou  e.sset  (')  actus  priraus;  unde  Themistius  di- cebat:  cavendura  est  ne  vigilemus,  quia  proderemus  actum  primum.  Pro  hoc  argumento notanda  est  discordia  in  defiuiendo  aetum  primura  et  secundura.  Latini  vohmt  quod forraa  sit  actus  priraus,  operatio  vero  secundus.  Si  ergo  sic  defininius,  secundum  argu- raentum  uihil  valet;  non  enim  probaret  animam  nou  esse  animara  actu  operantem  , sed  non  esse  ipsam  operationera.  Sed  tamen  Theraistius,  Alexander,  Averroes  et  Ari- stoteles  videntur  velle  quod  actus  priraus  sit  forma,  a  qua  nou  provenit  operatio  apta proveuire,  actus  vero  secundus  est  forma  a  qua  provenit  operatio;  sed  quoraodo- cumque  intelligatur  nou  est  magna  difficultas.  Nam  ipsi  dicuut  quod  debet  intelligi disiunctive,  scilicet  quod  in  aliqua  anima  est  actus  priraus  et  in  aliqua  actus  secundus; in  quibus  non  est  actus  operans  est  actus  priraus;  non  facit  autera  meutionera  de  actu secundo ,  quia  non  est  dubium ,  quod  quando  anima  est  operaus  in  aliquo.  qued  ibi sit  actus  primus;  bene  est  dubium  quaudo  non  est  operans,  an  sit  actus  primus  cum appareat  mortuus. (')  Probabilmente  6  sottinteso :  amplius. Uiruiii  sint  plures  foriuue  substantiales  in  eodeni  cuinpusitu. Ch.  56  verso Quinta  opinio  qiiae  mihi  probabilior  videtur,  et  est  authenticorum  virorum  scilicet  Ch.62verso Thomae,  Aegidii  et  Alberti  hic  iu  libro  De  anima,  licet  contrarium  videatur  dicere in  tertio  Coeli.  Dicit  haec  opiuio  quod  iu  uno  composito  non  possunt  esse  plures  formae substantiales  realiter  distinctae  sed  unica  tantum;  eadem  enim  forma  est  per  quam  So- crates,  animal,  corpus,  mixtum,  oculatus  et  huiusmodi;  et  pro  liac  duo  tautum  fundamenta adducam,  quia  alia  patebuut.  Primum  de  ratioue  formae  substautialis  est  dare  esse simpiiciter,  accidentalis  vero  per  accidens,  ut  primo  De  generatione  dicitur.  Modo  si quaelibet  forma  substantialis  dat  esse  simpliciter,  tunc  tale  compositum  habebit  duo esse  simpliciter;  quare  nou  esset  unum,  sed  duo. Alteruui  funJamentuiu  est  quod  Aristoteles  semper,  ubi  loquitur  de  hac  materia, dicit  quod  omne  quod  adveuit  enti  in  actu  est  accidens,  quod  pariter  vel  esset  falsum vel  limitatum.  Volendo  ergo  sustinere  hanc  propositionem,  quae  mihi  verior  videtur; restat  solvere  argumenta. Ad  id  quando  dicitur:  uude  snmeretur  uumerositas  praedicatorum,  pro  hoc  notetis, ut  beue  notat  hic  Albertus  et  Tliomas,  non  inconvenit  aliqua  dispersa  in  diversis  con- cludi  eminenter  in  uno  perfectioii;  est  euim  substautia  sine  corporc  ut  in  abstractis, et  etiam  corpus  siue  vivente ,  et  vivens  sine  auimali ,  et  animal  sine  homine.  Ecce quomodo  ista  sunt  dispersa  in  diversis.  Cum  quo  taraen  stat  quod  ista  dicantur  esse collecta  in  uno,  ut  in  homiue  ratione  suae  perfectionis;  exemplum  accommodatum  dat Albertus:  in  civitate  suut  tribuni,  praetor,  et  consul;  praetor  est  perfeclior  tribuuo, et  consul  est  prior  praetore;  quae  tamen  omnia  sunt  collecta  in  rege  sive  in  principc: potest  euim  ipse  facere  omuia  quae  possunt  ipsi  de  per  se.  Uude  iste  est  ordo:  quando aliqua  subordinantur  ad  iiivicem,  prius  debet  esse  in  posteriori  eminenter,  sicut  trigo- uum  in  tetragono:  auima  iutellectiva  ex  sui  perfectione  omnia  quae  sunt  iu  aliis  di- spersa  iu  se  eminenter  continet  illa.  Quo  stante  faciliter  dicitur  ad  illud  argumeutura: dico  quod  est  Huica  res  raaterialiter  ,  taraen  plures  virtualiter,  a  quo  sumitur  ista uumerositas  praedicatorura.  Ex  onumeratione  enim  virtutum  sensatarum  in  ipsa  auiraa  *^''-  ^'-^  ■'^'^t" iutellectiva  sumuntur  iila  praedicata;  quare  patet  quod  ista  numerositas  sumitur  a  re continente  illas  perfectioues  eminenter,  ut  patet  in  exeraplo  Alberti  de  rege.  Ad  se- cundum:  quando  dicebatur  quod  substantia  separatur  a  corpore  et  corpus  a  vivente, et  viveus  ab  animali  in  liis  quae  sunt  dispersa,  ergo  ita  debet  esse  in  liomine;  sed in  rei  veritate,  hoc  potius  arguit  oppositum.  Nam  in  imperfectis  sunt  dispersa,  uniuu- tur  tamen  iu  Iiomine  propter  perfectionem  auimae  suae  comprehendeutem  omnes  gra- dus  imperfectos  ex  sui  raagna  perfectioue,  sicut  verbigratia  rex  continet  onines  ma- gistratus  qui  snnt  dispersi  in  inferioribus;  imo  et  Deus  qui  est  perfectissimus  omnium continet  emiuenter  omnes  rerum  perfectiones,  et  hoc  est  rmum  ex  fuudamentis  Thomae. DiflScuItas  autem  est  respondere  rationibus  Scoti  tenentis  dari  formas  partiales et  formas  mixti  distiuctas  ab  aliis.  Ad  primum  si  non  remanet  eadem  forma,  quae- rebatur  de  generante  illam  formam  ita  nobilem ,  et  de  generaute  illa  accidentia ,  et idem  eftectus  numero  proveniret  a  distinctis  specie.  Hoc  argumeutum  est  fortissiraum Ch.  64  recto quod  eognoscitur  es  diversitate  respousiomim.  Tliomistae  digladiantur  inter  se  iu  hoc. Aliqiii  dant  unam  responsionem,  alii  aliam.  Gregorius  dat  aliam  in  secundo  Sententia- rnm  distinctione  decimasexta,  quaestione  secunda.  Dicam  ego  quod  mihi  raagis  placet. Videtur  mihi  primo  quod  Scotus  et  sequaces  habeant  contra  se  easdem  angustias quas  habet  Thomas ,  quia  si  bos  interficiatur  gladio,  frigiditate  et  quomodocumque morialur,  semper  est  idem  bos;  modo  est  difficile  videre  quomodo  per  solum  motum localem  possit  corrumpi  bos.  TJnde  reflectitur  argumentum  contra  ipsum.  Dieebat  ipse quomodo  per  solum  raotnm  localem  potest  generari  bos  nulla  praecedente  alteratione; ero-o  sicut  omnes  generatioues  praecedit  alteratio,  ita  et  omnes  corruptiones;  et  sicut est  iuconveniens  de  uno,  ita  est  de  alio.  Tunc  refiecto  contra  te  hoc  idem  argumen- tum.  Si  bos  corrumpitur  gladio,  frigiditate ,  illa  forma  substautialis  corrumpitur  et est  idem  effectus  numero  :  ergo  a  diversis  secundum  speciem  potest  proveuire  idem Ch.  C4ver5o       effectus  uumero. Ch.  6".  verso  Dices  et  subtilius:  hoc  non  videtur  verura  de  effectu  positivo,  sed  bene  de  privativo; quomodo  enim  est  possibile  quod  per  solura  gladium  geueretur  forma  cordis  et  epatis, et  cadaveris,  et  tot  et  tanta  luembra?  Hoc  argumentum  dixi  esse  fortissiraum,  lieet apud  me  non  concludat;  nam  sumo  dictum  Aristotelis  in  secundo  De  generatione,  ubi diciiur  quod  terra  potest  generare  ignem,  aerem,  et  alia  multa:  si  enim  terra  agat in  aerem  per  siccitatem  nec  non  per  caliditatem,  tunc  generabitur  ignis  qui  est  ca- lidns  et  siccus;  similiter  si  agat  in  aerem  per  frigiditatem,  tunc  generabitur  aqua, quae  est  frigida  et  humida.  Ecce  quomodo  est  posdbile  quod  idem  agens  secundum speciem  causet  effectus  diversos  secundum  speciem.  et  quod  idem  effectus  secundum speciem  proveniat  a  diversis  secundum  speciem.  Hoc  autem,  ut  dicit  Aristoteles,  pro- venit  ex  dispositione,  et  quorsum  hoc  dico?  quod  non  solum  effectus  privativus  sed  etiam positivus  potest  a  diversis  causis  secundum  speciem  causari,  et  idem  agens  secundum speciem  potest  diversos  effectus  producere.  Quare  patet  quod  non  inconvenit  quod  per frigidum  generetur  cadaver  et  per  humidum  et  calidum,  sic  et  iu  aliis;  quare  quando caliditas  agit  iu  hominem,  cum  hoc  subiectum  sit  maxime  dispositum  pro  forma  ca- daveris,  ideo  uon  est  mirum  si  ex  eo  generetur  cadaver.  Similiter  humiditas  ageus  in hominem  geuerat  cadaver,  similiter  et  siccitas,  et  gladius  et  talia;  non  ergo  est  mi- rum;  quia  tale  subiectum  est  dispositum  pro  forma  cadaveris.  TJude  si  hoc  est  incon- venieus  erit  destruere  processum  Aristotelis  in  secundo  De  generatioue,  ut  supra  di- ctum  est;  et  si  argumentum  Scoti  concluderet,  esset  etiam  coutra  Aristotelem.  Respon- sio  ergo  stat  in  hoc  quod  non  iuconvenit,  imo  est  uecessarium  ratione  dispositionis passi,  eundem  effeclum  produci  a  diversis  causis;  et  liaec  cst  nostra  responsio  a  nutla accepta,  imo  idem  effectus  positivus  potest  a  diversis  cau&is  proveuire,  ut  dolor  pro- venit  a  calido,  frigido,  humido,  sicco  et  tamen  dolor  est  quid  positivum,  quia  est  tri- stis  sensatio,  sed  iustabilis. Ch.  CG  recto  Ch. "Overso  Utrum  omnis  anima  sit  divisibilis. Alia  quaestio  est  utrum  omnis  anima  dicatur  esse  divisibilis;  et  ue  iu  aequivoco labnrcmus,  non  est  sermo  noster  de  divisione  seeundum  speciem;  quia  lioc  modo  sunt divisibiles  (imimae),  quum  uon  sunt  eiusdem  speciei;  uec  est  iutentio  uostra  loqui utrum  sit  divisibilis  in  partes  eo  modo  quo  compo.-itum  dividitur  in  materiam  et  for- mara,  uec  de  divisione  quae  est  in  partes  essentiales.  quia  in  tertio  huius  de  hoc  vide- bitur:  sed  serrao  est  de  divisione  i)er  accidens  sicut  ad  divisionera  corporis  in  quo  est. De  qua  Aristoteles  quinto  Metaphpieorum  capite  «  de  quauto  »  locutus  est,  nec loquor  utrura  auima  sit  divi^ibilis  per  se,  quia  hoc  modo  nihil  est  divisibile  praeter quantitatera,  ut  dicitur  iu  primo  Physicorum  toxtu  commenti  septimi,  ubi  dicitur  quod omne  quod  est  divisibile,  ratione  quantitatis  est  divisibile;  ipsa  autem  quantitas  per se  est  divisibilis.  Et  notaraus  propter  sophistas  quod  nou  surao  hic  «  per  se  »  in  primo vel  in  seeundo  modo,  sed  in  tertio,  idest  per  se  solitarie;  sic  intelligendo,  substantia est  per  se  indivisibilis,  idest  solitarie  sumpta  et  considerata  secliisa  qiuxutitate.  Sed disputatio  nostra  est  utrum  quaelibet  anima  sit  divisibiiis  per  accidens  sie,  quod  ipsa extensa  ad  extensionem  corporis  dividatur  ad  eius  divisiouera;  et  sermo  est  de  ani- mabus  eductis  de  potentia  materiae,  quia  auiraa  intellectiva  clarum  est  quod  non  est divisibilis,  dimissa  opinioue  Piatonis  et  Pythagorae,  qui  tenent  omnem  animam  esse indivisibilem.  In  via  peripatetica  invenio  tres  opiniones  famosas.  Uua  opiuio  Thomae in  prima  parte  quaestionis  76  art.  8;  et  etiam  Albertus  est  istius  opiuionis.  Tunc  haec opinio  dicit  quod  per  se  ec  per  accidens  anima  est  indivisibilis:  de  par  se  est  manifestum, et  omnes  concedunt  cum  sola  quautitas  sit  per  se  divisibilis;quod  autem  et  per  accidens sit  indivisibilis,probant  raultis  rationibus.  Pro  nunc  duas  tantura  adducaraus:  priraa  est  Cli.  71  recto supponendo  quod  totum  animal  aut  planta  informetur  per  auimam,  totura  enim  et quaelibot  pars  est  animata,  quod  non  est  nisi  per  praesentiam  animae.  Non  ergo  di- eunt  isti  est  putandura.  quod  auiraa  sit  in  una  parte  per  essentiara  iit  in  corde  et in  aliis  per  virtutera.  sed  iu  toto  per  essentiara.  Secundo  isti  accipiunt  quod  definitio de  anima  sit  vera,  scilicet  anima  est  actus  corporis.  Tunc  dicit  Thcmas:  sumamus  plan- tam;  si  enim  de  quo  minus  videtur  inesse  et  inest,  ergo  de  quo  magis:  cbrura  est quod  anima  plantae  est  in  tota  planta ,  et  non  tantum  in  parte.  Impossibile  autem est  quod  aliquid  extensum  sit  in  pluribus  partibus  simul.  Si  ergo  aniraa  sit  extensa, uon  potest  esse  in  pluribus  ipsius;  et  ita  dicatur  de  anima  sensitiva  liominis.  Dicit autem  Thomas,  si  sit  indivisibiiis,  quod  potest  esse  praesens  omuibus  partibus  cor- poris,  sicuti  Deus  qui  praeest  toti  universo.  Hoc  ergo  est  argumentura  Tiiomae:  aniraa ' informat  totam  et  quamlibet  partem,  et  est  actus  corpoii.s  ergo  est  indivisibilis,  quia si  esset  divisibilis  non  posset  hoc  facere.  Hic  etiam  Albertus  facit  rationem  multum efficacem,  quam  assumpsit  Petrus  Mantuanus  concivis  meus  in  (scripto?)  suo  De  primo et  ultirao  instanti,  credo  capite  secundo:  i^atio  est  ista,  nisi  anima  esset  indivisibi- lis,  non  possemus  salvare  identitatera  individui  a  principio  usque  ad  tinem.  Proba- tur  quia  homo  a  principio  sui ,  quando  erat  embrj'o,  erat  digitalis  quantitatis,  et nunc  tantao,  quod  non  potest  esse  nisi  quia  actuatus  est,  et  materia  est  variata  pro- pter  coutinuam  resolutiouem  humidi  ad  renovationem  novae  materiae  propter  nutri- menium.  Quoraodo  ergo  si  continue  a  principio  usque  ad  finem  uniatur  raateria,  potest esse  idem  numero?  quia  si  anima  est  divisibilis  ad  divJsionem  materiae,  cum  continue varietur  materia,  etiam  et  forma  variabitur;  et  ita  cum  non  remaneat  eadem  mate- ria,  nec  eadera  forraa,  nec  erit  idem  individuum.  Si  autom  ponatur  auiraa  indivisibilis,  Cli.71  verso remanet  ideutitas  individui,  quia  esse  insequitur  formam,et  quia  quando  anima  est  in- divisibilis  seiuper  lemauet  eudem  aliam  iodiieus  et  aliam  matedam:  ideo  facit  ideuti- tatem  iu  supposito;  sicuti  si  esset  vas  perforatum,  iu  quo  coutinue  uova  aqua  subin- traret,  et  alia  exiret,  semper  utique  esset  idem  corpus,  uon  existente  tamen  eadem aqua,  quae  tamen  iuduit  se  iu  alias  materias.  Quae  opinio  multis  displicuit  volentibus animas  plantarum  esse  divisibiles;  quae  quidem  multum  assimilantur  formis  elemeu- torum,  iu  tautum  quod  Plato  in  Timaeo  uon  dignatus  est  eas  vocare  animas  sed  vo- cavit  naturas.  Ulterins  autem  isti  voluut  animas  animalium  esse  iudivisibiles  et  per se  et  per  accidens,  et  ratio  est,  nam  videmus  si  aliquid  aniraal  pungatur  iu  digito pedis,  statim  sentit  puncturam  per  totum  corpus,  quod  non  potest  esse  nisi  quia  anima est  indivisibilis  cuiquam  parti  corporis  praesentis  (sic).  Si  autem  anima  esset  divisibi- lis,  quouam  modo  illa  sensatio  trausiret  tam  cito  a  calce  ad  caput?  et  si  sensatio  tiat per  spiritum,  quomodo  spiritus  tam  cito  potest  trausire  de  uno  loco  ad  alium.  cura tamen  spiritus  sit  corpus?  Aliis  uou  placet  haec  opinio;  sed  volunt  quod  auima  ani- malium  perfectorum  sit  iudivisibilis,  imperfectorum  vero  divisibilis;  quam  opiniouem insequitur  Thomas  iu  secundo  Contra  Gentiles  capite  septuagesimo  secundo  (').  Imper- fecta  vero  quae  densa  (secta)  vivunt,  perfecta  quae  densa  (secta)  uou  vivunt.  Istam opinionem  probaut,  quia  si  densantur  (secantur)  talia  animalia,  ut  auguillae,  partes densae  (sectae)  vivunt;  per  oppositum  vero  est  iu  perfectis,  quia  ipsa  habent  animam indivisibilem,  prima  vero  divisibilem  (^). Tertia  opinio  est,  quae  magis  mihi  videtur  peripatetica,  quae  tenet  quod  quaeli- bet  anima  praeter  intellectivam  est  divisibilis,  cum  sit  constituta  in  esse  per  subiectum, educta  de  potentia  eius.  Quae  opinio  magis  videtur  sensata;  et  ratio  pro  hac  opinioue est,  quia  si  sunt  formae  eductae,  prima  facie  denotare  videutur  quod  sint  exteusae  et divisibiles,  quia  debent  habere  couditiones  materiae.  Primum  autem  iuhaerens  mate- riae,  disponens  eam  pro  eductione  foimarum,  est  quautitas;  ergo  cum  omne  receptum recipiatur  secundum  conditiones  recipientis,  ipsae  formae  erunt  divisibiles  et  extensae. Pro  hoc  facit  dictum  Aristotelis  tertio  Coeli  textu  commenti  septimi  ubi  probat passioues  et  accidentia  esse  divisibilia,  ex  eo  quod  sunt  in  subiecto  divisibili ;  quod (')  Diciiur  crgo  iolum  ct  sccundum  quanlilalciii  cl  sccunduin  csscnUac  pcrfcciioncm.  Toiuiii uulcm  ct  parlcs,  sccunduin  quantitalem  dicla,  formis  non  conveniunt  nisi  pcr  accidens,  scilicet  in quantum  dividunlur  divisione  subjccti  quantikUcm  habentis;  iolum  autem  vel  pars,  secundum  per- fectionem  cssentiae,  invcnilur  in  formis  per  se.  Dc  hac  igilur  lotalitale  loquendo  quae  per  se  formis compelil,  in  qualibel  forma  apparet  quod  csl  tota  in  toto  et  tota  in  qualibel  parte  ejus.  Secus  auleni csl  de  totalitate  quae  per  accidens  atlribuilur  forinis;  sic  enim  non  possumus  dicere  quod  lola  albedo sit  in  qualibel  parle.  Si  iyitvr  est  aliqua  forma  quae  non  dividatur  divisione  subjecli,  sicut  sunt  ani- mae  animalium  perfeclorum,  non  erit  opus  disiinclione,  cuin  eis  non  competal  nisi  una  lotatitas;  sed absolute  diccndum  cst  eam  lotam  essc  in  qualibet  corporis  parle    Sancti  Thomac  Gontra  Genlilcs Lib.  II  cajj.  72.    Si  avvfrta  che  quaiido  le  citazioiii  di  san  Tommaso  non  sono  accompagnate cspressamente  dal  titolo  Gontra  Gcnlites  o  da  altio  titolo  specificato,  ma  solo  dal  i-idiiamo  a  Parti, Questioni  cd  Articoli,  si  intendono  riferite  alla  Sumnia  Teologica  dell"  Angelico. (-)  Uno  dci  passi  di  Aristotele  a  cui  si  riferisce  la  questione  qai  trattata  e  clie  giustifica  la  cor- rezione  proposta  allo  sbaglio  commesso  dairanianuense,  alle  parole  dcnsa  e  densanlur,  u.!-i ....  cuy.t^aTvov  sni  tu-j  s-jtouuv  sv  to];  5jaTS//vo^as-/oiv'  v.a:'  ya.p  «(VSvjgt/  sxaTSjS^v  xoiv  fisfu^j  sysi. xotl  ■/.i-rriai'i  t-rfi  zara  Ttiffov  capo  2  di,'l  libro  11,  paragrafo  8.  Cf.  capo  -5  del  libro  I,  ultimi  paragrafi del  De  Anima  e  Problemata,  sezione  IX,  paragrafl  I3-G5  e  67  della  edizione  Didot. si  ratio  sua  procedit  de  iiiis  accideutibus,  eadom  ratione  procedit  de  istis  formis  edu- ctis;  et  Commentator  in  primo  capite  De  substantia  orbis  in  tine,  dicit  quod  ex  eo  quod forma  est  constituta  in  esse  per  subiectum,  est  divisibilis  et  e  coutra;  sic  quod  se  mu- tuo  inferunt  divisum  et  constitutum  in  numerum  per  subiectum,  in  diversis  tamen  ge- neril)us  causarum,  quia  primura  est  a  posteriori  et  secundum  a  prijri. Item  Aristoteles  iu  octavo  Ph^^sicorum  ubi  devenit  ad  primum  motorem,  probat eum  esse  indivisibilem,  ex  eo  quod  est  abstractus  a  materia:  modo  si  auimae  plan- tanm  essent  iudivisibiles  non  valeret  suum  argumentum  ex  eo  quod  primus  motor est  indivisibilis.  Probat  quod  est  immobilis;  ergo  etsi  animae  plantarum  essent  iu- divisibiles,  essent  etiam  iramobiles.  Item  corauniter  dicitur  si  anima  esset  indivisibilis idem  moveretur  et  staret  simul. Ad  rationes  in  oppositum  potest  dici;  ad  primara  quae  est  Thomae  cum  dicitur unum  divisibile  nou  potest  inforraare  aliud  secundura  diversas  partes ;  dico  quod  illa definitio  «  anima  est  actus  etc. »  debet  intelligi  de  una  anima  totali  et  non  de  partibus animae.  Uude  sicut  doraus  est  forma  camerae  secundum  unam  partem  et  tecti  secun- dum  aliam  partem,  ita  et  anima  est  forma  nasi  secundum  unam  partera  et  pedis  se- cundura  aliam;  et  sic  de  singulis.  Ad  rationem  Alberti  dicitur  quod  licet  anima  sit divisibilis  et  materia  semper  fluat  et  refluat,  quia  tamen  a  principio  generationis  est contractum  humidnm  radicale,  quod  semper  raanet  idem  numero;  ideo  salvatur  iden- titas  numeralis.  Nou  taraen  expectes  totam  veritatem  in  generabili,  sicut  in  aeterno, nec  tantam  flexibilitatem.  sicut  in  fluvio,  sed  est  niedia  inter  illa.  Ad  argumentum  Mar- silii  «  si  pungatur  animal  »  dicitur  primo:  si  tenemus  illam  sensatlonem  fieri  per  rea- lem  tvansmutationem  spirituum,  dico:  non  demonstrat  quod  subito  fiat  illa  sensatio,  sed in  tempore  imperceptibili,  sive  modo  illi  spiritus  currant  ad  cor  tanquam  ad  princi- pium  secundum  Aristotelem,  sive  ad  cerebrum  secundum  Galenum.  Vel  potest  dici  et      CL.T^verso melius  quod  sensatio  illa  non  fit  per  realem  transmutationera,  sed  per  spiritualera,  et  hoc non  inconvenit  sicuti  et  camera  in  instanti  illuminatur.  Ad  aliud  quod  dicit  alteraopinio de  Albertistis  dico  quod  illud  est  pro  uobis;  et  cura  dicithaec  opinio  quodanimaest  indivi- sibilis.  quia  animalia  perfecta  secta  nou  vivunt:  dicitur  quod  hoc  non  concludit;  unde  dico quod  hoc  provenit  pro  tanto,  quia  in  animalibus  perfectis  est  complexio  temperata  et mensurata  respectu  aliorum  animalium;  et,  ut  utar  seraone  Aristotelis,  una  pars  de- pendot  ab  alia.  Ideo  si  dividatur  uua  pars  ab  alia,  raoritur  aniraal:  et  haec  est  ratio Aristotelis  in  quinta  particula  Probleraatum  problemate  vigesimosecundo,  ubi  quaerit proptcr  quid  corpora  maxime  perfecta  de  facili  aegrotant,  et  hoc  dicit  esse  propter  ma- ximam  et  optiraara  suara  complexionem  et  compositionera  in  partibus  quarum  una  de- pendet  ab  altera;ideo  una  laesa,  aliae  laeduntur;  sicut  in  cithara  perfecta  una  corda  laesa tota  laeditur:   non  sic  iraperfecta.  Quod  ergo  una  parte  laesa  totum  laedatur  est  ex sui  perfectione,  et  non  ex  indivisibilitate  aniraae :  quia  enim  in  talibus  animalibus  est complexio  et  compositio,.  ideo  partes  sunt  magis  unitae,  et  dependentes  ad  invicera; ideo    si  una  pars  taliura  animalium  laeditur  vel  separatur  ab  alia,  solvitur  illa  pro- portio ,   et    commensuratio  membrorum    talium  animaliura    ad   iuvicem ;    quare    to- tum  animal  moritur,  quia  vita  consistit  in  illa  proportione;   et  hoc  tamen  secundum Averroem,   quia   fides   aliter   sentit.  Quod  si   horao  in  duas  partes  divideretur,  non statira  perirct  anima  loquendo  de  ea  quae  est  educta;  cuius  signum  est  quod  manus Ch  7o  recto abscissa  palpitat,  et  vidi  capxit  sectum  in  decapitatis  palpitave;  et  multi  dicuiit  loqiii, quod  tamen  uegatur  ab  Aristotele.  Quare  autem  non  diu  \ivat  anima  diviso  coriiore  non est  ex  indivisibilitate  animae  sed  ex  sui  perfectione;  quia  liaec  anima  est  raaxime  per- fecta,  ideo  indig.^t  partibus  ad  invicem  unitis. Recitavimus  qnatuor  opiniones,  quarum  quartam  tauquam  magis  peripateticam acceptavimus,  quae  ceite  est  Commentatoris.  Uuusquisque  tamen  potest  defendere  suam opinionem,  sed  non  ut  puto  ad  meutem  Aristotelis;  sed  pro  clariori  intelligentia  liuius quaestionis  oportet  raovere  unum  dubium,  quia  iu  solntione  unius  argumenti  dictum est  quod  prima  definitio  animae  intelligitur  de  una  anima  totali  et  perfecta  non  de- pendente. Modo  lioc  est  dubium,  quia  per  ea  quae  dicta  sunt  aniraa  non  tantum  informattotnm sed  unamquamque  partem;  si  sic,  ergo  quaelibet  pars  est  animata,  ergo  anima  est  ani- mata.  Quaero  de  anima  unius  partis  vel  est  actus  corporis,  vel  nou.  Si  non,  ergo  non est  anima;  sisic,  ergo  ponitur  quod  sit  actus  corporis;  ergo  sibi  competit  defiuitio  animae quae  est  actus  corporis  physici  organici ;  quod  tamen  est  falsum,  quia  illa  pars  non est  organica  ut  aliqua  particula  carnis.  Si  ergo  sic  sit,  iila  pars  nou  habebit  animam, et  sic  anima  non  erit  e.xtensa  sed  indivisibilis.  Ad  hoc  dicitur  quod  anima  informat  totum corpus,  et  quamlibet  partem,  et  quaelibet  pars  est  animata:  et  (ad  ea)  quae  dicis  contra, quia  uon  est  actus  corporis,  dico  quod  eadem  quae  primo  informat  totiim,  secundario partem;  et  sic  luiec  pars  secundaria  est  animata  per  animam  totum  informantem.  De- Jinitio  autem  illa  habet  intelligi  de  eo  quod  primo  informat  et  non  secuudario.  Dices: ista  expositio  est  cavillosa,  neque  solvit  dubitationes.  Bene  verum  est  quod  anima  primo informat  totum,  sed  accipit  animam  quae  precise  informat  miniraum  carnis.  Quaero  de illa:  vel-est  anima  vel  non;  si  sic,  cum  anima  sit  actus  corporis  physice  organici  istud niiuiraum  esset  organicum.Multi  moderni.  quorum  caput  est  Petrus  Maiituanus,  concivis raeus,  respondent  quod  quaelibet  pars  est  animata,  et  quod  in  uuo  homine  sunt  infiniti homines,  quod  quidem  non  consonat  viribus  (sic),  et  est  contra  Aristotelem  supra  in textu  comraenti  noni  ubi  dicit:  «si  oculus  esset  animal»;  non  ergo  dieit,  quod  sit  ani- mal,  sed  loquitur  dubitative  «  si  sit  »;  et  istud  est  contra  Aristotelem  in  quinto  De  ani- Ch. 73verso  malibus,  ubi  cum  devenit  ad  hominem,  docet  eum  esse  constitutura  ex  carne  et  osso. Et  si  diceres  Aristolelera  loqui  de  uno  animali,  hoc  nihil  est.  Verum  ojwrtet  suam rationem  salvare,  quia  suraeudo  tale  minimuni  ut  est  animatum  vel  non,  dico  quod Aristoteles  numquara  diceret  tale  rhinimura  esse  animatum  in  actu ,  nec  animal  iu actu,  quia  definitiones  dantur  eorum  qnae  sunt  primo  et  per  se  et  sirapliciter  et  in actu.  Ideo  illa  definitio  debet  intelligi  de  anima  per  se  in  actu,  et  non  potentia;  quia antem  illae  partes  non  proprie  dicuutur  aiiiraatue  cura  sint  in  toto  in  potentia;  ideo illa  definitio  non  datur  de  illis.  Sed  adhuc  instant  isti,  quia  definitio  explicat  essen- tiara  definiti;  si  ergo  partibus  integralibus  animae  non  competeret  haec  definitio,  ergo iu  defiuitione  animae  poueret  «  primo  et  per  se»;  et  cum  hae  conditiones  siut  accideu- tales,  et  sic  defiuitio  auimae  esset  data  pcr  additamentum  scilicet  per  particulas  «  per se,  primo  ».  Hoc  argumento  Petrus  Mantuanus  concedit  quod  quaelibet  pars  animalis estauimai.  Sed  contra;  quia  similis  (ratio)  est  contra  eos,  nara  aninial  et  unum  animal convertuutur  quarto  Metaphysicorum;  sed  per  se  hoc  est  animal,  ergo  nnum  animal  tan- tum:  quare  iu  uno  non   ernnt  infinita  aniinalia,    ut  tu  coucedis.   Sed   quia   possent negare  quod  uuura  et  ens  couvertuntur;  ideo  dico  ad  argumentnm:  primo  quod  ad  lioc quod  aliquid  definiatur,  oportet  liabere  has  conditiones,  seilicet  «  per  se  primo»:  nou  ta- men  quod  liae  conditioues  siut  iu  quidditivo  conceptu  definibilis.  Alii  dicunt,  et  iu  idem

coinciduut,  quod  in  geueratis  in  quibus  terminus  ut  liomo  dicit  secuudo  auimam  et corpus;  si  definiatur,  semper  est  cum  connotatione,  ut  ex  illis  partibus  fiat  unum per  se  et  in  actu;  et  sic  licet  liae  conditiones  non  ponantur  in  definitione,  tamim connotantur  inesse  illi  subiecto. Utrum  potentiae  animae  distinguantur  reaUter  ab  anima. Circa  textum  trigesimum  secuudum  Pomponacius  dubitat  utrum  potentiae  ani- mae  distiuguautur  ab  auima  rcaliter.  Ista  quaestio  est  difficiiis,  et  Iiabet  nuiltas opiuiones.  In  ea  tamen  tres  principales  invenio;  prima  est  Tiiomae  in  prima  pavte,  (^ij.  74  ,ecto quaestione  septuagesima  septima  articulo  primo,  quam  imitantur  Aegidius  et  Joanncs Gandaveusis,  et  multi  alii  qui  volunt  quod  potentiae  animae  sint  de  secunda  specie  quali- latis  et  sint  reales  realiter  distiuctae  ab  esseutia  animae  ;  et  licet  de  lioc  siut  fereinflnita  argumeuta,  ego  tamen  potiora  adducam. Primura  argumentum  est  Tiiomae  in  prima  parte  quaestione  quinquagesimaquarta articulo  tertio,  ubi  quaeritur  utanu  potentii  Angeli  sit  eius  esseutia.  Argumentum est  quia  in  Deo  esse  et  essentia  snnt  idem;  in  aliis  vero  nou,  aiiter  euiui  divinae simplicitati  derogarent:  sicut  autera  esse  et  essentia  uon  sunt  idem  in  creaturis,  ita uec  essentia  et  potentia  erunt  idem.  Unde  si  essent  idem,  agerent  sine  aliquo  instru- mento,  sed  agereut  immediate  p^r  essentiam  solam,  quod  Deo  repugnat.  Et  propter  boc tenet  Tliomas  quod  esse  et  essentia,  essentia  et  poteutia  non  sunt  idera  nisi  iu  Deo. Secundum  argumentum  est:  actus  et  potentia  sunt  eiusdem  geueris;  cum  ergo actus  animae,  ut  visus,  sit  accidens;  ergo  potentia  ad  videndum  erit  accidens,  quare nou  erit  idem  quod  aniraa.

Tertiura  argumentum:  si  anima  esset  idem  quod  suae  potentiae,  tunc  anima semper  actu  operaretur;  quod  tameu  est  falsum,  quia  aliquando  ob  omni  opere  cessat. Consequentia  probatur;  sicut  enim  auimae  est  facere  esse  vivum  illud  iu  quo  est,  et quamdiu  stat  in  subiecto,  ad  eam  sequitur  esse ;  ita  si  essentia  animae  sit  sua  po- tentia  ad  eaui  semper  sequitur  operari  et  esse  in  actu. Quarta  ratio  est,  in  qua  multum  miratur  Aegidius,  quia  non  est  transire  de  extremo in  extremum  sine  medio;  es  quo  ergo  aniraa  est  substantia,  et  operatio  est  accidens, oportet  dare  aliquid  quod  nou  sit  totaliter  substantia,  nec  totaliter  accidens,  et  lioc est  potentia  animae. Quinta  ratio:  poteutia  est  de  secunda  specie  qualitatis,  qualitas  autem  realiter diflfert  a  substautia,  quia  suut  praedicaraenta  distincta;  ergo  aniraa  et  eius  potentia non  sunt  idem. Sextani  argumentum:  aniraa  est  una,  potentiae  plures;  ergo  anima  non  est  suae      ^,^^  n^  ^.^^^^ potentiae  realiter. Septimum  arguraentura  :  sequeretnr  quod  in  pede  esset  potentia  visiva,  et  sic pes  posset  videre,  quod  est  falsum.  Consequentia  probatvu-:  si  enim  anima  sit  idem quod  suae  potentiae,  cum  anima  sit  in  pede;  ergo  potentia  visiva  erit  in  pede. Octavo  et  ultirao:  quaecumque  suut  eadem  uni  tertio  sunt  eadem   inter  se  ;  si ergo  potentiae  animae  suut  idem  lealiter  qnod  auima,  erunt  idem  inter  se;  quare  potentia auditiva  erit  visiva  vel  olfactiva  erit  tactiva,  et  sic  de  aliis. Alia  est  opiuio  huic  ex  toto  contraria ,  quae  teuet  quod  potentiae  auimae  sint idom  realiter  quod  auima,  et  quod  differant  ab  anima,  et  inter  se  sola  ratione.  Cuius sententiae  fueruut  Nomiuales,  quorum  primus  est  Gregorius  in  secundo  Sententia- rum,  dispiitatione  decimasexta,  quaestione  tertia,  articulo  primo;  et  liabet  tres  rationes priucipales,  quarum  prima  est  haec  quae  videtur  efficacior:  frustra  fit  per  plura  quod fieri  potest  per  pauciora  et  aeque  bene.  Sed  omnia  salvantur,  ac  si  pouamus  eas  distingui realiter  ab  illis;  ergo.  Anterior  est  clara;  brevior  probatur,  quia  non  aliqua  ratio  neque auctoritas  est  quae  cogat  ad  hoc,  ut  patebit  in  ratione  ad  obiecta.  Secunda  ratio: si  anima  et  suae  potentiae  diffeiTent  realiter,  itaque  potentia  sit  accidens;  cum  omne accidens  sit  in  subiecto,  ergo  ista  poteutia  erit  in  anima  sicut  iu  subiecto.  Vel  ergo erit  in  ea  mediante  aliqua  potentia,  vel  non;  si  nou,  ergo  anima  poterit  es  se  sola aliquid  accidens  recipere,  quare  poterit.  recipere  actum  sine  potentia  intermedia.  Si priraum,  quaero  de  illa  potentia,  et  ita  vel  procedetur  in  iufinitum,  vel  erit  deve- nire  ad  aliquam  poteutiam  quam  auima  ex  se  sola  recipiat;  quia  anima  ex  se  sola poterit  aliquid  accidens  recipere;  quare  erit  standum  in  primo,  scilicet  quod  anima es  se  sola  possit  facere  suam  operationem;  quando  enim  debemus  resecare.  melius  est resecare  in  principio,  quam  in  fine  ex  secundo  huius  textu  commeuti  centesimi  trigesi- misexti.  Tertium  argumeutum:  raateria  prima  non  differt  a  sua  potentia;  ergo  nec auima.  Et  coufirmatur  quod  caliditas  agit  non  mediante  aliqua  potentia  intermedia; quare  videtur;  esse  dicendum  idem  de  anima,  quod  ipsa  faciat  suas  operationes  debitas sine  potentia  intermedia. Ch.  75  recto  Tertia  est  opinio  Scoti,  quae  est  raedia  inter  ista,  quae  opiaio  constat  ex  dua- bus  conditiouibus.  Prima  conditio  est,  in  qua  couvenit  cum  nominalibus,  quod  anima est  idem  realiter  cum  suis  potentiis  ;  quod  probant  quia  eorum  quae  sunt  abso- luta,  Deus  potest  creare  unum  sine  altero,  et  quorum  unum  non  sit  pars  alterius. Notamus:  dicitur  absolutum  quod  de  relativis  est  impossibile,  ut  de  patre  et  filio;  et notamus:  dicitur  «  quorum  unum  non  erit  pars  altejius  »,  quia  Deus  non  potest  causare compositum  sine  materia;  et  hoc  quia  materia  est  pars  illius:  potentia  autem  aniinae non  est  pars  animae,  aut  relativum,  sed  absolutum.  Sed  dices:  non  potest  facere  poten- tiam  sine  auima;  ergo  suut  idom  realiter;  nec  etiam  potest  creare  auimam  sine potentia;  quod  probatur,  quia  si  Deus  crearet  animam  nutritivam,  certum  est  quod nutriret,  cum  sit  nutritiva;  ergo  haberet  potentiam  nutriendi.  Itera  istae  poteutiae  sunt sicuti  propriae  passioues,  quae  non  possunt  esse  sine  subiecto  proprio.  Secunda  con- ditio  est,  in  qua  differt  a  Gregorio,  quod  potentiae  differunt  ab  anima  non  tantum ratione,  sed  ex  natura  rei;  quod  probatur,  quia  illa  quae  secluso  omni  opere  intel- lectus  habent  diversas  denominationes,  non  sunt  distincta  sola  ratione;  anima  autem et  suae  potentiae  se  habeut  hoc  modo;  ergo  suut  distincta  ex  natura  rei.  Anterior  est; manifesta,  et  brevior  probatur,  quia  secluso  opere  intellectus,  adhuc  anima  est  una potentiae  autem  plures.  Item  anima  est  causa  suarum  operationum;  ergo  simt  distin- ctae  plusquam  ratione.  Sed  dices  quae  harura  opiuiouum  est  raelior?  Dico  quod  quae- libet  potest  sustineri,  et  de  hoc  ego  uescio  determinatara  veritatem,  multa  euim  sunt problemata    quae  omniuo    non    habent  de  se  veritatem   determiuatara,  ut   numerus stellarum;  qiiis  enim  scit  uu  stellae  siut  pares  au  impares?  similiter  et  graua  arenae. Dico  tameu  quod  opiuio  Thomae  mihi  magis  placet,  est  euim  magis  consoDa  dictis  Ari- stotelis;  fuit  etiam  sententia  Platonis  et  Dionisii.  Sustinendo  ergo  eam  dicitur  ad  ratioues      Ch.  75  vevso Nominalium  voleutium  poteutias  animae  diiferre  ab  anima  sola  ratione:  ex  eo  euim  quod anima  potest  videre,  dicitur  potentia  visiva,  et  ex  quo  potest  olfacere,  dicitur  olfactiva; et  sic  de  aliis  dicatur.  Ad  primum  cum  dicitm;  frustra  etc,  dicitur  concedendo  ante- riorem;  sed  negatur  minor,  quod  aeque  bene  potest  salvare.  Et  cum  dicitur:  patebit  etc. dico  quod  argumeuta  quae  fiuut  pro  Thoma  simt  magis  probabilia;  et  multum  ad  hoc cogunt  ut  patebit  iufra. Ad  secundum,  cum  dicitur:  ista  potentia  vel  recipitur  iu  anima  mediate  vel  nou; dico  quod  accidens  est  anima,  sed  non  proprie ;  sunt  enim  in  composito,  nec  sunt  iu coi-pore  solo;  istae  euim  poteutiae  non  producuntur  ab  anima  secundum  Thomam,  sed producuntur  a  producente  animam  qui  est  Deus;  et  ipse  dicit  hoc  modo  iu  prima  parte, quaestione  sexagesima  tertia,  articulo  quinquagesimo,  ubi  vult  quod  diabolus  in  primo iustanti  suae  creationis  non  potuit  peccare.  Quidquid  habebat,  a  Deo  habebat  et  sic peccatum  a  Deo  esset;  sicut  quando  ex  ligno  generatur  ignis,  tam  forma  ignis,  quam motus  eius  sursum  est  a  generante.  Et  cum  dicitur:  vel  recipitur  iu  auima  uiediante aliqua  altera  potentia  vcl  non :  dico  quod  secus  est  in  principio  et  iu  principiato, quia  priucipia  uou  suut  talia  proprie  sicut  principiata,  sicut  prima  principia  quae suut  causa  quod  alia  sciautur;  ipsa  tameu  uon  sunt  proprie  scita,  et  relatio  quae  est causa  referendi  alia  non  refertur  alia  relatione  quam  se  ipsa;  et  quantitas  quae  est causa  extensionis  aliorum  per  semet  extensa  est.  Ita  de  auima  dicemus,  quod  recipit actura  mediante  potentia,  sicut  videre  mediante  poteutia  visiva,  immediate  tamen  et per  se  sola  recipit  poteutiam  visivam,  quae  potentia  habet  se  sicut  priucipium  ad videudum.  Altera  responsio  est.  quod  sicut  est  de  potentia  et  de  actu,  quia  actus  est quid  extrinsecum  ab  ipsa  aniraa,  potentia  vero  est  quid  medium;  uatura  autem  nou transit  de  extremo  ad  extremura  sine  medio.  Ad  tertiura,  quod  potentia  raateriae  sit idera  quod  materia;  multi  teneut  quod  potentia  materiae  differat  a  materia;  sed  puto hoc  esse  falsum.  Quare  dico  uegando  consequentiam  quia  materia  recipit  formam  sub-  ^],  ^q  ,.^^4^ stantialem,  et  cum  actus  et  potentia  sint  in  eodem  geuere,  receptum  autem  sit  sub- stantia,  potentia  quoque  ad  illud  recipiendum  erit  substantia.  Et  cum  dicitur:  potentia

caliditatis,  per  quam  agit  uon  diifert  a  caliditate,  ergo  iu  simili  uec  potentiae  ani- mae  differunt  ab  anima;  dico  quod,  sicut  dicitur  in  secimdo  Coeli  textu  coramenti  sexa- gesimiquarti  et  sexagesimi  sexti,  aliqua  sunt  ita  in  fine  naturae  ,  quae  propter  sui imperfectiouera  consequuutur  aliquam  iraperfectiouem  paucis  motibus;  aliqua  vero  suut quae  et  propter  sui  maguam  perfectionera  consequuutur  perfectam  bouitatem  paucis motibus.  Alia  vero  suut,  quae  babent  perfectam  bonitatem  siue  aliqua  operatione  ut Deus.  His  habitis  dico  quod  si  qualitates  primae  agunt  absque  aliqua  potentia  inter- media,  hoc  est  propter  sui  maximam  imperfectionem;  uude  forma  prima,  quae  est imperfectissima  imraediate  potest  formas  substautiales  recipere;  auima  autem  cum  sit, pars  perfectissima  omnium  istarum  formarum  inferiorura,  non  potest  agere  absque potentiis  intermediis. Ad  arguraenta  Scoti,  ad  primum  quod  eorum   quae  sunt  absoluta  Deus  potest facere  unum  sine  altero,  dantur  duae  responsiones ;   prima   negaudo   anteriorem,  et Ch.76  verso multi  eam  negant  quum  etsi  niateria  et  forma  sint  absolutae,  tamen  Dens  non  po- test  uuum  siue  altero  facere.  Et  Tliomas  et  Aegidius  teuent  oppositiim;  nec  forte  posset producere  formam  asini  sine  sua  materia,  ex  eo  quod  ad  invicem  dependent.  Nec aliquam  aliam  formam  materialem,  nec  a  Tiionia  oppositum  invenio;  nec  istam  pro- bavit  Scotus.  Alia  est  responsio,  quam  dabat  praeceptor  mens  concedendo  Deum posse  creare  unam  animam  sine  poteutiis;  et  cum  dicitur:  ista  vel  posset  nutrire vel  non;  dico  quod  posset  nutrire  non  in  potentia  propinqua  sed  remota;  sicut  si  in materia  non  esset  quantitas,  materia  posset  recipere  albedinem  non  in  potentia  pro- pinqua,  quia  albedo  recipitur  in  materia  mediante  superticie;  sed  in  potentia  remota posset  albedineni  reeipere. Quum  vero  dicitur  potentias  distingui  ex  natura  rei  ab  ipsa  anima,  diceret  Tiiomas negando  illara  distinctionem,  quum  omnis  differentia  vel  est  realis  vel  rationis,  nulla vero  ex  natura  rei;  sed  quum  argumenta  Tliomae  non  conclndunt,  ad  ea  volo  respon- dere.  Ad  pi-imum,  quod  si  anima  ageret  sine  aliquibus  potentiis  intermediis  esset  ita perfecta  sicut  Deus:  istud  argumentum  est  probal)ile  sed  non  concludit;  ideo  dico cjuod  hoc  modo  nou  sequitur:  ad  probationem  dico  quod  propter  hoc  non  sequitur  esse ita  perfecla  sicut  Deus  quae  a  Deo  dependent  et  sunt  magis  potentialia  ipso.*  sunt  enim composita  ex  perfecto  et  imperfecfco,  quorum  unum  attestalur  forma,  alterum  materia. Deus  autem  a  nullo  dependet  et  est  purus  actus.  Ad  aliud,  actus  et  potentia  sunt in  eodem  genere,  plures  dicuntur  ad  hoc  responsiones;  ad  Nominales  qui  tenent  sub- stantiam  et  accidens  esse  idem  realiter,  et  quod  qualitas,  excepta  tertia  specie,  sit  idem reaiiter,  sed  non  in  Deo;  ad  hoc  dico  quod  anterior  propositio  intelligitur  de  potentia obiectiva,  unde  potentia  caliditatis  et  actu  caliditas  sunt  in  eodem  genere,  non  autem intelligitur  de  potentia  subiectiva  per  quam  aliquid  aecidens  in  aliquo  reperitur subiecto,  et  ista  est  responsio  Scoti.  Ad  tertium  quaudo  dicitur,  si  essent  idem  ergo anima  semper  actu  operaretur,  cum  ita  se  habeat  ad  cperari  sicut  anima  ad  esse:  dico quod  licet  potentiae  siut  ideni  realiter  cum  anima,  differunt  tamen  ratione,  et  propter hoc  anima  non  semper  actu  operatur  sicut  in  Deo  potentia  creandi  et  essentia  sunt idem  quod  Deus,  et  tamen  non  semper  actu  creat  et  hoc  quia  istae  poteutiae  diffe- runt  ratione  et  plus  requiritur  ad  hoc  quod  anima  operetur  quam  quod  det  esse,  si enim  debet  exire  in  operationem  ipsa  anima,  requiritur  obiectum  extrinsecum;  non autem  ad  hoc  quod  det  esse  requiritur  aliquid  extrinsecum,  quia  dat  esse  materiae quaudo  in  ipsa  est,  et  ideo  non  semper  actu  operatur  sicut  dat  esse,  quia  aliud  est in  ratione  essentiae,  aliud  iu  ratione  poteutiae.  Ad  quartum  non  est  transitus,  dico quod  non  est  necesse,  si  sit  transitus  de  uno  extremo  ad  alterum,  quod  fiat  per  omnia media,  et  sieut  qualitates  primae  agunt  immediate,  ita  et  anima  potest  agere  im- mediate. Ad  alterum,  quod  potentiae  sunt  de   secunda  specie   qualitatis,  dico    secundum Scotum  quod  istae  potentiae  ex  quo  idem  sunt  realiter  quod  anima,  quod  erunt   in eodem  praedicameuto  in  quo  est  anima. Ch.  77  recto  Aliter  dicimt  Nominales  quod  aliquid    accidens    realiter  est  substantia  et  tunc anima,  ut  est  potens,  erit  in  secunda  compositione  qualitatis;  sed  istae  responsiones non  videntur  multum  valere,  ut  aliquod  accidens  sit  substantia,  et  ideo  dixi  opinionem Tiiomae  magis  verara  apparere. Ad  ultimum  quod  uua  est  anima,  et  multae  potentiae:  dicitur  quod  potentia dicit  duo:  subiectum  et  terminum;  ratione  termiui  sunt  plures  poteutiae,  sicut  poten- tia  visiva  est  alia  ab  auditiva,  ratione  coloris  et  soni,  respectu  autem  animae  et  subiecti sui  sunt  idem,  sicut  in  deo  iusiitia  et  misericordia  realiter  sunt  idem,  in  ratione  tamen termini  sunt  diversa.  Ad  alterum  quod  potentia  visiva  esset  in  pede,  dico  quod  in  pede est  potentia  visiva,  in  potentia  remota,  ex  eo  quod  anima  non  videt  nisi  mediante  or- gano  debito  quod  est  oculus.  TJltra  enim  animam,  ad  sensationem  causandam  requiritur debitum  corpus  quod  habeat  adiuvare  animam  in  tali  sensatione  ferenda;  et  si  dicitur: cum  potentia  visiva  sit  in  pede  in  potentia,  ergo  aliquaudo  reducitur  ad  actum  et aliquando  pes  videre  poterit :  dico  quod  non  inconvenit  aliquara  potentiam  remotam numquam  reduci  ad  actum.  Ad  ultimum  quod  istae  potentiae  essent  idem  inter  se. dico  quod  sunt  idem  in  potentia  remota,  nou  propinqua. Quomodo  potentiae  ab  anima  fluant. Viso  hoc  restat  videre  quomodo  et  quo  ordine  potentiae  animae  fluant  ab  aniroa, et  quomodo  sit  possibile  tot  potentias  fluere  ab  essentia  animae;  cum  tameu  sit  communis regula  quod  ab  uno  non  provenit  nisi  unum.  Thomas  ibi  in  quaestioue  sexta,  arti- culo  quarto  et  septimo,  dicit  quod  duplex  est  ordo,  scilicet  perfectionis,  et  originis. Secundum  primum  ordinem.potentiae  intellectivae  sunt  priores  sensitivis,  sensitivae  nutii- tivis:  secundum  vero  secundum  ordiuem,  e  contra  se  habent,  quod  enim  est  in  perfectione nobilius,  in  via  generationis  est  posterius,  et  sic  potentiae  nutritivae  erunt  priores sensilivis,  et  sensitivae  intellectivis,  quae  sunt  intellectus  et  voluntas.  Sed  quaenam sit  nobilior  potentia  an  inteliectus  vel  voluntas.  Moderni  theologi  ut  Aegidius  et  Scotus tenent  quod  voluntas  sit  nobilior,  et  hoc  quia  magis  unimur  Deo  per  actum  volun- tatis,  qui  est  amare,  quam  per  intelligere,  quod  est  actus  intellectus;  secundum  tamen Aristotelem  et  Platonem  et  theologos  antiquiores,  et  etiam  secundum  Thomam  intel- lectus  est  nobilior  voluntate.  Habetis  ergo  quomodo  ab  anima  quae  est  una,  possunt plura  provenire  ordine  qnodam,  prius  enim  via  originis  producit  potentias  nutritivas, postea  sensitivas,  demum  intellectivas. Post  textum  quinquagesimum,  Pomponacius  movet  miilta  dubia;  primum  quia  in  ch.79recto vigesimosecundo  et  trigesimotettio  textus,  dictum  est  quod  operationes  suut  notiores  poten- tiis,  et  obiecta  operationibus:  idem  vult  in  «  De  somno  et  vigilia  »;  ideo  quaeritur  utrum hoc  sit  veiTim,  utrum  scilicet  potentiae  distinguantur  per  actus  et  actus  per  obiecta.  Nec sermo  noster  est  de  potentia  obiectiva  aut  respectiva,  sed  de  potentia  quae  est  de secunda  specie  qualitatis;  nec  est  sermo  de  distinctione  essentiali,  sed  de  extrinseca,  hoc enim  non  est  possibile  nec  imaginabile,  quia  actus  non  snnt  intrinseci  potentiis, nec  obiecta  actibus.  Sed  dices:  propter  quid  differant  intrinsece?  dico  quod  differunt per  suas  ditferentias;  et  quia  istae  difterentiae  non  sunt  notae,  ideo  Aristoteles  non facit  mentiouem  de  hoc,  et  quia  hoc  est  clarnm,  quia  omnia  difteruut  per  suas  ditfe- entias;  sermo  ergo  non  est  de  differentia  intrinseca.  In  hac  quaestione  ponam  quatuor articulos;  priraus  erit  de  distinctione  numerali,  secuudus  de  distinctione  specifica, tertius  de  generica;  in  quarto  dicetur  quid  senserit  Aristotiles  de  omnibus  his  articulis et  alii  de  quarto  tantum  loquuntur. Utrum  unitas  obiecli  secundum  numerum  arguat  operationem  unam  secundum numerum,  et  e  contra. Quaei-itiir  ergo  de  primo  articulo  utrum  unitas  obiecti  secuudum  uumerum argiiat  operationem  unam  secuudum  numerum,  et  e  contra.  Si  ita  dicatur  de  uiiitate operationum  respectu  potentiarnm,  de  hoc  patet  quod  non  valet:  si  est  unum  obiectum numero,  ergo  una  operatio  nnmero;  quia  ego  sum  unum  obiectum,  quem  vos  omnes videtis,  et  tamen  multae  sunt  visioues,  quia  quot  sunt  bomiues,tot  sunt  visiones.  Sed quid  dices  respectu  unius  obiecti  et  uuius  potentiae?  adhuc  non  valet,  quia  nunc  Socrates videt  hauc  albedinem,  et  prius  iufinities  vidit;  iu  hoc  casu  est  idem  obiectum,  eadem potentia,  uon  tameu  eadem  operatio  numero;  et  hoc  est  quod  dicitur  in  quiutoPhysicorum quod  diversorum  motuum  stat  quod  sit  idem  terminus  uumero;  et  ita  de  hoc  dicatur,  quia licet  terminus,  scilicet  obiectum  et  potentia  sint  una  numero,  non  tamen  operatio  est  una numero  et  unitate  numeraii  obiecti  et  potentiae  sit  uua  operatio  numero.  Dico  quod  stat Cl).79verso  operationem  non  esse  unam  uumero,  staute  uuitate  numerali  omuium  istorura;  nam sit  ita  quod  uua  et  eadem  res  sit  volita  et  intellecta  a  me;  nam  uua  pulchra  puella siraul  et  eodem  instanti  potest  esse  intellecta  a  me,  non  tamen  amata  et  desiderata, quia  ego  non  vellem  eam,  et  tunc  patet  quod  sunt  diversae  operationes,  et  tamen  est idem  obiectum;  sed  hoc  est  quia  non  est  idem  obiectum  forraale,  sed  bene  materiale, Obiectum  re  formale  intellectus  est  Eus,  et  verum  obiectum  voluntatis  est  Bonum, niliil  euim  appetitur  uisi  sub  ratione  boni  contra  Scotum  ;  quod  si  sic,  semper  ex unitate  formali  subiecti  licet  inferre  unitatem  operationis  stantibus  aliis  conditionibus, sicut  mihi  videtur.  Utrum  autem  e  contra  valeat:  est  una  operatio  numero,  ergo  unum obiectum  numero;  et  videtur  quod  sie,  ut  vult  Aristoteles  iu  quiuto  Physicorum,  quando tractat  de  unitate  motus.  Unde  plura  requiruutur  ut  ex  uuitate  obiecti  inferatur  uuitas operationis,  quam  e  contra;  eoque  una  operatio  non  potest  habere  nisi  unum  obiectum, sicut  unus  motus  unum  terminum.  Unde  in  quinto  Physicorum  dicit  Aristoteles  quod uuius  motus  est  tantum  unus  termiuus.  Sed  uumquid,  si  siut  duo  obiecta  numero  distincta, sint  duae  operationes  numero  distinctae?  Ex  una  parte  videtur  quod  sic,  quia  si  duae  sunt albedines  numero  differentes,  certum  est  quod  sunt  duae  visiones  numero  differentes; si  enim  visio,  ut  multi  tenent,  est  idem  quod  species  visibilis,  cum  duae  sint  species albedinis,  duae  quoque  erunt  visiones  numero  distintae.  Si  vero  dicas  quod  species visibilis  non  sit  idem  quod  visio,  sed  visio  causatur  a  specie  visibili,  tunc  sunt  duae causae;  ergo  duae  operationes.  Sed  iu  oppositum  videtur  quod  ex  diversitate  obiecto- rum  non  liceat  iuferre  diversitatem  poteutiarum,  quia  vos  estis  plura  obiecta  numero distincta,  et  tamen  uno  intuitu  video  vos.  Etiara  et  per  boc  est  ratio,  quia  videtur, ut  dicitur  iu  quarto  Topicorum,  quod  qui  imum  non  intelligit  nihil  intelligit;  et  con- firmatur  a  Thoma,  quia  una  et    eadem  cera  non  potest   simul  informari  a  pluribus Ch.  SOiecto  figuris,  ut  triangulari  et  rotunda  simul ;  ergo  nec  visio  potest  plura  videre  nec aliqua  alia  potentia.  In  hoc  Scotus  et  Thomas  sunt  oppositi;  vult  enim  Seotus  quod una  poteutia  possit  simul  habere  plures  operationes;  Thomas  vero  vult  quod  hoc  non sit  possibile,  et  ideo  de  hoc  difficile  est  inquirere  et  bene  determinare.  Videtur  forte quod  ambo  beue  dicant,  nec  est  difterentia  in  se,  sed  in  verbis  tantum ;  cum  enim dicit  Scotus:  sunt    plura  obiecta  visa,    ergo    plures  visiones;   dico   quod  est  unum obiectum  primo  visum  actu,  et  sunt  plura  ia  potentia;  sicut  si  viJeam  domum,  tota domus  est  unura  obiectum  piimo  visum  in  actu;  partes  vero  visae  sunt  in  potentia, et  sicut  obiectum  est  uuum  actu,  ita  visio  est  una  in  actu.  Unde  si  audiamus  barmouiam, in  harmonia  est  grave  et  acutum,  et  tamen  tota  barmonia  est  unum  primo  auditun  in  actu, pluresinpotentia,  sicut  lapides  in  domo;  et  ita  ego  coucilio  Scotum  et  Thomam,  quia quando  Scotus  dicit  quod  sunt  plures  operationes,  si  plura  sunt  obiecta  ut  de  duabus albedinibus;  dico  quod  sunt  duo  obiecta  in  potentia,  et  aggregatum  est  uuum  obiectum numero  in  actu;  et  ita  si  sunt  plura  obiecta  totalia  secuudum  actum,  sunt  plures operationes  actu;  et  si  est  uuum  obiectum  totale  in  actu,  uti  de  tota  domo,  est  etiam una  operatio. Restat  modo  videre  de  operatione  et  potentia;  et  primo  utrum  valeat  «sunt  plures operationes  numero,  ergo  potentiae  numero».  Hoc  modo  clarum  est  quod  non  videtur valere,  nec  valet  quia  eadem  poteutia  est  visiva  omnium  colorum,  quae  potegt  habere diversas  operationes  numero  distinctas,  successive  tamen;  nec  e  contra  valet :  est  una potentia,  ergo  uua  operatio  numero:  patet  hoc  de  his  quae  sunt  ab  una  potentia  in diversis  temporibus.  Numquid  vero  valeat:  si  sint  duae  operationes  numero  differentes in  eodem  tempore,  sint  etiam  diversae  potentiae?  Respondeo  quod  nonvaletargumentum; potest  enim  una  operatio  vel  potentia  simul  habere  duas  operationes.  De  activis hoc  est  clarum.  idem  enim  sol  simul  calefacit  me  et  te;  et  istae  operatioues  sunt distinctae  quia  istae  calefactiones  sunt  in  me  et  te;  motus  enim  est  in  moto;  in  pas- sivis  esset  forte  hoc  modo  etiam  verum  saltem  in  actione  spirituali  ut   dicit  Scotus. Utrum  ea-  unitate  specifica  obiecti  liceat  inferre  unitatem  specificam  actus.  q^  80 ve- Secundus  articulus  est:  utrum  ex  unitate  specifica  obiecti  liceat  inferre  unitatem specificam  actus;  et  ex  diversitate  specifica  obiecti  liceat  inferre  diversitatem  actus specificam.  Eodem  modo  quaeritur  de  operationibus;  et  primo  videndum  est  de  obiecto et  operatione.  Utrum,  si  obiectum  sit  unum  specie,  et  operatio  sit  una  specie.  Primo in  passivis  hoc  non  videtur  verum;  nam  potentia  visiva  canis  differt  specie  a  potentia visiva  hominis,  et  tamen  obiectum  quod  est  color  est  unum  specie.  Deinde  in  activis dictant  hoc  modo:  si  enim  homo  comedat  carnes  vitulinas  et  etiam  canis,  obiectum est  rmum  specie,  scilicet  caro  vituli;  et  taraen  poteutia  uon  est  eadem  simpliciter. Sed  forte  dices  ad  hoc,  quod  istud  obiectum  non  est  idem  formaliter,  sed  solum  mate- rialiter;  et  non  propinquum  obiectum,  sed  remotum.  Sed  esto  hoc;  ego  quaero,  si  homo ab  homine  et  a  cane  videatur,  utrum  hae  visiones  sint  idem,  cum  obiectum  sit  idem specie,  imo  idem  numero.  Multi  tenent  quod  sint  distinctae  specie,  sicut  istae  poten- tiae,  ut  est  Thomas,  sicut  etsi  duae  intelligentiae  intelligant  Deum,  istae  duae  intelli- gentiae  differunt,  et  tamen  obiectum  est  unum.  Alii  tenent,  ut  ApoUinaris,  quod istae  potentiae  in  cane  et  in  homine  sunt  eiusdem  speciei,  de  quo  infra  dicam. Diceret  ergo  aliquis,  secundum  primam  opinionem,  quod  valeat:  hoc  obiectum  est unum  spccie,  ergo  operatio  est  una  specie,  stando  in  eodem  homine,  non  in  eodem  ani- mali;  sed  hoc  non  videtur  verum  quod  sit  ita:  in  eodem  tempore  oculus  videret  o, et  sensus,  et  phantasia,  et  cogitativa,  et  intellectiva  potentia.  Obiectum  est  unum  specie, et  unus  est  homo;  et  tamen  istae  operationes  difterunt  specie,  Quis  diceret  has  oranes operatioues  sensus  scilicet  et  intellectus  esse  easdem  specie?  et  ideo  videtur  mihi  ad volenclura  lioc  concludere,  opus  esse  dicere  quod  si  obieclum  est  formaliter  uinuu  specie respectu  unius  hominis  et  eiusdem  potentiae,  quod  operatio  sit  vina  specie  ;  et  hoc Ch.Slrecto  clanim  est  uniFersaliter  quod  si  openitio  est  uua  specie,  etiam  obiectum  est  unum speeie:  quia  imus  motus  est  ad  unum  termiuum  tantum.  Utmra  autem  ex  pluralitate obiecti  secundum  speciera  arguatur  pluralitas  operationis  secundum  speciem,  milii videtur  dicendum  quod  sic. Utrum  sensus  sit  activus. Circa  textum  sexagesimumquintura  dubitat  Pomponacius  primo  utrum  sensus  sit activus  vel  passivus.  Ad  quam  (quaestionem?)  dico  quod  est  passivus;  et  ratio  est  quia  omne quod  de  novo  recipit  denominationem  intrinsecam  et  absolutara  trausmutatur;  sed  sensus est  lioc  modo;  ergo.  Auteiior  patet,  quia  denominatio  fit  ab  intrinseco;  quia  si  esset  ab extrinseco  non  esset  transmutatio  in  recipiente,  sicut  si  ex  paupere  fiam  dives.  Et  dico absoluta,  quia  relativus  potest  advenire  alicui  absque  aliqua  transmutatione  facta  iu eo;  sicut  si  aliquis  fiat  pater:  quando  ergo  erit  transmutatio  absoiute  et  ab  intrinseco,

erit  trasmutatio  in  subiecto  iu  quo  est;  quod  si  in  illo  erit  transrautatio,  talis  virtus erit  passiva.  Breviter  etiam  probatur,  quia  sensus  est  de  novo  sentiens,  et  similiter  sen- satio  est  absoluta,  et  est  ab  intrinseco,  quum  sensatio  est  iramanens,  ex  uono  Meta- physicorum.  Non  tamen  negamus  sensus  esse  activos;  unus  enim  agit  in  alterum,  ut exterior  in  interiorem;  sed  sermo  noster  est  utrum  ad  sensationem  concurrat  active. Nec  etiam  loquimur  de  oculo  mulieris  menstrualae,  ille  enim  agit  in  speculnra  infi- ciendo  illud:  sed  hoc  non  est  ratione  visionis,  sed  quia  vapores  exeunt  ab  oculo,  qui inficiunt  speculum;  sed  quaestio  est  utrura  in  sentiendo  patiatur  vel  agatur,   et  nos diximus  quod  sie,  ratione  dicta;  et  sic  patet  sensum  esse  virtutem  passivam.  Viden- dum  est  modo    quid  recipiant  sensus,  ut  puta  oculus  aut  auris.  Peripatetici  antiqui dicunt  quod  recipit  speciera  sensibilera,  quae  est  repraesentativaobiecti,  de  qua  infra dicit  Aristoteles  quod  sensus  est  susceptivus  specierura  sine  materia;  et  in  «De  sommo ct  vigilia  »  dicit  quod  a  sensibilibus  in  sensu  relinqiiuntur  quaedam  imagines  et  simu- Cli.84recto      lacra    rerum ;  sed    istae    compositiones   non  habent  esse  cura  materia,   sciiicet  cum calido  et  frigido.  Verum  quidam  pharmacopolae  et  pigmeutarii  sunt  in  oppositum,  et dixerunt    contra   Aristotelem  quod  sensus  nihil  recipit.   Aliqui    dixerunt  quod  bene recipit  species  sensibiles,  sed  recipit  istas  (juxta?)   naturas  rerum.  Quae  opinio  non est  intelligibilis. Viso  quod  sensus  recipiat  speciem  seusibilera,  videndum  est  modo  quid  sit  illud quod  producit  speciem  sensibilem,  et  brevi  dicendum  est  quod  obiecta  sunt,  quae producunt  species  sensibiles,  et  hoc  dixit  in  textu  commenti  quinquagesiminoni  et  sexa- gesimi  quod  sensus  reducitur  ad  actum  a  seusibilibus  quae  suut  ad  extra;  sed  tunc  est dubitatio,  quae  est  mota  ab  Averroe  in  commento  sexagesimo,  quomodo  est  possibile ut  sensibile  ad  extra,  quod  habet  esse  in  materia,  producat  speciem  sensibilem,  quae est  perfectior  obiecto.  Cum  tamen  nihil  producat  aliquid  perfectius  se,  licet  et  Joannes extorqueat  illam  auctoritatem,  quod  Averroes  movet  illud  dubium  per  sensationera, tamen  rei  vevitas  est  quod  illara  dubitationemraovet  pro  specie  sensibili.  De  hoc  suut diversi  raodi  dicendi.  Aliqui  dixerunt  propter  dictum  Averrois,  quod  quum  obiectum, iit  puta  color,  producit  speciem  sensibilem,  quod  producit  in  virtute  unius  intel- ligentiae  appropriatae  ad  hoc,  quae  ducit  de  potentia  sensibilibus  actu  sensibilia; sicut  ponitur  etiam  de  intellectu.  quara  intelligentiam  aliqiii  dixerunt  esse  Deum, qui  est  idem  quod  intellectus  agens,  et  pro  quanto  facit  de  potentia  intelligentis  actu intelligenda,  dicitur  intellectus  agens;  pro  quanlo  vero  facit  de  potentia  sensibilis  actu sensibilia,  dicitur  sensus  agens. Aliqui  dixeruut  quod  bene  intellectus  agens  est  Deus,  sed  sensus  agens  est  intel- ligentia  morens  orbem  lunae.  et  hoc  quum  sensatio  est  imperfeetior  intellectione,  ideo eliam  requirit  agens  minus  nobile. Alii  dixerimt  quod  est  una  intelligentia  assistens  animalibus,  ut  anima,  siciit  intel- lectus  in  bovera.  Sed  isti  errant,  si  enim  intellignnt  quod  ista  intelligentia  immediatR  Cli.stverso concumt  ad  sensationem,  errant  in  via  Aristotelis  qni  tenet  nullam  intelligentiam agere.  Si  vero  intelligant  mediate.  non  est  ad  propositum.  Aliqui  tenuerunt  quod  sit una  virtus  quae  sit  in  organo,  et  per  illud  organum  agat  producendo  speciem.  per organum  vero  recipiat  speciem  ;  sed  hoc  non  videtur  verum,  quia  ego  quaero,  quae sit  ista  actio.  Albertus  videretur  tenere  qund  omnis  forma,  ut  forma  est,  agit  spiri- tualiter;  ut  vero  in  materia,  realiter  agit. Quae  opinio  bene  intellecta  habet  veritatem  quum,  ego  puto,  species  sensibilis alteret  mediura  et  agat  in  oculum.  Sed  tunc  est  dubitatio  quum  res  imperfecta  pro-ducit  rem  perfectiorem  se ;  Thomis  et  Aegidius  dicunt  quod  in  virfute  superiorum agunt  spiritualiter,  ut  vero  sunt  entia  realia  agunt  realiter.  Non  tamen  nego  quod  in virtute  corporum  caelestiura  agant  actione  reali,  sed  hoc  non  est  ita  appropriate  in  ' rcali  ut  in  spirituali.  Quare  nnn  est  mirandum  obiectum  producere  species  in  virtute superiorum,  et  hoc  consonat  dictis  Aristotelis  liic  et  in  quinto  De  animalibus,  ubi  dicit istas  forraas  produci  ab  elementis  iu  virtute  superiorum;  quod  si  ita  est  in  prima eorum  perfectione,  ita  et  in  ultiraa;  et  si  replicatur:  pariter  non  dabitur  intellectus agens,  quum  ego  dicam  obiectum  in  virtute  superiorum  producere  species  intelligi- biles;  respondeo  quod  ex  perfectione  hominis  est  ut  activiun  sit  coniuuctum  passivo; unde  elementa  quae  sunt  multa  imperfecta  non  habent  activum  sui  motus  coniunctum cum  passivo,  qualiter  estin  animalibus'quae  perfectiora  sunt,  et  sic  patet  totum  illud quod  dicis  Averroes  in  illo  commento. Utrum  species  sensibilis  et  sensatio  sinl  idem  reaHter.  ^  Ch.85recto Altera  dubitatio  est,  quia  dictum  est  quod  obiectum  in  virtute  superiorum  pro- ducit  speciem.  Quaeritur  modo  utrum  ad  talem  sensationem  requiratur  aliquid  alte- rum  praeter  organum  et  speciem;  et  hoc  est  quaerere  uti-um  species  sensibilis  et  sen- satio  sint  idem  realiter.  Videtur  primo  quod  non :  quia  sicut  est  in  intellectu,  ita est  in  sensu;  sed  ad  creandam  intellectionem  in  intellectu  requiritur  aliquid  alterum praeter  intellectum  et  speciem  intelligibilem;  ergo  ita  est  in  sensu.  Anterior  patet  per convenientem  similitudinem:  brevior  probabitur:  quia  in  iutellectu  aliquando  sunt species,  et  tamen  nou  est  intellectio.  Item  aliquando  in  sensu  est  species  sensibilis. non  tamen  tunc  sentimus:  aliquando  enim  delata  sub  oculis  uon  videmus,  ut  dicitur in  De  sensu  et  sensato,  nec  tamen  est  credendum  tunc  speciem  non  esse  in  seusu, quum  istae  species  agunt  mere   materialiter.    Item    tertio   apparet    hoc  ex   sententia Aiititotblis  iu  secuudo  luiius',  textu  commeiiti  trigesimiseptimi,  ubi  dicit  quod  anima  est causa  effectiva  omnium  operationum,  quae  suat  in  corpore:  modo  si  sensus  ('),  et  species essent  per  se  sutficientes  causae  (seusatiouis?)  tunc  auima  non  esset  effectivaomnium suariim  operatiorum.  Item  ex  nouo  Metaphysicorum  intellectio  et  sensatio  sunt  actioues immauentes;  cum  autem  actio  immaneus  sit  quae  mauet  in  agente,  tunc  sensus  erit causa  activa  sensationis,  cum  etiam  concuvrat  passive.  Item  et  est  quintum  argumen- tum  quod  sumitur  a  Joanne,  in  quo  multum  insistit,  quia  si  solae  species  cum  sensu esseut  sufBcientes  causae  seusationis,  tunc  sensibile  esset  perfectius  seusu:  consequens est  falsum  ut  patet;  ergo.  Falsitas  consequentis  probatur;  quia,  ut  dicit  Aristoteles  in quinto  De  animalibus,  quod  sentit  est  perfectius  eo  quod  uon  seutit.  Consequentia  pro- batur  quia  illud  est  perfectius  cuius  perfectissima  operatio  est  nobiliw-  iievfectissima operatioue  alterius;  si  ergo  sensus  coucurrit  passive  ad  sensationem  creandam,  et  obie- Ch.  85verso  ctum  active,  quum  sit  nobilius  concurrere  active,  quam  passive,  tunc  sensibile  erit perfectius.  In  oppositum  arguitur:  « frustra  fit  per  plura  etc. »  sed  absque  lioc  quod  pona- mus  aliquid  alterum  praeter  speciem  sensibilem  et  sensum,  possumus  omnia  salvare; ergo.  Anterior  est  per  se  nota,  brevior  patebit  iu  solveudo  rationes  in  oppositum  factas. Item  dicit  Aristoteles  iu  textu  commenti  quinquagesimiuoni  et  sexagesimi  buius,  quod sensibile  reducit  sensum  de  potentia  ad  actum.  Item  hic  et  ubique,  et  in  De  sensu et  sensato  dicit  Aristoteles  sensum  esse  virtutem  passivam.  Item  dicit  Averroes  in commeuto  sexagesimosecundo,quod  sensibile  reducit  seusum  ad  postremamperfectionem, et  dicit  quod  si  (sensus?)  producereut  colorem  realem,  uon  esset  comprehensic;  quare credit  ibi  quod  species  sensibilis  et  sensatio  sint  idem  realiter. Eadem  est  seuteutia  Thomae  iu  secuudo  Imius  super  textum  commeuti  centesimi quadragesimiseptimi,  ubi  dicit  quod  sensus  est  tautum  virtus  passiva.  De  hoc  sunt diversae  opiniones.  Aliqui  teneut  primam  partem,  scilicet  quod  sensatio  distinguatur realiter  a  specie  sensibili,  et  quod  istae  uon  sunt  suSicientes  causae  sensationis;  et  si quaeratur  quia  producat  effective  ipsam  sensationem,  de  hoc  aliqui  dicuiit  quod  illa virtus  quae  producit  speciem  sensibilem  producit  sensationem,  et  quod  talis  seusus agens  principaliter  coucurrit  ad  sensationem,  sive  modo  illud  sit  Deus,  aut  aliqua  alia intelligeutia,  aut  uua  virtus  in  sensu. Aliis  uou  placet  hoc,  quia  tunc  uou  solveretur,  si  anima  uou  coucurrit  ad  sensa- tiouem,  quoiuodo  sensatio  sit  actus  immanens;  ideo  alii  aliter  dicunt,  et  (inter  eos?)  est Albertus,  quod  sensatio  producitur  a  sensu  mediaute  specie  sensibiii;  in  sensu  euim  reci- pitur  species,  quae  species  recepta  et  sensus  causant  sensationem;  et  hoc  dicit  ut  solvet quomodo  anima  concurrat  eftective  ad  operatioues  suas,  et  quomodo  est  actio  immauens ipsa  seusatio.  Coutra  istam  opiuiouem  multa  dicit  Gandavensis,  et  totum  eius  posse t'li.S6ivcto  est  in  hoc:  quia  impossibile  est  eamdem  virtutem  concurrere  active  et  passive  ad  eam- dem  operationem;  ideo  si  sensus  coucurrit  passive  ad  sensationem,  non  concurrit  active. Item  species  est  dispositio  ad  sensationem;  ergo  non  concurrit  effective  ad  ipsam,  et imaginatur  ipse  alium  modum.  Quod  si  ista  non  sunt  per  se  sufiicientia  ad  sensibile, tunc  quid  causat  sensationem?  Dicit  ipse  quod  in  omni  seusu  suut  duae  potentiae uiia    passiva  et  altera    activa,    et    quod    per    passivam   recipit    seusationem,   et  per (')  Nel  significato  di  senso  niaterirtlc  o  di  organo. activara  eam  causat;  et  arguit  contra  se  Joannes,  quiaAristotdes  non  ponit  in  sensu istam  virtntem  activara:  dicit  ipse  quod  bene  Averroes  eam  ponit.  qnasi  velit  praeponere Averroera  Aristoteli.  Altera  est  opinio,  quae  ut  videtur  est  Thomae,  quae  ponit  sen- sationem  (?)  uon  diiferre  realicer  a  specie  sensibili,  et  quod  \iltra  speciem  sensibilem  non reqniiitur  aliqnid  allerum  pro  seusatione  creanda;  qnam  expresse  ponit  super  textum coramt-nti  quadragesiminoni,  licet  aliqui  Tliomistae  non  coufiteantur  istam  esse  eius opinionem,  quam  opinionem  videtur  ponere  Commentator  iu  fine  commenti  sexagesimi secnndi,  ut  ibi  notavimus.  Volendo  ergo  sustinere  istam  opinionem,  sic  potest  dici  ad argumeuta  in  oppositum  facta:  ad  primum  quod  sicut  est  in  intellectu  ita  est  in  sensu, potestprimo  dicinegando  breviorem.  Ad  probationem  aliquiThomistae  coucedunt  quod intellectio  et  species  intellectionis  sunt  idem,  et  cum  dicitnr  remanere  species,  non  tamen est  intellectio;  dico  quod  illa  species  est  imperfecta,  et  species  iraperfecta  non  est  idem quod  iutellectio;  aliter  potest  dici  negando  similitudinem,  et  ratio  (est)  quia  sensatio est  cognitio  quae  iramediate  terrainatnr  ad  rem;  sed  intellectio  terminatnr  ad  aliqnid alternm  a  re,  scilicet  ad  speciera  intelligibilem,  sicnt  in  intellectione  Beatorum  iu  qni- bus  ultra  intellectum  possibilem  et  intellectionem  uon  requiritur  aliquid  alterum  uisi Deus,  qui  est  eorum  species.  Ad  alterura:  «  quia  aliquando  delata  sub  oculis  non  vide- raus  »:    beatns  Augustinus  dicit  lioc  esse  quia  ad  seutiendura  oportet  ut  intentio  sit copulala  cnra  virtute,  idest  oportet  ut  anima  ndverfat,  et  velit  sentire  obieetum.  Quod    Ch.86verso dictum  noii  bene  intelligo,  nisi  velit  dicere  hoc  esse,  quia  virtutes  interiores  sunt  rectae, et  una  operante,  altera  non  operari  potest,  omnes  enim  virtutes  habeut  spivitus  deter- minatos  per  quos  operantur;  et  Avicenna  in  sexto  Naturaliura  dicit  quod  hoc  arguit coUigantiara  ipsarum  virtutum;  et  puto  istam  esse  copulalionem  virtutis,  qua  utnntur theologi.  Staute  hoc,  dico  quod  species  seusibilis  non  est  idera  quod  sensatio,  quorao- documque  sentiatur  species  sensibilis;  si  enim  species  sensibilis   sit  in  sensu  depau- perato  spiritibus,  tunc  non  est  cognitio,  et  hoc  quia  subiectum  non  est  bene  dispo- situm.  Agens  enira  non  agit  nisi  in  agente  benc  disposito;  si  autem  sit  in  patiente optime  dispodto,  clarum  est  quod  est  sensatio.  Ad  alterum-  «  quod  aniraa  non  esset causa  effectiva  oranium  suarura  operationum  »,  ista  ratio  est  multum  dilficilis;  pro  quo notamus  quod  sensatio  es  ea  parte  qua  est  cognitio,  non  dicit  actionem,  aut  passio- nera;  sed  accidit  cognitioni  quod  sit  cum  actione  aut  passione.  Unde  intellectio  Dei non  est  cura  actione  aut  passione,  nec  intellectio  Dei  formaliter  est  actio,  sed  iu  nolds, qui  de  novo  intelligimus,  accidit   quod  nostra  cognitio  sit  cum  actione  aut  passione, ut  bene  dicit  Scotns  in  Quodlibet,  quaestione  deciraatertia;  et  licet  (ut  dicit  Burida- raus   in  Sex  principiis)   existimetur  quod    intellectio  et  sensatio  sint  actiones   gram- maticaliter  loquendo,  philosophice  tamen  loquendo  sunt  raagis  passiones;  et  quia  ita ost  quod  illud,  quod  recipit  sensationera  aut  intellectionem,  dicatur  sentiensvel  intel-

ligens,  non  autem  illud  quod  efiicit  illara.  Staute  ergo  hoc,  qnod  intellectio  forraaliter non  dicat  actionem  vel  passiouera,  dico  quod  revera  est  ita,  qiiod  anima  non  est  causa effectiva  omnium  suarum  operatiouum;  et  cum  dicitur:  Aristoteles  est  in  oppositum; dico,  ut  dicit  Averroes  ibi ,  quod  existiraatur  quod  sit  causa  suarum  actionum,  non tamen  est  ita  quod  sit  causa  elfectiva  earum:  imo  dicit  Averroes  ibi,  ut  quidam  repu- tant.  Similiter  ad  quartum  quando  dicitur,  quod  sensatio  est  actio   immanens,  dico quod  sensatio  non  est  actio,  imo  potius  est  passio,  quam  actio,  licet  fonnaliter  nullura    Ch.  Sirecto liorum  sit.  Acl  quiutura  quando  dicitur,  quod  sensibile  esset  perfectius  seusu,  Thomas iii  loco  dicto  dicit,  quod  licet  sensibile  agat  in  seiisum,  nou  tameu  est  eo  periectius,  quia, (liabet?)  tam  perfectiorem  operationem,  quam  ipsum  sensibile.  Possumus  nos  dare  duas respousioues  ad  hoc;  piimo  quod  licet  sensibile  agat  in  sensum,  nou  tamen  est  eo nobilius,  quum  non  agit  in  sensum  in  \irtute  eius:  sed  in  virtute  superiorum.  Altera responsio  est  negando  cousequeutiam:  ad  probationem,  quaudo  dicitur:  «  obiectum  con- cnrrit  active  ad  sensationem»,  dico  quod  seusatio,  prout  est  coguitio,  non  dicit  forma- liter  actionem  aut  passionem:  et  licet  obiectum,  iu  quantum  agit,  sit  perfectius  seusu, qiii  patitur,  non  tamen  absolute  est  ^rfectius,  quia  sensus  seutit,  obiectum  autem  non sentit;  quod  autem  sentit  est  perfectius  eo  quod  non  sentit.  Ista  ergo  est  opiuio  Thomae non  multura  usitata;  sed  opinio  Alberti  est  multum  usitata,  et  qui  vult  eam  tenere potest  ad  obiecta  faciliter  respondere;  sensus  enim,  ut  uudus,  concurrit  passive  ad  sen- sationem,  ut  informatus  specie  seusibili  concurrit  active;  Similiter  ad  secundum  dico quod  species  concurrit  effective,  non  principaliter  sed  dispositive.  Opinio  Joauuis  nullo modo  est  vera. Utruni  sensibilla  comimmia  coinprehendantur  ab  omnibus  sensibus. Kestat  modo  dubitare  circa  seusibilia  communia;  et  primo  quaeritur  utrum  sen- sibilia  commuuia  comprelieudantur  ab  omnibus  sensibus.  Averroes  in  commento  sexage- simoquarto,  Veprehendit  Themistium  dicentem  ab  omnibus  seusibus  compreliendi ,  et dicit  ipse  quod  tiia  eorum,  motus  quies  et  numerus  ab  orauibus  comprehenduntur  , alia  vero  duo,  scilicet  maguitudo  et  figura,  a  visu  tantum  et  a  tactu.  Dubitatur  ergo, primo  utrum  olfactus  possit  cognoscere  magnitudinem:  et  videtur  primo  quod  sic,  quia numerus  percipitur  ab  auditu,  et  numerus  cansatur  ex  divisione  continui;  ergo  si  au- ditus  comprehendit'numerum,  videtur  etiam  quod  comprehendat  continuum,  scilicetfna- gnitudinem.  Sed  dices  tu  quod  uumerus  qui  seutitur  ab  auditu,  licet  causetur  ex  di- Ch.87verso  visione  continui,  non  tameu  causatur  ex  divisione  magnitudinis;  numerus  euim  qui causatur  ex  divisione  continui  permanentis  nou  sentitur  ab  auditu,  sed  bene  numerus qui  causatur  es  divisione  continui  successivi,  ut  puta  motus,  sentitur  ab  auditu;  motus enim  est  de  uumero  contiuuorum,  tertio  Physicorum;  sed  contra  tu  dicis  quod  nu- merus  qui  causatur  ex  divisione  continui  successivi  sentitur  ab  auditu.  Cont-ra,  quia  si (quis)  sentit  numerum,  qui  est  ex  divisione  coutinui,  hoc  non  est  merito  auditus,  sed est  propter  sensum  interiorem,  scilicet  propter  memorativam;  unde  si  aliquis  habe- ret  debilem  memoriam,  uon  posset  sentire  talem  nuraerum,  sed  semper  putaret  tau- tum  esse  unitatem.  Sed  dices  quod  beue  auditus  uon  cognoscit  istum  complexi- ve;  sed  talis  virtus  est  memorativa.  Sed  pro  tanto  dicitur  sensibile  comrme,  quia  me- morativa,  raediante  auditu,  cognoscit  talem  numerum  ;  sed  tuuc  est  dubitatio,  quo- modo  numerus  per  se  sentitur.  Ulterius  etiam  probo  quod  magnitudo  per  se  com- prehendatur  ab  auditu,  (juia  auditus  compreheudit  differentias  magnitudinis;  ergo  et magnitudinem.  Autecedens  prol)atur,  quia  cognoscit  utrum  sonus  veniat  a  dextris vel  a  sinistris  ,  ab  ante  vel  a  retro  ,  a  sursum  vel  deorsum;  et  si  dicitur  deci- pere  circa  hoc,  concedo;  non  tamen  sequitur  ut  non  cognoseat  istas  differentias.  Cou- sequentia  proliatur,  quia  si  cognoscit  differentias  magnitudinis,  videtur  conveniens iit  cognoscat  magnitudiuem.  Item  videtur  implicaie  quod  sit  seusus  et  non  cognoscat magnitudinem,  quia  sensiis  nou  coguoscit  nisi  cum  hic  et  nunc;  magnitudo  autem  est cum  liic  et  nunc.  Similiter  etiam  arguitur  de  olfactu  qund  ipse  cognoscit  magnitudi nem;  sed  est  dubitatio  utium  oliactus  cognoscat  numerum;  et  videtur  quod  non;  si  enim olfactus  coguoscat  duos  odores  in  eodem  tempore,  videtur  qxiod  cognoscat  eos  in  unum, non  autem  duo.  Si  vero  cognoscat  eos  in  diversis  temporibus,  lioc  non  videtur  oiHcium olfactiis  sed  memorativae,  quae  recordatur  praeteritorum.  Si  vero  dicas  quod  cognoscat  CU.  SSrecto duo.«  odores  specie  distinctos.  ut  duos  iu  eodem  tempore,  contra  quia  non  videtur verum  quod  ponat  differentias  inter  odores  specie  diversos,  in  ista  positione  videtur  esse necessarium  dicere  quod  omnes  sensus  cogooscant  magniludinem;  etideo  dicit  Aristoteles quod  omnia  sensibilia  comraunia  sunt  omnibus  sensibus  communia,  ut  bene  disit  ibi Tliemistius;  sed  puto,  ut  dicitur  in  De  sonsu  et  sensato.  quod  magnitudo  perfecte  co- gnoscitur  a  tactu  et  a  visu;  certitudinaliter  enim  comprehendunt  quae  et  quauta  sit magnifudo;  alii  autem  sensus  non  liabent  hoc;  et  ideo  Aristoteles  videtur  appropriare comprehensionem  tigurae  tactui  et  visui,  non  tamen  ita,  quod  alii  non  comprehen- daut.  Quod  vero  dicitur  quod  sensus  exterior  uon  cognoscit  numerum,  sed  illud  est oilicium  virtutis  interioris;  dico  quod  completa  et  perfecta  comprehensio  uumeri  est virtutis  interioris,  sed  initiative  est  in  sensu  exteriori:  unde  pueri  et  letiiargici.  qui non  habent  bonam  memoriam,  bene  sentiunt  horas,  non  tamen  possunt  eas  numerare. Et  aliter  potest  di-i  quod  hoc  iutelligitur  de  duabus  campanis  simul  sonantibus, quarum  una  sit  debilis  soni,  altera  vero  mediocris;  similiter  etiam  de  duobus  odoribus dicatur,  quod  simul  ab  olfactu  sentiuntur;  si  enim  sint  diversi  specie,  tunc  ol- factus  poterit  cognoscere  illos  ut  duos,  et  uon  tantum(?)  poterit  hoc  virtus  sensitiva  iu- terior,  verum  et  exterior.  Eestat  modo  quaerere  utrum  motus  et  quies  ab  omnibus sensibus  comprehendautur;  et  videtur  quod  non.  Primo  de  motu;  quia  motus  est  de  nu- mero  successivorum;  sed  successiv-a  non  possunt  a  sensu  comprehendi;  ergo.  Anterior patet  ex  tertio  Physicorum,  brevior  probatur.  quia  si  sensus  exterior  non  potest  mo- veri  nisi  ab  eo,  quod  actu  existit,  sed  successiva  non  actu  existuut,  ergo.  Anterior patet,  quia  moveri  est  pati;  omne  autem  quod  patitur ,  patitur  ab  eo  quod  est  iu  Ch.SSverso actu.  Brevior  probatur,  quia  de  ratione  successivornm  est  quod  pars  sit  praeterita, parsque  futura  sit :  si  ergo  sic  est ,  totum  uou  poterit  esse  simul  in  actu  ;  quare non  poterit  movere  sensum.  Similiter  etiam  dicatur  de  quiete,  quum  quies  men- siiratur  tempore,  tempus  autem  non  totum  simul  est:  cum  ergo  per  praedicta  motus non  sentiatur,  uec  etiam  quies  sentietur.  Item  privatio  per  accidens  sentitur;  quies est  privatio;  ergo  per  accidens  sentitur;  ergo  uon  est  sensil)ile  per  se.  Ad  quae- stiouem  lianc  est  duplex  responsio:  prima  quod  argumeuta  concludant  veritatem,  quod sensus  exterior  formaliter  et  proprie  non  potest  cognoscere  motum  aut  quietem;  et cum  dicis:  Aristoteles  numerat  ea  inter  sensibilia  per  se;  dico  quod  sunt  per  se  ad Inmc  sensum.  quia  seusus  inteiior  non  potest  ea  cognoscere  sine  motu  et  quiete:  ex  eo enim  quod  video  hunc  esse  iu  tali ,  vel  tali  loco,  deinde  in  alio  esse  in  taU  loeo, comprehenditur  a  sensu :  quod  autem  componit  esse  iu  hoc  loco  cum  esse  in  alio loco,  est  virtus  interior ;  similiter  etiam  et  quies.  Coguoscere  enim  quod  hoc  nuuc non  moveatur,  est  sensus  ixterioris:  componere  autem  prius  cum  posteriori  pertinet ad  viitutem  interiorem.  Alii  vero  dicunt  quod  seusus  exterior  cognoscit  motum et  quietem. Ad  arguraeiita  in  oppositura  dicunt,  quod  eo  raodo  quo  motiis  lia))et  esse,  eo  modo sentitur;  et  qiiia  motus  nou  est  nisi  quia  mutatum  esse  est,  ideo  projjterea  quod  istud mutatum  esse  sentitur  per  propriam  speeiem.  ideo  et  motus  sentitur:  et  etiam  quia in  sensu  remanent  spacies  praeteriti  et  futuvi  per  aliquod  tempus:  sed  quantum  ad hoc  quod  dicunt  de  praeterito .  puto  verum;  imo  hoc  dicit  Aristoteles  in  De  sensu et  sensato ,  quia  per  aliquod  tempus  species  remanent  in  sensu.  Quod  vero  dicunt quod  species  futuri  sit  in  sensu,  hoc  uon  videtur  verum.  Ad  alterum  de  quiete  di- Ch.89recto  citur,  quod  seusus  per  se  cognoscit  quietem;  est  enim  de  intrinseca  natura  sensus,  ut sentiat  quietera:  et  licet  sentiatur  per  motum,  non  tamen  est  per  accidens  sensibile, quum  hoc  tantum  arguit,  quod  non  sit  primo  per  se  sensibile,  non  vero  quod  non  sit sensibile  per  se. Ulrum  sensibilia  communia  comprehendantur  ptr  proprias  species. Altera  quaestio  est,  utrum  sensibilia  comunia  comprehendantur  per  propria  species. Joannes  tenet  quod  comprehendantur,  et  adducit  pro  hoc  dictum  Aristotelis  in  secundo huius,textu  commenti  centesimitrigesimitertii,ubi  dicit  quodseusibiliacommuniafaciunt motum  in  sensu.  Alii  vero,  ut  Thomas,  tenent  quod  non  cogiioscantur  per  proprias  spe- cies,  sed  tamen  cognoscantur  per  species  sensibiiium  propriorum,  nec  aliquid  faciunt nisi  faciunt  diversum  modum  sentiendi;  aliter  enim  albedo  sentitiir  in  magna  quantitate, aliter  in  parva quum  visibile  a  propinquis  et  a  remoto potest  per  eamdem  speciem  videri;  aliter  tamen  a  remotis  movet,  et  aliter  a  propiuquis. Ita  dicunt  quod  sensibile  commune  sentitur  per  speciem  proprii,  aliter  tamen  et  aliter immutat  sensibile  proprium  secundum  quod  est  in  magna  vel  parva  quantitate. Alii  volunt  (et  haec  tertia  opinio)  quod  magnitudo  et  figura  habent  proprias  spe- cies  per  quas  sentiuntur.  Alii  vero  non;  et  adducunt  pro  hoc  Aristotelem  in  secundo huius  textu  commenti  centesimitrigesimitertii,  ubi  esemplificat  de  magnitudine,  et figura .  et  dicit  ibi  quod  alia  comprehendimtur  magis  per  suara  positionem.  sic quies  per  motum.  Tertia  opinio  mihi  magis  placet;  sed  opinio  Joannis  non  videtur  vera; opinio  Thomae  est  multum  probabilis. Utruni  sensibilia  communia  percipiantur  non  percepto  sensibili  proprio. Alia  quaestio  est  utrum  seusibilia  coramuuia  percipiantur  non  percepto  seusibili proprio;  et  videtur  expresse  dicere  Averroes  quod  non,  in  fine  commenti  sexagesimi- tertii.  Item  expresse  opponit  quod  si  non  sit  color  aut  lux,  non  percipitur  quantitas. sicut  patet  de  igne,  quae  e?t  in  concavo  orbis  luuae,  et  tamen  non  videtur. Ch.  89  verso  Iu  opposilum  arguitur  de  tactu  supponendo  unum  (verum?)  quod  aequaliter  calida et  aequaliter  frigida  uon  lentimus,  ut  dicit  Aristoteles  inferius;  tunc  ergo  sit  una  manus aequaliter  calida  et  aequaliter  frigida,  sicut  mea;  tunc  manus  mea  non  sentit  caliditatem aut  frigiditatem  istius  manus,  et  tamen  sentit  quod  ista  manus  est  quanta;  ergo  quan- titas,  quae  est  sensibile  commune,  sentitur  absque  hoc  quod  sentiatur  sensibile  propriura. Confirmatur  quia  est  imaginabile  et  non  repuguat  quod  unus  tangat  coelum:  sit  ergo ita  quod  unus  tangat,  tunc  coelum  uon  sentitur  calidum  uec  frigidum,  nec  humidum nec  siccum,  et  tamen  sentitur  quod  sit  quantum;  ergo. Item  hoc  videtur  in  motu,  quia  aliquaudo  seutitur  pulex  serpens  super  carnem meara;  tiiiic  seutitur  motus,  uou  tameu  seutitur  aliquid  deusibile  propriuui.  Item  clato quod   aliquis  caederetur;  tuuc  iste  sentit  solutionem  coutinui  quae  est  numerus;  nu mei'us  autera  est  sensibile  coramune:  tamen  potest  essc  quod  iste  uon  seutiat  calidi- tatem  aut  aliquid  sensibilo  pruprium  ipsius  eusis. In  hac  quaestione  dico  quod  sensibile  commune  uou  potest  seutiri  sine  sensibili proprio.  Ad  rationes;  ad  primam:  dimitto  rationes  medicorum  qiiorumdam,qui  volunt  quod aequa'iter  calida  possimus  sentire;  et  cum  dicitur:  niliil  patitur  a  simiU;  giosaut  quod  isla est  vera  in  actione  spirituali  tautum;  sed  ista  respousio  est  contra  Aristotelem  qiii  ibi loquitur  de  actione  spirituali,  scilicet  de  sensatione;  et  credo  ego  aliter.  Dico  primo quod  quautitas  uon  percipitur  nisi  primo  percepta  resistentia;  et  ideo  aeris  non  per- cipimus  quantitatem  ipsius,  et  hoc  quia  aer  uon  resistit  tangenti.  Ego  aliter  dico  con- cedendo  assumptum:  et  cum  dicitur;  non  percipitur  sensibile  propriirra;  uego,  imo  per- cipitur  durities,  quia  est  proprium  sensibile  a  sensu  tactus;  ex  eo  euim  quod  percipio quod  manus  non  cedit  tangeuti  sentitur  durities;  et  ex  cousequenti  sentitur  quantitas. Ad  contirmatiouem  dico  quod  si  quis  ponat  mauum  in  coelo,  sentiret  quantitatem  coeli ex  eo  quod  sentiret  coelum  resistere  taugeuti;  et  si  dicatur:  ergo  coelum  erit  durum;  Ch.  90  recto dico  quod  sicut  sua  quantitas  nou  est  eiusdem  rationis  cum  ista,  ita  uec  sua  duri- ties,  quia  est  magis  quaedara  soliditas  quam  durities. Ad  aliam  de  motu,  dico  quod  aliquaudo  sentimus  seusibile  commune  cum  sensi- bili  proprio  nobis  noto ;  sensus  enim  aliqua  confundit  in  istis  sensibilibus  propriis, bicut  in  eraissioue  spermatis  sentitur  illa  delectatio,  non  tauien  sentitur  aliquid  sen- sibile  proprium  nobis  notuui;  ita  in  illo  motu  hene  sentit\ir  aliquid  sensibile  proprium, illud  tameu  non  est  nobis  notum.  Similiter  cum  dicitur  de  solutioue  continui  quae est  numerus.  dico  quod  solutio  continui  (est)  ex  mala  complexioue;  ex  eo  enim  quod  in solutione  continui  causatur  mala  complexio,  ideo  sentitur  dolor;  mala  autem  cora- plexio  est  qiialitas  per  se  seusibilis:  vel  possumus  dicere  quod  uou  seutitur  solutio coutinui  nisi  prius  sentiaraus  duritiem  et  compressiouem  ensis. Alia  dubitatio  est,  utrum  siut  plura  sensibilia  communia  quam  ista  quinque;  et videtur  quod  sic,  quia  aequale  et  inaequale,  magnum  et  parvum,  simile  et  dissiinile, intensum  et  remissum,  videtur  quod  ista  sint  sensibilia  corarauuia,  quia  ab  omnibus comprebeuduntur;  et  tamen  ista  non  suut  numerata  ab  Aristotele.  Aliqui  dicunt  quod omnia  ista  iiabent  ad  ista  quinque  reduci,  ut  patet  discurreuti. Utrum  scrvatis  tribus  conditionibus  datis    a    Themistio.    erretur  circa  sensibile proprium. Alia  dubitatio  est,  quia  videtur  quod  servatis  illis  tribus  couditiouibus  datis  a- Themistio,  adhuc  contiugat  errare  circa  sensibile  propriuin.  Aliquando  seutitur  color, non  tamen  sentitur  quis  color  est;  sic  puto  esse  dicendum  quod  visus  non  decipitur in  colore  in  eo  quod  color,  sed  iu  eo  quod  talis  color.  Non  enim  opus  est  visura cognoscere  iu  qua  specie  coloris  sit  iste  color,  forte  quod  potest  dici  sensum  visus decipi,  quia  istae  species  coloris  confuuduutur  ad  invicem.  Sed  quia  superius  ad- ductum  est  argumentum  de  coelo,  utrum  sit  tangibile,  et  dicebatur  quod  sic,  quia coelum   resistit   tangenti;   contra   hoc   argumentum,   quum   istud   quod   dictum  est. Ch  OOversu videtur  esse   contva  Aristoteleiu  iu  quarto  Physicorura  textu  comraonti  septuagesimi- sexti,  ubi  dicit,  quod  si  esset  aliquod  corpus  denudatum  ab  orani  qnalitate  sensibili, Ch.  Oliecto  adliuc  faceret  distare  tantum  quautum  ipsum  est;  si  enim  imaginemus  taxillum  de- nudatum  ab  orani  qualitate  sensibili,  tautura  faceret  distare,  quantura  si  liaberet  illas qualitates;  et  tunc  in  tali  corpore  non  percipitiir  qualitas  sensibilis,  et  tamen  perci- pitur  eius  quantitas,  quia  tantum  facit  distare  quantum  faciebat  prius:  ergo  nec  potest evadere  in  hoc  sicut  iu  coolo,  quum  in  coelo  est  uua  qualitas.  qnae  est  per  se  sen- sibilis,  scilicet  illa  soliditas. Ad  hoc  dicendura  quod  perficitur  (percipitur?)  qualitas  seusibilis:  imaginor  enim quod  tale  corpus,  ut  puta  taxillum,  comprimat  manura  raeam,  et  pars  compressa  recipit figuram  illius  corporis,  et  tunc  illa  tigura  seutitur  pro  quanto  recipitur  in  manu  mea,  non autem  est  in  tali  corpore;  figura  autem  recepta  in  manu  mea  non  sentitur  nisi  prius recepta  qualitate  sensibUi,  quae  est  in  manu  tantum.  Breviter  dico  quod  figura  quae sentitur  nou  est  in  tali  corpore  sicut  in  subiecto,  et  causatur  iu  manu  per  compres- sionem. Alia  dubitatio  est,  quia  ausi  sumus  taxare  Averroem  contra  dicentem  iu  commento sexagesimotertio  et  sexagesimoquinto  huius  secundi,  quod  sensus  exterior  cognoscit  sub- iectiim,  eo  magis  quod  dixiraus  eura  sibi  contradicere  in  tam  parvo  spatio  hic  et  in commento  centesimotrigesimoquarto  huius:  modo  videtur  esse  magna  vereeundia  quod eum  taxarim.Taxabam  etiara  iu  fine  expositiouis  textus  commenti  sexagesimiquintihuius; et  ostendi  expositionera  Averrois  non  esse  bonam.  Quidam  satis  ingeniose  diserunt  quod Aristoteles  in  textu  commenti  sexagesimiquinti  nun  debet  stare  ut  iacet.  sed  debet stare  hoc  modo:  unde  patitur  ab  hoc  sensibili  per  se,  sed  patitur  ab  hoc  secundum  ac- cidens;  et  tunc  est  congrua  expositio  Averrois,  quum  si  pateretur  ab  hoc  per  se,  non pateretur  ab  alio.  Quautum  sit  de  primo  dubio,  quidara  dixit  quod  non  est  intentio  Aver- Ch.  9lversn  rois  hic  sensum  exteriorem  cognoscere  substantiara,  sed  intelligit  de  sensu  interiori; et  si  Averroes  dicat  quod  sensus  exterior  cognoscit  substantiara,  debet  intelligi  quod per  accidens  cognoscit;  quod  per  accidens  est  duobus  modis:  uuo  modo  quia  per  sen- sura  exteriorem  sensus  interior  deveniat  in  cognitionem  substantiae,  sicut  ovis  quae per  vocem  agni  cognitam  a  sensibili  auditus,  cognoscit  agnum  esse  siium  filium;  et  ita est  sensibile  per  accidens,  quia  per  sensibile  proprium  sensus  interior  devenit  in  eius uotitiam:  non  tameu  ita  est  quod  sensus  exterior  cognoscat  substautiam;  et  iste  modus per  accidens  est  comoiunis  tam  brutis  quam  hominibus.  Alio  modo  est  hoc  per  accidens quum  accidit  sensui,  ut  sensus  est,  quod  deveniat  in  cognitionem  substantiae,  ut  sub- stantia  est;  si  enira  ex  cognitioue  coloris  vel  figurae  coguoscatur  substantia,  ut  sub- stantia  est,  hoc  nou  est  seusus,  ut  sensus  est,  sed  ut  est  sensus  aniraalis  intelligentis. TJnde  quod  sensus  hominis  interior  cognoscit  equnm,  ut  equus  est  per  sensus  exteriores, .  hoc  non  accidit  sensui  hominis,  ut  sensus  est,  sed  ut  sensus  animalis  intelligentis.  Totura ergo  stat  in  hoc,  quod  si  dicat  sensum  exteriorera  cognoscere  substantiam,  debet  in- telligi  per  accidens;  quod  quidem  est  duobus  raodis:  prirao,  vel  ita  quod  per  seusum exteriorem  deveniamus  in  cognitiouem  substautiae:  alio  modo  quod  per  sensum  exte- riorem  deveniamus  in  coguitionem  substantiae,  ut  substantia  est:  in  quo  modo  includnntur duo  modi  per  accidens,  sciiicet  ut  per  sensura  deveniam  in  cognitioneni  substantiae, et  quod  per  seusum  esteriorem  devcniam  in  cognitionom  substantiae,  ut   substantia est;  et  hoc  est  illucl  quod  dicit  Aveiroes  in  commento  sexagesimotertio  de  illis  duobiis modis  [lev  accideutalitates,  et  hoc  est  etiara  ad  mentem  Thomae  et  Aegidii  hic,  et  est verum  in  se.  Sed  licet  hoc  sit  verum,  non  taraen  est  ad  mentem  Averrois,  quia  aperte  vult quod  sensus  eiterior  cognoscat  substantias;  nam  in  commento  sexagesimotertio  dieit  haec verba;quod  sensus,  circa  hoc  quod  comprehendant  sua  sensibiliapropria,  comprehendunt      Ch.  02recto intentiones  individuales  praedicamentorum.  Kesponsio:  quid  apparet  apertius?  Quid  enim comprehendit  sua  sensibilia  propria  nisi  sensus  exterior?  Deinde  in  fine  commenti  dicit quod  ista  intentio   comprehendilur  a  cogitativa  et  ab  imaginativa,  et  dicit,  in  ultimis verbis,  quod  comprehensio,  quae  est  imaginativa,  est  magis  spiritualis.  Tunc  ego  quaero hoc  «  magis  spirituale  »  ad  quam  coniprehensionem  referatur:  non  ad  comprehensionem cogitativae  aut  memorativae,  quia  illae  (istae?)  apprehenduntur  magis  spiritualiler  ex  li- bro  De  soraiio  et  vigilia;  evgo  hoc  magis  refertur  ad  comprehensionem  sensus  exterioris: quare  secundum  Avcrroem  sensus  exterior  cognoscit  substantiam.  Item  confirmatur  ex dicto  Averrois  in  commento  sexagesimoquinto,  quum  movet  ibi  dubium  Averroes,  utrum seusibilia  per  accidens  sint  sensibilia  per  se,  et  ponit  ibi  rationem  unam,  quam  dam- nat;  dicit  quod  aliquis  posset  dicere  quod  ideo  non  sunt  per  se,  quum  sunt  comraunia omnibus  sensibus,  et  removet  istara  rationem.  Dicit  quod  ista  responsio  nihil  (valet) quum  iutentiones  individuales  sunt  comrauniores  omnibus  sensibilibus  propriis.  Altera responsio,    quae  correspondet   illi  suae  argumentationi,  est  quod  licet  sensibilia  per accidens  comprehendantur  ab  omnibus  sensibus,  non  tamen  ab  omnibus  simpliciter, sed  taraen    ab   omnibus  sensibus  humanis.  Ecce  quod   in   hac   responsione   non   ne- gat  sensibilia    per   accidens    comprehendi   ab   omnibus   sensibus;    quare  si   ab    om- nibus,  etiam  ab  exterioribus;  et  si  nollet  ipsa  cognosci  per  propriam  speciem  a  sensu exteriori,  potuisset  dicere  ad  illam  quaestionem  quod  non  sunt  sensibilia  per  se,  quia non  cognoscuntur  per  propriam  speciem.  Quare  est  concludendum  Averroem  liic  non bene (dixisse) et  sibi  contradicere.  De  altero  dubio,  quod  textus  sit  corruptus,  dico primo  quod  in  graeco  uon  invenitur  ille  textiis,  quem  tu  adducis,  nec  talem  exponit  Ale- xander;  nec  etiam  Themistius,  nec  etiam  textus  quem  nos  habemus  sic  iacet;  nec  textus Averrois.  Et  esto  quod  diflferentia  sic  staret;  tunc  peius  esset,  quum  Aristoteles  non diceret  ibi  aliquid  novi  de  sensibili  per  accidens,  quum  illud  dictum  ita  esset  verura       Ch.92vcrso de  sensibili  proprio,  sicut  de  sensibili  per  accidens;  sensus  enim  non  patitur  ab  ali- quo  sensibili   secimdum   quod.  ut   tale;  propterea  in  textu  dicitur:    « unde  nihil  pa- titur».   Modo  ego  quaero  ad  quid  referatur  unde  dum   ille   textus   aeque  bene  pro- cedat  de   sensibili  per  se,  sicut  de  sensibili  per  accidens.  Alter  autem  modus  expo- nendi   est  bonus,  quum    non    volumus    quod    sensibile    per    accidens    sentiatur  per propriam  speciem. Alia  dubitatio  est,  quia  dicit  Averroes  in  commento  sexagesimotertio  quod  cogi- tativa  expoliat  speciem  substantiae  a  quantitate.  Contra:  si  sic  est,  ergo  in  cogitativa erit  species  substantiae  sine  quantitate;  et  cum  quantitas  sit  principium  determina- tionis,  ergo  ista  species  erit  universalis.  Ad  hoc  non  est  alius  modus  dicendi  nisi  di- cere  quod  substantia  habeat  ecceitatera  propriam,  per  quam  sit  hoc,  et  non  sit  hoc per  suam  quantitatem,  sed  per  suam  ecceitatera,  sicuti  voluit  Scotus. Ch.  96  verso 18 —  138  — Quid  sit  sonus. Post  textum  spptnagesimiim  primiim  qiiaerit  Pomponacius,  primo  quid  sit  sonus; in  qua  materia  est  unus  modus  respondendi.  quod  sonus  formaliter  est  motus,  et ratio  sua  est  quia  Philosoplius  hic  et  ubique  dicit  quod  sonus  est  motus  aeris,  et  di- citur  in  detinitioae  vocis  quod  est  percussio;  percussio  autera  est  motus;  et  ratio,  quia sonus  vel  est  res  permaneus  vel  successiva;  sed  non  est  permanens;  ergo  successiva. Anterior  patet  ex  sufficienti  demonstratione;  brevior  probatur,  quia  esse  soni  constituitur in  fieri;  si  ergo  est  successivus,  vel  est  motus,  vel  locus  (?)  de  praedicamento  quautitatis; sed  non  est  locus,  ut  patet,  ergo  motus.  Sed  tunc  in  qua  specie  motus  reponetur?  Di- cunt  quod  nnn  est  generatio  aut  corriiptio,  quum  generatio  et  corruptio  non  sunt motus,  sed  termini  motus;  nec  est  motus  augmenti,  quura  ille  est  tantum  iu  animatis; sonus  autem  est  in  animalibus;  nec  est  motus  alterationis,  quia  ille  est  ad  tertiam speciem  qiialitatis,  sonus  autem  nou  est  ad  (istam?)  qualitatem,  quum  vel  esset  ad  primam vel  ad  secundam:  uon  ad  primara,  quia  per  illara  acquiritur  calefactio,  et  frigefactio, quae  non  acquiruntur  per  sonum;  nec  est  motus  ad  qualitatera  secundam,  quia  iihx non  acquiritur  nisi  prius  cognita  prima,  ex  sexto  Physicorum,  textu  commenti  decimi- Cli.97recto  quarti;  si  autem  debet  esse  sonus,  non  oportet  ut  prius  acquirantur  qualitates  primae. Item  quia  qualitates  primae  et  secundae  sunt  res  permanentes,  motus  autem  est  de numero  successivorum;  quare  sequitur  quod  sonus  erit  motus  localis;  et  quia  videbant quod  non  omnis  raotus  localis  est  sonus,  imaginati  sunt,  quod  tautum  motus  localis cum  illa  percussione  aeris  et  cura  illis  dispositionibus  datis  ab  Aristotele  sit  sonus; ita  tamen  quod  sonus  formaliter  uon  sit  nisi  motus,  sed  connotet  istas  conditiones dictas.  Haec  opinio  defecit,  primo  quia  motus  est  seusibile  coramune,  sonus  autem  est sensibile  proprium,  sensibile  autem  propriura  et  coramune  distinguuntur.  Sed  istud  ar- gumentura  non  videtur  valere,  quia  licet  motus  sit  sensibile  comraune,  quia  a  pluribus sentitur  sensibus,  uon  taraen  sequitur  quod  unus  motus  numero  sit  sensibile  commu- niter,  qualiter  est  sonus. Sed  licet  ista  sententia  evadat  ab  hoc  argumento,  non  tamen  videtur  vera;  quare quando  dicitur:  sonus  est  formaliter  motus,  ego  quaero  an  verberans  et  verberatum imprimant  aliquid  in  aerera,  vel  non:  si  non,  quid  ergo  facit  illa  verberatio  aeris?  si  sic, ergo  oportet  per  verberans  et  verberatum  ponere  unam  qualitatem  quae  formaliter  est sonus.  Item  aeris  motus  non  acquiritur  nisi  ubi;  si  ergo  sonus  est  motus,  non  acqui- ritur  per  aerem  uisi  ubi;  et  ita  sensus  auditus  non  cognoscit  nisi  ubi,  et  cum  ubi,  velsit  locus,  ut  tenet  Tlioraas,  vel  respectivus,  ut  dicit  Scotus;  tunc  a  sensu  exteriori per  se  primo  cognoscetur  respectivus.  Si  vero  est  locus  et  quantitas,  cum  ista  sint sensibilia  communia,  non  sentientur  ab  auditu  nisi  per  sensibile  propriura;  et  istud erit  sonus  qui  est  qualitas  distincta  a  motu,  qui  est  obiectura  proprium  auditus. Ideo  ponitur  altera  opinio,  pro  qua  sciendum  est:  prirao,  quod  sonus  est  qualitas  sen- sibilis  de  tertia  specic;  vel  enim  sonus   est    substantia,  vel  accidens;  non  substantia Cli  97  vor.-o  ^'*'  patet,  ergo  accidens;  vel  ergo  in  qualitate,  vel  in  alio  praedicamento  quam  in  qua- litate;  ergo  est  qualitas,  et  non  est  in  alia  specie  quam  iu  tertia.  Ulterius  oportet scire  quod  esse  soni  consistit  in  fieri;  et  hoc  apparet  experimento,  quia  cessante  raotu, cessat  sonus.  Ultoriusscire  oportet  quod  est  qualitas  secunda   sensibilis  distincta  a —  139  — primis,  et  licet  qualitates  secundae  genereutur  ex  primis,  ex  septimo  Metapbysicorum, textu  comenti  decimiquarti,  uon  tamen  sonus  praesupponit  omnes  qualitates  primas, vel  solum  uuam,  vel  saltem  non  omnes ;  supponit  eniin  humiditatem  in  aere.  Ad  ar- gumenta  dicitur;  ad  primum  de  Aristotele  quod  ista  praedicatio  «  sonus  est  motus  »  non est  formalis,  sed  est  causalis,  quia  sonus  causatur  a  motu.  Ad  secundum,  dico  quod est  de  numero  permanentium;  sed  quia  est  couiunctus  motui,  ideo  non  habet  esse  per- manens,  sed  successivum;  vel  potest  dici  quod  sonus  est  motus  alterationis,  scilicet  illius qnalitatis  quae  est  souus.  Ad  aliud  cum  dicitur:  «  vel  est  prima  vel  secunda  qualitas»; dico  quod  est  secunda  qualitas:  et  cum  dicitur:  ergo  generatur  a  primis,  dico  quod non  generatur  ab  omnibus  piimis,  sed  beue  praesupponit  aliquas  primas,  nt  disposi- tiones  aeris:  vel  dicatur  quod  illud  uon  est  verum  in  sono,  ut  videtur  dicere  Averroes in  septimo  Physicorum  commento  decimoquarto.  Ad  alterum,  cum  dicitar:  omnis  qualitas secunda  est  permanens ;  dico  quod  est  verum,  si  non  peudeat  a  motu  sicut  est  sonus, qni  in  esse  et  conservari  dependet  a  motu. Utrum  S071US  peycipiatur  ab  auditu. Altera  quaestio  est;  utium  sonus  percipiatur  ab  auditu,  et  quomodo;  et  videtur quod  non  possit  percipi,  quia  sensus  exterior  non  movetur  nisi  ab  eo  quod  actu  est; sonus  autem  non  habet  esse  in  actu  nisi  per  instans,  sicut  et  alia  successiva.  Si  ergo sonus  sentitur,  tantum  per  instans  sentitur;  hoc  autem  videtur  impossibile,  quia  in- divisibile  non  potest  sentiri,  ex  fine  De  sensu  et  sensato.  Ad  hanc  quaestionem  dicitur quod  istud  argumentum  potest  tieri  de  motu  quoad  alios  gensus,  quia  de  motu  non est  in  actu  nisi  mutatum  esse.  Dicitur  tamen  quod  sicut  motus  potest  movere  sen- sum,  esto  quod  non  sit  in  actu  nisi  per  instans,  ita  ut  sonus.  Ad  argumentum  dico  Ch.  98  recto quod  non  plus  requiritur  movere  sensum  quam  ad  esse;  ad  esse  autem  soni  non  re- quiritur  nisi  instans;  ergo  nec  ad  motorem  sensuum. Ad  alterum  potest  dici  quod  illud  dictum  Aristotelis  in  De  sensu  et  sensato  est verum  de  indivisibili  iu  magnitudine,  non  in  tempore;  illud  tamen  iudivisibile  quod est  in  sono,  licet  sit  indivisibile  secundum  tempus,  est  tamen  divisibile  secundum magnitudiuem;  potest  enim  esse  ita  magnum,  ut  repleat  hanc  totam  scholam. Utrum  motus  anhelitus  sit  cx  pectore  vel  pulmone.  Ch.  102verso Alia  dubitatio  est  circa  hoc  caput,  utrum  motus  anhelitiis  sit  ex  pectore  vel pulmone.  De  hoc  enim  Commentator  commeuto  octuagesimo  tertio  facit  verba  contra Galenum;  pro  quo  sciendum  est  quod  Galenus  voluit  anhelitus  motum  esse  voluu- tarium,  et  ratio  sua  erat  quia  possumus  anhelare  et  non  anhelare,  maguificare  et diminuere  auhelitum  quando  volumus.  Item  motus  qui  fit  a  nervo  est  voluntarius; motus  auhelitus  fit  a  uervo,  ergo.  Anteriorem  supponimus  tauquam  claram;  brevior probatur.  Si  euim  incidatur  ner\us  rediens  a  cerebro  ad  pectus,  tunc  statim  cessat anhelitus :  ex  quibus  concludit  quud  si  iste  motus  est  voluntarius,  cum  pulmo  de  se non  sentiat,  quod  iste  motus  non  erit  nisi  a  pectore. In  oppositum  est  sententia  Averrois  hic  et  in  secundo  Colligeti  capite  decimo- nono,  quia  dum  dormimns  anhelamus.  Item  motus  anhelitus  proportionatur  motui  pulsus; —  140  — sed  motiis  pulsus  est  natuvalis ;  ergo  et  iste.  Item  a^iparet  qucl  aliqu:.udo  uou  pas- sumus  retinere  aulielitum,  iit  iu  magnis  tristitiis,  et  iu  maguo  timore;  quare  conclu- detur  liunc  motum  esse  compositum  ex  naturali  et  voluntario;  magis  tamen  esse naturalem,  sicut  motus  palpebrae  oculi:  quare  si  est  naturalis,  nou  tautum  procedit a  pectore,  sed  etiam  a  pulmone;  sed  si  partim  est  in  nostra  voluntate  ,  tunc  argu- mentum  concludit  illud  quod  nos  dicimus,  quia  est  compositus  ex  naturali  et  volun- tario.  Ad  alteram  de  nervo  dicit  ibi  Coiumeutator  qnod  Galenus  ignoravit  logicam, quia  in  tali  argumento  arguit  a  positione  antecedentis  ad  positionem  consequenlis; arguit  enim  sic :  si  non  est  nervus,  non  est  respiratio;  ergo  posito  uervo,  ponitur  re- spiratio;  quare  motus  respirationis  erit  a  nervo.  Alio  etiam  argumento  utitur  Gale- nus,  quia  qui  vulneratur  in  pectore  non  potest  respirare;  ergo  iile  motus  est  a  pectore. Ad  lioc  dicit  Averroes  quod  nou  est  quia  pectus  est  causa  liuius  motus  ,  sed quia  per  ingressum  aeris  frigidi  laeditur  pulmo,  unde  non  potest  respirare:  quare  con- Ch.  103  recto  cludendum  est  quod  cum  iste  motus  non  sit  tantum  naturalis,  et  quia  pulmo  desiderat aerem  pro  sui  refrigerio,  quod  iste  motus  non  est  tantum  voluntarius,  ut  dixit  Ga- lenus,  nec  tantum  est  a  pectore,  sed  a  pulmone  causatur. Utrum  hoinu  sit  peioris  odoratus  aliis  animalihus. Circa  textum  centesimum  primo  dubitat  Pomponacius,  quia  Aristoteles  videtur dicere  iiic  quod  liorao  est  pravi  odoratus.  IJem  quoque  dicit  in  Ue  seusu  et  sensato et  in  primo  de  Natura  animalium  capite  decimoquiuto;  et  non  est  pro  hoc,  quia  ardor consistit  in  calido  et  sicco;  homo  autem  hal)et  olfactum  uimis  humidum  et  frigidum quia  habet  cerebrum  maius  aliis  animalibus. In  oppositum  videtur  sententia  Aristotelis  in  quiuto  De  generatione  animalium capite  primo  et  secundo,  ubi  in  primo  dicit  quod  omnis  sensus  hominis  est  perfectis- simus.  In  secundo  specialiter  loquitur  de  odoratu  ,  et  ratio  est  pro  hoc  quia  cum homo  sit  perfectissimura  animalium,  videtur  conveniens  quod  habeat  olfactum  valde bonum. De  hoc  uon  oportet  ulterius  quaerere,  quum  habemus  senteutiam  apertam  Ari- stotelis  in  quinto  De  generatione  animaliurn  capite  secundo;  et  Averrois  hic  et  in  De seusu  et  seusato.  Senteutia  Philosophi  est  ista,  quod  quoad  sentire  a  remotis  ipsa sensibilia,  multa  animalia  excedunt  hominem,  quod  vero  ad  distincte  peicipere  ipsa sensibilia  horao  excedit  omuia  animalia.  Quorum  primum  Philosophus  attribuit  situi ipsius  organi;  sicut  enim  si  mauus  admoveatur  oculo,  longius  videt  homo,  quam  si non  ponat,  ita  propter  situm  nasi,  longius  tale  auimal  percipit  odores,  quam  homo. Quod  non  distinote  percipit  odores,  adscribit  Philosophus  ibi  ipsi  complexioui  humanae quae  est  nobilissima.  Conciliantur  illa  dicta  ex  his  quae  dicit  Aristoteles  ibi;  nec  ta- raen  putes  quod  sit  idem  a  longe  sentire  et  bene  distinguere  inter  differentias  sensi- Ch.l03versu  i.ijium^  quum  aliqua  a  longe  percipiunt  sensibilia  ,  nou  tameu  sciunt  inter  ea  di- stinguere,  sicut  sunt  aliqui  senes  qiii  de  longe  vident  colores,  non  tamen  sciunt  inter hos  bene  distinguere. Alia  est  dubitatio  mota  in  textu  commenti  nonagesirai  secundi,  quia  Aristoteles dicit  quod  non    est    facile   determiuare    de    odore,  quia  differentiae    odoris  a  nobis difficulter  cognoscuutur:  uiodo  nos  diximus,  quod  lioc  videtur  falsum,  quia  difteientiae odoris  bene  ab  homine  cognoscuntur.  Ad  hoc  puto  dicendum  quod  licet  differentias odoris  bene  cognoscat,  faciliter  tamen  non  pussit  devenire  in  notitiam  eorum,  sed cum  magna  difficultate  inter  ea  possumus  distinguere;  aliquando  enim  de  aliquo  ha- bemus  scientiam,  tamen  ad  illud  cognoscendum  cum   magna  diffieultate  pervenimus. Ulrum  per  tactum  cognoscatur  hominis  prudentia. Alia  dubitatio  est  quia  dixit  Aristoteles  quod  per  tactum  cognoscitur  horainis prudentia  et  non  per  alium  sensum.  Ideo  quaeritur  utrum  hoc  sit  verum;  et  videtur quod  hoc  possit  fieri  per  alios  sensus,  quum  in  primo  De  natura  animalium  Aristo- teles  dat  modum  quo  cognoscantur  mores  hominum  per  oculos,  nares,  aures  et  similia. Videtur  autem  quod  magis  visus  et  auditus  hoc  faciant,  primo  quia  per  visum  iudi- camus  de  corporalibus  et  incorporalibus,  per  tactum  vero  solum  corporalia  iudicamus; cum  ergo  visus  ad  plura  se  extendat,  videtur  quod  per  visum  magis  arguatur  iuge- niositas,  quam  per  tactum.  Item  quia  nulhis  sensus  ita  certe  iudicat  sieut  (iste)  sensus. Item  quia  est  magis  immaterialis  ipso  tactu; magis  ergo  accedit  ad  intellectum;  quare \idetur  quod  exillo  magis  argaatur  ingeniositas.  Unde  in  proojmio  Metapbysicorum  Cb.  104recto dicitur  quod  visus  maxime  diligitur:  videtur  etiam  hoc  esse  magis  in  auditu,  quia auditus  est  raagis  spiritualis  tactu,  et  magis  accedit  ad  intellectum.  Item  auditus  est sensus  disciplinae. In  oppositum  est  Aristoteles  hie.  Item  tactus  est  fundamentum  omnium  aliorum sensuum;  cum  ergo  nobiliori  coraplexioui  attribuatur  anima  nobilior,  videtur  quod  ex tactu  arguatur  prudentia  raagis  quam  ex  aliquo  alio  sensu. In  hac  raateiia  mihi  videtur  esse  diceudum  quod  tactus  magis  faciat  ad  pni- dentiam,  non  quia  per  se  hoc  faciat,  ut  argumenta  concludunt,  sed  quia  tactus  est universalis  sensus  per  omnes  partes  auimalis  diffusus,  et  fundamentum  aliorum  sen- suura  tam  interioruni,  quam  exteriorum;  hinc  est  quod  tactus  raagis  est  argumentum ad  prudentiam  alio  sensu,  ex  tactu  enim  percipiraus  quod  cogitativa  et  omnes  alii sensus  sunt  boni.  NuUus  autem  sensus  potest  hoc  facere,  quia  nullus  alius  est  ita universalis  sicut  est  iste;  licet  enim  ex  visu  arguaraus  aliquara  dispositionera  ;n  ho- mine,  non  tamen  arguimus  universalem  dispositiouem,  sieut  arguitur  ex  tactu,  et  hoc ■  est  quia  tactus  per  totum  disserainatur.  Ad  ratioues  in  oppositum  dicitur;  ad  primam, dico  quod  visus  per  se  ratione  eorum  quae  cognoscit  magis  facit  ad  hoc;  sed  tactus, prout  est  fundaraentura  omnium  virtutum,  magis  facit  ad  cognoscendum  prudentiam; non  tamen  negamus  quando  ex  visu  et  aliis  sensibus  cognoscatur  bonitas  ingenii, sed  diciraus  quod  magis  ex  tactu  hoc  cognoscitur. Vlrum  se7isus  exterior  cognoscat  suam  operationem. Post  textum  149  dubitatur  prirao  a  Pomponacio  circa  primam  rationem  Aristo- telis  qua  probatur  dari  sensum  coramunem,  et  dubitatur  utrum  aliquis  sensus  exterior cognoscat  suam  operationem,  et  dicitur  quod  sic;  et  primo  de  visu,  quia  Th^mistius in  tertio  huius,  coramento  quarto  in  fine,  expresse  dicit  quod  oranis  sensus  extevior  co- gnoscit  suam  operationem,  et  aliqui  in  florentissimo  gymnasio  patavino  hoc  tenebant. Ch.llSverso Et  ratio  potest  esse  quia  si  sensus  sentit  se,  evgo  et  suam  operationem.  Cousequeutia patet,  qnia  est  difficilius  quod  seusus  se  cognoscat,  quam  suam  operationem  ,  quia est  maior  reflexio  cognoscere  se.  Antecedens  probatur  ,  quia  sentio  me  sentire,  imo lioc  nou  potest  esse  nisi  per  uuam  eteamdem  virtutem,  ergo  etc;  et  confirmatur  quia Aristoteles  in  tertio  huius,  textu  commeuti  noni,  dicit  quod  intellectus  possibilis  se  iu- telligit,  quando,  intelligeudo  alterum,  illud  alterum  fit  ipse  iutellectus;  sed  si  haec  ratio Ch.  UOrecto  valet,  valet  etiam  de  sensu,  quia  sensatum  fit  ipsum  sensitivum,  et  ita,  sentiendo sensatum,  sentiet  se  ipsum.  Item  est  ratio  Aristotelis  quia  unusquisque  cognoscit  se videre.  Vel  ergo  hoc  est  per  visum,  vel  non.  Si  primum,  habetur  iutentum;  si  se- cundum,  scilicet  quod  cognoscatur  ab  alia  virtute,  quaero  de  illa  alia;  vel  ergo  pro- ceditur  iu  infinitum,  vel  aliquis  sensus  cognoscit  suam  operationem,  quare  et  primus, quia  melius  est  resecare  in  principio,   quam  in  fine. In  oppositum  est  sententia  Alexandri,  hic  iu  Paraphrasi  de  anima,  ubi  bene  con- cedit  hoc  de  intellectu,  nou  de  sensu;  et  etiam  Themistius  iu  fine  hujus  capitis  dicit quod  etsi  supra  dictum  sit  quod  sensus  cognoscit  suam  operationem,  non  tamen  est verum.  Et  etiam  Averroes  in  textu  commenti  centesimitrigesimisexti  dicit  hoc,  et  omnes latini  in  hoc  conveniunt,  sed  quid  plus  ?  Aristoteles  ipse  in  De  somno  et  vigilia  huius est  sententlae,  sed  licet  hoc  sit  verum,  tamen  ratio  non  est  adducta  pro  hoc,  ideo est  inquirenda  ratio  de  hoc.  Alexander  adducit  hanc  rationem  quia  seutire  consistit in  pati,  sed  sensus  non  potest  moveri,  nisi  a  suo  obiecto ;  sensatio  autem  non  est suum  obiectum,  ergo  non  potest  moveri  ab  ea,  quaie  nec  eam  sentire;  quae  ratio  vi- detur  frivola,  quia  Aristoteles  videtur  solvere  hanc  rationem,  primo  negando  assum- ptum  quia  Inx  et  tenebrae  videntur,  non  tameu  sunt  color.  Aliam  responsiouem  dat Philosophus  quod  visio  visus  quoquomodo  est  colorati(?).  Themistius  autem  hic  iuoctavo commento  nude  protulit  hanc  quaestionem  sine  ratione,  et  etiam  in  De  somno  et  vi- gilia.  Averroes  adducit  considerationem.  Dicit  ipse:  si  oculus  sentiret  visionem,  idem ageret  in  se  ipsum  respectu  eiusdem;  quia  pro  quanto  reciperet  visionem  esset  patiens, quia  ageret  in  eum  visio,  et  pro  quanto  ipse  visus  esset,  cognitus  esset  agens  in  seip- Ch.llOverso  sum,  quae  ratio  videtur  dubia.  Primo,  si  teneamus  quod  sensatio  realiter  difTerat  a specie  sensibili.ut  multi  Averroistae  teneut,  haec  ratio  non  poterit  stare,  quia  idem sensus  esset  agens  et  patiens:  agens  prout  producit  sensationem,  patiens  prout  recipit speciem  sensibilem.  Sed  vos  dicetis  illa  non  est  opinio  Averrois,  sed  coutra  quod  de intellectu  possibili  dicemus;  qui  intelligit  suam  intellectionem,  et  tamen  haec  ratio est  contra  hoc  de  hoc  intellectu;  quum  si  intelligeret  se,  idem  esset  activum  et  pas- sivum.  Si  vero  dicas  hoc  non  inconvenire  de  iutellectu  quia  datur  intellectus  agens, pari  ratione  dicam  quod  datur  sensus  ageus,  et  dicam  quod  sensus  potest  sentire  se, et  cum  dicitur  idem  esset  nctivum  et  passivum,  dico  quod  non  inconvenit  secundura diversas  considerationes;  nam  sensus  ut  est  passivus,  non  intelligit  se.  sed  ut  est  acti- vus,  et  per  speciem  sensibilem;  sic  et  iutellectus,  qui  ut  est  iu  potentia  non  potest  se intelligere,  sed  ut  informatus  speciebus  aliorum;  et  sic  idem  potest  (se)  movere,  non primo:  imo  Averroes  in  quarto  Coeli  tenet  quod  elementum  potest  movere  se  secun- dum  diversas  rationes;  similiter  et  ego  dicam  quod  sensus  potest  seutire  se,  non  ut passivus  sed  ut  activus  est  per  suam  speciem.  Ideo  latiui  adducunt  aliam  respon- sionem,  q\iia  nuUa  virtus  materialis  super  se  ipsam  reflectitur  ex  libro  De  causis; sensus  autem  est  virtus  materialis,  ergo  non  potest  sentire  suam   operationem.  As- sumptum   probatur  ibi,  quia  nihil  potest  se  ipsum  movere;  virtus  autem  materialis, si  iutelligeret  se,  moveret  se  ipsam.  In  rei  veritate  auctoritas  magna  est,  secl  ratio nou  videtur  bona,  quare   ipsi  habent  concedere  in  motu  loeali  quod  idem  potest  se movere,  et  ita  hoc  potest  esse  in  sensu,  et  etiam  ego  nou   intelligo  quid  sit  reflectere se  super   se.  Ego   dicain  quod  idem  potest  agere  in  se  secnndum   diversas  rationes. Post  hos  sequitur  Joannes  de  Janduno  hic  in  quaestione  propria,  qui  credit  se demonstrare  in  hoc;  et  ratio  sua  est,  quia  si  sensus  cognosceret  suam  operationem,     ch.  120  recto tunc  idem  esset  in  aliquo  subiecto  secundum  esse  reale  et  spirituale,  quia  sensus  realiter habet  sensationem  ct  cognoscit  eam  ipse  sensus.  Sed  contra,  dato  hoc,  intellectus  non posset  intelligere  suam  intellectionem,  quia  habet  eam  et  realiter  et  spiritualiter,  quia eam  cognoscit:  et  hoc  non  est  impossibile,  quia  in  oculo  est  qualitas,  tamen  in  eo  reci- pitur  species  quanti,  et  etiam  uon  inconvenit  hoc,  cum  tale  esse  rcale  est  esse  spirituale; et  iu  proposito  de  hoc  non  habeo  aliquam  rationem.  Credo   tamen  considerationem unam  esse  propter  auctoritatem  tantorum  virorum;  probabiliter  taraen  potest  dici  quod ratio  latinorum  est  vera,  et  forte  volunt  dicere,  quod   nulla  virtus  materialis  supra se  reflectitur,  idest  non   cognoscit  se  primo,   et  istam  rationem  videtur  ponere  Ale- xander    in  Paraphrasi   ista,   capite  26,  ubi  tractatur  de  intellectu  in  actu  ;  et   hoc bene  verum  est  quia  hoc  est  diflficilliraum  ipsi  intellectui,  ergo   raulto  magis   virtuti materiali,  et  ratio  quia  species  repraesentat  illud  obiectum  cuius  est  species;  sed  quod repraesentat  se  et  suum  obiectum,  hoc  arguit  magnam  spiritualitatem,  et  quia  virtus materialis  non  est  multum  spiritualis,  ideo  non  potest  se  cognoscere  per  speciem  obiecti quod  recipit.  Unde  Deus  qui  est  maxime  spiritualis  se  ipsum  per  se  solum  perfectissime cognoscit,  nec  per  species  alienas:  sed  sensus  eo  quia  est  miuime  spiritualis  et  multum imperfectus,  ideo  non  potest  se  ipsum  cognoscere,  quae  ratio  videtur  mihi  probabilis; illa  Alexandri  non  videtur  bona,  quia  Aristoteles  eam  solvit  in  textu  centesimotrige- simo  octavo,  et  ratio  Averrois  nihil  valet  neque  illa  Joannis. Ad  argumeuta  dico  quod  Themistius  se  ipsum  retractat  infra,  commento  octavo. Ad  secundum  dico  quod  illud  est  per  figuram  sinechdochen,  in  qua  sumitur  pars  Ch.  120verso pro  toto;  anima  enim  sensitiva  cognoscit  se  ipsam,  quare  per  unam  partem  cognoscit etiam  aliam  partem  et  per  sensum  communem  exteriores.  Ad  aliud  nego  similitudinem, ■quia  intellectus  potest  hoc  facere  quia  est  maxirae  spiritualis,  quod  non  est  in  sensu. Ad  ultimum,  dico  quod  est  devenire  ad  intellectum  qui  per  se,  et  suam  operationem cognoscit  propter  sui  immaterialitatem. Eestat  modo  videre  quia  Philosophus  dixit  quod,  si  seusus  communis  cognoscit contraria,  ergo  patitur  simul  a  contrariis.  Aristoteles  dicit  quod  sensus  communis  est ruuis  subiecto,  non  forma:  quae  responsio  videtur  accedere  ad  dubium  motum,  ut patet,  quia  arguit  quod  contraria  erunt  in  eodem,  et  ipse  dicit  quod  est  unus  secun- dum  obiectum  (?)  et  ita  non  respondet. Alexander,  Themistius  et  omnes  dicunt  ad  hoc;  et  dicit  Themistius  quod  sentiens album  et  nigrum  non  est  album  et  nigrum,  et  breviter  dicunt  quod  secundum  esse spiritualem  non  habet  veritatem,  licet  secundum  esse  reale;  et  cum  dicitur  causae  sunt contrariae,  ergo  eifectus  sui  sunt  contrarii;  dico  quod  est  veruni  in  actione  imivoca,  et haec  est  responsio  Averrois  in  quarto  Metaphysicorum:  speeies  autem  et  obiectum  sunt (liversarmn  riitiouiim.  Sed  quare  Aristoteles  uon  posuit  (eas).  dico  quod  dimisit  lioc,  quia erat  notum.  Sed  statim  erit  dutitatio,  quia  male  videtur  dicere  Aristoteles  dicendo quod  sensus  communis  est  unus  subiecto,  et  multa  ratione,  et  tamen  ipse  non  potest negare  hoc,  quia  est  imus  subiecto  et  plures,  quia  est  visus,  gustus,  et  omnes  alii sensus,  pro  quanto  terminat  sensationem  omnium.  Ad  hoc  dico  quod  argumentuna Ch.  121  recto  concludit,  nec  Averroes  negat  hoc,  sed  dicit  qnod  melius  est  putare  quod  sit  unus secundura  formam  et  multa  secundum  materiam,  quam  quod  sit  unus  subiecto,  et multa  secundum  formam.  Nec  ista  sunt  opposita;  est  enim  multa  pro  quanto  terminat omnes  quinque  sensus,  est  autem  unus  ut  iudicat  omnia  sensibilia.  Et  quia  potentia secuudum  operationem  suam  recipit  unitatem,  cum  dignior  operatio  eius  sensus  com- munis  sit  iudicare  de  sensibilibus,  quam  recipere  sensibilia,  et  iudicare  sit  a  forma, recipere  Vero  a  materia,  ideo  dicit  Averroes ,  quod  dignius  est  quod  dicatur  unus secundnm  formam,  et  multa  secundum  materiam,  quam  quod  dicatur  unus  secundum materiam,  ct  multa  secundum  formam,  non  tamen  ita  quod  istud  non  possit  dici; imo  ita  est,  quod  est  unus  subiecto,  et  multa  ratione,  quia  est  oranes  quinque  sensus, ut  supra  dictum  est;  sed  quia  haec  nnitas  est  a  materia,  illa  vero  a  forma,  ideo  di- guius  est,  et  non  est  quod  sit  unus  forma,  et  multa  secundum  materiara. Et  sic  iu  uomine  Dei  et  Beatae  Virginis  finit  secundus  liber  quaestionum  se- cuudi  De  Anima. QAESTIONES  LIBRI  TERTII Ulrum  iski  propositio:  omne  recipiens  dehet  esse  denudatum-  a  natura   recepti,     Ch  l^flrecto sit  vera  in  actione  reali. In  commento  quarto  Pomponacius  examinat  istam  propositionem,  scilicet:  omne recipiens  debet  esse  denudatiim  a  natura  recepti,  quia  Commentator  secundo  huius, commento  sexagesimoseptimo.  dicit  quod  est  vei-a  in  actione  reali  et  spirituali.  Primo videndum  est  in  actione  reaii  quoad  primam  partem,  scilicet  quod  esseutia  uuius  nou sit  de  essentia  alterius.  Piimo  dico  quod  stat  ut  sint  diversae  genere,  quum  materia prima  est  receptiva  qualitatis,  et  tamen  recipiens  quod  est  materia  prima,  et  receptum sunt  diversa  genere;  et  quaravis  sint  diversorum  generum,  non  tamen  oportet  esse  ita diversa  ut  uullo  modo  conveniant,  quia  oportet  agens  et  passum  in  materia  convenire ideo  materia  prima  non  potest  intelligentias  recipere,  quia  nnlla  est  uni- genitas  inter  ipsa;  possunt  ergo  esse  ambo  diversoram  generum  in  actione  reali,  sed quod  sint  idem  secundum  speciem  irapossibile  (est),  quia  receptivum  habet  rationem potentiae,  receptum  vero  actus;  non  autem  videtur  duo  in  eadem  specie  fundari,  et  a forliori  nec  idem  numero  poterit  se  ipsum  realiter  recipere.  Statetiam  quod  sinteiusdem praedicamcnti,  sed  remoti,  quando  illud  genus  dicitur  de  illis  analogice,  ut  materia et  forma,  quae    non  sunt  sub  aliquo  genere  univoco;  forte  etiam  quod  possunt  esse ejusdem  praedicamenti    nnivoci,    quia  forraae  elementorum  recipiunt  formam    mixti. Est  ergo  vera  de  naturali  receptione.  sed  hoc  non  facit  ad  propositum,  quia  qnae- ritur  de  esse  spirituali;  nam  iutellectus  recipit  iioc  modo;  ideo   quaestio  consistit  in hoc:  Utrum  aliquid  possit  recipere  speciem  suimet,  vel  alicuius  quod  est  idem  specie cum  eo,  et  primo  dicamus  in  quo  est  possibile.  Primo  quod  sint  distincta  genere  est certum,  nam  oculus  spiritualiter  recipit  quantitatem;  moJo  potentia  visiva  et  quan- titas  non  sunt  eiusdem  praedicamenti.  Quod  autem  aliquid  recipiat  speciem  sui  ipsius est  impossibile,  nam  idera  esset  recipiens  et  receptum.  Ex  qua  ratione   concludebat Averroes  intellectum  possibilem  esse  immaterialem,  et  videtur   quod    ista   ratio  sit     pj^  jq^  ^^,.3^ nulla.  quia  ego  dicam  quod  intellectus  est  materialis.  et  cum  dicis:  tunc  non  reci- peret  omnes  formas  materiales,  dico    quod    hoc    verum  esset    si   intelligeret  omnes formas  materiales  per  propriam    speciem.  Sed  si  (se?)  ipsum  intelligit    per    speciem alienam  ut  infra  dicetur?  Sed  contra  tu  dicis    quod  si  intellectus    intelligit   se    per speciem  alienam.  alia  tamen  intelligit  per  speciem  propriam.    Sed   contra  arguitur, quia   vel    cogitativa   cognoscit  se    vel   non.   Si  priraum,   vel   per    speciem    alienam vel  per  propriam;  si  per  suam  ergo  intellectus,  quamvis    sit    materialis,  poterit   se per    speciem  propriam  intelligere;  si  autem   intelligit  se  pei    speciem  aliorum  cogi- tativorum.  cum  sint   eiusdem  speciei  istae  cogitativae,  recipiens  non  erit  denudatus in  specie  a  natura  recepti.  Si  dicas  quod  cogitativa  non  cognoscit  se,  sed  intellectus eam   cognoscit,  contra.-   intellectus    nou    cognoscit  per   se  ,   et   directe  nisi  ea  quae prius    fuerant     in   cogitativa:   ergo   debet    intelligere    cogitativam,  quod   cogitativa prius  se  ipsam  intellexerit,  quare  et  idem  de  intellectu  dicetur.  Si  dicas  quod  cogitativa intelligitur  ab  iutellectu  per  speciem  aliarum  rerum,  pari  modo  dicam  quod  intel- lectus  intelligit  se  per  speciem  aliorum,  et  sic  nou  sequitur  quod,  etsi  intellectus sit  materialis,  quod  non  omnia  iutelligat.  Et  si  dicas  quod  idem  ageret  in  se  ipsum, respondetur  quod  lioc  nou  inconvenit  in  actione  aequivoca,  ut  concedit  Scotus;  quando autem  intellectus  se  ipsum  intelligit  est  actio  aequivoca.  Item  experientia  docet quod  homo  potest  se  ipsum  in  speculo  videre,  ergo  idem  recipit  speciem  sui.  Sed  ad hoc  potest  dici  quod  tu  deciperis,  quia  credis  quod  quando  oculus  videt  se,  idei^  sit recipiens  et  receptum,  sed  non  est  verum,  et  recipiens  est  potentia  visiva,  et  rece- ptum  est  color,et  idem  non  sunt  eiusdem  speciei.  Ad  iJ  quod  dicitur  de  Scoto,  commu- niter  dicitur  quod  est  contra  Aristotelem  in  septiiuo  et  octavo  Physicorum,  sed  contra adhuc  instatur,  quia  idem  amat  se,  et  amare  praesupponit  cognoscere. Ch.  127  recto  Item  equus  amat  suos  filios,  qui  suut  eiusdem.speciei  cum  eo;sed  dices  quod' equus  scit  tantum  figuram  et  colorem,  contra  iu  fiue  secuudi  huius  diciturquod  homu sentit  se  sentire;  modo  si  sentio  me  sentire  hoc  non  potest  esse  nisi  refiectam  me super  me,  scilicet  quod  ego  me  coguoscam,  sed  ego  sum  virtus  raaterialis,  ergo  virtus materialis  potest  se  cognoscere. Ad  hoc  respondetur  quod  non  est  per  idera,  quia  cognoscens  est  sensus  comauinis, quod  autem  coguoscitur  est  sensus  exterior,  nec  idem  est  es  toto,  unde  seusus  commu- nis  uou  sentit  se  sentire.  Et  ita  alias  solvi  hoc  argumentum. Sed  hic  sermo  non  videtur  verus,  quia  Themistius  iu  secuudo  De  auima  videtur dicere  quod  sensus  seutiat  suam  operatiouem.  Ad  illud  quod  dicebatur  de  Scoto quod  est  contra  Aristotelem,  de  hoc  Deus  scit  veritatem.  Unde  per  accidens  potest aliquid  movere  se,  et  reflexe  intelligit  se.  Quare  videtur  quod  ista  propositio,  omue  reci- piens  etc.  sit  vera  in  actioue  reali,  sed  in  spirituali  est  dubia,  et  ideo  videtur  quod ratio  Philosophi  sit  vix  persuasiva,  et  nou  transcendat  rationem  probabilera.  Quauturasit de  secunda parte  suae  propositionis,  scilicet  omne  etc.  secundum  substantiam,  piimo dicemus  de  receptione  reali,  et  primo  dico  quod  receptio  alicuius  entis  realis habeat  aliquid  reale,  et  alterius  generis  ab  eo;  ut  materia  priraa  si  debet  recipere qualitatem,  oportet  ut  prius  habeat  quautitatem,  sed  hoc  est  secundum  diversa  genera, et  aliquando  recipiens  habet  aliquid  de  recepto  seeundura  idera  genus,  imo  uon  potest recipere  illud  nisi  habeat  aliquid  ex  illo.  Verbigratia  si  materia  debet  recipere  qua- litates  secundas,  oportet  quod  prius  habeat  primas,  sed  taraeu  sunt  eiusdem  generis proxirai;  sed  loquendo  de  his  quae  sunt  in  eodem  genere  proximo.  semper  recipiejis debet  habere  qualitatem  oppositam,  ut  si  materia  debet  recipere  caliditatera.  oportet ut  prius   habeat  frigiditatem.  Sed   loqueudo  de  his   quae  suiit  eiusdem  speciei,  dico Ch.  127verso  quod  in  qualitatibus  intensibilibus  et  remissibilibus,  recipiens  debet  carere  specie eius  quod  recipitur  nou  absolute.  sed  solum  sub  illo  gradu;  verbigratia  si  materia debet  recipere  caliditatem  ut  octo,  debet  carere  solum  hoc  gradu  caliditatis  quae  est ut  octo,  et  non  aliis,  imo  est  necessariuni  ut  habeat  caliditatem  sub  alio  gradu  magis remisso.  Et  de  Iioc  sunt  duae  opiniones.  Aliqui  ut  Scotistae  et  raulti  Thoraistarura tenent  quod  accideutia,  solo  numero  differentia,  possuut  esse  in  eodera.  Alii  tenent  quod non,  nec  naturaliter  nec  per  potentiam  divinam  quamvis  putem  istos  non  esse  raul- tum  discordes  et  hoc  quoad  esse  reale;  sed  tota  dilHcultas  est  de  esse  spirituali;  pro quo  est  sciendum,  quod  lioc  potest  intelligi  tribus  modis.  Primo,  qnod  recipiens  aliquid secundum  esse  spirituale,  sit  denudatum  a  natura  recepti  spirituaUter,  ut  si  debeo  reci- pere  speciem  «,  oportet  quod  uon  habeam  speciem  a.  et  iste  sensus  non  est  ad  pro- positum.  Alio  modo,  quod  recipiens  aliquid  sub  esse  reali,  debet  carere  eo  sub  esse spirituali,  et  iste  non  est  ad  propositum.  Alio  modo,  quod  recipieus  aliquid  sub  esse spirituali  debet  carere  eo  secundum   esse  reale,  el  iste  tertius  modus  est  de  inten- tione  Aristotelis  et  Averrois;    unde  non  est  necessarium,    si  debeat  recipere   aliquid sub  esse  spirituali,   quod  sit  denudatus  omnino  ab  esse  spirituali.  Nam   si  ego  de beo  liabere  notitiam  cousequentis,  oportet  prius  me  liabere  notitiam   praemissarum; scd  tota  contentio  est  utrum  recipiens  sit  denudatum  a  recepto  secundum  genus,  vel secundum  speciem.  Es  una  parte  videtur  quod  sic  de  oculo  icterici,  qui,  propter  colo- rem  citrinum  qui  est  iu  eo,  non  potest  alios  videre ;  videtur  ergo    quod  receptivum rei  alicuius  generis  debet  carere  omni  eo  quod  est  eiusdem  generis.  Ex  altera  parte videtur  oppositura  quia  tactus  est  receptivus  qualitatum  extremarum,  et  tamen  habet illas,  quia  habet  medias;  quo  stante  est  magna  difficultas,  quare  ita  sit  in  tactu,  et nou  iu  aliis  sensibus,  et  ita  rafio  Philosophi  non  videtur  vera.  Contra  e^perientia  est iu  oppositum.  quia  visus  recipit  speciem  figurae  et  tamen  realiter  est  figuratus.  Item     Ch.  l28recto cogitativa    est   quanta  et  recipit  speciem  quantitatis.  Ad  hoc  posset  dici,  quod  nou est  simile  de  istis  virtutibus  ad  intellectum,  quia  intellectus  ultra  hoc  quod  cognoscit alia,  cogiioscit  etiam  se,  sed  istae  virtutes  nou  cognoscunt  se,  saltem  potentia  visiva. Contra,  quomodo  Deus  et  Intelligentiae  sunt  immateriales  et  tamen  cognoscunt  omnia sub  ratione  sui,  et  etiam  cognoscuut  se,  ita  et  intellectus,  quamvis  sit  materialis  poterit tamen  omnia  cognoscere  sub  ratione  illius  formae  materialis,  quam  haberet;  cuius  op- positum  superius  dicebatur.  Insuper  ista  ratio  fuudatur  super  hoc  quod  omne  recipiens debet  esse  denudatum,  etc,  sed  contra,  quia  ex  hoc  probabitur  illum  esse  materialem, quia  comprehendit  materialia,  ergo  non  debet  esse  immaterialis. Item  sicut  se  habet  materiale  ad  immateriale,  ita  immateriale  ad  materiale;  sed materiale  poterit  recipere  materiale.  Et  ita  circa  hoc  sunt  diibia;  sed  quia  Aristoteles, Themistius,  Averroes  et  Thomas  habent  hauc  rationem  pro  manifesta,  et  quia  Aristo- teles  numquam  dixit  aliquid  nisi  cum  ratione,  et  quia,  ut  dicit  Alexander  supra  ser- mone  istius  viri,  quis  est  magis  remotus  a  contradictione,  ideo  couabimur  defendere istam  rationem,  quae  ratio  bene  intellecta,  si  uon  est  demonstrativa,  tamen  ei  multum approximatur. .  Pro  qua  est  sciendum  duo  esse  in  mrmdo  multum  similia:  lutellectus  possibilis et  Materia  prima  in  tantiira  quod  aliqui  dixerunt  quod  essent  idem.  Ad  quae  cogno- scenda  philosophi  proeesserunt  eadem  via;  ex  eo  enim  quod  materia  prima  reeipit  . omnemformam,  concluditur  in  primo  Physicorum  quod  non  est  aliqua  earura :  ita  intel- lectus  possibilis  ex  eo  quod  recipit  formas  materiales  concluduat  quod  nou  habet  aliquam earum.  Sed  differunt  inter  se,  quia  intellectus  recipit  tantum  spirituaUter  sub  esse universali,  sed  materia  prima  recipit  realiter  sub  esse  signato,  et  ideo  intellectus  potest se  intelligere  et  non  materia  prima.  Videns  ergo  Aristoteles  hoc,  ex  sensatis  in  sensata procedeus,  cum  cognitum  fit  coguoscens  secundum  esse  spirituale,  sic  amans  amatum,  Ch  12S  verso et  sensus  recipit  spiritualiter ;  dixit  quod  intelligere  est  sicut  sentire  et  in  textu tertio  disit  quod  oportet  iutellectum  esse  in  potentia  ad  intelligibilia.  Ulterius  vidit Aristoteles  quod  esse  materiale  impedit  spintuale,  vel  in  toto  vel  in  seusibus  aliis  a  tactu, nam  oculus  ictericus  non  potest  omnes  colores  recipere;  vel  iu  parte  ut  in  tactu,  qui cum  habeat  qualitates  medias  inter  extrema  quae  habet  sentire,  perfecte  non  potest sentire  qiialitates  tangibiles.  Uude  aequaliter  calida,  et  aequaliter  frigida  non  sentimus. Et  i-i  dicatur  quod  omnis  sensus  tam  interior  quaui  e.\terior  recipit  quautitatem, non  tamen  est  denudatus  a  quautitate:  potest  respondeii  quod  quantitas,  aut  qualitas, nec  aliquid  sensibile  commune  sentitur  per  propriam  speciem,  ut  teneut  Thomas  et  Aegi- dius;etdato  quod  cognoscantur  per  propriam  speciem,  dico  quod  non  seutiuntur  nisi permixta  cum  propriis  seusibilibus.  Et  quod  dicitur  de  sensu  exteriori,  dico  quod  non sentitur  per  propriam  spefliem;  scilicet  vel  si  sentitur,  diminute  sentitur. Resumendo  ergo  dicamus  quod  cum  cognitum  iiat  cognoscens  secundum  (esse)  speri- tuale,  et  quod  esse  materiale  vel  impedit  coguitionem  in  toto  vel  in  parte;  cum  ergo  iutel- lectus  habeat  omnia  materialia  sub  esse  spirituali,  et  sincere  et  perfecto  modo  ea  coguo- scat,  oportetutcareat  omnino  esse  materiali.  Unde  cogitativa,  quae  est  materialis,  nonnisi involute  et  modo  imperfecto  istas  res  materiales  cogiioscit ,  et  hoc  est  illud  quod  dixit textu  commenti  quadragesimiprimi,  quod  si  haberet  aliquam  formam  materialem,  reci- pere  probiberet  extraneam  et  obstrueret  ipsam,  et  propter  hoc  Aristoteles  maxime  laudat Anaxagoram  ponentem  intellectum,  ad  hoc  ut  imperet  omnibus,  esse  abstractum.  Aristo- teles  autem  hoc  dixit  propter  intelligere:  nam  cum  perfectissime  materialia  intelligat,  de- Ch.  129  recto  bet  ab  eis  esse  deniuiatus  et  hucusque  ista  ratio  est  probabilis;  videtur  euim  ratiouabile quod  si  omnes  formas  recipit  ut  sit  denudatus  ab  eis,  sic  ut  materia  prima  est  denudata ab  omnibus  formis  materialibus,  et  ideo  dicit  Aristoteles  textu  commenti  sexti  quod rationabile  est  ipsura  non  esse  corpus,  nec  virtus  in  corpore;  nec  aliquis  negaret  hoc, quamvis  non  sit  demonstrativum,  quia  aliqui  tenent  quod  cogitativa  omnia  materialia et  etiam  se  cognoscat,  et  tamen  ipsa  est  materialis.  Sed  alia  ratio  est  quae  probat necessitatem  huius,  quia  scilicet  omnia  intelligit,  ut  universalia  et  particularia  et  etiam abstracta;  si  esset  materialis.  abstracta  et  universalia  efficerentur  materialia;  quod  pro- batur  quia  omne  quod  recipitur,  recipitur  secundum  cgnditiones  recipientis;  si  ergo iutellectus  est  materialis,  cum  intellectus  recipiat  universalia  et  abstracta,  ipsa  quoque abstracta  efficerentur  materialia  quia  reciperentur  iu  divisibili;  quod  recipitur  in  divi- sibili  est  divisibile,  si  ergo  sunt  divisibilia  suut  et  materialia.  Unde  quamvis  omnes qualitates  de  natura  sua  siut  iodivisibiles,  tamen  efficiuntur  divisibiles  a  subiecto quanto  in  quo  suut,  ut  dicitur  primo  Physicorum  textu  commenti  decimioctavi  et  ista est  ratio  Aristoteles  per  quam  probat  auimam  esse  immaterialem.  Unde  in  textu commenti  quarti  dicit  quod  si  omnia  intelligit,  necesse  est  immixtum  esse;  non  dicit si  tantum  materialia  iutelligit. Et  si  dicas  quod  ratio  Aristotelis  fundatur  super  illam  propositionem:  omne  reci- piens  etc.  ut  dicit  Averroes,  dico  quod  Aristoteles  fundat  se  super  illam  propositio- nem,  quoad  probabilitatem  rationis,  nou  quoad  necessitatem;  demonstrativa  autem ratio  est  supor  hoc,  quod,  quia  omnia  tam  materialia  quam  immaterialia  intelligit, oportet  ut  sit  abstractus. Ch.  129  verso —  149  — Vtrum  anima  sit  mortalis.  Ch.  ISOrecto lu  tcxtu  octavo  qiiaerit  Pomponaciiis  xitnira  anima  sit  mortalis,  vel  non;  et  primo qiiaerendum  est  utrum  sit  materialis ;  si  enim  est  materialis  est  mortalis,  si  est  imma- terialis  est  immortalis ;  et  primo  arguo  quod  sit  immortalis  quia  in  hac  parte  arguit Aristoteles;  et  cum  duplex  sit  eflfeetus  animae  intellectivae,  silicet  intelligere  et  velle, ex  utroque  probalnmus  eius  immortalitatera.  Prirao  ex  intelligefe  per  rationem  Avisto- telis  superius  factam.  Cum  enim  Aristoteles  viderit  auimae  operationera  esse  intelligere, ex  quo  quandoque  actu  intelligiraus,  quandoque  potentia,  cum  ista  (non?)  sit  operatio immanens.  oportet  quod  intelligere  in  quodam  pati  consistat.  Ulterius  vidit  quod  cum liaec  passio  assirailetur  sensationi,  cum  sensatio  fiat  per  spiritiialem  receptionem,  con- cluditur  quod  iutelligere  iiou  fiat  per  realem,  sed    spiritualem    receptionem.  Ex  liis conclusit  quod  si  intelligit  omnia  materialia,  recipiet  species  eorum  spiritualiter,  quare rationabile  videtur  quod,  cum  esse  materialiter  irapediat   spirituale,  quod  intellectus sit  immaterialis;  unde  tactus  quia  habet  in  se  qualitates  taugibiles,  non  bene  oranes percipit.  lutellectus  vero,  quia  perfecte  habet  recipere  oranes  forraas  materiales,  cura iutelligat  recipieudo,  ratiouabile  videtur  quod  non  sit  materialis,  sed  abstractus.  Non euim  esse  materiale  et  immateriale  beue  si  compatiuutur  iusimul  (sic),  et  nos  diximus non  esse  simile  de  materiali  et  imraateriali,  quia  materiale  impedit  cognitionem:  esse vero  spirituale  et  abstractum  uon  impedit,  imo  auget  coguitionem,  et  ideo  immaterialia possuut  cognoscere  materialia,  et  uou  e  contra.  Sed  Averroes  adducit  aliam  rationem: quod  si  intellectus  esset  materialis  nou  posset  se  coguoscere,  quia  cum  iutelligat,  reci- piendo  reciperet  (deciperet?),  quare  se  raoveret:  quod  tameu  est  falsum  (')  in  forma  raate- riali,  qnamvis  in  forma  imraateriali  hoc  non  sit  iuconveuiens.  Unde  Deus  se  coguoscit,  et aliae  intelligeutiae.  Contra  hoc  tamen  sunt  adducta    quaedam,   quia   etsi   haec  ratio     ch. ISOverso videatur  coucludere,  nou  taraeu  cogiE,  quia  uos  \idiuui3  tot  et  tauta  fieri  ab  aniraa- libus  brutis,  ut  aliqua  superent  uos  in  iustitia,   amore,  et  artificio,  ut  scribitur  iu Commento  de  natura  animaliura.  Unde  et  videtur  quod  se  ipsa  possent  cognoscere ; non  igitur  argumentum  valet  quod  sit  immateiialis  ex  hoc  quod  faciat  ita  perfectas operationes,  quia  et  alia  aniraalia  hoc  faciunt.  Etsi  ratio  haec  sit  iugeuiosa,  taraen  in ratione  Aristotelis  (non)  contiuetur.  Ad  obiecta  autem  dicit  Avicenna  in  prirao  Natura- lium:  esto  quod  bruta  habeant  tam  perfectam  operationem,  et  quod  se  cognoscant,  quare hoc  concedit,  tamen  coguoscunt  se,  in  quantum  compositiim  illud,  et  non  segregando  se a  materia  et  a  quautitate;  et  dicit  hic  Alexander,  anima  nou  rauonalis  (non)  cognoscit uaturara  suam  distiugueudo  se  a  corpore,  et  a  quantitate,  quia  anima  rationabilis  se distincte  cognoscit,  auiraa  vero  brutorum  non  coguoscit  (distincte),  quia  non  estsepa- rata  a  raateria  et  quantitate,   sed   cognoscit  se  totura   cognoscendo,  et  dicit  ex  hoc apparere  eara  non  esse  iramaterialem  quia  non  potest  se  segregare  a  raateria.  Ope- ratio  iusequitur  esse.  Si  ergo  nou  potest   se  extra  materiam  cognoscere,  non  potest esse  extra  materiam. Amplius  nou  possumus  dicere  quod  sit  materialis  quia  uuiversaliter  coguoscit,  quod nou  posset  esse  si  intellectus  esset  materialis  et  extensus,  operatio  euim  insequitur  esse ; (')  Nel  senso  di  causa  di  errore. Ch.  i:i!  recto et  hoc  notavit  Aristoteles,  cum  dicit  qiiod  si  iutelligit  omuia  necesse  est  immixtum  esse. Ad  hnc  accedit  quod  intelligit  iudivisibilia;  separat  euim  punctum  a  linea  et  longitudi- nem  a  latitudine,  quae  virtus  materialis  non  potest  cognoscere,  uullus  enim  seusus  exte- riorum  aut  interioi-ura  cognoscit  indivisibile:  cognoscit  etiam  unitatem  quae  est  puncto abstractior.  Item  iutelligit  Deum,  et  lutelligentias,  quod  nonposset  facere  si  materialis esset,  quia  operatio  supponit  esse;  si  ergo  esset  materialis  nou  posset  operari  circa  imma- terialia.  Unde  dicit  Plato  in  Phaedone:  Quomodo  purum  possit  ab  impuro  coguosci?  Item nulla  virtus  materialis  liabet  operationem  infinitam.  Intellectus  habet  operationem  infi- nitara,ergo  non  est  materialis.  Anterior  est  Aristotelis    Pliysicorum;  brevior  patet  quia intellectuSjintelligeudo  uuiversalia,  infinita  intelligit,ut  intelligeudo  hominemin  commu- ni,  infinitos  homines  intelligit,  quia  homo  est  ut  horao  multiplicatus  in  infinitum;  et etiara  cognoscit  numeros  infinitos  et  dividit  continuura  in  infinitum,  et  intelligit  infi- nitum  terapus,  et  motum  et  relatioues,  quao  sunt  modicae  eutitatis,  et  secundas  inten- tiones.  Item  habet  operationes  circa  ens  et  non-ens ;  cognoscit  enim  utrumque,  et  utrum- que  raisurat  (niensurat).  Itera  dispersa  colligit  et  unit,  ut  individua  iu  specie:  species vero  in  geuere,  quod  nou  facit  virtus  materialis,  et  ista  est  prima  ratio. Secunda  ratio.  Nulla  res  in  sua  perfectissima  operatione  imperticitur.  Unde  aqua  si non  raoveatur  raarcescit,  et  etiam  ignis;  perfectissima  enim  operatio  animae  est  intelli- gere,  orgo  maxiraum  intelligere  erit  maximaeius  perfectio;  cura  veroraaxime  intelligat quando  abstrahit  a  corpore,  ratiouabile  est  quod  ipse  quoque  (intellectus)  sit  abstractus; aliter  enim  si  esset  materialis,  quauto  magis  esset  iu  materia  magis  perficeretur; ipse  vero  quanto  magis  a  corpore  abstrahitur  tanto  magis  perficitur.  Unde  videmns quod  isti,  qui  a  sensibilibus  istis  abstrahunt,  magis  intelligunt;  illi  vero  qui  in  istis materialibus  versantur  ignarisunt,  et  hanc  rationem  posuit  Plato  iu  Phaedone.  Item  nulla ros  uaturaliter  sibi  repugnat;  iutellectus  maxime  coipori  repugnat,  ergo  iutellectus uon  est  materialis.  Brevior  declarabitur  in  nobis,  ratio  enim  et  appotitus  aliquando repugnant  in  raateria.  Corpus  enim  in  malum  sua  natura  inclinatur.  Intellectus  ab  hoc Cli.  l;;i  vcvso  retrahere  nilitur:  si  omnino  esset  materialis,  quomodo  esset  ista  rebelIio?Item  intel- lectus  liber  est  et  libere  agit;  (quid)  si  autem  esset  materialis?  Quia  quae  materiae  affixa sunt  necessario  aguut,  et  quamvis  mirabilia  agant,  non  tamen  ex  ratioue  sed  ex  quadara naturali  iuclinatione  id  faciunt;  unde  omnia  talia  animalia  simile  oportet  ut  consti- tuant,  ut  hirundiues  quae  tanta  arte  nidum  faciuut,  omnes  tamen  uno  et  eodem  modo faciunt. Tertia  ratio  ex  voluntate  sumitur.  Dixiraus  quod  ex  quo  infinita  intelligit est  iramaterialis.  Item  etiam  potest  dici  de  voluntate,  voluntas  enim  nostra  in  infi- nitum  fertur;  appetiraus  enira  per  infinitura  tempus  esse ;  virtus  autem  materialis  non potest  in  infinitum  ferri,  ex    Physicorum;  intellectus  ergo  non  erit  materialis,  quare nec  mortalis.  Forte  huic  rationi  aliquis  respondebit  qnod  etiam  bestiae  appetunt hoc:  scilicet,  semper  durare;  videmus  enim  quod  fugiunt  raortem;  vel  ergo  bestiae erunt  immateriales,  vel  anima  nostra  propter  hoc  non  erit  dicenda  immortalis.  Sed istud  nihil  valet,  quia  bestiae  non  appetunt  hoc  appetitu  cognoscitivo,  quia  appe- titus  nou  fertur  in  incognitum,  bestiae  autem  non  cognoscuut  infinitum  sed  tantura secundum  hic  et  nuuc,  et  si  fugiunt  mortem,  hoc  non  est  quia  futurum  cognoscant, sed  quoniam    videtur  malum  sibi  praesens;  imo  Themistius   in  multis  locis  clamat qiiod  non  cognoseunt  nisi  obiectum  praesens.  Sed  adliuc  iQstabitur,  quia  iste  appe- titus  erit  vanus,  non  autem  naturalis,  quia  appetitus  naturalis  ex  toto  non  fnistra- tur.  Iste  autem  appetitus  est  ad  impossibile,  quare  istud  non  arguet  immortalitatem animae.  Pico  haec  nihil  valere,  imo  appetitus  iste  est  naturalis,  et  est  a  volun- tate  nostra  intrinseee;  cognito  enim  aeterno  cupimus  et  nos  aeternos  fieri  et  immor- tales;quod  etiam  declaratur  quia  iste  appetitus  est  in  omni  homine;  homines  enim  ». omnes  appetunt  esse  immortales;  si  autem  est  in  omni.  erit  naturalis.  Quod  vero dicunt  istum  appetitum  esse  ad  impossibile  nihil  valet,  et  contra  eos  reflecto  argu- mentum  quia  iste  appetitus  est  in  omni  homine,  ergo  naturalis;  si  ergo  appetitus ad  esse  semper,  est  naturalis,  non  poterit  frustrari;  quare  argumentum  est  contra  eos.  Ch.  132  recto Unde  dico  quod  homo,  vel  sit  intellectus  ut  voluit  Plato,  et  videhir  etiam  esse  sen- tentia  Thera.  3'  De  anima  s.'"  27°,  vel  saltem  est  (sit)  per  illum,  ut  tenuit  Averroes,  iste appetitus  non  erit  frustra:  quia  homo  est  aeternus  saltem  quoad  animam  rationalem ; et  facit  multum  ad  istud  hoc  quod  illa  quae  propter  animam  sunt  necessaria  iu  inti- nitum  appetimus;  existimatur  enim  quod  homo  infiuitas  appetit  divitias,  etsi  istud sit  impossibile  ;  unde  appetitus  divitiarum  uumquam  terminabitur,  sensitivus  autem qui  est  magis  propter  corpus  terminatur.  ut  si  quis  sitiat  et  famescat. Item  homo  cupit  Deum  maxime  imitare,  ut  intelligendo,  et  huiusmodi  quae  non potest  virtus  materialis.  Item  cum  duplex  sit  scientia,  practica  et  speculativa,  in operationibus  practicis  multa  animalia  conveniiint  cum  homine,  ut  in  construendo nidos  hirundo,  et  apes  in  aedificando,  araneae  in  texendo,  et  in  virtutibus  quoque  mora- libus,  sicut  rex  apum  in  iustitia,  amore  et  fortitudine  et  pietate,  sicut  legitur  in  2" De  historia  animalium.  In  speeulativis  vero  nullus  nisi  bomo  mentis  divinae  secreta intelligit,  atqiie  illa  ordinat;  quare  verisimile  non  videtur  quod,  cum  homo  ita  excelsa intelligat,  et  in  tam  excelsis  delectetur  speculabilibus,  et  a  voluptuosis  rebus,  et  ab omnibus  materialibus  (se)  retrahat,  quod  auima  eius  sit  materialis,  imo  videtm-  oppositum in  adiecto  quod  anima  intelligat  et  sit  materialis.  Causa  enim  intellectionis  est abstractio  a  materia.  Unde  Deus  qui  maxime  est  abstractus,  maxime  intelligit  et intelligentiae  quae  sunt  minus  abstractae  minus  intelligunt.  Istae  tres  rationes  sunt physicae,  sed  ex  operationibus  procedentes. Aliae  sunt  rationes  theologicae  hic  multo  fortiores  quas  ex  Divo  Augustino  eUcio. Prima  ratio  quae  est  4'  in  ordine  est:  quia  videmus  quod  inter  omnia  alia  terrena solus  horao  potest  suum  opificem  cognoscere,  quod  testatur  figura  recta  hominis,  quae  t;h.  132  verso ad  hoc  ei  donata  est  ut  coelum  aspiciat,  et  adorationes  et  templa  et  similia ;  cet^ra vero  non  habent  hoc  quia  tantum  terram  aspiciunt  sicut  mortalia  et  terrena;homo ergo  Doum  cognoscit,  notitia  vero  rei  comprehensae  semper,  ratione  boni,  causat  amo- rem,  ergo  homo  amabit  Deum:  cum  vero  amans  in  amatum  transrautetur,  sicut  intel- ligens  in  iuteliectum,  homo  in  Deum  transmutabitur.  Ex  his  autem  duobus  sequitur delectatio.  Ista  autem  unio  Dei  cum  homine,  quae  fit  per  intelligere  et  amare,  non accidit  nisi  in  anima  purgata  a  vitiis  et  istis  sensibilibus.  Unde  Eustratius  in  primo Ethicorum  dicit;  etsi  virtutes  morales  sint  propter  humanum  genus,  sunt  tamen ut  se  Deo  uniat,  quia  non  potest  eum  homo  coguoscere  nisi  animns  sit  purgatus  a vitiis,  et  ista  praeparant  nos  ad  felicitatem  summam.  Forte  dices  quod  Aristoteles  non ponit  ista.  Dico  quod  sic  in  12  Metaphysicorum,  textu  commenti  £8  et  39,  ubi  dicit quod  voluptas  iu  amando  Deuni  est  in  nol.iis  parvo  tempore,  in  Deo  autem  seniper;  liaec ergo  est  vera  felicitas  (pev)  intellectionem  et  nnionem  Dei,  quamquam  non  potest  haberi nisi  mens  sit  ab  omni  vitio  purgata;  quaero  ergo  an  intellectus  noster  istam  felicitatem intelligat  aut  non;  si  non,  qnoraodo  ista  esset  felicitas  si  homo  non  cognosceret  se  esse felicem?  Si  dicas  quod  intelligit,  et  per  se  anima  aliqnando  non  evit,  quia  est  mor- talis,  ergo  homo  cognoscit  se  aliquando  nnn  esse;  si  sciat  se  quaiidoque  non  esse,  quo- modo  erit  felicitas?  quare  opus  erit  concedere  quod  anima  sit  immaterialis  et  immor- talis.  quod  omnes  philosophi  fatentur. Qninta  ratio.  Certum  est  quod  si  aliquod  est  animal  quod  peccet  in  complexione, compositicne  et  unitate  vel  infirmabitur  vel  morietur,  ut  dicunt  medici :  in  simili  dicit Ch.l.33recto  Aristoteles  primo  Politicorum,  quod  si  sit  aliqua  civitas  in  qua  non  sit  iustitia,  quod non  potest  mnlto  tempore  durare;  cum  ergo  iniusti  faciant  aliquod  malum,  qui  tameu honorantur  a  multis  imo  ab  omuibus,  et  etiam  corpora  eorum  honorifice  sepeliuntur post  mortem,  quaero  tum  an  Deus  scit  ista,  an  non;  si  no-n,  quomodo  est  possibile  hoc quod  omniumcustos  isfca  non  sciat;  si  scit,  vel  punit  istos  vel  non;  non  est  intelligendum quod  non,  quia  esset  iniustus,  ergo  punit;  si  sic,  vel  ergo  in  vita  vel  post  mortem; si  in  vita,  hoc  non  videtur  verum  quia  isti  multum  honorantnr  in  terris  et  quasi  Dei habentur;  si  post  mortem,  vel  punitur  corpus  eorum  vel  anima,  non  corpus  quia videmus  oppositum,  quia  corpus  solemniter  tumulatur;  si  anima  punietur,  si  esset mortalis  non  posset  puniri,  quia  non  esset;  si  ergo  debet  anima  puniri,  necesse  est immortalem  esse.  QuoJ  si  dicas  virtutes  esse  praemium  hominis  virtuosi,  vitium  autem esse  damnum  vitiosi  et  pravi  dum  sunt  in  vita,  hoc  nihil  esset;  tolleretur  enim omnis  iustitia,  quiasi  aliquis  rex  videvit  aliquid  malum  fieri  ab  aliquo  et  eum  nou puniret  ex  eo  quod  ex  vitio  quod  habet  esset  punitus,  iste  rex  iniustus  haberetur. Cum  autera  Deus  sit  maxime  ivistus  debebit  hoc  facere.  Unde  et  Aristoteles  ubique concessit  omnia  a  Deo  provenire.  Istae  rationes  etiam  contra  Averroem  procedunt animarum  pluraiitalem  negantem.  Asserit  enim  omnes  animas,  scilicet  rationales  imam tantum  esse. Sextum  argumentum  est,  quod  si  anima  est  mortalis  nihil  erit  homine  infelicius; quod  probatur  quia  felicitas  hominis  vel  erit  ante  annos  discretionis  vel  post;  non  ante, quia  nec  prima  movetur,  intelligit  autem  aliquid  aliud  et  facit  sicut  servus.  Sed  ista  feli- citas  est  post  annos  discretionis,  est  mevito  bonovura  corporis;  et  hoc  uon;  quia  multa Cli.  l33veiso  auimalia  fortitudine,  decore  et  talibus  nos  viucunt,  et  istud  provenit  mevito  natuvae,  et non  nostvi.  Item  multae  extalibus  rebus  moriuntur.  Vel  ergo  est  propter  bona  fortunae  ut honor,  divitiae,  cognitio,  et  hoc  non;  imo  ista  impediirat  uos  a  felicitate  et  aliqui  illa spreverunt.  Ergo  ista  felicitas  erit  in  bonis  naturae:  vel  eut  in  moralibus,  vel  in  spe- culativis  (virtutibus);  non  inprimo  tantum,  quia  illae  non  complent  felicitatera,  sed suntpotius  contrariae  et  sicut  praeparatio  ad  felicitatem.  Necfelicitas  est  in  bonis  intel- lectivis,  scilicet  in  scientiis  speculativis.  Aliqui  enim  sunt  qui  eas  habent  et  taraen non  sunt  felices.  Consistit  ergo  felicitas  in  utrisque  bonis  intellectus,  scilicet  in moralibus  et  in  speculativis.  Si  ergo  auima  coguoscit  se  quando  in  folicitate  est  con- stituta  et  per  se  ipsam  sit  raortalis,  cognoscit  se  aliquando  non  fore  et  tunc  trista- bitur  cognoscendo  se  morituram,  taleque  bonum  perdituram ;  tunc  autem  homo  felix non    erit,    nec    pvius    etiam    felix.   Sicut  ergo   nunquam   homo    felix  esse   ex   siguo eognoscitur  propter   qiiod  homo  verecundatur  solus  inter  cetera  auimalia,    et  solus etiam  synderesia  habet;   hoc  autem  nou  potest  esse  nisi  quia  solus  cognoscit  se  offeudere suum  creatorem.  Et  istae  sunt  ratioues  probantes  animae  immortalitatem  tam  piiysice quam  theologice.  Pro  qua  parte  sunt  viri  doctissimi  et  integerrimi:  Plato,  Aristoteles, Chaldaei,  et  omnes  leges  et  omnes  prophetae,quamyis  aliqui  dicant  quod  Plato  non  fuerit huius  sententiae,  et  quod  ea  quae  diserit,  propter  vulgares  dixerit;  quod  dicere  impium est,  cum  in  suis  op?ribus  tam  maledicit  meudacibus.  Aristoteles  etiam  fuit  huius  sen- tiae,  quem,  ut  puto,  Alexander  in  hoc  non  intellexit.  Est  enim  sententia  Aristotelis in  primo  De  anima,  textu  commenti  49,  ubi   dicit  quod  est  difBcile  ponere  animam corpori  commisceri,   item   textu  commenti  63  et  66,  ubi  dicit  quod  est  impossibile ipsum  intellectum  misceri;  item  textu  commenti  92  secundi  De  anima  dicit  de  intel-     Ch.  134  recto lectu  esse  alterum  animae  genus;  in  textu  commenti  11  et  21  idem  clamat  in  tertio  isto, textu  commenti  3,  4,  5  et  14  et  per  totum  hune  librum  tertiura.  Idem  in  secuudo  De generatione  animalium  textu  commeuti  3,  ubi  dicit  quod  solus  intellectns  extrinsecus accidit  et  cum  eo  uon  comunicat  actio  corporalis;  et  in  secundo  Metaphysicorum,  textu commenti  7,  dicit  quod  niliil  prohibet  ut  aliquid  post  mortem  remaneat,  scilicet  intel- lectus,  et   secundo  Oechonomicorum  dicit  quod  mulieres  debent  fidem  viris  servare, quia  a  Diis  in  aUo  seculo  felicitabuntur. Alii  deinde  sunt  etiam  dicentes  eam  mortalem  esse.  ut  fuerunt  Epicurei  nihil nisi  corpora  cognoscentes,  ut  Sardauapalus  et  Aristippus  quia  omnia  iu  luxuria  pone- bant,  et  eiusdem  seutentiae  fuit  impius  Liicretius,  quia  cum  animam  esse  mortalem scripsisset,  etiam  se  gladio  interemit,  et  istam  senteutiam  videtur  sequi  Alexander  in libro  De  anima.  Quam  nititur  ptobare  multis  rationibus,  quas  ponit  in  commento  4° et    buae  Paraphrasis.  Et  prima  est  talis:  omnis  forma  generabilis  et  corruptibilis est  materialis,  anima  nostra  est  talis,  ergo  materialis.  Auterior  patet,  brevior  probatur quia  anima  est  terminus  generationis  et  corruptionis;  tunc  sic  (generatio)  est  de  non esse  ad  esse,  ergo  anima  prius  non  erat  ante  geuerationem ;  corruptio  vero  est de  esse  ad  non  esse  et  anima  est  terminus  corruptionis,  ergo  anima  corrumpitur;  nunc corrumpitur  et  prius  geuerabatur,  ergo  est  generabilis  et  corruptibilis.  Quod  si  dicis hoc  est  verum  in  asino  sed  secus  est  in  homine,  quia  potius  est  quaedam  separatio animae  a  corpore  quam  animae  corruptio:  istud  nihil  valet,  quia  motus  et  terminus motus  suut  in  eodem  genere,  et  si  motus  est  materialis,  forma  est  materialis;  motus autem  ad  animam  est  materialis,  quoniam  estperquantitates  proprias  (qualitates  primas?). ergo  forma  (quae)  est  acquisita  per  talem  motum,  quae  est  anima,  erit  materialis.      Ch.  io4verso Item  asiuus  verius  generatur  quam  homo,  quia  (honio)  tantum  applicaret  activa  pas- sivis  sicut  agricola  in  generatione  grani;  quod  probatur;  quia,  si  anima  est  aeterna,  vel fit  a  Deo  vel  non:  si  fit  a  Deo,  tunc  ergo  non  edusit  eam  de  potentia  materiae;  asimis vero  educit  formam  asini  de  potentia  materiae;  eodem  modo  dicatur  si  sit  aeterna  et nou  facta  a  Deo. Secimda  ratio  Alexandri  est  quod  omnis  forma  iuseparabilis  a  materia  est  mate- rialis,  anima  est  inseparabilis  a  materia,  ergo  est  materialis.  Anterior  est  manifesta  et brc\ior  probatur,  quia  homo  est  homo  per  animam;  sed  id,  quo  aliquid  est  tale,  est  eius forma:  ergo  auima  est  forma  hominis,  ergo  est  terminus;  terminus  autem  non  potest separari  ab  eo  cuius  est  terminus;  ergo  auima  non  potest  separari  a  corpore;  et  etiam quia  actus  noii  potest  a  sua  poteutia  liberari;  auirna  autem  est  actus  corporis,  ergo non  potest  a  corpore  separari,  quod  patet  ex  eo  quod  actus  et  potentia  suut  relativa; posito  autem  uno  correlativoruin,  ponitur  et  alterum,  sicut  posito  patre  necessario ponitur  filius.  Si  dices,  at  dicit  Averroes,  quod  Alexander  peccat  per  fallaciam  aequi- vocatiouis,  quuni  auima  aequivoce  dicitur  de  rationali  et  materiali,  et  quod  ea  quae dicit  Alexander  sunt  vera  de  materiali  anima,  rationalis  vero  auima  est  a  corpore separabilis,  ut  dicitur  2"  liuius,  textu  commenti  11;  contra  lioc  subtiliter  arguit  Ale- xander,  quia  quando  anima  nou  est  in  corpore,  vel  est  substantia  vel  accidens ;  non est  accidens,  ut  dat  nobis  prima  cognitio,  ut  dicit  Averroes  secundo  huius,  textu  com-

menti  2;  ergo  (est)  substantia  quae  est  per  se  stans.  Ex  altera  vero  parte  etiam  corpus  per se  stat;  ergo  ex  anima  et  corpore  per  se  actu  existentibus  unum  fiet,  quod  est  falsuni quia  ex  duobus  entibus  in  actu  non  fit  unum,  quia  unum  ab  altero  non  dependet, sed  fit    unum  per   accidens,  sicut  ex    nauta  et  navi;  ex  quo  patet  quod   liomo  non Ch.1.35  recto  erit  quod  est  per  suam  formam,  sed  forma  in  eo  erit  sicut  motor  in  mobili.  Item  si anima  potest  esse  siue  corpore,  quae  est  causa  quod  corpori  uniatur?  Vel  lioc  est  per voluntatem,  vel  in  potestate  alterius;  si  primum,  erit  ista  opinio  Pythagorae  et  anicula- rum;  si  secundum,  quod  (quum)  ista  unio  fiat  per  primas  quaIitates,ergo  anima  materialis erit,  quia  educitur  de  potentia  materiae  per  istas  qualitates,  corrumpitur  per  motum eorum,  et  hoc  sensui  apparet.  Qui  enim  bene  sunt  complexionati  bene  addiscuut,  unde molles  carne  aptos  meute,  duros  vero  ineptos  (esse)    huius,  textu  commenti  94.  Insupcr quomodo  hoc  esse  posset  quod  iret  de  corpore  in  corpus,  nisi  esset  hoc  per  motum localem;  anima  autem  non  movetur  locaI!ter,  quia  non  est  corpus;  quod  si  dicas,  ut tenet  uostra  fides,  quod  vadit  ad  paradisum,  quomodo  hoc  fit  nisi  per  motum  localem? Insuper  per  quam  viam  vadit?  Item  si  est  separata,  vel  intelligit  vel  non;  sinon,esset frustra,  quia  nihil  est  sine  sua  operatione;  si  dicas  quod  intelligit,  quomodo  hoc  fit cum  intelligere  animae  siue  immaginatioue  non  sit? Tertiaratio  Alexandri:  si  anima  est  aeterna,  immaterialis,  aut  est  una  vel  plures; sed  nec  est  una  aut  plures;  ergo  non  est  immaterialis.-  brevior  probatur,  quia  si  dicas quod  sit  una,  aut  dat  esse  aut  non;  si  nou  dat  esse  sicut  Thomas,  Albertus  et  multi alii  attribuunt  Avenoi,  istud  non  est  iraaginabile  quod  sit  uua  forma  homini  tantum assisteus,  quare  homo  uou  intelligeret  sed  tantum  cogitaret,  quia  ego  per  aliquid  quod non  est  pars  mei  (non)  intelligo  sed  tantum  cogito.  Qaod  si  dicas  fabulam  quam  fingit Gandavensis,  quod  homo,  sumendo  hominem  pro  aggregato  ex  corpore  et  intellectu assistente,  intelligit,  non  autem  si  sumatur  pro  corpore  tantum ;  contra  hoc  arguit Thomas  et  bene,  quia  hoc  modo  paries  videret,  quia  aggregatum  tale  videt  per  partem Ch.  ISoverso  aliquam  sui,  scilicet  per  oculum,  dato  quod  oculus  videat  parietem.  Eodem  autem  modo se  habent  phantasmata  ad  intellectum  sicut  colores  parietis  ad  visum.  Item  aggrega- tum  ex  curru  et  bove  intelligeret.  Ideo  posteriores  Averroistae  melius  dixerunt  intel- lectum  dare  esse,  et  hoc  tangit  Thomas  in    Contra  gentiles,  ut  infra  dicemus.  Sed tunc  si  dat  esse,  ergo  forma  Platonis  erit  idem  quod  forma  Socratis;  est  enim  una anima;  si  dicas  eos  diflferre  per  animam  sensitivam,  contra:  quia  per  eam  homo  non  est horao.  Postea  quaero  quare  uuo  intelligente  alii  non  intelligaut:  quod  si  dicas,  ut dicit  Averroes,  diversificari  intellectum  per  phantasmata,  conlra:  vel  intellectus  recipit vel  non:  si  non,  hoc  est  contra  Aristotelem,  qui  dicit,  quod  iba  se  habet  iutellectus ad  intelligibilia    sicut    seusus    ad  seuslbilia.  Sed   de  lioc  iufra  dicemus.  Si   recipiet, ergo  idem    simul    et  semel  recipiet    formas   infinitas,  et  idem   siraul   coutradictoria recipiet.  Opiniones  enim  coutrariorum  siint  contrariae;  lioc  fuit  argumentum  Avicennae. Si  vero  ponas  animam  plurificatam,  coutra:  multitudo  iudividuorum  est  per  materiam quantam,  ergo  auimae  essent  materiales,  quare  et  mortales,  et  uon  recipieut  nisi  sin- gulariter,  et  uon  universaliter.  Si  vero  dicas  animas  differre  specie,  hoc  est  fatuum. Ulterius,  vel  ponis  diversas  animas  secundum  numerum  individuorum,  vel  quod  anima suiBciat  pluribus  individuis.  Sit  quod  quandoque  est  in  uno,  quandoque  in  alio,  sed hoc  est  fabulosum  et  opinio  Pythagoricorum.  Demum  vel  hoc  fit  per  motum  localem, quia  quod  mobile  est  corpus  est;  si  vero  per  motum  alterationis,  anima  educitur  de potentia  materiae,  cum  idem  sit  subiectum  motus  et  terminus  motus.  Si  vero  dicas piimum,    ergo  vel  mrmdus  est  ab  aeterno,  vel  non;  si  sic,  ut  est  sententia  Aristotelis et  Platonis,  videre  (sic)  meo,  infinitae  auimae  erunt,  cum  iufinita  individua  processerint,     Ch.  136  recto nam  aliter  (?)  non  patitur  infinitum.  Si  dicas  mundum  non  esse  ab  aeterno,  erunt  quasi infinitae  animae,  cum  muudus  fuerit  per  tot  saecuhi.  Simplicius  vero,  primo  Coeli,  refert apudAegyptios  fuisse  aunales  de  centum  millibus  annis.etPlato  de  duobus  millibus.Item quaero  si  est  immortalis  anima,  quare  egreditur  (ingreditur)  corpus:  vel  fit  de  novo  a  Deo vel  non;  si  non,  ergo  infinitae  animae  eriint  in  aliquo  loco  determinato.Deiude  quaudo Socrates  generatur,  quare  una  magis  iuformat  Socratem  quam  alia,  et  si  una  informat  quare non  alia,  et  cum  omnis  uon  informet,  nulla  erit  quae   informabit.  Si  primnm,  quod fiat    a   Deo    immediate,    ergo  est    novum  et  omne  novum  est  geuerabile  et  corru- ptibile,  ergo  anima  erit  generabilis.  Nam,  primo  Coeli,  omne  quod  incipit  esse  desinit esse.  Item  aut  auima  immediate  a  Deo  fit  vel  mediate ;  non  immediate  quia  ab  aeterno simpliciter  non  fit  aliquid  novum,  quia  aliter  mutaretur  (Deus);  nam  nunc  facit  etim- mediate  ante  hoc,  non  faciebat,  ergo  mutatur  et  in  Deo  esset  nova  voluutas,  et  electio; quod  eleganter  dixit  AverToes    Physicorum  commento  15°;  si  fit  mediate  erit  mediante motu,  ergo  generabilis  erit  et  corruptibilis,  quia  per  m-jtum  inducta  est  iu  materia. Item  masima  esset  Dei  iniustitia,  quia  poneret  animas  aetirnas  et  immortales  in  materia corporali,  a  qua  quodam  modo  ligantur.  Item  poneret  auimas,  quae  sunt  ita  nobiles. in  materia  ita  rudi  et  admodum  grossa,  siciit  in  aliquibus  hominibus,  qui  ignari  sunt. Item  dicit  Aristoteles,  primo  Coeli,  quod  immateriale  non  potest  formare  materiale,  dicit enim:  immortali  immortale  est  bene  conflatum.  Item  Aristoteles  non  fuit  huius  sen- teutiae  quod  anima  esset  immortalis,  imo  iu  decimo  Ethicorum  ponit  felicitatem  haberi in  hoc  saeculo  per   scientias   speculativas,  et  primo  Bthicorum  cap.  15,  dicit  quod     Ch.i36verso mortuis  uon  contiugit  felicitas.  Si  ergo  non  ponit  felicitatem  post  mortem  signum  est quod  non  ponit  animam  immortalem.  Cuius  signum  est  etiara  quia  Aristoteles  num- qitam  de  hoc  determinavit,  et  miror  multum  de  Alexandro  quod  non  fecit  hauc  rationem, sed  credo  hanc  esse  causam  quia  ipse  non  putabat  aliquem  esse  huius  seuteutiae  quod anima    esset  una  ;  imo    nuUus    ante  Themistium  ct  Averroem  hoc   putavit.   Et  ista suut  argumenta  facta  pro  utraque  parte.  Si  euim  ponis  mortalem  hoc  non  est  con- souum  veritati  philosophorum  et  legum;  si  immortalem  et  ponis  sententiam  Averrois, hoc  videtur  impossibile ;  si  ponis  eas  esse  plnres  diflicile   est  salvare  quod  non  sint materiales.  Etita  ego  sum  iu  maximo  discrimine.  De  hac  quaestione  ego  vellem  esse ieiunus.  Dicam  tamen  quod  seusit  Alexander,  et  quod  ad  obiecta  responderet  contra se  facta.  Circa  quod  est  notandum  quod  omnes  qui  pouunt  animara  intellectivam,  cou- stituunt  eam  in  horizonte  aeternitatis,  et  quod  est  media  inter  aeterna  et  mortalia. Sed  est  differentia,  quia  Christiani  ponunt  eam  abstractam  et  aeternam.  Alii  vero,  ut Alexander,  ponunt  eam  materialem  et  mortalem;esse  tamen  primam  formarum  materia- liuni.  Clterius  est  sciendum  quod  medium  participat  naturam  extremorum.  Unde  The- mistius  in  prologo  Physicae,  commeutosecundo,  ponitquaedamviventiaesse  interplantas et  animalia  quae  participant  natuvam  extremorum;  anima  ergo  in  medio  constituta habebit  aliquid  in  quo  conveniet  cum  aeternis  et  hoc  est  inleliigere,  et  aliquid  in quo  convenit  cum  animalibus,  et  hoc  est  sentire;  habet  etiam  aliquid  in  quo  con- venit  cum  plantis  et  hoc  est  nutrire.  Erainenter  ergo  conlinet  omnes  formas  anima, licet  forte  hoc  non  coucederet  Averroes,  et  ista  opera  diversificantur  ex  modo  agendi; Ch.  137  recto  nutrire  enim,  secundum  esse,  penitus  materiale;  sentire  vero,  secundiim  esse,  spirituale; quod  tamen  non  fit  sine  conditione  materiae,  quia  cuni  hic  et  nunc  recipit;  intelli- gere  autem  uon  perficitur  cum  materia,  aut  cum  couditione  materiae,  sed  uuiversaliter tantum  sine  loco  et  tempore.  Christiani  igitur  volunt,  quod  cum  in  medio  sit  aeter- norum  et  non  aeternorum,  quod  ipsa  sit  iu  latitudine  aeternorum,  et  quod  iuduat matcrialitatem  secuudum  vires  sensitivas  et  nutritivas,  et  hoc  est  ratione  suae  imper- fectionis.  Alexander  vero  ponit  eam  in  latitudine  generabilium  et  quod,  secundum  aliqud sni.  cum  aeteruis  conveniat,  scilicet  per  intelligere  et  velle;  quod  provenit  ex  eo  quod est  media  inter  aeterua  et  nou  aeterna  et  quod  est  prima  forraarum  materialium.  Hoc (uon)  dicit  Alexander  quod  auiraa  sit  tantum  facta  ex  elemeutis,  ut  sibi  falso  iraponit Averroes,  sed  vult  quod  sit  facta  ab  Intelligeutia,  et  videtnr  sententia  Aristotelis    De generatione  animalium  capite  tertio;  et  secundum  illud  quod  appropinqnat  aeteniis non  indiget  corporeo  organo,  ut  recte  dicit  Alexander,  et  ista  est  sententia  Aristotelis, quod  auima  intellectiva  est  sicut  locus  specierum;  et  si  beue  consideres,  ista  opinio non  est  magis  mirauda  quara  opinio  fideliura,  et  ita  est  intelligendus  Aristoteles  ubi- que,  cuvn  dicit  animam  ratioualem  esse  abstractam.  Ad  argumenta  ergo  adducta Alexander  sic  respouderet. Ad  auctoritatem  primi  De  anima  posset  dicere  quod  (ut  est  sententia  The.)  Ari- stoteles  ibi  loquitur  dubitative  tantum,  cuius  signum  est  quia  dicit  Aristoteles:  forsan vel  dicitur  quod  anima,  prout  habet  hanc  actionem  quae  est  intelligere,  non  eget  cor- poreo  organo:  et  ita  dicitur  ad  omnes  auctoiitates  prirai  De  anima,  secundi  et  tertii. Unde  quando  dicit  Aristoteles  quod  niliil  est  in  actu  eorum  quae  recipit,  intelligitur hoc  de  auima  secuudum  quod  habet  illas  operationes,  et  Averroes  sibi  falso  imponit quoJ    intellectus  sit  tantum  piivatio;  habet    enim  iu  coramento    quod  est  magis Ch.  137  verso  similis  praeparatioui  tabulae,  quam  ipsi  tabnlae:  dicit  enim,prirao  ipsius,  tabulao  agra- plio,  id  est  inscriptiouis  carentiae  (sic)  est  quam  tabellae  similior;  ipsa  enim  praeparatio tabulae  est  quasi  quoddam  separatum  a  tabula  omnia  recipiens  lineamenta:  ita  intel- lectus,  quoad  iilam  potentiam,  abstractus  est  et  universaliter  recipit  omnes  formas  mate- riales,  quae  sunt(cum)  hic(et  nunc).  Quod  vero  dicit  quod  solus  est  abstractus,  et  quod extrinsecus  accidit,  responditAlexander,  commeuto  28,  quod  istud  est  verum  de  intelle- ctu  agenti,  imo  Aristoteles  textu  commenti  20  loquitur  de  agente  et  non  de  possibili. Quod  vero  dicitur  de  libro  Echonomicorum,  dico  quod  illud  est  dictura  nt  inducat homines  in  amorem  castitatis.  non  quod  ita  sit. Ad  argumeutum:  quomodo  se  ipsam  iutelligit,  et  secuudum  eam  partem  uou  est in  materia,  et  cum  dicitur  quod  cognoscit  uuiversalia,  dicit  Alexauder  quod  cognoscit universale  comparando  uuam  rem  alteri,  sed  non  fit  hoc  per  virtutem  immateiialem, sed  per  materialem.  Cum  dicis  quod  Deum  intelligit,  dicit  quod  Deum  anima  non coguoscit  nisi  caecutiendo  ex  eo  quod  non  iutelligit  nisi  per  pliautasmata,et  hoc  nou  arguit eam  esse  immaterialem;  imo  opponitur  es  eo  quod  non  bene  cognoscit,  et  similiter dico  quod  nou  iutelligit  infinitum  uisi  caecutiendo  et  confuse,  pro  quanto  aliquid de  iufinito  percipit;  et  cum  dicis:  implicat  esse  materialem  et  intelligere,  dioo  quod intellectus  indiget  abstractioue,  sed  non  omnimoda,  quia  per  phautasmata  intelligit; imo  arguit  nostram  seutentiam,  quod,  cum  per  phautasmata  intelligat,  partim  sit  abstra- ctus,  et  partim  non,  non  ex  toto. Ad  secuudam  ratiouem  respoudetur:  non  omuimode  abstrahitur  a  corpore,  quia  eget eo  ut  phantasmate,  et  argumeutum  uon  conchidit  nisi  quod,  secundum  eas  partes  per quas  anima  iutelligit,  non  sit  materialis,  sed  a  materia  abstracta,  non  tota  anima. Et  cum  dicis:  corpori  repuguat,  dico  quod  hoc  est  per  accidens,  unde  et  canis  se  per accidens  interimit  aliquando,  et  ita  quod  corpori  repugnat,  hoc  est  per  accidens  et  per  Ch.  138  recto illam  partem  quae  abstracta  est.  Quod  autem  dicis  quod  libera  est,  respoudeo:  ut  est a  corpore  abstracta  libera  est,  ut  vero  est  in  materia,  serva  est.  Ad  tertium  cum  dicitur: apprehendit  (desiderare)  se  esse  in  infiuitum,  dicitur  quod,  ex  eo  in  infinitum  durare,  cum hoc  esse  non  possit,  arguit  eius  imperfectionem  et  materialitatem;  apparet  quod  im- possibile  est  esse.  Ad  aliam  cum  dicis  quoJ  implicat,  dico  quod  non  implicat,  quoniam, quoad  illam  partem  quae  iutelligit,  abstracta  est.  • Ad  rationes  theologorum  dicitur:  ad  primam  quae  est  quarta  inordine,  cum  dicis: si  auima  est  felix  et  cognoscit.  se  uon  futuram,  ergo  non  est  felix,  dicitur  quod  oble- ctatur  anima  et  contentatur  in  eo,  quia  cognoscit  se  habere  illud  quod  est  ei  possibile. Est  autem  impossibile  eam  semper  durare  sicut  iu  simili,  cum  (sit?)  secunda  iutelligentia,  * intelligit:  prinium  vol  cognoscit  se  vel  non;  non  est  dicendum  quod  non;  si  se  intel- ligit  et  iutelligit  se  non  esse  ita  perfeftam  sicut  est  prima.  ergo  esset  invida.  Unde intelligentia  secunda  est  felix  et  cognoscit  se  hahere  id  quod  possibile  est  ei.  Textus autem  Aristotelis  est  contra  te;  dicit"enim  illud  esse  nobis  in  modico  tempore,  non autem  dicit  semper. Ad  quintum  dico  quod  est  contra  te  facere  animam  immortalem  et  ponere  eam iu  corpore  mortali,  et  dico  quod  Deus  ponit  malos  reges  qui  huuc  mundum  guber- nant,  alios  autem  non  cognoscit,  quia  quasi  per  accidens  sunt,  sicut  magnus  rex  cogno- scit  tantum  primitates  et  proceres  qui  sunt  in  regno,  alios  vero  multos  non  cognoscit. Ad  sextum  argumentum,  scilicet  quod  nullum  auimal  esset  infelicius  homine, nego  hoe,  imo  aliquod  auimal  non  cognoscens  se  est  infelicius  homine.  Vel  dico  quod, licet  anima  cognoscat  se  morituram  quando  est  felix,  non  tamen  propter  hoc  restat quod  non  sit  felix,  quia  contentatur  eo  quod  est  possibile  ei  habere;  est  autem  impos- sibile  eam  semper  permanere.  Cum  vero  dicis  quod  pro  hac  parte  quod  anima  est  Ch.  13S  verso aeterua  sunt  viri  optimi,  pro  altera  vero  parte  impii,  respoudeo  quod  illud  est  per accidens;  imo  multi  docti  istnd  coucedunt,  ut  Alexauder  et  alii;  imo  isti  sunt  magis docti  et  virtuosi,  quam  qui  ponebant  esse  eam  immortalem;  uam  si  quid  boni  fecenmt. propter    proemium  fecerunt,  scilicet  venturum;  qui  vero  ponuut  eam  mortalem  non Cli.l3fl  recto fecenint  bouum  propter  pi-aemium,  sed  solo  virtutis  zelo.  Aliqui  eliam  diierunt  animam esse  immortalem  propter  vulgares. Ista  sententia  non  est  ad  mentem  Aristotelis,  ut  puto,  nec  in  se  vera.  Primum probatur,  et  prima  huius  coniectura  sumitur  ex  eo  quod  Tlieoplirastus,  ut  voluit  The- mistius,in  hoc  tertio,  commento  39°,  voluit  hoc  de  mente  Aristotelis.Tiieophrastus  autem melius  halniit  mentem  Aristotelis,  cum  eius  discipulus  fuerit;  quam  Alexander.  Item quiaAlexander,  commento  28°,  tenet  intellectum  agentem  esse  deum,et  piimam  causam, uec  paitem  esse  animae  nostrae.  Aristoteles  autem  vult,  ut  infra  patebit,  quod  slt  pars animae  nostrae;  modo  si  Aristoteles  vult  quod  sit  pars  animae  nostrae,  qucmodo  hoc esse  potest,  si  unum  sit  aeternum  et  alterum  non?  Item  Alexauder  se  declaraus  quo- modo  intellectus  abstractus  sit,  exponit  dictum  Aristotelis,  quando  dicit,  quod  est immixtus;  dicit  sic:  quoad  est  in  sui  operatione,  uon  indiget  organo  corporali  quoad illam  partemabslractam;  ideoest  abstractus,  et  quoniam  species  recipiuutur  iu  sola  ani- ma  non  in  organo  corporeo,  et  citat  locum  Aristotelis  textu  commauti  6°,  quodanima est  locus  specierum  et  non  tota,  sed  intollectiva,  et  in  hac  operatione  corpus  concurrit (non)  nisi  ut  obiectum  non  subiectum.  Et  secundum  De  generatione  animalium  glosam,  iu- telligit  de  intellectu  agente,  sed  ista  glosa  non  salvat  suam  sententiam;  quaerit  enim ibi  Aristoteles  utrum  omnis  anima  sit  ante  animatum,  vel  nuUa,  vel  aliqua  sic  et aliqua  non;  et  solvit.  quod  illa  quao  utitur  corpore  sicut  organo  in  sui  operatione, non  advenit  ante  aniraatum.  Sed  illa  que  non  utitiir  organo  corporeo,  extrinsecus  advenit; et  hoc  est  contra  Alexandrum,  quia  per  eum  ideo  est  separata,  quia  non  indiget  orgauo corporeo;  ergo  si  non  utitur  organo,  erit  abstractus  (intellectus)  per  Aristotelem  ibi,  et  ve- niet  de  foris;  quare  non  erit  mortalis.  Ecce  quomodo  Aristoteles  ibi  non  intelligit  tantum de  intelligentia  agente,  ut  tu  dicis,  et  istud  nihil  concludit.  Potest  hoc  Alexander  sol- vere,  et  in  se  ista  opinio  est  impoesibilis.  Quaudo  euim  Aristoteles  vocat  intellectum  esse mortalem,  respoudet(Alexander)  quod  in  ista  operatione  sola  sine  corporeo  organo  erit  in opus;  et  anima  intellectiva  intelligit  immaterialia,  et  se  ipsam  et  etiam  indivisibilia.  Sed contra,  quomodo  hoc  est  possibile  quod  se  ipsam  et  immaterialia  cognoscat,  ipsa  tamen sit  mortalis;  etsi  sola  hoc  faciat,  et  non  sit  abstracta,  si  uon  habet  operationem  pro- priam  sine  corpore?  Operari  autem  praesuppouit  esse;  ergo  ipsaest  a  corpore  abstracta. Et  ista  est  ratio  Avicennae  optima.  Sed  dicis,  quod  in  hoc  est  aequivocatio,  quia animam  egere  corpore  est  duobus  modis,  ut  iufluente  (iufereute)  et  ut  organo;  ita  quod iutelligibiles  species  in  corpore  etiani  recipereutur.  Tuuc  dico  quod  si  anima  posset  ope- rari  sine  corpore  ut  subiecto  et  inferente  species,  beue  esset  separabilis  a  corpore: sed  quia  eget  eo  ut  subiecto  et  inferente  species,  ideo  non  separatur  ab  illo;  pendet enim  ab  eo  essentialiter.  Sicut  uon  valet:  oculus  non  potest  videre  sine  corde,  ergo visio  est  in  corde;  quod  ideo  uon  valet,  quouiam  oculus  eget  corde,  tamen  ut  ab  eo species  ad  oculum  trasmittantur;  ita  anima  eget  quoque  corpore  ut  subiecto,  et  ut  eo a  quo  trasraittuntur  species,  non  autem  eget  eo  ut  orgauo.  Sed  ista  respousio  est  appa- rens  et  non  bona.  quum  dicerc  quod  auima  uon  est  separata,  quia  eget  corpore  sicut subiecto,  aut  infereute,  nihil  est  dicere,  et  omues  hoc  coucedunf;  sed  secus  est  de  tuo Ch.  l39verso  exemplo,  et  de  hoo  quia  oculus  non  est  iu  corde  ut  in  subiecto  sicut  anima  in  corpore est  sicut  iu  subiecto;  cum  autem  omne  quod  est  causa  causae  sit  causa  causae  in eodem  geuere  causae,  quomodo  est  possibile  quod  cum  anima  a  corpore  causetur,  et intellectio  rccipiatiir  in  anima,  quod  etiam  uou  recipiatur  iu  corpore?    Item  est  mirum quod  anima  sit  mortalis  iutelligatque  semper  (secuudum?)  eas  potentias  quas  (ille)  ponit  in ea;quia  ego  credo  Alexaudrum  ponere  eam  exteusam,  sed  solum  in  quo  est.Tunc  quaero an  intelligere  fundetur  in  anima,  au  in  parte  animae;  si  in  tota  anima,  cum  sit  extensa non  recipiet  universaliter,  sed  siguate  mevito  quantitatis.  Si  dicas  secundum,  cum  non constet  in  iudivisibili,  erit  iu  aliqua  parte ,  ergo  erit  orgauica ;  cuius   oppositum  tu dixisti.  Sed   dicis   coutra;    istud   procedit  contra  Christianos,  quia  per  eos  anima  est in  corpore.  Dico  quod  non  procedit  hoc  contra  eos,  quia  ponuut  animam  esse  abstra- ctam,  non  eductam  de  poteutia  materiae,  et  non  est  in  corpore  nisi  per  accidens.  Ale- xauder  autem  vult  quod  essentialiter  sit  in  corpore  et  ita  ipsi  bene  possunt  dicere quomodo  possit  se  sola  iutelligere;  et  species  recipere,  sine  corpore  ,  non   enim  per corpus  est  constituta  in  esse,  ut  Alexander  voluit  quod  ait  edncta  de  poteutia  mate- riae,  et  quod  constituatur  iu  esse  per  subiectum;  uec  potest  salvare  quod  cum  omnis homo  appetat  se  esse  aeternum  secundum  iudividuum,  et  iste  sit  naturalis  appetitus, quod  iu  totiun  frustretur.  Licet  enim  bruta  appetant  aeterno  tempore  esse,  hoc  nou est  secundum  individuum  sed  secundum  speciem;  nec  beue  respondet  rationibus  theo- logorum  quando  dicit  quod  auima  est  felix,  etsi  sciat  se  quaudoque  non  esse,  quod  est, quia  cognoscit  se  habere  id  quod  est  ei  possibiie  habere;  et  cum  est  aeque  felicitas sicut  iu  Deo,  Respousio  satisfacit  quum  tenet  Alexauder  quod  iutellectus  uoster  Deo uniatur,  et  in  instauti  omnia  cognoscamus.  Sed  quomodo  est  possibile  hoc,  quod  res     Ch.  Ho  lecto mateiialis  Deo  uniatur,  quia  ut  dicit  Averroes  in  hoc  tertio,  commento  36°  generabile efficeretur  aeternum  et  iiigenerabile?  Quae  sententia  quomodo  valeat  infra  dicemus. Item  quod  dicit  de  diviua  iustitia  non  valet,  quia  tuuc  aliqui  mali  non  puniren- tur,  et  qui  bene  facerent  non  raererentur;  postea  videatis  quod  habeant  isti  dicere: scilicet,  quod  si  boui  dicerent  animas  esse  immortales,  ut  homines  ducereut  in  vir- tutem,  tunc  omnes  leges  essent  delusiones. Item  redeamus  ad  aliam  opinionem  quae  teuet  animam  immortalem,  quae  bipartita est.  Aliqui  volunt  quod  sit  uua,  et  ista  opinio  videtur  magis  fatua  opinione  Alexan- dri.  Alii  vero  tenent  quod  sit  plurificata  secundum  substautiam  quae  informat;  et  ra- tiones  primae  opiniouis  suut:  prima  quae  est  Themistii ,  hic  commento  ^^''^■quod si  esset  plurificata,  ergo  materialis;  multitudo  enim  individuorum  est  per  materiam quautam,  12."  Metaphysicorum,  textu  commenti  43°;  secunda  ratio,  quia  ponendo muudum  aeternum,  ut  Plato  et  Aristoteles  volunt.  si  animae  esseut  multiplicatae. vel  essent  (ita)  quia  omnis  homo  qui  est  vel  erit  vel  fuit,  habuit  unam  aniraam,  vel progredirentur  de  corpore  in  corpus  animae:  si  primum,  lioc  est  impossibile,  quia  da- retur  iufinitum  actu,  quod  non  capit  intellectus;  si  secuudum,  erit  fabula  Pythagorae, quod  una  anima  modo  intret  corpus  unum,  modo  aliud;  et  istae  sunt  (rationes)  fortio- res  huius  opiniouis,  et  ista  aperte  fuit  sententia  Theraistii,  licet  Thoraas  in  libro  contra Averroistas  non  dicit  istam  esse  sententiam  Themistii,  quaravis  ego  non  credam  illum esse  librum  Thomae;  et  hanc  opinionem  ex  hoc  couiectuvo  quod  in  commento  32°  probat intellectum  esse  unum,  quia  si  essent  plures,  esset  matevialis,  eadem  autem  est  ratio de  ageute  et  de  possibili  cum  ambo  sint  abstracta.  Item  ex  alio,  quia  in  commento  31° vult  quod  intellectus  agens  non  sit  Deus,  sed  sit  pars  animae  uostrae ;  modo  si  isti duo    intellectus   faciuut    uuam    aniraara    numero.  quomodo  uno   multiplioi  existeuti     Cli.  I40verso alterum  est  uiiicum?  Item  ex  alio.  cum  dicit  quod  si  intellectus  uon  esset  unus,  quo moJo  discipulus  addisceret  a  magistro?  Non  euim  addiscimus  aliquid  uisi  sit  aliquod commune  nobis  et  magistro.  Quod  ista  sit  mens  Averrois  est  clarum,  licet  ego  audi- verim  esse  quemdam  venerabilem  doctorem  senensem  qui  tenet  de  mente  Averrois animam  esse  plurificatam;  quod  evenit  quia  in  dies  novae  opiniones  insurgunt.  Istud tamen  voluit  Averroes,  ut  manifeste  apparet.  Quod  autem  senserit  Aristoteles  dicemus in  opinione  Christiauorum.  Sed  tunc  restat  diflicultas,  et  est  comurds  arababus  opi- niouibus  praedictis,  quia  si  anima  est  aeterna,  non  per  corpus  sed  per  (se)  stans,  tunc habebit  se  ad  liominem  sicut  gubernator  ad  navim,  et  motor  ad  motum,  nou  sicut forma  ad  subiectum;  quare  non  erit  forma  per  quam  homo  est  homo.  Item  esto  quod sit  immaterialis,  quomodo  est  possibile  quod  unum  nunc  districtum  a  quocumque  alio sit  in  toto  mundo?  Ideo  posteriores  Averroistae  videntes  hoc,  dixerunt  quod  anima  (est), iu  quo  est  forma,  non  vera  sed  assistens  tantum,  sicut  rex  in  regno;  et  dicunt  non incouvenire  hoc  in  formis  abstractis,  sicut  dicunt  philosophi  quod  Deus  est  ubique. Unde  poeta  dixit:  Jovis  omnia  plena.  Et  istud  de  mente  Averrois  teuuit  Albertus, Thoraas,  Aegidius,  Scotus,  Gregorius  Ariminiensis,  Johannes  de  Gaudavo. Sed  ista  opinio  non  est  intelligibilis  nec  ad  raentem  Averrois,  ut  aliqui  propter rei  diflicultatera  tenuerunt,  et  propter  verba  in  coraraeuto  11°  huius  secundi,  cura  dicit: nondum  est  manifestum  utrum  (anima)  sit  in  homine,  sicut  nauta  in  navi.  In  multis etiam  locis  dicit  quod  est  forraa  separata. Priraura  quod  dixi  probatur;  si  enim  anima  intellectiva  non  est  forma  intrinseca  ho- Ch.  141  recto  ^nini  per  quam  liorao  est  homo,  tunc  nullus  homo  formaliter  intelligeret.  ex  eo  quod  uon est  forma  nostra,  Itera  ego  experior  rae  intelligere  et  scire  propositiones  universales,  qua- les  uon  facit  cogitativa.  Item  est  argumentum  Thomae  quod  tunc  homo  non  intelligeret; quod  si  fingas  fabulara  Joannis  quod  homo,  pro  aggregato  (sic)  ex  corpore  et  intellectu, intelligit,  sed  non  pro  composito  tantura,  tunc,  in  siraili,  aggregatum  ex  oculo  et  muro videret,  quoniara  ita  se  tenet  murus  ad  oculum  sicut  corpus  ad  animara;  nec  ista  est  mens Thomae, commento  27"  et  28",  dicentis  intellectum  agentera  esse  formam  et  essentiam nostram.  Primo  seeundum  Averroem  homo  est  intellectus  agens,  ipse  auteni  intellectus agens  est  pars  animae  nostrae.  Item  non  est  luens  Averrois  ista.  Videte  vos  quanta  com- prehendimus  in  quaestione ista;ipse  enira  in commento  prirao  huius  tertii,aperto  dixit  quod per  aniraam  intellectivara  distinguitur  homo  ab  omnibus  aliis  speciebus,  eadem  enim  sunt principia  differendi  et  essendi.Item  in  commentoSG"  tertii  huius,  dicitAverroes  quod  non est  moveus  tantum,  sed  et  forraa.  Item  in  commento  36°  dicit  quod  ita  se  habet  anima ad  horainem  sicut  Intelligentia  ad  orbem;  sed  Intelligentia  dat  esse  orbi;  ergo  et  anima homini.  Quod  autem  lutelligentia  det  esse  orbi  probatur,  quoniam  Averrois,  capitulo primo  De  substantia  orbis,dicit  quod  prius  Intelligentia  uuitur  coelo  quam  dispo.sitiones et  accidentia  coeli,  ut  quantitas,  figura,  et  alia  accidentia  quae  sunt  in  eo;  quod  si Intelligentia  uuiretur  coelo,  tautum  ut  motorem  eam  praesupponeret.  Coelum  esset  quan- tum  et  figuratum,  quia  nihil  movetur  nisi  corpus:  si  ergo  Intelligeutia  tantum  moveret coelura,  opus  esset  orbem  prius  esse  quantum,  quara  motum  ab  lutclligentia.  Item prirao  Coeli,  textu  commenti  95°,  dicit  quod  dubiura  est  au  orbis  per  aliquid  alterum sit  sensibilis  et  intelligibilis,  et  dicit  quod  sic:  imo  de  se  est  tantum  in  pura  potentia, imo  aliqui  voluut  quod  orbis  de  se  sit  in  pura  potentia  ex  illo  loeo :   imo    Coeli textu  commenti  3'  Iutelligeiitia  veriiis  unitiu-  (ei)  quam  materiae  forma;  quomodo  au-     Cb.Hlvcrso tem  lioc  esset  nisi  Intelligentia  daret  esse  orbi?  Istam  seutentiam  dicit  Tlromas;  Al- bertus,  et  isti  alii  imponuQt  hoc  Averroi,  et  istud  ei  ascripserunt,  quia  viderunt  quod altera  poteutia,  scilicet  quod  (quam?)  intellectus,  det  esse,  videtur  magis  impossibile.  Cum vero  dicis  Averroem  dicere  quod  intellectus  est  abstractus,  iuteliigit  quod  non  est  edu- ctus  de  potentia  materiae.  Sed  tunc  augetur  ditficultas:  si  anima  per  se  stat  et  etiam corpus,  quomodo  ex  duobus  entibus  in  actu  tit  per  se  unum  ?  de  coelo  et  Intelligentia hoc  salvare  non  est  diOicile  insequeudo  Averrois  verba,  quia  lutelligentia  est  quae  dat  esse actu  orbi;  quoniam  ibi  textu  commenti  95'  dicit  quod  orbis,  seclusa  lutelligentia,  non est  nisi  in  potentia,  nec  intelligibilis,  sed  tantum  sensibilis;  et  ideo  tit  imum,  quia  unum est  actu  alter  (alterum?)  in  potentia  (?).  Sedin  homine  est  diificilius,  quia  in  homine  est cogitativa  quae  est  constituens  bominem  in  specie.  Alias  ego  dixi  quod  anima  intelle- ctiva  realiter  est  idem  quod  sensitiva.  et  quod  sensatio  corrumpitur  quoad  potentiam tantum,  sicut  est  sententia  Thomae.  Marsilius  vult  hauc  sententiam  Platonis;  et  tunc multa  possumus  ex  hoc  solvere,  Sed  est  duruui  ponere  in  intellectu  abstracto  has  po- tentias  esse,  et  non  assevero  hoc,  quoniam  uullus  dixit  aute  me ,  et  quomodo  hae  po- tentiae   possiut   fundavi   in   anima.  Aliud    notabile   est   quia    lutelligeutia    est   vera forma  in  orbe:  quod  autem  aliqui  dicunt  quod  materia  coeli  est  in  pura  potentia,  hoc non  puto  verura  esse,  irao  Averroos  in  De  substautia  orbis,  cap.  ultimo,  dicit  quod  ma- teria  coeli  est  media  inter  materiam,  hoc  est  puram  poteutiam,  et  actum  inirura;  et  octavo Metaphysicorum  textu  commenti  12':  non  habent  aeterna  materiam  talem  qualem  ge- uerabilia  habent.  Sed  quoniam  auctoritates  possunt  glosari,  induco  rationes,  (ex  quibus hanc)  quae  olim  coneurrenti  raeo  fuit  difEciIis:quia  si  materia  coeli  esset  ens  in  pura  poten- tia,  ergo  coelura  cura  Intelligentia  non  esset  per  se  motum,  quia  esse  quod  per  se  rao vetur  dividitur  iu  partem  per  se  moventem  et  per  se  motam;  pars  per  se  movens  est     Ch.  1-12  acto Intelligentia,  pars  per  se  mota  est  orbis,  quae  per  se,  si  est  in  pnra  potentia,  non  po- terit  resistere  Intelligentiae,  unde  non  erit  motus. Ad  hanc  rationem  isti  respondeut  negando  primam  compositionem,  quoniam  in  coelo pars  per  se  movens  est  Intelligentia,  pars  per  se  mota  est  materia  coeli  una  cum  eius forma.  Sed  si  ista  responsio  esset  vera,  maxime  in  via  Averrois,  tunc  iu  elemento  esset pars  per  se  movens  et  per  se  raota,  quoniam  forma  elementi  esset  per  se  movens  et compositum  esset  per  se  motum,  quod  tamen  est  coutra  Averroem  4."  Coeli,  textu commenti  22.'  et  in  aUis  locis.  Sed  tunc  tu  dices:  si  materia  coeli  esset  aliquid  ens in  actu,  non  posset  fieri  iratim  per  se  cum  Intelligentia,  sicut  dicit  Averroes  primo Physicoriim  commento  63";  et  ideo  dico  quod  ex  anima  intellectiva  et  corpore  infor- mato  per  cogitativam  iit  per  se  unum,  quia  cogitativa  non  est  hominis  essentia  per  se complens,  sed  adhuc  corpus  tale  est  in  potentia  ad  intellectum;  et  si  dicitur  ex  primo capite  De  substantia  orbis:  impossibile  est  idem  habere  duo  esse,  dico  quod  est  verum de  duobus  esse  ultimatis,  et  aeque  perfectis.  Vel  dicitur  aliter  quod  hoc  non  intervenit si  unum  sit  eductum  de  potentia  materiae,  alterum  non;  sed  tunc  est  angustia,  quia omniura  horaiuum  esset  idem  esse,  nee  Socrates  a  Platone  distingueretur,  eadem  enira sunt  principia  essendi,  et  distinguendi.  Sed  ista  (positio)  Averrois  potest  persuaderi  ex  eo  cb.  142  verso quod  Christiani  etiam  teneut  quod  in  homiue  sit  una  tauttim  anima  iudicialis,  tota  in toto  et  tota  in  qualibet  parte,  ut  quod  tota  sit  iu  mauu,  tota  in  pede.  Sic  ergo  dico  quod omiiiiim  liominum  est  idem  esse  intellectiiale,  sed  quoad  sensitivam  et  cogitatiram  dif- ferunt,  ciiius  signum  sunt  proportiones  omnibus  commimes.  Sed  Alexander  diceret  utram- que  opinionem  esse  impossibilem;  ego  tamen  dico  quod  opinio  Cliristianorum  est  ve- rior:  potest  etiam  persuaderi  ex  eo  quod  una  Intelligentia  dat  esse  orbi  ita  magno, et  tamen  una  pars  differet  ab  altera  per  accidens,  ut  stellata  a  non  stellata,  omnium tamen  earum  partium  est  idem  esse  intellectuale.  Sed  dicet  quis:  orbis  non  habet  esse ab  Intelligentia,  siciit  est  seuteutia  Alexaudri  hic,in  Paraphrasi  de  anima,  commento  8°; et  Thomas  et  Christiani  dicuut  quod,  quamvis  anima  informet  omnes  partes  corporis, non  tamen  per  se  primo  sed  per  accidens,  et  per  accidens  differuot  istae  partes;  sed iuteUectus  dat  per  se  omnibus  hominibus,  et  inter  se  difFerunt  homines  actu  etiam. Sed  ad  hoc  aliquis  dicet  quod  partes  sunt  actu  ab  anima  informante  et  non  in  po- tentia,  et  quod  inter  se  actu  differant.  Sed  est  dubium  si  anima  sit  talis  quod  sit una  numero  in  omuibus  hominibus.  Quomodo  intelliget,  an  recipiendo  an  non  reci- pjendo?  Et  est  quaerere  utrum  dentur  species  intelligibiles  de  novo  in  intellectu  rece- ptae.  De  hoe  est  una  opinio  Burlaei  7."  Physicorum,  commento  secundo,  quae  vult  quod anima  non  recipiat  de  novo  speciem;  quam  inserunt  aliqui  moderni,  quorum  scripta uon  vidi  sed  audivi  ab  eis;  erant  euim  mei  concurrentes,  et  rationes  istorum  snnt: primo  est  auctoritas  Averrois  12.°  Methaphysicorum,  commento  25",  ubi  dicit  quod  quae- dam  sunt  substantiae  quae  non  recipiunt  accidentia,  et  substantiae  abstractae;  intel- lectus  autem  est  abstractus  et  substantia  abstracta.  Item  si  habet  species  de  novo,  hoc Cb.  143  lecto  esset  quia  phantasmata  imprimerent  in  intellectum  illas  species  et  cum  phantasma  sit materiale,  tunc  immateriale  a  materiali  pateretur.  Item  si  de  novo  reciperet  species, cum  istae  species  sint  singulares,  non  repraesentabunt  universaliter;  quare  intellectus non  intelliget  universale.  Item  si  anima  reciperet  species,  tuuc  plura  accidentia,  solo numero  differentia,  essentin  eodem  contra  Aristotelem,    Metaphysicorum,  textu  com- menli  15'.  Item  si,  respectu  unius  obiecti,  plures  essent  species  in  intellectu,  tunc  essent materiales,  quia  plurificatio  individuorum  est  per  materiam,  ut  dictum  est  supra.  Sed tuuc  quomodo  fiat  intellectio  ,  discordant  inter  se.  Unus  dicit  quod  fit  hoc  modo quia  anima  intellectiva  est  forma  mei,  et  omnia  intelligit  per  essentiam  suam ;  non tamen  ista  mihi  dicitur  intellectio,  nisi  dum  ego  cogitem,  et  quod  ego  non  intelligo asinum,  uisi  prius  cogitem  de  asino;  quia  iste  est  ordo  naturalis,  quod,  si  debeo  anima iutelligere,  debeo  de  omnibus  cogitare.  Alii  dicunt  quod  bene  intellectus  est  in  po- tentia,  sed  non  ad  species  recipiendas;  sed  per  virtutem  intellectus  agentis  forma  asini eadeni  realiter  quae  est  iu  re  ad  extra  in  intellectum  nostrum  recipitur,  accidentalis  tamen facta;  et  istud  est  magis  impossibile  primo;  etenim  hoc  intelligere  non  possum  sicut primum.  Istae  tamen  opiuioues  sunt  impossibiles,  nec  ad  mentem  Averrois  et  Themi- stii:  dixit  enim  Themistiu?  in  commento  15."  quod  intellectus  est  aptus  et  (se)  tenet  ad rccipiendum  omues  formas,  sicut  cera  ad  figuras,  et  dixit  Aristoteles  quod  ita  se  habet intellectus  ad  intolligibiiia.  sicut  sensus  ad sensibiiia.  Sed  aliqui  dicunt,  et  magis  con- sentanee  loquuntur,  quod  visio  non  fit  per  species,  ut  dixerunt  in  suo  tractatu  quem fecerunt,  et  dicunt  illud  esse  contra  intentionem  Aristotelis  et  Averrois,  commento  4", qui  oppositum  huius  aperte  dicit,  quaud-o  dicit  quod  recipit  omnes  species  materiales; et  prima  ratio  est,  quia  si  nihil  de  novo  recipit  intellectus  nisi  aequivoce  ut  tu  dicis, Ch.HSverso     quaero  tunc,  quando  Averroes  probat  intellectum  possibilem  immaterialem  esse,  ex  eo quod  recipiens  est  denudatum  a  uatma  recepti,  et  si  recipiens  haberet  aliquid  de  na- tura  recepti ,  tunc  idem  se  reciperet ,  et  idem  iu  se  ageret;  do  qua  actione  loquitur Averroes?  Si  de  vera  liabeo  intentum,  quia  tunc  aliquid  verum  aget  et  recipiet  iutel- lectus  de  uovo;  si  de  actione  aequivoca,  tunc  non  est  inserviens;  idem  ageret  in  se  ipsum actione  aequivoca  ut  dicitur  ab  AveiToe;    Physicorum,  commento  4.' Secunda  ratio:  si  anima  per  sui  essentiam  (inteliigeret),  non  esset  necessaiium  ponere intellectum  agentem,  cuius  oppositum  dixit  Averroes,  commento  5°,  cum  dixit  quod Aristoteles  intelligit  iutellectum  ageutem  et  (intelligit  quod)  habet  speciem,  et  intel- lectus  discurrit  et  componit  praedicatum  cum  subiecto;  quod  non  esset  si  per  essentiam intelligeret,  et  tunc  intellectus  non  esset  in  potentia  sed  esset  actus  purus. Item  si  per  essentiam  omnia  iutelligit,  omnia  eminenter  continebit  et  omnia  crea- bit;  cum  autem  nou  dependeat  asiuus  ab  iutellectu,  non  intelliget  asinum.  Sed  aliquis dicet  ad  hoc  quod  hoc  uon  valet,  quia  becuudura  Averroem  in  felicitate,  quam  ponit Averroes,  intellectus  possibilis  iutelliget  omnia  per  essentiam  intellectus  agentis  et  ta- men  ipse  non  est  causa  omnium. Ad  hoc  dico  quod  iutellectus  agens  est  causa  omnium,  et  si  non  in  esse  reali, est  saltem  in  esse  spirituali;  omnia  enim  quae  sunt  potentia  intellecta  facit  actu  intelle- cta.  Item  quomodo  verificaretur  dictum  Aristotelis  quod  se  per  accidens  intelligeret? Item  intellectio  est  (esset?)  operatio  immauens  absoluta,  non  relativa,  quae  uon  potest esse  absque  aliqua  alteratione  intellectus  per  quam  homo  de  intelligente  in  poteutia fit  actu  iutelligeus.  Sed  dices  quod  denominatur  intelligens  nou  quod  fiat  intelligens; contra  tunc  homo  non  de  novo  intelligeret  sed  tantum  de  uovo  cogitaret,  sicut  (est)  de beatis  in  patria,  quibus  licet  Deus  non  sit  sua  iutellectio,  tamen  fit  eis  nova  spe- cies.  Ad  rationes  et  ad  Averroem,  dico  quod  loquitur  ibi  de  Intelligeutiis  perfectissi- mis;  intellectus  autem  possibilis  est  infima  intelligentiarum  indigens  corpore  in  iu-  Ch.  144recto telligendo.  Cuius  siguum  quia  dicit  ibi  quod  non  intelligunt  ista  inferiora  ipsae  In- telligentiae.  Loquitur  ergo  de  non  dependentibus  a  corpore. Ad  2",  cum  dicitur  quod  phantasma  imprimeretur  in  intellectum,  dico  quod  intel- lectus  agens  ea  universalizat  propter  quod  possunt  agere  in  intellectum,  et  ista  est causa  ponendi  intellectum  agentem.  Ad  3'",  cum  dicitur  quod  siugularitas  intelligentis aut  speciei,  per  quam  intellectus  intelligit,  nou  excludit  uuiversalium  intelligentiam, alioquin  cum  Deus  et  Intelligentiae  ipsae  sint  quaedam  substantiae  singulares,  non possuiit  universalia  intelligere,  (hoc  uon  inconvenit)  sed  materialitas  cognoscentis  et speciei,  per  quam  cognoscuut  ipsae  res,  universalem  coguitionem  impediunt. Ad  alterum  quod  plura  accidentia,  numero  diftereutia,  essent  iu  eodem,  dico  quod  est necessarium,  quia  in  (mundo?)  sunt  plures  species  numero  distinctae,  vel  saltem  si  est  uua, habet  plures  modos  diversos  cssendi,uttenent  aliqui  Thomistarum.  Ad  Aristutelem  dico  ut ibi  dicit  scoliastes  (?)  et  ante  (?)  eum  Aegidius  loquitur  ibi  de  accideutibus  quae  bene  con- trarium  habent  acquisibilibus  per  alterationem.  Item  si  per  essentiam  intelligeret  qua- tuor  qualitates,  intelligeret  (false,  cum)  altae  (tamen)  Intelligentiae  non  intelligunt  falsa. Altera  est  angustia  quae  (est):  cum  contrariorum  contrariae  sint  operationes  4.°Metaphy- sicorum  et  primo  Posteriorum,  si  auima  situua,  in  uno  essent  contraria:  ut  quod  Socrates sit  papa  vel  non  papa  sicut  nunc  est,  et  hoc  est  argumentum  Avicennae.  Sed  dicet  quis quod  hoc  argnmeutum  esset  contra  Christianos,  qui  tenent  quod  eadem  anima  quae  est  in pede  sit  iu  mauu;  tuuc  sic  est  eadeui  anima  vel  sunt  contrariae.  Sed  Christiani  dicuut quod  secus  est,  quia  etsi  motus  gaudii  et  Iristitiae  eidem  animae  attribuatur,  hoc  estper accidens;  intelligere  autem  est  per  se  in  anima,  non  enim  est  anima  quae  gaudet  et  dolet Cli.  144  verso  nisi  per  accidens,  sed  per  se  est  pes  aut  manus,  et  bene  argumentum  proceJit  contra  po- nentes  in  anima  fieri  immediate  seusationem,  sicut  est  Gregorius  Ariminiensis.  Sed  nos tenemus  sensationem  fieri  iu  organo.  Averroes  po.sset  et  ipse  dicere  quod  auima  con- sideratur  duplieiter:  in  se  ut  est  una  iutelligentia,  et  quoad  nos,  prout  est  forma  nostri; et  hoc  secundum  eius  duplicem  operationem;  quoad  primum  intellectum  ipsa  (intelligit) per  essentiam  intellectus  agentis,  ut  ego  puto;  quoad  alterum  qui  dependet  a  corpore intelligit  per  species,  et  quoad  hunc  non  debemus  dicere  solam  animam  intelligere  sed totum  compositum,  et  quod  illa  sit  per  quam  homo  iutelligit;  unde,  cum  compositum intelligat,  non  potest  dici  unum  homiuem  simul  habere  opinioues  contrarias,  sicut  di- cunt  Christiani,  quod  pes  et  manus  laetantur  se  nou  auima,  contra:  est  eadem  anima et  habet  opiniones  contrarias;  dicd  quod  aliqua  in  uno  esse  habent  contrarietatem  non in  altero,  puta  iu  reali  non  in  spirituali,  sicut  albedo  et  nigredo  in  materiali  esse sunt  opposita  non  in  spirituali;  possunt  enim  eorum  species  esse  in  eodem  puucto  et simul  iu  ocuio  possent  recipi,  et  ista  quae  eontrariantur  in  esse  materiali,  in  Deo  et Intelligentiis  uniuntur.  Uude  quae  iu  natura  inferiori  opponuntur,  non  opponuntur  in natura  superiori,  quare  illa  quae  sunt  in  iutelligentia  non  habent  contrarietetem  sicut  ea que  sunt  in  cogitativa.  quod  provenit  propter  materialitatem  et  imperfectionem  cogitati- vae,et  aliqua  uuiimtur  insensu  communi  et  simul  cOgnoscuntur;quare  dico  quod  opiniones contrariorura  in  iutellectu  non  habent  contrarietatem;  sunt  enim  contrariae  ut  quod,  sci- licet  respectu  determinati  iudividui,  quia  dicitur  unum  individuum  potest  habere  diversas opiuionesirespectu  de  eodem  modo  tamen  sunt  contrariae  ut  in  quo,  seilicet  respectu  sub- stantiae  in  quo  suut;  sunt  scilicet  per  respectum  ad  animam  quae  est  una.  Alterum  argu- mentum  adducebatur:  quomodo,  si  est  uua,  potest  tot  species  babere  et  tot  falsitates  intel- Ch.HSrecto  ligere?  Dico  lioc  non  intervenire  (incouveuire)  sicut  nou  intervenit  (incouvenit)  uuam intelligentiam  habere  duo  opera,  movere  in  quo  pendet  a  corpore  et  intelligere;  ita  anima iu  se  non  intelligit  falsa,  aut  habet  tot  falsitatum  species,  sed  respectu  individuonim  a quibus  in  hac  operatione  depeudet,  potesl  falsa  intelligere,  et  tot  species  habere;  est etiam  in  hac  operatione  dubium  an  sensitiva  et  intellectiva  sint  idem.  Alihi  videtur  Aver- roem  non  esse  huius  sententiae  inferius  in  commento  2 '  et  primo  capitulo  De  substantia orbis,  quia  necesse  est,  secundum  eum,  quod  in  mixto  omni  sit  una  forma  extensa  se- cundum  subiectum,  et  hoc  tenere  est  durum.  Sed,  si  hoc  sentiamus,  videtur  esse  contra eiperientiam,  quia  ego  scio  quod  sum  illemet  quod  sentio,  et  intelligo:  quomodo  autem hoc  esset  si  non  tautum  una  anima  esset?  quod  si  dicas  esse  unum  aggregatum,  est multum  dilBcile  sustinere,  quia    huius,  teitu  commenti  31  dicitur  ut  est  trigonura iu  tetragouo  in  poteutia,  ista  anima  imperfectior  (est)  in  perfectiori. Sed  vos  dicetis  quod  uua  (anima),  non  ratione  in  altera,  sed  analogia  (se  habet?)  sed tunc  ego  non  video  quomodo  haec  (propositio):  homo  est  animal,  sit  in  primo  modo  di- cendi  per  se,  quia  non  est  plus  dicere  quam  dicere  quod  habens  sensum  habet  intellectum, et  ista:habens  colorem  habet  superficiem,nisi  diceres  quod  animal,  pro  ut  a  (ut  pro)  sen- sitivo  tantum  capitur,  non  est  de  intellectu  formali  homiuis;  sed  si  sumatur  auimal  pro  eo Ch.  145  veiso     quod  sentit  et  iuteUigit,  sic  est  de  intellectu  formali  hominis,  eo  modo  capiendo  animal,  quo dicis  qiiod  coelum  est  auimal,  et  ita  auimal  lioc  modo  aualogiae  sumptum  praedicabitur per  se  de  lioraine  in  primo  modo  dicendi  per  se. Altera  est  difficultas  quomodo  una  forma  aeterna  informat  corpus  generabile;  et  Aii- stoteles,  octavo  Pliysicorum.  dicit  quod  aeteruum  coaptatur  aeterno.  Diximus  supra  quod cum  participet  partim  de  aeterno,  partim  de  mortali,  cura  sit  infinia  intelligeutiarum, et  generabile,  liabet  uniri  cum  aeterno  per  aliquid  medium,  poterit  intellectus  infor- raare  aliquod  mortale. Quod  vero  dicis  de  8."  Plij-sicorum,  dico  quod  secus  est  de  anima  intellectiva  et de  Intelligeutia,  quia  si  Intelligentia  iuformaret  corpus  generabile,  tale  corpus  esset  fa- ctura,  ergo  ab  altero;  et  sic,  nisi  esset  aliquod  cori.us  aeternum  motum  ab  Intelligentia, produceretur  in  infinitum,  et  ideo  quoniam  corpus  motum  ab  lutelligentia  est  primum corporura,  non  potest  esse  nisi  aeternum,  ut  beue  deducit  Averroes  8."  Physicorum; sed  quia  non  liabent  omnia  ista  inferiora  facere,  non  oportet  ut  iustrumeutum,  per  quod anima  producit  suas  operationes,  sit  corpus  aetermim,  cum  non  sit  primura  coqwrum. His  opinionibus  expeditis,  quas  puto  impossibiles,  altera  restat  quae  tenet  ammam aeternam  esse  et  plurificatam,  iu  qua  plures  sunt  difficultates:  prima,  quia  tunc  erit unum  per  se  stans  in  actu,  et  etiam  corpus  est  in  actu  ens;  ergo  ex  duobus  entibus in  actu  fit  per  se  ununi.  Thomas  qui  inter  Christiauos  primus  est,  dicit  qiiodinho- mine  non  est  uisi  una  anima,  et  quod  unitur  ipsa  materiae  primae  sine  medio,  et cum  sit  forma,  potest  informare  materiam  primam,  et  communicare  ei  suum  esse,  et  sic non  erunt  secuudo  in  actu.  Si  vero  volumus  tenere  quod  ex  duobus  in  actu  potest  unum fieri,  sieut  ex  orbe  et  lutelligentia,  quam  opinionem  Thomas  in  libro  Contra  gentiles attribuit  Aristoteli,  iu  textu  commeuti  27',  possimuis  dicere  quod  cx  duobus  eutibus  in  Cli.  146  recto actu  non  ultimato,  quorum  unum  ordinatur  ad  alterum,  fit  per  se  unum. Secunda  difficultas:  si  animae  multiplicantur,  quando  separantur  a  corpore,  quo- modo  differunt,  cura  differentia  individuorum  eiusdera  speciei  sit  per  materiara  quan- tam?  Ynde  12°  Metaphysicorum:  si  duo  essent  dii,  essent  materiales;  ita  anima.  si  esset pliu'ificata,  esset  materialis,  quod  repugnat  eius  simplicitati.  De  hoc  Aristoteles,  sexto Naturalium,  dixit  se  credere  esse  plurificaatam,  sed  se  igiiorare  modum  dixit.  Dicemus tamen  nos,  quautura  vires  nostrae  potejunt,  te.endo  viam  Aristotelis.  Argumentum est  difficile,  sed  eam  non  tenondo  non  est  difficile.  Nam  in  via  Platonis  et  Scoti. ■qui  dixerunt  animas  differre  per  suas  ecceitates,  argumeutum  nihil  valet;  concedendum est  euim  .  ex  una  specie  intelligentiarum,  esse  plures  intelligentias  solo  numero  dif- ferentes.  Sed  tota  difficultas  stat  in  via  Aristotelis.  Inter  omnes  alios  Thomas  est minus  ab  Aristotele  remotus,  et  Aegidius  in  secundo  Quodlibeti  tenet,  quod  distinctio iudividuorum  corapletorum  fit  per  materiam  quantam,  sed  prineipia  difterunt  per  lia- bitudinem  ad  materiam  quantam.  Cum  autem  auiraae  non  sint  ipsa  individua,  sed eorum  priucipia,  non  diff"eruut  per  materiani  c^uantam,  sed  per  habitudinem  ad  eam. Sed  tum  est  difficultas  de  una  anima  quae  informaret  duo  corpora,  an  una  an  plures essent.  Item  una  est  prior  istis  respectibus;  nullimi  autem  diflfert  ab  aliquo  per  id quod  est  posterius  eo,  et  istam  opinionem  sequuntur  multi  Thomistarum.  Ego  tamen puto  aliter  esse  dicendum,  (scilicet)  quod.  quaiido  dicitur  quod  differunt  animae  per  ha- bitudinera  ad  materias  diversas.  quod  sit  dicere  hoc:  quod  si  istae  animae  essent  talis naturas,  quod  (ut)  n)n  possent  informare  nisi  eamdem  materiam,  non  diiferrent  numero, sicut  uuu  lutelligentia,quae,  quia  potest  infoimare  totam  suam  materiam,  non  babet  plura iudividua  sub  se;  sed  animae,  ex  eo  quod  possunt  informare  plura  corpora  numero  diffe- rentia,  ut  esse  per  se  generabiles  et  corruptibiles,possunt  esse  diversae,numero  differen- Ch.  l-fC  vei-so  tes,  et  ita  istahabitudo  erit:  posse  informare  plures  materias,  quae  habitudo  uon  differt ab  anima,  cum  sit  relatio  quae  non  ditfert  a  fundamento  iu  via  praesertim  Tbomae. Et  ita  auimae  per  se  ipsas  realiter  distinguuutur,  et  circumlocutive  tamquam  a  signo per  istas  habitudines.  Sed  dices  propter  quod  est,  quod  non  possunt  informare  mate- rias  specie  diversas?  Respondeo  quod  hoc  est  merito  imperfectionis  earum;  ex  hoc enim  quod  simt  aptae  iuformare  corpus  generabHe  propter  sui  potentlalitTltem,  et  idem corpus  non  posset  idem  numero  permauere  sed  tautum  specie.  Quod  enim  nou  potuit perpetuari  in  individuo,  saltem  in  specie  perpetuatur,  secundo  huius,  commento  34.° Ideo  et  animae  quae  babent  informare  ista  corpora  generabilia,  erunt  eiusdem  speciei,  solo numero  differentes;  Intelligentiae  auteui  quae,  ex  sui  perfectione,  possimt  informare totam  materiam  eiusdem  speciei,  ideo  ipsae  uon  diiferunt  specie,  et  eorum  materia eadem  numero  semper  durare  potest;  quare  ulterius  dico  quod  si  Deus  crearet  duas animas  simul,  quod  puto  possibile  et  verum,  licet  aliqui  Thomistarum  fueriut  in  op- positum,  qui  Parisiis  fueruut  condemnati,  dico  quod  non  differrent,  ex  eo  quod  possunt duo  corpora  informare  ex  sua  natura,  et  esse  pars  generabilis  et  corruptibilis,  non per  diversas  habitudines  ad  materiam.  Sed  dices:  istud  non  videtur  satisfacere  Ari- stoteli  12°  Metaphysicorum.  Dico  quod  bene  sequitur  quod  si  essent  plures  Dii,  non esseut  puri  actus,  quia  non  essent  perfecti,  ex  hoc  quod  non  possuut  informare  unam materiam,  nec  etiam  anima  est  purus  actus,  sed  aliquod  habet  potentialitatis,  nec etiam  Aristoteles  voluit  ibi  quod  Deus  esset  materialis,  sed  quod  mundus  esset  ge- nerabilis  et  corruptibilis.  Et  opiuio  Scoti  (?)  mihi  iu  hoc  non  placet. Altera  difficultas  est  quod,  cum  mundus  sit  aeternus,  vel  animae  erunt  infinitae vel  de  corpore  iu  corpus  trausibunt.  In  hoc  variae  suut  rationes.  Quidam  dixerunt muudum  esse   aeteruum,  et  quod  animae  actu  sunt  iufiuitae,  et  huius  sententiae  fuit Ch.  147  rccto  (fueruut)  Aviceuua,  Algazeles  et  Scotus  dicentes  uon  repuguare  apud  Deum  dari  infini- tum,  licet  Aristoteles  hoc  negaret. Aliqui  aliter  dicunt  quod  in  essentialiter  ordinatis  non  datur  infinitum,  sed  uon inconvenit  in  accidcntaliter  ordiuatis,  animae  nou  suut  accidentaliter  ordinatae.  Et quod  istud  iufiuitum  uon  sit  simpliciter  infiuitum,  sed  secuudum  quid,  sicut  totum tempus  (est)  simpliciter,  sed  futurum  est  infinitum  secundum  qiiid  a  parte  post,  et  prae- teritum  est  infinitum  a  parte  ante,  ita  auimae  a  parte  ante  sunt  infinitae ,  a  parte post  etiam  sunt  infinitae,  sed  secundum  quid.  Ista  ratio  mihi  uon  placet,  quia  da- retur  etiam  iufiuitum  in  essentialiter  ordinalis,  quia  uumeri  suut  esseutialiter  ordi- nati.  Istae  autem  animae  su-it  numeratae;  est  enim  una,  duae,  tres  et  sic  de  singulis; ergo  si  animae  esseut  infiuitae  daretur  in  numeris  processus  iu  infinitum.  Ad  hoc quidam  dicunt  quod  bene  esset  multitudo  infinita,sed  numerus  iufiuitus  non;  quia numerus  creatur  ex  divisione  continui;  non  datur  autem  continuum  infiuitum,  ex primo  Coeli,  et    Physicorum,  ergo  nec  datur  numerus  infinitus.  Ponunt  ergo  isti differentiam  iuter  multitndinem  et  numerum,  et  multi  tenent  hanc  responsionem,  sed nugae  sunt,  nec  in  isto  est  disputandimi,  quia  ego  non  credo  omnem  numerum  creari cx  divisiono  coutinui,  imo  numerus  prior  est  continuo   et  illo  abstractior.  Unde  iu primo  Posteriorum  dicitur  quod  uuitas  est  puncto  abstractior,  et  aritlimetica  geome- tria,  et  hoc  est  contra  Aristotelem    Physicorum,  ubi  cum  probavit  non  dari  infi- nitum  in  entibus  materialibus,  probat  etiam  non  dari  in  spiritualibus,  quia  implicat contradictionem,  nec  intellectus  mensurae  (?)  capit  quod  apud  Deum  detur  iufinitum,  nec Deus  posset  facere  unum  corpus  infinitum;  totum  enim  locum  occuparet,  nisi  fides sit  in  oppositum;  sed  puto  eam  ab  hoc  non  dissentire.  Ideo  quod  dicit  Scotus  de  in- finito  secundum  quid,  est  contra  Aristotelem  iu  tertio  Physicorum;  ubi  vult  quod  si     Ch.  147  verso aliquod  est  infinitum  secundum  quid,  est  etiam  iufinitum  simpliciter.  Alii  dixerunt, et  fuit  Origenes,  quod  Deus  a  principio  mundi  creavit  multa  pro  una  generatione,  qua completa,  non  amplius  creabit  aliquas  animas.  Sed  hoc  est  voluntarie  dictum,  nec  habet aliquam  auctoritatem  ad  hoc  cogentem.  Alii  dicunt:  in  aliquo  certo  terapore  renovabi- tur,  et  quod  fit  resurrectio  et  regressum  animarum  ad  corpus,  ut  disit  Plato  quod  mun- dus  renovabitur  iu  auno  magno,  quod  est  in  tribus  millibus  annis,  quum  orbis  tuuc erit  in  ea  dispositioue,  in  qua  nuuc  est.  Causae  autem  sioiilis  effectus  similis  est.  Haec opinio  de  resurrectioue  est  contra  Aristotelem  in    De  generatione  in  fine,  ubi  habet  quod idem  numero  non  potest  redire.  Postea  videtur  iuiustum  quod  qui  uunc   sunt  beati, possint    ad   corpora  iterum  redire:  possent    euim   peccare  et   a  corpore   paterentur. Cuius  opiniouis  fuit  P^^thagoras  et  Plato.  Alii  di.xerunt  quod  mundus  est  aeternus,  sed per  infinitum  teiupus  homo  non  fuit,  et  istud   non  videtur  esse  rationabile   dictum, quia  mundus  eo  tempore  non  fuisset  perfectus.  Tanta    enim  perfectione,  quanta  est homo,  caruisset.  Aegidius  dicit  in    quolibetico  quod  Aristoteles  putavit  animas  esse multiplicatas  et  aeternas,  sed  non  vidit  hoc  argumeutum,  sicut  forte  non  vidit  multa alia.  Cuius  signum  est  quod  Averroes  numquam  videtur  formasse  hoc  argumentum contra  se,  quod  si  vidisset  aliquod  foriuasset.  Thomas  tandem  defaticatus  dicit  quod ipse  Aristoteles  vidit  hoc  argumentum.  Certum  est  euim  quod  non  est  contra  Chri- stiauos  poneutes  muudum  finitum  a  parte  ante  et  a  parte  post.  Ego  non  credo  quod sic  (?)  Averroes  putet  animas  esse  aeternas  et  plurificatas,  et  forte  ponit  auimas  iterum ingredi  in  corpora  dimissa  sicut  Plato  tenuit.  Cuius  signum  est  quod  numquara  de hoc  loquitur  contra  antiquos.  Sed  de  hoc  Aristoteles  forte  fuit  ambiguus,  vel  tracta- vit  de  hoc  iu   libris   qui   ad  nos  non  pervenerunt.  Et  si   dicas   tunc   daretur  resur-     Ch.  148  recto rectio:  dico  quod  forte  Aristoteles  non   negaret   in  homiuibus,  licet  forte  in  brutis. Kesolvendo  ergo,  sto  in  ratione  Thomae,  quod  Aristoteles  non  intellexit  se  sicut  forte nec  iu  aliis. Altera  est  difficultas,  quod,  cum  anima  sit  aeterna,  utrum  aliquando  inceperit esse.  In  hoc  Aristoteles  videtur  utrique  parti  favere;  quod  enim  inceperit  esse  duae sunt  auctoritates;  prima  est  duodecimo  Metaphysicorum,  textu  commenti  16'  et  17',  ubi Aristoteles  dicit  quod  causae  moventes  sunt  animae  effectuum,  sed  causa  formalis  incipit esse  cum  re  (?)  etin  quibusdam  formis,  ut  de  intellectu,  nihil  Philosophus  habet  (censet) post  mortem  remanere.  Ecce  ergo  quod  secus  (sic)  Aristoteles,  ut  iiti  notat  Thomas: anima  intellectiva  incipit  esse  cum  corpore,  et  remauet  post  subiectum  compositum. Altera  est  in  secundo  De  geueratione  animalium,  cap.  3°,  ubi  dicit,  quod  anima  sen- sualis  et  intellectualis  prius  suut  in  actu;  si  ergo  aliquando  sunt  in  actu  et  aliquando  in potentia,  non  sunt  omnino  aeternae.  Pro  altera  parte  sunt  auctoritates  eiusdem  in  capitulo eodem,  ubi  quaerit  utrum  omnes  auimae  sint  aute  corpus  vel  non;  et  dicit  quod  solus intellectus  est  aute  corpus.  Si  est  auto,  ergo  nou  iuciiiit  csso  cuin  corporesimul.  it,.ra auctoritas  est  primo  Coeli,  ubi  vult  quod  orane  aeteruum  a  parto  ante  est  aetemuin  |,art,: post.  Item  sequereUir  quod  auima  crearetur;  vel  ergo  iiuinediate  a  Doo,  vol  luediaut  ..■ Si  primum,  ergo  novitas  esset  in  Deo,  quoniam  actio  nova  ab  agento  antiquo  imn ,, procederet,  et  novitas  quae  est  in  effectu  debot  in  causa  reduci.  Si  uiediauto  coel  eri'o materialis,  quare  generabilis  et  corruptibilis  csset.  Sed  ad  istas  Averroes  posset  -i....: ad  illam  de  12"  Met,hapiiysicorum,  dicit  quod  non  fecit  cxpressfr  mentionem  dniic- ptione;  est  euim  clarum  quod  omne  aeternum  a  parto  post  est  aetornum  a  part ontp, in  via  saltem  Aristotelis.  Sod  tunc  est  dubium  quaro  dixit  quod  reiuanet  post  m-tm, Ch.  )4Svcrso  cum  eadem  ratione  esset  clarum,  aetenium  enim  a  parte  anto  ost  aeternum  a  arte post.  lu  lioc  difficiie  est  respondore,  tamen  pro  uuuc  dico  quod  Aristoteles  it.r.iiit quia  libitum  est  ei. Ad  alteram  dico  dupliciter:  primo  modo,  quod  hoc  intelligitur  quoad  op(.\tio- nem;  prius  est  enim  in  poteutia  futelligons  quam  sit  actu  intelligens.  V«l  alit' di- catur  quod  si  Aristoteles  Joquilur  ibi  de  aniiua  et  iion  operationo,  dico  quod  aim.i in  se  uon  est  iu  potentia  priusquam  iii  actu  informet,  sod  semper  cst  actu.  Si  re- spectu  Socratis,  est  in  potcntia  ad  informandum  prius  Socratom,  quam  actu  infuiiet. Teneudo  tamen  aliam  opiniouem  possumus  dicoro  ad  auctoritatem  in  opposituin:  a-  iri- mum,  quod  auima  intellectuin  praecedit  ita  non  secundum  leinpus;  quaravis  enim  iim.1 in  eodem  iustanti  boetur  (creotur)  a  Deo  et  in  corpus  infuiidatur  ut  dicit  Augiisiu.s, prius  tamen  uatuva  a  Deo  creatur,  qiiam  in  corpus  infundatur.  Aliao  autem  non  s  se habent,  quia  educuntur  de  potoutia  mato-iae  et  non   veniunt  de  foris. Ad  ultimum:  quod  omue  aeternum  a  parto  ante  est  aeternum  a  parte  ist. Aliqui  negant  aporte  Aristotelcm  in  hoc.  Thoraas  aliter  dicit  quod  illud  inteiligiti  ci voluntate  uon  habet  verisimiJe  illud  dictura.  Ista  (propositio)  tamen  modo  valoat  quauim potest.  Aristoteles  enim  ibi  universaliter  ost  loquutus.  Ad  aliiid,  cum  diciturquod  i-a- ret(?)  concedo  hoc;  solus  eiiim  Deus  potest  creare,  est  enim  primus  agens,  nihil  praesp- ponens.  Et cum  dicitur  meUate  vel immediate, dico  quod  in  creatione  animae  est dno oi- siderare.  Primum  est  creatio  aiiimao;  secundum  estcorpoiis  organizatio.  Quoad  primii, solus  Deus  concursit:  creatio  enim  nulli  creaturao  tradita  est,  sed  solus  enim  Deus  cat uuUo  alio  mediante.  Quoad  secuudum  concurrit  Coelum  et  causae  secundao,  et  hoc  dico  - cundum  ordinem  naturae.  Cum  autem  corpus  ost  debite  organizatum,  anima  in  eo  intn- ditur,  et  cmu  dicitur  ab  antiquo  non  provecit  novum  quia  Deus  mutaretur:  dico  q>d Cb.l49recto  uon  sequitur  hoc,  quia  ista  mutatio  innovatio  non  est  ex  part«  Dei,  sed  ex  parte  corpis vel  auimae,  et  hoc  habent  dicere  etiam  illi,  qui  ponunt  Deum  esse  iutellectum  agentu, quia  ipse  immediate  causat  species  intelligibiles  a  phantasmatibus  abstrahendo  eas.  t si  dicereut  quod  pariter  Deus  posset  mundum  de  novo  creare,  ex  eo  quod  ista  novitas  ni in  Deum  sed  in  mimdmn  reduceretur,  dioo  quod  ratio  Aristotelis,  in  8"  Physicorum,  ir quam  ponit  mundum  esse  aetemum  uon  coneludit,  et  iu  via  sua  patitur  angustii. Sed  quautum  sit  in  proposito,  dico  quod  secus  est  de  anima  et  do  muiido,  quia  bce Deus  potest  de  novo  creare  animam,  sod  nou  mundum:  quia  si  crearetur  muDdi mutatio  non  esset  nisi  in  Deo  et  non  in  mundo,  quia  novitas  quae  est  in  efr ctu,  debet  reduci  in  causam  suam,  ergo  nihil  aUud  a  Deo  esset.  Ista  novitas  n; —  169  — «duceretur  in  aliud  corpus,  quia  non  esset,  sed  in  solum  Deum  qui  est  causa:  sed 1  anima  novitas  non  est  in  Deo,  sed  in  corpore  organizato. Alia  difficultas  est:  si  anima  simul  cum  corpore  non  corrumpatur,  sed  remaneat, uaero  an  ingi-ediatur  aliud  corpus  an  nou;  primum  non  est  dicendum  quare  est ibulosum;  sed  si  secundum,  vel  vadit  iu  paradisum,  vel  in  infernum,  vel  in  purga- irium:  quaero  per  quid  fit  iste  motus;  vel  per  alterationem,  vel  per  motum  localem, .  quaero  de  via  per  quam  vadit.  De  hoc  nibil  dicit  Aristoteles,  forte  quia  nescivit. ed  argiimentum  niliil  valet  et  est  contra  Averioem,  etiam  quia,  quando  Socrates  ge- eratur,  quaero  quomodo  intellectus  incipit  eum  infomare,  et  quando  moritur,  quomodo .'sinit  informare.  Sed  ego  dico  quod  iste  motus  non  est  contiuuus ,  nec  rationis iusdem  cum  istis  motibus  inferioribus,  sed  per  generationem,  intelligendo  et  volendo, t  voluit  Thomas,  vel   est  motus  definitivus  ut  voluit  Scotus.  Ch.l40ver?o Altera  difficultas  est  quod  operetur  anima  a  corpore  separata.  Si  nihil,  anima  erit luslra;  nihil  autem  videtur  operari,  quia  hoc  maxime  esset  intelligere,  quia  anima cv  phantasmata  intelligit,  quae  sunt  in  corpore.  Si  autem  non  habet  infelligere,  nec abet  velle.  Dico  quod  anima,  cum  est  separata,  non  iutelligit  per  pbantasmata,  sed  per pecies  infusas  a  Deo;  anima  enim  habet  duas  operationes;  prima  est  intelligere  cum iiautasmate,  secunda  intelligere  sine  piiantasmate  quando  est  separata,  sed  me  lemitto lcclesiae,  et  notetis  quod  de  inferno  et  paradiso,  non  tantum  memiuit  Ecclesia  sed liam  Plato  et  philosoplii,  praeter  sceleratum  Aristotelem. Stat  et  altera  dubitalio:  si  anima  esset  aeteraa,  homo  non  esset  vere  generabilis  et onuptibilis.  Thomas  dicit  ad  hoc,   quod  vere  generatur  quia  portat   ipse  tertiam utitatem  distinctam  a  partibus.  Sed  ego  puto  non  dari  illam  tertiam  entitatem.  Ideo lico  quod  iiomo  non  vere  geueratur  uec  corrumpitur,  sed  potius  generatio  homiuis  est luacdam  unio  et  corruptio  (vel)  segregatio;  et  hoc  habet  etiam  dicere  Averroes;  et  Aristo- eles  sensit  hoc  idem  dicens,  « separatur  autem  hoc  ab  hoc  sicut  sunt ».  Stat  argumentum iro  Averroe:  quod  fci  inteliectus  non  esset  uuicus,  scientia  esset  quautitas  activa.  Ke- -pondet  Thomas  quod  magister  et  discipulus  iu   aliquo   conveniuut  nou  ut  subiecto, ed  ut  obiecto,  et  in  primis  principiis  quoad  speculabilia,  et  de  quolibet  dicitur  esse . el  non  esse,  et  in  operabilihus,  ut  in  isto:  quod  tibi  non  vis  fieii  alteri  ne  feceris. UUima  ratio  erat:   quia  singularitas  impedit  iutelligere.  Dico  quod  uon,  sed  ma erialitas  est  quae   impedit,  et  ad  rationem  suaui,  dico  quod  non  oportet  quod  ex  duo- ijus  numero  distinctis  causetur  tertius  conceptus  sicut  secundum  Nominales.  Isti  ter- luinus  terlius  signant  se  ipsum  lerminum  per  se  ipsum  et  non  per  aliquem  clistin- ctum  (sic).  Haec  est  quae  volui  dixisse  in   hac  quaeslione.  Volo  tamen  unum  dicere quod,  philosophice  loquendo,  potest  probaii  (quod)  anima  est  aeterna  contra  Scotum.       Cb.  loOrecto De  unitate  niultum  dubito.  Averroes  Tiiemistius,  Theophrastus  fuerunt  huius  opi- uionis,  sed  tenendum  est  quod  est  multiplicata  et  aeterna  secundum  fidem,  quia  ali- ter  periret  iustitia  divina  in  qua  Angelicus  multum  insudavit. Utrum  intellectus  intelligat  se  per  se  an  per  aliud. Pomponacius  in  textu  decimosexto,  omissis  nugis  Joannis,  breviter  dubitat  an intellectus  intelligat  se;  de  re  iu  se  nou  est  dubitatio,  qnia  in  nobismet  experimur  hoc, sed  est  dubitatio  (per)  quod  intellectus   iutelligat  se.  Certum  est  quod  non  per  sui 22 —  170  — essenti;ini,  noii  liabendo  concpptum  disliiictum  a  se,  ut  liabet  Commeutator  primo  Poste- riorum:  quia  si  sic,  semper  intelligeret  se,  quod  est  falsum,  nisi  prius  alia  intellexerit: probatur  autem  quod  Iiae  esseut  causae  sufticientes  intelligibilis,  quia  esset  intellectus iutelligeus  et  ipsa  iutellectio,  et  etiam  scieutia  et  scibiie  essent  idem. A  priori  etiam  probatur  hoc:  intellectus  possibilis  est  in  pura  potentia,  modo omne  quod  intelligitur,  intelligitur  quantiLm  est  iu  actu,  nono  Metaphysiconim.  Cum ergo  ita  sit,  videndum  est  quid  sit  illud  per  quod  intellectus  se  intelligit.  Pbiloso- phus,  in  textu  commenti  octavi,  dixit  quod  intelligeudo  alia  se  intelligit,  quia  intelli- geudo  asinum  quodammodo  fit  asinus;  videndum  est  ergo  an  requiratur  iina  species determinata  magis  quam  alia,  sic  quod  solum  per  unam  speciem  vel  per  quamcum- que  possit  se  intelligere;  et  quoad  mihi  videtur,  diceudum  quod  per  quamcumqTie  speciem indifterentem  possit  se  ipsum  cognoscere,  et  hoc  docet  experientia,  et  Aristoteles  dicit hoc  superius,  quod  non  determinat  se  ad  aliquam  speciem  in  loco  illo;  sed  stat  tamen duhitatio:  si  per  quamcumqne  speciem  potest  se  iutelligere,  qnomodo  est  possibile quod  una  species,  ut  asini,  ducat  iutellectuni  in  cognitionem  asini  et  ip.sius  intellectus, vel  requirat  aliud,  et  in  hoc  stat  punctus.  Kequiruutur  duo  modi  dicendi,  unus  minus probabilis,  et  est  quod  per  speciem  solam  intellectus  possit  devenire  in  stii  cognitio- nem,  quia  species  habet  diio  repraesentare:  primura,  illud  a  quo  deciditur,  et  hoc  per se  (patet?);  secuudario,  subiectiim  illius,  cum  non  debeat  esse  ingnota  suo  subiecto.  Sic Ch.  loOverso  ergo  per  quaracumque  speciem  duo  intelliguntur,  subiectum  et  obiectum;  sed  primo ducit  in  cognitionem  obiecti,  secundario  subiecti,  et  hoc  est  quodintellectus  concurrit effective  ad  hanc  actionem,  et  hoc  videtur  dicere  Averroes,  commento  octavo,  ubi  dicit quod  intelligendo  asinum  iit  asinus  aliqno  modo.  Sed  haec  sententia  videtnr  ambigua; quia  si  per  speciem  se  intelligat.  vel  hoc  est  voluntarium,  vel  naturale;  non  volun- tarium  quia  non  semper  hoc  possumus;  et  etiam  cum  voluntas  praesupponat  cogni- tionem  intellectus,  hoc  prius  esset  cognitum  de  intellectu:  si  naturale,  cum  naturalia eodem  modo  se  habeant  semper  in  omnibus,  ideo  rustici  intelligentes  asinum,  per speciem  asini  etiam  suum  intellectum  intelligerent,  et  nos  quando  aliquando  iutelli- geremus,  semper  nostrum  intellectum  intelligeremus.  Secundo,  hoc  videtur  inopinabile, quia,  vel  per  imam  cognitionem  intellectus  coguosceret  se  et  asinum,  vel  per  duas ; si  per  unam,  semper  quando  una  intelligeret,  aliud  etiam  intelligeret;  si  per  duas,  sic etiam  cum  sint  distincta  obiecta,  quaero  quomodo  illi  actus  sint  distincti  ....  si  (ea) sint  distincta,  vel  sunt  absoluta,  velpraesupponunt  aliquid  absolutum;  ergo  istae  duae intellectiones  habebunt  duo  absoluta  distincta  quae  erunt  speeies  vel  aliquid  alterum, licet  forte  sint  ab  eodem  agente;  sic  exempligratia  ego  et  tu  calefimus  ab  eodem  agente, igne,  tamen  hoc  est  per  diversas  caliditates;  alia  est  enim  caliditas  inme  etin  te.  Alius modus  dicendi  est  quod  non  tautum  intellectus,  intelligendo  se,  esset  specie  aliena, sed  ultra  illam  requiritur  aliud,  scilicet  conceptus  unus  distiuctus  a  specie;  ad  quem causandum  concurrit  species  ut  efficiens  instrumentale:  et  sic  cessat  secunda  dubitatio, quia  dicam  quod  duobus  conceptibus  distinctis  intelligitur  asinus  et  intellectus;  et species  asini  est  ut  primo  modo,  et  fit  ista  intellectio  hoc  raodo:  ex  eo  quod  intellectus cst  informatus  specie,  agit  in  seipsum  causaudo  intellectionera  sui  aliam  a  prima  et hunc  raodum  videtur  tangere  Averroes  iu  commento  octavo  in  tine,  ex  mente  Alpha- rabii;  nec    credo    intellectum ,    statim    quod    est    informatus   specie ,   ducere   se   in cognitionem  sui,  sed  requiritur  discursus  et  multa  alia.  Considerat  enim  istam  speciem     CU.  151  recto a  quo  causata  sit,  et  iu  quo  modo  suscipiatur,  et  ita  veniet  in  notitiam  sui,  et  nota quod  est  differentia  inter  conceptum  et  speciem,  quia  de  abstractis  liabemus  conce- ptum  et  uon  speciem;  de  materialibus  speciem  et  non  conceptum,  quia  habemus  de eis  pliantasmata,  et  intellectus  intelligitur  conceptu  diverso  aspecie  asiui,  specie  diversa. Numquid  inlellectus  suam  operationem  intelligat. Quaeritur  quomoJo  intellectus  suam  operationem  intelligat.  De'se  non  est  dubi- tatio,  sed  de  modo.  Joannes  bic  dicit  fatuitates.  Duo  sunt  dicendi  modi,  unus,  quo,  per eamdem  intellectiouem  per  quam  intelligo  obiectura,  intelligam  etiam  intellectiones;  nec hoc  inconveniret  immaterialibus  quod  idem  duo  reputet,  ut  in  divina  essentia  repu- tantur  omnia  entia  et  ipse  Deus;  et  hoc  dicit  Joannes,  sed  credo  iioc  esse  falsum; quia  vel  ista  actio  est  uua,  vel  plures;  si  piimum,  cum  aliquid  intelligam,  semper intelligam  me  iutelligere  quod  est  falsum;  si  vero  ita  quod  sint  diversae,  quomodo differunt  istae  actiones  inter  se  ? Altera  est  opinio  Thomae  in  prima  parte,  quaestione  octuagesimaseptima,  articulo tertio,  quod  non  sit  eadem  intellectio;  et  quod  potest  operatio  esse  tunc  cum  ipsa  quae intelligitur  non  sit  illud  mediante  quo  nos  intelligimus,  sed  est  id  quod  nos  intelli- gimus  cum  et  ipsa  sit  intellectus,  et  si  diceremus  tuuc  procederemus  in  infinitum in  actibus  animae. Dicit  ad  hoc  Thomas  in  prima  parte,  quaestione  octnagesimasexta,articuIo  secundo, quod  in  actibus  anirnae  non  est  inconveniens  procedere  in  infinitum,  ut  bene  dicit Thomas,  et  in  hac  secunda  operatione  intellectus  concuirit  effective.  Sed  tunc  est  diffi- cultas  utrum  sensus  habeat  talem  actionem.  Themistius,  in  secundo  huius,  videtur  diccre quod  sic;  tamen  ut  est  sententia  Aristotelis  in  De  somno  et  vigilia:  nullus  sentit  suam operationem.  Ego  puto  quod  non,  sed  quae  est  altera  ratio  quare  inteiligat  (se  intellectus) non  autem  seusus?  Dico  quod  quia  intellectus  est  super  se  retlesus,  potest  se  intel- ligere;  nulla  autem  virtus  materialis  potest  coguoscere  se,  quia  nihil  potest  agere  iu se  in  his  materialibus,  licet  in  abstractis  hoc  possit  esse  verum;  aliquid  enim  est  in  Ch.  isiverso superiori  quod  nou  est  iu  iuferiori,  etideo  abstracta  possunt  se  intelligere,  et  hoc  ex perfectione  eorum. Altera  dubitatio  est  utrum  Aristoteles  in  hoc  capite  tractet  de  obiecto  intellectus. Dicitur  quod  sic,  ut  etiam  omnes  Latini  dicunt  in  textu  commenti  noni.  Ex  altera  parte videtur  quod  nou,  quia  tunc  Aristoteles  non  observaret  id  quod  dixit  in  hoc  secundo, scilicet  quod  prius  est  tractandum  de  obiecto  quam  de  potentia.  Scilicet  in  primo capite  huius  tertii,  et  in  secundo  tractaret  de  obiecto,  scilicet  in  hoc  capite  secundo et  in  lextu  commenti  vigesimiprimi  inciperet  tractare  de  ratione  intellectus.  Forte  dices quod  Latini  male  exponant;  Theophrastus  autem  et  Averroes  melius;  cum  ipsi  aliter iutroducant.  Istud  uihil  est,  quia  prius  debuerunt  determinare  obiectiim  et  operationera quam  potentiam;  de  hoc  nullus  dicit,  ego  tamen  dicerem  quod  prius  quoquomodo determiuavit  de  obiectoquam  de  operatione,  et  hoc  quum  dicitin  textucommenti  quarti: si  ergo  omnia  intelligit,  ens  est  suum  obiectum;  et si  diceremus:  uou  desciipsit  suum  obiectura,  dico  quod  ens  non  habet  descviptionom, cum  uihil  sit  uotius  ente;  ideo  non  descripsit,  et  cum  dixit  qiiod  intelligit,  tractavit  Je operatione:  in  Iinc  vero  capite  magis  determinavit  de  obiecto  et  in  textn  commeuti  21 magis  determinato  locutus  est  de  operatione  intellectus,  imo  idom  facit  in  2"  liuius iu  cap.  De  seiisu,  quia  prius  tractat  de  sensu  in  communi  et  deinde  tractat  de  obiecto scilicet  sensibili  communi  et  proprio. Vlrum  singulare  cognoscatur  ab  intelleclu  cl  quomodo. Quaeritur  etiam  quomodo  singulare  dgnoscatur  ab  intellectu  uostro  et  utrum coguoscatur  distincte,  quamvis  aliqui  dicant  quod  non;  sed  ista  opinio  videtur  falsa. Primo  Aristoteles  in  textu  commenti  noni  dicit  quod  singulare  cognoscitur  vel  a  diver- Ch.  15-2recto  sis  virtutibns  vel  ab  uua  aliter  se  habente.  Ecce  ergo  quod  concedit  (?)  al)  una virtute  cognosci;  ista  autem  virtus  non  potest  esse  sensus,  quia  sensus  tantum  circa singularia  versatur,  ergo  est  intellectus,  quia  ambo  (')  cognoscit.  Item  intellectus  separat universale  a  particubari;  eadem  autem  est  virtus  quae  coguoscit  aliqua  et  ponit  difTe- rentiam  inter  illa,  secundo  huius  textu  commenti  centesimiqiiadragesiraisexti.  Item inductio  est  a  particularibus  ad  universalia.  Eadem  autem  est  virtus  quae  ex  par- ticularibus  colligit  universale;  nec  est  dicendura  inductionem  fieri  a  diversis  virtutibus, quia  lioc  est  falsum;  imo  audivi  uuum  doctorem  hoc  inconveniens  (esse)  concedere.  Iteni nonne  sunt  syllogismi  particulares  quos  non  potest  facere  aliqua  virtus  sensitiva?  Pro- cedunt  enim  ex  una  universali,  vel  ex  alia  particnlari,  quia  regulantur  pro  dici  de omni  et  de  nullo,  sensus  autem  nou  cognoscit  universalia.  Sed  videndum  est  de  modo ])er  quem  intelligitur  singulare.  Hic  simt  duae  opiniones:  prima  est  Nominalium,  quae etiam  videtur  Alexandri,  quae  stat  in  tribus  considerationibus.  Prima  oonsideratio  est quod  singulare  coguoscitur  per  propriam  speciem,  quia  intellectus  ponit  distinctam differontiam  inter  universale  et  particulare;  hoc autem  non  potest  esse  nisi  habeat distinctam  cognitionem  de  illis,  et  hoc  nou  potest  tieri  uisi  per  eius  conceptum.  Item vel  cognoscitur  per  propriara  speciem,  vel  per  speciem  universalis.  Si  primum,  habeo  iu- tentum;  si  secundum,  cura  ista  species  ducat  nos  in  cognitiouem  omnium  singularium  iu communi  vel  in  confuso,  non  potero  habere  uotitiam  unius  determinati  individui  ut  Soc  '" aut  Plat."''  Secunda  consideratio  patet.  Quod  intelligitur  ab  intelleetu  est  siugulare; quae  consideratio  probaturquia  illud  prirao  inteliigitur  quod  primo  pliautasiatur;  siugula- re  autem  primo  phantasiatur,  ergo  primo  intelligitur.  Priraa  propositio  est  mauifesta  exeo quod  intelligere  nostrum  depeudet  a  phantasmatibus;  brevior  patet  quia  phantasia  est  sin- gularis.  Item  sic  se  habet  singulare  incomplexum,  sed  singulare  complexum  prius  cogno- scitur  quam  uuiversale  complexum.  Ergo  et  ita  est  de  incompleso.  Auterior  patet  ex Ch.  152  verso  convenienti  similitudine;  brevior  probatur,  quia  sic  cognosco  quod  reubarbarum(sic)pur- gat  coIeram(sic)sicut  dicitur  in  secundoPosteriorum  in  fine,et  est  primoPoste.riorum,  in capite  de  ignorantia,  quod  deficiente  sensu  deficit  scienlia  illius  sensilnlis  quod  habetur jier  sensum  illum.  Item  est  tertia  ratio  quod  uti  non  coguoscitur  nisi  abstrahendo  a  par- ticularibus,  sed  abstractio  non  fit  uisi  a  noto,  ergo  siugulare  prius  fait  coguitura  ab intellectu.  Tertia  consideratio  (est)  quod  uti  non  cognoscitur  nisi  ex  comprehensione  mul- torura  singulaiium,  et  ex  similitudiue  reperta  in  singulari  causatur  universale,  sicut accipiendo  Socratem  et  Platonem,  ita  maxiraa  eorum  similitudine,  causant  conceptura specificum;  et  videndo  hominem  et  asiuum  ambos  habere  virtutem  sensitivam,  causatur (I)  Scilicet  singulare  eC  universale. aliiis  conceptus,  iit  puta  genevicns,  quia  noii  habet  tautara  similitiuliiiera  quanta  est  iu Socrate  et  Platono.  Non  ergo  universale  primo  et  simpliciter  fit,  seJ  ex  collatioue  raul- tonuu  individuorum,  et  pro  hoc  est  auctoritas  Alexandri  hic,  et  iu  Paraphrasi  et  in capite  vigesiraoseeundo,  ubi  videtur  hoc  aperte  dicere:  dico  enim  quod  cum  sensus coguoverit  hoc  vel  hoc  album,  statim  intellectus  es  his  sensuum  intentionibus  album cognoscit.  Quid  clarius?  idem  videtur  dicere  Themistius  in  primo  huius,  capite  quarto, commentoquarto;etAverroes,in  duodecimoMctaphysicorum  commento  quarto,  dicit  quod universalia  apud  Aiistotelem  sunt  coUecta  ex  particularibus  in  intellectu,  qui  accipit inter  ea  similitudincm  et  facit  ea  unum  in  actu.  Haec  ipse.  Quid  ergo  clarius  quam dicere  particularia  sunt  in  intellectu?  Dicunt  ergo  quod  particulariter  ab  intellectu cognoscltur,  et  ratio  est  quod  nulla  alia  res  videtur  posse  causare  universale,  et  ista  fuit opinio  Buridani  in  primo  Physicorum,  Gregorii  Ariminiensis  in  primo  Sententiarum, distinctioue  tertia,  quaest.  priuia,  art.  primo,  quod  scilicet  cognoscatur  singulare  ab intellectu  per  propriam  speciem;  istam  tamen  specie.m  habet  a  sensu,  non  enim  potest intelligere  singulare  nisi  prius  id  senserit  sensus,  et  quod  conceptus  communis  sit posterior  conceptu  parlicularium. Altera  opinio  est  quae  huic  ex  toto  opponitur  qnam  imitantur  Albertus,  Thomas,  Ch.  loSrecto Scotus,  quae  et  ipsa  stat  in  tribus  cousiderationibus;  prima,  quod  singulare  non  cogno- scitar  ab  iutellectu  per  propriam  speciem;  prima  ratio,  quia  receptum  non  recipitur secundum  naturam  recepti,  sed  secundum  uaturam  re  ipientis;  cum  ergo  intelloctus habeat  recipere  ipsum,  non  recipit  secundum  uaturam  singularis,  scilicet  singulariter, sed  secuudum  naturam  intellectns,  id  est  universaliter.  Item  nos  diximus  superius  quod intellectus  in  hrc  differt  a  sensu,  quia  intellectus  universaliter,  sensus  singulariter recipit.Ergo  illud  quod  in  intellectu  recipitur  uou  siugulariter  recipitur,  sed  sub  conceptu uuiversali  recipitur.  Item  non  esset  necessitas  ponendi  intellectum  ngentem;  quod probatur,  qnia  intellectus  agens  uon  ponitur  nisi  ratione  ui.iversalis  quoJ  ab  intellectu debeatrecipi.  Et  isla  est  opinio  Averrois,  in  commento  decirao  octavo,  in  fine.  Si  autem singulare  recipiatur  in  intellectu,  ad  quid  esset  ponendus  intellectus  agens  ?  Item arguuut  moderni  argumento  quod  reputant  Achiilem.  Si  intellectus  haberet  conceptus singulares  ipsorum  singularium,  sciret-ponere  differentiam  inter  duo  individua  eiusdera speciei,  et  cognoscere  differentiam  quae  est  inter  talia  individua :  hoc  autera  est  falsura 'deduobus  repraesentatis,  quorum  unum  sit  repraesentatura  iu  una  hora,  aliud  in  alia. Verbigratia  pono  hic  unum  ovum.  Vel  habeo  proprium  conceptum  buius  vel  non.  Si nou,  habeo  intentum;  si  sic,  nolo  quod  aliud  ponatur:  tu  credis  illud  esse  idem  ovum. ergo  non  scias  ponere  differentiam.Secuuda  consideratio  (est)  quod  intellectus  non  intelli- git  primo  siuguIare,quod  declaratur  quia  inteHigit  reflexe,  ergo  non  directe.  Consequentia probatiu-  quia  linea  recta  non  est  retlexa;assumptum  patet  hicin  textu  commenti  decimi. Item  quod  per  accidens  intelligitur  non  prirao  intelligitur;  singulare  per  accideus  in- telligitur,  ergo;  assumptxrm  patet  qnia  per  se  nou  sunt  idem  numero,  (brevior?)  pro- batur  per  famosam  propositiouem,  quae  dicit  universale  per  se,  singulare  per  accidens iutelligitur  ab  intellectu.  Item  quod  est  priraum  obiectum  prius  intelligitur,  nniversale est  primum  obiectum  iutellectus,  ergo  prius  cognoscitur  ab  intellectu.  Anterior  est clara;  brevior  probatur  quia,  ut  communis  est  sententia,  intellectns  est  universalium,  Ch. loSverso seusus  vero  particulariiuu. Tertia  consideratio  est  qnani  isti  in  sna  tertia  consideratione  sibi  coudicunt,  quia singulare  prins  iutelligitur,  et  uuiversale  non  intelligitur  nisi  per  compreheusioueiu s  multorum  singularium,  et  coliectio  siugularium  non  est  uisi  universaie.  Ergo  univer- sale  cognoscitur  aute  universale  quod  est  inconveniens;  restat  ergo  dicere  quod  uni- ^-  versale  per  speciem  universalis  primo  cognoscitur,  et  siugulare  secundario  coguoscitur; uec  oportet  liabere  couceptns  piaedictos  primo,  quoad  hoc  quod  universale  intelligatur; sed  tunc  ego  quaeram  si  particulariter  non  cognoscitur  ab  iutellectu  per  speciem  pro- priam,  quomodo  fiat  intellectio  siugularium  ?  Dicitur  quod  species  decisa  ab  obiecto, secnndario  repraeseutat,  vel  per  se  prinio;  et  quia  est  imago  decisa  a  phantasmate, repraesentat  etiam  siugnlare,  licet  non  primo,  sed  reflexe;  de  qua  reflexiouo  di- ctum  est  iu  commento  decimo.  Utraque  hornra  partium  potest  teueri,  et  Dens  de hoc  scit  veritatem,  ego  antem  nescio;  dico  tameu  quod  prima  opinio  mihi  ma- magis  placet.  Quia  tameu  sua  argumeuta  non  concludunt  ad  illa  respondebimus.  Ad primnm,  quod  intellectus  ponat  distinctionem  inter  nniversale  et  particulare,  lioc  argu- mentum  non  est  facile;  dico  tamen  quod  ponit  difterentiam  inter  ea,  non  per  speciem particularem  distiuctam  a  specie  universalis,  quia  non  potest  haberi  speciem  siugu- laris.  Sed  dices  unde  est  quod  ponit  ditferentiam  (ad)  intelligere  ea?  Dico  qnod  in  prima operatione  qnando  directe  intelligit  universale,  tantnm  universale  coguoscit.  Sic  iu secunda  quando  revertitur  ad  phantasmata,  pouit  differentiam  inter  universale  et  par- ticulare,  sed  haec  responsio  non  multum  valet;  quia  si  non  est  diversitas speciernm, ergo  nec  iutellectiounm,  cum  duae  intellectiones  non  proveniant  ab  eadem  specie;  qnare si  non  habebit  speciem  singularis  non  poterlt  inter  ea  difiereutiam  pouere;  cum  tamen unum  cognoscat,  scilicet  universale,  qnia  eins  solius  habet  speciem.  Ad  secuudum, qnod  species  universalis  causat  confusam  cognitiouem  particularium,  dicitnr  quod  species nuiversalis,  quantum  est  de  uatura  sua,  non  causat  distiucte  eognitionem  paticularium: Cli.  154  locto  per  accidens  autem,  in  quantum  cansatur  ab  hoc  vel  ab  hoc  particulari  determinato, ducit  in  cognitiouem  alicuius  particularis  et  non  alterius,  et  ita  per  accidens  causat distinctam  cognitionem  particularium. Ad  argumeuta  facta  pro  secuuda  cousideratioue,  ad  probandum:  quod  primo  phan- tasiatur  primo  intelligitur,  negatur  assumptum,  et  ratio  quia  uos  phantasiamnr  parti- cularia  tantum  et  particulariter,  intellectus  antem  tantum  universale  et  universaliter intelligit.  Ad  secuudum  sicut  se  habet  complexnm  ad  complexnm  etc,  dicitur  primo concedeudo  assumptum;  ad  anteriorem,  dico  quod  nou  semper  necesse  est  ad  lioc quod  intelligam  uuiversale  complexum,  ut  prius  intellexerim  particulare  complexum; quia  possem  habere  conceptum  uuiversalem  complexum  non  habeudo  singularem. Quod  autem  dicitur  de  Aristotele,  dico  quod  illud  est  verum  in  principiis  quae habent  ortum  a  sensu,  non  de  principiis  sicut  accidit  in  geometria,  ubi  aliquando habemus  couceptum  universalem  alicuius  considerationis,  absqne  hoc  quod  habeamus conceptum  siugularem  suorum  singularium.  Et  in  libro  De  historia  animalium  Aristo- teles  docet  nos  de  moribus  aliquornm  aniraalium,  tuuc  de  his  auimalibus  habemus conceptnm  communem,  nuniqnara  tamen  haberaus  conceptus  particulares  istornm  ani- malium.  Aliter  potest  dici  negando  assumptum  et  similitudiuem  illam,  et  ratio  est quia  quando  comprehenditur  universale  incomplexum  repraesentatur  natura  communis, sed    comprehendeudo    universale    complexum   repraeseutatnr  suppositnm    ratioue    de limitatione  «omnis» ;  quod  si  adiungitiir,  licet  stet  primo  pro  natura  in  communi,  ut  dicen- do  omue  reubarbarum  purgat  coleram,  ratione  de  liraitatione  «omnis>,  repraesentatur suppositum;  licet  euim  stet  pro  natura  in  communi,  inter  tamen  naturalia  Iiabet  exerceri in  suis  suppositis,  et  ita  non  valet  similitudo.  Ad  aliud:  universale  abstrahitur,  et  ista' absti-actio  non  fit  ab  ignoto:  dico  quod  est  aequivocatio  de   abstractione  ;  non  enim abstraliitur  eo  modo   quo  argumentum  concludit,  ut  quando  notum   a  noto   abstra- liitur.  Sed  est  abstractio  ad  hunc  sensum,  quia  singulare  quod  est  in  potentia  intel- lectus  fit  actu  intellectus.  Ad  illud  quod  dicitur  in  tertia  consideratione,  scilicet  istam esse  sententiara  Alexandri,  Themistii  et  Averrois,  dico  quod  suae  (tuae?)  auctoritates  non     Ch.  l.^Jver.^o sunt  verae  pro  universali  quod  est  priraa  intentio,  sed  pro  universali  quod  est  secunda intentio.  Homo  enim  et  animal  possuut  haberi  sine  collatione  multorum  singularium, si  pro  prima  intentione  capiantur;  si  autem  sumantur  pro  secunda,  ut  sunt  genus  et species,  hoc  non  potest  esse  sine  illa  particularium  collatione  ab  intellectu  facta;  quum genus  et  species  habent  de  raultis  praedicari,  quod  non  potest  esse  sine  illa   colla- tione;  sed  ista  responsio  non  est  ad  intentionera  Alexandri,  quia  Alexander  ibi  dicit de  albo  et  albo,  et  ita  non  valet;  nec  videtur  esse  illa  mens   Averrois  quia   arguit contra  Platonem;  non  est  autem  necessarium  quod  Plato  voluerit  alias  iutenMones  esse a  materia  separatas  qualiter  ponebat  ideas.  Si  uon  voluraus  tenere   quod  intellectus intelligat  singulare  sicut  mihi  videtur  esse  tenendum.  possumus  ad  argumenta  contra hoc  facta  dicere.  Ad  primum.  quod  recipiens  recipit  secundum  naturam  suam,  possumus dicere:  quod  intelle:tus,seoundum  scilicet  quod  sit  abstractus,  et  quod  sit  forma  materiae et  ultima  intelligentiarum:  quoad  primum  habemus  quod  tantum  universalia  intelligat;  quo vero  ad  secundum  quia  est  fonna  materiae,  et  quia  est  naturae  ancipitis  inter  abstracta et  non  abstracta^cum  medium  participet  naturam  extremorum,  habemus  quod  singularia possit  intelligere,  quia  a  raateria,  saltem  quoad  operari,  dependet.  Ad  secundum  quod  est ista  difterentia  inter  sensum  et  intellectum,  dico  quod  est  differentia  inter  sensum  et intellectum  quia    sensus  non   recipit  nisi  singulare,    intellectus    vero    universale   et singulare,  sed  intelligit    uuiversale  pro  quanto  est  abstractus   a   materia ,  singulare vero  in  quantura  a  materia  dependet  in  operari.  Ad  tertium  quod  tolleretur  neces- sitas   intellectus   ageutis:  dicit  Bur.  (Buridanus?)  in  prirao  Physicorum  quod  ideo ponitur  intellectus  ageus,  quia  materiale  non  potest  agere  in  immateriale.   Sed  ista responsio  non  est  ad  mentem  Averrois  in  commento  decimo  octavo,  ubi  ponit  intelle- ctum  agentem  solura  per  utilitatera  faciendam.  Ideo  dico  aliter,  negando  consequen- tiam,  quod  si  solum  siugulare  iutelligeret  non  esset  necesse  ponere  ipsum;  sed  quia     Ch.  155  retto ultra  hoc  et  universale  cognoscit,  et  hoc  est  magis  proprium  ei  quam  singulare  in- telligere,  ideo  ponitur  intellectus  agens;   quod  si  diceres    a  quo  habet  cognitionem singularis,  dico  quod  habet  a  sensu.  Fit  enim  transitus  de  ordine  in  ordinem,  a  sensu

ad  intellectum.  Ad  quartum  de  duobus  ovis,  dJco  quod  si  hoc  argumentuni  conclu- deret,  etiam  de  sensu  concluderet,  quia  non  cognosceret  sensus  singulare.  quia  virtus cognitiva  nescit  ponere  differentiam  inter  ea,  et  tamen  speeies  potnerunt  in  memoria conservari,  et  ideo  ad  praesens  aliter  non  dico.  Ad  arguraenta  facta  contra  secundam consideratiouem:  ad  primum,  dico  quod  singulare  intelligitur  reflese.  Buridanus,  pri- mo  Physicorum,  dicit  de  reflexione  quam  dicit  Averroes  in  commento  decimo;  sed  quia illa  expositio  non  est  ad  mentem  Aristotelis,  ideo  aliter  dicimus  quod  illa  reflexio  non —  17(3  — est  sicuti  imaginati  sunt  nostri  Latiui;  sed  cognoscit  singulare  reflexe,  quia  sicut  linea reflexa  est  gemina,  ita  est  cognitio  singularis  quia  est  per  sensum  et  iutellectum.  AJ secundum,  quod  per  accidens  intelligitur:  dico  qnod  aliquaudo  accidit  universali  quod nou  est  accideus  in  particulari,  ut  visibile  accidit  in  auimali  et  non  homiui ;  ita  in proposito  quod  intellectus  intelligat  siugulare,  hoc  accidit  iutellectui  ut  humauus  est, iion  tamen  aecidit  ei  ut  intellectus  est,  quia  ut  humanus  potest  intelligere  singularia,  nou ut  intellectus  est;namduodecimoMetaph3'sicovum  iQtellectus,  ut  intellectus  est  et  abstra- ctus,  non  inteliigit  (singulare).  Ad  tertium dico  quod  universale  est  obiectum iutellectus  per  exclusionem,  ut  dicit  Gregorius,  quia  intellectus  pro  universali  difl^ert  a sensu;  potest  euim  intellectus  apprehendere  uuiversale  quod  non  potest  seusus,  quia  circa particularia  versatur,  sicut  est  in  sensu  communi,  qui  colores,  sonos  et  omnia  seusualia cognoscit,  quae  a  sensibus  particularibus  cognoscuutur;  et  ultra  hoc  (sensus  communis) cognoscit  operationem  sensuum  exteriorum,  et  tamen  non  distinguitur  sensus  communis a  particulari  per  hoc  quod  talia  sensibilia  cognoscat,  sed  quia  operationes  sensuxmi Ch.  155verso  exteriorum  cognoscit,  ideo  distiuguitur.  Ad  quartum:  quod  ante  universale  cognosceret universale,  dico  quod  ista  particularia  quamvis  habeant  causare  conceptum  communem uou  sunt  universale  nisi  in  materiali,  sicut  sensus  cognoscit  duo  alba  quae  possunt causare  conceptum  communem,  et  tamen  non  sequitur  quod  sensus  cognoscat  imiver- sale:  ita  ista  singularia,  quamvis  possint  causare  couceptum  communem  et  universalem, non  tameu  sequitur  quod  sit  universale  in  actu,  et  ita  non  cognoscitur  universale  ante universale. Utrum  intellectio  et  species  intelUgibilis  sint  idem  realiler. Quaeritur  ulterius  utrum  iutellectus  et  species  intelligibiles  sint  idem  realiter; posset  enim  aliquis  ex  praedictis  liabere  quod  non  sint  idem  realiter,  quum  intellectus agens  (ut  dictum  est)  est  etiam  causa  speciei  intelligibilis,  non  autem  intellectionis.  De boc  nulli  est  dubium  quod  diflerant  ratione,  quum  species  repraesentet  tantum  ipsum obiectum  non  autem  iutellectio.  In  hac  materia  est  una  opinio  quae  tenet  quod  non Cb.  172  verso  distinguantur  realiter,  quia  vel  intellectio  adderet  aliquid  absolutum  vel  respectivum ipsi  speciei;  sed  uullum  liorum  addit  intellectio  ipsi  speciei,  ergo  non  difl^erunt  rea- liter.  Anterior  patet:  brevior  probatur  pro  pvima  parte,  quia  si  intellectio  adderet  ali- quid  absolutum,  per  speciem  non  acquireretur  nova  intellectio  nisi  aliquid  absolutum de  novo  acquireretur.  Modo  non  est  fiugere  tale  absolutum  quod  intellectio  superaddat ipsi  speciei.  Item  uon  videtur  quod  iutellectio  sit  aliquid  absolutum,  quia  illud  non  est absolutum  cuius  esse  est  ad  aliud  se  habere.  Intellectio  est  talis,  ergo;  anterior  patet  ex praedicamento  relationis:  illud  enim  dicitur  esse  ad  alterum  cuius  esse  est  ad  alte- rum  se  habere;  brevior  patet  quia  intellectio.  ut  intellectio,  est  alicuius  intellectio.  Item pulchrum  esset  videre  (quod)  si  intellectio  est  quid  absolutum,  uon  erit  aliud  nisi  species iutelligibilis  perfectior;  modo  quaeritur  an  sint  eiusdem  rationis  istae  species  an  uon. Si  sic,  tunc  plura  accidenlia,  solo  numero  difl"erentia,  erunt  in  eodem,  quod  est  contra Aristotelem  quinto  Metaphysicorum,  ubi  dicit  quod  quaecumque  sunt  iu  eodem  subie- cto  numero,  differunt  specie.  Item  tantum  una  harum  specierum  esset  uecessaria,  alia superflua.  Nam  (aut?)  uihil  facit  superflua.  Quod  si  dicas  istas  speciesesse  diversarum ratiomim,  primo  non  est  videre  penes  quod  distinguantur,  cum  sint  eiusdem  suhstan- tiae  et  obiecti,  sicut  intellectio  asini  et  species  asini.  Item  in  vanum  esset  unum  isto- rum,  vel  species  vel  intellectio,  quum  species  est  illa  per  quam  res  cognoscitur,  et intellectio  est  etiam  perquamres  infelligitur.  Probatum  est  ergo  quod  intelleotio  non addat  aliquid  absolutum  super  ipsam  speciem. Quod  etiam  non  addat  aliquid  relativum  probatur,  quia  si  adderet  aliquid  relativum tunc  intellectio  esset  de  praedicamento  relationis  quod  est  falsum,  quia  intellectio  est  de praedicamento  nctionis  vel  passionis;cum  autem  praedicameuta  sintimpermixta,iutellectio non  poterit  esse  de  praedicamento  ad  aliquid.  Item  arguitur  secundo,  et  est  argumentura Scoti  in  decimatertia  quaestione,  nono  libro,  quod  illud  iu  quo  consistit  fecilitas  et  perfe- ctissima  operatio  hominis  non  est  relativum,  sed  in  intellectione  consistit  fecilitas,  ergo. Anterior  probatur  quia  intellectio  dicit  aliquid  quod  perficit  liominein;relativum  autem, ut  tale  est,  nuUam  perfectionem  includit;  brevior  patet  ex  primo  et  tertio.  Et  liic  ubi vult  Aristoteles  quod  felicitas  consistat  in  uctu  intellectlonis,  idem  etiam  vult  Aver- roes  in  prologo  Physicorum,  et  ita  cum  intellectio  non  addat  aliqiiid  absolutum  aut relativum  ad  ipsam  speciem.  nou  erit  ab  ipsa  specie  diiferens.  In  oppositum,  et  pro  Ch.  l73recto altera  parte,  argiiitur  quod  illa  non  snnt  eadem  realiter  quorum,  uno  uon  existente, alterum  remanet.  Sed  species  et  intellectio  tali  modo  se  habent  inter  se  quod  uiium remaiiet  altero  non  existente ,  ergo.  Anterior  patet  quia  illa  quae  suut  eadem geueratione  generantur  et  corrumpuntur.  Brevior  patet  quia  dormiens  non  habet  iu- tellectiones  et  tauien  habet  speciem;  aliter  enim  si  species  non  reraaneret  in  intellectu liominis  (docti?)  non  esset  rammemoratio,  quod  est  contra  Aristotelem  primo  Poste- riorum.  Item  illa  non  suut  eadem  quorum  unum  ab  altero  efJicitur,  sed  species  et intellectio  hoc  modo  se  habeut,  ergo.  Anterior  patet  quia  nihil  potest  se  speciem  ef- iicere,  brevior  patet  quod,  ut  dictum  est,  ex  specie  .creatur  intellectum,  et  est dictum  Angelici  quod  ex  specie  et  potentia  fit  cognitio  rei.  Item  quia  ita  se habet  intellectus  ad  intelligibile  sicut  seusus  ad  seusibile ,  quia  utraque  cognitio termiuatur  ad  obiectum  proprium,  modo  possum  intelligere  existentia  et  non  exi- steutia,  nec  possibilia  existere.  Tunc  quaero  ad  qnod  terminatur  ista  intellectio non-entis ;  non  ad  obiectum  quia  obiectum  non  est  uec  potest  esse ;  non  ad  phan- tasmata  cum  sint  singularia,  ergo  ad  speciem  intelligibilem:  quare  necessario  dabitur species  intelligibilis,  ad  quam  cum  torminetur  intellectio,  erit  ab  ea  distincta  sicut species  sensibilis  est  distiucta  a  sensutione.  In  hac  quaestione  sicut  et  in  aliis  suut diversi  modi  dicendi.  Avicenna  tenuit  quod  species  iutelligibilis  et  intellectio  sint penitus  idem,  et  quod  cessante  intellectione  cesset  speeies  intelligibilis,  quum  ipse  non potuit  videre  qualiter  sit  in  virtute  coniprehensi\a  et  non  sit  cognitio  rei Hanc  opinionem  quasi  omnes  Latini  impugnant. Ideo  cmnes  fere  Latini  posuerunt  species  et  iutel- lectiones  non  distingui  realiter;  sed  dubium  est,  si  differunt,  quid  superaddat  intellectio speciei.  De  hoc  sunt  niuitae  opiniones:  prima  est  quae  est  usitata  quam  tenuit  Scotus in  13"  quaestione  Quolibcti,  et  Gregorius  Ariminiensis,  secundo  Sententiarum,  disiin- ctioue  septima,  quaestione  secunda,  articulo  primo.  Tenent  isti  quod  intellectio  formata Ch.  173  verso uon  dicat  relatiouem.  Connotat  tamen  relatiouem  et  relativum  ad  obiectum;  et  lioc propter  secundum  argumentuni,  et  hoc  tenet  Tiiomas.  Utrum  vero  connotet  duos  re- spectus,  vel  unum  tautum  non  est  praesentis  loci,  similiter  et  utrum  sint  relativa secundum  dici  et  uon  secundum  esse,  ut  aliqui  voluerunt.  Tenet  tamen  Scotus  quod species  et  inteliectio  uon  sit  una  et  eadem  res  formaliter,  sed  tenet  quod  species  sit imperfectior  intellectione,  ita  quod  intellectio  sit  altera  species  multo  clarior  et  lu- cidior  ipsa  specie  prima.  Et  dicitur  an  sint  eiusdem  rationis,  an  diversae.  Dicunt  quod non  sint  eiusdem  rationis  formalis,  quia  intellectio  est  essentialiter  perfectior  specie; et  lioc  dicuut  esse  quia  natm-a  procedit  de  minus  perfecto  ad  magis  perfectum,  et ita  procedit  de  specie  ad  intellectionem;  et  si  dicatur  quod  est  necessitas  ponendi  spe- cies  intelligibiles,  dicunt  cum  (quod?)  intellectio  terminatur  ad  speciem  sicut  supra  dixi- raus.  Ulterius  cum  dicitur  unde  causatur  illa  diversitas  speciei  ab  intellectiono,  dicunt provenire  hoc  ex  agente  et  passo  melius  disposito,  et  etiam  quia  in  puro  iutellectu recipitur  species,  iutellectio  vero  recipitur  in  intellectu  specie  informato.  Tunc  ad  ra- tiones  iu  oppositum  dicitur:  ad  primam  cum  vel  addit  aliquid  absolutum  vel  rela- Cb.  l74reeto  tivum,  dicitur  quod  intellectio  in  se  est  absolutum;  dico  tamen,  et  coustat,  relativum. Ad  aliam:  cum  dicitur  quoad  istud  absolutum  superadditum  speciei,  dico  quod  est  ipsa intellectio.  Ad  aliam:  cum  dicitur  an  sit  eiusdem  rationis,  dico  quod  non,  imo  intel- tectio  est  esseutialiter  perfectior  specie.  Ad  alterum  cum  dicitur  uude  causatur  ista diversitas,  lioc  quod  causatiir  ab  agente  et  melius  disposito.  Ad  aliam:  cum  dicitur iu  vanum  poneretur  una  istorum,  dicitur  quod  non.  quia  species  sola  nou  potest  fa- cere  istud  quod  facit  intellectio  quum  species  sit  (imperfectior)  iutellectione  et  ista opinio  communiter  tenetur. Altera  est  opinio  quae  tenet  quod  species  et  iutellectio  sunt  idem  realiter,  et quod  diffenmt  ut  magis  perfectum  et  minus  perfectum.  Species  euim  est  quaedam  in- tellectio  imperfecta,  et  ita  videtur  esse  quaedam  additio  non  iu  alteram  speciem  sed iu  unum  ab  alio  esse,  et  ita  videtur  dicere  semper  Thomas,  non  assevero  hanc  esse sententiam  Thomae,  et  dicitur  species  pro  quanto  repraesentat  obiectum  ad  extra,  di- citur  vero  intellectio  pro  quanto  per  eam  obiectum  ad  intra  intelligitur.  Differt  autem haec  opinio  a  prima,  quum  prima  non  ponit  speciem  esse  eadem  qualitate  cum  iutel- lectioue.  Ista  vero  ponit  esse  eadem  qualitate  cum  specie  et  tunc  faciliter  potest  (re- sponderi)  ad  argumenta  in  oppositum  facta. Utrum  in  rebus  sit  veritas  et  falsitas  vel  in  solo  intellectu. Circa  textum  37  sunt  aliquae  difHcultates,  et  primo  utrum  in  rebus  sit  veritas et  falsitas,  an  in  solo  intellectu.  Et  arguitur  quod  iu  rebus,  quia  communiter  dicitur aurum  est  verum  vel  falsum,  et  in  duodeoimo  Metaphysicorum,  textu  commenti  quarti, dicitur  quod  unumquodque,  sicut  se  habet  iu  veritate,  ita  se  habet  in  eutitate,  unde primum  ens  est  maxime  verum.  Quod  etiam  apparet  ex  theologia  nostra.  Dixit  enim Christus:  Ego  sum  via,  veritas  et  vita.  Et  pvobatur  etiam  hoc  ratione,  quia  eus  et verum  convertuntur.  Ens  autera  attribuitur  rei,ergo  et  veritas  rei  attribuitur.  Item verum  est  obiectum  intellectus,  sed  quod  est  obieclum  intellectus  non  est  in  intellectu, Ch.  174verso  ergo  verum  non  erit  in  intellectu.  Auterior  patet  quia  dicitur  communiter  quod  intel- lectus  fertur  iu  verumsicut  appetitus  in  bonum.Breviorpatet  quia  obiectum  praesuppouit potentiam.  Item  propler  quod  uiuimqiiodque  tale,  et  illud  magis  (est?);  sed  oratio  est vera  propter  esse  ad  extra,  ergo  res  est  magis  vera.  Prima  nota  (est);  brevior  patet  ex primo  Physieorum,  ubi  dicitur  quod  ex  eo  quod  res  est  vel  non  est,  oratio  dicitur  vera vel  falsa.  In  oppositum  est  Aristoteles  hic  in  textu  oommenti  27'  et  22'  et  in  primo Ph}'sicorum,  iibi  dicit  quod  in  compositione  et  divisione  tantum  consistit  veritas  et falsitas,  et  in  6."  Metaphysicorum,  textu  nltimo,  dicit  quod  bonum  et  malum  sunt tantum  in  rebus,  verum  et  falsum  intellectu. Omissis  quae  dicit  Joanues  quia  nescit  quod  dicat,  explicabo  quod  dicit  Tho- mas  in  prima  partequaest.  decimaeseptimae,  et  in  fine  libri  Metaphysicorum,  et  in  primo Perihermenias.  Pro  soluiione  accipio  primo  quid  nominis  istius  termini:  veritas.  Dico  quod ita  se  habet  de  veritate  sicut  de  sanitate:  ut  enim  sanitas  consistit  in  adaequatione  humo- rum  iu  ordine  ad  ipsum  animal,ita  veritas  est  quaedaui  adaequatio  vel  commensuratio  rei ad  intellectum,  vel  intellectus  ad  res;  ex  quo  patet  veritatem  intelligi  non  posse  sine  iu- tellectu,  etideo  in  sexto  Metaphysicorum,  textu  coramenti  ultimi,  dicit  Aristoteles  verita- tes  tantum  esse  in  intellectu,  bonum  et  malum  iu  re.  Quia  autem  veritas  sit  analogum quoddam  definita  (sic)  est  definitioue.  Vos  dicetis  in  quo  consistit  veritas  illa  quae  con- sistit  in  adaequatione  rei  ad  iutellectum  et  intellectns  ad  rem?  Dico  quod  si  res  com- paralur  ad  intellectum  practicum,  talis  est  vera  pro  quanto  comparatur  ad  talem  in- tellectum,  et  sic  omnia  sunt  vera  pro  quanto  comparantur  ad  intellectum  divinum : ex  quanto  enim  omnis  res  est  effectus  Dei,  vel  in  geuere  causae  efBcentis,  vel  finalis, omnia  habebunt  ideam  suam  in  meute  divina,  et  res,  secxmdum  quod  habent  simili- tudinem  ideae  suae,  sunt  verae,  et  quanto  magis  assimilabuntur  suae  ideae,  tanto  magis erunt  verae.  Unde  dicimus  aurum  esse  verum  pro  quanto  fert  veram  similitudiuem suae  ideae,  scilicet  auri  qui  est  iu  mente  divina.  Res  ergo  dicitur  vera  pro  quanto comparatur  ad  intellectum  a  quo  dependet,  et  hoc  non  est  tantum  platozinare,  sed  est  Ch.  175  recto acceptum  ex  duodecimo  Metapliysicorum,  textu  commenti  decimioctavi,  iibi  Averroes aperte  ponit  omnia  esse  iu  Deo  sicut  in  Artifice  supeiiori. Nou  enim  est  peripateticum  dicere  Deum  nou  habere  scieutiamistoruminferiorum. Si  autem  quaeratur:  Tu  dicis  quod  res  est  vera  pro  quaulo  comparatur  (cum)  intellectu practico  et  factivo  habente  formas  rerum  omuium;  ego  quaero  utrum  iste  intellectus  sit verus  an  non.    Ego  credo  quod  sic,  propter  intellectum  speculativum;  intellectus  enim practicus  praesupponit  speciilativum,  nam  prins  concipitur  domus  quam  fiat.  Unde  infra dicit  Aristotelcs,  intellectus  speculativus  extensione  fit  practicus.  Idem  quoque  dicitur sextoEthicae,  et  ideo  si  artifex  faoit  domum  secundum  imaginationem  apprehensam,  di- citur  vera  domus;  si  nou,  falsa.  Intellectus  vero  practicns  erit  verus  in  ordine  ad speculativum.  Dictum  est  igitur  qualiter  sit  veritas  in  adaequatione  rei  ad  intellectum; dicendum  est  modo  qualiter  in  aliquo  veritas  consistat  in  adaequatione  intellectus  ad rem.  Dico  quod  illud  veiitieatur  maxime  quoad  nos.  Nostrae  enim  intellectiones  sunt verae  quando  conformantur  rei  ad  extra.  Itaque  ita  sit  ex  parte  rei.  sicut  per  intel- lectum  sequitur,  et  hoc  modo  intellectus  speculativus  se  habet  ad  practicum,  et  talis relatio  est  mensurati  ad  mensuram;  nam  in  prima  veritate  res  est  mensurata,  intel- lectus  mensura,  in  secunda  vero  res  est  mensura,  intellectus  autem  mensuratum.  No- tamus  tamen  hic  quod  scilicet  res  non  absolute  dicantur  verae  aut  falsae  in  ordine ad  nostrum  intellectum:  aliter  enim  una  et  eadem  res  esset  vera  et  falsa,  quum  unus —  180  — horao  opinalur  uiio  modo  et  alius  alio  modo ,  quae  opinio  iraprobatur  qiiarto  Meta- physiconim  textu  commenti  decirainoui;  tamen  quoquomodo  dicuutur  verae  in  ordine  ad iios,  non  quia  intellectus  realiter  habet  mensurare  talem  rem,  sed  quia  talis  res  est apta  facere  talem  scientiam  de  se  in  nostro  intellectu;  sed  res  absolute  dicuutur  verae iu  ordine  ad  intellectum  divinum  qui  maxime  verus  est,  et  sic  patet  detinitio  veri- tatis,  qualifcer  est  adaequatio  rei  ad  iutellectum  et  intellectus  ad  ipsam  rem.  Si  autem quaeratur  utrum  Deus  sit  verus,  dico  quod  in  Deo  omnibns  modis  est  veritas,  sicut  dicit Ch.  nsverso  ],jg  Themistius  de  agenfe  quod  est  verus,  non  quoad  alia.  sed  quoad  se  tantum  qui verus  est  intellectus.  Quauto  magis  ergo  Deus  hoc  modo  unus  erit  et  raaxime  verus, quum  ex  se  ipso  verus  est,  et  non  ex  alio  extriuseco  sicut  nostra  veritas !  Est  etiam verus  omuibus  modis,  quum  iu  Deo  est  adaequatio  rei  ad  intellectum  et  intellectus  ad rem;  tanta  enim  est  sua  esseutia  quanta  est  sua  intellectio,  et  tanta  est  sua  intellectio quanta  est  sua  essentia,  nec  aliquo  modo  de  se  ipso  potest  facere  aliquam  deceptio- nera.  Ad  quaestionera  ergo  possumus  dicere  quod  veritas  semper  habet  ordiuem  ad intellectura.  Poniuius  taraen  aliquam  veritatem  iu  intellectu,  quoad  scilicet  ad  intelle- ctum  speculativura  cuius  veritas  niensuratur  a  re.  Ponimus  etiam  aliquam  veritatem in  re,  seilicet  quoad  iutellectum  practicum  qui  niensurat  veritatem  in  re  essentialiter. In  Deo  autem  est  mensura  et  mcusuratum,  uou  quidem  realiter  distiucta,  sed  secuu- duni  uostrum  raodura  intelligendi.  Si  quis  ergo  dicat  veritatem  esse  inter  iutellectura et  verum,  djcit  qmmi  (quod?)  iu  intellectu  non  intelligitur  veritas;  sicut  auteni  in subiecto,  veritas  potest  esse  in  re.  Ad  rationes  responsio  patet. Ad  priraam,  dico  quod  aurum  est  verum  et  eius  veritas  cousistit  iu  adaequatione rei  ad  iutellectum,  nou  quidera  uostruni  sed  divinum.  Est  enim  verum  quia  iraitatur veram  ideam  auri  qui  est  in  mente  divina,  et  nou  ponimus  veritatem  cousistere  in ordine  ad  intellectum  nostrum,  aliter  euim  sequentur  inconvenientia  quae  adducit  Ari- stoteles,  quarto  Motapliysicorum  coutra  anliquos  putautes  orania,  quae  videbautur  nobis, esse  vera.  Ad  alias  quoque  patet  solutio;  veritas  enim,  ut  dictum  est,  aliquo  modo  est iu  re,  et  de  deo  iam  dictum  est  quod  iu  eo  est  veritas. Utrum  substantia  materialis  intelligatur  per  propriam  speciem. Quaeritur  hic,  propter  dicta  Averrois,  utrum  substanlia  mateiialis  intelligatur  per propriam  speciem.  Joauues  movet  hanc  quaestionem  supra,  sed  iste  locus  videtur  mihi convenieutior  de  substantiis  immaterialibus.  Clarum  est  quod  non  intelligatur  per  spe- ciem  propriam,  sed  ex  discursu,  et  arguitur  quod  sic,  primo  ex  dictis  hic,  ubi  dicitur quod  lapis  non  est  in  anima  sed  species  lapidis;  item  in  textu  commenti  decimiquarti ubi  dicit  quod  est  in  potentia  ad  omnes  formas.  Confirmatur,  quum  Averroes  volens probare  intellectum  possibilem  esse  immaterialem_',fundatur  super  hoc  quod,  quia  est receptivus  omnium  forraarum,  et  omne  recipiens  debet  esse  denudatura  a  natura  recepti, quare  nou  habebit  aliquam  materialem.  Supponit  ergo  Averroes  quod  intellectus  reci- piat  omnes  formas,  quod  uon  est  intelligeudum  secuudum  esse  materialem. In  oppositum  arguitur:  illud  nou  intelligo  per  propriam  speciem  quod  non  habet propriura  phantasraa.  sed  substantia  uon  habet  proprium  phautnsraa  ergo  etc.  Anterior Cli.  187  vcrso     videtur  esse  uota,  et  brevior  probatur  quia,  cum  phautasma  sit  motus  factus  a  sensu —  181  — secundum  actum,  cum  seusus  exteriores  iiou  possint  c  .gnoscere  suljstautiam,  quia  seusut non  se  profundat  usque  ad  subiectum  rei,  nec  etiam  pbantasia  poterit  sribstantiara coguoscere. In  hac  quaestione  sunt  noanullae  opiuiones  Joannis  cum  quo  sunt  omnes  fere  Aver- roistae;  putaut  substantiara  intelligi  per  propriam  speciem,  et  confirmatur  lioc  ex  dicto Averrois,  secundo  buius,  textu  commeuti  163',  ubi  dicit  quod  cogitativa  recipit  intentiones omnium  decem  praedicamentoium;  quod  si  cogitativa  potest  boc  facere  quanto  magis  in- tellectus!  Quomodo  autem  pbanlasia  cognoscat  substantiam  et  non  sensus  exteriores,  de boc  sunt  divers3,e  opiuiones.  Aliqui  dicuut  quod  sensibile  producit  speciem  suam  et cum  sua  specie  est  immixta  species  substantiae,  et  primo  producit  eam  in  sensu  exte- rioii,  deinde  iu  coramuni,  demum  in  phantasia,  et  dicunt  quod  species  substantiae,  licet sit  in  sensu  particulari  aut  communi,  ipse  tamen  uou  cognoscit  eam,  sed  sola  plian- tasia  iuter  omnes  virtutes  eam  coguoscit. Sed  dices:  unde  est  quod  species  substantiae  cognoscitur  a  phautasia,  et  non  a sensibus  intermediis  inter  eara  et  sensibile?  Dico  quod  agens  non  agit  nisi  in  passo bene  disposito,  et  quia  alii  sensus  suut  multum  materiales  et  imperfecti,  ideo  species substantiae  nonest  apta  nata  producerc  sui  notitiam  iu  sensibus  aliis  a  pbantasia;  quia vero  ista  est  multum  spiritualis  et  perfecta,  ideo  potest  speciem  substantiae  cognoscere. Alii  vero  sunt  dieentes  speciem  substantiae  nou  esse  in  seusu  proprio  aut  communi tamen  esse  iii  phautasia.  Et  si  dicatur;  unde  est  quod  non  est  in  intermediis  sicut  in phantasia,  dicuut  quod  simile  est  de  hoc  sicut  de  existimativa  in  ove  quae  iufert  spe- ciem  insensatam  ex  sensata.  Ovis  euim  videndo  torvitatem  et  audiendo  voceni  in  lupo, ex  istis  speciebus  sensatis  elicitis,  infert  speciem  inimicitiae  quae  est  insensata ;  Ch.  188  lecto quia  istud  videtur  dicere  Averroes  iu  De  sensu  et  seusalo,  ubi  dicit  quod  seusus  exterio- res  cognoscunt  (per)  corticem,  interiorem  medullam;  pariforuiiter  isti  dicunt  quod  ex  sen- sibus  exterioribus  creatur  species  substantiae  in  phantasia.  Isti  ergo  teneut  substantiam cognosci  jier  propriara  speciem  a  phantasia,  sive  modo  sit  secuudum  primam  opiuionem, sive  secundum  secundam,  et  tenent  uniuscuiusque  substantiae  raateiialis  esse  proprium phantasma.  De  cogitativa  non  loquor  uuuc,  quia  de  ea  inferius  erit  sermo.  Iste  uiodus deinde  improbatur  a  quibusdam  posterioribus,  pluribus  rationibus.  Sed  ego  adduco tantum  argumentum  Scoti  quod  est  tale:  data  hac  positione,  tunc  quilibet  infidelis esset  christianus:  probo,  et  suppono'quod  illud,  quod  per  propriam  speciem  cognoscitur, in  sui  praesentia  creat  notitiam,  et  eius  absentia  non  creat  cognitionem;  sed  quia  lex  (?) per  propriam  speciem  cognoscitur,  ideo  in  sui  praesentia  creat  eius  cognitiouem,  et  ex  sui absentia  non  movet  virtutem.  Sit  modo  ita  quod  sit  uuus  sacerdos  qui  consecret  unara Eucharestiam,  tunc  infidelis,  antequara  sacerdos  consecraverit  eam,  cum  per  se  pauis cognoscai^ur  per  propriam  speciem,  species  panis  potuit  movere  seusum  infidelis  quia potuit  videre  et  cognoscere  illum  esse  panem.  Deinde  vero,  quiun  consecrata  est,  am- plius  non  est  substautia  panis,  et  si  prius  videbat  ibi  esse  panem  et  nunc  non  videat, cum  non  sit  talis  substantia,  pro  certo  cognoscet  quod,  ubi  prius  fuit  panis,  uunc  non; quare  efiiceretur  christianus  hoc  cognoscendo,  et  sicut  ipse  tenet  (?)  quod  nulla  substantia cognoscatur  per  propriam  specieni,  sicut  et  Deus  cognoscitur  a  nobis  ut ex discursu, scilicet  ex  eo  quod  (est)  ut  aliquid  quod  est  primum  movens,  et  quia  uon  est  procedere  in infinitum  in  causis   efScieutibus  essentialiter   ordinatis.    Sed   istud   argumentum  non     Ch.l88versQ videtuv  valere,  quia  dato  hoc  modo  loquendi  tunc  nec  liorao  aut  Ijinitum  deciperentur  aut raro.  Cuius  experientia  est  in  oppositum;  coutrarium  probatur,  et  ponemus  exemplum de  quodam   pictore,   qui   ita  pingebat    uvara  ut  aves   credentes  eam  esse  veram  ad illam  accipiendam  volabaut(sic);  tunc  ista  avis  quae  movebatur  ad  uvam  decipiebatur,et tamen  ibi  uou  erat  vera  uva,  ergo  aliquid  quod  sentitur  per  propriam  speciem,  quam- vis  sit  absens,  potest  creare  sui  cognitionem  cuius  oppositum  dixit  Scotus.  Sed  contra quis  diceret  nou  esse  similem.  quum  uva  non  cognoscitur  ab  ave  per  propriam  speciem, sed  tautiim  avis  cognoscebat  accidentia,  panis  autem  cognoscebatur  per  propriam  spe- ciem;  contra  sequitur  quod  aliquid  cognoscatur  per  propriam  speciera,   et   tamen  in eius  cognitioue  sit  deceptio;  quia  si  sit  aliquid  album  quod  videatur  esse  lac  ex  colore modo  substantiae,  et  similibus,  non  tamen  sit  lac,  tuuc  movebor  ad  tale  obiectum  ra- tione  dulcedinis:  ergo  per  propriam  .speciera  coguoscitur,  et  taraeu  decipior,  quia  si  tale obiectum  gustetur  non  est  dulce;   ergo  non  sequitur   ut  uon  decipiamur  circa  illud quod  per  propriara  speciem  cognoscitur.  Sed  dices  ad  hoc  quod  illa  deceptio  non  pro- venit  merito  sensus  exterioris  qui  habet  indicare  talem  dulcedinem,  sed  provenit  error merito  phantasmatis  qui  uon  habet  indicare  de  istis  sensibilibus  propriis;  quia  enim aliqua  pliantasia  videt  albediuem  coniunctam  dulcedini,  cum  tali  raodo  substantiae,  ideo nnnc  quoque  putat  qnod  in  tali  subiecto  sit  dulcedo,  sed  hoc  est  mutare  argumentum. Ideo  et  ego  do  aliam  responsiouem,  et  dico  quod  proprium  est  phantasiae  recipere  spe- ciem  substantiae,  dumraodo  ipsa  sit  bene  disposita,  et  recipiat  accideutia  propria  istius suhstautiae.  V.  gr.  si  volo  cognoscere  eudiviam  [sic),  uou  oportet  tantum  cognoscere  eam Ch.  189  recto     per  sensum,  sed  oportet  multa  sensibiJia  congregare  ad  invicem,  ut  quod  sit  tdis  odoris, saporis,  coloris,  numevi,  substantiae,  operationis  et  sirailia;  et  ista  videtur  esse  expressa mensPhilosophi  primo  huius,  textu  commenti  undecimi,  quando  dicit  quod  quando  cogno- veriraus  raulta  accidentia  propria,  tunc  de  substantia  babebiraus  aliquid  ultiraae  dif- ferentiae;  et  ita  tuum  argumentum  non  valet,  quia  infidelis,  quando  Eucharistia  nou erat   consecrata,  non  cognoscebat  substantiam  panis,  quum   non  habebat  accidentia propria  ipsius  panis  Si  enim  ea  cognovisset,  etiam  panera  cognovisset,  cum  accidentia propria  sint  inseparabilia  a  suo  subiecto;  sed  hoc  videtur  mirabile  quia  videtur  quod infidelis  cognoscat  tam  propria  quam  coramunia  accidentia  panis.  Sed  dices  talia  acci- dentia  esse  commuuia  et  non  propvia,  quum  ista  accidentia  possuut  separari  a  paue, propria  vero  non  possunt;  quae  si  cognoscerentur  ab  eo ,  etiam  panis  cognosceretur. Sed   breviter   isti   tandem    necessario    confitentur    quod   substantia    cognoscitur   per discursum   ex   collatione   plurium   accidentium    ad   invicera  ,   propriorum   scilicet   et communium. Altera  responsio  ad  argumeutum  Scoti  posset  esse:  pro  quo  scieudum  quod  ali- quae  propositiones  reputantu,-  verae  et  necessariae,  interius  tamen  speculatae  apparent falsae,  quaravis  ab  aliquibns  accipiantur  quara  niaxirae,  inter  quos  Scotus,  et  ita  illa propositio  quara  assurait  taraquam  concessara  nou  est  semper  vera:  quauuo  enim  diiMt:  si est  aliquid  quod  habet  propriara  speciem,  in  eius  praescntia  movet  virtutem,  non  autem in  sui  absentia,  ista  propositio  est  vera  et  habet  veritatem  in  sensu  exteriori,  et  ratio est  quia  immediate  movetur  a  re  et  ad  extra.  Sed  in  intellectu  aut  in  sensu  interiori non  est  vera  qualiter  propositio  debet  accipi  iu  proposito,  uam  seusus  interior  cogno- Ch.l89verso     scit  substautiam  et  non  exterior Ch.  100  recto Sustinendo  tamen  opinionem  Sfoti  quia  contra  eum  non  est  cleraonslratio,  ad  ea quae  sunt  in  oppositum  potest  dici:  cum  dicitur  lapis  non  est  in  anima  et  intellectus est  ia  potentia  ad  omnes  formas,  dico  quod,  etsi  talis  non  habeat  propriam  speciem, liabet  tamen  proprium  conceptum  qui  quoquo  modo  reputat  talem  rem,  quo  conce- ptu  iutellectus  deveuit  in  aotitiam  ejus.  Sicut  Deus  non  potest  cognosci  a  nobis  (') et  ita  dicatur  quod  lapis  est  in  anima  per  proprium  conceptum,  similiter  et  intelle- ctus  possibilis  est  omnia  fieri  per  liunc  modum;  dico  tamen  unum  quod  Averroes  vi- detur  esse  iu  oppositum  liuius,  quia  dicit  (?)  in  secundo  liuius,  quod  accidit  seusui,ut liumanus  est,  cognoscere  substantiam,  licet  dictum  illud  possit  extorqueri ,  sed  eius sententiam  veram  esse  ita  concedit  etiam  Scotus,  quod  sensus  aliquo  modo  et  iuvo- lute  cura  ipsis  sensibilibus  cognoscit  substantiam.  Cognoscendo  enim  aliquid  aggre- gatum  ex  multis  accidentibus,  et  ipsam  substantiam  cognoscit,  sicut  suut  rustici  qui cognoscunt  lactucam  et  alias  berbas  es  aggregatioue  multorum  accidentium  simul.Fortc quod  isti  possent  simul  conciliari,  sed  de  Imc  vide  quae  dicta  sunt,  secundo  Jiuius,  cou- tra  espositionem  textus  commenti  sexagesimitertii. Utmm  suhstantia  producat  speciem  substantiae  in  phantasia,  an  aliud. Altera  est  dubitafio,  si  species  substantiae  sit  in  phantasia,  quid  est  illud  quod producit  eam  ibi?  non  substantia  quia  substantia  iinmediate  non  agit,  iguis  enim  nou agit  in  quautum  ignis,  sed  iu  quautum  calidus  ex  libro  De  sensu  et  sensato;  si  accideus, quomodo  accidens  potest  producere  speciem  substantiae,  cum  nihil  agat  ultra  termiuum proprium?  Propter  hoc  aliqui  Thomistarum  putant  quod  species  accidentis  proprii  produ- cat  iu  iutellectn  speciem  ulriusque,sed  producit  speciem  substautiae  iu  virtute  substantiae. Aliqui  putant  quod  praeparato  intellectu  per  speciem  ac:ideutis  proprii,  introducatur species  substantiae  ab  ipsa  substantia,  et  hoc  tenet  Joannes:  et  concedit  ipse  substan- tiam  immediiite  agere;  vel  potest  glosari  illa  propositio  quod  substantia  non  agit  ira- mediate,  quod  sit  vera  tantura  iu  actione  reali;  ista  autera  actio  uou  est  nisi  spiritualis. Utrum  intellectus  in  omni  sua  actione  egeat  phantasmate. Altera  quaestio  est  utrum  intellectus  in  omni  sua  actione  egeat  phantasmate,  et hoc,  loquendo  de  intellectione  coniuncta,  quae  est  respectu  nostri,  per  quam  non  de novo  denominaraur  intelligeutes,  iuxta  illud  iu  prirao  huius,  quod  intelligere  vel  est phantasia  vel  aou  siue  phantasia.  lu  hac  raateria  duo  sunt  quae  faciunt  difficultateni.  Vi-  q\^  igg  ^£,.5^, detiu'  enira  primo  quod  in  omni  nostra  intellectione  non  egeamus  pliantasmate,  ex  textu Philosopohi,  ubi  dicit  quod  si  omnia  sunt  in  imagine,  non  possumus  intelligere  siae phantasmate;  quare  cum  sit  aliquid  abstractum  a  miteria  ut  Deus,  et  lutelligeutiae,  illud poterimus  intelligere  sine  phantasmate;  et  pro  hoc  maxime  facit  expositio  Themistii super  textum  trigesimum  uonura.  Item  est  ratio,  quia  si  aliqua  non  sunt  iu  materia ut  substantiae  abotraetae  et  iutentiones,  ad  quod  opus  est  uti  phantasmate  ad  iutelli- gendum  illa?  Tuuc  euim  phautasraa  communicaret  falsam  cognitionem  de  talibus  rebus quum  phanta^Smata  suut  quanta  et  materialia,  talia  vero  sunt  abstracta  ab  istis. (')  In  se  per  la  sna  so.stanza. —  184  — Socundum,  quod  facit  difficultatem,  est  quia,  si  post  actualem  intellectionem,  re- manent  species  in  intellectu,  postquam  intellectus  fuerit  habituatus  per  istas  specles,  vi- detur  quod  nullo  modo  egeamus  phantasmate. In  oppositum  est  Philosophus  primo  huius,  textu  commenti  duodecimi,  et  hic  te- xtu  commenti  35',  ubi  dicit  quod  nequaquam  est  intelligere  sine  phantasraate,  et  expe- rientia  est  in  oppositum  aeque,  quia  si  non  egeremus  phantasmate  ad  intelligendum,  tunc laesa  cogitativa,  bene  possemus  intelligere  ac  si  non  esset  laesa.  Similiter  etiam  di- catur  de  qualibet  alia  virtute  interiori.  Ad  nihil  enim  istae  virtutes  prodessent  intel- lectioni.  Hoc  autem  est  falsum,  quia  isti  phrenesi  laborantes,  etsi  sint  viri  docti,  ex altera  tamen  parte  non  possunt  intelligere,  licet  in  intellectu  eorum  sint  multi  ha- bitus  et  species.  Mihi  videtur  quod,  peripatetice  loquendo,  nihil  possemus  intelligere sine  phantasmate,  loquendo  de  intellectione  coniuncta.  Cum  vero  dicatur:  ad  quid  de- Ch.  lOlrecto  serviret  iutelligendo  ea  quae  nou  sunt  coniuncta  materiae:  de  hoc  Plato  voluit  quod intelligendo  abstracta  non  utamur  phantasmate  et  hoc  est  verum  secundum  eius  opi- nionem,  quia  ipse  voluit  quod  ab  aeterno  anima  nostra  esset  plena  speciebus  a  Deo datis  et  uon  de  novo  acquisitis,  eo  modo  quo  posuit  Aristoteles.  Sed  socundum  sen- tentiam  Aristotelis  alitor  est  dieeudum,  supponendo:  primo,  quod  si  abstracta  intelli- gimus,  solum  in  ordiue  ad  ista  materialia  intelligimus,  negando,  et  dividendo  ab  illis conditiones  materiae,  sicut  dicit  hic  Themistius  quod  immaterialia  materialiter  co- gnoseimus;  quod  si  haberemus  perfectiim  notitiam  de  abstractis,  qualitor  habent  Intelli- gentiae,  aliter  esset  diceudum  ad  argumontum.  Ergo  dicitur  quod  phantasmata  desorviuut nobis  ad  intelligendum  abstracta,  quia  aliter  non  possemus  ea  intelligere,  et  non  con- cluderet  si  abstracta  perfecte  intelligeremus.  Ad  auctoritatem  Aristotelis  dicitur  quod suum  argumentum  peccat  per  fallaciam  consequentis,  quae  est  a  destructioae  antece- dentis,  qualiter  nou  valet;  vel  aliter,  quod  alludit  ad  cognitionera  illam  per  quam sumus  felices,  in  qua  non  egemus  phantasmate;  ideo  dicit  Themistius  quod  illa  propo- sitio  est  vera  de  intellectione  quoad  nos. Ad  alterara  difficultatem,  quando  dicitur:  si  habitus  sunt  in  intellectu  ad  quid egemus  phautasmatibus?  Hoc  argumentum  non  habet  vim  contra  Averroem,  quum  in textu  commenti  trigesimi,  aperte  dicit  universalia  intellecta  colligata  esse  cura  iraagi- uibus,  et  ideo  si  sunt  cum  eis  colligata,  semper  egemus  phantasraate,  sed  eontra  Chri- stianos  et  maxirae  contra  Thomara  argumentum  habet  vim,  quum  tenemus  quod  in anima  separata  remanoant  hae  spocies  aequisitae  in  hoc  mundo,  et  taraen  tunc  non egemus  phantasmate;  ergo  eadem  ratione  videtur  quod  nec  nunc  egeamus.Thomas  sic  dicit quod  iste  est  ordo  naturalis  ut  quaradiu  anima  sit  coniuncta  corpori,  semper  egeat Cli.  191  verso     phantasmate  ad  intelligendum,  non  autem  cum  separata  est  a  corporo Utrum  cogitatlva  vel  alia  virtus  intcrior  serviat  intellectuali  operationi. Altera  quaestio  est:  cum  sint  tres  virtutes  inteiiores,  imaginativa,  cogitativa,  et memorativa,  quaeritur  quaenam  sit  illa  quae  imraediate  serviat  intellectiiali  operationi. Notum  est  enim  operationem  intellectus  dependere  ab  istis  virtutibus;  nOn  est  autem possibilo  quod  depcndeat  aeque  primo  a1)  omnibus  tribus,  quare  erit  una  quae  imme- diate  sorviat  ipsi.  Ista  difficultas  consistit  in  hoc,  quia  ex  quo  intellecta  universalia siint  colligata  cum  iutentiombus  universalibus,  ut  dixit  AveiToes  iu  commento  39°,  et dependent  ab  eis  in  esse  et  conservari,  et  cura  ponimus  habitus  remanere  in  intellectu cessata  actuali  intellectione;  licet  Avicenua  sit  iu  oppositum,  tamen  in  secta  Peripa- leticorum  videtur  sibi  contradicere.  Si  ergo  habitus  remanent  in  intellectu  et  dependent a  phantasmatibus,  videtur  quod  cogitativa  non  sit  illa  quae  immediate  serviat  iutelle- ctuali  operationi,  quia  cogitativa  non  servat  pbantasmata,  sed  est  in  medio  imaginativae, quae  servat  species  sensatas,  et  memorativae  quae  conservat  species  insensatas.  Cum ergo  species  iu  cogitativa  nou  conserventur,  sed  statim  deleantur,  videtur  quod  si  ipsa esset  ministra  ipsius  iutellectus,  quod  etiam  species  nou  remanerent  in  intellectu,  ex quo  species  sunt  colligatae  cum  inteutionibus  imaginatis;  quare  videtur  dicendum   quod virtus  serviens  intellectui  sit  meniorativa  respectu  specierum  insensatarum,  aut  ima- ginativa  respectu  specierum  sensatarum;   ex  altera  parte  videtur  quod  talis   non  sit imaginativa  aut  memorativa   quum  virtus  immediate  serviens  intellectui   debet  esse uobilissima  omnium  formarum  materialinm,  et  propria  hominis  ut  homo  est,  sed  talis virtus   non  est  memorativa  aut  imagiuativa,  ergo.  Anterior  patet   ex  dictis  supra  et     Ch.  192rec(o raaxime  in  coramento  vigesimo  et  trigesimo  tertio;  brevior  probatur  quia  memorativa aut  imagitativa  non  est  forraa  nobilissima  inter  alias  formas  uobiles,   sed  talis   est cogitativa  quae  est  propria  hom'.nis  in  quautura  homo;  per  eam  enim  virtutem  homo diflfert  ab  aliis  animalibus,  cum  ipsa  careant  cogitativa,  licet  memorativam  et  iraagi- nativara  habeaut,  et  loco  cogitatik'ae  habent  aliam  virtuteni  ut  existimativam. In  hac  quaestione  ut  in  ceteris  multi  sunt  modi  dicendi.  Joannes  in  quaestioue  15* et  satis  ingeniose,  videtur  dieere  quod  ad  creandam  inteliectionem  non  solura  requiritur species  intelligibilis,  sed  etiam  actus  virtutis  cogitativae,  quia  actus  est  sicut  dispositio necessaiio  requisita  ad  creandam  intellectionem;  sed  ad  hanc  speciem  intelligibilem  non requiritur  iste  actus,  scilicet  immediate  quautum  ad  speciem  pendentem  (?)  a  virtute raeraorativa,  quae,  cum  sit  virtus  conservativa,  potest  conservare  species  existeutes  in intellectu;  et  ita  tenet  Joannes  quod  ad  causandam  speciem  intelligibilem,  in  intel- lectu,  non  requiritur  iste  actus  virtutis  cogitativae,  imo  niliil  facit  ad  hoc:  sed  illud quod  immediate  ministrat  intellectui,  quoad  causandas  species  intelligibiles,  est  virtus iraaginativa  aut  meraorativa:  memoratjva  qnoad  species  insensatas,  imaginativa  quoad species  seusatas,  et  quia  hoc  non  vidt-tur  suflficere  pro  intellectione  causanda,  ideo  pro hoc  ponit  alium  actum  specialiorem  actu  imaginativae  aut  memorativae  ,  qui  actus est  sicut  dispositio  necessario  acquisita  ad  intellectiones,  et  quoad  istum  actum  im- mediate  dependet  a  cogitativa,  et  cessante  ista  actione  cogitativae  cessat  actualis intellectio.  et  ita  vult  quod,  quoad  ea  quae  remaneut  in  intellectu,  dependeat  a  memo- rativa  et  quoad  intellectiones  a  cogitativa,  et  habet  pro  se  dictum  Commeutatoris  com- mento  33°  ubl,  iu  fiue  commenti,  dicit  quod  sine  hac  virtute  imaginativa  nihil  anima intelligit.  Si  quis  teueret  hanc  opinionera,  haberet  niodum  respondeudi  ad  hanc  quae-  Ch.  192verso stionem  satis  probabilera,  et  tunc  secuudum  hoc  patet  responsio  ad  arguraentum.  Quia enim  dicebatur  nou  reraauent  in  cogitativa  species,  sed  bene  in  aliis  virtutibus:  di- citur  quod,  quoad  istum  actum  qui  est  conservare  species,  non  dependet  a  cogita- tiva,  sed  bene  in  hoc  actn  dependet  a  raeniorativa.  Et  patet  etiam  respousio  ad  al. terum  quum  dependet  etiara  a  cogitativa  quoad  illum  actam.  Secuudura  sententiam Thomae  esse"F3TfficiIius  respondere.  Licet  non  viderira  hanc  materiam  iufinite  tractam 24 ab  eo,  ijosset  tamen  secundum  eum  dici  qund  immodiate  operatio  intellectus  dependet  a cogitativa;  et  cum  dicitur:  cogitativa  nou  retinet  species,  ergo  nec  intellectus  poterit  eas retinere  cessante  actuali  intellectione,  seciuidum  Tliomum  esset  negandum  quod  species intelligibiles  sint  coUigatae  cum  intentionibus  imaginatis,  quia  dicit  ipse  quod  anima separata  a  corpore  retinet  habitus  et  species  quas  acquisivit  in  lioc  mundo.  Mihi  tamen videtur  quod  dictum  Averrois  sit  magis  sensatum,  scilicet  quod  species  intelligibiles  sint coUigatae  cum  intentionibus  imaginatis,  quum  si  non  essent  coUigatae,  cum  species  re- maneant  in  intellectu,  non  deberemus  unquiim  oblivisci,  quod  non  sequitur  secundimi Averroom,  et  licet  istud  argumentnm  non  demonstret  quia  posset  dari  aliqua  responsio apparens,  est  tamen  multum  probabile;  et  si  dicatur  quae  ergo  est  virtus  immediate ministvans  intellectui,vel  dicatur  ut  dicit  Joannes,vel  aliter  quod  cogitativa  sit  immediate serviens  iutellectui;  et  cum  dicitur  species  non  remanetin  cogitativa,  dico,  quoad  con- servari,  species  pendent  ab  imaginativa  seu  memorativa;  quo  vero  ad  produci  pendent  a cogitativa,  numquam  enim  intellectus  posset  intelligere  aliquid  qnod  sit  in  memorativa Ch.  lOSreeto  aut  imaginativa,  nisi  cogitativa  prius  illud  cogitaret,  et  iste  modus  posset  teneri;  sed liabet  contra  se  instantiam,  quia  si  species  quae  sunt  in  intellectu  pendent  a  cogitativa quoad  produci,  et  non  conservari,  tunc  non  erit  idem  producens  et  conservans,  quod  vi- detur  inconveniens  in  istis  operationibus  intellectus;  sed  aliqui  non  Iiabent  hoc  pro  incon- venienti  sicut  dant  exemplum  de  souo  producto  in  aure:  qui  sonus,  etsi  obiectum  pro- duceus  talem  sonum,  non  sit  praesens,  tamen  por  aliquod  tempus  durat  in  aure;  si- militer  oeulus  qui  diu  versatus  est  in  colore  viridi,  licet  auferatur  obiectum  producens talem  speciem,  tamen  pcr  aliquod  tempus  remanet  species  coloris  viridis  in  oculo.  Ecce ergo  qualiter  non  est  inconvenieus  agens  producens  non  esse  conservans,  quura  talis species  conservatur  in  ociilo,  licet  non  sit  agens  eam  producens.  Si  quis  ergo  (non)  habet hoc  pro  iuconvenienti  potest  istum  niodum  acceptare,  posseut  et  alii  modi  imaginari de  quibus  non  loquor  ad  praesens  et  sic  finis  tractatus  de  intellectu. Utrum  in  absentia  sensibilis  possit  creari  sensatio. Quum  dictum  est  quod  hoc  modo  fit  seusatio,  scilicet  quod  sensibile  imprimit suum  simulacrum  in  ipsum  sensum,  et  quod  sensatio  niliil  aliud  est  quam  illud simulacruui  existeus  in  potentia  sensitiva  debite  et  sufficienter  dispositum  per  san- guinem  et  per  spiritus.  cadit  modo  dubitatio  an  iii  absentia  sensibilis  possit  creari sensatio;  et  videtur  quod  non,  quum  Aristoteles,  iu  textu  commenti  sexagesimi  libri secundi,  dixit  quod  sensatio  est  alteratio  et  passio  sensus  a  sensiliili;  ergo  si  non adsit  sensibile  non  alterabitur  nec  movebitur  ab  eo  sensus,  ergo  non  fiat  sensatio secundum  Aristotelem,  quare.  Item  secundura  nos  hoc  videtur  impossibile,  quia  sen- satio  non  est  aliud  quam  simulacrum;  modo  si  non  existet  sensibile,  non  existet eius  simulacrum,  ex  quo  tale  a  sensibili  effective  prcducitur;  ergo  implicatur  quod sensibili  non  existente  sit  sensatio.  Oppositum  tenet  Commentator  in  libello  De  somno et  vigilia  et  in  libro  de  Golliget;  unde,  ut  ipse  ostendit,  duobus  modis  accidit  quod Cli.221  ver.so  seusatio  fiat  sine  sensibili.  Unum  modum  pouit  in  libro  De  somno  et  vigilia  et  alium modum  in  Coll.  In  libro  De  somno  ponit  quod  in  somno  accidit  quod  sentiamus sine  sensibili,  sicut  quandoque  iufirnii   sentiuut  dulcedinem  vini,  licet  non   biberint —  187  — viuum,  vel   si  biberiut,  illiid  tameu  uou  est  dulce  et  est  alteiius  saporis.  Ecce  quod aeger  gustat  et  sentit  dulcediuem  viui,  licet  dulce   illi    uon  sit  pvaeseus.  Quomodo autem  sit  possibile,  dicat  Commentator,  et  dicit  quod  hoc  modo  fit:  uatura  primo  sen- sibile  agit    iu    seusura  exteriorem  impiimendo  in  illum    suum    simulacrum,  demum sensus  exteiior  imprimit  simulacrum  qiiod  iu  se  liabet  iu  seusum  communem,  sensus vero   communis  eodem  modo  agit  in  imaginativa,   et  in  imaginativa   reservatur   ipsa species  et  hoc  fit  in  ordine  recto.  !n  ordine  vero  retrogrado  fit  modo  contrario.  Ima- ginativa  enim  quae  sibi  reservavit   speciera    seusibilem,  eam    imprimit    in    seusum exteriorem,  et  sic  sensus  exterior  movetur  iterum  a  specie  sensibili,  licet  ipsum  seu- sibile  actu   uon   existat,  et  non   sit   praeseus.   x\lium  modum   dat   Gommentator  in libro   CoU.  quomodo   idem    contiugat,   et  diiit   quod   hoc   etiam   contingit  in   vigi- lia.  Natura  sunt  quaudoque  aliqui   ita  abstracti  cogitando  circa  aliquod  quod  prius senseruut,  ut  eodem  modo  sensus  exterior  priucipiet  simulacriim  ipsius  rei  de  qua  co- gitat,  licet  talis  res  non  actu  e.xistat;  et  isti  (ita?)  sunt  angeli  visi,  dicit  Commentator, uou  quod  angeli  videautur,  sed  quia  aliquis  ila  iutense  cogitat  de  angelis  visls  (ut) species  angelorum  producatur  ab  iraagiuativa  iu  sensu  communi,  et  a  sensu  communi iu  sensu  exteriori,  et  sic  iudieabit  sensus  exterior  se  videre  angelos,  quod  nou  erit ita.  Qnod  si  ita  esset,  ut  dicit  Commentator,  quid  edt  de  lege  nostra  quae  pouit  quod angelus  Ranhael  visus  est    a  Tobia  ?    et   quid    de  augelo  Gabriele   qui    visus    est  a     cii.  222recto Beata  Virgine  ?  Possemus  enim  dicere  quod  isti  angeli  uumquam  visi  sunt  ab  aliquo homiue,  sed  homines  cogiLant.'S  de  angelis  crediderunt  se  vidisse  angclos.  Similiter possemus  dicere  do  Ciiristo  quod  ipse  non  iutravit  ad  apostolos  ianuis  clausis,  quia ita  imaginabatur  de  Christo,  et  sic  periret  tota  lex  nostra;  quod  si   ita    esset    quid facereut  isti  raiseri  patres  et  maxime  isti  zoculautes,  qui   tantam    abstiuentiam    fa- ciunt  ?  sed  peius  est  quod  Thomas,  qui  fuit  vir  ita  divinus  et   sapiens,   fuit    huius opinionis.  Videatis  ipsum  in  Quaestionibus  disputatis,  ubi  expresse  affirmat  quod  dia- bolus  multoties  mittit  speciem  alicuius  seusibilis  delectabilis  ad  sensus  hominis,  ut in  eis  inducat  malas  cogitationes  et  faciat    eos  peccare,   et   citat  Rabbi  Moyseu  qui dicit  quod  homines  aliqui  suut   qui  dicuut  se  loqui  cum    Deo,  et  falsum    est,  quia uon  est  verum  quod  cum  eo  loquantiir,  sed  cogitando  de  illo,  videtur  eis  quod  secum loquatur.  Si  ergo  ita  sentit  Thomas,  quid  erit  de  lege  uostra  ?  Hanc  opinionem  iu- ■  uititur  impugnare  Gregorius  Ariminieiisis;  et  primo,  quia  data  ista  opinioue,  auferretur tota  lex  nostra  et  omuis  certitudo  de  lege,  clarum  est  ex  dictis,  quum  secuudum  illam opiuiouem  possent  multa  uegari  quae  les  affirmat.  Quod  autem  omnis  certitudo  au- feratur,  data  illa  opinione,  osteudo  quum,  secundum  illam  opiuionem,  nou  essem  certus an  essem  uunc  iu  schola  ista,  aut  in  aliquo   alio  looo;  sirailiter  non  certus  an   vos essetis  Iiic  au  non;  quia  facile  mihi  videtur  quod  uos  omnes  simus  iu  ista  schola  quia cogito  nos  esse  in  ista  schola,  et  sic  erit  de  quacumque  alia  re,   et  ita   nulla  erit certitudo  in  nobis.  Multa  alia  sophisraata  adducit  Gregorius  ad  destruendam  istam opinionem  quae  transeo  ne  sim  taedio. Credo  quod  in  parte  verura  sit  quod  dicitur  a  Commentatore;  ueque  ex  hoc  aufertur      cii.222  verso certitudo,  quia,  ut  huic  vel  simili  argumeuto  respoudet  Ccmmentator,  quod  uuus  sensus decipiatur  est  possibile  sicut  oculus  iu  visione  baculi  existeutis  iu  aqua,  quia  iudicat ipsum  esse  fractum  et  quod  iu  rei  veritate  non  est  fractus;  sed  quod  omnes  uut  plurcs —  188  — seusus  decipiautur  circa  idem  obiectum  uou  couliugit,  quia  (uuus)  ceitificat  alterum  sicut tactus  certificat  nos  de  baculo  quod  non  sit  fractus,  quum  per  visum  iudicatus  est  esse fractus.  Si  ergo  ibi  dicit  Commentator  quod  cerlitudo  sensibilis  non  sumitur  ab  uno seusu,  solum  quia  uuus  sensus  potest  decipi  circa  uuum  obiectum,  sed  sumitur  cer- titudo  ipsius  seusus  ab  omuibus  aut  pluribus  sensibus  exterioribus,  quia  non  accidit quod  plures  sensus  decipiantur  circa  idem  obiectum,  ita  dico  ego  in  proposito  quod ex  opinione  Thomae  non  tollitur  omnis  certitudo,  quia  licet  in  visione  ipsius  Abraam coutigisset  quod  uuus  homo  fuisset  deceptus,  non  possemus  tamen  dicere  quod  totus populus  qui  vidit  Abraam  sit  deceptus.  Consimiliter  quaudo  Christus  apparuit  disci- pulis  et  iutravit  ianuis  clausis,  non  possemus  dicere  quod  hoc  fuerit  quia  ita  visiim est  omnibus  apostolis  quia  cogitabaut  de  illo;  quia   licet   boc    possemus    dicere    de uuo,  quia  hoc  est  satis  probabile,  non  tamen  de    omnibus   apostolis   possemus    hoc dicere,  quia  nou  est  credeudum  quod  omues,  qui  erant  sexagiuta,  imagiuareut  de  eadem re,  sed  uuus  cogitabat  de  uua  et  alter  de  altera  re;  ideo  nou  posseraus  dicere  quod omuibus  illis  per  eamlem  visionem  visum  sit  videre  Christum  iutrare  ianuis  clausis. Unde  recitatur  iu  uua  epistola  Sancti  Petri  quod  cum  apostolis  suporvenisset  Spiritus Sauctus,  et  loquebatur  unusquisque  magnalia  diversis  sermonibus.  Credebant  apostoli, se  esse  hebraeos,  sed  quum  unusquisque  videret  omnes  alios  eodem  modo  loqui  diversis Ch.  223  recto     linguis,  certificati  suut  omnes  se  uou  esse  hebraeos,  sed  hoc  esse  quia  repleti  spiritu sancto,  et  ita  cum  uostra  opinioue  salvatur  veritas  legis,  salvatur  etiam  omnis  certi- tudo,  quia  sensus  certificant  me  quod  sim  in  hac  cathedra;  et  tunc  ad  argumentum dico  quod  seusatio  fit  cum  sensibile  agit  in  sensum.  Dicitur  quod  Aristoteles  loquitur de  sensatione  quae  est  actio  recta,  non  de  actioue  reflexa   qualis  est  sensatio   quae fit  siue  ipso  seusibili,  et  ad  argumeutum  supra  quod   maxime  fuudatur  Gregorius, scilicet:  si  est  sensatio  oportet  quod  sensus    moveatur   a  sensibili,  ergo    si    sonsus debet  moveri  a  sensibili,  oportet  quod  sensibile  existat    in  actu,  quia   omne  quod movetur  secuudum  quid,  movetur  etiam  in  aetu,  ergo  repugnat  quod  sit  sensatio  et seusibile  uon  sit  praeseus;  item  Aristoteles  infra,  in  capite  de  olfactu,  dicit  nihil aliud  est   olfactus,  nisi  quod  olfactibile  sit  praeseus  ipsi  olfactui  et  moveat  sensum, quare;    dico   quod    primuni    argumentum    uihil  est,    quia    infirmus   patitur    a  viuo dulci  quod  sibi  videtur  amarum;  si  ergo  fiat  istud  argumentum:   iste  aeger  sentit  et gustat    hoc   vinum  esse  amarum,  ergo   hoc  viuum  est  amarum,   clarum   est   (quod) argumentum  nou  valet.  Ita   uon  valet    argumentum  Gregorii:   sensns    patitur,  ergo sensibile   est  praesens,  et  in  re  ad  extra;  sed  suflicit  quod,   si  habet  fieri  seusatio, quod  sensatio   existat  secundum    esse  spirituale;    si  autem  habet    sentiri    seusibile secuudum   esse   reale,    oportet.   dicit  Themistius,  quod   solvantur  tres   conditiones, scilicet  debita  dispositio   es    parte    organi,  et    similiter    ex   parte  medii   et   debita distantia  sensibilis  a  sensu.    Sciendum    tameu  quod,  licet   sentiamus    id  quod   non est  modo  dicto,  non  dicimus  tameu  tunc  quod  seutimus,  sed  dicimus  quod  videmur sentire;  sicut  ego  cum  eram  iuvenis  delectabar  mirum  in  modum   audire  sonum  ti- biarum,  et  imraorabar  per  duas  vel   tres  horas  ubi  sonarent  tibiae,  dein  exibam  et ibam  domum,  et  cum  eram  domi  videbar  audire  souum  tibiarum  quia  adhuc  reser- Ch.  223verso     vabatur  spncies   soui  tibiarum,  et  dicebam  videor  audire  quia   sciebam    quod    uon sonabant  tibiae  ibi,  sicut  mihi  videbatur ;  ratio   autem  quare,  verbigratia,  dicimus —  189  — audii-e  tibias  sonantes  est  quia  tuuc  decipimur,  et  non  vere  audinnis,  quia  iu  re nou  est  sonus  tibiarum.  Similiter  dicimus  quod  remus  videtur  nobis  fractus  et  uon dicimus  quod  est  fractus,  quia  rei  veritate  uou  est  fractus,  et  sic  verum  est  quod  nihil vere  sentitur  nisi  ilhid  sit  existens  praesens,  et  hoc  forte  volebat  Gregoriusin  secundo argnmento.  Ad  aliud  dicatis  qiiod  de  olfactu  loquitur,  (de  ea)  quae  est  actio  recta, non  autem  de  ea  quae  est  actio  reiiexa,  sicut  ad  praesens  nos  loquimur  de  sensatione. Utrum  cogUatlva  denudet  speciem  substantiae  a  sensihiUbus propriis  et  communibus. Dicebat  Commentator  quod  cogitativa  denudat  speciem  substantiae  a  sensibilibus propriis  et  communibus.  Circa  hoc  dubitatur  quia  non  videtur  verum;  quia  si  cogi- tativa  deuudaret  speciem  substantiae  a  seusibili  commuui  et  proprio,  tunc  cognosceret speciem  substautiae  sine  quautitate  et  loco,  et  similiter  tempore,  et  tunc  cogitativa cognusseret  universaliter,  quia  omnis  virtus  cognoscens  aliquid  abstractum  a  quan- titate  et  loco  cognoscit  universaliter,  et   sic  esset  intellectus. Item  implicat  quod  recipiatur  species  sulistautiae  sine  quantitate,  quum  secun- dum  Commeutatorem,  primo  Physicorum,  quantitas  est  principium  individuationis.  Ee- pugnat  ergo  quod  una  species  sit  in  cogitativa  sine  quantitate.  Secundum  quod  facit ditficultatem  est  quia  omne  receptum  recipitur  secundum  naturam  recipientis;  sed cogitativa  est  cum  quantitate,  cum  sit  virtus  materialis  et  estensa;  ergo  species substantiae  recipietur  in  ea  secundum  quantitatem.  Ad  hauc  dubitationem  dari  pos- suut  duo  responsiones;  prima  est,  quod  argumenta  differunt;  sed  Commentator  noluit quod  cogitativa  denudet  speciem  substantiae  ab  omnibus  scilicet  sensibilibus  commu- nibus,  quia  de  facto  cognoscitur  talis  species  cum  quautitate,  sed  voluit  Comnientator quod  ab  aliquibus  sensibilibus  commuuibus  deuudet  speciem  ,  scilicet  a  motu  et  a numero.  Sed  haec  responsio  videtur  extranea,  primo  quod  faciat  Commentator  intel- lectum  perfectum  ;  secundo,  quia  cum  video  album,  video  ipsum  cum  quantitate  et similiter  cum  figura,  motu  aut  quiete,  et  cum  uumero.quia  aut  est  unum  aut  plura;  Cli.  224recto quare  videtur  quod  illa  expositio  non  sit  conveuiens.  Ideo  do  aliam  responsionem concedendo  quod  cogitativa  denudet  speciem  substantiae  ab  omuibus  sensibilibus commuoibus.  Et  tunc,  ad  primum  dicatis  quod  licet  cogitativa  apprehendat  speciem substantiae  sine  quintitate  et  situ,  non  tameu  sequitur  quod  cogiiativa  cognoscat universaliter,  quia  illa  intentio  esl;  una  et  siugularis  licet  sit  sine  quantitate;  quod si  quaeritur  per  quod  talis  species  sit  una,  dico  quod  est  una  per  se  ipsam  et non  per  ipsam  quantitatem;  formae  enim  per  se  ipsas  sunt  ununi  et  nou  per  quan- titatem,  nec  quantitas  est  causa  distinctionis  unius  ab  altera,  sed  formae  ex  se ipsis  distiugurmtur  et  priores  sunt  quautitale;  et  sic  ad  primum  prima  responsio.  Ad ■  secundum  vero  dicemus  quod,  licet  species  substantiae  sit  recepta  in  cogitativa  per modum  quantitatis  et  extensionis,  uon  tamon  oportet  quod  extense,  et  per  modum quantitatis  reputemus.  Aliter  possemus  dicere,  sicut  Ttiomas  et  alii,  quod  omnes  animae animalium  perfectorum  sint  indivisibiles,  et  dicunt  ad  illud  argumentum  quod  fit contra  eos;  omae  receptum  recipitur  secundum  naturam  recipientis,  sed  materia  est quanta  et  estensa,  ergo  anima  quae  in  ea  recipitur  est  extensa  et  divisibilis:  dicunt isti  negando  anteriorem  illam,  secundum  quod  sic  absolute  profertur,  quia  secundum eos  non  oportet    si    aliquid    recipiatur   in    materia    extensa,  ut   illud    receptum  sit exteusiuu  et  divisibile.  Sed  dicunt  quod  iOa  auterior  curreus  per  ora  pbilosophorum debet  intelligi  secundum  capacitatem;  sic  dico  ergo  ego  in  proposito,  quod  non  oportet ut  species  substantiae  recipiatur  cum  quantitate,  licet  recipiatur    in   virtute   mate- riali  et  extensa,  et  ad  illam  piopositionem  omne  receptum  etc secundum capacitatem.  Quare. Utrum  tactus  sit  nobilior  visu. Circa  textum  et  commentum  34"  cadunt  aliquae  difficultales.  Prima  est  quia  videtnr contradictio  iu  dictis  Pliilosopbi  bic,  et  in  principio  Metapbysicorum.  Similiter  et  in De  sensu  et  sensato,  quum  hic  dicit  quod  habemus  perfectissimum  tactum,  in  prooe- Ch.  224  verso  mio  Metaphysicorum  dicit  quod  perfectior  est  in  nobis  sensns  visus  quia  plus  (sic)  nobis differentias  ostendit,  ideo  ipsum  valde  diligimus  quia  et  subcoelestia  et  ipsa  cor- pora  coelestia  nobis  ostendit,  quod  non  sic  est  de  aliquo  alio  sensu.  Ideo  talis  sensus est  valde  perfectus. Ifem  in  De  sensii  et  sensato  dicit  Aristoteles  quod  sensus  auditus  est  valde perfectus  quia  est  sensus  disciplinae:  pe;'  auditum  enim  percipimus  verba  praeceptoris, quorum  signis  (?)  explieitis  a  doctore  fimus  scientes,  et  ita  in  uno  loco  videtur  dicere Aristoteles  visum  esse  in  nobis  perfectiorem  tactu,  in  alio  vero  loco  ipsum  auditum: liic  autem  dicit  tactum  esse  perfectissimiim  in  nobis,  quare  expressa  apparet  contra- dictio.  Dicatur  quod  verum  est  quod  visus  est  perfectior  quantum  ad  id  quod  facit cognoscere,  quia  multa  plura  et  perfectiora  cognoscimus  per  visum  quam  per  taetum: per  accidens  tamen  tactus  perfectior  est  ipso  visu,  scilicet  ratione  suae  complexionis, tum  quia  est  fundamentum  omnium  aliorum  sensuum,  tam  interiorum  quam  exte- riorum;  pari  ratione  dicatur  de  auditu,  quod  scilicet  auditus  est  perfectior  quantuiu ad  id  quod  facit  nos  cognoscere,  tactus  vero  ratioue  complexionis. Utrum  gustus  sit  perfectior  olfaclu  vel  e  contra. Tertia  dubitatio  est  quam  hic  movet  Themistius:  quia  quod  dicitur  ab  Aristotele videtur  falsum,  scilicet  quod  nomina  odorum  transferautur  ab  ipsis  (aliis?)  sensibilibus, quia  gustus  est  in  nobis  (magis)  raauifestus,  seu  maior  olfactu;  modo  hoc,  ut  dicit  The- raistius,  videtur  falsum,  scilicet  quod  gustus  iu  uobis  sit  perfectior,  quia  gustus  videtur esse  aeque  perfectus  sicut  olfactus,  quod  probat  Themistius  assumendo  rationem  Phi- losophi.  qua  ipse  ostendit  quod  olfactus  sit  in  nobis  imperfectissimus.  Kalio  Philosophi fuit,  quia  non  olfacimus  r.isi  cum  laetitia  aut  tristitia,  ergo  iste  sensus  est  in  nobis valde  impsrfectus.  Modo  dicit  Theraislius  eodem  modo  arguo  de  gustu,  quia  quae Ch.  220  verso  equidem  gustamus,  gustamus  cum  laetitia  aut  tiistitia,  quia  sapores  sunt  dulces  aut amari,  aut  ex  illis  commixti;  si  dulces,  appreheuderaus  a  gustu  cum  laetitia,  si  ama- ros  cum  tristitia:  sic  etiam  est  de  mediis  secundum  quod  magis  appropinquantur dulci  aut  amaro;  ergo  si  ratio  quare  in  nobis  sit  impcrfectus  olfactus,  est  quia  nonolfacimus  nisi  cum  laetitia  aut  tristitia,  eadem  ratione  coucludam  gustura  esse  in  nobis ita  imperfectum  sicut  olfactum.  Ad  hanc  dubitatiouera,  non  praeferens  me  Theraistio, credo  quod  posset  sic  redici.  Notaraus,  dixi  «credo»  dubiose  loquendo  et  non  assertive, quia  responsionem  quam  dabo,  uon  dabo  per  modum  determinautis,  quia  si  Themistius non  est  ausus  solvere   lianc   dubitationem  .  qui  fuit  tantus  philosophus ,    tanto  nia- gis  debemus    iios    modeste   loqui;    sed  quod  dicam,  dicam  coniecturando ,    pro  quo sciendum   quod  aliqui  sunt  qui  non  laetantur  aut  tristantur  nisi  in  re  magna,  licet Stoici  dixerint  quod  nec  iu  magiiis  nec  in  parvis  debemus  laetari  aut  tristari.  Verum Plato  et  Aristoteles  oppositum  tenuerunt:  iii  rebus  magnis  licet  nos  tristari  aut  laetari, quia  hoc  est  naturale.  Neque  est  opinio  Stoicorum  quod  non  liceat  in  re  magna.  Unde, ut  scribitur,  cum  quidam  stoicus  haberet  iter  versus  Athenas,  dum  esset  in  intinere cecidit  ex  aere  tempestas  maxima;  ex  cuius  adventu  maxirae  turbatus  est  ille  stoicus; quod  cum  vidissent  qui  cum  eo  erant,  dixerunt:  tu  qui  stoicus  es  turbaris  ita  ista tempestate?  At  ille  dixit,  conturbor  quidem  quia  in  re  magna  licet  contristari.  Aliqui ergo  sunt,  qui  in  re  magna  solum  tristantur,  et  laetantur  modo  in  re  parva;  aliqui vero  sunt  qui  licet  piiidentes  sint,  ex  aliqua  modica  re  tristantur  et  laetantur,  quod  est ex  aflfectione  et  amore.  Sicut  cum  essem  Paduae  accidit  ut  ibi  fieret  praeludium.  Erat  au-     ch.  226  recto lemquidam  senex,  qui  habebat  filiumin  praeludio,  qui  si  modicumbene  se  habebat,  di- latabatur  os  eius  usque  ad  aui^es  pro  laetitia  quam  habebat  erga  filium;  si  non  modice, male  se  habebat  et  angustiabatur  senex  pro  tristitia.  Multi  ergo  in  parvis  laetantur. aut  tristantur.  Ubi  autera  non  sit  affectio  aliqua  aut  passio,  in  parvis  non  licet  lae- tari:  hoc  enim  faciunt  stulti,  sed  in  rebus  magnis  licet  tristari  aut  laetari.  Hoc  stante possumus  arguere   quod  olfactus  sit  in  nobis  iraperfectus,  quia  cum   non  sit  multa unigenitas    naturae  hominis   circa  affectionem  ad  sensum  olfactus,  ideo  si  non  olfa- cimus  nisi  cum  laetitia  aut  tristitia,  hoc  arguit  quod  olfactus  solum  percipit  magnas differentias  odorum,  et  ita  olfactus  arguitur  imperfectior.  Modo    cum   sit  unigenitas maxima  naturae  hominis  ad  gustum  nt  tactum,  quia  suot  sensus  salvantesindividuura  in vita,  ideo  sive  parvae,  sive  magnae  sint  saporum  differentiae.in  perfectione  earum  laetatur aut  tristatur  gustas,  et  ideo  licet  non  gustemus  nisi  cum  laetitia,  aut  tristitia,  non  tamen sequitur  quod  sit  gustus  aeque  perfectus  sicut  olfactus:  quia  ex  quo  non  est  laetitia aut  tristitia  in  parvis,  sed  solum  iu  rcagnis,  ubi  non  est  affectio  et  homo  non  habeat affectionem  ad  olfactum,  ergo  si  non  olfaciat  nisi  cum  laetitia  aut  tristitia  non  perci- piemus   nisi  magna  olfactibilia:  et  ita  sequitur  olfactus  imperfeetio;  modo  cum  homo habeat  affectionem  ad  gustum,  licet  non  pereipiamus  gustabilia  nisi  eum  laetitia  aut tristitia. -non  tamen  ex  hoc  sequitur  gustus  imperfectio:  quia  licet  non  gustemus  (nisi)     Ch. 226verso cum  laetitia,  aut  tristitia,  tamen  ex  affectione  quam  habemus  ad  gustum,  non  solum circa  magna  sed  et  cirea  parva  gustabilia  laetamur  aut  tristamur  in  perfectione  eorura. Ideo  non  sequitur  etc.  Quare. Quomodo  gustus  sit  quidam  tactus. Circa  textum  et  comraentum  101'  oritur  dubitatio  quam  movetThomas,  et  praecipue circa  iliam  partem  in  qua  Aristoteles  probat  quod  gustus  sit  quidam  tactus.  Dubi- tatio  ergo  est  quia  si  gustabile  est  quidam  tangibile,  et.  gustus  est  quidam  tactus, ut  dicit  Aristoteles,  non  essent  nisi  quatuor  sensus  exteriores,  non  autem  quinque; quia  giistus  non  ponitur  in  numerum  cum  tactu,  quia  species  non  ponitur  in  nu- merum  cum  suo  genere.  Gustus  autem  est  species  tactus,  est  enim  quidam  taclus,  ut  Ch.228verso dicit  Aristoteles,  quare  etc.  Kespondet  Thomas  quod,  cum  dicitur  quod  gustus  sit  quidam tactus,  hoc  potest  iutelligi  duobus  modis:  uno  modo.  qiiod  sit  species  tactus  sic  quod  et gustus  percipiat  qualitates  tangibiles,  et  lioc  modo  est  falsum  quod  gustus  sit  quidam tactus,  imo  gustus  et  tactus  sunt  diversae  poteutiae  diversa  obiecta  respieientes.  Alio modo  potest  iutelligi  quod  gustus  sit  quidam  tactus  similitudinarie,  et  isto  modo  in- telligit  Aristoteles  cum  dicit  gustum  esse  quemdam  tactum:  similitudo  autem  est  quia sicut  tactus  non  indiget  medio  extrinseco,  ita  gustus  eo  nou  indiget;  ideo  gustus,  se- cundum  hoc,  videtur  esse  quidam  tactus:  nihil  aliud  dicit  Thomas. Ista  responsio,  licet  sit  conveniens,  non  tamen  videtur  ex  toto  satisfacere,  quia si  ideo  gustus  dicitur  quidam  tactus  quia,  sicut  tactus,  non  iiidiget  medio  extrinseco, sed  solo  iutrinseco,  ita  ut  gustus ;  pari  ratione  olfactus  dici  posset  quidam  visus, quia,  sicut  visus  eget  medio  extrinseco,  ita  olfactus:  sed  olfaetus  non  diceudum  qui- dam  visus  ;  nullibi  enim  hoc  dixit  Aristoteles,  quare  nec  illa  ratione  assignata  a Thoma  gustus  deberet  dici  quidam  tactus. Dices  forte  quod  aeque  bene  olfactus  potest  dici  quidam  visus  sicut  gustus  dicitur quidam  tactus,  licet  Aristoteles  dixerit  de  gustu  et  non  de  olfactu;  sed  licet  ita  posset dici,  illa  tamen  responsio  Thomae  non  quadrat  responeioui  quam  dixit  Aristoteles  quod ideo  gustus  est  quidam  tactus,  quia  gustus  est  quidam  humor,  et  humor  est  quoddam tangibile;  et  ita  videtur  velle  Aristoteles  quod  ideo  gustus  est  quidam  tactus ,  quia percipit  humorem  qui  est  quoddam  tangibile,  seu  perceptibile  a  sensu  tactus.  Dude, ut  dixit  Commentator,  impossibile  (est)  quod  gustus  percipiat  saporem  nisi  prius  percipiat humorem,  et  ita  non  vult  Aristoteles  quod  gustus  dicatur  quidam  tactus  rationc  quam adduxit  Thomas,  sed  ratione  quam  adduximus  nos. Cb.  229recto  Sed  tunc  stat  altera  difBcultas   quia  humor   nou  est  sensibile  proprium   sensus tactus,  quia  seusibile  proprium  est  quod  per  se  sentitur  ab  imo  seusu  tautum;  sed  humor non  solum  a  tactu  percipitur  sed  etiam  a  gustu;  quomodo  ergo  erit  humor  sensibile proprium,  quare.  Nec  nostra  responsio  videtur  sufficiens. Ad  hoc  possent  dari  multae  respousiones.  Primo  dicerem  quod  gustus  non  per- cipit  illum  bumorem,  sed  cum  gustus  et  taetus  iu  liugua  fundetur,  iu  eodem  nervo,

ille  nervus  est  qui  percipit  ilium  hiimorem,  non  autem  gustus.  Unde  gustus  non  posset percipere  saporem,  nisi  ille  humifieret,  nec  ob  hoc  sequitur  quod  gustus  percipiat  talem humiditatem.  Non  enim  sequitur:  hic  sensus  non  potest  percipere  sapores  nisi  me- diante  humiditate,  sicut  non  sequitur:  visus  non  percipit  colores  nisi  habeat  humidi- tatem,  nam  si  distillaretur  illa  humiditas  ab  oeulo,  nou  posset  oculus  percipere  colores, ergo  visus  percipit  illam  humiditatem,  quare. Sed  ista  responsio  non  videtur  consona  verbisCommentatoris,  quia  Commentator  non dicit  quod  gustus  non  percipit  sapores  nisi  humetiat,  sed  dicit  nisi  percipiat  humorem, et  ita  vult  Commentator  quod  sicut  gustus  percipit  sapores,  ita  percipiat  humorem.  Ideo posset  aliter  dici  quod  Commentator  erravit,  et  fuit  illius  opinionis,  vel  et  aliter  susti- nendo  Commentatorem,  gustus,  in  materia  gustus,  percipit  illumhumorem  et  non  potest gustus  percipere  sapores  nisi  illius  materia  scilicet  uervus  percipiat  illum  humorem.  Ut etiam  aliler  dicatis  quod  gustus  in  rei  novitate  (veritate?)  percipit  illum  humorem,  et  sic etiam  percipit  saporem,  et  non  perciperet  saporem  nisi  prius  perciperet  humorem.  Et cum  dicitur  quod  tunc  humor  ille  non  esset  sensibile  proprium  sensus  tactus,  conse- queuter  etc;  cum  autcm  dicitur  quod  seusibile  proprium  est  quod  ab  uno  solo  sensu sentitur;  didtiir  quocl  seusibile  iiroprium  al)  vuio  solo  seusu  sentitur  per  se  et  solitarif,     Ch. 229vevso sed  bene  potest  tale  sensibile  ab  alio  senau  sentiri  non  solitarie,  sed  ut  est  coniun- ctum  cum  alio  sensibili;  et  sic  in  proposito,  licet  humor  percipiatur  a  gustu,  non  tamen ex  lioc  tollitur,  quando  sit  sensibile  proprium  sensus  tactus,  quia  a  solo  tactu  solitarie [lercipitur,  et  non  ut  est  coniunctus  cum  aiio  seus'bili.  Si  autem  percipiatur  a  gustu, uon  percipitur  ab  eo  solitarie,  seJ  ut  cum  eo  est  sapor,  qui  est  obiectum  proprium yustus.  Et  sic  satis.  Teneatis  respousionem  quam  volueritis. Ulrum  grave  et  leve  sint  substantiae. Modo  iu  hoc  quod  dixit  Commentator  est  dubitatio  an  grave  et  leve  sint  substan- liae.  Pro  parte  affirmativa  est  Commentator,  qui  expresse  lioc  f.itetur;  pro  parte  vero negativa  suut  plurimae  auctoritates  Philosophi  st  rationes.  Prima  est  auctoritas  Phi- iosophi  quiuto  Metaphysicorum  textu  commLMiti,  15'  ubi  expresse  dicit  quod  sicut  cali- ditas  et  frigiditas  sunt  in  terLia  specie  qualitatis,  sic  gravitas  et  levitas  sunt  in  tertia specie  qualitatis,  uon  erjo  suut  gravitas  et  levitas  formae  substantiales.  ^''-  -^'^  '"'^^*'^ Secunda  auctoritas  Philosoplii  est  iu  secundo  De  geueratione,  textu  commeuU,  ubi vult  idem  ,  quare.  Aliquae  auctoritates  adducerem,  sed  quia  in  istis  duobus  locis, expressa  iutentioue  et  per  se  determinat  de  gravi  et  levi,  si  vero  alibi  de  hoc  dicit aliquid,  ut  in  septimo  Metaphysicorum  ex  iucidenti,  et  cum(?)  non  ex  propria  intentione, hoc  modo,  scilicet  ideo,  volo  (vos)  esse  conteutos  his  duobus  rationibus.  Ratioues  vero pro  ista  parte  adsunt  plures,  prima  vero  est  haec.  Nulla  coutraria  sunt  subitautiae, grave  et  leve  sunt  coutraria,  ergo  non  sunt  substantiae.  Alteram  ponimus  per  Aristote- lem  iu  cap.  de  substantia,  ubi  dicit  quod  in  substantia  uou  est  contrarietas,  ergo  quao sunt  contraria  uou  sunt  substantiae.  Illud  idem  dixit  Aristoteles  in  quinto  Phyficorum. Quod  autem  grave  et  leve  sint  contraria  pouimus  per  Aristotelem  quavto  Coeli  et  in secundo  De  generatioue,  quare.  Secunda  ratio  est:  nullum  immediate  productivum operationum  est  substantia.  Proposilio  liaec  accipitur  a  Philosopho  in  De  sensu  et  sen- sato,  ubi  dieit  quod  ignis,  quatenus  igiiis,  uon  est  activus,  (sed)  quatenus  calidus,  et  sic non  vult  Pliilosophus  quoi  iguis  concurrat  ut  agens  immediatura  et  per  se  ad  aliquam operationem  effective,  sed  grave  et  leve  immediate  producunt  motus  ascensus  et  de- scensus,  ut  ponimus  ex  primo  Coeli,  ergo. Tertia  ratio.  NuIUim  per  se  sinijibile  a  sensu  exteriori  est  subiectum.  Ista  est communis  conceptio,  et  quasi  una  maxima,  quia,  ut  commuuiter  dicitur,  sensus  non  se profundat  usque  ad  substantiam  rei.  Verum  est  quod  Commentator  voluit  quod  sensus nou  iu  quautum  seusus,  sed  ia  quantum  sensus  humanus,  cognoscit  substantiam.  Sed Commentator  iu  hac  sua  fatuitate  deviat  a  veritate  et  sibi  ipsi  contradicit.  Sed  grave et  leve  per  se  sentiuntur  secundum  sententiam  Aristotelis.  Non  eiiim  est  obiectum, sicut  dicunt  quidam  paedagogi,  quod  grave  et  leve  sentiuntur  per  accidens,  quia  Ari- stoteles  vult  quod  eontrarietas  levis  et  gravis  cum  coutrarietate  calidi  et  frigidi  faciat tactum  esse  plures  seusus;  quod  nou  esset  si  grave  et  leve  esseut  sensibilia  per accidens;  sensibilia  enim  per  accidens  non  plurifioaut  seusum,  qnare.  Item  vide- tur  irratiouabile  quod  substantia  cognoscatur   a   seusu  ,    quia   vix  intellectus   potest     Cb.230ver.so 25 —  194  — coguoscere  ipsam  siibstantiam;  imo,  iit  dixit  Scotus,  substantia  non  cognoscitur  nisi per  maginim  discursum,  licet  in  lioc  opinio  Scoti  contradicat  Aristotelem.  Cum  ergo laboret  iatellectus  ad  cognoscendam  substantiam,  irrationabile  est  concedere  quod  sub- stantia  a  sensu  cognoscatur,  sive  quatenus  est  sensus,  sive  quatenus  est  humanus;  imo concedendo  quod  gravitas  et  levitas  sint  substantiae,  non  solum  habemus  concedere quod  sensus,  qualis  talis  sensus,  sed  qualis  sensns,  cognosceret  substantias,  quia  non solum  homo,  sed  etiam  bestiae  sentiunt  gravitatem  et  levitatem.  Item  secundum  fidem et  secundum  tenentes  quod  substantia  non  suscipiat  magis  et  minus,  non  possumus tcnere  quod  gravitas  et  levitas  sint  substantiae.  Secundum  fidem  hoc  sustineri  non  potest quia  Eucharistia  est  gravis,  quia  videmus  quod  descendit,  et  tamen  illa  gravitas  non  est substantia,  quia  in  Eucharistia  non  est  aliquid  de  substantia,  quod  erat  in  illa  ante- quam  consecraretur,  neque  substantia  corporis  Christi  est  gravis;  ergo  gravitas  a  qua provenit  ille  motus  descensus  est  accidens,  et  quaedam  qualitas.  Secundum  etiam  te- nentes  substantiam  non  intendi  aut  remitti,  non  possumus  hoc  sustinere  quia  gravitas et  levitas  suscipiunt  magis  et  minus,  et  nulla  substantia  recipit  magis  et  minus ; ergo  gravitas  et  levitas  non  sunt  substantia,  sed  accidens.  Sed  quod  ad  Commentatorem qui  expresse  dicit  quod  sunt  substantiae?  Primo,  possumus  dicere  quod  Coraentator erravit,  nec  est  adhibenda  fides  ipsi  Commentatori,  quia  in  hac  difficultate  roperitur  solus Commentator  et  in  contradictione;  in  pluribus  enim  locis  dixit  oppositum ,  ubi  voluit quod  sint  qualitates  et  non  substantiae.  Ideo  possemus  dicere,  sicut  dicunt  legistae, quid  quando  inveniunt  aliquem  suorum  doctorum  in  uno  loco  dicentem  unum,  et  in alio  oppositum,  dicunt  quod  est  una  bestia,  quia  sibi  contradicit;  nec  talis  debetur sustineri,  quia  nescimus  quam  partem  tenuerit  pro  firmo,  cum  in  uno  loco  dicat  unum Ch.2.31  recto  et  in  alio  contrarium,  sicut  uos  possumus  dicere;  volentes  tamen  honorare  Commen- tatorem,  dicemus  quod  una  et  propria  opinio  Commentatoris  est  quod  gravitas  et  le- vitas  sint  qualitates  de  tertia  specie  et  non  substantiae.  Quod  autem  dixitCommen- tator  in  hac  digressione,  scilicet  quod  sunt  substantiae,  non  dixit  secundum  propriam opinionem.  Unde  non  possumus  non  mirari  de  quibusdam  fatuis.  quia  adscribunt  hanc opinioneraCommentatori  tamquam  sit  illius  sententiae,quia  solum  in  isto  Commento  hoc reperietis:  in  iufinitis  vero  locis  reperietis  ipsum  dicere  quod  sunt  qualitates  et  accidentia non  autem  substantiae.  Teneatur  ergo  pro  firmo  quod  opinio  propria  Commentatoris  est quod  grave  et  leve  non  sint  substantiae,  sed  qualitates  de  tertia  specie.  Sed  dices  si haec  opinio  est  Commentatoris  quomodo  vocabitur  sua  ratio,  quae  probat  quod  tangibile uon  est  unum  obiectum,  quia  scilicet  calidum  et  frigidum  sunt  in  praedicamento  quali- tatis,  grave  vero  et  leve  in  praedicamento  substautiae?  Dicatur  quod  uon  probat  illud per  hoc,  sed  quia  grave  et  leve  habent  diversum  (modum)  immutandi  sensum  tactus  a  ca- lido  et  frigido,  quumgrave  et  leve  immutant  per  motum  localem,  illa  vero  alia  sine  motu. Ideo  ex  diversitate  modi  immutaudi  sensum  tactus  sequitur  pluralitas  in  ipso  tactu. Utrum  gravc  et  leve  cognoscantur  absque  motiv. Circa  idem  commentum  107"  cadent  difficultates,numquid  grave  etleve  non  cogno- scantur  nisi  per  motumut  vero  (?)  diceret  Commentator.  Videtur  enim  quod  non  possint cognosci  sine  raotu  locali,  sicut  experientia  testatur,  quia  non  sentimus  an  aliquid sit  grave  vel   leve    uisi  illud   poiideremus ,    ponderatio    vero  non  fit  nisi  cum  motu —  195  — locali.  Haec  etiam  videtur  sententia  Commentatoris  in  digressione  quae  dicit  quod  uon cognoscuntur  grave  et  leve  uisi  mediante  motu.  lu  oppositum  arguitur  quod.cum  motus sit  sensibile  commuue,  ti  non  percipiatur  grave  aut  leve  nisi  mediaute  motu,  non  sen- tiuuturni&i  mediante  seusibili  communi;cum  autem  sensibile  commuue  non  percipiatur     Ch.  231verso sine  sensibili  contrario  prius  percepto,  per  quod  ergo  proprium  sensibile  perciperetur motus  ille  mediaute  quo  cognoscimus  grave  et  leve?  Quod  si  dicatis  quod  sensibile proprium  per  quod   motus   coguoscitur   sit   calidum  aut  frigidum,  hoc  non  videtur, quia  possumus  seutire  gravitatem  aut  levitatem  uulla  liarum  qualitatum  percepta,  quod ergo  eiit  propiium  et  per  se  sensibile  per  quod  iste  motus  comprehenditur,  nou  vi- detur  esse  nisi  calidum,  quare. Ad  hanc  dubitationem  cousuevi  alias  aliter  dicere ,  sed  inveni  unam  aliam  re- spousionem  quae  melior  est  quam  illa  alia.  Diceudum  ergo  quod  prius  percipio  hoc esse  grave  quam  percipiam  ipsum  moveri,  et  sic  de  levi  dicatur,  et  mediante  gravi- tate  percipio  motumgravis  qui  cst  sensibile  commune.  Sed  dices:  quod  dices  ad  Commen- tatorem  quod  dixit  quod  nou  seutitur  gravitas  aut  levita?  nisi  mediante  motu?  Dico quod  hoc  uon  dicit  Commentator  si  bene  inspiciautur  verba  eius,  sed  dicit  Commeutator: uon  sentitur  gravitas  aut  levitas  uisi  grave  aut  leve  moveatur,  et  diceret:  ergo  nou percipitur  gravitas  et  levitas  nisi  mediante  motu.  Primum  enim  verum  est,  secundum vero  falsum.  Unde,  licet  motus  sit  prior  natura  quam  perceptio  iUarum  qualitatum, prius  tamen  iliae  a  sensu  cognoscuntur  quam  talis  motus,  quare. Ch.  233  recto Numquid  sensus  tactus  sint  phires. Circa  illam  quaestionem.  numquid  seusus  tactus  sint  plures  secundum  sit  uua potentia,  factum  est  argumentum  quod  est  tale:  si  tactus  essent  plures  sensus,  non tantnm  essent  plures  sensus  exteriores,  sed  plures  quam  quinque;  sed  tantum  sunt quinque  sensus  exteriores,  ergo  tactus  non  est  plures  seusus  sed  unus.  Katio  est  boua quia  cst  coniradictio  talis  facta  ex  destructione  consequentis  ad  destructionem  aute- cedentis.  Argumentum  declaratur,  quum  si  sensus  tactus  uon  esset  unus  sed  plures,  ad minus  essent  duo  sensus,  quia  minor.numerus  qui  potest  repeiiri  est  numerus  biuarius; sed  alii  sensns  exteiiores  a  tactu  sunt  qnatuor:  visus,  auditus,  olfactus  et  gustus: modo  duo  et  quatuor  faciuut  sex,  ergo  ad  minus  essent  sex,  et  sic  esseut  plures  quam     Ch.233verso quinque  et  uon  tantum  quinque Aristoteles  ubicumque  loquitur  de  sensibus erterioiibus  et  etiam  Ecclesiastes  dicifc:  peccasti  in  quinque  sensibus;  quare  sequitur quod  seusus  tactus  non  sit  plures  sensus. In  oppositum  est  Aristoteles  in  capite  hoc.  Ad  hoc  argumentum  difEcile  est  respon- dere.  Kespondet  enim  Thomas  quod  sensus  esteriores  sunt  tantum  quinque,  et  sensus exteriores  sunt  plures  quam  quinque,  nec  ista  contradicunt,  quod  declarat;  nam  sensus  ex- teriores,  secundum  species,  sunt  plures  quam  quinque,  quum  tactus  sunt  plures  secundum speciem,cumplures  sint  potentiae  tactivaesecundum  speciem;et  itaeuumerandopotentias tactivas  cum  aliis  quatuor  potentiis  aliorum  quatuor  sensuum  exteriorum,  secundum  spe- ciem  plures  sunt  quam  quinque  sensus  exteriores,  seu  potentiae  sensuum  exteriorum.  Se- crmdum  vero  genus  proximum,  tantum  sunt  quinque  sensus  exteriores,  quum  potentiae  ta- ctivae  conveniunt  omnes  in  uno  geuere  proximo,  ratioue.cuius  sunt  ut  ui.a  poteutia:  et  sic —  196  — sensus,  secundum  genus  proximiim,  fit  unus  sensus;  et  sic  numerando  tactura  f  um  aliis sensibus  sunt  tantura  qninque.  Genus  autem  proximum  secundum  quod  potentiae  tacti- vae  conveniunt  seu  in  quo  conveniunt  et  fiunt  quodammodo  una  poteutia,  sunt  (sie)  quia omnes  potentiae  tactivae  percipiuut  proprias  contrarietates,  per  se,  per  medium  iutrin- secum,  et  per  accidens,  per  medium  extrinsecum;  et  ideo  quia  omnes  potentiae  tactivae in  hoc  genere  proximo,  scilicet  in  uno  modo  percipiendi  sua  tangibilia,  ideo  ratione huius  generis  proximi,  omnes  firmt  ut  una  potentia  et  tactus  fit  uuus  sensus;  seciin- dum  ergo  speciem  sensus  exteriores  sunt  plures  quam  quinque,  secundum  vero  genus propinquum  sunt  praecise  quinque;  et  hoe  modo  loquitur  Aristoteles  de  sensibus  exte- rioribus  cum  dicit  iilos  esse  quinque,  et  non  prirao  modo  secundum  speciem.  Sed  ista responsio  licet  videatur  prima  facie  satisfacere,  interius  tamen  perscrutanti  videtur  non Ch.  23-1  recto  posse  stare,  quia  si  concedis  quod  potentiae  taotivae  sint  plures  quam  quiuque,  et  una  se- cundum  genus  proximum,  quod  sumitur  ex  modo  sentiendi  per  se,  per  medium  in- triusecum,  et  per  aecidens,  per  medium  extrin.^ecum ;  si  ista  sit  causa  praecisa  quare potentiae  tnctivae  siut  una  potentia,  quia  scilicet  omnes  sentiunt  per  se,  per  mediuni intriusecum,  sequitnr  quod  tantum  essent  quatuor  sensus  exteriores,  quura,  cum  gu- stus  et  tactus  eodem  modo  sentiunt,  scilicet  per  medium  intrinsecum,  gustus  et  tactus cssent  unus  sensus,  quia  conveniunt  in  uno  geuere  proximo  quod  est  sumptum  ab  uno modo  sentiendi.  Item  non  tantum  quatuor,  sed  duo  essent  sensus  exteriores.  Probatur quia  tres  sensus,'  visus,  auditus  et  olfactus  sunt  uuus  sensus,  cum  conveniunt  in  uno genere  proximo  sumpto  ex  eodem  modo  immutandi  seu  sentiendi,  quia  omnes  illi  tres  sen- liunt  per  se,  per  medium  extrinsecum;  gustus  vero  et  tactus  essent  uuus  alius  sensus, ut  visum  est,  quare  tantum  duo  essent  sensus  exteiiores.  Ideo  Thomas  in  prima  parte et  in  Quaestionibus  disputatis  dedit  aliam  responsionem  et  eura  secutus  est  Aegidius liie  in  expositione.  Dicunt  enim  quod  sunt  quinque  sensus  exteriores,  quia  simt  quinque modi  immutandi  ipsos  sensus:  sumuntur  autem  isti  modi  sic:  quia  in  mutatione  sen- suum  exteriorum,  aut  obieetum  tantum  specialiter immutatur,  et  ex  isto  modo  immu- tandi  sumitur  una  potentia  quae  est  potentia  visiva;  aut  obiectum  realiter  immutatur per  motum  localem,  organum  vero  specialiter,  et  ex  isto  modo  sumitur  iraa  alia  po- teutia  quae  est  potentia  auditiva;  aut  obiectum  conveuienter  immutatur  per  motum •  alteratiouis  et  orgauum  specialiter,  et  ex  hoc  modo  sumitur  tertia  potentia  quae  est potentia  olfactiva,  fit  enim  olfactio  per  fumalem  evaporationem  quae  non  est  sine  motu alterationis;  :n  tactu  vero  et  gustu  est  etiam  immutitio  realis  ex  parte  obiecti,  et  ex  parte Cli.234  verso     organi  et  sensus,  sed  aliter  et  aliter.  Omnia  aliter  immutantur  tactus  et  aliter  gustus.  quia tactus  immutatur  realiter  a  qualitate  propria  et  tangibili  cuius  est  perceptivus:  gustus \  vero  realiter  immutatur  non  secundum  qualitatem  propriam,  sed  secundum  qualitatem alienam,quia  immutatur  realiter  ab  humore  et  specialiter  recipit  sapores.  Non  enim  opor- tet  quod  si  gustus  habeat  pereipere  dulcedinem,  ut  gnstus  fiat  realiter  (duk-is),  sed  bene oportet  quod  fiat  actu  bua.idus.  Oportet  autem  quod,  si  debeat  percipere  caliditatem et  alias  qualitates  tangibiles,  ut  tactus  fiat  actu  calidus,  frigidus  et  sic  de  aliis.  Et ideo  ex  ista  diversitate,  qnae  est  inter  irarautationem  realem  tactus  et  immutationem realem  gustus,  sumitur  diversitas  potentiae  tactivae  a  potentia  gustativa,  et  sic  sumun- tur  isti  duo  sensus.  Priraura  ergo  ex  istis  quinque  raodis  immutandi,  quibus  sensus cxteriores  contingit  immutari,  sumitur  numerus  sensuum  exteriorum.  Kedeun^lo  modo —  lO?  — ud  propositum  argnraei;ti,  dicniit  qiiod  liotentiae  tactivae  in  specie  snnt  plures;  in  ge- nere  tamen  proximo  omnes  sunt  ut  uua  potentia,  quia  omnes  potentiae  tactivae  con- veniunt  in  lioc,  qund  eodem  modo  inimutantnr  ut  dictum  est.  Quare. Licet  in  quarta  re-ponsioue  esset  difficultas  quam.  tetigi  snpra,  dum  legerem  com- mentum  dc  Inimido,  quum  dicunl  gustum  percipere,  ad  hoc  nt  species  saporis  compre- liendat;  quia,  ut  supra  diximu^,  non  videtur  possibile  quod  gustus  percipiat  hnmorem,

quia  sensibile  proprium  est  qnod  nou  conlingit  altero  sensu  sentiri:  cum  ergo  humor sit  seujibiie  proprium  sensus  tactus,  quomodo  pnssibile  erit  talis  humor  a  gustir  per- cipi?  Sed  de  hoc  satis  dictum  iam.... Verum  circa  lianc  responsionem  Thomae  et  Aegidii,  insurgit  multo  maior  difficultas; quia,  licet  venim  sit  quod,  si  tactus  debeat  percipere  calidum,  frigidum,  liumidum  et  sic- cum,  (debeat  eadem  fieri)  licet  hoc  de  sicco  non  appareat;  non  enim  mihi  videtur,  nec  ita est  quod  si  manus  mea  sentiat  aliquid  siccnm  ut  manus  mea  fiat  sicca;  non  tamen  vertnn est  in  qnalitatibus  sequentibus  quatuor  qualitates  primas.  Nec  si  tango  aliquid  leve,  ma-  Ch.  235  i-ecto nns  mea  fit  levis,  nec  si  dunim  dura,  nec  si  nuUe  mollis,  uec  si  asperum  aspera.  Dice- rera  enim:  hoc  est  extrema  fatuitas;  mihi  videtur,  quod  ratione  continui  (?),  quia  asperum leve  et  aliae  qualitates  taugibilcs  sequentes  primas  qualitates  non  sunt  qualitates  activae, sed  bene  eas  sequuntur;  ideo  uon  oportet  quod  si  tango  aliquid  grave  quod  illud  tale  indu- cat  gravitatcm  in  ra;inu  mea,  et  sic  de  aliis  et  ita  nou  videtur  quod  omnes  potentiae  tactivae habeauteumdem  modum  immutandi  utdicit  Thoraas,quia  ut  diximus.licet  duae  potentiae tactivae  habeant  eumdem  modum  immutandi, scilicet  potentia  perceptiva  calidi  et  frigidi, et  potentia  perceptiva  Iniraidi  et  sicci,  licet  de  sicco  nun  videatur  verum;  aliae  tamen  poten- tiae  liabent  uiodum  immutandi.  Ideo  pctentiae  tactivae  non  possunt esse  una  poteutia  in genere  proximo  si  deberet  sumi  genus  proximum  ab  illo  modo  immutandi  quem  po- suit  Thomas  in  ipso  tactu;  quia,  ut  diximus,  illud  non  potest  esse  unum  genus  pro- xiunnu,  cuni  uon  sit  idem  modus  immutandi  omnes  potentias  tactivas;  ideo  do  aliam respousioneff .  Su;.    Non  sic  autem  est   de   tactu,  quum  tactus   per   se  primo pereipit  omnes  contrarietates  tangibiles.  Ideo  ratio  valet  de  tactu  quum  per  se  primo percipit  plures  contrarietates,  non  valet  autem  de  sensu  communi,  quura  sensus  communis non  est  per  se  primo  perceptivus  plurium  contrarietatum,  sed  per  se  primo  percipit  unam Ch.  236iecto     contrarietatem  innominatara.  Sed  ista  responsio  non  videtur  sufficiens  quum  ista  dicam de  tactu,  quod  scilicet  tactus  non  per  se  prinio  comprehendit  illas  contrarietates,  sed per  se  primo  tactus  est  perceptivus  unius  contrarietatis  innominatae,  quae  similiter vocetur  a  et  Ib;  et  ita  sicut  sensus  communis' est  unus,  ita  sensus  tactus  erit  unus. Dixit  Thomas,  in  prima  parte,  in  Quaestionibus  disputatis,  quod  probabiliter  potest  teneri quod  sensus  tactus  sit  unus  sensus,  nec  aliqua  ratio  demonstrativa  est  in  apprehensioue; sed  quod  dicemus  sustinendo  Aristotelem?  Sustinendo  opinionem  Aristotelis  dicemus, quod  non  est  eadem  ratio  de  sensu  communi  et  de  tactu,  quia  non  est  eadem  ratio deservo-et  de  domiuo,  quia  enim  sensus  coramunis  est  sensus  interior,  et  communis virtus  pro  eius  unitate  non  requirit  uuitatem  contrarietatum ;  imo  stat  cum  unitate eius  pluralitas  contrarietatum;  modo  in  sensu  par.iculari  et  exteriori  est  bene  neces- sarium  qtiod,  si  seusus  est  unus,  debeat  esse  unius  contrarietatis  tantum  per  se  primo perceptivus.   Cum  ergo  tactus  sit  seusus  particularis   et  exterior,    si  nou  erit  unius contrarietatis  tantum  per  se  primo  perceptivus,  nou  erit  unus  sensus:  modo,  ut  ap- paret,sensus  tactus  est  per  se  primo  perceptivus  plurium  contraiietatum,  ut  contrarietates calidi  et  frigidi  et  similiter  contrarietates  humidi  et  sicci,  quorum  nulla  ad  alteram •     reducitur,  quare.  Ideo  necessario  tactus  debet  poni  plures  sensus  nou  autem  unus;  non autem  est  sic  de  seusu  coramuni. Sed  adhuc  contra  nostram  determinationem  insurgit  difficultas,  quam  (fugiemus) fugiendo  ad  sensum  particularem,  quod  si  talis  sensus  percipit  plures  contrarietates est  plures  sensus,  et  si  percipit  tantum  uuam  contrarietatem  est  sensus  unus.  Modo obiicieudo  dicet  quis  quod  non  possumus  ad  hoc  fugere,  quum  visus  est  uua potentia  particularis,  et  tamen  percipit  sua  obiecta  quae  magis  distant  quam  obie- cta  sensus  tactus,  visus  enim  perceptivus  est  coloris  et  lucis;  modo  magis  distant lux  et  color,  quam  calidum  et  frigidum,  humidum  et  siccum  et  quam  aliae  diffe- Cli.2.36verso  rentiae ,  seu  contrarietates  qualitatum  tangibiiium,  quum  lux  est  qualitas  aeterna, color  vero  est  qualitas  non  aeterna;  omnes  autem  qualitates  tangibiles  sunt  genera- biles  et  corruptibiles;  modo  plus  differunt  aeternum  et  corruptibile,  quam  corruptibile et  corruptibile;  ergo  color  et  lux  magis  differuut  quam  qualitates  tangibiles,  seu contrarietates  earum  ad  iuvicem  differant;  non   ergo  est  coiicludendus  seusus  tactus —  199  — esse  plures  sensus  ex  eo  quod  est  sensus  particularis  perceptivus  contrarietatum  plu- rlum  omnino  distinctarum,  quia  videmus  quod  visus  est  una  potentia  ut  communiter conceditur,  et  tameu  visus  est  una  potentia  particularis  percipieus  sua  obiecta  magis differentia  quam  obiecta  et  contrarietates  sensus  tactiis,  quare.  Ad  hoc  dari  possunt duae  responsioues  secundum  quod  duae  sxmt  opiniones  de  luce.  Prima  respousio  est secundum  tenentes  quod  lux  sit  idem  subiecto  quod  color,  licet  color  et  lus  forma- liter  distinguantur;  nam  secundum  istos,  color  nil  aliud  est  nisi  lus  obumbrata,  et ista  lus  et  color  sunt  idem  subiecto  et  materialiter,  distinguuntur  autem  formaliter, quia  lux  est  lux  pura,   color  vero  lux  non  pura.  Secundum  ergo  hanc  responsionem negatur  quod  color  et  lux  magis  differant  quam  contrarietates  tangibiles,  imo  sunt unum  et  idem  subiecto,  licet  formaliter  distinguautur.  Secundum  vero  alteram  opi- nionem  quae  teuet  quod  non  sint  realiter  idem  color  et  lux,  est  dicendum  quod  in comparatione  ad  ipsos  sensus  magis  differunt  obiecta  tactu-j,  quam  lux  et  color,  licet in  se  et  esseutialiter  magis  differunt  lux  et  color  quam  obiecta  tactus,  ut  probat  ar- gumentum.  Quomodo  autem  iu  comparatione  ad  ipsos  sensus  altera  est  diversitas  inter calidum  et  frigidum,  et  huraiJum  et  siccum,  verbigratia,  quam  inter  lucem  et  colorem, declaro,  quia  comparando  lucem  et  colorem  ad  visum,  lux  et  color  se  habeut  in  qua- dam  aualogia;  primo  enim  percipitur  lux  dein  color:  color  enim  mediante  luce  perci-     Ch.237recto pitur,  ut  supra  dixit  Aristoteles,  cum  dicebat:  color  est  actus  diaphani  secundum  actum in  actu  ilhiminati,  ut  exponebat  Commentator,  et  sic  color  percipitur  mediante  luce. Modo  in  contrarietatibus  tangibilium  non  est  talis  aualogia  quum  omnes  tales  con- traiietates  per  se  primo  percipiuntur  a  tactu,  nec  una  percipitur  mediante  alia.  ideo remauet  quod  tactus  sit  pUires,  licet  seusus  visus  sit  unus  sensus. Sed  circa  totum  quaesitum  est  ima  difficultas  per  se  et  seorsum  distincta ab  Jiis  quae  hucusque  dicta  sunt ,  quia  non  \idetur  omnino  necessarium  quod  ta- ctus  sit  una  potentia  et  imus  sensus,  non  autem  plures,  quum  illa  potentia,  quae  iu- dicat  circa  plures  coutrarietates  est  una  poteutia ;  sed  tactus  iudicat  circa  plures contrarietates ,  per  tactum  euim  et  non  per  alterum  sensum  iudicamus  an  hoc sit  calidum,  frigidum,  humidum  et  siccum ;  ergo  sensus  tactiis  est  unus  sensus  et una  potentia.  Hae  ratione  utitur  Philosophus  hic  inferius,  ubi  probat  quod  datur  alius sensus  a  quinque  sensibus,  qui  est  sensus  iuterior,  quare.  Ad  hoc  dicatur  quod  non est  tactus  qui  ponit  differeiitiam  inter  tangibilium  contrarietates,  neque  est  una  ali- qua  poteutia  tactiva,  quae  afferat  iudicium  de  pluribus  quam  de  una  contrarietate tangibilium,  sed  sensus  communis  est  qui  de  omnibus  illis  iudicat.  Decipimur  autem nos  et  credimus  quod  sit  sensus  tactus  (illud)  quod  de  omuibus  illis  iudicet,  quum potentiae  tactivae  coucurrunt  initiative,  sed  non  principaliter  ad  hoc  iudicium. Cum  enim  unaquaeque  potentia  percipit  suam  contrarietatern ,  suut  occasiones sensui  communi  ut  omnes  illas  contrarietates  comprehendens  de  illis  iudicet ;  ideo cum  poteutiae  tactivae  sunt  ut  principium  occasionale  huius  iudicii,  credimus  nos quod  hoc  iudicium  fiat  ab  una  potentia  tactiva,  sed  non  est  ita.  Ideo  error  est  in ista  existimatione.  Sed  rursus  iustabit  quis  uostrnm  quando  ita  dicam  quod  visus non  est  qui  iudicat  de  istis  coloribus,  sed  dicam  quod  est  sensus  communis,  qui  aftert hoc  iudicium,  et  ponit  differentiam  iuter  unum  colorem  et  alterum ,  sicut  tu  dicis  Ch.237verso de  tactu ,  sed  secundum  communem  existimationem  visus  est,  quod  iudicat  de  istis —  200  — coloribus;ergo  et  tactns  iudieaMt  de  oiunibus  qiialitatibus  tangibilibiis  et  sic  teuebimus quod  sit  una  potentia  tactiva,  quae  omnes  qualitates  tangibiles  compiehendat,  ad  hoc ut  inter  illas  possit  ponere  differentias  et.  conveuientiam.  Dici  possit  primo  conce- deado  quod  verum  est  quod  non  est  visus  qui  iudicat  de  coloribus,  sed  est  sensus communis ;  visus  autem  solum  initiative  coucurrit  ad  hoc  iudicium,  sicut  quod  di- cebatur  de  tactu.  Vel  aliter  dicatis  quod  visus  est  qui  ponit  differentiam  inter  ipsos colores,  tactus  autem  nou  est  qui  ponit  differeutiam  inter  tangibiies  qualitates,  quum est  aliqua  diversitas  in  visu  et  tactu:  sed  super  hoc  considera  tu. Utrum  sensus  tactus  sint  fmiti  vel  infiniti. Cum  determiiuitum  sit  in  praeterita  quaestione  quod  seusus  tactus  est  plu- res,  oportet  secundo  loco  videre  an  sensus  tactus  sint  infiuiti,  an  finiti  et  quia clarum  est  quod  non  suut  infiniti .  ergo  fiuiti.  Ideo  cum  sint  fiuiti  quaerimus de  modo  eorum,  quot  sciiicet  sint  sensus  tactus,  seu  poteutiae  taciivae.  In  hoc  quae- sito  reperiuntur  multae  ac  vaiiae  oidniones.  Aliqui  tenueruut  quod  duao  tautum  essent potentiae  tactivae,  aliqui  quod  qualuor,  aliqui  quod  quiuque,  aliisex,  alii  septem,  ut diximus,  ergo.  Una  est  opinio  quae  tenet  quod  potentiae  tactivae  sunt  tautum  duae,  una quae  est  perceptiva  calidi  et  liigidi,  et  raediorum,  alia  quae  est  pereeptiva  iuimidi  et et  intermediorum.  Aliae  vero  contrarietates  tangibiiium  aut  reducuntur  ad  has  duas contrarietates  primas  et  ab  eisdem  percipiuntur  potentiis  tactivis ,  aut  sunt  sensibilia communia.  Uude  potentia  perceptiva  humidi  et  sicci  perceptiva  est  duri  et  mollis, Ch.  238rccto  qnum  durum  siccum  est,  molle  vero  esfc  humidum.  Ideo  per  eauidem  potentiam  hanc coutrarietatem  con,prehendimus  per  quam  comprchendimus  humidum  et  siccum;  de gravi  autem  et  levi  dicit  haec  opinio  quod  sunt  sensibilia  coramunij,  ut  videtur  dixisse supra  Comraentator,  ubi  dicit  quod  ista  diio  pe;cipiuntur  sine  motu;  et ita  cum  motus  sit sensibile  comraune,  et  grave  et  leve  aut  sunt  motus,  aut  non  percipiuntur  nisi  me- diante  motu,  erunt  ergo  grave  et  leve  sensibilia  commuuia;  de  aspero  autem  et  leni aliqui  dicunt  quod  reducantur  ad  humidum  et  siccum,  quia  asperitas,  scilicet  in  qua una  pars  supereminet  alteri,  provenit  ex  siccitate:  leuitas  vero  ubi  onines  partes  sunt aequales  et  nullum  alteri  supereminet,  provenit  ab  hiimiditate  et  ifca  reducitur  hacc contrarietas  ad  contrarietatora  quae  est  iu  humido  et  sicco.  Pouimus  ergo,  secuudum banc  opiuiouem,  qualiter  omues  contrarietates  taugibilium  percipiuntur  a  duobus  po- leutiis  tactivis,  et  ita  quod  tactus  sit  tantum  duo  sensus.  Aliquibus  autem  non  placuit liaec  opinio,  et  primo  quoad  hoc  quod  diximus  de  duro  et  mclli,  quod  reducuntur  ad liumiduui  et  siccura,  quia  non  coguoscinius  durum  per  solam  siccitatem;  non  euim coguoscimus  aliquid  esse  durum  ex  eo  quod  est  siccum,  sed  ex  eo  quod  est  comprehen- sivum  (compressivum?)  a  tactu  non  cedit  tactui;  similiier  nec  perapiraus  aliquid  esse raolle  percipiendo  illud  esse  humidum,  sed  ex  eo  quod  videmus  illud  cedere  tactui,  et sic  haec  opinio  videtur  falsa. Nec  stat  talis  opinio  cum  raeute  C  'mmentatoris,  quia  in  hoc  capite  Commentator vult  quod  per  aliam  poteutiam  percipiantur  oranes  hae  qualitates  tangibilium.  Unde, secundum  ipsum,  alia  est  poteutia  calidi  et  frigidi,  alia  humidi  et  sicci,  alia  gravis et  levis;  non  autem  secundum  eius  intentiouem  poteutia  perceptiva  calidi  et  frigidi, et  potenlia  pe.ceptiva   humidi    et   sicci  suut   potenliae   perceptivae  oranium  aliarum —  201  — contraiietatum  tanglbilium,  quare  secuudum  sententiamCommentatoris  non  tantum  sunt duae  potentiae  tacti\ae,  sul  plures  quam  duae.  Quod  etiam  dixit  liaec  jirima  opinio     Cli.238verso de  gravi  et  le\i,   quod  sunt  sontibilia  communia  et  non  percipiuntur  uisi  mediaute motu,  non  videtur  esse  ad  mentem  Aristotelis,  quum  hoc   numquam  posuit  Aristo- teles,  scd   ista   enumerat  inter  differenfias  tangibilium,  tamquam  obiectum  proprium sensus  tactus,  neque  videtur  forte  necessarium  quod  percipiatur  motus,  si  debeat  gra- vitas  et  levitas  ccmpreliendi:  quia  si  ista  duo  perciperentur  mediante  raotu,  cum  motus sit  sensibile  commune,  per  quod  percipietur  ipse  motus?  Aut  enim  per  sensibile  pro- priimi,  aut  per  sensibile  commune;  sed  non  videtur  quod  motus  percipiatur  mediante sensibili  proprio,  neque  mediante  sensibili  communi.  Non  viJletur  ergo  quod  si  debeam grave  et  leve  comprehendere,  (oportere)  ut  mntum  i|isum  comprehendam.  Quod  autem dixit  haec  oiiinio  de  aspero  et  levi,  quod  si'ilicet  roducuntur  ad  figuvam,  videtur  esse satis  tolerabile  dictu.  QuiS,  ergo  haec  opinio  videtur  in  multis  deficere,  ideo  altera  ve- peritur  opinio  quae  tenet  quod  potcntiae  tactivae  sunt  quatuor,  scilicet:  prima  quae percipit  contrarietatem  calidi  et  frigidi,  secuuda  quae  percipit  contrarietatem  humidi  et sicci,  tertia  quaeperciplt  contrarietatem  gravis  et  levis,  quarta  quae  percipit  contrarie- tatem  duri  et  mollis.  De  aspero  autera  et  de  leni  non  ponitur  poteutia  ab  illis  quatuor distiucta,  quae  talis  contrarietatis  sit  perceptiva,  quia  haoc  aut  reducuntur  ad  figuram, aut  ad  contrarietatem  quae  est  iu  humido  et  sicco,  et  ideo  percipiuntur  ab  illa  po- tentia,  quare. Aliqui  alii,  non  contenti  his  quotuor  potenfiis  tactlvis,  ponunt  unara  aliam  poten- tiam  tactivam,  quae  attenditur  penes  dolorem  et  laetitiam.  Katio  autem  cur  po- nant  hanc  potentiam  tactivam,  est  quia  per  tactum  cognoscimus  delectationem  et  tri- stitiam,  sed  nou  peraliquam  potentiam  determinatam  ista  cognoscimus;  quia  aliquando sentimus  delecfationem  aut  tristitiam,  et  tamen  (non) comnrehendimus  calidum  et  siccum,  Ch.  239  reclo durum  ct  molle:  sicut  si  quis  vestrum  pingat  papillas  mulieris,  ex  illo  tactu  sentietis magnam  delectationem,  et  tamen  in  tali  delectatione  nou  sentietis  anil  quod  tangitis sit  calidum,  frigidum,  nut  humidum  et  siccum,  aut  grave  et  leve.  Similiter  si  quis patiatur  magnum  dolorem  seutit  maxiraam  tristitiam,  et  in  percipiendo  dolorem  senfit iiuanta  est  (sic),  quum  nescit  an  sit  calida  vel  frigida,  humida  vel  sicca;  ergo  delectatio et  tristitia  percipiuntur  per  tactura,  et  clarura  est  ad  sensum;  et  cura  non  percipiatur ab  ali(iua  quatuor  potentiarum,  videtur  esse  necessarium  ponere  quintam  potentiara, quae  sit  delectationis  et  tristitiae  porcepiiva.  Istam  opinionem  insequentes  inter  se diversificati  suni;  quia  quidam  volunt  quod  haec  sit  tantum  una  pofentia  tactiva  di- spersa  per  totum  animal,  aliqui  vero  voluut  quod  sint  duae  potentiae,  uua  quae  est in  raerabris  genifalibus,  et  haec  potentia  percipit  maximam  delectationem,  qnae  possit csse  in  ipso  tactu:  delectatio  enim  quae  datur  in  actu  venereo  est  tanta,  ut  dixit  Divus Hieronimus,  ut  si  angeli  coireut,  duni  essent  iu  concubitu,  oblivis^erentur  de  oraui- bus  rebus. Aliqui  alii  ponunt  aliam  potentiam  tactivam  in  gutture,  et  haec  perceptiva  est delectafionis  in  gusta  secundum  contemporautiam  cibi,  in  qualitatibus  primis.  secnn- dum  quam  ipsum  cibura  est  conveniens  auiraali;  ista  autem  delcctafio  gulae  est  ibi  vere et  proprie  delectatio,  sed  non  est  fanta  quanta  in  venereis.  Cum  autem  istae  duae delectationcs  non  suut  lu  (|uacumque   parte  uostri  corporis;  sed  uuaquaeque  illarum 26 —  202  — fit  in  certo  et  determinato  loco;  ideo  iiosiierimt  isti  has  duas  virtutes  sensitivas  par- tiales  in  membris  nostri  corporis ,  unam  scilicet  in  membris  genitalibus  et  alteram in  gula.  Aliqui  alii  ponunt  tertiam  potentiam  perceptivam  tristitiae  et  laetitiae,  quam Oh.239verso  dicunt  esse  dispersam  per  totum  corpus  animalis,  et  ista  tertia  potentia  est  perceptlva laetitiae  et  tristitiae,  quae  fiimt  iu  toto  corpore,  sicut  quando  liabemus  scabiem,  sen- timus  magnum  pruritum  per  totum  corpus,  quem  cum  quaerimus  manu  amovere,  car- pendo  ipsam  cutem,  sentimus  raagnam  delectationem  per  totum  corpus ;  verum  post hanc  delectationem  quae  est  iu  pruritu,  insequitur  maguus  dolor  et  tristitia,  qualiter non  est  iu  delectatioue  venerea  et  delectatione  gulae ;  nec  ista  delectatio  est  tanta, sicut  sunt  illae  duae.  Licet  Couciliator  fuerit  vir  magnus,  mihi  tamen  videtur  quod ista  sua  opinio  ponens  illam  quiutam  potentiam  tactivam,  quae  est  perceptiva  laetitiae  et doloris  sit  contra  Aristotelem,  quum  si,"  praeter  iilas  quatuor  potentias,  essetponere hanc  quiutam  potentiam,  Aristoteles  fuisset  vakle  dimiuutus,  quum  Aristotelis  (sit  sen- tentia),  ego  credo  quod  sit  iu  testu  commenti  119,  quod  obiecta  tactus  sunt  diffe- rentiae  corporum  generabiliura  et  corruptibilium.  quatenus  generabllia  et  corruptibilia, quod  non  est  de  dolore  et  tristitia;  ueque  Aristoteles  in  hoc  loco,  neque  alibi  ut  in quinto  De  animalilms  enumerat  dolorem  et  tristitiam  inter  obiecta  tactus,  sed  bene enumerat  semper  alias  contrarietates.  Argumentum  taraen  hoc  non  est  deraonstrativum sed  probabile ,  quia  posset  respondere  Conciliator  quod  Aristoteles  solum  enumerat obiecta  tactus  magis  famosa.  Secunda  ista  opinio  non  videtur  nimis  suificiens,  quia non  potcst  bene  evadere  difficultates,  quia  cum  tactus,  secundum  Conciliatorem,  do- lorem  sentiat,  tactus  cognoscet  se  dolere  et  sic  cognoscet  tactus  suam  operationem propriam.  quae  est  sentire,  quare  tactus  erit  virtus  reflesiva  sui  super  se,  quod  est falsum.  Tertio  deficit  haec  opinio,  quum,  licet  laetitia  et  dolor  non  fiant  siae  cogni- tione  tactiva,  uon  tameu  ista  duo  sunt  operationes  potentiae  tactivae,  sed  operationes Cli.  240  rccto  apprehensivae,  quae  est  una  virtus  distiucta  a  virtute  tactiva;  ideo  cum  dolor  et  tri- stitia  non  sentiantur  a  virtute  tactiva,  sed  ab  apprehensiva,  non  est  pouenda  illa  quiuta potentia  tactiva,  quae  habeat  laetitiam  et  dolorem  comprehendere,  quare  nullo  modo potest  stare  opinio  Conciliatoris.  Quare  puto  quod  melius  sit  tenere  quod  tantum  sint quatuor  poteutiao  tactivae.  Pro  solutione  autem  argumeuti  Conciliatoris,  est  tria  con- siderare  iu  ipso  dolore  aut  laetitia:  primo  causam  doloris  et  tristitiae  (sic),  secimdo res  quae  est  dolor,  vel  laetitia,  tertio  coguitiouem  doloris  et  laetitiae.  Tunc  dico  quod causa  laetitiae  est  impressio  conveniens  iu  ipso  tactu,  causa  vero  tristitiae  est  mala  et disconveniens  impressio  facta  in  ipso  tactu  a tangibili,et  haec  causa  percipitur  ab  ipso  tactu. Tristitia  vero  et  laetitia  sunt  qualitates  factae,  seu  genitae  in  virtute  apprehensiva,  quae qualitates  insequuntur  cognitionem  tactivam,  scilicet  illarum  passionum  convenientium aut  disconvNJuientium.  Unde  si  tactus  cognoscat  impressionem  sibi  illatam  a  tangi- bilibus  sub  modo  convenieutiae,  virtus  apprehensiva,  quae  sequitur  cognitionem  ta- ,  ctivam,  laetatur :  si  vero  tactus  coguoscafc  impressionem  sub  modo  disconvenientiae, vittus  apprehensiva  contristatur;  neque  ex  I.oc  quod  virtus  apprehensiva  dolet,  aut tristatur  (sic)  e.\  couveuienti,  aut  disconvenienti  impressioue  facta  iu  tactu,  oportet  ut ipse  cognoscat  laetitiam  aut  dolorem;  nou  ergo  est  uecessaiium  pouere  quiutam  po- tentiam  tactivam  ex  eo  quod  laetamur  aut  tristamur ,  aut  ex  eo  quod  coguosci- mus   laetitiam   aut  tristitiara,   sicut   posuit   Conciliator,  quia,    ut   diximus,  nou  est —  203  — potentiae  tactivae  laetari  aut  tiistaii ,  sed  bene  potentiae  tactivae  est  percipere  qua- litatem  impressam  convenienter  aut  disconvenienter,  ex  qua  convenienti  aut  discou- venienti  impressione  oiiginatur  dolor  et  tristitia,  quare  argumentum  Conciliatoris  nul-  Ch.240ver3o lius  est  valoris.  S.d  dices:  tu  ponis  quod  tactus  nou  est  qui  doleat,  sed  tamen  oportet q>!od  virtus  tactiva  sit  iu  operatione,  si  vii-tus  appreliensiva  habeat  dolere  aut  tri- &tari.  Sed  contra:  quia  in  usu  venereo  maxime  laetamur,  et  tamen  non  sentimus  ca- lidum.  frigidum,  Immidum  et  siccum,  ergo  non  oportet  virtutem  tactivam  esse  in operatioue  dum  percipimus  laetitiara:  similiter  dicatur  de  dolore.  Quomodo  ergo  hoc reducis  ad  aliquam  quatuor  potentiarum  taclivarum  cum  a  nulla  potentia  tactiva percipiatur  ?  Illud  argumentum  reputatur  insolubile,  sed  istud  argumentum  aeque  bene vadit  contra  Conciliatorem  quam  contra  nos:  quum  ycet  Conciliator  ponat  quod  lae- titia  et  tristitia  sint  qualitates  tactivae,  quae  percipiuntur  ab  illa  quinta  potentia; oportet  tamen  ut  det  causam  ipsius  delectationis,  aut  contristationis,  quod  piius  debeat cognosci  ab  aliqua  potentia  tactiva;  non  possunt  autem  creari  laetitia  et  tristitia,  nisi a  primis  quatuor  qualitatibus;  ergo  oportet  illas  esse  coguitas  ab  aliqua  potentia  ta- ctiva,  et  ita  oportet  etiam  concedere,  quod  virtus  tactiva  perceptiva  calidi  et  fiigidi, et  virtus  perceptiva  humidi  et  sicci  sint  in  operatione;  si  illa  scilicet  quinta  potentia debeat  percipere  laetitiam  et  tristitiam,  quia  laetitia  et  tristitia  non  fiunt  sine  cognitione praecedente:  quare  aeque  bene  contra  Conciliatorem  procedit  argumentum  factum  de venereis  sicut  coutra  uos,  quia  in  (iioc)  casu  sentitur  maxima  delectatio,  et  tameu  non sentitur  calidum,  frigidum,  uee  bumidum  et  siccum;  quare  ideo  oportet  solvere  argu- meutum  pro  nobis,  et  pro  ipso  Conciliatore.  Dico  ergo  itaque  quod  iu  actu  venereo, ubi  sentimus  tautam  delectationem.  sunt  calidum,  frigidum,  huraidum  et  siccum  re- ducta  ad  temperamentum,  sed  tamen  tactus  non  cognoscit  an  hoc  sit  calidum  au fvigidura,  humidum  an  siccura;  uec  hoc  inconvenit,  sicut  videmus  quod  boni  coqui  Ch.  241recto faciunt  quaudoque  sapores  adeo  delicatos  ut  nescimus  an  sint  dulces,  aut  alicuius  al- terius  certi  saporis;  similiter  piotores,  admiscendo  varios  colores  ad  invicem,  faciunt unum  quoddam  quod  uon  est  albedo,  neque  nigredo ,  uec  per  visum  iudicamus  nos illud  esse  albedinem  aut  nigredinem,  sed  percipit  visus  uuum  quoddam,  quod  nescit an  sit  album  aut  nigrum.  Bene  tamen,  cognoscit  visus  quod  illud  tale  commixtus  est color,  sed  quis  color  sit,  non  potest  discernere,  et  similiter  de  tactu  in  venereis  ;  in emissione  euim  seminis  illa  delectatio  creatur  ex  commixtione  temperata  calidi  et fiugidi,  nec  sentio  an  ibi  sit  ealidum  (vel)  frigidum.  Sed  contra  hanc  responsionem  insur- git  difficultas,  quia  diximus  quod  in  emissione  seminis  est  caliditas,  et  tamen  uon  cogno- scit  tactus  an  illud  contemperaraentum  sit  calidura,  frigidum;  sed  (itera)  contra,  quia  si ita  esset,  sequeretur  quod  sensus  deciperetur  circa  proprium  sensibile,  quod  est  couti"a sententiam  Aristotelis  superius,  ubi  dixit :  quod  sensibile  proprium  est  quod  ab  uno sensu  contingit  sentiri,  et  circa  ipsum  non  decipitur  sensus ;  quia  in  illa  emissione seminis  est  calidum,  frigidura  et  tamen  tactus  non  percipit  calidum  ibi  existens.  Si vellem  ad  hoc  dare  responsionem  corarauuem,  facile  evadereraus  argumentum,  dicendo quod  seusus  non  decipitur  ciica  proprium  sensibile  secundum  genus,  sed  bene  deci- pitur  visus  (nou)  quum  color,  sed  quum  est  hic  vel  ille  color  ut  albus  vel  niger.  Ita dicerem  quod  tactus  in  emissione  serainis  non  decipituT  iu  iudicando  an  ibi  sit  qualitas prima,   sed  bene  decipitur    in  iudicaudo    quae  illarum  quatuor    sit  ibi ,   sed    quia —  204  — haec  respoiisio  nou  est  ad  mentem  Commeiitatoris  ut  iiim  diximus ,  ideo  do  aliam Ch. 24lverso  respousionem  quam  iudico  esse  verara,  et  ad  mentem  Arittotelis  et  Averrois.  Dico ergo  quod  tactus  non  decipitur  circa  proprium  obioctum  secundumgeuus,  uec  secim- dum  speciem,  similiter  uullus  alius  sensus,  si  salventur  tres  conditiones  positae  a  Tlie- mistio:  scilicet  debita  distantia  sensibilis  ab  ipso  sensu,  debita  dispositio  ex  parte orgaui,  et  debita  dispositio  ex  parte  medii.  His  tribus  servatis,  uou  decipitur  sensus circa  proprium  sensibile ,  sed  bene  decipitur  altera  earum  deficiente,  et  sic  est  in actu  veuereo;  decipitur  enim  sensus  tactus  quia  ibi  est  defectus  ex  paite  organi,  et propter  talem  defectum  non  potest  tactus  rectum  iudicium  afferre  de  illo  sensibili; hic  autem  defectus  potest  propter  alteram  daarum  provenire.  Secuuda  causa  est  ma- xima  delectatio,  seu  appetitus  et  passio:  passiones  enim  corrumpunt  iudicium,  ex  ni- mio  enim  dolore  aut  laetitia  potest  tactus  impediri  a  recto  iudicio.  Altera  causa  est, quia,  sicut  si  oculus  habet  colorem  citrinum,  sicut  habent  aegrotantes  febre  colerica, t.ilis  visus  quodcumque  videt  iudicat  citrinum  propter  indispositionem  orgaui  visus, ieu  oculi,  sic  dico  qiiod  in  tactu,  ex  eo  quod  iu  emissione  sunt  quatuor  qualitates multum  commixtae  cum  euiittitur  semeu,  una  species  confundit  aliam  et  non  permittit tactum  rectum  afferre  iudicium  de  altera.  Illud  ergo  commixtum  ex  quatuor  primis qualitatibus  percipitur  a  potentia  perceptiva  calidi  et  frigidi,  et  a  poteutia  perceptiva humidi  et  sicci.  Sed  non  recte  percipitur  calidum  et  frigidum;  quare  salvatur  quoJ potentia  tactiva  sit  iu  operatione  dum  apprehensiva  laetatur  aut  tristatur,  et  Conci- liator,  iudicio  meo,  ad  hoc  idem  debet  deveuire.  Sed  dices:  ex  toto  non  solvitur  difli-  ? cultas  quam  tu  uon  potes  negare,  quando  sentiamus  dolorem  et  laetitiam:  et  timc Ch.2-12rectu  stat  argumeutum  Conciliatoris:  quum  cognoscimus  dclorem  et  laetitiam  et  non  per aliam  poteutiam  quara  per  potentiam  tactivam,  non  per  aliam  quatuor  dictarum  po- tentiarum ,  ergo  debet  dari  quintam  potentiam  tactivam  quac  cognoscet  laetitiam aut  tristitiam.  Quare  si  non  esset  auctoritas  Aristotelis,  adherirem  opinioni  Conciiia- toris:  sed  quia  Aristoteles  uumquam  posuit  laetitiam  et  tristitiam  inter  obiecta  po- tentiarum  tactivarum,  ideo  puto  esse  aliter  diceudum,  quae  scilicet  sit  potL'utia  cogno- scitiva  doloris  et  laetitiae.  Pro  quo  debctis  scire  quod  circa  hoc  suut  variae  et diversae  opiniones,  quae  scilicet  sit  virtus  c ognoscens  laetitiam  aut  dolorem.  Geutilis  in secundo,  ibi  iu  illa  parte  Doloris,  et  Jacobus  de  Forlivio  (qui)  est  etim  insecutus  dicuut quod  virtus  cognoscitiva  doloris  et  laetitiae  est  sensus  communis.  Ugo  vero  Senensis ponit  quamdam  imaginativam  imperfectam  dispersam  per  totum  corpus  quae  cognoscit dolorem  et  laetitiam.  Conciliator  vero  vult  quod  sit  illa  quinta  potentia  tactiva,  et sic  circa  hoc  quod  sit  potentia  cognoscitiva  doloris  et  laetitiae  sunt  opiniones  (?)  iudi- cabiles  (judicabitis?)  autem  quae  sit  melior;  quae  enim  opinio  sit  veraDeus  scit;  sed  mihi videtur  quod  tristaii  aut  laetari  non  sit  op^ratio  virtutis  tactivae,  sed  est  operatio  ap- preheusivae,  quae  virtus,  iu  sua  operatione,  insequitur  cognitionem  potentiarum  tactiva- rum,  quae  sunt  in  operatione.  A  qua  vero  virtute cognoscatur  laetitia,  et  tristitia sum  cum  Ugone  aut  Jacobo,  nullo  modo  cum  Conciliatore.  Quare.  " Et  sic  Deo  duce  expliciuut  quaestiones  Maximi  Philosophi  Ponponatii  Mantuani super  tres  libros  Aristotelis  de  Anima. —  205  — SUrrLEMEXTA    QUARUMDAM    QUAESTIONUM QUAE  PRIU.S  IMPEKFECTE  TEADITAE  SUNT. Utrum  ■nobilUas  sclmtiac  sumatv,r  a  nobilitate  subiecli  vcl  a  certitudine  dcmon-     Ch.  248rocto strationis. Circa  quaestionein  illam  piimi  De  anima,  numquid  nobilitas  scientiae  sumatur a  subiecti  noLilitate,  vel  a  certitudine  demjnstrationis,  et  praecipue  coutra  rai-ionem qnae  teuet  qnod  a  nobilitate  subiecti  snmatnr  nobilitas  soieutiae;  ciica  quam  ra- tionem  dubitatur,  quia  haec  respousio  uon  videtur  vera,  nam  magis  videtnr  quod pertectio  scientiae  est  sumenda  a  certitudine  quam  a  uobilitate  subiecti. Ratio  satis  evidens  est,  qnia  cum  certitudo  sit  qnalitas,  et  se  babeat  nt  forma, subiectum  vero  ut  materia;  modo  forma  e.->t  perfectior  materia;   ideo,  cum  perfectio certitudiuis  sit  ut  forma,  perfectio  vero  subiecti  nt  materia,  altior   et  nobilior   erit perfectio  certitudinis,  qnam  subiecti,  (et)  sequeretur  qnod  scientiae,  quae  sunt  de  eodem subiecto  essent  aeqnaliter  perfectae,  quod  est  falsura;  quia  si  una  scientia  conside- raret  Deum  in  quautnm  est  iutjjligens,  et  alia  in  quantum  est  primns  motor,  valde pjrfectior  est  scientia  quae  cousideret  Deuui   iu  quantum  est  iutelligens,    quara   ilia quae  cousideiet  Deum  iu  quantura  est  piimns  raotor.  Coutraria  videtur  nola,  quia istae  duae  scientiae  considerant  de  eodem  obiecto,   ergo   sunt   einsdem  perfectionis, cum  perfectio  scientiae  attendeuda  sit  peiies  perfejtionem  iu  subiectis.  Tertio  arguitur: data  illa  positione,  sequeretur,    quod  scientia  quae  esset  de  subiecto  intinitae  per- fectiouis,    illa  scientia  essat  infiuita,    contraria  tenet   quod    si    subiectnm    est    ali- quantisper  perfectum,  scientia  est  aliqnantisper  perfecta,  et  (si)  subiectnm  sit  iu  du- plo  perfectius  ,  scieutia  erit  in  duplo  perfectior  et  ita  procedendo;  ergo  si  subiectum   - sit  iutiuitae  perfectiouis,  scieutia  illius   erit   infiuite  perfecta;  sed  coutra  est  falsum quia  Metaphysica  et  Theologia  quae  considerant  de  Dec  sint  infinitae,  quia  cum  lales scientiae  sint  qnalitates  in  nostro  intellectu,  qui  est  actu    finitus,  non  possunt  esse infinitae,  aliter  finitum  actu  reciperet  actu  infiuitum;  tanien  quia  soli  Deo  conceditnr     Ch.2-l8ver3o infinitas  perfectiouis,  sustineudo  Tiiomam,  dicitur  vel  priuium:  cum  dicis  quod  nobi- litds  sit  a  certitudine  demonstrationis  nego.  ct  cum  probas  quia  certitudo  se  habet  ut forma,  cum  sit  qualitas,  perfectio  vero  obiecti  ut  materia;  modo  forma  est  nobilior mateiia;  dico  quod  iHa  propositio:  lorma  est  nobilior  materia,  iutelligenda  est  in  eodem genere;  itaque   si  aliquo  duo  sint  eiusdem  generis  quorum  unura   se  habe.it  nt  for- nia,  alterum  vero  nt  materia;  illud  quodse  habet  ut  forma  est  nobilius  eo  qnod  se  ha- bet  ut  materia,  sed  si  suut  diversorum  generum,  (dico)  quia,  nt  dietum  est,  obiectum  se habet  ut  substantiale,  et  certitudo  ut  accidentale.  Ad  argumiutam,  cum  dicis:  sequeretur qnod  scientiae  quae  essentde  eodem  subiecto  esseut  aequaliter  perfectae;  dicas  quod  illa propositio:  perfectio  scientiae  attenditur  penes  subiectum,  habent  intelligere  de  subiecto formali.  Ad  argumentum  ergo  non  iuconvenit  id  quod  deducitur  si  illae  scientiae  sint de  eodem  subiecto  formali  et  eodem  modo  considerato  ,  sed  non  sunt  duae  scientiae quae  eodem  modo  considerant  Deum:  nam  una  scientia  est,  qiuie   cousiderat  Deum iii  quautimi  est  iiitelligens,  alia  vero  quateuiis  primus  motor.  Prima  cousidevatio  est

valde  perfectior,  quia  Deus  ut  intelligeus  babet  rationem  perfectiorem  quam  ut  pri- mus  motor.  Ad  tertium,  si  teneamus  uon  esse  aliquid  iufimtimi  in  actu,  tunc  fal- sum  esset  quod  scientia  Dei  esset  infinita,  et  sic  faciliter  solveretur  argumentimi; sed  quia  fides  catbolica  tenet  Deum  esse  infiniti  (sic),  ideo  oportet  respoudere  ad  ar- gumentum,  quod  est  valde  diflicile.  Ideo  isti  negant  similitudiuem  ut  primum  in quaestione  principuli,  quia  dicuut  quod  licet  Deus  sit  infinitus  tamen  fiuite  compre- Jienditur,  ergo.  Ad  quod  aliqui  dicuut  negaudo  consequeutiam.  Ad  probationem,  dicuut ad  anteriorem  negando  eam,  quia  secuudum  quod  isti  dicuut,  non  oportet  probatio- Ch.  249  lecto  nem  scientiae  adaequari  praecise  perfectioni  obiecti,  et  ita  falsum  est  quod  assmmebatur, quod  si  obiftctum  sit  perfectionis  ut  duo,  quod  scientia  illius  sit  perfectionis  ut  duo, et  sic  de  aliis,  quare  nou  sequitur:  obiectum  est  iufiuitae  perfectionis,  ergo  scientia  iliius est  infinita.  Katio  et  fandamentum  Luius  opiuionis  est  quia  iutelligeus  non  potest  perfecte iutelligere  Deum,  neque  est  capax  infinitatis  Dei,  et  sic  neque  scientia  Dei  estinfinita.

Ulrum  anima  sit  immortalis  secundum  Aristotelem. Circa  commentum  duodecimum  dubitatur  et  moveo  quaestiouem  quam  etiam tetigi  iu  quaestione  mea  de  immortalitate  aiiimae,  quia  tenent  Tbomas  el  Commentator, quod  secundum  Aristotelem  auima  intellectiva  sit  immortalis,  licet  diversificetur  in eorum  positione.  Tunc  arguo,  sic  abiicieudo  auimam  esse  immortalem  secimdumAri- stotelem.  Siintelligere  est  pbantasia  aut  non  siue  phantasia,  ipsa  anima  est  inseparabilis a  materia,  sed  intelligere  nou  est  sine  phautasia  ergo  anima  non  est  separabilis  a  cor- pore.  Ratio  est  conJitioualis  cum  positione  accidentis,  qualiter  arguraentum  valet  de forma.  Prima  propositio  est  Aristotelis  in  textu  12°,  secunda  etiam  est  Aristotelis, quod  apparet  per  ipsum,  nbique  locorura  ubi  loquitur  de  ipso  intelligere,  et  in  tertio De  auima,  quod  intelligere  uon  potest  esse  sine  pbautasia,  quia  uecesse  est  intelligentem phantasmata  speculari:  boc  idem  habetis  ab  ipso  Pliiiosopbo  iu  quiuto  De  seusu  et  seu- sato,  et  iu  prinio  Posteriorum  et  in  infinitis  locis,  uee  prohibemur  quod  in  breviori propositioue  uon  acceperim  illa  duo,  sed  solum  illud  ultimum  «  anima  non  est  sine phantasia»,  quia  idem  est  ac  si  adeo  illa  accipiam,  cum  ab  una  parte  disiunctive  ad Ch.2.50verso  totum  valeat  argumentum;  quare  sequitur  qnod  auima  sit  mortalis.  Sed  dices  quod illa  absolute  est  falsa,  quia  solum  est  verum  de  ipso  intelligere  animae  nostrae  pro  hoc saeculo,  non  autem  p;o  alio  statu;  vel  secundum  Averroera,  solum  habet  veritatem illam  brevior  de  iutelligere  auimae  nostrae  secundum  quod  anima  est  natm-alis  for- ma,  non  autem  secundum  quod  se  iutelligit,  quia  in  ista  intellectione  non  indiget phantasmate.  Sic  ergo  illa  secundum  Thomara  est  vera  iu  hoc  statu,  uon  autem iu  alio  in  quo  nostrum  iutelligere  est  sine  phantasia;  secundum  vero  Averroem est  vera  secuudum  quod  uobis  est  forraa,  uon  autera  secundura  quod  se  intel- ligit,  Sed  coutra,  quum  ista  dicta  Thoraae  et  Averrois  praesuppouunt  animara  esse immortalem,  sed  hoc  est  quod  iuquiritur,  utrum,  scilicet,  sit  imraortalis  et  utrum habeat  aliquam  talem  operationem.  Sed  dices,  ut  dicitThomas,  quod  oportet  primo probare  utrum  anima  sit  imraortalis  et  abstracta  ,  deinde  probare  utrum  habeat operationem   propriam.  Sed  dico:  si  ita   est ,  quod  soraniavit   Aristoteles  in  textu  12°, quod  ista  quaestio  est  necessaria  ad  cognoscendum  abstractionem  animae  ,  simiji- ter  et  Commentator  quod  oportet  ponere  ante  oculos  nostros  utrum  anima  ha- beat  aliquam  operationera  sibi  propriam  iiecne,  si  volumus  coguoscere  abstractio- nem  animae?  Si  euim  prius  oporteret  probare  quod  anima  sit  immortalis  et  dein. hoc  habito,  quod  habemus  aliquam  talem  operatiouem  propriam,  quomodo  quaestio quaerens  de  anima  utrum  habeat  operationem  aliquam  propriam  sibi,  esset  necessaria ad  cognosceudum  quod  anima  est  abstracta,  cum  Ari.<toteles  dicat  oppositum.  ut  di- ximus?  Similiter  non  oporteret  ponere  istam  quaestionem  aute  oculos  nostros,  scilicet utrum  habeat  operationem  aliquam  sibi  propriam,  in  volendo  cognoscere  qualitatem abstractionis  animae  ad  probandum  quod  auima  intellectiva  sit  immortalis  in  teitu quinto  et  sexto  et  septimo.  Prima  ratio  quia  reeipit  omnes  formas  materiales,  et  secunda ratio  quia  intelligere  non  est  in  organo,  cum  non  intelligat  anima  cum  hic  et  nunc.  Cb.  251  recto Tertia  ratio  quia  in  hoc  est  differentia  inter  sensum  et  intellectum,  quia  sensus  post magnum  sensibile  non  comprehendit  minus  sensibile,  intellectus  autem  post  magnum sensibile,  intelligibile  appreheuJit  etiam  minus  iutelligibile:  es  quibus  concludit  (con- cluditur!)  quod  anima  nostra  est  immortalis.  In  omnibus  enim  (autem?)  istis  rationibus supponit  Aristoteles  quod  egeat  corpore  tauquam  obiecto,  ergo  in  omnibus  istis  supponit Aristoteles  quod  anima  sit  mortalis.  Vullis  videre  quod  ad  principia  Aristotelis  sequatur quod  anima  nou  possit  separari  a  corpore?  Quia  ponit  Aristoteles  in  definitione  il- lius  corpus  organicum,  ergo  vult  Aristoteles  quod  anima  intellectiva,  sicut  et  aliae animae,  sit  virtus  organica;  ergo  secundum  Aristotelem  anima  semper  est  cum  corpore, et  ita  non  potest  a  corpore  separari.  Dices  forte  quod  non  oportet  ad  sciendum  ani- mam  esse  immortalem  scire  an  habeat  aliquam  operationem  propriam  et  abstractam, sed  Toluit  Aristoteles  qund,  si  perfecle  debeamus  scire  quod  anima  sit  immortaIis,oportet scire  quod  nec  egeat  corpore  tanquam  subiecto,  et  ita  non  est  necessarium  scii-e  ista secundo  De  aniraa,  ad  sciendum  animam  esse  immortalem,  et  hoc  est  nltimum  ad quod  possunt  confugere.  sed  contra  hic  deficit  una  ratio. Item  vultis  videre  quod  secundum  Aristotelem  auima  non  sit  immortalis,  et  quod uon  habeat  aliquam  operationem  propriam  et  abstractam  a  corpore,  (advertatis)  quia tunc,  secundum  Aristotelem,  consideratio  quidditivain  genere  causae  formalis  non  staret usque  ad  animam  intcllectivam:  quia  anima  nostra  in  aliqua  operatione  per  se  non egeret  materia,  et  sic  quantuni  ad  istam  operationem  qua,  secundum  Averroem,  intelligit semper,  vel  secundum  Thomam,  pro  aiio  statu,  non  consideraretur  (a  physico)  sed  a  me- taphysico,  ex  quo  uon  eget  corpore  in  ista  operatione,  et  sic  dictum  Aiiototelis  in  seeundo (primo?  De  auima)  plus  uou  esset  verum  quia  consideralio  naturalis  stat  usque  ad  ani- mam.  Itera  ex  felicitate  ad  idem  argno,  quia  Aristoteles  mmiquam  somniavit  illam  felici- tatem  Thomae,  quia  uihil  posuit  Aristoteles  post  mortem,  sed  existimavit  Aristoteles  Ch.251verso quod  felicitas  animae  nostrae  solum  sit  in  hoc  mundo  et  in  scientiis  speculativis.  Imo ipse  Thomas,  in  libro  Contra  gentiles,  asserit  quod  de  mentc  Aristotelis  omnis  feli- citas  est  in  hoc  saeculo  et  quod  felicitas  animae  est  in  cognitione  scieutiarum  specu- lativarum.  et  maxime  in  raetaphysica,  nec  somniavit  illam  felicitatem  quam  ponit Averroes  de  copulatione  intellectus  possibilis  cum  agente;  qniia  si  videatis  omues  libros Aristotelis  ubi  loquitur  de  felicitate  et  maxime  libros  Ethicae,  ubi  ponit  felicitatem in  scientiis  speculativis,  (videbitis  quod)  felicitatem  nou  iu  alio  mundo,  quam  in  hoc Cli.  '2U'i  recto munilo,  posuit  Aiistoteles,  uec  illaiii  Thoniae,  quia  aliam  vitam  uon  crididit;  quare concludendum  est  secundum  Aristotelem  animam  esse  immortalem  (sic)  ('). Ulmm  definitio  de  anima  sit  bene  assignala. Contra  arguitur  quod  uon  sit  convenienter  assignata  sic.  Haec  dcfinitio  non  cora- petit  cuiiibet  contento  super  definito,  ergo  non  est  couvenienter  assignata,  patet consequentia:  anterior  probatnr  quia  non  competit  animae  intellectivae,  quod  patct quia  iutellectus  uullius  corporis  est  actus,  quia  sic  oporteret  intellectum  uti  organo corporeo,  quod  est  falsum  et  eontra  Aristotelem,  et  omnes  Peripateticos.  Quare. Ad  hoc  argumentum  primo  respondeo  secundum  Thomam,  secundo  secundum Commentatorem ,  tertio  secundum  nos.  Dicit  ergo  Thomas  iu  prima  parte,  inQuae- stionibus  disputatis,  et  in  multis  aliis  locis  ubi  pertractat  hanc  materiam  semper dat  hanc  responsionem,  dicendo  quod  intelleetus  noster,  quantum  est  de  ratione  sui et  ratione  potentiarum  intellectivarum,  sic  non  est  actus  corporis;  sed  ratione  poten- tiarum  sensitivarum  sic  est  actus  corpoiis.  Quando  ergo  dicitur  iutellectus  nullius corporis  est  actiis,  intelligitur  de  intellectu  ratione  potentiarum  intellectivarura.  Sed contra  hanc  ratiocinationem  arguo  sic:  quia  si  anima  intellectiva,  quatenus  intellectiva est,  non  est  actus,  ideo  quatenus  inteilectiva  est,  non  erit  anima  qiiod  est  contra  Ari- stotelem  ponentem  illam  esse  definitionem  communem  omni  animae;  imo,  secundum Thomam,  dictam  univoce  de  omnibus  animabus,  et  sic  etiam  non  esseut  quatuor  gradus animatoriim,  quod  est  contra  Aristotelem  ponentem  quatuor  gradus  animae  in  qunrum numero  ponit  animam  intellectivam.  Posset  ad  hoc  forte  dicere  Thomas,  quod  intel- lectiva  essentialiter,  et,  quautum  est  ratione  sui  intellectus,  nou  est  anima.  et,  ut  sic,  non sunt  quatuor  gradus  animatorum,  sed  tamen  est  anima,  prout  (intellectus)  est  coniuuctus sensitivae,  et  sic,ratione  sensitivae,  sunt  quatuor  gradus  animae.  Sed  miror  de  hac  ratio- cinatione,  quia  expresse  non  potest  stare  cum  eius  sententia,  quum  ipse  ponit,  quod Deus  non  posset  eam  facere  quin  essentialiter  dependeat  a  corpore,  ideo  non  videtur quod  sit  actus  corporis,  nisi  quatenus  iutellectiva  est.  Item  siimo  essentiam  animae intellectivae  in  homine:  tunc  ipsa  est  substantia,  vel  ergo  forma,  vel  materia,  vel  com- positum.  Non  compositum,  quia  sic  non  esset  pars  hominis;  nec  materia  ut  omnes  con- cedunt,  ergo  forma  et  non  nisi  corporis;  ideo  intellectiva,  quatenus  talis,  non  est  forma nisi  corporis.  Item  ipse  dicit  quod  intellectiva  est  actii  pars  essentialis  ipsius  liominis, ideo  oportet,  quod  cum  ex  ipsa  et  corporo  fecit  (fiat)  imum  per  se,  quodipsa  sit  actus  et corpns  potentia,  aliter  non  fieret  unum  per  se,  et  per  consequens  non  videtur  quod sit  alicuius  quam  corporis,  ideo  non  video  qualiter  illa  ratiocinatio  stare  possit.  Ad hoc  forte  diceretur,  quod  non  oportet  animam  iutellectivam  actii  semper  dependere  a corpore,  licet  corpus  ponatur  in  eiiis  definitione,  sed  sufficit  quoad  aptitudinem,  sicut raoveri  sursum  est  definitio  levis,  quantumcumque  leve  non  semper  moveatur  sursum, sed  sufficit  quod  raoveatur,  vcl  posset  moveri,  et  est  simile  illi  quod  dicunt  theologi de  accidente  ut  est  quantitas,  quia  quautitas  essentialiter  dependet  a  subiecto,  sive  sit Cli- 252  vcr-^o     [i,  subiecto,  sive  sit  non  in  subiecto,  ut  in  sacramento  altaris.  Istud  videtur  incredibile. (')  II  MS  ha  immorlalem  in  luogo  di  morlalem.  confusione  cviclento  del  copista  corae  risulta da  tutto  il  contesto  della  questione,  il  cui  senso  complessivo  non  puu  esser  dubbio,  non  ostante qualcbe  iiaeitczza  clie  la  tia.scrizione  dcve  avei'  fatto  subire  alla  compihiziuue  primitiva. qtiod  anima  iutollectiva  esseutialiter  et  iu  se  depeudeat  a  corpore  et  non  dependeat ab  ipso  in  suo  opere  quod  (est)  iutelligere.  Itera  Deus  et  uatura  nih  1  aguut  frustra; si  ergo  Deus  de  necessitate,  ut  teuet  Thomas,  infundat  auiraam  corpori  sic  quod  uou posset  Deus  creare  animam.  quin  iufuudat  corpori,  valde  frustratoria  esset  ista  unio auimae  ad  corpus  si  iu  quacuraque  sua  operatione  non  indigeret  corpore.  Itera  Ari- stoteles  in  Prooemio  Metaphysicorum;  omuis  bomo  natura  scire  desiderat ;  cuius  si- gnum,  [tit  ibi  dicit  Phiiosophus,  est  sensuum  delectatio,  ut  ibi  expresse  vult  quod iutelligere  animae  nostrae  ortum  habeat  a  sensu.  Ad  hoc  credo  quod  Thomas  diceret, et  est  ultiraa  ratiocinatio  qnam  possit  dare ,  quod  verura  est  quod  intellectus  eget corpore  pro  sua  operatione,  sed  non  semper,  sed  pro  statu  isto;  pro  alio  vero  non. Sed  haec  ratiocinatio  non  consouat  auribus  (sic)  Aristotelis,  quia  esset  maximum  in- conveniens  quod  Deus  inoarceraverit  ipsam  per  tam  paucum  tempus  in  corpore,  et  de- fiuiatur  quod  non  egeat  corpire  uisi  pro  statu  isto. Ad  illud  vero  quod  dicunt  tlieologi  de  aceideute,  quod  possit  esse  sine  subiecto et  tamen  seniper  dependeat  a  subiecto,  dico  qnod  accidens  existere  sine  subiecto  est merum  impossibile  apud  Aristotelem,  et  ad  illud  quod  dicunt,  quod  non  oportet  animam intellectivara  actu  semper  depeudere  a  corpore,  sed  aptitudiue:  istnd  uon  est  impossible,  quia si  sola  aptitudo  suflBceret  in  definitiouibus,  tunc  diei  primo  posset  quod  aliquid  esset homo,  et  actu  taraen  non  esset  animal  ratiooale;  sufficeret  euim  secundum  ratiocina- tionem  quod  esset  aptitudine. Quare  relinquamus  istum  modura  dicendi,  et  ponaraus  illum  Averrois  qui  sic  re- spondet.  Conveuit  Commentator  auimam  esse  iramortalcra.  sed  unicara  in  oranibus  ho- minibus,  in  qua  positione  surrexit  quaedam  nova  secta  de  novo  incipientium  philosophari dicentium,  ad  mentem  Averrois,  quod  aniraa  intellectiva,  in  iutelligendo,  semper  eget organo  non  tamquam  subieeto,  sed  ut  obiecto,  et  ita  anima  intellectiva  est  actus  cor- poris.  De  hoc  uihil  vel  parum  dixi  in  mea  quaestione,  quia  non  credebam  aliquem  Ch.  263iecto esse  ita  fatuura,  qui  lioc  diceret.  Sed  ista  ratiocinatio  est  contra  sententiara  Commen- tatoris  in  commento  duodecimo  prirai  De  anima,  ubi  dicit  quod  non  est  intelligendum, sicut  intellexit  Alexander,  quod  iutelligere  non  sit  sine  imaginatione  (').  Vult  ergo  Com- raentator  quod  anima  intellectiva  iutelligat  sine  indigentia  organi.  Itera  est  contra Commentatorem  in  commento  tertio"  huius  tertii,  qui  dicit  quod  intellectio  qua  anima intelligit  est  siue  corporeo  organo.  Quare  opinio  illa  cum  verbis  Commentatoris  stare non  potest.  Ideo  aliter  dicuut  alii  et  magis  ad  mentem  Commentatoris,  quod  anima iutellectiva  habet  duas  iutellectiones,  unara  iu  ordine  ad  nos,  scilicet  quoad  nos,  et ut  sic,  non  potest  intelligere  nisi  mediante  organo,  et  ideo,  ut  sic,  aniraa  intellectiva est  actus  corporis.  quae  opinio  mihi  videtur  extrema  fatoitas:  primo,  quia  ponere  illani ciconiam  (sic)  est  somnium,  quod  somniavit  Commentator  praeter  oranera  rationem,  quia aniraa  iutellectiva  non  esset  quidditative  considerabilis  a  phisolopho  nalurali,  sed  a raetaphysico.  Ideo  omissa  etiam  ista  opinione  Commentatoris,  remanet  tertia  ratio- cinatio  quara  solam  puto  esse  ad  mentem  Aristotelis,  licet  in  se  falsa  sit ;  et  quod  haec sit  opinio  Aristotelis  confirmant  sanctissimi  et  sapientes  viri,  Gregorius  Nazianzcnus '  El  non  iniendil  per  hoc,  hoc,  quod  apparel  ex  hoc  sennone,  superftcic  tenus,  scilicel  quod intelligere  non  sil  nisi  ciiin  imaginalione.  Vedi  .\verroe  al  Commento  12  del  De  anima,  versione  latina, Vonezia,  1562. et  Gregorius  Nyssenus,  quod  scilicet  aaima  intellectiva  sit  mortalis,  quae  opinio est  impossibilis,  quia  opposilum  monstravit  nobis  redemptor  noster  et  attestatur  raa- gnis  martyriis.  Dico  ergo  quod  intellectus,  ut  intelligens  est,  non  est  actus  corporis , quia  Deus  benedictus  in  intelligendo  et  volendo  non  eget  corpore,  quia  ipse  est  ante corpus,  et  similiter  aliae  Intelligentiae  in  intelligendo  non  egent  corpore;  sed  quia secuudum  Aristotelem  lutelligentiae  non  influunt  in  haec  inferiora,  nisi  per  corpora coelestia,  ideo  ut  sic  Intelligentiae  dicantur  animae  corporum  coelestium,  sed  lioc  est improprie,  et  non  vere.  Cuius  triplex  ratio  potest  assignari,  quod  scilicet  Intelligeu- Ch.  253verso  tiae  uon  sint  vere,  nec  proprie  dici  possint  animae  corporum  coelestium.  Prima  ratio, quia  Intelligentiae  sunt  vere  et  complete  existentes,  absque  aliqua  indigentia  corporis coelestis,  cuiusmodi  non  sunt  verae  auimae,  ideo.  Secunda  ratio  est  quia  Intelligentiae niliil  recipiunt  a  corporibus  coelestibus,  imo  dant  aliquid  ipsis,  verum  autem  animae aliquid  recipiunt  a  corporibus.  Ideo. Tertia  ratio  est  quia  lutelligentiae  creant  effective,  etsi  non  productive,  tamen conservalive  corpora  coelestia,  sed  verae  animae  non  effective,  sed  formaliter  creant sua  corpora.  Quare  Intelligentiae  non  sunt  vere  et  proprie  animae  appellandae,  ideo istis  non  proprie  competit  definitio,  sed  aliquo  modo. De  intellectiva  autem  dico  quod,  secundum  Aristotelem,  essentialiter  et  in  essendo et  in  intelligendo  depeudet  a  corpore,  neque  potest  esse  sine  corpore,  neque  intelli- gere  sine  organo  corporeo;  quod  enim  post  mortem  iutelligamus  non  est  ratio,  sed in  hoc  mundo  quod  intelligamus  per  organum  corporeum  tanquam  per  obiectum  est rdtio,  quia  videmus  quod  dormientes  uon  iutelligunt.  Item  quia  iutelligimus  quodcum- que  velimus;  semper  enim  se  affert  nobis  aliquid  obiectum  corporeum,  et  ita  sive  in- telligamus  materialia,  sive  immaterialia,  semper,  in  intelligere  intellectus  nostri,  apparet organum  ut  obiectum  intellectus;  ergo,  quatenus  iutollectus,  non  iudiget  corpore,  quia non  omnis  intellectus  indiget  corpore,  quia  intellectus  quales  sunt  Deus  et  Intelii- gentiae  nullo  egent  corpore  in  suo  intelligere,  non  ut  subiecto,  sed  ut  obiecto;  et  ita anima  nostra  intellectiva  est  media  inter  abstracta  et  bruta,  quia  animae  abstractorum nuUo  modo  egent  corpore  neque  ut  obiecto,  neque  ut  subiecto;  animae  autem  bruto- rum  omniuo  egent  corpore ,  tanquam  obiecto  et  subiecto,  quia  coguoscuut  cum  liic et  nunc ;  anima  autem  nostra  secundum  quod  est  intellectiva  realis  (utitur)  in  intel-Ch.  2.54  recto  ligeudo  organo  corporeo  ,  nec  ex  toto  absolvitur  ab  organo  corporeo  ,  uec  enim  ex toto  et  omni  modo  iu  intelligendo  eget  organo  corporeo,  quia  nou  eget  eo  ut  subie- cto,  cum  intellectio  non  fiat  cum  hic  et  nunc,  sicut  vegetatio  et  sensatio,  quae  sunt operationes  eiusdem  animae;  hic  autem  et  nunc  est  conditio  materiae;  anima  autem uutritiva  secundum  quod  realiter  eadem  est  cum  vegetativa  et  sensitiva,  et  sic  in  suis operationibus,  quae  sunt  pertinentes  ad  vegetationem  et  sensationem,  indiget  corpore ut  subiecto,  quia  omnes  tales  operatioues  fiunt  cum  conditionibus  materiae,  quae  sunt hic  et  nunc;  ideo  iu  talibus  operationibus  anima  intellectiva,  quatenus  sensitiva  aut vegetativa,  indiget  corpore  ut  subiecto;  modo  cum  operatio  eiusdem  animae  intelle- ctivae,  quatenus  intellectiva  est,  quae  est  intelligere,  fiat  sine  conditionibus  materiae, quae  sunt  hic  et  nunc:  ideo  in  ista  sua  operatioue  non  eget  corpore  ut  subiecto,  sed bene  ut  obiecto,  quia  quidquid  intelligatur  ab  anima  nostra  intelligitur  per  aliquid corporeum;  ideo  media  est  inter  animas  coelestium  et  brutorum. Quomo^o  potentiae  anirnae  fluant  ab  anima. Circa  quaestionem  illam:  quomodo  potentiae  fluant  ab  ipsa  anima.  nota  quod ista  quaestio  est  perfectior  quam  illa  sit  quae  est  in  Expositione  magna.  Est  igitur videndum  ex  quo  modo  potentiae  fluant  b  subiecto;  utrum  quodam  ordine  germinent ab  auima  vel  inordinate,  quod  est  quaerere  utrum  poteutiae  animae  servent  determina- tum  ordinem  sic  quod  una  sit  prior  et  altera  posterior,  vel  inordinate  fluant  ab  anima  sic quod  il!a  potentia'.  quae  nnnc  est  prior,  aliquando  erit  posterior,  et  sic  de  aliis  animao potentiis.  Ubi  dicatis  quod  non  inordinate  procedimt  istae  potentiae  ab  ipsa  anima,  imo servant  ordinem  certiim  ac  determinatum,  quia  natura  in  operationibus  ordinate  pro- cedit;  si  ergo  inordinate  fluerent  istae  potentiae  ab  anima,  non  fluerent  ab  anima  se- cundum  opus  naturae;  tum  qnia  istae  potentiae  differunt  ad  invioem  specie,  ergo  ha- bent  ordinem  essentialem  ad  se  invicem.  Sciatis  ergo  quod  cum  tripliees  sint  animae  Ch.254verso in  genere,  scilicet  vegetativa,  sensitiva  et  intellectiva,  quae  talem  ordinem  ad  se  in- vicem  servant,  quia  vegetativa,  via  originis,  prior  est  sensitiva  et  intellectiva  ,  ita potentiae  animae  vegetativae,  via  originis,  sunt  priores  potentiis  animae  sensitivae et  intellectivae.  Similiter  quia,  via  originis,  auima  sensitiva  est  prior  intellectiva , ita  poteutiae  sensitivae,  via  origiuis,  simt  priores  potentiis  intellectivae.  8i  er- go  sit  Sorates  generandus,  quaudo  generatnr,  prius  prodncuntur  potentiae  animae vegetativae ,  postea  sensitivae ,  demum  intellectivae.  Cuius  ordinis  signum  est quia  una  potentia  alteri  ministrat ;  vegetativa  enim  ministrat  sensitivae ,  quod  (obii- citur?)  nam  si  quis  vestrura  ieiunet,  ita  debiiitabitur  ut  non  erit  (sic)  quasi  in  se,  nec quasi  poterit  videre.  Hoc  non  est  es  alio,  nisi  quod  anima  vegetativa  non  ministravit sensitivae,  sicuti  solet:  nec  loquor  de  istis  bouis  patribus,  quia  in  illis  hoc  ex  ieiunio nou  evenit;  similiter  sensitiva  ministrat  intellectivae,  quia  ministerio  sensus  accipiuntur species  intelligibiles  in  intellectu.  Cum  ergo  anima  vegetativa  ministret  scnsitivae  et sensitiva  intellectivae,  ideo  anima  vegetativa,  via  originis,  prior  est  sensitiva,  et  sen- sitiva  intellectiva.  Loquendo  vera  de  ordiue  perfectionis  est  modo  contrarium ,  quia intellectiva  est  prior  sensitiva.  et  seusitiva  vegetativa.  Talis  etiam  ordo  intelligatur de  suis  potentiis:  quia  hucusque  locJiti-  sumus  de  potentiis  animae  in  generali,  nunc modo  de  potentiis  animae  in  speciali  quaerendum  est,  ulrum  potentiae  animae,  puta vegitativae,  ordinate  fluant  ab  anima  aut  iuordinate.  Ad  hoc  dico,  quod  potentiae  cuius- cumque  animae  ordinate  fluunt  ab  anima,  ut  si  loquamur  de  potentiis  vegetativae, dico  quod  tales  potentiae  servant  ordinem  certum  inter  se.  Unde  si  loquamur  de  or- dine,  secundum  viam  originis,  potentia  vegetativa  est  prior,  quam  augmentativa  et augmentativa  prior  quam  generativa;  prius  enim  Socrates  genitus  verbigratia  nutritur, quam  augeatur:  nutritiva  enim  administrat  augmentativae.  Si  enim  Socrates  debet  augeri, opoxtet  ut  nutriatur,  si  tamen  potentia  augmentativa  prior  est,  via  originis,  quam  sit  Ch.  255rccto potentia  generativa,  quia  augmentativa  administrat  generativae;  non  enim  in  quacnm- que  aetate  potest  Socrates  generare,  sed  cum  per  virtutem  augmentativam  perveuit  ad aetatem  idoneam  (ad)  generare.  Sed,  via  perfectionis,  generativa  prior  est  quam  augmen- tativa,  et  augmentativa  qnam  nutritiva.  Idem  ordo  est  in  potentiis  sensitivis.  Via  euim originis,  sensus  exteriores  priores  sunt  sensibus  interioribas  et  illis  ministrant,  nam seusus  interior  non  potest  discurrere,  nisi  praecesserit  operatio  alicuius  sensus  exterioris. Via  vero  perfectionis,  seiisus  interior  prior  est  exteriori.  Idem  aecidit  de  poteutiis intellectiis,  qiiae  simt  duao,  scilicet  intelligere  et  velle.  Via  enim  originis,  intelligere prius  est  qiiam  velle,  et  illi  ministrat,  nam  uon  possumus  aliquid  velle,  nisi  iutel- ligamus  illud.  Via  vero  perfectionis,  est  iu  contrarium.  Visum  est  ergo  quod,  et  in  gene- rali,  loquendo  de  potentiis  unius  animae  ad  potentias  alterius  animae,  et  etiani  loquendo de  ipsis  animae  potentiis  iii  speciali,  scilicet  comparando  ad  invicem  potentias  eiusdem animae,  semper  potentiae  auimae  servaut  certura  etdeterminatum  ordiuem.  Oriturmodo dubitatio  de  sensibiis  exterioribus  ,  utrum  sensus  exteriores  ordinate  proveuiant  ab eadem  anima  aut  inordinate.  Haec  quaestio  est  valde  difficilis,  et  causa  et  ratio  dif- cultatis  est  quia,  cum  nullus  quinque  sensuum  exteriorum  ministrat  alteri,  videtur quod  nullus  sit  altero  prior,  et  sic  non  videtur  quod  habeant  aliquem  ordinem  ad  se invicera,  nec  videtur  quod  inordinate  proveniaut  ab  eadem  anima,  cura  sint  specie  dif- ferentes;  modo  ab  eadem  causa  non  possunt  effective  (poteutiae)  differentes  specie aeque  primo  proveuire.  Quare. Et  hauc  dubitationem  tetigit  Thomas  in  prima  parte.  Ad  quam  dixit  quod  non est  aliquis  ordo  inter  istas  potentias,  sed  bene  servatur  ordo  iuter  eorum  obiecta. Unde,  via  originis,  obiectum  tactus  prius  est  quam  obiectum  gustus;  nara  taugibile Ch.255veiso  est  prius,  natura,  gustabili  et  obiectum  gustus  est  prius,  natura,  quara  sit  obiectum olfactus,  et  obiectum  olfactus  est  prius  obiecto  auditus,  et  obiectum  auditus  est prius,  quam  obiectum  visus,  sed  in  hoc  mihi  non  sitisfacit  Thoraas,  quia  necesse  est inter  istos  particulares  ^sensus  et  exteriores  ponere  ordinem  perfectionis  et  origiuis, cxmi  uon  possiut,  via  originis,  simul  ab  eadem  anima  provenire,  ut  dictum  est,  ne- que  sunt  aequalis  perfectionis  secuudura  Aristotelem.  Ideo  cvedo  aliter  esse  dicen- dura  in  hac  materia,  quara  dixerit  Thoraas.  Dico  igitur  quod  in  sensibus  exteriori- bus  est  ponendus  ordo  perfectiouis,  et  similiter  ordo  originis.  De  ordine  perfectiouis non  dubitandura  secundmu  Aristotelem:  visus  enim  est  perfectior  quam  alii  sen- suum  exteriores,  et  ita  vult  Aristoteles  quod  uuus  sit  altero  perfectior  et  ita  sit ordo  perfectiouis  ipsis  seusibus  exterioribus;  etiara  inter  istos  sensus  exteriores  servatur ordo  secundura  origiuera;  ubi  do  vobis  regulam  cognoscendi  quis  sensus  sit  prior,  via originis,  et  quis  posterior.  Ubi  advertatis,  quod  semper  seusus  exteriov  est  priov,  via oviginis,  qui  est  imperfectior,  et  ille  est  posteriov  qui  est  perfec^tior;  quia  evgo  visus est  pevfectiov  oranibus  aliis,  ideo  via  oviginis  est  posteiiov  oranibus  aliis.  Visus  enira pvaesupponit  omnes  alios  seusus  exteriores,  nara  in  quocumque  est  visus,  simt  alii quatuor  sensus,  et  ila  gradatira  procedendo  semjer  perfectiov  est  posterior,  via  ori- ginis,  iraperfectiori,  et  ipsum  praesupponit.  E  contra  vero,  sensus  imperfectior  prior  est, via  originis,  perfectiori ,  neque  imperfectior  praesuppouit  perfectionera ;  et  ita  tactus, qui  est  iraperfectior  omnibus  rliis  sensibus  exterioribus,  prior  est  illis,  via  originis,  nec quemquarn  illorum  praesupponit  Non  puto  tamen  quod  inter  hos  exteriores  sensiis sit  tanta  conuexio  sicut  in  aliis  potentiis  auimae,  quia  in  aliis  animae  poteutiis  sem- per  una  est  ministrans  et  altera  rainistrata;  nec  sic  autera  est  de  sensibus  exterio- Ch.  25Crecto  ribus,  quia  nuuc  non  est  (unus)  ministvans  et  altev  raiuistvatus,  sed  bene  in  extevioribus sensibus  unus  praesuppouit  alterum  via  originis.  Sed  contra  hauc  nostvam  senten- tiam  avguituv  quia,  si  ita  esset  ut  diximus,  omne  habens  visura  habevet  auditura. Consequentia  patet,  quia,  secuudum  nos,  visus,  via  originis,  praesupponit  omnes   alios qiiatuor  sensus  cxteriores,  secl  couscquens  est  felsum,  quia  dixit  Aristoteles  in  Prooemio primi  Metapbysicorum  quod  apes  nou  habeut  auditum  et  tamen  habent  visum.  Nam, ut  experentia  constat,  apes  habent  oculos  et  vident:  nam  dixit  Virgilius  in  Georgicis de  apibus  quod  iucedunt  per  viginti  millia  ad  colligenda  mella,  et  etiam  videmus  nos quod  omnes  ingrediuntur  in  alvearium  per  tam  parum  foramen,  quod  non  esset  si  apes non  haberent  visum.  Item  dictum  fuit  mihi  quod  duo  simt  genera  colubrorum,  unum quod  non  videt,  sed  audit,  aliud  genus  quod  non  audit,  sed  videt.  Unde  dicitiir  quod coluber  ille  qui  non  videt  posset  videre ,  et  qui  nou  audit  posset  audire.  Homines  nou possent  in  terris  vitam  degere  propter  maliguitatem  talium  serpeutium;  propter  hoc dicitur  quod  natura  uni  negavit  auditum,  alteri  visum;  ergo  in  aliquo  animali  repe- ritur  visus  ubi  noa  reperitur  auditus,  et  est  contra  uostram  opinionem. Stando  ergo  in  nostra  opinioue  quod  inter  sensus  exteriores  sit  ordo  originis,  ut diximus,  scilicet  quod  sensiis  imperfectior  est  prior,  via  originis,  perfectiori:  ad  pri- mum  argumentum  possemus  primo  dieere  quod  Aristoteles  in  Prooemio  Metaphysicornm tuerit  illius  opiniouis,  quod  apes  non  audiant,  sed  in  nono  De  historiis  animalium  fuit alterius  opiniouis.  quia  ibi  dixit  quod  multum  delectantur  apes  sonis,  quia  rustici cum  volunt  adi'ocare  exaraeu  apum  dispersum,  souant  iustrumenta  rusticana ,  ad quem  sonum  cuvruut  apes,  quae  cum  sic  adunatae  fueriut,  rustici  apponunt  aliquem alvearium  in  quo  intrant  apes  quae  erant  dispersae.  Possemus  aliter  dicere  quod  illud prooemium  non  est  Aristotelis,  ut  commimiter  creditur;  fertur  enira  communiter  quod  Ch. 256ver3o illud  prooemium  fuerit  Theoidirasti;  et  dicatis  quod,  concesso  quod  illud  prooemium sit  Aristotelis,  non  tamen  assertive  dicit  Philosophus  quod  apes  non  audiaut,  sed  lo- quitur  cum  hac  particula  et  dictione  «  forte  »  et  ita  in  illo  prooemio  fuit  dubiiis  an  apes babeant  auditum  an  non,  sed  in  nono  De  bistoriis  animalium,  determinando  de  apibus, dixit  assertive  quod  apes  hal)eant  auditum,  et  dat  experientiam  dictam  quod  apes multum  laetantur  sono,  quare  nostra  opinio  est  multum  cousona  cum  mente  Aristotelis. Ad  aliud  de  colubro  quod  habet  auditum  et  non  visum,  credo  quod  illud  mihi  dictum  sit una  fanfalucata  (sic)  et  impossibile.  Dedimus  in  hesterna  lectione  nonnuUas  ratiocina- tiones  ad  argumentnm  quod  probat  contra  nos  de  apibus.  Ultra  illas  ratiocinationes possot  dari  una  alia  ratiocinatio,  quae  est  quod  verum  est  quod  omne  habens  visum habet  auditum;  sed  non  oportet,  si  aliquid  animal  habeat  visum  perfectum,  quod  tale animal  habeat  auditum  perfectum,  et  sic  de  aliis  sensibus  dicatur.  Dico  ergo  iu  pro- posito  quod  apes  et  habent  visum  et  auditura,  sed  visum  habent  valde  perfectum, auditum  vero  valde  debilem,  et  ita  debilem  ut  nou  audiant  sonum  nisi  sint  prope ipsum;  nec  inc^^nvenit  quod  apes  habeant  auditum  et  non  perfecte  audiant,  nee  quod in  eis  frustre^^ur  perfecta  auditio.  quia  non  inconveuit  secundum  Aristotelem  ,  quod aliqua  pote^/cia  frustretur  in  individuo,  sed  bene  inconveniret  quod  in  toto  genere  ani- malium  irustraretur  visio  sine  auditione;  videmus  enim  quod  in  mulo  et  mula  sunt omuia  organa  servientia  generationi,  et  vulva  in  mula  et  virga  satis  magna  in  mulo et  tamen  non  possunt  generare.  Ecce  quod  in  Iiis  frustratur  potentia  ad  generationera, nec  hoc  inconvenit,  nec  dedit  natura  mulo  virgam  tam  magnam  nec  mulae  vulvam ut  ex  mulo  et  mula  proveniat  generatio,  sed  hoc  fecit  natura  ad  ornamentura  talium aniraalium;  sed  bene  esset  inoonveniens  quod  in  quolibet  animali  frustraretur  potentia  Ch.  257recto ad  generatiouem;  sic  iu  proposito  dico   de  apibus  quod  apos  habeut  orgauum  auditus, Ch.  257  verso et  aiidiunt  sonos,  sed  valde  debiliter  audiunt,  et  non  uisi  es  loco  propinquo,  et  ex suo  debili  auditu  dicebat  Pliilosophus  in  prooemio  Metaphysicorum  duljitative,  quod forte  apes  non  habent  auditum,  verum  in  iiono  De  historiis  animalium  fuit  certificatus Aristoteles  quod  habeaut  auditum  et  quod  audiaut,  licet  valde  imperfecte.  Quare. Utrum  species^  sensibilis  et  sensatio  sint  idem  realiter. Circa  quaestionem  illam:  utrum  species  sensibilis  et  sensatio  sint  idem  realiter, praeceptor  meus  tetigit  unam  novam  opinionem  quae  est  unius  excellentissimi  doctoris. Iste  enim  vir  doctissimus,  volens  salvare  doctores  antiquos,  dicit  quod  ad  visionem  crean- dam,  albedo  producit  speeiera  sui  in  sensu,  et  tunc  ab  ista  specie  et  ab  anima  effective producitur  sensatio.  Unde  dicit  quod  species,  ut  species,  producitur  effective  a  sensibili: ut  autem  ista  species  est  cognitio,  producitur  ab  auima,  et  sic  obiectum  concuriit  mere etfective  ad  sensationem,  anima  vero  active  producendo  cognitionem,  et  passive  reci- piendo  speciem,  et  sic  salvat  iste  vir  quod  sensibilia  reducant  animam  de  potentia  ad actum,  scilicet  mediate.  Salvat  etiam  quod  sensatio  sit  operatio  animae,  quia  non  solum passive  concurrit  auiraa  ad  sensationem,  sed  etiam  effeetive  cum  ipso  simulacro;  et  sicut dicit  de  sensatioue,  quod  species  dependet  eliective  ab  obiecto,  sed  ut  cognitio  ab  anima, ita  dicit  esse  de  voluntate.  Sed  ista  opinio  in  multis  est  defectuosa,  primo  quia  ista opinio  contradicit  doctori  suo  Thomae,  qui  dicit  in  e.xpositione  textus  commenti  cen- tesimi  quadragesimi  huius  secundi,  ubi  digreditur  disputando  de  sensu  communi  au sit  perfectior  sensibus  exterioribus  proprii-;,  expresse  dicit  quod  licet  sensus  exterior agat  in  sensum  communem  producendo  in  illo  speciem  sensibilem  quae  est  in  eo,  ut oculus  speciem  albedinis,  unusquisque  tamen  sensus  particularis  et  proprius  passive et  recipiendo  concurrit  ad  sensationem  propriam.  Esto  enim  quod  concurrant  sensus proprii  effective  ad  creandam  sensationem  alienam  ut  sensus  communis,  non  tollitur tamen  propter  hoc ,  ut  recte  dicit  Thomas,  quod  sicut  seusus  communis  solum  pa- tiendo  concurrit  ad  propriam  sensationem,  ita  sensus  exteriores  soli  passive  ad  suas proprias  sensationes  concurrant.  Ubi  expresse  fatetur  Thomas  quod  quilibet  pure  pas- sive  et  nullo  modo  active  concurrit  ad  proprias  sensationes.  Dico,  secundo,  quod  illa opinio  contra  Thomam  est  etiam  iu  se  falsa,  ponendo  quod  ad  cognitionem  creandam, et  simulacnim  et  anima  sensitiva  concurrant  effective,  quum  si  duo  ageutia  simul effective  concurrant  ad  productionem  alicuius  effectus,  hoc  potest  coutingere  tribus

modis:  primo,  quod  ambo  agentia  sint  eiusdem  rationis,  quorum  utrumque  sit  insufficiens  et  impotens  ex  se  producere  talem  affectum,  sed  ambo  eura  possiut  simul producere;  secundo  modo  accidit  quod  duo  agentia  simnl  concurrant,  quorum  utrumque  est  alterius rationis  ab  altero,  et  unum  dispouit,  alterum  vero  inducit;  tertio  modo accidit  quod  duo  agentia  concu'Tant,  unum  ut  instrumentum,  alternm  vero  ut  principale,  nec  aliquo  alio  modo  possunt  aliqua  duo  concurrere  ad  eumdem  effectum.  Primo modo  concurrant  duo  agentia  ad  eundem  effectum  sicut  Socrates  et  Plato  concurrunt  ad traheudam  navim;  nam  si  Socrates  sit  solnm  poterit  movere  ut  duo,  similiter  et  Plato, navis  autem  resistere  ut  tria,  verbigratia,  nec  Socrates  de  se  nec  Plato  de  se  erit  potens trahere  navim,  sed  ambo  simul  bene  essent  potentes  trahere  navim,  et  Socrates  et Plato  suut  einsdem  rationis  in  potentia  motiva;  isto  modo  prirao,  non  potest  haec opinio  dicere  quod  sensus  et  sonsibile  concurrant   ad  sensationem  creandam:  primo quia  sensus  et  sensibile  suut  diversarum  ratiouum.   tum  quia  si  in  iufinitum  augeretur  potentia  sensitiva,  similiter  et  ipsi  sensus  poterunt  de  se  sine  altero  producere sensationes.  Quare. Secundo  modo,  accidit  quod  duo  agentia  simul  concurrant  ad  eumdem  effectuai, quorum  unum  subordinatum  alteri,  et  est  ut  agens  instrumentale,  agens  in  virtute  alterius;  alterum  vero  agens  est  principale.  Hoc  accidit  in  scissione  lignorum  de  scindente et  securi.  Nam  Socrates,  verbigratia,  scissor  lignorum  concurrit,  ut  agens  principale,  ad istam  actionem  quae  est  scissio,  securis  vero  conciirrit  ad  eamdem  actionem,  ut  agens instrumentale,  quod  agit  in  virtute  priucipalis  agentis.  Isto  etiam  modo  concurrit  sol et  homo  ad  productionem  homiuum,  quia  sol  ut  principale  agens  concurrit,  homo vero  ut  instrumeutale  et  in  virtute  solis.  Isto  etiam  modo  non  potest  dicere  haec opinio  quod  sensus  et  sensibile  concurrant  effecti\e  ad  sensationem,  ponendo  scilicet  quod  unum  horum  duorum  agentium  effective  concurrat  ut  agens  priucipale,  et alterum  ut  instrumentale,  quum,  si  sic,  aut  sensus  concurreret  effective,  ut  agens  principale,  et  sensibile  ut  instrumentale  motum  a  seusu  et  agens  in  virtute  eius;  et  est maxima  fatuitas,  quia  fatuum  est  dicere  quod  coelum  aut  pars  coeli,  ut  polus  arcticus, qui  a  nobis  ita  longe  abest,  concurrat  ad  visiouem  motum  (sic)  a  viiiute  mea  visiva,  et in  vii-tute  oculi  mei;  aut  erit  e  coutra,  scilicet  sensibile  concurret  ut  principale,  sensus vero  ut  instrumeutum:  et  hoc  modo  nou  potest  dicere,  qaia  tenet  iste  quod  sensus  principalius  concurrat  ad  sensatiouem  quara  ipsum  sensil)ile.  Item  si  ita  esset,  cognitio esset  prior  simulacro,  quia  actio  potentiae  sensitivae  immediatius  concurreret  ad  sensationem  quam  actio  ipsius  sensibilis,  sed  actio  sensus  non  est  aliud  quam  cognitio, actio  vero  obiecti  est  simulacrum.  Quare. Tertio  modo  contingit  ut  duo  agentia  effective  coucurraut  ad  producendum  aliquem  effectum,  unum  disponendo  materiam  pro  actione  alterius,  alterum  vero  inducendo  formam  in  materia  disposita  sibi  oblata.  Sicut  si  habeat  fabrefieri  navis,  in  ista factioue  uavis,  concurrit  agens  seu  artifex,  qui  liabet  secare  ligua,  ex  quibus  habet navis  constitui;  quae  cum  fuerint  secta,  alius  artifex,  machinator  et  aedificator  navium  Ch.  ^oSverso compaginat  et  format  navim.  Istae  autem  duae  actiones  sic  se  habent  quod  prima, tempore,  praecedit  secundam;  nara  sector  liguorum,  prius,  tempore,  secat  ligna  quam architectus  inducat  in  illis  formara  navis;  sed  uec  hoc  modo  potest  ista  opinio  imaginari  quod  sensus  et  sensibile  eftective  concurrant  ad  sensationem  produceudam,  quum operationes  talium  agentium,  sic  effective  concurrentium  ad  eumdem  effectum,  sunt  operationes  diversae,  et  diversorum  agentium,  et  sic  operatio  sensibilis  esset  (Uversa  ab operatioue  sensus;  non  ergo  concurrerent  siraul  seusus  et  seusibile  ad  sensationera,  cura sensatio  sit  sola  una  operatio,  sciiicet  ipsa  cognitio;  taraeu  quasi  sic  concurrerent  sensus et  sensibile.  Tunc  sensibile  concurreret  dispositive  ad  sensationera,  et  sic  convei"teretur ista  opinio  cura  prima  opinione,  quia  tenuit  piima  opinio  quod  species  sensibilis disponat  auiraam  sensitivam  ut  reducat  se  de  potentia  ad  actum.  Item  multoties est  imaginatio  in  oeulo,  et  tamen  uon  est  visio,  scilicet  cum  non  e,st  intentio  ad illiid,  sed  ad  aliquid  aliud;  cum  vero  advertis,  subito  fit  coguitio  et  sensatio.  Aut ergo  aliquid  est  genitura  de  novo  iu  iraagine,  vel  intentio  ipsius  siraulacri,  vel  aliquid  aliud.  Non  intentionem  imaginis,  nec  aliquid  aliud  geuerat  sensus  in  simulacro; quomodo  ergo  concurrit  effective  sensus  ad  sensationem,  cum  recepto  simulacro,  uihil in  eo  generet?  Dico  e  contrario  quod  ista  opinio  habet  eadem  argumenta  contra  se quae  et  priraa  opinio;  nam  cum  ista  attribuat  actionem  sensni,  non  recte  dixisset Aristoteles  quod  sensatio  fit  ab  ipso  sensibili,  qnia  sensibile  solumraodo  dispositive  concurrit,  sensus  autem  est  principale  eiHciens;  et  ita  tamen  saepe  errasset  Aristoteles  in  attribuendo  operationes  efficientl  disponenti ,  quae  debebant  attribui  efficienti  priucipali.  Quare  non  evasit  iste  vir  ab  argumentis  quae  fiunt  contra  comuninem  opinioiiera.  Alias  autem  duas  opiniones  circa  hanc  materiam  videas  in  expositione magua  et  in  quaestione  propria :  numquid  species  sensibilis  et-sensatio  sint  idem  realiter. 1 DEO AUSPICE, ET  VALETUDINE  BONA COMITE FINIS IMPONITUR QUAESTIONIBUS    TOTIUS ANIMASTICI NEGOCII MAXIMI ILLIUS PHILOSOPHI PETRI POMPONATII MANTUANI DUM AN.XX PUBLICE PHILOSOPHIAM PROFITERETUR  BONONIAE Petrus Pomponatius. Pomponatius. Pietro Pomponazzi. Pomponazzi. Keywords: peripatetismo veneto. Pomponazzi. Keywords: paripatetismo veneto, lizio, corpore, materialismo, animo-anima, Aquino, Nifo -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Shropshire and Pomponazzi on the immortality of the soul," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Pomponio: la ragione conversazionale e l’orto romano –  Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A statesman and author. Sometimes misspelled “Pompedio.” The historian Josephus said he was a senator that followed the Garden. Publio Pomponio Secondo.

 

Grice e Pontara: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale, o se il fine giustifichi i mezzi – filosofia italiana -- (Cles). Filosofo italiano. Grice: “I like Pontara: he wrote a whole essay on Kant’s problem about the reduction of the categorical to the the prudential imperative, “Se il fine giustifica i mezzi.” Uno dei massimi studiosi della nonviolenza. Fortemente dubbioso dell’eticità del servizio militare. Insegna a Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, e Trento.  Uno dei fondatori di “Per la Pace”. Studia etica pratica e teorica, meta-etica e filosofia politica. “Se il fine giustifichi i mezzi” (Mulino, Bologna). Studia non-violenza, Pace, Utilitarismo, in Dizionario di politica (Pomba, Torino); Neo-contrattualismo, socialismo e giustizia,  Democrazia e contrattualismo (Riuniti, Roma); Filosofia pratica (Saggiatore, Milano); Antigone o Creonte. Etica e politica (Riuniti, Roma); “Etica e generazioni future” (Laterza, Bari); La personalità non-violenta” (Abele, Torino); “Guerre, disobbedienza civile, non-violenza” (Abele, Torino); “Breviario per un'etica quotidiana” (Pratiche, Milano); “Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, Teoria e pratica della non-violenza” (Einaudi, Torino). G. Pontara. Pontara. Keywords: Grice on the mythic status of the contract in ‘Meaning Revisited’, Grice against the quasi-contractualist, se il fine giustifichi i mezzi, contrattualismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pontara” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Ponte: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale maschile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lodi). Flosofo italiano. Studia a Genova. Insegna a Pontremoli. D'impostazione tradizionalista, dopo gli studi classici vive a Pontremoli. Storico delle idee e del diritto romano arcaico, studioso di simbolismo, fonda la rivista di ispirazione evoliana “Arthos” -- cultura tradizionale, testimonianza tradizionale, a cura di “Arya”  di Genova. Cura il “Tractatus de potestate summi pontifices”; La Cronologia vedica in appendice a La dimora artica dei Veda. Tra i fondatori del movimento tradizionale romano. Collabora attivamente con “Arya”, ispirate dall'O. I. C. L. Altre saggi: “Dei italici”; “Miti italici,” “Archetipi e forme della sacralità romano-italica” (Genova, Ecig); “Il movimento tradizionalista romano” (Scandiano, Sear); “La religione dei romani” (Milano, Rusconi); “Il magico Ur” (Borzano, Sear); “I liguri: etno-genesi di un popolo” (Ecig, Genova); “La città degli dei”; “La tradizione di Roma e la sua continuità” (Ecig, Genova); "Favete Linguis!" Saggi sulle fondamenta del Sacro in Roma antica” (Arya, Genova); "Ambrosiae pocula" (Tridente, Treviso); "Nella terra del drago" note insolite di viaggio nel Regno del Bhutan (Tridente, La Spezia); “Il mondo alla rovescia” (Arya, Genova); “In difesa della tradizione” (Arya, Genova); “Le sacre radici del potere” (Arya, Genova); “La massoneria volgare speculativa” (Arya, Genova); “Lettere ad un amico” (Arya, Genova); “Hic manebimus optime” (Arya, Genova); “Etica aria” (Arya, Genova); “Aspetti del lessico pontificale: gli indigitamenta”; “ “I LARI nel sistema spazio-temporale romano”;  “Santità delle mura e sanzione divina,”; “Gl’arii”; “Via romana agli Dei”;  Centro studi La Runa.  RENATO DEL PONTE   IL MOVIMENTO  TRADIZIONALISTA ROMANO  NEL NOVECENTO    Studio storico preliminare     SeaR Edizioni  1987      RENATO DEL PONTE    IL MOVIMENTO TRADIZIONALISTA  ROMANO NEL NOVECENTO   Studio storico preliminare    Seconda edizione riveduta    SeaR Edizioni  1987           PREMESSA    Quanto segue è, nella sostanza, il contenuto di una  conferenza tenuta a Palermo presso ristituto Platone  il 31 maggio 1986 e successivamente, verso la fine di  queiranno, riprodotto in un numero limitato di co¬  pie, con aggiunte note critiche e documentarie, per le  «Dispense di Arx» di Messina, edite da Salvatore  Ruta.   Oggi il testo viene ripresentato con maggiore digni¬  tà tipografica e tiratura, onde favorirne la diffusione,  con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova col¬  lana della Sear di Scandiano.   Poiché è certamente la prima volta che con una  certa organicità viene affrontato questo argomento, il  presente scritto può a ben diritto definirsi una novità.   Tuttavia, dal momento che il nostro testo viene  presentato come uno «studio storico preliminare», il  lettore potrà dedurne che: a) i dati storici, biografici  e letterari, le notizie contenute ed ogni altra informa¬  zione non sono frutto di fantasia o di illazioni avven¬  tate, ma desumibili nella loro grande maggioranza da  fonti documentarie (come dimostrato dai miei stessi  riferimenti); b) Tinsieme costituisce, d'altra parte,  qualcosa di non definitivo, in quanto suscettibile di  essere ampliato ed ulteriormente specificato da suc¬  cessive indagini e approfondimenti di maggior  respiro.   Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a  molte notizie documentarie non sarei pervenuto se  non avessi tenuto conto, nel corso di più anni, di in-    11        dicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi  per via amichevole o riservata. Quanto qui esposto,  tuttavia, non fa parte di alcun segreto esclusivo —  come vorrebbero alcuni — bensì del patrimonio sto¬  rico della nazione italica e come tale lo offriamo alla  meditazione di quei lettori che vorranno o sapranno  trovarvi spunto di interesse interiore, nonché agli sto¬  rici «laici», perché almeno in questa occasione si ren¬  dano conto del tipo di dimensione occulta che corre  parallela e interferisce nelle vicende della storia: nella  fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora igno¬  rata, delle correnti esoteriche che tentarono di dare al  fascismo queiranima priva di compromessi che non  fu capace di far sua.   Renato del Ponte    Entrando il Sole nei Gemelli  — anno MMDCCXL a.U.c. —    12    Nella prefazione da lui posta ad un recente lavoro  dedicato soprattutto alla cosiddetta «Nuova De¬  stra», il noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve  senza dubbio riconoscere una notevole apertura  mentale e un’intelligente operazione culturale volta  alla riscoperta di alcune tematiche proprie della de¬  stra tradizionale, ha potuto osservare come alla  «Nuova Destra» sia mancata «precisamente una ri¬  lettura della componente “magica” ed “esoterica”  della cultura di destra». La «Nuova Destra» si trove¬  rebbe anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano pro¬  priamente politico forse anche perché ha trascurato  l’analisi di fenomeni ai quali si dimostrava sensibi¬  le (...) la destra tradizionalista “esoterica’^): tale fal¬  limento, dunque, sarebbe implicito nel «completo  abbandono di un bagaglio culturale di indubbia ri¬  levanza» (1).   Tale diagnosi ci pare esatta e le acute osservazioni  del Galli (al quale si debbono anche tentativi di pe¬  netrare nel mondo oggi ancor poco conosciuto, pro¬  prio perché poco adeguatamente studiato, dell’eso-    (1) G. GALLI, prefaz. a: MONICA ZUCCHINALI, A destra in Ita¬  lia, Sugarco Edizioni, Milano 1986, pp. 7-14. Tale lavoro non merita, di  per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo molto superficiale e limi¬  tato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e in questo largamente  superato da precedenti pubblicazioni, per quanto decisamente a sini¬  stra, come La destra radicale, a cura di F. Ferraresi, che è del 1984), ec¬  cessivamente ampio e parziale nei confronti della cosiddetta «Nuova  Destra», mentre la «destra tradizionale» è pressoché inesistente. In so¬  stanza, ciò che dà rilievo al libro, sono le poche notazioni preliminari  del Galli, che peraltro suonano da campana a morto per i profeti della  fine del «mito incapacitante»...    13          terismo del III Reich) (2), che ben difficilmente, del  resto, potrebbero essere recepite nella loro portata  da quanto sopravvive della «Nuova Destra», pro¬  prio per la sua impostazione profana e modernista  (per non parlare della destra «tecnocratica» missina,  per sua intrinseca natura da sempre impermeabile  ad ogni discorso «intelligente») (3), potranno ser-    (2) In una relazione sul tema tenuta nel giugno 1984 a Torino (pare  per la Fondazione Agnelli), il cui testo abbiamo potuto leggere, il Galli  osserva come «la storiografia ufficiale e accademica abbia sempre esita¬  to a muoversi in questa direzione, appunto per il timore di spostarsi dal  piano della storia a quello della fantasia». Ciononostante il Galli, che  dunque sembra muoversi tra i primi al di fuori di tale logica paralizzan¬  te, afferma come «vi siano sufficienti elementi per una riflessione stori¬  ca organica sulla componente esoterica soprattutto dei nazismo, mentre  per quanto riguarda il fascismo italiano questa riflessione potrebbe con¬  cernere esclusivamente la personalità di Julius Evola». 11 presente volu¬  metto dovrebbe dunque servire ad ampliare le prospettive conoscitive  del Galli e di quanti altri si interessino di tali tematiche proprio sull’ulti¬  mo punto, quello concernente il fascismo. Circa poi le correnti esoteri¬  che del nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra ciò che ha prece¬  duto la sua presa del potere, le gerarchie ufficiali dello Stato ed alcuni  settori delle SS. In base a ricerche che stiamo effettuando, possiamo an¬  ticipare che tali correnti esoteriche poggiano su fondamenta assai fragi¬  li, contrariamente a quel che potrebbe pensare il Galli stesso, che in que¬  sto caso pare essere rimasto vittima di alcune «ingenuità» propalate sul¬  la scia del famigerato Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier. Per un  discorso preliminare su quanto andiamo dicendo, si veda ora il mio sag¬  gio su La realtà storica della «Società Thule», in introduzione alla pri¬  ma traduzione italiana di: Prima che Hitler venisse di Rudolf von Se-  bottendorff. Edizioni Delta-Arktos, Torino 1987. Su Evola e certi am¬  bienti delle SS, pubblicherò in seguito documenti provenienti dall’archi¬  vio di stato tedesco (Quartier Generale di Himmler), in cui tali temati¬  che saranno ulteriormente trattate.   (3) In un recente articolo che vuole costituire una sorta di recensione  del libro della Zucchinali, un anonimo missino cosi sintetizza gli interes-    14    virci qui da spunto iniziale per una breve indagine  preliminare, necessariamente per ora limitata, su  una corrente di pensiero indubbiamente assai mino¬  ritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è stato di re¬  cente sottolineato, «nel contempo assolutamente ne¬  cessaria per l’Italia» (4), che ha svolto ed è destinata  a svolgere ancora una funzione molto importante,  per non dire essenziale, per la nostra nazione: quella  della conservazione dtXV identità delle nostre radici.   Essa, se è stata opacizzata nelle masse e in una  classe dirigente sclerotizzata e corrotta per incapaci¬  tà e colpevole negligenza, nondimeno persiste im¬  mutata, come presenze e immagini primordiali, ne¬  gli archetipi divini che presiedono alle nostre sorti.  Il compito di tale minoranza, al di là della pura e  semplice azione conservativa, è stato quello di saper  ridestare nei momenti opportuni quelle immagini, sì  che divenissero presenze vive ed operanti, concretiz¬  zandole nelle nuove realtà della nazione italica.   Si tratta delle immagini primordiali e delle epifa¬  nie divine del Lazio e dell 'Italia delle origini, ovvero  della Saturnia tellus: quelle che hanno reso possibile  la manifestazione sul nostro suolo della tradizione  di Roma — che simboli, funzioni ed attribuzioni    si e i tentativi controcorrente del Galli: «A cosa ciò possa condurre in  concreto, è imprevedibile. Forse a nulla» (in «Proposta», I, 2, marzo-  aprile 1986, p. 95).   (4) Conventum Italicum, comunicato anonimo in «Arthos», XII-  XIII, 27-28 (1983-84), p. 85.    15         hanno reso evidente essere emanazione della Tradi¬  zione primordiale (5) — ed il suo rinnovellarsi attra¬  verso i tempi.   Il precedente riferimento del Galli all’esoterismo  è, nel nostro caso, più che pertinente, dal momento  che la trasmissione e perpetuazione della tradizione  romana, almeno negli ultimi quindici secoli, ha po¬  tuto avvenire, per motivi ben comprensibili, per via  segreta, cioè esoterica e di necessità sotto forme e vie  anche molto diverse. Se oggi si può parlare di «de¬  stra» esoterica è soltanto perché, per circostanze sto¬  riche particolari, in un ambito (peraltro, assai ri¬  stretto) della destra del nostro secolo certe tematiche  hanno potuto trovare parziale ospitalità (6): va da sé  — e non sarebbe il caso di insistervi sopra — che la  .tradizione di cui tali correnti sono portatrici si situa  ben al di là e al di sopra di ogni miserabile dialettica  fra destra e sinistra, termini e concetti di derivazione  parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati  ad inquadrare forme di realtà spirituali quali quelle  a cui ci riferiamo.   Tuttavia, dal momento che il presente intende es¬  sere semplicemente uno «studio storico» su tale cor-    (5) Per tali evidenziazioni, debbo rimandare ad alcuni capitoli del  mio Dèi e miti italici. Il ed., ECIG, Genova 1986, specialmente in con¬  nessione con le figure di Giano e Saturno (con il ciclo a lui connesso).   (6) Si deve peraltro notare che ad interessi esoterici inerenti anche alla  tradizione romana non furono aliene certe personalità della «sinistra  storica» e nel corso della nostra esposizione non mancherà un esempio  concreto.    16    rente, dovremo fare solo riferimenti indiretti e limi¬  tati al suo lato esoterico, quanto invece insistere sui  suoi riflessi politici, culturali e religiosi.   L’abbiamo definita «corrente tradizionalista ro¬  mana» (7) nel Novecento: un’élite che ha in ogni ca¬  so lasciato una sua impronta in una certa epoca e  che, nell’incertezza del «pensiero debole» attuale,  potrebbe ancora essere portatrice di un messaggio  radicalmente alternativo, poiché radicalmente (e qui  l’espressione va intesa, con coscienza di causa, nel  suo pieno valore etimologico, a radicibus) orientata  contro gli pseudovalori che reggono la scena del  mondo moderno.   Non è mio compito qui riassumere i termini della  questione intorno alla possibilità della trasmissione  della sacralità e della tradizione di Roma dall’epoca  degli ultimi sapienti pagani sino ai nostri giorni: è  uno studio che, in riferimento soprattutto alle gentes  dei Simmachi, dei Nicomachi, dei Pretestati ed altri,  abbiamo da anni iniziato in varie riviste e pubblica-    (7) Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista romana» dal po¬  deroso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon. Tradizio¬  ne e civiltà, Napoli 1985, pp. 179-210, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬  punto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del  tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente  che col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singo¬  li casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene  organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬  muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza  che potè assumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di  Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a dimo¬  strare.    17          zioni (8) e che non mancherà di ulteriori sviluppi.   In questa sede sarà sufficiente fare rapido riferi¬  mento a quell’epoca gravida di grandi e decisive tra¬  sformazioni che fu il Rinascimento italiano. È so¬  prattutto nel corso del XV secolo che tradizioni oc¬  culte, sopravissute per secoli nel più grande segreto,  paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuo¬  va manifestazione dal contatto con personalità del¬  l’Oriente europeo di altissima rilevanza intellettuale,  come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande  rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi  anni dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cena¬  colo esoterico a Mistra, la medievale erede dell’anti¬  ca Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare  testi dell’antichità pagana (come le opere dell’impe¬  ratore Giuliano, che vi venivano trascritte), si cele¬  bravano veri e propri riti e si elevavano inni in onore  degli dèi olimpici (9).   La figura e la funzione di Giorgio Gemisto Pleto¬  ne sono ancora troppo poco note in generale e, in  Italia, non ancora studiate (10). In genere, ci si limi-    (8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della tradizio¬  ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos», voi. V, numeri 21 e 25  (1980-82), pp. 1-13, 275-281; parte III, voi. VI, n. 29(1985), pp. 149-157;  vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vitto¬  ria, con un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edi¬  zioni del Basilisco, Genova 1987.   (9) Si tenga conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a livello  popolare, culti nei confronti degli dèi classici sino al IX secolo della no¬  stra era.   (10) In lingua italiana mancano ancora del tutto studi approfonditi.    18    ta a citare, a proposito di lui, la sua partecipazione  al Concilio di Firenze e l’istituzione dell’Accademia  Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella villa di Ca-  reggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Co¬  simo il Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnifico  su suggestione del Pletone. Ma gli effetti dovettero  essere ancora più interessanti e gravidi di conseguen¬  ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬  gio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala-  testa. Signore di Rimini: colui che ne sottrarrà il ca¬  davere agli Ottomani (1464), i quali avevano occu¬  pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in  un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malate¬  stiano». Lo stesso Malatesta dovette pure essere in  rapporto con la ben nota «Accademia Romana» di  Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-  stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo    Ci si dovrà pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi  sul platonismo del Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II),  Sansoni, Firenze 1936; P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale  del Rinascimento, in «Vie della Tradizione», X, 39 (1980), pp. 139-147  (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è in corso di  stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo «Paganitas», lo  squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di recente, ci è ca¬  pitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una rivistina satirica di si¬  nistra, un reportage da Mistra singolarmente informato e documentato  su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO SARDO, La repubblica  dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in «Frigidaire», 56-57, luglio-  agosto 1985, pp. 55-63).   (11) Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi-  mus), 1 ’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il quale    19          dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori   «spregiava la religione cristiana ed usciva in vio¬  lenti discorsi contro i suoi seguaci... venerava il ge¬  nio della città di Roma. (...) Quale rappresentante  di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬  simo, si schierarono ben presto attorno a Pompo¬  nio un certo numero di giovani, spiriti liberi dalle  idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli iniziati  consideravano la loro dotta società come un vero  collegio sacerdotale alla foggia antica, con alla te¬  sta un pontefice massimo, alla quale dignità fu  elevato Pomponio Leto» (12).   Si noti che sembra certa l’adesione alla cerchia del  Leto del principe Francesco Colonna, Signore di Pa-  lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto l’autore  della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬  sto molto citato, ma molto poco letto e soprattutto  compreso, dove, in ogni modo, una sapienza ermeti¬  ca si sposa all’esaltazione, non tanto filosofica.    fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del movimento pagano  di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de Mistra, Paris 1956,  p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più completa esistente  sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto Pletone). Si noti che il Pla¬  tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo, discepolo di Pletone, e che un  altro antico discepolo, il Cardinal Bessarione, si prodigò per la liberazio¬  ne da Castel Sant’Angelo dei membri dell’Accademia Romana nel 1468,  dopo che furono accusati dal papa Paolo II — non senza fondamento  — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p. 343) si domanda se l’Accade¬  mia Romana «non fosse in qualche modo una filiale di quella di  Mistra».   (12) L. von PASTOR, Storia dei Papi, voi. II, Roma 1911, pp. 308-309.    20    quanto mistica, del mondo della paganità romano¬  italica, culminante nella visione di Venere Genitrice.   Se si rifletta al fatto che Francesco Colonna, rea¬  lizzatore fra il 1490 e il 1500 del nuovo imponente  palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio di  Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili  nelle strutture originali), vantava discendenza diret¬  ta dalla gens Julia e quindi da Venere (13), si potrà  allora intravedere come l’apporto vivificante della  corrente sapienziale reintrodotta in Italia da Gemi¬  sto Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio  di una tradizione antichissima, gelosamente custodi¬  to nel silenzio dei secoli col tramite di alcune fami¬  glie nobiliari italiane, in ispecie laziali, generosa¬  mente fruttificando: nel senso di spingere ad un rin¬  novamento tradizionale non solo l’Italia, ma persi¬  no, ad un certo momento, lo stesso papato, se avven¬    ti 3) Risulterà forse sorprendente apprendere come i Colonna posse¬  dessero ancora fino ai nostri giorni (è documentato almeno sino al  1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare, Boville (Frattocchie d’Alba-  no). Sempre fino al 1927 era visibile nel giardino Colonna al Quirinale  l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie ricavate da:  P. COLONNA, I Colonna, Roma 1927, pp. 5-6). Tolomeo 1 Colonna  ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia stirpe  progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia Italiana»,  X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia Poli¬  phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di France¬  sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980.  Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte del¬  l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in considerazione  della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco Colonna, la conside¬  ra come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce (/ Rosa¬  croce, Milano 1982, pp. 76 e sgg.).    21          ne che poco mancò che salisse al soglio pontificio  quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo  diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato,  come scrisse in una lettera privata ai figli del mae¬  stro dopo la sua morte, «il più grande dei Greci do¬  po Platone» (14).    Ma altri tempi tristi dovevano giungere, tempi in  cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimo¬  strò il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, av¬  volgenti nell’anno di Cristo 1600 il corpo, ma non  l’animo, di Giordano Bruno, rivivificatore generoso,  ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che  trovavano analoga eco — frutto di una linfa non  mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale — nella  poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese  Tommaso Campanella, lui pure oggetto di odiose  persecuzioni.   Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia, parzial¬  mente realizzatasi nel 1870 con la fine della millena¬  ria usurpazione temporale dei papi, per trovare una  situazione mutata. A questo punto bisogna chiarire  una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che  dal punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬  tà d’Italia — indipendentemente dai modi con cui    (14) Si dovrà ricordare che il Bessarione raccolse cum pietate nel suo  studio le opere e i manoscritti del maestro, in particolare alcuni fram¬  menti apertamente pagani delle Leggi, dotandone poi la Biblioteca  Marciana da lui fondata, a Venezia.    22    potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e  prevaricatori della dignità e delle sacrosante autono¬  mie di diverse popolazioni italiche) e dall’azione di  certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette  varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla  — era e rimane condizione imprescindibile e necessa¬  ria per ritornare alla realtà geopolitica dell’Italia au-  gustea (e dantesca): quindi per propiziare il rimani¬  festarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine  che ab origine a quella realtà geografica — consa¬  crata dalla volontà degli dèi indigeti — sono legate.   È un dato che si dovrà tenere ben presente, per  meglio intendere certi fatti che avremo modo di  esporre in seguito.    Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è nell’a¬  ria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà av¬  vertito dalle anime più sensibili.   Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con  un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬  ci, valendosi di una sensibilità non inferiore a quella  con cui in quegli stessi anni conduceva l’esegesi di  certi lati occulti della dantesca Commedia, con il se¬  guente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬  tri latini, da noi non riprodotto) celebrava in una  semplice aula scolastica la solennità del 21 aprile  1895:    23         «L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio,  leva il fumido muso ad una branca  d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca,  e n’echeggia il frondifero Palazio.   Una mano sull’asta, una sull’anca  del toro, l’arator guarda lo spazio:  sotto lui, verde acquitrinoso il Lazio;  là, sul monte, una lunga breccia bianca.   È Alba. Passa l’Albula tranquilla,   sì che ognun ode un picchio che percuote   nell’Argileto l’acero sonoro.   Sopra il Tarpeio un bosco al sole brilla,  come un incendio. Scende a larghe ruote  l’aquila nera in un polverio d’oro» (15).   Allo scadere del secolo, nel 1899, è un fatto nuovo  di ordine archeologico il punto di riferimento im¬  portante ed essenziale per il secolo che sta per aprir¬  si: la scoperta nel Foro da parte dell’archeologo Gia¬  como Boni (un nome che non dovremo scordare) del  cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger (VI sec.  a.C.), in cui l’iscrizione in caratteri antichi del termi¬  ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente l’ef¬  fettiva esistenza in Roma della monarchia e, con  quanto ne consegue, la sostanziale fondatezza della  tradizione annalistica romana, trasmessa nel corso  di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬  ximi dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del-    (15) G. PASCOLI, Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento  latino, Zanichelli, Bologna 1925, p. 29. 11 lettore esperto potrà notare  come in pochi versi il poeta abbia saputo sapientemente concentrare  particolari nomi evocativi di determinate realtà primordiali dell’Urbe.    24    l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes sacerdotali  ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori  della sapienza delle origini, come poterono essere un  Macrobio ed un Marziano Capella nel V secolo.   È come se, fisicamente, una parte di tradizione ro¬  mana si esponesse improvvisamente alla luce del so¬  le a smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della  scuola tedesca, che, in nome di un presunto realismo  scientifico, aveva respinto in blocco le più antiche  memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬  guaci italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua  Storia di Roma (ristampata innumerevoli volte fino  in piena epoca fascista) aveva negato ogni tradizione  da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli  in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica.   Risulta che Giacomo Boni fu in corrispondenza  con un altro principe romano, pioniere degli studi  islamici e deputato al parlamento nei banchi della  sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe  di Teano, marito di una principessa Colonna.   Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato l’au¬  tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin  dal 1852, dove si sosteneva l’identità di Enea col  dantesco «messo del cielo» che apre le porte della  Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati di  Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e  quasi cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei    (16) Cfr. M. CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina  Commedia di Dante Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello 1894.    25           risultati del plebiscito che sanciva l’unione di Roma  all’Italia.   Proprio Leone Caetani sarebbe stato l’autorevole  tramite attraverso cui si sarebbero manifestate al¬  l’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam  (operativa proprio negli anni della scoperta del La¬  pis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz (cioè Ciro  Formisano di Portici) — che la definì talvolta come  Schola Italica — determinate influenze derivanti  dall’antica tradizione romano-italica se, come scrive  l’esoterista Marco Daffi {alias il conte Libero Ric-  ciardelli) (17) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro  riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬  vista «Commentarium» diretta dal Kremmerz, di un  articolo sul dio Pan e di una lettera di congedo dalla  redazione in cui egli riafferma in tali termini la pro¬    ti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona veramente auto¬  revole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto  da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore (...) Don Leone  Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano  Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest, Genova  1981, pp. 62 e 84). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in «.Commenta¬  rium» sono tre: La divinazionepantéa (n. 1 del 25 luglio 1910), Per Giu¬  seppe Francesco Borri (n. 3 del 25 agosto 1910), Gnosticismo e inizia¬  zione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In quest’ultimo scritto, con¬  sistente in una lettera di congedo come collaboratore della rivista, si ri¬  manda all’opera di un altro personaggio che, come «Ottaviano», doveva  riconnettersi allo stesso ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬  ganismo kremmerziano: l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un  curioso libretto intitolato Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola ani¬  ma o anche col corpo? (Torre Annunziata 1899), in cui nuovamente si  accenna al «ramoscello dorato del segreto, ossia la voce mistica di con¬  venzione» (p. 66) che Enea presenta a Proscrpina.    26    pria fede pagana:    «... non sono che pagano e ammiratore del paga¬  nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti (...)  volgo, che i miei antenati simboleggiavano nel ca¬  ne e lo pingevano alla catena sul vestibolo del Do-  mus familiae con la nota scritta: Cave canem; ca¬  ne perché latra, addenta e lacera» (18).   In quegli stessi anni (a partire dal 1905) era co¬  minciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di Ar¬  turo Reghini (1878-1946). La sua importanza fra i  più autorevoli esponenti europei della Tradizione, e  del filone romano-italico in particolare, risiede cer¬  tamente non tanto nel tentativo, vano e fatalmente  destinato all’insuccesso, per quanto disinteressato,  di rivitalizzare la massoneria al suo interno (19),  quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed    (18) OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione, cit., p. 210.   (19) Tentativo che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito  Filosofico Italiano, fondato nel 1909 dal Reghini, Edoardo Frosini ed  altri (il 20 ottobre 1911 vi sarà accolto come membro onorario Aleister  Crowley...), ma dall’esistenza effimera, dal momento che sin dal 1919 si  fuse con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza  del Gesù. 11 Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di  Raoul Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai  provvedimenti contro le società segrete del 1925. Giovanni Papini ha de¬  dicato alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬  ghini di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: «Arturo  Reghini visse, povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e¬  gli difese e incarnò, a suo modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno  di quelli che lo conobbero potrà dimenticarlo» (Passato remoto (1885-  1914), ed. L’Arco, Firenze 1948, p. 129).    27         alla riscoperta della tradizione classica e romana,  che gli era stato dato in compito di rivitalizzare «in  segreto», così come egli stesso si esprime in una let¬  tera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel nu¬  mero di aprile 1914 di «Ultra»:   «sai bene come il nostro lavoro, puramente meta¬  fisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto  sempre e volontariamente segreto» (20).   In tal modo il Reghini ben si inseriva nel filone  della corrente tradizionalista romana, in quella sua  variante che si può legittimamente definire «orfico-  pitagorica» (21), col contributo di numerosi scritti,  soprattutto sulla numerologia pitagorica, sparsi fra  molti articoli e opere impegnative, come Per la resti¬  tuzione della geometria pitagorica (1935; rist. 1978),  I numeri sacri della tradizione pitagorica massonica  (postumo 1947; rist. 1978), Aritmosofia (postumo    (20) A. REGHINI, La «tradizione italica», in «Ultra», Vili, 2 (aprile  1914), p. 69.   (21) Allo stesso modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica» si  potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla corrente  kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa preten¬  dere di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione romana (come  vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri giorni),  rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni validis¬  sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione romana  è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al di sopra  nella sua essenza originaria. Per cercare di comprendere la cosa, si dovrà  riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano, non per caso  divinità unica e propria della sacra terra laziale.    28    1980) ed il tuttora inedito Dei numeri pitagorici (22).   Con questa attività egli avrebbe perseguito la mis¬  sione affidatagli da un’antica scuola iniziatica di tra¬  dizione pitagorica della Magna Grecia (23) allorché,  ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da  colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale:  Amedeo Rocco Armentano (24), calabrese, ufficiale  dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il Reghini.   Ad Amedeo Armentano (1886-1966) apparteneva    (22) Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del  Reghini (1986), è stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬  mo, pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari 1986, a cura del¬  l’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi solo nel giugno 1984  con un poco iniziatico «atto notarile» (sic), ma che vanta diretta discen¬  denza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo eseguita  con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti storico-filologici e gli  scritti reghiniani (uno addirittura incompleto) non seguono nè un ordi¬  ne logico, nè cronologico. Il saggio suW Interdizione pitagorica delle fa¬  ve si potrà leggere ora completo in «Arthos» n. 30 (1986, ma stampato  1987).   (23) DIOGENE LAERZIO (Vili, 56) ricorda come il pensiero di Pi¬  tagora avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia:  «Come dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano  Archiloco, che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città (...)  e gli Italioti Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H.  Diels-W. Kranz; trad. ital. Bari 1981, v. I).   (24) Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. R. SE-  STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno dell’Associazio¬  ne Pitagorica, 111, 1-4 (1986), pp. 1-3. Di Armentano si vedano le Massi¬  me di scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri di  «Atanòr» ed «Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano lasciò l’I¬  talia per il Brasile, dove morì. È sintomatico come anche «Ottaviano»  in quel periodo si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancou¬  ver in Canada.    29         quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬  detta diroccata, su di uno scoglio deserto» (25) dove,  con gran dispiacere di Sibilla Aleramo, il giovane  protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mon¬  dadori, Milano 1927), «Luciano» {alias Giulio Pari¬  se), avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia  di un amico non nominato, vale a dire proprio il  Reghini.   Fu proprio nella torre di Scalea, in Calabria, che  il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo della tradu¬  zione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa,  a cui premise un ampio saggio di quasi duecento pa¬  gine su E.C. Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra  l’altro:    «E perciò, in noi, il senso della romanità si fonde  con quello aristocratico e iniziatico nel renderci  fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e  deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà  possibile di rimettere un po’ a posto le cose, e noi  speriamo che ci venga consentito, una qualche vol¬  ta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoteri¬  smo romano. Quanto alla permanenza di una  “tradizione romana”, si vorrà ammettere che se  una tradizione iniziatica romana pagana ha potu¬  to perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più as¬  soluto mistero. Non è quindi il caso di interloquire  con affermazioni e negazioni» (26).    (25) S. ALERAMO, Amo, dunque sono, cit., p. 15. Cfr. p. 50: «Lu¬  ciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto d’aver già operato  fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente accadute».   (26) A. REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA,    30    Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi  aspetti, per i tentativi di rivivificazione della tradi¬  zione italica. Nel numero di gennaio-febbraio 1914  di «Salamandra», in un articolo dal titolo fortuna¬  to, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, il Re¬  ghini coglieva occasione, scagliandosi contro il par¬  lamentarismo ed il suffragio universale che favoriva  cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e l’immu¬  tabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre  ricollegata nella sua visione al pitagorismo, si sareb¬  be trasmessa attraverso le figure di alcuni grandi ini¬  ziati sino ai nostri giorni (27). In ottobre, dalle pagi¬  ne di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un  importante articolo dottrinario, che:   «Il linguaggio e la razza non sono le cause della  superiorità metafisica, essa appare connaturata al  luogo, al suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput  mundi, la città eterna, si manifesta anche storica¬  mente come una di queste regioni magnetiche del¬  la terra. (...) Se noi parleremo del mito aureo e so¬  lare in Egitto, Caldea e Grecia prima di occuparci  della sapienza romana, non è perché questa derivi  da quella, ché il meno non può dare il più» (28).    Lm Filosofia occulta o la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma 1972,  pp. XCIII-XClV, nota.   (27) L’articolo fu poi ripubblicato in «Atanòr», I, 3 (marzo 1924),  pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura dell’omonima casa edi¬  trice di Roma).   (28) A. REGHINI, Del simbolismo e della filologia in rapporto alla  sapienza metafisica, in «Ultra», Vili, 5 (ottobre 1914), p. 506.    31          Intanto, nella notte del solstizio d’inverno del  1913, si era verificato un insolito episodio, gravido  di future conseguenze: in seguito a misteriose indi¬  cazioni, nei pressi di un antico sepolcro sull’Appia  Antica era stato rinvenuto, a cura di «Ekatlos» (29),  accuratamente celato e protetto da un involucro im¬  permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i  segni di un rituale.   «Ed il rito — riporta «Ekatlos» (30) — fu celebra¬  to per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi  sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra  e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua lu¬  ce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi” della  razza nostra romana; e un “segno che non può fal¬  lire” fu sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬  mini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio  profondo della notte, giorno per giorno».   «Il significato, le vere intenzioni e le origini di tali    (29) Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione di «Eka¬  tlos» con il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo  autore (si tratta, peraltro, certamente di C. Mutti, fanatico integralista  islamico) di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista  evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A propos de l’article d’Eka-  tlos, seguito da una Note sur Leone Caetani, in: J. EVOLA, Tous les  écrits de «Ur» & «Krur», 111 [Krur 1929], Arché, Milano 1985, pp. 475-  486). Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una  volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un  divario invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli  espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano.   (30) EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in «Krur»,  I, 12 (dicembre 1929), pp. 353-355, oggi in: GRUPPO di UR, Introdu¬  zione alla Magia, voi. Ili, Roma 1971, pp. 380-383.    32    riti pongono un problema», osserva il Di Vona (31),  «ma il loro fine immediato fu esplicito, e come tale  è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel dovuto  modo da un gruppo che si propose di dirigere verso  la vittoria italiana la I Guerra Mondiale».   Ma l’episodio ha un seguito: il 23 marzo 1919  (giorno in cui cade la festa romana del Tubilustrium,  o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato  a Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol-  cro, il primo Fascio di Combattimento (dal 1921 de¬  nominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli astanti  vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva  riesumato l’antico rituale, preannuncio a Benito  Mussolini: «Voisarete Console d’Italia». E fu la stes¬  sa persona che, qualche mese dopo la Marcia su Ro¬  ma, il 23 maggio 1923, vestita di rosso, offrì al Capo  del Governo un’arcaica ascia etrusca, con «le dodici  verghe di betulla secondo la prescrizione rituale le¬  gate con strisce di cuoio rosso» (32).   Con tale atto dal sapore sacrale, come è evidente.    (31) P. DI VONA, Evola e Guénon, cit., p. 202.   (32) EKATLOS, art. cit., p. 382, nota. La notizia è riportata con altri  particolari nel «Piccolo» di Roma del 23-24 maggio 1923, p. 2 [cfr. Ap¬  pendice 1]. Particolare curioso: la sera stessa del 23 maggio Mussolini  parti in aereo alla volta di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo,  24 maggio, anniversario dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero  di Redipuglia, alla presenza del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via  del ritorno verso Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto,  ad un atterraggio di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca  Cere, donde forse proveniva l’arcaico fascio.    33             le correnti più occulte portatrici della tradizione ro¬  mana avrebbero voluto propiziare una restaurazione  in senso «pagano» del fascismo.   Altri episodi concomitanti concorrono a rafforza¬  re questa supposizione. Dopo essere stata composta  proprio nel 1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923  (altre significative coincidenze di date), fu rappre¬  sentata sul Palatino la tragedia Rumori: Romae sa-  crae origines (il solo terzo atto), col beneplacito e la  presenza plaudente di Benito Mussolini. La tragedia  (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum) risulta  opera di un certo «Ignis» (pseudonimo sotto cui si  celerebbe l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bra¬  vo), che risulta godere di appoggi assai influenti, co¬  me quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice 11], e  appare, specialmente in quel terzo carmen che fu re¬  citato, più che una semplice rappresentazione sceni¬  ca, un vero e proprio atto rituale: un rito di consa¬  crazione, certamente denotante nell’autore, o nei  gruppi restati nell’ombra di cui egli era emanazione,  una conoscenza non solo filologica della tradizione  romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono  cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei  Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti,  come lascia intendere il rito di incisione su lamine  auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi, voluta-  mente incompleta, dei significati del nome di Roma.   Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fa¬  sciste affinché i simboli da esse evocate, come l’aqui¬  la o il fascio, non restassero puro orpello di facciata,  continuerà sino al 1929, che è anche l’anno in cui    34    Rumon verrà pubblicata, in splendida edizione uffi¬  ciale, dalla Libreria del Littorio, con i frontespizi or¬  nati di caratteri arcaici romani, disegnati apposita¬  mente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del  Lapis Niger già da noi incontrato, il quale avrà il pri¬  vilegio poco dopo, alla sua morte (1925), di essere  inumato sul Palatino stesso (33).   Ancora noteremo come sintomatica l’uscita, nello  stesso 1923, della Apologia del paganesimo (Formig-  gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro collaboratore  delle iniziative pubblicistiche di Evola [cfr. Appendi¬  ce III].   Fra il 1924 e il 1925 uscirono le due riviste «di stu¬  di iniziatici» «Atanòr» ed «Ignis», dirette da Arturo  Reghini, e in cui iniziò una collaborazione il giovane  Evola: affronteranno con un rigore ed una serietà  inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista  dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di parti¬  colare interesse: vi comparvero, per la prima volta in  Italia, scritti di René Guénon, fra cui a puntate, pri¬  ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È  peraltro evidente come il contenuto di queste riviste  non avesse un valore puramente speculativo, come  dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum  (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri di    (33) Fu proprio Giacomo Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mi¬  se a punto il prototipo del fascio romano (oggi al Museo dell’Impero)  per il Regime Fascista: è quello che compare sulle monete da due lire di  quel periodo (cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma  1983).    35           «Ignis», che preludono a quelli del successivo Grup¬  po di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pa¬  gano da parte del fascismo sperata dalla corrente  tradizionalista romana non solo stenta a verificarsi,  anzi è messa pericolosamente in forse dalle mene de¬  gli ambienti cattolici e clericali. Nel n. 5 del maggio  1924 di «Atanòr» Reghini con parole di fuoco de¬  preca alcune espressioni pronunciate da Mussolini  in occasione del Natale di Roma:   «Il colle del Campidoglio, egli ha detto, "‘dopo il  Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle  genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini, in¬  vece di esaltare la romanità, perviene piuttosto ad  irriderla ed a vilipenderla. (...) Noi ci rifiutiamo di  subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle  del Campidoglio».   E nel n. 7 di luglio, dopo il delitto Matteotti:   «... ecco un clamoroso delitto politico viene a  sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli ani¬  mi. (...) Investito da popolari e da ogni gradazione  di democratici, a Mussolini non resterebbe che  battere la via dell’imperialismo ghibellino, se non  esistesse un partito che già lo sta esautorando...  tengano ben presente i nostri nemici che, nono¬  stante la loro enorme potenza e tutte le loro pro¬  dezze, esiste ancor oggi, come è esistita in passato,  traendo le sue radici da quelle profondità interiori  che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena  iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e seco¬  larmente perseguitata».   L’ordine del giorno Bodrero e le successive leggi    36    sulle società segrete tolgono ulteriore spazio all’atti¬  vità pubblicistica del Reghini, che peraltro conflui¬  sce, fra il 1927 e il 1928, nel «Gruppo di Ur», for¬  malmente diretto da Julius Evola.   A noi qui non interessa tanto esaminare il lavoro  di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui par¬  teciparono, come è noto, personalità appartenenti  alle principali correnti esoteriche operanti in quegli  anni in Italia, dai pitagorici ai kremmerziani, dagli  steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi come  il De Giorgio, quanto sottolineare come in quella se¬  de dovesse essere stato, almeno in parte, ripreso il  programma di influenzare per via sottile le gerarchie  del fascismo, nel senso già voluto dal gruppo mani¬  festatosi nel 1913 con la testimonianza di «Ekatlos»  (che, non lo si dimentichi, viene riportata proprio  nel terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze  di tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse —  successivamente apparse col titolo di Introduzione  alla Magia). In un inserto per i lettori comparso nel  n. 11-12 di «Ur» (1927), Evola poteva scrivere: «...  possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che  mai, cerca un punto di sbocco in seno a quella bar¬  barie, che è la cosidetta “civilizzazione” contempo¬  ranea — e chi ci sostiene, collabora di fatto ad una  opera che trascende di certo ciascuna delle nostre  stesse persone particolari».   Del resto, molti anni più tardi, Evola stesso di¬  chiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬  grafia spirituale che l’intento del Gruppo era stato  quello, oltre a «destare una forza superiore dr servi-    37           re d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di far  sì che «su quella specie di corpo psichico che si vole¬  va creare, potesse innestarsi per evocazione, una vera  influenza dall’alto», sì che «non sarebbe stata esclu¬  sa la possibilità di esercitare, dietro le quinte, un’a¬  zione perfino sulle forze predominanti nell’ambien¬  te generale» (34). Un’indagine ben più approfondi¬  ta, come si vede, meriterebbe di essere svolta sugli  evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno del  Grupo di Ur (35), delle radici esoteriche e dei conte¬  nuti iniziatici della tradizione romana: a parte i con¬  tributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e,  pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui  ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume) Sul  «sacro» nella tradizione romana, ancora una volta  fondamentale resta l’apporto del Reghini (che firma  come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione Sul¬  la tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta  esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e  di personali acute intuizioni, nonché di probabili  «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà ad indicare  nel mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il sen¬  so e il massimo mistero iniziatico della tradizione    (34) J. EVOLA, Il cammino del cinabro, Milano 1972 (li ed.), p. 88.   (35) Un esame generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è sta¬  to da me compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla ver¬  sione tedesca del I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag,  Interlaken 1985). Si tratta del notevole ampliamento, riveduto e corret¬  to, di un mio precedente studio già apparso in «Arthos» n. 4-5  (1973-74).    38    romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata ulte¬  riormente nel nostro recente Dèi e miti italici.   Intanto, nella seconda metà del 1927, una serie di  articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e  chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Cri¬  tica fascista» di Bottai e in «Vita Nova» di Leandro  Arpinati, e la successiva comparsa, nella primavera  del 1928, di Imperialismo pagano, che quegli articoli  raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio sul  Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui è in¬  teressante segnalare quello particolarmente violento  e ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Giovanni Bat¬  tista Montini, allora assistente centrale ecclesiasti¬  co della Federazione Universitari Cattolici Italiani  (F.U.C.I.), che aveva come organo culturale la rivista  «Studium» (redazione a Roma e a Brescia). Dalle  pagine di «Studium» il Montini accusava «i maghi»  riuniti attorno a Evola di «abuso di pensiero e di pa¬  rola (...) di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fa¬  natiche e di superstiziose magie» (36).    (36) G.B.M., Filosofia: una nuova rivista, in «Studium», XXIV, 6  (giugno 1928), pp. 323-324. Oltre che del futuro Paolo VI (certamente  il più nefasto fra i papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche  gli attacchi del futuro ministro democristiano del dopoguerra Guido  Gonella {Un difensore del paganesimo, ivi, gennaio 1928, pp. 28-31; //  nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, ivi, aprile 1928, pp. 203-  208), cui Evola replicò — dopo averlo definito «un tale il cui nome  esprime felicemente che vesti gli si confacciano più che non quelle della  romana virilità» — nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga¬  no. Contro Imperialismo pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla  ristampa del 1978, presso Ar di Padova) si scomodò tutto Ventourage  del giornalismo clericale, da «L’Osservatore Romano» a «L’Avvenire»,    39            Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso, inequivo¬  cabile e tragico appello da parte di esponenti della  «corrente tradizionalista romana», prima del triste  compromesso del Concordato, affinché il fascismo,  come si esprimeva Evola, «cominciasse ad assumere  la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬  scienza nazionale», così che il terreno fosse «pronto  per comprendere e realizzare ciò che, nella gerarchia  delle classi e degli esseri, sta più su: per comprendere  e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico della  Tradizione» (p. 162). A questo scopo Evola non ri¬  sparmiava taglienti critiche alle gerarchie del  Regime:    «Il fascismo è sorto dal basso, da esigenze confuse  e da forze brute scatenate dalla guerra europea. Il  fascismo si è alimentato di compromessi, si è ali¬  mentato di retorica, si è alimentato di piccole am¬  bizioni di piccole persone. L’organismo statale che  ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento,  non libero, non scevro da equivoci» (p. 13).    Di più: Evola, nel 1928, prevedeva addirittura gli    al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la pubblicistica fascista fautrice  dell’intesa col Vaticano, da «Educazione fascista» a «Bibliografia fasci¬  sta», sino alla stessa bottaiana «Critica fascista» che aveva ospitato i  primi articoli evoliani.    40    esiti e gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale:    «L’Inghilterra e l’America, focolari temibili dei  pericolo europeo, dovrebbero essere le prime ad  essere stroncate, ma non occorre di certo spendere  troppe parole per mostrare che esito avrebbe una  simiie avventura sulla base dell’attuale stato di fat¬  to. Data la meccanizzazione della guerra moder¬  na, le sue possibilità si compenetrano strettamente  con la potenza industriale ed economica delle  grandi nazioni...» (pp. 88-89).   Era dunque necessario che il fascismo, che «bene  o male ha messo su un corpo. Ma... non ha ancora  un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a  quella della Roma precristiana prima che fosse trop¬  po tardi, sì da «eleggere l'Aquila e il fascio e non le  due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivolu¬  zione» (p. 138).   «Nostro Dio può essere quello aristocratico dei  Romani, il Dio dei patrizi, che si prega in piedi e  a fronte alta, e che si porta alla testa delle legioni  vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli  afflitti che si implora ai piedi del crocifisso, nella  disfatta di tutto il proprio animo» (p. 163).   L’il febbraio 1929 il governo di Mussolini firma¬  va a nome del Re d’Italia, dal 1870 considerato dai  papi un «usurpatore», il cosiddetto Coneordato con  la Chiesa Cattolica (37) e nasceva il monstrum giuri-    (37) Che il cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir poco  nefasto sulle sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende stori-    41          dico della Citta del Vaticano (38). Veniva con ciò  tolta ogni speranza residua di azione all’interno de¬  gli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re-  ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più  in ombra, del «tradizionalismo romano»: alcuni di  loro, come già si è accennato in nota, abbandonaro¬  no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente nel  corso degli anni Trenta.    Restava il «programma minimo» indicato ancora  da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il fa¬  scismo avrebbe dovuto:   «promuovere studi di critica e di storia, non parti-  giana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza del cri¬  stianesimo (...). Contemporaneamente dovrebbe  promuovere studi, ricerche, divulgazioni sopra il  lato spirituale della paganità, sopra la sua visione  vera della vita» (p. 125).    che successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini  e di Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo an¬  cora oggi sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio  clericale-borghese ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬  re la coscienza delle «masse» ed a stroncare, con un autentico «terrori¬  smo di Stato», qualsiasi velleità di reazione delle minoranze coscienti  della necessità di mutare uno stato di cose ormai incancrenito.   (38) «Mussolini non si era reso conto che prima di lui uomini non so¬  lo autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni, gli Svevi, perfino  Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni intesa, patto e transazio¬  ne con la Santa Sede. (...) ogni intesa tra Santa Sede e Stato italiano  avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della validità    42    Chi avesse pensato che la «Scuola di Mistica Fa¬  scista», fondata significativamente poco dopo la  «Conciliazione», nell’aprile 1930 nell’ambito del  G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe  svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben  presto ricredersi amaramente. In realtà, il sentimen¬  to religioso dichiarato di quella che avrebbe voluto  costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si  configurava con precisione come cattolico. Lo di¬  chiara, in una maniera che non potrebbe essere più  esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo  Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola nel  1931:    «La nostra esistenza deve essere inquadrata in una  marcia solida che sente la collaborazione della  gente generosa e audace, che obbedisce al coman¬  do e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni cosa  nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contin¬  gente od eterna, nasce e finisce in Dio. E non parlo  qui del Dio generico che si chiama talvolta per  sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio  nostro Signore, creatore del cielo e della terra, e  del suo Figliolo che un giorno premierà nei regni  ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, spe¬  riamo, i molti difetti legati alle vicende della no¬  stra esistenza terrena» (39).    dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del¬  lo Stato italiano» (N. SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica  conciliare. Volpe, Roma 1974, p. 42).   (39) Cfr. «11 Popolo d’Italia» del 1° dicembre 1931. Sulla «Scuola di  Mistica Fascista», si veda: D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi,  Feltrinelli, Milano 1976.    43            E il filosofo Armando Carlini, discutendo della  nuova mistica, ravvisava la nota più originale del fa¬  scismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi  cristiano, anzi cattolico» (40); perché «il Dio di  Mussolini vuol essere quello definito dai due dogmi  fondamentali della nostra religione (...): il dogma  trinitario e quello cristologico» (41).   Quel programma che abbiamo detto «minimo»  cercherà Evola più tardi in parte di compiere con  l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collabo¬  ratori attorno al «Diorama filosofico», la pagina  speciale che, con uscita irregolare e alterna, quindi¬  cinale e mensile, curò per dieci anni, dal 1934 al  1943, all’interno del quotidiano cremonese di Fari¬  nacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradi¬  zione romana, esaminata nei suo simboli, nei suoi  miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui frequen¬  temente negli scritti dello stesso Evola, di Giovanni  Costa (già da noi incontrato), di Massimo Scaligero  e di diversi collaboratori stranieri, come Edmund  Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britan¬  nica) e lo storico tedesco Franz Altheim. Analoghe  collaborazioni sono fornite dall’allora giovane An¬  gelo Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destina¬  to nel dopoguerra a ricoprire degnamente l’impor-    (40) A. CARLINI, Mistica fascista, in «Archivio di studi corporati¬  vi», voi. XI (1940), p. 299.   (41) ID., Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma  1942, p. 56.    44    tante cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia delle  Religioni nell’Università di Roma, e da Guido De  Giorgio, già collaboratore di «Ur» e di altre iniziati¬  ve evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬  nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio oc¬  cupa una posizione piuttosto anomala e tale che il  Reghini avrebbe visto con sospetto: egli infatti con¬  cepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica,  ma soprattutto metafisica, in grado di unire in sé  stessa la religione pagana e il cristianesimo, tesi ela¬  borata soprattutto ne La tradizione romana, uscita  postuma solo nel 1973 (42). D’altra parte, è lo stesso  De Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la  persistenza del culto di Vesta in un misterioso cen¬  tro, nascosto e inaccessibile:   «Il fuoco di Vesta (...) arde inaccessibilmente nel  Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa-    (42) L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Fla-  men, Milano 1973) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il  manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della nota  introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori  del «Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli  omonimi [si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che  noi sappiamo corrispondere al «TAURULUS» del 1929, cioè Corallo  Reginelli, tuttora vivente.   L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1 ’occasione  per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente tradizionali¬  sta nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte cattolica (si veda¬  no il bollettino «Il rogo», operante fra il 1974 e il 1976 e la successiva  rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente «pagana» (si veda la no¬  stra recensione dell’opera del De Giorgio, confortata da un parere di  Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale come punto di ripresa del discorso  sulle origini della tradizione romana).    45             prebbe penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua  vita e il prolungamento della sua agonia. Da questo  fuoco occulto partono scintille che alimentano le  crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ri¬  torno alla Romanità attraverso le varie vicende di  cui s’intesse la storia delle nazioni europee conside¬  rata geneticamente, internamente e non sul piano li¬  mitatissimo della contingenza dei fatti e degli  uomini» (43).    Queir immane conflitto, già previsto da Evola nel  1928, e che anche il De Giorgio giudicava del tutto  inefficace, «se non addirittura letale per lo spirito e  il nome di Roma» (44), avrà in effetti come risultato  più manifesto, per i fini dello studio che qui andia¬  mo conducendo, di occultare del tutto le fila della  corrente di pensiero di cui siamo andati ripercorren¬  do la trama.   Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la  ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la  scelta pare significativa), curata nel 1968 dal «Cen¬  tro Studi Ordine Nuovo» di Messina (45), a tentare    (43) G. DE GIORGIO, op. di., p. 245 (vedi anche pp. 239 e 243).   (44) ibidem, p. 296.   (45) L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne  tolta subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si  può considerare oggi una vera rarità bibliografica.    46    di riannodare i termini di un antico discorso:   «L’angoscioso grido d’allarme rivolto dall’Autore  in quel lontano 1928 a Benito Mussolini per met¬  terlo in guardia contro il ventilato proposito della  cosiddetta “Conciliazione’)) — si afferma nell’a¬  nonima introduzione — «risuona oggi con inusi¬  tata attualità e fa si che Imperialismo pagano ven¬  ga guardato come un oracolo».   Ed è proprio provenendo dalle fila di «Ordine  Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola ha  tenuto in buona considerazione (46) — almeno fino  a che, sul finire del 1969, la sua ala borghese¬  modernista, condotta da Rauti, non confluì nel  MSI (47) — che comincia ad agire, tra la fine degli  anni Sessanta ed i primi anni Settanta, il «Gruppo  dei Dioscuri», con sede principale a Roma e dirama¬  zioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’in¬  terno del «Gruppo dei Dioscuri» venissero riprese    - (46) Cfr. J. EVOLA, Il cammino del cinabro, cit., p. 212: «L’unico  gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in compro¬  messi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo».   (47) L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di «Ordine  Nuovo» si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una  parte, la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui  ed estenuanti «giochi di potere» (!?) all’interno del partito e in decla¬  mazioni populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta «Nuova  Destra» proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed  ambiguamente compromissorio), dall’altra, la frazione «movimentista»  ed extraparlamentare condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì  nelle velleità inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con  conseguente ed inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero...    47             tematiche e pratiche operative già in uso nel «Grup¬  po di Ur» ed è perlomeno probabile che lo stesso  Evola ne fosse al corrente.   Fatto sta che nei quattro «Fascicoli dei Dioscuri»,  usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma da una  parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tra¬  dizionalismo dovrebbe far riferimento, ritornano  con grande evidenza.   Per l’anonimo autore del primo «Fascicolo dei  Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e sov¬  versione (Centro di Ordine Nuovo, Roma 1969), il  più grande dei meriti di Evola è quello:   «di avere rammentato il destino di Roma quale  portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere  tratto da tale verità le necessarie conseguenze in  ordine alle idee-forza che devono essere mobilitate  per una vera rivoluzione tradizionale» (p. 20).   Qualche anno dopo, al termine del terzo «Fasci¬  colo» intitolato Impeto della vera cultura (tradotto  poi anche in francese nel 1979), il mito di Roma vie¬  ne additato come l’unico che sia in grado di condur¬  re ad una superiore unità gli sforzi di tutti i tradizio¬  nalisti italiani:   «a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno dei  tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si  può ricordare la presenza di una forza spirituale  perennemente viva e operante, quella stessa che il  mondo classico ed il medio-evo definirono l’AE-  TERNITAS ROMAE» (p. 18).    48    Il «Gruppo dei Dioscuri» ebbe notevole impor¬  tanza come cosciente riconnessione alle precedenti  esperienze sapienziali e come indicazione, per taluni  elementi particolarmente sensibili dell’area della de¬  stra radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri  del «tradizionalismo romano», anche se la partico¬  lare via operativa scelta e, soprattutto, la mancata  qualificazione di taluni componenti, porterà ben  presto alla distruzione dall’interno del Gruppo stes¬  so, di cui non si sentirà più parlare già prima della  metà degli anni Settanta (ci viene detto che frange  disperse del gruppo continuerebbero a sussistere so¬  prattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcu¬  ni dei gruppi periferici, sia pure trasformati, ne ab¬  biano continuato il retaggio se, ad esempio, a Messi¬  na nel 1975, molto probabilmente nell’ambito di al¬  cuni dei vecchi membri del «Gruppo dei Dioscuri»  viene elaborato un testo dottrinale ed operativo, a  circolazione interna, sotto forma di «lezioni» di un  maestro a un discepolo, piuttosto interessante. La  via romana degli dèi:   «Diremo anzitutto dell’essenza della tua religiosi¬  tà, fornendo alla tua mente profonda gli argomen¬  ti per una serie di esercizi di meditazione affinché  con saldo cuore, tu possa prepararti all’assolvi¬  mento del rito» (48) [cfr. anche Appendice IV].    (48) N.N., La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia Superiore  Operativa, Messina 1975 (ciclostilato ad uso interno), p. 1.    49             E certamente non priva di connessioni genetiche  col gruppo romano appare la sortita, improvvisa,  verso la fine degli anni Settanta, nella stessa Messi¬  na, del «Gruppo Arx», successivamente editore del  periodico «La Cittadella» e degli omonimi quader¬  ni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itine¬  rari di approccio alla «via romana degli dèi» sono  indicati attraverso la cosciente riappropriazione del-  Vanimus romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e  nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a  forme anche esteriori del culto cristiano.    Quanto segue è storia dei nostri giorni, dal mo¬  mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi  è stata una nuova cosciente ripresa del moderno  «movimento tradizionalista romano», una cui rima¬  nifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data  ed in un luogo alquanto significativi. Infatti nel  1981, il 1° marzo (data in cui iniziava l’anno sacro  romano), a Cortona (donde in epoca primordiale  Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta  della Troade) si tenne un importante Convegno di  studi sulla Tradizione italica e romana (49), che, a    (49) Gli Atti sono stati pubblicati nel numero speciale triplo di «Ar-  thos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di pp. 192. Per una sintetica analisi  sulla diversa valenza del termine «italico» nei vari interventi, cfr. R.  DEL PONTE, Che cos’è la tradizione italical, in «Vie della Tradizio¬  ne», XV, 57 (gennaio-marzo 1985), pp. 1-3.    50    parte l’emergenza di differenti prese di posizone dei  tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre  la questione — non puramente dottrinale o formale  — di una cosciente riconnessione aWaurea catena  Saturni della tradizione indigena da parte di chi, pur  in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,  intenda coscientemente riassumere il fardello delle  proprie radici etniche e spirituali. Successivamente  ad un nuovo Convegno, tenutosi nel dicembre 1981  a Messina, sul Sacro in Virgilio (50), la rielaborazio¬  ne dottrinale e la ridefinizione concettuale dei valori  difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo  romano» (di cui è parte cospicua anche l’apparire  alle stampe di alcune collane di libri specifiche) (51)  si è spostata su un piano più interiore, ma la loro  presenza è destinata a riaffiorare a livello di influen¬  za sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente  sensibili di un’area superante i limiti stessi del mon¬  do della «destra politica».   Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬  noranza (ben cosciente di esserlo) si limiterà ad una    (50) Gli Atti sono stati pubblicati in buona parte nel numero speciale  di «Arthos» n. 20 (uscito successivamente al n. 22-24), daH’omonimo  titolo, di pp. 72.   (51) Ci limiteremo a ricordare la collana «1 Dioscuri» per le ECIG di  Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il mio  Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna e Arca¬  na Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi Pagani» del  Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di antichi (Giuliano Au¬  gusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi, De Angelis,  Beghini, Evola ecc.).    51           pura e semplice azione di testimonianza, sia pure  «scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito ca¬  pacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destina¬  to a risorgere continuamente dalle sue ceneri, poiché  riposa nella mente feconda degli dèi archegeti di  questa terra.    Appendici documentarie    52    53        I    Da: «Il Piccolo» di Roma, 23-24 maggio 1923,   p. 2:   «Il Fascio littorio a Mussolini»   Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia prof.a  Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la  dott.a prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al Presi¬  dente del Consiglio come augurio per la data del  XXIV Maggio un fascio littorio da lei esattamente  ricostruito secondo le indicazioni storiche e icono¬  grafiche.   L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba  etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro  per la legatura al manico: alcuni esemplari simili so¬  no conservati nel nostro Museo Kircheriano.   Le dodici verghe di betulla, secondo la prescrizio¬  ne rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso  che formano al sommo un cappio per poter appen¬  dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del  Palazzo Capitolino dei Conservatori.   Il fascio ricomposto con elementi antichissimi e  nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo del¬  la sua opera organica di ricostruzione dei valori del¬  la nostra stirpe allacciando le vetuste origini alle for¬  me più vibranti dell’attività gagliarda e rinnovata  che prende le mosse dal XXIV Maggio 1915.   La rudezza espressiva del Fascio è ingentilita dal  contrasto tra il verde della patina bronzea e il rosso    55         del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che  producono le colonne di porfido presso la porta di  bronzo àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio,  al Foro Romano.   L’offerta era accompagnata da una epigrafe latina  dedicatoria composta dall’offerente, la quale nel¬  l’Università Popolare fascista svolge una fervida  opera di propaganda di romanità viva.   Il Duce gradì l’augurio ed il voto accogliendoli  colla sua consueta serena nobiltà, non senza un se¬  gno della vivacità del sorridente suo spirito latino:  «Lei mi ha dato una lezione di storia» — osservò in  tono scherzoso. Singolari parole in bocca di chi dà  e darà non poco a fare agli storici futuri.   (La notizia è riportata in una rubrica dedicata a  «I solenni riti del XXIV Maggio», senza indicazione  di paternità).    56    II    Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines, tra¬  gedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio,  Roma 1929.   pag. non numerata, IV dopo il frontespizio:   LETTERA DI ARDENGO SOFFICI A S.E.  MUSSOLINI   Mio caro Presidente, (...) permettimi ti dia, scritte  e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬  cune prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in  fondo, in un vero poema epico delle origini, è l’esal¬  tazione di oggi della nostra stirpe. Comincio da un  mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia roma¬  na che può stare a paro col Giulio Cesare di Shake¬  speare (...) ti fo osservare che il titolo di Poeta di Ro¬  ma, dato da Jean Carrère ad ignis, si è dato solo a  Virgilio e ad Orazio: Augusto, vive, oggi, tra noi tut¬  ti in ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti,  che per la sua politica imperiale.   E tu vedi come Rumori sia stato giudicato, prima  ancora che esistessero l’idea e la forza fascista, tra¬  gedia degna di Roma (...) quando competenti — dai  nostri a Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudi¬  zio del 1923 — corrono all’iperbolico per lodare Ru¬  mori di ignis bisogna concludere che ci si trova da¬  vanti ad un’opera d’arte somma, e per fortuna no¬  stra, d’arte italiana — opera che è, anche per se stes-    57         sa, di alto significato politico, e di spirito fascista  (...) Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico  carissimo, di averti scritto una lettera storica. Fai  che non sia stata scritta invano, ma invece il tuo no¬  me vada unito a quello della tragedia Rumori, al  poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬  me in avvenire, spero che tu possa essere un po’ gra¬  to al tuo affezionato amico e devoto   ARDENGO SOFFICI   pag. successiva non numerata:   IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI  Caro Soffici,   bisogna assolutamente far marciare Rumori. 11  Governo appoggia fervidissimamente l’iniziativa  perché essa rientra nel grande quadro della rinascita  nazionale.   Saluti fascisti e cordialissimi.   f.to MUSSOLINI   Roma, 7 marzo 1923    pagg. CLXV-CLXVI (Carme terzo):   AUGURE   Manifesto è dunque: amor — essere — ROMA.  Se tutte move, ed incende, le create cose...  legge si è — Amor — dell’universo vita...  così, un tanto Nome, a noi predice:    58    dono di regno e potestà sovra ogni terra,  e dello spirito, e d’imperio.   Confirmato si è, per te, prodigioso il vaticinio.   Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti...  su la Città terribili chiamerebbero fortune...   Li trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici.  Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome palese,  se concluso non avrai, prima, il solco sacro.  Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora,  in gran letizia, al Popolo... quel Nome  che licito non più mi è dire   quando, già per tre volte, qui, in tre diversi suoni,  de la gran Madre nostra il Nome risonò.   {Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per nu¬  merare i significati del nome).   Di significati cinque:   È... ’l Nome palese, latore, con l’occulto:   Chiama la Città: Valentia... Ròbure... Virtù!  e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice!   Vostra — nei nomi vostri — oh Re! suoi fondatori...  Come del grande Rumon: URBE: la Città del  Fiume!   {Pausa)   Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare,  in così breve Verbo, sì pieni... tanti arcani.   Mirifici! donando Nomi nove:   in quattro occulti ed un — Medio — palese,   e quando, nove, siamo al Rito.    59       Ili    Da: G. COSTA, Apologia del paganesimo, A.F. For-  mìggini Editore, Roma 1923, pagg. 69-70:   Il pagano è, per definizione, buono. Né un greco,  né un romano avrebbero concepito che l’uomo po¬  tesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui liti¬  gassero per così dire due nature, che la manifestazio¬  ne esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vi¬  ta individuale, né in quella sociale vi fossero mezzi  termini, transazioni, compromessi. Esso è quello  che naturalmente è, cioè buono, come ideale supre¬  mo della vita, come dovere, come necessaria fatalità  insita nelle cose umane. Egli vive quindi la vita inte¬  ramente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo,  con un pragmatismo sano e forte che non ammette  ipocrisie, doppiezze, scuse.   Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato  concesso, per virtù di dottrine religiose e culturali  che si sono formate a lui d’intorno, una distinzione  ed una separazione del suo essere intimo, spirituale,  psicologico, dal suo essere apparente, esteriore, ma¬  teriale. All’antico quando di questa scissione appar¬  ve per un momento la possibilità, egli ne cacciò da  sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione.   La concezione pagana della vita ha fatto perciò  l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il caratte¬  re, ne ha provocato 1 ’azione. Ecco perché la vita nel  paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo  ed è stata accettata non come un male, ma come un    60    bene che bisognava con interezza di carattere vivere  interamente e sanamente per sé e per gli altri.   pag. 91:   Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare al  paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato di¬  vina opera cui le sue spalle non sanno sottostare.   Ma paganesimo è sincerità e l’uomo deve ritorna¬  re ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per  due millenni il suo desiderio di seguire il messaggio  cristiano e la sua manifesta impotenza di non saper¬  lo fare, deve risolversi in armonia se egli vuol sanare  in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono  avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può  essere determinato che da circostanze speciali di in¬  dividuo, di momento e di luogo che l’uomo può in-  travvedere, non deve violare con convinta testardag¬  gine. L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’inte¬  riore, quindi, deve essere nella dottrina, come nella  vita, assoluto.    61           IV    Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato anonimo,  Messina 1975 pagg. 41-42:   L'immagine di un dio è lo stemma della Forza che  essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali immagini  sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere  nella realtà esse sono state personalizzate e forme di  pensiero sono state proiettate su un altro piano (...)   Alcune di queste immagini e le loro attribuzioni  sono così antiche e sono state costruite con tanta  ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬  struirsi da se stesse, durante l’eventuale lavoro di  meditazione, che l’allievo può fare su una divinità.  Resta un minimo «invito», un minimo stimolo, per¬  ché il meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬  ga, sia pure su un piano semplicemente psichico.  Così, della limatura di ferro, dispersa su un piano,  si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto  in mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli  anche se essi sono pochi e molto distanti...    62     AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO  (im -    da «Ygieia», 111, 1-4 (dicembre 1986)    63             Arturo Reghini  (1878-1946)    64    0 Piscio littorio a Mussolini   n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-  bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa.  aOltnl rlotwta la doti.» pmf.» Osarina RI-  baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Conti¬  guo romo aufurln la data de) XXIV  Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte  licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie  e leooograflclia.   l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa  tomba etmaca hlmtneoarta ed ba la forma  aorra eoi foro per la Vantura hi manico:  alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.«!  nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é   La dodict verace di l>ctulla. ascondo la  prescrizione rit'iale. sono legala con tiri¬  sele ^ cuoio rosso cba formano al tonimo  ua cappio per poter appendere fi fascio,  conta nel ba.MorUiero per la acala del Pa  lazzo Capitolino dd Conaenalori.   Il Fascio ricomposto con elementi antl-  fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato offerto al  Dora come simbolo della saa opera onra-  ntea di rieoatruztona del valori della no-  Mra attrpa allacciando le veia«ie origini  alla fonn* più vibranti dell'attività ga-  giarda a rinnovata cha prendo la mosse  ^ XXIY Maggio 19t8  Là rudezza espressiva dal Fascio è in-  gantlHta dal contrasto tra (I verde della  patind bronsea e U rosso del molo che ri¬  corda la stes.aa armonica tonalità che pm-  doeono le colonne di porfido presso la por¬  ta di bronzo deD'brroon di Itomdlo, figlio  41 Massenzio al Foro Romano.   L'oflerla efa accompagnata da ani epl-  graia latina dedicatoria composta dall'or-  farente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare  faartsta avolga una fervida opera di pro-  pafgada di romani Ih viva.   n Duca gradi raugorto a fi voto acro-  Mlaodoll colla sua consueta serena nobiltà.  2«m senza tm segno della vivacità del sor>  ridaots ano spirito latino: • Let mi ba dato  nna testone di storia • — osservò In tono  aehanoao. Btngolart parole In bocca di r.hl  db a darà non poca a fare agli storici fu-  tnrl    Riproduzione da «11 Piccolo».  V. pag. 55.    65 Renato del Ponte. Ponte. Keywords: implicatura maschile, ario, gl’arii, I liguri, romani, antica roma, massoneria volgare. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponte” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Ponzio: la ragione conversazionale e il segno dell’altro, o della semiotica filosofica – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Pietro Vernotico). Filosofo italiano. Studia a Bari sotto SEMERARI (si veda). Insegna a Bari. Cura ROSSI-LANDI (si veda). Studia la fenomenologia della relazione interpersonale. Insegna a Brindisi, Francavilla Fontana, e Terlizzi. Studia scienze dei linguaggi e linguaggi delle scienze, intert-estualità, inter-ferenze,e  mutuazioni.  Pubblica “Enunciazione e testo letterario nell'insegnamento dell'italiano come lingua straniera” (Guerra, Perugia);  Linguistica generale, scrittura letteraria e traduzione, Da dove verso dove. L'altra parola nella comunicazione globale, A mente. Processi cognitivi e formazione linguistica, Lineamenti di semiotica e di filosofia del linguaggio; Introduzione a Bachtin (Bompiani); “Il discorso amoroso” (Mimesis) e Bachtin e il suo circolo (Bompiani, collana “Il pensiero Occidentale” diretta da Reale); Summule logicales (Bompiani); Manoscritti matematici (Spirali); La filosofia come professione, come istituzione, presuppone una filosofia propria del linguaggio, che si esprime nella tendenza del linguaggio al pluri-linguismo dia-logico, alla correlazione dialogica delle lingue e dei linguaggi di cui sono fatte, una filosofia del linguaggio, in cui ‘del linguaggio’ è da intendersi come genitivo soggettivo: un filosofare del linguaggio, che consiste nella pluri-discorsività dialogizzata. I campi di suo studio e di sua ricerca sono la semiotica e filosofia del linguaggio. Filosofia del linguaggio è l'espressione che meglio esprime l'orientamento dei suoi studi e come egli affronta i problemi relativi alla semiotica dal punto di vista della filosofia del linguaggio, alla luce degli sviluppi delle scienze dei segni, dalla linguistica alla bio-semiotica.  In tal senso, il suo approccio può essere più propriamente definito come di pertinenza della semiotica generale, anche se si occupa di semiotica generale, in termini di critica. La semiotica generale supera l'illusoria separazione tra le discipline umanistiche, da una parte, e quelle logico-matematiche e le scienze naturali, dall'altra, evidenziando invece la condizione di inter-connessione. La sua ricerca semiotica si riferisce a diversi campi e discipline, praticando un approccio che è tras-versale e inter-disciplinare, o come direbbe lui stesso "in-disciplinato".  Si occupa di semiotica, di linguistica e delle altre scienze dei linguaggi e dei segni, nel senso della filosofia del linguaggio, intendendo ‘del linguaggio’ non come indicazione dell'oggetto della filosofia, della filosofia che si occupa del linguaggio, ma come “la filosofia” del linguaggio stesso, come la sua attitudine al filosofare. Filosofia del linguaggio e intesa come filosofia del dia-logo, apertura all'altro, disposizione all'alterità, arte dell'ascolto, messa in crisi del mono-linguismo, del mono-logismo, inventiva, innovazione, creatività che nessun ordine del discorso, nessuna de-limitazione dei luoghi comuni dell'argomentare, può controllare o impedire. Il genere, come ogni insieme, uniforma indifferentemente, cancella le differenze tra coloro che ne fanno parte, e implica l'opposizione altrettanto indifferente con coloro che fanno parte del genere opposto. Ogni genere a cui l'identità si appella per affermare la sua appartenenza, per esempio comunitaria, etnica, sessuale, nazionale, di credo, di ruolo, di mestiere, di condizione sociale, è in opposizione a un altro genere: bianco/nero; uomo/donna; comunitario/extra-comunitario; co-nazionale/straniero; professore/studente. Afferma che ogni differenza-identità, ogni differenza di genere, al suo interno, è cancellazione della differenza singolare e ogni genere. Ogni identità presuppone, in quanto basato sull'indifferenza e sull'opposizione, prevede il conflitto.  L'unica differenza non indifferente e non oppositiva è la differenza singolare, fuori identità, fuori genere, come d“sui generis” è l'alterità. Alterità intesa come relazione con l'altro, alterità assoluta, di unico a unico, in cui ciascuno è in-sostituibile e non indifferente. Un'alterità che l'identità rimuove e censura, relega nel privato, ma che ciascuno vive e riconosce come vera relazione con l'altro. Altre saggi “La relazione inter-personale” (Adriatica, Bari), “L’altro” (Adriatica, Bari); “Linguaggio e re-lazioni sociali” (Adriatica, Bari); Produzione linguistica e ideologia sociale (Donato, Bari); “Persone, linguaggi e conoscenza” (Dedalo, Bari); “Filosofia del linguaggio e prassi sociale” (Milella, Lecce); “Dia-lettica e verità -- Scienza e materialismo storico-dialettico” (Dedalo, Bari); “La semiotica” (Dedalo, Bari); “Marxismo, scienza e problema dell'uomo” (Bertani, Verona); “Scuola e pluri-linguismo (Dedalo, Bari); “All’origini della semiotica” (Dedalo, Bari); “Segni e contraddizioni” (Bertani, Verona);“Spostamenti, Percorsi e discorsi sul segno” (Adriatica, Bari); “Lo spreco dei significanti. L'eros, la morte, la scrittura” (Adriatica, Bari); -- Grice: “Implicatura come lo spreco” -- Fra linguaggio e letteratura” (Adriatica, Bari); “Segni per parlare dei segni” (Adriatica, Bari); Filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari); Interpretazione e scrittura. Scienza dei segni ed eccedenza letteraria” (Bertani, Verona); eccedenza – spreco.  “Dialogo sui dialoghi (Longo, Ravenna); La filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari); “La tartaruga” (Ravenna, Longo); “Filosofia del linguaggio”; “Segni valori ideologie” (Adriatica, Bari); “Dialogo e narrazione” (Milella, Lecce); “Tra semiotica e letteratura” (Bompiani, Milano); “La ricerca semiotica (Bologna, Esculapio); “Il dialogo della menzogna” (Roma, Stampa alternativa, Scrittura, dialogo e alterità” (Nuova Italia, Firenze); Fondamenti di filosofia del linguaggio (Laterza, Roma); “Responsabilità e alterità” (Jaca, Milano); “La differenza non in-differente. Comunicazione e guerra, Mimesis, Milano);  “Il segno dell'altro: eccedenza letteraria e prossimità” (Scientifiche, Napoli); I ricordi, la memoria, l'oblio. Foto-grafie senza soggetto (Bari, Sud); Comunicazione, comunità, informazione -- comunicazione mondializzata e  tecnologia (Manni, Lecce); “I tre dialoghi della menzogna e della verità (Scientifiche, Napoli); “La rivoluzione bachtiniana. Il pensiero di Bachtin e l'ideologia contemporanea” (Levante, Bari); “Metodologia della formazione linguistica” (Laterza, Roma); “Che cos'è la letteratura?” (Milella, Lecce); “Elogio dell'in-funzionale -- critica dell'ideologia della produttività” (Castelvecchi, Roma); “Semiotica della musica. Introduzione al linguaggio musicale” (Graphis, Bari); “La coda dell'occhio. Letture del linguaggio letterario” (Graphis, Bari); Basi. Significare, inventare, dia-logare” (Lecce, Manni); “La comunicazione” (Graphis, Bari); “Fuori campo: il segno del corpo tra rappresentazione ed eccedenza (Mimesis, Milano); Il sentire nella comunicazione” (Meltemi, Roma); Semiotica dell'io” (Meltemi, Roma); “I segni e la vita la semiotica” (Spirali, Milano); “Uomini, linguaggi, mondo” (Milano, Mimesis); “Il linguaggio e le lingue. Introduzione alla linguistica generale” (Bari, Graphis); “I segni tra globalità e infinità. Per la critica della comunicazione globale (Bari, Cacucci); “Semio-etica (Roma, Meltemi); “Linguistica generale, scrittura letteraria e traduzione” (Perugia, Guerra); “Semiotica e dia-lettica, Bari, Sud); “La raffigurazione letteraria (Milano, Mimesis); Semiotica globale. Il corpo nel segno (Bari, Graphis); Testo come iper-testo e tra-duzione letteraria, Rimini, Guaraldi); Tesi per il futuro anteriore della semiotica. Il programma di ricerca della Scuola di Bari-Lecce, (Milano, Mimesi); Dialoghi semiotici (Napoli, Scientifiche); “La cifre-matica e l'ascolto” (Bari, Graphis); “Fuori luogo. L'es-orbitante nella ri-produzione dell'identico” (Roma, Meltemi); “A mente. Processi cognitivi e formazione linguistica” (Perugia, Guerra); Lineamenti di semiotica e di filosofia del linguaggio (Bari, Graphis); Tre sguardi su Dupin” (Bari, Graphis); “Scrittura, dia-logo, alterità” (Bari, Palomar); “Linguaggio, lavoro e mercato” (Milano, Mimesis); “La dis-sidenza cifre-matica” (Milano, Spirali); Contexto, Da dove verso dove. La parola altra nella comunicazione globale (Perugia, Guerra); “La visione ottusa” (Milano, Mimesis); “L’analisi, la scrittura” (Bari, Graphis); Interpretazione e scrittura, Scienza dei testi ed eccedenza letteraria” (Multimedia, Lecce); “In altre parole, Mimesis, Milano); “La filosofia del linguaggio” (Laterza, Bari); “Marxismo e umanesimo. Per un'analisi semantica delle tesi su Feuerbach (Dedalo, Bari); “Manoscritti matematici” (Dedalo, Bari); Saggi filosofici (Dedalo, Bari); Marxismo e filosofia del linguaggio (Dedalo, Bari); Freudismo, Dedalo, Bari); Semiotica, teoria della letteratura e marxismo (Dedalo, Bari); Il linguaggio (Bari, Dedalo); “Linguaggio e classi sociali. Marxismo e stalinismo (Dedalo, Bari); Il metodo formale e la teoria della letteratura” (Dedalo, Bari); “L'a-lienazione come fenomeno sociale” (Riuniti, Roma); “Il linguaggio come pratica sociale” (Dedalo, Bari); “Poli-fonie” (Adriatica,  Bari); Scienze del linguaggio e pluri0linguismo. Riflessioni teoriche e problemi didattici” (Adriatica, Bari); Scienze del linguaggio e insegnamento delle lingue e delle letterature. Annali del convegno (Adriatica, Bari); “Tractatus. Summule logicales” (Adriatica, Bari); “La significanza del senso, in “Idee”,  “La genesi del senso”;  Il linguaggio questo sconosciuto. Iniziazione alla linguistica (Adriatica, Bari); Il linguaggio come lavoro e come mercato” (Bompiani, Milano); Segni (Laterza, Bari); “Umanesimo ecumenico (Adriatica, Bari); “Semiosi come pratica sociale” (Napoli, Scientifiche Italiane, Napoli); “Semiotica e ideologia” (Milano, Bompiani); “Uccelli, Stampa alternativa, Baria); “Il mio ventesimo secolo” (Adriatica Bari); “Sulla traccia del grice” “Idee”, Emmanuel Lévinas, Su Blanchot (Palomar, Bari); “Maschere. Il percorso bachtiniano fino alla pubblicazione dell'opera su Dostoevskij (Dedalo, Bari); Idea e realtà dell'Europa: Lingue, letterature, ideologie, “Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere”, Schena, Fasano (Brindisi), Comunicazione, comunità, informazione” (Manni, Lecce); “Valéry, Cimitero marino, in “Athanor”,  Il Mondo/il Mare, e in “L'immaginazione”,  Problemi dell”opera di Dostoevskij  (Sud, Modugno (Bari); Behar, Al margine (Sud, Modugno Bari) Bachtin, Problemi dell'opera di Dostoevskij  Sud, Bari); “Significato, comunicazione e parlare comune” (Marsilio, Venezia); “La scrittura e l'umano, Saggi, dialoghi, conversazioni” (Bari, Sud); “Per una filosofia dell'azione responsabile” (Manni, Lecce); “Vivant, Riflessioni su Lévinas” (Bari, Edizioni dal Sud); “Marxismo e filosofia del linguaggio” (Manni, Lecce); “Il metodo della filosofia”; “Saggi di critica del linguaggio” (Graphis, Bari); “Disoccupazione strutturale, “Millepiani”, “Lingua, metafora, concetto”; “VICO e la linguistica cognitiva” (Sud, Bari); Meditazioni  (Sud, Bari); “Dall'altro all'io” (Meltemi, Roma); Vita, Athanor. Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura, Meltemi, Roma); “Linguaggio e scrittura” (Meltemi, Roma); “Trattato di logica. Summule logicales (Bompiani, Milano); “Il linguaggio come lavoro e come mercato” (Bompiani, Milano); “Basi della semiotica”; “Nel segno” (Bari, Laterza); “Mondo di guerra, Athanor; “Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura” (Roma, Meltemi); “Ideologia” (Meltemi, Roma); “Il freudismo” (Milano, Mimesis); Marx Manoscritti matematici, edizione critica con intruduzione (Spirali, Milano); Fucini, Le veglie di neri e All'aria aperta, ed. Critica, Sbrocchi (Bari, Dedalo); “Metodica filosofica e scienza dei segni” (Milano, Bompiani); “Semiotica e ideologia” (Milano, Bompiani); Qohélet: versione in idioma saletino e trad. italiana, Caputo, Lecce, Milella); In dialogo. Conversazioni (Milano, Esi, Athanor.  Umano troppo dis-umano (Roma, Meltemi); Linguaggi, Scienze e pratiche formative. Quaderni del Dipartimento di Pratiche linguistiche e analisi di testi, Lecce, Pensa Multimedia, La filosofia del linguaggio (Bari, Laterza); “La filosofia del linguaggio come arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca scientifica” Bari, Edizioni dal Sud, Athanor. La trappola mortale dell'identità, Roma, Meltemi e letture critiche, Bari, Sud, Calefato, Logica, dia-logica, ideo-logica. I segni tra funzionalità ed eccedenza, Semiosi, in-funzionalità, semiotica” (Milano, Mimesis); “La filosofia del linguaggio come arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca” (Bari, Sud,); Lingua e letteratura, conoscenza e coscienza”; “Identità e alterità nella dinamica della co-scienza storica”; “Tutto il segnico umano è linguaggio; Per Qohélet emigrato nel Sud è la vanità ad essere nienzi: dentr  il dialetto è straniera la parola dei re Nuessel, “Virtual; Dal silenzio primordiale al brusio della parola”; “Alla ricerca della parola “vissuta”; Tutt'altro”; “In-funzionalità ed eccedenza come prerogative dell'umano” (Milano, Mimesis). Augusto Ponzio. Ponzio. Keywords: il segno dell’altro, semiotica filosofica, segno, segnico, il segnico, l’amore, lo spreco del segno, Vico e la linguistica cognitiva; Landi; sottiteso, Grice, pragmatica, metafora, vailati. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponzio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Porta: la ragione conversazionale -- filosofia italiana -- there may be another!

 

Grice e Porta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale magica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Studia BRUNO a Roma. Cura “De umbris idearum” e il “Cantus Circaeus” in “Il nolese di ghiaccio” (Bompiani). “Ti presento Sophia”Altri saggi: “La Magia”; “Coincidenze miracolose, Storia della magia,e la trilogia di A come anima, A come amore e C come cuore; Dizionario dell'inconscio e della magia” (Sperling); “Tu chiamale se vuoi coincidenze” (Lepre). “Ricerca sul mito”  “Sulle orme degli antenati”  “Incontri nella notte, “Segnali”; "Immagini da leggere"; “Bellitalia”. “Parlato semplice”  “Bruno”,  “Storia della Magia”  “Storia della cavalleria”   “Il mare di notte”, “Inconscio e Magia”, “Inconscio e Magia Psiche”,  “Guarire insieme”. Studia il rapporto tra la filosofia antica romana e psicologia junghiana. Collabora a “Abstracta”. “La Magia”; “L’Arte della Memoria” “Anima Mundi” Insegna a Siena. Scuola di Psicoterapia Psicosintetica ed Ipnosi Ericksoniana “H. Bernheim” di Verona, Istituto di Comunicazione Olistica Sociale, Bari.  Filoteo Giordano Bruno di Nola, Il canto di Circe, Roma, Atanor, Ombre delle idee (Roma, Atanor); Itinerari magici d'Italia. Una guida alternativa, Centro, Roma, Mediterranee, I grandi del mistero, Firenze, Salani,  Storia della magia mediterranea, Roma, Atanor, Un'avventura nel Rinascimento” (Milano, Fiore d'oro); “L'essenza dell'amore” (Roma, Atanor); Meyrink iniziato, Roma, Basaia); “Morte di un bacio” (Roma, Lucarini); “I tarocchi di BRUNO Le carte della memoria” (Milano, Jaca); “Racconti di tenebra” (Roma, Newton); “BRUNO: tra magia e avventure, tra lotte e sortilegi la storia appassionante di un uomo che, ritenuto mago dai contemporanei, fu condannato per eresie dall'Inquisizione e arso vivo sul rogo” (Roma, Compton, La battaglia della montagna bianca, Chieti, Solfanelli, Fantasmi. Storie e altre storie sulle orme di James” (Roma, Compton); L’incubo e del terrore” (Roma, Compton); “Misteri di pietra” (Roma, Grapperia); “Racconti per amore” (Roma, Lucarini); “BRUNO: avventure di un pericoloso maestro di filosofia” (Milano, Bompiani); “Roma magica e misteriosa”; Dalla sedia del diavolo ai fantasmi di villa Stuart, dalla cripta dei Cappuccini alla Porta Magica di piazza Vittorio: un viaggio affascinante nel cuore segreto della città eterna e dei suoi dintorni” (Roma, Compton); “Misteri. Quasi un manifesto della letteratura del mistero e del segreto” (Milano, Camunia);  Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano, Rizzoli); Storia della magia. Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano, Bompiani); “Il ritorno della grande madre” (Milano, Saggiatore); “La magia” (Roma, Marsilio); “Coincidenze miracolose” (Roma, Idealibri); “Donne magiche” (Roma, Idealibri); A come anima, Milano, Pratiche, La quiete del Terrifico, Fasano, Schena, C come cuore. Pagine per lenire il mal d'amore, Milano, Pratiche, Intervista Ettore Bernabei, Roma, Eri, S come seduzione; “Dizionario dell'eros e della sensualità” (Milano, Saggiatore); P come passioni” (Dizionario delle emozioni e dell'estasi” (Milano, Tropea); “Dizionario dell'inconscio e della magia” (Milano, Sperling); L'armonia del dolore, Roma, Pagine, Agguato all'incrocio, Milano, Tu chiamale se vuoi coincidenze. Quaranta storie realmente accadute” (Roma, Lepre); “Il mistero di Dante”;  "Qui trovo libertà autentica", su ecoradio.  Gabriele La Porta. Porta. Keywords: implicatura magica, BRUNO, filosofia antica, Jung, il mistero di Dante, il mistero d’Alighieri, Roma, etimologia di roghi, maestro pericoloso, seduzione, sensualita, amore, estasi, storia della cavalleria, Atanor, Roma. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Porta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale fisio-nomica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vico Equense). Filosofo italiano. Grice: “He is the one with the funny illustrations of men and animals! The Italian way to comment on Aristotle!” Riceve le basi della sua formazione culturale in casa, dove si è soliti discutere di questioni filosofiche, e dimostra immediatamente le sue notevoli innate capacità, che poté sviluppare attraverso gli studi grazie alle condizioni agiate della famiglia. La famiglia ha una casa a Napoli a via Toledo -- il palazzo Della Porta -- una villa a Due Porte, nelle colline intorno a Napoli, e la villa delle Pradelle a Vico Equense. Tra i suoi maestri vi sono il classicista e alchimista PIZZIMENTI, e i filosofi ALTOMARE e PISANO. Pubblica “Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium”. Pubblica un saggio di crittografia, il “De furtivis literarum notis” dove scrive un esempio di sostituzione poli-grafica cifrata con accenni al concetto di sostituzione poli-alfabetica. Per questo è ritenuto il maggiore crittografo italiano. Quando già la sua fama è consolidata, presenta il suo saggio sulla crittografia a Filippo II e viaggia in Italia. Ha un saggio, “Sull'arte del ri-cordare” – ars reminiscendi (Sirri, Napoli).  Fondato intanto “i segrettari”, l'Academia Secretorum Naturae, Accademia dei Segreti, per appartenere alla quale e necessario dimostrare di effettuare una scoperta. L'accento viene tuttavia posto più sul meraviglioso che sul scientifico. Le raccolte di segreti costituivano un genere letterario che incontra una straordinaria fortuna con l'avvento della stampa a caratteri mobili. Per “segreto” si intende conoscenza arcana, ma anche ricetta, preparazione di farmaci e pozioni d’effetto straordinaro, riguardante un argomento di medicina, chimica, metallurgia, cosmesi, agricoltura, caccia, ottica, costruzione di macchine, ecc.  Colui che insegna a padroneggiarli è chiamato professore di segreti. I segrettari sono però sospettati di occuparsi di temi riguardanti la magia e l'occultismo, sicché  è indagato dall'inquisizione e il circolo dei segrettari chiuso. A lui è tuttavia concesso di continuare gli studi di filosofia naturale. Pubblica “Pomarium” sulla coltivazione degl’alberi da frutta. Pubblica “Olivetum”. Entrambi inclusi nella sua enciclopedia sull'agricoltura.  Pubblica  “De humana physio-gnomonia, della fisionomia degl’uomini” (Cacchi, Vico Equense).  Ritiene che l'animo non è impassibile rispetto ai moti del corpo e si corrompe per la passione. In “De ea naturalis physio-gnomoniae parte quae ad manum lineas spectat” (Trabucco, Napli) studia con attenzione i segni delle mani dei criminali. Un tale segno non è frutto del caso ma importante indizio per comprendere appieno il carattere degl’uomini. Pubblica “Phyto-Gnomonica” (Salviani, Napoli), dove evidenzia l'analogia tra piante e animali, stimolato dai contatti con alcuni alchimisti, poderoso saggio sulle proprietà dei vegetali messe in analogia con le varie parti del corpo umano, basato sull'antica dottrina delle segnature. Corredata da tavole illustrate, estende il concetto di “fisio-gnomica” alle piante -- elencandole a seconda della loro localizzazione geografica. Ravvisa collegamenti occulti tra la morfologia delle piante e quella dei minerali, degl’uomini, e persino, indirettamente, degl’astri e dei pianeti dell'astrologia, in una sorta di zoo-morfismo. Affascinato ed entusiasta per il gran Paracelso e per i suoi dottissimi seguaci perché la spagiria produce al mondo rimedi non mai più per l'addietro caduti negl’umani intelletti. Onde da solleciti investigatori de' secreti della natura applicati a morbi, ritrovano soblimi ed infiniti rimedi, onde la medicina, così gran tempo ristretta negl’angusti suoi termini, or, allargando fuori, ha ripieno il mondo de' suoi meravigliosi stupori. La sua villa è frequentata da CAMPANELLA (si veda). Amico di SARPI (si veda). Conosce anche BRUNO (si veda). Per ordine dell'inquisitore veneziano doveri chiedere il permesso per le sue pubblicazioni a Roma. Si incontra con SARPI e con GALILEI. Incontra i Cesi.  Pubblica la “Taumatologia” (Sirri, Napoli); “Cripto-logia” (Sirri, Napoli). Scrive ancora un saggio di ottica (“De refractione optices"), uno di agricoltura (“Villae”), due di astronomia -- “Coelestis Physio-Gnomoniae” (Paolella, Napoli) e “Della celeste fisonomia” (Paolella, Napoli) --  uno di idraulica e matematica -- “Pneumaticorum” (Carlino, Napoli) --, uno di arte militare (“De munitione”), uno di meteorologia -- “De aeris transmutationibus” (Paolella, Napoli) --, uno di chimica -- “De distillatione” (Camerale, Roma) -- e uno sulla lettura della mano – “Della chiro-fiso-nomia” (Napoli, Bulifon). Nel campo dell'ottica esercita notevoli contributi, indagando le proprietà degli specchi concavi e convessi, conducendo un minuzioso studio delle lenti descrivendo la costruzione di ingenti apparecchi ottici, tra cui la camera oscura ed il tele-scopio. Intraprende inoltre studi di chimica pratica che includono la fabbricazione di smalti, di polveri da sparo e di cosmetici. I numerosi esperimenti che ci descrive indicano un’attitudine che lo pone fra i principali chimici dell’epoca. I suoi studi sono caratterizzati principalmente dalla ricerca di farmaci dagl’effetti eccezionali, utili ad esempio per la memoria, per produrre sogni piacevoli o incubi, rimedi contro l’impotenza e la sterilità. Dei lincei. Ri-vendica l'invenzione del tele-scopio, resa nota da GALILEI (si veda). Fa parte anche di un circolo dedicato alla letteratura dialettale napoletana (Schirchiate de lo Mandracchio e 'Mprovesante de lo Cerriglio), e gl’oziosi. Raccogge esemplari rari del mondo naturale e coltiva piante esotiche. La sua villa e visitata dai viaggiatori e ispira Kircher a radunare una simile collezione nel suo palazzo a Roma. Commediografo e scrive “Le commedie” (Stampanato, Bari, Laterza), in prosa, una tragi-commedia, una tragedia e un dramma liturgico; “Claudii Ptolomaei Magnae Constructionis” (Vivo, Napoli); “Il Teatro” (Sirri, Napoli); “Villae” (Palumbo e Tateo,  Napoli);  “Elementorum Curvilineorum” (Cavagna e Leone, Napoli);  Accusato di plagio da Bellaso, che è stato il primo ad aver proposto questo tipo di cifratura X anni prima. Eco, Fedriga, Storia della filosofia” (Laterza Edizioni Scolastiche); Eamon, Il professore di segreti. Mistero, medicina e alchimia nell'Italia del Rinascimento, Paci, Carocci, Fumagalli, “Semplicisti e stillatori: l'arte degl’aromatari” (Milano, SGS, Gnome, su treccani. Turinese, “Zoo-morfismo, fisio-gnomica e fito-gnomica: antesignano della bio-tipologia in medicina,  in “Il cenacolo alchemico”, Paolella e Rispoli (Napoli, Il Faro di Ippocrate); Verardi, La scienza e i segreti della natura a Napoli nel Rinascimento: La magia naturale” (Firenze); Paolella, La Spagiria, ne Il Cenacolo alchemico, Paolella e Rispoli (Napoli, Il Faro di Ippocrate); Paolella, Carteggio linceo, in "Bruniana & Campanelliana", Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di filosofia, Convegno di Vico Equense, Torrini, Napoli, Piccari (Milano, Angeleli); Giudice, “II mago dell'arcana sapienza” (Milano, Via Senato); Paolella, “I Meteorologica di TELESIO, P. e Cartesio -- tra credenza e scienza,  Roma,  Associazione geo-fisica, Paolella, L’astrologia: la Coelestis Physiognomonia” (Poligrafici, Pisa); in "Atti del Convegno L’Edizione nazionale del teatro e l’opera, Salerno Montanile, Paolella, Appunti di filologia dellaportiana, Istituto italiano per studi filosofici, Napoli, Sirri, Paolella, Convegno, Roma, Scienze e Lettere, Santoro, La "Mirabile" Natura. Magia e scienza (Napoli-Vico Equense) Atti del Convegno, Pisa-Roma, Serra, Vivo, Tecnica e scienza, Serra, Pisa-Roma, in "La "Mirabile" Natura. Napoli-Vico Equense Santoro. Serra, Pisa-Roma, "La "Mirabile" Natura. Atti del Convegno, Vico Equense, dei Segretarii. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P., neapolitano autore (Neapoli, apud Ioa. Mariam Scotum); vulgò De ziferis, P., Neapolitano auctore (Neapoli, apud Ioan. Baptistam Subtilem, vulgo de ziferis, altero libro superaucti, et quamplurimis in locis locupletati. P., il mago dell'arcana Sapienza. Filologia. Filologia dellaportiana.   È famigeratissimo il Porta per la sua opera   della Fitonomia Umana, che prima compresa in quattro  libri, e poi arricchita di altri due, fu stampata in Na-  poli, in Francfort, in Anversa, e tradotta ancora dal-  l’originale latino in italiana favella: del che può vedersi  il Chioccarelli nella citata sua opera, che diligentemen-  te al suo solito ne tratta. Della medesima io ho vedute  queste due edizioni; De hvmava phynognomonia libri 4.    Digitized by Google     72   UrseUis 1650, c l'italiana stampala in Venezia nel 1652,  che comprende tutti i sei libri. I/autore crede, che sic-  come dalla diversa figura delle piante si potevano, se-  condo lui, arguire le varie proprietà delle medesime ;  cosi del pari dagli esterni lineamenti di tutte le parti  del corpo umano, finanche dalle unghie, c dalla maggio-  re, o dalla minor copia de’peli, si potessero rilevare le  naturali disposizioni de’temperamcnti degli uomini. Sic-  come poi avea bisogno di una norma per questa inve-  stigazione , perciò chiama in rassegna tutti quasi gli  animali, e confronta le configurazioni delle parti de'loro  corpi con le configurazioni di quelle dell’ uomo ; per  quindi poter conchiudere, che sicno ne’ diversi uomini  le conosciute proprietà naturali di quelle bestie , alle  quali si assomigliano nella forma della faccia, della fron-  te, del collo, delle spalle, del dorso, de’picdi, della boc-  ca, delie labbra ec. ec. ec.   A questo fine esamina l <4 medaglie, e le statue, che  erano nel musco di suo fratello Gio. Vincenzo; para-  gona le descrizioni, che gli antichi storici ci lasciarono  di que’ personaggi; corre al luogo, ove in que’tempi si  appiccavano alle forche i facinorosi, e conviene col Boia  di lasciargli esaminar le mani, i piedi, le spalle di que’  rei, credendo, che dalla figura di queste parti si po-  tesser conoscere i delitti, per i quali morirono; lo stes-  so fa nelle pubbliche carceri, e nella Chiesa di s. Rc-  stituta, avendone ottenuto permesso da coloro, che per  carità seppellivano i morti.   Io però non ho potuto mai persuadermi , che le  unghie rotonde sieno segno di lussuria, ed il petto sen-  za peli, argomento di sfacciataggine. E se nelle piante  non regge quest’analogia, molto meno può reggere, ed  applicarsi all’uomo, rispetto al quale noi siamo all'oscu-  ro come mai si formino le passioni; qual ne sia la sede;    Digitized by Google    o finalmente non sappiamo con chiarezza tutta l’econo-  mia dei cervello suo. Essendoci pertanto ignoti questi  punti fondamentali, io non veggo la ragione, per cui si  possa dire, che il naso a guisa di Rinoceronte in An-  giolo Poliziano, sia stato argomento dell’ alterigia sua,  simile a quella di quest’animale. Se Porta avesse cono-  sciuto il segreto di frenare il suo ingegno, portato sem-  pre al maraviglioso , ci avrebbe lasciata un’ opera in  questo genere , come la desiderava il Vcrulamio nel  primo capitolo del libro quarto della sua opera De aug-  menlfs scientiarum. Ma l’amor del sistema, e la fallace  guida dell’esterna analogia, lo cacciaron fuori del retto  e sicuro cammino. Qualunque però sia il merito di que-  sta sua letteraria fatica, sarà anche per lui una gloria  l’aver preceduto in questa scienza i moderni, senza pe-  rò aver imitata l’irreligion di taluno tra essi; giacché  Porta confessa esser questa scienza puramente di con-  gettura; esistere nell’uomo la vera libertà dell’arbitrio;  poter questa essere aiutata dalla divina grazia, ebo lo  rinfranca da quelle ruinc, che recò all'uomo il peccato  originale, ch’egli altresì confessa.   Appartengono poi alla stessa materia la sua Chì-  rofìsonomia , e la sua Fisonomia celeste; essendo la prima  una parte delia presente opera; e la seconda un’appli-  cazione de’medesfmi principii contro agli astrologi, di-  mostrando, che dalle proprietà de’diversi temperamenti,  rilevate dalfesterne figure delle parti del corpo umano,  si potevano derivare, ed arguire tutte quelle cose, che  gli astrologi stranamente spiegavano colle stelle.   52. Per quel che riguarda le sue cognizioni intor-  no alia memoria artificiale , egli le raccolse nella sua  opera, che porta questo titolo: Ars reminùcendi. Neapo-  li 1602. Raccomanda in essa principalmente l’ordine  nell’ apprender le cose , perchè è il mezzo più efficace     74   per ritenerne l’ idee ; il che gli dà ftiogo nei capitolo  quarto a lodare le matematiche: mathematicae percepito-  ne* , et praeiertim geometrica* j quia ordine , et diligenti dis-  posinone digesto* sunt, memoria facile continentur . . . .  Ubi non est ardo , ibi confusio. Suggerisce poi il noto  uso de’luoghi artificiali, in cui collocar l’idee; e quello  delle immagini , in cui associar le parole : nel che se  fosse stato più sobrio , si sarebbe incontrato perfetta-  mente con quanto poi scrisse Bacone intorno alla me-  moria artifiziale , alla fine del libro quinto della sua  opera De augmentis scientiarum. Ma arendo soverchia-  mente caricata di queste tali immagini, e luoghi la sua  esposizione per ventuno capitoli, ne’quali è divisa tutta  l’opera, par che in vece d’esserne favorita la memoria,  ne venga oppressa dalla moltiplicità di queste medesi-  me immagini, dall’uso de’ vari paradigmi di caratteri  arbitrari, e dall’ esame, e, per cosi dire , rassegna di  personaggi, di cose, di parole, con cui vuole egli, che  si trattenga ogni uomo nella regione della propria fan-  tasia.   CAPITOLO X.   SUE COGNIZIONI DELLA SCIENZA DELLE CIFRE.   53. Si potrebbe dire, che il Porta non avesse fatto  altro in tutto il corso della sua lunga vita, che imma-  ginar cifre: tanta n’è la moltiplice varietà da lui rac-  colta nell’ opera : De occulti s litterarum noti s , vulgo de  Ziferis. Neapoli 1 602. Gli accidenti della musica deter-  minati ad alfabeti; le fiaccole, i suoni, i numeri, le no-  te musicali adoperate per lettere ; gli alfabeti comuni  raddoppiati, o accorciati; le diverse figure, con cui dis-  porli; le varie specie di geroglifici: tutto vi è espo-  sto con una perpetua erudizione. Se l'opera fosse stata    Digitized by Google    75   un po’ più ristretta, ne riuscirebbe la lettura egualmen-  te piacevole, che quella di Bacone, che con sobrietà fi-  losofica ba saputo disporre le cose dette dal Porta, sul  principio del sesto libro de’ suoi Aumenti delle tcienze.  Alberto Fabricio ba verificata la lagnanza del Porta  circa il plagio fattogli da un francese , nell’ opuscolo ,  che appunto ha per titolo: Centuria plagiariorvm.   CAPITOLO XI.   ALTRE SUE OPERE.   54. Nel catalogo dell’ opere del nostro filosofo ne  ho accennato alcune, che non erano ancora state pub-  blicate da lui quando Io formò ; se poi 1’ avesse fatto  in seguito , io noi so , per quante diligenze vi abbia  adoperate, e perciò non ne parlo. Dorrei però dir qual-  che cosa di quell’ altro suo opuscolo citato più sopra  col titolo di Miracoli e maraviglioti effetti della Natura;  ma oltre al non averlo potuto aver tra le mani, me ne  dispensa dal farne parola il giudizio del medesimo Por-  ta, il quale, come ci attesta il P. Scotto nella prima  parte della sua Magia Universale al capitolo terzo , lo  condannò col non aver ricordato nella sua Magia le co-  se strane, che ivi avea scritte ; al che anche aggiunse  il non registrarlo nel citato catalogo. Delle sue com-  medie poi non debbo parlare, perchè sempre ho consi-  derato in lui per tutto questo mio opuscolo , il filoso-  fo, e non già il poeta. Ma se di passaggio se ne bra-  masse da taluno un giudizio, dirò pure, che elleno non  sono l'ultime per que' tempi; che gii applausi, con cui  furono ricevute, e rappresentate per l’Italia, conferma-  no un tal giudizio; e che finalmente, se la scena vi è  ingombrata di attori, se il prologo è spesso freddo, ed    Digitized by Google     76   il dialogo non sostenuto con dignità, bisogna ricordar-  si, che questi ed altri simili difetti si son sempre ri-  trovati in ogni arte , quando appena incominciava ad  uscir dalla sua culla.   GENERALE CONCHIUSIONE  DI QUESTO RACCONTO.   55. Nella conclusione pertanto di questo opusco-  lo dovendo finalmente produrre il mio sentimento sul  merito del Porta, e suifutililà da lui recate alle scien-  ze, io non temo d’errare nel dire, ch’egli sarebbe stato  veramente sommo , se avesse meno cercato di esserlo.  È fuor di dubbio, che a se stesso dovette la vera co-  gnizione de’canoni, onde filosofare sulla natura, e quel  che più importa, l’applicazion dc’medesimi alle naturali  discipline. Era tra noi precedentemente apparito Ber-  nardino Tclesio, acerrimo declamatore contro al Peri-  palo ; ma essendo stato ancor egli involto nell’ errore  de'tcmpi, che per ben filosofare, bisognava trascegliersi  una guida tra gli antichi filosofi , non fece altro , che  sostituire agli arbitrari principii de’suoi avversari, quel-  li similmente arbitrari di Parmenide , senza che per  questa sostituzione ne conseguisse alcun vantaggio la  Naturai Filosofia, che cambiava padrone, e non già mu-  tava servitù. Non così però il Porta, che sagacissimo,  intraprendente, c saggiamente libero si volse alla stessa  natura, che è anteriore alle ipotesi dell’uomo. La let-  tura delle opere degli antichi gli fece evidentemente  conoscere, ch’eglino aveano errato il cammino; percioc-  ché dopo tanti secoli, e dopo tanti stenti di uomini per  altro sommi, non vi si era per niente avanzato lo spi-  rito umano. Quindi magnanimamente si risolvette; co-  me ci fa sapere nella prefazione alla sua Chirofiwno-    Digitized by Google    77   miaj di cambiar metodo; e siccome quelli aveano stra-  namente preteso di voler prescrivere coi loro intelletti  le leggi alla natura, cosi egli per contrario, conoscen-  done la sublimità, e la grandezza, le si diede a mini-  stro, cercando di carpire dalle particolari esperienze i  generali principii delle sue leggi. La felicità de’ primi  tentativi, la novità delle cose, che di giorno in giorno  scopriva, gl’inebriarono per modo lo spirito, che lo pre-  cipitarono in un altro eccesso, qual si fu quello, di vo-  lerne esplorare, e stringere in un corpo tutti i regni,  nc’quali è divisa la medesima natura. Questa intempe-  ranza di brame, o come la chiama Plinio nel primo ca-  pitolo della sua Storia, questo furore, fu cagione, che  egli alcune volte tentasse finanche quel che era impos-  sibile, o si lasciasse sedurre da certe osservazioni non  sicuramente stabilite. In questo però merita compati-  mento; perciocché oltre la felicità de’successi, e la sor-  presa delle tante maraviglie, che, alzato in parte il suo  velo, gli disvelava la natura; ognuno ben sa, eh’ eran  questi i primi movimenti dello spirito umano, che sot-  trattosi da’ceppi di Aristotile, di Parmenide, o di altro  antico filosofo , incominciava da se a contemplare : e  questi primi movimenti sogliono costantemente unire  alla loro robustezza una certa irregolarità di direzio-  ne. Appunto come avvenne nell’epoca del risorgimento  delle Belle Lettere in Italia, che disotterratisi i codici  degli antichi scrittori latini, i nostri italiani avidamen-  te li divorarono con una irregolare lettura , onde ne  avvenne, che si formarono uno stile misto delle grazio  di Tullio coi concetti di Seneca, e di Plinio. Fu però  utile alle scienze questa scossa elettrica del Porta, af-  finchè dal grido, che menavano tante metamorfosi por-  tentose, e tante esagerate maraviglie, si destassero gli    Dìgitized by Google     78   altri a percorrere ancor essi il cammino della natura;  e quindi dalle replicate, e meglio ponderate esperienze  loro, si dissipasse la nube di tanti incantesimi , e ve-  nisse finalmente l’umana ragione condotta alla sobrietà  delle sue ricerche, ed alla gloria de’suoi trionfi. Giovanni Battista Della Porta. Porta. Keywords: implicatura fisionomica, filologia -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Portaria: la ragione conversazionale o -- Eurialo e Niso, ovvero, dello spirito – ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali alla scrittura, ch' uno la fugge, e l'altro la coarta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Todi). Filosofo italiano. Grice: “I like Portaria, but then anyone with an interest in Anglo-Saxon ‘soul’ should! – if a philosopher, that is! Unlike Anglo-Saxon soul who God knews whence it comes, the Romans had spiritus, and animus anima, which is cognate with animos in Greek meaning ‘wind’ – so that leans towards a hyle-morphic conception where the body (corpus) is what has the ‘materia’ and the ‘breath’ is the ‘forma’ --  Italian philosophers would ignore this – and more so now when Davidson is in vogue! – if it were not for Aligheri who has Portaria in “Paradiso” – there is indeed a serious philosophical confrontation between an ACCADEMIA and and a LIZIO conception of the soul as seen in the controversy between AQUINO (si veda) and P.! P. uses the same linguistic tools: is ‘spiritus’ synonym with ‘anima’? Or must we speak of ‘homonymy.’ And add ‘medium’ into the bargan! P. is less canonical than AQUINO and should interest Oxonians much, oh so much, more!” – Unfortunately, he was from Todi and donated all his manuscripts to Todi, which many skip in their Grand tour – although it IS on the Tevere as any member of the “Canottiere del Tevere” will know!” -- Grice: “My name is Grice – Paul Grice – Matteo’s name is Matteo Bentivgna dei Signori d’Acquasparta e Portaria. Nacque da una delle grandi famiglie delle Terre Arnolfe, quella dei Bentivegna, feudatari di Acquasparta e Massa Martana, trasferitisi a Todi. Studia a Bologna. Insegna a Roma. Alighieri lo nomina, biasimandolo, tramite le parole di Findanza  in opposizione a Ubertino da Casale: “Ma non fia da Casal né d'Acquasparta/là onde vegnon tali alla scrittura/ch' uno la fugge, e l'altro la coarta” (Par.). Società dantesca. Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia dantesca. Matteo d’Acquasparta. Matteo Portaria d’Acquasparta. Portaria. Keywords: filosofi citati d’Alighieri nella Commedia (Par.: ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali alla scrittura, ch' uno la fugge, e l'altro la coarta.). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Portaria” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Porzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nel lizio– filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “His surname is plain “Porta,” but in Latin that is latinised as ‘portius,’ and then this vulgarized as ‘porzio’!” – But then who wants to be called “door”?”  Studia a Pisa sotto NIFO (si veda). Scrive sul celibato dei preti (“De celibate”), sull'eruzione del Monte Nuovo (“Epistola de conflagratione agri puteolan”i) e sul miracoloso caso di digiuno di una ragazza tedesca (“De puella germanica”). I suoi saggi principali, fra cui il trattato di etica, “An homo bonus vel malus volens fiat” e in particolare il “De mente humana,” nel quale sostene la mortalità dell'anima secondo un'esegesi d’Aristotele – LIZIO. Proprio queste sue dottrine mortaliste, troppo facilmente accostate e sovrapposte a quelle sostenute da POMPONAZZI (si veda) nel “De immortalitate animae”, contribuirono a creare una leggenda biografica secondo la quale egli sarebbe stato allievo e quindi semplice epigono di PERETTO. In ogni caso, al di là di una innegabile tendenza materialista nella sua esegesi d’Aristotele del Lizio, evidente anche nel suo saggio, il “De rerum naturalium principiis,” sua produzione è caratterizzata anche da interessi teo-logici del tutto svincolati dai peripatetici del LIZIO e che sono particolarmente evidenti nei due commenti al pater noster che probabilmente non estranei ai fermenti evangelici della riforma italiana. Tra peripatetici, naturalisti e critici, "De’ sensi" e il "Del sentire, studi ittio-logici. Græcæ lingue grammaticam ab omnibus fere dixerim expectatam simul et expetitam, à quamplurimis  frustra promissam, à nonnullis vero quibusdam veluti delineamentis duntaxat adumbratam, nec ab aliquo satis adhuc  expressam, non tam explicaturus, quam editurus aggredior. Grande quidem ac perarduum opus nostrisque viribus impar;  sed non inaccessum. Nec enim omnium omnino difficultatum  ambages, syrtesque superare contendimus, sed  faciliorem  quandam ac brevem hujusmodi Grece lingue notitiam  methodum instituimus. Quoxiam vulgaris hec grecorum lingua suam, ut par est, originem non inficitur, ac fœcundam illam linguarum 1: parentem ἑλληνίδα διάλεκτον, matrem agnoscit, non mirum si ad  ipsam tanquam ad fontem existimem recurrendum, et plurima ex ipsa deprompta censeam referenda. Habet igitur hæc quoque suas XXIV literas, ut  illa, paritérque dividit eas in vocales et consonantes. Vocales  quidem VII agnoscit -- a, e, n, t, o, v, ω -- ex quibus sex proprias diphthongos format at, av, ει, ευ, ot, ov: ex impropriis  tamen preter n, w, et νι, nullas alias admittit. Jam consonantes sunt XVII -- 8 9 60x Au vEmpoactoy d,  ex quibus quaedam tenues r x r; quaedam aspiratæ 0 9 χι  quedam medie f y 2; quedam duplices ὅ E ; quedam  denique immutabiles À u ν p.    et  20 25    8  Quod attinet ad pronunciationem, miror quosdam doctos  licet et non vulgari præditos eruditionis varietate ed temeritatis devenisse, ut germanam, integram, ac πατροπχοάδοτον  recentiorum Graecorum pronunciationem, chimericis nescio   3 quibus ducti conjecturis, totis viribus ausi fuerint quam sane  temerario judicio, sic irrito conatu pervertere, ac deturpare.  Profecto si Grecis maternæ linguæ flexiones, et una cum  lacte acceptos haustosque sonos et accentus puros et intactos  audes denegare, cur barbariseos concedas, cur extero cui-   ο que qui aliarum Nationum aecentus suo nativoque accommo-  dat, toto, ut aiunt, ccelo à recta earumdem Nationum aberrans  pronunciatione atque deflectens. Verum hæc obiter tetigisse  sat erit, pluribus enim prosequi, et vehementius in eos invehi  præsens prohibet institutum, ac brevitatis amor.   i3 Quare ut eo redeat, unde parum aberravit oratio, dicam  de literis in particulari, et primo quidem de A, quæ ore debet  proferri pleno, numquam depresso. Neutro omnia in plurali  hac litera terminantur, quidam etiam in singulari, præci-  puéque Verbalia, ut atvcux no0ti0 à «vo, πάλαια lucta à πα-   4) Àxiée. Item omnia fere nomina substantiva, et non verbalia  fwminini generis, ut μοῦσα Musa, κάψα calor, dix sitis, etc.  Est praeterea terminativa Aoristi tam activi (P. b) quam passivi  modi Indicativi, ut ἔχαμα feci, ἐγοάφθηκα scriptus sum.Sic etiam  desinunt omnia adverbia, ut xx22 benè, σεφὰ doclà, &aímux  es egregió, et hujusmodi plura.   B, effertur ut V Consonans, nec ponitur nisi in medio vel  initio dictionis, numquam in fine. Quod autem β sonet V  Consonans ex hoc maxime constat, quod Greci dum B Lati-  norum pronunciationem volunt exprimere, in nominibus præ-   3) cipue quibusdam ab ipsis Italis mutuatis, et à græcaliterali  quam longe distantibus non utuntur fj, sed uz, quod apud illos  sonat b, ut videre est in dictione bombarda quam nostri  Græci sic scribunt µπομπάρδα.   l', varie sonat pro varietate vocalium quibuscum alligatur ;   3; Na cum a, o, o, et ου, eodem prorsus effertur modo, quo, g  Latinorum in ga, go, et qu : At cum i, z, v, ot, e et αι  editur ut gÀ, vel ghiè Italorum, et ut gue et gui Gallorum.  Jante aliam 7 posita, et ante, sonat ut» ut ἄγγελος angelus,  αγκαλλιόζω amplector. # A, densiori quodam spiritu, quam D Latinorum edi debet.  Hispani ad hanc pronunciationem maxime omnium accedunt.   E, valet E. In hanc vocalem terminantur præcipue Vocativi singulares Nominum Masculinorum, quorum Nominativus  est in ος, ut xa: bone, ἄτυχε improbe, etc. Item secundae  persone numeri pluralis Verborum cuiuscunque sint modi,  sicut etiam secunda persona numeri singularis Imperativi,  ut «zu: fac, λέγε dic. Item tertia persona Aoristi tam activi ;  quam passivi numeri singularis modi Indicativi. Græci nostri  carent c clauso, uno namque sono, eóque aperto, ut reliquas  omnes vocales, edunt. Z, suaviuseffertur Latinorum Z, æquivaletquesimplici  8, cum in medio dictionis ponitur, ut in hac voce, Musa. Z 10  insuper post r, sonat c, ut in hac voce, ἔτζι constat, et in aliis  pluribus.   H, sonat I, et non E, ut quibusdam placet, eruditis quidem  alioqui viris, at non Grecis, quibus inauditus est hujusmodi  sonus, et omnino peregrinus. Est terminativa nominum tantum generis fœminini, et precipue adjectivorum, ut καλὴ  bona, ἄσποη alba. Item tertiæ persone numeri singularis  Verborum modi Subjunctivi, subscripta « ut διά νὰ κάωῃ ut  faciat.   0, funesta litera, et à solis fere Græcis proferenda, characteribus aliarum linguarum, vel vocibus exprimi scriptis  minime nequit, videtur tamen accedere ad prolationem s,  balbutientium. I, valet I, in quam desinunt omnia fere neutra, quæ  derivantur à græcoliterali in tov, ut ψωμί à φωμίον: κλαδὶ à κλα- 35  div. δακτυλίδι à ὁχκτυλίδιον. Item omnia diminutiva in κι, ut  ανθρωπαάκι homunculus, et alia innumera.   K, æquivalet C, sed diverso modo; nam cum a, o, o, ov,  sonat ca, co, et cu : at cum i, v, €, v, εἰ, ot, et αι, correspondet  qui et que Gallorum, vel etiam italico chí et chie. K, post y 5  ety, profertur ut g, verbi gratia τὸν κόσμον, et αγκάλι͵ ton gos-  mon, et angáli dicemus. A, valet L, ac semper eundem retinet sonum ante quascun-  que vocales, et diphthongos posita, licet quibusdam videatur  aliter exprimenda ante «, voluntenim tunc idem prorsus sonare, 3:  quod gli Italorum, vel // Hispanorum. Utrumque sonum non  improbo. M, sonat M, quæ si ponatur anter, variat illius sonum,  ita ut proferatur ut b, ut constat in voce µπαμπακι, bambáki,  id est bombyx. 40   N, quanvis ante a, €, ο. o, αι et ου, Sonet na, me, πο, nu;  attamen ante :, οι, ει et υ (in nobilioribus saltem presentis Grecis locis) sonum gni Italorum, vel duplicis nn Hispanorum prz se ferre videtur. N, ante π æquivalet m, et x b,  exempli gratia τὸν πατέοα patrem. pronunciamus tom batéra.  Est insuper finalis accusativi singularis primæ et secundae   5 declinationis, et omnium genitivorum numeri pluralis, item-  que Nominum neutrorum in ον.   E, effertur ut cs, non vero (ut perverse quidam) tanquam  gs.   O, sonat O, ore aperto prolata. In hanc desinunt quamplu-   io rima nomina neutrius generis, ut ἄλογο equus, etc. quee de-  berent terminari in ον, si spectetur eorum origo.   II, valet P, sed post µ vel v, respondet B LATINORVM, ut  patet in dictione murs mitto, pémbo, et aliis. Vertitur ali-  quando in ο ut βλάπτω, βλάφτω noceo, γλύπτω γλύφτω scalpo, et   15 alia non pauca.   P, æquivalet R, initio dictionis semper spiritu aspero notatur, . cum vero sunt duo (ut fere contingit in medio alicujus  dictionis) primum leni notatur spiritu, secundumautem aspero.  Ponitur interdum loco À, ut στέλνω otéws mitto ; sed hoc ni-   + mis corrupte : melius agitur dum p vertitur in À, præcipue in  dictionibus externis dicendo σκλίµα pro σκρίµα Italico, id  est gladiatura, etc.   3, sonum 8, refert cum sibilo, estque terminativa omnium  prorsus nominum ac participiorum generis masculini, ut   25 ἀντώνιος Antonius, στέκοντας Slans : item accusativorum omnium tam masculini, quam foeminini generis numeri plu-  ralis, ut τοὺς 42205; bonos, ταῖς ἀτνχίχις iniquitates : itemque  nominativorum pluraliumgeneris fceminini, ut αρεταῖς virtutes,  µανάδες matres, etc. Ponitur etiam in fine secundæ person:   3ο omnium Verborum activorum numeri singularis, ut δέρνεις  verberas, κλέγτεις furaris, et omnium temporum activa et  passive significationis eiusdem numeri (si imperfectum pas-  sivum excipias) ut &ov:; verberabas, ἔδηρες verberasti, éózo-  θηκες verberatus es, et hujusmodi.   3s T, mystica, ac salutaris litera sonat T, verum posita post v  sonum 0, assumit, ut ἄντρον antrum quasi andron, et ἐναντίον  contrarium enandíon.   Y, idem munus subit quod, I, estque finalis quorundam gra-  vitonorum generis neutrius, ut γλυχν dulce, βαρὺ grave : item   # et eorum qua derivantur à græcaliterali lingua in voy, ut dixzu à ὀέκτυον, et reliqua plura.   $, sonum habet F, vel ph, ut φέονω fero. X, sonus hujus literæ scriptura nequit ostendi, qui tamen  Florentinorum C noverit, ejusdem literæ pronunciationem  non ignorabit, quanvis non tam aspere sit edenda. Sane si  chi Gallicum careret sibilo, et Italicum sci, non longe dista-  rent à Greco y.   V, valet ps, ut Ψαλμός Psalmus.   Q, idem przstat quod O, estque terminativa omnium Ver-  borum activa significationis tam presentis quam futuri, ut  ayamà Qo, θέλω αγαπήσει amabo. Mutatur non raro à Græca-  literali in hac vernacula lingua in ov, ut ζωμίδιον jusculum,  Couuí, à πωλῶ Vendo, πουλῶ, et à μιμὼ simia, μαϊμοὺ, etc. Atque  heec de literis, jam nonnulla dicamus de Diphthongis. Αι, correspondet LATINÆ diph{P. 13)thongo, c, in hanc ter-  minantur prima, secunda, et tertia persona singularis przesentis  Verborum tam passivorum, quam deponentium. Item et tertia  persona pluralis ejusdem temporis, et nominativi pluralis nominum fcemininorum, et masculinorum prima, et secundae  declinationis.   As, ut plurimum sonat af, ut αὐτὸς épse aftos, interdum  vero a6, ut avr aula, quasi An. Quare quoties post «v se-  quitur 8, ἔ, c, 7, 9, x, edenda erit ut a/, si vero post ipsam po-  nantur vocales, vel cæteræ alive consonantes, supradictis  exceptis pronuncianda erit ut a6.   Ει, facit 2, estque terminativa secunde et tertie persons  presentis, et futuri activi Verborum barytonorum, ut γρά-  peus γράγει, et θέλεις γράψεις, θέλει γραψει. —   Εν, effertur ut ef, modo ut :6. (P. 14) quando autem debeat  pronunciari ut ef, quando vero ut «5 observanda est supra-  dicta regula de αυ.   Οι, æquivalet etiam i. Cuius terminationem amant omnes  nominativi plurales nominum terti: et quarte declinationis.   Ον, correspondet ow Gallorum, ac sonat « Italorum. Hanc  terminationem habet secunda persona imperfecti modi indi-  cativi passive significationis. item omnes fere genitivi singu-  lares nominum masculini generis, et neutrius, si barvtona  excipias in 2; et 7;, et quæ desinunt in «. Item nonnulla no-  mina fœminina ut μαϊμοὺ simia, etc. III habet vernacula hæc Graecorum lingua ut literalis accentus, acutum videlicet ut λόγος, gruvem ut zu, et  5 tandem eircumflexum ut zu.   Loci accentuum sunt quatuor, ultima, penultima, antepo-  nultima, et præantepenultima. Ultima tres recipit accentus,  non quidem omnes simul cum una dictio unius tantum sit  capax accentus, sed potest vel acutum, vel gravem, vel cir-   ω cumflexum, prout ratio exigit, suscipere.   Accentum gravem habent omnia monosyllaba ut τὶς, νὰ, δα,  etc. Item adverbia in +, quæ derivantur ab adverbiis græco-  literalis linguæ in à; cireumflexe, ut cogz docte, À σονῶς, «ax  bene, à 22)5:, et hujusmodi plura. Nomina etiam neutra dis-   15 8vIlaba in 4, ut κεοὶ cera, voovi corpus, et alia.   Accentum circumflexum suscipiunt genitivi tam singula-  res, quam plurales, in quorum recti ultima ac(P. 16)centus est  vel acutus, vel gravis, vel circumflexus, ut 0co; Deus, θεοῦ,  vw, honor, τιμῆς, Y, αρεταῖς virtutes, τῶν αρετῶν. Eundem observant accentum accusativi plurales nominum secundæ declinationis, et omnia verba circumflexa.   Penultima etiam duos admittit accentus acutum videlicet  et cireumflexum : hunc suscipit cum penultima est naturá  longa, et ultima brevis in dictionibus plerunque dissyllabis,   i5 ut μοῦσα, θαῦμα, etc. item in iis, quæ terminantur in ovzs, ut  αἰῶνας S@CUTUM, a, ὤνας certamen, et in participiis verborum  circumflexorum, ut χτυπῶντας verberans, αγαπῶντας amans, et  sic de reliquis.   Acutum vero requirit cum utraque est vel brevis, vel   3) longa, ut λόγος verbum, γώρχις urbes, vel longa per ap-  positionem, ut (άῤῥος fiducia. Omnia neutra plurisyllaba  in «, habent accentum acutum in penultima, ut παιγνίδι  ludus, ἀνλρωπακι homunculus. Item omnia plurisyllaba cujus-  cunque sint generis, dummodo habeant ultimam longam   3; acuuntur in penultima, sicuti et omnia verba quæ non sunt  circumflexa, ut ὀννατώνο corroboro, σταλερώνω confirmo, et  alia.   Antepenultima duntaxat acuitur, si ultima fuerit brevis,  ut ἄνλρωπος lomo. Ceterum nonnulli et recentioribus Græcis   1, non solent respicere ad ultimam syllabam, sed LATINORVM more habita ratione quantitatis penultimæ, antepenultimam  acuunt si penultima fuerit brevis, ut ἁγιώτατη sanctissima  pro ἁγιωτάτη, ἄδικους injustos pro ἀθίκους, etc. Melius tamen  videtur et elegantius regulas accentuum observare literalis  grammaticæ, ad quam velim confugias. Præantepenultima vero acutum agnoscit et circumflexum,  acutum quidem in iis, quorum penultima est in «x, ut  ἀναγκάλλιασις exultatio, ἐνύχτιασεν nox facta, est, quasi ια, uni-  cam efficiat syllabam, et in προπαροξυτόνοι, quibus additur  particula νε, ut κάαμετε, χάμετενε facitis : circumflexum autem in 1  iis quorum penultima circumflectitur, et iis additur articulus  cum particula νε, ut εἰδατονε vidi illud.   Jam spiritus in hac ipsa lingua iidem penitus sunt qui in  græca literali, lenis videlicet, et asper, iisque eodem modo  in utraque lingua utendum est. Quare non parum sumet uti- 15  litatis, et commodi tam in orthographia, quam in nominum  declinatione, inflexionéque verborum is, Qui grainmaticam  græcam apprimè calluerit. Cux VIII sint ORATIONIS PARTES, Articulus scilicet, Nomen,  Pronomen, Verbum, Participium, Propositio, et Conjunctio,  de iis singillatim habendus erit sermo, si prius dixerimus quot  casus ac numeros vernacula Græcorum lingua admittat.   IV igitur in quocünque numero casus agnoscit, nominativum, genitivum, accusativum, et vocativum. Genitivus ultra propriam significationem retinet etiam Dativi, ut  σοῦ δίδω tibi do. Accusativus vero non raro ponitur loco genitivi, et præcipue pro articulo cà», ut % τιμήτους pro ἡ τιμήτων  honor illorum, et dicunt ἕνα κομμάτι dou pro bou, idest, so  Jrustulum panis. II tantum sunt numeri tam verborum quam nominum, SINGVLARIS videlicet, et PLVRALIS: respuit namque dualem numerum h:ec lingua, utpote solis Atticis proprium, à  quorum melliflua suavitate quanvis longe distet, suas tamen ss  habet et Musas et gratias.   Articuli nominibus præfigi debent; sed quando : hoc opus  hic labor est. Cæterum vel usus optimus erit præceptor, vel  tua temet materna lingua docebit. Nam si tua lingua articulis  utitur, ubi eos ponere in ipsa conaberis, ibidem collocabis in :  greca. Exempli causa, si Gallice loquens dicas, la feste de  Nostre Dame, eadem græce vertens enunciabis cum articulo ἡ ἑορτὴ τῆς θεοτόκου: 8i vero dicas, nous avons grande  s Feste absque articulo, dices etiam græcè, ἐμεῖς ἔχομεν μεγάλην  ἑορτὴν, nullo præposito articulo. Adverte tamen in nomine, 9::;, semper præponendum  esse articulum, quanvis in aliis linguis non praeponatur, di-  cendum enim semper est ó θεὸς cum articulo, unde cum dicunt gloria tibi Deus, addentes articulum aiuntdezx σοι ὁθες. Adverte etiam Grecos vulgares carere articulis postpositivis, pro quibus LATINORVM more relativis qui, quce, quod,  utuntur, postponentes ὁποῖος, ὁποῖα, ὁποῖον, ac præfigentes articulos, ὁ, 7», τὸ, ut ὁ Πετρος 6 ónoio; Petrus qui.  i$ Tres sunt articuli præpositivi, à quibus genus nominum  dignoscitur, ó masculini generis, ἡ foeminini, et τὸ neutrius.  Sic autem flectuntur,  Masc. Fam. Neut.  Sing. No. ohic. No. hac. No. ro hoc.  20 Ge. τοῦ Ge. ri Ge. τοῦ  Acc. toy AC. Tv AC. To  Voc. © Voc. © Vo. «©  (P.22)Pl.No. ci hà ^ No. ai vel να No. τὰ hcc  Ge. τῶν Ge. τῶν Ge. τῶν  25 Ac. TOUS Ac. ταῖς vel τῆς AC. Ta  Vo. © Vo. o Vo. à    Ex his facile colligi potest quam malé alii notent in plurali  articulum f@mininum per οἱ diphthongum, quæ soli masculino  generi convenire debet. 5 vel τῆς videtur Ionica loquutio,   30 cujus est mutare in η, nec temere usurpari potest pro αἱ et  Tai.  Qv.x de Nominum divisione inseri hoc loco possent, utpote as Satis dilucida ex aliorum grammaticis, ne in iis recensendis tempus terere videar prætermittam. Dicam tantum qu:  propria censeo in hac lingua.Variæ igitur multiplicésque sunt nominum terminationes, quæ varias etiam sortiuntur declinationes, quarum  numerus licet communiter quaternarius assignetur, à me tamen majoris claritatis ergo sextuplex tradetur. Erunt quippe  declinationes quatuor ἰσοσύλλαξοι, id est parisyllabæ, una par-  tim ἰσοσύλλαξος, et partim περιττοσύλλαξος, quæ in plurali tantum 5  incrementum suscipit, altera demum omnino περιττοσύλλαθος,  qui in utroque numero incrementum admittit. I nominum declinatio est tantum masculinorum in a;  et ης, quorum genitivus in ov, licet satis barbare, et nimis  corrupte apud vulgus exeat in a, vel in η, juxta terminatio- 10  nem nominativi, cum id proprie contingat in accusativo ad-  dito y, quam tamen nonnulli abjiciunt. Pluralis est in auc, ge-  nitivus in à», accusativus et vocativus, ut nominativus.  Exemplum ín az.  Sing. Plur. 15  No. τχµείας promus. .. No. οἱ ταμείχις  Ge. τοῦ ταμείου Ge. τῶν ταμειῶν  ACC. Toy ταμείαν Αο. τοὺς ταµείαις  Voc. à ταμεία Vo. à ταµείαις  Exemplum n ης. 20  Sing. Plur.  Nom. κλέφτης fur. Nom. οἱ χλέφταις  Gen. τοῦ χλέφτου Gen. τῶν κλεφτῶν  Acc. Toy χλέφτην Acc. tous «Jta;  Voc. κλέφτη Voc. κλέφταις 25    Adverte quædam nomina propria in ας oxytona posse termi-  nare genitivum singularem et in ov, et in a, ut Πυλαγορας, τοῦ  Πυθαγόρου, et Πυθχγόρα, quædam vero in a; circumflexa retinere  tantum x in genitivo, ut ó Λουκᾶς, τοῦ Λουκά, etc.  II declinatio foemininis duntaxat gaudet nominibus, 3o  quorum nominativus est in x vel », genitivus in ας vel v;  juxta recti vocalem. Accusativus autem in ἂν vel vy  prout fuerit ultima vocalis nominativi. Exemplum £n a. Sing. Plur. 35  No.  49Jíz amicitia. Nom. » φιλιαῖς  Ge. τῆς φιλιᾶς ! Gen. τῶν φιλιῶν    1. Dans l'édition originale, le texte porte της φιλιᾶς et x φιλιαῖς.  AC. | rhv qUuxy Acc. ταῖς φιλιαῖς  Vo. © φιλιά Voc. © suis  | Exemplum in η.  Sing. Plur.   5 Nom. γνώμη opinio. No. 5$ γνώµαις  Gen. τῆς γνώμης Ge. τῶν γνωμῶν  Acc. τὴν γνώµην AC. ταῖς γνώμαις  Voc. © γνώµη Vo. © γνώμαις. Nota híc vocativum singularem et pluralem similem esse  10 utrique nominativo ; quod non contingit in prima declina-  tione, in qua vocativus singularis amittit ;. Item genitivum  pluralem notari semper accentu circumflexo, ut fit etiam in  prima. III declinatio omnia genera nominum complec-  i3 titur, quorum masculina, muliebria, et communia termina-  tionem habent in ος, neutra vero in ον, vel in o, genitivus sin-  gularis in ov, accusativus in ov, et vocativus in e. Exemplum masculinorum ín os.    Sing. Plur.   40 No. 6 λογισμὸς cogitatio. No. οἱ λογισμοὶ  Ge.  roù λογισμοῦ Ge. . rà» λογισμῶν  Acc. toy λογισμὸν Ac. τοὺς λογισμοὺς  Voc. ὦ λογισμὲ Vo. à λογισμοὶ   Exemplum fœmininorum in os. 25 Sing. Plur.  No. ἡ ἔρημος Solitudo. Nom. ἡᾗ ἔρημοι  Ge. τῆς ερήμου Gen. τῶν ἑρήμων  Acc. τήν ἔρηαον Acc. rai; ἐρήμους  Voc. ὦξρημε Voc. à ἔρημοι ο Hoc eodem modo flectuntur communia additis præpositivis  articulis ó et 2, ut ὁ et % παρθένος tírgO, τοῦ καὶ τῆς παρθένου, etc. Exemplum neutrorum in ον.  Sing. Plur.  No. ro ὀένδρον arbor. Nom. τὰ δένδρα  35 Ge. τοῦ δένδρου Gen. τῶν δένδρων  AC. τὸ 0cyJpoy Acc. τὰ ὄκνδρα    Voc. à δένδρον Voc. à δένδρα. Sciendum autem hic est nomina neutra tres casus habere  similes in quocünque numero, rectum videlieet, accusativum  et vocativum ; quod non tam verum est in hac declinatione,  quam etiam in cæteris aliis, quæ neutra nomina continent.   QvanTA declinatio est masculinorum in ας et ης, quorum  flexio partim convenit cum nominibus prim:e declinationis,  partim vero cum nominibus tertie. Horum igitur genitivus  singularis est in ου, accusativus et vocativus in « vel η juxta  terminationem nominativi.  Exemplum in ας.   Sing. s Plur.  No. 6 σχλιχκας cochlea. No. οἱ σαλιάχοι  Ge. τοῦ σχλιάκου Ge. τῶν σαλιάκων  Acc. toy σᾶἄλιακα Ac. τοὺς σαλιάκους  Voc. © σᾶλιακχα Vo. o σαλιάχοι    Exemplum £n ης.  Sing.  Plur.  No.  6 µάστορικ artifex. Νο. οἱ µαστόροι  Ge. τοῦ µαστόρου Ge. τῶν µαστόρων  AC. τὸν µαστορη AC. Ἅτοὺς µαστόρους  Vo.  Ó µάστορη Vo. à µαστόρη    Animadvertas velim in hac declinatione semper nominati-  vum, et vocativum pluralem debere acui in penultima: voca-  tivum vero singularem acui in antepenultima si nomen sit  trisyllabum, si vero quadrisyllabum in præantepenultima,  sive quod idem est servare semper accentum sui nominativi,  ut ex allatis exemplis licet colligere. V declinatio amplectitur tam masculina in az et  7; barytona, quam in τς ὀζύτοναχ, et foeminina in +, quorum obli-  qui singulares retinent.recti vocalem ablata ς in masculinis,  et addita in foemininis. Pluralis vero nominativus est pluri-  syllabus in ade; vel οὔδες, genitivus in ων, accusativus et voca-  tivus similes sunt nominativo.    Exemplum ín as,    Sing. Plur.  N. — ó µασκαρὰς nugator. N. οἱ 202020  G. τοῦ µασκαρὰ α. τῶν µασκαράδων  Δ. τὸν µασκαρὰ Α. τοὺς µασκαράδες  V. ὦ µασχαρὰ γ. ὦ µασκαραθες.    MEYER. GRAMM. GRECQUE]  Exemplum in xs.    Sing. Plur.  No. 6 χριτῆς judez. No. οἱ χριταθες  Ge. τοῦ xp Ge. τῶν κριτάδων  s ACC. Toy χριτὴ Acc. τοὺς χριτάδες  Voc. ῥὦ κριτή Voc.  ó κριτάδες,  (P. 30) Exemplum ὃν ις.  Sing. Plur.  No. 6 xps domínus. No. oi χυροῦθες  10e. τοῦ χύρι Ge. τῶν κυρούδων  Acc. τὸν χύρι Acc. τοὺς κυροῦδες  Voc. à χύρι Voc.  & χυροῦδες Adverte composita ex isto nomine χύρις ut νοιχοκύρις; Χαραθοχύρις, etc. formare nominativum pluralem in ide; non in οὔδες,  15 dicimus enim νουιοχύριδες, καραβοκύριδες retinentes t, in omnibus  obliquis.  Exemplum feminini in a.  Sing. Plur.  No.  #ucyx mater. No.  * µανάδες  s) Ge. τῆς μάνας Ge. . tà» μανάδων  Acc. hy μάνα Ac. ταῖς µανάδες  Voc. µάνα Vo. ὠμανάδες    Ex quibus colligi potest nomina in ας et ης masculina, et   foeminina in « habere nominativum pluralem in ἄδες sola  e; vero masculina in & in oie.   (P. 31) Sexra, et ultima declinatio continet tantum nomina  περιττοσύλλαθα neutrius generis, quorum terminatio est α vel :,  genitivus plurisyllabus in ου, ac cæteri casus ut nominativus.  His addi possunt nomina neutra in v.    30 Exemplum in a.  Sing. Plur.  Νο. ro κρίμα peccatum. No. tà κρίµατα  Ge.  roù κριµάτου Ge. τῶν κριμάτων  AC. To χρίµα AC. τὰ xpipata  35 Vo. © χρίµα Vo. à κρίµατα    Adverte hzc nomina desinentia in x, posse etiam terminare  genitivum singularem in ος juxta regulam græcoliteralis grammaticæ, ut si quis pro χριµάτου diceret κρίµατος, pro στο-  µάτου στὀµατος, et sic de reliquis.    Exemplum in ι.    Sing. Plur.  Nom. τὸ rx puer. Νο. τὰ παιδιὰ $  Gen. τοῦ παιδιοῦ Ge. . rà» παιδιῶν Acc. τὸ παιδὶ Acc. τὰ παιδιά  Voc. o παιδί Voc. © παιδιὰ    Observandum est hoc loco apud quosdam non circumflecti  genitivum singularem, et pluralem nominum desinentium in 10  i quum dicunt τοῦ παιδίσυ, et τῶν παιδίων cum accentu acuto.  Verum communis usus utrósque circumflectit, quem etiam  sequendum esse censemus, cum ipse hac in re non minimi sit  ponderis, ac momenti. HETEROCLYTA nomina dicuntur, qu: vel novam sortiuntur  flexionem in plurali diversam à singulari, vel genus mutant aut accentum, vel peculiarem quendam declinandi modum,  irregularem tamen constituunt. Ad primum genus hete- 1ο  roclvtorum revocari possunt omnia nomina foeminina in ες,  quorum flexionem unius exemplo satis ediscere poteris. Exemplum n s. Sing. Plur.  Nom. 7 πίστις fides. No. nn πίσταις i5  Ge. τῆς πίστις Vel πίστεως Ge. τῶν πίστεων  Ac. τὴν πίστιν Acc. tais; πίσταις  Vo. © πίστι Voc. o πίσταις    Ex nominibus masculinis in ος, nullum reperio quod sit  heteroclytum, prater nomen λόγος, quod in singulari mascu- ao  lini est generis, in plurali veró neutrius, et sic declinatur. Sing. Plur.  No. 6 Àdyos verbum. No. ra λόγια  Ge.  roù λόγου Ge. τῶν λογίων  Acc. τὸν λόγον Acc. τὰ λόγια 33 Voc. Joy: Voc. à λόγια. Huic addi potest nomen fœmininum ὄξοδος, quod cum  sit tertie declinationis, variat tamen in plurali terminationem  accusativi, communiter enim pro cai; ὄ-οδους, ponitur cai; ózo-  da, quæ est terminatio accusativi pluralis secundæ declina-   s tionis.   At vero neutra omnia in os, ut à/o; flos, κέρδος lucrum, etc.  et nonnulla in ον, ut δέν2ρον arbor, loco « in nominativo plu-  rali reponunt »; dicimus enim 2» lores, γέρδη lucra, et δέν-  en arbores, quorum genitivus est in à» circumflexe.   ο. Nomen ῥίγας Ret, quanvis quinte declinationis, quia ta-  men accentum mutat, et terminationem in genitivo singulari,  ideo non immerito inter heteroclyta annumeramus. Dicetur  igitur in genitivo pro τοῦ ῥίγα juxta regulam τοῦ pro; ; caeteri  casus tam singulares, quam plurales sequuntur flexionem   15 quintze declinationis. Nomina propria virorum in οὓς et ως, ac mulierum in  ov et à, non declinantur nisi in singulari, et retinent ου vel ω in  omnibus obliquis. At vero substantiva in o2; in utroque nu-  mero declinantur. Singula propriis exemplis elucescent. 20 Evemplum virorum in οὓς et w:.  Sing. Sing.  No. 0 [ησοῦς Jesus. No. Mivyo; Minos.  Ge.  roù [ησοῦ Ge. ro0Mówg —  Ac. τὸν [ησοῦν Αο. τὸν Μίνων  2: Vo. o [ησοῦ Vo. à Mw    Exemplum mulierum in ov et o.    Sing. Sing.  No. 7" μαϊμοὺ simia. No. 75» Avo Latona.  Ge. Tr μαϊμοὺ Ge. τῆς Aro  30 AC. τὴν μαϊμοὺ Ac. την Λιτὸ  Vo. à μαϊμοὺ Vo. Λιτὼ    Exemplum substantivorum in οὓς    Sing. Plur.  Nom. νοῦς mens. Nom. οἱ νόοι  35 Gen. τοῦ νοῦ Gen. τῶν νόων Acc. τὸν vov Acc. τους νόους  Voc. vou Voc. νόοι Nomen item nou; et πολὺ heteroclytum est, licet foemininum  πολλὴ nequaquam sit, cum observet regulas secundæ declina-  tionis. Quare sit exemplum masculini πολὺς, et neutrius πολὺ.  Sing. Plur.  Nom. πολὺς multus. No. οἱ πολλοὶ  Gen. τοῦ πολλοῦ Ge. τῶν πολλῶν 5  Acc. Toy row Ac. τοὺς πολλοὺς  Voc. o πολὺ ' Vo. © root.  Sing. Plur.  No. τὸ πολυ muwultwm. Νο. τὰ πολλὰ  (49. τοῦ πολλοῦ Ge. τῶν πολλῶν 10  Acc. ro πολὺ Acc. τὰ πολλὰ  Voc. o πολὺ Vo. πολλὰ    His adde omnia nomina in u; barytona ut βαρὺς, γλυὺς, et  alia, qua sic flectuntur. Sing. Plur. 45  No. ὁβαρὺς gravis. No. οἱ βαρεῖς   Ge. τοῦ βαρυοῦ Ge. τῶν βαρυῶν   Acc. roy βαρὺν Acc. τοὺς βαρεῖς   Voc. à βαρὺ Voc. o βαρεῖς.    Neutra eorum in v, non sunt irregularia sed pertinent ac »  reducuntur ad ultimam declinationem, et eodem modo declinantur quo desinentia in i. atque hæc de heteroclytis.   Verbalia quædam deducuntur à presente versa o in r, si  aliqua praecedat consonans, vel simplex vocalis, sic à v:xo formatur νίκη victoria, et à βοῶ for clamor : si vero vocalem o, ss  praecedat diphthongus ευ, tunc ο, mutatur in a, et v inc, unde  à ὀρυλεύω fit δουλεία servitus, et à φτωχεύω φτωχεία paupertas.  Verum siante o, ponaturov diphthongus, o quidem vertitur  in nat vu abjicitur, ut zxow» audio, a«or, auditus. Ex verbis in γω, quorum penultima est ευ, formantur 30  etiam verbalia in », rejecta v, ut ex φεύγω φυγή fuga. Ea vero  quæ vel solam e habent, vel junctam cum in penultima, mu-  tant o in oc, ε in ο, et abjiciunt « ut λέχω λόγος verbum, σπείοω  σπόοος Semen. Sunt etiam alia verba in γω, quorum penultima  est in x, et hiec verbale formant in t, ut ozye φαγὶ, cibus, et ss  additione ro, φαγιτὸ. Verba etiam in ὁῶ circumflexa verbalia  habent in t, ut τραγουδῶ CAO, τραγοῦλι cantus, et lolo da floreo,  λουλοῦδι flos. At in νῶ, et 0o formant verbalia in ος, ut πονῶ do-  leo, πόνος dolor, et ποθῶ desidero, πόθος desiderium. Tandem ex verbis in uw effingi possunt verbalia in µα rejecta v, ut à  κάμνω facio, κάµωμα factum.   Quædam autem suam desumunt originem ab aoristo activo,  et hæc vel desinunt in ux et uo;, vel in i, velin ua.   S Verbalia in ya et µός formantur à prima persona aoristi   - primi, qui si fuerit in σα verborum barytonorum formabit  guum verbale ponendo inter set x, u, ut ἀνούω audio, aoristus  primus est ἄχουσα, hinc interposita u, inter c et a, fit ἄχουσμα  auditio, et versa ux in uo; ακουσμὸς nominis fama. Dixi ver-   10 borum barvtonorum, quia. aoristi verborum circumflexorum  mutant simpliciter ox in uz, et rejiciunt c, si fuerit augmen-  tum syllabicum, ut κινῶ, ἐκίνησα; ox in ua, et ablato e, aug-  mento syllabico, xéaux motus.   Verbum δένω ligo, quanvis barytonum, et aoristum habeat   15 in σα, ejus tamen verbale exit in ux, et non in cua, ut ἔδεσα,  Œua vinculum, et additione τι, δεμάτι fasciculus.   Si ultima aoristi fuerit in λα, vel ρα formanda erunt verbalia  in ua, et voc, interpositione u, εἰ ablatione (P. 40) augmenti,  quod si ejus penultima fuerit ει, rejicienda est ι. si vero n   0 tantum verti debet in α, ut σπείρω semino, ἔσπειρα. antpux Se-  men, δαίρνω verbero, ἔδηρα, ὀαρμός verberatio. Tandem verbalia in τς, τα, et wo deducuntur à secunda per-  sona ejusdem aoristi mutando ε in :, et abjiciendo e, si fuerit  augmentum syllabicum, ut ab εκίησες, Ἀίνησις motus, ab ἐπορ-   35 πάτησε: Gmbulasti, ποοπατησιὰ ambulatio, et ab ἔκλεψες furatus  es, Χλεψιμιό furtum. Adverte tamen caracteristicam v, ver-  tendam esse in c, ut*ab éxcues judicasti fit κοίσις judicium,  mutata v in £,e in ν et rejecto augmento.   Atque hæc de derivatione verbalium substantivorum, nam   30 de adjectivis infra suo loco dicendum. Illud tantum addo ex  ipsis substantivis derivari alia nomina substantiva in ox,  έζα, οὔλα, et όπουλον, quæ dimi(P. 41)nutionem significant, ut à  ματι OCUÎUS, µατάκι OCellus, à καρδιὰ cor, καρδίζα corculum,  à ψυχη anima, ψυχούλα animula, et ab εὐκγγέλιον evangelium,   35 εὐχγγελιόπουλον evangeliolum, etc.   Jam dicamus de numeralibus, quorum aliqua sunt cardina-  lia, ut loquuntur, alia ordinis.   Cardinalia sunt hæc :    Masc. Fam. Neut.  10 Sing. Ν. ἕνας unus. µία una. ἕνα UNUM.  (1. ἑνὸς vel ἐνοῦ μιᾶς ἑνοῦ    À. ἕναν vel ἔνχνε. μίαν ἔνχ. Hinc composita masculini generis καθένας unusquisque, xavé-  vas nullus, vel κανεὶς à literali εἷς, et foeminini πασαµία unaqueæ-  que, et χαµία nulla, et neutrius καθένα, et per syncopem xat  unumquodque, et χανένα mullum, eodem prorsus modo flec-  tuntur, quo primitiva ἕνας, µία, ἕνα paritérque carent numero 5  plurali, et vocativo. Avo duo, est omnino indeclinabile omnisque generis,  cum dicatur οἱ, αἱ καὶ τὰ δύο, in omnibus casibus solos articu-  los variando; reperitur tamen interdum genitivus τῶν duo  duorum. 10   Τρεῖς tres, est commune, cujus genitivus cpu, acc. τρεῖς.  Neutrum habet τὰ τρία tria. ge. τριῶν. acc. τρία.   Técoape; quatuor, etiam est masculini ac fceminini generis,  ge. τεσσάρων. acc. técoapes. Neutrum est τὰ τέσσαρα. ge. τεσ-  σάρων. acc. τέσσαρα. Atque ab his usque ad ἑκατὸν centum sunt is  indeclinabilia, ut πέντε quénque, & sex, ἑφτὰ septem, óxzo octo,  one novem, déxa decem, ἔνδεκα undecim, δώδεκα duodecim,  (ὁριατρία vel δεκατρεῖς tredecim, δεκατέσσαρα Vel δεκατέσσαρες qua-  tuordecim, apud modernos Grecos declinantur,) δεκαπέντε  quindecim, δεκάξη sexdecim, δεκαφτὰ septemdecim, δέκα ὀκτὼ 30  decem et octo, δέκα ἐννειὰ decem et movem, εἴιοσι viginti,  εὔνοσι ἕνα viginti unum etc. τριάντα triginta, σαράντα quadra-  ginta, πενήντα quinquaginta, ἑξήντα sexaginta, ἑδδομήντα sep-  tuaginta, ὀγδοήντα octoginta, ἑνενήντα nonaginta, ἑκατὸ cen-  tum. Hinc jam incipiunt declinari oi διακόσιοι, n διακόσιαις, τὰ ss  διακόσια ducenti, etc. τριακόσιοι trecenti, etc. χίλιοι, χίλιαις,  χίια mille, hinc δύο χιλίαδε duo mille, τρες χιλιάδες  tria millia, récoures χιλιάδες quatuor millia, etc. usque  ad ἕνα μιλιοῦνι millionem generis neutrius, unde déo μιλιούνια  duo milliones et sic deinceps. Ordinalia sunt πρῶτος primus, δεύτερος secundus, τρίτος  tertius, τέταρτος quartus, πέµπτος quintus, ἔχτος sextus, ἔδδομος  septimus, ὄγδοος octavus, ἔννατος nonus, δέχατος decimus, ἐνδέ-  χατος wndecimus, δωδέκατος duodecimus, δέκατος τρίτος tertius  decimus, δέκατος τέταρτος decimus quartus, etc. εἰκοστὸς vige- s;  simus, εἰκοστὸς πρῶτος vigesimus primus, etc. τριακοστὸς  trigesimus, τεσσαρακοστὸς quadrigesimus, πεντηκοστὸς quinqua-  gesimus, ἑξηκοστὸς Sexagesimus, ἑβδομηκοστὸς septuagesimus, 1. P. 43, ligne 12 de l'édition originale, le texte porte μιλῶν, puis  μιλιούνια. — P. 44, 1. 6, il a διακοσιστὸς. Dans un cas comme dans l'autre  ce sont de simples fautes d'impression.    24 PCRTII    ὀγδοηκοστὸς OCtuagesimus, ἐννενηκοστὸς nomagesimus, ἑκατοστὸς   centesimus, δικκοσιοστὸς ducentesimus, τριακοσιοστὸς trecente-   Simus, τετρχκοσιοστὸς quadringentesimus, etc. χιλιοστὸς mille-   simus, χιλιοστὸς πρῶτος millesimus primus, et quæ sequuntur.  AnjECTIVA Sunt quae propriis ac substantivis nominibus   præfiguntur : horum autem quedam sunt in ος, quædam in   10 ης: alia in a5, alia in ig, alia denique in υς. De uniuscujusque  terminatione singillatim agendum hoc loco.   Et primo quidem adjectiva in o; (P. 45) pertinent ad tertiam  declinationem, quorum si terminatio fuerit in o; purum, quod  Scilicet non subsequitur consonans, sed vocalis, aut diphthon-   15 gus, foeminina desinent in «, ut ἄγριος ferus, &yovx fera, ἄγριον  Jerum. Unum excipe óydoo; octavus, ὀγδόη octava. Si vero  Sint in o; non purum, habebunt fceminina in v, ut καλὸς, xa35,.  καλὸν bonus, bona, bonum, qux ad secundam declinationem  revocari debent, neutra vero in ov tertize declinationis.   e; Adjectiva in ης quædam sunt prime, quaedam quintæ de-  clinationis, utraque fœmininum formant vel in pu secunde  declinationis, ut κλέφτης fur, κλέγτρια. ἀκαμάτης negligens, ἄχα-  µάτρια: Vel in σα illud addendo, ut χωράτης rusticus, χωριάτησσα  rustica, etc., quæ semper retinent accentum penultimæ sui   s»; masculini, ut patet in exemplis allatis, exceptis duntaxat (P.46)  adjectivis in ϱης, quorum fœminina non observant accentum  penultimæ, ut διχκονάρης mendicus, διακοναριὰ mendica et ψω-  µατάρης Tnendazx, ψωµαταριὰ, etc. atque hsc omnia neutris  carent. ᾿   x» At vero in ας sunt quinte declinationis, et formant fœmi-  nina aliquando in αινα ut pxyxs VOTAX, φάγαινα voraz; Sæpis-  sime in ica, ut βασιλιὰς Imperator, βασίλισσα Imperatriz,  ῥίγας Rex, ῥίγισσα Regina, et alia plura quæ neutrum penitus  ignorant.   33 Que desinunt in & ad sextam declinationem referuntur, et  habent fceminina in iz secundæ declinationis, neutra vero in  , sextæ declinationis, ut pæzpis, µαχριὰ, μακρὶ longus, longa,  longum. Nomen κύρις Dominus, foemininum habet χυρὰ, non  vero κυρία, nec format neutrum inc |   40 Tandem adjectiva in w sunt etiam sextæ declinationis, ex  quibus for(P. 47)mantur fœminina in eix secund: declina-  tionis, et neutra in ? sextæ, ut γλυκὺς, γλυκεῖα, γλυκὺ dulcis, et  dulce. Bzpu;, xotix, βαρὺ gravis, et grave, et hujusmodi  plura.   Jam Comparativa in repos, et Superlativa in raro; ex iis præ- 5  cipue deducuntur adjectivis, quorum terminatio est in ος, ες,  et v; ; alia enim explicant sua comparativa, vel per πλέα vel  per µεγαλήτερος; », o», Superlativa vero per µεγαλώτατος, n, ov, ut  cum dicimus πλέα ἀκαμάτης negligentior, µεγαλώτατος φαγὰς eda-  cissimus, et ó µεγαλήτερος ἄοχοντας τῆς χώσας tota urbe nobilior. 10   Quá tamen ratione Comparativa, et Superlativa formentur  ab adjectivis in ος, «c, et us, quaeve litera dematur, mutetür-  que vocalis sequentibus clarum fiet exemplis.  ( ἄγριος ἀγριώτερος &ypworzros sylvestris  ος $ ἔνδοζος ἐνθοξότερος ἐνδοξότατος gloriosus 15  σοφὸς, σοφώτερος, σοφώτατος, SUDIENS.  ις | μακρίς, µακρίτερος, µακρίτατος, longus.  u; | βαρὺς, βαρύτερος, βαρύτατος, gravis.   Ex his facile colligere potes, adjectiva in ος, quorum pe-  nultima est longa, servare o, in comparativis ac superlativis ;  mutare vero in o, cum sit brevis.   Adverte etiam in hac lingua, ex adjectivis in o; non purum,  formari quidem comparativa in τερο:, et superlativa in raros,  sed mutari o in η, in solis comparativis : sic à καλὸς bonus fit  χαλήτερος ?elior, à γοντοὺς CTASSUS, χοντρήτερος C'assior, à usya-  λος Magnus, µεγαλήτερος major, etc. Posset aliquis dicere hujus-  modi comparativa desumi à foemininis καλη, χοντρή, et µεγάλη  addito recos, sed tunc cave ne dicas superlativa «a4Zracos, χον-  τρήτατος, et µεγαλήτατος, hæc enim semper respi(P. 49)ciunt mas-  eulina; quare dicendum erit καλώτατος optimus, χοντρότατος 30 —  crassissimus, et μεγαλώτατος maximus.   Adverte item adjectivum φίλος non habere comparativum in  τερος, et Superlativum in τατος, sed illa exprimere per µεγαλήτε-  pos, et µεγαλώτατος, Ut pod εἶνχι τοῦτος µεγαλήτερος φίλος οδί hic  mihi magis amicus, et µεγαλώτατος φίλος amicissimus. 33   Ex adjectivis in uz, πολὺ: tantum est irregulare, hujus enim  comparativum est vel πολλότερος à moo; inusitato, vel περισ-  σότερος à περισσὸς, undein plurali περισσότεροι major pars, vel  plerique : superlativum vero πολλότατος quan multus à πολ-  λ2ς. Atque hæc de gradibus comparativis et superlativis, super- 4o  est ut nonnulla dicamus de adjectivorum derivatione, ut com-  pletam de illis habeamus doctrinam. Adjectiva quaedam sunt primitiva (P. 50) ut χαλὸς bonus,  quædam derivata ut Tewxónow parvus Turca. À primiti-  vis deducuntur alia, quæ diminutiva dicuntur, quorum ter-  minationes sunt in ούτζυιος, n, ov, et in όπουλος, α; ov, ut καλὸς   s bonus, καλούτζιχος, n, ον, subbonus, a, um. et ῥωμπὸς græcus,  ῥωμηόπουλος, α, ον, greculus, a, um, et similia.   A substantivis feminini generis in «, modo exeunt adjec-  tiva in as, ut à γλῶσσα lingua, γλωσσὰς loquax : modo in κὸς ut  à καρδιὰ COT, καρδιακὸς cordialis : modo in pw ut à βάρκα   ιο cymba, βαρκάρης portitor: modo in ov, ut à γυναῖκα mu-  lier, γυναικούλης muliebris: modo in τερὸς, ut a ζημιὰ dam-  num, ζημιατερὸς damnificus ; et tandem in vos, ut à χαπέλα sacellum, καπελάνος sacrarii custos.   Item præstandum est si à neutris deducenda sunt adjectiva, cum hac tamen differentia, quod nominativo plurali  addenda sint, p;, roc, ινὸς et paxo;, ubi in foemininis soli nominativo singulari imponebantur, sic à χέρατα cornua, additione  v, fit κερατὰς cornutus, à παραμύθια fabulæ, additione  pns, παραμνθιάρης fabulosus, à γέεια barba, γενειάτος barbu-   so tus, à ψώματα mendacia, ψωμµατωὸς, et ψωματάραος mendax,  et hujusmodi plura.   Substantiva foeminina in », modo sua formant adjectiva in  ηρὸς, ut τόλμη audacia, τολμηρὸς audax ; modo in ερὸς, ut βλάβη  noxia, βλαθερὸς noxius; modo in repos, ut λύπη tristitia, λυπη-   as τερὸς tristis : modo in τικὸς, et vc, ut cum honor, τιμητοιὸς et τί-  µιος honorificus, et denique in pa; verso v in «, ut µήτη nasus,  µηταρας nasutus.   Sic etiam à substantivis in o; deduci possunt adjectivain ερὸς,  ut à dodo; dolus, δολερὸς dolosus, à φόθος timor, φοθερὸς timendus   30 etc. in οιὸς, ut à τέλος finis, τελιχὸς finalis, τόπος locus, (P. 52) το-  rexos localis, et alia : in vc, ut ab οὐρανὸς calum, οὐράνιος cc-  lestis : in εινος, ut ab aeco; aquila, ἀετεινὸς aquilinus : in vos, ut  ab ἄνθρωπος homo, ἀνθρωπωὸς humanus ; et tandem in ιάροιος,  ut à ῥόζος nodus, ῥοζιάρικος NOOSUS, κμπος κομπιάρικος, et similia.   ss À neutris in ον fiunt adjectiva in ένιος et ενος, ut à ξύλον lignum, ξυλένιος, et ξύλινος ligneus : item in coc, ut à πρόσωπον  persona, προσωπικὸς personalis. At neutrorum in «, adjectiva  exeunt vel in dom, ut ypœu accipiter, γερακάρης accipitra-  rius : vel in ἄτος, ut μουστάκι MyStAT, µουστακάτος mystacem   0 habens magnum : vel in ταος, ut σχυλὶ canis, σχυλίτοιος σαπέ-  nus : vel sæpissime in ac, ut ψάρι páscís, ψαρὰς piscator, µου-  λάρι mulus, μουλαρὰς mulio, et hujusmodi plura. Fœminina in &, quæ non sunt verbalia habent adjectiva  simpliciter in ræos,ut πόλις urbs, πολιτινὸς urbanus, verbalia vero si sint in os mutant ç in v, ut χίνησις motus, κινητυκὸς  motivus ; si vero in φις, vel Ex. i vertetur in g, et E in x, ut  βλάψις (quod tamen non est in usu) βλαντικὸς damnificus, et s  φύλαζις conservatio, φυλακτικὸς conservativus.   Sunt etiam non exigui numeri adjectiva, quæ suam des-  umunt originem à verbis, quorum alia sunt in aro;, alia in prog,  alia in χρὸς, quædam in της, et Tes, alia demum in τὸς; ho-  rum autem formationem is omnium optime tenebit, qui græcoliteralem grammaticam in primis calluerit: Verum ne rudis  et Tyro, et τῶν ἑλληνικῶν µαθηµάτων penitus ἄγευστος ab hac nostra  Græco-vulgari lingua longe videatur arceri, has sibi regulas  observandas proponat.   Primum adjectiva in aro; derivari à presenti mutato ω in 15  a, et addita τος, ut à φεύγω fugio, φευγαάτος fugitivus :  item  in »oo; mutato o in », ut a πνίγω Su[foco, πνιγηρὸς suffocato-  rius: item in µος, et precipue a verbis in do versa ζω in pros,  ut à γνωρίζω COJNOSCO, γνώριμος cognitus : item in xo; muta-  tione ω in «, ut à γράφω scribo, γραφυὸς, qui pertinet ad so  scripturam.   Secundoadjectiva in τυκὸς, τῆς et vo; deduci à prima persona  aoristi activi versa ultima syllaba in ræos, τῆς et τὸς, rejectó-  que augmento, ut ab ἐκίνησα movi, fiunt κινητικὸς motivus,  κωητὴς MOVENS, et κωητὸς Mobilis, ἀγάπησα amavi, ayamncos t5  amabilis, ἀγαπητῆς amans, ἀγαπητιαὸς amatorius, unde ἄγα-  run amasia, et similia. Quod si ultima aoristi exierit in £a,  vel da,tunc in formandis adjectivis E verti debet in x et ψ, in  vel φ et a, in τικὸς, τῆς et τος, ut ab ἔσμιχα miscui, fit σμικτὸς  mixtus, σμικτικὸς admixlivus, et ouixrns miscens sic ab ἔγραψα 30  deduci possunt γραπτὸς scríptus, yp&(P.55)prn; scriptor, et  γραφτικὸς qui scribi potest, et ita de reliquis. Ῥποπονινα dividi solent in primitiva, possessiva, demon- ss  strativa, relativa, composita, interrogativa, et infinita.   Primitiva sunt tria, ἐγὼ prim» persons : ἐσὺ {u, Secun-  dz persons; τοῦ sui, tertiæ persons. Hæc autem sic flec-  tuntur. Sing. Nom. εγὼ ego.  Gen. poo mei, et mihi.  Acc.  é£u£yx vel μὲ me.  Plur. Nom. ἐμεῖς nos.  5 Gen. ἐἑμῶν et ἐμᾶς mostrum vel nobis.  Acc. ἐμᾶς νε] μᾶς nos.  Sing. Nom. cv tu.  Gen. σοῦ tui et tibi.  Acc. ῥἐτένα vel oc te.  10 (P. 56) Plur. No. ἐσεῖς VOS.  Gen. ἐσᾶς vel σᾶς vestrum et vobis.  Acc. ἐσᾶς vel σᾶς vos.  Sing. Gen. τοῦ sui vel sibi.  Acc. 1680.  45 Plur. Gen. τῶν suorum vel sibi ipsis.  ACC. cov; SUOS.    Ubi adverte duo priora primitiva habere genitivum plura-  lem similem accusativo; posterius vero carere utroque nomi-  nativo, atque hac omnia tria privari vocativo. Item accusa-   «0 tivum τὸν, quum  postponitur alicui verbo assumere :, ut  εἴδατον vidi illum, εἴδατονε.   Possessiva sunt sex, ἐ)ιιόσμου, ἐδικήμου, ἐδικόμου, meus, mea,  meum : ἐδικόσσου, ἐδικήσου, ἐδικόσου tuus, tua, tuum: ἐδιιόσ-  του, ἐδικήτου, ἐδικότου SUUS, δα, SUUM : ἐδικόστου quum ad fce-   :; minina tantum refertur assumit non ineleganter pro του,  της, Videlicet ἐδιχόστης, εδικήτης, ἐδικότης, non solum in singu-  lari, sed etiam in pluraliéduxóguas, ἐδιχήμας, doux; noster,  nostra, nostrum : ἐδικόσσα:, ἐλικήσας, ἐλικόσας vester, ves-  tra, vestrum : ἐδικόστων, ἐδικήτων, ἐλικότων vel ἐδιχόστους, &ui-   30 τους, ἐδικότους €0rum, earum, eorum. Horum masculina, et  neutra ad tertiam pertinent declinationem, foeminina vero ad  Secundam, et µου, σου, του, µας, σας, των et τους, remanent im-  mutata in omnibus obliquis, ut ἐδιχόσμου, ἐδικαῦμου, ἐδιχόνμου, etc.  Dicitur etiam éCwósuov,' δικήµου, δικόµου, ablata e, si præ-   3; cipue preecedat vocalis, vel diphthongus, ut εἶναι δικόµου τὸ  χαρτι, liber est meus.   Demonstrativa sunt duo, τοῦτος vel ἐτοῦτος hic, ἐκεῖνς vel  χεῖνος ille, tertiæ declinationis, quarum fœminina τούτη h&c,  et εκείνη illa, secundae ; et neutra τοῦτο, et ἐχεῖνο hoc, et illud   # tertiæ. Animadvertas rogo, genitivum singularem et plura-  lem juxta regulam non debere circumftlecti, cireumflecti tamen apud quosdam vel additione alicujus syllabæ, ut fit in  genitivo singulari τούτου Aujus, τουτουνοῦ, τούτης, rournvis, et  in plurali τούτων horum, couzow ; vel sine ulla additione, ut  quum dicunt ἐχεινοῦ pro éxeivou, ἐκεινῆς pro ἐχείνης, et ἐκεινῶν pro  ἐχείνων.   Relativa quatuor enumerari possunt αυτὸς, αὐτὴ, «vro ἔρδο,  ipsa, ipsum, quod interdum sumitur pro £y», ἐσν et exeivos :  ἔποιος, ἔποιχ, ὅποιον, vol ἔγοιος, Éyoux, ὅγοιον quicunque, queæ-  cunque, quodcunque : ὁποῖος, ὁποῖα, Onoicy Qui, qua, quod,  et correspondet articulo literali ὃς, 7, 0 et ἔστις quisquis,  cujus genitivus ὄτωος, accusat. ὅτια, et non plus ultrà.   Ex relativo αὐτὸς, αὐτὴ, αὐτὸ deducuntur composita tria.  Prime persone ἁπατόσμου vel ἁατόσμου eo ipse, αἀτήμον vel  ἁπατήμου, ego ipsa. Secundæ personæ ἁπατόσσου vel ἀτόσσου  iu ipse, ἁπατήσου tu ipsa : et tertie personæ ἁπατόστου  vel ἀτόστου Se 2pse, ἁπατήτου vel ἁπατήτης 56 ipsa.   Hec pronomina solum habent utriusque numeri rectum,  obliquis carent, et genere neutro, verum id tantum admittit  tertia persona, cum reperiatur ἁπατότου et ἁπατάτα. Cæteri  casus desumi debent à sequentibus. Et quidem prim: persona. Sing. Gen. ἐμαυτοῦμου met ipsius.  ACC. ἐμαμτένμου Me ipsum.   Plur. Gen. ἐμαυτοῦμας nostrum ipsorum.  ACC. ἐμαυτόνμας mos {ρδοδ.  II persona.  Sing. Gen. ἐμαντοῦσου fui ipsius.  Acc. ἐμαυτόνσου Le ipsum.  Plur. Gen. ἐμαυτοῦσας vestrum ipsorum.  ACC. ἐμαντόνσας VOS $psos. III verd persons.  Sing. (Gen. ἐμαυτοῦτου sui ipsius.  Acc. ἐμκχυτόντου Se ipsum.  Plur. Gen. ἐμαυτοῦτους vel éuavroëruv.  Acc. ἐμαυτόντους Vel ἐμαντόντων. Nota hujusmodi pronomina primæ, et secundæ per-  sonæ communia esse maribus ac foeminis immutato prono-  mine µου et σου : tertiæ vero non item, cum pro του foeminina  Sibi adsciscant της, ut τοῦ ἐμχυτοῦτης, et τὸν ἑμαυτόντης, atque id tantum fieri debet in singulari, nam in plurali utriusque  generis nomina omnino conveniunt.  Interrogativa pronomina sunt haec τὶς quis et qua, com-  munis generis: ri quid? neutrius ποῖο vel mot; quis  saut qualis? omnis generis ita ut fcemininum exeat in  a, ut ποῖα QUO ? et neutrum in ον, ut ποῖον, quale? de flexione  ποῖος, nulla potest esse difficultas, ideo ponemus tantummodo  declinationem τὶς et «i.    Masc. et Fœm.  ιο Séng. N. ris quis et quæ? Plur. N. rives qui?  G. τίνος G. τίνων  À. τίνα À τήας.  (5. 61) - Neut.  Sing. Nom. τὶ quid?  45 Gen. τίνος  Acc. rti.    Neutrum plurali caret, pro quo usurpatur ποῖα, ut ποῖα πραγ-  para qua res? Differt τις à τοὰς non tantum syllabis in recto,  et in obliquis accentu, cum τωὰς habeat genitivum ro, et ac-   s) cusativum rox, verum etiam significatione, nam cruz; signi-  ficat aliquem, vel nullum, nec est interrogativum, ut «is.   A pronomine ποῖος derivatur κάποιος, χάποια, χάποιον aliquis :  ἔποιος vel ὅγοιος quisquis, et à τις ὅστις quicunque, quæ reti-  nent suorum, ut ita dicam, parentum declinationem.   :3 Demum tria sunt pronomina que dicuntur infinita, δεῖνα  talis et tale, omnis generis. gen. deivoz. acc. dx, caeteris ca-  Tet. τέτοιος, τέτοια, τέτοιον lalis, et ταδεποιὸς, ταδεποιὰ, ταδεποιὸ  talis (Ρ. 62) et fale, atque hæc declinantur integré per omnes  casus et numeros, masculina quidem et neutra juxta tertiae,   30 foeminina vero juxta secundæ declinationis modos, ac for-  mam.   Illud observatione dignum hoc loco censui μοῦ, σοῦ, τοῦ, μὲ,  σὲ, τὸν, τῶν, τῆς et τοὺς: enclyticas appellari voces, quod vel pro-  prium amittant accentum, vel illum ad præeuntem, ac præcedentem syllabam remittant. Hoc autem tribus modis, ut  plurimum potest contingere.   Primo si antepenultima præcedentis dictionis acuatur, vel  penultima accentum habeat circumflexum, ut τὰ »piuat& µου  peccata mea, ἡ Μοῦσα σου Musa tua, τὰ λόγια του verba sua, etc.   4 — SecundoSsi vox antecedens enclyticam accentum habeat acu-  tum in penultima, vel gravem in ultima, pronomina illa penitus quidem suum deponunt accentum, at gravis transit  in acutum, ut ó λόγος του verbum suwm, τὸ πουλίµου avis  mea: circumflexus tamen remanet immutatus, ut κινῶ cc mo-  veo te : idem præstatur si ultima prioris vocis acuatur.   Tertio et ultimo usus obtinuit in enclyticis pronominibus ;  suum ipsorum accentum retinere, quando præpositionibus  conjunguntur, vel conjunctionibus disjunctivis, ut διὰ σὲ  propter te, non διά σε, et ñ μὲ σκοτώνω ἡ σέ ἐλευθερώνω vel me  occido, vel te libero, et similia. Ur facile est hodiernae Grecs lingue Verborum conjugationes exponere, cum multiplicem illam tot temporum, modo-  rümque respuerit distinctionem, ita quoque perarduum  esse constat eadem in certas distribuere classes, certísque 5  sedibus collocare, tam ob defectum futuri, quam propter diversam finalium characteristicarum varietatem, ne dicam  corruptionem. Ceterum antequam ad istam terminationum  farraginem deveniamus, non abs re videbitur nonnulla præmittere, quæ ad faciliorem Verborum notitiam requiruntur. so   Verba igitur omnia vel sunt activa, quorum nota est o,  et formant passiva in µαι, vel passiva ab activis deducta,  vel neutra qux desinunt in «e, sed nullum efficiunt passi-  vum in µαι, vel demum deponentia, quæ vocem ac sonum  habent passivum, at significationem activam; rejiciantur ss  ergo ab hac lingua verba communia, seu, ut Grammatici  loquuntur, media. Sunt etiam alia verba quas dicuntur impersonalia, non quod nullius sint persons, cum effe-  rantur in tertia persona; sed quod ad nullam certam, et deter-  minatam personam referantur, ut quum dicimus πρέπει νὰ ἀκολουθήσωμεν τὴν ἀρετὴν, καὶ νὰ ἀφήσωμεν τὴν χακίαν Oportet  ut virtutem sequamur , vititmque relinquamus, illud  "pere: nullam habet personam, quam certo et definite respiciat.   Dividuntur supradicta verba duas in partes, quarum una ss  nuncupatur barytonorum, altera circumflexorum, verba  nanque in ut, nec per somnium quidem vidit unquam praesens  Grecia. Utraque verba duos habent, ut nomina, numeros  singularem et pluralem, tres personas, quinque tempora, quorum tria sunt simplicia Præsens, Imperfectum, et Per-  fectum, duo vero composita, Plusquam-perfectum, et Futu-  rum, modos item quinque Indicativum, (P. 66) Imperativum, :  Optativum, Subjunctivum, et Participium. Carent Infinitivo  s pro quo utuntur Subjunctivo. Verba quc vulgo appellantur  auxiliaria, quibus supradicta illa tempora composita expri-  muntur duo precipue sunt θέλω volo, et ἔχω habeo, hoc  quidem utimur ad exprimendum Plusquam-perfectum, illo  vero Futurum et præsens Optativi, per suum Imperfectum  10 ἤθελα vellem.   Jam barvtonorum  Conjugationes tradamus, quarum  numerus à varia Perfecti, seu aoristi terminatione colligi  debet. Cum igitur Perfectum modo exeat in φα, modo in £a,  et cx, modo in quatuor liquidas À, u, v, o, pro hujusmodi   is quadripartita Perfecti desitione, quatuor etiam nos bary-  tonorum conjugationes instituemus.   Prima est in (o, βγω, πω, qu, et cro, ut αλείθω ungo,  νίόγω lavo, λάμπω fulgeo, γράφω scribo, ἀνάφτω  accendo, perfectum habet in dz, ut ἄλεψα unti, ἔνιψα   ο lavavi, ἔλαυψα affulsi, ἔγραψα scripsi, ἄναψα accendi. Ad  hane conjugationem revocari possunt verba in eu» vel εὔχω  et πώγω, ut βασιλεύω vel βασιλεύγω regno, et σκηύγω inclino,  quorum perfectum apud quosdam Græcos exit in ja, ut εδασί-  Asa pro εξασίλευσα regnavi, et ἔσκνψα inclinavi, fortassis .   >; Similitudo soni ευσα et ex, eos in hujusmodi mutationem,  vel potius errorem induxit.   Secunda in γω, xo, Χνω, Χτω, χω; yv», σσω et ζω precipue  trisyllabum et dissyllabum, et quod ante £ assumit «, ut  πνίγω Suffoco, πλέκω mnecto, δείκνω ostendo, τρέχω curro, pixco   404040; σποώχνω impello, ów»ro persequor, τάσσω pro-  mailto, κράζω et φωνάζω voco seu clamo, perfectum habet  in £a, üt ἔπνξα suffocavi, ἔπλεα meri, ἔθειῖα ostendi, ἔτρεξα  cucurri, &iza jeci, ἔσπρω2z impuli, ἔλιωζα persequutus  Sum, ἔταία promisi, ἔχραζα et ἐφώναξα vocavi, seu clamavi.   x;  lertia in do, 0», o purum, et in ζω quadrisyllabum, et  precipue quod habet ι ante 5, ut προδίλω prodo, ἀλέθω molo,  ακούω QUO, σκοτειιαζω adumbro, et γνωρίζω cognosco, per-  fectum efficit in σα, ut ἐπρόλωσα prodidi, ἄλεσα molui,  ἄχουσα QUdivi, εσκοτείνιχσα aduinbravi, et ἐγνώρισα cognovi.   # Ad hanc conjugationem spectant omnia verba in ώνω à græco-  literali deducta in όω, et omnia illa quæ in Græco-vulgari  assumunt v ante o, ubi prius desinebant in o purum, ut τελειώνω perficio, ἐτέλειωσα perfeci, dem ligo, ἔδεσα ligavi,  ἐνλύνω Vestio, &iusx vestivi, et alia quae per o purum scri-  bebantur, ut raie, δέω, et ἐνδύω.   Quarta denique continet verba in 4», po, vo, co, ut νάλλω  canto, κάµνω facio, κρίνω judico, «cito corrumpo, perfectum vero in /z, ua, vx, cz, ut &ixAx cantavi, ἔκαμα feci,  &oux judicavi, &usx corrupi. Ubi adverte quum duplex  est aux in presente, perfectum primum tantum ser-  vare, ut evo ver bero, ἔδηια verberati, etc. MODUS CONJUGANDI T)    VERBA BARYTONA.  Verbi Activi Indicativi.    Pres. Sing. γράφω, γράφεις, γράγει Scribo.  Plur. yoxqous, γράφετε, γράφουσι, vel γράφουνε.  Tertiæ persons pluralis numeri, quod in : desinit, 1:  additur more Attico v, si precipue subsequatur  vocalis.  Imp. Sing. έγραφα, ἔγραφες, ἔγραφε Scribebam.  Plur. ἐγράφομεν, ἐγράγετε, cypAqast vel ε εγράφανε. Perf. Bing. ἔγραψα, ἔγραψες, ἔγοαψε, scripsi. 20  Plur. efiam ἐγράφε TE M ird vel ejoa.  Plusq. Sing. είχα γοάφψει, εἶγες γράψει, i yoxyat scripseram.  Plur. εἴχαμεν Ὑοάψει, εἴχετε ypxLe, εἴχασι vel εἴχανε  7px a.  Vel alio modo. 203    Sing. εἶχα γραμμένα, εἶχες γραμμένα, etys γραμμένα Scrép-  seram.  Plur. εἴγαυεν γραμμένα, εἴγετε γοαμμένα, εἴγασὶ Vel εἴγανε  . γραμμὲνχ.  Fut. Sing. θέλω γράφει, θέλεις γράψει, θελει γράψει scribam. 30  J'lur. 0έλομεν γράψει, Deere γράφει, θἔλουσι γράψει.  Vel aliis magis corrupté.    Sing. 0ὲ px Vo, 0: γράψεις, 6& γράφει scribam.  Plur. 0 γράφομεν, 0€ γράφετε, 0: γράβονσι. MEYER. GRAMM. GRECQUE. 3  Imperativi.  Pres. Sing. γράφε scribe. 25 γοάψει scribat.  Plur. à; yoxbouss, γράψετε, ἃς γράψονσι.  Formatur à tertia persona perfecti Indicativi ablato  5 e augmento Svllabico : caret proprió prima persona,  cam tamen mutuatur ab optativo addita particula ας, ut  as οάψ scribam, et significationem habet indetermi-  natam, et indifferentem. Optativi. 10 Pres. Sing. ἄνποτες νὰ vel as yoXbe, ἄμποτε νὰ γράψης, νὰ  yox uténam scribam.  Plur. ἄμποτες νὰ γράψωυεν, νὰ γράψετε, νὰ γραψουσι.  Imper.Sing. Y0:x γράψει, Ἴρελες γράψει, Ίθελε γράψει scri-  berem. Plur. Ἰθέχαμεν Ύραψει, θέλετε yodba, Ἰθέλασι γοάγει.  Dicitur etium ἅμποτες νὰ &yox?z, vel a; ἔγραφα, et tunc  idem est cum imperfecto indicativi. Sic etiam reliqua  tempora eadem sunt cum supradictis indicativi appo-  sita tantum particula a; vel aumo:zez va. Suljunctivi.   Pres. Sing. νὰ γράφω, νὰ γράφῃς, vx yoxyn "t scribam.  Plur. νὰ Ὕοάγωμεν, νὰ γράφετε, νὰ ynxoust.   Est etiam aliud præsens ab aoristo, seu perfecto  indicativi formatum, cujus significatio non est aded præsens ac determinata ut prior, sed indifferens maxi-  méque in usu apud recentiores Græcos, hoc modo.  Sing. vx ypxlo, νὰ yox Voz, νὰ ypxbr ut scribam. Plur. νὰ ypxbœuer, νὰ γράφετε, νὰ γράψουσι.   Reliqua tempora sunt eadem, quæ in indicativo   30 additis tantüm particulis νὰ, et διὰ νὰ, ut ἂν δὲ,  αἀγκαλὰ καὶ licet, ὅταν cin, et ἀνισωσγαὶ δὲ.   Nota tamen plusquam-perfectum, præter illum mo-  dum quo exprimitur in indicativo posse etiam sic  efferri, scilicet ἂν Ίθελα γράψει δὲ scripsissem, et tunc   jj idem est cum imperfecto optativi.   Futurum etiam diversis modis, præter illum decantatum  indicativi, pro varietate sermonis usurpatur. Nam  cum Latine dicimus, cun scripsero, Græcè vertetur  ὅταν θέλω γράψει vel où γράφω, χαλὰ xxi θέλω ἔχει yoxu-   T μένα licet scripsero, et reliqua.   Infinitivi.  Præsens, et alia tempora eadem omnino sunt cum temporibus subjunctivi, retenta sola particula να, ut vx yzxlo    scribere, νὰ ἔγραφα, etc.    Participii.    Præsens, et alia tempora duobus modis exprimuntur vel Præs. simpliciter, et indeclinabiliter mutando o præsentis  indicativi in o, etaddita syllabay:zs, ut γράφω scribo, ypz-  φοντας SCribens, et hoc participium est omnis generis,  vel mutuando participium ἔστοντας, et praesens subjunc-  tivi, ut ἔστοντας καὶ vx γυάψω scribens, vel cuin. scri-  berem, ita ut verbum νὰ γράφω varietur quod numerum, et personam cum opus fuerit. Reperitur etiam  apud nonnullos Græcos quoddam participium in µενος,  quod licet vocem habere videatur passivam,  revera tamen activam sibi vindicat significationem,  formatur ab imperfecto activo indicativi ablato augmento, et addita syllaba μενος, ut à πηγαίνω 60, ἐπήγαινα '    ibam, fit participium myxwxuevos iens.  Verbi Passivi Indicativi.    Sing. γράφουαι, γοάφεσαι, γράφεται Scribor. Plur. γραφουμεσΏεν vel γραφόμεβα, γραφοῦσθε Vel /ράγεσθε,    γράφονται. Imp. Séng. ἐγράφουμουν, éyoxmouoou, ἐγοάφουνο vel ἐγράφετον  scribebar.  Plur. ἐγραγούμεσθεν, ἐγραφοῦσθε vel εγράφεσύε, ἐγραφουντον  vel ἐγραφονούντασι *. 1  Perf. Sing. ἐγράφρηκα, εγράφθικες, ἐγράφθηκε Scriptus fui.  Plur. ἐγραφθήκαμεν, ἐγραφθήκατε, ἐγραφθήκασι vel ἐγραφθή-  κανε. Vel alio modo elegantiore.    Sing. ἐχράφθην, ἐγράφθης, ἐγοάφη.  Plur. ἐγράφθηµεν, ἐγράφθητε; ἐγραφθησαν. 1. P. 75, I. 18, l'édition originale porte ἐγραφονύντασι.   2. P. 76 de l'édition originale, le texte porte eus 029i, ai /AUEY Πραφθή,  θελεις 402301, θέλει γραφθή, θέλουσι ypag95, ἴβελε γοαφθὴ. L'iota souscrit est  tombé dans l'impression. Cf. p. 25 de l'éd. princeps, plus haut p. 15, qui  correspond à la p. 25 de l'éd. Plusq. Sing. εἶχα γραφθῇ, εἶχες 7paQ0h, εἴχε γραφθῇ scriptus  eran vel fueram.  Plur. εἴχανεν γραφθῇ, εἴχετε γραφθῇ, εἴχασι γραφθὴ.  Fut. Sing. θέλω γραφθῇ, θελεις γραφΏῇ, θέλει γραφθῇ scribar.  5 Plur. θέλοµεν γοαφθῇ, θέλετε γραφθῇ, θέλονσι γοαφθῇ.  Imperativi.  Pres. Sing. γράφου scribare, xs γραφθῇ scribatur.  Plur. a; Ὑραφθοῦμεν (γραφβῆτε) s Ὑραφθοῦνε vel ἆς  γραγθοῦσι.  10 Optativi.  Pres. et Imp. Síng. #chx γραφθῆ, fürs; γραφθῇ, ἴθελε γραφθὴ  utinam. scriberer.  Plur. Ἰθέλαμεν γραφθῇ, θέλετε γραφθῇ, Ἰθέλασι γραφθῇ. Reliqua tempora sunt eadem cum indicativo appositis  15 tantum particulis ἄμποτε vx vel a;. Adde tamen  plusquam-perfectum posse etiam exprimi hoc modo.  Plusq. Sing. à; ἵμουν γραμμένος, n, ον, &s Yrou γραμμένος,  &s ἦτον γραμμένος, tinam scriptus essem.  Plur. à; Ἴμεσθεν γραμμένοι, ax, a. à ἤσθενε γραμμένοι,  20 ἃς ἤτονε γραμμένοι. |  Subjunctivi.  Pres. Séng. νὰ γραφθῶ, νὰ γραφθῆς, νὰ γραφθῇ ut scribam.  Plur. va γραφθοῦμεν, vx γραφθῆτε, vx γραφθοῦσυ.  Reliqua ut in indicativo cum particulis illis νὰ, διανα,  25 ἂν, σὰν, etc. Infinitivus convenit cum subjunctivo.  Participii.  Pres. Sing. γραμμένος, γραμμένη, γραμμένον Scriptus, a, um. Plur. γραμμἔνοι, γραμμέναις, γραμμένα scripti, ta, ta.  Desumitur hujusmodi participium à perfecto passivo  30 participii græcoliteralis ablato augmento syllabico,  utà γεγραμμµένος ablato γε, remanet γοαμμένος, sic à νενιχη-  µένος victus ablato νε fit wxruévos, et sic de omnibus  passivæ vocis.    De Verbis Circumflexis.  s | Due sunt verborum circumflexorum conjugationes, quarum prima est in εις ete, secunda vero in & et à. Utraque  habet perfectum in σα, sed penultima modo est e, modo x, modo  denique «. Pro quo   Adverte in prima Conjugatione penultimam perfecti tunc  assumere η, quando penultima præsentis est longa, ut τραγουδῶ  CGnO, ἐτραγούδησα Cecini, πατῶ Calco, ἐπάτησα calcavi. Excipe χωρῶ capio, ἐχώρεσα cepi. Quando vero est brevis,  penultimam perfecti exire in e, saltem ut plurimum, ut πονῶ  doleo, ἐπόνεσα dolui, καλῶ voco, ἐκάλεσα vocavi, βαρῶ per- s  culio, ἐδάρεσα percussi, etc.   In secunda conjugatione penultima perfecti sæpissime est  in », ut αγαπῶ GO, ἀγάπησα απιαυὲ, νικῶ VÍnCO, ἐνίκησα  vici, et alia innumera; excipe γελῶ rideo, ἐγέλασα Τ18ὲ, διφῶ  sitio, ἐδίψασα sitivi, πεινῶ esurio, ἐπείνασα esurivi, χαλῶ des- 10  iruo, ἐχάλασα destruxi, σχολὼ vaco, ἐσχόλασα vacavi, ῥιγῶ  frigeo, ἐρίγασα frigui, quoa consumo, ἐφύρασα consumpsi :  et quadam verba in ερνῶ, ut ζερῶ vomo, ἐξέασα VOMUI,  κερῶ infundo, ἐκέρασα infudi, περνῶ Supero, ἐπέρασα SUpe-  ravi : item monosyllaba ut exo disrumpor, ἔσκασα disruptus sum, σπῶ vello, ἔσπασα velli, quorum composita retinent  eandem penultimam. ἐπαινῶ vero, et καταφρονῶ habent  c, in penultima preteriti ut ἐπαίεσα laudavi, ἐκαταφρόνεσα  contempsi. Hzc autem sunt penitus anomala βαστῶῷ duro  vel tolero, ἐδάσταζα duravi vel toleravi, πετῶ volo, ἐπέταξα 20  volavi, et ejus composita. Exemplum Verbi Circumflexi in εἲς.    Verbi Activi Indicativi.  Pres. Sing. πατῶ, πατεῖς, πατεῖ calco.  Plur. πατοῦμεν, πατεῖτε, πατοῦσι Vel πατοῖνε. 25  Imp. Sing. ἐπάτουν, ἐπάτειες, ἐπάτειε calcabam.  Plur. ἐπατούσαμεν, ἐπατεῖτε, ἐπατοῦσαν.  Perf. Sing. ἐπάτησα, ἐπάτησες, ἐπάτησε, calcavi.   . Plur. ἐπατήσαμεν, ἐἑπατήσατε, ἐπάτησαν vel ἑπατήσασι.  Plusq. Sing. εἶχα πατήσει, εἶχες πατήσει, εἶχε πατήσει calcaveram. xo  Plur. εἶχαμεν πατήσει, εἴχετε πατήσει, εἴχασι πατήσει.   Fut. Sing. θέλω πατήσει, θέλεις πατήσει, θέλει πατῆσει calcabo.  Plur. θέλοµεν πατήσει, θέλετε πατήσει, θέλουσι πατήσει.    Imperativi.  Pres. Sing. πάτησε calca tu. à; πατήση calcet ille. 35  Plur. à; πατήσωµεν, πατήσετε, ἃς πατήσουνε.    1. P. 78, 1. 15, l'édition originale porte a; et à.— P. 79,1. 7, penulti.  à la fin de la ligne, avec un point.  Cæteri modi et tempora conveniunt cum Indicativo, additis    de more particulis illis διακριτικαῖς vx, διανὰ, ἄνποσες, etc.  ut constat ex Darytonis.    Participii.    s Pres. πατῶντας, omnis generis et indeclinabile formatur à  Pres.    10  Imp.    Plusq.    20  Fut.    præsenti indicativi addita tantum syllaba vraz, ut πατῶ,  πατῶντας calcans. Verbi circum/lexi Passivi Indicativi.    Sing. πατοῦωαι, πατειέσαι͵ πατεῖται Vel πατειέται calcor..    Plur. πατειούμεσθεν, πχτειοῦσθε vel πατειέσθε, πατειοῦνται.  Sing. ἐπατειούµουν, ἐπατειούσου; ἐπατειοῦντο Vel ἐπατειέτον  calcabar. |  Plur. ἐπατειούμεσθεν; ἐπατειοῦσθε Vel ἐπατειέσθε, επχτειοῦνταν.  Sing. επατήθηνα vel ἐπατήθην, ἐπατήθηκες vel ἐπατήθης,  ἐπατήθηκε vel επατήθη calcatus fui.   Plur. ἑπχτηβήκαμεν vel ἐπατήθωμεν, ἐπατηθήκατε vel έπα-  τήθητει ἐπατηθήκασι vel ἐπατήθησαν.   Sing. εἶχα πατηθῆ, εἶχες πατηθῆ, εἶχε πατηθὴ calcatus fue-  Tam.   Plur. εἴχαμεν πατηβῆ, εἴχετε πατηθῆ, εἴχασι πατηθῇ.  Sing. θέλω πατηβῆ, θέλεις πατηβῆ, θέλει πατιθῆ calcabor. Plur. θέλοµεν πατηθῇ, θέλετε ravra, θέλουσι πατηθη.    Imperativi.    Pres. Sing. πατήσου calcare lu. à; nazv95, calcetur ille.  Plur. xs πατηθοῦμεν, πατηθῆτε, a; πατηθοῦνε vel πατηθοῦσι.  et reliqua ut in γράφοµαι.    Participii.    Pres. πατηµένος, πατηµένη, marruévoy, calcatus, a, um. à Græco-literali πεπατηυένος priore syllaba recisa : vel (ut mo-  rem geram iis qui Græco-literalem grammaticam non  legerunt,) ab ἐπάτησα perfecto activo indicativi, mutata  σα in µενος, quia penultima est longa, nam quum est  brevis remanet c, et vertitur tantuma in µενος, ut patet  in ἐκάλεσα VOCAVI, καλεσμένος vocatus. quod etiam verum  est in Verbis barytonis, quorum præte(P. 84)ritum  est in σα, ut ὁμόνοιασα conveni, ὁμονοιασμένος qui cum  alio convenit : quorum autem preteritum est in  Ya, $ vertunt in µ et « in µενος ut ἔγραψα scripsi,  γοαμμένος Scriptus : quorum in £x (dummodo non ve-  niant ab aliquo præsente in £o) mutant Ein y, et a in  µενος, ut ἐδιάλεία selegi, Φιαλεγωένος selectus; dixi dum-  modo non veniant ab aliquo presente in ζω, quia  tunc £ transit in z, ut à κράζω 9000, É«oata, χρασµένος, 5  φωνάζω Clamo, ἐφώναία, φωνασμένος clamatus, etc. imo  in iis, quæ derivantur à verbis in σσω mutant E præ-  teriti in 4, ut τάσσω promitto, ἔταξα, ταµμµενος promis-  sus. Tandem ubi sunt immutabilia À et p, observantur  mutatione « in μένος, et ablatione augmenti syllabici  si fuerit, ut éjaAa (P. 85) cecini, 'aXu£vo; cantatus, ἔσ-  πειρα Semáinavi, enzoucvos seminatus. Ubi duo adverte  primum penultimam perfecti in ρα, verti semper in α  in participio passivo, ut patet in exemplo posito, et in  aliis infinitis. Secundum verbum yaiooux leor, ex-  cipi ab hac regula, utpote anomalum, cujus perfec-  tum est ἐχάοηκα lavtatus sum, participium autem pas-  sivum χαρούμενος lœtus.  Sola præterita in px formant participia passiva in µενος mu-  tando α in e, ut ἔκαμα feci, καμωμένος factus. Sed in vx ver- 20  tunt v in p, et α in μένος ut ἔχρυα judicavi, χριµένος judi-  catus.   Hic modus formandi participia passiva à perfecto activo fa-  cilior sinecontroversia, aptiórque ad instruendum tyronum  animos videtur illo, quem tradidit P. Hieronymus Germanus οὔ  Societatis Jesu in Dictionario suo Italo-Græco animadversione 4. de formatione participiorum, nam cum dicat  participium passivum formandum esse à presente passivo  mutando αι in e, et addendo vs, ut à 7ozgoua inquit, fieri de-  bet yoxpouevos. Deinde vertendo qo in p, ypauuévos Scriptus, 30  non unum nobis effingit participium, sed plura, præterquam  quod etiam non tradit regulam generalem pro omnibus aliis  verbis, ut patet in σθείροµαι corrumpor, cujus participium  est φθαρµένος corruptus, et in χαλοῦμαι destruor, cujus par-  ticipium χαλασμένος destructus, nec potest dici quomodo formari possint à præsente. Hæc autem obiter dixi non ut talis  tantíque Viri auctoritati derogarem, qui optime omnium nostris hisce seculis arcana hujus Grece linguæ penetravit,  multósque nobis Gordianos nexus mira dilucidáque brevitate  dissolvit, sed ut faciliorem meo judicio, incipientibus  viam aperirem ad participiorum passiva: vocis efformationem. Circumflexorum in à; Exemplum.  Verbi Activi Indicativi.  Pres. Sing. ἀγαπῶ, ayxr2;, cyxni amo.  Plur. αγαποῦμεν, αγαπάτε, ἀγαποῦσι vel αἀγαποῦνε.  5 Imper. Sing. αγάπουν, αγαπας, ἄγαπα. amabam.  Plur. ἀγαπούσαμεν, ayant, αγαποῦσαν.  Perf. Sing. ἀγάπησα, αγάπησες, ἄγάπησε amavi.  Plur. αγαπήσαµεν, αγαπήσατε, αγαπήσασι vel ἀγαπήσανε.  Plusq. Síng. cya αγαπήσει, εἶχες ἀγχπήσει, εἶχε ἀγαπήσει απια-  10 veram.  Plur. εἴχαμεν ἀγαπήσει, εἶχετε ἀγαπήσει, εἶχασι αγαπήσει.  Fut. Séngy. Jo ἀγαπήσει, θέλεις αγαπήσει, θέλει αγαπήσει  amabo.  Plur. θέλοµεν αγαπήσει, θέλετε αγαπήσει, θέλουσω ἀγαπήσει.  Imperativi.    Pres. Sing. αγάπησε vel αγάπχ ama tu. à; ἀγαπήσῃ amet  ille. .    Plur. x αγαπήσωμεν, ἀγαπήσετε vel ἀγαχπᾶτε, as αγαπή-  cow. Cetera vide ut in barvtonis.    20 Participii.    Pres. Sing. ἀγαπῶντας amans. ab αγαπῶ accentu immutato,  et addito tantum vrac, est omnis generis, et numeri.    Verbi Passivi Indicativi.  Pres. Sing. ἀγαποῦμαι, ἀγαπᾶσαι, αγαπᾶται Qmor.Plur. ἀγαπούμεσθεν, ayxnào0:, αγχποῦνται.  Imp. Sing. ἀγαπούμουν, ἀἄγαπουσου, œyxroïro, Vel ayznárov  amabor.  Plur. αγαπούμεσθεν, ἀγαπᾶσθε, γαποῦνταν.  Perf. Sing. ἀγαπήθηκα, αγαπήθηλες, αγαπήθηκε amatus fui.    30 Plur. αγαπηθήκαυεν, αγαπηθήκατε, αγαπηθήκασι.  Plusq. Sing. sx ἀγαπηδὴν εἶχες αγαπηθὴ, εἶχε ἀγαπηθὴ amatus  fueram.    Plur. εἴχαμεν αγαπηθη, εἴχετε cyan, εἴχασιν xyxnrfin.    1. P. 89, lignes 7-8 de l'édition originale, le texte porte εἴχες 7yorx9z,  eus ἀγαπχθᾳ. De même &yarr0, sans iota souscrit, à tout le paradigme du  plur. du plusq., du futur et de l’impér. prés., où le texte donne aussi fac  ut amaris, —P.90 et 91, on lit σταθῃ dans le texte, à tout le paradigme. Fut. Sing. θέλω ἀγαπηθῇ, θέλεις œyarrôn, θέλει αγαπιθῇ amabor.  Plur. Θέλομεν ἀγαπυβῇ, θέλετε ἀγαπηθὴ, θέλουσιν yaris.    Imperativi.    Pres. Sing. ἀγαπήσου fac ut ameris. a; αγαπηθῇ ametur ille.  Plur. à; αἀγαπιβοῦμεν, αἀγαπηβῆτε, às αγαπιβοῦν. Reli- 5  qua ut in Barytonis.    Participii.  Pres. ἀἂγαπημενος, ἀγαπημένη, ayamrutvo amatus, a, um. vide    quæ (P. 90) diximus in participio verbi πατοῦμαι. Atque  hzc de circumflexis. 10    Dx ΥΕΕΒΟ SUBSTANTIVO εἶμχι. DE AUXILIARIBUS θέλω ET ἔχω,  ALIÍSQUE VERBIS ANOMALIS.    Verbi S'ubstantivi Indicativi.    Præs. Sing. eux, εἶσαι, εἶναι Sum.  Plur. εἴμεσθεν, εἶσθε, εἶναι. 15  Imp. Sing. ἥμουν, ἤσουν, ἦτον eram.  Plur. ἦμεσθεν, rate, ἦταν vel ἧσαν.  Perf. Sing. ἐστάθικα, ἑστάθγχες, ἑστάθηκε fui.  Plur. ἐσταθήκαμεν, éorafiaate, ἐσταθήχασι vel ἑσταθήκανε.  Plusq. Sing. εἶγχα σταθῇ, εἶχες σταθῇ, εἶχε σταθῇ fueram. 20  Plur. εἴχαμεν aza05, εἴχετε σταθῇ, € yav: σταθῇ.  Fut. Sing. θέλω σταθῇ, θέλεις σταθῇ, θέλει σταθῇ ero.  (P.91) Plur. θέλοµεν σταθῇ, θέλετε σταθῇ, θέλουσι σταθῇ.  Dicitur etiam non incongrué :  Sing. θέλω emma, θέλεις tsar, θέλει εἶναι. 25  Plur. θέλοµεν εἶσθαι, θέλετε εἴσλχι, θέλουσιν εἰσθαι.  Imperativi.  Pres. Sing. à: εἶσχι sis tu. à; etvx sit ille.  Plur. ἂς εἴαεσθεν, a; εἶσθε, a; εἶνχι͵ et cætera ut in  Indicativo. 30  Participii.  Pres. ὄντας cum sim, omnis generis, numeri, et personæ.    Dicitur etiam ἔστοντας vel ἔσσοντας, sed uná cum par-  ticula xai, et aliquo verbo. Verbi θέλω Indicativi.  Præs. Sing. θέλω, ἠέλεις vel Οἳς, θέλει vel 6: volo.  Plur. θέλοµεν vol θέωεν, θέλετε vel (PD. 0902) θέτε, βέλουσιν vel  θεσι͵ et dou vel μα  ὁ Imper. 2111. ἔθελα vel Ἰθελα, ἔθελες, ἔθελε volebam.  Plur. ἐθέλαμεν, ἐθέλετε, θέλανε vel εθέλασι.  Perf. Sing. ἐθέλησα vel ἠθέλησα, ἐθέλησας, ἐθέλησε volui.  Plur. εθελήσαμεν, ἐθελήσατε; ἐβελήσανε vel εθέλησαν, vel  ἐθελήσασι.  10 Plusq. Séng. etyx θελήσει, εἶχες θελήσει, εἶγε θελήσει. volue-  ram, etc.  Fut. Sing. θέλω θελήσει, θέλεις θελήσει, θέλει θελήσει volem, etc.  Imperativi.  Pres. Sing. rue vx θέλης fac ut velis. az wxun vx θέλη velit  15 ille.  Plur. A; wxumuzs νὰ θἔλωμεν, κάμε νὰ θελετε; Ga κάμουν νὰ  θέλουνε, vel &; γάμουσι νὰ θέλονσι.  Dicitur etiam in secunda persona singulari κάμε vx θε-  Añons, etc.    «o (P. 93) Participü.  Pres. θέλοντας, volens. omnis generis, numeri, ac persona.    Verbé £y» Indicativi.    Ῥγωβ. S'ing. Exo έχεις, ἔχει habeo.   Plur. 2422221 ἔχετε, ἔχονσι VO] ἔχουνε.  2; Imp. Sing. είχα, ειχες, ειχε habebam.  Plur. εἴγαμεν, εἴχετε, εἶχανε Vel εἴχατι.   Perfecto proprio, et plusquam-perfecto caret, pro quibus  utitur perfecto, et plusquam-perfecto verbi κοατῶ teneo,  ut ἐκράτησα habui veltenui, εἶχα κοατήσει habueram,   30 vel tenueram.   Fut. Sing. θέλω ἕ ys θέλεις ἐ ἔχειν θέλει ἔχει habebo.   Plur. ο λομεν à ἔχει, θέλετε ἔχει, 0έλουσιν ἔχει.  Imperativi.  Praes. Sing. ἔχε habe. Z; &ya habeat ille.  jb Plur. ας ἔχωμεν, ἔχετε, a5 ἔχουσι Vel ἔχουνε,  Participii.  Pres. ἔχοντας habens. omnis generis, numeri, ac persons. Age jam anomalorum aliorum precipua flexiones in  medium afferamus.  Anomala, quæ potui in hac lingua notare, quanvis ordine   alphabetico ad majorem eorundem cognitionem, ac distinc-  tionem collegerim, ac distribuerim, generatim tamen reduci s  possunt ad illa, quae desinunt in zv», quorum perfectum in  σα, Ut ἁμαστάνω pecco, ἁμάρτησα peccavi.ltem in αίνω quo-  rum perfectum modo est in v«z, modo in σα ut inferius  patebit. item in ένω, quorum perfectum in εσα, et denique  omnia composita verbi ἔχω, quæ eandem cum illo sor(P. 95)- 10  tiuntur conjugationem. Jam singula ordine literarum  exponamus.  A    Ἀμαρτανω pecco. perf. ἁμάρτησα peccavi.   Ανηξαίνω ascendo. perf. ὠνέδηια ascendi. imperativi pra- 45  sens ἀνέθα ascende. Nota βαίνω simplex non reperiri, sed  ejus composita frequenter apud nostros Græcos usurpari ; quæ  tamen omnia sunt anomala.   Avyxerew) Tresuscito alios. perf. ἀνάστησα resuscitavi. At  ἀνχστένουαι Surgo. perf. habet αναστάθηκα suriexi, et impe- 2  rativum ἀνχστάσου Surge.   Αποζγαίνω finem. sortior. perf. ἀπόθγα vel αποθγῆκα, val  ar rex finem sortitus sum.   Adam augeo. perf. αὔξησα et αὐξαίνω, πὔξησα. |   Ἀφήνω, relinquo. perf. ἄφησα, reliqui. 25   B   Βάξω, βάλλω vel favo pono. perf. ἔθαλχ posui. et imperat.  βαλε pone.  Βιζάνω sugo. perf. εξίζασα suxi.   Βλέπω video. perf. ειδα vidi. unde fut. θελω εἰδῇ videbo. 30   Βόσκω pasco. perf. ἐθόσκησα pascui. [όσκομαι vero pascor. |  perfectum habet ἐδοσκήθηκα pastus sum.   r   Γδήνω spolio. perf. ἔγδησα spoliavi.   A 35   Δένω lígo. perf. ἔδεσα ligavi.   Δίόω vel δίω do. perf. ἔδωκα vel ἔλοσα dedi. imperat.    +    1. P. 96, 1. 3 de l'éd. orig., le texte porte sidz. — P. 97, 1. 10 de  l'éd. orig., le texte porte εὐτύχησα. do; da. et in plurali dore date. passivum δίδοµαι habet  ἐλώθηχα datus sum. imper. ὁόσου tradaris.  Διαθαίνω transeo. perf. éduerxa transii. cujus secunda per-  gona ἐδιάθηκες et ἐδιάδης, et tertia εδιάθηκε vel ἐδιάθη. atque hoc  s observandum est in omnibus compositis verbi βαίΐνω.    E   Εμπαίω éngredior. perf. ἦμπα vel ἐμπῆχα ingressus sum.  imperativus ἕαπα ingredere.  Entruyziyo acquiro. perf. ἐπίτυχα acquisivi.   10 Ἑὐγαίνω 63160. perf. wvya vel εὐγῆκα exivi. fut. θέλω εὔχει.  imperat. εὖγα été.   Εὐρίσκω invenio. perf. wwox vel nüoma inveni. fut. θέλω  ever inveniam. imperat. eux. Eodem modo conjunguntur  ejus composita, ut ζανανρίσκω reperio. perf. ἐξαναῦύμα Te-   15 perí, etc.  Εὐτυχαίνω feliciter ago. perf. evroyvaa feliciter egi.  Z   Ζεσταίνο calefacio. inperfectum habet εζεσταυα et ἐζέστανα   calefaciebam. perf. εζέστασα culefeci. et participium pas-  20 Sivum ζεσταμένος calefactus.  H   Hzeopo scio. perf. ἔμαθα scivi. fut. θέλω µαθει sciam. imper.  ἤξευρε Vel µαάθε scias, vel xaus vx uaonc fac ut scias. subjunct.  νὰ µάθω, vel νὰ Ἠξεύρω, ut sciam. participium passivum µαθη-   25 µενος SOlitus vel assuefactus.  K   (P. 98!) Καίω «ro. imperfectum ἔχαια urebam et xavyo.  uro. imperf. ἔκανγα. perfectum habent ἔκαψα ussi. pas-  sivum xzioux uror. habet imperf. ἐκαίουμουν urebar. et   30 καύγομαι, ἐκαύγουμουν, at perfectum utriusque est ἐκάηκα usius  sum. imperat. xæbou urere, e; καῇ uratur ille. subjunct.  να xxy& ut urar. partic. καμμµένος ustus.   Καταθχίνω vel κατηθαίω descendo. perf. ἐκατήθηκα descendi.  vide quz diximus in διαθαίνω.   3$  Καταλαμθάνω comprehendo. perf. ἐκατάλαθα comprehendi.  imper. χατάλαθε comprehende.   Keodaíwo lucror. perfect. ἐκέρησα vel éxépóewea lucratus  sum.    1. P. 98 de l'éd. or., κατά finit la 1. 14, et λαθε commence la ligne 15,  mais au lieu de trait d'union, il y a écrit κατά. avec un point.      À    λαθχίνω lateo. perf. ἐλαθα latui.  Aayaiw» sortior. per. ἔλαχα sortitus sum.  Λέγω dico. perf. einx dixi. fut. θέλω eine: dicam.    M 5   (P. 99) Μαζώνω colligo. perfect. éuxburx collegi.   Μαθαίω disco. perfect. Eux9x didici. imperat. µαθε disce.  subjunct. yx uxo ut discam.   Μεταλάθω communico et communicor. perf. ἐμετάλαδα com-  munionem dedi vel accepi. 10  pat  C»    Ἐκναθλαστάνω vel ζανχθλασταίνω germino. perf. ἐξαναθλάστησα  germinavi.   Ἐαναθλέπω iterum video. perf. ἐζανᾶδα iterum vidi. imperat.  ἔαναειδε iterum vide. 15   Ξαναλέγω repeto. perf. ἐξαναπα repetii.   Ἐαναψυχαίνω hilaresco. perf. ἐξαναψύχησα exhilaratus sum. Ἐαπερνῶ &xcello. perf. ἐξαπέρασα excellui. imperat. ξαπέρασε  excelle.   Ἐεθυμαίνω animo deficio. perf. ἐξεθύμησα animo defeci. 20.   Ἐεπέφτω prœterlabor. perf. ἐξέπεσα præterlapsus sum.Ξερνῶ evomo. perf. ἐξέρασα evomui.   Ἐεχάνω obliviscor. perf. &éyacx oblitus sum.    Il   Παγω, πχγαίνω Vel πηγαίω eo. imperf. ἐπήγαινα ibam. perf. 25  eria ivi. imperat. us, 1. subjunct. νὰ rayo ut eam. πάγω  autem fit per syncopen à παγαίνω, unde retinet syncopen in  omnibus personis, et numeris, ut πάγω, πᾶς, nz. plur. πᾶμεν,  πᾶτε, πᾶσι Vel πᾶνε.   Παθαίνω patior. perfect. ἔπχθχ passus sum. imperat. mate 30  vel πάθχυε patiare. Hanc eandem flexionem sequuntur ejus  composita χακοπαθχύω mala, tolero, etc.   Πέφτω cado. perf. ἔπεσα cecidi. Sic omnia ejus composita.  Πιάνω accipio. perf. ἔπιχσα accepi. imperat. ruse et ἔπαρε,  accipe. item et ejus composita. 35  Πίνω bibo. perf. ἥπιχ vel ἔπιχ bibi (P. 101). imperat. ru   bibe. subjunct. yz πιῶ ut bibam.   Πνεω $piro. perf. ἔπνευσα spiravi.   Ποδαίνω vel ποδήνω ocreas induo. perfect. ἐπόδῃσα ocreas  indui.     P  Pryxo» ad regulam dirigo. perf. ἐριγάρησα ad regulam  direxi. Est verbum Italicum à Græcorum vulgari lingua  usurpatum; Sicut et sequens.  5 Páuzxoo discriméni ezpono. perfect. ἐῤῥιξικάρησα discri ini    e. posui.  by    Σθειῶ extinguo et extinguor. perf. ἔσθησα extinzi et extinc-  lus Sum. at actyo, ἔσέισα idem significat.  10. Σιανω accomiorlo. perf. ἔσιασα accommodavi.  Σχχώγω incurvor. perf. ἔσκνψα incurvatus sum, tanquam  à σκυγτω.  Σταννιάρω Stanno illino. imperfect. ἐσταννιάρζα. perf. ἐσταννιά-  ρισα stanno illinivi. B |  4$ Ὑτεχομαι Sto. perf. ἑσταβηχα steti. imperat. στέχον  vel στάσον sta. subj unct. yx σταθώ ut stem.  Σωπχίνω taceo. perf. ἐσώπασα (acui. imperat. σῶπα lace.  subjunct. νὰ σωπασω ut taceam.    | | T  ων Ἰασσάρω lao. imper. ἑτασσάρζα taxabam. perf. ἑτασσχρισα  ἰαταυὲ. est verbum mutuatum ab Italis. |  Toy» Mmanduco preter propriam, germanämque flexio-  nem, hanc quoque sibi communiter usurpat. τοώγω, τοῶς;  sp». plur. τρῶμεν, cw», τωῶσι Vel -τοῶνε. imperf. ἔτρογα  a; mandiucabanmn, ἔτρως, ἔτρο. plur. ἐτρώγαμεν, ετρῶτε, ἐτρώγοσι  vel ἐτρώγχνε. perf. £jxyx manilitcavi, £yxz;, £x. plur. ελάγαμεν.  Entre, ἐφάγανε vel ἐνᾶτι. fut. θέλω φάγει manducabo. imperat.  GXJE manducea, a2; 92 manducet ille. subjunct. νὰ y,  ut manducen.  30 Y  Ὑπαγω €0, dicitur per syncopen πάγω. imperf. ἐπήγχινα ibam,  à πηγαίνω. perf. ἐπῆγα ivi, etc. vide supra in mzye.-  o.  Φεύγω fi gio. perf. ἔφνγα figi. imperat. 927e futJe.  .:3$ — düxy» vel οτανω assequor. perf. ἔθασα assequutus sum.  X  Xay» perdo. perf. ἔχασα perdidi.  X204» ore aperto conjicio. imperfectum £/zcxa, et non plus  ultra.    1. P. 102, 1. 15 de l'éd. orig., le texte porte ἐτρ" y.at.  : Xopzatyo Saturo. perf. ἐχόρτασα saturavi.  Χύνω effundo. perf. ἔχυσα effudi.    y  V7» concoquo. perf. ἔψησα concozi.    Q 5  Οφεαίνω adjuvo. perf. ὠφέλισα adjuvi ab ὠφελῶ. Atque hiec  omnia sunt fere anomala verba, quorum praeterita,  vel alia tempora propri: conjugationis præcepta non obser-  vant, vel aliquo alio modo à communi ceterorum regula,   et forma deficiunt.De Temporum Grece lingue vulgaris efformatione.    Posr rudem, simplicémque temporum cognitionem, recta  instituti postulat ratio, ut ampliorem clariorémque de illis  methodum tradamus, ac non solum de generali eorum for- 15  matione, sed etiam de speciali doctrinam proponamus. Ut autem ab iis, qua omnibus veluti propria sunt et  communia, suum sibi sumat initium præsens tractatus, illud  tanquam certum, immotümque constituere placet, omnia  preterita tempora, quorum nomine proprie appellanda censeo imperfectum, et perfectum, nullum aliud præter  Syllabicum, quod vocant augmentum admittere.   Hoc autem augmentum iis tantum preteritis addi con-  suevit, quorum presens incipit à consonante, ut λέγω dico,  &zyx dicebam. Hoc ipsum augmentum ὁ syllabico fieri interdum solet temporale, quum videlicet vertitur € in »,  dicendo 7/syx pro ἔλεγα. Verum id Græcos est imitari literales  ac veteres, non autem recentiorum Grecorum linguá loqui  vernaculá.   Illud etiam non te lateat, Verba, quæ initio presentis ao  scribuntur p, illam reduplicare post ε, augmentum syllabi-  cum, in omnibus preteritis, ut ῥαντίζω aspergo, ἑῤῥαντιζα  aspergebam, et ἐῤῥαντισα aspersi.   Animadverte tandem in verbis compositis ex aliqua præ-  positione, quæ incipiat à consonante, semper in præ- 3;  teritis illis augmentum svllabicum fieri ante ipsam præ-  positionem, nullá penitus præpositionis elisá vocali, ut  καταθέχοµαι iJNOT, ἐκαταδέχουμουν dignabar, εἰ ἑκαταδέχθηκα dignatus sum. Hxc quidem in communi, jam singula in  particulari examinemus, et in primis activa.    De presente.    Præsens, quod potissima est totius verbi radix, et cardo,  sad cujus characteristicam reliqua tempora, tanquam ad  immotum axem, amussfinque suspiciunt, quum activum est  exit in «», quod deinde mutatum in ο, format passivum  in µαι. Ab illius finali consonante dependet characteristica  preteriti, ut vidimus in Conjugationibus, et ab ejusdem  10 inchoativa præteritorum nascitur augmentum syllabicum. Imperfectum à præsente deducitur mutando o in a, et  addendo cum ratio postulaverit, augmentum syllabicum, ut  γοάφω Scribo, ἔγραγα scribebam. Caeterum id tantum verum est in verbis barytonis, nam in circumflexis aliter prorsus  dicendum, cum o, presentis transeat in ow in imperfecto,  ut ru honoro, ετίµουν honorabam. id vero commune est  quibuslibet imperfectis, propriam sui presentis characte-  risticam observare et penultimam, excipe ἔχω, εἶχα in cujus   2 penultima additur ε.    De Perfecto, seu Aoristo.    Perfectum, quod vicem gerit Aoristi, cujus olim apud  illa Græciæ vetusta lumina, ac sapientie decora non infre-  quens usus fuit, augmentum habet idem cum imperfecto,   2; si presens incipiat à consonante, ut γράφω scribo,  ἔγραψα scripsi : observat item eandem penultimam, utpote  ab eodem praesente deductum, mutatione ω in α, et charac-  teristicæ presentis in characteristicam preteriti qua septu-  plex est ψ, E, e, À, p, v, p, ut supra diximus in conjugatio-   so nibus barytonorum, pro quibus tantum hæc regula traditur.  Nota tamen perfectum in quarta Conjugatione, cum duplex  fuerit finalis consonans presentis, postremam abjicere, sic  Yu cano, habet ἔψαλα cecini : «apw» facio, Exaux feci :  géov fero, ἕφερα tuli. et alia hujusmodi. Rursusquum penultima   3; presentis ejusdem Conjugationis est per αι diphthongum,  quam deinde sequatur duplex liquida pv, vertitur in v in  perfecto, ut daíow) verbero, &vox verberavi : hoc ipsum  observat πέρνω accipio, licet penultima sit per e, habet enim  perfectum ἐπῆρα, accepi. Caeterum αι ante unicam ν,  vel amittit x in perfecto, ut χλαίω tepesco ,' &xyx ἱεριιὲ,  vel vertitur sepissime in vy, Ut óouvopzxtw OTRO, Opopyryx  ornavi, Ὑοντραίνω crassum fucio vel crassus flo, εχόν-  zpryx, etc. Verbum γενω sano, habet perfectum ἔγιανα sunavi,  ne coincideret cum ἔγενα sanabam imperfecto. Reliqua præte- :  rita irregularia vide in anomalis. In dissyllabis quarte  conjugationis ε praesentis, si praecipue deriventur à Graco-  literalibus, observatur quidem in perfecto sed assumitur  ulterius «, ut μένω Slo, &uswz. Steti , στέλνω mitto, ἔστειλα misi,  σπέονω SEMNO, ἔσπειρα Seminavi, etc. De præteritis cir-  cumflexorum fusius egimus supra exponentes eorum Conjugationes. Plusquam-perfectum conflatur ex imperfecto εἶχα verbi  Eye, et par(P. 10)ticipio passivo neutro, quod remanet sine  flexione, ut εἶχα Joxuusyx SCcripseram, Gallice J avois escrit.  eyx Sicut avois variatur quidem in omnibus numeris, et  personis, at “γραμμένα et escrit manent penitus immutata.  Vel etiam eidem imperfecto εἶχα addendo γράψει item in-  variatum, aliud effinges plusquam-perfectum, frequens et 29  ipsum apud recentiores Graecos.  Futurum (proh teihporum vicissitudinem) ubi quondam  apud veteres Grecos parens quodammodo reliquorum erat,  et αοχτὰὸν Aoristi, cujus vicem in hac lingua praeteritum 25  gerere superius insinuavimus; modo emendicatam aliunde  tenet significationem, atque ab eodem Aoristo deriva-  tionem.   Duplici autem modo potest à praeterito futurum  effingi. Primo ablato augmento syllabico, et versa à in ω, 30  ac addendo particulam 6, ut ab éypzlx scripsi, facies GE  γὐάψω scribam, ita ut γραφω varietur per singulos numeros et  personas, invariata particula 6. Vel   Secundo sumendo verbum θέλω, et addendo tertiam per-  Sonam supradicti futuri, ita ut θέλω flectatur per omnes 38  numeros, et personas; minime vero quod additur, ut θέλω  yoxpa scribam, γυάψει remanet immutatum ubique.   Penultima futuri est semper eadem cum penultima per-  fecti, excipe παγω et πέρνω, quorum perfectum penultimam  habet in », sed futurum in x, ut énzyx ivi, θέλω πάγει vel θὲνπάγω bo, et ἐπῆρα accepi, ^w παρει vel (tv πάρω accipiam.  5    MEYER. GHAMM. GRECQUE. 4    DO Appendix de particula 0: vel Ge.   Quanvis frequentior sit apud hodiernos Grecos usus  futuri secundo modo explicati, et particula 6: vel 6:4 aut θέν  per syncopen ita dicatur, sicut et #% pro ήθελα volebam, quia   » tamen non raro reperies futurum primo modo traditum, quod  affinitatem quandam cum Græcoliterali futuro præseferre  videtur, iccirco pauca de dictarum particularum usu censeo  disserendum.   Est igitur particula θὲ, sicut et verbum θέλω, quando abso-   1) ute ponitur, nullique particula superaddita, specialis nota  futuri. Dixi, absoluté, nam si cum particula νὰ conjungatur,  ut θέλω νὰ yox lo, non denotat futurum, sed definitam quandam  animi constitutionem ad scribendum.   Dicitur autem 6:, quum verbum incipit à consonante, m,   1; duntaxat ex(P. 113)cepta, ante quam ponitur θέν, ut θὲν πάρω  accipiam. Quod si verbum inchoet à vocali, vel diphthongo,  tunc utendum erit particula 6€”, ut 66A ἀγαπήσω amabo.   Observes obiter rogo, hujusmodi particulam 6t, vel verbum  θέλω, quum construuntur, reponi ante pronomina, et articula,   2) ut id. tibi faciam, si juxta Graecorum vulgus loqui velimus,  dicemus θέλω σου τὸ κάμει Vel θὲ σου τὸ xau.    De Passivis, ac primiim de Prosente.   Activorum sic exposita figuratione, par est, ut etiam ad  passiva gressum faciamus, et in primis de primario eorum   ο” tempore, videlicet de presente quam paucissimis agere  aggrediamur.   Præsens ergo passivum desinit semper in µαι ab activo  deductum, cujus w si sit verbi barytoni mutatur (P. 114) in o,  si vero circumflexi in οὗ diphthongum, et additur pu, ut   30 θέρνω verbero, δέονουαι verberor, »wà moveo, κινεῦμαι moveor.   Secunda persona est in ox, quomodo imitatur flexionem  verborum in µι passive vocis Græcoliteralis grammatice :  Formatur in barytonis à prima presentis passivi, mutando  o in e, et uat in ox, ut zozcouat SCribor, γοάφεσαι scriberis.   35 Dixi in barytonis, quia in circumflexis secunda persona præ-  sentis passivi formari debet à secunda præsentis activi, cum  hoc tamen discrimine, quod in prima conjugatione circum-  flexorum post ει, addenda sit ε cum accentu acuto, et post s,  αι, Ut πουλεῖς vendis, πουλειέσαι venderis : in secunda vero   w facile fiat addendo tantum αι, ut ayxra; amas, αγαπᾶσαι  amaris. Tertia fit à secunda, mutata σαι in ται, ut θέρεσαι verbe-  raris, δέρνεται verberatur, πουλειέσαι venderis, πουλειέται  venditur, etc.   Prima pluralis est. semper in ούμεσθεν, mutato ubi fuerit o  in ου, et µαι in µεσθεν, ut γράγομαι, Ὑγραφουμεσθεν, vel retento o, 5  ut γράφοµαι, Ὑραφόμεσθεν, his enim duobus modis exprimitur  prima persona pluralis.   Secunda fit à prima pluralis ablata µε et v, ac retenta σθε,  ut γραφούμεσθεν, γραφοῦσθε : vel à secunda singularis, mutando  σαι in σθε, ut γράφεσαι, ypxqes0s, possumus namque uti utra- 10  que ad libitum.   Tertia deducitur à secunda pluralis vertendo σθε in νται,  ut γραφοῦσθε, γραφοῦνται: vel à prima singularis mutatione µαι  in vrat, Ut γράφομαι, /οάφονται.    De Inperfecto passivo. 15    Imperfectum passivum est semper in ouuow, à prima pluralis  presentis passivi mutando µεσθεν in pov», et addendo  augmentum syllabicum, si verbum incipiat à consonante,  ut ραφούμεσθεν, ἐγράφουμουν SCribebar. Secunda est in σου à  prima ejusdem mutata pow in σου, ut ἐγράγουνυοων, ἐγράφουσου.  Tertia vero à secunda mutando σου in vro, ut ἐγράφουτου,  ἐγράφουντο. Vel alias à tertia singularis presentis, vertendo  ται in τον addendóque syllabicum augmentum, ut γράφεται,  ἐγοάγετον.   Prima pluralis fit à prima singularis, addito σθεν, et mu- ?5  tato ουν in €, ut ἐγοάγουμονν, ἐγραφούμεσθεν. Secunda à prima  pluralis ablata µε et v, ut ἐγοαφούμεσθεν, ἐγωαφοῦσθε. Vel à  secunda singularis mutando «cose» in eo, ut ἐγράφουσον,  ἐγράφεσθε. Tertia denique à tertia singularis vertendo ον in    ave, Vel aot, ut ἐγράφουντον, ἐγραφούντανε, vel ἐγραφούντασι. De Perfecto Passivo.    Perfectum passiva vocis, quod Aoristo penitus passivo  veterum Græcorum non tam significatione respondet, quam  flexione ab activo formatur hoc modo. Debet prius verti x in  0r«z vel Gw, quae est propria terminatio omnium penitus præ- 35  teritorum passivæ vocis, tum si fuerit ) verti in », si £ in y,  si ; debet tolli, preterquam in verbis tertiæ conjugationis,  si ν etiam ejicienda, si vero À et o retinendæ, quantum ad p,  raro reperiuntur perfecta activa in µα, Sed si fuerint, ut    )2 PORTII    &aux feci, carebunt tamen perfecto passivo quare ut dica-  inus, fictus Sum non utimur verbo κάμνομαι, Sed yivvouuat,  cujus perfectum est &yzv//rza. Jam penultima perfecti passivi  eadem est cum penultima activi, ut ἔγραγα scrépsé, ἐγοάφθηκα   ὅ vel ἐγράφθη» scriptus (P. 118) sum : εφύλαξα Custodivi, ἐφνλάχθηκα  vel £u) Xy ry custoditus fui, &tvrax Movi, &uyr rz vel ἐἑχι-  νήθην motus sum. ὀνομάτισα noménavi. ὀνοματίσθηκα vel ovo-  µατίσθην nominatus fui, ëbaix cantavi, ἐφαάλθηκα cantatus  fui, etc. Id quidem ita fere contingit; sed quia nonnulla sunt   10 perfecta passiva quie. penultimam activi non retinent, ideo  hie singillatim referam verba, quorum perfecti activi et  passivi eadem est cum presente penultina.   Verba activa in απω, αξω, αφω : etm. εξω Ec): Οπω. Gov,  vy», retinent in utroque perfecto vocalem, quæ in præsente   ιν procedit β, π. 2. idem faciunt in zz», axym, αχω : exm, ym,  εχω : ατως, x00, xm) : Em. Ed, Ot εἶω.   Verba autem in aZ», εζω, ζω, οζω, Em, et vo, vel In duo  σσ, quorum perfectum activum est in σα, observant quidem  ubique eandem penultimam, sed assumunt ; ante θα, ut   20 (P. 119) κολάζω punio, ἐκόλασα punivi, ἐκολάσθηκα punitus  sum, etc. quorum vero perfectum activum est in £z, candem  etiam habent in utroque penultimam, sed assumunt zy ante  Graz, Ut κραζω UOCO, ἔκραξα COCA, Exoxy'mex vocatus fui.   Verba in eo» vel ενω barytona diversam habent in   . 25 utroque perfecto penultimam, nam in activo e presentis, ut  plurimum additur ;, vel rarius mutatur in x, in passivo vero  semper vertitur in x, ut sim Seméno, ἔσπειρα SCminavi,    4  PIS    εσπάρρηκα sennalus fui, στέλνω illo, ἔστευα uisi, ἐσταλ--  θηκα issus Sun : Ct πέρνω accipio, ἐπῆρα accepi, ἐπάορηκα   30 acceptus fui. φέρνω autem porto, et ejus composita habent  ἔρερα portavit, et ἐέρύηκα portatus fui.   Verba in a» faciunt perfeetum passivum in άλμα, in  ανω, in rex; et verba in ew» habent oz, praeter (P.120!)  γώνω abscondo, quod habet ἐχώσθηκα assumpta ; ante Ora :   35 in xi» vero perfectum formant in ἄσθηκα, ut λαθαύω, xs  (21.   Tandem circumflexa, quorum activum perfectum est in zzz,  passivum est in θα : quorum in εσα, modo.in εθηκα, modo in  sx, si precipue penultima præsentis sit brevis : quorum   40 autem activum est in «zz, passivum est in ao0rxx, ut γελῶ de-    1. P. 129, 1. 4 de l'ed. orig., le texte porte élabasüge.   cipio, ἐγέλασα decepi, ἐγελάσθηκα deceptus fui. Ceterum hujus  temporis flexio, cum sit facilis et eadem omnino cum illa per-  fecti activi et Aoristi primi passivi Græcoliteralis, retice-  bitur, et lectores ad illa remittentur. Anomala vide supra  suo loco.   Superest fortassis aliquid dicendum de plusquam perfecto,  et futuro passivo : Verüm quia hæc conveniunt cum activis,  mutata tantum voce activa Verbi in passivam scilicet yoxha in 7pxy)i [sic], lectorem admonemus, ut adeat illa,  ficque finem imponimus temporum formationi. Posr tractatum de Verbis adverbiorum sequitur expositio,  ita quippe se habere videntur adverbia ad ipsamet verba,  ut epitheta vel adjectiva ad substantiva; quare sicut hæc 1:  sine substantivis, sic illa sine verbis consistere nequeunt.   Adverbia igitur. ut plurimüm desinunt in x, à nominibus  neutrius generis desumpta, ut ἐξαίσιχ egregie, καλὰ bene, etc.  pauca in ως, ut ὡσκαθὼς quemadmodum o; ut, ὀμπρῶς ante,  vel coram. quam exigua in o, ut ἔπανω surswm, χάτω in- 90  frà : rarissima vero in ου, ut ἀξάηνον derepente, πιτακτοῦ data  opera, etc. Est quidem ex adverbiis aliud quantitatis interro-  gativum, ut πόσον, quantum? cui respondet τόσον tantum,  πολὺ Thultum, ὀλίγο parum, χαμπόσον Vel καμποσάκι aliquan- 35  tulum. Sunt etiam quædam Ordinis, seu Ordinalia, ut ποῶτον  vel πρῶτα primo, δεύτερον secundO, τρίτον, tertio, etc.   Est item aliud quantitatis adverbium compositum ex goox  vel βολὰ, et aliquo numerali nomine, vel adjectivo, ut µία  goox Semel, duo φοραῖς bis, τρὶς oxi; ter, συχναὶς φομαὶς fre-3)  quenter, πολλαῖς βολαῖς multoties, et alia plura.   Aliud dicitur qualitatis interrogativum, ut πῶς quomodo?  cujus redditivum est, ἔτζι sic. aliud veluti signum, ot nota,  ut καλα ben?, ὀρθὰ rectè, xx«x male, ἄτνγα prave, et his si-  milia. 35   Jam czetera adverbia vel sunt Temporis, ut σήμερον hodie,  αὔριο cras, μεθαύ(Β. 123) post crastinum, 40: heri, ποοχθῖς  nudiustertius, τώρα nunc, «oyx Sero, απέχει postea, πέουσι anno superiore, παρενονς slatim, et quæ sequuntur. vel Loci,  ut εκεῖ vel aus (bi, απεεὶ vel απαντοῦ inde, ποὺ ubi, πούπετας  alicubi, απάνω sursum, 2470 deorsum, ὀμπροστὰ vel ὀαπρῶς  ante, αποπίσο retrorsum, £o híc, et alia. vel Hortandi,   sut ἐλάτε venite, a; eia, γειάσου euge. vel Similitudinis,  ut ᾠσγαθὼς quemadinodum, ὡς sicut, ὧσὰν vel σὰν, ὡσκαθὼς  tanquam : vel Intensionis (sic; ut πολλὰ multum, dura vehe-  menter, ὑπεοπεμίσσα superabundanter : vel Remissionis, ut  αγχαμνα V€nmisse, ayxhx Sensi, μετὰ βίας vir : vel Dubi-   dv landi, ut. ἂν an, τάγα forle, τὸ λοιπὸ) igitur. vel Afftr-  mandi, ut vai vel ναίσκε certe : vel Asseverandi, ut ὁλότελα  penitus, ἁπαληθηνα vere : vel. Negandi, ut ὄχι vel ὅσνε, et  ὄγεσκε Non, o£) vol dE non, uz vel μὴν ne, μήτε vel απδὲ neque,  GUTE 1161116, azour, VOL zx«oux nondum.   i5.Reperies quiedam adjectiva neutra in v, que  transeunt in adverbia, ut τὸ ταχὺ mane, τὸ [ox22 vespere,  et nonnullos etiam accusativos singulares, ut την νύχτα noctu,  την YXu:ox) die, etc. His adde interjectiones yov, et ὀϊμενα  hei mihi, et alia.    ου . Izres est expers recens hæc Græcorum lingua gravissimæ  difficultatis, quam antiqua literalis suis in præpositionibus  experitur ob innumeras fere variásque illarum significationes, ac casus, quibus cum alligantur. Nostre siquidem præ-  positiones, quæ octo precipue recensentur, eundem semper  casum, accusativum videlicet optant, unicimque vel ad  plurimum duplicem sibi significationem asciscunt. Sunt  autem hz, εἰς, πρὸς, μετὰ vel μὲ, aro, διὰ vel γιὰ, κατὰ,   30 δίχως vel χωοῖς, ὡς.   EG regit accusativum, et significat ên, motum scilicet in  locum, ac statum in loco, ut εἰς τὸν 2voxvoy idem valet ac £n  cœlum, et ên ccelo, εἰς ἔπχινόν του in suam. laudem, εἰς την  Pour, lom.   3 Πώς quanvis literalis, non construitur tamen in hac lingua  nisi cum accusativo, significitque ad, erga, vel adversus, ut   π.ὸς &uzyx AU ine, erga me, adversus me, etc. i 1. P. 125, 1, 5 de l'éd. originale, le texte porte οὐρανον  Μετὰ, et per syncopen μὲ correspondet præpositione cum,  ut µετὰ κείνους Cum illis, μὲ πολλοὺς cum multis. Adverte tamen  ut plurimum tunc uti µετὰ, quum ponitur ante nomina, quae  incipiunt à vocali, μὲ vero quum incipiunt à consonante.   Aro idem valet quod a vel ab, e vel ex, et quanvis Græco- 5  literalis, non observat tamen eundem casum, sed accusativo  gaudet, eliditürque (P. 120) ipsius o, si nomina præeat quorum  principium est vocalis, secus autem si sit consonans, ut απ᾿  éxtiyou; QD illis, ἀπὸ τὸν θεὸν ἔρχονται ἕλα τὰ καλὰ, à Deo omnia  bona procedunt. 10   Aux, et corrupte γιὰ significat per, ob, vel propter, ut du  vel yx τὰ τοονέσι« γίνεται κάθε ποᾶγμα per, vel propter pecu-  niam omnia fiunt. Solet autem interdum addi particula τα,  præpositioni διὰ vel γιὰ, quum precipue præcedit prono-  mina, ut διὰ τὰ pas propter mos, διά τ ἐκείνους οὗ illos; vel 15  etiam λόγου, cum pronominibus tantum, et genitivis μοῦ,  σοὺ, τοῦ, τῆς, τῶν, σᾶς, μᾶς, etc. ut dix τοῦ )όγουμου propter me,  διὰ τοῦ λόγουσας propter vos, et sic de reliquis, quo in casu  tantum genitivum gubernat.   Kara nunquam significat contra, sed secundium, vel juxta, 3 sempérque postulat accusativum, ut κατὰ τὸν τρόπον secundum  modum, ἔκαμες γατὰ τὴν γνώμην uou fecisti juxia meam opi-  nionem. Δίχως vel χωρὶς æquivalet absque, vel sine, ut  δίχως danpx Sine pecunia, χωρὶς ἐλπίδα absque spe, χωρὶς ἄλλο 35  absque dubio.   Ὡς denique valet usque, ut ñ φωνή σον ἔσωσεν ὡς τὸν οὐρανὸν  clamor tuus usque ad celum pervenit. videtur desumpta  à Graeca literali, ἕως.   Hæ quidem sunt præpositiones, quibus maxime vulgaris 30  Grecorum lingua in simplici oratione uti consuevit; sunt  tamen alie à Greca literali mutuate, que in composita  duntaxat oratione reperiuntur, in primis avri, ut ὠντιστέκομαι  resisto, πρὸ ut ποοφέρνω offero : παρὰ, ut παρακούω non obedio :  σὺν Ut σύντροφος SOCiUS, et συντρέχω CONCUTTO : &yx, ut 35  ἀναπείθω persuadeo : ἐν, ut ἐγκαρθιώνω animum. confirmo, et  ἐγκασδιακὸς intimus, seu ex corde : περὶ, ut περικυκλώνω obsideo :  et ὑπὲρ, Ut ὑπερπερίσσα satis supérque, et alia.   Cæterum ut Latinas possis præpo(P. 128)sitiones Græco-  vulgares efficere, non abs re erit illas in medium proferre a 4o  vel ab et abs. e vel ex ἀπὸ, ut supra. Absque δίχως vel χωοὶς,  ut supra. Ad ποὸς vel εἰς. Apud κοντὰ vel aw adverbia loci,    20 PORTII    quae conjuncta cum pronominibus prime, secundæ, et tertiæ  personæ regunt genitivum, ut χοντά σου tpud Le, κοντα του  apud illum swzas2 apud me : cum aliis vero exigunt accu-  sativum addita praepositione εἰς, ut χοντὰ εἰς τοὺς παλαιους αρλκῖ  "5 antiquos. Hxc tamen praepositio εἰς amittit ει diphthongum,  et σ eonjuncta cuin articulo subsequente, ut κοντὰ στην πόοταν  apud portam, σιιὰ στὸν χάωπον prope campum. Ante  ὀμπρυστὰ Vel ὀμπιῶς adverbia, quie juncta cum supradictis  pronominibus amant genitivum, ut ὀμποοσταμου ante me,  10 ὀμποῶς σου ante te, etc. cum aliis autem, accusativum apposita  item præpositione εἰς, ut ὀαποοστὰ εἰς τὸν κόσμον ante  mowurndum,óunpàs; εἰς τὰ αάτιχμου ante meos oculos. Antequam,  ποὶν vx cum subjunctivo, ut ποὶν νὰ «zuo, antequam faciam.  . Clam, κρυγὰ Vel χωστὰ adverbia, quæ cum pronominibus  15 illis regunt genitivum, ut γωστάμου clam à me; cum reliquis  vero accusativum adjuncta praepositione amo, ut ἐπβρατο  κρυφὰ «mo τοὺς d)Àou; accepi illud clam ab aliis. Contra,  ἐναντίον adverbium, quod optat genitivum cum dictis pronomi-  nibus, ut ἐναντίον σου contra te, accusativum vero cum reliquis  2 addita item præpositione eig, ut εναντίον ets τὸν οὐρανὸν contra  ccelum. Coram, ὀμποιστὰ vel ὀαπρῶς, vide ante. Circa,  circiter, et circum, τριγνοου adverbium, quod postulat geni-  tivum cum supra recensitis pronominibus, ut τοιγνρου µου  circa me; accusativum autem cum reliquis apposita item  25 præpositionc εἰς, ut τρι/ύρου ei; την χώραν Circa, vel circum  regionem. Cis, vel citra, ἀαπεθὼ aro cum accusativo,  ut ἀπεδὼ ἀπὸ ταῖς Άλπαις CÍS, vel citra. Alpes. Citm, µετὰ vel  με, ut supra. µαζι vel avzxux adverbia, quæ cum pronomini-  bus illis volunt genitivum ; cum reliquis vero accusativum  30 adjuncta przepositione μὲ vel μετὰ, ut µαζι μὲ τοὺς ἄλλους Una  cum aliis. ἀντάμα μὲ τὸν ἄνδρα της Simul cum, viro suo.  De, τοιγύνου, vide quæ diximus supra in circum, et cérca.  E vel ex, vide, a vel ab. Erga rco; vide ad. Extra, ὅτω  vel &o adverbium, quod dupliciter construitur vel absolute cum accusativo, ut ὄξῳ τὰ uazix σου extra sint lui oculi quod  fit quum imprecamur alteri, vel cum præpositione ἀπὸ, ut  ὄξῳ ἀπὸ τοῦτο Eye χάθε πρᾶγμα, Cvlra id omnia habeo, et hic  modus loquendi frequentior est, et æquivalet, preter.  In ci, ut suprà. Inter, ἄνχμεσα adverbium, quod positum cumdictis pronominibus genitivum gubernat, ut avapsoz  του énter illum, cum aliis vero accusativum, interposita præ-  positione εἰς, ut ἀνχμεσα εἰς τὸν λχὸν inter populum, ἀνάμεσα εἰς  τοῦτο inter hoc, id est interim. Infrà, ἀπὸ κάτω adverbium  loci ponitur cum genitivo ante pronomina μοῦ, σοῦ, τοῦ, τῶν;  τοὺς. etc. cum accusativo vero ante reliqua nomina appo-  sita præpositione ἀπὸ, ut αποκάτω «m5 τὸν fiyx infra Regem, etc. Intra, µέσα genitivo gaudet cum relatis pronominibus; cum cæteris aecusativo addita praepositione εἰς, ut  µέσα εἰς τὴν Καρθίαν µου intra, cor meum. Ob διὰ vel γιὰ, vide  in dux.   Per, et propter, διὰ vel γιὰ. vide δια, ut suprà. Post vel  pone, ὕστεα adverbium, quod cum illis sæpius repetitis pronominibus genitivum adoptat, ut ὕστερά σου post te; cum  aliis vero, accusativum, apposita item præpositione ἀπὸ,  ut Ἴλθα ὕστερχ an ὅλους post omnes veni. Proter,  vide extra. Palam, vide coram. Prae, vide supra, vel  super. Pro, quum significat defensionem, dicitur διὰ vel γιὰ 15  cum accusativo, ut ài σένα πολεμῶ propter te pugno : quum  vero idem sonat quod vice, vel loco alterius, utimur his  vocibus, εἰς τὸ ποδάοι, Vel ei; τὸν τόπον cum genitivo, ut ó πάπας  εἶναι εἰς τὸ ποδάρι, Vel εἰς τὸν τόπον τοῦ Θεοῦ εἰς τὴν γῆν Papa vicem  Dei gerit in terris. utimur interdum etiam præpositione »  αντὶ, Sed hoc modo, exempli causa, pro pisce dedit mihi car-  nem, avi vx pod Juan ψάοι, μ᾿ ἔλωκε xpéxs. Procul, μακρὰ cum  genitivo, si præcedat toties enumerata pronomina, ut µακοά  µου procul à me, cum accusativo vero, si cætera antecedat,  interposita præpositione ἀπὸ, ut uaxox ἀπὸ τὰ µάτιαωου procul a;  ab oculis meis.   Sub, vel subter, vide infra. super, et suprà ἐπάνω vel  απάνω adverbium. construitur cum genitivo, si præfigatur pronominibus prime, secunde, et terti? personæ.  ut απανωμου Supra, me, επάνω σου Supra te, etc. cum accusa- 30  tivo vero, si aliis preponatur, interposita prwepositione «ei,  Ut εἶχεν az els τὸ χεφάλι του ἕνα στεφάνι, habebat supra caput  suum, coronam.   Tenus, vel usque, ὡς vide suprà in ὡς.   Versus πρὸς cum accusativo. Ultra, vel trans ἀπέκει απὸ 35  cum accusativo, ut απεκεῖ ἀπὸ τὸ mozzuc ultra, vel trans flu-  vium. Dicitur etiam απόπερα, vel réox cum genitivo, ut  απόπερα, Vel πέρα τοῦ rorauco trans flumen. Post exactam præpositionum inquisitionem, superest jam  ut extremam omnium Orationis partem, ac minimam que  » Conjunctio dicitur, ob illius præcipuum munus, (P. 134) con-  nectendi scilicet reliquas Orationis partes, absolvamus. Sunt  autem ex Conjunctionibus quzdam copulativæ, ut xat et aur  vel uz sed, αἀκόμι etiam. aliæ vero Disjunctivæ, ut η vel :  aliæ Continuativze ανισωσχαὶ δὲ, zv vel x an : quaedam subcon-  |(0tinuativae. ut ἐπειδῇ vel ἐπειδὴ καὶ quoniam seu quando-  quidem, sx postquam : nonnullæ Causales, ut διὰ we vel νὰ  ut, διὰ τὶ vel γιὰ zi enim aut quia : alite Dubitativæ, ut τάχα  forte, τάχα νὰ un numquid, τὸ λοιπὸν igitur. alie Collectivæ,  ut τὸ λοιπὸν ergo, διὰ vel γιὰ τούτο propterea : quaedam denique Expletivæ, quae tantum ad ornatum orationis spectant ac nu-  merum, non ad significationem, ut dx x, etc. Atque haec de  omnibus orationis partibus singillatim sumptis. De Syntaxi Lingue Grece Vulgaris.    2 "Vidimus jam singulas orationis partes examinantes, quo-  modo dividantur, flectantur, ac conjungantur, quásve in  partes secentur, ac quibus in classibus collocentur; nunc qua  ratione cum aliis jungi, ac inter se connecti debeant, quà  polliciti sumus brevitate sermonem instituemus.Tres etiam assignamus in hac lingua Concordantias, ut  apud Latinos. Prima est nominativi cum Verbo in numero, et  persona, ut ἐγὼ yox» 6/0 scribo, ἐκεῖνος παίζει ille ludit, ἐσεῖς  μιλεῖτε VOS loquimini.   3; Secunda est Adjectivi cum substantivo, ut σοφὸς ἄνθρωπος  homo doctus, xxx rox boni adolescentes, καλῆς  συντροφιᾶς bonc conversationis, etc. Substantiva quae ma-  teriam significant solent sæpissime accusativo efferri cum  praepositione απὸ, loco adjectivorum, ut ζώνη «mo πετζὶ pro  nezGirom cingulus ex pelle, ῥοῦχον ἀπὸ τρέχαις pro τρίχινον vestis  ex pilis ; quod fit per ecclipsin participii subintelligendo χαµω-  µένη Vel καιωμένον facta vel factum. Adjectiva semper præ-  poni debent substantivis unà cum articulo, ut τὸ μικρὸ παιδὶ  paruus puer, πρῶτος dy)owro; primus homo : Quod si ali-  quando postponatur, duplicandus est articulus, et apponendus  tam substantivo, quam adjectivo, ut φέρεµου τὸ ῥοῦχο τὸ xoxxtyoy 10  affer mihi vestem purpuream.   Tertia Relativi cum antecedente, in genere, et numero, ut  εἶδα τὸν Πέτρον, τοῦ ὁποίου ἐμίλησα, vidi Petrwm quem alloquutus  fui. et aliquando in casu, ut τὰ λόγια, τὰ ὁποῖα verba, qua.  Si ponaturrelativum inter dua nomina substantiva diversorum generum potest his duobus modis construi,  exempli causa, sydus quod, vel quam vocant Capream,  communi Graecorum lingua dices τὸ ἄστρον, τὸ ὁποῖον Vel ὁποῦ  (quod est relativum indeclinabile, omnis generis, et nu-  meri) κράζουν αἶγα Vel τὸ ἄστρον ὁποῦ τὸ χράζουν Vel vv» xoxbouv 20  ἁι/χ.   E duobus substantivis ad diversa pertinentibus, si in ora-  tione ponantur aliud est nominativi casus, alterum vero  genitivi, ut τὸ xocui τοῦ Πέτρου, corpus Petri, τὸ πετδὶ τοῦ  βουδιοῦ bovis pellis. Interdum tamen iste genitivus transit in 25  accusativum, ut 7 τωήτους pro n τιαήτων honor eorum, ἕνα  ποτήρι νερὸ pro νεροῦ poculum aqueæ, et similia.  De Pronominibus μοῦ, σοῦ, τοῦ, ἐμένχ Vel μὲ, ἐσένα vel ot,  ἐμᾶς Vel μᾶς, ena; vol σᾶς, τὸν, την, τὸ, τῶν», τοὺς, ταῖς, ta.    Horum pronominum unà cum(P. 138) Verbis constructio, 30  quoniam aliquantulum difficilis esse videtur, cum certa quæ-  dam regula tradi non possit, quando preponenda sint vel  postponenda, seu quando ε ἐμένκ potius dicendum quam yz, vel  ἐσενκ quam σε, ut ἐσᾶς quam σᾶς, idcirco de his nonnulla  observatione digna exponere merito judicavi. 35   Certum itaque in primis, monosyllaba illa pronomina sive  primæ sint, sive secundæ, sive tertiæ personæ nunquam  ipso orationis initio collocari, sed elegantiüs semper post  ipsum verbum poni, vel post aliquod nomen, vel post parti-  culam dev vel de non, ut ἀγαπῶτα, ἀγαπῶτους, etc. amo illa «o     vel illos, etc. ἐγὼ σᾶς uzx ego dixi vobis, δὲν μοῦ Ἄάμνει χρεία,  non est mihi opus, βλεπει µε videt me, et hujusmodi plura.  Certum secundo primos illos accusativos primae, et secunde  personæ eusyx videlicet et ἐαᾶς, ésivx et εσᾶς,  poni  5 semper in ipso orationis, periodíque principio unà cum μὲ et  μᾶς, σὲ et σᾶς, Ut ἐωένχ μὲ ἂγητᾶ 0 πατέρας µου me amat pater  meus, ἐσένα σὲ wo te odio habet, ἐμᾶς μᾶς κοάζει παιδιά του nos  vocat filios suos, ἐσᾶς σᾶς χράζει ἐχθρούς του vos appellat ini-  mcos 81108. quæ loquutiones correspondent Italicæ phrasi vel  10 Gallicæ, cum quibus habet maximam affinitatem, quum  dicunt. α noi ci chiama sui flgliuoli, il nous appelle ses  enfans, et similia. Vides igitur hujusmodi accusativos cum :,  conjungi cum monosyllabis μὲ, σὲ, ua; et σᾶς, qui statim illos  subsequuntur. Nominativi tamen ἐμεῖς et ἐσεῖς, ponuntur abso-  15 lute initio periodi, ut eueis ψωμὶ dev ἔχομεν καὶ ἡ κάτα πίτα  σύρνει ΠΟ ΏαπιεΏὲ non habemus, et felis trahit placentam,  est adverbium ! Græco-vulgare in filios, qui bona patris pau-  peris lautius quam par sit profundunt, et opipare vivunt.  Certum insuper µονοσύλλαθα illa pronomina μοῦ,  20 Go0, τοῦ, μᾶς, σᾶς, τῶν, et τους, etc. Si simul esse contingant  cum aliquo adjectivo, poni inter adjectivum, et substantivum,  ut ὁ πρῶτος µας φίλος primas noster amicus, αἀγαπημένε µου vis  Πέ mi dilecte, % γακαῖς τους γλώσσαις male illorum lingua, etc. Item sumi pro pronominibus possessivis ἐδικόσμου;  25 ἐδικόσσου, ἐδικόστου 136115, tuus, suus, etc. Verum tunc non  ponuntur absolute, ut possessiva, sed uná cum alio nomine,  ut quum dicimus, liber meus, zo βιξλίον uo», at cum dicimus,  hic liber est meus, quia meus est solus et non cum alio no-  mine, nos dicemus, ἐτοῦτο τὸ βιέλίον εἶνχι δικόμου, et non τοῦτο τὸ  30 βιθλίον uoo εἶναι. |  "ertum quarto monosyllabos illos accusativos μὲ et μᾶς, σε  οἱ σάς, ταῖς et τοὺς, tam ante verbum collocari posse, quam post,  Ut ἐγὼ σᾶς τὸ ἐδιάξασα τὸ γράμμα, et ἐγὼ ἐθιάξασά σας τὸ γράμμα. eo  vobis legi epistolam. Quod si hujusmodi accusativi particulae  35 isti δὲν vel δὲ non, ὡσὰν vel σὰν sicut, vel adverbiis «202;  quemadmodum, été sic, σήµερον hodie, αὔοιον Cras, τώρα nunc,  et aliis adverbiis loci jungantur, tunc verbo postponi minimé    1. (Sic). Lisez proverbium. — De même plus haut, ligne 6, il faut  lire probablement zyarzz pour αγητᾷ que porte le texte. Une ligne plus  bas, l'original donne μισᾶ. — Enfin, 1. 11, le texte porte, au lieu de 4  mous appelle, nous nous appelle.  possunt, sed tantum præponi, ut δὲν μᾶς τὸ ἔστειλες τὸ βιθλ΄ον  non nisisti nobis librum, σήμερον σᾶς εἶπα νὰ μὴν ευγαίνετε hodie  vobis diré ne exeatis, nec enim bene dicemus, δὲν τὸ ἔστειλές  µας, NEC σήμερον εἶπχ σας. De quibusdam Nominibus qua (sic) genitivum regunt, vel 5  accusativum, ubi etiam de ablativo absoluto.    Omnia nomina Comparativa, si praecipue cum pronomi-  nibus primitivis construantur, verbalia item in τικὸς una cum  nominibus, qua dignitatis habent significationem, ignora-  rationis, participationis, similitudinis, ac communicationis, tv  et utilitatis genitivum adoptant, ut εχεῖνος εἶνχι σοφώτε:ός µου ile  est sapientior me; ἐτοῦτο εἶναι φανε ρωτικὸν τῆς ἀγαπης |,  id est significativum amoris : ὁ ispéxs εἶναι ἄξιος τιμῆς Sacerdos  est dignus honore; ἁμαθῆς τῶν ἑλληνικῶν γοχμµατων ignarus  Grecarum literarum, σύντρογος καλῶν ἀνθρώπων bonorum  hominum socius, ὅμοιος τοῦ λεονταριοῦ Leoni similis, τὰ καλὰ  εἶναι xotyx τῶν φίλων bona sunt amicis communia, et similia.   Ea item quæ dicuntur numeralia ordinis genitivum requi-  runt, ut Φεύτερός µου mihi secundus, πρῶτος των primus inter  illos, etc. Quæ tamen construi etiam possunt cum accusativo 20  posità praepositione amo, ut ὕστερος ar” ὅλους postremus omnium,  πρῶτος ar ὅλους primus omnium, et sic de reliquis.   Profecto, ut uno verbo dicam, omnia sive Comparativa sint,  sive superlativa, sive plenitudinem significent, vacuitatem,  utilitatem, et similia, si cum pronominibus jungantur, utplurimuni postulant genitivum, si cum aliis nominibus accusativum cum præpositione aro, ut απ) Sous τοὺς ἕλληνας, ὅπου   fav εἰς τὴν Τροίαν, δυνατώτενος, Vel δυνατώτατος ἦτον ὁ Αχιλλεύς, OM-  nibus Grecis qui extiterunt in expeditione Troiana fortior  fuit, vel omnium Græcorum fortissimus fuit Achilles. No- 3;  men γεμάτος, ut plurimum habet post se accusativum sine ulla  præpositione, ut γεότος ἔννοιχις curarum plenus : At evxvzio;  contrarius genitivum amat cum primitivis pronominibus,  cum aliis vero accusativum uná cum praepositione εἰς, ut  εἶναι &yxyzioz µου 63 mihé contrarius. et εναντίος εἰς Soo; COn- 35  trarius omnibus. φίλος denique semper reperitur cum geni-  tivo, ut sic: τοῦ 0ευὺ amicus Dei.   Instrumentum, causa, modus, et excessus debent in hac [Le texte ici porte ἀγότης. Cf. p. 60, note 1.] lingua exprimi accusativo, cum præpositione, uz, vel μετὰ,  vel etiam interdum cum διὰ, vel γιὰ, si preesertim causam  significare velimus, ut ἐκτύπησα cou! μὲ τὸ ῥᾳθδὶ baculo illum  percussi, τὸν εἶδα μὲ w2)ó par oculo illum vidi   5 benigno, ἐσκότωσε τὸν ἐχθούν του μὲ τὸ σπαθὶ hostem suum gladio  interemit; νικᾶ Sous μὲ την φωνήν του sua voce reliquos superat;  διὰ τῆν δειλιὰν, Vel γιὰ τὸν φόξον ἔχασε v. ἅρματά τον PTŒ pavore  perdidit arma.   Tempus item, et mensura tam loci, quam ponderis sim-   10 pliciter accusandi casu efferuntur, ut τὴν ἡμέραν xal τὴν νύκτα  δὲν χάωνει ἄλλο παρὰ νὰ dudar, die, ac nocte nil aléud facit  quam legere, Ῥώμῃ εἶνχι parca ἀπὸ τὴν Φράντζαν ἐκατὸ λέγαις  Roma distat à Gallia centum leucis, βαρεῖ τριάντα λίτραις est  ponderis triginta librarum.   5 Jamablativum absolutum, pro quo Græci literales utuntur  genitivo, nostri Græco-vulgares penitus ignorantes, nec  genitivum usurpant, nec alium casum, sed vel ipso nudo no-  minativo utuntur, ut υισεύοντας ἐγὼ ἀπὸ τὴν εκλησίαν ἔπεσεν ñ  στέγη τοῦ σπιτιοῦ σου (liscedente me ab Ecclesia cecidit tectum   2 fie domus, vel loquutionem resolvunt per ἔταν vel σαν, po-  nentes verbum in imperfecto, ut ὅταν vel aav ἐμίσευα  ἀπὸ τὴν ἐκκλησιὰν ἔπεσεν, etc. cum discederem ab Ecclesia ceci-  dit, etc.    De Constructione Verbi Activi.    2;  Nonnimis laborandum erit in tradendis regulis verborum  activorum. Omniasiquidem verba activæ significationis postu-  lant ante se nominativum agentem, et post se accusativum,  vel genitivum patientem. Genitivum quidem utuntur hujus-  modi Græciæ regiones Peloponesus, Creta, Chius, Zacynthus,   30 et omnes penitus Græciæ insule. Accusativo vero gaudent  Attica, Thessalia, Macedonia, Thracia, et omnes prorsus  Continentis provincie, atque incola. Quum igitur verseris in  Insulis, utere post verbum genitivo, accusativo vero quum  fueris in Continente. Adverte tamen, quanvis iis? qui in Insulis sunt post verbum  activum genitivum, quem person: vocant, admit-  tant (res enim apud omnes, ac semper ubique ponitur in    1. Il faut évidemment lire τόν.  2. Leçon de l'original pour zi. 'l'oute cette phrase est d'une construc-  tion pénible et confuse. Postverba doit être lu en deux mots. accusativo, ut axoo» τὰ λόγια σου, non τῶν λόγιων Gov,.QUdio  tua verba) id verum esse precipue, quum postverba se-  quuntur pronomina illa primitiva μοῦ, σοῦ, τοῦ, et tantum in  numero singulari, ut δὲν μοῦ a«os: non me audit; nam in plu-  rali dicunt cum accusativo, δὲν uz; εἶπε τίποτες, niil nobis s  dixit, licet in singulari dicerent, δέν uoo eine τίποτες!. Quod si  alia subsequantur pronomina, vel nomina, modo genitivum  ponunt, modo accusativum, ut ακούω τὸν llézpoy non τοῦ  Πέτρου audio Petrum, et ui τοῦ Μάρκου, et non τὸν Maoxov,  nisi dicas μὲ τὸν Μάρχον, alloquor Marcum, vel loquor cum  Marco.   Quando autem statuendus sit post verbum activum geni-  tivus, vel accusativus optima regula est, si animadvertamus  ad linguam Gallicam, vel Italicam. nam si post verbum acti-  vum ponatur particula à, tunc sem(P. 14í)per in Græco 15  vulgari reponi debet post verbum genitivus, ut /'ay dit à  Francois, ἐγὼ εἶπα τοῦ Φραγκίσκου, non τὸν Φραγκίσχον. Si vero  talis particula non ponatur, utendum tunc erit accusativo,  vel genitivo juxta distinctionem Græciæ locorum superius  insinuatam, ut je vous ay fait la grace, ego vobis gratiam 20  feci, secundum Insularum habitatores dices, ἐγὼ σοῦ τήν ἕκαμα  τήν χάοιν, et secundum Continentis incolas, ἐγὼ σὲ τήν ἔχαμα  τὴν yXow, qua loquutio correspondet huic Italice, la gratia  ve l'ho fatta.   Prætereà sciendum, verba, quæ apud Latinos, vel Grecos 25  literales exigunt post accusativum rei dativum persons,  apud Grecos vulgares usurpare pro dativo persons, vel  genitivum ut loquuntur Insularum cultores, vel accusa-  tivum ut Continentis incolæ, exempli causa, ego dedi tibi  librum dices, vel éyà σοὺ τὸ ἔδωχα τὸ βιθλίον, (P. 148) velso  ἐγὼ σὲ τὸ ἔδωχα τὸ βιθλίον.   Rursus verba, quie duos sibi accusativos adsciscunt apud  Latinos, et ἕλληνας, apud vulgares Graecos, vel ambos retinent,  ut loquitur omnis Continens, aut mutant accusativum per-  sonæ in genitivum, ut phrasis est omnium Insularum, verbi 35  gratia, ego te doceo grammaticam, dicetur ἐγὼ σὲ, vel σοῦ  μαθαίνω τὴν γραμματικήν.   Jdem fit aliquando, si verba apud Latinos regant ablativum  cum praepositione a vel ab, et accusativum, ut aufero à te  vestem, ἐγὼ σὲ, vel σοῦ πέονω τὸ ῥοῦγον. dixi aliquando, quia ut w ]Voyez au commentaire pour l'établissement du texte.] plurimüm pro ablativo ponitur accusativus cum præpositione  aro, ut «accepi à Petro tuas literas, ἐγὼ ἔλαξα ταῖς γραγαῖς σου  ani τὸν Πέτρον, il habeo à te, € χω το ar ἐσένχ, et alia.  Idem etiam præstari debet , Si verbum apud Latinos accusa-  ; tivum regat et genitivum, vel ablativum sine ulla præpo-  sitione, ut empleo ollam denariorum, γελίζω τὸ :ζουκάλι amo  τορνέσια, et (D. 149) émpleo vas aquá, γεμίζω τὸ αγγεῖον ἀπὸ  woo. in quibus tainen sape sæpius reticetur aro, dicendo sim-  pliciter τορνέσια et νερὸ.  De Constructione Verbi passivi, neutri, ac Deponentis.    Quemadmodum activae vocis verbum exigit ante se nomi-  nativum agentem, et post se accusativum patientem, ita é  contra passivæ vocis verbum postulat ante se nominativum  patientem, post se vero accusativum agentem uná cum   i5 preepositione απὸ, ut τὸ &uzzt τραθιζεται ἀπὸ τὰ dÀojx CUTTUS  trahitur ab equis. Semper igitur in passivis casus personæ  verbi activi, quum videlicet duplicem requirit casum post se,  vertendus est in nominativum, manente altero immutato,  Ut εγὼ σὲ uaÜziw τὴν yrauuarwry, passive redditur, ἐσν µαθαίνεσαι   20m ἑμένχ τὴν γηαμματικὴν, tu doceris à me grammaticam, etc. VT APVD LATINOS. Ex verbis neutris, vel Deponentibus, quaedam  absolute ponuntur sine ullo casu, ut Er vivo, πορπατῶ am-  bulo, στέκοµαι S00, οιμούμαι dormio : quidam vero requi-   2; runt post se aliquem casum, ut ἀρέσκει µου placet mihi, τὶ  φαὐεταίσας, quid. vobis videtur, et alia, quie genitivum, aut  accusativum postulant pro diversitate pr&sentis Grecis re-  gionum, si eosdem casus, vel alios requirant Latinorum verba  vel neutra, vel deponentia ; et tunc Constructio erit eadem   30 quam jam recensuimus in verbis activis.    De Verbis εἶμαι, φαίνοµαι, et aliis, tum de Verbo Impersonali,  de Modis, Gerundiis, ac quibusdam loquutionibus. Verbum εἶμαι sum duos habet nominativos ante, et post se,   ut ó Αοιστοτέλης ἅτονε μεγαλος φιλόσοφος, Aristoteles erat magnus  35 Philosophus. eodem modo construitur verbum φαίνομαι t i-  deor, λέγουαι dicor, «oxzopzt vocor, λογοῦμαι nuncu-  por, et similia, quæ preeter illos duos nominativos admittunt  etium genitivum, vel accusativum juxta supradictam locorum Græciæ distinctionem, sicut Latina dativum, ut αὐτὸς  pod εἶναι, Vel φαίνεταί µου καλοπίγερος ἄνλρωπος ipse mihi est,  vel videtur vir idoneus. Vel etiam accusativum cum præ-  positione aro, si Latina regant ablativum cum praepositione  à vel ab, ut justus ab omnibus vocatur, vel reputatur  beatus, δίκαιος χράξεται͵ Y, κρατειέται µακάριος am’ 02095.   Verbum impersonale duplicis est speciei activae nimirum  et passivæ. Utrunque impersonalis verbi genus, vel ponitur  absolute sine ullo casu, ut βρέχει pluit, λέγουνε fertur ; vel cum  aliquo casu ut apud Latinos, verbi gratia, pertinet ad me,  ἐγγίζει µου, non licet vobis, δὲν σᾶς πρέπει, mon curatur de  anima, δὲν ἐννοιάζεται διὰ τὴν ψυχήν. Ubi adverte verba imper-  sonalia utpluri(P. 152)mum sumi à tertia persona plurali prze-  sentis indicativi activi, ut pro scribitur dicunt γράφουνε scri-  bunt, pro vivitur, ζοῦνε vivunt, et alia. Dixi ut plurimüm  quia reperitur interdum, et quidem raro aliquod impersonale  desumptum à tertia persona plurali presentis indicativi  passivi, ut κοιμοῦνται dormitur.   Modorum usus pervius est unicuique ut apud Latinos. In  usum tamen hi precipue veniunt indicativus, imperativus, 20  et subjunctivus, qui vicem gerit infinitivi, et exprimitur per  particulam νὰ, ut Θέλω νὰ τὸ «auo volo illud facere : cui  interdum praeponitur articulus τὸ, et ponitur loco nominis,  ut τὸ vx χάμεις pro τὸ κάνωμα σου tuum factum. Similem loquu-  tionem habent Græci literales, ut τὸ ποιεῖν pro ποίηυα, et Itali, 25  il fare, pro il fatto. Hujusmodi modus semper ponitur post  aliud verbum, sicut infinitivus apud Latinos; vel alias resol-  vitur per ἔτι vel πῶς, (P. 153) ut scio te fecisse hoc, vulgo  possumus dicere, ἠξεύρω πῶς, vel ὅτι τὸ ἔκαμες, quod ἔτι et πῶς  videtur correspondere Italico che vel Gallico que. Ponitur 3o  etiam zat pro ὅτι, ut λογιαζω vat τὸ ἔμαθες, pro ὅτι τὸ ἔμαθες, puto  te illud didicisse. Jam quaenam particula, vel Conjunctio  unicuique modorum tribuatur, et quomodo inter se discre-  pent, vide supra in Conjugationibus barytonorum.   Gerundiis caret utraque Greca lingua, fruitur vero Latina. 3;  Ea autem sic in vernaculam Graecorum dialectum vertenda  censemus. Gerundia in do, resolvuntur in participia, ut  amando αγαπῶντας, dicendo λέγοντας, etc. Gerundia in dum  exprimuntur aliquando per dix νὰ, si illa praecedat praepositio  ad, ut ad habendum διὰ νὰ ëyr : aliquando per oz, vel 4o  zyxuzgx onov, Si præcedat praepositio inter, ut inter am-  bulandum, σὰν ἐπορπάτουνα, id est dum ambularem : inter [MEYER. GRAMM. GRECQUE.] dicendum ἀνχμεσα ὁποῦ ἐμῶμε cum loqueretur, et similia.  et ali(P. 154)quando per πρέπει, si à Latinis efferantur abso-  lute sine ulla praepositione, ut faciendum mihi est, πρέπει  νὰ άνω, tObis agendum, πρέπει vx Ἰάμετε, etc. Hic modus  5 loquendi non aberrat à modo loquendi Italorum, vel Gal-  lorum, dum dicunt, mi bisogna fare, il me faut Jaire,  cum hoc tamen discrimine, quod in dictis linguis verbum  consequens est infinitivi modi, et nunquam mutatur, at  in Graeca vulgari verbum quod subsequitur πρέπει est sub-   10 junctivi modo, variatürque ac construitur cum personis,  quie comitantur gerundia in dum, ita ut si persona sit singu-  laris, et prima, verbum etiam erit primæ persone numeri  singularis, et sic de reliquis. Tandem gerundia in di, sim-  pliciter efferuntur per vx cum subjunctivo, ut lempus est   i5 und, 22160; εἶναι yx naue! sciendi sum cupidus, επιθναῶ va  µεθω, etc.   Veniamus jam ad peculiares, quasdam loquutiones. QVVM LATINE DICIMVS, quod tibi scripserim, vernaculo  Graecorum sermone sic efferemus, διὰ τί σοῦ £yoxlx, vel ὃτι σοῦ   ο0 ἔγραγα, Vel τὸ vx σοὺ Eyux pz, Vel ἔστοντας καὶ νὰ σοῦ ἔγραφα, prior  et secundus loquendi modus conformior Latinæ loquutioni  videtur. De nonnullis adverbiis, ac particulis, quæ vel nominibus,  vel Verbis præjfiguntur.    a;  Uttotum communis Grece linguæ syntaxeos absolvamus  tractatum, brevibus precurremus nonnullas voces, quarum  notitia non parum juvatur is, qui aditum sibi fieri vult ad  hujusmodi linguæ Græcæ svntaxim. Dicamus ergo prius de  Xunoes inam, quod adverbium est optandi, ponitürque   s) unà cum νὰ, et constituit in verbis peculiarem modum, qui  dicitur optativus, reperitur cum perfecto, et imperfecto, ut  ἄμποτες νὰ τὸν ἔκραξες, utinam. illum. vocasses, ἄμποτες νὰ τὸν  ἔθλεπα, utinam illum viderem.   (P. 156) ‘Av, vel à fit à Græcoliterali sw, sé, ac pariter regit   3; subjunctivum, tempus amat id, quod nos in verbis barytonis  diximus habere indifferentem quandam, ac indeterminatam  significationem, ut ἂν σὲ πιέσω δὲ te capiam, non & σὲ πιάνω : ἂν  σὲ εὑρήσω δὲ Le. reperiaan, non ἂν σὲ εὑρίσκω. Conjungitur præ-    1. Certainement pour πάμενε] voyez page 159 de l'original, plus loin  p. 68, 1. 7 sqq. terea cum omnibus  preeteritis, ut xv &xux δὲ feci, ἂν ἔγραφε, δὲ  scribebat, ἂν θέλει 2ώσει δὲ dabit, et reliqua.   Aro, quanvis praepositio significans a vel ab, in compo-  sitione tamen alicujus verbi, vel nominis non semper  eandem retinet significationem; nam interdum denotat per-  fectionem, ut arocs)swm perficio, τελειώνω quippe simplex  füure tantum significat, sed cum aro perfecte finire, utque  Latini dicunt, rem reddere omnibus numeris absolutam.  interdum vero finem quodammodo præ se ferre videtur, ut  αγοτοώγω finem. comedendi facio, unde adverbia αποφαγχ  post pran(P. 151)dium, et απόθειπνα post canam. ct tandem  penitus, seu de, ut anses penitus amputo, et ἀποχεφαλίδω  decollo, et alia.   *A; adverbium hortandi, si ponatur cum imperfecto efficit  modum optandi, ut a: ἔθλεπα utinam viderem; caeterum ας  nota est imperativi, seu potius subjunctivi, ut 2; κάμη faciat.  Videtur autem derivari à Græcoliterali ἄφες, unde per synco-  pen z:. quare quum dicimus 2; 1% idem valet ac sine ne, ut  videam, qui quidem loquendi modus frequens est in sacris  paginis, praecipue in Evangelio, ds: ἴδωμεν, εἰ ἔργεται Ηλίας  σώσων αὐτὸν, quem imitati Græci- -vulgares dicunt, a; ἰδοῦμεν ἂν  ἔρχεται Has διὰ νὰ τὸν ἐλευβερώσῃ.   Adverte tamen hujusmodi ἄς, non poni in secunda persona  imperativi, sed tantum in prima, et tertia. Quia videlicet,  aptior imperandi persona videtur secunda, non prima, et  tertia, unde et Itali quum magnates alloquuntur solent ob-  sequii, et revereniP. 15K)tiæ causa uti tertia persona, ne  loquentes secundá persona, videantur aliquomodo illis impe-  rare. Est igitur a4; subjunctivi potius nota, quam imperativi.   A&, vel 3. deductum fortasse fuit ab se ablata diph-  thongo ου. Dicitur autem 05», quum ponitur ante vocales et  " diphthongos, imo οἱ ante aliquas consonantes, videlicet ante  B, 7; ὃ, 0, 4.0, 7,9, y : d vero ante reliquas consonantes. Regit  indicativum tantum, quia in reliquis modis non utimur οὲν,  sed uz», vel uz, ut uz» κάµης ne facias.   Να aliquando est adverbium demonstrandi, et regit geni-  tivum si praecedat pronomina primitiva numeri singularis,  ut νά σου ecce tibi, accusativum vero si sint numeri pluralis,  et ante alia nomina, ut vx σας ecce vobis, νὰ τὸν Mézos» ecce  Petrum. Aliquando est conjunctio causalis, ab ἵνα deducta,  unde ut illa subjunctivum expostulat, qui, ut diximus, vicem  etiam gerit (P. 159) infinitivi. Atque hinc fit, ut aliqui dicant conjunctionem vz signum esse, ac notam infinitivi. Verum  quo firmo, stabilíque nitantur fundamento non video. Inter-  dum denique νὰ solet esse particula repletiva, et ornatus  causa maxime apud Chios, qui dicunt ἐκεινὰ pro exi, τουτονὰ   5 pro τοῦτον, quam etiam replicantes satis molliter sonant &xewavz,  et τουτονανα.   Νε item particula est quæ nihil significat, et tantum ad or-  natum ponitur orationis, idque duntaxat à Chiis, non in qui-  buslibet nominibus, sed tantum in articulis et pronominibus   ιο masculinis et foemininis, ubi reperiatur finalis litera v, ac in  prima, secunda, et tertia persona verborum numeri pluralis,  ut pro εἴλατιν, εἴδατηνε Dro τοῦτον, τούτονε, DTO τούτων, τουτωνῶνε,  pro γράφοµεν, γράγομενε, pro λέγετε, λέγετενε, et sic de reliquis.   Ωσάν demum vel ox, aut ez, idem significat quod Latine   i5 CUm, vel post(P. 160)quam, ac postulat subjunctivum, ut  σὰν yox|yn; cum  scripseris, σὰν ἔλθω postquam venero, et  similia.   Interjectio ὄχου, veloiusvx hei mihi regit accusativum, ut  ὀϊμένα τὸν xaxouooy heu me infelicem. At modo requirit   so nominativum, vel vocativum, ut πεγχλη duoruyix Ó magnam  calamitatem, καλὲ ἄνβρωπε Ó bone vir, modo vero geniti-  vum, et tunc vim habet admirationis, ut à τοῦ θαύματος Ó rem  admirandam, idest Papæ.   Atque haec de Syntaxi linguæ Græcæ communis, metho-   ο” dicáque ejusdem institutione, majore qua potui dilucidäque  brevitate, ac studio ad Dei omnipotentis gloriam, Fidei Catho-  licae propagationem, Proximorum utilitatem, nec non ad  φιλογλώσσων περιεργείανPorta. Portius. Porcius. Simone Porzio. Porzio. Keywords: implicatura.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porzio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Possenti: la ragione conversazionale e la conversazione di Romolo e Remo – radice dell’ordine civile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Studia a Torino. Insegna a Venezia. Dei Aquinensi. Fonda l’Annuario di filosofia. Centro di ricerca sui diritti umani. Attrato dalla storia delle civiltà, ispirato da VICO (si veda). Studia l’idea d’un assoluto impersonale. Incontra l'istanza metafisica e umanista attraverso AQUINO (si veda), intuendo le possibilità speculative e liberanti incluse metafisica dell'essere. Tre sono gl’ambiti primari della sua ricerca: metafisica, pensiero teoretico e ritorno al realismo; personalismo; filosofia politica. Studioso d’AQUINO, del tomismo. Professore della grande tradizione della filosofia dell'essere, orienta l'attenzione critica verso GENTILE, il neo-parmenidismo italiano di SEVERINO nel suo ritorno a VELIA e il VELINO, ricercando una razionalità attenta alla storia ma non consegnata interamente alla furia del tempo. Dunque il ritorno all'eterno invece che l’eterno ritorno di Nietzsche e la ripresa del tema della creatio ex nihilo, assente in molta filosofia. Il suo approccio legge meta-fisica e nichilismo come due nuclei che tendono ad escludersi – i veliani -- di cui il primo è la fisio-logia e il secondo la pato-logia. Individua pertanto nella destituzione dei valori e nella riduzione della ragione a volontà l'esito ultimo del nichilismo. Questo vuole liberare Italia dalla metafisica, ritenuta distrutta dal criticismo, ma il compito della filosofia dell'essere è preparare una ripresa della metafisica dell'esistenza, tale che possa di nuovo tenere un posto nella storia della civiltà. Una presentazione ampia della sua è in “Storia della filosofia”; Filosofi italiani, Antiseri e Tagliagambe, Bompiani, si veda anche nichilismo e filosofia dell'essere, intervista, a c. di Mura, “Euntes docete.” La riscoperta della meta-fisica esistenziale è un tentativo di mettere in luce la parzialità di non poche posizioni che hanno proclamato la fine della metafisica occidentale: GENTILE, e SEVERINO. Essi hanno operato come reagente per la riconquista della metafisica e per la critica del nichilismo, di cui offre una determinazione diversa da quelle di Nietzsche e di Heidegger -- con applicazioni anche all'ambito del nichilismo giuridico. Il rigetto del nichilismo e l'analisi dell'anti-realismo, del logicismo, del dialettismo e del razionalismo che affliggono la filosofia, gli conducono a giudicare concluso e senza possibilità di ripresa il ciclo della meta-fisica nel cammino di GENTILE.  La base prima della filosofia dell'essere sta nell'asserto ‘l'ente è'. Questo il grande tema da cui occorre partire. Dall'ente appunto e non dall'essere vuoto dei moderni. In tal modo crollano l'identità tra logica e meta-fisica del razionalismo, l'idea di dialettica come generazione logico-apriorica del sapere, e l'idea di divenire come entrare-uscire dal nulla. Qui opera un'adeguata semantizzazione dell'essere (dell'ente), rigettando l'errore primordiale di trattare la questione dell'essere come questione di essenza, il che presuppone la negazione della potenzialità. Ma se questa è presente, niente in senso proprio va in nulla ma si trasforma. Si svolge verso un positivismo in cui la filosofia è capace di progresso. È andata così delineandosi la tesi che nello svolgimento della meta-fisica dagl’antichi a noi sia emersa, dopo la seconda navigazione nell’ACCADEMIA (vedi Fedone), proseguita e perfezionata da Aristotele al LIZIO, una terza navigazione che si esprime nella Seinsphilosophie che ha toccato un punto di apogeo in AQUINO e nei grandi tomisti. In tale prospettiva è possibile tracciare un'essenziale storia della meta-fisica quale progressiva penetrazione della verità dell'essere, culminante nella metafisica dell'actus essendi. Si tratta di una metafisica trans-ontica che, prendendo le mosse dall'ente, procede verso l'essere stesso -- esse ipsum per se subsistens -- e che individua la struttura originaria nella partecipazione dell'ente all'essere. Le sue posizioni sono consegnate alla trilogia “Nichilismo e Metafisica. Terza navigazione, Il realismo e la fine della filosofia moderna, e Ritorno all'essere. Addio alla metafisica moderna. Esse sono discusse da XVIII autori in, “La navicella della meta-fisica. Dibattito sul nichilismo e la terza navigazione (Armando, Roma) Cottier, Dummett, Berti, Riconda, e poi in Realismo Metafisica Modernità. “In margine al realismo e la fine della filosofia moderna”, Dalfino e Pozzo, CNR-Iliesi, Roma.  La possibilità di guadagni per sempre rigetta l'idea fallibilista -- Popper et alii --, secondo cui ogni sapere -- riportato poi solo a quello delle scienze -- riposa su palafitte perennemente rivedibili.  La meta-fisica ha per oggetto non il concetto di essere, ma l'esistenza. Il filosofo deve sempre e nuovamente ribattezzarsi nelle sue acque, fuggendo l'oblio dell'essere e liberandosi dal sistema che intende racchiudere in sé la totalità. Un problema centrale per lui è la possibilità di una conoscenza filosofica autonoma, che non proceda solo sull'imbeccata che possano darle le scienze ed altre forme di conoscenza, nonostante la necessità del dialogo tra filosofia e scienza, in quanto non esiste un solo sapere.  L'unità plurima o polivalente della ragione si applica anche al nesso tra filosofia e il culto sacro. Nell'incontro tra compito della ragione e elezione del cristianesimo si individua un criterio di apertura e stimolo per la filosofia nella sua ricerca di senso. Il principio della persona è più fondamentale del principio della responsabilità (Jonas) e del principio-speranza (Bloch), e a fortiori delle filosofie dell'impersonale o inter-soggetivo. Il concetto di persona si presta efficacemente in una serie di problemi in cui le nozioni di individuo, di soggetto, di coscienza risultano inadeguate. La persona è originaria e primitiva, e raggiunge una profondità e permanenza che non hanno le altre categorie appena citate o l'uso che spesso ne è stato fatto. Si veda il dossier sul “Principio Persona” con contributi di Grandis, Ivaldo, Madricardo, Pera, in “Studium”,  L'idea di persona è essenziale per maneggiare le grandi difficoltà insite nell'antropologia, in specie da quando in Occidente si cerca di elaborare un'etica procedurale di norme senza base antropologica, che è il grande equivoco dei moderni.  Fa parte del vasto movimento del personalismo, volto alla riscoperta integra della persona. Compito del personalismo ontologico è di valorizzare ed integrarele filosofie del personalismo incompiuto -- Habermas, Rawls, BOBBIO, Ferry, Parfit -- allontanandosi da quelle dell'esplicito anti-personalismo, Nietzsche e Foucault in specie, ma pure Hegel, Heidegger, SEVERINO nei quali forte è l'empito anti-personalistico. Le assise della persona vanno ricercate nell'ontologia, onde essa è una sostanzialità aperta alla relazione, ma non riducibile a sola relazione. Le persone sono nuclei radicali di vita e realtà che non possono essere dedotti da alcunché e che anzi fonda l'agire e lo sperare dell'essere umano  Esse come totalità concrete è alla base di una filosofia che oggi deve fare i conti con la centralità del tema antropologico, con le problematiche bio-etiche (ad es. concernenti lo statuto dell'embrione), e con le concezioni in cui il soggetto e la natura umana non sono intesi come un presupposto ma come un prodotto della prassi.  Il personalismo quale insieme di scuole e correnti filosofiche che assegnano speciale valore e dignità alla persona, non è in senso proprio un'invenzione, ma originariamente della patristica, del medio-evo, e dell'umanesimo. Qui sono state elaborate in certo modo per sempre le idee fondamentali sulla persona e dischiuso come nuovo guadagno il suo spazio di realtà. L'epoca dell'antropocentrismo non è stata un'epoca di riscoperta della persona. Un antropo-centrismo sicuro di sé non può dare risposte a molte domande della vita ed è tanto più impotente, quanto più le domande sono profonde, Se la controversia sulla persona si accende di nuovo in molti ambiti, è perché l'idea-realtà di persona attraversa un momento d’eclissi e richiede nuovamente la fatica del concetto. Assolutamente primario è il nesso persona-tecnica, in cui la seconda è spesso animata da volontà di potenza, valendo come una potenza senza etica. La presenza nel comitato di bio-etica gl’induce a dedicare attenzione ai temi di bio-tecnologie, la rivoluzione bio-politica, l'influsso pervasivo del materialismo e del biologismo.  Il personalismo si declina poi in ambito sociale come concezione egualitaria e comunitaria -- personalismo comunitario -- quale fondamento dell’ordine politico proiettato verso la cosmopoli, la pace e il rispetto dei diritti umani.  Entro un dialogo critico con le tradizioni del liberalismo e dell’illuminismo, opera per mostrare il contenuto di nozioni centrali del politico come quelle di ragion pratica, bene comune, popolo, democrazia, legge naturale, diritti dell'uomo, laicità, ai fini di una rinnovata filosofia pubblica in pari col suo oggetto. Uno specifico rilievo è stato assegnato al problema teologico-politico secondo due direttrici: la ripresa post-moderna di un ruolo pubblico per le grandi religioni; l'idea che la loro deprivatizzazione anche in Occidente può contribuire ad un positivo rapporto fra religione e politica, nella prospettiva di una piazza pubblica non agnostica ma attenta alla matrice teologica della società civile. Con la filosofia politica si opera il passaggio dal piccolo mondo dell'io al grande mondo' della società, verso la società aperta della famiglia umana. Sulla scia di diagnosi -- Arendt, Maritain, Strauss, Simon, Voegelin -- ritiene che la filosofia politica vada riportata al suo compito primario di pensare la buona società, lottando contro la crisi concettuale che procede all'ingrosso da Weber e dall'attacco al diritto naturale. In particolare è stata condotta una critica radicale a Kelsen, alla sua concezione relativistica dei valori e della democrazia, al suo intento di dissolvere l'idea di ragion pratica, tolta la quale l'ambito della prassi precipita nell'irrazionalismo e tutto è affidato al volere. Cfr. il dossier Liberalismo -- “Humanitas”, con interventi di Campanini, Zanone, Esposito, Ivaldo. Esso raccoglie parte del dibattito sollevato da “Le società liberali al bivio” che vide interventi di Savona, Vigna, Cubeddu,  Berti, Pellicani, e Scarpelli. Si sostiene l'importanza della filosofia e dell'antropologia per la democrazia, sulla base dell'idea che la costruzione del cosmo umano è compito della ragion pratica. Insufficiente risulta una sfera pubblica moralmente neutrale, consegnata al binomio del diritto positivo e la morale procedurale. La rinascita della filosofia politica avviene riprendendo competenza sui suoi problemi, tra cui massimo è quello della pace: la pace necessaria che non c'è e la guerra inammissibile che c'è. Occorre disarmare la ragione armata: ciò suggerisce che vada cercata un'organizzazione politica del mondo oltre la sovranità degli stati-nazione verso un'autorità politica mondiale o cosmo-politica, di cui l'ONU è lontana immagine.  Altre saggi: “Frontiere della pace” (Milano); “Filosofia e società. Studi sui progetti etico-politici contemporanei, Massimo, Milano Giorgio La Pira e la filosofia d’AQUINO, Studia Universitatis sancti Thomae in Urbe, Roma; “La Pira tra storia e profezia. Con AQUINO maestro, Marietti, Genova-Milano; La buona società. Sulla ricostruzione della filosofia politica (Vita e Pensiero, Milano); Una filosofia per la transizione. Metafisica, persona e politica in Maritain” Massimo, Milano); “La filosofia dell'essere” (Vita e Pensiero, Milano); Tra secolarizzazione e nuova cristianità” (EDB, Bologna); “Le società liberali al bivio”; “Lineamenti di filosofia della società” (Marietti, Genova); “Oltre l'Illuminismo”; “Il messaggio sociale” (Paoline, Roma); “Razionalismo critico e metafisica”; “Quale realismo?” (Morcelliana, Brescia); “Dio e il male, Sei, Torino); “Cattolicesimo e modernità. Balbo, Del Noce, Rodano (Ares, Milano); “Approssimazioni all'essere. saggi di metafisica e di morale” (Poligrafo, Padova); “Il nichilismo teoretico e la morte della metafisica” (Armando, Roma); “Terza navigazione. Nichilismo e metafisica” (Armando, Roma); “Filosofia e Rivelazione” Città Nuova, Roma); “La filosofia dopo il nichilismo” (Rubbettino, Soveria); “Religione e vita civile. Il cristianesimo nel postmoderno” (Armando, Roma); “L'azione umana. Morale, politica e Stato in Maritain” (Città Nuova, Roma); “Essere e libertà” (Rubbettino, Soveria); “Radici dell'ordine civile” (Marietti, Milano); “Il principio-persona” (Armando, Roma); “Profili. Bobbio, Noce, La Pira, Lazzati, Sturzo (Effatà, Cantalupa); “Le ragioni della laicità” (Rubbettino, Soveria); “L'uomo post-moderno”; “Tecnica, religione e politica” (Marietti, Milano); “Dentro il secolo breve. Paolo VI, La Pira, Giovanni Paolo II, Mounier, Rubettino, Soveria Nichilismo giuridico. L'ultima parola? Rubbettino, Soveria. La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica, Lindau, Torino. Pace e guerra tra le nazioni. Kant, Maritain, Pacem in terris, Studium, Roma. I volti dell'amore, Marietti, Milano-Genova. Il realismo e la fine della filosofia moderna (Armando, Roma); “Diritti umani”; “L'età delle pretese” (Rubbettino, Soveria); “Ritorno all'essere. Addio alla metafisica” (Armando, Roma); “La critica del marxismo” (Massimo, Milano);  “Epistemologia e scienze umane” (Massimo, Milano); “Storia e cristianesimo” (Massimo, Milano); “Contemplazione evangelica e storia” (Gribaudi, Torino); “Maritain oggi, Vita e Pensiero, Milano); “La filosofia dell'essere” (Cardo, Venezia); Nichilismo Relativismo Verità. Un dibattito” (Rubbettino, Soveria); “Laici o laicisti? Dibattito su religione e democrazia” (liberallibri, Firenze); “La questione della verità. Filosofia, scienze, teologia” (Armando, Roma); Ragione e verità. L'alleanza socratico-mosaica” (Armando, Roma);” Nostalgia dell'altro. La spiritualità di Pira” (Marietti, Milano); Pace e guerra tra le nazioni” (Guerini, Milano); “Natura umana, evoluzione, etica” (Guerini, Milano); Governance globale e diritti dell'uomo” (Diabasis, Reggio Emilia); “Ritorno della religione? Tra ragione, fede e società” (Guerini, Milano); “Diritti Umani e libertà” (Religiosa, Rubbettino); in onore (Armando); Perché essere realisti? Una sfida filosofica (Mimesis, Milano-Udine. Giuliano, Filosofi a un bivio. Ora rialziamo lo sguardo, su avvenire, A. Lavazza, Neuroscienziati, cercate l'anima. Vittorio Possenti. Possenti. Keywords: radice dell’ordine civile – romolo e remo -- il principio speranza, prima navegazione, seconda navegazione, terza navegazione, Gentile, comunita, Severino, Aquino, umanesimo, seconda navigazione --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Possenti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pozza: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Grice: “I like Pozza; he uses ‘pragmatic’ quite a bit, by which he means Grice, of course!” Durante gli studi al liceo di Taranto, Tommaso, un insegnante di matematica di stile tradizionale gli stimola il gusto per i problemi matematici e per l'eleganza formale delle dimostrazioni. Studia a Bari dove si laurea con una tesi su SERRA (si veda) avendo come relatore Vallone. Coniuga l'amore per i sistemi formali con l'amore per Leopardi, Carducci -- maestro di Serra -- e Annunzio -- e tra i classici predilisse Tasso e Vita nuova di Alighieri.  Studia a Bari -- sotto Landi -- Pisa, e quindi metodi formali a Milano. Una svolta nella sua carriera filosofica è segnata dalla partecipazione agl’incontri di S. Giuseppe organizzati a Torino da BOBBIO. A partire da qui sviluppa idee in filosofia del diritto, specie – ovviamente -- su Kelsen, e sulla formalizzazione della logica deontica con particolare attenzione all'assiomatizzazione dei principi di una teoria generale del diritto in collaborazione con  Ferrajoli per i suoi “PRINCIPIA IVRIS”. Organizza a Taranto gl’incontri Info IVRE TARAS, logica informatica e diritto, al quale partecipano alcune delle figure più rappresentative del diritto, dell'informatica e della logica, tra cui Martino, Ferrajoli, Conte, Busa, Comanducci, Jori, Filipponio, Elmi, Guastini, e Sartor. Insegna a Taranto, mantenendosi scientificamente attivo e partecipando a conferenze di società filosofiche italiane -- specialmente la Società italiana di logica e filosofia della scienza e la Società italiana di filosofia analitica, dal convegno nazionale fino al convegno di Genova. Insegna a Lecce. Tra le principali influenze nei suoi studi di linguistica e semiotica testuale vi sono quella di  Petöfi. Insegna a Verona, Padova, Bolzano e, per le sue lezioni di logica deontica, a Petöfi e Kelsen. L’influenza maggiore viene dalle grandi opere di Frege, Russell e Carnap, ai cui  dedica uno studio, con particolare attenzione alla visione filosofica. Pubblica un contributo di sapore positivista, discutendo e formalizzando alcune argomentazioni in fisica quantistica. Un legame tra i suoi interessi in linguistica e il suo lavoro in logica formale è dato dalla sua teoria formale degl’atti linguistici basata su una connessione originale tra logica intuizionistica, usata per gl’atti linguistici assertori, e logica classica, usata per i contenuti proposizionali. Presentando la sua teoria di una formalizzazione della “pragmatica,” define un modello Frege-Reichenbach-Stenius per il trattamento formale dell’asserzione, mostrando che il problema principale di questa teoria è la limitazione introdotta da Frege -- e accettata da Dummett -- per cui il segno di asserzione si può usare solo per formule elementari assertorici. Ma, come molti filosofi sostengono, esistono atti linguistici composti. Per permettere il trattamento di un atto linguistici composto o molti-modale e ovviare alla limitazione del modello Frege-Reichenbach-Stenius, introduce un connettivo pragmatico che permette la costruzione di una formula assertiva complessa. Il contenuto della formula assertiva è dato dall'interpretazione classica e dai connettivi vero-funzionali. Il connettivo pragmatico, fra DUE atti linguistici assertori semplice in uno complesso,  ha invece una interpretazione intuizionistica. Il connetivo pragmatico non ha cioè un valore di verità – o sattisfazione fatica -- ma un valore di giustificazione. In fatti, un atto assertivo non è, in quanto *atto*, vero o falso, ma può essere “giustificato” o non giustificato. In questo modo, il sistema formale distingue l'asseribilità di un atto assertorio dal valore di verità della proposizione asserita. Oltre a spiegare l'irriducibilità del segno fregeano di asserzione a un trattamento in termini di logica classica e introdurre una fondazione formale della teoria dell’atto linguistico, dà anche una soluzione originale del problema della compatibilità tra logica classica (Grice) e logica non-classica (Strawson) o intuizionista. A questo studio seguono  altri sulla logica erotetica, deontica, e sub-strutturale. La sua filosofia suscita interesse in diversi campi, dalla filosofia del linguaggio alla filosofia della fisica alla logica e all'informatica -- specie a partire dalla sua collaborazione con Bellin. Alla sua teoria formale della “pragmatica,” oltre ai saggi di Anderson e Ranalter è dedicato un numero di Fondamenta Informaticae. La sua influenza si estende così oltre che alla filosofia della fisica e alla filosofia del linguaggio anche alla logica e all'informatica, specie con convegni in suo onore organizzati a Verona. Ricordi di personalità internazionali e di amici sono raccolti in suo onore. Altre saggi: “Un'interpretazione pragmatica della logica proposizionale intuizionistica”; “Problemi fondazionali nella teoria del significato (Olschki, Firenze); “Una fondazione pragmatica della logica delle domande”; “Parlare di niente”; “Termini singolari non denotanti e atti illocutori”; “Idee”;  “Una logica pragmatica per la concezione espressiva delle norme”;  “Logica delle norme” (S.E.U., Pisa); “Il problema di Gettier: osservazioni su giustificazione, prova e probabilità” (SIFA, Genoa); “Come distinguere scienza e non-scienza”; “Verificabilità, falsificabilità e confermabilità bayesiana” (Carocci, Ferrajoli); Principia juris. Teoria del diritto e della democrazia.  La sintassi del diritto” (Bari: Laterza). Carlo Dalla Pozza. Carlo Pozza. Pozza. Keywords: Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozza”.

 

Grice e Pozzo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nel ginnasio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Sudia a Milano. Consegue il dottorato a Saarlandes (“a reason why Italians don’t consider him Italian” – Grice) e la abilitazione a Trier – Grice: “A reason why Italians don’t consider him an Italian philosopher, since he earned his maximal degree without, and not within, Italy.” Insegna a Verona e Roma, all’Istituto per il lessico filosofico – (Grice: “Yep – Italians have an ‘istituto’ for EVERYTHING!”). Studia il LIZIO, la storia della logica o dialettico dal rinascimento, la storia delle idee e la storia dell’università di Bologna (“l’unica chi conta a Italia”) -- ha portato avanti la creazione di infra-strutture di ricerca per una migliore comprensione dei testi filosofici e che hanno plasmato il patrimonio culturale. Caratteristica specifica del suo approccio alla lessicografia è l’uso della IT per la documentazione e l’elaborazione di dati linguistici e testuali in italiano. Hegel: Introductio in Philosophiam: Dagli studi ginnasiali alla prima logica (Firenze: Nuova Italia). Associazione per l’Economia della Cultura “Storia storica e storia filosofica della,” Schiavitù attiva, proprietà intellettuale e diritti umani. Riccardo Pozzo. Pozzo. Keywords: il ginnasio – implicature, identita nazionale, filosofia italiana, patrimonio italiano, storiografia filosofica, storia della filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozzo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pra: la ragione conversazionale d’Antonino e la conversazione degl’hegeliani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Montecchio Maggiore). Filosofo italiano. Studia a Padova sotto TROILO. Insegna a Rovigo, Vicenza, e Milano. Partecipa attivamente alla Resistenza, nelle file di "Giustizia e Libertà", guadagnandosi II croci di guerra al merito partigiano. Collabora alla ricostruzione politica e culturale del paese, con una filosofia sempre sorretta da un'alta ispirazione morale.  Medaglia d'oro quale benemerito della scuola, della cultura e dell'arte, dei Lincei, dell'Istituto lombardo di scienze e eettere, dell'accademia olimpica di Vicenza, nonché membro autorevole della società filosofica, della quale è stato anche presidente. Studia la scessi, la logica e la dialettica medioevale, Hume, Condillac, la logica hegeliana, Marx, il pragmatismo, e la storia della storiografia. Connetta la sua attività storiografica con l'esplicitarsi di interessi teorici che lo portamp ad elaborare,un'originale filosofia che denomina trascendentalismo pratico, poi evoluta in una forma di razionalismo storicista e critico. Il suo interesse si rivolge al chiarimento del rapporto tra teoria e prassi in una prospettiva anti-metafisica che lo pone in contrasto con le posizioni dell’idealismo, e più in generale con ogni forma di dogmatismo teoricistico per favorire la libera esplicazione dell'iniziativa pratico-razionale dell'uomo.  Fonda la “Rivista di storia della filosofia”, un riferimento costante e prestigioso. Autore di un fortunato “Sommario di storia della filosofia” (Nuova Italia, Firenze) e poi direttore di una monumentale “Storia della filosofia” (Vallardi, Milano).  Elabora una posizione indicata come trascendentalismo della prassi.  Successivamente, avvicinandosi a PRETI, propone uno storicismo critico, più attento alle strutture della ragione con cui l'esperienza storica si struttura. Altre sagi: “Il realismo e il trascendente” (Padova, Milani); “Amore di sapienza”; “Aviamento allo studio della storia della filosofia” (Vicenza, Commerciale); “La didache”; “Insegnamento del Signore alle genti per mezzo dei dodici apostoli. Documento del I secolo” (Vicenza, Commerciale); Educare, Verona, Scaligera, Pensiero e realtà, Verona, Scaligera, “Scoto Eriugena e l’accademia nel medio-evo” (Milano, Bocca); Condillac, Milano, Bocca, Il pensiero di MATURI, Milano, Bocca, Necessità dell'universalismo” (Vicenza, Collezioni del Palladio); “Valori e cultura immanentistica” (Padova, Milani); “Hume” (Milano, Bocca); “La storiografia filosofica antica” (Milano, Bocca); “La scessi” (Milano, Bocca); Giovanni di Salisbury, Milano, Bocca), “AMALRICO DI BENE” (Milano, Bocca); Autrecourt (Milano, Bocca); “Dewey” (Milano, Bocca); “Il problema del linguaggio nella filosofia del medio-evo” (Milano, Bocca); “Prassi. Appunti delle lezioni di Storia della filosofia a cura di Reina. Milano, La Goliardica; Il pensiero filosofico di Marx, Borso, Shake ed., Milano); “La filosofia occidentale”; “Compendio di storia della filosofia con larga scelta di passi”; “La filosofia antica” “La filosofia nel medio-evo” (Firenze, Nuova Italia); “Storia della filosofia” (Firenze, Nuova Italia); “La dialettica in Marx: Introduzione alla critica dell'economia politica (Bari, Laterza); Profilo di storia della filosofia” (Firenze, Nuova Italia); “Antologia filosofica” (Firenze, Nuova Italia); “La dialettica hegeliana e l'epistemologia” (Milano, CUEM); “Hume e la scienza della natura umana” (Roma, Laterza); “Logica e realtà: momenti della filosofia nel medio-evo” (Roma-Bari, Laterza); “Storia della Filosofia”, Scalabrino Borsani, La filosofia indiana, Milano, Vallardi, Beonio-Brocchieri, La filosofia cinese e dell'Asia orientale, Milano, Vallardi, Giannantoni, Plebe, Donini, La filosofia greca (Milano, Vallardi); La filosofia ellenistica e la patristica Cristiana (Milano, Vallardi); “La filosofia nel medio-evo” (Milano, Vallardi); La filosofia moderna” (Milano, Vallardi); Casini, Merker, “La filosofia moderna” (Milano, Vallardi); “La filosofia contemporanea” (Milano, Vallardi); La filosofia contemporanea (Milano, Vallardi); “La filosofia della seconda metà del Novecento”, Padova, Piccin Nuova libraria-Vallardi); “Logica, esperienza e prassi: momenti della filosofia” (Napoli, Morano); “Il realismo nella storia della filosofia” (Milano, Unicopli); “La storiografia filosofica”; I. A. A. con. Santinello, Garin, Geldsetzer e Braun, Padova, Antenore, Hume. La vita e l'opera (Roma, Laterza); Banfi, Relazioni dall'incontro; Banfi: le vie della ragione, Milano,  con Formaggio e Rossi (Milano, Unicopli); “Il pragmatismo” (Napoli, Bibliopolis); “L’empirismo critico di Preti” (Napoli, Bibliopolis); “Filosofi” (Milano, Angeli); “Metodi di storiografia filosofica”, in Panorami filosofici. Itinerari del pensiero (Padova, Muzzio); “Ragione e storia” (Milano, Rusconi); “Storia della storiografia” (Milano, Angeli); “La guerra partigiana”, Borso (Firenze, Giunti-INSMLI); “Dialettica hegeliana ed epistemologia analitica” Colombo (Brescia, Morcelliana); “Il trascendentalismo della prassi, la filosofia della resistenza” (Milano-Udine, Mimesis); Cambi, Razionalismo e prassi a Milano (Milano); Badaloni,  Studi offerti a P. (Milano, Angeli); Bianchi,  degli saggi di P., in La storia della filosofia come sapere critico. Studi offerti, Milano, Montesperelli, Introduzione, in Mirri, Conti, Filosofi nel dissenso, Foligno, Mirri, Fra Vicenza e Pisa. Esperienze morali, intellettuali e politiche in Il contributo di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta anti-fascista ed alla guerra di Liberazione, Pisa, Pacchi, Il filosofo e l’educatore, in In onore, Montecchio Maggiore, Cassinari, Filosofia e storia della filosofia, Conversazione con Papi, «Itinerari filosofici»,  Rambaldi, Ricordo «Rivista di storia della filosofia», Garin, P., «Rivista di storia della filosofia», Santucci, Filosofo e storico della filosofia, «Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, L’esistenzialismo positivo  «Rivista di storia della filosofia», Torre, La "Rivista di storia della filosofia", Milano, Paganini, Dall’empirismo classico all’empirismo critico, Le ricerche tra storia e teoria, Giordanetti, Manoscritti di P., «Rivista di storia della filosofia»,  Rambaldi, Et vos estote parati. P., la vigilia, «Rivista di storia della filosofia», Barreca, L’archivio P., «Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, P. in Enciclopedia filosofica, Milano, Id., P., insegnante a Vicenza, «Rivista di storia della filosofia», Rigamonti, Gli Hume, «Rivista di storia della filosofia», Parodi, Selogna, Per una filosofia minore. Il pensiero debole, «Rivista di storia della filosofia», Vona, Ricordo, Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, Filologia e filosofia nella storiografia, in «ACME», Franzina, Partigiano. Dal fascismo alla Resistenza e alla sua storia, in «Belfagor», Descrizione, in "Rivista di storia della filosofia", Ricordo di P., Informazione filosofica,  "studi filosofici". Barreca, Giordanetti, Fondo P., Milano, Cisalpino. P., in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia, Presentiamo  P.: l'uomo, il filosofo. Una mostra biografico-documentaria dall'archivio inedito Università degli Studi di Milano, Biblioteca di Filosofia, Borso, Una via religiosa alla Resistenza, "Humanitas",  Fascicolo speciale in memoria  anniversario della fondazione della Rivista, in Rivista di storia della filosofia, Milano, Angeli,. Borso, 'fucino', "Rivista di storia della filosofia", Bisogno, Anselmo in Italia: tra P. e Rovighi, in «Dianoia. Rivista di filosofia del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell'Bologna»,  Riconoscimenti l'Accademia dei Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per le Scienze Filosofiche. Scuola di Milano, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia. Opere Vincitori del Premio Feltrinelli Filosofia Università  Università  Premi Feltrinelli, lincei.   L'ultima opera di Dal Pra, la lunga intervista rilasciata a Fabio Minaz-   zi (il quale ha, con ampiezza di riferimenti, sollecitato la memoria storica  e l’interpretazione teorica del filosofo ‘milanese’ intorno al proprio pen-  siero ricollocato nel suo tempo storico) che porta significativamente il ti-  tolo di Ragione e storia, è un'occasione preziosa per rileggere e ripensare  la vicenda filosofica di Dal Pra e il significato che essa ha assunto nella  filosofia italiana contemporanea. Si è trattato di una presenza filosofica  ampia e variegata, gestita da una cattedra universitaria illustre e operati-  vamente immersa nella organizzazione della ricerca filosofia (con riviste,  collane, raccolte di documenti, ecc.), ma soprattutto aperta al dialogo — e  al dialogo critico - con tutta la filosofia attuale e con la stessa tradizione  filosofica che alimenta (e deve alimentare) la ricerca contemporanea!. Con  Dal Pra siamo davanti a un maestro, come è stato sottolineato anche in  occasione della morte?, non solo perché ha accompagnato da protagoni-  sta il travaglio della filosofia dal 1940 circa a oggi, - travaglio complesso,  giocato su fronti teorici, ma anche ideologici e politici, intessuto di oppo-  sizioni, di contrasti, di rifiuti e di fughe in avanti come pure di resistenza  e di rilanci da parte della tradizione -,, bensì anche per il ruolo di inter-  locutore critico, di coscienza vigile e inquieta, ma salda nei principi che  la guidano (la laicità, la ragione, la criticità, tanto per anticipare), che ha  assunto in questo lungo e conflittuale itinerario. Il suo doppio ruolo di  organizzatore della ricerca filosofica e di vigile coscienza filosofica si è ve-  nuto delineando già nei primi anni del secondo dopoguerra, per perma-  nere poi nei decenni successivi, sia pure in forme mutate, come centrale    ! Cfr. M. Dal Pra, F. Minazzi, Ragione e storia, Rusconi, Milano 1992; per la  bibliografia degli scritti di Dal Pra: La storia della filosofia come sapere critico. Studi  offerti a Mario Dal Pra, Franco Angeli, Milano 1984.   2 Cfr. E. Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, «Rivista di storia della filosofia»,  1992, I e Id., In ricordo di M. Dal Pra, «Bollettino SFI», 145, 1992; ma anche rico-  struzioni composte prima della morte: A. Pacchi, Il filosofo l’educatore, in In onore  di M. Dal Pra, Quaderni della Biblioteca Civica, Montecchio Maggiore 1988; E. Ga-  rin, Per Mario Dal Pra, in La storia della filosofia come sapere critico, cit.    Franco Cambi, Pensiero e tempo: ricerche sullo storicismo critico: figure, modelli,  attualità, ISBN 978-88-8453-782-9 (online), ISBN 978-88-8453-781-2 (print), © 2008  Firenze University Press    156 PENSIERO E TEMPO    nel dibattito filosofico italiano; doppio ruolo —- va aggiunto - che Dal Pra  ha vissuto con straordinario equilibrio e senza oscurare né l’uno né l’al-  tro dei suoi ambiti di lavoro, come è riuscito a pochi filosofi della sua ge-  nerazione (forse a Preti o a Garin o a Pareyson, molto meno a Geymonat  o a Paci, che hanno avuto un'evoluzione più tormentata e un campo di  lavoro meno organico).   Di questo ruolo di maestro della filosofia nazionale, di questa immer-  sione in un complesso travaglio storico, di questo felice equilibrio tra i due  ambiti della sua ricerca (storico e teorico) è puntuale testimone il libro-in-  tervista già ricordato. In esso Dal Pra ripercorre, sinteticamente e in pro-  spettiva, più di cinquant’anni di filosofia italiana, dandoci non le cronache  ma la ‘storia’ (l’interpretazione) di quel mezzo secolo, assumendosi come  protagonista, ma in quanto immerso in una temperie collettiva e con es-  sa e in essa interagente. L'immagine che ci consegna di quel cinquanten-  nio è sostanzialmente positiva e assai fedele nel processo tortuoso, anche  ambiguo, sempre inquieto che viene descrivendo come proprio della fi-  losofia italiana. In esso viene indicato anche un filo rosso che ne rileva la  ricchezza e lo sviluppo: la ragione, che è stata la grande protagonista del  dibattito e che si è evoluta verso forme sempre più ricche e radicali di cri-  ticità. Certamente in questo richiamo alla centralità della ragione ci sono  — e assai diretti — gli echi di quel neoilluminismo che nei primi anni Cin-  quanta era stato una voce autorevole e innovatrice (ma anche di sintesi)  sul fronte laico della filosofia italiana. Ma sono echi che non offuscano  affatto la portata del suo disegno storico e teorico, poiché si tratta di un  neoilluminismo che fa, via via, i conti con le critiche alla ragione avanza-  te da marxisti, da empiristi e da dialettici (assai meno dagli ermeneutici),  arricchendosi e sofisticandosi.   Il volume risulta avere - così - un doppio obiettivo: di interpretazione  storica e di messaggio teorico. Sul primo piano Dal Pra ha sottolineato al-  meno tre aspetti: il ruolo di svolta filosofica (anche filosofica) giocato dalla  Liberazione e dalla Resistenza; il caratterizzarsi della filosofia - dopo questa  svolta - in direzione critica, ma secondo una criticità aperta; il neoillumi-  nismo come tappa cruciale (e plurale) del rinnovamento della filosofia ita-  liana ed europea. In tal modo Dal Pra ha posto in luce il senso del pensiero  contemporaneo riconoscendolo nell’apertura e nel pluralismo, ma anche  nella vocazione antidogmatica e postmetafisica. Qui interviene, poi, la le-  zione teorica del volume: nel disegnare l’orizzonte di quella criticità a cui  Dal Pra si mostra consapevolmente e radicalmente fedele, posta al punto  d’incontro di diversi modello filosofici, ma visti come intersecantisi e reci-  procamente integrativi (quali prassismo, empirismo e storicismo).    3 Cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit. passim. Sui filosofi italiani del do-  poguerra: V. Verra, Parlano i filosofi italiani, in La filosofia dal ’45 a oggi, ERI, Tori-  no 1976; M. Dal Pra, Filosofi del Novecento, Franco Angeli, Milano 1989 e Id., Studi  sull’empirismo critico di Giulio Preti, Bibliopolis, Napoli 1988.    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 157    Quanto al ruolo della Resistenza, Dal Pra è assai esplicito: per lui stes-  so è l'approdo di un lungo travaglio che lo conduce dal realismo cristiano  a un immanentismo critico, che sposta il baricentro etico del suo lavoro  dall’impegno religioso a quello civile-politico, che viene a evidenziare la  centralità della categoria della prassi, intesa però come prassi storica; di  un travaglio che attraverso molteplici contatti con gli ambienti padovani  e vicentini lo indirizza verso un cristianesimo eretico, poi lo immerge ne-  gli studi filosofici. Dal Pra aveva compiuto tali studi a Padova, con Troi-  lo, ma era stato influenzato anche da Stefanini e da Zamboni, maturando  una netta posizione antidealistica, ma studiando con passione le opere  dell’ultimo Croce (soprattutto La storia come pensiero e come azione). Poi  aveva affidato lo sviluppo di un pensiero autonomo ad alcuni studi teorici  (che mostrano il suo passaggio dal realismo cristiano all’immanentismo  critico: Il realismo e il trascendente, del 1937; Pensiero e realtà, del 1940;  Necessità attuale dell’universalismo cristiano, del 1943; Valori cristiani e  cultura immanentistica, del 1944) e ad altri storici (su Scoto Eriugena e il  neoplatonismo medievale, del 1941; Condillac, nel 1942; su Il pensiero di S.  Maturi, del 1943; che svolgono alcuni sondaggi/bilanci sul pensiero cri-  stiano e su quello idealistico, su Maturi erede fedele di Spaventa e su un  filosofo appiattito dall’idealismo storiografico come Condillac), che ave-  vano tra loro una significativa continuità e simmetria, una problematica  unità: erano tutti testimonianze di una viva e sofferta ricerca in corso, che  liberamente si veniva confrontando con i nodi della filosofia e della storia  italiana di quegli anni*. «Un momento rilevante della mia maturazione  filosofica si colloca proprio tra il 1940 e il 1943», e sia in senso storico che  teorico. Teoreticamente «l’essere passato attraverso la rivendicazione della  primarietà della coscienza e dell’autocoscienza mi ha infatti introdotto al  problema della storia in senso vero e proprio», come riconoscimento del-  la storicità del pensiero e quindi della necessità di sviluppare la riflessione  anche attraverso le indagini di storia della filosofia. Ma fu un momento  che coincise con il rinnovamento della vita nazionale (prima nell’attività  clandestina antifascista poi nella guerra di liberazione e nella Resistenza)  in senso democratico, secondo un modello di democrazia dal basso, ca-  pace di fare i conti con la tradizione nazionale, che aveva condotto al fa-  scismo, e di avviarne una nuova, attivata su principi di partecipazione e  di solidarietà, di «giustizia e libertà».   Il dopoguerra filosofico in Italia assunse, infatti, il volto di una ri-fon-  dazione del pensiero nazionale, aprendo la filosofia italiana a modelli eu-  ropei e americani (l’esistenzialismo, il neopositivismo, il materialismo  storico, il pragmatismo) che permettessero di innovarne le prospettive    4 Cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit.; Rambaldi, Ricordo di Mario Dal  Pra, cit.; F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano: 1945-1954, Cisalpino-Goliardi-  ca, Milano 1983.    ° Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 95.    158 PENSIERO E TEMPO    e attuando in essa un intenso dialogo tra correnti e posizioni diverse. A  questo lavoro critico e pluralistico di sondaggio internazionale partecipò  attivamente anche la «Rivista di storia della filosofia», fondata da Dal Pra  nel 1946 e al rinnovamento teorico del lavoro filosofico Dal Pra (con Vasa)  dette il suo contributo col «trascendentalismo della prassi», una filosofia  antiteoreticistica e problematicistica, connotata dal primato della prassi,  intesa, appunto, come prassi storica. La vocazione della filosofia postbellica  si delineava come legata al criticismo, al valore della criticità, ma assun-  ta senza ipoteche univoche, senza attenersi ad alcuno indirizzo di scuola,  anzi incrociando problematicamente i diversi indirizzi del pensiero con-  temporaneo, per decantarne il radicalismo e la capacità di affinamento  teoretico. Bene, questo compito era indicato anche dal lavoro svolto dalla  «Rivista» di Dal Pra‘, in ambito storico e teorico.   Questo lavoro critico/aperto venne consolidandosi - nel corso degli  anni Cinquanta - nelle posizioni del neoilluminismo: un movimento as-  sai articolato e variegato, in verità, ma che manteneva un intento comune  nella fedeltà alla ragione e nel riconoscimento della sua priorità nel lavoro  filosofico, vista come strumento critico capace di illuminare anche i domi-  ni della prassi (etica e politica). Il neoilluminismo, in Abbagnano come in  Preti, in Paci come in Geymonat, in Dal Pra, anche in Banfi razionalista  critico e in Garin storicista critico”, viene indicato come l’approdo del tra-  vaglio postbellico in filosofia e come la ‘via aurea’ anche per la riflessione  attuale, in quanto capace di saldare criticamente insieme ragione e vita,  ragione e storia. Se pure oggi esso deve essere svolto in forma più matura,  più articolata e sottile, come la stessa evoluzione della ricerca teorica di  Dal Pra ci viene ad indicare con precisione. Anche tutto quello che è avve-  nuto nel pensiero filosofico (italiano e non) tra gli anni Sessanta e gli anni  Novanta, tra strutturalismo e fenomenologia, tra marxismo critico e filo-  sofia postanalitica, tra neostoricismo e ermeneutica, non cancella affatto  l’attualità di quell’indirizzo, anzi lo conferma e lo impone ancora come  un filo rosso della teoresi*. Ed è proprio questo l’altro obbiettivo e/o risul-  tato del volume Ragione e storia: obiettivo pienamente raggiunto, poiché    ° Per il clima filosofico postbellico in Italia cfr. E. Garin, Quindici anni dopo, in  Id., Cronache della filosofia italiana del XX secolo, Laterza, Bari 1966; M. Dal Pra,  Il razionalismo critico, in E. Garin (a cura di), La filosofia italiana dal dopoguerra a  oggi, Laterza, Bari 1985; N. Bobbio, Empirismo e scienze sociali in Italia, in Atti del  XXIV Congresso Nazionale di filosofia (L'Aquila 28 aprile-2 maggio 1973), I, Relazio-  ni introduttive, Società Filosofica Italiana, Roma 1973.   7 Sul neoilluminismo cfr. Dal Pra, Il razionalismo critico, cit.; M. Pasini, D. Ro-  lando (a cura di), Il neoilluminismo italiano, Il Saggiatore, Milano 1991; ma anche:  M. Ferrari, Origini e motivi del neoilluminismo italiano tra il dopoguerra e gli anni  Cinquanta, «Rivista di storia della filosofia», 1985, 3-4; E. Lecaldano, L'analisi filo-  sofica tra impegno e mestiere, «Rivista di Filosofia», 1988, 2-3.   8 Sull’attualità del neoilluminismo cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit.;  Pasini, Rolando (a cura di), Il neoilluminismo italiano, cit.    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 159    - specialmente negli ultimi due capitoli - viene indicato sia il processo  di maturazione di questo modello neoilluministico, così come è stato ri-  vissuto da Dal Pra, ma in fedeltà ai suoi principi, sia il ‘modello massimo’  (per così dire) raggiunto da questo stile di pensiero, da questa prospettiva  teoretica. Ripercorrere analiticamente - restando dentro il testo del 1992  e andando oltre di esso, ripensando cioè å part entière la filosofia elabo-  rata da Dal Pra - questo cammino è ciò che ci ripromettiamo di fare nei  paragrafi seguenti, allo scopo di sottolineare la profonda fedeltà attuata  da Dal Pra a un modello critico di filosofia, ispirato a una criticità che pro-  prio nel criterio di apertura, di reciproco innesto tra prospettive teoriche  diverse e risolte in senso anti-teoricistico, viene a riconoscere il proprio  principio animatore e il proprio senso.   La densa intervista di Dal Pra a Minazzi si offre, abbiamo detto, co-  me un'occasione preziosa per ripensare l’avventura filosofica di Dal Pra;  inoltre — e soprattutto — per cogliere con nitidezza il posto che essa occu-  pa nella filosofia nazionale contemporanea, nel percorso del neoillumini-  smo e nella radicalizzazione del criterio della criticità vista come fulcro  del pensiero filosofico attuale. Di questa criticità Dal Pra ci consegna - an-  cora oggi - un'immagine assai acuta: non formalistica, plurale e aperta,  capace anche di rovesciare se stessa cogliendo i propri limiti interni e le  integrazioni ab extra che le sono necessarie.    2. Neoilluminismo e ragione critica: evoluzione e identità    Sul neoilluminismo Dal Pra si è soffermato abbastanza di recente par-  lando del razionalismo critico, nel volume laterziano dedicato alla filosofia  italiana contemporanea, edito nel 1985. Partendo da Banfi, il Banfi di «Stu-  di filosofici» e teorico di una razionalità critica come momento integratore  dell’esperienza rispettata e potenziata nel suo pluralismo e nella sua sto-  ricità, procede dal «nuovo razionalismo» di Geymonat al neopositivismo  critico di Preti, all’esistenzialismo positivo di Abbagnano, toccando anche  la propria opera - in particolare la «Rivista di storia della filosofia», che  «muove da alcune premesse che in parte si richiamo al pensiero di Banfi» e  «in parte sottolineano un'accentuazione polemica antidealistica nella con-  cezione della storia del pensiero»? — e quella di Vasa, quella di Bobbio e di  altri studiosi più giovani (da Morpurgo Tagliabue a Santucci). Dal Pra vie-  ne così delineando i confini geo-storici del neoilluminismo che proprio in  una prospettiva teorica legata al razionalismo critico raggiunge la propria  più forte identità. Tale movimento aveva congiunto «temi filosofici e po-  sizioni politiche»'°, ma assegnando ai primi la priorità e il ruolo di guida.  Sia pure secondo diverse angolazioni, con uscite più o meno convincenti  e coerenti, il neoilluminismo si caratterizzava come una filosofia engagée    ° Dal Pra, Il razionalismo critico, cit., p. 53.  10 Ivi, p. 59.    160 PENSIERO E TEMPO    ma razionale, tesa a costruire il proprio modello di razionalità criticamen-  te, aprendosi alle varie tecniche di razionalità e mantenendo aperta anche  l’idea stessa della ragione; senza ontologizzarla, senza assolutizzarla, bensì  ponendola sempre al servizio dell'esperienza e della storia, dei loro intri-  cati processi; che essa può illuminare e contribuire a risolvere attraverso  un controllo esercitato dagli uomini in carne ed ossa. Attraverso una serie  di convegni - su cui si sono soffermati di recente Pasini e Rolando" - il  modello neoilluministico di filosofia venne messo ulteriormente a fuoco  e decantato nella sua ampiezza, ma anche nella sua problematicità; fino al  convegno fiorentino del 1956 che mostra già in atto una rottura all’interno  del movimento. Poi, secondo Dal Pra, si va «verso la dissoluzione»: diversi  filosofi si separano per ragioni filosofiche e politiche, dando vita a modelli  difformi di razionalismo, in cui sussiste ben poco di comune e si poten-  ziano invece le differenze (si pensi agli esiti alla fine degli anni Cinquanta  di Preti o di Geymonat, di Paci o di Garin, come sottolinea lo stesso Dal  Pra). Soprattutto è la doppia istanza di razionalismo e di storicità che viene  a rompersi, dando luogo a filosofie o analitiche o storiche (come rivelano  gli esiti di Bobbio e di Garin), che non colgono più l’elemento di criticità  nel reciproco innesto di ragione e storia. Gradatamente si entra poi in una  fase - come già Bobbio aveva rilevato parlando del neoempirismo in Italia  e della sua parabola" - in cui si sondano piuttosto «i limiti della ragione»,  oppure si operano riduzioni (acritiche) della ragione, avviluppandola in una  lunga crisi da cui non è più uscita. In tale fase si ha ancora un'eclisse della  storia o la sua riduzione in chiave politico-prassica, come pure declina la  «politica culturale» del neoilluminismo, assediata da nuovi massimalismi  e da nuove divisioni nella Sinistra.  E Dal Pra così - significativamente - chiudeva quel saggio:    «la crisi della ragione» mette in evidenza come all’unidireziona-  le movimento della razionalità possa sottentrare una pluralisti-  ca politica di potenza e un'articolata elaborazione del consenso,  cioè una razionalità tecnica e operativa, strumentale ed efficien-  te. Così emerge in forma più svagata e dissacratoria come sia la  traduzione storica sia la funzione della riflessione filosofica si  trovino attraverso vari legami in relazione col movimento sto-  rico presente; e in esso possano collaborare e ripristinare, conti-  nuamente rinnovandolo, quel senso della ragione che negli anni  Cinquanta ebbe una sua, anche se breve, primavera."    E sono parole che riaffermano l’attualità di quella lezione teoretica,  come Dal Pra stesso la verrà fissando nel suo ultimo testo: caratterizzata    !! Cfr. Pasini, Rolando (a cura di), Il neoilluminismo italiano, cit.  !° Cfr. Bobbio, Empirismo e scienze sociali in Italia, cit.  8 Dal Pra, Il razionalismo critico, cit., pp. 91-92.    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 161    dall’unità critica di ragione e storia, da una criticità che nella loro reci-  proca intersezione riconosce il proprio campo d’azione e il proprio fon-  damento. Dal Pra alla fine del suo ‘viaggio filosofico’, ci consegna, quindi,  un monito e un legato: ritornare a quel neoilluminismo (come formula di  politica culturale), animarlo - ancora - attraverso il razionalismo critico  e fissare l'identità di tale modello di pensiero nella reciproca interferenza  di ragione e storia, attuata secondo procedure sempre più sottili e sempre  più plastiche. Intorno al futuro di questo neorazionalismo critico (per co-  sì definirlo, in modo - forse - inadeguato) Dal Pra non ci dice poi molto  di più - come vedremo -, anzi lo rimodella partendo dalla riflessione di  Preti, che pur non aveva decantato a pieno (anche nel proprio itinerario  teoretico, approdato a un empirismo critico alla fine degli anni Cinquan-  ta e poi ricondotto verso Kant e verso Husserl, verso il trascendentalismo,  negli anni Sessanta)! l’istanza neoilluministica e che aveva messo la sor-  dina (anche se niente affatto soffocata) all’istanza della storicità, alterando  il profilo del suo razionalismo in senso empiristico e teoreticistico, e al-  lontanandosi da quell’intersezione tra ragione e storia che Dal Pra stesso  indicava come la ‘sezione aurea’ della teoresi razionalistico-critica.   Va sottolineato, infatti che il costante richiamo a Preti che anima il  volume-intervista di Dal Pra, il suo presentarlo non solo come una delle  grandi voci (e europee) della filosofia italiana del dopoguerra (quale Preti,  di fatto, fu), bensì anche come un modello di teoresi, rischia di mettere in  ombra proprio l’asimmetria che corre tra Preti e Dal Pra. Pur riconoscen-  do a Preti, forse, maggiore genialità filosofica, acume e rigore esemplari,  finezza nell’elaborazione del tessuto teoretico (e non solo rispetto a Dal  Pra, che pur lo eguaglia per conoscenze storiche, per pulizia filosofica, per  viva sensibilità teoretica: siamo davanti a due filosofi di razza, in cui agi-  sce å part entière la teoreticità filosofica), va anche riconosciuto che il suo  modello di ragione (trascendentalistico-analitico) è assai diverso da quello  che guida la ricerca di Dal Pra (criticistico-storico-prassico). Ma non solo:  il modello dalpraiano si rivela — sia pure nella sua esecuzione un po’ pro-  grammatica, carente di sviluppi analitici - più pregnante e più resistente  (nel tempo storico e nella teoria) rispetto a quello pretiano; tanto che Dal  Pra può riproporlo come via centrale anche nella crisi filosofica (e non)  degli anni Ottanta. E ciò accade perché in Dal Pra quel modello di ragione  si è interrogato più radicalmente su se stesso, recuperando nell’orizzonte  della propria teoreticità anche l’elemento extrateorico, storico e prassico,  ponendolo come un fattore, centrale e determinate, del fare teoria”.    !* Sulla parabola del pensiero di Preti cfr. F. Cambi, Metodo e storia. Biografia  filosofica di Giulio Preti, Grafistampa, Firenze 1978 e Id., Razionalismo e prassi a  Milano, cit.; ma anche F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella cultura  filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano 1990, passim.   !5 Cfr. Dal Pra, Studi sull’empirismo critico di Giulio Preti, cit., e Dal Pra, Minaz-  zi, Ragione e storia, cit.    162 PENSIERO E TEMPO    Anzi, a ben riflettere, l’incontro con Preti corrisponde a una fase del-  la evoluzione del razionalismo di Dal Pra, alla quale però Dal Pra stesso  assegna un'enorme importanza, indicandocelo un po’ come la chiave di  volta del suo pensiero; il che è vero e no. In tal modo, infatti, viene a met-  tere in ombra qual razionalismo critico a cui - in conclusione — assegna il  ruolo di guida, storica e teorica. Va, infatti, sottolineato che la riflessione  teorica di Dal Pra, dopo il suo passaggio giovanile dal realismo cristiano  all’immanentismo, si è contrassegnata attraverso tre tappe o fasi, che pe-  rò non sono mai del tutto separate e che si differenziano soprattutto per  la diversa accentuazione di comuni elementi teoretici:    1. la fase del trascendentalismo della prassi, che - come abbiamo indica-  to altrove! - può essere considerata chiusa intorno al 1954 e che pone  l’accento sull’antiteoricismo della nuova filosofia e sul primato della  prassi storica, sulle motivazioni extrateoretiche che accendono e gui-  dano i processi di teoreticità;   2. la fase dell’empirismo critico, che sviluppa la teoricità in senso  analitico e che corregge e integra il primato della prassi col ruo-  lo-chiave riconosciuto all’intelligenza; non a caso le guide di que-  sta fase sono Dewey da un lato e il Preti di Praxis ed empirismo  dall’altro;   3. la fase del razionalismo critico che riafferma la centralità della storia  nella teoresi, sia come molla genetica, sia come struttura, e che richia-  ma a un uso critico della ragione che non è più inteso in senso solo  strumentalistico o empirico-analitico; è una fase che si apre con la ri-  lettura di Marx e continua a crescere fino ai richiami a Banfi del 1985  e alle tesi di Ragione e storia del 1992".    Certamente, come abbiamo già accennato, questa terza fase attendeva  di essere ulteriormente sviluppata e meglio definita nei suoi confini e nelle  sue strutture; stranamente - nella coscienza di Dal Pra - essa si allacciava  troppo intensamente ancora (e l’abbiamo detto) al lavoro di Preti, men-  tre da esso in realtà veniva a differenziarsi profondamente; pur tuttavia  è una fase nettamente riconoscibile è abbastanza ben definita, anche se  non cancella affatto le altre due precedenti, bensì le integra e le rinnova,  radicalizzandole. Infatti il telos che guida il processo di Dal Pra nella ri-  cerca filosofica è una precisa e convinta fedeltà alla criticità, alla ragione  critica, di cui la fase di approdo del suo pensiero e anche la testimonian-  za più radicale.    16 Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit.   17 Sulle fasi del pensiero di Dal Pra, scandite dal trascendentalismo della prassi  e da uno storicismo critico/razionalismo critico, cfr. Rambaldi, Ricordo di Mario  Dal Pra, cit.    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 163    3. Antiteoricismo e trascendentalismo della prassi    Quando Dal Pra nel 1945, a liberazione avvenuta, riprende il lavoro  filosofico in modo organico, la sua fisionomia filosofica presenta ormai  caratteri in parte nuovi: siamo davanti a un filosofo decisamente laico,  che fa i conti con l’idealismo e che si apre alle filosofie internazionali, ma  che fa tutto ciò ancorando il suo pensiero al metacriterio della criticità.  Il rinnovamento è avvenuto attraverso la scoperta della storicità e del lai-  cismo, «al quale Dal Pra giunse in un modo che mostra tutta la serietà  del suo procedere: non lo abbracciò di colpo, bensì tentò, con profondo  dramma interiore e sotto la tragica spinta degli eventi politici, di assi-  milare la componente pratica» dell’immanentismo laico alla concezione  cristiana, come ci ha ricordato Rambaldi! Di qui (da questa esperienza  culturale e politica insieme) nascono anche l’antiteoricismo e la coscien-  za del primato della prassi che verranno a caratterizzare la sua posizione  filosofica postbellica, contrassegnata come «trascendentalismo possibile  della prassi». Si è trattato di una presa di posizione assai netta, rivolta a  ricollocare nell’esperienza il senso e il ruolo della teoresi, sottraendola a  ogni ipoteca metafisica e ponendola, invece, al servizio di un uomo finito,  problematico, faber, che con fatica (e attraverso molti errori) cerca di da-  re un ordine razionale alla realtà, ispirandosi ad un Logos sempre ipoteti-  co e strumentale, ma che, proprio per questo, deve essere costantemente  sviluppato e controllato.   Tutto il lavoro che per dieci anni Dal Pra conduce a ritmi intensissimi  e su fronti assai variegati si coagula intorno a questo progetto di raziona-  lità prassica e aperta e, in quel momento, attenta soprattutto a garantire  la propria apertura. Nella ricchissima produzione di quegli anni!’ ci sono  alcuni testi che hanno un po’ la funzione di boa: di indicatori del tragitto.  Tali la Premessa al primo numero nel 1946 della «Rivista di storia della  filosofia» e ancora i Cinque anni di vita, sempre sulla «Rivista» nel primo  numero del 1951; l’articolo Sul concetto di criticità, del 1953, sempre sul-  la «Rivista» e quello su Critica metafisica e immanentismo, del 1952 sulla  «Rivista di filosofia», preceduti da Problematicismo e teoreticismo, del 1950,  e da A proposito di trascendentalismo della prassi, sempre del ’50, usciti  sulla «Rivista», seguiti poi da Sul trascendentalismo della prassi, relazione  presentata al Congresso di filosofia a Bologna nel 1953. A questo nucleo  centrale fanno corona anche gli interventi su Dewey, su Abbagnano, su  Gentile, sull’esistenzialismo, sul positivismo logico, sul socialismo, ma an-  che le discussioni - che furono copiose e articolate — sul trascendentalismo  della prassi con le diverse risposte di Dal Pra (e di Vasa)”. È però attraver-    18 Ivi, p.19.   !° Cfr. la bibliografia degli scritti di Dal Pra in La storia della filosofia come sa-  pere critico, cit. e Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit.   2 Cfr. di M. Dal Pra: L'identità di teoria e prassi nell’attualismo gentiliano, «Ri-    164 PENSIERO E TEMPO    so quel corpus di interventi principali che Dal Pra viene delineando la sua  posizione filosofica, che è (ripetiamo) nettamente antiteoricistica, ispirata  alla criticità, regolata dal «trascendentalismo della prassi».   Nel volume-intervista del ’92 così Dal Pra rievoca quelle posizioni:    il tema del «trascendentalismo della prassi» aveva le sue radici più  profondi lontane in questo terreno culturale (più che filosofico), di un  movimento che era, per un lato, cattolico e, per un altro lato, aperto a  vari indirizzi di pensiero moderno e che si valeva, in modo precipuo,  delle riflessioni svolte da Vasa.”    La sua genesi fu complessa (politica, culturale e filosofica), ma    diventa progressivamente, l’anima dell’atteggiamento critico as-  sunto dalla Rivista nei confronti dei vari indirizzi di pensiero  contemporanei.’    Esso si caratterizzava come anti-teoricismo in nome - ha sottolineato  Minazzi - dell’«esigenza libera e mobile della ricerca», che non può ap-  prodare ad alcun ‘assoluto’, e fa    leva su una istanza di natura eminentemente pratica sottolineando la  parzialità e la limitatezza storicamente condizionata nonché la piena  responsabilità (morale e teorica) del punto di vista filosofico che de-  cide di assumere”.    Esso «prospetta un quadro problematico più ampio e aperto al cui in-  terno nessuno può illudersi di ‘vedere’ in modo privilegiato l’assoluto né  può quindi trasformarsi in messaggero privilegiato dell’‘absoluto’», ap-  proda a «un senso non garantito del reale, un senso solo possibile, che  proprio nella libertà della sua apertura ritrova il criterio fondante», per  «lasciare aperta ogni via di esplicazione all’iniziativa pratico-razionale  dell’uomo», come ha rilevato Arrigo Pacchi, citato anche da Minazzi nella  sua intervista”. Da parte sua Dal Pra sottolinea il carattere di possibilità  che è costitutivo del «trascendentalismo della prassi» (t.d.p.): «l’aggettivo  più importante, in questa prospettiva critica, era proprio possibile», che    vista critica di storia della filosofia», 1951, 1; Sul trascendentalismo dell’esistenzia-  lismo trascendentale, ivi, 1950, 2; Il pragmatismo axiologico di Nicola Abbagnano,  ivi, 1948, 3-4; Positivismo logico e metafisica, ivi, 1950, 4; Socialismo e metafisica,  ivi, 1951, 2; sulle discussioni intorno al trascendentalismo della prassi rinviamo a  Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit. (cap. III).   2! Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 115.   22 Ivi, p. 168.   23 Ivi, p. 169.   24 Pacchi, Il filosofo l’educatore, cit., p. 19.    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 165    - soggettivamente - significa libertà e quindi esclusione di ogni chiusura  metafisica o ancora teoreticistica del t.d.p., come pure soltanto praticisti-  ca — e irrazionalistica: in quanto il suo anti-intellettualismo si applicava  all’esercizio della ragione, era un criterio di organizzazione interna e non  solo di superamento/negazione, (che sono «le insidie nel trascendentali-  smo della prassi»)?5.   Anche nella ricostruzione di Dal Pra e Minazzi emerge con forza il  carattere critico del t.d.p., l'aspetto di criticità aperta, capace di radicaliz-  zarsi e trascendersi nelle sue chiusure, attraverso il varco del possibile e  il costante rinnovamento (e revisione) delle strutture teoretiche, in modo  da non farle retrocedere né nel teoreticismo né nel prassismo irrazionali-  stico; rinnovamento attuato con uno scandaglio sempre più consapevole  della propria libertà e del suo effettivo esercizio secondo molteplici mo-  delli e/o paradigmi e attraverso il loro intreccio. A ben guardare il t.d.p.  manifesta - per noi oggi - proprio questo carattere di criticità aperta in-  nestata però nell’esercizio effettivo, operativo della ragione, quindi un ca-  rattere di razionalismo critico orientato in senso storico-critico, in quanto  la storicità viene recuperata all'orizzonte della criticità, secondo il dettato  anche del pensiero banfiano, che Dal Pra indica come una delle matrici  teoriche del suo t.d.p.?°.   Se nella discussione, che fu ampia e articolata, e che ho altrove rico-  struita”, intorno al t.d.p. prevalsero i richiami all’«ancora teoreticismo» o  al prassismo (legato a una prassi non-marxiana, di sapore quasi pragma-  tista — e la critica non era del tutto peregrina, come ho cercato di mostra-  re nel mio Razionalismo e prassi a Milano” - oppure al metafisicismo che  venivano a caratterizzarlo, più in ombra resto il suo carattere razionalisti-  co e il suo tipico criticismo, che sono invece gli aspetti che la ricostruzione  più recente ha posto maggiormente — e giustamente - in luce. Tutta l’ope-  razione del t.d.p., sia in Dal Pra che in Vasa, si sviluppa invece in un’otti-  ca di razionalismo critico, di liberazione, di ampliamento delle tecniche  di razionalità, di revisione aperta dei propri statuti e di elaborazione di  una idea di ragione che faccia centro - appunto - sulla criticità. Criticità  che Dal Pra, nel 1953 (l’anno della presentazione ‘ufficiale’ al Congresso di  Bologna del t.d.p., va ricordato), indicava come «problema del fondamen-  to» e del fondare, da sottrarre a ogni ipoteca metafisica, anche minimale,  e ad ogni ipoteca teoreticistica — «il fondamento sarebbe rilevabile come  dato della conoscenza»? —, senza cadere in alcun prassismo come atto di  fondazione, riconfermando così un teoreticismo fondazionistico (sia pu-    3 Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 183.   26 Ivi, pp. 184 e ss.   ? Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit.   28 Ivi, pp. 158-161.   29 M. Dal Pra, Sul concetto di criticità, «Rivista critica di storia della filosofia»,  1953, 1, p. 4.    166 PENSIERO E TEMPO    re risolto in forma prassica). Va invece posto al centro del processo critico  «l’inattualismo della prassi», ovvero la «possibilità di fare dell’inattuale e  quindi del non-saputo la funzione universalizzante [...] della trasforma-  zione dell’esperienza e dell’attuale»?°: la criticità è un «ideale-limite d'un  impegno pratico-puro»*; il che significa un processo di pensiero fondati-  vo che rimuove il fondamento ed accoglie l’extrateoretico come matrice e  momento-chiave della teoreticità, che su tale esteriorità e su tale apertura  si misura nel suo senso e nella sua efficacia. La criticità, per affermarsi nella  sua identità verace, deve innestarsi con e nella storicità, deve interagire con  e assumere la storia, intesa come prassi sociale, di uomini reali collocati in  un tempo reale e in una situazione altrettanto reale e determinata.   Questo innesto di t.d.p. e criticità viene a connotare in senso fortemente  razionalistico il prassismo di Dal Pra (pur lasciando in ombra i suoi rap-  porti col marxismo, con la dialettica e la filosofia della praxis, che verranno  affrontati più tardi)” e a dare un carattere non-kantiano al suo criticismo,  che si nutre piuttosto della lezione hegeliana e di quella deweyana, come  dei richiami alla soggettività-in-situazione dell’esistenzialismo. Tra Cro-  ce, Dewey e Abbagnano si viene a descrivere l’orizzonte problematicistico  di questa criticità, assai vicina - ma con anche forti caratteri differenziali  - al Banfi del dopo-1943*. Siamo davanti a un criticismo storico-prassi-  co e pluralistico-aperto, che gioca audacemente come suo «fondamento»  proprio la critica del fondare e il pluralismo del fondamento, fino ad ac-  cogliere l’extrateoretico come momento - e cruciale — della fondazione  possibile. Siamo davanti anche a una posizione teoretica di largo fascino  e di rigore - se pure spesso imbozzolata in lessici post-attualistici e esi-  stenzialistico-trascendentali —, di indubbio valore e di notevole forza, che  restò - invece — poco operante nella cultura filosofica nazionale, per vari  motivi: tecnico-filosofici, culturali, politici (per il ritorno degli «ismi» filo-  sofici; per la fine del pluralismo culturale del dopo-Resistenza; per le chiu-  sure neodogmatiche della guerra fredda); ma anche perché lo stesso Dal  Pra e Vasa non vollero imprimerle un'accelerazione e un potenziamento  e perché assunsero - in modi diversi - l’empirismo a interlocutore fonda-  mentale, lasciando in ombra quel faccia-a-faccia della teoresi tra ragione  e storia, che era, invece, il lievito e il legato del «trascendentalismo della  prassi», recuperandolo poi in anni molto lontani da quelli della maturità  e per vie aperte anche dal postempirismo, maturando attraverso ragioni  e suggestioni da questo sollecitate.    30 Ivi, p. 7.   31 Ivi, p.13.   32 Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit., cap. II.   3 Sul Banfi teorico del razionalismo critico Cfr. F. Papi, Il pensiero di Antonio  Banfi, Parenti, Firenze 1961; Antonio Banfi e il pensiero contemporaneo, Atti del  Convegno di studi banfiani (Reggio Emilia, 12-14 maggio 1967), La Nuova Italia,  Firenze 1969; Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit., (cap. 1).    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 167    4. Incontro con l’empirismo    Nel 1949 Dal Pra aveva diretto la propria indagine storiografica su Hu-  me, visto come maestro dello scetticismo moderno e corretto interprete  della sua portata antimetafisica e problematizzante, del suo ruolo di ‘de-  costruttore’ della ragione e di appello ai diritti dell’empiria (soprattutto  importanti in Hume). In questa scelta agivano ragioni storiografiche (di  revisione della storiografia positivistica e di quella idealistica, dimostra-  tesi per il filosofo scozzese assai povere; per porre al centro del pensiero  humiano quella «scienza della natura umana», di tipo naturalistico, che  era in votis nella sua ricerca), ma soprattutto impulsi teorici, sollecitati da  quel neoilluminismo rivolto - specialmente con Preti — a risolvere la ra-  gione in organizzazione dei saperi scientifici e in costruzione elaborata a  partire dall'esperienza umana e ad essa orientata a ritornare. Proprio in  quegli anni Dal Pra subiva - come ha ricordato nel 1992 - un «avvicina-  mento con Giulio Preti», visto come interprete critico del razionalismo  critico banfiano, che lo sviluppava poi in senso empiristico e strumenta-  listico e che assegnava un ruolo cruciale allo scetticismo nella vita dialet-  tica della ragione**.   Hume, quindi, costituisce una via per affrontare lo scetticismo - in-  dagato poi anche nell’antichità, nel 1950 con Lo scetticismo greco” -, ma  anche per rileggere in senso empiristico lo statuto della razionalità, facen-  do assumere al criterio-guida della criticità un aspetto più operativo, più  tecnico, ma anche più ristretto. Siamo nella fase dell’empirismo critico di  Dal Pra, che manifesta sensibili vicinanze a quello di Preti, teorizzato nel  ’58, ma con esso non coincidente, e sul quale hanno insistito — giustamente  - tanto Rambaldi quanto Minazzi?. Infatti per Rambaldi, fu «l'amicizia  con Preti» ad attuare «una evoluzione di Dal Pra che lo condusse a dare  uno spazio nuovo alla teoria rispetto alla prassi»? ed a convergere con le  posizioni a assunte poi da Preti in Praxis ed empirismo, con un pensiero  tendente a risolvere ogni aseità logico-teorica in termini di costruzione  empirica, storicamente ma razionaliticamente connotata. Questo empi-  rismo critico, ha scritto Minazzi, è «un empirismo consapevole del ruolo  e delle funzioni che le strutture (razionali e istintive) svolgono nel pro-  cesso costitutivo dell’esperienza stessa». Lo stesso empirismo di Hume si  presenta come un modello di questa «filosofia critica», capace di opera-    34 Cfr. M. Dal Pra, Hume e la scienza della natura umana, Bocca, Milano 1949  (la seconda edizione, «interamente rielaborata», esce a Bari, da Laterza, nel 1973);  Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit. (cap. IV).   3 Cfr. M. Dal Pra, Lo scetticismo greco, Bocca, Milano 1950 (seconda edizione:  Laterza, Bari 1975).   3% Cfr. Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit.; Dal Pra, Minazzi, Ragione e  storia, cit.   7 Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit., p. 33.    168 PENSIERO E TEMPO    re una fondazione aperta dei problemi e delle strutture della esperienza e  della cultura che la illumina e l’organizza, quale Hume ha intrapreso nel  trattato della natura umana, imprimendo un «impianto sistematico alla  sua ricerca empiristica»**.   Lo studio delle «diverse componenti dello scetticismo storico» (Hu-  me, lo scetticismo antico, Nicola d’Autrecourt) esprimeva sia l’esigenza di  una ricomprensione critica della storia del pensiero, capace di ricollocare  le diverse forme e fasi dello scetticismo, sia «l’obiettivo di cogliere il valo-  re teorico» del pensiero scettico: critico in quanto empirico”, in quanto  connotato dal realismo, come sottolineava Preti.   Intorno all’empirismo critico Dal Pra è tornato più volte negli ultimi  venti anni ripercorrendo con cura e sagacia il complesso itinerario e il si-  gnificato del pensiero di Preti, mettendo in evidenza il complesso perimetro  che lo individua, in cui istanze trascendentalistiche e neopositivistiche si  saldano a forti elementi di marxismo e di pragmatismo, come pure la den-  sa tensione critica, di continuo approfondimento e di continua revisione  che lo ha contrassegnato. Si tratta di un empirismo appunto critico, cioè  attraversato da un'istanza criticista e quindi attento a sondare le proprie  condizioni di possibilità, ma anche a leggere i propri limiti e ad integrarli  con altre tradizioni di pensiero, capaci di salvaguardare ora l'autonomia  del teoretico ora la sua funzionalità pratico-sociale e storica‘. Nel testo  del 1992 Dal Pra sottolinea anche, di questo modello di criticità, la sensi-  bile attualità, di cui la pubblicazione degli inediti e delle lezioni di Preti  aveva voluto e vuole essere testimonianza, «prova concreta» di vitalità «di  una tradizione» (empiristico-critica) «a cui noi, per parte nostra, ci sfor-  ziamo, sia pure con la nostra modestia e con il nostro volenteroso impe-  gno, di essere, in qualche modo, presenti»‘!. La fedeltà a Preti corre come  una costante in Dal Pra dagli anni Cinquanta alla morte e testimonia di  una tappa essenziale della sua evoluzione teoretica, quella appunto che è  stata definita dell’empirismo critico, contrassegnata da una risoluzione in  senso empirico-tecnico della razionalità, piuttosto che in chiave storica.  Certamente l’aspetto storico non scompare mai dalla teoresi di Dal Pra,  ma si indebolisce, si sfuma nel contorno, per lasciare al centro l’indagine  logico-empirica del razionale.   Se dovessimo citare alcuni testi che indichino con chiarezza questa  presa di posizione in Dal Pra, non potremmo, forse, individuare alcun te-  sto esplicitamente programmatico di questo mutamento di accento, bensì  potrebbe essere indicato tutto il lavoro condotto sulla «Rivista» in tutti gli  anni Cinquanta, specialmente con i numeri unici dedicati alla tradizione  dell’empirismo logico e dello strumentalismo, a Dewey e a Russell, a Car-    38 Dal Pra, Minazzi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit., p. 209.   8 Ivi, p. 219.   4° Cfr. Dal Pra, Studi sull’empirismo critico di Giulio Preti, cit.  ^ Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 321.    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 169    nap e su su fino a Vailati”. Si tratta di un lavoro imponente non tanto per  quantità quanto per qualità, per capacità di approfondimento e per impe-  gno teoretico, poiché si tratta sempre di contributi che tendono a sondare  gli aspetti di teoreticità di quegli empirismi (critici).   Anche Rambaldi ha sottolineato questo spostamento di accento e di  orizzonti nel pensiero dalpraiano alla metà degli anni Cinquanta, in vici-  nanza col neorazionalismo (o neoilluminismo) e attraverso «una più spe-  cifica sensibilità per i problemi di storia della scienza» e una ricollocazione  della istanza razionale in ambito empirico-analitico*. Il suo «storicismo  critico» storiografico si carica ora di aspetti più nettamente razionalistici  e si colloca in più stretta simbiosi con l’empirismo critico di Preti, per non  lasciarlo più come interlocutore-principe della propria ricerca teoretica,  anche attraverso gli ulteriori sviluppi di un «ritorno a Hegel» e a Marx  e una ripresa (critica) della dialettica, nonché di un richiamo al raziona-  lismo critico come reciproca intersezione di ragione e storia che viene a  chiudere la traiettoria teoretica di Dal Pra.   La fase empiristica di Dal Pra va considerata più che come una fase  in senso proprio (una tappa) come un'istanza che anima da un momento  particolare in poi il complesso profilo della teoresi, offuscandone sì altri  aspetti, precedentemente più sviluppati e necessari di ulteriori artico-  lazioni, ma decantandone altri ancora e evidenziandoli come momenti  centrali e fondanti. In tal senso, però, questa fase si manifesta come una  crescita irreversibile della teoresi critica di Dal Pra, come funzionale al  suo radicalismo e alla sua capacità costruttiva nell’esperienza, come un  nucleo costitutivo, anche se niente affatto finale. Infatti, dopo questo ap-  prodo dal «trascendentalismo della prassi» a un empirismo critico, la ri-  flessione teoretica di Dal Pra si rimette in marcia, muove verso ulteriori  orizzonti, incontra Hegel e Marx, esige un confronto con la dialettica e  della dialettica con l’epistemologia per attuare non solo il recupero di un  versante della teoreticità sacrificato dall’empirismo (anche critico) nella  sua sordità storicistica (se pure non alla storia vista come processualità),  ma anche una rifondazione più critica, più radicale della teoresi.   Nei secondi anni Cinquanta non si assiste in Dal Pra a una riduzione  empiristica della criticità - come in parte invece si assiste nel suo referen-  te principe: in Preti -, però all’istanza critica viene fatta assumere una  curvatura empiristica che la emancipa da ipoteche postidealistiche e an-  cora teoreticistiche e la immerge sul terreno delle tecniche di razionalità,  come pure - tuttavia - la riduce nella sua portata più radicale, nella sua  capacità metacritica, in quanto capace di collegare la teoresi all’extrateo-  retico, al tempo sociale o storia che l’empirismo lascia, necessariamente,  ai margini nei suoi aspetti genealogici e decostruttivi, nelle sue capacità    4 Sul lavoro della «Rivista di storia della filosofia» cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragio-  ne e storia, cit. (cap. IV) e Cambi, Razionalismo e prassi a Milano cit.  4 Cfr. Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit., p. 32.    170 PENSIERO E TEMPO    di dissolvere aseità e di mostrare le ‘impurità’ delle genesi. Quello di Dal  Pra è un empirismo ‘senza miti’, siano essi l’Analisi o il Linguaggio o la  Verificazione (presenti, invece, ancora in Preti)‘, che lavora con una no-  zione plastica di esperienza (storicizzata, esistentiva), aperto alla propria  autocritica, assunto come ‘canone’ e non come ‘fondazione’, che sottoli-  nea le ragioni - critiche e costruttive - dell’empirismo e le impone come  essenziali per la crescita della teoresi (tali lo strumentalismo e l’antime-  tafisica, la costruttività della conoscenza e il dinamismo dell’esperienza):  un empirismo strumentale che è un momento della teoresi critica (e co-  me tale necessario) ma che non rappresenta affatto né la sua interezza né  il suo traguardo.    5. La dialettica e la storia    Dal Pra stesso ci ha detto come e perché è arrivato a un recupero della  dialettica e cosa abbia significato questa ripresa dello storicismo attraver-  so Hegel e Marx. Alla base sta «la questione decisiva e aperta del rapporto  tra teoria e prassi, ragione e storia», che sottrae la conoscenza a ogni «sus-  sistenza autonoma» e la sottopone a un'indagine critica che ne dissolve  l'«assolutezza» di «sostanziale carattere metafisico», facendola incontra-  re con la prassi, attraverso l’incontro con Marx e con Dewey, visti come  correttori ma anche continuatori di Hegel”. Anzi, nota Dal Pra, «senti-  vo l’esigenza di collegare in qualche maniera lo strumento conoscitivo ad  una dimensione della razionalità concreta», quella «illuminata da Marx  e da Dewey», relativa al    rapporto che si viene ad instaurare tra la dimensione logica del pen-  siero e il tessuto concreto dell’esperienza, tra la configurazione astrat-  ta delle interpretazioni teorico-ideali del mondo e la dimensione della  prassi.“    Di qui l’esigenza di ripensare la transazione e la dialettica come stru-  menti concettuali capaci di leggere in modo interattivo la teoria e la pras-  si, la ragione e la storia. Ma è soprattutto «lo studio della dialettica» che  «si presentava come più interessante proprio perché era ricco di una com-  plessa tradizione di pensiero» e perché ricomprendeva anche la transa-  zione deweyana”°.    44 Cfr. G. Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino 1957 e Id., Il mio empiri-  smo critico, in Id., Saggi filosofici, I, La Nuova Italia, Firenze 1976.    4 Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 268.   4° Ivi, pp. 271-272.   47 Ivi, p. 274.   48 Ivi, p. 275.   4° Cfr. M. Dal Pra, Presentazione, in J. Dewey, A. Bentley, Conoscenza e transa-    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 171    Lo studio delle mediazioni tra ragione e storia — che ritorna così, come  abbiamo detto, al centro del pensiero di Dal Pra - si compie in una dire-  zione più operativa, più legata a tecniche di razionalità, più segnata dalle  esigenza di un empirismo critico, rispetto alla fase del «trascendentalismo  della prassi», ma ne rinnova e ne sviluppa l’istanza fondamentale. E la dia-  lettica si pone esplicitamente su questo terreno di mediazione tra cono-  scenza e prassi, e prassi storica in particolare. È lo strumento più maturo  per pensare questa mediazione, anche perché dotato di una ricca tradizione  storica che ne ha approfondito le strutture e il significato. Anche Rambaldi  riconosce l’importanza del rapporto Hegel-Marx per comprendere l’“ulti-  mo’ Dal Pra che svolge «una indagine, sorretta dallo storicismo critico e  condotta sull’ismo della ‘dialettica’ come struttura formale» in Marx, ma  non solo in Marx (anche in Hegel, attraverso Marx, e in Dewey, attraverso  Hegel)”. La scelta di Marx non è causale: nasce dalla volontà di adire una  dialettica non-speculativa, antiteologica (non-metafisica), nutrita di refe-  renti empirici e attivi nella comprensione dell’esperienza, quindi risolta in  senso strumentale e niente affatto ontologico. Il Marx di Dal Pra - come  molto Marx degli anni Cinquanta e Sessanta, da quello ‘giovanile’ di Cor-  nu a quello ‘galileiano’ di Della Volpe - è un Marx che opera la rivoluzione  cognitiva più radicale della modernità, innestandola nella prassi, rivolta a  «sussumere la prassi nel tessuto logico-organistico della dialettica», come  ha scritto Rambaldi”. Il Dewey ‘dialettico’ di Dal Pra trova poi una preci-  sa definizione nel saggio su Dewey e il pensiero del giovane Marx del 1960  come poi - molti anni dopo - nella introduzione a Conoscenza e transa-  zione di Dewey e Bentley”. In ambedue i casi è la vicinanza/distanza da  Hegel che viene a sottolineare l'aspetto empirico e cognitivo della dialet-  tica e il suo sostanziarsi di caratteri prassici, in quanto capace di cogliere  i nessi tra teoria e storia, tra conoscenza e tempo storico.   Nel 1965 esce da Laterza il volume su La dialettica in Marx, nel giovane  Marx e fino all’opera del 1857, che studia il configurarsi di una dialettica  empirico-epistemica nella riflessione svolta fino a Per la critica da Marx e  che è erede e correttrice a un tempo della dialettica hegeliana, sia pure con  oscillazioni e pentimenti. L'incontro con Marx si faceva centrale poiché  - pur mantenendo un ruolo autonomo alla teoria, una «relativa autono-    zione, La Nuova Italia, Firenze 1974; ma anche Id., Dewey e il pensiero del giovane  Marx, «Rivista di filosofia», 1960.   5° Rambaldi, Ragione e storia, cit., p. 37.   `! Ibidem. Sul Marx degli anni Cinquanta e Sessanta cfr. Il marxismo italiano degli  anni Sessanta e la formazione teorico-politica delle giovani generazioni, Editori Riu-  niti, Roma 1972; G. Della Volpe, Logica come scienza storica, Editori Riuniti, Roma  1969; A. Cornu, Marx e Engels dal liberalismo al comunismo, Feltrinelli, Milano 1962;  M. Rossi, Marx e la dialettica hegeliana, I e II, Editori Riuniti, Roma 1960-63.   5 Sull’importanza di Dewey nel pensiero di Dal Pra cfr. Rambaldi, Ricordo di  Mario Dal Pra, cit.    172 PENSIERO E TEMPO    mia della teoria nei confronti della prassi» (ha detto Rambaldi)” - attiva-  va anche una ripresa dello studio del nesso che deve correre tra ragione e  storia e che nella dialettica trova il proprio dispositivo (fino ad oggi) fon-  damentale. Lopera su Marx ha quindi un preciso connotato cognitivo e  una funzione in qualche modo programmatica, aspetti che superano de-  cisamente il suo pur importante e significativo impegno di ricostruzione  e interpretazione storica.   Il primo elemento sottolineato da Dal Pra, intorno alla dialettica marxia-  na, è il suo forte legame con la dialettica di Hegel e che, «se la dialettica è  sempre presente nelle pagine (di Marx), dalla Tesi di dottorato al Capitale,  non è ovunque presente allo stesso modo e con una formulazione rigoro-  samente identica», ma viene scandita secondo diverse fasi: «il metodo dia-  lettico è largamente presente nei primi scritti di Marx», assunse poi «una  posizione nettamente diversa e fortemente critica nei riguardi della dialetti-  ca», nella Sacra famiglia, nell’Ideologia tedesca e nella Miseria della filosofia,  «per poi tornare esplicitamente a una rivalutazione della Logica hegeliana  e del metodo dialettico nell’Introduzione del 1857», fino a Perla critica”. Si  tratta però di una dialettica antidealistica, ripensata in termini realistici,  ma non ontologistici o scientifici (alla Engels): Marx guarda, in particolare,  a «una fondazione empiristica dalla dialettica» e a un suo uso empirico-cri-  tico e storico; essa è uno strumento pratico «per una descrizione concreta  delle condizioni in cui si svolge l’attività umana» e tale «processo fondato  in modo pragmatico-fattuale diverrebbe strumento utile perla elaborazione  di un discorso scientifico nell’ambito del sapere storico», che ne indichi  la processualità e il senso. La dialettica è in Marx «uno strumento limitato  di analisi» applicabile «con frutto ad un complesso determinato di fatti»9,  ma che anche mantiene oscillazioni e qualche regressione (verso Hegel). In  Marx è all’opera quella «nuova logica» che riguarda «la fondazione empiri-  stica della dialettica» e che collega divenire storico e concetto, ma sempre  per via ipotetica ed euristica, senza necessità a-priori.   Dietro queste affermazioni sta il «marxismo empiristico» di Preti  espresso nell’opera del 1957, ma ci sta anche la ripresa di quel razionali-  smo critico anni Quaranta-Cinquanta che viene ricondotto - anche nel  suo nucleo più problematico: il nesso teoria/prassi o ragione/storia — verso  terreni analitici, assumendo la dialettica a strumento cognitivo-principe  di queste mediazioni. Ma una dialettica risolta in puro strumento cogni-  tivo, sottratta a ipoteche ontologiche e speculative, ancora presenti nella  stessa tradizione marxista, nella «dialettica della natura» e nelle formula-  zioni del Diamat. Così «la nuova filosofia» di Marx assumeva «caratteri di  grande interesse proprio per chi fosse interessato a considerare in modo    53 Ivi, p. 39.   % M. Dal Pra, La dialettica in Marx, Laterza, Bari 1977, p. IX.  5 Ivi, p. XVIII.   5 Ivi, p. XIX.    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 173    particolare il rapporto che può instaurarsi tre le strutture della razionali-  tà e il mondo della prassi»”. E Marx su questo terreno è una buona guida,  perché fa un uso «euristico» della dialettica, attraverso anche    i numerosi richiami all’esigenza di mettere sempre capo a riscontri  empirici sicuri, alla rivendicazione della base sensibile dell’esperien-  za e alla necessità di sottoporre sempre il piano teorico al riscontro  puntuale dell’esperienza.8    Assunta la dialettica in questi termini cognitivi, si tratta poi di inne-  starla nel circuito tecnico del pensiero epistemologico contemporaneo,  mostrando la funzione di interazione (critica) che essa esercita e di corre-  zione alle ipostasi analitiche (attuando una critica dell’epistemologia), ma  anche quella di estensione critico-analistica su terreni come la storia - che  sfuggono alla sola logica analitica, richiamandosi in questa operazione al  lavoro del marxismo critico per tradurre il movimento della dialettica in  ‘schema empirico’. Non si tratta, certo di superare il metodo scientifico  bensì di integrarlo e di assumerlo in forma critica, rivivendone le istanze  in ambiti differenti con metodologie differenti. La dialettica si fa una di  quelle «tecniche dell’intelletto» che devono rendersi operative per attuare  un «approfondimento» della «istanza della criticità».   Così Dal Pra ritorna - ma in forma più ricca e matura - verso il razio-  nalismo critico degli inizi del suo pensiero (laico), riconfermando al cen-  tro la nozione di criticità, innestando questa nella relazione tra ragione e  storia, ma dispiegando questo nesso - attraverso la dialettica - in modo  empirico, analitico-critico, mostrando la puntuale, concreta interferenza  tra conoscenza e prassi, tra l'autonomia teoretica e il terreno della storia  e della prassi. Nell’intervista del 1992 Dal Pra riconosceva con precisione  questa sua unitaria vocazione teoretica:    Più che ad una corrente del pensiero contemporaneo nel corso del-  la mia ricerca e delle lezioni universitarie ho cercato di dare rilievo ad  un problema concernente il nesso tra lo sviluppo storico e la struttu-  ra teorica che mi è sembrato farsi strada verso correnti diverse confi-  gurandosi in molteplici modi. Il suo chiarimento mi ha poi indotto a  prestare attenzione particolare alle differenti fasi del «pensiero criti-  co», riconoscendo in esso il volano stesso del pensiero e del pensiero  occidentale in particolare."    Ed è intorno al nesso ‘attivo’ di teoria e prassi che si gioca — oggi - il  destino della criticità, torna a ricordarci l’ultimo Dal Pra.    5 Dal Pra, Minazzi, Ragione e stora, cit., p. 290.  58 Ivi, p. 295.  9 Ivi, p. 303.    174 PENSIERO E TEMPO    6. Razionalismo critico e criticità aperta: qualche osservazione    La ricca e complessa parabola che il razionalismo critico vive nella rifles-  sione di Dal Pra si caratterizza come una sua crescita concentrica, intorno  ad un nucleo forte e stabile (il nesso teoria/prassi o ragione/storia) che, pe-  rò, viene articolandosi secondo accenti diversi (ora sottolineando il ruolo  della prassi ora quello della teoria ora il loro equilibrio e/o reversibilità). In  questo processo si dispiega un modello critico (autocritico/metacritico) di  teoresi che si salda a una prospettiva stabile, ma al tempo stesso la dispiega  in tutta la sua variegata problematicità, in tutto il suo iter di sviluppo e di  approfondimento. La lezione teoretica di Dal Pra si innesta così al centro  del problema teoretico contemporaneo, legandosi alla volontà di pensare  una ragione che coglie le sue stesse radici/implicazioni extrateoretiche, che  esce dalla sua purezza/aseità per definirsi come strumento e come strumen-  to pratico e che intorno alla sua valenza pratica deve costantemente inter-  rogarsi e definirsi. Aspetti tutti che travagliano e strutturano la riflessione  contemporanea. Siamo davanti quindi a una ripresa dello storicismo, risol-  to nella forma critica e nel suo nucleo più radicale alla luce di una criticità  aperta e consapevolmente aperta, che si gioca intorno all’interrogazione  fondativa e la risolve in senso storico-empirico come costruzione di pro-  cessi razionali a partire da una particolare condizione storica, tramata di  problemi concreti e determinati. Lo storicismo critico di Dal Pra è, in realtà,  un razionalismo critico che viene sviluppandosi attraverso un empirismo  critico, per approdare a un potenziamento analitico della stessa criticità,  conducendola oltre il suo carattere esigenziale o programmatico e connet-  tendola invece a precise tecniche di razionalità (come la dialettica).   Tutto questo colloca Dal Pra in una significativa zona di confine tra  neoilluminismo e neostoricismo - tra Preti e Garin potremmo dire? -,  annodando insieme le due anime del neorazionalismo postbellico, nel  quale la sua posizione filosofica nettamente si colloca e nel quale viene a  ricoprire un ruolo di punta e una funzione di continuità. Ruolo di pun-  ta poiché pone faccia a faccia Analisi e Storia, le media reciprocamente,  riprendendo le più deboli e parziali mediazioni di Preti e di Garin (negli  opposti fronti) e conducendole verso esiti di connessione più intima e più  tecnica (attraverso la dialettica, che non a caso resta marginale tanto in  Preti quanto in Garin, dal punto di vista strettamente logico-cognitivo).  Funzione di continuità, poiché Dal Pra ha continuato a riflettere intorno  al nucleo del neoilluminismo, trasportando le sue istanze teoretiche in  una nuova stagione filosofica e, quindi, aggiornandone la voce ma ricon-  fermandone la prospettiva, sia pure allargata e sofisticata.   Si è trattato, in breve, di una crescita del razionalismo critico che lo ha  contrassegnato sia dal punto di vista tecnico e cognitivo, arricchendone    °° Cfr. Preti, Praxis ed empirismo, cit., e E. Garin, La filosofia come sapere storico,  Laterza, Bari 1959.    MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 175    e determinandone le procedure razionali, sia dal punto di vista teoretico  generale (o filosofico), fissandone il connotato di criticità e la dimensione  aperta del suo lavoro critico, che si contrassegna, anche, come controllo  costante dell’itinerario di criticità (quindi come metacritico).   Ora - però - è proprio su questo fronte della criticità e della sua aper-  tura che possono essere colte anche le timidezza o le eventuali chiusure del  razionalismo critico di Dal Pra. E prima di tutto le sue chiusure rispetto  alle ultime voci della filosofia critica e della stessa ricerca di mediazione  tra ragione e storia, tra pensiero e tempo, rappresentate dalla filosofia at-  tuale, specialmente dalla ermeneutica critica e dalla sua doppia identità  della decostruzione e dalla interpretazione, in quanto capace di riafferrare  il faccia a faccia tra teoria e storia e di sondarne gli intrecci, le filiazioni, i  nessi cognitivi, immaginativi e pratici. Accanto all’ermeneutica anche la  teoria critica dei francofortesi appare assai sullo sfondo®, nel lavoro filoso-  fico di Dal Pra, non recepita nella sua base metacritica e nella sua volontà  di liberalizzare la dialettica e di ricondurla al suo puro (e vero) iter cogni-  tivo. Eppure tanto l’ermeneutica quanto la teoria critica hanno procedu-  to avanti nell’ambito di una storicizzazione del pensiero, di una revisione  storico-critica della ragione e di un suo potenziamento non-formalisti-  co. Entrambe poi hanno sondato le matrici extrateoretiche della ragione  e il suo stretto e problematico legame con la prassi (sia etica sia politica).  Purtuttavia l’attenzione di Dal Pra per queste frontiere della teoresi con-  temporanea è stata - nel complesso - esile. Tutto questo ha un'origine e  un senso, ma anche un costo.   L'origine del silenzio/disinteresse nasce da quel collocarsi di Dal Pra  nell’ambito del neoilluminismo, cioè in un modo di fare filosofia cha  muove dalla ragione e che l’assume come prospettiva fondamentale, sen-  za pensare come utile e come possibile una sua destrutturazione radicale  e una decostruzione in senso nietzschiano o heideggeriano (Nietzsche e  Heidegger sono, infatti, i ‘grandi assenti’ nel pensiero filosofico di Dal Pra:  nell’intervista del ’92 Nietzsche non viene mai citato né lo è Heidegger),  una sua ri-comprensione ermeneutica. Così, tutto ciò produce anche un  silenzio intorno ad altre procedure critico-razionali - come il Verstehen, il  «comprendere» - capaci di pensare la non-aseità del teoretico, di ricollo-  carlo nelle sue origini storiche e di ripensarlo intorno al proprio senso. I  costi sono evidenti: la criticità - pur assunta come aperta — viene fermata  nel suo processo metacritico e nella sua radicalizzazione, ancorandola ad  un ambito storicistico inteso in senso un po’ pragmatista, come dialogo  tra teoria e prassi e non come lavoro decostruttivo/ricostruttivo del senso  storico del loro rapporto e quindi dell’uso teoretico della tradizione (ei-  detica e linguistica) che facciamo in questo campo quando assumiamo  come guida l’intersezione (reciproca) di ragione e storia. Certo sono co-  sti storici che non limitano affatto l’itinerario teorico dalpraiano e il suo    & Cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit.    176 PENSIERO E TEMPO    significato attuale, ma indicano anche un compito oltre di esso: di fare i  conti - in quella interazione (reciproca) - anche con gli appositi dell’er-  meneutica critica, in particolare, che proprio su quella medesima ‘lun-  ghezza d’onda'’ si è esercitata, se pure con procedure assai diverse rispetto  al razionalismo critico”.   Con tutto questo niente viene tolto al significato teorico e storico del  lavoro di Dal Pra: alla sua fedeltà alla ragione, anzi ragione critica, anzi  ad una criticità aperta, ma che conferma al centro un suo nucleo storico-  teorico essenziale (ripetiamo ancora: il nesso problematico e tensionale  tra ragione e storia) e lo impone come asse del pensiero contemporaneo,  come un po’ il suo ‘osso di seppia’ e la sua sfida ancora incompiuta. E pro-  prio in questo richiamo prende corpo l’attualità di Dal Pra, connessa alla  funzione che il suo razionalismo critico non ha ancora finito di esercitare:  funzione di memento teoretico e di exemplum critico e analitico-critico.  La lezione filosofica di Dal Pra - pur nei suoi confini, pur con gli inevita-  bili limiti storici - viene oggi a sfidare proprio quei neodogmatismi che  in molti territori della filosofia vengono a prendere corpo, e partendo del-  le scienze assunte come modello ne varieteur di razionalità o dal rilancio  della metafisica, come ‘sapere dell’inizio’ e del fondamento, o dalla set-  torializzazione tecnica e tecnologica della filosofia che la depriva proprio  della sua generalità e quindi della sua radicalità. Dal Pra con la sua densa  ed esemplare lezione teorica, consegnataci anche nella rivisitazione fattane  con Minazzi in limine vitae, ci aiuta a resistere alle sirene di una teoreticità  che vuole - per molte vie — ricostruire approdi sicuri, certezze confortanti  e quel «mondo della sicurezza» che le filosofie del Novecento - come ben  vedeva Dal Pra - hanno dissolto per sempre e al cui posto hanno collo-  cato una teoresi inquieta che vuole interrogare se stessa e il proprio costi-  tuirsi, che intende pensarsi in modo autentico e radicale, e criticamente  radicale, partendo proprio dal traguardo storicamente raggiunto nel suo  processo - tipicamente occidentale — di progressiva problematizzazione e  spostando oltre di esso la frontiera dell’indagine critico-radicale.    € Per la teoreticità ermeneutica cfr. H.G. Gadamer, Verità e metodo, Fabbri, Mi-  lano 1972 e L. Pareyson, Verità e interpretazione, Mursia, Milano 1971; G. Vattimo  (a cura di), Filosofia ’91, Laterza, Roma-Bari 1992.   & Cfr. Dal Pra, Filosofi del Novecento, cit. e Id. (a cura di), Storia della filosofia,  10 voll., Milano, Vallardi, 1975-1978.  Mario Dal Pra. Pra. Keywords: hegeliani, storiografia della filosofia antica, la filosofia antica, la filosofia italica antica, la filosofia romana, la filosofia romana antica, Antonino, Crotone, Velia, Filolao, Vico, Croce, la storia della filosofia, filosofia della storia della filosofia, storiografia filosofica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pra” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Prepone: la ragione conversazionale e il principio conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to Ippolito di Roma, a pupil of Marzione. He argues that, in addition to there being a principle of good and a principle of evil, there is a third intermediate principle of justice. Grice: “Only I don’t multiply principles beyond necessity, since ‘principle’ means ‘1’!”

 

Grice e Prepostino: la ragione conversazionale del divino di Romolo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cremona). Filosofo italiano. Summa theologica, Manichean, caraterismo. Prepostino.

 

Grice e Prestipino: la ragione conversazionale -- conversazione e ragione in Vico -- per una antropologia filosofica – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Gioiosa Marea). Filosofo italiano. Insegna a Siena. Studia il socialismo, marxismo ed estetica. Saggi: “La teoria del mito e la modernità di VICO (si veda)” (Palermo, Montaina); “L'arte e la dialettica in VOLPE (si veda)” (Messina, D'Anna); “Che cos'e la filosofia: strutture e livelli del conoscere” (Gaeta, Bibliotheca); “Per una antropologia filosofica: proposte di metodo e di lessico” (Napoli, Guida); “Marxismo (e tradizione gramsciana – GRAMSCI (si veda) -- negli studi antropologici,  Natura e società” (Roma, Riuniti); “Da GRAMSCI (si veda) a Marx” (Roma, Riuniti); “Modelli di strutture storiche” (Bibliotheca, Narciso e l’automobile, La Città del Sole, Realismo e Utopia” (Roma, Riuniti); “Tre voci nel deserto: Vico, Leopardi, Gramsci” (Roma, Carocci); Scheda su Aracne, Da una sponda all’altra del mediterraneo: memorie di militanza comunista. Intervista a P.. Art. in: Historia Magistra. Rivista di storia critica, Risorgimento e dialettica storica in Gramsci, dal Calendario del Popolo Autori Aracne. Giuseppe Prestipino. Prestipino. Keywords: antropologia filosofica, Vico, Volpe, Gramsci,  Narciso e l’automobile, Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prestipino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pretestato: la ragione conversazionale del Giove del Campidoglio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He achieves high office under Giuliano. He writes a commentary of Temistio – Accademia. Vettio Agorio Pretestato.

 

Grice e Preti: la ragne conversazionale, la retorica conversazionale, e la logica conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo italiano. Grice: “I like Preti. He wrote “Retorica e logica,” which I enjoyed since this is what I do: I find the rhetoric (the implicature) to the logic (the explicature).” Grice: “Preti was a bit of a Stevensonian, with his ‘Praxis ed empirismo, and I mean C. L. Stevenson, not the Scots master of narrative!”. Studia a Pavia sotto LEVI, VILLA e SUALI. Studia Husserl. Insegna a Pavia e Firenze. I suoi saggi nella rivista banfiana "Studi Filosofici", lo vedeno coinvolto in una polemica sull'immanenza e la trascendenza. In “Fenomenologia del valore” (Principato, Milano) e “Idealismo e positivismo” (Bompiani, Milano) emerge con evidenza quell'impostazione tesa a conciliare istanze razionalistiche ed empiristiche. In “Praxis ed empirismo” (Einaudi, Torino) presenta in maniera relativamente organica, per quanto rapidamente, alcuni temi al confine tra pensiero teoretico, filosofia morale e filosofia politica. “Retorica e logica: le due culture” (Einaudi, Torino) è un saggio a cavallo tra la ricostruzione storico-filosofica e il saggio teoretico, con il quale si intende dimostrare, prendendo le mosse dalla polemica aperta da C. P. Snow, l'inconciliabilità tra le due forme di cultura che si intrecciano nel dibattito occidentale, quella logico-scientifica e quella umanistico-letteraria, e la necessità di far prevalere la prima sulla seconda al fine di non cedere a nuove forme di oscurantismo elitario e fanatico. Inoltre, affianca costantemente alla propria attività di autore quella di curatore di classici del pensiero filosofico.  Il suo stile, volutamente trascurato, è rapido, nervoso e semplice, in implicita polemica con il bello scrivere e l'ermetismo tipico delle scuole idealistiche italiane. Tenta trovare una via alternativa al rapporto fra un pensiero unitario e inglobante -- di tradizione hegeliano-crociana -- e uno invece dualistico, nel distinguo fra saperi umanistici e scientifici. Il rifiuto di una strenua dicotomia non deve annullare bensì esaltare le differenze. Altri saggi: “Linguaggio comune e linguaggi scientifici” (Bocca, Milano); “L’universalismo” (Bocca, Milano); “Alle origini dell'etica contemporanea:  Smith, Laterza, Bari); “Storia del pensiero scientifico, Mondadori, Milano); “Che será, será” (Firenze, Fiorino); “Umanismo e strutturalismo: saggi di estetica” (Liviana, Padova); “La scessi e il problema della conoscenza, “Rivista critica di Storia della Filosofia”, “Saggi filosofici” (Nuova Italia, Firenze); “In principio è la carne” (Angeli, Milano); “Il problema dei valori: l'etica di Moore” (Angeli, Milano); “Flosofia della scienza” (Angeli, Milano); “Morale e meta-morale. (Grice: “moralia e transmoralia”); “Saggi filosofici inediti” (Angeli, Milano);  L'esperienza insegna: saggi civili d sulla Resistenza” (Manni, San Cesario, Lecce); In principio è la carne, Scarantino, "Rivista di Storia della Filosofia", Notizie sull'operosità scientifica e sulla carriera didattica, Minazzi, "Il Protagora"; Filosofare onestamente, andando là dove il pensiero ci porta. Lettere a GENTILE; Minazzi, "Il Protagora", Ci terrei tanto a venire a Firenze. Lettere a GARIN, Minazzi, "Il Protagora", Qui a Firenze si muore nel silenzio e nella solitudine. Lettere a PRA, Minazzi, "Il Protagora". Franzini, Il mito delle due culture e la filosofia dei giornali, in "La Tigre di Carta", Zanardo,  Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Minazzi, P. (Angeli, Milano), Pra, Studi sull'empirismo critico”, Bibliopolis, Napoli, Lecis, Filosofia, scienza, valori: il trascendentalismo” (Morano, Napoli); Minazzi, Filosofia (Angeli, Milano); Minazzi, “L'onesto mestiere del filosofare” (Angeli, Milano); Minazzi, “Il caco-demone neo-illuminista. L'inquietudine pascaliana di reti” (Angeli, Milano); Peruzzi, Filosofo europeo (Olschki, Firenze); Parrini e Scarantino, “P.” (Guerini, Milano); Tavernese,  P.: la teoria della conoscenza: in principio è la carne, Firenze Atheneum, Scandicci, Scarantino,  La costruzione della filosofia come scienza sociale (Mondadori, Milano); Minazzi, Suppositio pro significato non ultimato. G neo-realista logico studiato nei suoi saggi inediti (Mimesis, Milano) Minazzi,  Le opere e i giorni. Una vita più che vita per la filosofia quale onesto mestiere, Mimesis, Milano  Cambi, Mari, Intellettuale critico e filosofo attuale (Firenze); Il contributo italiano alla storia della filosofia, Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia,  Minazzi e Sandrini, Il razionalismo critico europeo, Mimesis, Milano. Minazzi, Sul bios theretikòs (Mimesis, Milano); Maria, Un punto di vista cattolico (Stamen, Roma); Franzini, Il mito delle due culture e la filosofia dei giornali. Giulio Preti. Preti. Keywords: retorica e logica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Preti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Preve: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Valenza). Filosofo italiano. Important Italian philosopher. He is the tutor of FUSARO, of Torino. Il comunitarismo è la via maestra che conduce all'universalismo, inteso come campo di confronto fra comunità unite dai caratteri del genere umano, della socialità e della razionalità. – “Elogio del comunitarismo”. Di ispirazione marxiana ed hegeliana, scrive saggi di argomento filosofico. Studia a Torino. Sotto Garrone sull’elezione politica italiana”. Studia Hegel, Althusser, Sartre, e Marx. Scrive "L'illuminismo e le sue tendenze radicali e rivoluzionarie: enogenesi della nazione: il problema della discontinuità con la romanità classica”. Insegna a Torino.  Analizza esistenzialmente il comunismo.  Membro del centro di studi sul materialismo storico. Pubblica “La filosofia imperfetta” (Angeli, Milano), dove testimonia la sua adesione di massima all’ontologia dell'essere sociale di Lukács, ed anche, indirettamente, il suo distacco definitivo dalla scuola d’Althusser. Fonda “Metamorfosi”. Spazia d’un esame dell'operaismo ida Panzieri a Tronti e Negri, all'analisi del comunismo dissidente dei socialisti alla critica delle ideologie del progresso storico, all'indagine sullo statuto filosofico della critica comunista dell'economia politica. Organizza un congresso dedicato al comunismo a Milano, e vi svolge una relazione sulle categorie modali di necessità e di possibilità all’interno del comunismo. Da quest'esperienza nasce una rivista chiamata “Marx 101”, che usce in due serie di numeri monografici e di cui e membro del comitato di redazione. Collabora a “Democrazia Proletaria”, organo dell'omonimo partito, che poi divenne insieme con i fuoriusciti dal partito comunista la componente politica e militante del partito della ri-fondazione comunista. S’iscrive a democrazia proletaria, facendo parte della direzione nazionale. Nella battaglia fra i sostenitori di una scelta ecologista – Capanna -- e comunista, sostiene la seconda. Quando la democrazia proletaria e l'associazione culturale comunista confluiscono nel partito della ri-fondazione comunista, abbandona la militanza politica. Con la pubblicazione dei saggi usciti presso l'editore Vangelista di Milano, affronta il suo tentativo di coerentizzazione di un paradigma filosofico comunista globale. Si verifica infatti una discontinuità nella sua produzione. Opta per l'abbandono di ogni “ismo” di riferimento, uscendo del tutto dalla cosiddetta sinistra e dalle sue procedure d’accoglimento e cooptazione.  Ritenendo che la globalizzazione nata dall'implosione dell'Unione Sovietica non si lasci più interrogare attraverso le categorie di destra e di sinistra, richieda altre categorie interpretative, P. diviene inoltre un convinto sostenitore della necessità di superare la dicotomia sinistra-destra. Questa posizione, condivisa da alcuni filosofi e movimenti internazionali, è criticata da molti, tra cui il filosofo Evangelisti, che ne sottolinea l'ambiguità ideologica. P. si ha dedicato a temi come il comunitarismo, la geopolitica, l'universalismo, la questione nazionale, oltre ovviamente ad un'ininterrotta attenzione al rapporto marxismo-filosofia. Cerca di opporsi alla deriva post-moderna seguita dalla stragrande maggioranza della sinistra italiana -- in particolare dai filosofi legati al partito comunista italiano -- con un recupero dei punti alti della tradizione marxista indipendente, del tutto estranea alle incorporazioni burocratiche del marxismo come ideologia di legittimazione di partiti e di stati -- soprattutto Lukács, Althusser, Bloch, ed Adorno. Dopo la fine del socialismo reale, che chiama comunismo storico, ed in dissenso con tutti i tentativi di sua continuazione/rifondazione puramente politico-organizzativa, lavora su di una generale rifondazione antropologica del comunismo, marcando sempre più la discontinuità teorica e politica con i conglomerati identitari della sinistra italiana -- Rifondazione Comunista in primis ma anche la scuola operaista e Negri in particolar modo. I suoi interventi sono apparsi sia su riviste legate alla sinistra alternativa -- L'Ernesto, Bandiera Rossa -- che su riviste come Indipendenza e Koiné, dove sostene l'esplicito superamento del dualismo destra-sinistra, approdando a posizioni antitetiche a quelle di  BOBBIO (si veda). Collabora con la rivista Comunitarismo, prima, e Comunità e Resistenza. È redattore di Comunismo e Comunità.  Al di là delle prese di posizione sulla congiuntura politica, tre cardini della sua filosofia sono l'interpretazione della storia della filosofia, l'analisi filosofica del capitalismo e la proposta politica per un comunismo comunitario universalistico.  Ri-leggendo l'intera storia della filosofia utilizza una deduzione sociale delle categorie del pensiero non riduzionistica, che gli permette di discernere la genesi particolare delle idee dalla loro validità universale. Infatti quello di lui è un orizzonte aperto universalisticamente alla verità, intesa hegelianamente come processo di auto-coscienza storica e sintesi di ontologia e assiologia, dell'esperienza umana nella storia. Nella sua proposta di ontologia dell'essere sociale riconosce razionalmente la natura solidale e comunitaria degl’uomini e l'autonomia cognoscitiva della filosofia, contrastando ogni forma di riduzionismo nichilistico, relativistico o partigianamente ideologico. Viene definito un strenuo difensore dello statuto veritativo della filosofia da una parte, e deciso oppositore di ogni fraintendimento relativistico dall’altra. Intende il capitalismo come totalità economica, politica e culturale da indagare in tutte le sue dimensioni. Propone di suddividerlo filosoficamente e idealisticamente in tre fasi: capitalismo astratto, capitalismo dialettico con una proto-borghesia illuministica o romantica, una medio-borghesia positivistica e poi  esistenzialistica, e una tardo-borghesia sempre più individualistica e libertaria; capitalismo speculativo (post-borghese e post-proletaria) in cui il capitale si concretizza come assoluto, espandendosi al di là delle dicotomie precedenti a destra economicamente, al centro politicamente e a sinistra culturalmente.  Nell'analisi filosofica del capitalismo, più volte insiste sulla critica al politicamente corretto, dove studia il concetto consterebbe dei seguenti punti nella sua concezione -- dove è considerato un'arma del capitalismo per attrarre fasce deboli a sé, nonché un'ideologia di fondo dell'occidente imperialista. ‘Americanismo’ come collocazione presupposta, anche sotto forma di benevola critica al governo statunitense. Religione olocaustica: Non aderisce al negazionismo dell'Olocausto e condanna i genocidi, ma considera la shoah un fatto non unico, utilizzato dal sionismo per legittimare le azioni di Israele tramite il senso di colpa dell'Europa. Auschwitz non può e non deve essere dimenticato, perché la memoria dei morti innocenti deve essere riscattata, e questo mondo nella sua interezza appartiene a tre tipi di esseri umani: coloro che sono già vissuti, coloro che sono tuttora in vita, e coloro che devono ancora nascere. Ma Auschwitz non deve diventare un simbolo di legittimazione del sionismo, che agita l'accusa di anti-semitismo in tutti coloro che non lo accettano radicalmente, e che non sono disposti a derubricare a semplici errori i suoi veri e propri crimini. Teologia dei diritti umani, che considera -- come altri filosofi marxisti come LOSURDO (si veda), o comunitaristi -- solo un grimaldello e un paravento del capitalismo per imporsi ed eliminare, in realtà, i diritti dei popoli e dei lavoratori, attuando il liberismo e l'imperialismo globali. “Antifascismo in assenza completa di fascismo. L’antifascismo, positivo un tempo, è considerato un fenomeno dannoso e a favore del sistema capitalistico, visto che il fascismo (da lui deprecato soprattutto per la colonizzazione imperialistica dell'Africa e la mascalzonaggine imperdonabile dell'invasione della Grecia, è stato ormai sconfitto, volto a creare tensioni tra le diverse forze anti-sistema, e a fungere da nuova ideologia della sinistra post-comunista e post-stalinista (dopo il graduale abbandono del marxismo-leninismo avvenuto  per gli effetti della de-stalinizzazione), che diviene così inutile. Falsa dicotomia Sinistra/Destra come "protesi di manipolazione politologica". Derivata dal precedente, questa teoria punterebbe a indebolire le critiche anticapitalistiche, impedendo l'unione tra comunisti, comunitaristi e socialisti nazionalitari contro il capitale. Al contempo, anche per le nette e costanti affermazioni contro i tribalismi, i razzismi e i nazionalismi soprattutto coloniali, è da ritenersi estranea al cosiddetto rossobrunismo (i cosiddetti nazionalboscevichi) di cui fu tacciato da Evangelisti, che a suo dire si configurerebbe come una folle somma dei difetti degli estremismi opposti. L'unione di sostenitori rasati del razzismo biologico con sostenitori barbuti della dittatura del proletariato sarebbe certamente un buon copione di pornografia hard, ma non potrebbe uscire dal piccolo circuito a luci rosse del sottobosco politico.  La sua proposta politica va nella direzione di un comunismo comunitario universalistico, da intendersi come correzione democratica e umanistica del comunismo, dal momento che quello storico sarebbe stato reo di non aver messo in comune innanzitutto la verità. Quello tratteggiato da lui è un sistema sociale che costituisce una sintesi di individui liberati e comunità solidali. Non è inteso come inevitabile sbocco storicistico o positivistico di una storia che si svilupperebbe linearmente, né tuttavia in modo aleatorio, bensì in potenza, a partire dalla resistenza alla dissoluzione comunitaria innescata dall'accumulazione individuale di merci. Qui il problema dell'auspicabile democrazia viene impostato su basi antropologiche, scommettendo sulle potenzialità ontologiche della bontà del potenziale degl’uomini, ente politico-comunitaria – “zόoa politika; razionali e valutativi della giusta misura sociale – “zόa lόgon échon” -- e generica, in senso marxiano – “Gattungswesen” --  cioè in grado di costruire diversi modelli di convivenza sociale, compreso quello in cui gl’uomini, affermando la priorità etica e comunitaria per contenere i processi economici altrimenti dispiegantisi in modo illimitato e dis-umano, può realizzare le sue potenzialità ontologiche immanenti, attualmente alienate. La liberazione avverrebbe quindi a partire dal suo radicamento comunitario in cui agisce collettivamente, pur rimanendo l'individuo stesso l'unità minima di resistenza al potere. Adere al partito comunista italiano, ma presto si allontanò (essendo ostile al compromesso storico tra PCI e DC, promosso da Berlinguer e Moro), entrando poi a far parte della Commissione culturale di Lotta Continua. In seguito si iscrisse a Democrazia Proletaria durante la sua ultima fase. Dopo lo scioglimento della Democrazia Proletaria, e in seguito alla confluenza di quest'ultima in Rifondazione Comunista, si è sempre più allontanato dall'attività politica in senso stretto. In seguito manifestò critiche verso l'operaismo e il trotskismo che animavano talvolta queste esperienze della post-sinistra extraparlamentare.  Se dal punto di vista teorico si era già distanziato dalla sinistra italiana a seguito della dissoluzione dell'Unione Sovietica e della svolta della Bolognina, il distacco emotivo definitivo dalla sinistra avvenne con il bombardamento NATO in Jugoslavia durante la guerra del Kosovo, che ricevette il beneplacito del governo italiano. Considera questo fatto come la fine della legalità costituzionale italiana riferendosi alla violazione dell'articolo 11 e un atto di tradimento verso i valori fondanti della Repubblica Italiana. Sul tema scrisse Il bombardamento etico. Saggio sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la menzogna evidente. Molto clamore ha suscitato (anche tra le file della sinistra alternativa) la sua adesione ad alcune tesi del Campo Antimperialista per l'esplicito sostegno da questi fornito alla resistenza irachena. È stato uno dei filosofi di riferimento del comunismo comunitario, nonché animatore della rivista Comunismo e Comunità. Altre saggi: “La classe operaia non va in paradiso: dal marxismo occidentale all'operaismo italiano, in “Alla ricerca della produzione perduta” (Bari, Dedalo); “Cosa possiamo chiedere al marxismo”; “Sull'identità filosofica del materialismo storico”;  “Marxismo in mare aperto”; “Rilevazioni, ipotesi, prospettive” (Milano, Angeli); “La filosofia imperfetta”; “Una proposta di ricostruzione del marxismo ” (Milano, Angeli); “La teoria in pezzi”; “La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia” (Bari, Dedalo); “La ricostruzione del marxismo fra filosofia e scienza”; “La cognizione della crisi. Saggi sul marxismo di Althusser” (Milano, Angeli); “La rivoluzione teorica di Althusser, in Il marxismo” (Pisa, Vallerini); “La passione durevole” (Milano, Vangelista); “La musa di Clio vestita di rosso, in Trasformazione e persistenza. Saggi sulla storicità del capitalismo” (Milano, Angeli); “Il filo di Arianna. XV lezioni di filosofia marxista” (Milano, Vangelista); “Il marxismo e l’eguaglianza”, Urbino; “IV venti”; “Il convitato di pietra”; “Saggio su marxismo e nichilismo” (Milano, Vangelista); “L'assalto al Cielo”; “Saggio su marxismo e individualism” (Milano, Vangelista); “Il pianeta rosso”; “Saggio su marxismo e universalismo” (Milano, Vangelista); “Ideologia Italiana”; “Saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia” (Milano, Vangelista); “Il tempo della ricercar” “Saggio sul moderno, il postmoderno e la fine della storia” (Milano, Vangelista); “L'eguale libertà”; “Saggio sulla natura umana” (Milano, Vangelista); “Oltre la gabbia d'acciaio”; “Saggio su capitalismo e filosofia” (Milano, Vangelista); “Il teatro dell'assurdo”; “Cronaca e storia dei recenti avvenimenti italiani”; “Una critica alla cultura dominante della sinistra nell'attuale scontro tra berlusconismo e progressismo” (Milano, Punto Rosso); “Strategia politica”; “Premesse teoriche alla critica della cultura dominante della sinistra esposta nel Teatro dell'assurdo” (Milano, Punto Rosso); “Il marxismo vissuto del Che”; “Lettere di Che Guevara a Tita Infante” (Milano, Punto Rosso); “Un elogio della filosofia” (Milano, Punto Rosso); “Quale comunismo?”; “Uomini usciti di pianto in ragione” (Roma, Manifesto); “La fine di una teoria”; “Il collasso del marxismo storico del Novecento” (Milano, UNICOPLI); “Il comunismo storico novecentesco”; “Un bilancio storico e teorico” (Milano, Punto Rosso); “Nichilismo Verità Storia”; “Un manifesto filosofico della fine del XX secolo” (Pistoia, CRT); “Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero” (Pistoia); “Il crepuscolo della profezia comunista. A 150 anni dal “Manifesto”, il futuro oltre la scienza e l'utopia” (Pistoia, CRT); “L'alba del Sessantotto”; “Una interpretazione filosofica” (Pistoia, CRT); “Marxismo, Filosofia, Verità” (Pistoia, CRT); “Destra e sinistra. La natura inservibile di due categorie tradizionali” (Pistoia, CRT); “La questione nazionale alle soglie del XXI secolo”; “Nota introduttiva ad un problema delicato e pieno di pregiudizi” (Pistoia, CRT); “Le stagioni del nichilismo. Un'analisi filosofica ed una prognosi storica” (Pistoia, CRT); “Individui liberati, comunità solidali. Sulla questione della società degli individui” (Pistoia, CRT); “Contro il capitalismo, oltre il comunismo”; “Riflessioni su di una eredità storica e su un futuro possibile” (Pistoia, CRT); “La fine dell'Urss”; “Dalla transizione mancata alla dissoluzione” (Pistoia, CRT); “Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi”( Pistoia, CRT); “Le avventure dell'ateismo. Religione e materialismo oggi” (Pistoia, CRT); “Un nuovo manifesto filosofico. Prospettive inedite e orizzonti convincenti per la filosofia” (Pistoia, CRT); “Hegel Marx Heidegger. Un percorso nella filosofia” (Pistoia, CRT); “Scienza, politica, filosofia. Un'interpretazione” (Pistoia, CRT); I secoli difficili. Introduzione al pensiero filosofico dell'Ottocento e del Novecento, Pistoia, CRT); “L'educazione filosofica. Memoria del passato, compito del presente, sfida del future” (Pistoia, CRT); “Il bombardamento etico. Saggio sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la menzogna evidente” (Pistoia, CRT); “Marxismo e filosofia. Note, riflessioni e alcune novità” (Pistoia, CRT); “Un secolo di marxismo. Idee e ideologie, Pistoia, CRT); “Un filosofo controvoglia. Introduzione a G. Anders, L'uomo è antiquato” (Bollati Boringhieri); “Le contraddizioni di Bobbio. Per una critica del bobbianesimo cerimoniale” (Pistoia, CRT); “Marx inattuale. Eredità e prospettiva” (Torino, Boringhieri); Verità filosofica e critica sociale. Religione, filosofia, marxismo” (Pistoia, CRT); “Dove va la sinistra?” (Boninsegni, Roma, Settimo Sigillo); “Comunitarismo filosofia politica” (Molfetta, Noctua); “La filosofia classica tedesca, Dialettica e prassi critica. Dall'idealismo al marxismo (Molfetta, Noctua); “L'ideocrazia imperiale americana” (Roma, Settimo Sigillo); Filosofia del presente. Un mondo alla rovescia da interpretare” (Roma, Settimo Sigillo); Filosofia e geopolitica” (Parma); All'insegna del Veltro, Del buon uso dell'universalismo. Elementi di filosofia politica” (Roma, Settimo Sigillo); Dialoghi sul presente. Alienazione, globalizzazione destra/sinistra, atei devoti. Per un pensiero ribelle” (Napoli, Controcorrente); “La comunità ritrovata. Rousseau critico della modernità illuminista, Torino, Libreria Stampatori); “Marx e gl’antichi greci” (Pistoia, Petite plaisance); “Il popolo al potere. Il problema della democrazia nei suoi aspetti filosofici” (Casalecchio, Arianna); “Verità e relativismo. Religione, scienza, filosofia e politica nell'epoca della globalizzazione” (Torino, Alpina); Elogio del comunitarismo” (Napoli, Controcorrente); “Il paradosso De Benoist. Un confronto politico e filosofico” (Roma, Settimo Sigillo); “Storia della dialettica” (Pistoia, Petite plaisance); “La democrazia in Grecia. Storia di un'idea, forza di un valore, in Presidiare la democrazia realizzare la Costituzione. Atti del seminario itinerante sulla difesa della Costituzione, Bardonecchia, Susa, Bussoleno, Condove, Borgone Susa, Edizioni Melli-Quaderni); “Sarà Dura!, Storia critica del marxismo. Dalla nascita di Karl Marx alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco” (Napoli, La città del sole); “Il presente della filosofia italiana, Pistoia, Petite plaisance, Storia dell'etica, Pistoia, Petite plaisance,  “Hegel anti-utilitarista” (Roma, Settimo Sigillo); Storia del materialismo, Pistoia, Petite plaisance, Una approssimazione a Marx. Tra materialismo e idealismo, Saonara, Il Prato); Ri-pensare Marx. Filosofia, Idealismo, Materialismo” (Potenza, Ermes); Un trotzkismo capitalistico? Ipotesi sociologico-religiosa dei Neocons americani e dei loro seguaci europei, in Neocons. L'ideologia neoconservatrice e le sfide della storia, Rimini, Il Cerchio); “Alla ricerca della speranza perduta. Un intellettuale di sinistra e un intellettuale di destra "non omologati" dialogano su ideologie e globalizzazione” (Roma, Settimo Sigillo);  La quarta guerra mondiale, Parma, All'insegna del Veltro, L'enigma dialettico del Sessantotto quarant'anni dopo, in La rivoluzione dietro di noi. Filosofia e politica prima e dopo il '68, Roma, Manifesto); “Il marxismo e la tradizione culturale europea, Pistoia, Petite plaisance, Nuovi signori e nuovi sudditi. Ipotesi sulla struttura di classe del capitalismo contemporaneo” (Pistoia, Petite plaisance, Logica della storia e comunismo novecentesco. L'effetto di sdoppiamento” (Pistoia, Petite plaisance); “Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante, Petite Plaisance,  Filosofia della verità e della giustizia. Il pensiero di Kosík, con Cesana, Pistoia, Petite plaisance, Lettera sull'Umanesimo, Pistoia, Petite plaisance, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, Pistoia, Petite plaisance, Lineamenti per una nuova filosofia della storia. La passione dell'anticapitalismo, con Luigi Tedeschi, Saonara, Il Prato,.Dialoghi sull'Europa e sul nuovo ordine mondiale, Saonara, Il Prato, Collisioni. Dialogo su scienza, religione e filosofia, Pistoia, Petite plaisance, Marx: un'interpretazione, Nova Europa). Prefere non definirsi marxista ma appartenente alla "scuola di Marx", e «allievo indipendente di Marx»; Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli,  Personalmente, non sono credente né praticante. Non credo in nessun Dio personale, considero ogni personalizzazione del divino una indebita e superstiziosa antropomorfizzazione, e sono pertanto in linea di massima d’accordo con Spinoza. Ma ritengo anche la religione, così come la scienza, l’arte e la filosofia, dati permanenti dell’antropologia umana in quanto tali desti durare tutto il tempo in cui durerà il genere umano  (Elementi di politicamente corretto. Convegno, Lukács e la cultura europea (II intervento)  Relazione Congresso Nazionale di DP (terzultimo intervento)  Destra e Sinistra: confronto tra P. e LOSURDO (si veda); Carmilla: I rosso-bruni: vesti nuove per una vecchia storia  Democrazia comunitaria o democrazia proprietaria?”; “Considerazioni sulla geopolitica”; “Il bombardamento etico dieci anni dopo”. Monchietto, Colletti; Marxismo, Filosofia, Scienza. L'“ultimo” filosofo marxista su la RepubblicaTorino  Addio al filosofo, In memoria, Fusaro  Un lutto veramente grande per noi di Gianfranco La Grassa, La Sala Rossa ricorda la figura e raccogliendosi in un minuto di silenzio, P., Con Marx e oltre il marxismo; Comunismo e Comunità » Laboratorio per una teoria anticapitalistica  A. Volpe e P. Zygulski, Verità e filosofia, in Monchietto e Pezzano, Invito allo Straniamento. I. filosofo, Pistoia, Petite Plaisance,  P., Elementi di politicamente corretto. E qui concludiamo con una serie di previsioni artigianali. Ricordo al lettore che questo non è ancora un Trattato di Politicamente Corretto, che ho peraltro intenzione di scrivere, in cui i cinque punti principali indicati (americanismo come collocazione presupposta, religione olocaustica, teologia dei diritti umani, anti-fascismo in assenza completa di fascismo, dicotomia Sinistra/Destra come protesi di manipolazione politologica) verranno discussi in modo più analitico e preciso. Da Intellettuali e cultura politica nell'Italia di fine secolo, Rivista Indipendenza, Da Gli Usa, l’Occidente, la Destra, la Sinistra, il fascismo ed il comunismo. Problemi del profilo culturale di un movimento di resistenza all’Impero americano, Noctua Edizioni, P.: audio congressi DP (Radio Radicale)  Intervista politico-filosofica (Repaci, P.)  «La costituzione italiana è stata distrutta per semprre con i bombardamenti sulla Jugoslavia, e da allora l’Italia è senza costituzione, e lo resterà finché i responsabili politici di allora non saranno condan morte per alto tradimento (parlo letteralmente pesando le parole), con eventuale benevola commutazione della condanna a morte a lavori forzati a vita. Eppure, questi crimini passano sotto silenzio, perché si continuano ad interpretare gli eventi di oggi in base ad una distinzione completamente finite (P., Elementi di politicamente corretto) Bobbio, Né con Marx né contro Marx, Riuniti, Roma, Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma, Alessandro Monchietto, Marxismo e filosofia in Preve, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, Zygulski, P.: la passione durevole della filosofia, presentazione di Pezzano, Pistoia, Editrice Petite Plaisance, Monchietto e Pezzano, Invito allo Straniamento. I. P. filosofo, Pistoia, Petite Plaisance, Zygulski,  e l'educazione filosofica, in Educazione Democratica,  Foggia, Edizioni del Rosone, gennaio, Monchietto, Invito allo Straniamento. II. Marxiano, Pistoia, Petite Plaisance, Massimo (Bontempelli);   Bentivoglio, Il senso dell'essere nelle culture occidentali (Milano, Trevisini); Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo!, Meltemi, Milano).   LA MISERIA DEL MONDO ROMANO   E LA FORMAZIONE SOCIALE DEI PRESUPPOSTI DEL CRISTIANESIMO.  IL ROVESCIAMENTO DIALETTICO DELL'IMPERIUM IN BASILEIA  E L'INVERSIONE ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA TERRA IN CIELO    La filosofia stoica, nata sulla base della violazione sistematica del comune senso  del pudore (anaideia), e poi gradualmente “normalizzata” in innocuo sapere del  saggio capace di vincere il turbamento (ataraxia), diventò la koiné filosofica più dif-  fusa nel mondo ellenistico-romano. E questo non è un caso, perché si passò da una  prima fase “politica”, provocatoriamente antischiavistica ed antiproprietaria, ad  una seconda fase “apolitica” di semplice cura dell'anima individuale. Il percorso  normalizzatore dall’anaideia all'ataraxia è ovviamente mistificato e nascosto dalla  manualistica filosofica ordinaria, che lo rovescia integralmente. Tace e censura il  momento fondante dell’anaideia, e sostiene al contrario che la teoria della ataraxia è  la sola “filosofia politica” delo mondo romano. Se si legge Seneca e Marco Aurelio,  tuttavia, si vede che in realtà quello che viene impropriamente chiamato “stoici-  smo”, ed invece non lo è per niente, non è altro che la vecchia buona “cura di sé”  platonica (ricordo la corretta interpretazione di Alessandro Biral cui ho accennato  nel precedente capitolo su Platone), del tutto desocializzata. E vedremo più avanti  che proprio la desocializzazione della saggezza sta al centro di quella che Hegel ha  chiamato la “miseria del mondo romano”. L'unica definizione filosofica possibile  della “miseria sociale”, a fianco ovviamente della povertà materiale della gente  (povertà materiale su cui tornerò diffusamente nel prossimo capitolo), è proprio  la desocializzazione della saggezza, per la saggezza stessa, non avendo più alcun  mandato sociale, non può che avvizzire nell'ampio spettro di posizioni che vanno  dallo specialismo alla stravaganza, e cioè dalla filologia universitaria ai punkabbe-  stia.  Il pensiero stoico ha però “messo in circolo” due elementi filosofici nuovi, e cioè  l'universalismo del genere umano (katholikòs) e l’idea di necessità provvidenziale  (pronoia). Il primo concetto è ovviamente un derivato categoriale del cosmopoli-  tismo prodotto dalle conquiste di Alessandro il Macedone in Oriente, mentre il  secondo ha una derivazione “mista”, in parte greca ed in parte orientale. Zenone  riteneva che l'universo periodicamente terminasse nella conflagrazione e che gra-  dualmente si ricostituisse nello stesso modo. Come il vuoto che lo avvolge, il tem-  po è un interstizio cavo fra gli eventi (Leibniz dirà poi qualcosa di simile). I fatti  della storia universale ritornano eternamente. Si ripresenterà in futuro un nuovo  Socrate per subire un nuovo processo, e ci saranno nuovi Anito e nuovi Meleto    135    CariroLo XIX    per accusarlo. Chi sostiene quindi che il concetto di storia universale è nato con il  cristianesimo e con la fusione messianica giudaico-cristiana (Karl Lòwith ed altri)  a mio avviso sbaglia. Il concetto di storia universale è nato prima in forma ciclico-  ripetitiva con lo stoicismo di Zenone, ed è nato sulla base di una provvidenza pu-  ramente naturalistica e non divino-religiosa (pronoia), il cristianesimo l’ha incor-  porata in una visione messianica e salvifica della storia, e poi la filosofia classica  tedesca della storia (Fichte, Hegel e Marx) l’ha rielaborata in forma dialettica. Ma  questo punto verrà ovviamente sviluppato più avanti. Al tempo di Zenone, data  l'impossibilità di pensare la storia universale con un solo concetto unitario trascen-  dentale riflessivo (non possiamo infatti imputare a Zenone di non essere vissuto  nel settecento illuministico europeo), era inevitabile che la si pensasse nella forma  ciclica della ripetizione. Il pensiero ciclico, infatti, riflette in forma astratta il ciclo  delle stagioni che determina l'agricoltura, la pastorizia, l'allevamento e l'uscita in  mare dei pescatori, mentre il pensiero lineare-progressivo riflette la fine dei cicli  stagionali e l'avvento dell’accumulazione “lineare” del capitale. Ma su questa ov-  vietà, naturalmente, ritornerò più avanti in un prossimo capitolo.   Lo stoicismo, quindi, passata la fase provocatoria dell’anaideia, consegna al  mondo classico posteriore i due concetti di universalismo cosmopolitico e di prov-  videnza necessaria (pronoia). Entrambi staranno alla base del cristianesimo. È giun-  to allora il momento di parlare delle origini del cristianesimo, di Gesù di Nazareth  e di Paolo di Tarso, che ne sono stati entrambi i fondatori a “pari grado”, il primo  nella sua dimensione messianica, ed il secondo nella sua complementare dimen-  sione di assoggettamento universalistico ad un unico salvatore, codice filosofico  già presente da almeno duecento anni nei trattati in lingua greca “sulla monar-  chia” (perì basileias). Mentre infatti il primo ciclo della filosofia greca produce innu-  merevoli testi sulla natura (perì physeos), natura con cui veniva metaforizzata la so-  cietà (Diodoto, ecc.), ora il secondo ciclo della filosofia greca vede la pubblicazione  di innumerevoli testi sulla monarchia (perì basileias), con cui veniva metaforizzato  l'incredibile bisogno di protezione ed assistenza dei poveri abbandonati allo sca-  tenamento selvaggio della crematistica. E chi non coglie questo punto resta fuori  dalla storia della filosofia come un amante della musica che restasse fuori dalla  sala dei concerti e non potesse sentire che echi musicali vaghi e lontani.   Affrontiamo quindi il noto e cruciale problema dell’interpretazione filosofica  delle origini storiche del cristianesimo. Si tratta del secondo grande problema teori-  co del pensiero occidentale, dopo il primo grande problema che abbiamo affrontato  nei capitoli precedenti, quello delle origini e della natura della filosofia greca clas-  sica e poi ellenistica. Anche in questo caso, quindi, mi comporterò come mi sono  comportato in precedenza per il primo caso, ispirandomi alla genesi storica della  deduzione delle categorie del pensiero ed al metodo ontologico-sociale. In estrema  sintesi, sebbene mi ritenga più competente per il primo problema che per il se-  condo (sono infatti un filosofo che legge correntemente il greco antico ed il latino,  non sono per nulla un esegeta biblico e non conosco assolutamente né l'ebraico né  l’aramaico), considero l’analisi ontologico-sociale delle origini del cristianesimo    136    La miseria del mondo romano e la formazione sociale dei presupposti del cristianesimo    più facile di quanto lo sia l’analisi complessiva del mondo greco. I Greci antichi  sono già volati via, infatti, e non sono più fra noi, mentre i cristiani, sia pure “ir-  riconoscibili” rispetto ai loro lontani progenitori (e vedremo il perché in questo e  nei prossimi capitoli), sono ancora fra noi, e per quanto mi riguarda mi auguro che  restino con noi a lungo.   Una parentesi. D'accordo con lo studioso di scienze sociali svedese Myrdal, io  ritengo che il massimo di “oggettività” possibile nelle scienze sociali ed in filoso-  fia, in cui non esiste la matematizzazione, l'esperimento e la verifica dei protocolli  sperimentali, sia l’esplicitazione pubblica chiara e veridica delle proprie premesse  di valore. Ciò vale soprattutto quando si parla di politica (destra e sinistra, ecc.) e di  filosofia (credenti e non credenti, ecc.). E farò anch'io così, interrompendo brevemen-  te la mia esposizione. Il lettore, infatti, ha il diritto di sapere bene come la pensa  colui che sta leggendo. :   Personalmente, sono stato battezzato a pochi giorni di vita nel culto cattolico  romano. Ho perso la cosiddetta “fede” nelle discussioni adolescenziali e da allora  potrei essere classificato fra coloro che si dicono e vengono detti “atei”. Termine  che non mi piace, peraltro, e in cui non mi riconosco, perché non mi piace per nulla  che ci si definisca in negativo con l'alfa privativo (a-teo). Da filosofo, preferisco le  definizioni in positivo, e non quelle in negativo. Pur non essendo in alcun modo un  “credente”, e pur ritenendo (a differenza di Benedetto Croce) che se lo vogliamo  e lo riteniamo necessario “possiamo anche non dirci cristiani” (su questo punto  Alain de Benoist ha ragione e Croce ha torto), sono tuttavia un sostenitore della  necessità sociale della religione. La religione, a mio avviso, è sempre e comunque  un katechon contro lo scatenamento della bestialità nichilistica della crematistica  nei rapporti sociali ( si tratta di un punto che mi differenzia fortemente dal mio  maestro di ontologia sociale Lukécs). Gli atei mangiapreti a mio avviso non lo  capiscono, ed è per questo che considero il loro un pensiero dell'intelletto astratto  (Verstand) e non della ragione concreta (Vernunft). Dal punto di vista dell'intelletto  astratto (Verstand) mi sembra del tutto logico sostenere non solo che Dio non è  logicamente “dimostrabile” (vedi la Critica della Ragion Pura di Kant) e che non  è logico rappresentarselo come un soggetto progettante antropomorfizzato (vedi  l’Etica di Spinoza), ma che siano anche del tutto plausibili le teorie dell'evoluzione  darwiniana e delle capacità auto poietiche ed auto-organizzative della materia e  dell'energia, da cui deriva la necessaria conclusione per cui “Dio non esiste”. Dal  punto di vista della ragione concreta (Vernunft), sono un sostenitore della necessità  sociale della religione, che nonostante tutti i suoi difetti e la possibile corruzione  venale e pedofiliaca di molti suoi esponenti ( comunque minore di quanto sosten-  gono i suoi avversari laici) considero in termini di katechon, e cioè di freno verso  una bestializzazione crematistica integrale dei rapporti umani. Sbagliano quindi  coloro che contrappongono il bel mondo dei Greci, riletti come atei e materialisti  (vedi Nietzsche, Onfray e compagnia cantante) al mondo posteriore superstizioso  dei cristiani. Se infatti costoro conoscessero meglio i Greci, che invece non conosco-  no e su cui coltivano pittoreschi ed infondati luoghi comuni da scuola media, sa-    137    CaprroLo XIX    prebbero che i Greci veri si fondavano sul katechon, ed anche se preferivano quello  razional-politico non disdegnavano certamente anche quello religioso. Detto que-  sto, e messe bene le carte in tavola, passiamo a ragionare di filosofia. Costanzo Preve. Preve. Keywords: fascismo, antifascism – antifascism in assenza completa di fascismo, comunita, comunitarismo, la mascalzonaggine imperdonabile dell’invasione a Grecia;colonizzazione imperialista,storia dell’etica, storia ontologico-sociale della filosofia, vico anti-capitalista. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Preve," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Prini: la ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale di Dedalo e il volo d’Icaro – filosofia italiana – Luigi Speranza (Belgirate). Filosofo italiano. Grice: “I like Prini, but I won’t expect his “Discorse e situazione” to be about Firth’s context of utterance!” Pensare è infatti la maniera più profonda del nostro desiderare – “XXVI secoli nel mondo dei filosofi" (Caltanissetta, Sciascia). Tra i maggiori esponenti dell'esistenzialismo.  Studia ad Arona e Pavia sotto LORENZI. Studia SORBATTI sotto LEVI e SCIACCA. Studia l’accademia di Plotino. P. s'è legato al gruppo di gioco di filosofi che SCIACCA riune intorno a se. Quando SCIACCA si trasfere a Genova tutto il gruppo lo segue. Insegna a Genova, Perugia, Roma e Pavia. “Lo scisma sommerso” (Milano, Garzanti) analizza la spaccatura sotterranea che si è creata nella chiesa cattolica tra il magistero ufficiale e la fede e le scelte di vita dei credenti. Un tema che diviene centrale è il tema del male. Scrive “XXVI secoli nel mondo dei filosofi” -- «un ripensamento, una sorta di commiato personale dai filosofi e dai problemi che gli sono stati cari per tutta la vita. Accanto al discorso apofantico, che definisce in modo univoco il suo oggetto e che vuol dimostrare le sue verità in modo necessario, apre lo spazio per la ‘conversazione’. In “Verso una ontologia della conversazione” (Roma, Studium), risalire la dimenticanza della conversazione ad Aristotele, il quale ritene i discorsi semantici non vero-funzionali e quindi estranei al campo del linguaggio-oggetto sino del meta-linguaggio della filosofia. In “Discorso e situazione” (Roma, Studium) definisce in modo più dettagliato gl’ambiti della conversazione. Nella molteplicità dell’uso logico della ragione, delinea un esame sistematico delle diverse forme della conversazione razionale “situata”, ossia in relazione al suo proprio oggeto o topico ed al suo proprii conversatori, e precisamente la verifica come forma della prova del discorso oggettivo o scientifico, la categoria della testimonianza e la determinazione particolare come ‘forma’ della ‘prova’ della conversazione. È stata un ricerca non inutile, credo, se ha messo in luce, per un verso, contro lo scientismo, la pluralità dell’uso della ragione, e per un altro verso, la fondamentale convergenza di quelle forme del discorso razionale in una dottrina della verità ostensiva dell’essere, o un’ontologia semantica. Gl’uomini di cui la filosofia deve occuparsi sono gl’italiani concreti. In “Il corpo che siamo: introduzione all'antropologia etica” (Torino, SEI) studia i corpi degl’italiani come elementi costituiti della inter-soggettività in un’unità psico-fisica del resto. Già SERBATTI fa questo movimento verso i corpi, parlando di sentimenti fondamentali corporei. In “Il paradosso d’Icaro” (Roma, Armando) elabora la distinzione tra mero bisogni dei corpi e desideria o volonta. I bisogni, cioè le necessità di avere, si distingueno dalla volontà di essere autenticamente.  Il domandare intorno al senso di ciò che è e di ciò che si *è* un domandare che mette in questione anche i domandanti stessi.  In ‘L’ambiguità dell’essere’ (Genova, Marietti) caratterizza l’essere come ’ambiguo’: necessità assoluta (al modo di Velia), bontà o finalità assoluta, o come libertà od opposizione assoluta. Cerca queste tre modalità, ritenendole tutte essenziali all'essere e, insieme, non deducibili l’una dall'altra. Define questa sua concezione problematicismo ontologico. Dal momento che l’essere è in sé ambiguo, esso non si lascia completamente definire e dimostrare dal discorso apofantico e si presta alla conversazione. C’è un carattere ludico nell'atteggiamento del credente, quando pretende di poter mettere tra parentesi la propria fede e di essere anch'egli, nella ricerca della verità, come dice Husserl, ein wirklicher Anfänger, un vero e proprio principiante.  Fa una distinzione tra il nucleo del messaggio evangelico e le forme che esso ha via via assunto nella storia, critica delle posizioni più tradizionaliste della chiesa, specialmente in filosofia -- si veda in particolare “La filosofia cattolica” (Roma, Laterza) --, invito al dialogo tra la chiesa e la modernità tutta intera, e proposta di una nuova inculturazione, oggi, di quel messaggio evangelico. Un passagio di “ Lo scisma sommerso” mostra in modo disambiguo ciò che ha in mente. Per questa mentalità generata dalla civiltà della scienza esistono uno spazio e un tempo scientifici nei quali è impossibili proporsi di trovare, per esempio, il periodo storico di una presunta prima coppia progenitrice di tutto il genere umano o l'ubicazione dell'Eden, di cui parlano in un senso simbolico che è da determinare i primi racconti della Genesi. E andando soltanto un poco in profondità nella coscienza giuridica moderna, post-illuministica, del rapporto tra colpa e castigo, chi potrebbe oggi accettare l'idea, trasmessa dalla teologia penale di Agostino nell'interpretazione della Lettera ai Romani di Paolo, che l'umanità intera abbia ereditato da Adamo non solo la pena eterna del suo peccato, ma anche la responsabilità della sua stessa colpa?»  Altre saggi: “La metodologia della testimonanza” (Roma, Studium); “Serbatti: i sentimenti fondamentali corporei, ” (Roma, Armando); “Storia dell'esistenzialismo” (Roma, Studium); “Plotino e l'umanesimo interiore” (Milano, Vita e Pensiero); “Il potere” (Roma, Studium); “Terra di Belgirate”; Torino, Sosso); “Un filosofo che canta i Salmi. “Croce e Gentile”, Il P. sommerso; Il desiderio di essere. L'itinerario filosofico; L'ontologia del desiderio”. Flematti, “Prini”. Pietro Prini. Prini. Keywords: il volo d’Icaro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Prisciano: la ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale di Simmaco – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher and friend of Simmaco.

 

Grice Priscilliano: la ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He has the distinction of being the first philosopher put to death for ‘heresy’ by the Roman Catholics. What Priscillian says is that the world is an evil place whither souls are sent as a punishment. What he implicates is that Nerone is right! Priscilliano.

 

Grice e Probo: la ragione conversazionale dell’implicatura dell’in-plicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He studies under Eusebio at the same time as Sidonio, and may have assisted Eusebio in his teaching. He married the cousin of Sidonio, the daughter of Simplicio. “All very confusing, and possibly unimportant, historically speaking from the standpoint of philosophy if it were not for the fact that Sidonio coined the term ‘inplicatura’ [sic].” – Grice. Probo

 

Grice e Procle: la ragione conversazionale o la diaspora di Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.

 

Grice e Prodi: la ragione conversazionale e l’artifice della ragione e l’implicature conversazionale dei cani di Pavlov – filosofia italiana – Luigi Speranza (Scandiano). Filosofo italiano. Grice: “While he likes semiotics, Prodi is the Italian C. L. Stevenson, who read English at Yale! No philosophy background!” Studia e insegna a Bologna. A Bologna fonda il progetto biologia cellulare. Svilupa un approccio semiotico alla biologia.  Con “Il neutrone borghese” (Bompiano, Milano), ha pubblicato anche alcuni romanzi e racconti, tra cui Lazzaro, biografia romanzata -- con riflessi autobiografici -- di Spallanzani. Il saggio “Il cane di Pavlov”; “Opera narrativa” (Diabasis, Reggio Emilia). Altre opere: “Scienza e potere” (Il Mulino, Bologna); “La scienza, il potere, la critica” (Mulino, Bologna); “Onco-logia sperimentale” (Esculapio, Bologna); “Le basi materiali della significazione” (Bompiani, Milano); “La biologia dei tumori” (Abrosiana, Milano); “Soggettività e comportamento” (Angeli); Orizzonti della genetica” (L'Espresso); Patologia Generale (CEA); “La storia naturale della logica” (Bompiani, Milano); “L'uso estetico del linguaggio” (Mulino, Bologna); Lazzaro: il romanzo di un naturalista” (Camunia, Brescia); “Onco-logia” (Esculapio, Bologna); “Gl’artifici della ragione” (Sole 24 ore, Milano); -- cunning of reason – cf. Speranza, Grice, Kantotle, Kant, Hollis, razionalismo e relativismo -- “Il cane di Pavlov” (Camunia, Brescia); “Alla radice del comportamento morale” (Marietti, Milano); “Teoria e metodo in biologia” (Clueb, Bologna); “L'individuo e la sua firma”; “Biologia e cambiamento antropo-logico” (Mulino, Bologna); “Il profeta” (Camunia, Brescia); Conferenza "P.”, Repubblica  Apprezzato anche da Dossetti, “La parola e il silenzio” (Paoline,  in riferimento ad un articolo che si rifaceva ai geni invisibili della città di Ferrero. Sul sottotitolo -- i “geni invisibili” della città. Dizionario biografico degl’italiani, istituto dell'enciclopedia. Giorgio Prodi. Prodi. Keywords: il cane di Pavlov. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prodi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Prospero: la ragione converzionale del contro-potere del Quirinale e l’implicatura conversazionale laica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pescosolido). Filosofo italiano. Studia e insegna a Roma. Studia Kelsen. Collabora con “L'Unità”. I suoi interessi sono principalmente rivolti al sistema istituzionale e la filosofia politica della sinistra. La sua filosofia e aspramente criticate da TRAVAGLIO, che lo ha accusa di "pagnottismo". Tra i punti di dissenso, vi è la posizione nei confronti della democrazia diretta, e nei confronti della fiducia riposta da Travaglio, e dal Movimento 5 stelle di GRILLO, nella intrinseca infallibilità del giudizio espresso dagl’elettori e del popolo della rete.  Sinistra Italiana. Saggi: “La politica post-classica”; “Il nuovo inizio”; “Nostalgia della grande politica”; “La democrazia mediata”; “Sistemi politici e storia”; “La filosofia politica della destra” (Newton Compton); “I sistemi politici” (Newton Compton); “Politica e vita buona, Euroma la Goliardica, Sinistra e cambiamento istituzionale”; “Storia delle istituzioni in Italia” (Riuniti); “Il fallimento del maggioritario”; “La politica”; “Teorie e profili istituzionali” (Carocci); “Lo stato in appalto. Berlusconi e la privatizzazione del politico (Manni); STATO IN APPALTO – la privatizzazione del publico -- “Politica e società globale” (Laterza); “L'equivoco ri-formista” (Manni); “Alle origini del laico” (Angeli); “La costituzione tra populismo e leaderismo” (Angeli); -- il duce dirigge – il duca di Mantova -- “Filosofia del diritto di proprietà” (Angeli); “Perché la sinistra ha perso le elezioni” (Ediesse); “Il comico della politica”; “Nichilismo e aziendalismo nella comunicazione di Berlusconi” (Ediesse); “Il libro nero della società civile”; “Il nuovismo realizzato” (Bordeaux); “Gramsci” (Bordeaux). Addio al mito del capo, Il Manifesto, Contro-potere del Quirinale, Left-avvenimenti, Prodi, l'errore più grande della sinistra europea è stato dimenticare il lavoro, il manifesto, Gravagnuolo, Grillo, il travaglio di Marco nel duello tv con Prospero l'Unità  Gl’organismi di sinistra da "Sinistraitaliana.si"  Sinistra Italiana rispolvera il Pci: nascono le nuove Frattocchie. Ma a Testaccio. Michele Prospero. Prospero. Keywords: implicatura laica, lo STATO IN APPALTO, contro-potere del quirinale, sinistra, diestra – come categorie filosofiche – il parlamento francese -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prospero” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Prosseno: la ragione conversazionale della setta di Sibari – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean – Giamblico.

 

Grice e Prudenzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dela psisco-machia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A career in public service. His main treatise is “Psycho-Machia,” on the soul’s fight between good vitue and evil vice. People bring suffering on themselves by making bad choices. Aurelio Clemente Prudenzio.

 

Grice e Pucci: la ragione conversazionale della REPUBBLICA ROMANA, o dell’implicatura conversazionale utopica di Campanella – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Scrive alcuni trattati dove ambiva a una filosofia universale di stampo utopistico. Molto polemico contro le principali dottrine religiose dell'epoca, tanto da essere tacciato di eresia e giustiziato dall'inquisizione romana.  Della potente e ricca famiglia fiorentina dei Pucci. Scolto da un improvviso mutamento e cambiamento che lo fa decidere a darsi allo studio delle cose celesti ed eterne e a scoprire i reali motivi dei contrasti filosofici che lacerano l'Italia. Assiste personalmente alla strage degl’ugonotti nella notte di S. Bartolomeo, decide d’aderire alla tesi protestante. Controversie dottrinali gli procurarono l'espulsione dalla sua comunità calvinista. Discute del peccato originale e altresì contesta l'autoritarismo del concistoro della comunità. Quest'ultima gl’rimprove, oltre a importanti punti dottrinali come la concezione del peccato originale, della fede, e dell'eu-caristia, la sua pretesa di pro-fetizzare, ricordandogli che, con la scomparsa dei primi apostoli, il carisma profetico non esiste più. Su invito di Betti, incontra SOZZINI (si veda). Pubblica un manifesto, e poi scrive a Balbani una lettera in cui espone la sua teoria dell'innocenza naturale dell'uomo, già discussa Sozzini. L’uomo nasce e restano innocente innanzi all'uso della ragione e del giudizio. Grazie alla redenzione operata dal cristo, il peccato originale non causa dannazione quando siamo nel grembo materno. Dunque, il battesimo di un uomo che è gia naturalmente innocente per la naturale bontà della sua natura umana, e per quanto non censurabile, è INUTILE. L'eventualità della dannazione è un problema di quell’uomo che, raggiunta l'età della ragione, è in grado di distinguere il bene dal male. L’uomo è buono per natura, e a causa dell'amore del divino verso il genere umano, che ha creato l'uomo di natura buona, si fonda la filosofia. Il fondamento della filosofia, e bontà vera, è propriamente la fidanza generale nel divino nel cielo e nella terra, una fiducia fondata sulla conoscenza di del divino che è comune ad ogni uomo, una fede che si contrappone alla concezione della fede protestante, che consiste invece in una fidanza particulare che il singolo protestante ripone nel divino. È del resto la tesi sostenuta dai SOZZINI (si vedano) nel suo De Jesu Christo servatore. Sostene di aver tratto le proprie concezioni in virtù del dono dello spirito santo che, attraverso visioni, lo ispira permettendogli di preconizzare il prossimo avvento del regno del divino che provoca la conversione di ogni popolo, incluso il romano -- qualunque fosse la loro religione, sotto un'unica confessione. La redenzione operata da quel cristo riguarda infatti ogni uomo, anche i non cristiani, perché esalta la sua naturale bontà. La salvezza non costitusce un dubbio tormentoso ma è un obbiettivo che può essere raggiunto abbandonandosi con fiducia alla fede nel divino, è la fede naturale che ha Adamo, uomo naturale e immortale perché fatto a immagine e somiglianza del divino (o Prometeo) nella mente e nello spirito. Affermata la bontà naturale della specie umana, ne discende che debba essere escluso tanto che il peccato si trasmetta nelle generazioni, quanto che possa esistere una pre-destinazione semplice o doppia che sia, una per gl’eletti e una per i dannati stabilita ab aeterno. SOZZINI rispose a P. con il “De statu primi hominis ante lapsum”, obiettando che la somiglianza dell’umano col divino risiede nel fatto di essere il dominatore di tutte le cose della natura, e non nella sua immortalità. Se Adamo, l'essere naturale per eccellenza, finisce col peccare, ciò dimostra che non era affatto innocente -- visto che Adamo peca per sua libera scelta. La natura dell'uomo  non è diversa da quella d’Adamo. La salvezza dell’uomo risiede nella sua volontà di scegliere il bene, ed è sulla sua libera volontà, non sulla sua natura, che si fonda l’etica. Il suo saggio principale e “La forma della repubblica romana”. Per porre rimedio alla confusione e agli scandali regnante nella filosofia, ènecessario un libero e santo concilio al quale si vede che ogni uomo da bene di tutte le province inclinano, ma che viene rifiutato dai potenti prelati che oggi comandano non solo nella religione, ma anche nella repubblica romana. Per preparare questo concilio, è necessario che ogni uomo dabbene, all'interno dello stato romano, si organizzino in un'unione, in un collegio o comunità – res publica -- nella quale essi si governino secondo un principio comune, i, senza alienarsi da i loro principi e magistrati civili e senza entrare in polemica contro la confessione religiosa del culto vigente. Questi uomini, infatti, d'animo et tal volta anche di corpo alienato da gl’ordini et usanze di quella repubblica romana nelle quali è sono nati et allevati, conviene ch'e' vivino come forestieri nel loro natio terreno, o forastieri interamente per gli altrui paesi, è necessario ch'e' si portino molto saviamente e discretamente con i principi e magistrati de' luoghi dove essi abitano. Si tratta di un'aperta giustificazione del nicodemismo, seppure teorizzata come mezzo provvisorio allo scopo di raggiungere un fine superiore nell'interesse d’ogni uomo. L'insieme di questi collegi avrebbe formato di fatto una repubblica romana *cattolica* -- cioè ‘universale’ -- che, con l'esempio del retto comportamento dei suoi aderenti, ha col tempo acquisito il consenso della grande maggioranza della popolazione di ogni singolo stato, promuovendo così il rinnovamento dei costumi e delle diverse confessioni, fino a rifondare un'unica e universale (‘cattolica’) religione.  Gl’elementi essenziali di questo rinnovato e unificato culto dovranno essere la fede in un solo divino nel cielo e nella terra, creatore et governatore dell’universo, nel Cristo morto e risorto per redimerci, nella giustizia divina che premia i buoni e punisce i malvagi, la testimonianza degl’apostoli, il rispetto dei X comandamenti, l'orazione domenicale e le opere di carità. Tutte le questioni dottrinarie che storicamente divideno le confessioni cristiane sono sfumate da P., che vuole che sui problemi del battesimo, dell'eucaristia, della tri-nità e dell'in-carnazione non si utilizzino sottigliezze – “implicature” -- e non si creino divisioni.  I membri di queste comunità o repubblica romana dovranno essere tutti gl’uomini maggiorenni e LAICI -- dato che gl’ecclesiastici, infatti, sono evidentemente incapaci di superare le divisioni che essi stessi hanno creato -- organizzati sotto un capo, o duce – principe, dittatore -- temporaneo, provosto o console, assistito da un censore – come CATONE MAGGIORE --, che non deve avere alcun'autorità particolare, ma dove proporre le risoluzioni da approvare all'unanimità nell'assemblea o senato generale dei membri. Quando non vi è unanimità, si decide A SORTE – cf. SORTI-LEGIUM -- fra le opzioni. Una donna, dovendo essere sottoposte al marito – come Ercilia sotto Romolo -- puo assistere ma non ha alcun'autorità né diritto di voto. Il collegio (COLLEGIUM) o senato ha anche il potere di punire la cattiva condotta di un singolo membro, sino all'espulsione. Le diverse comunità si sarebbero tenute in contatto epistolare e a questo scopo è costituito l'incarico di un cancelliere e, attraverso delegati, si sono riunite in diete da tenersi periodicamente nelle terre di qualche gentilhomo o signore aderente a un collegio di una delle maggiori città d’Italia altro Roma “come Firenze, Venezia, Milano, et simili,” perché qui i convenuti alla dieta sono passati inosservati più facilmente. Se gli aderenti ai collegi devono manifestare un formale ossequio alle autorità costituite, essi devono anche proporre una, sia pur cauta propaganda per far guadagnare alla comunità nuove adesioni. Ciascuno deve mantenere il segreto della sua attività -- tramite giuramento --, essere amico dei compagni e nemico di chi è loro nemico. Per saldare insieme i membri, è opportuno che essi si sposino nello stesso ambiente, con donne sane e gagliarde per averne una buona discendenza, evitando però rapporti sessuali frequenti che, secondo P., sono nocivi alla salute fisica dell’uomo e a la salute morale della donna. Nella famiglia, il padre riveste il ruolo di capo e di sacerdote laico. Battezza egli stesso il figlio in età audulta, il quale dove crescere in una decorosa austerità, studiando nelle scuole di filosofia consigliate dalla comunità -- evitando carriere immorali, come quella ecclesiastica o avvocatesca. È a Cracovia, dove incontra Sozzini e altri dissidenti religiosi. La sua filosofia però non trova successo in nessuna confessione calvinista o luterana -- né fra gli anabattisti e i sociniani. In compenso, qui conosce Dee. Anche qui la sua indole -- Dee lo descrive come pericolosamente chiacchierone e utopico -- non venne accolta positivamente e deluso dai protestanti si ri-converte al cattolicesimo dopo un incontro con  Aldobrandini. Srive “De Christi servatoris efficacitate in omnibus et singulis hominibus” -- “L'efficacia salvifica del Cristo in tutti e in ogni uomo” -- dedicato a Clemente VIII. Qui ri-assunge e sviluppa tutta le sua filosofia su una chiesa romana, universale – “cattolica” -- ed ecumenica. Ogni uomo ha il diritto di professare una chiesa di Cristo, e il divino, grazie al suo amore universale per l'intera umanità, dove aiutare ad abbattere le barriere che separavano i culti. Condotto in carcere a Roma, conosce Bruno e Campanella. È condannato a morte per eresia, decapitato e poi bruciato sul rogo al campo de' fiori. Il puccismo però gli sopravvisse nella chiesa luterana grazie a Huber. Lettera in Rotondò, Studi e ricerche di storia ereticale. Lettere, documenti e testimonianze  In Cantimori, Per la storia degl’eretici; Felici, La riforma protestante (Carocci); Opere Lettere, documenti e testimonianze  (Firenze, Olschki); Sulla pre-destinazione (Firenze, Olschki); Cantù, “Gl’eretici” (Torino, Tipografic); Per la storia degl’eretici, Cantimori e Feist, Roma, Reale Accademia d'Italia, Cantimori, “Eretici italiani” (Firenze, Sansoni); Rotondò, “Storia ereticale” (Torino, Giappichelli); Una disputa di antropologia filosofica sul primo uomo: di fronte al naturalismo di Sozzini”, Milano, Cusl; Carta, “Eresia -- Documenti sul processo e la condanna” (Padova, Milani); “Cultura politica” (Stango, Firenze); Caravale, Il profeta disarmato. L'eresia” (Bologna, Mulino); Biagioni, L’Informatione della religione christiana (Torino, Claudiana); Vozzi, l’Informatione della religione christiana. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Pucci. Keywords: etymologia d’eretico; il profeta disarmato, nicodemismo, decapatizazione a Tornona, Roma, la repubblica romana, il censore Catone, il suffragio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pucci” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Puccinotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del boezio – filosofia sperimentale – fisici e meta-fisici -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino). Filosofo italiano. Studia a Pavia e Roma. Insegna a Urbino, Macerata, e Pisa.  Il duca Leopoldo II di Toscana lo inserì in una commissione incaricata di studiare l'ipotesi di introdurre sul litorale pisano le risaie, dal punto di vista della medicina civile. Espone le sue analisi nel saggio “Sulle risaie in Italia e sulla loro introduzione in Toscana” -- conclusioni che saranno alla base del regolamento sulla cultura del riso in Toscana. Altri saggi: “Storia della febbre intermittente perniciosa (Roma), “Boezio” (Firenze); “Storia della medicina” (Firenze). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. “Opere filosofiche”; “Del preteso paganesimo di BOEZIO (si veda)”; “In GALILEI (si veda) sono due filosofie, la speculative e la sperimentale. Galileo divide la fisica della meta-fisica; Schema della filosofia speculativa di Galilei nella gionarata prima dei dialoghi de’ massimi sistemi. La filosofia della storia riconosce se stessa per la filosofia della scienza; Diffeti delle tendenze filosofiche – e come corrreggerli; Il sentimento di amore nazionale negl’italiani esiste anche quando l’Italia è divisa; Occorre oddi dare ai congressi un principio filosofi e un fine civile; Del principio filosofico. Le filosofie son molte; ma una formula accettata e comune a tutti i filosofi ancora non esiste. Se domanda che agli scienzati si lasci la lora filosofia sperimentale; Si propone il sistema conciliativo delle due filosofie tramezzate dale matematiche; consigli ai discepoli. Invece delle filosofie speculative adoprino le matematiche per completare la filosofia sperimentale. Fisici e Meta-Fisici, La scienza della natura non si fa cogl’universali della metafisica; la filosofia della storia vien sempre dopo la storia, ossia dopo i fatti; per la scienze naturali le aspirazione agl’universali della Meta-Fisica ponno essere un fine, ma il principio in esse altro non e che l’osservazione, l’experienza, ed il calcolo. Indecisi i filosofi nel conceptire e applicare il principio dell’unita; condotti sull’esere umo il fisio-logo e il filo-sofo, il primo puo fisica-mente innoltrarse nei fenomeni piu elevate della corporeita animale e trovarvi una dimostrabile azione, attrativa di qualche imponderabile. Corrispondenza fra il carattere filosofico delle opera d’Areteo e quello della sua eta.   ÀWEBT1MENT0. Il Boezio. Introduzione. Della vita e delle opere di Severino Boezio Delle Opere di Severino Boezio in generale. Di altri Boezii più antichi, o suoi contemporanei. Delle altre Opere di Severino Boezio , in particolare Scienze fisiche e naturali Scienze matematiche iS   Opere filosòfiche Del preteso paganesimo di Boezio e delle sue  opere teologiche : confutazione dell' Ob-   ; barila edel Mirando! ■..* fi8   » Ipotesi di Jourdain sull’autore dei   libri teologici attribuiti a Severino Boezio. Nelle opere di Fulgenzio esiste il documento   irrecusabile della cristianità di Boezio. Ordine dei libri teologici di Boezio, e loro autenticità. Il libro della Consolazione. Di tre codici della Laurenziana che contengono  i libri teologici di Boezio , e dei giudizi e  commenti di san Tommaso sui medesimi   libri. Conclusione.  Sulla Filosofia di GALILEI. Discorso letto nella solenne  riapertura dell'Ateneo Italiano in Firenze. In GALILEI sono due Filosofie, la speculativa e la   sperimentale. Galileo diviso la Fisica dalla Metafisica. Pose in mezzo ad esse le formule geometriche e le   matematiche. Cosi divise , prescrisse ad ambedue i termini   loro. Schema della Filosofia speculativa ilei Galileo  nella Giornata prima dei Dialoghi de' massimi   sistemi. Corollari , e Parcnèsi agli Scienziati. Dei Fondamenti della Medicina Clinica. — Introduzione   alla Clinica medica di Pisa. Fondamento empirico 163   II. Fondamento analitico. Fondamento induttivo. Conclusione. Proemio alla Stoni a della Medicina. Definizione c scopo della storia. Delle origini della medicina. Delle forme primitive assunte dalla medicina. Dei tipi storici principali. La teoria dei tipi storici contiene la Filosofia della   Storia della medicina. La Filosolia della Storia riconosce sé stessa por la   filosofia della scienza. La Filo-ili, t della Storia della medicina giustifica la 1   scienza dinanzi alla società. Lettera intorno al metodo tenuto dall' Autore nella sua   Storia. Preliminari al volgarizzamento di Aretèo.  Tempi nei quali visse Aretèo , e loro carattere storico. Corrispondenza fra il carattere filosolico delle opere   d' Areico e quello della sua età. Pregi speciali de’ suoi libri di medicina. Codici manoscritti e Codice Laurenziano. Edizioni principali. Interpreti e Commentatori. Parole in proposito del nostro volgarizzamento. Intorno alla Medicina Civile. Memorie due. Del carattere civile della Medicina e delle sue relazioni  colle principali tendenze del secolo. Memoria. Differenza tra la medicina Clinica e la medicina Civile : stato odierno di quest’ ultima , e come si   debba insegnare. Difetti delle tendenze morali, letterarie, filosofiche   e politiche del secolo, e come correggerli. Delle Relazioni della Medicina con 1’ Economia politica. Memoria. Necessità di unire, per la prosperità delle nazioni, all’ industria agricola la commerciale e la manifatturiera. Le Società operaie e commercianti tramezzano ed equili-  brano tutte le altre classi civili. L’ agricoltura è  la potenza nutritiva , l’ industria manifatturiera  e commerciante è la potenza motrice degli Stali. Forza tisica, dignità e influenza civile degli Operai, 'itti   II. Come il rispetto vicendevole e quindi la fraterna   dignità debba partire dall' esempio dei Capi de -    gli Opificii iìl£2   III. Come dal sentimento di fortezza individuale e di  dignità fraterna nelle società operaie nasca l’ale  tro della potenza di conservare e migliorare lo   Stato. Influenza della Medicina sui tre sentimenti: e primo   conservar la vita dell’operaio al lavoro. Secondo, rendere il lavoro innocuo alla vita 298   III. Terzo ; cooperare colla legge affinchè la ricchezza  delle classi industriali , e la sanità pubblica  procedano unite a rendere prospero il convivere sociale. Preludio al decimo congresso df.' Scienziati italiani in   Siena. Il sentimento di AMOR NAZIONALE negl’italiani esisteva anche quando l' Italia eia divisa ivi   II. Occorre oggi dare ai Congressi un principio filo-   sofico e un fine civile. Difficoltà di intendersi  intorno a quest’ ultimo Del principio filosofico. Le filosofie son molte; ma  lina formula accollata e comune a tutti i filo -  sofi ancora non esiste. Si domanda che agli  scienziati si lasci la loro filosofia sperimentale. Si propone il sistema conciliativo delle due filosofie   .. tramezzate dalle matematiche 3Hi   Pucci sotti. Esorbitanze di certi moderni che rifiutano 1p re-    staurazioni, e bandiscono un assoluto rinnovamento   Pag. Si prenda ciò che manca alle nostre scienze dalle nazioni straniere : ma ciò che si prende si sap-    pia con industria vestire all’ italiana   L’Addio all’Università di Pisa. Stato dell’ Università di Pisa nel 1838 e gl’ insigni uomini che v’insegnarono. Riforma Giorginiana:    restaurazione della clinica : cattedre di medi-    cina civile , di fisiologia sperimentale , di geografia fisica pei medici consigliate dall’ Autore.    Grati sensi diretti ai discepoli   Conclusione di detto Esame 410   Testo di Ruggero secondo il manoscritto Magliari bechiano 410   Testo di Ruggero secondo la edizione di Venezia   del 1516 411. Passaggio del testo e delle glosse della Chirurgia   di Ruggero da Salerno a Bologna, Volgarizzamento di Ruggero: altro Codice Maglia-   bechiano del Secolo XIII Modificazioni fatte al testo di Ruggero dal volgariz -  zatore in Bologna, dalle prime Glosse, dal Com«  mento di Rolando , e dalle seconde Glosse sa -  lernitane MS. Indice delle Rubriche nel testo di Ruggero, e nelle   Glosse del Manoscritto Magliabechiano 440   I'ac-simii.e dei. Testo f. delle Glosse dei. Codice Magliabechiano Note del Chiarissimo Prof. Lasinio sul significato delle  voci creazione, anima , vita ec. nel testo ebraico  della Genesi , in conferma dt alcuni miei Pensieri sugli Animisti antichi e moderni ( Vedi  l' Avvertimento a pag. IV e le pag • 390 e 89t1i i  del presente i Volume. Puccinotti. Keywords: il boezio, Leopardi, fisici e meta-fisici. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Puccinotti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pudenziano: la ragione conversazionale dell’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Orto. Galeno writes a treatise about him.

 

Grice e Punzo: la ragione conversazionale di Niso ed Eurialo, o l’implicatura conversazionle dell’amore– filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano Si laurea a  Napoli con una tesi su Kant alla luce della dottrina d’AQUINO, una in-erpeto-logia sul sistema nervoso dei serpenti, e una tsulla morale nelle lettere di Paolo. Fonda la lega contro la distruzione degl’uccelli, e l'associazione culturale trifoglio, di cui pubblica Il Trifoglio. Vive a Vivara, contribuendo a preservar Vivara da possibili scempi e tutelandone il patrimonio ambientale. Per il suo impegno a favore di Vivara ricevette il "Premio Mediterraneo" conferitogli da un'agenzia dell'ONU. Filosofo dai molteplici interessi che spaziarono dalla Commedia d’ALIGHIERI, alla botanica, all'ornitologia e alla zoo-logia, anche un profondo conoscitore della filosofia dell’antica Roma. Dedica la sua vita alla filosofia. Per lui, la filosofia costituisce il compito più importanti al quale una società deve adempiere poiché l'educazione filosofica rapresenta il punto fondativo d’ogni aggregato umano. In tale prospettiva, l’uomo, per potersi sviluppare al meglio, deve essere educato al bello attraverso la contemplazione della natura e l’arte che l’imita. La sua filosofia ha come culmine la definizione del concetto del divino assoluto, inteso come elemento distintivo dello spirito umano poiché capace di definire l'identità della persona umana rispetto alle altre forme di vita. Saggi: “Nota sull'episodio di LATINI (si veda) in ALIGHERI” (Napoli, Martello); “Della schema sessuo-logica” (Napoli, Genovese); “Erotologiche” (Napoli, Martello); “Dialogo dell'amore olarrenico” (Napoli, Martello); “L'altro viaggio” (Napoli, Denaro); “Il guardiano del verde isolotto”. Olarrenismo; pseudo-morfismo sessuale, Pari-sessualismo nevrotico; pari-sessuo nevrotici; pari-sessualismo sostitutivo; line generali per una tipologia della vita erotico-affetiva. Tipi eerotio-effettivi met-erotici – tel-erotici, cat-erotici; schema generale per un superamento delle fondamentali impostazione sessua-logiche; critica della dottrina delle perversioni sessuali; critica del concetto di perversioni sessuali; critica del significato pato-logico attributo all’amore; critica della condanna morale implicita; superamento della dottrina della perversione sessuale; essenza e significato della sessualita psichica; amore e sessualita, struttura della sessualita psichica, l’amore come anistonia psico-sessuale, la gradualita della sessualita psichica; principi per una classificazione dell’epi-tomia psico-sessuali; orientamento per una classificazione psicologica delle anistnoia psico-sessuali, complessione psico-eterante ego-tropica ed etero-tropica, orarrenismo erotico, maschilita complementare e maschilita olarrenica, amore elorrenico, la casistica, la storia e la filosofia, concezione etico-psicologica, etico-sociale, sesso-logia, tendenze erotiche, Zenone di Velia, amato da Parmenide di Velia; Alcibiade amato da Socrate. Il caso di Callia e Autolico citato nel Fedone, il simposio di Senofonte, Diogene Laerzio, Ariano, Atico, amore virile, virilta, virtu, maschio, Nicomaco, amato da Teofrasto, trattarello sull’amore di Teofrasto, trattarello sull’amore di Aristotele (erotikos a) dove si discute quattri IV questioni (tetra), peripatetici del lizio sull’amore, Eraclide, Clearco, e Geronino. Prolegomeni eroto-logici. Schema generale per un superamento del concetto d’omosessualita – critica e superamento di stesso – fondamentale discriminazione dei fenomeni confuse come omosessualita -- Giorgio Punzo. Punzo. Keywords: erote, amore, amante, amato, amare, la setta di Velia, Frontone ed Antonino, Adriano, Niso ed Eurialo, il tutore, l’allievo, la filosofia nell’antica Roma, didattica, dialettica, filosofia togata, toga virile, cupido, il divino, il convito, il bello. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Punzo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Purgotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale metrica, o chemica filosofica nel lizio – filosofia italiana. Luigi Speranza (Cagli). Filosofo italiano. Dei lincei. Dei georgo-fili di Firenze. Studia a Roma sotto AMELIA e PALLIERI. Insegna a Perugia. Spazia dalle scienze fisico-chimiche all'idro-logia minerale, dalle scienze matematiche alle filosofiche con particolare riguardo alla teoria dell’atomo. Questa memoria la patria che dagli scritti e dalle virtu del sommo scienziato ha tanto lustro ed onore nato in Cagli. Qui riposa insigne chimico e matematico esempio raro di virtu domestiche e civile.  Pubblica nel Giornale di Perugia. Lettere ad un amico intorno a vari filosofici argomenti; Riflessioni sulla teoria dell’atomo; Trattato di chimica applicato specialmente alla medicina e alla agri-coltura; Trattato elementare di chimica applicata specialmente alla medicina; Trattato elementare di chimica applicata specialmente alla medicina e alla agricoltura; Intorno all'azione dell'acido solfo-idrico sul solfato di protossido di ferro; Osservazioni intorno a varie inesattezze che allignano nei moderni corsi di matematica elementare”; Riflessioni sopra un opuscolo che porta per titolo se si possa difendere, ed insegnare non come ipotesi, ma come verissima, e come tesi la mobilita della terra, e la stabilita del sole da chi ha fatta la professione di fede di Pio IV”; “Elementi di aritmetica, algebra, e geo-metria”; “Studi chimici sull’acque minerali di Valle Zangona”; “Intorno agl’usi ed effetti dell’acue minerali”; “Riflessioni sulla teoria dell’atomo”; “Chimica”; “Analisi dell’acque minerali di S. Gemini”; “Aritmetica e algebra”; “Chimica organica”; “Saggio di filosofia chimica”; “Geo-metria”; “Problemi tratti dagl’elementi di Aritmetica”; “Algebra e geo-metria”; “Nozioni elementari ragionate del calcolo aritmetico”; “Intorno al primitivo insegnamento di la scienza della quantità”; “Chimica in-organica”; “Metalli delle terre aride e metalli propriamente detti”; “Elementi d’aritmetica ragionata”; “Elementi d’aritmetica, algebra e geo-metria”; “Lettere filosofiche, principalmente risguardanti l'elementare insegnamento delle scienze”; “Chimica in-organica”; “Metalloidi”; “Compendio di nozioni farmaceutiche ad uso degli studenti”; “Esposizione delle avvertenze teorico-pratiche le più interessanti per ben preparare, conservare ed apprestare i farmaci”; “Sul fluido bio-tico e le sue influenze nei moti delle tavole e dei pendoli indovini e nel magnetismo animale e nelle manifestazioni spiritualiste”; “Nozioni elementari intorno all'algorismo sui numeri interi estratte dal trattato d’aritmetica ragionata”; “Chimica in-organica”; “Metalli”; “Chimica organica e nozioni le più interessanti di chimica agraria e filosofia”; “Studi chimici sulle sorgive minerali del distretto di Civita Ducale presso il velino nel secondo Abruzzo Ulteriore”; “Sull'acqua salino-ferruginosa di Giano”; “Chimiche ricerche”; “Elementi d’algebra”; “Elementi d’aritmetica”; “Elementi di geo-metria” “I segreti dell'arte di comunicare le idee negl’elementi delle scienze esatte ed i difetti che anche attualmente vi sono coperti dal falso manto della matematica evidenza svelati dalla filosofica investigazione”; -- cf. Grice, “Dell’arte di comunicare le idee svelata dalla filosofica investigazione” -- “Esercizi aritmetici”; “Idro-logia minerale del distretto di Civita Ducale nel secondo Abruzzo Ulteriore”;  “Intorno ai meta-fisici”; “Idro-logia narnese o rapporto degli studi chimici sull’acque potabili e minerali di Narni fatti per cura dell'inclita giunta municipale della stessa città”;“Delle acque minerali di San Galgano di Perugia”; “Memorie istoriche per il conte Scotti, seguite dai relativi studi analitici intorno alla nutrizione”; “Frammenti tratti dalla chimica animale”; “Sulle sorgenti acidule-ferro-manganesiache di Monte Castello Vibio”; “Studi chimici, seguiti da una relazione intorno alle loro virtù medicamentose”;; “Intorno dei corpi organici naturali inserito nell'Apologenico”; “Osservazioni”; “Intorno all’azioni cata-litica”; “La forza”; “Intorno agl’esami lizeali”; “Vaganti idee”; “Delucidazioni intorno alla forza”; “Euclide e la logica naturale -- riflessioni”; “Compendio di nozioni farmaceutiche”; “Raccolta di cognizioni teorico-pratiche per ben preparare, conservare ed apprestare i farmaci, le quali sono utili al medico, e indispensabili al farmacista”; “Trattatello sull'arte di ben scrivere le ricette nell’italiano usando i pesi metrici”; “Intorno ai saggi idrotimetrici delle acque potabili”; “Esame critico della forza”; “Sulla necessità di EScludere lo studio della geo-metria dai pubblici ginnasi e l'Euclide dai licei”; “Intorno alle odierne difese degl’antichi errori nell'insegnamento delle matematiche”; “Cicaloate polemiche”; “Intorno alla combustione”; “Cosa e la fisiologia”; “Uno scherzo scientifico”; “Dizionarietto biografico cagliese. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sebastiano Purgotti. Purgotti. Keywords: implicatura metrica, filosofia chimica, il fluido bio-tico nella manifestazione degli spiriti, algorismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Purgotti” – The Swimming-Pool Library. Purgotti.

 

Grice e Quarta: la ragione conversazionale -- conversazione, e solidarietà – l’implicature conversazionali dell’utopico Campanella – filosofia italiana – Luigi Speranza (Leverano). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Filosofo dell'utopia, sulla quale filosofa in Una re-interpretazione dell'utopia, Dedalo. Insegna a Salento. Studioso dell’Accademia sul quale scrive “L'utopia dell’Accademia: Il progetto politico, Dedalo – cf. CUOCO (si veda), Platone in Italia. Fonda un centro di ricerca sull'utopia. Altri saggi: More,  ECP; Globalizzazione, giustizia, solidarietà, Dedalo, Una nuova etica per l'ambiente, Dedalo, HOMO VTOPICVS: la dimensione storico-antropologica dell’utopia. Dedalo,  Filosofo dell'utopia. Grice: “Strictly, utopia is no-where, or erehwon if you must!” Luigi Speranza, “As in Lennon, “He’s a real nowhere man!” --. Gilbert and Sullivan, “Utopia, Ltd.” Grice: “I shall say no more on the ideal language versus ordinary language, but further into the general principles of rational discourse.” -- Grice: “I once told Austin that his Symbolo was utopic – “Utopian,” he corrected me!” Quarta. Keywords: utopici, Campanella, solidarietà, erewhon, il linguaggio utopico di Campanella, Eco, linguaggio perfetto, caracteristica universalis, il sistema G-hp di Myro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Quarta” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Quattromani: la ragione conversazionale e le conversazione -- la meta-fora come implicatura conversazionale in Catone, Virgilio ed Orazio – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Parente di Telesio, cresciuto in un ambiente strettamente collegato alla cultura e alla nobiltà cosentina, viene educato alle idee valdesiane da Fascitelli. Si trasfere a Roma. Qui frequenta la biblioteca in Vaticano e ha modo di intessere relazioni con diversi esponenti dell’ambiente filosofico. Uno studio riguardarono PETRARCA (si veda), con particolare riferimento alle sue fonti. Dopo un breve soggiorno a Napoli, torna a Cosenza. Da qui scrive a Rota, per suggerirgli alcune correzioni alla seconda edizione accresciuta delle sue rime. Effettua una serie di spostamenti tra la sua città natale e Roma. Il periodo è contrassegnato da alcune sue epistole, a carattere storico-letterario. Risiede a Napoli. Ri-entrato a Cosenza scrive a Cavalcanti, che è con lui consulente della congregazione dell’indice, e  assume la direzione dell’accademia di Cosenza, cui Q. da nuovo impulso, sia dal punto di vista squisitamente letterario, sia incentivando l'attenzione per la FILOSOFIA.  A Napoli pubblica La philosophia esperimentale dell’osservazione di TELESIO (si veda), che dedica a Carafa e le rime dedicate a Bernaudo. Rimonta, invece, la sua traduzione de Le historie del Cantalicio, nelle quali il nome è celato dietro lo pseudonimo di ‘incognito academico cosentino’.  Altre saggi: Manoscritti, Vaticano, Sonetto di Ms. della Casa. Oratione di MARCO CATONE, Giudizio sopra alcune stanze di TASSO (si veda), Vaticano, Commento a tre sonetti del Casa, lettera a Caro, lettera a Mauro, lettera al Principe della Scalea, lettera a Ardoino, lettera a Bombino, Lettera ad Amico, Lettera a Marotta, Lettera ad Egidio, Lettera a Bilotta, Parallelo tra il Petrarca e Casa, Della meta-fora -- You’re the cream in my coffee -- Sentimento della Poetica di ORAZIO (si veda); A Tasso Il Monta.no Acc.co Cose; Lettera a Pellegrino, Lettera a Sambiase  Lettera alla Duchessa, Lettera a Sirleto, Cosenza, biblioteca, ex libris, Bibliothecae Marchionis D. Matthaei de Sarno, Istoria della città di Cosenza, Biblioteca di Bonis, Lettere a Bernaudo da una raccolta favoritami da Bombini, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Fondo Palatino, Luoghi difficili del Bembo, Napoli, Biblioteca, manuscripta autographa Summontis et aliorum ætate eius clariorum, Lettera a Reski, Roma, Biblioteca Angelica, rilegato con Barrii Francicani de antiquitate et situ Calabriæ, Roma, Angelis; Annotationes Barrium Stampe; La philosophia esperimentale dell’osservazione di TELESIO, Ristretta in brevità, e scritta in lingua toscana dal Montano academico cosentino alla Eccellenza del Sig. Duca di Nocera con licenza de’ Superiori. Marchio ed. In Napoli Appresso Gioseppe Cacchi al ilustre S. G. Bernaudo, in a a le rime di Ardoino Academico Cosentino in morte della Signora Isabella Q. sua moglie con Licenza de' Superiori Marchio ed. in Napoli Appresso Gioseppe Cacchi. Le historie de Monsig. Gio. Battista Cantalicio vescovo di Civita di Penna, et d’altri delle guerre fatte in Italia da Aylar, di Cordova,  detto il gran capitano, tradotte in lingua toscana a richiesta di Gio. Maria Bernavdo in Cosenza per L. Castellano. Le historie de Cantalicio; Dele guerre fatte in Italia da Aylar, di Cordova, detto il gran capitano, tradotte in lingua Toscana a richiesta di Gio. Maria Bernaudo nuouamente corretta, et ristampata, in Cosenza per Leonardo Angrisano, e Castellano, ad istanza di Bacco, libraro in Napoli. Le historie di Monsig. G. Cantalicio, vescovo d’Atri et Civita di Penna, delle guerre fatte in Italia da Aylar, di Cordova, detto il gran Capitano, tradotte in lingua toscana  a richiesta di G. Bernaudo, Napoli Apresso Gio Giacomo Carlino Ad istanza di Bacco, alla Libraria dell'Alicorno rime di mons. Gio. Della Casa. Fregio In Napoli, appresso Lazaro Scoriggio, lettere divise in II libre e la tradottione del Quarto dell'Eneide di VIRGILIO (si veda) del medesimo Auttore all'Illustrissimo & Eccellentissimo Signor Marchese della valle, ecc. in Napoli, Per Lazzaro Scoriggio. Il IV libro di Vergilio in verso toscano. Trattato della Meta-Fora -- You’re the cream in my coffee” +> You are my pride and joy; Parafrasi Toscana della Poetica d’Orazio. Traduzione della medesima Poetica in verso toscano. Alcune annotazioni sopra di essa, alcune poesie toscane, e latine, Fregio in Napoli, Mosca con Licenza de' Superiori. Barrii Francicani: De Antiquitate et situ Calabriæ nunc primum ex authographo restitutos ac per capita distributi. Prolegomena, Additiones, et Notæ. Quibus accesserunt animadversions, Roma, S. Michaelis ad Ripam Sumptibus Hieronymi Mainardi Superiorum permissu. Scritti vari, editi per la prima volta in Napoli da Egizio ed ora riveduti, riordinati e ripubblicati in più nitida edizione da Stocchi, Castrovillari, Calabrese, A questo proposito, in un'articolata lettera inviata, da Roma a Cosenza,  illustra a Ferrao le ragioni per cui l'opera del PETRARCA merita la sua attenzione, e la ricerca che sta compiendo sui poeti provenzali, riferendo che di ciò aveva già parlato con Manuzio, edizione veneziana di Ferrari. Stessa cosa si verifica per la II edizione, mentre soltanto postumo, nell'edizione napoletana compare quale traduttore. Scienza e scienza della letteratura in Q., in Telesio e la cultura napoletana, Sirri e M. Torrini, Napoli L. Borsetto, La Poetica di ORAZIO tradotta. Contributo alla studio della ricezione oraziana tra Rinascimento e Barocco, in ORAZIO e la letteratura italiana, Roma Eadem, Enciclopedia oraziana, Eadem, Pulzelle e Femine di mondo. L'epistolario postumo, Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai greci al Novecento, Chemello, Milano Capacius I.C., Illustrium mulierum et illustrium litteris virorum Elogia, Neapoli, Carlinus e Vitale, Chioccarello, De illustribus scriptoribus Regni Neapolitani, Cornacchioli, Nobili, borghesi e intellettuali nella Cosenza, Cosenza, Cozzetto, Aspetti della vita e inventano della biblioteca attraverso un documento cosentino, in «Periferia», Crupi P., Storia della letteratura calabrese. Autori e Testi, Cosenza, Franco La biblioteca di un letterato, Annali dell'Istituto Universitario Orientale, Frede, I libri di un letterato calabrese, Q., Napoli De Frede C., Un letterato e i suoi libri, Q. in «Atti dell'Accademia Pontaniana», Debenedetti, Gli studi provenzali in Italia, Torino  Egizio, Napoli, rist. in Q., Scritti vari, editi per la prima volta in Napoli d’Egizio ed ora riveduti, riordinati e ripubblicati in più nitida edizione da Stocchi, Dalla Tipografia del Calabrese, Castrovillari Filice E. E., Cosenza; Fratta, Il “Ristretto” nell'ambito delle traduzioni filosofiche, in Telesio e la cultura napoletana, Sirri e Torrini, Napoli Gorni G., Un commento inedito alle “Rime” del Bembo; Telesio, Della Casa, Q., interprete di Tasso, Gl’amori di Q., il disegno culturale. La critica e le lettere; “Telesio, Bari Zangari D., Di un manoscritto inedito di Q. e delle sue relazioni col Tasso; Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dopo che Cesare finì di parlare, gli altri consentivano all'opinione dell'uno o dell'altro con una sola parola. Ma quando venne chiesto a M. Porcio Catone di esprimere il suo parere, egli tenne un discorso del genere: "Assai diverso è il mio animo, o padri coscritti, quando considero la nostra vicenda e i pericoli, e quando fra me valuto l'opinione di alcuni. Mi sembra che essi abbiano dissertato sulla pena per coloro che hanno preparato una guerra contro la loro patria, contro i parenti, contro gli altari e i focolari; ma la situazione ci ammonisce a difenderci contro di essi piuttosto che consultarci sulle condanne da infliggere loro. Tutti gli altri crimini vengono puniti quando sono stati commessi; questo invece, se non ti adopererai per non farlo accadere, una volta avvenuto invocherai inultilmente le sentenze: presa la città, nulla resta per i vinti. Ma, per gli Dei immortali, mi rivolgo a voi che avete avuto a cuore i palazzi, le ville, le statue, i quadri, piuttosto che la repubblica: se volete conservare tali beni, di qualunque tipo essi siano e ai quali siete così attaccati, se volete dedicarvi tranquillamente ai vostri piaceri, svegliatevi infine, e prendete in mano il destino della repubblica. Non si tratta di tributi o di offese agli alleati: sono in gioco la libertà e la nostra vita. Spesso, o padri coscritti, ho parlato a lungo in vostra presenza; spesso ho biasimato il lusso e l'avidità dei nostri concittadini, e per questo motivo mi si sono fatto molti nemici. Per me, che non avrei mai perdonato a me stesso e al mio animo nessun delitto, non era facile perdonare ad altri le malefatte della loro libidine. Ma nonostante a voi non importasse di ciò, tuttavia la repubblica era forte: la ricchezza tollerava la negligenza. Ma ora non si tratta di questo, se viviamo virtuosamente o viziosamente, né di quanto sia grande e magnifico l'impero del popolo romano, ma di sapere se questi beni, in qualunque modo li si valuti, rimarranno nostri o cadranno insieme a noi nelle mani del nemico. E ora qualcuno mi viene a parlare di clemenza e di pietà? Già da tempo, a dire la verità, abbiamo disimparato il vero senso delle parole: poiché dilapidare il denaro altrui si dice generosità e l'audacia nei malaffari si chiama coraggio, per questo la repubblica è ridotta allo stremo. Poiché tali sono i costumi, siano pure generosi con le ricchezze degli alleati; lascino impuniti i ladri dell'erario; ma non giochino con il nostro sangue, e per risparmiare pochi disgraziati, non mandino tutti i galantuomini in rovina. Con parole compunte ed eleganti Cesare ha giustappoco dissertato sulla vita e sulla morte, reputando come favole, io credo, le leggende sugli Inferi, secondo le quali i malvagi, per cammino diverso dai buoni, sono assegnati a luoghi tetri, selvaggi, spaventosi e luridi. E così ha proposto di sequestrare i beni dei colpevoli, e di tenere costoro in prigione nei municipi, evidentemente per paura che, qualora restassero a Roma, siano liberati con la forza dai complici della congiura e da gentaglia aizzata per tale fine: come se i malvagi e i criminali si trovassero solo in città, e non in tutta Italia, e come se l'audacia non avesse più potere dove minori sono le forze della difesa. Perciò è sicuramente inutile questo provvedimento, se Cesare teme un pericolo da parte di quelli; se fra lo spavento di tutti egli è il solo a non avere paura, tanto più importa che io e voi temiamo. Perciò, quando voi vi pronuncerete sulla sorte di Lentulo e degli altri, date per sicuro che deciderete anche dell'esercito di Catilina e di tutti i congiurati. Quanto più energicamente agirete voi, tanto più debole sarà il loro animo; se vi vedranno vacillare appena un poco, subito si ergeranno tutti come belve. Non pensate che i nostri antenati, da piccola, abbiano fatto grande la repubblica con le armi. Se fosse così, noi oggi la avremmo ancora più bella, visto che senza dubbio abbiamo maggiore abbondanza di alleati e di cittadini, e maggior numero di armi e di cavalli di quanti ne ebbero loro. Ma furono altre cose, che noi invece non abbiamo affatto, a renderli grandi: la laboriosità in patria, la giustizia nel governare all'estero, l'animo indipendente nel decidere, libero da rimorsi e passioni. Al loro posto noi abbiamo lusso e avidità, misere le finanze pubbliche, e opulente le private; lodiamo le ricchezze, aspiriamo all'ozio, non vi è alcuna distinzione fra buoni e cattivi; ogni ricompensa dovuta alla virtù è in mano all'imbroglio. Né c'è da meravigliarsi: quando voi deliberate separatamente, ognuno a proprio vantaggio, quando in casa siete schiavi del piacere, e qui del denaro e del favore, da ciò consegue che si faccia violenza allo Stato indifeso. Ma lasciamo perdere questo argomento. Cittadini della più alta nobiltà hanno congiurato per mettere la patria a ferro e fuoco; chiamano alla guerra il popolo dei Galli, il più ostile al nome romano; il capo dei nemici ci sta col fiato sul collo con un esercito: e voi ancora indugiate ed esitate riguardo alla punizione da infliggere a nemici catturati dentro le mura della città? Abbiatene pietà, vi suggerisco; sono ragazzi, hanno sbagliato per ambizione; anzi di più, liberateli armati; purché questa vostra clemenza e pietà, se essi prendono le armi, non si trasformi in rovina. Di certo la questione è grave, ma voi non la temete. Anzi vi terrorizza: ma per inerzia e mollezza d'animo voi prendete tempo aspettando l'uno dopo l'altro, certamente confidando negli Dei immortali, che hanno salvato sempre questa repubblica nei più grandi pericoli. Ma con voti o le suppliche delle donne non si ottiene l'aiuto degli Dei, mentre con la vigilanza, l'azione, le sagge decisioni, tutte le cose volgono al meglio. Se ti abbandonassi all'inerzia e all'ignavia, invano imploreresti gli Dei; essi sarebbero arrabbiati e ostili. Al tempo dei nostri antenati, A. Manlio Torquato, durante la guerra contro i Galli fece giustiziare suo figlio perché contro gli ordini aveva attaccato il nemico, e quel giovane valoroso pagò con la morte la colpa di un eccessivo coraggio; e voi osate esitare nello stabilire la sorte dei più crudeli parricidi? Certamente tutta la loro vita passata è in contrasto con questo loro crimine. Ebbene rispettate l'onore di Lentulo, se egli ebbe mai riguardo del suo pudore e della sua reputazione, degli Dei e degli uomini; perdonate la giovinezza di Cetego, se non è la seconda volta che egli prende le armi contro la patria. E che dire di Gabinio, Statilio, Cepario? Se avessero mai avuto scrupoli non avrebbero organizzato un tale progetto contro la repubblica. Infine, o padri coscritti, se potessimo, per Ercole, rischiare di sbagliare, lascerei volentieri che voi foste corretti dagli eventi, visto che non vi curate delle parole. Ma siamo circondati da tutte le parti; Catilina con l'esercito ci serra la gola, altri nemici sono tra le mura, nel cuore della città, e non si può preparare né decidere nulla in segreto: ragione in più per sbrigarci. Perciò io propongo: poiché per scellerato complotto di delinquenti la repubblica è stata messa in gravissimo pericolo, e, poiché convinti su denuncia di T. Volturcio e degli ambasciatori Allobrogi essi stessi hanno confessato il proposito di stragi, incendi e altri turpi e crudeli atti contro i cittadini e la patria, come colti in flagrante delitto capitale, siano condannati a morte secondo l'uso degli antichi."Sertorio Quattromani. Quattromani. Keywords: implicature, la philosophia di Bernardino Telesio, Orazio, Poetica, Tratatto della metafora, You’re the cream in my coffee +> You are my pride and joy; Il Quarto di Virgilio, Petrarca, Marco Catone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Quattromani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Quintilio: la ragione conversazionale all’orto romano – ragione, conversazione e l’ambizione ed adulazione nell’implicatura conversazionale di Virgilio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Orto. Pupil of SIRO (si veda), with VIRGILIO (si veda), and of Filodemo. He writes two philosophical essays: one on greed, and one on flattery – “which amusingly, Virgil tended to confuse!” – Grice. Quintilio Varo.

 

Grice e Quinto: la ragione conversazionale degli scolari dell’antica Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pieve). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Studia a Conegliano e Milano sotto Pupi. Contrassegnate dall'adozione di un rigoroso metodo filologico, studia la storia del concetto di “scolastica”. Altri saggi: Timor e timiditas. Note di lessicografia d’AQUINO (si veda), La lingua del Lazio: latino patristico e latino scolastico. Dalla comprensione della lingua del Lazio all'interpretazione del pensiero, Sui sensi, sensi, medio-evo; Il timor nella lingua della scolastica, Archivum latinitatis medii ævi, Per la storia del trattato d’AQUINO de passionibus animi. Il timor. Le scholæ del medio-evo come comunità di sapienti, Scholastica. Storia di un concetto, Padova. Lectio, dis-putatio, prae-dicatio: la triade dell'esercizio scolastico secondo AQUINO, In principio est verbum. Testi sul timore del divino dal ms. Rivista di Storia della Filosofia, Teologia allegorica, e teologia scolastica in alcuni commenti all’historia scholastica” di Comestore. Riccardo Quinto. Quinto. Keywords: gli scolari, sensi non sunt multiplicanda praeter necessitatem, aequivocale, sensus, analogia, Vio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Quinto” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rabirio: la ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Orto. Criticised by Cicerone for oversimplifying the school’s doctrines in order to reach a wider audience – “which reminds me of me.” – Grice.

 

Grice e Raimondi: la ragione conversazionale e l’implicatura del gatto persiano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Insegna a Roma. Contribusce alla rinascita dell’idealismo contro il Lizio che domina la filosofia. Pubblica la Data di Euclide. Le coniche di Apollonio di Perga. Autore di molti commentari, specialmente su alcuni libri della Synagoge, nota anche come Collectiones mathematicae, di Pappo d’Alessandria e sui trattati di Archimede. Membro dell'accademia fondata da Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. -- è celebre soprattutto per essere stato il primo direttore scientifico della Stamperia orientale medicea, o Typographia Medicea linguarum externarum, fondata a Roma da Ferdinando de' Medici. L'attività principale svolta dalla stamperia e, con l'appoggio di Gregorio XIII, la pubblicazione di saggi nelle per favorire la diffusione delle missioni cattoliche in Oriente. Forma un gruppo di ricerca costituito da Vecchietti,  inviato pontificio ad Alessandria d'Egitto e in Persia, dal fratello Gerolamo, da Orsino di Costantinopoli, neo-fita ebreo convertito, e di Terracina. In un periodo in cui Roma intrattene buone relazioni diplomatiche con la dinastia Safavide, al potere in Persia  essi riuscirono a recuperare diversi manoscritti della bibbia in lingue orientali – “which were fun” – Grice. Sono portati a Roma più di una ventina di testi biblici ebraici e giudeo-persiani, tra cui i libri del Pentateuco, tra i pochi sopravvissuti ai giorni nostri.  La tipografia si trasfere a Firenze, in conseguenza dell'elezione di Ferdinando a duca di Toscana. E avviata la stampa delle opere. Sono pubblicate dapprima una grammatica filosofica ebraica e una grammatica filosofica caldea. Seguirono: una edizione arabo dei vangeli, di cui furono tirate MMM copie; un compendio del Libro di Ruggero di al-Idrisi;  Il canone della medicina di Avicenna. Il duca gli vende la stamperia, chi  a sua volta la cedette al figlio di Ferdinando, Cosimo II, salito al trono. La stamperia chiuse poiché la realizzazione di volumi nelle lingue orientali non si è rivelata economicamente conveniente (“The same happened with Austin’s attempt at Blackwell’s.” Grice). Pubblica una grammatica araba intitolata “Liber Tasriphi”. Il suo grande progetto e quello di pubblicare una bibbia poliglotta comprendente le VI lingue principali del cristianesimo orientale: I siriaco, II armeno, III copto, IV ge'ez, V arabo e VI persiano. I manoscritti appartenuti alla stamperia orientale medicea sono disseminati in diverse istituzioni: la biblioteca medicea laurenziana di Firenze, la biblioteca nazionale di Firenze, la biblioteca apostolica vaticana, la biblioteca nazionale di Napoli, la biblioteca marciana di Venezia. Giovanni Battista Vecchietti, su iliesi cnr.  L'editoria del principe, ovvero la stampa ufficiale delle istituzioni laiche e religiose. Per la dedicazione al re Ruggero II di Sicilia.  Tipografia Medicea Orientale, su thesaurus. cerl. Piemontese, La Grammatica persiana; Bibas, La Stamperia medicea orientale, in, Un Maestro insolito (Firenze, Vallecchi); Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Liber Tasriphi compositio est Senis Alemami: Traditur in eo compendiosa notitia coniugationum verbi Arabici, Roma, Medicae, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, manoscritti persiana. Grice: “I tried to study Persian once, but J. L. Austin said that it was useless!” -- Giovan Battista Raimondi. Giambattista Raimondi. Raimondi. Raimondi. Keywords: il gatto persiano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Raimondi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Raio: la ragione conversazionale e l’ermeneutica dell’io e del tu – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Insegna a Napoli. Si occupa in particolare dell'ermeneutica. Saggi: “Antinomia e allegoria”; “Il carattere di chiave”, “Ermeneutica del simbolo” (Napoli, Liguori); “Il simbolismo tedesco. Kant Cassirer Szondi” (Napoli, Bibliopolis); “Conoscenza, concetto, cultura” (Firenze, La Nuova Italia); “Meta-fisica delle forme simboliche” (Milano, Sansoni); L'io, il tu e l'es: saggio sulla "Meta-fisica delle forme simboliche" (Macerata, Quodlibet); Rivista "Studi filosofici".  Giulio Raio. Raio. Keywords: ermeneutica dell’io e del tu, Szondi --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Raio” – The Swimming-Pool Library

 

Grice e Raulica: la ragione conversazionale all’isola! l’implicatura del barone  -- l’origine dell’idee – il fondamento della certezza – filosofia siciliana – filosofia sicula – dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare -- corso di filosofia: ossia, re-staurazione  della filosofia -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo Italiano Essential Italian philosopher. Grice: “Italian philosophers can be fun: there’s ventura, and there’s Bonaventura, who was actually fidanza, i.e. fidence, as in confidence.” Noto per il suo sostegno alla causa della rivoluzione siciliana. Studia a Palermo. Insegna a Roma. Si distinse come apologeta, scrittore e predicatore, sopra-ttutto grazie alla sua "Orazione funebre di Pio VII.” La sua carriera da filosofo inizia come esponente della corrente contro-rivoluzionaria. Teatino. Intraprese l'attività di predicatore. La sua eloquenza, sebbene a volte esagerata e prolissa, e veemente e diretta ed ottenne grande fama. Con l'elezione di Pio IX al soglio pontificio, acquisì un ruolo politicamente prominente. Sostenne la legittimità storica e giuridica della rivoluzione siciliana. Auspica la ri-fondazione del regno della Sicilia indipendente all'interno di una con-federazione italiana di stati sovrani. Ministro pleni-potenziario e rappresentante del governo siciliano a Roma.  La sua posizione a Roma divenne delicata per via della proclamazione della repubblica romana  e dell'esilio di Pio IX. Rifiuta l'offerta di un seggio all'assemblea costituente, maoltre ad invocare la separazione tra potere temporale e spirituale riconosce la repubblica romana a nome del governo rivoluzionario di Palermo. Altri saggi: “La scuola de' miracoli: ovvero, Omilie sopra le principali opere della potenza e della grazia di Gesù Cristo, figliuolo del dividno e salvatore del mondo”; “Il tesoro nascosto: ovvero, omilie sopra la passione del nostro signor Gesù cristo”;  La madre del divino, madre degl’uomini: ovvero, spiegazione del mistero della SS. vergine a piè della croce”; “Le bellezze della fede ne' misteri dell’epifania: ovvero, La felicità di credere in Cristo e di appartenere alla vera chiesa”; “I disegni della divina misericordia sopra le Americhe: panegirico in onore di Martino de Porres, terziario professo dell'ordine de’ predicatori”; “Il potere politico”; “Saggio sul potere pubblico, o esposizione della legge naturali dell'ordine sociale”; “Dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare”; “La ragione filosofica”; “La tradizione e i semi-pelagiani della filosofia: ossia, Il semi-razionalismo svelato”; “Saggio sull'origine delle idee e sul fondamento della certezza”; “Della falsa filosofia”; “Nuove omelie sulle donne del vangelo”; “Corso di filosofia: ossia, re-staurazione  della filosofia”; “Sopra una camera di pari nello STATO pontificio”; “La questione sicula sciolta nel vero interesse della Sicilia, Napoli e dell’Italia”; “Memoria pel riconoscimento della Sicilia come stato sovrano ed indipendente”; “Menzogne diplomatiche, ovvero esame dei pretesi diritti che s'invocano del gabinetto di Napoli nella questione sicula”; “Discorso funebre pei morti di Vienna la religione e la libertà”; “Raccolta di elogi funebri e lettere necrologiche; Il pensiero politico d'ispirazione cristiana. Atti del seminario Erice, Guccione, Firenze. Andreu R.: saggio biografico, "Regnum Dei", Bergamaschi, R.: fra tradizionalismo e neo-tomismo [AQUINO], Milano, Cremona Casoli, Un illustre siciliano”; "Rassegna Storica del Risorgimento", Cultrera, Generale dell'ordine dei Teatini, Palermo; Giurintano C., Aspetti del pensiero politico nel "De jure publico ecclesiastico"; Istituto per la Storia del Risorgimento, Palermo, Guccione, Democrazia. Murri, Sturzo e le critiche di Giobetti, Palermo, Ila-Palma, Guccione, Alle radici della democrazia” Palermo; Guccione, Un omaggio clandestine; in  "Nuova Antologia", Pastori, “La rivoluzione napoletana in "Rassegna siciliana di Storia e Cultura", Romano, La vita e il pensiero politico, Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Regione Siciliana. Martinucci, Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale. Gioacchino Ventura dei baroni di Raulica, Gioacchino Ventura Da Raulica. Gioacchino Ventura di Raulica. Raulica. Keywords: l’origine dell’idee – il fondamento della certezza, la legge naturale dell’ordine sociale, la sicilia come stato sovrano ed independente. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Raulica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Reale: la ragione conversazionale del capretto di Kant --  erote demone mediatore, o del gioco delle maschere nel convito – filosofia italiana – Luigi Speranza (Candia Lomellina). Filosofo italiano.  Ho la ferma convinzione che l’ACCADEMIA e la più grande associazione o gruppo di gioco filosofico in assoluto comparso sulla terra, e che il compito di chi lo vuole comprendere e fare comprendere agl’altri, pur avvicinandosi sempre di più alla verità, non può mai avere fine. Studia a Casale Monferrato e Milano sotto OLGIATI. Insegna a Parma e Milano. Fonda il centro di ricerche di meta-fisica.  La sua tesi di fondo è che la filosofia antica dei romani crea quelle categorie e quel peculiare modo di pensare che hanno consentito la nascita e lo sviluppo della scienza e della tecnica dell'occidente.  I suoi interessi spaziano lungo tutto l'arco della filosofia romana antica e i suoi contributi di maggior rilievo hanno toccato via via APPIO, CICERONE, ANTONINO, Aristotele, Platone, Plotino, Socrate e Agostino. Studia ognuno di questi filosofi andando, in un certo senso, contro corrente e inaugurandone una lettura nuova.  La ri-lettura che da di Aristotele e del LIZIO in generale – tanto influente a Roma -- contesta l'interpretazione di Jaeger, secondo il quale i saggi del LIZIO seguirebbero positivisticamente un andamento storico-genetico che partirebbe dalla teo-logia, passerebbe per la meta-fisica, per approdare infine alla scienza. Reale sostenne invece la fondamentale unità del pensiero metafisico del LIZIO.  Ne “La filosofia antica”, mette in evidenza come la filosofia di Teofrasto nel LIZIO si diffuse per l'aspetto scientifico con un'ampiezza del tutto paragonabile a quella del maestro Aristotele, rivelando però uno scarso spessore nella speculazione filosofica. Da Stratone in poi, ciò provoca un ripiegamento della scuola del LIZIO verso l'ambito della fisica e delle scienze empiriche.  Per quel che riguarda L’ACCADEMIA, importando in Italia gli studi della scuola accademica di Tubinga, mette in crisi l'interpretazione romantica di Platone stesso, che risale a Schleiermacher, e rivalua il senso e la portata delle dottrine non scritte, vale a dire gli insegnamenti che gl’accademici hanno tenuto solo oralmente all'interno della villa al ginnasio dell’Accademia e che conosciamo dalle testimonianze dei discepoli. In questo senso, l’accademia risulterebbe essere il testimone e l'interprete più geniale di quel peculiare momento della civiltà che passa dalla cultura dell'oralità a quella della scrittura. Negli studi su Plotino, contesta la tesi di fondo di Zeller che vede nel grande accademico il principale teorico del pan-teismo e dell'immanentismo. Al contrario, R. ri-legge Plotino come il campione della trascendenza metafisica dell'uno.  L'interpretazione che ha dato di Socrate, analogamente, si propone di risolvere le aporie della cosiddetta questione socratica, entrata in un vicolo cieco dopo gli studi di Gigon, secondo cui di Socrate non possiamo sapere nulla con certezza. R. inaugura, invece, un nuovo modo di interpretare Socrate, non solo cercando di risolvere dall'interno le testimonianze contraddittorie degl’allievi, ma soprattutto guardando al contesto della filosofia italica prima di Socrate e dopo Socrate. In questo modo, balzerebbe agl’occhi la scoperta socratica del concetto di ‘animo’ (greco – animos) o anima come essenza e nucleo pensante dell'uomo. Socrate dice che il compito dell'uomo è la cura dell'anima o dell’animo: la psico-terapia, potremmo dire. Che poi oggi l'animo e interpretato in un altro ‘senso’, questo è relativamente importante. Socrate per esempio non si pronuncial sull'immortalità dell'animo, perché non ha ancora gl’elementi per farlo, elementi che solo con emergeno coll’Accademia. Ma, nonostante ancora oggi si pensa che l'essenza dell'uomo sia l’animo. Molti, sbagliando, ritengono che l’animo e una creazione semitica: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di ‘animo’ e di immortalità dell'animo è contrario alla dottrina semitica che parla invece di risurrezione dei corpi degl’uomini. Che poi i primi filosofi della patristica utilizzano categorie della filosofia antica, e che quindi il suo apparato concettuale sia in parte basato sulla filosofia antica non deve far dimenticare che il concetto dell’animo è una concezione aria. L'Occidente viene da qui. Infine, per quanto riguarda all’africano Agostino,  tende a ricollocarlo  nel contesto dell’Accademia dell’antichità e quindi nel momento dell'impatto del dell’ebraismo con filosofia aria italica cercando di scrostarlo di tutte le successive interpretazioni dell'agostinismo medioevale. Ritiene, poi, che la cifra spirituale che caratterizza la filosofia d’Occidente sia costituita dalla filosofia italica. È stato infatti il logos a caratterizzare le due componenti essenziali della filosofia d’Occidentre e precisamente a fornire gli strumenti concettuali per elaborare l’ebraismo, dando luogo, così, a quella peculiare mentalità da cui sono scaturite la scienza e la tecnica. Ma se la cultura d’non si capisce senza la filosofia aria degl’italici, questa a sua volta non si capisce senza la meta-fisica come studio dei veliani dell’unità dell'essere. Il lavoro che svolge, studiando i filosofi italici – CROTONE, VELIA, GIRGENTI, ecc. -- vuole anche servire a un confronto fra la meta-fisica antica e quella moderna. La preferenza che accorda all’accademia dipende dal fatto che la scuola di Atene è, con la seconda navigazione di cui parla nel Fedone, la creatora di questa problematica. Si fa così porta-voce di un meditato ritorno alle radici della nostra cultura attraverso la riproposta dei classici filosofi italici. E in sintonia con la Scuola di Tubinga rinnova l'interpretazione, mettendo in luce la primaria importanza delle dottrine non scritte di cui riferiscono gli allievi del fondatore stesso dell’Accademia -- Aristotele  del Lizio in primis. In “Per una interpretazione dell’Accademia” fa affiorare l'immagine di una accademia diversa, una accademia orale e in certo senso dogmatica. Del resto, non è forse l’accademia stessa (ad esempio, nella Lettera VII) a garantirci che la sua filosofia dev'essere ricercata altrove rispetto agli scritti? Lo stesso corpus degli scritti dell’accademia, giuntoci nella sua interezza (circostanza, questa, unica nella storiografia della filosofia antica), non presenta, invero, quell'unità sistematica che ci si dovrebbe attendere, il che, ancora una volta, depone a favore della tesi secondo cui l’accademia cerca altrove, e precisamente nelle dottrine non scritte. Studia anche la metafisica del Lizio, smaschererebbe la tesi fatta valere da Jaeger, secondo cui l'opera non presenta un'unitarietà ma sarebbe piuttosto una sorta di zibaldone filosofico -- e, in particolare, il libro XII risalir ebbein forza del suo spiccato interesse teologico alla didattica del Lizio. Lungi dal risolversi in un coacervo di scritti risalenti a differenti epoche e contesti, la Meta-fisica del Lizio rileva R. è profondamente unitaria. Al centro c'è la definizione della meta-fisica come scienza della causa e del principio, dell'essere in quanto tale, della sostanza, dei dei e della verità. In “La saggezza antica”, R. sostiene che tutti i mali di cui soffre l'uomo d'oggi hanno proprio nel nichilismo la loro radice e che un'energico questi mali implicano il loro sradicamento, ossia la vittoria sul nichilismo, mediante il recupero di un ideale e di un valore supremo, e il superamento dell'a-teismo. Ma quello che egli propone non è affatto un ritorno a-critico a certe idee della antica filosofia italica, ma l'assimilazione e la fruizione di alcuni messaggi della saggezza antica, che, se ben recepiti e meditati, possono, se non guarire, almeno lenire i mali degl’uomini, corrodendo le radici da cui derivano. In una siffatta prospettiva, può acquistare un valore eminentemente filosofico anche la filosofia in lingua latina in Seneca, a suo parere ingiustamente trascurato da una lunga tradizione che non gl’ha riconosciuto alcuna cittadinanza filosofica, per il fatto di non avere nato romano. In “La terapia dell'anima” (Bompiani, Milano) riprende, ancora una volta, l'idea che la filosofia degl’antichi in questo caso, quella di Seneca puo costituire un farmaco per l'animo dilaniato degl’uomini. Oltre al campo specifico della filosofia antica, si occupa a vario titolo anche della storia della filosofia posteriore. Per esempio, nella stesura del noto “Manuale di filosofia” per i licei edito dalla scuola oltre alla direzione delle collane filosofiche classici della filosofia, Testi a fronte della Bompiani e I filosofi per Laterza.  Oltre a questo, i suoi principali scritti sono: “ Il concetto di filosofia prima e l'unità della Meta-fisica del LIZIO” (Vita e Pensiero, Milano); “Il Lizio” (Laterza, Bari); Storia della filosofia antica (Vita e Pensiero, Milano); “Il pensiero occidentale dalle origini (Scuola, Brescia); Per una nuova interpretazione dell’Accademia” (CUSL, Milano); “Proclo” Laterza, Bari); “Filosofia antica” (Jaca, Milano); “Saggezza antica” (Cortina, Milano); “Eros demone mediatore. Il gioco delle maschere nel "Simposio" dell’Accademia” (Rizzoli, Milano); “L’accademia: alla ricerca della sapienza segreta” (Rizzoli, Milano, Bompiani, Milano, La nave di Teseo, Milano); “La Meta-fisica del Lizio” (Laterza, Bari); Raffaello: La "Disputa", Rusconi, Milano); “Corpo, anima e salute: il concetto di uomo" (Collana Scienza e Idee, Cortina, Milano) – cf. Grice, ‘urina sana, corpo sano, medicina sana – scremento sano -- “Socrate. Alla scoperta della sapienza umana” (Rizzoli, Milano); “La filosofia antica” (Vita e Pensiero, Milano); ““Radici culturali e spirituali dell'Europa” (Cortina, Milano); “Storia della filosofia romana” (Bompiani, Milano, Collana Il pensiero occidentale, Bompiani); “Valori dimenticati dell'Occidente” (Bompiani, Milano); “ L'arte di Muti e la Musa accademica” (Bompiani, Milano); “Agostino” (Bompiani, Milano); “Wojtyla: un pellegrino dell'assoluto” (Bompiani, Milano); “Auto-testimonianze e rimandi dei Dialoghi dell’Accademia alle dottrine non scritte" (Bompiani, Milano); “Storia della filosofia” (Scuola, Brescia); “Salvare la scuola nell'era digitale” (Brescia, Scuola); “Responsabilità della vita: un confronto fra un credente e un non credente” (Milano, Bompiani); “Mi sono innamorato della filosofia” (Milano, Bompiani); “Romanino e la «Sistina dei poveri» a Pisogne” (Milano, Bompiani); “Filosofia” (Scuola, Brescia); Introduzione, traduzione e commentario della Meta-fisica del Lizio, su archive. Bompiani, Traduzioni e commenti R. ha tradotto e commentato molte opere dell’Accademia, del Lizio e dell’Accademia romana -- la sua nuova edizione delle Enneadi è stata pubblicata  nella collana "I Meridiani" della Mondadori. Pubblica per Bompiani il poderoso volume I presocratici, da lui presentato come la prima traduzione integrale. Nonostante in Italia ne è già uscita una traduzione da Giannantoni edita da Laterza. Sostene la presenza di lacune e manomissioni nel Giannantoni, lacune e manomissioni che sarebbero dovute, a parere di R., all'ossequio all'ideologia e all'egemonia culturale marxista, secondo cui in quel periodo gl’intellettuali di area comunista dominano la scena in campo editoriale. CANFORA, in risposta alle accuse di R., sostene la natura pubblicitaria e l'inconsistenza del ragionamento. Si sostene che, se influenza c'è stata nel Giannantoni, essa è stata di matrice idealistica, hegeliana e crociana – CROCE (si veda). Qualsiasi omissione è da evitare, specie se non è segnalata nel testo. Con riguardo alla presunta irrilevanza di taluni tagli operati da Giannantoni sottolinea come i capretti a volte segnano la storia della filosofia più di alcuni filosofi e togliere questi animali dai frammenti, così come far sparire dei cavolfiori, si tasformarsi in una censura. Di Seneca, cura le opere in "Seneca. Tutti gli scritti". Interprete dell’Accademia, La Stampa, Ripensando l’Accademia e l’accademicismo” (Milano, Vita e Pensiero). Dimostra la profonda unità concettuale di questi saggi di filosofia prima, mettendo in luce come Jaeger e condizionato dal positivismo e dalla teoria dell'evoluzione della cultura secondo le tre tappe di teologia-metafisica-scienza. Il concetto di filosofia prima e l'unità della "Meta-fisica" di Aristotele” (Milano, Bompiani); Storia della filosofia antica. La fondazione della botanica e il suo guadagno essenziale. Verso una nuova immagine dell’accademia, Milano, Vita e Pensiero, Cfr., in particolare, Il paradigma romantico nell'interpretazione dell’accademia, di Krämer, Napoli,  La filosofia antica, Milano,  Jaca. Ha ragione, bisogna imparare ad accettare la morte, Corriere della Sera.  Il concetto di filosofia prima (cf. Grice) e l'unità della meta-fisica di Aristotele, Milano, Vita e Pensiero, La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell'anima, Milano, Bompiani, In memoriam. Pur riconoscendo a Giannantoni una statura di studioso di prim'ordine, sostiene che molti marxisti non presentano talune cose nella loro effettiva realtà. Pur non potendosi parlare di complotto, nel testo di Laterza curato da Giannantoni mancano in un'edizione chiamata l'unica integrale italiana decine e decine di passi che elenco in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei veliani e crotonensi. Ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti filosofi. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto. Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Naturalmente, sul piano pubblicitario, si comprende la auto-esaltazione. La mia traduzione è più completa della tua, come il mio bucato è più bianco del tuo. Ma anche la pubblicità bisogna saperla fare. Ci sono lauree brevi da poco istituite in proposito. Particolarmente inconsistente appare il ragionamento. Eccolo nella sintesi fornita dal suo intervistator.  Giannantoni e molto bravo, e questo lo sapevamo anche senza il supporto di R., Laterza è innocente del sopra menzionato reato ideologico. La colpa è della penetrazione comunista. Sembra quasi di sognare. Ma questa è la caricatura dell'antica cantilena sui comunisti padroni dell'editoria italiana. Per confutare questa sciocchezza BOBBIO si limita a trascrivere i titoli del catalogo Einaudi. E infatti come negare l'affiliazione bolscevica di BOBBIO? Che pena. Si fa riferimento all'osservazione secondo la quale le omissioni di Giannantoni riguardano aspetti poco rilevanti per un marxista come il frammento 23 di Orfeo -- un mal-ridotto frustulo papiraceo in cui si fa cenno ad un rituale misterico. Queste, e consimili, sono le omissioni rimproverate dal neo-presocratico R. Sembra del tutto irrilevante sapere se Kant, quando scrive la Critica della ragion pratica, mangia capretto o una particolare minestra. Alla storia della filosofia questo poco interessi. Ma sapere se un *orfico* o un crotonese mangia capretto è MOLTO significativo dal punto di vista filosofico. Se l’orfico crotonese s’astene, allora e vegetariano e, come tale, non ha condiviso la ritualistica italica in cui si consumeno le carni offerte ai dei e si lasciano ai dei gl’aromi per segnare la distanza tra gl’uomini e i dei. In sostanza, l’orfico crotonese crede, evitando il capretto, in una filosofia in cui gl’uomini e i dei sono legati. Non è un capretto né una vacca quello che manca in Giannantoni. Mancano in un'edizione chiamata l'unica integrale decine e decine di passi che elenco in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei Presocratici. Ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti autori. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto. Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Laudatio. Radice, Tiengo, Seconda navigazione. Omaggio (Vita e Pensiero, Milano); Grampa, "Ritornare a Crotone: intervista a sulla sua «Storia della filosofia antica»", Vita e Pensiero. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La mia accademia bocciata. Il cattolico amico dell’accademia. Critico l’accademia di R. il marxismo non c'entra. La dittatura culturale del marxismo, in Corriere della Sera, Treccani Storia della filosofia antica. Dalle origini a Socrate. Ospitato su gianfranco bertagni. R. Storia della filosofia antica. Platone e Aristotele. Storia della filosofia antica. I sistemi dell'Età ellenistica.   L’ECLETTISMO ACCADEMICO A ROMA   CON CICERONE E CON VARRONE    1. La posizione filosofica assunta da Cicerone — Come Filone e An-  tioco sono i più tipici rappresentanti dell’Eclettismo greco, così Ci-  cerone è il più caratteristico rappresentante dell’Eclettismo romano.!   Antioco si colloca decisamente a destra di Filone, diremmo con  metafora moderna, mentre Cicerone prosegue piuttosto sulla linea  di Filone. Il primo elabora un Eclettismo decisamente dogmatico,  il secondo un Eclettismo cautamente e moderatamente scetticheg-  giante.   Non c’è peraltro dubbio che, dal punto di vista speculativo, Ci-  cerone resti al di sotto sia dell’uno che dell’altro, non presentando  alcuna novità che sia paragonabile alle formulazioni del probabilismo  positivo del primo o alla sagace critica antiscettica del secondo.   Se, in sede di storia della filosofia greca e romana, ci occupiamo di  Cicerone è soprattutto per motivi culturali più che speculativi.    ! Cicerone nacque nel 106 a.C. ad Arpino. Si accostò fin da giovane alla filo-  sofia, che coltivò con interesse e costanza. Tuttavia l’amore della filosofia fu lungi  dall’assorbire per intero tutte le energie e gli interessi di Cicerone. Egli, infatti, si sentì  prevalentemente portato alla vita pubblica, alla vita forense e alla vita politica. Perciò  la sua scelta di fondo fu per la retorica, ossia per l’oratoria. La sua carriera oratoria  inizia già nell’81 a.C. e ne 76/75 a.C. inizia la sua attività politica, con la sua elezione  a questore. Da allora in poi Cicerone legò spesso il suo nome a clamorosi processi e a  importanti avvenimenti politici. Morì nel 43 a.C., ucciso dai soldati di Marc’ Antonio.  Dei suoi maestri di filosofia abbiamo già detto, e diremo ancora nel testo. Le numero-  se opere di filosofia di Cicerone pervenuteci furono da lui scritte nell’ultimo periodo  della sua vita. Nel 46 scrisse i Paradoxa Stoicorum; nel 45 gli Academzica, due dialoghi  intitolati a Catullo e a Lucullo, di cui fece una seconda redazione, in cui compariva-  no come interlocutori Attico e Varrone (degli Acaderzica priora ci è rimasto il libro  II Lucullus, degli Academica posteriora il libro I e frammenti). Del 45 è anche il De  finibus bonorum et malorum. Nel 44 furono pubblicate le Tusculanae disputationes, il  De natura deorum e il De offictis. A queste opere vanno inoltre aggiunte: il De fato, il  De divinatione, il Cato maior de senectute e il Laelius de amicitia. Da ricordare, infine,  sono le opere politiche De re publica e De legibus. Del De re publica ci sono giunti i  primi due libri, non completi, frammenti del III, del, IV, del V e gran parte del libro  VI, che già nell’antichità ebbe vita autonoma col titolo Sorzziuzz Scipionis. Diamo  dettagliate indicazioni nello Schedario, s.v. Per i rapporti fra Cicerone e Platone, cfr.  l’eccellente raccolta di testi in Dòrrie, op. cit., Bausteine 25-31, pp. 212-258.    1508. LIBRO VI - SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    In primo luogo, Cicerone offre, in certo senso, il più bel paradigma  di pensiero eclettico, che è come dire il più bel paradigma della più  povera delle filosofie, e, in certo senso, la più antispeculativa delle  speculazioni.   In secondo luogo, Cicerone è di gran lunga il più efficace, il più  vasto e il più cospicuo ponte attraverso il quale la filosofia greca si è  riversata nell’area della cultura romana e, poi, in tutto l'Occidente. E  anche questo è un merito non teoretico, ma di mediazione, di diffusio-  ne e di divulgazione culturale, e comunque di altissima classe.   Ciò non toglie, però, che Cicerone abbia intuizioni felici e anche  acute su problemi particolari, specie su problemi morali. Il De officiis  è, probabilmente, la sua opera più vitale. Inoltre, presenta anche ana-  lisi penetranti. Tuttavia, si tratta di intuizioni e di analisi che si colloca-  no — per così dire — a valle della filosofia; sui problemi speculativi che  stanno a monte egli ha poco da dire, come del resto in questo ambito  hanno poco da dire quasi tutti i rappresentanti della filosofia romana.   Già i maestri frequentati da Cicerone indicano chiaramente la ge-  ografia del suo pensiero. Da giovane udì l’epicureo Fedro e, più tardi,  anche Zenone epicureo; sentì anche le lezioni dello stoico Diodoto,  conobbe a fondo il pensiero di Panezio e allacciò stretti rapporti di  amicizia con Posidonio; fu influenzato da Filone di Larissa in modo  decisivo e, inoltre, udì per un certo tempo anche le lezioni di Antioco  di Ascalona.   Inoltre, lesse Platone, Senofonte, le opere pubblicate di Aristotele,  alcuni filosofi della vecchia Accademia e del Peripato, ma sempre con  i parametri della filosofia del suo tempo.   Da tutti prese e in tutti cercò conferme su determinati problemi,  eccettuati forse i soli Epicurei, coi quali polemizzò accesamente.   Egli stesso si autodefinì espressamente come «Accademico», e  come Accademico della corrente filoniana: anche per lui, infatti, /a  probabilità positiva è alla base della filosofia.   Nell’operare la fusione eclettica delle varie correnti, dunque, Cice-  rone non diede contributi essenziali, perché tale fusione era già stata  operata dai maestri che egli aveva udito. Cicerone si limitò a ripropor-  la in termini latini e ad amplificarla non qualitativamente — giacché  questo non era possibile — ma quantitativamente.    2. Il probabilismo eclettico ciceroniano — Dicevamo sopra che Cice-  rone respinge il tipo di eclettismo di Antioco e assume, invece, una  posizione simile a quella di Filone di Larissa: il «dogmatismo ecletti-    CICERONE 1509    co» di Antioco gli sembrava alquanto incauto, mentre il «probabili-  smo» filoniano lo appagava pienamente.  Come avevano fatto molti dei nuovi Accademici, Cicerone adotta il  metodo della discussione del «pro» e del «contro» su ogni questione.  Questo metodo gli offre grandi vantaggi:    1) in primo luogo, gli offre la possibilità di far conoscere le varie  posizioni dei filosofi in materia, facendo largo sfoggio della sua eru-  dizione;   2) in secondo luogo, gli offre la possibilità di valutare la consisten-  za delle opposte tesi;    3) in terzo luogo, il raffronto di opposte idee gli offre la possibilità  di scegliere la soluzione più probabile;    4) infine, da buon oratore e avvocato, trova che questo metodo  costituisce un perfetto esercizio di eloquenza.    Dunque, il raffronto non deve portare alla «sospensione del giudi-  zio», bensì al ritrovamento del «probabile» e del «verosimile» e anche  all'esercizio retorico.   Ecco le precise parole del nostro filosofo che mettono bene a fuoco  questo punto:    A me è sempre piaciuta la consuetudine dei Peripatetici e degli Ac-  cademici di discutere in ogni problema il pro e il contro: non soltanto  perché questo sistema è l’unico adatto per scoprire in ogni questione  l'elemento di verosimiglianza, ma anche per l'ottimo esercizio che ciò  costituisce per la parola.    Ma il passo ci permette di fare anche un’altra riflessione.   Cicerone pone e risolve i problemi filosofici sempre in chiave pre-  valentemente culturalistica e mai direttamente, ossia in maniera pura-  mente teoretica. Le questioni che egli imposta sono quelle che già altri  hanno sollevato, e anche le soluzioni che sceglie sono per lo più quelle  già proposte in tutto o in parte da altri.   E così si spiega perfettamente come il suo «moderato Scetticismo»  — per sua stessa confessione — non derivi tanto dalle difficoltà che in-  trinsecamente sollevano i problemi della conoscenza e del criterio del-  la verità (per esempio gli errori dei sensi, e simili), quanto dalle diffi-    2 Tusc. Disput., II, 3,9=1, 18, 3 Dérrie; traduzione di A. Di Virginio.    1510 LIBRO VI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    coltà che scaturiscono dal dissenso circa le soluzioni di quei problemi  che sono state proposte dai vari filosofi.   Di conseguenza, risulta anche chiara la ragione per cui, da un lato  il «dissenso» dei filosofi sconcerti Cicerone, mentre dall’altro lo con-  forti in pari modo il «consenso», quando ci sia, al punto che egli non  esita a fare di tale consenso ur criterio di probabilità.   Il «vero», dunque, è irraggiungibile, come prova il dissenso dei  filosofi; tuttavia restano il «probabile» e il «verosimile», che sono se  non il vero stesso, ciò che tuttavia al vero più si avvicina.   Dice Cicerone nel De natura deorum:    Non siamo di quelli che negano in assoluto l’esistenza della verità:  ci limitiamo a sostenere che a ogni verità è unito qualcosa che vero  non è, ma tanto simile a essa che quest’ultima non può offrirci alcun  segno distintivo che ci permetta di formulare un giudizio e di dare il  nostro assenso. Ne deriva che ci sono delle conoscenze probabili le  quali, benché non possano essere compiutamente accertate, appaiono  così nobili ed elevate da poter fungere da guida per il saggio.’    Nel De officiis Cicerone ribadisce:    Mi si chiede però, e proprio da uomini di lettere e colti, se io creda  di agire con sufficiente coerenza, quando, mentre osservo che nulla può  essere conosciuto con certezza, tuttavia e soglio disputare di altre que-  stioni e in questo stesso momento cerco di dare regole sul dovere. A co-  storo vorrei che fosse abbastanza noto il mio pensiero. Giacché io non  sono di quelli il cui animo vaga nell’incertezza e non ha mai un principio  da seguire. Quale sarebbe infatti la nostra mente, 0, piuttosto, la nostra  vita, quando fosse tolta ogni norma non solo di ragionare, ma anche  di vivere? Come gli altri affermano la certezza di alcune e l'incertezza di  altre cose, noi invece, dissentendo da loro, sosteniamo la probabilità di  alcune cose e l’improbabilità di altre. Che cosa, dunque, mi può impedi-  re di seguire ciò che mi sembra probabile e di disapprovare ciò che mi  sembra improbabile, e di fuggire così, evitando la presunzione di recise  affermazioni, la temerarietà, che è lontanissima dalla vera sapienza?*    E a questo «probabile» si perviene non legandosi dogmaticamente  ad alcuna Scuola, ma restando liberi di scegliere ecletticamente ciò  che pare più verosimile. Nelle Tuscolazze leggiamo:    } De nat. deorum, I, 5, 12, traduzione di U. Pizzani; cfr. Acad. pr., II, 31, 98 e ss.  4 De offictis, II, 2, 7-8, traduzione di Q. Cataudella.    CICERONE 1511    Esiste libertà di pensiero, e ognuno può sostenere ciò che gli pare;  per me, io mi atterrò al mio principio, e cercherò sempre in ogni que-  stione la probabilità massima, senza essere legato alle leggi di nessuna  scuola particolare che debba per forza seguire nella mia speculazione.”    Il «probabilismo» di Cicerone è, in tal modo, strutturalmente con-  giunto col suo «eclettismo»: l’uno sta a fondamento dell’altro e vice-  versa, e ambedue hanno radice, più che teoretica, culturale e storica,  come sopra dicevamo.   Questo ben spiega — tra l’altro — come, a seconda dei problemi  che Cicerone tratta, il probabile si assottigli fino a diventare dubbio,  oppure, per contro, si consolidi fino a diventare quasi certezza.    3. Logica: il criterio della verità - Anche Cicerone, come tutti i filosofi  del suo tempo, ritiene che il compito precipuo della filosofia consi-  sta nello stabilire il «fine dell’uomo», e quindi la natura del «sommo  bene», e che, per poter far questo, occorra stabilire quale sia il criterio  del vero:    Queste sono le questioni massime in filosofia: il criterio della verità  e il fine dei beni, né può essere sapiente chi ignori o il principio del  conoscere o il termine dell’appetizione, così da non sapere da dove si  debba partire o dove si debba arrivare.°    Iniziamo dall’esame del «criterio del vero», che è il punto di par-  tenza.   In primo luogo, Cicerone accoglie positivamente la testizzonianza  dei sensi.   Non l’accoglie a livello di certezza assoluta, ossia a livello di cer-  tezza tale da meritare l’assenso totale, ma 4 livello di probabilità (si  ricordino le posizioni di Filone e di Antioco). L'evidenza dei sensi e  dell’esperienza è, dunque, un primo criterio: chi nega queste eviden-  ze, sovverte la possibilità stessa della vita.”   Un secondo criterio Cicerone lo trova nel «senso comune», nel  «consenso universale degli uomini» (nonché nel consenso dei dotti).  Egli usa anzi espressioni che riecheggiano una certa forma di «inna-  tismo», che si rifà, molto alla lontana, all’innatismo platonico e, più    > Tusc. disp., IV, 4,7.  6 Acad. pr., II, 9, 29.  ? Cfr. Acad. pr, II, 31,99.    1512. LIBROVI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    da vicino, alla dottrina della «prolessi» che — come abbiamo visto — è  comune sia al Giardino sia al Portico.   Così Cicerone — per limitarci all'ambito che maggiormente inte-  ressa — ammette non solo che la natura umana ci abbia dato serzina  innata delle virtù, cioè naturali disposizioni alla virtù, ma che abbia  altresì ingenerato size doctrina notitias parvas rerum maximarum, per  raggiungere le medesime virtù.   Ed è precisamente questo generico innatismo la vera motivazione  che gli fa ritenere come probante il senso comune e il consenso di tutti  gli uomini.   Naturalmente, Cicerone non ci sa dire di più a questo proposito:  risale dal «senso comune» e dal «consenso universale» a nozioni da-  teci naturalmente, cioè «innate», e con questo crede di aver raggiunto  un criterio dotato di evidenza tale da non aver bisogno di ulteriore  fondazione.    4. Fisica — Per i problemi «fisici» — cioè per il grosso dei problemi  cosmo-ontologici che le filosofie ellenistiche includevano nella dot-  trina della physis — Cicerone mostra pochissimo interesse. Ciò è ben  conforme al sentire squisitamente romano, il quale solo se vede una  precisa valenza pratica si interessa ai problemi speculativi.   Naturalmente, egli fa eccezione per i problemi di Dio e dell’anima,  che sono strettamente legati all’etica, nel senso che condizionano, in  ultima analisi, il senso ultimo della medesima.   Per quanto concerne la soluzione dei problemi metafisici e ontolo-  gico-cosmologici egli nutre uno scetticismo molto più spinto che per  tutto il resto. Non li sa impostare e risolvere, soprattutto per il motivo  che non gli interessano esistenzialmente. Perciò gli è anche più como-  do affermare che sulla natura delle cose è molto più facile dire corze  non sia la verità che non come sia, e che tutto è circonfuso di tenebre  che non si possono squarciare:    Tutte queste cose ci restano nascoste, occultate e circonfuse di  dense tenebre, al punto che nessun acume di umano ingegno è così  grande, da saper penetrare nel cielo o entrare dentro la terra.!°    Tuttavia egli prudentemente non ritiene che siano da bandire del  tutto le questioni fisiche, perché la considerazione della natura è, in    8 Tusc. disput., III, 1,2.  ° De finibus, V, 21, 59.  !0 Acad. pr., II, 39, 122.    CICERONE 1513    ogni caso, cibo e sostentamento della mente, forza che ci sorregge e  che ci porta in alto e, portandoci così in alto, ci permette di guardare  con nuova ottica le cose umane e quindi di ridimensionarle. Consi-  derando le cose celesti e sublimi, si comprende come le cose terrestri  siano piccole e meschine. Senza contare, poi, la gioia spirituale che noi  proviamo allorché ci imbattiamo, se non nell’irraggiungibile vero, in  qualcosa di verosimile:    Non penso [...] che si debbano bandire queste questioni dei fisi-  ci. Infatti la considerazione e la contemplazione della natura è come  naturale pascolo degli animi e degli ingegni. Ci innalziamo, ci sembra  di diventare più grandi, disprezziamo le cose umane, e pensando alle  cose superiori e celesti, disprezziamo queste nostre come piccole e  vili. La stessa indagine di cose grandissime e occultissime ci dà dilet-  to. Se poi accade che qualcosa ci sembri verosimile, allora l’animo si  riempie di piacere umanissimo.!!    Come si vede, è sempre in chiave etica e antropologica che Cicero-  ne affronta i problemi.!?    5. Pensieri teologici — Sull’esistenza di Dio Cicerone non sembra nu-  trire dubbi. Il consenso di tutti i popoli è per lui la prova più solida:    Quanto all’esistenza degli dèi, la prova più solida che se ne possa  addurre è questa, a quel che pare: non c’è popolo, per quanto barba-  ro, non esiste uomo al mondo, per selvaggio che sia, che non abbia  nella mente almeno un’idea della divinità. Sugli dèi molti hanno delle  convinzioni errate, e questo fatto normalmente è dovuto all’influenza  corruttrice dell’abitudine: ma tutti quanti credono nell’esistenza di  una forza e di una natura divina, e questa convinzione non è effetto di  un precedente scambio di idee fra gli uomini e di un accordo generale,  né ha trovato appoggio in istituzioni o leggi: ora, in ogni questione, il  consenso dei popoli si deve considerare legge di natura.!    Analogamente, Cicerone non ha dubbi sulla Provvidenza: sia le  cose esterne dimostrano di essere state finalizzate in funzione dell’uo-  mo, sia la forma e la struttura dell’uomo stesso e dei suoi organi ricon-  fermano una organizzazione finalistica.   E dire organizzazione finalistica è dire Provvidenza.!*    !! Acad. pr., II, 41, 127.   1° Ibidem.   3 Tusc. disput., 1, 13, 30.   14 Cfr. De nat. deor., passim.    1514 LIBRO VI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    Nulla ripugna a Cicerone più della concezione meccanicistica pro-  pria dell’atomismo epicureo: un casuale e meccanico accozzamento  delle lettere dell’alfabeto non potrà mai — dice sensatamente Cicerone  — generare gli Arzali di Ennio:!    Come non provare meraviglia, a questo punto, se qualcuno ritiene  che corpi solidi e invisibili siano trascinati dalla forza del loro peso  e che dalla loro fortuita unione sia derivato il mondo con tutti i suoi  splendori e le sue bellezze? Chi fosse disposto ad ammettere una cosa  del genere non vedo perché non dovrebbe anche ritenere che, se si  raccogliessero da qualche parte in un numero molto elevato di esem-  plari le ventuno lettere dell’alfabeto foggiate in oro o in altro materiale  e le si gettassero a terra, dovrebbero ricostituirsi tutti gli Armati di En-  nio ormai pronti per la lettura: un risultato che il caso non riuscirebbe  forse a realizzare neppure limitatamente a un solo verso. !    Più incerto si mostra, invece, Cicerone quando deve prendere po-  sizione circa la natura di Dio.   Egli, in primo luogo, crede all’unità di Dio. Ma come concepire-  mo, dal punto di vista ontologico, questo Dio-uno?   Chi fin qui ci ha seguito non può aver dubbi sul fatto che alla do-  manda non potremo avere se non risposte ambigue e oscillanti fra spi-  ritualismo e materialismo. E, questo, non già per ragioni contingenti,  ma per motivi strutturali. In effetti, o si recuperavano i risultati della  «seconda navigazione» platonica e il senso del trascendente, oppure  le affermazioni sulla spiritualità di Dio dovevano rimanere senza alcun  fondamento teoretico. Nelle Tuscolane leggiamo:    E la divinità stessa, quale noi ce la rappresentiamo, non può essere  concepita che come uno spirito indipendente, libero (vers soluta qua-  edam et libera), e privo di ogni elemento corruttibile: uno spirito che  tutto sente e tutto muove, ed è a sua volta dotato di eterno movimento.!$    Ma l’espressione «7ens soluta quaedam et libera» non ci deve trar-  re in inganno, perché questa z2ers soluta et libera non può essere pen-  sata da Cicerone in funzione della categoria del soprasensibile, tant'è  che egli finisce per accettare l’ipotesi stoica che si tratti di aria e fuoco,  oppure anche dell’aristotelico etere.!”    5 De nat. deor., II, 37,93.  16 Tusc. disput., 1, 27, 66.    CICERONE 1515    6. Idee sull’anima — Analogamente egli non dubita dell'immortalità  dell’anima, giacché è la natura stessa che ha posto in noi questa con-  vinzione, tanto è vero che tutti si preoccupano di quello che sarà dopo  la morte.!8   Questo è per Cicerone il più valido argomento a favore dell’im-  mortalità, anche se non esita a riprendere, di rincalzo, le tradizionali  prove di estrazione platonica.! L'anima è ciò che ci congiunge a Dio  ed è quasi il punto di tangenza che l’uomo ha con Dio:    Niente di quello che sta sulla terra può spiegare l'origine dell’ani-  ma, perché in essa non c’è nulla che sia misto o composto, nulla che  si possa considerare derivato o formato dalla terra, nulla che abbia la  natura dell’acqua, dell’aria o del fuoco. In effetti, nella composizio-  ne di questi elementi, non rientra nulla che abbia la proprietà della  memoria, dell’intelligenza, del pensiero, che possa ritenere il passa-  to, prevedere il futuro, abbracciare il presente: questi sono attributi  esclusivamente divini e non si potrà mai trovare per loro altra prove-  nienza che non sia la divinità. L'anima, insomma, ha un’essenza e una  natura del tutto speciali, e ben distinte da quelle degli altri elementi  comuni e a noi noti. Pertanto, qualunque sia la natura di quell’entità  che sente, che conosce, che vive, che agisce, essa deve essere necessa-  riamente celeste e divina, e di conseguenza eterna. E la divinità stessa,  quale noi ce la rappresentiamo, non può essere concepita che come  uno spirito indipendente, libero, e privo di ogni elemento corruttibile:  uno spirito che tutto sente e tutto muove, ed è a sua volta dotato di  eterno movimento. Di questa specie e di questa medesima natura è  l’anima umana.?    Naturalmente, anche a proposito del problema della natura dell’a-  nima si notano le stesse incertezze e le stesse oscillazioni che abbiamo  notato a proposito del problema della natura di Dio. E la radice di  queste incertezze è la medesima: la natura dell’anima è filosoficamente  determinabile solo in funzione della categoria del soprasensibile; altri-  menti si cade inesorabilmente nel materialismo.   E, infatti, poco prima del passo letto, Cicerone scrive:    E certo, se la divinità è aria o fuoco, come lei è fatta l’anima  dell’uomo: quella sostanza celeste non ha in sé né terra né liquido, e    ! Cfr. Tusc. disput., I, 26, 65.  18 Tusc. disput., 1, 14,31.   19 Tusc. disput., I, 12, 50 ss.  20 Tusc. disput., I, 27, 66.    1516 LIBROVI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    questi due elementi sono egualmente assenti dall'anima umana. Se poi  esiste una quinta essenza, quella introdotta da Aristotele, essa rientra  sia nella divinità sia nell’anima.?!    Ma aria, fuoco e la stessa quinta essenza sono, appunto, sempre e  solo materia.    7. Pensiero morale — La parte della filosofia che di gran lunga più  interessa Cicerone — come abbiamo già rilevato — è l’etica. E non è  quindi senza ragione che le sue due opere più vive siano quelle Suz  doveri e Sul fine dei beni e dei mali.   Più che mai è vero per Cicerone che non la aristotelica pura attività  contemplativa, ma la attività pratica e sociale è regina. Ecco un passo  molto eloquente:    Ritengo siano più conformi alla natura quei doveri che promanano  dal sentimento sociale, che non quelli che promanano dalla sapienza,  e questo può essere affermato dal seguente argomento, che, se a un  uomo sapiente toccasse una condizione di vita tale che, affluendo a lui  le ricchezze più varie, egli potesse dedicarsi in piena tranquillità allo  studio e alla contemplazione di tutte quelle cose che sono degne di  essere conosciute, tuttavia, se la solitudine fosse così grande che non  potesse vedere nessun uomo, egli preferirebbe morire [...]. Infatti,  la conoscenza e la contemplazione (della natura) sarebbero in cer-  to modo manchevoli e imperfette, se non dovesse seguir loro alcuna  attività concreta; e questa attività si manifesta specialmente nell’assi-  curare l’utilità degli uomini; riguarda, dunque, la società del genere  umano; perciò questa deve essere anteposta alla scienza.”    Ma, anche in questo ambito specifico, si cercano invano delle no-  vità di fondo in Cicerone.   Egli discute le etiche dei sistemi epicureo, stoico, accademico e pe-  ripatetico; respinge in blocco la morale epicurea e procede a eclettici  accomodamenti fra le altre.   Da un lato, egli è portato ad ammirare soprattutto la morale stoica,  da un altro lato fa concessioni alla morale accademica e a quella peri-  patetica (che egli considera sostanzialmente identiche).    21 Tusc. disput., I, 26, 65.   2 De offictis, I, 43, 153 (nel passo omesso dopo i puntini Cicerone parla della  superiorità della sophia sulla phroresis, ma autocontraddicendosi in modo impres-  . ) p  sionante).    CICERONE 1517    Cicerone non può, infatti, accettare il principio stoico che solo il  sapiente è buono e tutti gli altri sono viziosi, perché — egli rileva — la  sapienza dello stoico sapiente è tale che «alcun mortale ancora non ha  raggiunto», e perciò egli propone di considerare ciò che è nella con-  suetudine e nella vita comune, non quello che è nelle pure aspirazioni  e nei puri desideri.”   Anche per lui il principio fondamentale della morale è seguzre la  nostra natura individuale nel rispetto della generale natura umana.   Questo richiamo alla natura dell’uomo, che è anima e corpo, per-  mette a Cicerone di temperare la morale stoica e rivendicare anche  i diritti del corpo, giacché è necessario vivere biologicamente, ossia  soddisfare alle esigenze del corpo, proprio per poter ulteriormente  soddisfare alle esigenze della ragione. E, così, per questo aspetto, egli  si schiera dalla parte dei Peripatetici, come già Panezio e Posidonio  avevano in parte fatto.   Ma poi torna agli Stoici nel riportare la virtù interamente alla ra-  gione, dissentendo dalla tipica concezione aristotelica della virtù etica  come via di mezzo fra opposte passioni.   E come gli Stoici, egli ritiene la virtù «autosufficiente» e bastevole  per la vita felice. E sembra allearsi con gli Stoici anche nel concepire il  saggio come privo di passioni e imperturbabile.   Infine, anche le rivendicazioni dell’umana libertà nell’opera Su/  Fato vanno ben poco oltre la pura affermazione di una libertà intui-  tivamente colta: i moti volontari dell’anima non hanno cause esterne  ma dipendono da noi, nel senso che ne è causa la natura stessa della  nostra anima.    8. Conclusioni sul pensiero ciceroniano — Quando Cicerone dai prin-  cìpi scende all’analisi dei «doveri intermedi» (quelli che gli Stoici chia-  mavano kathekonta), allora mette in evidenza tutta la sua intelligenza  e assennatezza pratica.   Ma qui siamo, ormai, non più nel campo della filosofia in senso  stretto, ma piuttosto in quello della fenomenologia morale.   D'altra parte è inevitabile che tutte le notazioni e i rilievi originali  che si ritrovano in Cicerone nell’ambito delle analisi morali non va-  dano oltre il piano fenomenologico e restino teoreticamente in certo  senso un poco informi.    ® De amicitia, 5,18.  24 Cfr. De officiîs, I, 31, 110.    1518. LIBROVI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    Le ambigue risposte ai problemi ontologici e antropologici dell’E-  clettismo non gli permettono — proprio per ragioni strutturali — di  spingersi oltre.   Come giustamente ha scritto il Marchesi, «Cicerone non ha dato  nuove idee al mondo [...]. Il suo mondo interiore è povero per la ra-  gione che dà ricetto a tutte le voci».   Il suo contributo maggiore sta, dunque, nella fusione e divulgazio-  ne della cultura antica e, in questo ambito, egli è veramente una figura  essenziale nella storia spirituale dell'Occidente. «Anche qui — è ancora  il Marchesi che scrive — si manifesta la forza divulgatrice e animatrice  dell’ingegno latino: perché nessun Greco sarebbe stato capace di dif-  fondere, come ha fatto Cicerone, il pensiero greco per il mondo».    9. La figura di uomo dalle conoscenze enciclopediche di Varrone —  Uomo di vaste conoscenze filosofiche come Cicerone, fu anche Var-  rone Reatino. Egli fu propriamente un enciclopedico: già i suoi con-  temporanei lo giudicarono il più colto dei Romani.   Più che di una filosofia di Varrone si può parlare di implicanze  filosofiche della sua cultura generale.   Contrariamente a Cicerone, che come abbiamo visto segue Filone  di Larissa, egli si schiera dalla parte di Antioco, e gli resta in larga  misura fedele.   La sua concezione dell’anima come «pneuma» e del Divino come  «Anima del mondo» sono in perfetta sintonia appunto con l’Ecletti-  smo stoicizzante antiocheo.   E le sue idee morali non presentano novità di rilievo.   La dottrina filosofica per cui egli è più noto consiste nella distin-  zione delle tre forme di teologia (una distinzione che ha radici molto  antiche):    a) la «teologia favolosa o mitica» dei poeti;  b) la «teologia naturale» propria dei filosofi;    c) la «teologia civile», che si esprime nelle credenze e nei culti delle  Città.    5 C. Marchesi, Storia della filosofia latina, Milano 19718, I, p. 317. Per uno sta-  to della questione, una dettagliata analisi del pensiero filosofico di Cicerone e per  aggiornamenti bibliografici, si veda l’opera citata supra, p. 1481, nota 23, capitolo  VI, che contiene la trattazione del nostro autore a cura di G. Gawlick e W. Gòrler,  pp. 991-1168.   26 E nato a Rieti nel 116 a.C. ed è morto nel 27 a.C.    VARRONE 1519    È fuori dubbio che Varrone ritenesse la seconda forma di teologia  come la più vera.   Tuttavia, il Boyancé rileva quanto segue: «da tempo alcuni filosofi  si sforzavano di dare un posto alla teologia dei poeti e delle Città. Si  trattava della tradizione storica dei Greci e di Roma e Varrone aveva  un rispetto tutto romano di questa tradizione. L’erudito, in lui, rispet-  toso in particolare della storia delle parole, credeva di poter fonda-  re la verità dei filosofi. [...] Tutto ciò non avveniva in Varrone senza  esitazioni, dubbi e scacchi, di cui aveva consapevolezza. Ma egli era  sostenuto dal fervore delle sue convinzioni e dalla vastità delle sue  conoscenze»?    2? P. Boyancé, Les implications philosophiques des recherches de Varron sur la re-  ligion bumaine, in «Atti del Congresso Internazionale degli Studi Varroniani», Rieti  1976, I, p. 161. Cfr. Schedario, s.0    PARTE XX Giovanni Reale. Reale. Keywords: Crotone, Velia, Crotonensi, la scuola di Crotone, la scuola di Velia, I veliani, Parmenide, Girgentu – filosofia siciliana – magna Grecia non e Sicilia --. I confine della magna Grecia – filosofia italica, filosofia italiana – la filosofia nella peninsula italiana in eta anticha – filosofia Latina, filosofia romana. Catalogo di Nome di Filosofi Italici, il poema di Parmenide, il poema di Girgentu, il poema di Velia, la porta rossa di Velia, Zenone di Velia, Filolao di Taranto, Gorgia di Lentini, Archita di Taranto, studi degl’antichi italici da I romani, Etruria e Magna Grecia, le radice etrusche della filosofia romana, fisiologia, teoria dela natura, uomo, la moralia, la colloquenza o dialettica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reale” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Reghini: la ragione conversazionale -- numero tri-angolare, numero qua-drato, numero pi-ramidale -- l’implicatura del numero sacro crotonese, e il simbolismo duo-decimale del fascio littorio etrusco -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “It’s difficult to call Reghini a philosopher; yes, he was interested in Pythagoras – but to what extent can, in spite of Russell, number GROUND a whole philosophy?” Studia a Pisa. Insegna a Roma. Promotore della setta di Crotone, è affiliato a vari gruppi dell'esoterismo italiano. Entra nella società teo-sofica e ne fonda la sezione romana. Fonda a Palermo la biblioteca di teo-sofia filo-sofica. È iniziato a Memphis di Palermo, rito massonico di supposta origine egizia. Entra a Firenze nella loggia Lucifero, dipendente dal Grande Oriente. Adere al martinismo papusiano, diretto da SACCHI, verso le carenze della cui maestranza e pubblicistica apporta una demolizione magistrale. È chiamato d’ARMENTANO, che lo avvia allo studio della scuola di Crotone. Entra nel supremo consiglio universale del rito filosofico italiano, dal quale però si dimise, non havendo infatti un'alta opinione dello stato della massoneria in Italia. Insignito del XXXIII massimo grado del rito scozzese antico e accettato, entra a far parte come membro effettivo del supremo consiglio, di cui è cancelliere e segretario.  Gl’anni della grande guerra vedeno discepoli e maestri della schola italica pitagorica partire volontari per il fronte. Non rimase inerte innanzi al sorgere dell’istanze interventiste. Partecipa attivamente alla manifestazione romana del maggio, culminata in Campidoglio, tesa ad ottenere la dichiarazione di guerra. Accolto nell'accademia militare di Torino come allievo ufficiale di Genio, parte volontario per il fronte, ottenendo sul campo il grado di capitano di Genio. Lui ed il suo maestro ARMENTANO creano a Roma l'associazione pitagorica, che riprende le fila di precedenti esperienze e si richiama operativamente al sodalizio pitagorico. Fonda e anima varie riviste, con interventi sagaci e ricchi di dottrina. Scrive sul papiniano “Leonardo”, dando vita ad “Atanór, Ignis, e UR, con COLAZZA,  EVOLA (si veda) come direttore, PARISE, ed ONOFRI. Contrasti d'idee e caratteriali prevalser nel rapporto di collaborazione fra lui ed EVOLA, provoca la scelta evoliana di allontanamento di questi, assieme a PARISE, dalla rivista “UR” -- rivista sórta a esprimere al pubblico della cultura l'intento dell'occulto Gruppo di Ur -- dove il maestro fiorentino pubblica con l'eteronimo di ‘Pietro Negri’. E se ne ha anche strascichi giudiziari. Infatti EVOLA tenta di farlo incriminare per affiliazione massonica -- affiliazione che costituiva reato dopo l'imposizione di scioglimento dell’associazioni segrete decretata dal regime fascista. Ma il potere giudiziario opta infine per un accordo tra i due onde evitare uno scandalo. Per via del condizionamento repressivo fascista volto all'emarginazione di tanti esponenti dell'esoterismo italiano – ARMENTANO parte per il Brasile --, ormai isolato si ritira dalle attività pubbliche e a Budrio si dedica all'insegnamento nel circolo quirico filopanti, alla meditazione in chiave pitagorica delle scienze matematiche. Ottenne riconoscimenti  dei lincei e dall'accademia per la sua opera sulla restituzione della geo-metria pitagorica. Il Crepuscolo dei Filosofi regalato dal suo autore, Papini all’amico Arturo al suo ingresso nella loggia fiorentina ‘Lucifero.” Nel fronte-spizio una dedica ad inchiostro, scolorito dal tempo, ‘Al fratello R. il suo PAPINI’ in R., pitagorico, su il manifesto  Rito filosofico italiano, Massa, “Pagine esoteriche” (Finestra, Trento). In questa qualità firma il decreto del suo scioglimento (riprodotto in Sessa, I sovrani grandi commendatori e storia del supremo consiglio d'Italia del rito scozzese antico ed accettato, Palazzo Giustiniani (Bastogi, Foggia), in seguito all'approvazione alla camera dei deputati del progetto di legge sulla disciplina delle associazioni, presentato da MUSSOLINI,  mirante allo scioglimento della massoneria. Iacovella, "Il barone e il pitagorico”, Vie della Tradizione, Cfr. la recensione fatta ne da Guénon. Altri saggi: ““Parola sacra e parola di passo dei gradi”; “Il mistero massonico” (Atanor, Roma); “Geo-metria pitagorica” (Basilisco, Genova); “Il numero sacro nella tradizione pitagorica”; “Il numero sacro e la geo-metria pitagorica”;  Il fascio littorio, ovvero il simbolismo duo-decimale”; “Il fascio etrusco” (Basilisco, Genova); “Il numero sacro nella tradizione crotonese” (Ignis, Roma); “Del numero”; Prologo Associazione culturale Ignis, Dell'equazione indeterminata di secondo grado con due incognite” (Archè/pizeta); “Della soluzione dell'equazione di tipo Pell x2-Dy2=B e del loro numero” (Archè/pizeta); “Il numero tri-angolare, il numero qua-drato, il numero pi-ramidale  a base tri-angolare, il numero pi-ramidale a base qua-drata” (Archè/pizeta); “Dizionario filologico” (Associazione culturale Ignis"), Cagliostro, ("Associazione culturale Ignis"), “Considerazioni sul rituale dell'apprendista libero muratore” (Phoenix, Genova); “Paganesimo, scuola di Crotone, Massoneria” (Mantinea, Furnari, Messina); “Per la restituzione della massoneria crotonese italica (Raffaelli, Rimini); “La tradizione crotonese massonica” (Melita, Genova);  “Trascendenza di spazio e tempo”, Mondo Occulto (Napoli, ASEQ). Cura “De occulta philosophia” di AGRIPPA (Fidi, Milano);  I Dioscuri, Genova; La Sapienza pagana e crotonese (La Cittadella.  I Libri del Graal. Geminello Alvi, R., il massone pitagorico che ama la guerra, Corriere della Sera; Paradisi, Il pitagorico che sogna l’impero, L’Indipendente, Luca, "Un intellettuale neo-pitagorico tra massoneria e fascismo" (Atanòr, Roma); Parise, "Nota su R.", in calce a “Considerazioni sul rituale dell'apprendista libero muratore” (Phoenix, Genova); Sestito, “Il figlio del sole” (Ancona, Associazione Culturale Ignis); Via romana agli Dei Amedeo Rocco ARMENTANO, Evola  Parise, Schiavone, a metà strada tra fascismo e massoneria, su archivio storico. Centro Giorgi Scuola Normale Superiore di Pisa, Breve biografia su mathematica. Boni, Omaggio su rito simbolico; Un pitagorico dei nostri tempi; Bizzi, La Tradizione occidentale. Grandi massoni. Illustre matematico e anti-fascista -- grande oriente. Pitagorico, su ilmanifesto.  Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista romana» dal po¬   deroso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon. Tradizio¬  ne e civiltà, Napoli 1985, pp. 179-210, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬  punto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del  tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente  che col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singo¬  li casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene  organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬  muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza  che potè as sumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di  Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a dimo¬  strare.    17          zioni (8) e che non mancherà di ulteriori sviluppi.   In questa sede sarà sufficiente fare rapido riferi¬  mento a quell’epoca gravida di grandi e decisive tra¬  sformazioni che fu il Rinascimento italiano. È so¬  prattutto nel corso del XV secolo che tradizioni oc¬  culte, sopravissute per secoli nel più grande segreto,  paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuo¬  va manifestazione dal contatto con personalità del¬  l’Oriente europeo di altissima rilevanza intellettuale,  come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande  rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi  anni dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cena¬  colo esoterico a Mistra, la medievale erede dell’anti¬  ca Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare  testi dell’antichità pagana (come le opere dell’impe¬  ratore Giuliano, che vi venivano trascritte), si cele¬  bravano veri e propri riti e si elevavano inni in onore  degli dèi olimpici (9).   La figura e la funzione di Giorgio Gemisto Pleto¬  ne sono ancora troppo poco note in generale e, in  Italia, non ancora studiate (10). In genere, ci si limi-    (8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della tradizio¬  ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos», voi. V, numeri 21 e 25  (1980-82), pp. 1-13, 275-281; parte III, voi. VI, n. 29(1985), pp. 149-157;  vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vitto¬  ria, con un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edi¬  zioni del Basilisco, Genova 1987.   (9) Si tenga conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a livello  popolare, culti nei confronti degli dèi classici sino al IX secolo della no¬  stra era.   (10) In lingua italiana mancano ancora del tutto studi approfonditi.    18    ta a citare, a proposito di lui, la sua partecipazione  al Concilio di Firenze e l’istituzione dell’Accademia  Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella villa di Ca-  reggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Co¬  simo il Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnificosu suggestione del Pletone. Ma gli effetti dovettero  essere ancora più interessanti e gravidi di conseguen¬  ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬  gio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala-  testa. Signore di Rimini: colui che ne sottrarrà il ca¬  davere agli Ottomani (1464), i quali avevano occu¬  pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in  un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malate¬  stiano». Lo stesso Malatesta dovette pure essere in  rapporto con la ben nota «Accademia Romana» di  Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-  stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo    Ci si dovrà pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi  sul platonismo del Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II),  Sansoni, Firenze 1936; P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale  del Rinascimento, in «Vie della Tradizione», X, 39 (1980), pp. 139-147  (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è in corso di  stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo «Paganitas», lo  squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di recente, ci è ca¬  pitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una rivistina satirica di si¬  nistra, un reportage da Mistra singolarmente informato e documentato  su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO SARDO, La repubblica  dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in «Frigidaire», 56-57, luglio-  agosto 1985, pp. 55-63).   (11) Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi-  mus), 1 ’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il quale    19          dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori   «spregiava la religione cristiana ed usciva in vio¬  lenti discorsi contro i suoi seguaci... venerava il ge¬  nio della città di Roma. (...) Quale rappresentante  di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬  simo, si schierarono ben presto attorno a Pompo¬  nio un certo numero di giovani, spiriti liberi dalle  idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli iniziati  consideravano la loro dotta società come un vero  collegio sacerdotale alla foggia antica, con alla te¬  sta un pontefice massimo, alla quale dignità fu  elevato Pomponio Leto» (12).   Si noti che sembra certa l’adesione alla cerchia del  Leto del principe Francesco Colonna, Signore di Pa-  lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto l’autore  della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬  sto molto citato, ma molto poco letto e soprattutto  compreso, dove, in ogni modo, una sapienza ermeti¬  ca si sposa all’esaltazione, non tanto filosofica.    fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del movimento pagano  di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de Mistra, Paris 1956,  p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più completa esistente  sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto Pletone). Si noti che il Pla¬  tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo, discepolo di Pletone, e che un  altro antico discepolo, il Cardinal Bessarione, si prodigò per la liberazio¬  ne da Castel Sant’Angelo dei membri dell’Accademia Romana nel 1468,  dopo che furono accusati dal papa Paolo II — non senza fondamento  — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p. 343) si domanda se l’Accade¬  mia Romana «non fosse in qualche modo una filiale di quella di  Mistra».   (12) L. von PASTOR, Storia dei Papi, voi. II, Roma 1911, pp. 308-309.    20    quanto mistica, del mondo della paganità romano¬  italica, culminante nella visione di Venere Genitrice.   Se si rifletta al fatto che Francesco Colonna, rea¬  lizzatore fra il 1490 e il 1500 del nuovo imponente  palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio di  Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili  nelle strutture originali), vantava discendenza diret¬  ta dalla gens Julia e quindi da Venere (13), si potrà  allora intravedere come l’apporto vivificante della  corrente sapienziale reintrodotta in Italia da Gemi¬  sto Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio  di una tradizione antichissima, gelosamente custodi¬  to nel silenzio dei secoli col tramite di alcune fami¬  glie nobiliari italiane, in ispecie laziali, generosa¬  mente fruttificando: nel senso di spingere ad un rin¬  novamento tradizionale non solo l’Italia, ma persi¬  no, ad un certo momento, lo stesso papato, se avven¬    ti 3) Risulterà forse sorprendente apprendere come i Colonna posse¬  dessero ancora fino ai nostri giorni (è documentato almeno sino al  1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare, Boville (Frattocchie d’Alba-  no). Sempre fino al 1927 era visibile nel giardino Colonna al Quirinale  l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie ricavate da:  P. COLONNA, I Colonna, Roma 1927, pp. 5-6). Tolomeo 1 Colonna  ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia stirpe  progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia Italiana»,  X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia Poli¬  phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di France¬  sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980.  Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte del¬  l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in considerazione  della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco Colonna, la conside¬  ra come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce (/ Rosa¬  croce, Milano 1982, pp. 76 e sgg.).    21          ne che poco mancò che salisse al soglio pontificio  quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo  diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato,  come scrisse in una lettera privata ai figli del mae¬  stro dopo la sua morte, «il più grande dei Greci do¬  po Platone» (14).    Ma altri tempi tristi dovevano giungere, tempi in  cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimo¬  strò il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, av¬  volgenti nell’anno di Cristo 1600 il corpo, ma non  l’animo, di Giordano Bruno, rivivificatore generoso,  ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che  trovavano analoga eco — frutto di una linfa non  mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale — nella  poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese  Tommaso Campanella, lui pure oggetto di odiose  persecuzioni.   Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia, parzial¬  mente realizzatasi nel 1870 con la fine della millena¬  ria usurpazione temporale dei papi, per trovare una  situazione mutata. A questo punto bisogna chiarire  una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che  dal punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬  tà d’Italia — indipendentemente dai modi con cui    (14) Si dovrà ricordare che il Bessarione raccolse cum pietate nel suo  studio le opere e i manoscritti del maestro, in particolare alcuni fram¬  menti apertamente pagani delle Leggi, dotandone poi la Biblioteca  Marciana da lui fondata, a Venezia.    22    potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e  prevaricatori della dignità e delle sacrosante autono¬  mie di diverse popolazioni italiche) e dall’azione di  certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette  varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla  — era e rimane condizione imprescindibile e necessa¬  ria per ritornare alla realtà geopolitica dell’Italia au-  gustea (e dantesca): quindi per propiziare il rimani¬  festarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine  che ab origine a quella realtà geografica — consa¬  crata dalla volontà degli dèi indigeti — sono legate.   È un dato che si dovrà tenere ben presente, per  meglio intendere certi fatti che avremo modo di  esporre in seguito.    Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è nell’a¬  ria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà av¬  vertito dalle anime più sensibili.   Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con  un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬  ci, valendosi di una sensibilità non inferiore a quella  con cui in quegli stessi anni conduceva l’esegesi di  certi lati occulti della dantesca Commedia, con il se¬  guente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬  tri latini, da noi non riprodotto) celebrava in una  semplice aula scolastica la solennità del 21 aprile  1895:    23         «L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio,  leva il fumido muso ad una branca  d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca,  e n’echeggia il frondifero Palazio.   Una mano sull’asta, una sull’anca  del toro, l’arator guarda lo spazio:  sotto lui, verde acquitrinoso il Lazio;  là, sul monte, una lunga breccia bianca.   È Alba. Passa l’Albula tranquilla,   sì che ognun ode un picchio che percuote   nell’Argileto l’acero sonoro.   Sopra il Tarpeio un bosco al sole brilla,  come un incendio. Scende a larghe ruote  l’aquila nera in un polverio d’oro» (15).   Allo scadere del secolo, nel 1899, è un fatto nuovo  di ordine archeologico il punto di riferimento im¬  portante ed essenziale per il secolo che sta per aprir¬  si: la scoperta nel Foro da parte dell’archeologo Gia¬  como Boni (un nome che non dovremo scordare) del  cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger (VI sec.  a.C.), in cui l’iscrizione in caratteri antichi del termi¬  ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente l’ef¬  fettiva esistenza in Roma della monarchia e, con  quanto ne consegue, la sostanziale fondatezza della  tradizione annalistica romana, trasmessa nel corso  di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬  ximi dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del-    (15) G. PASCOLI, Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento  latino, Zanichelli, Bologna 1925, p. 29. 11 lettore esperto potrà notare  come in pochi versi il poeta abbia saputo sapientemente concentrare  particolari nomi evocativi di determinate realtà primordiali dell’Urbe.    24    l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes sacerdotali  ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori  della sapienza delle origini, come poterono essere un  Macrobio ed un Marziano Capella nel V secolo.   È come se, fisicamente, una parte di tradizione ro¬  mana si esponesse improvvisamente alla luce del so¬  le a smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della  scuola tedesca, che, in nome di un presunto realismo  scientifico, aveva respinto in blocco le più antiche  memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬  guaci italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua  Storia di Roma (ristampata innumerevoli volte fino  in piena epoca fascista) aveva negato ogni tradizione  da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli  in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica.   Risulta che Giacomo Boni fu in corrispondenza  con un altro principe romano, pioniere degli studi  islamici e deputato al parlamento nei banchi della  sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe  di Teano, marito di una principessa Colonna.   Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato l’au¬  tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin  dal 1852, dove si sosteneva l’identità di Enea col  dantesco «messo del cielo» che apre le porte della  Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati di  Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e  quasi cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei    (16) Cfr. M. CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina  Commedia di Dante Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello 1894.    25           risultati del plebiscito che sanciva l’unione di Roma  all’Italia.   Proprio Leone Caetani sarebbe stato l’autorevole  tramite attraverso cui si sarebbero manifestate al¬  l’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam  (operativa proprio negli anni della scoperta del La¬  pis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz (cioè Ciro  Formisano di Portici) — che la definì talvolta come  Schola Italica — determinate influenze derivanti  dall’antica tradizione romano-italica se, come scrive  l’esoterista Marco Daffi {alias il conte Libero Ric-  ciardelli) (17) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro  riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬  vista «Commentarium» diretta dal Kremmerz, di un  articolo sul dio Pan e di una lettera di congedo dalla  redazione in cui egli riafferma in tali termini la pro¬    ti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona veramente auto¬  revole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto  da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore (...) Don Leone  Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano  Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest, Genova  1981, pp. 62 e 84). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in «.Commenta¬  rium» sono tre: La divinazionepantéa (n. 1 del 25 luglio 1910), Per Giu¬  seppe Francesco Borri (n. 3 del 25 agosto 1910), Gnosticismo e inizia¬  zione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In quest’ultimo scritto, con¬  sistente in una lettera di congedo come collaboratore della rivista, si ri¬  manda all’opera di un altro personaggio che, come «Ottaviano», doveva  riconnettersi allo stesso ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬  ganismo kremmerziano: l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un  curioso libretto intitolato Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola ani¬  ma o anche col corpo? (Torre Annunziata 1899), in cui nuovamente si  accenna al «ramoscello dorato del segreto, ossia la voce mistica di con¬  venzione» (p. 66) che Enea presenta a Proscrpina.    26    pria fede pagana:    «... non sono che pagano e ammiratore del paga¬  nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti (...)  volgo, che i miei antenati simboleggiavano nel ca¬  ne e lo pingevano alla catena sul vestibolo del Do-  mus familiae con la nota scritta: Cave canem; ca¬  ne perché latra, addenta e lacera» (18).   In quegli stessi anni (a partire dal 1905) era co¬  minciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di Ar¬  turo Reghini (1878-1946). La sua importanza fra i  più autorevoli esponenti europei della Tradizione, e  del filone romano-italico in particolare, risiede cer¬  tamente non tanto nel tentativo, vano e fatalmente  destinato all’insuccesso, per quanto disinteressato,  di rivitalizzare la massoneria al suo interno (19),  quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed    (18) OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione, cit., p. 210.   (19) Tentativo che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito  Filosofico Italiano, fondato nel 1909 dal Reghini, Edoardo Frosini ed  altri (il 20 ottobre 1911 vi sarà accolto come membro onorario Aleister  Crowley...), ma dall’esistenza effimera, dal momento che sin dal 1919 si  fuse con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza  del Gesù. 11 Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di  Raoul Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai  provvedimenti contro le società segrete del 1925. Giovanni Papini ha de¬  dicato alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬  ghini di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: «Arturo  Reghini visse, povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e¬  gli difese e incarnò, a suo modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno  di quelli che lo conobbero potrà dimenticarlo» (Passato remoto (1885-  1914), ed. L’Arco, Firenze 1948, p. 129).    27         alla riscoperta della tradizione classica e romana,  che gli era stato dato in compito di rivitalizzare «in  segreto», così come egli stesso si esprime in una let¬  tera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel nu¬  mero di aprile 1914 di «Ultra»:   «sai bene come il nostro lavoro, puramente meta¬  fisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto  sempre e volontariamente segreto» (20).   In tal modo il Reghini ben si inseriva nel filone  della corrente tradizionalista romana, in quella sua  variante che si può legittimamente definire «orfico-  pitagorica» (21), col contributo di numerosi scritti,  soprattutto sulla numerologia pitagorica, sparsi fra  molti articoli e opere impegnative, come Per la resti¬  tuzione della geometria pitagorica (1935; rist. 1978),  I numeri sacri della tradizione pitagorica massonica  (postumo 1947; rist. 1978), Aritmosofia (postumo    (20) A. REGHINI, La «tradizione italica», in «Ultra», Vili, 2 (aprile  1914), p. 69.   (21) Allo stesso modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica» si  potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla corrente  kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa preten¬  dere di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione romana (come  vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri giorni),  rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni validis¬  sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione romana  è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al di sopra  nella sua essenza originaria. Per cercare di comprendere la cosa, si dovrà  riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano, non per caso  divinità unica e propria della sacra terra laziale.    28    1980) ed il tuttora inedito Dei numeri pitagorici (22).   Con questa attività egli avrebbe perseguito la mis¬  sione affidatagli da un’antica scuola iniziatica di tra¬  dizione pitagorica della Magna Grecia (23) allorché,  ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da  colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale:  Amedeo Rocco Armentano (24), calabrese, ufficiale  dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il Reghini.   Ad Amedeo Armentano (1886-1966) apparteneva    (22) Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del  Reghini (1986), è stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬  mo, pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari 1986, a cura del¬  l’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi solo nel giugno 1984  con un poco iniziatico «atto notarile» (sic), ma che vanta diretta discen¬  denza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo eseguita  con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti storico-filologici e gli  scritti reghiniani (uno addirittura incompleto) non seguono nè un ordi¬  ne logico, nè cronologico. Il saggio suW Interdizione pitagorica delle fa¬  ve si potrà leggere ora completo in «Arthos» n. 30 (1986, ma stampato  1987).   (23) DIOGENE LAERZIO (Vili, 56) ricorda come il pensiero di Pi¬  tagora avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia:  «Come dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano  Archiloco, che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città (...)  e gli Italioti Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H.  Diels-W. Kranz; trad. ital. Bari 1981, v. I).   (24) Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. R. SE-  STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno dell’Associazio¬  ne Pitagorica, 111, 1-4 (1986), pp. 1-3. Di Armentano si vedano le Massi¬  me di scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri di  «Atanòr» ed «Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano lasciò l’I¬  talia per il Brasile, dove morì. È sintomatico come anche «Ottaviano»  in quel periodo si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancou¬  ver in Canada.    29         quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬  detta diroccata, su di uno scoglio deserto» (25) dove,  con gran dispiacere di Sibilla Aleramo, il giovane  protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mon¬  dadori, Milano 1927), «Luciano» {alias Giulio Pari¬  se), avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia  di un amico non nominato, vale a dire proprio il  Reghini.   Fu proprio nella torre di Scalea, in Calabria, che  il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo della tradu¬  zione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa,  a cui premise un ampio saggio di quasi duecento pa¬  gine su E.C. Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra  l’altro:    «E perciò, in noi, il senso della romanità si fonde  con quello aristocratico e iniziatico nel renderci  fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e  deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà  possibile di rimettere un po’ a posto le cose, e noi  speriamo che ci venga consentito, una qualche vol¬  ta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoteri¬  smo romano. Quanto alla permanenza di una  “tradizione romana”, si vorrà ammettere che se  una tradizione iniziatica romana pagana ha potu¬  to perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più as¬  soluto mistero. Non è quindi il caso di interloquire  con affermazioni e negazioni» (26).    (25) S. ALERAMO, Amo, dunque sono, cit., p. 15. Cfr. p. 50: «Lu¬  ciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto d’aver già operato  fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente accadute».   (26) A. REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA,    30    Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi  aspetti, per i tentativi di rivivificazione della tradi¬  zione italica. Nel numero di gennaio-febbraio 1914  di «Salamandra», in un articolo dal titolo fortuna¬  to, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, il Re¬  ghini coglieva occasione, scagliandosi contro il par¬  lamentarismo ed il suffragio universale che favoriva  cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e l’immu¬  tabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre  ricollegata nella sua visione al pitagorismo, si sareb¬  be trasmessa attraverso le figure di alcuni grandi ini¬  ziati sino ai nostri giorni (27). In ottobre, dalle pagi¬  ne di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un  importante articolo dottrinario, che:   «Il linguaggio e la razza non sono le cause della  superiorità metafisica, essa appare connaturata al  luogo, al suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput  mundi, la città eterna, si manifesta anche storica¬  mente come una di queste regioni magnetiche del¬  la terra. (...) Se noi parleremo del mito aureo e so¬  lare in Egitto, Caldea e Grecia prima di occuparci  della sapienza romana, non è perché questa derivi  da quella, ché il meno non può dare il più» (28).    Lm Filosofia occulta o la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma 1972,  pp. XCIII-XClV, nota.   (27) L’articolo fu poi ripubblicato in «Atanòr», I, 3 (marzo 1924),  pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura dell’omonima casa edi¬  trice di Roma).   (28) A. REGHINI, Del simbolismo e della filologia in rapporto alla  sapienza metafisica, in «Ultra», Vili, 5 (ottobre 1914), p. 506.    31          Intanto, nella notte del solstizio d’inverno del  1913, si era verificato un insolito episodio, gravido  di future conseguenze: in seguito a misteriose indi¬  cazioni, nei pressi di un antico sepolcro sull’Appia  Antica era stato rinvenuto, a cura di «Ekatlos» (29),  accuratamente celato e protetto da un involucro im¬  permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i  segni di un rituale.   «Ed il rito — riporta «Ekatlos» (30) — fu celebra¬  to per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi  sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra  e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua lu¬  ce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi” della  razza nostra romana; e un “segno che non può fal¬  lire” fu sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬  mini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio  profondo della notte, giorno per giorno».   «Il significato, le vere intenzioni e le origini di tali    (29) Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione di «Eka¬  tlos» con il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo  autore (si tratta, peraltro, certamente di C. Mutti, fanatico integralista  islamico) di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista  evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A propos de l’article d’Eka-  tlos, seguito da una Note sur Leone Caetani, in: J. EVOLA, Tous les  écrits de «Ur» & «Krur», 111 [Krur 1929], Arché, Milano 1985, pp. 475-  486). Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una  volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un  divario invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli  espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano.   (30) EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in «Krur»,  I, 12 (dicembre 1929), pp. 353-355, oggi in: GRUPPO di UR, Introdu¬  zione alla Magia, voi. Ili, Roma 1971, pp. 380-383.    32    riti pongono un problema», osserva il Di Vona (31),  «ma il loro fine immediato fu esplicito, e come tale  è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel dovuto  modo da un gruppo che si propose di dirigere verso  la vittoria italiana la I Guerra Mondiale».   Ma l’episodio ha un seguito: il 23 marzo 1919  (giorno in cui cade la festa romana del Tubilustrium,  o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato  a Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol-  cro, il primo Fascio di Combattimento (dal 1921 de¬  nominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli astanti  vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva  riesumato l’antico rituale, preannuncio a Benito  Mussolini: «Voisarete Console d’Italia». E fu la stes¬  sa persona che, qualche mese dopo la Marcia su Ro¬  ma, il 23 maggio 1923, vestita di rosso, offrì al Capo  del Governo un’arcaica ascia etrusca, con «le dodici  verghe di betulla secondo la prescrizione rituale le¬  gate con strisce di cuoio rosso» (32).   Con tale atto dal sapore sacrale, come è evidente.    (31) P. DI VONA, Evola e Guénon, cit., p. 202.   (32) EKATLOS, art. cit., p. 382, nota. La notizia è riportata con altri  particolari nel «Piccolo» di Roma del 23-24 maggio 1923, p. 2 [cfr. Ap¬  pendice 1]. Particolare curioso: la sera stessa del 23 maggio Mussolini  parti in aereo alla volta di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo,  24 maggio, anniversario dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero  di Redipuglia, alla presenza del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via  del ritorno verso Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto,  ad un atterraggio di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca  Cere, donde forse proveniva l’arcaico fascio.    33             le correnti più occulte portatrici della tradizione ro¬  mana avrebbero voluto propiziare una restaurazione  in senso «pagano» del fascismo.   Altri episodi concomitanti concorrono a rafforza¬  re questa supposizione. Dopo essere stata composta  proprio nel 1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923  (altre significative coincidenze di date), fu rappre¬  sentata sul Palatino la tragedia Rumori: Romae sa-  crae origines (il solo terzo atto), col beneplacito e la  presenza plaudente di Benito Mussolini. La tragedia  (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum) risulta  opera di un certo «Ignis» (pseudonimo sotto cui si  celerebbe l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bra¬  vo), che risulta godere di appoggi assai influenti, co¬  me quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice 11], e  appare, specialmente in quel terzo carmen che fu re¬  citato, più che una semplice rappresentazione sceni¬  ca, un vero e proprio atto rituale: un rito di consa¬  crazione, certamente denotante nell’autore, o nei  gruppi restati nell’ombra di cui egli era emanazione,  una conoscenza non solo filologica della tradizione  romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono  cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei  Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti,  come lascia intendere il rito di incisione su lamine  auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi, voluta-  mente incompleta, dei significati del nome di Roma.   Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fa¬  sciste affinché i simboli da esse evocate, come l’aqui¬  la o il fascio, non restassero puro orpello di facciata,  continuerà sino al 1929, che è anche l’anno in cui    34    Rumon verrà pubblicata, in splendida edizione uffi¬  ciale, dalla Libreria del Littorio, con i frontespizi or¬  nati di caratteri arcaici romani, disegnati apposita¬  mente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del  Lapis Niger già da noi incontrato, il quale avrà il pri¬  vilegio poco dopo, alla sua morte (1925), di essere  inumato sul Palatino stesso (33).   Ancora noteremo come sintomatica l’uscita, nello  stesso 1923, della Apologia del paganesimo (Formig-  gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro collaboratore  delle iniziative pubblicistiche di Evola [cfr. Appendi¬  ce III].   Fra il 1924 e il 1925 uscirono le due riviste «di stu¬  di iniziatici» «Atanòr» ed «Ignis», dirette da Arturo  Reghini, e in cui iniziò una collaborazione il giovane  Evola: affronteranno con un rigore ed una serietà  inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista  dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di parti¬  colare interesse: vi comparvero, per la prima volta in  Italia, scritti di René Guénon, fra cui a puntate, pri¬  ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È  peraltro evidente come il contenuto di queste riviste  non avesse un valore puramente speculativo, come  dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum  (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri di    (33) Fu proprio Giacomo Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mi¬  se a punto il prototipo del fascio romano (oggi al Museo dell’Impero)  per il Regime Fascista: è quello che compare sulle monete da due lire di  quel periodo (cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma  1983).    35           «Ignis», che preludono a quelli del successivo Grup¬  po di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pa¬  gano da parte del fascismo sperata dalla corrente  tradizionalista romana non solo stenta a verificarsi,  anzi è messa pericolosamente in forse dalle mene de¬  gli ambienti cattolici e clericali. Nel n. 5 del maggio  1924 di «Atanòr» Reghini con parole di fuoco de¬  preca alcune espressioni pronunciate da Mussolini  in occasione del Natale di Roma:   «Il colle del Campidoglio, egli ha detto, "‘dopo il  Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle  genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini, in¬  vece di esaltare la romanità, perviene piuttosto ad  irriderla ed a vilipenderla. (...) Noi ci rifiutiamo di  subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle  del Campidoglio».   E nel n. 7 di luglio, dopo il delitto Matteotti:   «... ecco un clamoroso delitto politico viene a  sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli ani¬  mi. (...) Investito da popolari e da ogni gradazione  di democratici, a Mussolini non resterebbe che  battere la via dell’imperialismo ghibellino, se non  esistesse un partito che già lo sta esautorando...  tengano ben presente i nostri nemici che, nono¬  stante la loro enorme potenza e tutte le loro pro¬  dezze, esiste ancor oggi, come è esistita in passato,  traendo le sue radici da quelle profondità interiori  che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena  iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e seco¬  larmente perseguitata».   L’ordine del giorno Bodrero e le successive leggi    36    sulle società segrete tolgono ulteriore spazio all’atti¬  vità pubblicistica del Reghini, che peraltro conflui¬  sce, fra il 1927 e il 1928, nel «Gruppo di Ur», for¬  malmente diretto da Julius Evola.   A noi qui non interessa tanto esaminare il lavoro  di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui par¬  teciparono, come è noto, personalità appartenenti  alle principali correnti esoteriche operanti in quegli  anni in Italia, dai pitagorici ai kremmerziani, dagli  steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi come  il De Giorgio, quanto sottolineare come in quella se¬  de dovesse essere stato, almeno in parte, ripreso il  programma di influenzare per via sottile le gerarchie  del fascismo, nel senso già voluto dal gruppo mani¬  festatosi nel 1913 con la testimonianza di «Ekatlos»  (che, non lo si dimentichi, viene riportata proprio  nel terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze  di tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse —  successivamente apparse col titolo di Introduzione  alla Magia). In un inserto per i lettori comparso nel  n. 11-12 di «Ur» (1927), Evola poteva scrivere: «...  possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che  mai, cerca un punto di sbocco in seno a quella bar¬  barie, che è la cosidetta “civilizzazione” contempo¬  ranea — e chi ci sostiene, collabora di fatto ad una  opera che trascende di certo ciascuna delle nostre  stesse persone particolari».   Del resto, molti anni più tardi, Evola stesso di¬  chiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬  grafia spirituale che l’intento del Gruppo era stato  quello, oltre a «destare una forza superiore dr servi-    37           re d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di far  sì che «su quella specie di corpo psichico che si vole¬  va creare, potesse innestarsi per evocazione, una vera  influenza dall’alto», sì che «non sarebbe stata esclu¬  sa la possibilità di esercitare, dietro le quinte, un’a¬  zione perfino sulle forze predominanti nell’ambien¬  te generale» (34). Un’indagine ben più approfondi¬  ta, come si vede, meriterebbe di essere svolta sugli  evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno del  Grupo di Ur (35), delle radici esoteriche e dei conte¬  nuti iniziatici della tradizione romana: a parte i con¬  tributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e,  pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui  ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume) Sul  «sacro» nella tradizione romana, ancora una volta  fondamentale resta l’apporto del Reghini (che firma  come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione Sul¬  la tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta  esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e  di personali acute intuizioni, nonché di probabili  «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà ad indicare  nel mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il sen¬  so e il massimo mistero iniziatico della tradizione    (34) J. EVOLA, Il cammino del cinabro, Milano 1972 (li ed.), p. 88.   (35) Un esame generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è sta¬  to da me compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla ver¬  sione tedesca del I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag,  Interlaken 1985). Si tratta del notevole ampliamento, riveduto e corret¬  to, di un mio precedente studio già apparso in «Arthos» n. 4-5  (1973-74).    38    romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata ulte¬  riormente nel nostro recente Dèi e miti italici.   Intanto, nella seconda metà del 1927, una serie di  articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e  chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Cri¬  tica fascista» di Bottai e in «Vita Nova» di Leandro  Arpinati, e la successiva comparsa, nella primavera  del 1928, di Imperialismo pagano, che quegli articoli  raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio sul  Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui è in¬  teressante segnalare quello particolarmente violento  e ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Giovanni Bat¬  tista Montini, allora assistente centrale ecclesiasti¬  co della Federazione Universitari Cattolici Italiani  (F.U.C.I.), che aveva come organo culturale la rivista  «Studium» (redazione a Roma e a Brescia). Dalle  pagine di «Studium» il Montini accusava «i maghi»  riuniti attorno a Evola di «abuso di pensiero e di pa¬  rola (...) di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fa¬  natiche e di superstiziose magie» (36).    (36) G.B.M., Filosofia: una nuova rivista, in «Studium», XXIV, 6  (giugno 1928), pp. 323-324. Oltre che del futuro Paolo VI (certamente  il più nefasto fra i papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche  gli attacchi del futuro ministro democristiano del dopoguerra Guido  Gonella {Un difensore del paganesimo, ivi, gennaio 1928, pp. 28-31; //  nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, ivi, aprile 1928, pp. 203-  208), cui Evola replicò — dopo averlo definito «un tale il cui nome  esprime felicemente che vesti gli si confacciano più che non quelle della  romana virilità» — nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga¬  no. Contro Imperialismo pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla  ristampa del 1978, presso Ar di Padova) si scomodò tutto Ventourage  del giornalismo clericale, da «L’Osservatore Romano» a «L’Avvenire»,    39            Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso, inequivo¬  cabile e tragico appello da parte di esponenti della  «corrente tradizionalista romana», prima del triste  compromesso del Concordato, affinché il fascismo,  come si esprimeva Evola, «cominciasse ad assumere  la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬  scienza nazionale», così che il terreno fosse «pronto  per comprendere e realizzare ciò che, nella gerarchia  delle classi e degli esseri, sta più su: per comprendere  e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico della  Tradizione» (p. 162). A questo scopo Evola non ri¬  sparmiava taglienti critiche alle gerarchie del  Regime:    «Il fascismo è sorto dal basso, da esigenze confuse  e da forze brute scatenate dalla guerra europea. Il  fascismo si è alimentato di compromessi, si è ali¬  mentato di retorica, si è alimentato di piccole am¬  bizioni di piccole persone. L’organismo statale che  ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento,  non libero, non scevro da equivoci» (p. 13).    Di più: Evola, nel 1928, prevedeva addirittura gli    al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la pubblicistica fascista fautrice  dell’intesa col Vaticano, da «Educazione fascista» a «Bibliografia fasci¬  sta», sino alla stessa bottaiana «Critica fascista» che aveva ospitato i  primi articoli evoliani.    40    esiti e gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale:    «L’Inghilterra e l’America, focolari temibili dei  pericolo europeo, dovrebbero essere le prime ad  essere stroncate, ma non occorre di certo spendere  troppe parole per mostrare che esito avrebbe una  simiie avventura sulla base dell’attuale stato di fat¬  to. Data la meccanizzazione della guerra moder¬  na, le sue possibilità si compenetrano strettamente  con la potenza industriale ed economica delle  grandi nazioni...» (pp. 88-89).   Era dunque necessario che il fascismo, che «bene  o male ha messo su un corpo. Ma... non ha ancora  un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a  quella della Roma precristiana prima che fosse trop¬  po tardi, sì da «eleggere l'Aquila e il fascio e non le  due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivolu¬  zione» (p. 138).   «Nostro Dio può essere quello aristocratico dei  Romani, il Dio dei patrizi, che si prega in piedi e  a fronte alta, e che si porta alla testa delle legioni  vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli  afflitti che si implora ai piedi del crocifisso, nella  disfatta di tutto il proprio animo» (p. 163).   L’il febbraio 1929 il governo di Mussolini firma¬  va a nome del Re d’Italia, dal 1870 considerato dai  papi un «usurpatore», il cosiddetto Coneordato con  la Chiesa Cattolica (37) e nasceva il monstrum giuri-    (37) Che il cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir poco  nefasto sulle sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende stori-    41          dico della Citta del Vaticano (38). Veniva con ciò  tolta ogni speranza residua di azione all’interno de¬  gli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re-  ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più  in ombra, del «tradizionalismo romano»: alcuni di  loro, come già si è accennato in nota, abbandonaro¬  no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente nel  corso degli anni Trenta.    Restava il «programma minimo» indicato ancora  da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il fa¬  scismo avrebbe dovuto:   «promuovere studi di critica e di storia, non parti-  giana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza del cri¬  stianesimo (...). Contemporaneamente dovrebbe  promuovere studi, ricerche, divulgazioni sopra il  lato spirituale della paganità, sopra la sua visione  vera della vita» (p. 125).    che successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini  e di Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo an¬  cora oggi sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio  clericale-borghese ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬  re la coscienza delle «masse» ed a stroncare, con un autentico «terrori¬  smo di Stato», qualsiasi velleità di reazione delle minoranze coscienti  della necessità di mutare uno stato di cose ormai incancrenito.   (38) «Mussolini non si era reso conto che prima di lui uomini non so¬  lo autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni, gli Svevi, perfino  Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni intesa, patto e transazio¬  ne con la Santa Sede. (...) ogni intesa tra Santa Sede e Stato italiano  avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della validità    42    Chi avesse pensato che la «Scuola di Mistica Fa¬  scista», fondata significativamente poco dopo la  «Conciliazione», nell’aprile 1930 nell’ambito del  G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe  svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben  presto ricredersi amaramente. In realtà, il sentimen¬  to religioso dichiarato di quella che avrebbe voluto  costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si  configurava con precisione come cattolico. Lo di¬  chiara, in una maniera che non potrebbe essere più  esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo  Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola nel  1931:    «La nostra esistenza deve essere inquadrata in una  marcia solida che sente la collaborazione della  gente generosa e audace, che obbedisce al coman¬  do e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni cosa  nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contin¬  gente od eterna, nasce e finisce in Dio. E non parlo  qui del Dio generico che si chiama talvolta per  sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio  nostro Signore, creatore del cielo e della terra, e  del suo Figliolo che un giorno premierà nei regni  ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, spe¬  riamo, i molti difetti legati alle vicende della no¬  stra esistenza terrena» (39).    dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del¬  lo Stato italiano» (N. SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica  conciliare. Volpe, Roma 1974, p. 42).   (39) Cfr. «11 Popolo d’Italia» del 1° dicembre 1931. Sulla «Scuola di  Mistica Fascista», si veda: D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi,  Feltrinelli, Milano 1976.    43            E il filosofo Armando Carlini, discutendo della  nuova mistica, ravvisava la nota più originale del fa¬  scismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi  cristiano, anzi cattolico» (40); perché «il Dio di  Mussolini vuol essere quello definito dai due dogmi  fondamentali della nostra religione (...): il dogma  trinitario e quello cristologico» (41).   Quel programma che abbiamo detto «minimo»  cercherà Evola più tardi in parte di compiere con  l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collabo¬  ratori attorno al «Diorama filosofico», la pagina  speciale che, con uscita irregolare e alterna, quindi¬  cinale e mensile, curò per dieci anni, dal 1934 al  1943, all’interno del quotidiano cremonese di Fari¬  nacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradi¬  zione romana, esaminata nei suo simboli, nei suoi  miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui frequen¬  temente negli scritti dello stesso Evola, di Giovanni  Costa (già da noi incontrato), di Massimo Scaligero  e di diversi collaboratori stranieri, come Edmund  Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britan¬  nica) e lo storico tedesco Franz Altheim. Analoghe  collaborazioni sono fornite dall’allora giovane An¬  gelo Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destina¬  to nel dopoguerra a ricoprire degnamente l’impor-    (40) A. CARLINI, Mistica fascista, in «Archivio di studi corporati¬  vi», voi. XI (1940), p. 299.   (41) ID., Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma  1942, p. 56.    44    tante cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia delle  Religioni nell’Università di Roma, e da Guido De  Giorgio, già collaboratore di «Ur» e di altre iniziati¬  ve evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬  nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio oc¬  cupa una posizione piuttosto anomala e tale che il  Reghini avrebbe visto con sospetto: egli infatti con¬  cepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica,  ma soprattutto metafisica, in grado di unire in sé  stessa la religione pagana e il cristianesimo, tesi ela¬  borata soprattutto ne La tradizione romana, uscita  postuma solo nel 1973 (42). D’altra parte, è lo stesso  De Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la  persistenza del culto di Vesta in un misterioso cen¬  tro, nascosto e inaccessibile:   «Il fuoco di Vesta (...) arde inaccessibilmente nel  Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa-    (42) L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Fla-  men, Milano 1973) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il  manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della nota  introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori  del «Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli  omonimi [si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che  noi sappiamo corrispondere al «TAURULUS» del 1929, cioè Corallo  Reginelli, tuttora vivente.   L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1 ’occasione  per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente tradizionali¬  sta nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte cattolica (si veda¬  no il bollettino «Il rogo», operante fra il 1974 e il 1976 e la successiva  rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente «pagana» (si veda la no¬  stra recensione dell’opera del De Giorgio, confortata da un parere di  Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale come punto di ripresa del discorso  sulle origini della tradizione romana).    45             prebbe penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua  vita e il prolungamento della sua agonia. Da questo  fuoco occulto partono scintille che alimentano le  crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ri¬  torno alla Romanità attraverso le varie vicende di  cui s’intesse la storia delle nazioni europee conside¬  rata geneticamente, internamente e non sul piano li¬  mitatissimo della contingenza dei fatti e degli  uomini» (43).    Queir immane conflitto, già previsto da Evola nel  1928, e che anche il De Giorgio giudicava del tutto  inefficace, «se non addirittura letale per lo spirito e  il nome di Roma» (44), avrà in effetti come risultato  più manifesto, per i fini dello studio che qui andia¬  mo conducendo, di occultare del tutto le fila della  corrente di pensiero di cui siamo andati ripercorren¬  do la trama.   Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la  ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la  scelta pare significativa), curata nel 1968 dal «Cen¬  tro Studi Ordine Nuovo» di Messina (45), a tentare    (43) G. DE GIORGIO, op. di., p. 245 (vedi anche pp. 239 e 243).   (44) ibidem, p. 296.   (45) L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne  tolta subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si  può considerare oggi una vera rarità bibliografica.    46    di riannodare i termini di un antico discorso:   «L’angoscioso grido d’allarme rivolto dall’Autore  in quel lontano 1928 a Benito Mussolini per met¬  terlo in guardia contro il ventilato proposito della  cosiddetta “Conciliazione’)) — si afferma nell’a¬  nonima introduzione — «risuona oggi con inusi¬  tata attualità e fa si che Imperialismo pagano ven¬  ga guardato come un oracolo».   Ed è proprio provenendo dalle fila di «Ordine  Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola ha  tenuto in buona considerazione (46) — almeno fino  a che, sul finire del 1969, la sua ala borghese¬  modernista, condotta da Rauti, non confluì nel  MSI (47) — che comincia ad agire, tra la fine degli  anni Sessanta ed i primi anni Settanta, il «Gruppo  dei Dioscuri», con sede principale a Roma e dirama¬  zioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’in¬  terno del «Gruppo dei Dioscuri» venissero riprese    - (46) Cfr. J. EVOLA, Il cammino del cinabro, cit., p. 212: «L’unico  gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in compro¬  messi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo».   (47) L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di «Ordine  Nuovo» si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una  parte, la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui  ed estenuanti «giochi di potere» (!?) all’interno del partito e in decla¬  mazioni populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta «Nuova  Destra» proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed  ambiguamente compromissorio), dall’altra, la frazione «movimentista»  ed extraparlamentare condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì  nelle velleità inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con  conseguente ed inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero...    47             tematiche e pratiche operative già in uso nel «Grup¬  po di Ur» ed è perlomeno probabile che lo stesso  Evola ne fosse al corrente.   Fatto sta che nei quattro «Fascicoli dei Dioscuri»,  usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma da una  parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tra¬  dizionalismo dovrebbe far riferimento, ritornano  con grande evidenza.   Per l’anonimo autore del primo «Fascicolo dei  Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e sov¬  versione (Centro di Ordine Nuovo, Roma 1969), il  più grande dei meriti di Evola è quello:   «di avere rammentato il destino di Roma quale  portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere  tratto da tale verità le necessarie conseguenze in  ordine alle idee-forza che devono essere mobilitate  per una vera rivoluzione tradizionale» (p. 20).   Qualche anno dopo, al termine del terzo «Fasci¬  colo» intitolato Impeto della vera cultura (tradotto  poi anche in francese nel 1979), il mito di Roma vie¬  ne additato come l’unico che sia in grado di condur¬  re ad una superiore unità gli sforzi di tutti i tradizio¬  nalisti italiani:   «a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno dei  tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si  può ricordare la presenza di una forza spirituale  perennemente viva e operante, quella stessa che il  mondo classico ed il medio-evo definirono l’AE-  TERNITAS ROMAE» (p. 18).    48    Il «Gruppo dei Dioscuri» ebbe notevole impor¬  tanza come cosciente riconnessione alle precedenti  esperienze sapienziali e come indicazione, per taluni  elementi particolarmente sensibili dell’area della de¬  stra radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri  del «tradizionalismo romano», anche se la partico¬  lare via operativa scelta e, soprattutto, la mancata  qualificazione di taluni componenti, porterà ben  presto alla distruzione dall’interno del Gruppo stes¬  so, di cui non si sentirà più parlare già prima della  metà degli anni Settanta (ci viene detto che frange  disperse del gruppo continuerebbero a sussistere so¬  prattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcu¬  ni dei gruppi periferici, sia pure trasformati, ne ab¬  biano continuato il retaggio se, ad esempio, a Messi¬  na nel 1975, molto probabilmente nell’ambito di al¬  cuni dei vecchi membri del «Gruppo dei Dioscuri»  viene elaborato un testo dottrinale ed operativo, a  circolazione interna, sotto forma di «lezioni» di un  maestro a un discepolo, piuttosto interessante. La  via romana degli dèi:   «Diremo anzitutto dell’essenza della tua religiosi¬  tà, fornendo alla tua mente profonda gli argomen¬  ti per una serie di esercizi di meditazione affinché  con saldo cuore, tu possa prepararti all’assolvi¬  mento del rito» (48) [cfr. anche Appendice IV].    (48) N.N., La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia Superiore  Operativa, Messina 1975 (ciclostilato ad uso interno), p. 1.    49             E certamente non priva di connessioni genetiche  col gruppo romano appare la sortita, improvvisa,  verso la fine degli anni Settanta, nella stessa Messi¬  na, del «Gruppo Arx», successivamente editore del  periodico «La Cittadella» e degli omonimi quader¬  ni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itine¬  rari di approccio alla «via romana degli dèi» sono  indicati attraverso la cosciente riappropriazione del-  Vanimus romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e  nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a  forme anche esteriori del culto cristiano.    Quanto segue è storia dei nostri giorni, dal mo¬  mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi  è stata una nuova cosciente ripresa del moderno  «movimento tradizionalista romano», una cui rima¬  nifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data  ed in un luogo alquanto significativi. Infatti nel  1981, il 1° marzo (data in cui iniziava l’anno sacro  romano), a Cortona (donde in epoca primordiale  Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta  della Troade) si tenne un importante Convegno di  studi sulla Tradizione italica e romana (49), che, a    (49) Gli Atti sono stati pubblicati nel numero speciale triplo di «Ar-  thos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di pp. 192. Per una sintetica analisi  sulla diversa valenza del termine «italico» nei vari interventi, cfr. R.  DEL PONTE, Che cos’è la tradizione italical, in «Vie della Tradizio¬  ne», XV, 57 (gennaio-marzo 1985), pp. 1-3.    50    parte l’emergenza di differenti prese di posizone dei  tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre  la questione — non puramente dottrinale o formale  — di una cosciente riconnessione aWaurea catena  Saturni della tradizione indigena da parte di chi, pur  in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,  intenda coscientemente riassumere il fardello delle  proprie radici etniche e spirituali. Successivamente  ad un nuovo Convegno, tenutosi nel dicembre 1981  a Messina, sul Sacro in Virgilio (50), la rielaborazio¬  ne dottrinale e la ridefinizione concettuale dei valori  difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo  romano» (di cui è parte cospicua anche l’apparire  alle stampe di alcune collane di libri specifiche) (51)  si è spostata su un piano più interiore, ma la loro  presenza è destinata a riaffiorare a livello di influen¬  za sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente  sensibili di un’area superante i limiti stessi del mon¬  do della «destra politica».   Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬  noranza (ben cosciente di esserlo) si limiterà ad una    (50) Gli Atti sono stati pubblicati in buona parte nel numero speciale  di «Arthos» n. 20 (uscito successivamente al n. 22-24), daH’omonimo  titolo, di pp. 72.   (51) Ci limiteremo a ricordare la collana «1 Dioscuri» per le ECIG di  Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il mio  Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna e Arca¬  na Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi Pagani» del  Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di antichi (Giuliano Au¬  gusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi, De Angelis,  Beghini, Evola ecc.).    51           pura e semplice azione di testimonianza, sia pure  «scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito ca¬  pacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destina¬  to a risorgere continuamente dalle sue ceneri, poiché  riposa nella mente feconda degli dèi archegeti di  questa terra.    Appendici documentarie    52    53        I    Da: «Il Piccolo» di Roma, 23-24 maggio 1923,   p. 2:   «Il Fascio littorio a Mussolini»   Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia prof.a  Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la  dott.a prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al Presi¬  dente del Consiglio come augurio per la data del  XXIV Maggio un fascio littorio da lei esattamente  ricostruito secondo le indicazioni storiche e icono¬  grafiche.   L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba  etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro  per la legatura al manico: alcuni esemplari simili so¬  no conservati nel nostro Museo Kircheriano.   Le dodici verghe di betulla, secondo la prescrizio¬  ne rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso  che formano al sommo un cappio per poter appen¬  dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del  Palazzo Capitolino dei Conservatori.   Il fascio ricomposto con elementi antichissimi e  nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo del¬  la sua opera organica di ricostruzione dei valori del¬  la nostra stirpe allacciando le vetuste origini alle for¬  me più vibranti dell’attività gagliarda e rinnovata  che prende le mosse dal XXIV Maggio 1915.   La rudezza espressiva del Fascio è ingentilita dal  contrasto tra il verde della patina bronzea e il rosso    55         del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che  producono le colonne di porfido presso la porta di  bronzo àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio,  al Foro Romano.   L’offerta era accompagnata da una epigrafe latina  dedicatoria composta dall’offerente, la quale nel¬  l’Università Popolare fascista svolge una fervida  opera di propaganda di romanità viva.   Il Duce gradì l’augurio ed il voto accogliendoli  colla sua consueta serena nobiltà, non senza un se¬  gno della vivacità del sorridente suo spirito latino:  «Lei mi ha dato una lezione di storia» — osservò in  tono scherzoso. Singolari parole in bocca di chi dà  e darà non poco a fare agli storici futuri.   (La notizia è riportata in una rubrica dedicata a  «I solenni riti del XXIV Maggio», senza indicazione  di paternità).    56    II    Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines, tra¬  gedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio,  Roma 1929.   pag. non numerata, IV dopo il frontespizio:   LETTERA DI ARDENGO SOFFICI A S.E.  MUSSOLINI   Mio caro Presidente, (...) permettimi ti dia, scritte  e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬  cune prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in  fondo, in un vero poema epico delle origini, è l’esal¬  tazione di oggi della nostra stirpe. Comincio da un  mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia roma¬  na che può stare a paro col Giulio Cesare di Shake¬  speare (...) ti fo osservare che il titolo di Poeta di Ro¬  ma, dato da Jean Carrère ad ignis, si è dato solo a  Virgilio e ad Orazio: Augusto, vive, oggi, tra noi tut¬  ti in ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti,  che per la sua politica imperiale.   E tu vedi come Rumori sia stato giudicato, prima  ancora che esistessero l’idea e la forza fascista, tra¬  gedia degna di Roma (...) quando competenti — dai  nostri a Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudi¬  zio del 1923 — corrono all’iperbolico per lodare Ru¬  mori di ignis bisogna concludere che ci si trova da¬  vanti ad un’opera d’arte somma, e per fortuna no¬  stra, d’arte italiana — opera che è, anche per se stes-    57         sa, di alto significato politico, e di spirito fascista  (...) Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico  carissimo, di averti scritto una lettera storica. Fai  che non sia stata scritta invano, ma invece il tuo no¬  me vada unito a quello della tragedia Rumori, al  poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬  me in avvenire, spero che tu possa essere un po’ gra¬  to al tuo affezionato amico e devoto   ARDENGO SOFFICI   pag. successiva non numerata:   IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI  Caro Soffici,   bisogna assolutamente far marciare Rumori. 11  Governo appoggia fervidissimamente l’iniziativa  perché essa rientra nel grande quadro della rinascita  nazionale.   Saluti fascisti e cordialissimi.   f.to MUSSOLINI   Roma, 7 marzo 1923    pagg. CLXV-CLXVI (Carme terzo):   AUGURE   Manifesto è dunque: amor — essere — ROMA.  Se tutte move, ed incende, le create cose...  legge si è — Amor — dell’universo vita...  così, un tanto Nome, a noi predice:    58    dono di regno e potestà sovra ogni terra,  e dello spirito, e d’imperio.   Confirmato si è, per te, prodigioso il vaticinio.   Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti...  su la Città terribili chiamerebbero fortune...   Li trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici.  Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome palese,  se concluso non avrai, prima, il solco sacro.  Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora,  in gran letizia, al Popolo... quel Nome  che licito non più mi è dire   quando, già per tre volte, qui, in tre diversi suoni,  de la gran Madre nostra il Nome risonò.   {Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per nu¬  merare i significati del nome).   Di significati cinque:   È... ’l Nome palese, latore, con l’occulto:   Chiama la Città: Valentia... Ròbure... Virtù!  e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice!   Vostra — nei nomi vostri — oh Re! suoi fondatori...  Come del grande Rumon: URBE: la Città del  Fiume!   {Pausa)   Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare,  in così breve Verbo, sì pieni... tanti arcani.   Mirifici! donando Nomi nove:   in quattro occulti ed un — Medio — palese,   e quando, nove, siamo al Rito.    59       Ili    Da: G. COSTA, Apologia del paganesimo, A.F. For-  mìggini Editore, Roma 1923, pagg. 69-70:   Il pagano è, per definizione, buono. Né un greco,  né un romano avrebbero concepito che l’uomo po¬  tesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui liti¬  gassero per così dire due nature, che la manifestazio¬  ne esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vi¬  ta individuale, né in quella sociale vi fossero mezzi  termini, transazioni, compromessi. Esso è quello  che naturalmente è, cioè buono, come ideale supre¬  mo della vita, come dovere, come necessaria fatalità  insita nelle cose umane. Egli vive quindi la vita inte¬  ramente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo,  con un pragmatismo sano e forte che non ammette  ipocrisie, doppiezze, scuse.   Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato  concesso, per virtù di dottrine religiose e culturali  che si sono formate a lui d’intorno, una distinzione  ed una separazione del suo essere intimo, spirituale,  psicologico, dal suo essere apparente, esteriore, ma¬  teriale. All’antico quando di questa scissione appar¬  ve per un momento la possibilità, egli ne cacciò da  sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione.   La concezione pagana della vita ha fatto perciò  l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il caratte¬  re, ne ha provocato 1 ’azione. Ecco perché la vita nel  paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo  ed è stata accettata non come un male, ma come un    60    bene che bisognava con interezza di carattere vivere  interamente e sanamente per sé e per gli altri.   pag. 91:   Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare al  paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato di¬  vina opera cui le sue spalle non sanno sottostare.   Ma paganesimo è sincerità e l’uomo deve ritorna¬  re ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per  due millenni il suo desiderio di seguire il messaggio  cristiano e la sua manifesta impotenza di non saper¬  lo fare, deve risolversi in armonia se egli vuol sanare  in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono  avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può  essere determinato che da circostanze speciali di in¬  dividuo, di momento e di luogo che l’uomo può in-  travvedere, non deve violare con convinta testardag¬  gine. L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’inte¬  riore, quindi, deve essere nella dottrina, come nella  vita, assoluto.    61           IV    Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato anonimo,  Messina 1975 pagg. 41-42:   L'immagine di un dio è lo stemma della Forza che  essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali immagini  sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere  nella realtà esse sono state personalizzate e forme di  pensiero sono state proiettate su un altro piano (...)   Alcune di queste immagini e le loro attribuzioni  sono così antiche e sono state costruite con tanta  ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬  struirsi da se stesse, durante l’eventuale lavoro di  meditazione, che l’allievo può fare su una divinità.  Resta un minimo «invito», un minimo stimolo, per¬  ché il meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬  ga, sia pure su un piano semplicemente psichico.  Così, della limatura di ferro, dispersa su un piano,  si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto  in mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli  anche se essi sono pochi e molto distanti...    62     AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO  (im -    da «Ygieia», 111, 1-4 (dicembre 1986)    63             Arturo Reghini  (1878-1946)    64    0 Piscio littorio a Mussolini   n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-  bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa.  aOltnl rlotwta la doti.» pmf.» Osarina RI-  baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Conti¬  guo romo aufurln la data de) XXIV  Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte  licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie  e leooograflclia.   l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa  tomba etmaca hlmtneoarta ed ba la forma  aorra eoi foro per la Vantura hi manico:  alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.«!  nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é   La dodict verace di l>ctulla. ascondo la  prescrizione rit'iale. sono legala con tiri¬  sele ^ cuoio rosso cba formano al tonimo  ua cappio per poter appendere fi fascio,  conta nel ba.MorUiero per la acala del Pa  lazzo Capitolino dd Conaenalori.   Il Fascio ricomposto con elementi antl-  fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato offerto al  Dora come simbolo della saa opera onra-  ntea di rieoatruztona del valori della no-  Mra attrpa allacciando le veia«ie origini  alla fonn* più vibranti dell'attività ga-  giarda a rinnovata cha prendo la mosse  ^ XXIY Maggio 19t8  Là rudezza espressiva dal Fascio è in-  gantlHta dal contrasto tra (I verde della  patind bronsea e U rosso del molo che ri¬  corda la stes.aa armonica tonalità che pm-  doeono le colonne di porfido presso la por¬  ta di bronzo deD'brroon di Itomdlo, figlio  41 Massenzio al Foro Romano.   L'oflerla efa accompagnata da ani epl-  graia latina dedicatoria composta dall'or-  farente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare  faartsta avolga una fervida opera di pro-  pafgada di romani Ih viva.   n Duca gradi raugorto a fi voto acro-  Mlaodoll colla sua consueta serena nobiltà.  2«m senza tm segno della vivacità del sor>  ridaots ano spirito latino: • Let mi ba dato  nna testone di storia • — osservò In tono  aehanoao. Btngolart parole In bocca di r.hl  db a darà non poca a fare agli storici fu-  tnrl    Riproduzione da «11 Piccolo».  V. pag. 55.    65 Arturo Reghini. Reghini. Keywords: implicature, il fascio etrusco, scuola di Crotone, il fascio littorio, simbolismo duodecimale, Cuoco, il fascio etrusco – Pitagora dell’Etruria, Evola, numero tri-angolare, numero qua-drato, numero pi-ramidale, la logica del numero – il concetto di numero in Frege – Austin, Grice.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reghini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Regina: la ragione conversazionale dell’esse e dell’inter-esse, o degl’uomini complementari, la potenza e il valore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sabbioneta). Filosofo italiano.  Grice: “When Urmson said that for Prichard, duty cashed out in interest, he was right! But we must wait for Regina to emphasise Kierkegaard’s punning on interest – which literally means, ‘being in between’! The interesting (sic) thing is that Kierkegaard exploits the old Roman aequi-vocation between the alethic (being in between) and the practical (Prichard, ‘duty as interest’). Studia a Milano sotto SEVERINO, laureandosi con una tesi su Lavelle e Heidegger. Insegna a Macerata, Verona, e Cagliari. Progetto «Tempus», relativo all'organizzazione presso Sarajevo e Mostar di un master sulla tolleranza religiosa. Saggi: “Ripresa, pentimento, perdono” (Verona); “L'essere umano come rapporto: l’antropologia filosofica e teologica di Kierkegaard.” Forum, Conferenza Episcopale Italiana, Progetto culturale della Chiesa. Insegna a Verona. Si basa su Kierkegaard, Nietzsche e Heidegger (“the greatest living philosopher” – Grice). In Heidegger evidenzia l'importanza del ruolo sapienziale assegnato alla finitezza dell'uomo. In Kierkegaard vede invece da cui partire per costruire una ontologia e una antropo-logia basate su una concezione dell'essere: l'esse come “inter-esse.” L'essere come inter-esse -- nella doppia valenza ontologica ed etica -- pone il pensante in rapporto con un'ulteriorità che, nel trascenderlo, ne accentua e personalizza il differire. La metafisica fondata sull’ “inter-esse” cessa di essere onto-teologia, ossia nient'altro che proiezione idola-trica della logica umana.  Sarajevo; “Dal nichilismo alla dignità dell'uomo” (Vita e Pensiero, Milano); “Esistenza e sacro” (Morcelliana, Brescia); “L'arte dell'esistere” (Morcelliana, Brescia); Romera, “Acta Philosophica”, recensione a Noi eredi dei cristiani e dei Greci (Poligrafo, Padova). Il termine è stato acquisito da  Heidegger. “Gesù e la filosofia” (Morcelliana, Brescia); “L'uomo complementare: potenza e valore” (Morcelliana, Brescia); “Servire l'essere” (Morcelliana, Brescia); “La differenza viva: per una nuova concettualità” (Sentiero, Verona); “Noi eredi dei Greci” (Il Poligrafo, Padova); “La soglia della fede: la domanda su Dio” (Studium, Roma); “L'arte dell'esistere” (Morcelliana, Brescia). Umberto Regina. Regina. Keywords: uomini complementari – potenza e valore, essere ed interesse, esse ed interesse, Heidegger (? – il termino, acquisito da Heidegger), Prichard, duty and interest, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Regina” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Renier: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Studia in Camerino, Urbino, ed Ancona, a Bologna, sotto CARDUCCI, Torino, e Firenze, sotto BARTOLI. Insegna a Torino. Fonda il “Giornale storico della litteratura e la filosofia italiana”, «profonden dovi, negli studi particolari, nelle rassegne, negli annunci analitici e in un ricchissimo notiziario, un vero inesauribile tesoro di cultura, di notizie, di rilievi. Cura importanti edizioni critiche e monografie. I suoi saggi critici spaziano attraverso tutta la letteratura e la filosofia italiana. “Il tipo estetico della donna nel medio evo” (Ancona, Morelli); Isabella d'Este Gonzaga” (Roma, Vercellini); “Mantova e Urbino” (Torino, Roux); “La cultura e le relazioni letterarie d'Isabella d'Este Gonzaga (Torino, Loescher); “Svaghi critici” (Bari, Laterza); Luzio, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d'Este Gonzaga, Sylvestre Bonnard. Vendittis, Letteratura italiana. I critici,  Milano, Marzorati, Renda, Operti, Dizionario storico della letteratura italiana (Torino, Paravia); Letteratura italiana. Gli Autori,  Torino, Einaudi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Rodolfo Renier. Renier. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Renier” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rensi: TRASEA – l’implicatura – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Villafranca di Verona). Filosofo Italiano. Grice: “Only in Italy does a philosopher get his obituary when still alive!” Studia a Verona, Padova, e Roma. Insegna a Genova. Iscrittosi al partito socialista, si reca a  Milano per assumere la direzione del giornale “La lotta delle classi sociali”, collaborando assiduamente anche alla turatiana Critica Sociale e alla Rivista popolare. A seguito delle misure repressive adottate dal governo, e per sfuggire alla condanna del tribunale militare per aver preso parte ai mossi operai milanesi, stroncati dall'esercito con la strage del generale sabaudo Beccaris, è costretto a cercare rifugio in Svizzera. Frutto dell'esperienza ticinese e la pubblicazione de “Gl’anciens régimes e la democrazia diretta” (Colombi, Roma) in cui difende il principio della democrazia diretta del sistema istituzionale federalista. Collabora con numerosi articoli ai fogli radicali Il Dovere di Bellinzona, la Gazzetta Ticinese e L'Azione di Lugano, nonché alla rivista socialista e pacifista Coenobium. Ri-entra in Italia per stabilirsi a Verona dedicandosi alla filosofia del linguaggio – “o semantica.” A seguito della campagna libica, vi è la rottura col partito socialista, poiché  si è schierato con l'interventismo di Bissolati. Pubblica “Il fondamento filosofico del diritto” (Petremolese, Piacenza). Altri due volume seguono: “Formalismo e a-moralismo giuridico” (Cabianca, Verona) e “La trascendenza: studio sul problema morale” (Bocca, Torino), ove sviluppa un idealismo trascendente. Insegna a Bologna, Ferrara, Firenze, e Messina. L'esperienza della grande guerra manda in crisi (“alla merda”) la sue convinzione idealistica, conducendolo verso lo scetticismo – della ‘scessi’, come la chiama --, la cui prima formulazione sono i “Lineamenti di filosofia della scessi” (Zanichelli, Bologna). Sostene che la guerra distrue la fede ottimistica nell'universalità della ragione, sostituendola con lo spettacolo tragico della sua pluri-versalità, vale a dire dell'irriducibile conflittualità dei diversi punti di vista. Espose nella “Filosofia dell'autorità” (Sandron, Palermo) la traduzione politica di questa concezione. Poiché tutti i punti di vista politici sono sullo stesso piano, quello che anda al potere lo fa con un atto di forza, tacitando tutti gl’altri punti di vista. In questo saggio si è scorta una prima GIUSTIFICAZIONE dell'autoritarismo fascista. Tuttavia, dopo una prima simpatia per il fascismo, ne divenne un fiero avversario quando MUSSOLINI con metodi un po ‘anti-democratici’ comincia a perseguire un disegno dittatoriale ispirandosi a GIULIO CESARE – o duca/duce. R., non Mussolini, sottoscrisse il Manifesto degl’intellettuali o filosofi anti-fascisti di CROCE, pagando questa scelta con la sospensione,  dalla cattedra di filosofia a Genova. Arrestato e rinchiuso in carcere. Solo un abile stratagemma escogitato dall'amico e collega SELLA, che pubblica sul “Corriere della Sera” il necrologio del filosofo, diffondendo così la falsa notizia della sua morte, induce il duce a rimetterlo prontamente in libertà. Il dittatore teme l'ondata di sdegno sollevatasi per i metodi oppressivi del regime. Per la sua coerenza agl’ideali di libertà, sube il definitivo allontanamento dalla cattedra, è, comandato, da vigilato speciale, presso il centro bibliografico dell'ateneo genovese, per la compilazione della biografia ligure. Nonostante il doloroso distacco dalla scuola dove insegna, continua la sua attività filosofica e collabora al quotidiano socialista genovese Il Lavoro, l'unico foglio che accoglie testi di personalità che non hanno fatto atto di sotto-missione al fascismo.  Ricoverato al ospedale Galliera mentre infuria  il bombardamento della flotta inglese su Genova, per essere operato d'urgenza. Tuttavia l'azione militare danneggia alcune sale dell'edificio e i medici doveno rinviare l'intervento, una fatalità che non lascia scampo a R. Ai funerali pochi amici ed ex allievi poterono seguire per breve tratto il carro funebre. La polizia, che vieta questo devoto omaggio, dispersa il funerale, schedando alcuni discepoli. R., anche morto, tura il potere. Sulla tomba nel cimitero di Staglieno un'epigrafe riassume uno stile di vita ed esprime il suo dissenso, la sua resistenza e indipendenza filosofica. ETSI OMNES NON EGO. La sua filosofia si è sviluppata  dopo l'approdo alla scessi in direzione del realismo e del materialismo critico. Un realismo materialistico quindi, che considera derivato, con una certa libertà interpretative, dal criticismo. Arrriva ad ipotizzare che Kant puo pensare alla cosa in sé come a una più nascosta essenza materiale della cosa stessa.  La sua filosofia non e esente da paradossi concettuali e da mutamenti continui che lo hanno portato a cadere in alcune contraddizioni e incoerenze. Ma va anche considerato che al di sopra d’esse a dominare è comunque un forte pessimismo, che non è solo esistenziale, ma anche gnoseologico. Sia il mondo, sia la mente umana sono irrazionali. Ma supponiamo che un tale fatto esteriore ai nostri orologi, destinato al controllo di questi, non esiste, e che i nostri orologi continuassero a discordare. Come potremmo allora, in mancanza di quel fatto esteriore obbiettivo e nel discordare dei singoli nostri orologi, conoscere l’ora che è? Ora questo è appunto il caso delle nostre ragioni. Non c’è l’oggetto esterno ad esse, l’esterno modulo-ragione, su cui controllarle e che le giudichi, ed esse discordano tra di loro. Come conoscere l’ora che è della ragione? Per esempio egli ha sostenuto che, siccome la filosofia ha una storia che si snoda nel tempo, ciò significa che un pensiero vero e unico non può esistere e che perciò nel suo procedere ed evolvere essa nega continuamente sé stessa. Contro l'idealismo di GENTILE, allora imperante, che considera la storia una realizzazione progressiva dello spirito e della ragione, ha una visione negativa della storia, come assurdo caso e vana ripetizione.  C'è storia dunque perché ogni presente, ossia la realtà, è sempre falsa, assurda e cattiva, e perciò si vuol venirne fuori, passare ad altro, quel passare ad altro in cui, unicamente, la storia consiste. C'è storia, insomma, l'umanità corre nella storia, per la medesima ragione per cui corre un uomo che posa i piedi su di un sentiero cosparso di spine o di carboni ardenti. La sua critica della religione si sviluppa poi in un'aperta apologia dell'a-teismo. Sembra quasi di poter cogliere uno dei tratti dell'a-teismo in un saggio “Sopra lo amore di FICINO (si veda). FICINO  propone una visione dell'amore come amore eterno che ritorna come desiderio di ogni grado ontologico di ritornare al bene e al tutto. Propone una nuova interpretazione di questa tipica teologia dell’ACCADEMIA, vedendo nell'amore ipotizzato da Ficino in realtà un preludio a quelle che diventeranno due tra le più influenti correnti filosofiche: l'idealismo e il volontarismo. L'amore come totalità dei diversi, o come volontà nelle vesti di matrice essenziale del tutto, mette da parte il bisogno dell’amore trascendente e sussurra l'ipotesi di un a-teismo, forse professato tra le righe dai più celebri filosofi.  Filosofo profondamente problematico e inquieto, fine però per approdare a un forte pessimismo ontologico ed esistenziale, che lo spinse verso derive spiritualistiche, forse latenti nelle sue riflessioni fin dalle origini nelle “Lettere spirituali”. In quest'opera, come anche nell “La morale come pazzia” (Guanda, Modena), delinea una sorta di mistica dei valori e un'etica concepita come l'azzardo dell'uomo che scommette sul bene in un universo cieco e indifferente. Nella sua “Autobiografia intellettuale” suddivide in tre periodi la sua evoluzione. Un primo misticismo idealistico. Un secondo relativismo scettico materialistico e ateo. Un terzo misticismo spiritualistico come ultimo approdo della sua filosofia.  Il primo è un misticismo di tipo platonico dell’ACCADEMIA, in cui sono presenti anche elementi di San Paolo e di Malebranche. Scrive “L’antinomie dello spirito” (Petremolese, Piacenza); “Sic et non: meta-fisica e poesia” (Romaa, Roma); “La trascendenza: studio sul pensiero morale”. Il secondo periodo nasce dal suo sconcerto di fronte alle violenze della grande guerra e lo porta alla negazione di qualsiasi razionalità della realtà. Pensa infatti che se gl’uomini ricorrono sistematicamente alla violenza per risolvere i loro conflitti, questo significa che la ragione in sé non esiste, e che si tratta dell'illusione dell'uomo di pensare che si puo dare ordine al caos. L'irrazionalità della realtà si trova espressa in “Lineamenti di filosofia della scessi”; “La filosofia dell'autorità”; “La scessi estetica” (Zanichelli, Bologna); “Polemiche anti-dogmatiche” (Zanichelli, Bologna); “Interiora rerum – la filosofia dell’assurdo” (Milano, Unitas); “Realismo” (Milano, Unitas); “Apologia dell'a-teismo” (Formiggini, Roma); e “L’aporie della religione”. Il secondo periodo è altresì caratterizzato da un avvicinamento al positivismo materialistico e dal rifiuto dell'idealismo di CROCE e di GENTILE. In esso va registrata anche una rivisitazione del panteismo di Spinoza, che interpreta alla maniera dei teologi, quindi come a-teistico perché  nega il divino personalizzato del mono-teismo. Pensa anche di realizzareuna sintesi di scessi e realismo perché se solo la scessi è il modo reale e utile di porsi di fronte al mondo, essa è anche l'unica verità possibile. Si tratta anche del momento di punta del nichilismo, perché si afferma che siccome l'unica cosa certa e stabile è la morte, ed essa è il nulla, solo il nulla possede una verità. Prevale una forma di misticismo che non sorge, però, improvvisamente, essendo già chiaramente presente nelle opere maggiormente influenzate dalla scessi. Quest'ultima è, infatti, sempre sollecitata da un'innata, profonda religiosità, sicché non stupisce che il filosofo si apra alla voce del divino, poiché cerca nella negazione assoluta un criterio positivo che consenta la negazione stessa. A questo periodo appartengono: “Critica della morale”; "Critica dell'amore e del lavoro”; “Paradossi di estetica e dialoghi dei morti” (Corbaccio, Milano); “Frammenti di una filosofia del dolore e dell’errore, del male e della morte” (Guanda, Modena); “La filosofia dell'assurdo” e “GORGIA (si veda) -- Autobiografia intellettuale – la mia filosofia – testamento filosofico” (Corbaccio, Milano). Isolato in vita nel mondo filosofico italiano, nel quale domina l'idealismo crociano-gentiliano, trova la comprensione di pochi intellettuali a lui affini. È stato quest'ultimo a creare la formula della scessi credente, che in forme diverse ha dominato i pochi studi sulla sua filosofia. Oggi trova la collocazione nell'ambito del nichilismo. Per alcuni, tale collocazione resta comunque riduttiva rispetto alla vastità della sua filosofia, che andrebbe ancora approfondito. La trascuratezza nei suoi confronti sta nel fatto che la cultura italiana è stata dominata dall'idealismo e dall'esistenzialismo. Legato alla cultura socialista, si caratterizza per una certa dose di eclettismo e per una forte componente umanitaria, distante dal materialismo storico marxiano e riconducibile, più agilmente, nel novero dei filosofi vicini al socialismo utopista. Se durante l'attività politica in Italia aderisce all'idea della lotta delle classi sociali, l'esperienza svizzera lo porta a ri-considerare tale concezione dei rapporti di forza nella storia, ri-dimensionandone la portata. Infatti, l'ant-agonismo tra proletariato e borghesia è circo-scrivibile ad alcune realtà contingenti e non costituirebbe un'invariante delle relazioni socio-politiche. E se, da un lato, il suo realismo politico lo porta ad apprezzare le teorie elitistiche del conservatore MOSCA (si veda), dall'altro, la matrice umanitaria e socialista emerge nell'esaltazione degli istituti della democrazia diretta, caratterizzanti il sistema costituzionale svizzero, considerati come l’unico in grado di far emergere la volontà popolare e di permettere l'emancipazione delle classi lavoratrici. L'elogio ai regimi federalisti appena citati, e il contingente recupero di CATTANEO sono sintomatici di un altro aspetto del suo orizzonte culturale: la feroce critica dell'istituto monarchico -- tanto nell'accezione assolutista, quanto in quella temperata del costituzionalismo borghese ottocentesco -- appannaggio di una vicinanza con il programma del partito repubblicano. Mostra un pessimismo storico verso il risorgimento, la disapprovazione intransingente del ruolo, ritenuto ambiguo e ostile al riscatto sociale del proletariato, della casa regnante dei Savoia e l'appartenenza alla massoneria.  Influenze "Atomi e vuoto e il divino in me", queste parole di Rensi hanno ispirato Lobaccaro nella composizione della canzone Rosa di Turi dei Radiodervish. Altri saggi: “Una Repubblica italiana: il Canton Ticino, "Critica sociale", Milano), “L'immoralismo di Nietzsche” (Carlini, Genova); “Il genio etico ed altri saggi” (Laterza, Bari); “Sulla risarcibilità del danno morale” (Cooperativa,Verona); “L’istinto morale” (Riuniti, Bologna); “L'orma di Protagora” (Treves, Milano); “Principi di politica im-popolare” (Zanichelli, Bologna); “Introduzione alla scessi etica” (Perrella, Napoli); “Teoria e pratica della re-azione politica” (Stampa, Milano); “L'amore e il lavoro nella concezione della scessi” (Unitas, Milano); “Dove va il mondo?, «Inchiesta fra gli scrittori italiani» (Libreria Politica Moderna, Roma); “L'irrazionale, il lavoro, l'amore” (Unitas, Milano); "Terapia dell'a-teismo" (Castelvecchi, Roma);  “Apologia della scessi” (Formiggini, Roma); “Autorità e libertà: le colpe della filosofia” (Politica, Roma); “Il materialismo critico” (Sociale, Milano); “Spinoza” (Formiggini, Roma); “Scheggie: pagine di un diario intimo” (Bibl. Ed., Rieti); “Cicute: dal diario di un filosofo” (Atanòr, Todi); “Impronte: pagine di un diario” (Italia, Genova); “Raffigurazioni: schizzi di filosofi e di dottrine” (Guanda, Modena); “L’a-porie della religione” (Etna, Catania); “Sguardi: pagine di un diario” (Laziale, Roma); “Passato, presente, future” (Cogliati, Milano); “Motivi spirituali dell’ACCADEMIA” (Gilardi, Milano); “Scolii: pagine di un diario” (Montes, Torino); “Vite parallele di filosofi: l’accademia e CICERONE” (Guida, Napoli); “Critica della morale” (Etna, Catania); “Figure di filosofi: ARDIGÒ e GORGIA” (Guida, Napoli); “Poemetti in prosa e in verso” (Ist., Milano); "La morale come stato d'eccezione?" (Castelvecchi, Roma); “TRASEA (si veda) contro la tirannia” (Oglio, Milano) – FASCISMO E STORIA ROMANA – la critica -- ; “Lettere spirituali” (Bocca, Milano); “Sale della vita -- saggi filosofici” (Oglio, Milano); “La religione -- spirito religioso, misticismo e a-teismo” (Sentieri Meridiani, Foggia); “Contro il lavoro -- saggio su L’ATTIVITA PIU ODIATA DALL’UOMO” (Gwynplaine, Camerano);  “Le ragioni dell'irrazionalismo” (Orthotes, Napoli); “Su LEOPARDI” (Bruni, Torino). – “Il filosofo dissidente, Pastorino, Uomini e idee della Massoneria. La Massoneria nella storia d'Italia, Roma, Atanor sub voce (in ordine cronologico), R. Istituto di Studi filosofici, Roma); Untersteiner, Interprete del pensiero antico (Bocca, Milano); La scessi estetica (Zanichelli, Bologna); Cuneo, Conti e C., Cuneo); Un moralista, Italia, Resta (SIAG, Genova); Poggi (Azzoguidi, Bologna); “Il problema generale della giustizia e della giustizia penale” (Vallardi, Milano); Rossi, “L’deale di Giustizia” (Bocca, Milano); Buonaiuti, “La scessi credente” (Partenia, Roma); Mignone, “Leopardi e Pascal” (Corbaccio, Milano); Nonis, La scessi etica, Studium, Roma, Morra; R., Scessi e mistica in R. (Ciranna, Siracusa); Tecchiati, Alla mostra del libro filosofico", La Voce di Calabria, Palmi, Bassanesi, La coscienza tragica” (Filosofia, Torino); Alpino, La collaborazione di Rensi alla rivista "Pietre" (Marzorati, Milano); Liguori, “La scessi giuridica” (Giuffrè, Milano); Noce, "Tra Leopardi e Pascal, ovvero l'auto-critica dell'a-teismo negativo", in Una giornata rensiana, Marzorati, Milano, Sciacca, “Una giornata rensiana” (Marzorati, Milano); Perano, Il problema della verità nella scessi di Rensi” (Lateranense, Roma); Mas, Tra democrazia e anti-democrazia” (Bulzoni, Roma); Santucci, Un irregolare: Tendenze della filosofia italiana nell'età del fascismo, Pompeo, Faracovi, Belforte, Livorno; Rognini, “Dal positivismo al realismo” (Benucci, Perugia); L'inquieto esistere” (EffeEmmeEnne, Genova); Boriani, La questione morale nel positivismo” (Melusina, Roma); Silva, “La ribellione filosofica” (Genova,  Liguori); Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo. La coerenza critica, Il sentiero dei perplessi. Scetticismo, nichilismo e critica della religione in Italia da Nietzsche a PIRANDELLO (si veda), La Città del Sole, Napoli, Gianinazzi, Intellettuali in bilico, Milano, Ed. Unicopli, Emery, Lo sguardo di Sisifo: R. e la via italiana alla filosofia della crisi: con una nuova  rensiana, Marzorati, Settimo Milanese,  Mancuso, Tra democrazia e fascismo, Aracne, Roma, Serra, Tra dissoluzione del socialismo e formazione dell'alternativa nazionalista” (Angeli, Milano); Meroi (Olschki, Firenze); “L’eloquenza del nichilismo, SEAM, Formello); Pezzino, Scacco alla ragione” (C.U.E.M.C., Catania);  Castelli, Un modello di Repubblica; la politica e la Svizzera (Mondadori, Milano); Greco, politica, autorità, storia, Viaggi di carta, Palermo); P. Serra, “La rivolta contro il reale, Città Aperta,  Enna); A.  Montano, “Ethica ed etiche” (Napoli); G. Barbuto, Nichilismo e stato totalitario: libertà e autorità” (Guida, Napoli); Greco, la filosofia morale, Viaggidicarta, Palermo, Mancuso; Montano, Irrazionalismo e impoliticità Rubbettino, Mannelli, Meroi, filosofia e religione (Storia e letteratura, Roma). Lobagueira,  Documenti, Trento; Mascolo, Il corso infernale della storia. L'influenza di Schopenhauer nella filosofa, in Ciracì, Fazio, Schopenhauer in Italia, Lecce, Pensa Multi Media, Bruni, “Il leopardismo filosofico” (Firenze, Le Lettere); “Filosofo della storia, Firenze, Le Lettere, Bignami E. Buonaiuti, Croce, Ghisleri, Manifesto degli intellettuali antifascisti Ad. Tilgher, Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. R. il filosofo dimenticato. scomodo nichilista di Volpi l'"irregolare" di Martinetti. Di qui, con evidenza, un elemento evolutivo nel “Trasea, contro la tirannia” (Corbaccio dall’oglio, Milano) -- dove R. introduce elementi di giudizio nei confronti dei regimi statali che pregiano maggiormente le «questioni materiali e spirituali rispetto all'effcienza dell'amministrazione -- quasi a dire che non è possibile accettare l'affermazione tirannica del potere, anche se questo risulta poi operativo ed efficiente, perché essa coarta eccessivamente lo spazio della personalità individuale. Di qui il limite della stessa filosofia dell'autorità, la cui estensione trova nel rispetto della moralità e interiorità un limite; e che tale limite sia valicato si intuisce dalla crescita dell'im-moralità pubblica -- delazione, adulazione etc. ne sono i fenomeni rivelatori. Questa vicenda è descritta con riferimento all'impero d’OTTAVIANO a Nerone inclusi, e, alla data di stesura, intuitivamente e obliquamente  allusiva al fascismo. Cf. Il CICERONE di Rensi. Spero enim homines mtellecturos  quanto sit omnibus odio crudelitas et  quanto amori probitas et clementia.   C. Cassio in Cic., Ad farri. Cicerone era vicino ai sessantanni, quando lo  Stato legale romano, che già precedentemente aveva subito terribili scosse, ma che mediante una  saggia riforma avrebbe potuto rinvigorirsi sul suo stesso tronco senza frattura o soluzione di continuità, riceveva da GIULIO (si veda) Cesare il colpo di grazia. Non è più necessario rivendicare la grandezza  di CICERONE contro le denigrazioni di Mommsen  e di altri due o tre storici tedeschi. Egli non  e una ràbula e un politico superficiale. Bensì  un uomo di stato dallo sguardo ampio e sicuro,  nel cui animo si radica e vive di vita vigorosissima tutta la grande tradizione politica romana, [Una bella e vivace confutazione di Mommsen si  può leggere nel saggio di Horncffer, Cicero und die  Gegenwarl, contenuto nel volume Das Klassische Idealm Lipsia, Klinkhardt. Horneffer però rivendica  solo il valore di Cicerone come epistolografo e oratore,  non come FILOSOFO.] e pur senza che l’animo servilmente vi soggiacesse,  ma, anzi, insieme, con la chiara coscienza della  nuova direzione che quella tradizione dove prendere, e della misura e forma in cui dove prenderla, per svilupparsi fecondamente e superarsi vivificandosi. Accanto a ciò, mente che s’e impadronita di tutta la più alta cultura dell'epoca: Demostene e Platone insieme pel suo paese, come  riconosce Moellendorf . Accanto  a ciò, una squisitissima sensibilità artistica e una  passione vivacissima per le cose d’arte. Basta vedere quanto “vehementer” com’egli stesso dice,  attende che Attico gli mandasse sculture ed oggetti artistici greci: “genus hoc est voluptatis rneae” (Ad Att.); e  basta aver letto attentamente le sue orazioni e  aver scorto il perfetto senso d’arte con cui sono costruite e che vi circola. Accanto a ciò, infine,  una sensibilità in generale per le cose, le persone, gl’eventi, gl’affetti, così moderna, che in lui, nella sua pronta e multiforme impressionabilità, ritroviamo  interamente noi stessi: e il suo dolore erompente  e pieno di accenti passionali per la morte della  figlia Tullia, è il palpito d’un cuore dei nostri  tempi. Uomo, in una parola; assolutamente completo. Un pensatore di così sottile e sicuro buon gusto  e di cosi grande penetrazione storica (e particolarmente [Il rimprovero che gli si fa di debolezze e incertezze è uno dei soliti rimproveri che gl’eroi  di poltrona hanno quasi sempre occasione di rivolgere al grande che si è trovato a dover davvero vivere avvolto da un gigantesco turbine d’avvenimenti, e che nemmeno se fosse stato mille volte più grande poteva abbracciarne tutte le fila, come è invece agevole a quelli che non fanno se non pacificamente rileggerli nel loro tranquillo gabinetto venti secoli dopo. Egli non e debole ed incerto nè nella repressione della congiura di CATILINA (si veda), nè  nella lotta per la salvezza della costituzione contro il cesarismo rinvelenito da MARC’ANTONIO (si veda), lotta che  chiuse cosi gloriosamente la sua carriera mortale. Le sue incertezze d’altri momenti sono unicamente  frutto della sua profonda moralità. Perché l’uomo fondamentalmente morale e intelligente, in mezzo a cataclismi enormi che travolgono gl’individui come fuscelli, quali quelli in cui CICERONE si trova,  mentre non può operare contro coscienza, e per questa, che pure sarebbe l’unica via possibile, salvarsi o tornare a grandeggiare, però avverte anche  i pencoli micidiali a cui espone sè ed 1 suoi operando secondo coscienza: e la condotta risultante è necessariamente quella che tracciano le  fluttuazioni di tale angoscioso conflitto interno.] circa la storia romana) come Montesquieu ne dà questongiudizio. Ciceron, selon moi, est un des plus grands  espnts qui aient jamais été -- Pensées diverses -- Ab illis est periculum si peccare, ab hoc si recte  fecero, nec ullum in his malis consilium periculo  vacuimi inveniri potest (Ad Att.). Quando  i frangenti in cui un uomo si trova realmente a  vivere sono davvero quelli così delineati, si può  domandarsi se sia umanamente possibile la rettilineità che esigono da lui coloro che poi spulciano comodamente gl’eventi della sua vita. Sicuro e  diritto, in tali circostanze, è l'uomo amorale che  non sente scrupoli: il cinico ed elegante arrivista  CELIO RUFO, che a CICERONE dava questo consiglio (Ad. Di'.). Suppongo che non ti  sfugga come nelle discordie politiche interne gl’uomini debbano seguire, finché si lotta senz’armi,  la parie più onesta, ma la più forte quando vengono in gioco guerre ed eserciti, e stabilire che  è migliore ciò che è più sicuro. CELIO RUFO, del  resto ottimo filosofo, tanto che per molti umanisti ed altri dotti è ancor oggi il miglior modello  di stile. Ma CICERONE e un uomo di coscienza.  Questa soltanto, non la sua incapacità mentale,  la causa della sua rovina. Egli e andato con POMPEO (si veda), non già sedotto  dalla speranza della vittoria, ma quando la causa  di costui era ormai pressoché perduta e con la  piena nozione di tale condizione di cose, e mentre GIULIO Cesare, MARC’Antonio, Celio, per cercar di trattenerlo  almeno neutrale, gli fanno offerte larghissime:   secuti non spem, sed officium (Ad Div.).  Vi era andato essendo consapevole, non solo dell’inettitudine e impreparazione di Pompeo e di  quelli che sono con lui, ma altresi del fatto che  poco o nulla c’e da sperare da essi circa la  restaurazione della legalità, animati come costoro sono da propositi di persecuzione sillana (Ad Att.), e   chiaro ormai essendo che dai pompeiani non meno  che dai cesariani non si pensa che a far man  bassa dello Stato --  regnandi contendo est -- Ad  Att. -- dominatio quaesita ab utroque est,  non id actum beata et honesta civitas ut esset. Vi era andato straziato dall’ idea  d una guerra civile e unicamente in obbedienza a  considerazioni d ordine morale. E’ la coscienza  che ci costringe, scrive ad Attico, a staccarci da Cesare più ancora se vincitore che se vinto, per non essere solidali con ciò che segue  alla sua vittoria, stragi, estorsioni, violenze -- et  turpissimorum honores, et regnum non modo Romano homini, sed ne Persae quidem cuiquam tolerabile. E andato da Pompeo, senza illusioni  e speranze, unicamente per senso del dovere. Sed valuit -- scrive a Cecina -- apud me  plus pudor meus quam timor -- veritus sum deesse  Pompeii saluti, cum ille aliquando non defuisset  meae. ltaque vel officio, vel fama bonorum, vel  pudore victus, ut in fabulis Amphiaraus, sic ego  prudens ac sciens, ad pestem ante oculos positam  sum profectus -- Ad Div. Egli sa  cioè di andare alla rovina e vi anda in obbedienza a yu principio d'onore (pudor) e di gratitudine,  per quel poco che Pompeo aveva fatto onde richiamarlo dall’esilio.  Pudori tamen malui famaeque cedere quam salutis meae rationem ducere  riconferma a M. Mario. E ritornando  più tardi in una lettera a Torquato, che aveva  anch’egli seguito la parte pompeiana, su quell’episodio a entrambi comune, sente di poter ricordare in cospetto al correligionario politico -- nec  nos victoriae praemiis ductos patriam olim et liberos et fortunas reliquisse, sed quoddam nobis  officium iustum et pium et debitum reipublicae  nostraeque dìgnitati videbamur sequi, nec cum id  faciebamur tam eramus amentes ut explorata nobis  esset victoria. Ne è questa un’opportunistica configurazione postuma della sua condotta di quel tempo. Basta percorrere la sua corrispondenza con il cosidetto “ATTICO” -- suo amico intimo e suo  editore, uomo consumato nell’ impresa di tener il  piede in più staffe e nella difficile arte di conservarsi amici i vincitori senza inimicarsi i vinti -- per constatare che tale veramente, cioè il senso del  dovere, e il nobile sentimento da cui fu mosso. Officu me deliberalo cruciat, cruciavitque  adhuc. Cautior certe est mansio. Honestior existimatur traiectio (Ad Att). E quando  Pompeo è pressoché spacciato e stretto da tutte  le parti, e Cicerone è ritornato in Italia, egli si  cruccia proprio di questo suo atto da cui gli sarebbe derivato vantaggio e che poteva quindi essere reputato abile, e si rammarica di non essere  stato con Pompeo sino alla fine -- numquam  enim illus victoriae socius esse volui. Calamitatis  mallem fuisse (Ad Att.). Il principio,  insomma, che in un’altra posteriore circostanza,  piena di pericoli mortali, nella sua lotta contro Antonio, egli enuncia a Planco così. Mihi maximae curae est, non de mea quidem vita, cui satisfeci vel aetate vel factis vel gloria, sed me patria sollicitat -- ( Ad Dio.), questo è il principio che domina costantemente nell’animo di Cicerone, insieme con l’insormontabile ripugnanza,  o meglio con 1’impossibilità, di venir meno al  rispetto verso se stesso. Allorché, essendo Cesare  incontrastato padrone, l’accomodante Attico gli  dà il consiglio di obbedire ai vincitori. Non  mihi quidem, egli risponde, cui sunt multa potiora (Ad Att.). Certo, un uomo mosso prevalentemente da sentimenti di tale natura, nelle tragiche vicende pubbliche da cui si trova avvolto Cicerone, va al  fondo. Resta a vedere se ciò sia un indice di  inferiorità o se non lo sia piuttosto quel successo  che è raggiunto -- e la cosa è facile --  in grazia dell’assenza di tali sentimenti, della mancanza d’ogni  freno etico, dell insensibilità ad ogni scrupolo di coscienza, della nessuna riluttanza a violare cinicamente ogni principio di diritto e di morale. Nè r uomo che comincia la sua carriera  attaccando coraggiosamente nell’orazione prò Roselo  un favorito potentissimo di SILLA, e un pavido.  Dimostra ancora di non esserlo nel suo consolato. L’apparenza  di timidità da lui talvolta offerta, deriva da ciò  che egli, come dice di sè, si preoccupa grandemente dei pericoli nella rappresentazione e raffigurazione mentale anticipata di essi, non già che  titubasse poi ad affrontarli nella realtà. Quintiliano  narra. Parum fortis videtur quisbusdam. Quibus  optime respondit ipse, non se timidum in suscipiendis, sed in providendis periculis. E’ press’a poco ciò che egli scrive a Toranio. Mi accusano di essere timido -- eram piane,  timebam enim, ne evenirent, quae acciderunt. Mi diceno timido -- quia dicebamus ea futura,  quae facta sunt (Ad Dio.). Nè è giusto  accusarlo di non aver saputo intuire con chiarezza  le situazioni e di essersi per questa deficienza di  sguardo gettato a corpo perduto a combattere per  soluzioni che la realtà escludeva. È questa la solita iniqua condanna che ì posteri, aggiungendosi  ai contemporanei nell’incensare i vincitori e nel  dare il calcio dell’asino ai vinti, pronunciano contro  colui che difende la causa rimasta storicamente soccombente. Quasiché il fatto che una causa sia rimasta storicamente sconfitta dimostri anche che e giusto e logico che essa lo fosse. Quasiché il mero  fatto, il fatto del successo, sia anche verdetto di  giustizia e logicità, quasiché assai spesso la causa  storicamente prostrata non sia quella che avrebbe  dovuto vincere. Che la cosa stia così nel caso di  Cicerone, lo dimostra il fatto che la causa da lui combattuta e che vinse costituì LA ROVINA DELLA VITA DI ROMA. Basta per accertarsene constatare che  NELLA STESSA NOSTRA MEMORIA DI POSTERI LA VITA DI ROMA RESTA CHIARAMENTE PRESENTE E ATTIRA LA NOSTRA APPASIONATA ATTENZIONE APPUNTO SINO AD OTTAVIANO. Ci rimangono ancora come appendice già torbida  i primi imperatori. Poi tutto ci si confonde dinanzi in un lungo stato comatoso chiazzato di  continui sussulti sanguigni, in cui -- se non siamo storici di professione -- non distinguiamo piu ne nomi,  nè persone, nè eventi, di cui non ricordiamo, NE C’IMPORTA RICORDARE, più nulla. Si rammenti come, per es., scorge Roma Massimo d’Azeglio. Fra tutti gli stati dell’antichità è Roma  quello che ho in maggior stima, FINO ALL’EPOCA DEI GRACCHI, intendiamoci ! lo ammiro que’ tempi durante i quali domina la legge -- durante i quali le più bollenti passioni agitate  dai più vitali interessi, non cercano altr armi nè altre  vittorie che un voto ne’ Comizi. E poco prima. Se  è giusto e vero il principio fondamentale delle società  moderne, essere la legalità di un governo dipendente dalla volontà del popolo che vi è governato, vorrei sapere se l’umanità consultata avrebbe ne’ tempi dei Romani votato Nemmeno i mezzi che egli aveva messo in opera per sostenere la causa che soccombette, erano inadeguati. Tutto, invece, egli aveva provvisto; tutto  quanto era necessario perchè essa vincesse: aveva  cercato di assicurare ad essa l’appoggio e la  fedeltà dei maggiori personaggi militari e politici; aveva costituito e messo in campo eserciti  poderosi; con la sua parola tenne altissimo il  tono morale del popolo all’ interno. Se la causa  non vinse, lo si deve, non a un fato storico, a  condizioni incoercibili insite nella realtà e sfuggite  allo sguardo di Cicerone, o al logos immanente  nella storia. Ma unicamente a due o tre puri casi,  che potevano accadere diversamente e in tal modo  rovesciare la situazione. Dice in qualche luogo SERBATI che uno de’ mezzi, co’ quali l’uomo  può sciogliere la propria mente da molti pregiudizi e da’ legami delle consuetudini sensibili, si è  l’esercitarsi a considerare le cose non solo come  sono, ma come potrebbero essere. Se vogliamo applicare questo precetto al periodo di  storia in discorso -- come Renouvier in Uchwnie  l’ha applicato in modo grandemente interessante a  tutta la storia occidentale dagli Antonini in poi -- scorgeremo agevolmente che due o tre futili casi, per l'impero (Miei Ricordi, Barbera, Antologia Pedagogica cur. di Pusinieri, Rovereto, Mario] i quali fossero avvenuti diversamente, sarebbero  bastati a cambiare del tutto la faccia delle cose;  se, p. e., LEPIDO non avesse tradito, o se un giavellotto l’avesse ucciso quando egli si mosse per  portar soccorso a MARC’ANTONIO ormai disfatto, se PLANCO  non avesse fatto il doppio giuoco, ciò sarebbe bastato per far di Cicerone il capo dello Stato romano, e perchè egli occupasse nella politica di  Roma d’allora, e nella storia, il posto d’OTTAVIANO.  E quanto lo stato romano e la posterità sarebbero stati più fortunati se il potere fosse venuto  in mano ad un uomo di rettitudine profonda e  di vivo senso del diritto e del dovere, come Cicerone, anziché ad un uomo la cui bassezza d’animo è provata luminosamente dal fatto che, avendo  cominciato ancora puer o adolescens, come sempre  Cicerone lo chiama -- sed est piane puer n \Ad  Att.-- ad essere qualcosa solo per l’appoggio datogli appunto da Cicerone e con lo strisciarsi umilmente ai suoi piedi -- a me postulat  primum ut clam conloquatur mecum Capuae vel  non longe a Capua... ducem se profitetur nec nos  sibi putat deesse oportere -- binae uno die mihi  litterae ab Octaviano -- deinde ab Octaviano cotidie litterae, ut negotium susciperem, Capuani  venirem, iterum rem publicam servarem » ; mihi  totus deditus „ ; “ nobiscum hinc perhonorifice   et amice Octavius — Ad Att., non si trattenne dal sacrificare ad  una propria maggiore ascesa la vita di colui che l’aveva sorretto nei suoi primi passi. Uomo egli,  si, veramente, pusillanime, che vinse le guerre solo  per mezzo dei suoi generali e specialmente di Agrippa, e non aveva il coraggio di presentarsi  nel campo se non dopo che Agrippa gli annunzia la vittoria (Svet. Aug.). Fondamentalmente istrione e poseur come risulta dal fatto,  narrato da Svetonio (Aug.), che non comunica mai nemmeno con sua moglie senza scrivere prima e leggere ciò che voleva dire, nonché  dall’altro, sempre narrato da Svetonio, che  egli ama stilizzare a particolare espressività e luminosità i suoi occhi -- quibus etiam existimari  volebat inesse quiddam divini vigoris, gaudebatque. Octave lui, a Sesto Pompeo, fit deux guerres  laborieuses ; et après bien de mauvais succès il le vainquit por i’habilité d’Agrippa. Je crois qu’Octave est le  seul de tous les capitaines romains qui ait gagné l’affection  des soldals en leuv donnant sans cesse des marques d’une  làcheté naturelle „ (Montesquieu, Grandeur et Dócadence des Romains. Tanto GIULIO Cesare quanto OTTAVIANO hanno l’abitudine di citare dei versi delle Fenicie di  Euripide. E la citazione che l’uno e l’altro aveva scelto  è rivelatrice del loro rispettivo carattere. Cesare ama  citare i versi -- “se c' è un caso in cui sia bello VIOLARE IL DIRITTO, è quando lo si VIOLA – cf. H. P. GRICE – FLOUT, VIOLATE --  per conseguire la  tirannide -- citazione signifìcatiice dello spirito violento e  illegale. OTTAVIANO ama citare il versoL è meglio  per un generale procedere al sicuro (àacpaÀr/c) che essere ardito (ihf aouc) -- citazione significatrice della vigliaccheria -- cfr. Cicer. De Off. e Svetonio  Aug.] si qui sibi acrius contuenti quasi ad fulgorem solis  vultum summiteret e infine in modo palmare dalle  parole -- ecquid iis videretur mimum vitae commode transigisse -- e dalla citazione greca richiedente l’applauso per la commedia ben riuscita,  con cu; egli chiuse la sua esistenza. Uomo  che desta particolare antipatia precisamente in  grazia del suo proposito di moralizzare la vita  romana; perchè niente è più ripugnante del dissoluto che si da il compito di costringere gli altri  alla virtù e posa a restauratore della morale pubblica; e OTTAVIANO cambia tre mogli prendendo l’ultima al manto sotto ì suoi stessi occhi,  conducendola con sé in un altra stanza donde e  ritornata spettinata e con gli orecchi rossi, e poi  introducendola in casa propria INCINTA D’UN ALTRO; aveva commesso le oscenità che narra  Svetonio, irripetibili, tranne forse una -- adultena quidem exercuisse ne amici quidem  negant -- e dopo ciò faceva udire le parole ammonitrici di vita austera e imprende a ricondurre  i costumi alla prisca severità. La scandalosa condotta di sua figlia e di sua nipote, che condusse  -- A cool head, an unfeeling heart, and a cowardly  disposition, promtcd finn al thè age of nmeieen, to assume  thè maske of hypocrisy, which he never afterwards laid  aside. With thè saine hand, and proba’bly with thè same  temper, he signed thè proscription of CICERONE and thè  pardon of Cinna. His virtues, and even his vices, are  artifìcial -- Gibbon, Decime and Fall] all’esilio di entrambe, e di OVIDIO (si veda) complice o pronubo, dimostra che nella sua famiglia stessa si ha il senso netto del come si puo prendere sul serio una riforma morale che pretendeva attuare un individuo di siffatta ìndole e di siffatti  precedenti. Non ostante che all’epoca del trionfo di Cesare si avvicinasse alla sessantina, Cicerone non era  uomo che non sa comprendere i tempi. Li  comprende benissimo, più profondamente e sapientemente di Cesare e di Ottavio. La sua mente  e in pieno vigore. Subito dopo quell epoca egli  poteva scrivere quei suoi saggi di FILOSOFIA che suscitano l’ammirazione dei contemporanei e sono letti con entusiasmo o rispetto da tutte [Coglie veramente nel segno Aurelio Vittore: Cum esset luxuriae serviens erat eiusdem vitii severissimus ultor,  more hominum, qui in ulciscendis vitiis, quibus ipsi veliementer indulgent, acres sunt. E s. può dire d.  lui quel che Boissier dice di Domiziano: 1 ar malheur,  ce prince si sevère pour les defauts des autres, etait lui-mème très vicieux. 11 avait fait des lois rigoureuses contre  l’adultere et il vivait publiquement avec sa mèce, la bile  de Titus, qu’il avait enlevée à son mari et dont il causa  la mort en essayant de la taire avorter. Ce contraste etait  choquant, et il n’ ignorait pas qu’on en etait indigne (Tacite).] le generazioni successive. Poco più oltre egli  svolgeva anzi la sua azione politica più abile, più  decisa, piu energica e più importante, e, insieme,  con le filippiche raggiungeva un’altezza da lui  ancora non tocca nella forma d’arte che gli era  propria -- “divina„ chiama giustamente un giudice certo non facile, Giovenale, la seconda  di esse. La sua idea di portare alla luce del  mondo politico, sotto la sua direzione, il pronipote e figlio adottivo di Cesare, ancora ragazzo  -- ha  appena diciannove anni --, accordandogli anche onori che a molti pareno eccessivi, e di  riuscire così giovandosi del nome di Ottavio a far  rientrare il ribollente partito cesariano nell’ordine costituzionale e a dominare in tal modo una situazione difficilissima, e una idea geniale, abilissima, da politico grandemente avveduto, l’unica [Sull immensa influenza esercitata da Cicerone sui   a t“ di tutti ' tempi ' veg § asi ‘'furiente  r “, Z r fe ,v C f er , 0 o ™ Wandel dcr Jahrhunderte  I d-' P r a ' ed ;. lj^ 9 ) Strachan-Davidson nella  sua Vita di Cicerone, Heroes of thè Nations Series, dice giustamente che se si dovesse decidere quale degli  filosofi romani maggiormente influì sul mondo moderno, la decisione sarebbe in favore di Cicerone —  hrasmo, scrivendo ad un amico, dice che, se da giovane   aonr enVa rf matUra anda sempre più  apprezzando Cicerone. Ld è proprio giusto il noto giud. Z .o di Quintiliano. Ille se profecisse sciat, (e s. può  aggiungere: tanto gusto letterario, quanto in retti Jne  etico-politica) cui Cicero valde placebit. G. Sensi . y ita paratiti « di due fila.ofi] idea che in quel terribile cataclisma poteva dar  buoni frutti. Non è sua colpa se 1 idea non riuscì,  e proprio sopratulto per la perfidia senza scrupoli  del futuro Augusto. Per quanto avveduto e grandemente intelligente, un uomo di Stato fondamentalmente onesto come Cicerone, non fa entrare  nel suo giuoco la supposizione di una perfidia  enorme, di gran lunga travalicante la media nequizia umana, come fu quella di Augusto; nè si  può accusarlo di incapacità se non ve la fa entrare,  e se essa gli si rizza impensatamente dinanzi mandando a picco i suoi piani più accortamente e  sapientemente elaborati. Cicerone  assume risolutamente, nel momento più pieno di  vicissitudini e pericoli, la parte di leader del Senato e del popolo romano, come egli stesso scrive  a Cornificio -- me principem Senatui populoque  romano professus sum (Ad Dio.). Spiega un’attività prodigiosa, tanto verso gl’eserciti  quanto rispetto alla situazione interna, per dirigere   [Giustamente Platone osserva (Rep.) che  le persone oneste sono facili ad essere ingannate dai  malvagi perchè non hanno in sé il modulo dei sentimenti  di costoro (fire oòv. s'/ovre? èv éaotoT; ^ 7 iapaos'y|J.axa  óp. 0 i 07 ia{H) tot; nove^oi?) ; mentre però il malvagio, abilissimo nel suo comportamento coi malvagi, resta ingannato quando tratta coi buoni, perchè, giudicando da se,  e ignorando le indoli onesti, vede dappertutto inganni  (àruaT&v Tiapà xaipòv xaì àYVOtòv uytè; fjU'o;)] la lotta contro Antonio; getta di nuovo, attesta  scrivendo ancora a Cornificio, 1 fondamenti dello  Stato con la prima Filippica: “ fundamenta ieci  reipublicae „ (Ad D/v.); e al giocondo Peto conferma quanto abbia fatto, quanto  faccia e come ritenga che se dovesse in tale sua  azione perdere la vita l’avrebbe spesa bene ; “ sic  tibi, mi Peto, persuade, me dies et noctes mini  aliud agere, nihil curare, nisi ut mei cives salvi  liberique sint : nullum locum praetermitto monendi, agendi, providendi : hoc demque animo  sum, ut si in hac cura atque admistratione vita  mihi ponenda sit, praeclare actum mecum putem -- Ad Div. In questi primi mesi  del 43, Cicerone fu veramente il princeps, ch’egli  aveva idealizzato nel De republica : consigliere,  esortatore, ispiratore del Senato, dei consoli, dei  governatori delle provincie. Non è questa  la condotta d un uomo le cui facoltà spirituali siano  illanguidite. Ma, sopratutto, a prova della sua esatta comprensione dei tempi, basta ricordare come la riforma che occorreva allo Stato romano, pessimamente attuata, secondo attestò la susseguente vita  Amateli, Cicerone, (Bari, Laterza). Jamais Ciceron n a joue. un plus grande róle politique  qu à ce moment ; jamais il n’a mieux mérité ce nom d’hom-  me d Etat que ces ennemis lui refusent (Boissier, Cr-  céron et ses amis -- dell’Impero, da Cesare e da Augusto, fosse stata  prospettata per primo da Cicerone nel De Repubblica. L’introduzione, cioè, d’un nuovo e più  fermo principio d’autorità sotto forma di un rector  rerumpublicarum d’un moderator reipublicae d’un princeps civitatis (De Ti,ep.). Senonchè Cicerone, con molto maggior senso della  necessaria continuità di sviluppo dello Stato romano  e con molta maggior disinteressata cura di esso,  non intendeva che questa riforma dovesse rivolgersi a distruzione della costituzione esistente, bensì  che dovesse ingranarsi in essa e formarne un naturale complemento e uno svolgimento spontaneo  e logico ; “ homines non tarai commutandarum  quam evertandarum rerum cupidos, egli giudica  i cesariani -- De Off., mentre per lui la  costituzione romana, come esattamente nota lo  Zielinski, era “ capace di ogni progresso in quanto  questo conducesse all’accettazione e allo sviluppo  di idee feconde (fordeTnder), non di idee distruttive. La differenza tra il modo con cui egli  concepiva la riforma e il modo con cui la attuarono Cesare ed Augusto è si può dire scolpito  dalle seguenti sue due proposizioni : “ me nun-  quam voluisse plus quemquam posse quam universam rempublicam (jdd Div.); ego  sum, qui nullius vim plus valere volui, quam honestum otium. Ovvero: la differenza tra la concezione ciceroniana del princeps  e la pratica applicazione fattane da Cesare è resa  nel bell’ emistichio con cui Lucano descrive il modo di operare di quest’ultimo -- gaudens viam fecisse ruina. Basta riflettere a tutto ciò per scorgere tosto  che non solo la mente di CICERONE era nel suo  pieno vigore, ma altresì la sua comprensione dei  tempi (se per questa s’intende, non già furbesca  valutazione personalmente opportunistica delle circostanze, ma avvertimento delle necessità profonde  che ad un dato momento si presentano nella vita  sociale e politica d’un paese) era perfetta. Il  sovversivismo di Cesare è provato dal dolore  che per la sua morte manifestarono sopratutto gl’Ebrei  (qui etiam noctibus continuis bustum frequentabant -- Svet, Caes., cioè precisamente coloro che nel seno  nello stato romano, da essi violentemente odiato, costituivano la catapulta diretta a farlo saltare, e che, sotto la  veste del Cristianesimo, a farlo saltare effettivamente riuscirono. Si può anzi con sicurezza dire che l’impero romano si  deve agl’ebrei, perchè sono i loro lunghi tetri lamenti  intorno al cadavere di GIULIO Cesare che suscitarono nella plebaglia quella sommossa per e attorno al rogo del dittatore, la quale fa prender nuova forza al cesarismo. É  noto come per la commozione popolare che lo straziante  rito ebreo provoca colle sue lugubri lamentazioni orientali,  se ne ingenerò quel tumulto che dove mutare la faccia  de! mondo, mandando in fumo i diplomatici accordi con  Bruto e Cassio, che dovettero fuggire in Illirio : sicché ne  vennero le lunghe guerre civili e l’Imperio di Augusto „  (Ottolenghi, Voci JOriente, Lugano, Mente possente, senso politico sicuro, comprensione dei tempi piena. Non si può dunque attribuire a deficienze intellettuali il modo con cui  Cicerone valutò Cesare e il movimento da costui  capeggiato. Egli non vide certamente Cesare come  la sua figura si è plasmata nella storia, che corona  con eternità d’ apoteosi tutto ciò che ha trovato  in ogni presente la consacrazione del bruto successo di (atto. Lo vide come glielo presentava la  realtà immediata. Lo vide come lo vide Catullo:   Pulcre convenit improbis cinaedis,   Mainurrae pathicoque Caesarique. E questo Caesar era proprio Caio Giulio Cesare  e quel Mamurra (da Catullo soprannominato Mentula) il suo generale del genio. A permettere al  quale di  mangiare  (il verbo si usava anche in  latino con questo preciso significato) milioni su  milioni, il commovimento politico aveva principal¬  mente servito. Doveva essere una cosa nota a  tutti, se Catullo la mette correntemente in versi:   Cinaede Romule, haec videbis et feres?   Es inipudicus et vorax et aleo. Eone nomine, imperator unice, Fuisti in ultima occidentis insula.   Ut ista vostra diffutata Mentula  Ducenties comesset aut trecenties ? Cinaede Romule Romolo debosciato, impudico, vorace e giuocatore: cosi Catullo vede Cesare. E press’a poco così lo vede Cicerone.   Egli non scorge Cesare, quale il fanatismo interessato dei seguaci e poi gli storici l’hanno costruito: gli storici, i quali (in generale) non fanno  mai altro se non aggiungere, per supino servilismo  postumo, la loro adulatrice consacrazione al suc¬  cesso di fatto e di solito non osano mai, per la  paura di passar per “singolari,,, sviscerare il  clamoroso successo di fatto ottenuto da un grande nella età in cui visse, mettendone coraggiosamente  in luce le vere molle, spessissimo casuali, o basse,  o vili, ma sempre invece per essi è grande colui che nella sua epoca le circostanze, o la  perfidia, o i misfatti hanno portato in alto. Si vous avez une vue nouvelle, une idée origi nale, si vous présentez !es hommes et les choses sous  un aspect inattendu, vous surprenez le lecteur. Et le lecteur n’aime pas à ótre surpris. Il ne cherche jamais  dans une histoire que les sottises qu’ il sait dejà. Si  vous essayez de l’instruire, vous ne ferez que l’humilier  et le fàcher. Ne tentez pas de l’éclairer, il criera que  vous insultez à ses croyances... Un historien originai est  1 objet de la défiance, du mépris et du dégoùt universels.  Questo è l’abituale comportarsi degli storici, secondo la  satira, aggiustatissima, che ne schizza A. France, L’ ile  des Pingouins. Ci sarebbe solo da aggiungere che spesso il servilismo degli storici verso i pesonaggi della storia che scrivono serve al loro servilismo  verso i personaggi della storia che vivono. Cicerone vede Cesare muoversi davanti ai suoi occhi,  nella vita vera, non nella luce abbagliante del  mito. Esso gli appare screditato, corrotto, senza  senso di morale nè privata nè pubblica, uomo la  cui vita, i cui costumi danno la certezza che si  condurrà male : e sopratutto la danno la gente che  lo circonda. O Dii, qui comitatus ! in qua erat  area scelerum! scrive ad Attico, dopo  uno dei suoi abboccamenti con lui. Egli sa che  Cesare aveva cominciato a costruirsi la sua potenza  accaparrandosi e tenendo alle proprie dipendenze  i manigoldi audaci e bisognosi. Egli scorge. Nell' interessantissima antologia di pagine storiche  di Chateaubriand, testé pubblicata dall’editore Tallandier  sotto il titolo Scénes et portrails historiques, si legge. Tout personnage qui doit vivre ne va point  aux générations futures tei qu’ il était en réalité: a quelque  distance de lui, son epopèe commence : on idéalise ce  personnage, on le transfigure ; on lui attribue une puissance,  des vices et des vertus qu’ il n’eut jamais ; on arrange les  hasards de sa vie, on les violente, on les coordonne à  un système, Les biographes répètent ces mensonges ; les  peintres fixent sur la toile ces inventions et la posterité adopte le fantóme. Bien fou qui croit à l’histoire. L’histoire est une  pure tromperie „. E Montesquieu, dal canto suo aveva già  osservato : “ Les places que la posterité donne sont sujettes,  corame les autres, aux caprices de la fortune „ ( Grandeur  et décadence des Romains. Habebat hoc omnino Caesar : quem piane per-  ditum aere alieno egentemque, si eumdem nequam homi¬  nem audacemque cognorat, hunc in familiaritatem libentissime recipiebat (Fi/.radunata attorno a Cesare tutta la gente equivoca  e sospetta, violenta e disperata, tutte le anime dannate, vexu (<x (Ad Att. IX. 18), “ omnes damnatos,  omnes ignominia affectos, omnes damnatione igno-  miniaque dignos, omnem fere inventutem, omnem  illam urbanam et perditam plebem (Ad Att.,), tutti i giovani circa i quali pensava che “ma¬  ximas republicas ab adolescentibus labefactas,, (De  Seti.), tutti coloro ch’egli chiamava « perdita  iuventus (Ad Att.) e poc’anzi « barbatuli iuvenes, grex Catilinae »), feccia  di Romolo, i precursori di quella che  poi Giovenale denominerà «turba Remi»;  cosicché, egli scrive ad Attico, intorno a Cesare  è raggruppato tutto il canagliume della penisola,  cave autem putes quemquam hominem in Italia  turpem esse, qui hinc absit; osservazione identica a quella che è costretto a fare il  cesariano Sallustio: occupandae reipublicae in  spem adducti homines, quibus omnia probo ac luxu-  ria polluta erant, concorrere in castra tua (De Rep.  Ord.). Come Catullo, Cicerone vede con  disgusto i cesariani ormai dominatori darsi al lusso  ed al fasto, giuochi, cene, delizie, mentre Balbo  (altro comandante del genio di Cesare e sua longa  manus in Roma) si costruisce dei palazzi, “quae  coenae? quae deliciae?... at Balbus aedificat „ “(Ad  Att), e Antonio scorrazza l’Italia confi) Val la pena di riportare tutto il passo perchè esso ducendosi dietro in una lettiga aperta la sua amante  in un’altra sua moglie, “ septem praeterea coniun-  ctae lecticae amicarum sunt an amicorum ? „ l^/JJ  Att. X, IO) (I). Tutto ciò desta in Cicerone  una nausea invincibile: “ nosti enim non modo sto¬  machi mei, sed etiam oculorum, in hominum insocontiene un’osservazione di indole psicologica e morale  eternamente vera e colta da Cicerone dalla vita stessa  che lo circonda. At Balbus aedificat ; tl yàp «ÒTfij  péÀst ; Verum si quaeris, homini non recta sed vuluptaria quaerenti nonne [kfifwTai ? „ Cioè: “ Balbo pensa a  costruirsi palazzi. Che importa a lui di tutto ciò ? E in  verità, se a un uomo non sta a cuore la dignità e la coscienza, ma solo il suo interesse, fa bene a far così : può  dire ho vissuto   La ributtante figura d’Antonio risalta scolpita non  solo nelle lettere di Cicerone, ma, più ancora nelle Filippiche (v. specialmente FU. He.). Pagine che  stanno a dimostrare una volta di più come, in una situazione politica tirannica ed eslege, anche persone notoriamente  turpi possano salire ai più alti gradi, perchè il controllo  dell opinione pubblica e la possibilità di censure sono sop¬  presse dalla forza e la gente costretta al silenzio. Non  ostante, in un primo tempo Cicerone, usando l’avveduta  prudenza dell’uomo politico, aveva cercato di persuadere  quasi amichevolmente Antonio a rimanere nell'orbita della  legge. Ciò con la Fil. I, di cui è il caso di citare le se¬  guenti righe : “ Sin consuetudinem meam, quam in repu-  blicam semper habui, tenuero, id est, si libere, quae sen-  tiam, de republica dixero; primum deprecor ne irascatur,  deinde, si haec non impetro, peto ut sic irascatur, ut civi lentium indignitate, fastidium (Ad T)iv. Quanto a Cesare, egli è per Cicerone “ hominem  amentem et miserum che non ha mai conosciuta  neppur l’ombra dell'onestà, che considera la tirannide come il maggior dono degli Dei, (Ad Alt.), capace di ogni scelleraggine,  omnia taeterrime facturum, uomo del quale  “ vita, mores, ante facta, ratio suscepti negotii, sodi „ fanno ritenere che non potrà comportarsi se  non perdite. La sua  condotta sarà anche resa peggiore di quel che per  l’indole di lui sarebbe, dal fatto che il vincitore nella  guerra civile deve pur contro sua volontà operare ad  arbitrio di coloro che l’hanno aiutato a vincere. Omnia, scrive a Marcello, sunt misera in bellis  civilibus ; sed miserius nihil, quam ipsa victoria :  quae etiamsi ad meliores venit, tamen eos fero- [La stessa ripulsione, e per la stessa ragione, Filippo destava in Demostene. È circondato (egli dice) da  ladri, da adulatori, da gente che si abbandona a immoralità che non oso neanche ripetere. E De¬  mostene si illudeva che anche perciò Filippo sarebbe caduto. Geloso e ambizioso com' è (egli dice) allontana gli  uomini di valore, che gli danno ombra ; gli uomini assennati e morigerati, che sono rivoltati dalle sue immoralità  (àxpaafav xoO pioti -/.al xal xopSaxia|jioOs)   sono da lui cacciati e ridotti a nulla, TrapEwaHa'. xal sv  Ò'jSevò; s!va'. |ispei (ib. 18). Ma pur troppo i fatti  hanno sempre provato che è vana speranza contare che queste ragioni facciano cadere un uomo dal potere. L’esigenza  morale non trova sanzione nella storia e nella politica. ciores impotentioresque (più sfrenati) reddit ; ut  etiamsi natura tales non sint, necessitate esse cogantur ; multa enim victori eorum arbitrio per quos  vicit, etiam invito, facienda sunt„ (Ad Div.).  E su questo stesso pensiero insiste anche con Cor-  nificio (Ad ©iv. Xil, 18). Bellorum enim ci-  vilium hi semper exitus sunt, ut non ea soium fiant,  quae velit victor, sed etiam, ut iis mos gerendus  sit, quibus adiutoribus sit parta victoria La situazione scaturita dalla vittoria di Cesare  appare a Cicerone un mostruoso sfacelo dell’eticità  pubblica. “ Tutto allora in Roma precipitava a  rovina, religione, costumi, esercito, cittadinanza, popolo, senato, magistrati, privati ; e in quel rovescio  d’ogni cosa umana e divina, poneva i fondamenti  sanguinari la tirannia degli imperatori Cicerone vede come non appena Cesare, annientati i  suoi avversari, e rimasto solo sulla scena politica,  ha messo violentemente le mani sullo Stato, e in Il modo genuinamente italiano di considerare Cesare  è quello che un veramente grande italiano, il Carducci,  ci presenta nei due sonetti II Cesarismo , che cominciano  con le parole, estremamente significanti e pregnanti,  Giove ha Cesare in cura. Ei dal delitto  Svolge il diritto, e dal misfatto il fatto.   Entrambi i sonetti mentano di essere attentemente letti,  con la nota al v. 14 del secondo, che li accompagna.  Barzellotti, Delle Dottrine Filosofiche nei libri  di Cicerone.  seguito a ciò “ omnia delata ad unum sunt (jdd  Div.) al punto che Cesare redige in casa  sua, a suo libito, quelli che devono apparire come  senatusconsulta (Ad Div.), si formi un’atmosfera di falsità, di servilismo, di adulazione uni¬  versale, tanto da parte di privati quanto di enti  pubblici, cosicché non si distingue più il sentimento  sincero dalla simulazione, “ signa perturbantur,  quibus voluntas a simulatione distingui posset «  (Ad Att. Vil); (1) quell’adulazione e quel  servilismo, che, diventati poi a poco a poco oramai di rito, Lucano, più tardi sotto NERONE, stigmatizza con magnifici versi, facendone risalire  1' inizio appunto al dominio di Cesare. Cette abjection de la patrie releva I’ àme de  Cicéron par l’indignation et par la honte. La victoire de  Cesar, au lieu de l’en rapprocher, l’en éloigna. Le succès,  qui est la raison du vulgaire, est le scandale des grandes  àmes (Lamartine, Cicéron, Calmati - Levy, 1874,  pag. 167). E’ un libro, poco conosciuto, in cui Lamartine,  in forma simpaticamente piana e scevra da ogni erudizione,  presenta, nella sua nobile luce, e con accenti assai elevati,  la figura di Cicerone. Ne vogliamo, a conferma di precedenti osservazioni, estrarre ancora due passi. “ Les ambi-  tieux, les factieux, les séditieux, les corrupteurs et les cor-  rompus, la jeunesse, la populace et la soldatesque, les  barbares mèmes enrólés dans les Gaules, étaient avec  Cesar.  Coriolan... n’avait rien fait de plus  monstrueux... et cependant l’histoire a flétri Coriolan et a  déifié Cesar. Voilà la justice des hommes irréfléchis, qui  prennent le succès pour juge de la moralité des événements. Namque omnes voces, per quas iam tempore tanto  Mentimur dominis, haec primum repperit aetas.   Qua, sibi ne ferri ius ullum, Caesar, abesset,   Ausonias voluit gladiis miscere secures,   Addidit et fasces aquilis et nomen inane  Imperii rapiens signavit tempore digna  Maestà nota. Cicerone vede come, appena risultò che Cesare  era saldamente stabilito al potere, non solo i sovversivi ma anche gl’ottimati le vecchie figure  Si avverte che la parola  imperium qui non significa il nostro impero ma officio pubblico legale Lucano vuol dire che Cesare copri l’usurpazione, assumendo falsamente il semplice nome d’un officio  pubblico legale. Come è noto, è sopratutto col nome di  potestà tribunicia che ( usurpazione si effettuò. Nel libro,  ricco di dottrina e di acume, di G. Niccolint, Il Tribunato della Plebe (Hoepli) si mostra che 1’ impero  si costitui deformando e nell’ istesso tempo assorbendo la  potestà tribunicia. « L'impero non era, in ultima analisi,  che il trionfo della democrazia [più esatto sarebbe dire:  demagogia], e se chi aveva fondato il suo potere sul partito  democratico, non poteva abolire la pericolosa magistratura,  non gli restava che appropiarsela nella sua sostanza, se  non nella forma esteriore... Cosi la temuta magistratura,  nata per difendere la libertà del popolo, che conteneva  perciò elementi di sovranità atti a svilupparsi in tirannide costituiva ora l’essenza del potere civile del monarca. 11 contegno adulatorio e vilmente opportu¬  nistico comincia con gli uomini il cui prototipo è Attico.  C’est assurément ce qui nous répugne le plus dans sa  vie ; il a mis un empressement fàcheux à s’accomoder au  regime nouveau „ (Boissier, Cicéron et ses amis).  politiche, abili a restar sempre a galla, “ huic se  dent, se daturi sint „, sia pure perchè terrorizzati,  sebbene essi ora dicano che lo erano quando ossequiavano Pompeo (Ad Alt); come essi  se^ venditant „ a lui, mentre i'municipi fanno di  lm vero Deum, e il grosso del  pubblico sta inerte, passivo, indifferente, non pensa  che alla propria tranquillità (otium), non rifiuta,  come non ha mai rifiutato, nemmeno la tirannide  dummodo otiosi essent, non si  occupa che dei campi, delle ville, dei quattrini,  nihil prorsus aliud curant nisi agros, nisi villulas,  msi nummolos suos; atonia che  si aggravo ancora più tardi quando diventava po^  tenie Antonio : “ mihi stomachi et molestiae est  populum romanum manus suas non in defendenda   YA/I own ," plaudendo consumere (Ad Att.  AV| . lU- Ma questa prosternazione e adula- [Anche qui si riscontra un parallelo nella potente  e \ ibrante invettiva di Demostene per l’inerzia dei Greci  del suo tempo. Non e senza ragione (egli dice) che i  Greci una volta avevano a cuore la libertà e ora invece  hanno a cuore la servitù. Gli è che allora (prosegue) vi   iTera^ C ° Sa 'vi  Persian ° e fece la Grecia   def rarH mVlnC |! bl 6 “ T* ® “ mare : ed era la fermezza  (Filla 36 C 37ìT 81 asciavano corrompere e comprare   uiterr di bene ** Gr “ j .' 1 era un tempo non avere   fil ventre el’“7 qUa 'Ì la misura della felicità  e il ventre e 1 inguine (xig yaatpl jisxpoOvtsc xaì iole   V ' l0X ° tS Tr ' v £tJ °aqtovtav) l a libertà fu bevuta alla     zione universale, questo continuo panegirismo ormai diventato di prammatica, non è, per Cicerone,  se non un’universale falsificazione di coscienza,  quella stessa per cui più tardi egli osservava che  i cittadini gementi sotto l’oppressione avevano dato  a Cesare colpevole dell’ orrendo parricidio della  patria il titolo di parens patriae : “ potest cuiquam  esse utile faedissimum et taeterrimum parricidium  patriae, quamvis ìs, qui se eo abstnnxerit, ab oppressi civibus parens nominaretur ? ,, {De Ojf.) Questa situazione che fa fremere d’orrore Cicerone, nella quale egli trova che non c e   salute di Filippo e di Alessandro. E, data questa vostra  viltà e servilità, (dice altrove) è mutile che speriate nella  malattia o nella morte di Filippo : anche se muore, vi  creerete tosto voi stessi un altro Filippo, "ay^Éu; upet;  gxepov OIXiotvov Tìsir/ae-re (Fil.). In questo stesso luogo, volendo Cicerone dimostrare  che l'utile e il giusto non possono distinguersi, scrive fra  l'altro : « Hanc cupiditatem [quella di Cesare di voler  dominare tirannicamente la patria] si honestam quis esse  dicit, amens est ; probat enim legum et libertatem mteritum,  earumque oppressionem taetram et detestabilem glonosam  putat ». Come, aggiunge, può essere ciò utile all usurpatore?  Anche i re legittimi hanno avversari ; « quanto plures ei  regi putas, qui exercitu popuh romani populum ipsum  romanum oppressisset ? Ricco com’era d’un pathos etico affine a quello di  Kant, si intuisce chiaramente dalle sue lettere e dai suoi  scritti che egli sentiva profondamente, come il filosofo  tedesco, che il “ dovere relativo alla dignità dell umanità  in noi, e che è per conseguenza un dovere verso noi  piu posto“ non modo pudori, probitati, virtuti, rec-  tis studiis, bonis artibus, sed omnino Iibertati ac   Dh ), gli appare sopraia!,„  basata sulla menzogna e sul falso, perchè sotto  1 adesione, 1 adulazione, l’apoteosi che l’atmosfera  ufficiale orma, impone, circola larghissimamente  quel malcontento e quell’esecrazione generale verso  ì distruttori dello Stato legale, che egli constatava  già precedentemente quando essi avevano iniziata  tale loro opera di demolizione (“ sumiTITJm odium  omnium hominum in eos qui tenent omnia ; mutationis tamen spes nulla Ad Alt.). Questa esecrazione generale, sotto le parvenze dell’ossequio più profondo, s’è ora concentrata in Cesare,  il quale, dopo poco tempo di dominio, ormai in  realta persino “ egenti ac perditae multiludini in  odium acerbissimum venerit. Invero,  Cesare stesso sapeva d’essere odiato e di dover  esserlo, sopratutto per la posizione di superiorità  e distanza, così urtante al senso cittadinesco romano, che egli aveva finito per prendere : dopo  la sua uccisione, Mazio racconta a Cicerone che    stess., può esprimersi in modo più o meno chiaro nei  seguent, precetti: non siate schiavi degli uomini: non  permettete che , vostri diritti siano impunemente calpe¬  stati „ (Dottr. della Virtù § 12). Che è, del resto, il  precetto evangelico : \ii) r £veafre SotW.c- àv&pdmwv (1,   SU V1 ’ 2 ' 3 1 t V Xeu ^ e P t( É Xptaxòs   UylCWXw!]) ^ ” 4Xlv tu r»   G. Reati . Vita parallele di due filosofi   avendo dovuto una volta Cesare far fare antica¬  mera a quest ultimo, aveva detto : se un uomo  come Cicerone deve attendere per essere introdotto  da me e non può a piacer suo parlarmi, “ ego  dubitem quin summo in odio sim „ ? (Ad Att.  XIV, 1 e 2) A proposito dell’uccisione di Cesare. Vi sono molti  i quali pensano che perchè Bruto era stato « perdonato »  da Cesare e poi anzi « beneficato », egli dirigendo  il  tradimento e l’uccisione del suo benefattore, abbia dato  « perfido esempio di cuore ingrato e irreverente » (Corradi). Questa opinione è la tipica prova della completa  mancanza d’ogni senso di ciò che è diritto. Proprio il fatto  che Cesare gli aveva perdonato », doveva essere per  Bruto una giusta ed onesta ragione di più per abbonirlo.  Bruto aveva preso le armi contro Cesare in difesa dello  Stato legale : dunque conforme al diritto. Decidere sul suo  caso, condannarlo od assolverlo, spettava alle autorità legali  (Senato), non a un individuo. Il solo fatto che non già le  leggi o le autorità legalmente costituite, ma l’individuo  Cesare, potesse a suo beneplacito interrompere o far  proseguire i processi, ordinare condanne o assoluzione,  assolvere Bruto, perdonare a Bruto (quasiché condannare  od assolvere, e, peggio, « perdonare », supposto si trattasse  di delitto, fosse di competenza d’un individuo, e quasiché  questo stesso fatto non comprovasse lo sfasciamento dello  stato legale compiuto da Cesare) era una ragione di più  per avversare e condannare legittimamente l’uomo e il  sistema, e per ricorrere ad ogni mezzo onde liberarsene.  Che, per citare un altro fatto, onde far ritornane Marcello  dall esilio ì senatori abbiano dovuto pregare un individuo,  gettarsi ai piedi d un individuo, dell' individuo Cesare, è  un fatto che doveva legittimamente suonar condanna per   Era, insomma, la situazione che un filologo italiano contemporaneo descriveva di recente crn  tutta esattezza così: La crescente potenza di  Cesare, il quale, dopo la funesta giornata di Farsalo, erigendosi a signore assoluto, e sopprimendo  la libertà della vita politica di Roma, aveva, per  primo, inaugurato la lunga e mostruosa serie degli questo individuo, che si sovrapponeva in tal guisa alle  leggi : condanna, anche quando  perdonava, perchè  precisamente così dimostrava che dipendeva, non più dalle  leggi assolvere o condannare, ma da lui perdonare o no.  Piena ragione ha Seneca quando in un capitoletto pieno  di considerazioni interessanti circa l’atto di Bruto, dice che  egli non aveva ragione di gratitudine verso Cesare, perchè  questi non aveva acquistato il diritto di fare il bene se  non violando il diritto e perchè chi non uccide non arreca  un beneficio, ma si astiene da un maleficio : in ius dandi  beneficii iniuria venerai; non enim servavit is, qui non  interficit, nec, beneficiun dedit, sed missionem. -- De Benef.. Del pari piena ragione ha Cicerone, il quale, ad  Antonio, che gli rinfacciava come un benefizio usatogli di  non averlo ucciso al suo sbarco a Brindisi, rispondeva :  questo è lo stesso beneficio di cui potrebbe vantarsi un  assassino per non aver ucciso taluno : « quod est aliud  beneficium latronum, nisi ut commemorare possint iis se  dedisse vitam, quibus non ademerint ?  (Fil.).  E si noti ancora che Seneca e Lucano, vivendo entrambi  alla corte di Nerone, il quale, pure, era della casa Giulia, poterono il primo dare a Bruto la massima delle lodi  facendo dire da Marcello a sè stesso: “ tu vive Bruto  miratore contentus (Ad Helviam), il secondo  dipingere nel suo poema con smaglianti colori di grandezza morale “ magnanimi pectora Bruti mperatori romani ; la viltà degli adulatori, che  disertavano il partito dei vinti per quello più van-  taggioso dei vincitori ; le mene degli ambiziosi,  che, r er trar partito dalle circostanze ad accu¬  mular potenza e ricchezze, pullulavano su su dal  fondo di quella corrotta società, come marcida  fungaia dal fondo d’un’ acqua stagnante ; le crudeltà dei prepotenti, che volevano, anche a mezzo  di violenze e di sangue, aprirsi un varco nella  folla dei concorrenti a quella specie d’albero della  cuccagna ch’erano le usurpazioni dei poteri dello  Stato con le loro mille seduzioni e promesse di  dominio e di saccheggio dei beni pubblici e pri¬  vati ; il vivo cordoglio e l’abbandono sconsolato  in cui vivevano, nell’esilio volontario o non volon¬  tario, le anime dei virtuosi e degli onesti, fautori  del partito repubblicano ; tutto insomma contribuiva  a mostrare l’immagine dell’irreparabile catastrofe. Anziché assopirsi, cresce a dismisura nelle classi  non mai dome nel loro caratteristico orgoglio, il  malcontento per il nuovo regime... La miseria in¬  tanto cresce spaventosamente in Roma e nella  provincia ; lo spettro della fame s’aggira nelle  campagne desolate e incolte dell’ Italia ; le classi  medie e il popolino sono ridotti alla miseria ed  alla disperazione... Torme di miserabili si vedono  per ogni dove languire d’ozio e di fame U. Moricca, Introd. a Cicer. De Finibus, Torino,  Chiantore Ora, tanto appare a Cicerone falsa e menzognera  la situazione che egli è certo che non può durare.  La maschera di clemenza di Cesare e le sue bugie  circa la restaurazione finanziaria (“ divitiarum in  aerario „) sono cadute; è impossibile che egli e  i suoi, non d’altro capaci che di scialacquare, riescano ad amministrare soddisfacentemente le pro-  vincie e lo Stato ; cadranno da sè, per gli errori  propri, “ per se, etiam languentibus nobis ,,, “ aut  per adversarios aut ipse per se, qui quidem sibi  est adversarius unus acerrimus. Questa tirannide  non può reggere sei mesi, “ iam intelliges id regnimi vix semenstre esse posse Probabilmente, ciò di cui Cicerone avrebbe sopra¬  tutto incolpati i cesariani è che essi cadevano in quell’errore che il Romagnosi descrive così : “ La temerità e  l’intolleranza sono i vizi che sogliono guastare questo procedimento [inventivo dell’ incivilimento). Si pecca di teme¬  rità allorché si tentano innovazioni o rifiutate dalla natura  o non preparate sia nei fondamenti, sia dal tempo. Si  pecca d’intolleranza allorché si vuole seminare e raccogliere ad un sol tratto, e però si passa ad infierire con¬  tro attriti che da se stessi vanno cessando in forza della  riforma fondamentale già praticata. Siate severi nel man¬  tenere la giustizia, e nel rimanente lasciate operare il  tempo sul fondo ben disposto. 1 vostri stimoli artificiali,  le vostre correzioni minute, invece di giovare nuociono,  invece di affrettare ritardano; e se per caso avrete un  frutto precoce, ne avrete mille falliti » {Dell’ Indole e dei  Fattori dell’ Incivilimento, Avvertimento finale). Auree pa¬  role d’uno dei nostri massimi pensatori politici, che an¬  drebbero anche oggi meditate e tenute presenti. Alle Tale previsione di Cicerone andò incontro ad  nna smentita colossale. Quella “ divinatio „ dell’andamento degli eventi che egli, ricavatala dallo  studio e dalla pratica, aveva la coscienza di pos¬  sedere ( 1 ), qui gli fallì del tutto. E' vero che Cesare quali vanno accostate, sempre ad illustrazione del senti¬  mento politico, che, in quelle perturbate circostanze, si  sprigionava vivo in Cicerone, le seguenti: “ guai a quel  popolo, nel quale, spento il punto d’onore, non prevalgono che poteri individuali! „ (/„,/. di Ciò. FU Giurispr.   T e ° r \. P \ 1,1 C - 1V ): nonché la sua affermazione  dei diritti dell uomo, da lui chiamati “ originaria padro¬  nanza naturale di ogni individuo “ Quelli che vennero  appellati diritti dell'uomo formano appunto il complesso  di questa originaria padronanza. L’indipendenza, la libertà  1 eguale inviolabilità e il diritto di difesa e di farsi render  ragione, sono tutte condizioni di questa originaria padronanza „ (Lett. a G. Valeri , Cu, quidem divinationi hoc plus confidimus, quod  ea nos mhil in his tam obscuris rebus tamque perturbatis  umquam omnmo fefellit. Dicerem, quae ante futura dixissem,  ni vererer ne ex eventis fìngere viderer » (Ad Dio. VI,  o). Exitus, quem ego tam video animo, quam ea quae  ocuiis cemimus » (Ad Dio. Tamquam ex aliqua  specula prospexi tempestatem futuram. Questa  sicura previsione degli eventi, questo sicuro presentimento,  Cicerone lo possedeva in effetto. Anche nella circostanza  suaccennata egli prevedeva giusto, preveveva cioè quello  che tutto faceva ritenere dover accadere. Se i fatti si svolsero  in senso del tutto opposto alla sua previsione, si può, in  un certo senso, dire che ebbero torto i fatti, non Cicerone;  cioè che la realtà è irrazionale e casuale, e che mai vi  tu un periodo di storia che sia stato come quello irrazionale  e casuale.   fu ucciso poco dopo e probabilmente lo fu quando  e perchè divenne chiara a tutti I’ impossibilità in  cui egli era di dominare la situazione, di riordi¬  nare cioè seriamente lo Stato e di soddisfare insieme le brame dei suoi seguaci (1), cosicché  Mazio — uno dei pochi cesariani onesti, che, come  risulta da una sua nobilissima lettera (Ad T)iv. , non aveva sfruttato Cesare vivo, e che  gli rimase fedele anche morto, e anche durante  quel momento in cui, subito dopo l’uccisione del  dittatore, il cesarismo sembrava crollato e i cesa¬  riani in pericolo — diceva, deplorandone la morte:   che catastrofe ! non c’è più rimedio ; se lui,  con 1’ ingegno che aveva, non trovava la via d’u¬  scita, (exitum non reperiebat), chi la troverà  ora ? ,, (Ad Att.). Ma dopo la morte  di Cesare, come appunto prevedeva Mazio le cose  finirono per peggiorare rapidamente. Anche Cice¬  rone è costretto a constatarlo. Il tiranno perì (egli  dice) ma vive la tirannia (Ad Att. Va però tenuta presente anche la profondissima  osservazione di Montesquieu : « Il étoit bien difficile que  Cesar pùt défendre sa vie ; la plupart des conjurés étoient  de son parti ou avaient été par lui comblés de bienfaits :  et la raison en est bien naturelle. Ils avoient trouvé de  grands avantages dans sa victoire : mais plus leur fortune  devenoit meilleure, plus ils commen 9 oient à avoir part  au malheur commun : car, à un homme qui n’ a rien, il  importe peu à certains égards en quel gouvernement il  vive » (Grandeur et décadence d siamo liberali dal re dai regno (yìj Di,. /aj' fi marzo non consolano più come  pnma (Ad AH. XIV, 12, 22): stolta L iZZ  Martmrum consolano, animis usi sumus virilibus  cooubs puenbbus ; excisa est arbor, non avulsa   ^ i, fi ; e st . a ‘° Iasc,al ° vi vo in Antonio  1 erede del regno (ih. XIV, 21); si poteva con   piu libertà parlare contra illas nefarias partes   xiv r vivo che non uccitó   ' X V ’ 1 : lnfine crebbe meglio che Cesare   vivesse ancora “ nonnumquam Caesar desideran-  dus , Infatti, la situazione era di¬  ventata quale la descrive ad Attico così • “ S ed  vides magistrati ; si quidem illi magistratus'; vides  tyranni satellites m impems ; vides eiusdem exer-  cniis ; vides in latere veteranos In conseguenza il sistema di governo che Cicerone  prevedeva non poter durare un semestre, durò  invece, continuamente aggravandosi o peggiorando  per quattordici secoli, cioè per quanto visse l’impero bizantino.   Ma la fallacia di questa previste   la torio all. mente di Cicerone. E' la fallacia  propria delle menti profondamente razionali, che  hanno una fede inconcussa nella ragione ; e la  mente di Cicerone era appunto secondo la felice  dennizione che ne dà Io Zielinski, un “ Aufkà-  rungsvers tand. A codeste menti è impossibile  (I) O. c. .ammettere che la mostruosità, l’irrazionalità, l’assurdo vengano a tradursi permanentemente nel fatto,  si facciano solida e stabile realtà. "Ciò è assurdo,  quindi è impossibile „ ; questo è per siffatte menti  un canone assolutamente insopprimibile, sradicando  il quale essa sentirebbero di strappar le proprie  medesime radici. A cagione della stessa forza della  loro compagine razionale, è ad esse impossibile  riconoscere che il fatto che una cosa sia assurda  non impedisce menomamente che essa divenga  realtà e che anzi quasi sempre nella storia umana  avviene che ciò che all’ inizio la mente scorgeva  come cosa “ assurda », “ pazzesca „, implacabil¬  mente ciò non ostante si realizza. Come buon  platonico Cicerone non poteva a meno di essere  fermamente convinto che oòx eattv Sit àv xij |a£r;ov  xoótotj xaxòv TTaìfoi y) Xóyou? (juar^aag (Fed..).  Nel logos egli aveva indefettibile fede. Egli scorgeva  dietro a sè, fin dove 1 occhio della memoria poteva  giungere, soltanto governo di popolo. Questo era per  lui una conquista permanente» della civiltà, la civiltà stessa, la civiltà che non può perire. Con tale  forma di governo il suo spirito si era immedesi¬  mato ; essa faceva parte essenziale della sua coscienza d uomo, formava il cardine su cui poggiava  tutta la sua vita spirituale Pensare che tale   Che tale stato d'animo fosse non solo ciceroniano ma romano, emerge anche da ciò che l’indignazione per la caduta di quella forma di governo si  formi potesse crollare e permanentemente scomparire, era come pensare che potesse precipitare  tutto ciò che si è sempre visto stabile, la terra,  il sistema solare, ciò che è l’incarnazione di un’eterna legge della natura. Sempre gli uomini quan-  o si sono trovati in una fase di cangiamento analoga a quella in cui si trova Cicerone_e   tanto più quanto più la loro mente era fortemente  razionale hanno emesso la medesima errata previsione di lui ; ciò è assurdo, quindi impossibile,  quindi non può durare. prolunga sino in S. Ambrogio, in cui, da signore romano  d antica razza quale era, la romanità viveva ancora, Hic  erat pulchemmus rerum status, nec insolescebat quisquam  perpetua potestate, nec diuturno servitio frangebatur. Nemo  audebat alium servitio premere, cuius sibi successuri in  honorem mutua forent subeunda fastidia; nemini labor  gravis quem dignitas «ecutura relevaret. Sed postquam do-  mmandi libido vindicare coepit indebitas et ineptas nolle  deponere potestates... continua et diuturna potentia gignit  msolentiam. Quem invenias Hominem qui sponte deponat  impenum et ducatus sui cedat insigne, fiatqe volens nu-  mero postremus ex primo? {Hexameron).  . ^ osa & nota : lo stesso errore, la stessa   illusione— nobilissimo errore ! troviamo, come già si  e rilevato, in Demostene, il dramma della cui vita fa  esattamente riscontro a quello di Cicerone. Anche Demo-  j. en „ e . p - e - ne,,a seconda Olintiaca prevedeva che la potenza  di rilippo era alla fine ; npÒQ a ùvfjv tfy.ec ~riv teXsut^v  t« «payiiax aòttji (§ 5). E questa previsione era per  lui principalmente fondata appunto sul fatto che una potenza  costrutta sulla malvagità non può durare. Oò yàp gcmv,  Il dramma, terribile dramma, della vita di Ci¬  cerone, è appunto questo. II dramma dell’uomo   oìjy. laxiv, u> àvopEg ’Avrjvatoi, àSixoùvta -/.al èruop-  xoOvxa xa: ^£'joÓ|ìsvov Sóvajuv j3ej3aiav XTiqaaad’at...  xwv jrpà^ewv xàg àp%à<; xxl xàg ÒTtofliaeig àX^S-sT;  xa’. òtxaiag Etvai /tpcaTjxei. E nemmeno dieci  anni dopo Filippo trionfava definitivamente a Cheronea.  Ad ogni momento troviamo questi pensieri nelle orazioni  di Demostene, che perciò sono cosi istruttive circa le  illusioni in cui il « razionalismo » induce gli uomini. Ma  neppure la battaglia di Cheronea guarì Demostene dal1 illusione. Plutarco narra che quando Filippo fu assassinato,  Demostene comparve nell’assemblea, raggiante, tpatSpòg,  splendidamente vestito, incoronato: con la morte dell’uomo,  secondo lui, la costruzione improvvisata ed effimera doveva  certo crollare. E quando Alessandro si fece avanti a sorreggerla Demostene rideva di quel ragazzo imbecille, ndsioa  xai |ia T txT)V (Plot., Dem.). Ma la costruzione  fondata sulla perfidia, e che perciò, secondo Demostene,  non poteva reggersi, sboccò invece nel trionfo addirittura  fantastico ottenuto appunto da Alessandro. Gli uomini non  possono rassegnarsi a credere che una politica malvag-a  possa ottenere un successo duraturo, che il male trionfi  permanentemente. Pur troppo, invece, è questa una pia  illusione; e le cose vanno precisamente cosi. E gli astrattisti,   1 razionalisti, gli spiritualisti, non sanno ricavare dal  male che sotto ì loro occhi permanente trionfa, neppure  quell unico bene che vi si potrebbe ricavare: quello cioè  di essere definitivamente istrutti dell andamento assolutamente arazionale, alogo, ateo, del mondo e della vita.  Chiusi nel loro mondo dei meri concetti, è a quelli e  alle deduzioni da quelli che continuano a credere, anziché  aprire gli occhi ai fatti. < Sapiunt alieno ex ore petuntque  res ex auditis potius quam sensibus ipsis » (Lucr.).  che con disperazione vede rovinare intorno a sè  senza possibilità di salvezza il mondo civile di  cui la sua più intima vita stessa era intessuta, il  mondo razionale e trionfare ineluttabilmente,  in causa impia, victoria etiam foedior  ( T)e  Off.), l’ingiustizia ed il male, una  forma di mondo umano “ impensabile assurda,,.  11 dramma della coscienza eticamente desta che  vede con orrore ciò che essa giudica aberrazione  morale e iniquità acquistare ufficialmente il carat¬  tere di nobiltà, grandezza, elevazione, e avviarsi  a restare definitivamente sotto questo aspetto nella  storia. Quando si fa a poco a poco chiaro nella  mente di Cicerone 1 ineluttabilità dell’evento, quando  egli è ormai costretto a vedere che non c’è più  speranza, a domandarsi: quae potest spes esse  in ea republica, in qua hominis impotentissimi  (violento) atque intemperantissimi armis oppressa  sunt omnia ? „ (Ad Div.); quando deve constatare che “ tot tantìsque rebus urgemur, nullam  ut allevationem quisquam non stultissimus sperare  debeat „ (Ad Div.), il suo strazio non ha  confini- Ciò che già precedentemente, quando tale  condizione di cose si delineava, egli cominciava  a sentire, civem mehercule non puto esse qui  temporibus his ridere possit „ (Ad. Div.),  diventa ora il suo stato d’animo permanente. La  vita non ha più sorriso : “ hilaritas illa nostra  erepla mihi omnis est. Il suo grido è quello del coro degli Spiriti nel Fausi. Du hast zerstòrt   Die schòne Welt Mit màchtiger Faust; Sie stiirzt, sie zerfàllt! Ein Halbgott hat sie zerschlagen ! Wir tragen   Die Triimmern ins Nichts hinuber Und kiagen   Uber die verlorne Schòne.   Questo dramma strappa a Cicerone espressioni  di dolore profondamente dilacerante. E la sua  corrispondenza è forse la lettura più viva che l’an¬  tichità e probabilmente la letteratura d’ogni tempo  ci offra, appunto perchè, come in nessun altro scritto, vi si scorge con l’immediata evidenza della vita  vissuta e quasi vedessimo la cosa svolgersi giorno  per giorno sotto i nostri occhi, come sotto quel  dramma sanguini il cuore d’un uomo. Certo anche la  terribilità della sua rovina personale affligge gravemente Cicerone : “ natus enim ad agendum   semper aliquid dignum viro, nunc non modo a-   gendi rationem nullam habeo, sed ne cogitandi   quidem (Ad Div.) ; ed egli ha ragione   di deplorare di essere stato travolto proprio nel  momento in cui avrebbe potuto e dovuto, cogliendo  il frutto dell’opera della sua vita, toccare l’apice  della sua carriera. Omnis me et industriae meae  fructus et fortunae perdidisse Casu  nescio quo in ea tempora aetas nostra incidit, ut  cum maxime florere nos oporteret, tum vivere  edam puderet. Certo anche la rovina che incombe sulla sua famiglia e specialmente sulla sua figlia lo tortura.Quibus in miseriis  una est prò omnibus quod istam miseram patre,  patrimonio, fortuna omni spoliatam relinquam  (Ad Att. XI, 9). Ma ciò che forma il crepacuore  di Cicerone non è la sua situazione personale,  bensì il baratro in cui è precipitato lo Stato. Sed tamen ipsa republica nihil mihi est carius  (Ad Dio.). “ Ego enim is sum,  qui nihil umquam mea potius, quam meorum ci-  vium causa fecerim. Ma ora ? Ego  vero, qui, si loquor de re publica, quod oportet,  insanus, si, quod opus est, servus existimor, si  taceo, oppressus et captus, quo dolore esse debeo ? (Ad Att.). Due sono sopratutto le note in cui erompe  1 espressione di questo suo strazio. In primo luogo,  andarsene, andarsene dovunque, pur di non veder  più simili cose: “ evolare cupio et aliquo pervenire  ubi nec ‘Pelopidarum nomea nec facta audiam „  egli ripete con un tragico antico (ib. VII, 28, 30,  Ad Att.); “ ac mihi quidem  iam pridem venit in mentem bellum esso aliquo  exire, ut ea quae agebantur hic, quaeque dice-  bantur, nec viderem nec audirem (Ad ‘Dio. IX,  2); “ longius etiam cogitabam ab urbe discedere,  cuius iam etiam nomen invitus audio. Tu mi sembravi pazzo (scrive a Curio) quando  abbandonasti Roma per la Grecia, ora veggo che  sei “ non solum sapiens, qui hinc absis, sed etiam  beatus : quamquam quis, qui aliquid sapiat, nunc  esse beatus potest ? „ (Ad Db. VII, 28). E’ il  desiderio che si fa strada persino nei suoi trat¬  tati, p. e. nelle Tusculane, dove parlando di Da-  marato. Io giustifica cosi : “ num stulte anteposuit  exilii libertatem domesticae servituti? O, se andarsene non si può, almeno ritirarsi in  solitudine : “ nunc fugientes conspectum scelerato-  rum, quibus omnia redundant, abdimus nos, quam-  tum licet, et saepe soli sumus „ (De Off.). In secondo luogo, morire. “ Perire satius est,  quam hos videre „ (Jd Db. Vili, 1 7) Mortem]  quam etiam beati contemnere debebamus, prop-  terea quod nullum sensum esset habitura (I), nunc    (1) Che cosa pensi intimamente Cicerone della vita  futura, risulta, non già dal quadro, avente scopi puramente  estrinseci, che traccia nel Somnium Scipionis. ma dalla  sua corrispondenza Oltre il passo sopra ricordato, e due  altri, (Ad Dw.) ricordati più innanzi, basterà  citare: « Fraesertim cum impendeat, in quo non modo  ^ or ,*. v erum finis etiam doloris futurus sit. E anche in altre opere di Cicerone questo suo  vero pensiero si manifesta. Cosi nelle Tusculane. Mors. aeternum nihil sentienti receptaculum. Cosi in  Pro Marcello (IX) c Q uo d (la fine) cum venit, omnis  voluptas preterita prò mhilo est, quia postea nulla est  futura» Cosi in Pro Cluentio: quid  ei tamdem almd mors eripuit, praeter sensum doloris ? sic affecti, non modo contemnere debeamus, sed  etiam optare » ( ib. V. 21); la filosofia sembra  < exprobrare quod in ea vita maneam, in qua  nihil insit, nisi propagatio miserrimi temporis ; non si sa <si aut hoc lucrum est  aut haec vita, superstitem reipublicae vivere  ; « nam mori millies praestitit quam haec  pati (Ad. AH.) ; « eis conficior curis,  ut ipsum quod maneam in vita, peccare me exi-  stimem > (Ad Div.);  mortem cur con-  sciscerem causa non visa est, cur optarem, multae  causae. In uno spirito, così profondamente romano, cioè volto all’attività pratica  e civica, la desolazione dello Stato faceva spuntare questo pensiero: « Ipsi enim quid sumus ?  aut cum diu haec curaturi sumus ? » (jdd Att.); quid vanitatis in vita non dubito quin  cogites  (Ad Div.). Cosi, pur nell'atto che  prevede la prossima caduta del cesarismo, dice :   Allo stesso modo la pensava Cesare, il quale nel discorso,  riferito da Sallustio, da lui tenuto in Senato circa la pena  da darsi ai complici di Catilina, si oppose alla pena di  morte appunto perchè con questa cessa la coscienza e  quindi ogni male : « Eam cuncta mortalia dissolvere ; ultra  neque curae neque gaudio locum esse» (Cat.). Va  però notato che Cicerone dà un’altra interpretazione a  questo punto del discorso di Cesare. Cesare cioè era  contrario alla pena di morte. Egli « intelligit, mortem a  diis immortalibus non esse supplici causa constitutam, sed  aut necessitatem naturae, aut laborum ac miseriarum  quietem esse. -- In S. Catilinam.). id spero vivis nobis fore ; quamquam tempus  est nos de illa perpetua iam, non de hac exigua  vita cogitare » (Ad. Att.). E il pensiero della  morte come unico scampo e rifugio viene a grandeggiargli dinanzi in modo, che bene spesso lo  vediamo insinuarsi anche nei suoi scritti teorici :  così, p. e., nel proemio del terzo libro del De  Oratore : « sed 11 tamen rei publicae casus secuti  sunt, ut mihi non erepta L. Crasso a dis immor-  talibus vita, sed donata mors esse videatur;  e così nelle Tusculane : multa mihi ipsi ad  mortem tempestiva fuerunt, quam utinam potuissem obire ! nihil enim iam acquirebatur, cumulata erant officia vitae, cum fortuna bella restabant. Morte per sè, morte per coloro che  amiamo ; questo soltanto è ciò che lo status  ipse nostrae civitatis ci costringe a desiderare: cum beatissimi sint qui liberi non susceperunt,  minus autem miseri qui his temporibus amiserunt,  quam si eosdem, bona, aut denique ahqua republica,  perdidissent... non, mehercule, quemquam audivi  hoc gravissimo, pestilentissimo anno adolescentulum  aut puerum mortuum, qui mihi non a Diis immorta-  libus ereptus ex his miseriis atque ex iniquissima  conditione vitae videretur (Ad Div.).   Ne solo nell animo di Cicerone il trovarsi « in  tantis tenebris et quasi parietinis rei publicae induceva il desiderio di sfuggire a  questo sfacelo con la morte ; ma tale sentimento  era certo diffuso. Nella bellissima lettera con cui Servio Sulpicio cerca di consolare Cicerone per  la morte della figlia, 1 argomento principale che  egli fa valere e, nelle circostanze presenti, “ non  pessime cum iis esse actum, quibus sine dolore  licitum est mortem cum vita commutare e che  Tullia visse finché visse lo Stato, “una cum republica fuisse „ (Ad Dio.) ; al che Cicerone  dolorosamente risponde che l’attività pubblica lo  consolava dei dolori domestici, l’affettuosa intimità  con la famiglia delle traversie pubbliche, ma ora  “ nec eum dolorem quem a re publica capio do-  mus iam consolari potest, nec domesticum res publica . Ed anche in Catullo, il disgusto invincibile suscitatogli dai “ turpissimorum  honores „, disgusto che faceva gemere dal suo  canto Cicerone, cosi ; “ o tempora ! fore cum dubitet Curtius consulatum petere? „ (Ad Att., e circa Vatinio) suscita 1’ aspirazione  alla morte :   Quid est, Catulle ? quid moraris emori ? Sella in curulei struma Nomus sedet,   Per consulatum peierat Vatinius ;   Quid est, Catulle ? Quid moraris emori ?  Donde attinge Cicerone qualche conforto in  questa immensa iattura ? Non dal foro che egli  (interessante confessione) dichiara di non aver mai  amato e nel quale del resto oggi non c’è più nulla  da tare : “ quod me in forum vocas, eo vocas,  unde, etiam bonis meis rebus, fugiebam : quid enim  mihi cum foro, sine iudiciis, sine curia ? „ (Jld  Jltt.). Era il momento in cui i vincitori  della violenta lotta politica, giravano per Roma  baldanzosi ed allegri, e i sostenitori dello Stato  legale, battuti, erano melanconici : “ Mane salutarne domi et bonos viros multos sed tristes (1),  et hos laetos victores, qui me quidem perofficiose  et peramenter observant „ {Ad Div.). Due  di essi, anzi, Irzio e Dolabella, si erano messi a  prender lezioni d’eloquenza da lui, o forse, con  questo pretesto, lo sorvegliavano per conto di Cesare. Anche queste lezioni recano a Cicerone qualche sollievo {yld Di\>.). In maggior mi¬  sura, egli ne ricava dal far udire, quando e come  era possibile, qualche parola di ammonimento. Così,  pur avendo risoluto di non più parlare in Senato,  allorché sulla universale istanza di questo, Cesare  amnistia Marcello (che non aveva fatto nessun  passo per essere richiamato e sembrava non desiderarlo — e che fu, del resto, assassinato da un  suo impiegato nel momento in cui stava per partire alla volta di Roma), Cicerone prende la pa-   (0 La voce dei gaudenti sfruttatori di situazioni im¬  morali rinfaccia sempre a coloro che le condannano, come  un torto, di essere afflitti o melanconici. Cosi quella voce  si fa udire, secondo Seneca : c Istos tristes et superciliosos  alienae vitae censores, suae hostes, publicos paedagogos  assis ne feceris » (Ep.) rola per ringraziare il dittatore ; ma sa anche attraverso i ringraziamenti esporgli il parere più  libero e ^coraggioso che forse mai Cesare abbia  sentito. Quodsi rerum tuarum immortalium (egli  ha 1 ardue di significargli) hic exitus futurus fuit,  ut devictis adversariis rem publicam in eo statù  relinqueres, in quo nane est, vide quaeso, ne tua  divina virtus admirationis plus sit habitura quam  glonae „. (Pro Marc.). Tu devi, egli incalza,  preoccuparti della vera gloria, del giudizio che da¬  ranno i posteri sulle tue azioni, saper considerare  ciò che tu fai, non cogli occhi abbacinati dei con¬  temporanei, ma con quelli di coloro che giudiche¬  ranno le cose a distanza, nell’avvenire. Se tu non  avrai ristabilito la vera legalità nello Stato, tu sa¬  rai certo sempre ricordato, ma non con giudizio  concorde : “ erit inter eos etiam, qui nascentur,  sicut mter nos fuit, magna dissensio, cum alii lau-  dibus ad caelum res tuas gestas efferent, alii for-  tasse ahquid requirent, idque vel maximum, nisi  belli cmlis incendium salute patriae restinxeris, ut  illud fati fuisse videatur, hoc consilii. E questo un nobilissimo linguaggio da cittadino  onesto e d’animo forte ; linguaggio che, bisogna  riconoscerlo, Cesare sa ascoltare, come altri e ben  più vivaci attacchi contro di lui, con tolleranza ed  equanimità, civili animo. -- Svet,, Caes.. Anche Cicerone nella sua corrispondenza talvolta  constata che Cesare andava orientandosi a mitezza. P. e.: L intolleranza, l’oppressione, l’uso del potere per  far tacere censure al detentore di esso, e persino  per impedire di rispondere agli attacchi, comincia  con Augusto ; ed è ciò che fa uscire Asinio Pollione (lo stesso, alla nascita del cui figlio il servile  Virgilio, pronto a vendersi a tutti i potenti e a  prostituire poi il suo genio a colui che tra questi  occupa nella storia per bassezza e nequizia uno degli    “ nam et ipse, qui plurimum potest, quotidie mihi delabi ad acquitatem et ad rerum naturam videtur „ Ad Dio.  VI, 10!, Che cosi fosse (ed è la stessa cosa che accadde  con OTTAVIANO) è naturale, perchè, se un uomo non è straordinariamente perverso, il suo grande successo e trionfo  personale lo rende incline alla benevolenza verso gli altri,  a diffondere anche intorno il sentimento di felicità che il  successo gli dà. Solo un uomo dal cuore fondamentalmente malvagio nel suo più pieno e grandioso trionfo,  quando ogni cosa gli va a seconda, diventa sempre più  duro e crudele, e non è pago se non condisce quel trionfo  col darsi la sensazione di poter a suo beneplacito tormentare, perseguitare, far soffrire altri uomini. Tale era  Siila, secondo le parole che Sallustio mette in bocca ad  Emilio Lepido : “ Cuncta saevus iste Romulus, quasi ab  externis rapta, tenet, non tot exercituum clade neque con-  suhs et aliorum principum, quos fortuna belli consumpse-  rat, satiatus : sed tum crudelior, curri plerosque secundae  res in miserationem ex ira vertunt. -- Hist. Fragni. Raramente, si, ma però talvolta avviene che un uomo, favorito dalia più straordinaria fortuna, diventi sempre più  bramoso di far del male agli altri. “ Felicitas in tali ingenio avaritiam, superbiam ceteraque occulta mala pate-  fecit. -- Tac., Hist.. “Itimi posti, Ottavio, dedicò la sconciamente  cortigiana e piagg.atr.ee Egloga IV) nell’elegante  epigramma, riportato da Macrobio (Satura II 4)  che non si può più scrivere dove in risposti si  può proscrivere : temporibus triumviralibus PoIIio  cuna fescenmnos ,n eum Augustus scripsisset, ait:   g taceo ; non est emm facile in eum scribere  qui potest proscribere (2)   Più ampio conforto ricavò Cicerone dagli studi,  bbene una volta fuggevolmente accenni che forse  senza la sua cultura sarebbe più atto a resistale!  exculto emm animo nihil agreste, nihil inhuma-   (I) Si vegga nel libro diV. Alfieri D»/ p • , »    I  J1 '> e la dimostrazione che questa   viltà ha in Virg.ho guastato l’arte. “Quella parte divTna  e ha per base il vero robusto pensare e sentire tm-,1  niente manca in Virgilio „ (L. II C VI) “ V  -esse avuto nell’animo quella   P napesco, assai maggiore sarebbe stato egli stesso e  quindi assai maggiore il suo libro „ (L. II C VI •  vegga anche il C. Vili) E il Canti 1 . Ci  j ;• , C S ‘   uh. ed. I. 582 n 94.«V- r ÌU '. Sorla de S^ Italiani,   V l D < ’ VIRGILIO si lascia traricchire   anche Boissier, L’opposition sous tes Césars p. I3Ì”   RnU 1 j- qUe f°, . t epigramma ’ senza citare la fonte il   Les e Rom P - r0ba . b,,mente a memor ia, la seguente versione:  Les Komains disaient avec raison qu’ il est rare mi’ ™  num est „. (Ad Alt. XII, 46) ; e sopratutto dallo  studio della filosofìa, la passione per la eguale '’quo-  tidie ita ingravescit, credo et aetatis maturitate ad  prudentiam et his temporum vitiis, ut nulla res alia  levare animum molestiis possit. „ (Ad Dio. IV, 4).  Le sue lettere di questo periodo sono piene delle  sue attestazioni che non vive se non negli studi  filosofici e non trae conforto che da essi. Ad aumentare  questo conforto, ad aiutarlo a stornare il pensiero  dalle calamita dello Stato, s aggiunge la sua atti¬  vità di scrittore. Sono questi gli anni della sua  intensa e feconda produzione filosofica. “ Nisi mihi  hoc venisset in mente, scribere ita nescio quae,  quo verterem me non haberem (Jld Alt.) Equidem credibile non est, quantum scribam  die, quin etiam noctibus, nihil enim sommi. Nullo enim alio modo a miseria quasi  aberrare possum. Vero è che le afflizioni e le ìnquietitudmi, I incertezza dell’avvenire, derivanti dal pessimo andamento degli affari  pubblici, non permettono piena pace nemmeno nello  studio : Utinam quietis temporibus, atque aliquo,  si non bono, at saltem certo statu civitatis, haec  inter nos studia exercere possemus ! „ Però, ap¬  punto in tali circostanze, “ sine his cur vivere velimus? -- d Dio. Così nascono i saggi di FILOSOFIA di Cicerone, circa i quali si cita  sempre per aiutare a deprezzarli la fuggevole frase “sono copie” cascatagli dalla penna scrivendo al suo amico e certo come convenzionale espressioni   t Xlì Vf fr ° nte j 1Iammiraz ' on e di lui (Ad  X ’ I 52 ’ ma 51 dimentica di affrontare tale  fra e con le sue numerose e consuete esternaziom  dalle quali risulta che ben altra era la stima ch’egli   off" 3 de ‘ pr0pr ;. scrltti ' “ Res difficiles „ (ib. XII  38) egli dice di star scrivendo ; quanto alle Jìc-   G Q rto -5 C ° nVInt ,° “ U ‘, Ìn f3lÌ 8 enere ne aVud  , cos quidem simile quidquam „ (ib. XIII 1 3)-   le chiama “ argutolos libros „ ^ XIli.Y 8 ,00^   XIII 19? ac n ra ? posset supra ” r/4.   XIII, 9); 1 libri del De Oratore gli sono “ ve -   hementer probati (ib.) e così il De Finibus ib   ?AJ ÀI XvT i , soddisfa Attico   bl v ’ im7 e M) e l0ra,OT L'P'a (M   AA- ( ’ 8 ^ eSpnme anehe ,a sua Propria soddisfazione per queste due opere; mihi vakle   pbcent, maHem tibi dice dei libri, perduti d!  Giona (Ad Ali). In particolare, i| e  sua opere filosofiche LE TUSCULANE, che facilmente si prendono per un mero esercizio letterario, sono  invece un saggio profondamente vissuto, rampollato  da a tragica realtà di vita i cui Cicerone si dibatte e che come tale, come idoneo cioè a fornir conforto e forza in quelle circostanze dove  essere generalmente sentito, e certo da Attico se  Cicerone gl, scrive -- quod prima disputatio Tuscu ana te confirmat, sane gaudeo. Neque enim  ndhim est perfugium aut melius aut paratius. Bel saggio, che in ogni epoca, nelle medesime circostanze da cui  esso è nato, è servito allo scopo per cui era stato  scritto – DIE EROICA DER ROMISCHEN PHILOSOPHIE, come con calzante espressione lo definisce Zielinski. Ma il supremo conforto di Cicerone è  un altro.  Esso consiste non tanto nell’ immergersi nella  FILOSOFIA come un’occupazione mentale opportuna  a distornare il pensiero da quello che poi Lucano,  il grande poeta anti-cesariano, define“ ius sceleri  datum, quanto nel rivivere in sè I CONCETTI DELLA FILOSOFIA come atti a fornire forza d'animo per affrontare e sopportare le sciagure derivanti da una situazione politica e sociale particolarmente triste. FILOSOFIA cioè non come “ostentationem scientiae, sed legem vitae „ (Tusc.). Anche in lui, per usare l’espressione di cui poi si  servì Marco Aurelio zi 5 óypaia. Giustissimamente il Moricca. Saremmo forse anche noi tentati di ritenere l’operetta tulliana un’amplificazione rettorica, se non pensassimo che quelle parole sono scritte per una generazione d’uomini nelle cui orecchie esse andavano diritte al cuore. Un saggio di morale dell’epoca di Cicerone è da considerarsi non come una fredda e vuota argomentazione  rettorica bensi come un’eco squillante delle voci del passato, che sale dalle tombe e vince i secoli. Secondo il testo di Trannoy (Les Belles Lettres).  bisogno di vivere tali precetti A' i ,• .  ventar succo e sangue e il f T l d ‘ faHl dl  gere a ciò, Cicerone Lnl f" 0 S ° rZ ° per 8 iun '  maniera singola,«sima, scnVoSo^v"' 0 i'I “ na  consolazione a se stesso “ D • Un ^ ro dl  profecto anfe me TeZ. ^Z 'T ***  consolarer ; que m librum jf . me per i‘ tera s  serint librari; affirmo tibi^nuLm” 3 " 1 S ‘,^'P'  esso talem ; totos die® U c °nsolationem   quid, sed t n^sper 1 C ; ,b ° 5 T“ qU ° proflci ™  XII 14) p t,sper im P e dior, relaxor „ (Ad 4tt   « 'a ll'Tlzr ™ di r'*   d«„e meditazioni morali!^ e8mam0 le Mslre   '4«fr-r v lLStó et,r°d servire 4   IL PORTICO, di cui poi in ,CaZI ° ne Pra ' ÌCa de,, °  e d oppressivi, uomm Lme° Tm "p" ^ tehi   vid.o Prisco fornirono ° Peto ed EI ’   e che successivamente si anc ° Ta p ‘ù insigni,   .1 hiosofo :z :L: r , ai cristiano, il sacerdnie • ’ p ° SCIa> n el mondo   c„i i,Tat'„ e ' „x:; a ” d f molti tenevano costantemente in d m ° nre ’ anZI  rettoredi coscienza e confortatore, iHoro ZofoOX . Plauto, fatto morire da Neron» •  mi istanti assistito e confortato dai “ / V ‘ ene " ei 3U0 ' u,tl  Cerano e Musonio (Tac., Ann. XwTv)), Trlse’  O Socrates et socratici viri! -- esclama Cicerone, qui, veramente riguardo a traversie di carattere privato). Numquam vobis gratiam referam  Un immortales quam m ihi ista prò nihilo (Ad Alt. ). Attico (egli scrive al suo liberto e segretario Tirone) mi vide agitato, crede che sia sempre lo stesso, “nec videt quibus presidii philosophiae  septus sim -- Ad Div. La disperata  e rovinosa condizione dello Stato -- quidem ego  non ferrem nisi me in philosophiae portum con-  tulissem. “ Equidem et haec et  omnia quae homini accidere possunt sic fero ut  PHILOSOPHIAE magnam habeam gratiam, quae me  non modo ab sollecitudine abducit, sed etiam contra omnes fortunae impetus armat, tibique idem  censeo faciendum, nec, a quo culpa absit, quid-  quam m malis numerandum -- Ad Div.  E noi vediamo veramente questo pensiero centrale  del PORTICO, cioè lo sforzo di distornare il  proprio interesse da ogni cosa esteriore per concentrarlo unicamente nel nostro comportamento, e  m ciò trovare appagamento e pace (questo, come  si può chiamare, ottimismo della disperazione, che  e il solo che resta nei momenti di maggiormente  infelici condizioni esterne, perchè vuole appunto,  riconoscendo tale inguaribile infelicità, trovare an-    Demetrio: e Seneca dice di Cano.  dato al supplizio da Caligola -- prosequebatur illuni  Losophus suus -- (De Tranq. An.). man-   phi-    i cora una tavola di salvezza), vediamo questo pensiero centrale dello stoicismo svelarsi sempre più  chiaro agli occhi di Cicerone e proprio come postogli innanzi delle circostanze di fatto. Sic enim  sentio, id demum, aut potius id solum esse miserum quod turpe est (Ad Att.). Video philosophis placuisse iis  qui mihi soli videntur vim virtutis tenere, nihil esse  sapientis praestare nisi culpam -- (Jld Dio..  Cogliamo il procedere di questa appassionante tragedia, per cui un uomo di indole ilare e disposto  a gioire delle cose, degli spettacoli naturali, delI arte, della letteratura, delle relazioni sociali, dell’attività pubblica e anche della ricchezza, è, a  poco a poco, dal rovinio politico, risospinto entro  se stesso e costretto a vedere e cercare la felicita soltanto nel proprio retto comportarsi. Le  meditazioni filosofiche (scrive a VARRONE) ci recano ora maggior frutto “sive quia nulla nunc in  re alia acquiescimus, sive quod gravitas morbi  tacit, ut medicmae egeamus eaque nunc appareat,  cuius vim non sentiebamus cum valebamus -- Ad  r i0 ’. Naturalmente con questo alto sentimento a cui Cicerone è ora pervenuto, il pensiero della morte, qui fonte anchesso di consolazione e forza, viene a intrecciarsi. Nunc vero,  eversis omnibus rebus, una ratio videtur, quicquid  e veni t ferre moderate praeserlim cum omnium rerum  mors sit extremum magna enim consolatio est cum  recordere etiamsi secus acciderit te tamen recta vereque sensisse --Ad Div. Nec enim  dum ero angar alia re, cum omni vacem culpa ;  et si non ero, sensu omnino carebo. Il crollo dello Stato è cosa gravissima -- tamen  ita viximus et id aetatis iam sumus, ut omnia quae  non nostra culpa nobis accident, fortiter ferre debeamus (Jld Div.). E tali pensieri, tali alti ed austeri conforti ed  incoraggiamenti, i grandi spiriti di quel periodo si  scambiavano tra di loro, prova, sia di quanto il  dolore per la catastrofe dello Stato era largamente  sentito, sia della estensione che a lenimento di  questo dolore siffatto ordine di pensieri allora aveva  preso. Era la genuina visuale del PORTICO a cui i nefasti  avvenimenti politici aveva tutti guidati -- non aliundo pendere, nec extrinsecus aut bene aut male vivendi suspensas habere rationes -- Ad Div. Se Cicerone ad ogni momento ripete di sè  quidquid acciderit, a quo mea culpa absit, animo forti feram (Ad Div.), nec  esse ullum magnum malum praeter culpam; sed tamen vacare culpa magnum est  solatium; se per sè pensa fortunato, quam existimo levem et imbecillam, animo  firmo et gravi, tamquam fluctum a saxo frangi  oportere; se l’esperienza di quella dolorosissima fase lo fa approdare alla definitiva conclusione che in omni vita sua quemque a recta conscientia transversum unguem non oportet discedere (Ad Att.) — queste sono amici, « a Lucccio7“'“ 8 “ 1 «  f'umanas contemnentem et opule C on^t r 7 "* c„ g „„ vi „ {Ad0 7   casu, et deiicto h Z ,n non aP r l “ 1U,piludi ”' non  veri „ (ih V |7) ’ M a i ° rum ln,una commo-   Pme.;/ cu,pl'ai picca,tT'° ; ■" “ÌJ—*   digni et Ss TstrrdublteTo; ^  ea maxime conducant ! P ° SSimus ’   V. 19 ) : e a Torquato ‘ ‘ f T Tectl8s '™" (A.   praesertim quae absit a   ancora a Torauato • “ ■ P , V1 ’ 2 )> e   delio Stato) vereor ne I ^ n 3 ' (,a rovina  teperiri, praete, i|| am q “ a TtaMa"e“ “ P °7   “r: e®, atque noTZIt,»   questi sentimenti ogni IralToìtTd' !“l “ 7 ° a  anch’egli aveva bisogno ’’No|!\e oh ■ - ' 7 ?   scrive Sulpicio in morte di Tullia) Cicerón ^ 1 ^ '  et eum aui a Ine ' '-' ,cer °nem esse  9 ' 3l,,S COnsuer,s Praecpere et dare consilium... quae alns praecipere soles, ea tute tibi  subirne, atque apud animum propone; vidimus ali-  quotiens secundam pulcherrime te ferre fortunam  fac ahquando intelligamus adversam quoque té  aeque ferre posse. Dalle lettere di Cicerone si potrebbe così ricavare un antologia di massime di vita del PORTICO da  servire efficacemente in ogni tempo al ripresenarsi di analoghe circostanze (e tale è forse sopratutto la ragione per cui queste lettere suscitarono  in ogni tempo I ammirazione, anzi il culto di nobili animi), pm efficacemente ancora che non i suoi  trattati, come le TUSCULANE e il DE OFFICIIS, ove  egli da sistemazione teorica alle medesime idee  1 qual, però appunto perchè non contengono se'  non quelle .dee morali che, suscitate in Cicerone  dalle vicende di ogni giorno, riempiono la sua corrispondenza, ci si ridimostrano, non mere esercitazioni letterarie, ma anzi saggi cresciuti su dalla  vita vera e scritti col sangue che le ferite inferte  da questa fanno stillare dal suo cuore. Herzenphilosophen chiama giustamente Cicerone Plutarco racconta che un giorno OTTAVIANO essendosi accorto che un suo nipote scorgendolo nasconde impaurito un saggio sotto la  (1)0. dt., 112    toga, glielo prende, e visto che e di Cicerone ne  legge un tratto, poi lo reshtui al ragazzo, dicendo uomo dotto e amante della patria, Xó r ,o : *vl'  ?. «rat, io T ,o £ *«l Tardo (come al so’   hto) riconoscimento del meriti di colui che egli ha raggirato, tradito, abbandonato al carnefice Ma  Cicerone e qualcosa di più. Spirito altissimo e   st'anzetn m n “'T'? 1 "”'’ da »! le circo-  ero \ „ j " 6 r 1 ' **' vivere, espres.   sero, m ragione di tale sua sensibilità, una soma   d dolore enorme, egli seppe da questa esperienza  d, dolore trarre un-espenenza morale di elevazione   e di purificazione del dolore stesso nel fuoco della  filosofia intesa come via, di cui molti ,„ e b   dTrendl' ' aPaC '' QUeS '° * P a,ll “ la "”ente ciò  che rende appassionatamente attraente la sua grande   figura alla quale veramenle-secondo un penTero   che trova eco sino m Giovenale -e   Roma' ltf !a " “ u la 8erva arl “lazione lo dava   Sr p a,t a , a, ' ebl> ' a,hibl,Ì, ° N di ' P ad - Sed Roma parentem,   Roma patrem patriae Ciceronem libera dixit.  Altri saggi:  Pesco Piente Fu , un [Mi|an0i CogliariJ.  f? Ap ° r ' e Jella R'Hgiont [Catania, - Etna 1  Motwl Spirituali Platonici [Milano, Gilardi e Noto]   nSTT, d ' W Jr aZl0nalim0 |N«poli. Guida],  Materialismo C„„ c0 [R om ., CaS a ^ ^   Pagine di Diario :    Scheggio [Rieti, Biblioteca Editr.J,  Cicute [Todi, Atanórj.   Impronte [Genova, Libt. Ed. Italia]  Sguardi [Roma. La Laziale],   Scolli [Torino, Montes, ],   Imminenti :    Critica deir Amore e del Lavoro [Catania.  Critica della Morale [Catania, “ Etna ..    " Etna J. Giuseppe Rensi. Rensi. Keywords: filosofia dell’autorita, autorita e liberta, Gorgia, Gorgia ed Ardigo, Santucci, Tendenze della filosofia italiana nell’eta del fascismo, Gentile, necrologio, Ardigo, Platone, Cicerone, Ficino, Bradley, Bosanquet, diritto e forza, filosofia della storia, Gogia, Elea, Velia, Elea ed Efeso, Gorgia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rensi” – The Swimming-Pool Library. Rensi.

 

Grice e Ressibio: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean cited by Gamblico.

 

Grice e Resta: la ragione conversazionale e le masserizie della mutua fiducia conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bari). Filosofo Italiano. Grice: “I like Resta; I was reading a book on golf that the Italians define, as I would cricket, as the game of ‘fiducia,’ so it is nice to see that Resta has tried to formulate some ‘rules,’ as we would call them, for trust. The cover of the essay is especially fascinating, as it depicts two acrobats on a circus ring. Where ‘fiducia’ becomes a matter of life and death – or a vital evolutionary tract, if often ‘ciecco,’ as Resta puts it. His research reminds me of Warnock on ‘trust’ in “The object of morality.”  Essential Italian philosopher. Filosofo. Nominato Alfiere del Lavoro. Studia a Bari. Insegna a Bari e Roma. Dirige un seminario sulla cultura giuridica alla fondazione Basso-Issoco. Colabora a "Sociologia del Diritto" e "Politica del Diritto".  Spazia  dai temi classici della filosofia dfino a temi di particolare attualità quali quelli riguardanti l'infanzia, i diritti dei minori e il bio-diritto. Particolarmente interessanti sono i saggi nei quali indaga sul significato e sui risvolti giuridici del concetto di "farmaco" come anti-doto necessario alla violenza. Saggi: “Conflitto e giustizia” (Bari, De Donato); “Diritto e sistema politico” (Torino, Loescher); “L' ambiguo diritto” (Milano, Angeli); “Poteri e diritti, Torino, Giappichelli); “La certezza e la speranza: diritto e violenza” (Roma, Laterza). Le stelle e le masserizie: paradigmi dell'osservatore” (Roma, Laterza); “L'infanzia ferita” (Bari, Laterza); “Il diritto fraterno” (Bari, Laterza); “Diritto vivente” (Bari, Laterza); “Le regole della fiducia” (Bari, Laterza); bio-diritto. Eligio Resta. Resta. Keywords: della fiducia, le stelle e le masserizie. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Resta” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Restaino: la ragione conversazionale ed Antonino e compagnia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Alghero). Filosofo Italiano. Grice: “Only in Italy, a philosopher philosophises about cartoons!” Filosofo. Studia e insegna a Cagliari e Roma. Studia la storia della filosofia  e dell'estetica. Il suo saggio forse più noto è una “Storia del fumetto: da Yellow Kid ai manga” (POMBA, Torino) che non ha mancato anche di suscitare alcune polemiche, fino al punto che un gruppo di appassionati di fumetti lancia una petizione chiedendo alla casa editrice il ritiro del saggio, accusato di contenere gravi lacune ed errori. Gabrielli, Petizione contro l’POMBA per la Storia del Fumetto, Lo Spazio Bianco, Plazzi, Il fantasma del fumetto, in il Mulino, Bologna, Mulino. La fortuna di Comte, Comte sansimoniano, in Rivista critica di storia della filosofia, Comte scienziato, Comte filosofo, Mill e la cultura filosofica, La Nuova Italia, Firenze, Mill: Scritti scelti, Principato, Milano, “Scetticismo e senso comune” (Laterza, Bari); Hume, Riuniti, Roma, Filosofia e post-filosofia” (Angeli, Milano); Storia dell'estetica” (Pomba, Torino); “Storia della filosofia, fondata d’Abbagnano, in collaborazione con Fornero e Antiseri, La filosofia contemporanea (Pomba, Torino); La filosofia inglese, in La Filosofia; Paganini, Piccin-Vallardi, Padova, Storia della filosofia, Pomba Libreria, Torino, La Rivoluzione Moderna. Vicende della cultura (Salerno, Roma); Giovanni Franco Restaino. Restaino. Keywords: Antonino e compagnia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Restaino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Ricordi: la ragione conversazionale eil Nerone di Manfridi, Seneca o dell’essere per amore, e gl’inganni dell’infinito di Leopardi sulle ceneri di Pasolini nell’inferno d’Aligheri – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Se è vero che Shakespeare inventa l'umanità, è altrettanto vero che egli l'ha poi divisa, il più delle volte, tra due grandi generi di rappresentanti: e questi passano davvero per le categorie dell’accademia degli platonici e il lizio degl’aristotelici. Merk Ricordi, in arte Teddy Reno e la produttrice e distributrice cinematografica Vania Protti. Studia a Roma e Napoli. Studia l’ermeneutica con Ronconi. Attore con Stoppa, Lavia, e Filippo. Inizia la carriera registica che lo ha visto spesso anche interprete nei propri allestimenti. Questi sono stati salutati sempre da un forte e caloroso successo di critica e pubblico. Si dedicato a Shakespeare, alla drammaturgia antica, al teatro tedesco dell'età romantica, ma anche e costantemente ai contemporanei introducendo autori come Rohmer, Amann, Norén.  Si ricordano “Medea” e “Fedra” di Seneca, Trio in mi bemolle di Rohmer e Dopo la festa di Amann, Anfitrione di Kleist e Don Giovanni e Faust di Grabbe, “Canti nel deserto” e Gl’inganni dell'infinito di LEOPARDI (si veda), “Le ceneri di Roma” e Orgia di PASOLINI, Creditori di Strindberg e Demoni di Norén, Romeo e Giulietta, Macbeth e Amleto di Shakespeare, Lame e NERONE di Manfridi. Pubblicat su LEOPARDI (si veda), Shakespeare, Schiller e il concetto di teatralità: “Lo spettacolo del nulla” (Bulzoni) e Essere e libertà (Bulzoni). Pubblica "Le mani sulla cultura" (Gremese), una denuncia assai netta dell'egemonia storica della sinistra sull’arti, che si ravvisa in modo particolare nel "Teatro politico". Direttore del Teatro Stabile d'Abruzzo a L'Aquila. Inaugura il corso di questo teatro, dirigge e interpreta Edipo Re di Sofocle e Anfitrione di Kleist, e insieme dedicato vari incontri al teatro di poesia.  Consigliere di amministrazione del Teatro di Roma. Collabora a Liberal, per le cui edizioni pubblicato il saggio "Ideologia di Amleto” (Liberal). Pubblica "Shakespeare filosofo dell'essere" (Milano, Mimesis), saggio che si riassume nella tematica di una nuova “Filosofia del dramma”. Questo saggio rappresenta il sui progetto dedicato alla drammaturgia esistenzialista. Pubblica "Filosofia del bacio" (Mimesi), e "PASOLINI e le ceneri di Roma, o un filosofo della libertà" (Mimesis). Pubblica il suo saggio teoretico più rilevante, "L'essere per l'amore" (Mimesis).  ALIGHIERI (si veda) per Roma e nel mondo. Inizia un Progetto filosofico su Alighieri -- saggistico ma anche teatrale e comunicativo. "ALIGHERI per Roma", con la lettura in luoghi significativi della "Città Eterna" -- Mausoleo di Cecilia Metella, Arco di Giano, Terme di Caracalla e Terme di Diocleziano -- di VII Canti dell'Inferno. Realizza un primo documentario per Rai 5 -- ricevendo il plauso della critica e grande riscontro dal pubblico. Pubblica “Filosofia della Commedia di Aligheri,” dedicato alla cantica dell'Inferno. “Il grande teatro shakespeariano” (Mimesis); “Filosofia della Commedia di ALIGHIERI -- L’Inferno – Il Purgatorio ” (Mimesis) “ALIGHERI -- per Roma: Inferno” Rai; La grande magia di ALIGHERI può essere capita soltanto ascoltandola a viva voce", in Spettacoli, La Repubblica. Intervista di Grattarola. Franco Ricordi. Ricordi. Keywords: essere per amore, il Nerone di Manfridi, Seneca, Pasolini, le ceneri di Roma, gl’inganni dell’infinito, Leopardi, Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ricordi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Righetti: la ragione conversazionale e la critica della ragione ecologica, o l’etica dello spazio -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Si concentra soprattutto sui temi dell’estetica. Fonda “La Stanza Rossa” sull rapporto arte-comunicazione. Affianca alle ricerche precedenti altri filoni di indagine, volti prevalentemente all’ambito della riflessione meta-etica.. Studia l’ecologia. Pubblica «Iride», «Dianoia» e «Millepiani».   Ecoinciviltà. La ragione ecologica spiegata all’umanità civile” (Mucchi, Modena); “La ragione ecologica: intorno all’etica dello spazio” (Mucchi, Modena); “Etica dello spazio: per una critica ecologica al principio della temporalità” (Mimesis, Milano); “Dall’assenza d’opera all’estetica dell’esistenza” (Mucchi, Modena); “Forme della “verità”: follia, linguaggio, potere, cura di sé” (Liguori, Napoli); “La fantasia e il potere” (Mucchi, Modena); “La Stanza Rossa. Tras-versalità artistica” (Costa, Milano); “Soggetto e identità: il rapporto anima-corpo” (Mucchi, Modena). Cf. Grice, “From the banal to the bizarre: method in philosophical psychology.” Stefano Righetti. Righetti. Keywords: la ragione ecologica, o l’etica dello spazio, linguaggio, la pietra di bismantova. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Righetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rignano: la ragione conversazionale della teleo-nomia -- filosofia fascista – filosofia italo-giudea – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Livorno). FIlosofo italiano.  Grice: “I love Rignano, but I would not consider him a philosopher, in that he never attended a course on philosophy!” Studia a Pisa e Torino. Laureato, si interessa subito ai problemi filosofici collegati alla ricerca scientifica. Fondatore della Rivista di Scienza. Fonda a Bologna “Rivista di Scienza” per Zanichelli. La rivista assunse il nuovo titolo di “Rivista di sintesi scientifica” -- cf. Grice on einheit der wissenschaft. La rivista nasce con il proposito di opporsi alla eccessiva specializzazione a cui era giunta la ricerca scientifica danneggiata per questo da criteri troppo specifici e restrittivi. Gli  fondatori, e in particolare R., si proponeno di superare il particolarismo delle scienze per una visione più estesa gettando un ponte fra cultura umanistica e quella scientifica ed elaborando una "sintesi" -- o unità o continuita -- tra le scienze della natura e le scienze dell'uomo.  In questo modo la filosofia, libera da legami nei confronti dei sistemi prefissati, poteva dedicarsi a promuovere la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad impostare in modo più ampio i problemi delle teorie. Nei saggi che pubblica su “La rivista de sintesi scientifica” ha modo di mettere in rilievo le sue capacità di divulgatore e di condurre i suoi studi in completa autonomia dal mondo accademico ufficiale elaborando la sua concezione filosofica ispirata soprattutto dalla corrente positivistica. Chiede a Freud un'esposizione della psicoanalisi con le indicazioni di quali rami del sapere potessero essere interessati alle teorie e all'esperienze psicoanalitiche. Freud scrive “Das Interesse an der Psycho-analyse”, pubblicato sulla rivista. Si interessa di psicologia e biologia ed è noto soprattutto per la sua ipotesi della proprietà mnemonica, secondo la quale la sostanza vivente sarebbe in grado di ricordare le condizioni fisiologiche dell’iniziali situazioni fisiche determinate dall'ambiente esterno e quindi di riprodurle nel prosieguo della vita biologica.  Questa sua teoria consente a lui di operare nella biologia un compromesso tra una visione meccanicistica della realtà naturale e una finalistica, vitalistica. Per il meccanicismo infatti non è possibile pensare che nell'ambito degli organismi viventi vi sia il proposito immanente di conseguire una finalità ma d'altra parte è innegabile he nel mondo organico sia presente una sorta di TELEO-NOMIA particolare per ogni essere vivente tale da giustificare l'idea che, durante il periodo di adattamento all'ambiente, questi conservi una specie di traccia fisica mnemonica persistente e trasferibile ereditariamente. Si interessa anche di filosofia della psicologia – o psicologia filosofica --  ma quando intese indicare lo statuto epistemologico della teoria psicologica, il tipo di scientificità che ad essa compete, in modo da definire i rapporti con la scienza naturale da una parte e con quella umana dall'altra, si orienta verso soluzioni intermedie, che spesso complicavano più che risolvere i problemi. Coerentemente al suo programma di sintetizzare opposti sistemi, elabora anche una concezione economica di tipo socialista marxista che è in accordo con il liberismo. Altre saggi: “Per una riforma socialista del diritto successorio” (Bologna, Zanichelli);  “Di un socialismo in accordo colla dottrina economica liberale” (Torino, Bocca); “Sulla trasmissibilità dei caratteri acquisiti: ipo-tesi d'una centro-epigenesi” (Bologna, Zanichelli); “L'adattamento funzionale e la teleologia psico-fisica” (Bologna: Zanichelli); “Che cos'è la co-scienza?” (Bologna, Zanichelli); “Il fenomeno religioso” (Bologna, Zanichelli); “Il socialismo” (Bologna, Zanichelli); “Dell'attenzione: contrasto affettivo e unità di co-scienza” (Bologna, Zanichelli); “Dell'origine e natura mnemonica delle tendenze affettive” (Bologna, Zanichelli); “Per accrescere diffusione ed efficacia all’università popolari” (Milano, Compositrice); “La vera funzione delle università popolari” (Roma, Antologia); “Vividità e connessione” (Bologna, Zanichelli); “L'evoluzione del ragionamento” (Bologna, Zanichelli); Il nuovo programma dell'Un. pop. milanese: primo anno d'esperimento, Como, Cooperativa comense; Bari; Le forme superiori del ragionamento” (Bologna, Zanichelli); “Democrazia e fascismo” (Milano, Alpes). “Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il ragionamento in rapporto   al finalismo della vita.    Brevi parole ci basteranno per trarre la conclusione del  nostro lavoro. L'analisi di questa facoltà suprema della mente,  quale è il ragionamento, ci ha condotto a constatare come  esso sia tutto costituito, in definitiva, dal giuoco reciproco  delle due ‘attività fondamentali e primordiali della nostra  psiche : le intellettive e le aftettive; le prime consistenti nella  semplice evocazione mnemonica di percezioni od imagini del  passato ; le seconde manifestantisi come tendenze o aspirazioni  dell'animo nostro verso un dato fine, al cui raggiungimento  è rivolto il ragionamento stesso.   Abbiamo visto l’attività affettiva entrare in giuoco nel  ragionamento, non solo direttamente colla sua opera evocatrice  e selettrice ed escluditrice delle imagini sensoriali, bensì anche  sotto forma di altre facoltà dello spirito che da essa derivano.  Così la facoltà di fare attenzione a quanto si pensa, e quindi  di mantenere la coerenza del pensiero -e. di esercitare lo spi-  rito critico, quella di imaginare combinazioni nuove a mezzo  di elementi mnemonici vecchi, la facoltà di classificare e di  porre un po’ d’ordine nell’infinita e caotica congerie di fatti  che cadono sotto i nostri sensi, quella di creare concetti sempre  più generali ed astratti, e così via: tutte queste facoltà di  attenzione, di’ coerenza, di critica, d’ imaginazione, di classi-  ficazione e d’astrazione, che elevano a mano a mano il ragio-  namento dalle sne forme intuitive primordiali alle più alte  deduzioni della scienza, si sono palesate alla nostra analisi    396 E. RIGNANO    avere tutte un sostrato di natura affettiva. Abbiamo visto,  parimente, avere origine affettiva anche la deformazione che  subisce il ragionamento, quando dalla sua forma costruttrice  e creatrice passa all’altra intenzionale, puramente classifica-  toria, per lo più sterile, di cui le manifestazioni più tipiche  sono il ragionamento dialettico e il ragionamento metafisico.  Abbiamo visto, in seguito, l’ influenza che le tendenze affettive  hanno nel determinare le varie forme di mentalità logica.  Abbiamo visto, infine, le forme patologiche stesse del ragio-  namento essere dovute, esse pure, a cause di pretta natura  affettiva.   L'attività affettiva ci appare, lina come impregnante  per così dire di sè tutte le manifestazioni del nostro pensiero.  Si può dire, anzi, essere essa l’unica ed effettiva costruttrice  che, servendosi del materiale intellettivo di puri ricordi ima-  ginativi, immagazzinati nelle nostre accumulazioni mnemoniche  sensoriali, erige ogni e qualsiasi edificio del nostro raziocinio,  dal più umile dell’animale più infimo al più sublime dell’uomo  di genio.   Ma questa facoltà affettiva, che così ci appare il grande  artefice, incitatore e moderatore ad un tempo, della nostra  mente, vedemmo essere alla sua volta dovuta alla proprietà  mnemonica fondamentale; anzi, di questa proprietà mnemo-  nica della sostanza vivente essere essa la manifestazione più  genuina e più diretta.   Di guisa che questa facoltà mnemonica, che già vedemmo    in altre nostre opere spiegarci i fenomeni biologici più fon:    damentali, — dal preordinato adattamento morfologico degli  organismi e dall’inconsciamente preveggente comportamento-  istinto degli animali alla trasmissibilità dei caratteri acquisiti,  della quale tanto 1° evoluzione filogenetica che lo sviluppo  ontogenetico sono la diretta conseguenza, — questa facoltà    mnemonica ci si appalesa ora come capace di fornirci, da    sola, anche tutte le manifestazioni più svariate della psiche.  Se ad Archimede bastava un sol punto d'appoggio per sol-  levare il mondo, alla energia vitale basta questa sua proprietà  mnemonica per dar luogo a tutte le manifestazioni finalistiche  più caratteristiche della vita e per creare tutto il meccanismo  pensante e ragionante della mente.   Già vedemmo questa facoltà mnemonica potersi definire  come la capacità di riprodurre, per cause interne, quegli stessi    CAPITOLO XVII. 397    stati fisiologici specifici, a produrre i quali la prima volta fu  necessaria l’azione delle energie del mondo esterno. Tentammo  anche «di precisarne il meccanismo coll’ ammettere a base di  ogni fenomeno vitale l’energia nervosa e col dotare quest’ul-  tima della proprietà dell’accumulazione specifica, cioè a dire  col supporre che ciascuna accumulazione nervosa sia atta a  dare come « scarica » unicamente quella medesima specificità  della corrente nervosa di « carica », dalla quale l’ accumula-  zione stessa sia stata deposta. Ma mettiamo pur da banda  tale ipotesi ; 1’ importante sta in ciò, che per avere le mani-  festazioni biologiche e psicologiche più fondamentali della vita  basta supporre nell’ energia nervosa, in più delle proprietà  comuni a tutte le energie del mondo inorganico, néent’ alt70  che la proprietà mnemonica.   Non è, infatti, come molti sostengono, la proprietà di  adattamento all'ambiente ciò che distingue energia vitale  dalle energie del mondo inorganico. Tale proprietà di adatta-  mento è comune a queste come a quella. È ciò che dimostra  qualsiasi sistema fisico-chimico, il quale, ove venga ad avere  disturbato il suo equilibrio dinamico da qualche mutamento  sopraggiunto nelle condizioni esterne, si dispone con esse  in un equilibrio dinamico nuovo, cioè a dire « reagisce » e  < si adatta » a queste condizioni ambientali mutate. Così,  p. es., se fermiamo a metà colle dita la corda di un pendolo  che oscilla, questo si adatta alle nuove condizioni mettendosi  ad oscillare più rapidamente. Se le pile d’un ponte vengono  a restringere la sezione d’un fiume, l’acqua rigurgita a monte  fino a che l’aumentata sua velocità fra le pile la fincecia de-  tluire nella stessa quantità di prima. Il raggio di luce al mo-  mento di entrare in un mezzo trasparente più denso si rifrange.  E l’intensità della corrente elettrica, ferma restando la diffe-  renza di potenziale ai poli, si commisura alla resistenza del  circuito. Tutte queste sono altrettante forme di adattamento  a mutate circostanze esterne da parte delle energie del mondo  inorganico, le quali, prima di trasformarsi in altre forme ener-  getiche, assumono piuttosto, finchè è possibile, le più diverse  modalità, che permettano loro di proseguire nella forma stessa  in cui già si trovano attive. Ciò che manca loro, in confronto  all'energia vitale e nervosa, è unicamente la facoltà mnemo-  nica, cioè la facoltà, ripetiamo, di riprodurre queste modalità  energetiche di adattamento per sole cause interne, senza bisogno    398 î E. RIGNANO    che si ripresentino nella loro integrità quelle circostanze am-  bientali che la prima volta costrinsero la rispettiva forma di  energia ad assumere queste modalità di adattamento.   Ora abbiamo visto questa proprietà mnemonica essere  appunto ciò che dà alla vita il suo aspetto finalistico, cioè  quello di essere mossa da forze « a fronte » anzichè dalle sole  forze « a tergo ». Il fine verso cui gravita l’uomo colle sue  tendenze affettive, le circostanze esterne ad affrontare le quali  si avvia inconscio l’animale col suo comportamento complesso  dettatogli dall’istinto, il rapporto ambientale ‘al quale sarà  adatto l’organo che l'embrione plasma nell’ utero materno  fungono ora da « vis a fronte » in quanto furono « vis a tergo »  nel passato e in quanto le attività fisiologiche, allora deter-  minate nell’organismo da queste circostanze esterne e da  questi rapporti ambientali, hanno lasciato un’accumulazione  mnemonica di sè, la quale costituisce ora, essa stessa, la vera  ed effettiva « vis a tergo » che dirige e muove lo sviluppo e  l'istinto e la condotta cosciente dell’ essere vivente.   E il ragionamento, messo in moto dall’una o dall’ altra  affettività primaria, controllato di continuo dall’affettività se-  condaria del relativo stato d’attenzione, e poi dalla primaria  stessa e da altre affettività ad essa strettamente connesse  sospinto verso le forme più elevate e più astratte, è di questo  aspetto finalistico della vita la manifestazione più alta e più  complessa.   Da ciò il tragico eterno contrasto fra la nostra vita inte-  riore, tutta impegnata di finalismo, che sente questo finalismo  essere carne della propria carne e sangue del proprio sangue,  e l’inanimato mondo esterno, che, per quanto ansiosamente  scrutato per secoli e secoli, da nessuna finalità sembra in-  vece essere mosso. Tragico ed eterno contrasto, questo, fra  il microcosmo essenzialmente finalistico e il macrocosmo pu-  ramente meccanico, che costituisce il sostrato profondo della  lotta più che millenaria fra la scienza e la religione, la prima  costretta dalla ragione basata sui fatti a negare una finalità  all’universo, la seconda invece irresistibilmente sospinta dalle  più intime fibre del sentimento ad affermarla.   Questo contrasto fra la ragione e il sentimento non avrà  forse mai fine, a meno che l’uomo si rassegni a cercare, non  più nell’universo tutto, bensì entro l’ambito più ristretto del  solo mondo della vita, col quale ha comunanza di origine e    CAPITOLO XVII. 399    di natura, la ragione ultima della propria condotta, la finalità  suprema della propria esistenza. E questa comunanza di ori-  gine e di natura, se profondamente intesa, non mancherà al-  lora di infondergli un sentimento di simpatia e di solidarietà  verso tutti gli esseri, in genere, capaci di godere e di sof-  frire, e di amore e di altruismo verso la famiglia umana, in  ispecie, in cui più forte e ‘più conscio, perchè all’apice del-  l'evoluzione organica, batte il ritmo della vita. Sarà tratto  pertanto dal più profondo senso stesso del dovere a combat-  tere ovunque, con opere di bene e di equità, ogni causa di  dolore e a favorire ogni occasione di letizia, — diminuzione  l’uno e aumento l’altra di attività vitale, — e a promuovere  nel tempo stesso ogni forma di progresso sociale, ogni mani-  festazione di bellezza, ogni slancio verso l’ideale, aftinchè  sempre più completa e più serena e più elevata si svolga  l’esistenza umana e sempre più radiosa e più pura risplenda  nell'universo la face della vita. Eugenio Rignano. Rignano. Keywords: diritto successorio, vitalismo, democrazia e fascismo, liberismo, liberalismo, socialismo, “Scientia”, filosofia italo-giudea, teleo-nomia. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rignano” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rigobello: la ragione conversazionale o dell’allargamento interpersonale del razionale – l’intenzionalità rovesciata – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Badia Polesine). Filosofo italiano. Il nostro rapporto con gl’altri deve sempre farci essere un interrogativo per loro. Fra i principali rappresentanti italiani del personalismo. Dopo gli studi liceali a Padova consegue la laurea in filosofia, quale allievo di STEFANINI e PADOVANI. Insegna a Padova, Perugia e Roma. Spazia dalla meta-fisica, all'etica e la filosofia politica, alla storio-grafia. Collaboratore a Studium. Ripensa il personalismo partendo dal presupposto per cui esso, potendo anche costituire un possibile complemento integrativo ed estensivo alla meta-fisica non puo comunque considerarsi una dottrina filosofica definita bensì una posizione che mette in primo piano il concetto di "persona" (cf. Strawson, “Il concetto di persona”). Il personalismo non è in contraddizione con la meta-fisica  bensì ne puo costituire un proficuo ampliamento psico-logico, etico, antropo-logico. Uno dei suoi contributi più originali consiste nel personificare -- proprio per il tramite del personalismo -- la ragione meta-fisica attraverso quel processo di integrazione fra l’esistenzialismo e la filosofia classica. Ri-esamina nel suo evolversi, nonché compara criticamente e storicamente, questo concetto di “persona” alla luce della storia della filosofia fino ad arrivare alla filosofia romana – il schiavo non è persona -- chiamando in causa anche l'ermeneutica, la filosofia morale e la sua storia. Ne risulta, quindi, che il concetto di persona – nel diritto romano repubblicano -- deve anzitutto essere inteso in un senso giuridico. Non deve essere confuso con quello derivante dal concetto d’esistenza della filosofia esistenzialistica, che nega la possibilità che le persone possono governare la loro vita, in quanto ritenute prive di auto-dominio. Infine, le persone, pur nella sua reale concretezza, non sono sostanze. Tutto ciò ha costituito una delle tematiche principali in cui s'è venuta a delinearsi la sua filosofia, la persona e l’interpretazione. Una seconda tematica della sua attività di ricerca scaturisce dagl’insegnamenti, per certi versi anti-tetici fra loro, dei due suoi maestri, ovvero quelli di STEFANINI, grazie ai quali egli individua un primo polo di convergenza delle sue riflessioni filosofiche attorno alla nozione fenomenologica di un mondo della vita, e quelli di PADOVANI, incentrati sulla meta-fisica tradizionale e ruotanti attorno alla nozione di trascendenza con i suoi limiti. Ogni altra questione filosofica sembra snodarsi o essere compresa fra questi due poli di convergenza che egli sintetizza nella trascendenza, la legge morale, e il mondo della vita. Altro ambito tematico apre la prospettiva personalistica al dialogo col mondo moderno e contemporaneo, con l'etica, la politica, la religione, puntualizzando in particolare la sua valenza etica e politica nell'analisi della realtà sociale in cui le persone viveno ed agisce, nonché esprime il suo dissenso non su basi ideologiche ma come critica del sistema dominante. Questo tematica puo quindi chiamarsi in dialogo con il mondo contemporaneo. Come esponente di punta del personalismo italiano, storicamente rappresentato da STEFANINI, CARLINI, SCIACCA, e PAREYSON, rivolvela sua attenzione ad una ri-visitazione originale del personalismo comparato con l'etica e la politica, grazie a cui è emersa, oltre alla limitatezza della dimensione trascendentale, sia quella rilevanza civica assunta dalla persona umana come testimone della sua epoca che la sua responsabilità di cittadini. Mette in evidenza come il personalismo si distingua nella critica mossa al sistema idealista, che non ha attecchito nella filosofia d'oltralpe.  Riprende le e tematiche più tipiche della struttura delle persone umane e le relative implicazioni metafisiche in “Prossimità e ulteriorità” (Rubbettino). Inoltre, da sempre interessato anche all'ermeneutica pubblica “L'apriori ermeneutico” (Rubbettino). Altre saggi: “Oltre lo storicismo” (Studium); “Ricchezza e povertà della metafisica classica” (Humanitas); “Il problematicismo di SPIRITO (si veda) come empirismo coscienziale assoluto: note sul significato del nostro tempo, in Rassegna di Umanesimo e antropo-centrismo; La disponibilità come abito etico del rapporto autorità-libertà, Istituto editoriale del Mezzogiorno, Napoli, Kant e l'indirizzo idealistico, Il problema del linguaggio storio-grafico, Perugia, “Condizionamenti socio-logici e linguaggio morale” in Sociologia e filosofia; Socrate e la formazione dell'uomo politico, in Civitas,  Esperienza di fede e struttura del sapere, Studium, CROCE (si veda), perché possiamo e non possiamo dirci ‘crociani’, Coscienza. Mensile del movimento ecclesiale di impegno culturale, La riflessione sull'etica, Etica oggi: comportamenti collettivi e modelli culturali, Re e Poppi, Fondazione Lanza e Gregoriana, Roma,  Il tempo nello spiritualismo, Il concetto di tempo. Società filosofica italiana, Caserta, Casertano, Loffredo, Napoli, “Persona, trascendentale, ermeneutica” in Filosofi italiani, Riconda e Ciancio (Mursia, Milano); La storia nella coscienza (AVE, Roma); L'intellettualismo in Platone (Liviana, Padova); Platone, Senofonte, Aristotele: il messaggio di Socrate” (Scuola, Brescia); “Introduzione di una logica del personalismo, Quaderni dell'Istituto di Pedagogia di Padova (Liviana, Padova); L'itinerario speculativo dell'umanesimo contemporaneo, Quaderni dell'Istituto di Pedagogia di Padova (Liviana, Padova); L'educazione umanistica e la persona. Saggio di una filosofia dell'insegnamento umanistico” (Scuola, Brescia); “Determinazione ed ulteriorità nel Kant pre-critico” (Silva, Milano-Genova); “I limiti del trascendentale in Kant” (Silva, Milano); “La certezza morale, filosofia morale relazioni tenute a Perugia nell'A.A. (CLEUP, Perugia); “Legge morale e mondo della vita” (Abete, Roma); La morale radicale” (Perugia, Perugia); “Struttura e significato” (Garangola, Padova); “Antropologia” (Antenore, Padova); “Modelli storio-grafici di morale” (Frama Sud, Chiaravalle Centrale); “Ricerche sul trascendentale kantiano” (Antenore, Padova); “Dal romanticismo al positivismo” (Marzorati, Milano); “Il regno dei fini” (Bulzoni, Roma); “Il personalismo” (Città Nuova, Roma); “L'impegno ontologico” (Armando, Roma); “Il futuro della libertà” (Studium, Roma); “Politica e pro-mozione umana” (Scuola, Brescia); “Perché la filosofia” (Scuola, Brescia); “Studi di ermeneutica” (Città Nuova, Roma); “Verso una nuova didattica della storia” (Sei, Torino); “Persona e norma nell'esperienza morale” (Japadre, L’Aquila); “Certezza morale ed esperienza religiosa” (Vaticana, Vaticano); “Kant: che cosa posso sperare” (Studium, Roma); “Lessico della persona umana” (Studium, Roma); “L'immortalità dell'anima” (Scuola, Brescia); “Soggetto e persona: ricerche sull'autenticità dell'esperienza morale” (Anicia, Roma); “Autenticità nella differenza” (Studium, Roma); “Attualità della lettera ai Romani” (AVE, Roma); “Il divino oltre i saperi: tra teologia e filosofia” (San Paolo, Milano); “Interiorità e comunità. Esperienze di ricerca in filosofia (Studium, Roma); Oltre il trascendentale, Pubblicazioni della Fondazione Spirito, Roma, L'altro, l'estraneo, la persona, Città Nuova Editrice, Roma, La persona e le sue immagini, Città Nuova, Roma, L'estraneità interiore (Studium, Roma); Le avventure del trascendentale. Contributi al Convegno del Centro studi filosofici di Gallarate (Rosenberg, Torino); “Umanità e moralità” (Studium, Roma); “Immanenza metodica e trascendenza regolativa” (Studium, Roma); “L'apriori ermeneutico: domanda di senso e condizione umana” (Rubbettino, Mannelli); “Prossimità e ulteriorità: una ricerca ontologica per una filosofia prima” (Rubbettino, Mannelli); “L'insuperabile singolarità dell'avventura umana: dalla determinazione completa alla rottura metodologica” (Ramo, Rapallo); “Vita e ricerca. Il senso dell'impegno filosofico, intervista Alici” (Scuola, Brescia); “L'intenzionalità rovesciata: dalle forme della cultura all'originari” (Rubbettino, Mannelli); “Struttura ed evento: tempo di vivere, tempo di dare testimonianza alla vita, la vita come testimonianza” (Rubbettino, Mannelli); “Dalla pluralità delle ermeneutiche all'allargamento della razionalità” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Ciascuno di noi nell'incontro con l'altro deve essere tale da suscitare curiosità e interesse di conoscenza reciproca (Presentazione a Alici, Grassi, Salmeri, Vinti (Studium); “La filosofia come testimonianza, Rivista bimestrale, Studium, Roma. Berti ha R. come docente supplente di filosofia quando è ancora studente liceale. Cfr. Berti, "Origini del pensiero di R.", in: Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, “La filosofia come testimonianza” (Studium. Cfr. Berti, "Origini del pensiero", in Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, La filosofia come testimonianza, Studium, Roma, Cfr. pure il contributo di Borghesi, "La dialettica tra struttura e significato", nella stessa collectanea.  Oltre quelli delle Parti II e III, si vedano soprattutto i vari contributi presenti nella Parte I della collectanea in suo onore: Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, la filosofia come testimonianza,  Studium, Roma, Cfr. Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, cit.  Cfr. i vari contributi presenti nella miscellanea:  Estraneità interiore e testimonianza. Studi in onore, Pieretti, ESI-Edizioni Scientifiche Italiane, Perugia); Cfr. pure "Biografia, pensiero e opere", Bollettino della Società Filosofica Italiana  nella rubrica Filosofi allo Specchio,  Cfr. Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, cit.  Per questi aspetti centrali del pensiero, si vedano soprattutto i contributi presenti nella prima parte della collectanea in suo onore: Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, La filosofia come testimonianza, Studium, Cfr. Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, Ricordo, Umanità e moralità, in Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia, In memoriam: In ricordo straneità interiore e testimonianza. Studi in onore, Pieretti, Scientifiche Italiane, Napoli-Perugia, Alici, Grassi, Salmeri e  Vinti, R., la filosofia come testimonianza, studio in suo onore, evento organizzato a Perugia in collaborazione con Roma Tor Vergata e la LUMSA, Perugia/Roma, i cui atti sono stati pubblicati, Alici, Grassi, Salmeri e Vinti,  Studium, Dotto, Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano,  Baccarini, Passione dell'originario: fenomenologia ed ermeneutica dell'esperienza religiosa, studi in onore” (Studium, Roma). Vita e ricerca. Il senso dell'impegno filosofico (Interviste), Alici recensione di Din, Padova. Video di un'intervista a cura di Valentini, fatta a Roma. Armando Rigobello. Rigobello. Keywords: l’allargamento del razionale, ‘struttura e significato’, il regno dei fini, comunita, Grice on human vs. person, Strawson, the concept of the person, Ayer, the concept of a person. In personam, persona sui iure, persona populum (Cicero).  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rigobello” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rimini: la ragione conversazionale, o del significato totale, la percezione del pane e Socrate è seduto – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Rimini). Filosofo italiano. Il primo a conciliare gli sviluppi delle idee d’Occam ed Aureolo. Questa sua sintesi ha un impatto duraturo. Insegna a Bologna, Padova, Perugia, e Rimini. Da lezioni sulle sentenze di Lombardo. Oltre alla sua opera principale, il commento alle sentenze di Lombardo, scrive diversi saggi, tra cui: “De usura,” “De IV virtutibus cardinalibus” – cf. Grice, philosophy, like virtue, is entire --  e un estratto del commento alle sentenze, il “De intentione et remissione formarum,” un’appendice sulla IV distinctio del I libro del commento alle sentenze, una tabula super epistolis. Augustin. Manifesta una certa attitudine sincretistica tra gli sviluppi d’Occam ed Aureolo. Mostra analoga tendenza anche nella ri-costruzione e dell'analisi del processo della percezione animale e umana e il conoscere umano, nelle quali si fondono in maniera originale elementi etero-genei desunti da Aristotele del Lizio, Agostino e Ockham. Causa un grave fraintendimento della sua filosofia, è qualificato come tortor infantium, per la supposizione di aver condannato alle pene eterne i bambini che muoiono senza il battesimo. In realtà espone tale dottrina senza pronunciarsi. Talvolta è indicato quale antesignano dei nominalisti. Altre saggi: “Gregorii lettura super I et II Sententiarum”; “De imprestantiis venetorum”. Mazzali, Gori, Manuale di filosofia medievale, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di filosofia.  Now two important consequences follow from Gregory's definition of the object of complex knowledge as the significatum totale of the conclusion. Firstly, it entails a proposition of a special kind which meets the requirements of both demonstration and experience.? Not every proposition does so. Indeed Gregory dis-tinguishes three different kinds of propositions. They are in two categories. The first is of mental images representing actual spoken words, or statements, from which they are directly derived and which vary according to the language in which they are framed: for example Greek or Latin.3 The second is of mental images which have no direct correlation with words; it consists in purely mental concepts undiversified by language, the same for all men.  These are the mind's natural signs prior to words, which have been instituted to express them.* They are divided into those which are  (bid, pono etiam tetio quod propositio aliqua non est ipsam esse veram  2 Secundo, idem est obiectum scientie et assensus sciabilis, sive assensus sit scientia sive distinguatur. Nam ei quod quis scit assentit, sed obiectum assensus sciabilis est significatum conclusionis. Ei enim assentit quis habens demon-strationem quod significat conclusio demonstrationis (ibid., O).  a Quidam enim est earum que sunt vocalium enuntiationum imagines vel similitudines ab exterioribus vocibus in anima derivate, vel per ipsam ficte, iuxta modum qui infra dist. 3 declarabitur de abstractione et fictione in anima  conceptuum. Et iste non sunt eiusdem rationis in omnibus  * Quidam vero genus est enuntiationum mentalium que nullarum suntultimately founded upon sense experience and those which are not.  The former, whether they originate directly or indirectly by simple or complex knowledge, or just inhere in the mind, have their source in external things; they are as much the property of the deaf and dumb as of other men, for experience, not words, is their agent. The other group, on the contrary, owes nothing to external knowledge; its images belong to propositions which are held as matters of belief or opinion and remain unverified. ? They do not come within the province of knowledge.  Of these three groups only the second represents both know-ledge and assent.? The first consists simply of words, devoid of either knowledge or judgement; the third of judgement, or assent, divorced from knowledge. Gregory includes in the third category dissent since it is the negative act of assent.®  The effect of this classification is to isolate statement, know-similitudines vocum, nec secundum illarum diversitatem in hominibus habentibus diversificantur. Sed eadem sunt secundum speciem apud omnes idipsum naturaliter significantes quid vocales eis subordinate ad significandum ad placitum et per institutionem significant; et ille sunt illa verba que nullius lingue sunt, et vocalia verba exteriorius sonantia (Prol., q.I, a.3, 4 F-G).  secundum enuntiationum mentalium subdividitur:  quantum quedam immediate ex rerum intuitivis notitiis incomplexis, tanquam ex partialibus causis vel ex alis complexis vel incomplexis, ex illis mediate vel immediate causatis, seu ex habitibus ex talibus notitiis complexis derelictis causantur, vel forsitan etiam quedam non ex aliquibus incomplexis notitiis causantur, sed sunt simpliciter prime venientes in mentem naturaliter (ibid., G Quedam vero sun que non ex talibus primis notitis rerum aliquo predic  torum modorum causantur, cuiuismodi sunt enuntiationes quibus quis enuntiat mente et iudicat sic vel sic esse aut non esse, non cognoscens tamen intuitive, aut alia notitia prima vel ex intuitiva derivata, que sic sit vel non sit, sicut enuntiat in mente quis dum credit vel opinatur (ibid., G-H).  3 Secundi autem generis propositiones et enuntiationes sunt et notitie et  assenus (ibid., H).  1. propositiones primi generis sic sunt enuntiationes quod non sunt notitie formaliter, necque assensus, non plus quam enuntiationes vocales quibus sunt similies (ibid.).  • Tertii autem generis propositiones et enuntiationes quidem sunt et assensus,  sed non notitii ibid.).  6 Ex his autem sequitur quod dissensus non est aliquis actus intellectus a quolibet assensu distinctus, quinimmo quilibet est assensus quidam. Quod probatur, quantum cum assensus mentalis sit enuntiatio, dissensus erit enuntiatio sibi opposita (ibid.).ledge, and judgement as separable elements in a mental demons-tration. One does not imply the other, so that the statement can obtain either exclusively or in combination with knowledge or judgement. ' Only when all three are joined together can there be a true demonstration. The statement alone tells whether something is or is not, according to whether it is affirmative or nega-tive, * knowledge enables us to ascertain its truth or falsity; assent (or belief) affords the judgement necessary to any demonstration" and is thereby the means by which a conclusion is reached.® Gregory, then, unlike Ockham, keeps assent and knowledge separate; although, when present together in the same demons-tration, they are all part of a single mental action, we have seen that propositions containing one do not logically imply those containing the others. The separation between them gives rise to the second consequence in Gregory's treatment of complex know-ledge. For since assent has to be to a proposition embodying a statement of truth, the object of assent is the proposition, not an external object. Consequently the object of assent is a complex, as opposed to a simple, signification; or as Gregory puts it, it is  Ulterius sequitur ex istis quod non omnis mentalis enuntiato est assensus, licet omnis assensus sit mentalis enuntiato. Et quod quamvis omnis notitia complexa... sit mentalis cuntiatio, non tamen e contrario omnis mentalis enuntiatio est talis notitia. Item quod quamvis omnis notitia complexa sit assensus, non quilibet tamen assensus est talis notitia (ibid., 1). quia est circa obiectum scientie, quod proprie est illud quod significatur per conclusionem demonstrationis, ut patet ex primo articulo, intellectus habet actum enuntiandi et actum cognoscendi et actum credendi seu assentiendi (ibid., 3 K). 3 nam per ipsam conclusionem enuntiat sic esse, si est affirmativa, vel non sic esse, si est negativa (ibid., L)  4 Cognoscit etiam sic esse sicut enuntiat (ibid.).  5 unde primo Posteriorum dicitur,  quod scire est per demonstrationem  intelligere, et quod demonstratio est syllogismus faciens scire. Non solum autem enuntiat et cognoscit sic esse, sed etiam credit seu assentit quod ita est (ibid.).  * Prima [conclusio] est quod conclusio demonstrationis mentalis propric accepte est assensus de sic esse sicut ipsa significat (ibid., 3 Q).  'ga conclusio est quod circa taliter demonstratum vel scitum non sunt ponendi tres actus distincti in anima ad enuntiandum conclusionem et cogno-scendum et credendum, seu assentiendum, sic esse vel non sic esse; sed quod idem actus sufficiat ad hoc, et idem actus est conclusio, notitia, et assensus (ibid.).a complexe significabile.! Its meaning derives not from direct sen-sory experience but from mental activity. It is an expression, as opposed to thing, describing a set of relations which has no direct correspondence to an actual object. Hence, although Gregory has throughout stressed that the truth of any proposition rests upon its foundation in experience, this is not the same as saying that it can in itself be directly encountered. Its reality is of a different order; verbal rather than actual.  Now there are three ways in which something? can be said to be. In its most general sense it embraces any sign, simple or complex, true or false; secondly it can denote any sign which is true; finally in its strictest sense it is confined to that which is actually in being, and conversely by this criterion that which does not so exist is nothing. While by the first and second modes the totale significatum can be said to exist, by the third it cannot, as, for example, to say that man is an animal is both a statement and a true one but not something which can be seen in itself.® Gregory, as H. Élie has shown in Le complese significabile, here opens the way to what is akin to scepticism in making a distinction between verbal statements and sensory reality. In his case, however, it had the opposite effect, since it enabled him to recognize a true description without seeking to identify it with any specific object in rerum natura. As applied to God's attributes, the divine persons, and sin, we shall see that the innovation of the complexe significabile was employed to reassert the most rigorous traditionalism.  If it is here that complex and simple knowledge diverge, it is also the point at which they meet, for the absence of direct experience in complex knowledge compels it to depend for its truth upon simple knowledge: no simple knowledge, no true  Ad probationem dico quod non assentimus proprie loquendo nisi signi-ficabili per complexum, nec aliunde vere dicimur assentire alicui complexo, nisi quia assentimus ei quid ipsum significat (Prol. q.1, a.1, 2 F). He regards the terms aliquid, ens, and res as synonymous (ibid., 1 Q). Ibid. * Ibid., 2 A.  5 Tertio modo sumuntur ista ut significant aliquam essentiam sive entitatem  existentem, et hoc modo quid non existit dicitur nihil (ibid.).  * Cum dicitur utrum istud totale significatum sit aliquid, dico quod, si aliquid sumatur pro primo vel secundo modo, est aliquid; si vero tertio modo sumatur, non est aliquid, unde homo esse animal non est aliquid... (ibid.).complex knowledge, is the law governing all valid mental demonstration. There is a constant order between what can be known directly in itself and the judgements which can be made about it; and ultimately the guarantee for the validity of the latter lies in the truth of the former.? As Gregory says, a proposi-tion is true or false in accordance with the truth or falsity of that to which it refers. Experience is therefore the final arbiter, appeal to which transcends the findings of a conclusion taken in itself and so gives rise to the totale significatum.  From this there follows, finally, the conclusion, or corollary, so momentous for fourteenth-century cosmology, that knowledge of one thing does not entail knowledge of another. It springs  *logically from Gregory's findings over the object of complex knowledge in which judgement must be based upon simple knowledge, and has two aspects. One is Gregory's sustained re-buttal of the contention of St. Thomas and Henry of Ghent that there can be a single habit for all knowledge. Apart from in-  stancing the absurdities to which this would lead, in allowing everything to be deduced from first principles, Gregory bases his arguments upon the character of complex knowledge. Firstly, as we have seen above, a demonstration is true only if it can be verified, and this applies equally to each of the components which make it up. Thus the knowledge (and habit) of the conclusions is not the same as knowledge of the principles; one does not engender the other. Secondly, each proposition must be reached by a separate act of verification: far from knowledge of one lead-ing to knowledge of another, we can know one proposition and  1 Aut notitia conclusionis, id est enuntiabilis per conclusionem, sit notitia nobis naturaliter ex alia prior notitia, aut non. Si non, ergo non est scientia  proprie loquendo (ibid., a.4, 6 L).  = Ibid., a.3, 4 I-K.  3 unde illud dicitur falsum enuntiabile, cuius enuntiatio est falsa, vel esset falsa si esset, et illud verum, cuius enuntiatio est vera, vel esset vera si formaretur.  Vel aliter, illud dicitur verum quod est enuntiabile per veram enuntiationem, illud falsum quod per falsam (ibid., a.1, 2 D).  * Ibid., q-3, a.I, 13 C.  " non sequitur notitia conclusionis eque preexigit notitiam premissarum,  sicut notitia terminorum (ibid., O).  *nulla autem una enuntiatione nobis naturaliter possibili possunt tam diversa enuntiabilia enuntiari (ibid., C.).yet be ignorant of others,' for each refers to its own object;ª it can be particular, universal, affirmative, negative, according to its significatum totale. Thirdly, only that knowledge which derives from direct experience can be complete knowledge: to know something a priori is not to know something on account of some-thing else but to infer it from a premiss.' Thus the proposition which tells us that the moon is liable to eclipse does not tell us that such and such an opaque body is the cause of a particular eclipse; that can only be known directly. Knowledge, then, far from being a unity governed by a common habit and a common set of principles is individual, resting ultimately upon specific, veri-fiable experiences.  The other aspect of the individuality of knowledge lies in the status of the subject. Duns Scotus had held that the subject of any knowledge contained virtually within itself all the truths pertain-ing to it, and that in God, as the first subject, inhered the habit of all truths." Gregory rejects this view. A subject, and its proper-ties, he says, can be understood in one of two ways: as the terms of a proposition? or as things themselves for which the terms stand.® In the first sense they can obtain either formally in them-selves, if the proposition is a composite one comprising distinct  1 Notitia unius principii potest stare cum ignorantia alterius... (Prol. 9-3,  aI. Significata principiorum sunt alia et alia, et unum non cognositur per  alud, igitur non est unus habitus (ibid., H).  3 constat autem quod demonstrationis aliqua est propositio universalis et aliqua particularis, aliquando etiam aliqua est propositio affirmativa, aliqua negativa. Item de diversus predicatis vel subiectis obiective sunt, sicut aliud significatum totale est unius propositionis demonstrationis vocalis, aliud alterius  (ibid., B).  • Ad confirmationem dicendum quod aliud est dictu scire est cognoscere hoc propter hoc. Aliud est dictu scire est cognoscere quod est propter hoc.  Primum enim universaliter verum est... Secundum autem non universaliter, tum quia ille qui scit aliquid precise a priori et per causam non cognoscit quod hoc est propter hoc (ibid., 14 C-D).  Ibid., D. Op. Ox. I, Prol. q.3, and Rep. Par. q.I, as cited in margin (15 F). › premitto quod subiectum et passio in proposito possunt dupliciter accipi: uno modo pro terminis mentalibus quorum unus vel formaliter secundum se  vel quas significant (ibid.).parts, so that both the subject and properties are separate from each other.' Alternatively, if the proposition is not composite but simple, standing for only one term, as it were, then the subject and its properties are equivalent, in the event of which one can be predicated of the other.* In every case the subject and the proper-ties, whether as terms in a mental proposition or as self-subsisting entities, are not implied in each other: that is, one does not virtually contain the other,a nor does one entail knowledge of the other.* In the first place, if the property were contained virtually within the subject, it would not be a property, for it would then become a different thing from the subject, and, as Duns says, be joined to the latter in a causal relation as its effect. Thus, in the case of say a straight line which is divisible, the line and its divisi-bility would become separable entities, so that either, by God's power, the divisibility could exist without the line, or the line, as virtually containing its own divisibility, could divide itself— both absurd. The same position is reached with whatever is con-sidered, as for example, the separation of a creature from his property of annihilability, leaving the latter with no subject.? It is equally inapplicable to God, in whom nothing inheres virtually,  and to the celestial bodies.®  Ibid. Si vero propositio non sic componatur.. tunc inquam talis passio mentalis non nisi equivalenter dicitur predicari de subiecto (ibid.). Prima (conclusio] est accipiendo subiectum et passionem secundo modo, non omme subiectum scientie vel principii continet virtualiter primo suam passionem (ibid., 15 H). Secunda quod notitia subiecti non sic continet, scilicet, primo virtualiter notitiam passionis, et si subiectum et passio primo modo accepta non sunt aliud quam notitie incomplexe subiecti et passionis secundo modo acceptorum, ut aliqui volunt, tunc idem dictum, primo modo accipiendo subiectum et passionem, quod subiectum non continet passionem (ibid., H-I.) Ibid., I. * Si ista passio est alia res etc., vel est aliqua res actu existens in linea, qua ipsa linea est formaliter divisibilis, que vocatur divisibilitas; vel linea non est divisibilis per huius divisibilitatem quam habet actualiter, sed per divisionem quam habet possibiliter. Si detur primum, possibile erit per dei potentiam esse lineam absque tali natura. Patet, tum quia accidens potest esse sine subiecto...  Si detur secundum, igitur linea, quando dividitur, causat divisionem in seipsa, quod est absurdum (ibid., K-L).  7 Ibid., M.  * Ibid., N.In the second place, among nothing created does knowledge of one thing entail virtual knowledge of another such that the know-ing of one thing is the cause of knowing something else.1 This conclusion shows the degree to which the Ockhamist cosmology of individual experience had gained currency, even if, as we have stressed, this does not imply scepticism or a purely critical out-look. As we have seen, all knowledge of the external world, that is knowledge which deals with creatures and their relation to one another, depends upon direct experience of what is known.  Hence immediate (intuitive) knowledge of one thing cannot by its very nature engender intuitive knowledge of another not itself directly experienced. Similarly, abstractive knowledge, since it is dependent upon what has previously been known, cannot give rise to further knowledge either intuitively or abstractively.?  Gregory has no difficulty in showing that no virtual knowledge can meet these conditions: knowledge of man does not in itself entail virtual knowledge of his capacity for beatitude or his ability to smile;? in knowing of the existence of rhubarb we do not thereby know virtually its curative properties in purging choler.* To be known these attributes have to be experienced for  themselves.  Thirdly, if our propositions are true only when founded on experience, conversely our experiences do not in themselves lead to demonstrations—the source of scientia in the strict sense.» Thus we can have distinct and separate intuitive knowledge of both rhubarb and of its curative powers without thereby knowing it, as  1.. quia nulla notitia unius rei continet primo virtualiter notitiam alterius.  Loquor de rebus creatis (Prol. q.4, a 1, 15 0).  3 per notititiam intuitivam unius rei non potest haberi intuitiva alterius... et per consequens non primo virtualiter continetur a notitia intuitiva alterius, nec secundum... quia nulla talis [abstractiva notitia] potest haberi nisi pre-habita intuitiva eiusdem rei... Nec tertium potest dici. Tum quia abstractiva non potest esse prima, et per consequens nec primo continere. Tum quia multo minus per abstractivam unius rei potest haberi intuitiva alterius quam per intuitivam (ibid., P).  3 Ibid., O.  4 Ibid., Q.  5 Tertia conclusio probatur, nam multe sunt propositiones immediate que  sunt principia artis et scientic, in quibus predicantur passiones proprie de subiectis, nec tamen ad eas sumendas sufficit notitia incomplexa ctiam distincta  subiecti et notitia distincta passionis (ibid., 16 B).a universal truth, that rhubarb purges choler: this is the property of propositions which make up complex knowledge.' Thus, simple knowledge does not virtually contain complex know-ledge.* In the same way, one principle cannot be inferred from another, for in any demonstration each has to be known imme-diately, nor can the conclusion be known from the subject or knowledge of the subject.' We have thus, as it were, boxed the compass in rejecting any source of knowledge other than simple intuitive experience and any means of understanding (or scientia) other than complex propositions. In the one case each component must be given in experience; in the other a separate mental process of affirmation and negation is needed. Neither therefore permits knowledge, least of all universal knowledge, through one first and all-embracing subject; as this would short-circuit the processes necessary for reaching a true demonstration as just adumbrated. In short, since one thing cannot be known from another, and cause cannot be inferred from effect, there can be no way to the universal knowledge contained in propositions other than by individual experience; while, for their part, individual propositions must be combined into a demonstration before they yield universal truths.  What, then, is the subject of knowledge? If the subject is taken to mean that which is signified in reality, as opposed to one element in a mental proposition, and knowledge is regarded as that which is signified in a specific demonstration, then the subject of knowledge is that which is. Thus in the statement that a line is I etiam si quis novit(a) quod hoc singulare rheubarum est purgativum cholere, et illud, et sic de pluribus, ad habendum notitiam universalem, quod omne rheubarum etc, necessario requiritur quedam alia notitia universalis non causata ex illis singularibus (ibid., 16 C).  (a) Ms. Univ. 196: noverit.  * Ex his patet quod notitie incomplexe subiecti distincte et predicati seu passionis non continet primo virtualiter notitiam complexam principii (ibid., D).  3 Quarta conclusio quod unum principium non continet primo virtualiter aliud seu una premissa aliam (ibid., 1s I).  quia subiectum seu notitia subiecti non continet primo virtualiter pro-positiones immediatas, igitur nec conclusionem (ibid.). Quinta [conclusio] quod subiectum scientie non continet virtualiter primo omnes veritates illius scientie... (ibid.).divisible the subject is the line as divisible.' If, however, we speak of the subject as part of a mental demonstration, then the subject is one part of the total knowledge thus gained; for, unlike the object of knowledge, which is reached by a complex of judgement and experience, the subject is simple.? Taking knowledge in the wider sense as a collection of conclusions all pertaining to a single body of scientia, there will then be as many subjects of such knowledge as there are conclusions and objects known,* as in the case of the subjects which go to make up logic or medicine. Here the determining factor will be the nature of the subject in question." Accordingly, Gregory's entire treatment of the relation of the different kinds of knowledge, and of their parts, to one another is governed by the experience which we gain of them. The validity of anything known springs from the evidence which experience provides, and that experience can only be of individuals. It is at once the bond which unites and the barrier which divides the simple and the complex, the subject and the object. (3) SELF-EVIDENT KNOWLEDGE  There remains to be considered self-evident knowledge. It difters from both purely simple individual apprehension and trom demonstration, and indeed strictly speaking from a proposition at all, in dealing with necessary truths immediately evident to all.  As defined by Gregory, it is a statement or its equivalent, the  1 dico quod subiectum scientie est illud quid scitur per illam esse tale. Et ratio subiecti, seu esse subiectum, est scire esse tale vel tale, verbi gratia, huius scientia qua scitur omnem lineam rectam finitam esse divisibilem in duo media.  Subiectum est linea; ipsa enim scitur esse divisibilem etc., et ipsam esse subiec-tum huius scientie non est aliud quam ipsam sciri esse divisibilem etc (Prol.  supposito quodtalis conclusio mentalis non sit actus simplex...sed essenti-aliter sit composita ex subiecto et predicato sicut propositio vocalis et scripta ...et sic subiectum scientie est pars scientie actualis (ibid., L).  ..quia subiectum secundum omnes est aliquid incomplexum (ibid., M). Si vero loquamur de scientia secundo modo dicta, sicut eius sunt plures conclusiones et plura obiecta scita, sic etiam sunt plura subiecta (ibid.). * Et ista patent discurrendo per ea que communiter assignantur subiecta in scientiis... quam etiam per rationem, quantum non apparet taliter qualiter tot partiales scientie dicantur ad unam scientiam totalem pertinere (ibid., P).Gregorius Ariminensis. Gregorio da Rimini. Rimini. Keywords: complesso significabile, semplice, complesso, animale, pane, l’animale percezione del pane, Socrate is seated, truth-functionality, scuola italiana, scuola di Bologna, studi generali in Italia, studio di Rimini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rimini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rinaldini: la ragione conversazionale -- del cimento del Lizio -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ancona). Filosofo italiano. Studia a Bologna. A servizio di  Urbano VIII, ottenne da Barberini, nipote del papa, la supervisione delle fortezze di Ferrara, Bondeno e Comacchio. Insegna a Pisa. Amico di GALILEI e BORELLI, il quale lo soprannomina Simplicio per la sostanziale fedeltà al LIZIO. È in corrispondenza. Uno dei soci fondatori del Cimento. Tuttavia ha numerose controversie con i suoi amici e con Redi e Ruberti. Nonostante il conformismo, si oppone alla teoria della virtù zoo-genetica delle piante, sostenuta dagl’altri accademici del cimento, precedendo Malpighi con l'ipotesi che anche gl’insetti delle galle nascessero d’uova deposte da individui della stessa specie.  Insegna a Padova. Saggi: “Philosophia rationalis, atque entità naturalis.” Un'altra delle sue glorie è la sua proposta di scala termo-metrica utilizzando come riferimento fisso il congelamento e l’ebollizione dell'acqua all'ordinaria pressione atmosferica. Prropone di dividere l'intervallo in XII gradi. Altre saggi: “Opus algebricum” (Ancona, Salvioni); “Opus mathematicum” (Bologna, Dozza); “Mathematica italiana”; “Geometra pro-motus” (Padova, Frambotti); “Ars analytica mathematum” (Firenze, Cocchini); “Ars analytica mathematum” (Padova, Frambotti); “De resolutione atque compositione mathematica, Padova, Frambotti, Philosophia rationalis, naturalis, atque moralis opus in quo praesertim physica universa ex accuratis naturalium effectuum observationibus deducta et ubi rei natura patitur geometrice demonstrata exhibetur, Padova, Frambotti, Ad artem quam ipse conscripsit mathematum analyticam para-lipomena” (Padova, Frambotti); “Commercium epistolicum” (Padova, Frambotti). Redi scienziato e poeta alla corte dei Medici, Lo sviluppo delle ricerche sulle galle,  Redi scienziato e poeta alla corte dei Medici  Pighetti, Il vuoto e la quiete: scienza e mistica: Cornaro e Rinaldini (Milano: Angeli); Dizionario biografico degli italiani, Roma, Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Museo Galileo di Firenze. SECTIO PRIMA. crjuairKpifaf/jfrox, et quanta sit roam necefinat. CII ani)iu/r>orrpro- dtni m Utut NATURALI  tr nrmenlir/anNJliu. SONI auccin nomine dd>et intelligi, quod auditu percipitur ciim omne id fomnefle dicaturi noo umen 1'onus omnis cRvox» sed Uleunuutimodo qui animalis orc  PROFERTVR. Sonus emm ex corporum jacrirque pcrculEo- ne muhiriril efficitur} TONVS tamen ilJe dumtaxat qoiab animali eftcitur  nonmodo  quocunauc>  fcd  ons  prolatione»  vox  nuncupaturi  6c  iurc  quidem  per  suturalia  dicitur  mTlrumcnta formatustum   expiica- cioois maions gratia tum etiam sonum excludendi  CAVSA I qui  cUi  forfan ore ab aminali prolatus  nono  tamen  per  vocis  iniirumenta  fbmutus  fit  >   ItekaiSr  Multa  pottd  fum  advocem  eftbrmandam  inAru-  uiuBe-  mentanatur x;  PULMONES videlicet  guttur  dentes    u W . lingua » labra  &c.cquibus LINGVA prarertimen qu  cii varia  fui  Rexione» txKitioneque et ad  palatum denccT^    que  conhmChone  acrem  ex  p^ote  in  os  vitali  fiicul-  cueitae  vsmucf  atqi  pulmonis  agitatione  deducum nrietate mira franzit  percutit atque componit. Ita voce tn  tuodoTatur»  ac  tamas  vocum,  vcrbonimq;  varietates  e^rmai . Hinc mirabilis illa vcrboiunu» copia}hinc magnus cloqueittiz thcfaunK.   Tocii  di»  Vox  autem  vatiam»  atqoe  multiplicem  fafaitpar-  Bifioin^  ciiioneui)  elini  pnmd  diuidatur  in  illam  quf NIHIL SIGNIFICAT}nfcdulitz  ac ARTICVLATA fic homini  propriz  st  exteris  conucnirc non  poflint.  lu  qurdem  Philosophus T'uces»inquit»/«nr at«»nimiruinfi; na  earum  PASSIONVM^qtu;  SVNT IN ANIMO   per  pa  (fiones  incelli  geo  mcmis CONCEPTVS. Hxc  .tutem  vox»  quam  homo»  quatenus  rationis  particeps  fibi  vendicat  propriam»  rc^  dicetur,  qux  mentis  CONCEPTVS poteA  imnifena-  rc  • £x his quidcmintclligcs » quid  mtcnltdifitiir.i-  m$  imer  fermonan»  sonum  et vocem i naaifenno  quidem  cA  hominis » vox  animalis » sonus autem corporis. Agdnuncquanta fit vocum vtilitii quancanecef  Vnluu  fitas paucis aperiamoj. Heraclitus  ciufquc  iorcs»cq'iorumnumcro  Cratylus»  putabant  verbis*'*  '  niJiil  exprimendum»  fcd  horum  loco  digttts»  geAi-  bufquc  manuum  ad  mentis  conceptus  manifcAandos  vtendumi  non  quod  voces  aliquo  iiabcteni  odio  fcd  quoniamnihil  Aabilc>nUuiqoc  firmum  arbitrabamur»  quin  omma  in  continuo  efie  fluxu  dicebant»  proinde- 9ue dum vox profenurquod exprimendum crai>cran  !uAe putabant. Non inficiandum fanc quibufdam SIGNIShominem  Homine ad  intimiores  animi SENSVS ex promendos  indtgerC. alinumio cum nihil poiTit interius latens ac in mente regium Tmint NOTIFICARI, mfiali cuius REI sensibivs opimlationc  fi- animiqut ue przfidio. Hinc fiinum ejl illud, quod prtttr fui agnitionem, quam m^rrrr sensihus, facit nos tentre  i» cognitionem ALTERIVS  . Vt  voxiAa»lJowo»praterfpe.®  cicin»  quam  imprimit in auditu tanquain  lonus nos  in  alterius  pma in humanz nanirx cognitionem deducit. HuiufnKsdi proinde li.um dic debet  vt,  co  pcrlcnfuscognuo  dcocniamusm  cognitioitcm  rei ctim  qua SIGNIFICAT  fignuiv}  fiabci  connexionem. Iu fit VT SIGNIFICARE non fitaR  quam  aliquid  aliud  a   fe  diflinCtm   cognofccmi  reptxTcmaiO  .  Quamohrcir^  jdco^nofcentcm  fotciuiam cmrcprxfc,H^ai quarareptx- fentatiorji hgii».n   TamcUj  *I\-.  r »purr,.cn cogitari. Wv'aVi«‘n mienram «ft VOX, Vx A'  H aiuH Ctreli  Reiuliim  Diprtttunit  DuUtBic*.    tnleii  conecptnm  tlteri  d atque  ngiuBcet»  vt  funt  oculi manus et id genus  aUa » tamen  inter  omnia  Tcrbii  princeps  debetur  locus  >aim  his  »qaio  quid  humana  mens  perceperit»  longe  melnis atquO  commodius quamc cemiignis  eaprinu» declarari  qocpoint   Veees  ad  Vocesad  resnianirrflandaaomnind  Becclfanarnon  m mtnK  Tunt  »cum  ad  id  non  mediocri  tu  opportuna  itgna  repe*  lcftarvd«a  riantur;  nemini  tamen  infictandum»  idonea  przler  o inA  tim  ad  hoc  munus  efTc  inArumenta  , & forfan  etiam  necedant  jptilTima  , cum longe  quidem  facilius  atque  com “II*' roodms,  quaccunque  concipimus»  ammoque  ge-  rimus» per voces qudmperaliaAgnanobisliceat cxplicare.  fi  Kakt lotera  in vonbus momenti  fti  ad ciuilcm   vium  ducendam  neminem  pratcrti  fi  nonnihil  ad-  phirimB**  ttcrtCTit » non  par lim oblidlamcmiquemlibct et voca-  qaeetMa.  Ji  fennone  delumcrei itcmquead amicitiam  focieta-  cit.adci-  temque  exercendam  conduccrc»  addocendum»  ad  btkn  vi  intenogandumjaddicendum  »adurxcipienduni»ad  ttoi  dc|  finiul  & ad  petenda  con/ilia  conterre.   MuiIhI  WiJabtiia  denique  vocis  potilTHinim  humana»  qua  hanlMa  caterorum  animantium  voci  multis  nominibus  ante-  vocu  e6  ccliie  videtur  indoles atque NATVRA.  H^ccnimma-  ditie.  xinia,ficorpufcu!i  moJcmexiguamrefpicias{h«  vana admodum  pro  varietate.fingulorum } h  litauis  in  primis  htcdrnique  fuir m  teneritatis acmollitudinis maxime enim  Hqgitur»  frangitur»  ac  Ace-  tur niht!que  pluribus  fiexionibus  prpeipue  in  cantu  commutatur  { nunc in longum  trahitur  continuato spiritu»  nunevariaturinfiexo  nuncconcifo diiUn-  guitur  modo falfis voabus mollitur modo entis atque feueris intenditur quandoque deorfum a furo-  ma  vcl  Ultujvcl  per  gradus  prteeps  ruiti  non  rard  fiur-  fumahimo  pariter  attollitur.   Nedum  autem  vtilitas verom etiam  neccAitas  vocum cA  explorata   fine  ipfis  enim  haud  fieri  potcA » n  anmd  ienla»  atque  conceptus hominibus loco quidem abfemibus traCfuque temporis futuris manu Acnnjr  quod scribendo verba  literifque CONSIGNANDO ailcquimur  iac  id  fine  vocibus  obtineri  non  potcAj  quid  cmm  liceris  confignaremus  antmraUontVoeibus  pgn^catiocoKHtmat  i‘ Vletib.  TT  Veteres  ilioa  philosophames  Heraclitum  Jl  Cratylum 'k  Pythagoreos  omnes  dcnwniia»  t«mut  no  cyt  .t » VI  dicerent  NOMINA  fuifle  REBVS i natura  im-  n na  te  pofica  »& rem  vnaroquamque  pro  1'ui  conditione  for  boi  a M*  tuam  luilic  nomen»  vun et  eJficaciam  habens  ad  illam  t«ia  &ir*e*primendam»  ainue  repryfenandaro»  vc  fapientis  ft  irapofi*  nmnus  videretur »mud  noua  rebus  imponere  nomi-  na»  fed  cuique  natura  tributum  peculiare»  &prc  |»rium  inquirere. Hcrn,ogencs  contra  fignificandi  vim  omnem  in  vocibus  hominum  voluntati  penitus  reterebat  acceptam»  mhilm hoc tribuendum natur  potans, cum  fonuit6  fingulia  rebus  nomiru  quoquO  lugula  tuerim  impoAta.   Vocet  nfi  Voces  non  omnes  vnmfmodi  fum; propterea  qudd  alique vtfufpirta»  GEMITVS Ac.  qus  nimirum  arti-  vomIib  ifon  fum non ex homrnum IMPOSITIONE ar-  •iiom.  |)i(f2tuue»  Icd  fui  NATVRA SIGNIFICANC. Arcicuiaesau-  tctn»quc  Ium»  non  ucm»fed  ex  hominum  impofitionc»  ac  placiiOiquod  AriAoicIci eleganter exprcAti  diccns»  J^omenftgnifitut fteimditm fUettum y nwniam  natura. MminM*  nidlam.  ^x\i\n  , CnmUoraiiotfl  SIGNIFICAT fsgnifica'  UtunoH^^iUinfinmcnumtftdftatndm  fiatittmi In quo ducem habuit Platonem» apodquemlo Cratylo hzc eadem exprcAa legimus. Ab his nec facr* Paginz dtflcntiunt  in  ijs  enim  cA feriptum  Dnu  om^atf>iiiRtfnrra4d«^dos»qu« placuerint  nomina  rebus  imponeit..   Et  certe   fi  res  quolibet  ab  ipla  natura  fuum  obeinuifi  fet  nomc>nulIi  dubium  »quin  omnes  populiinationdqs  omnes  eodem  nonnncresiiiasappcilaredcbuillcnt. Quod a veritate  quanrurr.  fit  alienum   cuicun*]uc  •  cene  perfpc^um  animaducncmi  rem  aliquam  duicr-  fis  nomirubus  apud  diucrfas  gentes  atque rutionec  exprimi ) eandem  itidem  vocem  vel  in  diuerfis  linguarum generibus  diucrfii  penitus  denotare  i vcl  in  vna_j   3uidcm  aliquid  finalia  veru  nihil  fignificarc  . Ineo em etiam Idiomatc frequenter aqumoex voces  occurnint  qus abfque omm PROPORTIONIS fundamento diversa significam; fic etiam voces fynonitrx ncnipd fienificationis ciufdeiu  quamuis  vocis  fubAantii  dil-  fcr.'m.    Tainctfi  autem  res  ita  fi:  [habeat»  non  tnficiandum  MulniOt  tamen»  multa  quidem  cAe  nomirta  determinatis  rebus  fignificandi simpefiu  non  temere  amue  fortuito  >fcd datiopera»&  exinAituto quodarnnlle  Platoni ttne-  mori»  literifque  traditum  cAjidque  ficvfurpauduin  mulca  fcUictt  nomina  talem   ac  cantam  cum  rebus  conucnienciaro » ac  proportionem  obtinere » vc  ad  ci-  primendas  illas  pre  cztcris  idonea  line ) Neque  hino  aliquem  admiratio  fubeat  inam  etfi  libera  voIuntacC-s  stomina  rebus  poirmc  imponi } cognitis tamen rerum naturis  et proprietatibus congruum  ac  idoneum  nomen  l'cicc  qui  fingulis  imponere»  datum  erit } Oc   cenc  hoc  fapientis  ac Prudentii cA munus { isenia  ciim  rerum  naturas  probe  cognoueric»  confemanea.»»  consruentiaque  nomina  ad  tllas  denotandas  prudenter feliget.  &c  profeCld  nomen  iAud  lebemah  zpnd  Hcbnros  Deo  Optimo  Maximo  congruit  appnmc    cum  quod cAa  fi;  ipfo » & Derfuamemfuiam  quodr  qucnecefle  c*pic  >necvnquam  delinet  »&cA  tbns»ac  origo  lotitii  eflc » cuiufino^  Deus  eA  fignificac .   Nominis  ad  rem  iAa  proportio  contingit  vel  per  Noiuis»  etymologiam  in  eo  confiAcmem   vtcum  prius  fuerit  ad  rem^  nomen  impofitum  ad  quidpiamfignificandum  »fiini-  ledeindenomenad  rem  itidem  fiiuilcm  denotandam  adhibeatur)  quamuis  eo  tandem  deueniendum»  vc  nomen  citra  quamlibet  etymologiam  ad  rem  ligni-  candam  vfurpetur . Ica  quidem  Logica  dicitur  a Itigot »   Phylica  i fityfu » homo  ab  humo,  & id genus alu. Eli  itidem  aJiud vnde proportionis ratio  nempe  nomi-  numcum  rebus  fignificandis  cognatio  quadam   qu«  penes  foQum  attenditur»  propterea  quod  tnultxltinc  voces  humiles  atqfuefuaues  ad  res  qualdamprxeipud  figniheandas  talis  conditionis» idonea.  Alta  vera  alpe-  riores  naturi  func»quaadrearcpr^encandasinquibu#  alpehus  maxime conueniences lunt  ac  oppornuue .   t^idfignificathYoeit,  cui,  &4fuidf^nific(t.   Tria  ^   TRia  igitur  in  praienda  fum  confideracu  digni^-  ****'  fima . Et  quid  fit  vocisligmficatio*  A:  cui  ngo^  aaS  fiti.1 1 & quid  penpiam  figmficctur . *can   Vtcxocdixri  prund } tnepte  admodum  quidam    Digi!ijccj  !:v  CjO(    Nihil flB '   M>cc  i-   fiuScMit  ni|i.,fi    SiSi»Tmt4i  :.  jf   ii|^1ignIfiqn^aiKli^  ffi^obcitiBa  m:;ti  prait^ai(lAg|»Acarefio(eir Ideoijircr*  rproirrifniu  nonuciiQsipdco^Aofcamu$>  itdur  ifio{>t>(!o;:;oiucartFrismamft^cu]us.  Non  inficien-  dam tamen  i vfii  venire  po(Tc, ut  re  ipfl  protcren»  &    . Attdiwafeidem;  cumpo(ntquiJ)*«anieA>  (ib.CKcna/eiHi  VDci.  gttttioociudaidcducttur»  qnod  torfan  cx  cum animo  Niptf&u^ueTnfiab in- exciderat»  Nd:  idctn dc  protcreno;  oiiliuwmium  j  . jf»adoinuihisf«d)or»  dum  enim hica hi  loquiiuti  «eirfu d4Curto:;niti-  ac^notiminhabnc. hac  prxtcritdj  nom  rmiOU  ruiTiHrntiririrni  ffl( , inctuTdcni  rcinocitiamdedaci- .   i*  quadam  pro.  Setinoirailmvocibutabiblai  poteA  » quin&;  noti-  lkttv«’   ttamiho)aitclo»]ucntis»  &rcm  crprcflani  per  ^4   rriiiflitp  volita ffioCTi^W  impo/ita>  nec  non  lupponat  icuniquilqucderccogmca  Icloqoi  cx- uiui   •dif   .Aie%uiAea(a  *_^tealdIi  eliquciu  rcfpcCtanrcoi>  iHTicntiicognolcatjqaononimmcritdPhiJofopban-ieA,  qui  JteefiWi  xubil  igitur  uuimui))  tium  animos  dubitatio  fubipdc  rciignihcau  pci  vo-  fc  i»o(kiI   denominatioaem  i^defunipiain (Igiuticarc qupar ,ex- quidem habft  I vimqt  J^i^rcndumobuocti  vt  homi9am  iuiiTc  de-  um aliquid  (tbi  denoti-  I illam  proferat  vocem  >  illud  idem  imeUiga?  »*  ;%e£^alem  eilbdenomina-  rccdaderiuatani.  ttonem eandem  per  cari cum  quali  vir-  )lcat  invoccrelatio-  animo  gignendam. cem  n >>ito‘-c   InfuJ^  quibufdam est  vifum  per  vocci  prinw  incn>  ^T^™***  tis CONCEPTVS secundo  fiiplarfigniricant  ciimpotiils  primo  RES  conceptas  (igniHcan  cxiAiininduitUi  ,51^^  quod  degatuer  apud  Anllocdem  exprclfum  iegt-  uppoaa-   »1  *t   linquit  1 jScri nm potffl  t vt  rct  ip/ji  frtenltt  dtfputmui  nominthu  ytmirr  fissis . Putalwt  cnitn  aflumi nomina  ad  res  ccmccpras  denotandas»  quod  comprobatum  inde  pariter  inrclligcs)  qudd  primus  humani  generis  }»rciis  animalibus  n-om.na  quidetn  impgfuic»  nominibusqupfuis  animantia  cunela  nun  cupauit  icxquu  hicilc  tnicUtgcs  >no(ninibiores  ipios  Agnihcart .   In  hanc  autem  Imtcncbm  adducoriquoniam  id  sx>t  Ibo»  af»  pnrad  figni/icat»  ad  quod  prirnb  denotandum    itutionc  liominum  lini  imp^a   Prnnd  fune  autem  J*  uoces  impolioe  ad  res  Agnificandas   has  igitur  priraii  Jj*     icmrmtono-   Jiwfenir^lii^tr^»^  expU-   e -r- X"  ligniHcant.  oho.4iiilhJ^^  £t oend  uoctbus id  prim^ligfuiicariputandumiin  4  ctiiu$ NOTITIA iuiiiwncdt2ce»^moqocnosillxdcdu- Aluadd»   ^^^^steodum  proptetta  ia  eunt.  Jdporr6funcresipf«>hxpromdepfiu)6%ai»  ctu*  r».  phyficc  cognitio,  ficancur.  w®*  „ _^^nt  concrcttonc mate-  QiuU ade6venim»ut etiam  uoecsantmiooeeeMv  Vm«c«   aiiii^riamininierfo>nivox  denotantes*  dirc^c  tesngnthcaredicendsmtiotuonaafifai.' Jt^propterca-tamumcioon-  enim  cognitioncs concepcufuccognofciinus*  vocibus  ficann»   qqptjiichgi  Bipriiis  caufa  mentem  au-  utimur  ad  illos significandosicauc non  fccus*  acre*  *"*>  ^  omoqfdi^eaqtit  hic  enim  ob  vocis  in>.  liquz  res  cognitu  fe  habeant)  atque  adcocognicio   apHpiBii  j&cftAa^quwdeipnisConitioneha-  quatenus  rcscognicacA*  per  proprium  Agnibeatur  Imi  bc^Mlitttuf^co^nmtctde^uotormallequitur. nomcn. dx««i{«  oiuff  ^l^iscwfiv&iMbe^CT^picndumyVtvoxid  (it>  TatuetA autem  uocibus  res  cognitis  (igtii£cari  di-   mM  pfo^nat  coctionis  atquin  ceremus»  tamen  id  nbnfvufurpanduminuafirctn  uni  Qgo  (*•«  tpQ^j^a^rriCxcitarequc  co^i-  &:  comeionem  ntiWaudicnttmmaU-   tisuoabuscoi*''^  ‘ ^   Atyi  gflCi"  fi»IT€r.  ''   ’ *0'  iVc"’^«fa«icaoubos  qip»t-  •    in  wcBtt ilje^niinaiuili^SWcis  prodii , quod  ||liin'  quod  audietj  •>  iK  pnmo  concepti»)  ct^mcioneiuc  ferum  uocibmn^tHcan-  attingit.  C^areobrem  i^uens»  vt  iine  huiulmo-   '»tc  |voaft)ir^uat(.nuau|mirumconimlocoJubffieutKadobic*  di  conceptu  nequit  alctri  quidquam    ea  liqutdem  eft  humani  audicasiinc  iUo  percipere .  lumT  intflJtgcmi* conditio,  vt nihil afleqtacuK^tulatio»  • 'B*|karte autem  loqumU  prarter  commemoiamm^Tl^  ^  koi  coooqitwn alia indem NOTITIA, /iueconecinus  ,nuem   i^indtci »du»miftrantibus comparetur*  Quod  igitur  in  aho  vlunrnumappclUfaOreqairirur.  NifienimquilpUm   proW  tcBucrir,quodcm*cepitaiiima,.linjuu^rofc-   qyencc  id  ccrtddedaratc  non  poterit  picc  mirum,  vo>  rkinaiS  ^ehimloccfconceptuuin  rubror^antufi  conceptos  eaim  vt*  ob idvenjm,quacanquc(uit i^ib^ligniHcande,iu^ tinuM pommtufinmence  QiMdadcoVerum. Ttfatu  ad  loquendutn  de  re  aliqua  pnchabuiflenodeiam,  ied oportet  * ut  d^^liloq  armilla rdc qua fkfcruiocDgnofcacur.  Ninfor*  fu  eft  de    deba . rius  eA  animo  haud  Itoct  nobi«  perctpefe,  ndt  quibuf*  dam  ^CTii'd»Ubua,prafertiinuocibu8  (ucrit  eapreflunr»  l^unc  icitur  in  m^iim  concc|>tus  menets  uocibut  iV  gmhcart  dicuntur^  hoc  Tentu  ca  iunt  ufurpando^  ,  quz  dc  uocibusdtci  Tolcnt , nCmpc  qiidd  mcmiscoiv  ccpius exprimant , eorundcmqnc  notufint, acli^na}  non  ad  cum  modum, quo  Hma  remtn  cHc  dicuntur, sed  quaccnos  conceptuum foco Tubrogantur. Hinc    auditi  uoce  bene  licet  arguere  cognitionem  Ic^ucn*  ccquiTpiimcaruiforcnttdquerem vocirqidigTtiAcario  rc aliqua  u.  jn. k...  nem  Ignorans,  certum  aliqwod  vocabulum  proferat  fr^halxiiC   quodapudalioidctermiatoe/igiithcationisnc,  tnne  icnutit».  autemn)XnonvelutadH«afi50atidumapta>^dutro-  nus  quidrrn  profcnir}  ucauibusquibuldam  contingit , dum  vocesqualdam  o^Wnunt,  quibus  nihil  pbnd  figniheant , cilm  mhi!  concipiam, teli articulans  vo-  mo,  co*  MS  prononcient,  quo mattr^iter  tantum  voces  pro>  gnol»  '  Icrrcdicunn^.  tuc«   ^ At  inaudieote  nullumiap^ptam, millamuc  noti     ri»  ftine  quibus  amdetj  idque  ceni  dc  coOTicionis  "'“*®®**   ; L. c    i!ur»«i  fluueor  ad  rationem  quand?m  rcJpcxit  «cxquafccim*  {uadcrcnimncun  quoniam  hac  potitis  mmiflerio   ■iiuf^d  dum  quamUmi  etyrroJogiam  anlam  certum  iiiipo  vocis,  in  audientis  meme  gigni  procrcaiique  di^;  luJie^  «n  4f  ncndinomtndefumplttiiionaJraiionemillam»  led  non tgiturhscprztequduaii^iQa, quippe, qnxvo>  ^ uuut.  ^ «...  i,  L.  j-.,.  T--  .it-  ■lt(cnuficaniiscrtwai»,Pcr'    Hinc  etiam  diuerlis  concepubus, vocesdiuerlic  vart^que  relpomlcmi  itaridelicet  ut  eadem  in  re,  6  plurcs  inucmanciir  rationes,  fccunduir  qaas A:  plurei  conceptus  Ibrmari  queant } VOCES mdem  plures  ex-  tern, cum  ijs  proportionem  habenies. Nccpropre- rca fvnomniz reputanda i huiufmodi  enim  ut  tint  ne  duin  rem  eandem , Icd  litcundum  eaudem  rationem»  eundcmqueconccpuim  ftgnincarc  debent.   AUcsefl  prxtcrcundum  ,quovl  trcqucncer  ufii  vcni-   «oDcepnt  re  ToU  t, ui  aliuslu  conceptiuex  q«o  Tumitur  vox , &  iqriblu-  alius, ad queinalTuinitur.  Primusemm  nominis i»>   iiiur   araiiufjid  qu'   potius  ad  itmiplam  IfgniHcandam.  luiJlcquidcm  aducrtens Numcnfuprfltnumprofpiccrc, ac  pronidc-  xe, Dei  proinde  nomine  dignum  exiihinamc, non^  quod  hoc prorpicientiam>acprouidcntiam,lcd  No*  men  ipTum, cuius cil prorpiccre ac piouidcrc significare  vellet.   ¥(  tem  lUud  etiam  libenter  adi)riam, quod  »nt  vocescon-  ceptoumloco  fubrogamur   ita  pro  eorum  diUmdio-  ne  ,condhionequc  voces  diftmguumuT ..  Ali*  igitur  (impliccs,incomj>lcx*que, primae intcHc-  coiQ    adeoaS  hoc  etiam  uocis  fccxccnda^gni&ario,  uc  nedum  vox  polTit  ie  mentem  redttccre,qua  alioqum  U  qui  audit  aliquando  cognouiile  ropponicuri^etiam  hadlmos  prorfus  incogniu  iMmifi:uaie,acqi noci^are  polTic  "  ••*  ^4-   Hatc  tamennili  rcdldduteme^eRntr  facile  noi  in  ci>  rorem  deducent.  Htccrte  It  abfoluid  hacintcIlUan*  tur maxtmd  fum  i iTritait  remota ciim  luud  heri  ” poflit,  ut  audiendo  qtiifpiamincdligacuny^  igno*  rara  lignilicatione  j u nat^t  profiuncict  altq^u  , "t   funt  parw  nwmero; jtddsenttrimmus  totius  oratio-   nisl^iiicatumperc renonpotAitdingularumvo-  ’  cum  hgniHcadonc  ignoratd   oportet enim  dc  hac  vo- . ?   ced^^no^tumpiahabuffic,  St  ita  dc  rciiq4is,  uc  retn^int^igot  exprclTaoi  p»  integram  orationem*  ,    M  qu?tan*n  nullo  modo  tunc  in  inAte  fdideat,   ‘ntrolpcdioncrcipropofityieifiquidcm  fiteUe  con-  hoccnmctiftivcritirenullum habet coraroerciunu,  flabit in LOQUENTE,  et AUDIENTE simul  ahquam.cogni  ciim fi prahJcric, quamtamenobiiuiodelcuerit, non  ruacio.  titmcinrequiri,  qu^-cuiufmodi fu,  explicandum  fu-  fulKciat ; fed-opotxc atficiliarum vocum SIGNIFICATA    DypKtpcreft.  Vtautemi  uuniftfiis  ad  iiumis^rfpjcita-s  nomHc, utS'ocibus  tudms  vocum  in  memoriam  is»  lutMii  cd.  gredum  hietf  c videamur, non pigebit in memonam gnihcatio  reccurrat, quod  «ft  eorum  in  habitu  noti*  ccpnMvI.  fedq^ere,  cognitionem,  (fueconcc^in  mentis  in  non  -‘ ^   iimicuLic  vltioMtuin/lr  ulniiiatudifiribuiiiliefonum  vocis tan   — I Illi;;   n    nim,hiercm{igaiiicatan  aumgit)  illum  on.mndnc-  ccdanmntam  cx  pane  loqucmis,  qu2m  aumcncis,  cuique  paiaiii  efl  ) ik  apenum  i non  enim  hcct  quid-  quamaupvoccfignilicarc  , nifi   vocetn  ipiaoi  nos  tbqaoRcs,  & audu-ract  iiidcm  imclltgamusi  quod  ne^  miiu debet adrpirauoncm ingerere,  vorenim  e>  ip vnum, qua  fubfiiilum  c^ura  i n igitur  imeUedus  cognoicuualkqttitundin  quo  Vito  figit  obtutum    tiammbere.  icdpociiumco»  4ju%haiKtuco^  carciJtovtamutQlibivulc^mnurum  maudiouisani-   «dKwero  opoim.  Iu  parucrfxpcquifptanj  «»umcoRmtio«einmduccrcjqoamobrcni pcrfcctcli-  «VitJum.  *°***M*rxioc«tkHK*dodrinaqucaicett05td(lircit>qu2RU7t-  gntiicare.cA  «idem  perh^dam  rei  co'4nitiuBcinin;'C‘  ic  uno  qmro  iciuemi  quoniam  tt/i  pniubere  notuiaiu-*  rcrc:utdar^,quiddintiu4*quefrgindctrej  cAcctcla-  iS«nut.    oportet  dc  fiwgulafu/n  vocum  ftffudcati  auodcA  tajn  • grqutddtcaciuaiiiincuiiUcntlnuiionouiianL^ hacfaabiracpgno^rc,  non  taiiicnneceflceit j ine  (farr«diAiiiAcquc  cn^icci^  ranafVcqua- a Uja-   idd^c  ('tfn^tdarnmvocam/umiiicieBpcnitusiroo-  curfVOcancqnK-nprotvrat  »qiuedarain>  peiferfam*   V9a*do  rsc  i*imde  nec  a&a , nec  habitiulU  cogp^cic  t nuita.* ue  cor; nitioncra  non  pntheat  > ptoGsCld  rem  ii  pcrli>  wmenexillts  vocibus  apud  cam£pndcandivmiol>-  daamq(icnocitiatqaflcqiiatur;illeprocu!du-  C^tmiantreipil vox nullam figniHca adtviinolHmec»  biopcrfcClc>diIUiidcquerem  ti^itacallc dicetur,  «urtloqttonitfk^atidiauisammiiu  conuemaiK*  0|  Voccatamcttuon poliunt  pcilediuifera audienti i  luc prolati vo^hucincciligetubimiV. . quimlunottloqucnti,  ligniricarejacque  adedpr*-  AAsalis  ^ mcdli^es  .  ut  opmor  yqoidde  cognitionis  bemio  nouamrci  notinam  cura  aoJicna  res  abundo  pcrfn«dumpnrreqQi^  perrpcdaooai'ucnt»prati]3rcultnnumcpo:enc>  rem  au«  fvi  isip^  (tcanoneilyTcd  Aad/ica  adom  i & exercitium  lign^  Nec  inconiubo  |nmcul«m  ajt(.Cbmi  raiAitocs»  d^m    vcchecn»  uc  eun  co£oorcar)'cdmtierinoapoin(> i^notx>^e^a  hic  ell  fermo: vel  per  raodumcxcitan-  '  qi^^i   diexercitio.   rnamyoxqtnnhremproutconcepuinlignihcat , tt  >n     Non fie impedimento ertt>  in  babitu nodtia  con>  igitur  perti^lid^quaniipfa  concepta  tuent  jii^n  i|.  filUus » hac  cnimhabitif  vokadhdcpotefVattditmch  .care  poteticjquamobccm  ut  voccj  quod  non con^-ept-  Bniiuuin  in  mX^tun  coKiMifi:endi*|ebi  tantam  babim  mustiigobSc^^ noobcec|icanecpcrfectiuii^mr.va- peteepom dediscere ) l^autero  fi^iiicaciore^di*  rciniiuisi«led^cotKeptumt%niticareliccj4.  v'u-  cetut  ca«quxreuocat  inCiciiiem«qaod  aiias/iocum»  cctcnim  l^uun^c  conceptui  j ijideniquc  pru rnu.  a tqoepmpcdbsin  fuerat.  . Dcrci'pondcnc}cuiuImudii^ituxiufum>casquu.^-j.:   HincfadliqaidemiBceUiges^fktiusqQidpiafliene   cHeooercc;.*  loquirqudraltdniBciretcdmiliudvechiaro^iprot'  £t«rtc^voc«KC(Mcepcuttmfocolubro?amur>n  i ''«*■  ” fcae,vtlprC|Telniemepn*clcrat$fiocautcfttiddat  liuiitmcJbgo*  curhis  mx pcifcclioms  mcnturi  k-  iiK0^ttx’rei./4iidiemit  Bainvo  cognitioncith ing> . ponBere non  tkbeamsioco  tiqmdemconccpiiisim^   * ' xaciqud ad Oaun loquimur» cui uunen nihil  lignifi-*  perf^Ic  rcpfxlbicamti  fubfVttuta  vox  impcircCic  ti*   caxeUctt  i ei  oOTon^ia  pc^pedb  tine, aeexdorau   ai^abit   (^ctmdraodum  lococonccpius  rem  p;r«    Sedhlc  noniidulscquirpUmf^upcibituidubium.  KdcxcprxlcmajKiBTot itidem  fubUuuta  pcrtlclc  li*  mpq£  otunufBvnnrepoAitj  utaliquisuceodo  uocil^ps»  Sc  gmticabic.  Ncqtiemlrum»  namrocesomnem  lii^ni-  veltmponctidoyVd  un|dmpro^iend6  iiias»qwA.'  hcanfli  vim  hab^cdictimur.. quatenus  loco  conevp-  gniticaxe  poihint  rcmperkclius  dgttiHca»  quano^  xusun  fubfUtuamdr»  'quibus  natotd  mamitliarc.)»  icait  u*  ip&mee  ct^no&ax . ^ rcprxfemaxc  conuenit .   d>*"i^S  ^cbnsqmdcmdiAicultxs»mamcainen«xparte  ')d  parucc  bancueriutemruminopereconHnnat.  . ■ ortum  ducemexdiuerfomodo  acraiendi  pertedio-  Si  quis  rei  conceptum  immediate  quidem  altcnpol^  ratiT'^  lKmcoerfiriorBB/&eBdmct{bca4laodint^O)  quo  fcconendcxetcarcis»cmraanifelutioricrct»  maio*  *  m f«||Voxxei%miic3t^no6tiamprxbcrepqtefi{ec(taucera  xems- ^ct^oremue  notitiam  rei  conceptx ct  ua  Bliona mnnqngfuppctant  j dc adoftcndcndain  fen-  maoilmaii conceptus  aDcqtu  non  poflex  quam  iit  e««  nuamaifirmaiuem ik  ad  MmoiJbandim negan-  idem  conceptus.  Hoc  n^is  autem  de  uocc  dicem  im|tarncnc?»r>ediun  llgnidcatio  vocis » jcd etiam QOXpcrlcCtiOfrm^ qujm  m loquentc  notitiam  indu*  pcr/edbo  dpt^catioms  dqpc^cti  (iquiJem  iu»a^  . ceie  poliet  '.Vndemautem  m loqucntc  non  poHcc .  XRJiomniBinorrmucreitigniiicatxBOtitiamvoKiJia»  ■ £t ut ingmucfiuearihuc tantum abc/liutlrcqucnccr  cis*  mifitifoe icm  ipbun percie  %oihcaie  dicitur,  penire  u(ufoleat*aocibosndura pcricciacnnomiam  B^rtita rcidefl  lUafBtl^tO >quxmcogniuonOj  iniudiencssammuniiaduci*  quam  m loqmntelk. %ni/}c4Xioaeq»c'pot^^*ttendi>iicmpecIarias»acqne  Qisod Plarodi l^le  pcrfpc^umi  ac  expioraramac-  'ddhiHSiodiuTi  ciBriuBjdiiluB^ufoefcs^ognolctcur)  cepimus*  cum  de  Deo  loqueos  diceie  conlueuiilct*  fcppnecas  iodexa  conerpo^   dum  pcopriou  quiddi**  dt^ile  clio*  peumi  i^udlcCtu  peicipcte cioqut  ucid   impoHibilc.   ;   • .    A-.W. -    u    »1    d»tl$  RrntUin^  Dijftriatmet  DUUBit^,    Skfr»U-  7d am«ni  paffim  cMitingere nobis com^namcA)  iit>  caTu»mcnucr(>tprotuIcr(t>  uodfam  aJhaeai*   0a  «i^fii|uisenimqui(lpiafnocuIisvfDrpct«  atque  adc6in*> lertquidpiamfj^nificaiunn  (k; cilm conccpms attcrv  tue«Tttr« haud potcricemif^voQibuireinocicumal»  didcocat  >cuiusloooivudIioinineshQiuiipodtrcmio  Mt«acc6  teri  pate^icere»  qui  rem  eandem  aiueocuida  non  ha-  fubAtiw  (blctj  quainiMrcm  fi  duo  lint » qniljabcanc  >boerit»ruxqucTifionisv*aqndcIaramnotkiamnoiu>  inzquaics conceptus > ijfdcrotamciivocibusutaj^r»  iucrtt  coiUecutusi  quoniam»  ut  hoc  pauos  perfi/in-  coDdcn>qticremK>ncniadhibcaat)  a^taliter  hgnifica*  ftni» DequiiUQiPCTfcd^  res  oocibosea primi  buht«  Vtcntm  cadeui de  r«  conceptus  haberi  pofTunt   fi|nirican*  Loqueos  Noneotansctiiddico»  quafi taoi dtuerCts  adinue*  cmm  videndo  claram  aeque  findam  ret  notuian\,.»  ntri  vam>  Icmt  conceptus  mcnco  i fcd  c»haitn  allero, diuerial   imungdpntbcndumaflcnfnminducK.  JUeigiturvi»  iDflttutasfuiilcvocrsps nmabilcmdtucrliutcnicon>  iusopituJationecoputionem  adipilcitui':  alceraite»  cepeuum*  Non  negandum  tamen  vocesccoKepnbtucI  ,   fiacionis»n-.cdijs vocibus  fkdbe*prxMiojrci  nottoam-»  proportione  rdpon^ere » m quo  dariortf » fic  diflro*  acqniru   Igitur  qui  foquuor  miniflecio  vocumnequic  chores  quis  4o  rcquspiaiuiIiM  ^bucrit  * co  ctianu*  audienti tanipcdrdbmbotiriam ingerere I quoniam  chnutydifiinChust  dc  aperriu^rctoipram  vocibuf  bic  non  eodem  utitur  CDCnolccnds  modo   Iciitca  explicare  ibieat*   proprix  vifionis  qmi  Ulc  ruam  fibi  notitiam  coiopa»  Qua  autcin*vtruas  in  humana  mmisconceptiboi   rautiat*  iocfi»  csdcmipntadexxcrn&sroc^traasiundicursut   •ufietn-  Sed  hic  aliam  veritatem  qccadtare  non  licet   nimi-  enhn  cognitio  verd  vel/aUo  repnrrentet  obieCtum: ita  •ingttjvt  !>}[nlxpe  contingere»  Ut  vores  pcrlrciiUs  rem  au;licn>  «nxcogiuuo^mexprmicns  rem  illam  nl  falso'  tifignificenc»quamnou  iiiloqoenci «ocitandolciii-  /tgriilkat'  Ncqucmltumvoxenimtdt^  rmi  •0^'j^i   cec  m audiente  cognliioncm  in  labita  conliuutam  clt  qnontam  concepsns  loco  cadenp  de  re  rtiblVuat-  fieniMt  ^iquttenimreialicuiascUrani»dinhiaamucnodtiai)i  tut » ita  vcrffigiiiMa^ptopuereaqDdtilocovericon-  quioinD  filcrit adeptus»  poOir.odumea dc It  nibU  cc^iunss  Geptus;rals6auteui^qtfDnumrd{(U'C>nceprisloco{ui>   M (k  fa>.ilumdeipiaJoqucrta»atidic»  quaniuii  indiimuma  togauir*   qiKMi*  vdutiiiuui»inquoeiurdcmtc; notitia admoduniim*  'Vroz>inumcA*nequid  vcrlus*quidque^firasfit  Qpij   pertecta  cfi»AioL'^rai  txpexictur  utiquccogmtio>  invoabaa»ufenamu>.  £amporr6dcno«mnacioncm  riacsraunucnr»  fiiii'zquc  iint»^  mqutr^  notitiam»  quam  in  l'c  habeat»  induci. fign)ncactoncprobcMCi(or'/qu«  ciiincxhancmis  Ji^***'*   Hoc  plaufibikihncnuximd  rationi  con  entaneom»  butaus  in  exuinfc^  quadam  detximmatton;coa'N  quoniam  nedum  voci  concedenda  vis  ilia  ingerendi  ibt  hun^modi  qu  vocibmclK»puuidum   Pfoiivlclthounnesootlcnc  xificntemuidemexcitaMipuliuin  iQlubicu»  quacfi  anipUusubccminiidtquarigniricaaorieQrurpare  »nu!>*  pciicClionc  mneat»  aefuperet  stlam»  qui IeK]uemts  laeausinu-ujOrcdpmuiiunela^.itcdpcrlolasciRrin*  amrrnsmtrirroatur  «cuiNcaiprafie^quarnouiiercxcv'  finsdcnotmnauOflfts  ueruatem  »auxl^i(atcm  amic-  tatttr  nulli  dubtmu»cum  pcrtedlior^ura  fit  co^m*  itrcc.  Vtcomra*»  ri  uo>  nihil  ItgniliCins  ad  aliquid  no  annno  qimkm  auditmus  ingefia^ qudm  ca  > qux  l|gniitcanduiii  aUbnicrctur  •   rchdct  mloqueme  > V oces y itur prterem c rf i tando  Hax amcmdcndMlmtiofico  imcUuttuscogmtKK  Oenoaii-   numtam»  inaudiente  pctltiibns»  ^tiufqoc  rcfn«a  ne  dcrumiiur  >.ucperconnouuoocm'ipfaramrcruin  iMtto  ex*  fi^niHcarc  poliunt  &c-  • f^mlia pttdt*  iAam  noiitiamnoncx  ri  vocis»  rigo^cMiooifue  aj  lqaucruatc»lainuu'quccognicioms»cuio>iocovo.  da*cmas  notiuamrci  aliasigno&nouiicvprocrcandamdedpo.  «tsTubrogamor»  dcmmlTiatioventatis»  ac fallTcaus  CIUS  ad  rei  pratcoemtxvctetcra  excittodain  haben . in  vodbus  er  vcM  j fehaqoc  coghiuone  dscctur  dio   Nonenimhxclu,ruhcardivisadnmperfedilamrci  dcTntnpu.**  aii«cu*ni   Domiain  gignendam  dcteunin^.ell*»(ed  penitus  inut  •   & fane  inaudicmisanimotiutlljei/ignlficaarco-  incmeeogrfi  loocm  uaam  oppolicum tamen  e«tet-  g^tioncDouiicrgenicaAfcti  pri0mitaotrimcxciuti>  ms  uocibus  alfirinac  »\uaut  eucma*I^ufio  tmemo  twxadhuc  fignihcatioaiscifccliniiobuDuilhriSttn^'  conceptui noncon^niat*  Prion  ruedo uocalu talla  OicmemaudtciMiscogniuoncm  iaduxiJle dicetur*  JocutroaUlUTUcncisnotmadcnomtnacur*  bccundo  Hic  libenter  iubi|dam  aliquid  notatu  dignilhniums  modo » non  quoniam  iemu>  vocibiiscipreliusmcmii  aempe»  fi  quempiam  accidat, au  ccrfeChis  fit  rei  con>  coiKeprui , cmm  veruni  luppommus  congrhir»  hinc  ceptus»  uti  uoeibos  niiiuisper^ ptofeiTc  uocca  perfcdiabfiunih^te$n^(cruli>  cum»  quaicnusde  iplu  longdtaciliusilJa  prxeepu-uj  of  dirigtf.   ier»utaiunt»  (altcmperfedieremfigmficaiuniimad*  uadumuriquxdeincnrt$concepcibus»quonnu*oco^**”  e«r>  couc»  eiuinfiJoquciisnuiiuiiicucooccptujo  habuc*,  i*ub(tuutziwu»ihuUtgcndikvo&mu$»(.vr4(/wjiny/tfr/u>  Vnmftf»*  r^^f^^^^^ffnprmctpiat&conclufionesYniticrfalitdicunturfijuonijmcHmmat  tumbxqufdamYtti'-  l«pj'r'ri(»  mrffUttmmcidtHmti^edebent . incomplrxumaucununmrrfaiccftrcsijuedam  fimjilcxinconipicio  tcrmi-  Maltipl«  i'  niuerfaledicituT mcaufando, cUquciplaciula untuer-Vmueifi.  Iklis rfj  dtfiu  ,^mmiam  ud  plures, ac  plures  fi  extendit  effeclus,  iuxta  muUilndinim  quorum , prout  nimirum^  u i..com.  plMTifpaucior^qMefmS,  eaufa  tna^it  minufue  dict  fdet  Yniuerfdis.  1'niuerfaUlfmaommimtH  caufa prima fleiom.  Yt animalis natura tqua inomnibus animales et Vntutrf  bcMinii;  omniimi  (pcasdmucmturtboc  sdem  dtcitur  et:.:myniutrfait  in prsdicandu, quoniam  quod  in  mtdtiseJUe  le  id  fig.. .  omUisqmifmpradtcaTipottll.  £jlautemm figmficando (pmependo  feuprxdicando  vniuerfali  illud,  in  cumi  fimiJ*. Logicus mcumbit X immeritd , cum  buiiu  .Artificis  omnis  eo  coUimet  imittflria»  vi  inteOe^ius  co.  Vcu«c£»*  gmtmm  dirigat  ,iureihtudmem  in  tllam  inducat  i quodprafertim  Yniucrfalism  hic  medii  traiimioHeconfe-  7    ^ialm\Timquta  ad pradicamentorum  notatam  sntellKlmtisre^Utudini  fsmmopereconferentemtnedsmYtilii  ijla  y ,umV.  io^^fod  mtuffaria eflspradicamentafiquidemborum  qumaueYnmerfalnm  fme prxdica&ilium  funt  tndma-  k«  pr«.  tmoitiMeonm  quemlibet  af^misgeneTioui, mfpeaeiperdtfferetttias  Yfquead Yliima  indiuidita  diuidatufi  (p  djcaaio .  fnprutaUt^  oUrsbuta  ifsadnectaniur,ita  Yt  in  eorb  errainattone  nihilfrequentiusMam  hxc»de  quibusloquimut  l>c  q«t>  ymmrfaiuttYfwrpentMr.'tumqniaadfmgsda infirumentalcgkahacmagno pereconducstnotitta^&quidtmad  *«iueilaii  dtffMitiemts  quemau  Ynius  cuutfqi  res  definis  io  per  gemu,  (p  differentiam : deferiptio  per  proprium,Yei  per  multae  afwuuai^safmsdfumpta  tradcndaffi^^  Jl£ diuifmemmern» poptcreaqsMin^entiaJabusdmfiwdsus^^^  ftntm  JfrrmiM  I ataiJnlMii3 fiibiritMmmacciJmudiflTiSMwrvIlmilxo  y^irms,  xnplinmus.   M ima Otiakmt, mipiiiutmfiiim est definitio, veldferntia, u ohniodoffiflimeidefnbitbodimm-  ffrmdut  ifiettiamad  olt4o  VrMtpuatauunYtilitati  ob  quaerat  opera  pretium hanc (r.a^i^toii/m m/iiiHerrj uetfait» t^^amiiufouda  t qmmiamYtdapradicamentitdifceptatioadintelleaionmdirigendamcondiKit,  qitstenus ante  bw,  yitit  ociimfeTmnomnssmgnnafifpectei, differentiafqne conjlstuit, Yt fuhindHong melius, atque facilius in du, i*T*^ V  peretpertipc  bac  contemplaiio,quatenus  nuais  tamen  ab^rabie  omnia  ad  hac  qusnqt   t^sredigit,  imdle&umdocen^,qMulfitgenHs,qntdfpecies&Cn  ut  uleriti  fuas  extreere poGit  operatmet  m id  supg^ttdm  proteli, &adtsunent9n  < Carlo Renaldini. Carlo Rinaldini. Rinaldini. Keywords: cimento, cimentare, provando e riprovando, del Cimento, filosofia naturale, filosofia razionale, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rinaldini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rindaco: la ragione conversazionale o, la setta di Lucania – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. Giamblico sometimes spells his name “Bindaco” (non si veda).

 

Grice e Riondato: la ragione conversazionale o del metodo dell’etologia filosofica – filosofia italiana. Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Studia a Padova sotto STEFANINI, FERRABINO, PADOVANI, e DIANO. Studia l’Aristotele neo-latino. Uno dei galileiani. Ezio Riondato. Riondato. Keywords: il metodo dell’etologia, morale, morale classica, Aristotele neo-latino, Epitteto, l’enuniciazione, dell’interpretazione in Aristotele, crisi, metafisica e scienza in Aristotele. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Riondato” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Riverso: o, la ragione conversazionale della la forma del segno romano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Studia a Napoli. Insegna a Salerno e Napoli. Spazia dalla filosofia critica ed analitica, alla logica formale, ed è stato esperto in problemi di linguistica, di filosofia delle scienze e delle culture. Saggi: “Colpa e giustificazione nella re-azione anti-immanentistica del "Roemerbrief" barthiano”; “Teo-logia esistenzialistica”; “La costruzione interpretativa del mondo”; “L’epistemo-logia genetica”, “Meta-Fisica e Scientismo”; “Filosofia e analisi del linguaggio”; “Dalla magia alla scienza”, “Conoscenza e metodo nel sensismo degl'ideologi”; “L’esperienza estetica”; “La filosofia d’Occidente, Corso di storia della filosofia, Natura e logo, La razionalizzazione dell'esperienza,  La filosofia analitica, La filosofia,  Individuo, società e cultura. La psicologia del processo culturale, L’immagine dell'universo. Astronomia e ideologia, Il pragmatismo, La spiritualità, Il linguaggio nella filosofia romana antica, Democrazia, iso-nomia e stato,  Una corrente filosofica; riferimento e struttura; Il problema logico-analitico in Strawson, Democrazia e gioco maggioritario, Filosofia del tempo,  La civilta e lo stato romano; Alle origini del pensiero politico, La carica dell'elettrone, Esperienza e riflessione, Forma culturale e paradigma umano; Le tappe del pensiero filosofico nella cultura d’Occidente, Paradigmi umano e educazione, Filosofia del linguaggio, Dalla forma al significato, Cose e parole, Come BRUNO (si veda) inizia a parlare: Diario di una maestra di sostegno, “La rimozione dell'eros nel giansenismo”, Civiltà, libertà e mercato nella città italica antica (Roma). Un viaggio al centro dell'immaginario religioso e mistico che ha influenzato l'umanità,  morale e dottrina, Cogitata et scripta,  Filosofo del linguaggio, La Tribuna. Semiosi iconica e comprensione della terra.   Intorno al pensiero di Karl Barth. Colpa e giustificazione nella reazione antiimmanentistica del "Roemerbrief" barthiano.  CEDAM. Padova 1951. 70 pp. Introduzione. - Il problema della giustificazione. - Prima della giustificazione.- La salvezza è nella fede . - L'istante della crisi. - Giustificazione e grazia. - Osservazioni critiche. - Appendice. La teologia esistenzialistica di Karl Barth Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli.1955. 428pp. Introduzione.- La teologia dommatica secondo Barth.-Senso e valore di una teologia. - Il problema di Dio. - Il Dio della Rivelazione. - Il Dio rivelatore. - La Rivelazione oggettiva : Gesù Cristo. - La Bibbia: Testimonianza scritta della Rivelazione. - La Rivelazione nel soggetto che la riceve. - La Fede. - La Creazione nel sistema di Karl Barth. - L'antropologia barthiana. - Valutazione dell'antropologia barthiana. - Il Creatore e le sue creature. - Redenzione e Giustificazione nel barthismo . - Cristo Redentore. - L'ecclesiologia. - La morale di Karl Barth. - L'evoluzione del pensiero di Karl Barth. - Conclusione. - Appendice bibliografica. La costruzione interpretativa del mondo, analizzata dall' epistemologia genetica Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1956. 322pp Introduzione. - La nascita e lo sviluppo dell'intelligenza nei lavori di Jean Piaget. - L'epistemologia genetica e il pensiero contemporaneo. - L'interpretazione del reale.- Adattazione e divenire. - La struttura del concetto. - Lo schematismo concettuale del sapere. - Volontà e intelligenza. - Conclusione. Metafisica e scientismo. Con un'appendice sulla logica di C.S.Peirce Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1957. 150pp Introduzione.-Atomismo e genetica concettuale. - Psicologia, logica e matematica. - Il substrato metafisico della logica. - Il substrato metafisico delle matematiche.-Il substrato metafisico della fisica. - Psicologia e metafisica. - Conclusione. -Appendice. La logica di Charles Sanders Peirce. Il pensiero di Bertrand Russell. Esposizione storicocritica. Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1958. 568pp.Seconda edizione Libreria Scientifica Editrice, Napoli 1967. Introduzione. - La logia dei "Principi della matematica".- La logica dei "Principia mathematica".- La filosofia della mente e della conoscenza. - La filosofia della natura .- I problemi del linguaggio. - L'umanesimo di Russell . - Sociologia e politica. - Conclusione. - Scritti di Bertrand Russell. - Scritti su Bertrand Russell. Introduzione alla filosofia e all'analisi del linguaggioIstituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1960. 324pp. La filosofia del linguaggio nel pensiero antico. - Filosofia e analisi del linguaggio nel pensiero cristiano e medioevale. - La filosofia del linguaggio nel pensiero moderno e contemporaneo. - Le ricerche attuali di filosofia e analisi del linguaggio.-Il problema logico. - Il problema sintattico. - Il problema psicologico. - Il problema semantico.- Il problema grammaticale. - Conclusione. Dalla magia alla scienza Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1961, 130pp. Introduzione. - Magia e scienza. - Scontro di Weltanschauungen . - L'euristica rinascimentale. - Lo schema interpretativo "macrocosmo-microcosmo". -Caratteri dell'interpretazione magico-rinascimentale e caratteri dell'interpretazione scientifico- seicentesca. - Natura viva o natura morta? Sintesi o antitesi? - La lotta contro la spiritualità magico-rinascimentale. - Matematica e spiritualità scientistica. - L'esperimento. - La tecnica. - Una polemica sull' "Harmonia mundi". - Una polemica sulla divinizzazione dell' universo. - La vittoria dello spirito scientista. I problemi della conoscenza e del metodo nel sensismo degl'ideologi Libreria Scientifica Editrice. Napoli. 1962. 282pp. Introduzione. - Etienne Bonnot Abbé de Condillac. - Pierre Cabanis. - Joseph Marie de Gérando. - Antoine Louis Claude Destutt de Tracy. -Charles Bonnet. - François Xavier Bichat.- Gli altri ideologi. - Pierre Laromiguière. - Antonio Genovesi. - Francesco Soave. - Melchiorre Gioia. - Giandomenico Romagnosi.- Melchiorre Delfico. - Pasquale Borrello. - Marie François Pierre Gauthier Maine de Biran. - Ideologia e pessimismo. -Henry Beyle Stendhal. - Conclusione. Analisi dell'esperienza estetica Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1963. 350pp. Introduzione. - L'atteggiamento estetico. - I linguaggi dell'arte. - L'opera d'arte. - Il mondo dell'arte. - Conclusione. II ed. ampliata, ivi,1967. 360pp. Il pensiero occidentale. Corso di storia della filosofia.Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1964. 3 voll. 142 + 120 + 180. - Vol. I . I presofisti. - I sofisti e Socrate. - Platone. - Aristotele. - La filosofia dell'età ellenistica. - La filosofia greco-orientale. - Il Cristianesimo e la patristica. - Sant'Agostino. - Le origini della scolastica. - I grandi problemi della scolastica. - San Tomaso. - La scolastica dopo San Tomaso. - Vol. II . L'età del Rinascimento. - La crisi della spiritualità rinascimentale e il nuovo orientamento nello studio della natura. - Cartesio ed Hobbes. - Il cartesianismo. - La sopravvivenza del panteismo. - Leibniz. - Vico. - Locke. - Berkeley ed i platonici di Cambridge. - L' illuminismo. - Kant. - Vol. III. L'età del Romanticismo. - Hegel. - Discepoli ed oppositori di Hegel. - Lo spiritualismo italiano. - L'età del positivismo. - La crisi del positivismo. - L'età che viviamo. - Il movimento logico-scientifico. - Il movimento fenomenologico. - Il movimento analitico-linguistico.- Conclusione. - Dizionarietto di termini filosofici. Le tappe della pedagogia nel mondo occidentale. Corso di storia della pedagogia ad uso degl'istituti magistrali e dei candidati ai concorsi magistrali e direttivi.. Con un'appendice sulla letteratura infantile. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1964. 146pp.  L'educazione nel mondo omerico. - L'educazione nell'aristocrazia postomerica. - L'educazione nella democrazia ateniese. - La pedagogia di Platone. - La pedagogia di Isocrate. - L'educazione nell'età ellenistica. - L'educazione romana. - Cristianesimo e formazione dell' uomo. - L'educazione nel Medio Evo. - La pedagogia dell'Umanesimo e del Rinascimento.- L'antinaturalismo seicentesco e la ricerca del metodo dell'educazione. - Il rinnovamento illuministico della pedagogia. - La pedagogia nell'età del Romanticismo. - La pedagogia del Risorgimento italiano. - La pedagogia scientifica e il Positivismo. - La pedagogia attuale. - Le scuole nuove. - Conclusione. Appendice. Il pensiero di Ludovico Wittgenstein Libreria Scientifica Editrice. Napoli . 1964. 390pp.  Introduzione. - La filosofia del "Tractatus logico-philosophicus".- La logica del "Tractatus logico-philosophicus".- La fondazione della matematica. - Nuove vie per l'analisi filosofica. - le analisi dei "Libri blu e marrone".- Le "Ricerche filosofiche".- La matematica senza fondamenti. - Conclusione.- Bibliografia. Natura e logo. La razionalizzazione dell'esperienza da Omero a Socrate. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1966. 464pp.  Introduzione. - La visione omerica del mondo. - La vita, il mondo e il divino alle soglie dell'età classica. - La razionalizzazione dell'esperienza nella scuola di Mileto. - Il pitagorismo e lo sviluppo della matematica. - Il razionalismo eleatico. - Il razionalismo eracliteo. - L'equilibrio dinamico dell'universo empedocleo. - Lo scientismo di Anassagora.- L' atomismo. - La razionalizzazione storiografica. - I limiti della razionalizzazione: il tragico e il comico. - La crisi del logo. - La filosofia analitica in Inghilterra Armando. Roma 1969. 338pp.  L'analisi nella tradizione filosofica inglese. - Analisi e pensiero scientifico a Cambridge.- L'analisi neopositivistica in Inghilterra. - L'insegnamento di Wittgenstein a Cambridge. - La revisione dell'analisi logica. - Il percepire. - Il soggetto e la mente. -Dio. - Dall'etica alla metaetica. - Conclusione. - Bibliografia. Il pensiero di Ludovico Wittgenstein. Seconda edizione interamente rifatta. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1970. 484pp. La filosofia oggi Armando. Roma. 1971. 301 pp. Introduzione. - L'orientamento fenomenologico. - L'orientamento marxista. - L'orientamento dell'analisi chiarificatrice. - L'orientamento dell'analisi ricostruttiva. - Jean Paul Sartre. - Enzo Paci. - L'istituto di filosofia della Accademia delle scienze dell' URSS. - Gyorgy Lukacs. - Peter Frederick Strawson. - Gilbert Ryle. - Willard Van Orman Quine. - Alfred Jules Ayer. - Conclusione. Individuo, società e cultura. Introduzione alla psicologia dei processi culturali Armando. Roma 1971. 240pp. Trad. in spagnolo: Individuo, sociedad y cultura - Editorial Verbo Divino. Estella (Navarra) 1974. 260pp.  Seconda edizione italiana. Armando. Roma 1983. 184pp. Cultura e processo culturale. - Schemi e schematismi psicologici. - Gli schemi linguistici. - Gli enunciati che funzionano da schemi culturali. - Schemi d'interazione e strutture dei gruppi. - L'unità strutturale di una cultura. - La dinamica assiologia nei processi culturali. - L'inserzione di un individuo in una cultura.- Il divenire delle culture. - Conclusione. La nostra immagine dell'Universo. Astronomia e ideologia. Edizioni Beta. Salerno 1971. 200pp.  Introduzione. - Cosmologia ed immagine dell'Universo.-I precedenti storici della nostra immagine dell'Universo.- L'immagine dell'Universo all'inizio del nostro secolo. - L' immagine dell'Universo dopo Einstein.- Conclusione. Il pensiero di Bertrand Russell. Esposizione storicocritica. Terza edizione interamente rifatta. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1972. 414 pp.  Introduzione. - Da Hegel a Leibniz. - Il platonismo delle relazioni. - Dall'atomismo logico allo scetticismo analitico. - L'umanesimo di Russell. - Società e politica. - Conclusione. - Opere di Bertrand Russell. - Opere su Bertrand Russell. Il pragmatismo Edizioni Beta. Salerno. 1972. 262pp. Introduzione. - Charles Sanders Peirce. -William James. - John Dewey.- George Herbert Mead. - Clarence Irwing Lewis. -Ferdinand Canning Scott Schiller. - Conclusione. Aspetti della spiritualità europea dal '500 al '600Edizioni Beta. Salerno .1973. 430pp. Introduzione.- Motivi e figure del naturalismo rinascimentale. - Momenti della riscossa antinaturalistica.- Corneille fra amore e ragione. - Il dramma di Racine.- Il tormento di Pascal. - Milton ed il Puritanesimo.- Conclusione. Il linguaggio nel pensiero filosofico e pedagogico del mondo antico Armando. Roma. 1973. 262pp.  Le prime riflessioni sul linguaggio. - La nascita dell'analisi linguistica. - Il "logos" dalla scienza alla religione. - Il linguaggio nel pensiero patristico. - La riflessione sul linguaggio alla fine della cultura antica. Democrazia, Isonomia e Concetto di Stato Edizioni Beta. Salerno. 1975. 510pp.  Prefazione. - Equilibrio e vita pubblica nella Grecia antica. - La politica aristocratica di Platone. - Lo Stato e la felicità umana in Aristotele. - Il gioco democratico. Le correnti filosofiche del '900 Fratelli Conte Editori. Napoli. 1976. 192pp.  Introduzione. - Il pragmatismo. - La filosofia dell'azione e l'intuizionismo. - I neokantiani. - I neoidealisti. - Il logicismo. - Il positivismo logico. - La fenomenologia. - L'esistenzialismo. - La filosofia analitica.- Il marxismo.- Pagine scelte di filosofi del '900. Riferimento e struttura. Il problema logico-analitico e l'opera di Strawson. Armando. Roma. 1977. 240pp. La polemica sulla denotazione e il riferimento. - Uso linguistico e verità. - La logica formale. - Soggetto e predicato. - Linguaggio e ontologia. - Strutture e forme dell'intenzionalità.- Conclusione. Democrazia e gioco maggioritario Armando. Roma. 1977. 192pp.  L'esperienza politica dei Greci. - Idee e domande dei tempi nuovi. - La nostra esperienza. - Un gioco che può sfuggire di mano. - Conclusione. Filosofia analitica del tempo Armando. Roma. 1979. 240pp.  La menzione del tempo nel pensiero antico. - Trasformazioni semantiche dei discorsi sul tempo. - Nuovi problemi linguistici sul tempo. - Denotazione e non-denotazione nella semiosi discorsiva sul tempo.- Problemi semantici e sintattici dei discorsi sulla temporalità.- Conclusione. Ideologia e società nell'Islam Gentile Editore. Roma. 1979. 244pp. Vicende e problemi delle origini. - Dagli Ommiadi agli Abbasidi: organizzazione sociale e sviluppo ideologico. - La frantumazione politica e l'avvento dei Turchi.-Le differenziazioni dell'ideologia islamica. - L'apertura alla filosofia. - I tre grandi della filosofia islamica. - Filosofia e scienze. - Filosofia illuminativa e sufismo. - Conclusione La città e lo Stato. Alle origini del pensiero politico occidentale. Edizioni Borla. Roma. 1982. 350pp.  Dal villaggio alla comunità urbana. - Dai palazzi minoici alla polis greca. - La "polis" e il paradigma commerciale. - La sfida persiana. - Il paradigma ateniese.- Critiche e proposte di Platone. - Lo Stato e l'appagamento umano in Aristotele. - Conclusione.- Tavole prospettiche. - Bibliografia. Millikan e la carica dell'elettrone Editrice La Scuola. Brescia. 1982. 112pp.  L' atomo e l'elettrone. - Le ipotesi di Franklin. - La constatazione di nuovi fenomeni. - Faraday, l'induzione elettromagnetica e il campo di forza. - Metafisica ed elettromagnetismo. - Campo elettromagnetico e linee di forza. - Dal campo di forza al campo di particelle. - Il campo nel ripensamento di Maxwell. - Nuove idee sull' elettricità. - Gli elettroni. - Campo e materia negli elettroni.- La teoria dell'elettrone in Lorentz e in J.J. Thomson. - Elettroni e quanti.- La radioattività. - Il procedimento di Millikan. - Osservazioni metodologiche. -Sviluppo della nozione di elettrone. - L'elettrone nella fisica odierna. - Un problematica filosofica. - Millikan e la sua opera scientifica.- "La mia impresa della goccia d'olio". Esperienza e riflessione, le tappe della filosofia e della scienza nella cultura occidentale Edizioni Borla. Roma 1983. 3 voll. 384 + 448 + 470 pp.  - Vol. I. Introduzione. - Le origini della civiltà greca e la scuola ionica. - Influenze iraniche e nuove riflessioni sul mondo della Ionia. - Pitagora e la filosofia nella Magna Grecia. - La nascita della scienza e il pensiero di Anassagora e di Democrito. - La sofistica e lo sviluppo socio-culturale. - Socrate e Platone. - Aristotele. - L' uomo nelle prospettiva medica. - L' organizzazione del tempo umano e dell'ecumene. - L' età ellenistica. - Lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie. - Istanze religiose e filosofiche nel mondo greco-orientale. - Il cristianesimo e la patristica. - Sant' Agostino e il suo tempo. - La cultura islamica. - La cultura europea nell'Alto Medio Evo e le origini della Scolastica. - La rinascita della città ed il fiorire della Scolastica. - Tomaso d'Aquino. - La Scolastica dopo Tomaso d'Aquino.  - Vol. II. Introduzione. - Il trionfo del naturalismo. - Umanesimo, Rinascimento e naturalismo. - Vita, luce e gloria. - Le realizzazioni scientifiche del Rinascimento. - Filosofi del Rinascimento. - Società, politica e storia nel cinquecento. - La reazione contro lo spirito rinascimentale. - Il trionfo della razionalità. - Il nuovo atteggiamento verso la natura. - Cartesio ed Hobbes. - Il trionfo dello spirito seicentesco.- I rapporti tra la sostanza estesa e la sostanza pensante. - Leibniz e lo sviluppo della matematica. - Newton, la fisica ed il sistema del mondo. - Vico e la storia come metascienza. - Locke, Berkeley, Hume. - La filosofia dell' Illuminismo.- Scienze e tecnologie nel settecento. - Emanuele Kant. - Vol.III. Introduzione. - Il Romanticismo. - Il romanticismo filosofico. - Hegel ed i suoi discepoli. - La filosofia in Francia ed in Italia nell'Età del Romanticismo. - La trasformazione del meccanicismo. - La nuova immagine del mondo.-Il positivismo francese. - Il positivismo inglese. - Il positivismo in Germania e in Italia. - Il marxismo. - Idealismo e pragmatismo in America. - Idealismo e logicismo in Inghilterra. - La psicologia e la nuova immagine dell'uomo. -Fenomenologia ed esistenzialismo. - L'opposizione al positivismo. - Crisi della fisica e nuove filosofie della scienza. - La filosofia analitica e la nuova epistemologia. - La scienza dei nostri giorni. - Oggi e domani.  Piaget. Filosofo, epistemologo, psicologo e pedagogista. Edizioni Borla. Roma 1985. 120pp.  Prefazione. - La filosofia: passione e delusione. - Logica e psicologia. - Concetto di logica. - Classi, reticoli, gruppi e raggruppamenti. - Equilibrio e logica. - Alla ricerca dell'equilibrio operativo. - Dal movimento alla logica. - Il mondo degli oggetti e l'intelligenza sensorio-motrice. - Rappresentazione preoperatoria ed operazioni concrete. - Il linguaggio preoperatorio. - Il linguaggio delle operazioni concrete. - Le strutture formali. - Circolo delle scienze e loro autonomia. - Il pensiero puro. - L'epistemologia genetica dell'aritmetica. - L'attività del numerare. - Matematica e realtà. - La geometria e la costruzione dello spazio. - Alla radice psicologica della meccanica.- Le idee di forza, di conservazione e di causa.-Dai concetti del fanciullo alle costruzioni della scienza. - La psicologia. - Il contributo di Piaget alla psicologia. - Il contributo di Piaget alla pedagogia. - Piaget e gli altri. - Conclusione. L'Islam. Crogiuolo d' idee, di problemi, di angosce.Armando . Roma 1985. 310 pp.  Nomadismo e urbanizzazione nell'Arabia preislamica. - Muhammad: la sua opera ed il suo insegnamento. - Diffusione e lacerazioni della Umma dopo Muhammad. - L'assalto all'Europa cristiana. - Il mondo islamico nei tempi moderni. - L'Islam uno e multiforme.Sviluppi dottrinali in area sunnita. - Zandaqa, Latinismo, walayat e falsafa. - I falasifa.-Macrocosmo e microcosmo. - Sapienza orientale e sufismo. - Conclusione. Forme culturali e paradigmi umani. Le tappe del pensiero filosofico e pedagogico nella cultura occidentale. Edizioni Borla. Roma 1988. 3 voll., 392 + 384 + 544 pp. - Vol. I. Introduzione. - Educazione e visione del mondo nelle società più antiche. - Ideali umani e visione del mondo nella Grecia arcaica. - Sviluppi della cultura nella Ionia. - Nuovi atteggiamenti verso l'umano e il divino. - La fioritura culturale in Magna Grecia e Sicilia. - Cultura e educazione nella Atene del V sec. A. C. - Platone e i problemi del suo tempo. - Saggezza retorica e saggezza medica. - Aristotele. - Civiltà e educazione nell'Età Ellenistica. - Filosofia e cultura nelle Età Ellenistica ed Ellenistico-Romana. - La Romanità: educazione, scuola e cultura. - Fermenti religiosi orientali e nascita del Cristianesimo. -La fine del mondo antico. - Sant'Agostino e la patristica. - Cultura islamica e idee filosofiche. - Cultura e scuola in Occidente nell' Alto Medio Evo. - La Scolastica. - Da San Tomaso alla Tarda Scolastica. - Vol. II. Introduzione. - L'Umanesimo. - Il Rinascimento. - Uomo e natura. - Gigantismo e comicità dell'uomo. - Rinnovamento umano e acquisto del sapere. - La lacerazione religiosa dell'Occidente. - La reazione antirinascimentale. - Un nuovo metodo per capire. - Capire la natura per dominarla. - Sopravvivenze rinascimentali e platoniche. - Sviluppi dell'educazione nel seicento. - Il razionalismo filosofico. - Il secolo dei lumi. - Vico e il settecento italiano. - Il settecento inglese. - Il settecento francese. - Gian Giacomo Rousseau filosofo e pedagogista. - L'illuminismo tedesco e Immanuel Kant. - Vol. III. Introduzione. - Il Romanticismo. - Il Romanticismo filosofico. - Il Romanticismo e la teologia protestante. - La pedagogia nell' età del Romanticismo. - Hegel e l'Hegelismo. - Filosofia e pedagogia nell'Italia risorgimentale. - Il Positivismo e la cultura francese dell' ottocento. - Il Positivismo e la cultura inglese dell' ottocento. - Il Positivismo e l'assetto ideologico dello Stato italiano. - Marx e la cultura tedesca dell' ottocento. - Idealismo, naturalismo e pragmatismo negli Stati Uniti. - L' opposizione al Positivismo. - Fenomenologia ed esistenzialismo. - L' uomo nella psicologia. - Innovazioni scolastiche e nuove idee pedagogiche. - La filosofia come analisi del discorso. - La filosofia come epistemologia e come ermeneutica. - L'uomo occidentale oggi. - La pedagogia oggi. Paradigmi umani e educazione Anicia. Roma 1990. 152 pp.  L' indeterminatezza originaria dell' uomo. - I determinanti culturali. - Cultura e autocoscienza. - I paradigmi umani. - Paradigmi e casi paradigmatici. - Paradigmi e pedagogia. - Il nostro momento storico. Filosofia del linguaggio. Dalla forma al significato. Città Nuova Ed. Roma 1990. 216 pp.  La ricerca della forma logica. - La forma logica da realtà sussistente a linguaggio perfetto. Ermeneutica della forma e del significato. - La rifondazione neopositivistica della scienza.l significato in una nuova luce. - Chiarezza linguistica e onestà sociale. - Metodo critico-analitico e filosofia odierna. - Conclusione. Cose e parole nella traduzione interculturale. Edizioni Borla. Roma 1993. 254 pp.  La traduzione radicale. - Tradurre il diverso. - Riferimento e traduzione. - 'Theòs' e 'Dio'. - Le cose del mondo.- Conclusione. Come Bruno iniziò a parlare. Diario di una maestra di sostegno. Presentazione di Emanuele Riverso.Edizioni Osanna ,Venosa 1994.  Presentazione. Diario scritto da E. Riverso e presentato come anonimo di una maestra di sostegno di scuola materna. La rimozione dell'Eros nel Giansenismo. Abelardo - Biblioteca di Gabriele Chiusano. Editore in Gaeta. 1995. 156 pp. Da Baio a Giansenio. - Giansenio contro concupiscenza e libidine. - Rimozione e Educazione. - Un caso pedagogicamente difficile. - Conclusione. Civiltà, libertà e mercato nella città greca antica.Working Papers n. 16, 1995, della Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli ( LUISS, Roma) 50 pp. Capire l'Islam. Atheneum, Firenze 2003. 248 pp. Prefazione. I parte. L'insieme dottrinale dell'Islam: Chiarificazione di alcuni termini. Le rivelazioni e il testo coranico. Contenuti e temi coranici. Lo stile. Il contesto storico-culturale: i precedenti ebraico-giudaici. Il contesto culturale: la parentela arabo-giudaica. Nuove frustrazioni giudaiche e i cugini del desero. Motivi giudaici nel Qur'an. Mutuazioni coraniche dal Cristianesimo. L'ermeneutica coranica dal Cristianesimo. L'ermeneutica cranica. Gli ahadîth. Le sarî'ah e il fîqh. La ummah depositaria della Rivelazione.- II parte. La formazione storica del mondo islamico. Coscienza storica e Islam. Dalla trasmissione orale alle scritture storiche. La vita del profeta. I primi khulafah nella tradizione sannita. La ricostruzione sciata delle vicende califfati e i critici occidentali. Muhammad, le origini dell'Islam e la critica storica occidentale. Le ricostruzioni alternative delle origini islamiche. Dagli Umayyadi agli Abbasidi. Il califfato abbaside. La disintegrazione del califfato abbaside e l'arrivo dei Turchi. L'impero selgukide e la fine del califfato di Baghdad. L'espansione islamica verso Occidente. Gli Ottomani e l'espansione oltre l'India. La condizione dei vinti.- III parte. La fioritura culturale dei secoli IX-XIV: Dall'oralità del nomadismo alla cultura del libro. L'emergenza della cultura islamica scritta. L'assimilazione della cultura letteraria greca. Ontologia greca e traduzioni in arabo. I Mu'tazilah e la razionalizzazione dell'Islam. La razionalizzazione moderata dell' Asciarismo. I falasifa. Studi scientifici. Studi storici. Speculazioni esoteriche e produzione letteraria. Pittura, scultura e architettura.- IV parte. I Musulmani oggi. La decadenza. La Rinascenza Safavide. L'aggressione degli Occidentali. I problemi dei Musulmani di oggi. Dal Babismo al panislamismo. L'Iran tra laicismo e teocrazia. La soluzione teocratica di Khomeini e il resto del mondo islamico. Gli Islamisti e Sayyd Qutb.- Dizionarietto. Iran, Da Zarathuštra all’ Islâm. Un viaggio al centro dell’immaginario religioso e mistico che ha influenzato l’umanità. (titolo dell’autore: Immagini iraniche da Zarathuš-tra all’ Isl?m ). Atheneum, Firenze 2003, 192 pp. Prefazione. Introduzione: 1 Le genti arie ( o indo-europee) nello spazio indo-iranico. 2.L’Irân prima degli Arii. 3. L’arrivo degli Ario-Iranici. 4. Medi e Persi. 5. Il costituirsi delle strutture socio-politiche nell’Irân Indo-Europeo. 6. La percezione del reale e l’immaginario nelle genti ario-iraniche. 7.Il clan degli Achemenidi. 8. I. L’immaginario di Zarathuštra: 1. La collocazione di Zarathuštra nella tradizione ufficiale. 2. Achemenidi e Zoroastrismo. 3. Dall’immaginario politeistico alla riforma di Zarathuštra. 4 La riforma di Zarathuštra. 5. Il nuovo sistema di immagini. 6. Conservazione e modifiche dell’immaginario zoroastriano. II . Fuoco, luce, fravaši e Saošyant : l. Il fuoco nell’immaginario zoroastriano. 2 . Il fuoco-luce irradiante o ?var?na. 3. Fravaši. 4 Saoš-yant. III La catastrofe: 1. L’immaginario zoroastriano messo alla prova. 2. Il risveglio dell’immagnario zoroastriano. 3. Certezze in crisi. 4. La catastrofe venuta dal deserto. IV. L’immaginario sciìta : 1 . Gli Zoroastriani sotto l’Islâm. 2. Dissenso sociale e im-maginario esoterico. 3 Sciìsmo ed esoterismo. 4. Il Mahdî nell’immaginario sciìta. V. Il fuoco-luce nello Sciìsmo e nel Sufismo: 1. Sufismo e Sciismo. 2. Šiâboddîn Yahyâ Su-hrawardî e l’immaginario della Luce Orientale. 3.Šîrâzî. 4. L’immaginario cosmologico nell’Irân islamizzato. Osservazioni conclusive. Bibliografia.Indice. Islâm, morale e dottrina. Atheneum, Firenze 2005, 255 pp. I. La Šarî’ah e le sue fonti: 1, La Šarî’ah o Legge Morale, 2 Le fonti della Šarî’ah: il Qur’ân, 3 Le fonti della Šarî’ah: La Sunnah, 4 Le fonti secondarie della Šarî’ah: al-I?mâ, al-Qiyâs e al-I?tihâd, 5 Le scuole di Fîqh. II. Temi fondamentali della Šarî’ah: Gli obblighi di culto del Musulmano: 1 l’ Imân e la sua manifestazione, 2 La preghiera, 3 Altri obblighi. Il matrimonio e la famiglia: 1 Il matrimonio secondo la legge islamica, 2 La scelta del partner, 3 Impedimenti, 4 La poligamia, 5 La dote (Mahr), 6 Il divor-zio (Talâq), 7 Il mantenimento della moglie e dei figli. La normativa penale della Ša-rî’ah: 1 Idee generali, 2 Pene fissate dal Qur’ân. La vita economica: 1 La trasmissio-ne ereditaria, 2 Le attività commerciali ed i contratti, 3 Economia e società. III. La vi-sione cranica del mondo: 1 Allâh, i suoi attributi ed il mondo creato da lui, 2 La vicenda umana. IV La rielaborazione razionalistica : 1 Contatti culturali fuori d’ Arabia, 2 L’Islâm e la cultura greco-ellenistica, 3 Mutaziliti ed Asciariti, 4 Asciarismo e Muta-kallimûn, 5 Altri movimenti dottrinali. V, I falâsifa ed i loro oppositori: 1 I falâsifa: al Kindî. 2 I falâsifa: al-Fârâbî. 3 I falâsifa: al Râzî. 4 I falsâfa: Ibn Sînâ . 5 Contro i falâsifa: Al-Ghazâlî. VI La falsafa nell’Andalus e nel Maghreb : 1. Ibn Bâ??ah e Ibn Tufayl, 2. Ibn Rušd. 3. Panteismo e misticismo in Ibn ‘Arabî. 4. Un fayalasuf della sto-ria : Ibn Khaldûn. 5. Una filosofia della storia in prospettiva nomadica. VII Lo studio magico e sperimentale della natura: 1 Ermetismo e Sciìsmo. 2. Il Rasâ’il degli Ikwân al-Safâwa Khullân al-Waf‘â. 3 Ahmad al-Bîrûnî. VIII. La teosofia della luce orientale: 1 Eredità mazdeistiche, esoterismi e misticismo nell’ Islâm. 2. Motivazioni e prassi dei Sufî. 3. Mondo immaginale e teosofia della luce orientale. 4. L’eredità di Suhrawardî. Conclusioni storico-critiche: 1. Le origini islamiche secondo la tradizione. 2. Le origini islamiche secondo altre fonti. 3. Il disimpegno bizantino nell’area siro-palestinese (Al-Šâm) . 4. La nascita politico-religiosa dell’unità supertribale araba. 5. Storia critica dei primordi della dottrina e dell’etica islamiche. Indice analitico. Bibliografia. Cogitata et scripta. Giannini Editore. Napoli 2007. 200 pp. I. 1. Lidealismo gentiliano. 2. Il linguaggio gentiliano. 3. Benedetto Croce. 4. La logica come scienza del concetto puro. 5. L'Esistenzialismo di Sartre. 6. Gli altri esistenzialisti. 7. Da Kierkegaard a Barth. 8. Epistemologia e psicologia. 9. La psicologia. 10. L'opera di Piaget. 11. La logica formale. 12. La metafisica e la ricerca storica. II. 1. Dalla magia alla scienza. 2. La nascita della scienza e la cultura occidentale. 3. Analisi semantica e filosofia del linguaggio. 4. Linguaggio ed esperienza estetica. 5. Ludovico Wittgenstein. 6. Io, Wittgenstein e la nuova filosofia analitica. 7. Natura e Logo. 8. Bilancio sulla filosofia analitica. III. 1. Interessi socio-culturali. 2. Giambattista Vico. 3. Bruner. 4. Linguistica ed etnologia. 5. Altre ricerche di filosofia analitica. 6. Immaginazione e linguaggio iconico. 7. Filosofia della scienza. 8. Approccio alla nuova scienza: neurologia e coscienza di sé. 9. Genesi evolutiva dell'uomo e del linguaggio. Il pensiero. 10. Cosmologia e geologia. 11. Fisica e cosmologia. IV. 1. Sistemi dottrinali e iconici. 2. rapporti e confronti fra culture. 3. Nuovo approccio alla cultura islamica. 4. Culture e organizzazione sociale. 5. Convinzioni, cogetture, dubbi, sospetti e valutazioni. Dati biografici. Pubblicazioni Alle origini del Corano (in preparazione) Aporie e difficoltà del positivismo logico" in Sophia 1953, XXI, n.1, pp. 43-52. Pubbl. anche in Sapienza 1953, VI, fass. 1-2, pp. 72-84. "Caroli Barth in doctrinam catholicam de gratia recentissimae difficultates refutantur" in Angelicum 1954, XXXI, n.1, pp. 31- 45. "Insufficienza del positivismo logico" in Sapienza 1954 , VII, n.2, pp. 180 - 202. "Neoilluminismo, neorazionalismo e trascendentalismo della prassi" in Sapienza 1955, VIII, n.1, pp. 18 - 46. "Ludovico Wittgenstein e il simbolismo logico", Estratto dal vol.LXVII degli Atti dell' Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti In Napoli , 1956, 38 pp. "Barth, Karl" , voce in Dizionario biografico degli autori , Bompiani, Milano 1956 , vol. I , p. 183. "Problematica della filosofia odierna" , in Sapienza 1956, IV n.1, pp. 33 - 44. "L'esistenzialismo teologico di Karl Barth" in Sapienza 1956, IV , n.1 pp. 370 - 382 "Cristianesimo e mito" in Digest Religioso 1957, 3, pp. 37 - 41. "Epistemologia, epistemologia genetica e implicanze filosofiche" in Sapienza 1957, V, n.6, pp. 419 - 460. "L' epistemologia genetica e la formazione del concetto" , Estratto dal vol. LXIX degli Atti dell'Accademia si Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, 1958, 69 pp. "Il costruzionismo e la sua fondazione critica" , Estratto dal vol. LXIX degli Atti della Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, 1958 , 52 pp. "Nozioni e problemi di epistemologia", Estratto da Asprenas 1959, VI, n.1, 86 - 103 "Vladimiro Jankélévitch o alle soglie dell'ineffabile", in Giornale di Metafisica , 1959, XIV, pp. 502 - 537. "Cristianesimo e peccato" in Studi Cattolici, 1959, III, n. 13, pp. 10 - 18. "La filosofia della scienza e i limiti dello scientismo" , in Sapienza 1959, VII, nn.3 - 4 pp. 287 - 323. "Il valore della logica in Edmondo Husserl" , Estratto da Sapienza, 1960, VIII, nn. 3 - 4, pp.251 - 256. "Discours philosophique et image physique" in Atti del XII Congresso Internazionale di Filosofia, Sansoni, Firenze 1960 vol. IV pp. 279 -286. "Il paradosso del mentitore ", Estratto da Rassegna di Scienze filosofiche , 1960, XIII, n.4. 32 pp. "La storicità del pensiero filosofico ( psicologia sociale e filosofia) ", Estratto da Atti dell'Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, 1960, LXXI , 62pp. "La storiografia e la metodologia scientifica contemporanea ", in Cultura e Società (Salerno), 1960, I fas. 3, pp. 578 - 621. "I problemi della filosofia attuale al Congresso di Venezia", in Cultura e Società (Sa-lerno), 1960, I fas. 3. 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Franco Angeli, Milano 1988 pp.263 - 281. "La rilevanza filosofica degli universali fonologici" in Il Contributo 1988, XII, pp. 11 - 30. "La città perduta" in AA.VV. La Cifra, pensiero, scrittura, proposte. Spirali, Milano 1989, pp. 95 - 98. "Evidenza e parola : il presupposto della comunicazione" in AA.VV. Le forme del silenzio e della parola, Morcelliana, Brescia 1989, pp. 431 - 453. "Deissi della Terra" in Riscontri , 1990, XII, pp.37 - 53. "Inibizione e motricità" in Corporeità, 1990, III,n.3, pp. 11 - 14. "Filosofia e computers" in Il Contributo, 1990, III. "Il messaggio iconico del tessuto urbano" in Ciro Robotti, a cura di, Monteodorisio Capone Editore, Lecce 1990, pp. 121 - 124. "Semiosi iconica e comprensione della Terra" in Idee ( Rivista di filosofia) 1990, V pp.37 - 49. "Denotation and Corporeity in Leviathan" in Metalogicon 1991, IV pp. 69 - 81. "L' opera di John C. Eccles e gli studi sulla corteccia cerebrale " in Corporeità 1991, IV, pp. 13 - 14. "Russell e Wittgenstein" in Wittgenstein a Cassino, a cura di F.L.Marcolungo, Borla, Roma 1991 pp. 55 - 65. "Memoria e struttura cellulare" in Corporeità 1991, IV pp. 9 - 11. "Îckaliete ettawassel fi majal ettabadul ettakafî " (= Fedeltà culturale e progresso) testo francese tradotto in arabo dal prof. Taoufik Chérif, in El-Mulhik Etakafi (= Per la civiltà), Tunisi 1991. "Il problema del fondamento nella filosofia italiana del 1900" in Il Giornale della Filosofia 1992, III, p. 2. "Eva in pericolo" in Corporeità, 1992, V pp. 10 - 11. "L' uomo e l'educazione" Quaderni di studio del Centro Scolastico Nazionale "Settembrini" Quaderno 3, 1992 , 29 pp. "Il problema del fondamento" in Il problema del fondamento e la filosofia italiana del novecento, a cura di P. Ciaravolo, Pubblicazioni del Centro per la filosofia italiana, Roma 1992 pp. 217 -219. "Per una concezione epidemiologica della storia" in Corporeità 1993, VI , pp. 6 - 8. "Ayer's Treatment of Russell" in Lewis Edwin Hahn ed. The Philosophy of A.J.Ayer,Open Court, La Salle,Illinois 1992 pp. 517 - 541. " La crisi psicologica della cultura occidentale fra il '500 ed il '66" in Cecilia Albarella e Nestore Pirillo, a cura di, L'incognita del soggetto e la civilizzazione , Liguori Editore, Napoli 1993, pp. 111 - 142. "L' uomo, il mondo e gli elementi da Zarathustra a Muhammad" in AA.VV. Filosofia ed ecologia, Organo del Centro per la Filosofia Italiana, Roma 1993. "Storicismo e culture in Vico" in Riscontri 1993, XV pp. 35 - 47. " Problèmes de communication linguistique dans les échanges interculturels " in A.Chenoufi, T.Chérif, S.Mosbah, N.Elounelli, Critique et Différence. Actes du XXIIIe Congrès de l'Association des Sociétés de Philosophie de Langue Française, Société Tunisienne des Etudes Philosophiques, Tunis 1994, pp. 379 - 383. " Wittgenstein versus Russell : On Logical Realism" ( replica alla replica di A.J.Ayer in L.E.Hahn ed. The Philosophy of A.J.Ayer, Open Court, La Salle, Illinois 1992 pp. 542 - 544 ) in Wittgenstein Studies, Passau, Deutsche Ludwig Wittgenstein Gesellschaft e. V., Disk 2, 1995. "Images et mots dans les sciences de la nature" in Actes du XXVe Congrès de l'ASPLF, Lausanne 25 - 28 août 1994, a cura di Daniel Schulthess, Société Romande de Philosophie, Lausanne 1996. "La cultura occidentale " in Filosofia e Società, a cura di Lido Chiusano, vol. XI, Ga eta 1994 pp. 7 - 27. "The Vichian Concept of Interaction among Nations" in Metalogicon 1994, VII, pp.121 - 132. "La diffusione delle lingue indo-europee" in Il Contributo 1994, VII pp. 3 - 21. "Dall'uomo microcosmo all'uomo macchina" in Paola Giacomoni, a cura di, Immagini del corpo in età moderna Università di Trento, Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche, Trento 1994 pp. 25 - 71. "Come la filosofia può aiutare a ricominciare" in Il Mezzogiorno (Salerno) Domenica 22 Maggio 1994 pp. 1 - 2. "La libertà e le libertà" in Il Mezzogiorno (Salerno) Venerdì 14 Ottobre 1994, p. 25. "Bossi sogna l'Italia pre-unitaria e vuole rifilarci le macroregioni" (titolo dato dalla redazione) in Il Mezzogiorno (Salerno) Giovedì 10 Novembre 1994, p. 1. "Il federalismo del senatur"( titolo dato dalla redazione) in Il Mezzogiorno (Salerno) Venerdì 18 Novembre 1994 p. 21. "Per una università al passo con i tempi" in Il Mezzogiorno (Salerno) Venerdì 2 Dicembre 1994 p. 26. "La lezione della Bosnia" in Il Mezzogiorno (Salerno) Giovedì 15 Dicembre 1994 p.1. "Il ritorno di Buhla in terra pellerossa" in Il Mezzogiorno (Salerno) Giovedì 29 Dicembre 1994. "Per una pedagogia del lavoro" in AA.VV. Attualità dei problemi educativi per la prevenzione delle devianze minorili, Pontificio Santuario di Pompei, Pompei 1994. " C'era una volta sulla Terra un dinosauro" (Titolo dell'Autore: "Verso un nuovo catastrofismo?") in Il Mezzogiorno (Salerno) Mercoledì 11 Gennaio 1995 p. 26. "La scienza e la malattia del secolo" in Il Mezzogiorno (Salerno) Giovedì 19 Gennaio 1995, p.26. "Sotto una radiosa campana" (Titolo dell' Autore "Il Sole è una campana?") in Il Mezzogiorno (Salerno) Sabato 21 Gennaio 1995 ,p. 25. "L'Algeria da scoprire e capire" in Il Mezzogiorno (Salerno) Domenica 29 Gennaio 1995, p. 26. "I gravi pericoli del calore" in Il Mezzogiorno (Salerno) Martedì 14 Marzo 1995, p. 226. "Inquinamento male antico" (Titolo dell'Autore: "Dalla Groenlandia una denuncia per inquinamento agli antichi Greci e Romani") in Il Mezzogiorno (Salerno) Sabato 1 Aprile 1995, p. 26. "Gödel, Turing e la fine del moderno" in Riscontri 1994, XVI pp. 27 - 49 ed in AA.VV. Fenomenologia e filosofia del linguaggio.Studi in memoria di R. Pucci, Loffredo Editore, Napoli 1996, pp. 181 - 199. "Mistero e paradosso del tempo" in Filosofia e Società a cura di Lido Chiusano, vol. XII, n.s. vol. IV, Gaeta 1995 pp. 73 - 83. "Il problema mente-cervello e l'educazione nella scuola dell'infanzia" in S.Neri e G.Velardo , La mente del bambino, Atti del Seminario di Studi, Sorrento , 1 - 5 dicembre 1Ministero della Pubblica Istruzione, Servizio Scuola Materna , Roma 1995, pp. 3 - 25. "Il processo di rappresentazione e di simbolizzazione" in S.Neri e G.Velardo , La mente del bambino, Atti del Seminario di Studi , Sorrento, 1 - 5 dicembre 1995. Ministero della Pubblica Istruzione, Servizio Scuola Materna , Roma 1995, pp. 119 - 158. "Vico and Wittgenstein" in C.Tagliacozzo e D. Ph. Verene, Vico's Science of Humanity, John Hopkins, Baltimore, London 1996, pp.263 - 273. "L'autoprogettazione educativa nel processo di orientamento" in Orientamento scolastico e professionale 1996, XXXVI pp. 9 - 26. "La traduzione interculturale" In Il problema della diversità : natura e cultura, Atti del Convegno , Roma 1996 pp. 35 - 53. "Le genti del Maghreb tra Islam e cultura occidentale" in Riscontri , 1996, XVIII pp. 53 - 83. "Recenti scoperte sulla plasticità sinaptica" in Corporeità 1996 (pubbl. 1999), IX, pp. 1 - 2. "Mente, cervello, educazione infantile" in Mente, Simbolizzazione, Educazione infantile. Atti del Seminario di Studi di Taormina 12 -14 dicembre 1996. Ministero della Pubblica Istruzione, Servizio Scuola Materna, Roma 1996. "Définition du vivant" in La vie et la mort, Société Poitevine de Philosophie, Poitiers 1996, pp. 117 - 119. "Una patria federale" in Scienza e Sapienza 1997 , II, pp. 85 - 90. "Problema o pseudo-problema del tempo? " in Società di Filosofia del linguaggio. Annuario 1996. Edizioni Nemo, Padova 1996 pp. 61 - 71. "El Khalk wa El wafa Thakafi" (= Creazione e cultura) trad araba di Taoufik Chérif in El Hayat El Thakafia ( = La vita culturale. Organo del Ministero Tunisino della Cultura), 1996 ottobre, pp. 23 - 26. "Sul dibattito mente-cervello-educazione dell'infanzia " in L' educatore 1997, XLIV, pp. 34 - 46. "Amalfi et la Tunisine au moyen âge in Les cahiers de Tunisie. Revue de Sciences Humaines, 1997, XLIX pp. 13-28. "Logica e semantica del nous aristotelico e del cogito cartesiano" in Riscontri 1998, XX, pp. 35 - 51. "Filogenesi, ontogenesi e biologia del linguaggio: strutture superficiali e strutture profonde" in Scienza e Sapienza 1998, III, pp. 61 - 132. "I diritti e le pene" in La giustizia tra etica e diritto, Fascicolo di Il Contributo, Centro per la Filosofia Italiana, 1998, XIX pp. 13 - 18. "La place de Descartes dans la culture occidentale" , in Revue Tunisienne des Etudes Philosophiques, 1998, XIII pp. 83 - 94. " Nominare i morti " in Società di Filosofia del Linguaggio. Annuario 1998 , Roma 1998 pp.75 - 98. "L'Imaginaire métaphysique" in Metalogicon , 1999, XII pp. 81 - 88. "Descrizione mentalistica e descrizione fisica" in Riscontri, 1999, XXI pp. 51 - 66. "Globalizzazione e pluralità di culture" in Scienza e Sapienza, 1999, IV, pp. 55 - 137. "Presentazione" del volume: Vincenzo De Santis, Louis Althusser. Un interprete trascurato di Marx. Palladio, Salerno 1999, pp.7- 10. 263."Amputazioni e modifiche cerebrali" in Corporeità 1999, XII , pp.5 - 7. "The Language of Evidence in English Law" in M. Carapezza e F.Lo Piparo , a cura di, La regola linguistica. Atti del VI Congresso di studi della Società di Filosofia del Linguaggio, Novecento, Palermo 2000, pp. 119 - 127; ed in Metalogicon, XIV, 2001 pp. 49-60. "De l'imaginaire naturel à l'imaginaire techno-génétique" in Rachida Triki, a cura di, Arts et Transcréation, Association Tunisienne d'Esthétique et de Poïétique, Editions Wassiti, Tunis 2001, pp.57 - 66. "La sémantique du temps" in Le Temps. Revue Tunisienne des Etudes Philosophiques, XVI, 2001 pp.17-29. "Il Mediterraneo dall' antichità all'Islâm" in Riscontri, 2001, XXIII, pp. 33-47. "Presentazione" di: Alfredo Di Cicilia, Basi neurali e fattori ambientali nello sviluppo del linguaggio, Dema, Bagnoli Irpino 2002 pp.1-4. "Russell's Logic in Tractatus logico-philosophicus", in P. Frascolla, a cura di Tractatus logico-philosophicus:Sources,Themes,Perspectives. Proceedings of the International Workshop, Lagopesole 25th-26th October 2000, Università degli Studi ndella Basilicata, Potenza 2002. "Giambattista Vico e Ibn Khaldun sull'origine delle nazioni" in Riscontri 2002, XXIV, pp.35-61. "Il problema storiografico delle origini islamiche" in Riscontri 2002, XXIV, pp. 39-65. "La paix pour une société balancéee" in AA.VV. La philosophie et la paix. Actes du XXVIIIème Congrès International de l'Association de Sociétés de Philosophie de Langue Française 29 août- 2 septembre 2000, Vrin, Paris 2002 tome II, pp. 747- 751. "L'invention persuasive dans la rhétorique d'Aristote" in Association Tunisienne d'Esthétique et de Poïétique, CRÉATION, nécessité et hasard>, Textes réunis par Rachida Triki, El-Menzah (Tunisie) 2003 pp.29-36.  "Muscoli, sport e riabilitazione" in Corporeità ( pubbl. effettiva 2003 agosto) 2000,XIII, pp. 8-13. "Il problema storiografico delle origini islamiche" in Riscontri 2002, XXIV, pp. 39-65. "Ruolo degli ahâdîth nell' Islâm " in Riscontri 2004, XXVI pp.45-63. "Società occidentale e società islamica" in Filosofia e società, di Biblioteca, Gaeta 2003-2004 pp.43-56. "La Cupola della Roccia e le origini islamiche" in Riscontri 2004, XXVI pp. 53-74. "Migliorare i muscoli attraverso il genoma" in Corporeità (pubbl. effettiva ottobre 2005) 2003, XVI pp.3-7. "On Denoting : 100 years. Russell's Theory of Descriptions" in Metalogicon (2005) XVIII, 2 pp. 29-40. "Perche' il Convitto?", in 1807-2007 Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II Napoli. Oltre il Bicentenario. La Memoria dell'Istituzione. A cura di Vincenzo Raccioppi. Napoli, maggio 2007, pp.25-43.Emanuele Riverso. Riverso. Keywords: la forma del segno, la tappa, le tappe, riferimento, ri-ferire, vico, animale raggionavole, magia e scienza, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Riverso” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Roccoto: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). To be identified.

 

Grice e Rodano: la ragione conversazionale dell’immunità e della comunità, o l’implicatura dei comunisti – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano . Fondatore del “catto-comunismo.”  E tra i fondatori del movimento dei cattolici comunisti, poi sinistra cristiana. Studia a Roma. Frequenta la Scaletta. Milita nell'azione cattolica e nella FUCI presieduta da Moro. Entra in contatto e collabora con anti-fascisti d'ispirazione cattolica -- Ossicini, Pecoraro, Tatò e altri -- comunista -- Bufalini, Amendola, Ingrao, Radice e altri --, del partito d'azione e liberali -- Malfa, Solari, Fiorentino fra gl’altri. Partecipa al movimento dei cattolici anti-fascisti. Con Ossicini e Pecoraro tra i promotori e dirigenti del partito co-operativista sin-archico -- poi partito comunista cristiano -- e ne redige i principali documenti. Fa parte, con Alicata e Ingrao, del trium-virato dirigente le II distinte organizzazioni clandestine, comunista e comunista cristiana. Scrive saggi sull’Osservatore Romano. Arrestato dalla polizia fascista in una generale retata dei militanti del partito comunista cristiano, e deferito al tribunale speciale con altri suoi dirigenti. Il processo non ha luogo per la caduta del fascismo. Nel periodo badogliano ha intensi scambi d'idee con i compagni di partito e altre personalità anti-fasciste sulla linea da seguire. Stringe amicizia con Luca e Pintor. Collabora al “Lavoro”, diretto da Alicata, comunista, Vernocchi, socialista, e Gaudenti, cattolico. Sotto l'occupazione nazista di Roma fonda il movimento dei cattolici comunisti, e ne redige i documenti teorico-politici. Scrive saggi sui 14 numeri usciti alla macchia di “Voce operaia”, organo dello stesso movimento dei cattolici comunisti. Liberata Roma, il movimento di cattolici comunisti prende il nome di partito della sinistra cristiana. Vi confluiscono i cristiano-sociali di Bruni. Vi partecipano anche Balbo, Sacconi, Barca, Amico, Chiesa, Valente, Mira, Tatò, Tedesco, Parrelli, Tranquilli, e Rinaldini.  Stringe un rapporto di amicizia e collaborazione -- che non sarà privo di momenti di dissenso critico --con Togliatti. Su Voce Operaia, pubblicata adesso legalmente, scrive numerosi saggi. In IV di essi sostiene la prosecuzione dell'IRI e ciò segna l'inizio della sua amicizia con Mattioli. S'incontrano, a casa di R. e con la sua mediazione, Togliatti e Luca, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento comunista italiano. A conclusione di un congresso straordinario, il partito della sinistra cristiana si scioglie. Sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e perciò al partito comunista il compito di affrontare la questione cattolica, superando le pre-giudiziali a-teistiche e del dogmatismo marxista. Si adopera perciò per ottenere modifiche nello statuto del partito comuista, che consentano l'iscrizione e la militanza in esso indipendentemente dalle convinzioni ideo-logiche e religiose, modifiche che saranno adottate dal partito comunista nel suo congresso. Entrato nel partito comunista,  scrive su periodici ufficiali di tale partito o ad esso vicini. Particolarmente numerosi i suoi saggi su Rinascita. Vi ha largo spazio l'invito ai cattolici a lavorare in politica e nelle altre dimensione della storia comune degl’uomini in spirito di laicità, evitando quindi improprie commistioni con la fede religiosa. Questa posizione approfondita nel corso di tutta la sua opera ed essenziale per comprenderla contrasta con la linea della chiesa di Pio XII, che coglie l'occasione di due suoi saggi sulla condizione economica del clero (Rinascita) per comminargli l'interdetto dai sacramenti, accusandolo di fomentare la lotta di classe all'interno delle gerarchie (L'interdetto e tolto sotto Giovanni XXIII). Cura i saggi politici di “Lo Spettatore”. Scrive sul Dibattito Politico, diretto da Melloni e Bartesaghi, teso a una difficile mediazione tra le posizioni politiche del mondo cattolico e di quello comunista e socialista, nel distinto riconoscimento dei rispettivi valori e motivi ideali. Vi collaborano tra gli altri Chiarante, Magri, Baduel, Salzano. Durante il pontificato di Giovanni XXIII opera, tramite Togliatti, per la trasmissione ai dirigenti della proposta, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento comunista italiano.  A conclusione di un congresso straordinario, il PSC si scioglie. R.sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e perciò al PCI il compito di affrontare accolta, di uno scambio di messaggi in occasione del compleanno di papa Roncalli. L'iniziativa sarà il primo segno di disgelo tra URSS e s. sede. Si svolge un serrato dialogo tra R. e NOCE (si veda), che mette in chiaro la diversità delle rispettive posizioni. Fonda con Napoleoni La Rivista trimestrale, affrontando nodi teorici e politici di fondo. Ancora con Napoleoni, e Ranchetti, dirige la scuola di scienze politiche ed economiche,  rivolta a militanti del movimento. Collabora alla rivista “Settegiorni”, diretta d’Orfei e Pratesi, in cui fra l'altro scrive una serie di interventi d'intensa riflessione teologica, le Lettere dalla Valnerina. Chiusasi l'esperienza della Rivista Trimestrale, R. scrive sui Quaderni della Rivista Trimestrale, diretti da Reale, cui collaborano, insieme a Sacconi, Salzano, Tranquilli, Gasparotti, Rinaldini, Reale, Agata, Vincenti, Montebugnoli,  Padoan, Sacconi, Zevi, R. e R., ed altri.  Lo si considera l'esponente più autorevole del “catto-comunismo”: "i rapporti di R. con il mondo cattolico sono stati indagati a fondo. Quelli con Togliatti -- che furono rapporti personali assai intensi -- assai poco, come quelli con Berlinguer -- all'Istituto Gramsci si conservano tre vaste memorie che scrive per Berlinguer -- anche se il rapporto stretto di questi con Tatò è sufficiente a delinearne l'influenza".  Nella stagione del compromesso storico proposto da Berlinguer e oggetto prima di attenzione, poi di cauta convergenza da parte di Moro, R. elabora i fondamenti teorici di una politica diretta a non ridurre l'incontro tra le grandi forze storiche del comunismo, del socialismo e del cattolicesimo democratico a una mera operazione di governo, ma a farne una strategia di lungo periodo di trasformazione della società. Quella stagione e quelle prospettive vengono improvvisamente troncate dall'ASSASSINIO DI MORO. S'intensificano, all'epoca, i suoi contatti personali con esponenti del PCI, del PSI, della DC e di altri partiti -- Malfa, Malagodi, Visentini -- su problemi politici a breve e lungo termine. Pubblica saggi su vari periodici e sul quotidiano Paese Sera, quasi settimanalmente. Altre saggi: “Sulla politica dei comunisti” (Boringhieri, Torino); “Questione demo-cristiana e compromesso storico” (Riuniti, Roma), “Lenin da ideologia a lezione” (Stampatori, Torino); “Lettere dalla Valnerina” (Pratesi, La Locusta, Vicenza); “Lezioni di storia possibile” -- Tranquilli e Tassani (Marietti, Genova); “Lezioni su servo e signore” – Tranquilli (Riuniti, Roma); “Cattolici e laicità della politica” Tranquilli (Riuniti, Roma); “Cristianesimo e società opulenta” – Mustè (Storia e letteratura, Roma). Saggi sono spubblicati in numerosi periodici e quotidiani, tra i quali l'Osservatore Romano, Primato, Voce Operaia  Rinascita Il Politecnico, Unità, Vie nuove, Società, Cultura e realtà, Lo Spettatore Italiano, Il Contemporaneo, Il Dibattito Politico, Argomenti, La Rivista Trimestrale, Settegiorni, Quaderni della Rivista Trimestrale, Paese Sera, Città Futura, Nuova Società, e Il Regno. I saggi più importanti, pubblicati sulla Rivista Trimestrale e sui successivi Quaderni, sono “Risorgimento e democrazia, Il processo di formazione della società opulenta”; “Il pensiero cattolico di fronte alla società opulenta”; “Egemonia riformista ed egemonia rivoluzionaria”; “Nota sul concetto di rivoluzione”; “Significato e prospettive di una tregua salariale; “Il centro-sinistra e la situazione del paese”; “Marx, A proposito del convegno delle ACLI a Vallombrosa”; “Su alcune questioni sollevate dal movimento studentesco; “Con Dopo Praga: considerazioni politiche sulla storia del movimento operaio, A proposito dell'autunno caldo”; “Considerazioni sulla dialettica sociale dell'opulenza”; “La peculiarità del partito comunista”; “Dopo il congresso del partito comunista: il nodo al pettine”, “I germi di comunismo”; “La questione demo-cristiana”; “La proposta del compromesso storico”; “Dopo la morte di Mao Tse-tung: la lezione di una grande esperienza, con Tranquilli; “Considerazioni sulla strategia dei comunisti italiani”; “Egemonia e libertà delle opinioni”; “Considerazioni sui fenomeni di eversione”; “La politica come assoluto”; “Note sulla questione”; “La specificità umana e condizione storica: dopo la lettera di Berlinguer al vescovo di Ivrea: laicità e ideologie”; “Alla radice della crisi”; “L'incompatibilità tra capitalismo e democrazia”; “È possibile una soluzione reazionaria?” “Idee e strumenti della manovra reazionaria”; “Roluzione” “Rivoluzione”; “Filosofia della storia”; Rivoluzione in Occidente e rapporto con l'URSS,  Il senso di una grande lezione: per una lettura critica di Lenin”; “Per un bilancio del compromesso storico”; “Innovazione e continuità”; “Contratti e costo del lavoro: imprese e sindacati, partiti e istituzioni”; “La chiesa di fronte al problema della pace”. Craveri, Una critica pregnante, in Mondoperaio, Teorico del compromesso storico Archivio la stampa. Noce: Lettera a R. -- Regno-attualità  --; Cinciari: Cattolici comunisti, n Enciclopedia dell'anti-fascismo e della resistenza, Milano; Bedeschi: Cattolici e comunisti (Feltrinelli, Milano); Cocchi, Montesi: Per una storia della Sinistra cristiana (Coines, Roma), Casula: Cattolici-comunisti e Sinistra cristiana (Mulino, Bologna); Tassani: Alle origini del compromesso storico (EDB, Bologna); Ruggieri, Albani: Cattolici comunisti? (Queriniana, Brescia); Repetto: Il movimento dei cattolici comunisti: problemi storici e politici -- Quaderni della Rivista Trimestrale; Ricordo, Broglio, "Un cristiano nella sinistra", in "Nuova Antologia", Giannantoni, Alema, Ingrao: Dibattito in Rivista Trimestrale, Nuovo Spettatore Italiano, Bella: “Lo Spettatore Italiano” (Morcelliana, Brescia); Papini: Tra storia e profezia: la lezione dei cattolici comunisti (Univ., Roma); Landolfi, R.: la rivoluzione in Occidente, Palermo, Ila Palma, Raimondo: solitudine e realismo del comunista cattolico (Galzerano, Salerno); Tronti: Una riflessione -- in Rivista Trimestralen; Manacorda: lettore di Marx in Critica marxista; Napoleoni, Cercate ancora (Riuniti, Valle); Napoleoni, Teoria politica; Noce: Il comunista (Rusconi, Milano); Tranquilli: Fede cattolica e laicità della politica -- in Teoria Politica; Tranquilli: Realtà storica e problemi teorici della democrazia  -- in Bailamme, Reale: Sulla laicità: considerazioni intorno alle relazioni fra atei e credenti -- in Novecento, Bellofiore: Pensare il proprio tempo. Il dilemma della laicità in Napoleoni, in Per un nuovo dizionario della politica (Riuniti, Roma);  Capuccelli, Lucente: La riflessione teorica di R. dalla Sinistra Cristiana alla “Rivista Trimestrale” -- tesi di laurea in scienze politiche, Milano -- Istituto Gramsci: Convegno commemorativo di R., Roma --; Mustè, “Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino); lbani: La storia comune degli uomini. Ri-leggendo R. -- in Testimonianze, Papini: La formazione di un cattolico -- Tra la Congregazione mariana La Scaletta e il liceo Visconti, in Cristianesimo e storia, Possenti: Cattolicesimo e modernità. Balbo, Noce, R. (Milano); Mustè: Fra NOCE e R.: il dibattito sulla società opulenta, La Cultura; Mustè: R.: laicità, democrazia, società del superfluo (Studium, Roma). "Cristianesimo e società opulenta", a cura e con introduzione di Mustè (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, Parlato: L'utopia in Manifesto, Melchionda: R. (in Aprile, Rosa, "R.; il cristianesimo e la società opulenta", in "Ricerche di storia sociale e religiosa", Chiarante: Tra Gasperi e Togliatti. Memorie (Carocci, Roma; Pandolfelli: Marxismo, Scienze politiche, Roma; Tassani:"Il Belpaese dei Cattolici", Cantagalli, "La traccia e la prospettiva teorica di R." MORO, R. e la storia del 'partito cattolico' in Italia", in Botti, Storia ed esperienza religiosa. Urbino, Quattro Venti, Hanno detto di lui: la sua vita testimonia, in modo esemplare, quanto possa essere forte, nell’uomo, la dedizione all’impegno intellettuale e ai grandi ideali, tra i quali la politica intesa nel senso più nobile e più alto dell’accezione. Portatore d’una fede religiosa profondamente sentita e sofferta, ha avuto costantemente con sé il dantesco “angelo della solitudine”: durante l’intera sua vita, infatti, mai si è sottratto al rovello e al dubbio; mai ha preferito la comoda via dei pigri, degli opportunisti e dei neutrali. La sua prima scelta di campo nell’Italia divisa in due,  fu doppiamente coraggiosa: la resistenza al nazi-fascismo ed il tentativo di conciliare nel Movimento dei cattolici comunisti i valori della tradizione cristiana e cattolica con quelli della rivoluzione d’ottobre. E così continuò senza paura e con sacrificio personale in tutti questi anni promuovendo con le sue tesi, tra consensi e dissensi, un continuo dibattito. La sua “inquietudine” è, dunque, sincera e feconda, sorretta da uno spirito virile, ma al fondo sensibile ed umanissimo. Certamente sarà ricordato dallo storico del futuro con queste sue peculiarità di intellettuale originale, pugnace e coraggioso. In questo modo l’ho visto e conosciuto, e così rimarrà per sempre nella mia memoria. Pertini, Quaderni della Rivista Trimestrale. Ritengo che la sua vita e la sua opera abbiano fornito una prova concreta e significativa della validità di due principi che egli ha serenamente professato e praticato e che, anche con il suo personale contributo, sono acquisiti al patrimonio teorico e ideale del partito comunista. Il primo è la distinzione e l’autonomia reciproca della politica e della fede religiosa -- o della convinzione filosofica o del “credo” ideologico. Il secondo è l’affermazionefatta da Togliatti, formulata in una tesi approvata dal X congresso del partito e sviluppata poi nelle tesi del XV congresso secondo la quale un cristianesimo genuinamente vissuto non soltanto non si oppone, ma è anche in grado di sollecitare un’azione che può contribuire alla battaglia per la costruzione di una società più umana, più libera e più giusta di quella capitalista. Berlinguer, Quaderni della Rivista Trimestrale. C’era nella sua avversione al misticismo, all’indistinto, all’anarchismo, una grande lezione di umanesimo storico e costruttivo. La drammaticità con cui sentiva i rischi di un capovolgimento della democraziavissuta nei suoi angusti limiti democraticisticiin corporativismo e in anarchia, e, quindi, la possibilità di una replica autoritaria, è tuttora inscritta nella nostra vita quotidiana, nella fase che stiamo attraversando. Bene: distinguere per collegare; stabilire i confini del campo di ciascuno, da cui discende l’autonomia della politica dalla religione e dalle ideologie. Per questo ritengo che occorra respingere le sollecitazioni di quanti pensano di poter rimuovere la questione di fondo posta da R.. Quella questione oggi riguarda, a mio avviso, il confine mobile tra progresso e conservazione” Occhetto, Quaderni della Rivista Trimestrale, Per chi ha seguito, anche talvolta dissentendo, la filosofia di R. e lo ha spesso messo a confronto con la visione di MORO, appare chiaro che gli insegnamento di R. come quelli di MORO non hanno solo valore per la ricostruzione storica di una fase politica conclusa, ma hanno invece valore e significato come guida per la costruzione di un processo di allargamento della democrazia, di sviluppo e di confronto e di un dialogo che sono ancora più che mai attuali, perché attuali e non risolti sono i grandi problemi nazionali che richiedono sì maggioranze e governi più efficaci e risoluti, ma anche un più largo consenso popolare da realizzarsi col confronto, col dialogo, con la partecipazione, sia pure a vario titolo, ad un unico disegno di tutte le forze politiche rappresentative dell’intera realtà popolare. Galloni, Quaderni della Rivista Trimestrale, “benché creda che la storia sia opera di molti, e non di singole personalità pur spiccatissime, ho sempre ritenuto che il ruolo esercitato da R. nella vicenda italiana di questi decenni sia stato assolutamente fuori del comune, e portatore di cambiamento come a pochissimi altri è stato dato. Ciò dico soprattutto in riferimento alla storia e alle trasformazioni del partito comunista italiano, nei cui confronti Rodano ha esercitato una funzione liberatrice e maieutica che, se non temessi di far torto alla complessità del processo di un grande movimento di massa e agli innumerevoli apporti di cui esso è sostanziato, non esiterei a definire demiurgica.»  Valle, Quaderni della Rivista Trimestrale. Lasciamo ad altri le banalità sul consigliere del principe o sul consulente per i rapporti con il mondo cattolico o con il Vaticano. Togliatti ne fu attratto e interessato certo, anche perché l’esperienza di R., le sue riflessioni, le sue frequentazioni arricchivano il Partito di qualcosa che altrimenti non sarebbe venuto. Forse qualcosa di analogo era stato per Gramsci e per Togliatti l’incontro con Godetti. Che conoscesse e stimasse Ottavini, che fosse intimo di Luca, non era importante perché ciò rappresentava un “canale”. E iuttosto decisivo che un giovane così ascoltasse e parlasse, che si trovasse a casa sua tra i comunisti, che per farlo soffrisse fino alla persecuzione vaticana, riuscendo sempre ad essere fedele nel senso più pieno del termine. Paietta, Quaderni della Rivista Trimestrale. Rrimane uno dei pochi uomini la cuia filosofia rende possibile l’appellativo di femminista anche per un appartenente al sesso maschile. La sua continua attenzione dalla questione femminile derivava, certo, da una molteplicità di circostanze. Vi influiva la ricerca su quello che egli stesso define il processo di umanizzazione dell’uomo, nel cui quadro la liberazione della donna costitusce ben più di una semplice componente o misura, ma piuttosto una delle condizioni decisive per una reale, generale fuoruscita dall’alienazione e dallo sfruttamento umano. Oggi più d’uno ambirebbe, revanchisticamente, a considerare conclusa la stagione femminista. E invece il vero problema per le donne, per la democrazia, per il mutamento, è la perpetuazione e il saldo attestarsi a un livello superiore del femminismo. Per questo il messaggio che può ben a ragione essere definito femminista nell’accezione più onnicomprensiva ed elevata, risulta tuttora rivolto alla speranza e soprattutto all’impegno: quell’impegno per cui egli ha consumato generosamente, e certo positivamente anche per la causa femminile, tutta intiera la sua vita. Tedesco, Quaderni della Rivista Trimestrale. Il mio primo interrogativo riguarda le scelte politiche che egli ha fatto, ponendosi come cattolico in contrasto con alcune direttive ecclesiastiche. Dove ha trovato forza e serenità, pur con sofferenza, per queste opzioni non rinunciando alla sua fede e alla sua appartenenza ecclesiale, sempre professata? Non ho trovato altra risposta che la sua fede teologale. La fede di Franco non era credenza dottrinale, magari utilizzata ideologicamente, o sottomissione alla gerarchia che poi si muta in ribellione; era adesione cosciente e ferma a Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, ancora vivente nella Chiesa. Questa fede comporta quel “sensus fidei” (ne ha parlato il Vaticano II nella Lumen Gentium) che diventa giudizio pratico nelle concrete situazioni per scelte che siano conformi alla volontà di Dio. È il discernimento di cui parla san Paolo nella Lettera ai Romani (12, 2) e che tanta parte ha nella dottrina spirituale cristiana. D. Torre, Quaderni della Rivista Trimestrale, Il rapporto con la chiesa, sia come comunità di fede che come istituzione, senza mediazioni di un partito cattolico rappresentava per R. un’occasione e una garanzia per depurare il movimento comunista non solo dall’ateismo scientista, ma anche di una visione totalizzante della rivoluzione politica e sociale. Il mito del regno dei cieli sulla terra e di una storia senza alienazioni. Corrispettivamente il movimento comunista e il portatore necessario di una trasformazione della società che non si presentasse come inveramento e compimento della razionalità illuministica, della rivoluzione borghese, ma anche e soprattutto come loro rovesciamento dialettico, e perciò offre un fondamento storico e materiale ad un mondo in cui le persone diventano centro e misura, liberate dalla rei-ficazione capitalistica, e perciò stesso base reale di un pieno sviluppo di un cristianesimo, non integralista, ma consapevole, diffuso, praticabile. Magri. Melchionda, in "Aprile", Dall'utopia alla secolarizzazione, Vassallo, Il consigliere di Berlinguer che ama la Contro-Riforma. Giornalista politico, Franchi, Corriere della Sera, Archivio storico. Treccani L'Enciclopedia italiana". Franco Rodano. Rodano. Keywords: immunità e comunità – filosofia italiana – i comunisti, il laico, democrazia, revoluzione, lotta di classe, societa opulenta, peculiarita dei comunisti italiani, anti-fascismo, arrestato dai fascisti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rodano” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rodippo: la ragione conversazionale ante la diaspora – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.

 

Rogatiano: la ragione conversazionale della filosofia della gotta – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A senator whose tutor is Plotino. He credits Plotino for helping him realise the importance of leading a frugal existence. He himself fasts every other day – to which he attributes his recovery from gout. Rogatiano.

 

Rogo: la ragione conversazionale dell’allievo di Filone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A pupil of Filone at Rome. Tertilio Rogo.

 

Grice e Romagnosi: la ragione conversazionale della Roma antica, e l’implicatura dei IV periodi: o, dal segno alla logìa -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Salsomaggiore). Filosofo Italiano. Important Italian philosopher. L'etica, la politica ed il diritto si possono bensì dis-tinguere, ma non dis-giungere. Non esiste un'etica pratica, se non mediante la buona legge e la buona amministrazione. Studia a Piacenza e Parma. Insegna a Parma e Pavia. Membro della società letteraria di Piacenza, dove legge i suoi saggi: “Discorso sull'amore considerato come motore precipuo della legislazione”; “Discorso sullo stato politico della nazione romana e italiana”; “L’opinione pubblica. Uno degl’Ortolani. Pubblica la “Genesi del diritto penale”; Cosa è eguaglianza e, Cosa è libertà; Primo avviso al popolo romano, che mostrano simpatie rivoluzionarie. Il suo incarico gli procura contrasti con il principe di Trento, Thun. Questi gli concede comunque il titolo di consigliere aulico d'onore. Schiere contro i principi della rivoluzione francese. Accusato di giacobinismo, è incarcerato a Innsbruck. Scrive “Delle leggi dell'umana perfettibilità per servire ai progressi delle scienze e delle arti”. Scopre gl’effetti magnetici dell'elettricità. R. anticipato la scoperta dell'elettro-magnetismo. Pubblica “Quale e il governo più adatto a perfezionare la legislazione civili”. Fonda il “Giornale di giurisprudenza universale”. Pubblica l’Istituzioni di Diritto amministrativo e Della costituzione di una monarchia costituzionale rappresentativa. Rerduna intorno a Milano una scuola o gruppo di giocco alla quale si formarono alcuni dei nomi più illustri del risorgimento: Ferrari (si veda), Cattaneo (si veda), Cantù (si veda), Defendente S. (si veda) e G. Sacchi (si veda). Collabora alla biblioteca italiana. Pubblica L’Assunto primo della scienza del diritto naturale. È arrestato e incarcerato a Venezia con l'accusa di partecipazione alla congiura ordita da Pellico, Maroncelli e Confalonieri. Pubblica “Dell'insegnamento primitivo delle matematiche” e “Della condotta delle acque”.  Pubblica l’Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica. Dirige gl’Annali Universali di Statistica  Tra i maggiori filosofi italiani, nel rinnovamento del pensiero giuridico italiano richiesto dalla necessità di codificare i nuovi interessi delle classi borghesi emersi con la rivoluzione francese e consolidati nel successivo codice napoleonico, è legata alla fondazione di una nuova scienza del diritto pubblico, penale e amministrativo, con uno spirito scientifico illuministicamente volto all'unificazione delle scienze giuridiche, naturali e morali. Studia pertanto la vita sociale nelle sue componenti storiche, giuridiche, politiche, economiche e morali. Considera l'uomo nelle forme della sua esistenza storica, nei modi in cui concretamente pensa e agisce in un contesto sociale determinato. In questo modo lo studio della storia rivela lo sviluppo dell'incivilimento umano.  Nella “Genesi del diritto penale”, opera che gli dette notevole fama e non solo in Italia, riprendendo tesi di BECCARIA, pone i problemi dell'utilità della punizione, della natura della colpa e del diritto. Dà una GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE della società che gl’appare un'unione necessaria tra gl’uomini, dialetticamente rapportati nel rispetto di una disciplina condivisa. L'uomo è lo stesso sia nello stato di natura che in quello di società, malgrado le diversità delle forme sociali. Pertanto gl’uomini hanno un diritto di socialità importante e sacro, quanto quello della conservazione di se stesso. La società è per R. l'unico stato naturale dell'uomo, respingendo così la dottrina di uno stato di natura *anteriore* allo stato sociale. Il cosiddetto stato di natura è solo un diverso stato sociale nella storia dell'umanità. Nell'introduzione allo studio del diritto pubblico universale, premesso che ogni complesso giuridico di basarsi sul bisogno della comunità, sostiene che lo scopo del diritto e il rafforzamento delle strutture civili e politiche della società. Nell'Assunto primo della scienza del diritto naturale, riprende temi sviluppati nella genesi del diritto. Sostiene che nella natura è tanto il principio di individualità quanto quello di socialità, e, pertanto, lo sviluppo umano avviene naturalmente verso uno stato di società, l'unico in cui si sviluppa l'incivilimento - termine ricorrente nei suoi scritti - un continuo processo verso stadi più avanzati di perfezionamento morale, civile, economico e politico.  E ancora nel Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento, con esempio del suo risorgimento in Italia si pone il problema di quale sia il motore del progresso umano nella storia. La tesi è che la società umana è l'organismo fattore di progresso, essendo in sé dotata di forze agenti in particolari condizioni storiche e ambientali. Lo sviluppo civile, suddiviso da R. in IV periodi -- I l'epoca del senso e dell'istinto, II l'epoca della fantasia e delle passioni, III l'epoca della ragione e dell'interesse personale e IV l'epoca della previdenza e della socialità -- vede un costante trasferimento, agl’organismi pubblici rappresentativi, delle funzioni sociali come se la natura si trasferisse progressivamente nella funzione rappresentativa. Il punto d'arrivo della civiltà è una forma sociale in cui prevalgono la proprietà e il sapere. Tale processo non è lineare. Il diritto ROMANO si afferma in condizioni civili arretrate. Ma, come una macchina i cui meccanismi migliorano nel tempo, la sua azione progressivamente perfezionata fa sorgere dal fondo delle potenze attive un sempre nuovo modo di ri-azioni e quindi d’effetti variati. L'incivilimento appare così una cosa complessa risultante di molti elementi e da molti rapporti formanti una vera finale unità simile a quella di una macchina, la quale scindere non si può senza annientarla. Il motore di siffatta macchina è il COMMERCIO, sviluppato a sua volta dal progresso dello stato sociale. Guardando allo sviluppo storico nazionale, vede nel medio-evo l'epoca in cui la città diviene luogo di aggregazione di possidenti, artisti, commercianti e dotti, favorendo le condizioni per la nascita dello stato italiano dallo stato romano anche se ai comuni medievali manca uno spirito politico nazionale perché presero la strada dal ramo industriale e commerciale per giungere al territoriale. Essi dunque ripigliarono l'incivilimento in ordine inverso. In quest'ordine trovarono i più gravi ostacoli avendo dovuto separare la professione dell’armi da quella del’arti e della mercatura. Per questo, bisogna sempre porsi il problema di un corretto modo di sviluppo e ora, nella società industriale, l'incivilimento è una continua disposizione delle cose e delle forze della natura pre-ordinata dalla mente ed eseguita dall'energia dell'uomo in quanto tale disposizione produce una colta e soddisfacente convivenza. Nella collezione degl’articoli di economia politica e statistica civile si trova espressa la fiducia nella sviluppo capitalistico e nella libera concorrenza economica, difesa contro le tesi di SISMONDI che vede nello sviluppo industriale una spaventosa sofferenza in parecchie classi della popolazione. I poteri pubblici fano rispettare le corrette regole della libertà di con-correnza, cosa che non avviene in Inghilterra dove ora si favorisce il popolo contro i mercanti, ora i possidenti e i mercanti contro il popolo e intanto si applica ancora il protezionismo. E inoltre un paese in cui non si applica IL DIRITTO ROMANO, fonte di equità civile. La mentalità empirica degl’inglesi non consente loro di pre-vedere ma solo di constatare i fatti. Polemizza col Saint-Simon, dottrinario che ostacola la libera con-correnza, assegna ogni ramo d'industria a guisa di privilegio personale, favorisce il popolo miserabile contro i produttori e abolire il diritto di eredità. I saintsimoniani vogliono far lavorare e poi lavorare senza dirmi il perché. Progresso non è che lavoro. Questo è l'ultimo termine, questo è il premio. L'uomo, secondo Saint–Simon, dovrebbe sempre progredire lavorando con una indefinita vista e senza stimolo. Ma voler far progredire l'industria e il commercio col togliere la possidenza è come voler far crescere i rami col distruggere il tronco. La proprietà ha un carattere naturale e, come la natura è la base di ogni società, negare la proprietà significa distruggere ogni possibilità di convivenza civile. Partendo dalla sua vasta esperienza giurisprudenziale e politica, auspica una nuova forma di filosofia civile, che studia le forme e condizioni dell'incivilimento storico della nazione romana e la nazione italiana, scoprendo la legge massima e unica delle vicende politiche, sociali e culturali dei popoli.  Riguardo al problema gnoseologico, per R. la conoscenza proviene dai sensi ma la sensazione non è di per sé ancora conoscenza, la quale si ottiene solo quando l'intelletto ordina e interpreta le sensazioni secondo proprie categorie, definite logiche – logìe --, con cui diamo segnature razionali alle segnature positive. Chiama compotenza questa mutua concorrenza di sensazioni provenienti dall'esterno e di elaborazione della nostra mente. Una logìa non è una idee formata nel momento della nostra nascita, ma a sua volta è il risultato della riflessione operata sull'esperienza empirica. La logìa è dunque a posteriori rispetto alla sensazione passata e a priori rispetto alla sensazione attuale. Pertanto, la conoscenza è in definitiva un a posteriori con un contenuto base empirico. Ma cosa conosciamo in realtà? I sensi non danno conoscenza delle cose in sé, ma di ciò che percepiamo delle cose. Conosciamo la rappresentazione che ci formiamo della cosa. Se il fenomeno non e copie esatta del reale, tuttavia è UN SEGNO a cui corrisponde in natura un’essere reale. Pertanto, una cosa esiste fuori di noi, non è una creazione dell’io trascendentale.  Non essendoci evidentemente posto per una meta-fisica nella sua costruzione filosofica, R. è attaccato dagl’spiritualisti e in particolare dal puritano SERBATI (si veda). Può a buon diritto essere considerato il precursore del positivismo italiano. Considera la contrapposizione di classico e romantico – nata nell'immediatezza della restaurazione e trascinatasi per oltre un ventennio con implicazioni letterarie, linguistiche e anche politiche - come impropria. Cerca di dare una soluzione alla controversia attraverso la sua concezione ilichiastica -- cioè relativa al tempo – cf. Grice, La costruzione ilichiastica dell’io -- della letteratura, secondo la quale la filosofia e consone all'età e al gusto del popolo romano e del popolo italiano, e suggere che le opere contemporanee dovessero corrispondere sempre al pensiero moderno di un popolo. L'ilichiastismo si rifà in sostanza alle sue concezioni sulla formazione della civiltà. Così espose la sua dottrina in Della Poesia, considerata rispetto alle diverse età della nazione romana e della nazione italiana. Sei tu romantico? Signor no. Sei tu classico? Signor no. Che cosa dunque sei? Sono “ilichiastico”, se vuoi che te lo dica in greco, cioè adattato alle età. Misericordia! che strana parola! Spiegatemela ancor meglio, e ditemi perché ne facciate uso, e quale sia la vostra pretensione.  La parola “ilichiastico” che vi ferisce l'orecchio è tratta dal greco, e corrisponde al latino “aevum”, “aevitas” -- e per sincope, “aetas”, “età,” la quale indica un certo periodo di tempo – nell’unita longitudinale della filosofia --, e in un più largo senso, il corso del tempo. Col denominarmi pertanto “ilichiastico,” io intendo tanto di riconoscere in fatto una filosofia relativa all’età, nelle quali si sono ri-trovato  e si trova il popolo romano e il popolo italiano, quanto di professare principj, i quali sieno indipendenti da fittizie istituzioni, per non rispettare altra legge che quelle del gusto, della ragione e della morale. Ma la divisione di romantico e classico, voi mi direte, non è dessa forse più speciale? Eccovi le mie risposte. O voi volete far uso di queste due parole, ‘classico’ e ‘romantico,’ per indicare nudamente il tempo, o volete usarne per contrassegnare il *carattere* della filosofia nelle diverse età. Se il primo, io vi dico essere strano il denominare ‘classica’ la filosofia romana antica, e filosofia romantica la media e moderna. L’eta antica (palio-evo), l’eta media (medio-evo), e l’eta moderna (neo-evo), sono fra loro distinti non da una divisione artificiale e di convenzione, ma da una effettiva rivoluzione. Se poi volete adoperare le parole di ‘classico’ e di ‘romantico’ per contrassegnare il carattere della filosofia romana e della filosofia italiana nelle diverse età, a me pare che usiate di una denominazione impropria. Quando piacesse di contrassegnare la filosofia coi caratteri delle tre diverse età – I: paleo-evo, II: medio-evo, III: neo-evo), parmi che dividere si potrebbe in I filosofia eroica (filosofia romana antica), II filosofia teocratica (filosofia del medio-evo), e III filosofia civile (neo-evo, moderna eta). Questi caratteri hanno successivamente dominato tanto nella prima coltura, che è sommersa dalle nordiche invasion dei barbari longobardi – dimenticami i goti – e d’arii -- , quanto nella seconda coltura, che è ravvivata e proseguita fin qui. Questi caratteri non esistettero mai puri, ma sempre mescolati. Dall'essere l'uno o l'altro predominante si determina il genere, al quale appartiene l'una o l'altra produzione filosofica. Vengo ora alla domanda che mi faceste, se io classico o romantic. E ponendo mente soltanto allo spirito di essa, torno a rispondervi che io non sono (né voglio essere) né romantico, né classico, ma adattato  alla mia eta, ed al bisogno della ragione, del gusto e della morale. Ditemi in primo luogo. Se io fossi nobile ricco, mi condannereste voi perché io non voglia professarmi o popolano grasso, o nobile pitocco? Alla peggio, potreste tacciarmi di orgoglio, ma non di stravaganza. Ecco il caso di un buon italiano in fatto di filosofia. Volere che un filosofo italiano sia tutto classico, egli è lo stesso che volere taluno occupato esclusivamente a copiare diplomi, a tessere alberi genealogici, a vestire all'antica, a descrivere o ad imitare gl’avanzi di medaglie, di vasi, d'intagli e di armature, e di altre anticaglie, trascurando la coltura attuale delle sue terre, l'abbellimento moderno della sua casa, l'educazione odierna della sua figliuolanza. Volere poi che il filosofo italiano sia affatto romantico, è volere ch'egli abiuri la propria origine, ripudj l'eredità de' suoi maggiori per attenersi soltanto a nuove rimembranze -- specialmente germaniche: i longobardi. Voi mi domanderete se possa esistere questo terzo genere, il quale non sia né classico né romantico? Domandarmi se possa esistere è domandarmi se possa esistere una maniera di vestire, di fabbricare, di “con-versare”, di scrivere, che non sia né antica, né media, né moderna. La risposta è fatta dalla semplice posizione della quistione. Ma questo III genere e desso preferibile ai conosciuti fra noi. Per soddisfarvi anche su tale domanda osservo primamente che qui non si tratta più di qualità, bensì di bellezza o di convenienza. In secondo luogo, che questa quistione non può essere decisa che coll'opera della filosofia del gusto, e soprattutto colla cognizione tanto dell'influenza dell'incivilimento sulla filosofia, quanto degl’uffizj della filosofia a pro dell'INCIVILIMENTO. Non è mia intenzione di tentare questo pelago. Osservo soltanto che questo III genere non può essere indefinito. E necessariamente il frutto naturale dell'età nella quale noi ci troviamo, e si troveranno pure i nostri posteri. Noi dunque non dobbiamo sull'ali della meta-fisica errare senza posa nel caos dell'idealismo, per cogliere qua e là l’ idea archetipo di questo genere. Dobbiamo invece seguire la catena degli avvenimenti, dai quali nella nostra età, essendo stata introdotta una data maniera di sentire, di produrre, e quindi di gustare e di propagare il bello, ne nacque un dato genere, il quale si poté dire perciò un frutto di stagione di nostra età. Per quanto vogliamo sottrarci dalla corrente, per quanto tentiamo di sollevarci al di sopra dell’ignoranza e del mal gusto comune, noi saremo eternamente figli del tempo e del luogo in cui viviamo. Il secolo posteriore riceve per una necessaria figliazione la sua impronta dal secolo anteriore. E tutto ciò derivando primariamente dall'impero della natura che opera nel tempo e nel luogo, ne verrà che il carattere filosofico, comunque indipendente dalle vecchie regole dell'arte, perché flessibile, progressivo, innovato dalla forza stessa della natura, e necessariamente determinato, come è determinato il carattere degl’animali e delle piante, che dallo stato selvaggio vengono trasportate allo stato domestico. Posto tutto ciò, l'arbitrario nel carattere della filosofia cessa di per sé. Si puo allora disputare bensì se il bello ideale coincide o no col bello volgare. Se il gusto corrente possa essere più elevato, più puro, più esteso; ma non si potrà più disputare se le sorgenti di questo bello debbano essere la mitologia pagana degl’antichi romani – o dei longobardi -- piuttosto che i fantasmi cristiani, i costumi cavallereschi piuttosto che gl’eroici, le querce, i monti o i castelli gotici, piuttosto che gl’archi trionfali, le are e i templi ROMANI. Il carattere attuale sarà determinato dall'età attuale e dalla località. Vale a dire dal genio nazionale romano e dal genio nazionale italiano eccitato e modificato dalle attuali circostanze, il complesso delle quali forma parte di quella suprema economia, colla quale la natura governa le nazioni della terra. Finisco questo discorso col pregare i miei concittadini a non voler imitare le femminette di provincia in fatto di mode, e ad informarsi ben bene degli usi della capitale. Leggano gli scritti teoretici, e soprattutto le produzioni di LA FILOSOFIA SETTENTRIONALE, e di leggieri si accorgeranno che se havvi in essa qualche pizzo di romantica poesia, niuno si è mai avvisato né per teoria né per pratica di essere né esclusivamente romantico né esclusivamente classico nel senso che si dà ora abusivamente a queste denominazioni. Troveranno anzi essersi trattati argomenti, e fatto uso di similitudini e di allusioni mitologiche anche in un modo, che niun LATINO O ROMANO antico MERIDIONALE si sarebbe permesso. Il solo libro dell'Alemagna della signora di Staël ne offre parecchi esempi.  Il pretendere poi presso di noi il dominio esclusivo classico, egli è lo stesso che volere una poesia italiana morta, come una lingua italiana morta. Quando il tribunale del tempo decreta questa pretensione, io parlo con coloro che la promossero. Durante il periodo del regno italico, è iniziato massone nella loggia r. giuseppina di Milano, di cui è in seguito oratore e maestro venerabile. È grande esperto all'atto della fondazione del grande oriente esponente di primo piano della massoneria di palazzo Giustiniani, grande oratore aggiunto del grande oriente e in questa funzione autore di vari discorsi massonici. Altri saggi: “Genesi del diritto penale”; “Che cos'è uguaglianza”; “Che cos'è libertà”, “Introduzione allo studio del diritto pubblico universale”; “Principi fondamentali di diritto amministrativo”, “Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa”; “Dell'insegnamento primitivo delle matematiche”; “Della condotta delle acque”; “Che cos'è la mente sana?”; “Della suprema economia dell'umano sapere in relazione alla mente sana”; “Suprema economia dell'umano sapere”; “Della ragion civile delle acque nella rurale economia”; “Vedute fondamentali sull'arte logica”; “Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento con esempio del suo risorgimento”; in Collezione degli articoli di economia politica e statistica e civile, con annotazioni di Giorgi (Milano, Perelli e Mariani); Opere, Milano, Perelli e Mariani, La scienza delle costituzioni,  I Discorsi Libero-Muratori, L'acacia Massonica, Scritti filosofici, Milano, Ceschina, Scritti filosofici (Firenze, Monnier); Stringari, R. fisico; Lanchester, R. costituzionalista, Giornale di storia costituzionale, Macerata: EUM-Edizioni Università di Macerata, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori (Mimesis-Erasmo, Milano-Roma); Studi in onore, Milano, Giuffrè, Per conoscere R., Milano, Unicopli, Albertoni, “La vita degli stati e l'incivilimento dei popoli nella filosofia politica di R.” (Milano, Giuffrè); Mereu, “L'antropologia dell'incivilimento in R. e CATTANEO (si veda)” (Piacenza, La Banca); E. Palombi, “Introduzione alla Genesi del Diritto penale” (Milano, Ipsoa); Tarantino, Natura delle cose e società civile. SERBATI e R.” (Roma, Studium); Treccani Dizionario di storia, Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, L'Unificazione, Dizionario biografico degl’italiani, Il contributo italiano alla storia del Pensiero. Gian Domenico Romagnosi. Romagnosi. Keywords: scienza simbolica, scienza simbolica degl’antichi romani, il vico di Romagnosi, la terza Roma, la prima Roma, la prima eta, la terza eta, la logica di Genovese, la matematica, Sacchi, Cattaneo, incivilamento, gl’italiani, la nazione italiana. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Romagnosi," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Romanoto: la ragione conversazionale e l’implicatura -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). To be identified.

 

Grice e Roncaglia: la ragione conversazionale alla palestra – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Studia a Roma e Firenze sotto GREGORY (si veda) e MAIERÙ (si veda). Insegna a Tuscia e Roma. Si dedica alla storia logica fra il medio-evo e Leibniz. Saggi: “Intero e frammentazione” (Roma, Laterza); Rivista di filosofia dell'intelligenza artificiale e scienze cognitive ; “Palaestra rationis: una discussione sulla copula e la modalità” (Firenze: Olschki); Università Roma Tre. Dimissioni organi consultivi Mi BACT. Note a margine del concorso per CCCCC funzionari del Ministero Beni Culturali: mezzo bibliotecario per ogni biblioteca? E la tutela di libri e manoscritti chi la fa? Tuscia. Gino Roncaglia. Roncaglia. Keywords: palestra. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Roncaglia” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Ronchi: la ragione conversazionale e la ragione conversativa -- il conversativo, o, filosofia della comunicazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Forlì). Filosofo Italiano. Si laurea a Bologna e consegue il dottorato a Milano sotto SINI. Insegna all’Aquila. Dirige “Filosofia al presente” per Textus, di L’Aquila e “Canone minore” per Mimesis di Milano. Dirige la scuola di filosofia Praxis. Si dedica alla passione -- “Sapere passionale” (Spirali, Milano) e alla questione della comunicazione intesa filosoficamente come partecipazione alla verità e fondamento ontologico della stessa pratica filosofica (“Teoria critica della comunicazione: dal modello vei-colare al modello conversazionale” (Mondatori, Milano) -- Grice: “I like ‘conversativo,’ Almost a Spoonerism for ‘conservative’!” --; “Filosofia della comunicazione. Il mondo come resto e come teo-gonia” (Boringheri, Torino). Propone  una revisione del modello vei-colare o standard della comunicazione e una critica al paradigma linguistico del vivente. Al problema della raffigurazione e al suo rapporto col dicibile nella filosofia è invece dedicato “Il bastardo: figurazione dell’invisibile e comunicazione indiretta” (Marinotti, Milano). Grice: “This shows a distinction between ‘ingelese italianato.’ To call indirect communication bastard would be a bit too much at Oxford!” --. Grazie ai suoi studi su Bergson si è segnalato come una voce significativa della cosiddetta “Bergson renaissance”. – cf. Grice, “Speranza e la cosidddetta “Grice renaissance””. In “L’interpretazione” (Marietti, Genova) e  “Una sintesi” (Marinotti, Milano) guarda a Bergson come a un filosofo in grado di dare risposta a questioni tuttora aperte del dibattito filosofico. Bergson non è un filosofo irrazionalista, spiritualista, ostile alla scienza e ai suoi metodi. Per lui la filosofia è un metodo rigorosamente empirista, che consente la massima precisione possibile nella descrizione dei fenomeni. Bergson è anzi il filosofo che cerca di emancipare la scienza da quanto di meta-fisico è ancora inconsapevolmente presente nelle sue pratiche. Con le sue celebri nozioni di “durata” e di “memoria” (cfr. Grice, “Personal identity: my debt to Bergson”) ha costruito un nuovo modello di intelligibilità del divenire, alternativo a quello del Lizio, in grado finalmente di spiegare, senza riduzionismi, il “vivente” quale e descritto dalla biologia evoluzionista.  Il pensiero bergsoniano è presentato come uno snodo essenziale della filosofia. La sua dirompente attualità è mostrata attraverso un confronto sistematico con la fenomenologia, l’esistenzialismo, l’ermeneutica, il pensiero della differenza e l'epistemologia della complessità. Al tempo stesso però,  Bergson è ricollocato dall’interno della tradizione filosofica come un capitolo, tra i più alti, dell’indagine filosofica sulla natura: un capitolo che continua l’opera di quei filosofi e di quei teologi che, dai accademici a Cusano fino a Grice e GENTILE, hanno provato a pensare la natura come vita vivente e come divinità immanente.  Impegnato in una definizione e ri-abilitazione del filosofico contro il pericolo della sua dismissione (“Come fare: per una resistenza filosofica”, Feltrinelli, Milano), proprio grazie al confronto con Bergson e ai filosofi amici di quest’ultimo -- Grice, and Grice’s immediate sources: Gallie and Broad -- define la sua posizione filosofica inscrivendola in una costellazione ben precisa, ancorché minoritaria -- “Canone minore: verso una filosofia della natura” (Feltrinelli, Milano). Empirismo radicale, realismo speculativo e “pragmatica” “trascendentale” sono le definizioni che, più di altre, esprimono il senso e la direzione della sua ricerca, improntata com'è a criticare quella che chiama “la linea maggiore della filosofia” e che definisce dualistica, soggettivistica e antropo-centrica. In una parola: moderna.  Da Kant sino a Derrida, la filosofia è stata infatti caratterizzata dal primato accordato alla finitudine, alla contingenza, all'intenzionalità griceiana, alla negazione e al linguaggio e la semiotica. La filosofia di questa linea maggiore è, in fondo, un’antropo-logia cui oppone una filosofia del processo radicalmente monista e immanentista che contesta la tesi dell'eccezione umana e che non pone come apriori il principio della correlazione soggetto-mondo -- anche nella versione offertane dall'ermeneutica e dalla fenomenologia. Alla svolta trascendentale kantiana è opposta quella cosmologica whiteheadiana e, al dispositivo aristotelico del Lizio potenza/atto, dispositivo insufficiente a cogliere la natura naturans, la nozione di gentiliana di “actus purus”. La linea minore della filosofia è, infatti, anche e soprattutto una linea megarica che, alla potenza logico-linguistica e umana troppo umana dei contrari, sostituisce una potenza che non può non esercitarsi -- sia essa quella dell’uno di Plotino, della sostanza di Spinoza o della durata di Bergson. La filosofia della linea minore è una filosofia del processo -- categoria che oppone all’aristotelica Kinesis del Lizio -- che, pur confutando il nulla e il possibile come pseudo-problemi, non sacrifica il carattere creativo e dinamico del reale. Il problema filosofico del rapporto uno-molti da sempre al centro della riflessione cioè risolto nei termini di una co-generazione reciproca fra i differenti per natura, in cui questa differenza non di grado tra il principio e il principiato funziona come causa dell’immediato essere uno dei molti ed esser molti dell’uno, ossia come la causa di quella unità cangiante di tutte le cose che  chiama immanenza assoluta.  Altri saggi: “Luogo comune: verso un'etica della scrittura” (Bocconi); “La scrittura della verità: per una genealogia della teoria” (Jaca, Milano);  – modello conversativo. Grice: “As I say, I like ‘conversativo;’ perhaps I should adopt it! ‘conversative,’ rather than the pompous ‘conversational’! -- Liberopensiero. Lessico filosofico della contemporaneità (Fandango, Roma); Brecht. Introduzione alla filosofia (et al., Correggio ) Zombie outbreak: la filosofia e i morti-viventi (Textus, L'Aquila ); Credere nel reale (Feltrinelli, Milano); Dispositivi (Orthotes, Napoli) -- realismo speculativo, Sini, Gentile. Ronchi. Keywords: filosofia della comunicazione, immanenza, in defense of the minor league, natura naturans, Gentile, atto puro, implicatura conversativa. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ronchi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rosandro: la ragione conversazionale degl’amici filosofi – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher who becomes an acquaintance of Elio Aristide.

 

Grice e Rosatti: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano Marcello Vitali Rossati.

 

Grice e Rosselli: la filosofia italiana nel ventennio fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Important Italian philosopher. There is a R. Circle in Rome. Teorico del socialismo liberale, un socialismo riformista non marxista direttamente ispirato dal laburismo inglese e dalla tradizione storico-politica del radicalismo liberale e libertario. Fonda a Firenze il foglio clandestino “Non mollare e insieme a Nenni, la rivista milanese “Il quarto stato”. Fonda il movimento anti-fascista “giustizia e libertà”, che combatté per la repubblica nella guerra civile spagnola, all'interno della colonna italiana R., costituita assieme agl’anarchici. Ucciso in Francia insieme con il fratello R. da assassini legati al regime fascista. Nato da una famiglia politicamente attiva, avendo partecipato alle vicende del Risorgimento italiano: Pellegrino R., tra l'altro zio della futura moglie di Nathan, sindaco di Roma, è un seguace e stretto collaboratore di MAZZINI (si veda) ed un Pincherle è nominato ministro nella Repubblica di S. Marco, instauratasi nel Triveneto a seguito d'una massiccia insurrezione anti-asburgica guidata da Manin e Tommaseo.  I R. abitato per un considerevole periodo a Vienna. Si trasferirono a Roma. Qui, dopo la propria nascita, venne alla luce il fratello R.  La madre, separata, si trasferì con i suoi figli a Firenze, dove frequentarono la scuola. R. mostra in quel periodo poco interesse per gli studi e la madre lo ritira dal ginnasio, facendogli frequentare la scuola tecnica. L'entrata in guerra dell'Italia è accolta con entusiasmo dai R., decisamente interventisti. Il fratello maggiore è arruolato come ufficiale di fanteria e muore in combattimento. R. collabora al foglio di propaganda «Noi», fondato dal fratello, anche se l'editoriale Il nostro programma, è redatto con buone probabilità da lui. Il manifesto, che l'ingenuità di due ragazzi indirizza verso una fiduciosa speranza in un mondo migliore, propone sin da allora alcuni tratti fondamentali della sua personalità, ossia un amore incondizionato per l'umanità e la spinta all'azione nel solco dello spirito mazziniano, che lo inserisce nel filone dell'interventismo democratico. Per «Noi», licenza saggi, uno sulla rivoluzione russa, altro sull'entrata in guerra degli Stati Uniti. “Libera Russia” esalta il risveglio del paese di Gorkij, Tolstoj e Dostoevskij, supremi interpreti di un rinnovamento in atto già dal secolo precedente, per cui la rivoluzione non e che il punto culminante di una lunga preparazione all'avvento di una società più giusta. Vi è tutta una massa che sale lentamente, inesorabilmente. La marcia si puo ritardare ma non impedire. Dei recentissimi eventi, inoltre, viene esaltata la componente pacifica, la loro attuazione relativamente non violenta.  Il saggio “Wilson” mostra tutta la fiducia nutrita per l'uomo che define il conflitto come “una guerra per porre fine alle guerre”, uno slogan che rappresenta bene le sue speranze di e di tutta la famiglia R..  È chiamato alle armi. Frequenta a Caserta il corso allievi ufficiali e venne assegnato a un battaglione di alpini in Valtellina. La guerra finisce senza che egli avesse dovuto sottomettersi al battesimo del fuoco. Il contatto con militari e molto importante per lui. Apprezza la massa furon posti in grado di comprendere tante cose che sarebbero loro certamente sfuggite nel loro isolamento di classe o di professione. Diplomatosi all'istituto tecnico, si iscrive a Firenze al corso di scienze sociali, laureandosi a pieni voti con una tesi, Sindacalismo italiano,” e si prepara a sostenere anche gl’esami di maturità classica per ottenere il diritto di frequentare altri corsi universitari. Tramite il fratello, conosce Salvemini, professore a Firenze, che e da allora un costante punto di riferimento per entrambi i fratelli. Gli fa rivedere il suo saggio sul sindacalismo rivoluzionario, che giudica non un saggio critico, equilibrato, sostanzioso, ma in essa e incapsulata un'idea fondamentale: la ricerca di un socialismo che fa sua la dottrina liberale e non la ripudiasse. S’avvicina al partito socialista, simpatizzando, in contrapposizione all'allora maggioritaria corrente massimalista di Serrati, per quella riformista di Turati, che egli ha poi modo di conoscere a Livorno durante lo svolgimento del congresso del partito, che sance la definitiva scissione dell'ala di sinistra interna filo-bolscevica che prende il nome di partito comunista, e scrive svariati saggi per “Critica Sociale”. MUSSOLINI sale al potere. I riformisti di TURATI sono espulsi dal partito socialista. Si trasfere a Torino, dove frequenta il gruppo della “rivoluzione liberale», in quel momento fortemente impegnata in senso anti-fascista, e con la quale incomincia a collaborare. Conosce Matteotti, del partito socialista unitario, nel quale erano confluiti GOBETTI (si veda) e la componente riformista espulsa dal partito socialista, come Rossi. A Firenze, il gruppo dei socialisti liberali che si raccoglie intorno alla figura carismatica di Salvemini inaugura un circolo di cultura. Oltre ai R. vi sono Calamandrei, Finzi, Frontali, Jahier, Limentani, Niccoli e Rossi. Gli ex-combattenti del circolo adereno all'associazione anti-fascista “Italia libera”. Si laurea a Siena, con “Prime linee di una teoria economica dei sindacati operai” e parte per Londra, stimolato dal desiderio di conoscere la capitale del laburismo, di seguire i seminari dei fabiani e di assistere al congresso delle unioni operaie. Vi è anche Salvemini, che tene un seminario sulla storia della politica estera italiana al King's. Tornato in Italia grazie anche ai buoni uffici di Salvemini, si impiega come assistente volontario a Milano. Prosegue la sua collaborazione a “Critica Sociale” di Turati. Vi pubblica un articolo, invitando il partito socialista a rompere con il marxismo, che giudicava espressione di cieco e tortuoso dogmatismo, per mettersi piuttosto sulla linea di un sano empirismo all'inglese. Collabora con la rivista del partito socialista unitario, «Libertà», scrivendo proprio un saggio sul movimento laburista inglese. Dopo il delitto Matteotti s'iscrive al partito socialista unitario. Spera invano che in Italia si costituisse una seria opposizione anti-fascista moderata in grado di offrire un'alternativa politica alla borghesia che guarda con simpatia al fascismo. Una di queste avrebbe potuto essere l'unione democratica nazionale d’Amendola, alla quale adere il fratello. D’Inghilterra invia al giornale del partito socialista unitario la «Giustizia», le corrispondenze sull'evolversi della situazione politica inglese, successiva alla vittoria elettorale dei conservatori e alla rottura dell'alleanza tra laburisti e liberali. E pessimista sulle condizioni politiche dell'Italia. La secessione aventiniana non produce effetti, con i suoi sterili tentativi di accordo con il re, con i generali e i fascisti dissidenti. Del resto, i fascisti stano re-agendo. Lo dimostrano anche devastando il circolo di cultura, che, come non basta, venne chiuso dal prefetto con una singolare motivazione. La sua attività provoca il giusto risentimento del partito dominante. Lasciato l'incarico a Milano, insegna a Genova. Scrive a Salvemini. Forse non ha apparentemente alcuna positiva efficacia, ma io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi. Appare così con la collaborazione di Rossi, Salvemini, Calamandrei, Traquandi, Vannucci e il fratello, che ne ha proposto il nome, il foglio clandestino “Non mollare”. Alcuni redattori della rivista sono Traquandi, Ramorino, Rossi, Emery, e i due R. La denuncia di un tipografo provoca la repressione e la dispersione d’alcuni tra i redattori del foglio. Rossi riusce a fuggire a Parigi, Vannucci in Brasile, Salvemini è arrestato a Roma è denunciato per vilipendio del governo fascista. In attesa del processo, messo in libertà provvisoria, a causa delle minacce dei fascisti, passa la notte a Firenze, in casa dei R., che non sono ancora fra i sospettati. Gli squadristi però, venuti a conoscenza del fatto, devastano l'abitazione il giorno dopo. Scrive R. ad Ansaldo. Io sono di ottimo umore e l'altra sera ho financo bevuto alla distruzione compiuta! Se i signori fascisti non hanno altri moccoli, possono andare a dormire. Aspetteranno a lungo la mia rinuncia alla lotta. Ormai preso di mira dai fascisti, è aggredito a Genova mentre si reca all'università e poi disturbato durante la sua lezione, con la richiesta del suo allontanamento. Si attiva infine lo stesso ministro dell'economia, Belluzzo, che chiede il suo licenziamento. A questo punto, prefere dimettersi.  Pochi giorni dopo, a Firenze, sposò con rito civile una laburista venuta a Firenze a insegnare nel British Institute, conosciuta da R. al circolo della cultur. Lapide commemorativa: «In via Ancona vive il martire anti-fascista e qui ha sede la redazione del ‘Quarto stato,’ rivista socialista a difesa della libertà e della democrazia. R. vive a Milano, dove fonda con Nenni la rivista «Il quarto stato’. La rivista ha vita breve, venendo chiusa con l'entrata in vigore della legge sui provvedimenti per la difesa dello stato fascista italiano. Scopo della pubblicazione è il tentativo di rappresentare un punto d'incontro di tutte le forze socialiste e di sviluppare temi di politica culturale al cui centro e il perfezionamento degl’uomini e l'elevamento della vita dei cittadini.  Con Treves e Saragat costitue un trium-virato che, costitue clandestinamente il partito socialista dei lavoratori, che prende il posto del partito socialista unitario, sciolto d'imperio dal regime fascista a causa del FALLITO ATTENTATO A MUSSOLINI da parte del suo iscritto ZANIBONI. Bova, Turati, R., Pertini e Parri a Calvi in Corsica dopo la fuga in motoscafo da Savona.  Oganizza con Oxilia, Pertini e Parri l'es-patrio di Turati a Calvi in Corsica, con un moto-scafo partito da Savona. Mentre Turati, Pertini e Oxilia proseguirono per Nizza, Parri e Rosselli, ritornati con il moto-scafo a Marina di Carrara, SONO ARRESTATI, nonostante tentassero di sostenere d’essere reduci d’una gita di piacere. È accusato anche di aver favorito la fuga d’Ansaldo, di Silvestri, di Treves e di Saragat.  Venne detenuto nelle carceri di Como, poi inviato al confino di Lipari in attesa del processo. Quando e ricondotto da Lipari a Savona per essere processato, nell'isola siciliana giunge il fratello, condannato a V anni di confino.  Al processo si difende attaccando il regime fascista. Il responsabile primo e unico, che la coscienza degl’uomini liberi incrimina è il fascismo che con LA LEGGE DEL BASTONE, strumento della sua potenza e della sua nemesi, inchioda in servitù milioni di cittadini, gettandoli nella tragica alternativa della supina acquiescenza o della fame o dell'esilio. La sentenza, rispetto alle previsioni, e mite: X mesi di reclusione e, avendone già scontati VIII, avrebbe potuto essere presto libero. Ma una nuova legge speciale permisero alla polizia di infliggergli *altri* III anni di confino da scontare a Lipari. La vita al confino trascorre con le letture filosofiche di Croce, Mondolfo, l’epistolario di Marx ed Engels, e Kant. Intanto, si prepara la fuga, che venne organizzata dall'amico di Salvemini Tarchiani. Evase da Lipari con Nitti e Lussu, con un moto-scafo guidato dall'amico Oxilia diretto in Tunisia, da cui poi i fuggiaschi raggiunsero la Francia.  Nitti narra  l'avventurosa evasione in “Le nostre prigioni -- e la nostra evasione”, mentre R. racconta le vicende del confino e dell'evasione in “Fuga in IV tempi”. A Parigi, con Lussu, Nitti, e un gruppo di fuoriusciti organizzati da Salvemini, e fra i fondatori del movimento anti-fascista "Giustizia e libertà". “Giustizia e Liberta” pubblica diversi numeri della rivista e dei quaderni omonimi ed e  attiva nell'organizzazione di diverse azioni dimostrative, tra cui il volo sopra Milano di Bassanesi. Critica appassionatamente il marxismo ortodosso, colonna portante della stragrande maggioranza dei vari schieramenti politici socialisti. Il socialismo liberale propugnato da R. si caratterizza quale una creativa sintesi della tradizione del marxismo revisionista, democratico e riformista -- quello, tra gli altri, di Bernstein, Sombart, Turati e Treves -- ed il socialismo non marxista, libertario e de-centralista -- come quello di Merlino, Salvemini, Cole, Tawney e Jászi.  Attacca dirompente contro lo stalinismo della terza internazionale che, con la formula del “social-fascismo” accomuna  social-democrazia, liberalismo borghese e fascismo. Non stupisce perciò che uno fra i più importanti stalinisti, Togliatti,  define il socialismo liberale un magro libello anti-socialista e R. un ideologo REAZIONARIO che nessuna cosa lega alla classe operaia. “Giustizia e libertà” adere  alla concentrazione anti-fascista, unione di tutte le forze anti-fasciste non comuniste – REPUBBLICANI, socialisti, CGL -- che intende promuovere e coordinare ogni possibile azione di lotta al fascismo. Pubblica i "Quaderni di giustizia e libertà".  Dopo l'avvento del nazismo in Germania, “Giustizia e liberta” sostenne la necessità di una rivoluzione preventiva per rovesciare i regimi fascista e nazista prima che questi portassero a una nuova tragica guerra, che a “Giustizia e Liberta” sembra l'inevitabile destino dei due regimi.  Bandiera della colonna italiana, nota anche come centuria giustizia e libertà, che sostenne i repubblicani nella guerra civile spagnola. Scoppie in Spagna la guerra civile tra i rivoltosi dell'esercito filo-monarchico, che effettuarono un colpo di stato, e il LEGITTIMO GOVERNO REPUBBLICANO del fronte popolare di ispirazione marxista. È subito attivo nel sostegno alle forze repubblicane, criticando l'immobilismo di Francia e Inghilterra. I fascisti aiutano FRANCO con uomini e armi agl’insorti. Combatte la sua prima battaglia. Cerca poi di costituire un vero e proprio battaglione -- intitolato a Matteotti.  La prima formazione italiana, che prende poi, dopo l'uccisione dei due fratelli, il nome di colonna italiana R., annovera tra i 50 e i 150 uomini, reclutati fra gl’esuli italiani in Francia dal movimento “Giustizia e libertà” e dal comitato anarchico. Tra questi c'erano anche gl’anarchici Marzocchi e Berneri. Marzocchi scrive sulla comune esperienza anti-fascista di anarchici e di militanti di “Giustizia e Libertà”, "R. e gl’anarchici".  In un discorso, pronuncia la frase che poi diverrà il motto degli anti-fascisti italiani: "Oggi in Francia, domani in Italia". È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia. Fratelli, compagni italiani, ascoltate. È un volontario italiano che vi parla dalla radio. Non prestate fede alle notizie bugiarde della stampa fascista, che dipinge i rivoluzionari come orde di pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta. A contrasti con gl’anarchici si dimette da comandante della colonna e fonda il battaglione Matteotti. Soggiorna a Bagnoles-de-l'Orne per delle cure termali, dove è raggiunto dal fratello. Sono uccisi da una squadra di miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra francese, su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di Ciano. Con un pretesto sono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. R. muore sul colpo; il suo fratello, colpito per primo, venne finito con un'arma da taglio. I corpi vennero trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti a essere prosciolti. I R. sono sepolti nel cimitero monumentale parigino del Père Lachaise. I familiari ne traslarono le salme in Italia, a Trespiano. Salvemini tenne il discorso commemorativo alla presenza del presidente della Repubblica. La tomba riporta il simbolo della spada di fiamma, emblema di “Giustizia e Liberta”, e l'epitaffio scritto da Calamandrei. Giustizia e liberta. Per questo morirono per questo vivono. L'unico saggio pubblicato da R. mentre è in vita è "Socialismo liberale", scritto durante il confino a Lipari, in una situazione di semi-prigionia. “Socialismo liberale” si pone in una posizione eretica rispetto ai partiti della sinistra italiana del suo tempo -- per i quali “Il capitale” di Marx, variamente interpretato, è ancora considerato come la bibbia. Indubbiamente è presente l'influsso del laburismo inglese, da lui ben conosciuto. In seguito ai successi elettorali del partito laburista, R. è infatti convinto che l'insieme delle regole della democrazia liberale sono essenziali non solo per raggiungere il socialismo, ma anche per la sua concreta realizzazione -- mentre nella tattica leninista queste regole, una volta preso il potere, debbono essere accantonate. Pertanto, la sintesi del pensiero rosselliano è: "il liberalismo come metodo o mezzo, il socialismo come fine". Pisacane, L'idea di rivoluzione propria della dottrina marxista è fondata sulla concezione della dittatura del proletariato -- che, in realtà, già ai tempi di R. si sta traducendo, in unione sovietica, nella dittatura del vertice di un solo partito. Essa viene respinta da R., a favore di una rivoluzione che, come si nota nel programma di “Giustizia e liberta”, è un sistema coerente di riforme strutturali mirate alla costruzione di un sistema socialista che non rinnega, ma anzi esalta, la libertà individuale e associativa. Alla luce dell'esperienza spagnola -- difesa dell'organizzazione sociale di Barcellona compiuta dagli anarchici durante la guerra civile -- e dell'avanzata del nazismo, R. radicalizza la sua posizione libertaria. Influenzato dalle idee di Mazzini e di Pisacane, R. propugna il socialismo liberale: il fine è il socialismo, il metodo o mezzo il liberalismo, un metodo o mezzo che garantisce la democrazia e l'autogoverno dei cittadini. Il liberalismo deve svolgere una funzione democratica, il "metodo o mezzo liberale" è il complesso di regole del gioco che tutte le parti in lotta si impegnano a rispettare, regole dirette ad assicurare la pacifica convivenza dei cittadini, delle classi, degli stati, a contenere le lotte -- peraltro desiderabili se limitate. La violenza è giustificabile come risposta ad altra violenza -- per questo è giusta la lotta contro il franchismo e sarebbe stata auspicabile in Italia una rivoluzione violenta in risposta al fascismo. Il socialismo è una logica conclusione del liberalismo. Socialismo significa libertà per tutti. R. ha fiducia che la classe del futuro è la classe proletaria, la borghesia deve fare da guida al proletariato. Il fine è la libertà per tutte le classi.  Archivio R. Bio. Tranfaglia, Dall'interventismo a “Giustizia e Libertà” (Bari, Laterza). Il circolo di cultura a Firenze, chiuso da Mussolini, e  rifondato a liberazione di Firenze appena avvenuta, per iniziativa del Partito d'Azione e dei soci superstiti e intitolato ai R.. Assunse così il nome di circolo di cultura politica R. La sua prima manifestazione è presieduta da Calamandrei. Con decreto del presidente della repubblica è stata costituita ed eretta in ente morale la Fondazione Circolo R. per sostenerne l'attività.  Martino: Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Turati nelle carte della R. Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, Savona, e Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Gruppo editoriale L'espresso, Roma. Commissione di Milano, ordinanza contro lui (“Intensa attività antifascista; tra gli ideatori del giornale clandestino “Non mollare” uscito a Firenze. Favoreggiamento nell'espatrio di Turati e Pertini”), Pont, Carolini, L'Italia al confine, Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali, Milano, ANPPIA, La Pietra,  Cfr. Commissione di Firenze, ordinanza contro N. R.  (“Attività antifascista”), Pont, Carolini, L'Italia al confino  Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali,  Milano, ANPPIA, La Pietra, Cfr. La storia sotto inchiesta: Fuga da Lipari, un esilio per la liberta trasmesso da Rai Storia. Il discorso di R. su Roma civica.net  in.  Fiori, Casa R., Einaudi); Franzinelli, “Il delitto R.: anatomia di un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Altre saggi: “Oggi in Spagna, domani in Italia” (Einaudi, Torino); “Scritti politici e auto-biografici (Polis, Napoli); Ciuffoletti e Caciulli (Lacaita, Manduria); Lettere Salvemini, Tranfaglia, «Annali della Fondazione Einaudi, (Torino); “Socialismo liberale” (Einaudi); Il Quarto Stato» di Nenni e Rosselli, Zucàro, Sugar Co, Milano, Epistolario familiar (SugarCo, Milano); Socialismo liberale, J. Rosselli (Einaudi, Torino); Socialismo liberale, J. Rosselli, introduzione e commento di Bobbio, «Attualità del socialismo liberale» e «Tradizione ed eredità del liberal-socialismo», Einaudi Tascabili. Saggi, Scritti dell'esilio. «Giustizia e libertà» e la concentrazione anti-fascista Costanzo Casucci, Collana Opere scelte” (Einaudi, Torino); “Scritti politici, Ciuffoletti e Bagnoli, Guida, Napoli, -- una grossa anteprima del libri. Scritti dell'esilio. Lo scioglimento della concentrazione anti-fascista, Casucci (Einaudi, Torino); Liberalismo socialista e socialismo liberale, Terraciano (Galzerano, Casalvelino Scalo), Giustizia e libertà, Limiti e Napoli, prefazione di Larizza, Roma, con la tesi sul sindacalismo (Firenze). Scritti scelti, Furiozzi, “Quaderni del Circolo R.” (Alinea Editrice, Firenze); Salvemini, “Scritti Vari”, Agosti e Garrone, Feltrinelli, Milano, Opere scelte, Cultura e società nella formazione, buona anteprima del pensiero di Salvemini con i rapporti e la grangia politica correlata Gremmo "Alla Cagoule" Silenzi e segreti d'un oscuro delitto politico. Storia Ribelle, Biella. Garosci, "Vita", U, Roma, Giustizia e Libertà, Levi, "Ricordi” La Nuova Italia, Firenze («Quaderni del Ponte»). Merli, "Il dibattito socialista sotto il fascismo. Lettere di Morandi, Rivista storica del socialismo», ricompreso in Id., "Fronte anti-fascista e politica di classe. Socialisti e comunisti in Italia,  Donato, Bari, Movimento operaio; Tranfaglia, "Dall'interventismo all'antifascismo", «Dialoghi del XX», Cfr. il  informazioni su volume "R. e l'Aventino: l'eredità di Matteotti", «Il movimento di liberazione in Italia», Cfr. stralcio di "L’Aventino. L'opposizione diventava per la prima volta opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una psicologia virile, d'attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita da uomini che avevano gustato le gioie del potere e della popolarità.»  «Fu questo il miracolismo dell'Aventino. Credere di poter vincere con le armi legali l'avversario che ha già vinto sul terreno della forza. Pregustare le gioie del trionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti i problemi. Gobetti dice. L’Aventino ha un mito, il mito della cautela" -- sperando che la borghesia dimentichi Quanto alle masse popolari, che si mostravano nei primi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avesse tentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le minoranze giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesia e il sovrano. R. dall'interventismo a «Giustizia e Libertà»" (Laterza, Bari, Biblioteca di cultura moderna); in appendice: scritti di R. e Lettera di R. a Nenni; "Dal processo di Savona alla fondazione di Gustizia e Liberta, Le fonti di «Socialismo liberale»", «Il movimento di liberazione in Italia», Lolli, "Alcuni appunti per una lettura del «Socialismo liberale»  di R.", «Il pensiero politico», Fedele, "Lo «Schema di programma» di «Giustizia e Libertà», Belfagor, Bagnoli, "L'esperienza liberale di R.,, Italia Contemporanea, L'antifascismo rivoluzionario dei «Quaderni di Giustizia e Libertà»", «Ricerche Storiche», Santi Fedele, "Storia della concentrazione anti-fascista prefazione di Tranfaglia (Feltrinelli, Milano); Garbari, "I «vinti» della Resistenza. Nel quarantesimo del sacrificio di R. e R.", «Studi Trentini di Scienze Storiche», a"«Quarto Stato» di Nenni e R.", Tavola rotonda fra Bauer, Grimaldi, Spadolini, Zucàro, «Critica Sociale», Valiani, "Il pensiero e l'azione”, Nuova Antologia, Tranfaglia, "L'anti-fascismo", «Mondo Operaio», Vivarelli, "Salvemini", «Il pensiero politico», Poi compreso Spadolini, "R. nella lotta per la libertà", con lettere tra Reale e R., «Nuova Antologia», Colombo, "R. e il «Quarto Stato»", «Nord e Sud», "Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d'Italia", Atti del convegno internazionale organizzato a Firenze dall'Istituto storico della Resistenza in Toscana, dalla Giunta regionale toscana, dal Comune di Firenze, dalla Provincia di Firenze (Nuova Italia, Firenze); Bauer, "R. e la nascita di Giustizia e Liberta in Italia". Petersen, “Giustizia e Libertà in Germania”; Guillen, "La risonanza in Francia dell'azione di Giustizia e Liberta e dell'assassinio dei R.”; Rosengarten, "R. e Trentin, teorici della rivoluzione italiana”; Salvadori, "Giellisti e loro amici degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale". Fedele, "Giellisti e socialisti dalla fondazione di GL alla politica dei fronti popolari”; Zunino, "Giustizia e Libertà e i cattolici”;  Garosci, "Le diverse fasi dell'intervento di Giustizia e Libertà”; Marzocchi, “Gli’anarchici"; citazione sottostante da un articolo di Finetti. Infatti considera una barbarie le stragi di anarchici in Catalogna, tra cui l'uccisione di  Berneri, l'anarchico che lo affiancava nella guida della prima colonna italiana formata da MMM anti-fascisti, i primi accorsi -- e si ricorda, nel prosieguo, anche la ferma presa di posizione delle brigate partigiane di Giustizia e Libertà quando Canzi e rimosso da comandante unico della XIII zona operante nel piacentino e grazie a questa presa di posizione e reintegrato dopo un breve arresto. Le brigate partigiane di Giustizia e Libertà sono  in gran parte influenzate dal pensiero di R.. Tommasini, "Testimonianza --  L'eredità di Giustizia e Libertà". Piane, "Rapporti tra socialismo liberale e liberalsocialismo". Codignola, “Giustizia e Liberta e Partito d'azione". Tranfaglia, "R.", in "Il movimento operaio italiano; “Dizionario biografico", Andreucci e Detti, Editori, Roma, Colombo, "R. e il socialismo liberale", «Il Politico», Bagnoli, "Di un dissidio in «Giustizia e Libertà». Lettere di Levi, Giua, Chiaromonte, Garosci  «Mezzosecolo», Centro studi Gobetti, Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, Annali Cirillo, "Il socialismo", Fasano, Cosenza); Lussu, "Lettere  e altri scritti di «Giustizia e Libertà»", Brigaglia, Libreria Dessì, Sassari. informazioni su Storia della Sardegna di Brigaglia, son presenti correlazioni fra i succitati personaggi. "Le componenti mazziniana e cattaneanea in Salvemini e nei R.. Belloni",   Convegno, Domus Mazziniana, Pisa. Arti Grafiche Pacini & Mariotti, Pisa,  Comprende: Colombo, "Il «Quarto Stato»" Varni, "Derivazioni mazziniane nella concezione sindacalista di R.", Ceva, "Aspetti politici dell'azione di R. in Spagna",  Tramarollo, "R. e il regime",  Bagnoli, "Il revisionismo di R.", in "Guida alla storia del partito socialista. La ripresa del pensiero socialista tra eresia e tradizione", Talluri, «Quaderni del Circolo R.», Galasso, "La democrazia da CATTANEO (si veda) a R.", (Monnier, Firenze); «Quaderni di storia», R. , Una tragedia italiana" (Bompiani, Milano); Kostner, "R. e il suo socialismo liberale", Lalli, Poggibonsi, Linee politiche; Bagnoli, "Tra pensiero politico e azione", Passigli, Firenze, Colombo, "R. e il socialismo liberale", in "Padri della patria. Protagonisti e testimoni di un'altra Italia", Angeli, Milano, («Ricerche storiche» ). Invernici, "L'alternativa di «Giustizia e Libertà». Economia e politica nei progetti del gruppo di R.", Angeli, Milano («Studi e ricerche storiche»). Valiani, "Da Mazzini alla lotta di liberazione", «Nuova Antologia», Scacchi, Colombo, presentazione di Spadolini, Casagrande, Lugano,  («Quaderni europei»). Vivarelli, "Le ragioni di un comune impegno. Ricordando Salvemini, R. e R., i, Rossi", «Rivista Storica Italiana», Spadolini, "R. e R.: le radici mazziniane del loro pensiero", Passigli, Firenze («Letture R.»). Malandrino, "Socialismo e libertà. Autonomie, federalismo, Europa da R. a Silone" (Angeli, Milano);  Bandini, "Il cono d'ombra: chi armò la mano degl’assassini dei fratelli R.?", SugarCo, Milano, Colombo, "I R., due guardiani per l'albero della libertà", "Voci e volti della democrazia. Cultura e impegno civile da Gobetti a Bauer", Monnier, Firenze («Quaderni di storia»), Nel nome dei R.. Quaderni del Circolo R.», Angeli, Milano,  Muzzi. "A più voci, Arfé, Casucci, Garosci, Malgeri, Rapone, “Scritti dell'esilio", Il Ponte, Il carteggio dei R. con Silvestri", Gabrielli, «Storia Contemporanea», Fedele, "E verrà un'altra Italia. Politica e cultura nei «Quaderni di Giustizia e Libertà»" (Angeli, Milano, Collana di Fondazione di studi storici Turati); Ciuffoletti, Il mito della rivoluzione russa e il comunismo", in "Socialismo e Comunismo,  Il Ponte, Bagnoli, "La lezione di R., La nuova storia. Politica e cultura alla ricerca del socialismo liberale, Festina Lente, FNicola Tranfaglia, "Sul socialismo liberale"; "Dilemmi del liberalsocialismo", Bovero, Mura, Sbarberi (Nuova Italia, Roma, «Studi Superiori,  Scienze Sociali»). Atti del convegno "Liberal-socialismo: OSSIMORO o sintesi?", organizzato ad Alghero Dipartimento di Economia istituzioni e società dell'Università Sassari. -- fu pubblicato il primo numero di “Libertà”, periodico legato all'ala socialista del movimento antifascista, il sottotitolo fu la frase di Marx ed Engels: Alla società borghese, con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe, subentrerà un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti e, su invito Treves, Mondolfo e Levi, Rosselli scrive un articolo “Il partito del lavoro in Inghilterra” in cui R. riafferma una parte del suo pensiero del periodo. Il partito laburista in base agl’elementi che lo compongono può definirsi come una federazione di gruppi economici e di gruppi politici. In realtà è l'organizzazione politica federativa ed associativa del movimento operaio più vecchio e potente del mondo.  Suppa, "Note su R.: temi per due tradizioni", in I volume "dilemmi del liberal-socialismo, Puppo, Il Quarto Stato, L'attualità di R. e del socialismo liberale. Dialoghi tra: Bosetti, Foa, Maffettone, Marzo, Tranfaglia, Supplemento a di Croce Via, Edizioni Italiane, Napoli, Atti del dibattito svoltosi a Napoli  in occasione della presentazione italiana del volume "Liberal socialism", lavoro di Urbinati, tradotto da William McCuaig, Princeton, Princeton, Urbinati, "La democrazia come fede comune", «il Vieusseux»,  Bagnoli, Rosselli, "Gobetti e la rivoluzione democratica. Uomini e idee tra liberalismo e socialismo", La Nuova Italia, Firenze («Biblioteca di Storia»). Casucci, "La caratteristica ", con un vademecum, «Belfagor», Visciola, Limone, "I Rosselli. Eresia creativa, eredità originale", Napoli, Guida, Graglia, "Unità europea e federalismo. Da Giustizia e Libertà a Spinelli", il Mulino, Bologna) "Il dibattito europeista e federalista in «Giustizia e Libertà»", «Storia Contemporanea», Lisetto, Le élites. Una teoria tra l'elitismo democratico e la democrazia partecipativa", «Scienza & Politica», Pagine scelte di economia, Visciola e Ruggiero, Firenze, Le Monnier,  Mastellone, "Il partito politico nel socialismo liberale «Il pensiero politico», Furlozzi, "R. e Sorel", «Il pensiero politico», L'eredità democratica da Bignami a R.", Angeli, Milano, Mastellone, La rivoluzione liberale del socialismo»". Con scritti e documenti inediti. Olschki, Son riportati testi pubblicati da R. non inseriti nel  I delle «Opere scelte». R., “Dizionario delle idee", Bucchi, Riuniti, Martino, Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Roma, Gruppo editoriale L'espresso, Franzinelli, "Il delitto R.: anatomia di un omicidio politico" (Mondadori, Milano); Dilettoso, "La Parigi e La Francia di R.: sulle orme di un umanista in esilio", Biblion, Milano. Bagnoli. Il socialismo delle libertà. Polistampa, Milano, Bagnoli. Socialismo, giustizia e libertà. Biblion, Milano, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Iacchini, Socialismo liberale ma... vero!, Movimento Radical Socialista brigata Garibaldi. Archivio dei R.. I fratelli R., genesi di un delitto impunito. Berneri. Vite parallele d’Ortalli (da "Umanità Nova" Fondazione R., Centro di ricerca, Circolo R. Firenze,  "Pecora" Socialista e liberale. Bilancio critico di un grande italiano, su politica magazine. Spini, "Perché i R. parlano ancora a questa Italia", sul sito repubblica. Carlo Alberto Rosselli. Keywords: sindacalismo, sindacalismo revoluzionario, laburismo, partito laburista, I fabiani, Mill, Bonini, liberalismo, sindacato, sindicato nella storia italiana, sindacato in Roma antica, socialismo liberale – l’ossimoro di R.. Refs.: Luigi Speranza, “Rosselli e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Rosselli.

 

Grice e Rosselli: la filosofia italiana nel ventennio fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Diresse il mensile “Noi”. Discusse con SALVEMINI  la tesi di laurea su “MAZZINI (si veda) e il movimento operaio”. Pubblica saggi su riviste storiche italiane, tra’altri, “MAZZINI e Bakunin: XII anni di movimento operaio in Italia” (Torino, Einaudi), e  “PISCANE nel Risorgimento italiano” (Torino, Einaudi) -- raccolti in “Saggi sul Risorgimento italiano” (Torino, Einaudi). Inizia a far politica ed è col fratello R. (si veda) tra i fondatori del giornale "Noi". Col fratello e con Calamandrei, e col patrocinio di Salvemini, fonda un circolo di cultura -- chiuso dai fascisti. Fa parte dei fondatori del gruppo fiorentino di “Italia libera”, fra cui, oltr’al fratello, Bocci, Rochat, Vannucci, Traquandi. Adere alla fondazione dell'unione nazionale delle forze liberali e democratiche promossa d’Amendola, e partecipa alla fondazione del giornale anti-fascista clandestine, “Non Mollare”. Arrestato e condannato a V anni di confino a Ustica. Rilasciato, venne nuovamente arrestato e condannato a V anni di confino a Ustica e Ponza, dopo la fuga da Lipari del fratello. Ottenne, su intercessione di Volpe il passaporto, con una sollecitudine che ad alcuni amici, tra cui Calamandrei, parve sospetta e motivata dal fine di arrivare attraverso lui al rifugio del suo fratello. A Bagnoles-de-l'Orne è assassinato d’una squadra di miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di Ciano. Con un pretesto vengono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. R. muore sul colpo, R., colpito per primo, viene finito con un'arma da taglio. I corpi vengono trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti ad essere prosciolti.  Commissione di Firenze, ordinanza contro R.  (“Attività antifascista”). Pont, L'Italia al confine: l’ordinanze d’assegnazione al confino emesse dalle commissioni provinciali, Milano (ANPPIA/La Pietra),  Ustica celebra la libertà dei R., profilo di Volpe, profile nel sistema informatico dell'archivio di stato di Firenze. Fiori, Casa R., Einaudi, Franzinelli, Il delitto R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Altri saggi: “ “Inghilterra e regno di Sardegna” (Torino, Einaudi); Ciuffoletti, “Un filosofo sotto il fascismo: lettere e scritti vari” (Firenze, Nuova Italia); Colombo, I colori della libertà fra storia, arte e politica” (Milano, Angeli);Belardelli (Catanzaro, Rubettino); Visciola, “La scuola di storia moderna e contemporanea. La prima fase della ricerca di storia diplomatica, in Politica, valori e idealità, Maestri dell'Italia civile, Rossi, Roma, Carocci, Visciola, “Soi "maestri". Il rinnovamento della storiografia italiana fra le due guerre, in i R.: eresia creativa eredità originale, Visciola e Limone, Guida, Napoli, Visciola, Uno filosofo salla ricerca della libertà in tempi difficili: appunti sparsi per una biografia complessiva ancora da scrivere, in I fratelli R.. L'antifascismo e l'esilio, Giacone e Vial, Roma, Carocci, Tramarollo, “Tra mazzinianesimo e socialismo”,  Belardelli, Un filosofo anti-fascista” (Passigli, Firenze); «Il filo rosso». Il carteggio di i R. con Silvestri, Gabrielli, Storia, Franzinelli, “Il delitto R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Treccani Dizionario di storia, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sabatino, R.. Nello Rosselli. Rosselli. Keywords: risorgimento, Mazzini, operaismo, movimento operaio, risorgimento italiano, Piscane. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rosselli: la ragione conversazionale dell’apologeticus, o implicature cucullate -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gimiliano). Filosofo italiano. Far dobbiamo onorevole menzione di lui, letterato insigne del suo tempo e filosofo di grido, Cattedratico in Napoli ed in Salerno; il quale, a dir del Barrio, partitosi pel genio di visitare l'Africa, e ucciso dal proprio schiavo. Della famiglia di cui è stata la madre del celeberrimo Scorza, matematico distintissimo, istruttore, autore di merito, ed illustratore della scienza per metodi ed invenzioni, morto non ha guari in Napoli. Conchiudendo adunque, pare non dubbio essere stato Nifo calabrese di origine, ed avere avuto tra noi i primi rudimenti di letteratura, tali da avergli dato a vivere. Dal contesto di scrittori calabresi, contemporanei alcuni, e vivuti altri dopo breve tempo della morte di lui, a cui noto veniva per recente tradizione, chiaramente se ne rivela il vero. Discepolo del celebre NIFO (si veda), per la sua dottrina e prescelto a leggere filosofia per più anni a Salerno. Saggi: “Apologeticus adversus cucullatos philosophiae declamatio ad Leonem X Oratio habita Patavi in principio suarum disputationum; “De propositione de inesse secundum Aristotelis mentem libellu” --- LIZIO -- ; “Universalia Porphiriana”. Calabria, Le biografie degl’uomini illustri delle Calabrie, Accattatis, Di questo filosofo si occupano nei loro studi, tra gli altri, Zambelli e Franco. "Rosselli di Gimigliano. Dalle origini a noi" (O/esse) che ricostruisce la sua vita e le sue opera. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. L'Apologeticus adversos cucullatos è un'opera del filosofo Tiberio Rosselli (1490 Gimigliano - 1560 Africa), pubblicata nel 1519 a Parma grazie a Girolamo Sanvitale che accoglie il filosofo calabrese presso la sua corte di Fontanellato.  Apologeticus adversos cucullatos Autore Tiberio Rosselli 1ª ed. originale 1519 Genere Apologia Lingua originale latino La prefazione dell'Apologeticus che consiste in una storia delle vicende che portano alla sua composizione, è dedicata al vescovo di Lodi, Ottaviano Sforza, figlio naturale di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano. Alla fine dell'Apologeticus si legge una peroratio, che non è più rivolta allo Sforza, ma al Conte di Belforte, Gerolamo San Vitale di Parma, suo mecenate.   Dopo questa Peroratio, si legge la declamatio e infine sei brevi componimenti poetici in lode all'autore; chiude il foglio il seguente colofone: “Tiberii Russiliani Sexti Calabri Apologetici Finis ad laudem Individuae Trinitatis”.  L'esemplare parigino reca sul frontespizio, sotto i titoli, un breve “Ad librum Carmen”, composto da due distici elegiaci; mentre nell'ultimo foglio sotto il colofone presenta la seguente annotazione a mano: “Parmae MDXX”, e cioè il luogo e la data della stampa.   Che il libro sia stato stampato a Parma viene confermato da Girolamo Armellini, il quale, nel suo libro, intitolato Jesus vincit, scritto proprio contro l'Apologeticus, fornisce queste notizie:  «...dopo l'abiura sotto riportata, temendo tutti i luoghi sicuri, profugo delle varie scuole d'Italia, si portò a Parma...ivi di nascosto stampò l'opera sua velenosa; scoperto il suo inganno da me inquisitore, (come richiedeva il diritto) viene chiamato in giudizio, coperto dallo scudo della contumacia; viene condannato all'anatema, vengono requisiti i volumi stampati, vengono interdetti e bruciati. Dopo che in seguito venne scoperto fuggiasco a Pisa, e, cosa veramente impudente, nel mentre andava in cerca di una cattedra di filosofia, per mezzo della quale potesse infettare i giovani col veleno della sua perfidia, con la forza e l'aiuto dell'allora reverendissimo Cardinale Dè Medici ed ora Papa Clemente VII codannammo che fosse arrestato e che in tale posizione fosse rinchiuso nelle carceri di Firenze; da queste carceri tuttavia col favore di alcuni scappò libero prima che gli fosse fatto il processo.»  Tiberio scampa all'ira di Armellini, il quale non potendolo processare, compone contro di lui lo scritto già menzionato, il cui lungo titolo richiama tutti i capitoli dell'Apologeticus.Tiberio Russiliano-Sesto. Tiberio Rosselli. Rosselli. Keywords: apologeticus, adversus cucullatos philosophiae; de propositione de inesse, universalia porphiriana, Lizio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossetti: la ragione conversazionale del fratello perduto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vasto). Filosofia italiana. Grice: “A philosopher can also discover an ‘antro di pipistrelle.”” Filosofo, illuminista poli-edrico, poeta estemporaneo, tragedio-grafo, archeologo e speleo-logo, da Martuscelli. Studia a Napoli e Roma. Si trasfere a Elba. Ceelbra la liberazione del gran ducato di Toscana con il canto estemporaneo“La superbia dei galli punita” (Firenze, Gio). Si sposta in Sardegna, sotto la protezione del vice-ré Carlo. A Sassari compose e rappresenta la tragedia “Morte di S. Gavino” (Oristano, Arborense). Si sposta in Provenza, a Nizza, dove scopre la piramide di Falicon, che gl’ispira un poema, “La grotta di Monte-Calvo” (Parma). In seguito, si trasfere a Torino, dove conosce Caluso, e si stabilisce a Parma. Inizia a dirigere “Il Taro”. Altri saggi: “Cantata in occasione d'essere l'augusto imperator de’francesi Napoleone I coronato re d'Italia” (Parma, Luigi); La note” (Parma, Paganino); “Alla tomba di Hoffsteder” (Parma, Luigi); “Ode saffica” (Parma, Giuseppe Paganino); “Le nozze d’Esculapio De Cinque” (Lanciano, Carabba); “Annibale in Capua (Napoli, Flautina); A. Lombardi, Storia della letteratura italiana” (Venezia);  Andreola, Biografia degl’uomini illustri del regno di Napoli’ Gervasi,  La famiglia Pietrocola di Vasto; Spadaccini, “R. e le sue battaglie per la libertà”; R. e quei versi ispirati dalla cacciata dei francesi, Catania, R. e la grotta del monte Calvo, Mugoni, “Il fratello perduto: R. e R.”, in Studi medievali e moderni. Nei panni dello speleo-logo ante litteram, si avventura in una cavità del monte Calvo, scoprendo nelle viscere della terra un antro, che ama definire fascinoso ed insieme orribile. Ne celebra la scoperta con la pubblicazione di “La grotta del monte Calvo”; dato alle stampe a Torino, per i tipi di Domenico Pane, Parma. A Pezzana sub-entra nella direzione. Si mostra più attento alle notizie scientifiche e contribue ad introdurre nel periodico notizie leggere, come favole e indovinelli che il più delle volte incensano il nome di Napoleone. Con la sua direzionei supplementi al periodico, da semplici elenchi riguardanti le vendite per espropriazioni forzate, si trasformamo in pagine che arricchiscono i contenuti culturali e di svago della testata. Marchesani, Storia di Vasto, Apruzzo Citeriore, Napoli, Torchi dell'Osservatore Medico, retro copertina di Spadaccini, “R. e la Grotta di Monte Calvo: tra mistero e leggenda” (Lanciano, Torcoliere); Martuscelli. Saggi: “Opere” (Parma, Paganino); “Ai liberatori dell'Italia: ode di Tavanti; Chiari nella Condotta, Anelli, Ricordi di storia vastese, Arte della stampa, Oliva, “Abum di famiglia: documenti, testimonianze, immagini” (Lanciano, Carabba); Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Domenico Rossetti. Rossetti. Keywords: il fratello perduto, la Dora, L’Emonia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossi: la ragione conversazionale della volontà e della temperanza -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Appignano del Tronto). Filosofo italiano. Grice: “Rossi touches many Griciean points: universalia, strength of will, and etc. – he also commented, like I did, on Aristotle’s metaphysics.” Attivo filosofo fra Aureolo e Rimini, dalla parte di Occam e Cesena, e oppositore di Giovanni XXII, nelle dispute dei fraticelli, che portarono alla sua espulsione dall'ordine. Ha idee innovative e spesso influenti in teologia filosofica, filosofia naturale, metafisica e teoria politica.  Soprannominato come "doctor succinctus" e "doctor praefulgidus", come osservabile dalle iscrizioni su uno degli affreschi del convento di Bolzano, e studiato e commentato soprattutto per alcune tesi risalenti del suo commento alle sentenze, i Libri IV Sententiarum dichiarazioni autorevoli sui passi biblici che l'opera riune di LOMBARDO. Le sue vedute contribuiscono all'evoluzione della filosofia basso-medievale. Appignano del Tronto fa parte all'epoca della Marca di Anconada. Nacque da una famiglia con il nome di Rossi (Rubeus). Studia sotto Scoto. Insegna a Perugia. Sottoscrive la risoluzione con la quale viene dichiarata lecita la tesi secondo la quale Cristo e gl’apostoli non mai possedeno beni. Prende parte attiva alle lotte interne riguardanti la povertà che divide l'ordine. Insieme a Michele da CESENA, Occam e BONAGRAZIA di Bergamo, sostenne una regola di assoluta povertà per i successori di Cristo e per la chiesa. Si ribella a Giovanni XXII, sostenendo il suo avversario, l'imperatore Ludovico. I francescani che rifiutano la condanna della critica dei frati minori della bolla Cum inter nonnullos di Giovanni XXII sono accusati d’eresia. Questo avvicina l'ordine allo schieramento anti-papale rappresentato da Ludovico. Questi era divenuto ostile a Roma  dopo che Roma rifiuta la conferma e l'incoronazione come imperatore dopo l'elezione a re di Germania, preferendogli Federico I. Ludovico scomunicato, rispose con un Appello. Con esso Roma fra l'altro, viene accusato d’eresia, quindi delegittimato per la sua presa di posizione nella disputa sulla povertà. Lo scontro divenne acceso, la conciliazione di CESENA  al capitolo di Lione falle. Cesena venne convocato e trattenuto ad Avignone insieme a BONAGRAZIA da Bergamo ed Occam.  R. come lector nello studio generale dell'ordine, sottoscrive una protesta redatta da CESENA  contro l'operato di Giovanni XXII. Ludovico i giunge in Italia, prende la corona imperial. Dichiarato deposto Giovanni XXII. Nomina Pietro da Corbara, con il nome di Niccolò V.  Scomunicato da Giovanni XXII, R. decide di raggiungere, fuggendo, Ludovico a Pisa con i suoi con-fratelli prigionieri. Ancora una volta si ribella per protestare contro la sua scomunica. A Pisa i quattro pubblicano un documento, l'”Appellatio maior”, nel quale Giovanni XXII e dichiarato eretico per la sua posizione nella questione della povertà. Lui e i suoi compagni andano però perdendo le simpatie all'interno dell'ordine. Il tentativo di CESENA di impedire lo svolgimento del capitolo generale convocato a Parigi falle, mentre la riunione dell'ordine conferma la scomunica di CESENA ed elesse, quale nuovo ministro generale Guiral Ot, ovvero Geraldo di ODDONE, favorevole alla curia. Lui e i suoi compagni sono condannati ed e formalmente confermata la loro scomunica. R. ispira la protesta espressa nelle “Allegationes religiosorum virorum”, che dichiara invalida la deposizione di Cesena e l'elezione di Oddone, per l'esclusione di metà degl’aventi diritto alla partecipazione al capitolo. I quattro francescani, con Marsilio da Padova, entrano a far parte della curia di Ludovico. Con lui, raggiunsero Monaco di iera, ove si stabilirono nel convento. Perseguitato dalle autorità ecclesiastiche in Italia, fa una ritrattazione formale -- che dove servire da esempio per tutti i dissidenti successivi -- e si riconcilia con la chiesa e con l'ordine.  Nel Improbatio, si concentra sulla determinazione di quando e dove i diritti di proprietà hanno origine per sostenere la convinzione che Cristo vive in povertà assoluta. Distingue tra due tipi di proprietà: la proprietà prima della caduta di Adamo, e la proprietà dopo. La proprietà prima della caduta di Adamo, nota anche come la proprietà dello stato pre-lapsario, momento in cui tutte le creature del divisno si rallegrarono nella felicità, sono profondamente collegati tra loro, e condivisa nella creazione del divino. La proprietà dopo la caduta d’Adamo è stata causata dal primo peccato d’Adamo, rendendo la questione del diritto di proprietà distintamente umana. Giovanni XII nega che l'origine della proprietà è legato agl’esseri umani, sostenendo che e il peccato d’Adamo in sé ad esserne la causa. R. convene che, senza peccato non c’è il diritto di proprietà. Tuttavia, il peccato non porta immediatamente al concetto di diritto di proprietà. Sostenne che la legge umana è responsabile della formazione del concetto di diritto di proprietà, non la legge divina. Usa la storia di Caino e Abele, citando volontà corrotta di Caino per sostenere la sua convinzione. Fiorirono una serie di studi nel contesto della filosofia naturale in relazione alla dottrina del Lizio del movimento applicata al moto del proiettile. Per Aristotele un corpo inanimato si muove spontaneamente verso il loro luogo naturale. Un corpo in movimento deve alla presenza continua, e per contatto, di un motore che dirige il corpo verso un’altra direzione. Già Filopono mosso logiche obiezioni a questa dottrina.  Con la definizione di un “impeto”, la discussione prosegue, ripresa d’AQUINO.  Solo con R. si giunse a conclusione. La sua teoria sul moto del proiettile o moto para-bolico, indicato come virtus de-relicta (forza rimanente), è descritta nelle sezioni di suoi commenti sulle Sentenze che spiegano la consacrazione dell'Eucarestia, in una quaestio sull’efficacia dei sacramenti. Il moto di un corpo è causato da una forza lasciata dal corpo che agiva su di essa forza, quella forza residua impressa al proiettile durante il lancio. A differenza della teoria dell'inerzia che ha lo scopo di spiegare solo il fenomeno naturale, la sua teoria della virtu de-re-licta è una spiegazione che include i fenomeni naturali e sopra-naturali. Questa virtu derelicta spiega diversi tipi di moto perpetuo e finite ed è destinato a tener conto delle variazioni innaturali. Gli elementi chiave della de-re-licta virtu includono:  Un corpo viene messo in moto da un altro corpo, che lascia la forza rimanente in corpo in movimento. All'inizio di un dato movimento, la ‘de-re-licta’ virtu puo lavorare con o contro la naturale disposizione del corpo in movimento. Se funziona *contro* il corpo in movimento, la virtus derelicta si dissipa ed eventualmente lascia il corpo, cessando il moto. Se funziona *con* il corpo in movimento, la virtus derelicta rimane nel corpo, provocando il potenziale moto perpetuo. Ci sono stati diversi filosofi prima del suo tempo, come ad esempio Richard Rufus di Cornovaglia che sembrano disporre già di versioni della “virtus derelicta”. Quindi non è chiaro se questa teoria sia veramente originta autonomamente da lui. Tuttavia, filosofi come Buridano e Odonis utilizzano la teoria di R. per affinare i propri concetti di virtus derelicta, confermando che gioca un ruolo chiave nell'evoluzione della filosofia sulla fisica. Nel secondo libro dei Commentari sulle Sentenze, si focalizza su come la volontà potrebbe agire contro la ragione con conseguente colpevolezza morale. Se la volontà potrebbe o agire prima, o contro giudizio razionale. La volontà è la causa dell'azione. Dopo che l’agente elabora un giudizio, la sua volontà decide di agire sia in conformità con tale giudizio o *contro* di esso. La volontà e il termine medio tra giudizio e azione. Senza di volonta, il giudizio richiederebbe un'azione, negando il concetto di libero arbitrio e colpevolezza morale. Inoltre, la volontà dell’agente è sotto una legge che *obbliga* a compiere un atto buono. Senza questo impegno non ci sarebbe peccato, o colpevolezza morale. Per rispondere a come la volontà dell’agente puo andare contro tale obbligo, distingue tra l’atto apprensivo e l’atto gidicativio. L’atto apprensivo è necessario per far funzionare la volontà. L’atto apprensivo è frutto della cognizione intellettuali e del giudizio. L’atto giudicativo è formato dalla *conoscenza* più complessa in cui il ragionamento si applica giudiziosamente. La volontà non richiede un atto giudicativo da eseguire. Ciò spiega come gl’esseri umani sono in grado di peccare. La volontà non dipende da un giudizio *razionale*. Per evitare l'obiezione che il giudizio è necessario per il ragionamento e non può essere ignorato nel processo deliberativo, offre un'ulteriore distinzione tra *conoscenza* apprensiva e *conoscenza* giudicativa, e due tipi di giudizi riflettenti razionali. Queste distinzioni consentono un giudizio da selezionare su un'altra causa della forza che riceve da essere *selezionato* dalla volontà. Altri saggi: “Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, una confutazione alla bolla papale di Giovanni XII. Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum. Affronta i principali temi: le relazioni delle persone divine all'interno della trinità e il rapporto tra il creatore e il mondo, la libertà di dio nel creare, la pre-scienza divina e la pre-destinazione alla salvezza. “Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis Quaestiones praeambulae et Prologus” -- Riflette sullo statuto scientifico della teologia e della metafisica. Distingue primi libri prima ad decimam Questes super metaphysicam. Repertorium biblicum Medii Aevi, IMatriti Visita triennale di O. Civelli, Picenum seraphicum, Ratisbona, Chronica de ducibus ariae, Leidinger, in Mon. Germ. Hist., M. Firenze, Compendium chronicarum fratrum minorum, in Arch. franc. hist., Emmen, in Lex. fA. Heysse, Descriptio codicis Bibliothecae Laurentianae Florentinae S. Crucis, Plut. A. Heysse, Duo documenta de polemica inter Gerardum Oddonem et Michaelem de Caesena, Perpiniani, Monachii,  in Arch. franc. hist., A. Pompei, Enciclopedia filosofica, Venezia, cfr. anche impeto, Possevino, Apparatus sacer, Venezia; A. Tabarroni, Paupertas Christi et apostolorum. L'ideale francescano in discussione Roma A. Teetaert, Deus et homo ad mentem I. Duns Scoti. Acta Congressus scotistici Vindobonae, Roma; C. Dolcini, “Crisi di poteri e politologia in crisi” (Bologna); “C. Dolcini, Il pensiero politico di Michele da Cesena,  Faenza, Roma, Schabel, Il determinismo, Picenum Seraphicum. C. Schabel, “La virtus derelicta e il contesto del suo sviluppo” in C. Schabel, “La dottrina sulla predestinazione di Rossi,” Picenum Seraphicum, F. Giambonini, Giovanni dalle Celle, L. Marsili, Lettere, Firenze, Repertorium Commentariorumin Sententias Petri Lombardi, F. Tinivella, Enciclopedia cattolica, Vaticano, Gonzaga, De origine seraphicae Religionis franciscanae, G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli, G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia, G. Sbaraglia, Scrittori francescani piceni; G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, Roma; I.A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, Firenze; L. Wadding, Annales minorum, Quaracchi, L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum quibus accessit syllabus illorum qui ex eodem Ordine pro fide Christi fortiter occubuerunt, priores atramento, posteriores sanguin. christianam religionem asseruerunt, recensuit Fr. Lucas Waddingus ejusdem Instituti Theologus, ex Typographia Francisci Alberti Tani, Roma,  Ludger Meier, De schola franciscana Erfordiensi. N. Glassberger, Chronica, in Analecta franciscana, II, Ad Claras Aquas; Schneider, Mariani, “Francisci de Marchia sive de Esculo, Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Due Sermoni, Archivum Franciscanum Historicum Nazareno Mariani, Francesco di Appignano OFM, Contestazione, Appignano del Tronto, Nazareno Mariani, Francisci de Esculo, OFM, Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, ed. (= Spicilegium Bonaventurianum) Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia, “Quaestiones super Metaphysicam”; Spicilegium Bonaventurianum), Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Distinctiones primi libri a prima ad decimam”; Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N.  Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi; “Distinctiones primi libri a undecima ad vigesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata, N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi. Distinctiones primi libri a vigesima noa ad quadragesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Quaestiones praeambulae et Prologus, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani, Franciscus de Esculo, “Improbatio”, Grottaferrata); Mariani, “Questioni sulla metafisica”, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Minorita, Chronica. Cividali, Il beato G. dalle Celle, in Mem. dell'Accad. dei Lincei,   Gauchat, Cardinal Bertrand de Turre, Ord. min. conc.   "Quaestiones in Metaphysicam", Serino. Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, R. Lambertini, “La proprietà di Adamo”; “Stato d'innocenza ed origine del dominium nel Commento alle Sentenze e nell'”Improbatio” di F. d'Ascoli, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, Bennett, Offler, Guillelmi de Ockham Opera politica, Mancunii S. Baluze Mansi, Miscellanea novo ordine digesta, Lucae, Cipriani, Dizionario ecclesiastico (Torino); Collectanea franciscana, Nani, Duba, Carron, Etzkorn, “Francisci de Marchia, “Quaestiones in secundum librum Sententiarum”, Reportatio, Quaestiones,  Leuven; Eckermann, Hugolini de Urbe Veteri Commentarius in quattuor libros Sententiarum.  Francesco d'Ascoli, Francesco della Marchia, Francesco d'Appignano, Francisco de Esculo, Franciscus Pignano, Franciscus Rubeus, Francesco Rossi, Schneider, A proposito della teoria dell'mpetus nella filosofia della natura. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos; cum adnotationibus ad Syllabum matyrum eorundem ordinum, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma, Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Roma, Napoli, Biblioteca Nazionale. Explicit fratris Francisci de Marchia super primum Sententiarum secundum reportationem factam sub eo tempore, quo legit Sententias Parisius anno Domini; Commento ai primi sette libri della “Metaphysica” di Aristotele, N. Minorita, Cronaca, G. Pamiers, Quodlibet  “Acta, gesta et facta fuerunt praedicta coram religiosis et honestis viris, fratribus Ordinis Minorum”, Francisco de Esculo, in sacra theologia doctore et lectore tunc in conventu Fratrum Minorum de Avenione. Lambert, Povertà francescana;  La dottrina dell'assoluta povertà di Cristo e degli apostoli nell'Ordine francescano, Biblioteca Francescana, Cf. MS Firenze, Biblioteca Laurenziana, Santa Croce, pluteo, sinistra,  Appellatio maior, N. Minorita, Chronica. Cui appellationi et provocationi incontinenti adhaeserunt et eam approerunt religiosi viri frater Franciscus de Esculo, doctor in sacra pagina. F. d'Ascoli, Occam, Enrico di Talheim e Bonagrazia da Bergamo, Allegationes religiosorum virorum, Baluze-Mansi in Miscellanea, Lucca e dallo Eubel in Bullarium Franciscanum, Roma,  Lambertini, “Rossi e Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile, Convegno su Francesco d'Appignano; Jesi, Terra dei Fioretti;  Lambertini, F. d'Appignano ed Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile in AConvegno su F. d'Appignano; Jesi, Edizione Terra dei Fioretti;  G. Filipono, Commentari alle opere di Aristotele, “Sulla generazione e corruzione”; “Sull'anima”; “Analitici primi”; “Analitici secondi”; “Le Categorie, Fisica, Meteorologia  Fabio Zanin, Francis of Marchia, Virtus Derelicta.   --  "How is Strength of the Will Possible? (cfr. H. P. Grice, “I’ll show Davidson how continentia and temperantia are POSSIBLE!”). Dopo la grande edizione critica di Mariani, Grottaferrata, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Centro Studi Francesco d'Appignano. Francesco Rossi della Marca. Rossi. Keywords: continentia, temperanza, giudizio, giudicazione, volonta, volere, atto apprensivo, appresione, atto giudicativo, conoscenza apprensiva, conoscenza giudicativa, decisione, libero arbitrio, colpavolezza morale, agire l’atto buono, possibilita della colpavolezza morale, la legge, la volonta sotto la legge, giudizio razionale, agire razionale, ragionamento, conclusione, sillogismo pratico, elezione, la caduta d’Adamo, la teoria dell’elezione e la deliberazione, i peripatetici, virtus de-re-licta, teoria del moto, moto perpetuo, virtus contro il corpo, virtus con il corpo, volonta con il giudizio, volonta contro il giudizio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossi: l’implicatura di Lucrezio – filosofia italiana -- Luigi Speranza (San Giorgio). Filosofo italiano. "Il più grande e puro metafisico" nelle parole di VICO (si veda). Vive a Montefusco. Studia a Napoli. Scrive diverse saggi tra cui il più importante rimane “Della mente sovrana del mondo”.  Altri aggi: Considerazioni di alcuni misteri divini, raccolti in tre dialoghi,  Dell'animo dell'uomo,  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. IS PUTAZ10NE UNICA   DELL’ ANIMO   DELL UOMO   DEPUTAZIONE UNICA   Nella quale fi fciolgono principalmente  gli Argomenti di Tito Lucrezio  Caro contro all’Immortalità.   OPERA   DEL SIGNOR   D. TOMMASO ROSSI   Abate Infoiato di S. Giorgio ec.   -J> fi D *-   All’ Illustrissimo Signor Marchese   D. LO RENZO   BRUNASSI -   . *§i*   IN VENEZIA MDCCXXXVI.   . Con Licenza de' Superiori .     Digitizecf by Google    rw>5'*     !     •yr&Si fftm/rbr   Nil tam diffìcile eff , qtiiu qiuerendo  inveffigari poffìet .   Ter. Heautontim, A3, 4 . Se. r.     %   1   ■ Digitized by Gingie    ILLUSTRISSIMA   %   ■9 ...     SIGNORE —      tv     Ella dimora , che  in quefta noftra  Città di Montefufcolo per   al - 1    kti     'DigmzSa by Coogl    alcun tempo fatta avete ,  tanti argomenti di virtù ,  e nel riguardevole Uffizio  di Regio Uditore , e in_>  tutti gli utti -cibila vita^  avete dati ; che in ogni  parte di quella ben am-  pia Provincia , la lode , e’1   nome voftro nelle bocche  ♦ •   degli Uomini rifuona da  per tutto . Per la qual co-  fa io non folamente ho  dovuto rivolgermi verfo  di V oi ad ammirarvi , ed  amarvi con tutti gli altri ;  ma ancora ho potuto alla   de-    Digitized by Gf)ogle    degniffima perfona voftrà  alcun particolare oflequio  preftare : e fi il mio libro  dell’ Immortalità dell’ A-  nimo , che ora efee alla.,  pubblica luce, dedicare, e  confecrare . Concioffiachè  la V irtù fola di per fe, fen-  za dover altro cercare , fia  potentiffima cagione , per-  ché riveriamo, ed onoria-  mo colorò , che adorni ne  fieno: e più quelli , che nel  più alto feggio di lei col- •  locati veggiamo . Nel che  nondimeno , mentre l’af-  : ' • fe-    lezione dell’ animo rive-  . lente , e divoto ho fegui-   ta ; nel tempo medefìmo  all’ opinione del libro , e  I9ia?r ip cr e do a -baflanza  a ver provveduto. Percioc-  ché io non dubito, che-»  v quella mia Opericciuola ,   (qualunque ella ha) oltre  a’ confini dell’ Italia , ed  • oltre al ter mi ne d ella pre-  fenteEtà,inRegioni rimo-  te , ed a futuri tempi coll’ •  • autorità del tifone volo , e  chiaro nome voffro nom>  abbia a trapaliate. Gran-  de    Digitizécl by Google    de fermamente , e di gran  laude degna è la Virtù vo-  ftra , che fin dalla prima  giovanezza con perpetuo  tenore , belle , e laudevo-  li Opere ed alle private.,  pe rione, ed alle pubbliche  cofe profittevoli arrecan-  do, fi è dimoftrata . Nel     ti lumi di Giurifprudenza,    quanti ivi fono , ri luffe.,  ella con grande ammira-  zione di tutti : poiché ap-  pena varcati tre luftri , a  prò di litiganti , e di rei , '  tifiti a dot-    V    • • . 0   . ‘ dotte , ed eleganti , e fpi-  ritofeOrazioni vi udirono  * * recitare . Per la qual cofa .»■   di dì in dì Tempre più cre-  ' * , fcendo l’ opinione del va- -   lor voftro , del pregevole  ornamento della Toga di  Giudice della Gran Cor-  te maturamente fu il vo-  ■ ■ ■   ftro merito onorato . E in  * quel gra vidimo Miniftero   con lucidezza di feienza ,  e con incredibile coftanza  il dritto cammino del V e-  ro Tempre tenendo , e in  ogni affare la prudenza-^   ufan-   t ; •   ♦ •   *9 » •   • *   • % »   \ •   . ' ^ Digitizedby Google      ufando ; cosi bene avete *  adoperato, che l’approba-  zione , e l’amore di ognu- * •  no , e in quefti vicini ben  avventu roti tempi il fa-  vore ancora della Maeftà  del Gloriofiffimo Re no-  iìro avete meritato. Quin-  ‘ di l’ alta di lei Regai prov-  videnza , il -primo onore  confervandovi intero, a  moderare i Tribunali del-  le Provincie, ed a tenerne  gli errori , e le corruttele  lontanila conofciuta V ir-  tù voftra ha prefcelta . E  a 2 ben    C        t    #    . Digitized by Google    ben la Città noftra innan-  zi ad ogni altra, e tutta la  Provincia , delle diritte,  fagge , e fcorte maniere-,  voftre con comune ripo-  fo , e comun contento co-  pioii frutti han ricolti . Ne  folamente nella nobili^  ma fcienza delleLeggi,ma  in altre parti ancora dell’  umano fapere Voi avete  molte fatiche , e vigilie-,  collocate: le quali e la no-  ja adergono di quegli ftu-  dj , e ne ajutano l’ intelli-  genza , e la cognizione di-  ' > •; la-    Digitized by Google    latano, e compiono dell’  Uomo . Ne finalmente^,  nelle pulitezze , e ameni-  tà delle Lingue più belle  non avete ancora efercita-  to lo ’ngegno : poiché con  elette Poefie tofcane e la-  tine, della nobile Acade-  mia Cofentina , e della,,  famofa Arcadiadi Roma ,  ove liete aferitto , avete  fuperata l’ opinione . Ma  la voftra loda più ricca , e  adorna £ difeopre , e più  chiara , e luminofa nelle  dovizie, e negli fplendori   del-    delle magnifiche , e me-  morande laudi del Signor  Duca di San Filippo vo-  ftro degniffimo Padre . Le  quali fe non diftintamen-  te narrare, ne degnamen-  te celebrare , che non è  luogo , ne io con niuno in-  gegno potrei ; perchè fon  pur voihe , debbo alme-  no in alcun modo addita-  re. E in particolare alcuna  parte del veramente ma-  ravigliofo governo , che  delle pubbliche cofe egli  ha fatto, nel confiderabile   . .Ma-    Digitizéd t    Magiftrato di Eletto del  Popolo debbo rammenta-  re in ogni modo . A quel-  la importantiffima ammi-  ri ideazione in tempi diffi-  cili , e pericolofì , con tutti  i fuffragj più volte chia-  mato il Signor Duca , con  mirabil fapienza , e con.»  incredibile iludio, e fatica i  pubblici affari ha condotr  ti a felice fine . Egli la pub-  blica falvezza fempre me-  ditando , e a quella ogni  penfiero, ed ogni operai  rivolgendo, una cofa affai   dif-      4    difficile ha confeguita: che  per tutto il tempo, che  quell’ immenfo pefo ha_»  foftenutó, giammai ne per  colpa murray-rtc-per qua-  lunque fortunofo evento ,  ne di fterilità , ne di guer-  re, ne di altro fimigliante,  nella Città , e nel Regno  la fcarfità , e la fame fiali  potuto introdurre . Per-  ciocché , oltre ad ogni al-  tro ingegno di fcorto prov-  vedimento , in ogni tem-  po da lontane Regioni per  lunghi tratti di mare co- t   « P io -   » * * i   ~’i • »- , . . _   •_ * . * — - ’ • . Digitizèd by Google    piofe annone fonofì fatte  approdare ne’noflxi Porti .  Nel che con raro efempio  di carità verfo la Patria ,  di o/Iequio verfo il Princi-  pe , delle fue proprie fo~  ftanze molto oro ha pro-  fufo . Sopra tutto di eter-  na memoria degno è quel-  lo, cheneiravvicinamen-  todelle vittoriofe Infegne  dell’invitto, pio, felice^.  Re noftro, in tempi pieni  di timori , e di fofpetti ,  premendo ancora il no-  lfro Suolo le armi nemi-  t'àìf b che;    s    che; mercè de’fuoi alti  configli , nella Città , e  contorni ogni cofa videfi  tranquilla , e quieta . Or-  che le rapine , le occifio-  ni , i tumulti , che i trifti ,  e iediziofi Cittadini in fo-  Iniglianti tempi meditar  fogliono , tenefiè dalla..  Città lontani; Egli folleci-  , tamente le cofe alla vita  neceflarie appreftando 5 e  gli animi feroci della ple-  be mitigati , e addolciti »  co’ Signori conciliandola   tran-    Digitized by Google    v    tranquillità , e la pace nel-  la Città, e quindi in tutto  il Regno fuori di ogni opi-  nione ritenne . Onde po-  tè dirti allora , che eglf il  Signor Duca la Città fai-  va , falve le vite , e  foflanze de’ Cittadini al  Gloiiofo Re noflro avefle  ' conferva te . Caro pei - tan-  „ * to al Re , alla Regai Cit-  „ tà, ed al Regno, a.fublinii .  degnità fi è veduto meri-  tevolmente afcefo. E pri-  ma il pregevoliffimo ono-  : - - re ottenne già di dover   b 2 Egli    Mf    Digitized by Google    Egli colla fua Famiglia ,  in uno qual più voleffe de’  nobiliffimi Seggi , fra Pa-  trizj effer annoverato, e  delcritto-. Pe^qticfte vie ,  e con ifplendidiffime affi-  nità la fua Cafa nel più al-  to luogo de’ Baroni , e Si-  gnori del Regno ha folle-  vata. Oltre al le nobili Fa-  miglie Spina della Sarde-  gna , e Poliaftri della.*  fplendida Nobiltà Cofen-  tina, in donando a Voi in  Ifpofa la Signora Marche-  fa D. Marianna Orenghi ,   Da-    4    Dama di rare doti , tutti i  pregi di quella nobiliffima    Famiglia nella fua propria   Cala ha trasferiti.Per chiù- ' .    quella chiariffima Fami- .  glia ella è nobile in Ven-  timiglia ,Città principale  pofla nel fuolo di Geno-  • va . Ella è altresì nobile  in Roma , rocca dell’Eccle-  iiaftico Imperio. Ed ivi a  > | quella Repubblica faggi  ,>, Togati » e prodi Capita-  - ni ; equi Senatori in Cam- '    dere in brieve giro più cofe     pidoglio , qual fu un Gio-    van    *    Digitized tty Google    van Angelo Orenghi , e_>  degniffimi Prelati , e Car-  , dinali ; tra quali il Car-  dinal Niccolò Orenghi di  onorata memoria , alla-,  Chiefa ha donati . In ol-  tre alla Signoril Cafa Maf-  fa degli antichi Baroni del  Vaglio gli Orenghi Eret-  tamente appartengono : '  della qual Cafa fu già l’A-  va paterna della Signora  Marchefa , che del loda-  tiffimo a memoria noftra  Cardinal Girolamo Maf-  facafanatte , è degnifsi- -   ma    Digitized by Google    ma Pronipote. Quella pic-  ciola parte delle voftre_>  amplissime lodi ho io qui  potuto ricordare, molte,'  e grandi cofe lafciate ad-  dietro . Dal che nondi-  . meno lì può vedere , che  di fommo pregio è la mia  fperanza , che ’l mio li-  bro , che ora al volil o me-  rito inchinato vi prefen-  to , dedico , e confacro j  ficcome 1’ accefo delìde-  riadel di voto animo mio  contenta in parte ; cosi  fra molte genti , e pe r mol-  • . : . . " te .    / ■ .   te età debba effe re .dure-  vole memoria della fervi-  ti! mia ; della quale fopra  ogni altra cofa del Mondo  onorandomi--, -volentieri  mi confermo f'- 1    Di U. S. Illuftriflima    ma rno   Divotifs . , eri Obbligatifs. Servitore  - L' Abate Roflì di S. Giorgio .    piqiliiCd by C ÌOOglc    PREFAZIONE.     Oicbè può avvenire , che quefa  mia Difputa capiti nelle mani  di alcuni , che le vane fittili-  t'a , e, pregiudizj feguono ancora  della vo/gar Ftlofofia ; e' fa di  me fieri , che io qui alcuna cofa ne dica ,  che mi pare dover dire per liberarla , fe  è pnjjìbilc , dalle coloro accufe . Imperoc-  ché eglino cerfh mente bia finteranno leu*  maniera di filofofare , che io ho prefo a  feguire : e le dottrine , che vi arreco t  tutte, o parte come nuove , e frane ri-  fiuteranno : e nelle ofeurità , nelle quali  forza è che alcuna volta fi abbattano, e  dove da' fienfi , e parlari loro i miei fi  dipartono ,come fogliono in sì fatte accu -  fe di leggieri trascorrere \ fufpicberanno  ancora per avventura , che alcuna cofcu»  vi fi a fionda , che colle verità della' no-  fra Santa Religione non ben confenftt ,  Or io innanzi ad ogni altra cofa /* Alti fi  fimo Dio chiamo in tefliShnio , che con-,   * c quefa    + t    quejla tuia fatica altro non ho io intefo ,  che quelle verità , quanto più per me fi  è potuto , nell ’ ordine naturale ancora co *  fumi della Filofofia avvalorare , e oi di quel torrente d’Eloquenza divina , con la qua-  e vi avete fatta una fpezie di favellare tutta vo-  :lra propia ? perch è p ropia di co tal Jcienza ? Del-  a bellezza, e’ leggiadra de’ traf porti , che ufate_»  tutti opporti, dome debbono eflere , a quelli , che  ufa l'eloquenza Umana ; perchè quefta debbe fare  dello fpirito corpo , e voi in certo modo fate del  corpo fpirito. Voi liete degno, Signor D. Tomma- \  fo, non già di Montefufcolo , ma della più famofa  Univerfità dell’ Europa. Laonde poiché la voilra mo-  dedia, eguale alla voftra gran dottrina, e virtù ve  ne fa contento, almeno giovate il Mondo di coterta  fappfentiflìma Scritturai la quale l’aflìcuro, che re-  cherà gloria, non che a Napoli, all’ Italia tutta ,  con merito grand irti rno inverfo della Pietà , che fi ri-  fonda in utilità di tutte le Repubbliche , e molto più  Criftiane: e vi fo divota riverenza.     ■ . : > J .'ii' . i 1 : f-    ». » / . \ \ 1 • ‘f * -   » • -• J » • • i » - » .J ? i •   Uantunque negl* infelici  tempi del Gentilefimo  denfiflìme tenebre d’ i-  gnoranza delle cofc Divi-  ne, (alvo il Popolo Ebreo,  premettero tutta l’Umana  generazione ; pure per lo Covrano magi-  llero della Mondana fabbrica , e per l’or-  dinato, e collante corfo de’ moti , e delle  generazioni da una parte , e per la virtù  dell’Umana intelligenza, c per 1* interna,  e comun legge , e regola delle operazio-  ni della vita ,dall’ altra ; delle quali cofe,  quella è certa , ed illultre lignificazione ,  e quella è chiara, ed indubitata cognizio-  ne di Dio ; aggiuntevi ancora te reliquie  della tradizione de’ primi. Uomini; pec  tutte quelle cagioni , era nondimeno nel-  le menti degli Uomini altamente infitta   A Topi-     «NI      nz DELL* ANIMO  T opinione dell’ autorità , e del principa-  toDivino, edinfieme dell’ Immortalità  degfi Animi umani , e del t fa patta inferno  opinioni di' loro al futuro Secolo . E tra’Filofofi,i più  gravi, e fublimi, purgata la Religione dal-  della Satura h ttolta moltiplicazione delle Deità , e  divinale dei r dalFaltrc feoncezze, e fozzure della V ol-  aumdeirvo- f U p Cr ttizione , vennero a conofcere,   on folo Autore dover vi etterc, e un folo  Arbitro di tutte le cofe:c la Divina origi-  ne , e Timmortal condizione degli Animi  noftri, e le pene degli fcellerati, e i premji  degl’innocenti ebbero per fermi, e più  minuti , ed ofeuri , febbene ne la forma-   zionc dell’ Univerfo, per potere, ed in-   ■ gegno di mente fovrana; ne l’informazio-  ne del corpo umano , per condizione di  mente inferiore informante , compren-  dere potettero ; tuttavia la più parte di  loro , ne provvidenza di Mente Eterna ,   r ne realità di Animo Immortale in altro   modo negarono , che, nel Mondo la rea-  4* lità del Divino cflere, e nell’ Uomo , la .   verità del dovere onefto ritenendo . Il   ■ - che i moderni Epicurei con tutta laco-   ** # pia de’ lumi de’ noftri avventurofi tempi   non fanno ; come quelli , che per eftrema   ma-    Digitized by Google    ir    DELL’UOMO. ?  malizia , ò cecità , non de l tut to convin-  ti , per non potere concedere in Dio rea-  lità di Edere fenza verità di legge , e nell*   Uomo verità di legge fenza realità di na-  tura foffanziale ; e per non volere l’una  per l’altra in Dio , e nell’ Uomo rirenerc;  fi gittan più tofto negli effremi dell'em-  pietà del totale annullamento di ogni  realità, e di ogni verità Divina, ed umana.   Ora per forza di que’ naturai» lumi , e di  quelle antiche origini , e’ non è da mara-  vigliare , che Lucrezio, il più fiero nemi-  co del culto , e dell' Immortalità , abbia  nondimeno per vere, ed affermi alquante  cofe , che l’infelicità de’fuoi tempi fol po-  tè fare, che noi conduceflfero per diritto  cammino al conofcimento del Y r cro . Le  quali prima di ogni altra cofa convien  notare, con alcune altre offervazioni , %   che lafciate addietro, più intrigata, e ma-  lagcvole fenza dubbio rederebbono l’ in-  traprefa inveftigazione . E in prima quel  Filofofo, dopo avere argomentato, che f/To Lucrezio  i tre Volgari Elementi , l’Acqua , l’Aria , g^EicZnti  e’I Fuoco doveflono l’Animo, e 1* Anima non vagliano   dell’ Uomo poter comporre ; ."■'«g* p°' LE3Èi2  con apertiflime parole, che quelle tre Na- gfUe.   A 2 tu-    Jflfc.   :      m    v      .lì   .aÉ    Bt   m    S*    «fitti    *      ftkjili   Jfr !    4    «    il   fr    ■. 4 t    f V'   ,,4 * %4   É*>      .* 4 .    r>    j2^ W        m    Anìmofecon -  do Lucrezio  fon di altro  genere, dcu*  que' dm ve -  gnono agli oc-  cb\ e agli al -  tri fenfi*    ♦DELL’UOMO. 7  chi ; ma d’ altro genere più fublime, e  più vigorofo, e più mobile di gran lunga.   Nunc age , moveanf animum res accise : tir unde ^monl   Qu >**'«» i > nilfimo , dove fuole ella rifuggire per  trarne comuni (limi argomenti in tutte le '  piùofcure, e malagevoli quiftioni della  Natura. Qnefto tcgttt*tnfinito, nel qua-  cureineU c** le truovano eflì e copia per ogni fuftanza,  mafatuol 1 * c d ingegno per ogni lavoro, c virtù , e  r infinito. ' porere per ogni maniera di operazione.   Sicché vergendo, non potere al fortuno-  foconcorfo degli atomi lagrande, e mae-  ftrevole opera dell’ Uni verfo afloluta-  mentc affegnare;dicono f che per un tem-  po infinito , dopo infiniti varj accozza-  menti , fien finalmente gli aromi potuto  a quel termine pervenire, come nel. li-  ‘ ' bro v:   Nani certè neque confìtto primordi* rerum  Ordine quoque fuo, atque fataci mente locar unt:   Nec quo: quoque darent motu: pepigere profetici .   Sed quia multa modi: multi: prìmordia rerum  Ex infinito )*m tempore peretta plagi:-,   Ponderi bufque fui : confuerunt concita ferri,   Omnimditque coire , atque ormila ^er tentare ,   Qut r-    Oigitized by Google    '"DELL* UOMO. Ma   «v   Qutcumque inter fe pqffent congrega crenrez  Troptèrea Jìi , ufi magnum vulgata fer   piane , e Semplici cogitazioni noflre. E ,  in fine è affai malagevole a ritrovar cotal  ■Uyr. . .r’iVero a forza di fillogiftici ragionamen-  ti ; poiché l’una parte, e l’altra della  contradizione , contradicenti fillogifmi  quinci, e quindi fomminiflrano , e vie  « più inviluppano la difficoltà . Onde i più _  fenfati , e collanti fon coflretti a fofpen-  deré i giudizj; ed i malavveduti, c leg-  gieri fi rivolgono a difendere 1’ uno de*  due Conrradittorj , e fra loro di vili l* un  contro dell’ altro oftinatamente com-  battono . Il Vero minuto , c fcompiglia-  to della foflanza materiale ùmilmente e’  non può ne forma fantallica dipingere,  ne intellettuale , o ragionevole efpri-  mere , nc conchiudere fillogifmo per  una contraria ragione. 11 noflro intendi-  mento, poiché dalla parte dell’ Animo è  unirà , che aduna , c contiene il numero,  che è la vera diffinizione dell’Intelligen-  za , ed è manifefla nel raccoglimento,  che ella fa del numero della materia nej.  fenfo, e de’ fenfi nella cognizione, e_,   , ' delle varie cognizioni nell’ univerfale,   cd   0    Digitized by Uoogle    DELL’UOMO. 25   cd in fe medcfima , per quella cagione»,  non può raggiugnere , c diftinguere quel-  lo ccce/Iivo sminuzzamento, e dilfipa-  menro , ne può accozzarlo , e cederlo  a comporne 1’ eftcnfione . E poi una af-  fai ardua imprefa di pervenirvi con argo-  menti : perciocché la mente dell’Uomo  nel fuo intendere, che è il Tuo edere,  non avendo niuna abilità per quella ma-  niera di Vero cotanto a lei dilfi migliaa-  te, fenza feorta , e fenza lume fi svia-,  qua, e là adirquctlo, o quello con mal  fondati ragionamenti; ficcome è mani-  fedo nelle molte , e varie fentenze , del-  le quali niuna ha niuno pofitivo argo-  mento per fondare il proprio Vero ; e  tutte, e ciafcuna han molti, e forti ar-  gomenti per abbattere il Vero contrario  delle contrarie . Quindi ficuramente , fe  T amor delle parti non in rutto gli accie-  cafie, porrebbon giungere finalmente a  conofccre , che il Vero non può trovarli  nel dil’cioglimenro degli enimmi in uno  de contradittorj , ma dee ricercarli nel  temperamento, e nell’ accordo delle con-  tradizioni , e nel viluppo degli enimmi,  e nelle maraviglie. Stando così le cofe,  ♦ D come      •*. •    y      ■ - à    2 6 DELL» ANIMO  come abbimi noi divifato, gli Epicurei  antichi preoccupati da quel pregiudizio ,  e i Novelli fpaventati dall’ apparente^,  contradizione , o affatto non han ricerca-  to il Vero maravigliofo , o leggiermente  i ~ facendolo, tolto quelli alla preoccupa-   zione, e quelli allo fpavento cedendo ,   , ' fonofi late iati fedurre dalle vicende delle   forme corporali ad aver per cert3 la mor-  talità degli Animi noflri , con ifconvolgi-  roento , c rovina della Naturale , e della  , ' Morale feienza, e della Ci vile 3 e della Di-   vina altrelì.E qui lien terminati gli avver-  timenti, dopoi quali è ormii tempo di fa-  re quello, che gli Epicurei non han fat-  to, cioè di farci a confidcrare l’ inrendi-  mentodeli’ Uomo , l’ effenza , la proprie-  tà, e le operazioni lue : nc per tanto tutta  la felva degli argomenti , che di là , o al-  tronde trar fi poffono , penfiamo di alle-  gare , che sì trapaleremmo i limiti di uua  Difpura, eforfi alquanto ci difeofterem-   Sì arrecala mo dalla P ro P°H l foluzione , m t tanti , e  teiere timo- tali ne feerremo , quanti, e quali credere-   ijlinzlonf mo P'ùf ,ire al propolìto fenza rincrefce-  delle idee del- Vole proliffltà .   JtiU* ‘Iute ^ in primo luogo conviene allegare la   ria, a,em diftin-    Digitized by Google    A* Jb    DELL* UOMO. 27  dirtinzione, e la dilucidazione dell’Idce  della Mente, c della Materia, che ivi.,  altra guìfa propofta , che da’ Volgari non  fi è fatto finora , e farà ella un gagliardif-  fìmo argomento dell’ immaterialità dell*  Animo, ed agli altri argomenti maggior  forza , e lume fomminillrcrà , che arre-  cheremo dappoi. Per non tacer nulla di  quelle co fe, che lafciate addietro ofeure-  rebbono la dottrinajleldee dellaMateria,  e della Mente , s’io non erro , elle in noi,  e con noi nafeono a quello modo . Nell*  Uomo di corpo, e di anima comporto,  (cheunquefia l’Animo ) per erta coftitu-  zione nafee certamente il fenfo del pro-  prio corpo , il qual fenfo apprende la pri-  ma, ed ampia , e comune azion Tonifican-  te della lortanza corporale : Similmente  da quella cortituzione mcdefima rifulta  la cognizione , o cogitazione del proprio  animo, e del proprio intendimento , Ia^.  quale comprende , ed efprime la prima ,  ed ampia, e comune fignificazione del-  1 ’ Edere mentale . Quelle due Idee così  dirtinte , con dirtinte lignificazioni , ed  cfpretTioni, fono ad ogni uno per la co-  feienza della propria cognizione , e del   D 2 prò-          Digitized by Google    1    28 DELL* ANIMO  proprio fenfo manifede jdccome è a tut-  ti parimente manifeda la contenenza, o  inclusone , e la lignificazione , o efpref-  fion loro . Cioè 1* Idea del corpo chiara-  mente contiene, ed include , e lignifica,  ed efprime P eftenfionc ; e 1* idea dell’  Animo, e dell’ Intendimento con pari  lucidezza la cogitazione efprime, e in-  clude, e contiene. Orio non poffo ac-  quetarmi a quello , che gli altri fanno,  che da quelle fole idee della mente , £«.  della materia, e da quelle fole contencn- ,  ze , fenza dir altro , traggon 1’ argomen-  to della didinzione delle due Sudanze.  A mio giudizio con troppa fretta con-  iar mqftra ìl chiudono , che 1* e de n za del corpo da F  difetto dcll'ar- Sdendone, c non già P Intelligenza , o   de' cartellante Cogl fazione ; e che 1 cuenza dell Ani-  in far quella mo la Cogitazione, o Intelligenza, e non  fazione? 0 ' già 1’ Edenfionc . Ma credo in ogni modo  doverd andare più oltra , e più a minuto  olTervare lecofc, per poter su fondamen-  tapiù falde, e più ampie fondare quella  importantidìma confeguenza . Per mo-  drar di padaggio il difetto , e la debolez-  za di quel corto ragionamento; P eden-  fione, che il corpo di fe apprefenta ad   ap-    »   DELL’UOMO. 29  apprendere, certamente ella è quell'eder  medefimo , che nella coftituzione dell’  Uomo, e per quella coftituzione può il  corpo oggettare,e lignificare; e che l’in-  tendimento noftro dall’altra parte può  percepire, ed apprendere: ma non è già  egli certo , che quella lignificazione cosi  fatta arrechi il primo , e principal edere  corporale, in cui è dovere che fi riponga  laSuftanza, o Edenza ;o almeno none  cofa delira, che il corpo con quel foloef-  fere tutta la fua edenza, o Suftanza ap-  presemi all’Animo a comprendere. Oltre  a ciò l’ eftenfìone , come è un edere uni-  forme , e univcrfale ; così è il più tenue,  e leggiero, ed è come nel frontifpizio del-  la propria codituzione dell’ Edenza cor-  porale locato ; il quale perciò la proprie-  tà, cioè la propria differenza , che è l’atto  e la forma , onde fi termina , e compie V  edenza, Secreto , e ripodo,non può disco-  prire , ed efporre al primo SenSo , ed alla  prima percezione dell’Uomo . E quella^,  uniformità, e comunità , di più per que-  lla fteda ragione di edere uniforme , e»,  comune, è neceffariamente confuSa, e  indiftinta: che pe r tanto certezza, e chia-   rez-    Digitized by Google    f      30 DELL’ ANIMO  rezza niuna in niuna guifa può infondere  nell’ idea.La qual cofa tanto più è da cre-  dere, che nella fofianza delCorpo del rut-  to di vifìbile è uopo, che una moltitudine  di particularità infieme adunandofi , ve-  gna a confonderfi in una uniforme , e co-  mune percezione in quella prima Idea,  eh c ancor effa dal fuo lato fottile, leggie-  ra, cftrema, cojnune , uniforme, indiftm-  ta . Or chi potrà dire , che in quella in-  diftinzione, e confufione, ed in quella  leggerezza ,ed eftremità di cofe , d’ idee,  c di fignificazioni, ripor fi polla l’eftenza?  Per dir tutto in poche parole, quella fi-  gnificazione elfendo come una produz-  zionc della foftanza corporale , che di là  ft propaga nel fenfo dell’ (Jomojegli è fen-  za dubbio un manifcfto errore ,il riporvi  il primo , e principale, e ftante , e pro-  fondo e fiere , qual’ è, e qual efter dee l’ef-  fenziale delle cofe. Finalmente fe 1» Idea  contiene, e comprende , ed efprime 1*  efìenfione, fermamente ella 1* adegua an-  cora, e fi combacia con lei, che altri-  menti come polla comprenderla , e con-  tenerla , non fi può dire . Adunque l*  /idea , e 1* Animo , diciam così , ideante ,   fi ve-    Digitized by Goògle    *    DELL’ UOMO. 31  fi vede per quella via , che coll* ellenfio-  ne che apprende, ed efprime, pofla eften-  derfi ancor elfo , e sì P Animo nell’ idea  dell’ ellenfione dal lato della potenza , e*  pareeftenfo, quantunque nell’ideadella  cognizione, dalla parte dell’ obbictto ,  tale non fi ravvili . Ed allo ’ncontro, per-  che l’idea della cogitazione non è dell*  Animo folo ; li perchè animo folitario  non è nell’ Uomo, onde il corpo ancora  nelle produzioni mentali dee in alcun.»  modo concorrere ; fi perchè nella cogni-  zione de’ materiali obbietti, ne impref-  fione , uè efpreflione fenza corporale ef-  tenfionefi può .concepire ; per quella ca-  gione il corpo dalla fu3 parre fi fa vedere  in alcuna guifa cogitante dal lato della  potenza; avvegnaché dalla parte dell’  obbietto, come tale non fi ravvili nell*  idea deli’ ellenfione . Or come in quella  ultima oppofizione si è fatto , così in tut-  te le altre, quanto fi è detto del corpo ,  per far vedere l’insufficienza dell’idea  dell’ ellenfione a dimolìrare 1’ Eflenza  corporale , tanto con altrettante parole  fi può dir dell’ Animo , per fare intende-  re, che l’Idea della cogitazione none   fuf-    Digitized by Google    ■3 a DELL’ANIMO   (ufficiente a poter diffinire l’ effienza , o  lultanza mentale , In fine non debbo fa-  lciar di dire, che il volere colle prime,  c (empiici , c comuni idee dell’ Animo  il voler noftro diffinire l’ c (lenze delle cole , è per  lenze deill_> Dio cola tanto pericolola , quanto e per-  ' refe eolie fri- verfa maniera di filofofare . Alle quali ra-  "cìidee^è'co- g* on * quando io pongo mente, inrendo  fei pericolofa, bene perchè quella celebre dimoftrazio-  nc Cartefiana in quel modo propoda,fia  (lata , e fia ancora da moiri con ogni ar-  gomento fieramente combattuta . Adun-  que per quelle due prime (empiici idee..,  della Mente, e della Materia , e per quel-  le indiftinte, e comuni loro lignificazioni,  non può giuftamente venirli a quella gra-  viffima conchiufione;ma è neceffiario ri-  guardare per tutta 1’ effienza corporale ,  e in tutte le fu e forme , e modi , e moti ,  ed operazioni;ed oltre ciò offiervare tut-  ta Ledendone del fenfo , quanto egli c  nel proprio corpo congiunto, o quanto  da circolanti corporali obbietti riceve.  Ed ancora in tutta l’ effienza mentale , ed  in tutte le fue forme , e modi per tutta la  capacità della Cofcienza , e della Scien-  za , quanto in fe medefima vede , o dall’   altre    Digitized by Google    )    DELL’UOMO. 33  altre cofe raccoglie*, e ciò fatto, fe_  troverai!!, che nell’ Elfcnza del Corpo  la fola Eftenfione fifeerne da per tutto  fenza niun eflerc, o potere di Cogita-  zione, o intelligenza ; e nell’ £lfenza_,  mentale, fé feorgeraflì folo intelligen-  za , o cogitazione in ogni ricetto fenza  niun edere, o modo di ettenfione; al-  lora , e non prima fi potrà conchiude-  re , che quefte fieno certamente due™.  Elfenze , o foftanze , l’ una dall’ altra™,  realmente didime. La ragione del do-  ver negare alle fempliei idee quel che  fi crede dover concedere all’intera, e  compiuta cognizione della feienza , el-  la è , a chi ben v> attende , chiariflima.  La fignificazione , ed efpreflion partico-  lare, e manchevole, qual’è quella del-  le fempliei idee , già ella molro , o po-  co laici il in tenebre una parte dell’ ef-  fenza , che non è in niun modo ligni-  ficata, ed efprelTa : onde volcndofi a_>  quella elfenza donar qualche attribu-  to, non fi può fare lenza gran temerità:  conciottiachè ragionevolmente debbafi  dubitare , fe nella parte non lignificata  vi rimanga afeofa alcuna ragione efclu-   E dente      Digitized by Google      r     w    X» %     34 DELL’ ANIMO  dente quello attributo , che le fi vorreb-  be concedere , e volendofi negare , non  può niuno , falvo fe non è fconftgliato,  e temerario , rifolverfiafarlo: percioc-  ché fi dee poter fufpicare, che nella^  parte non lignificata alcuna ragion fi  rimanga, che includa quel cotale attri-  buto, che le rivorrebbe negare. Adun-  que l’ Idea del corpo , che contie nc l’cf-  tenfione ( qualunque ella fia ) cfTcndo  pur nondimeno particolare , forza è che  ne lafci in dubbio , fe altro vi fia nell’  effenza corporale , che includa la cogi-  tazione, o intelligenza; e fimilmcnte_,  qualunque ella fia 1’ idea della cogita-  zione dell’ Animo , e quantunque didi n-  ta , e chiara fi voglia , giacché ella è .  particolare, ne fa per quella cagion fof-  picare,che altro pofla efTervi nell’ Ani-  mo, che includa Fedendone . E pertan-  to per fi fatte idee non può giammai giu-  gnerfi a tale , che quelle due Eflenze fi  veggano in tanta luce, che chiaramen-  te apparifea l* Animo efTer foftanza_»  cogitante , o intelligente . Ma nel  fatto di una intera , e perfetta lignifi-  cazione le cofe danno altrimenti; im-   peroc-    >    v    Digitized by Google    i    DELL’UOMO. is  perocché ogni elTenza col fuo mcdefimo  edere lignificando, per modo che l’ef-  fere medefimo fia lignificare , e’1 lignifi-  care altroché federe non fia ,cdel tut-  to imponibile , che la lignificazione co-  tanto dall* efifere fi difcofti,e quello da  quella cotanto fi diparta , che tutta inte-  ra una lignificazione niente affatto ligni-  fichi , di un ampio elfere che fi c; e che un  ampio intero elfere non fia nulla affatto  di una perfetta lignificazione, che fi ha.   Ora egli è, o agevolmente può elfere ad v *   ognuno manifefto , che in quanto colla., zioneficon -  Icorta’del fenfo , e col cammino della_, ^caadejbe-  feienza li olferva , o fi argomenta nella  materia, di foftanze , forme , lavori, ; • %  movimenti, generazioni , e qualunque  operazione, per tutta cotaf ampia, ed  intera lignificazione niente affatto fi feor-  ge , ne pur leggiermente adombrato , ne  di effenza, ne di modi di effer della men-  te : ed è parimente , o può di leggieri  efferc a tutti manifefto, che per tutta  la fignificazione , ed efpreffion mentale,  che ci viene o dalla feienza , o dalla  cofcienza, nulla affatto di materia, ne  cffenziale , ne modale, nc edere, ne ope- «   ■ E i rare    ■ b*/   . . . ' , Digitized by Google    3 6 DELL’ ANIMO  rare vi fi (cerne . Adunque egli è im-  ponibile, che la materia fia, o che ab-  bia, o produca tutto il magnifico ede-  re mentale, e che niente di quell’ ede-  re dimoftri in niuna parte dell’ ampia , ed  intera Tua lignificazione ; e che la Men-  te fia , o che abbia tutto l* edere mate-  riale, e niente di quello dimoftri in_»  niuna parte dell’ ampia, ed intiera li-  gnificazione Tua . Tanto era da fard,  che non fi è fatto, per condurre quel-  ; v Vi*’ la dimoftrazione ad una chiaridi ma chia-  rezza   La ragione, che dalli materia drit-  delP immorta- tamente efclude la cogitazione , per la-   mo Umano* 11 * ^ ^iare °S n ‘ circuizion di parole, ella  11 ° non è altro , che quella reai diftinzio-  ne, che per tutta la foftanza materia-  le per ogni parte s’interna, per modo  che niuna parte c della materia , che o  in altre parti da fe contenute ella non  fia da dividere ; o che niente contenen-  do , non fi debba ad una ftrema minu-  tezza di ogni contenenza vuota ridur-  re . Per cotal ruinofa diftinzione , la fo-  ftanza della materia, o nell’un modo,  * o nell’ altro, ella è tutta diftinta , e tut-    Digitized by Google    (DELL* UOMO. , 37  ta divifibilc: tutte le Tue parti fon Fune  fuori dell’ altre, foni’ une all’ altre av-  veniticcie ,ed eftranee; non fi potendo  a niun patto ritrovare parte della ma-  teria per nello di reale identità nell’  altra implicata . Anzi di vantaggio il  tutto medcfimo fi può dire in certo mo-  do , che e’ non fia, c non infida nelle»,  fue parti: inquanto che il tutto non è  tale unità , che intera, ed indivifa nel  numero delle parti fi eftenda . E le_*  •parti allo ’ncontro in certa guifa pur  puoffi affermare , che non fieno nel  tutto , inquanto che elle non fono di  quel numero , che fenza confufione_,  benché indiflinte , nel tutto fi adunino.  In sì fatta maniera di efTere , più fiate in  più luoghi altrove efplicata , è cofa^  manifefta , che le parti non poffono in-  fra di loro in guifa alcuna comunicare;  ne 1* une nell’ altre per niuna via pe-  netrare; ne può avvenire giammai, che  elle in niun modofcambievolmente fi  contengano , o comprendano , o inchiu-  dano : Ne finalmente comunicazione,  o penetrazione , o contenenza , com-  prendone ,o inclufione alcuna può ef-   fere    I    L'imfene-  trabVita del-  la Materia ,  ovejh da ri -  fOì’re .      $« DELL* ANIMÒ  «fere ne pur fra ’I tutto , e le parti ^ Or  tutto quello novero di ragioni, che vi-  cendevolmente l’une 1* altre implican-  do , fono ccrtiffime produzioni della  reai diftinzionc, che noi fotto una ap.  pellazion comprendiamo d’impenetra-  bilità, come le contrarie con un fol no-  me di penetrabilità nominiamo; quelle  ragioni , dico, fon la (lefliilima cecità,  O amenzia della materia. Siccome quel-  la profonda , e difcorrevole diftinzion  reale difperde ogni penetrazione, e co-  municazione di elTenza , cosi fa ancora  di ogni penetrazione , e comunicazione  di fcienza. Conciofliachè la Scienza, o  intelligenza , ed ogni cognizione , e co-  gitazione, altro che comunicazione , e  penetrazione non fia: ficcome la fcomu-  nicazione , e l’ impenetrabilità, altro non  fono che cecità , o fconofcenza . Per  Dio la facilità fola , e’1 chiarore di que-  lla luminofa dimoftrazione potrebbe per  avventura per un fol momento farne  travvedere la fermezza , e la ficurezza.  Imperocché come può la materia in-  tendere quello , che non contiene ? E  come contenere quello , che elTa non è ?   Per    * Oigitized by Google    DELL’ UOMO. 39  Per qual via, e con qual potere fi effon-  derà la materia ad includere colla co-  nofeenza quello , che efclude coll’ ef-  fenza?Come diftinta effondo dall’ altre  cofe, ‘comunicherà con quelle medefìme  per apprenderle ? Come dentro di fé ,  e quali da fé (leda diftinta, ed efclufa,  potrà o a fé ri volger fi , o in fe il fuo  edere raccòrrò , per intender fe , e le  cofe fue ? In qual modo pofta fuori del-  le cofe, che ella non è, e fuori di fe  niedelìma , che non contiene, potria  1* altrui , o’I fuo proprio edere dentro  di fe conchiudere coll’ intelligenza ?  Qual farà il fentimento di quel tanto  deuro, quanto celebrato principio , che  l’operare fiegue all’ edere , fe non que-  llo ; che federe è regola, e norma dell*  operare : che quale, e quanta è Ceden-  za , tale , e tanta eder dee 1’ operazione:  che l’operazione non può fuori eftender-  d dell’edenza: che in dnc l* operare è  una produzione dell’cderc, dechè l’effon-  zada operante; d’operare mededmo,el’  operazione da edftente , e da edo edere  a rincontro. Per le quali certi (lime regole  fedi maggior lume abbifognade, vie più lì   dichia-    V.     4 o DELL’ ANIMO   dichiarerebbe ciò, che diciamo ; che non  fi può contenere, ne includer quello,  che non fi è ; come quello che non fi con-  tiene, ne include , non fi può intendere.  Adunque certifiimo argomento, e chia-  rifiìmo di cecità, ed infenfatezza , è la-  diftinzion reale coll’ impenetrabilità,  fcomunicazione, ed efclufion materiale.  La diltinzione , che per varj divarie co-  fe , e diflacca 1’ eflenze , e proibifce le  coriofcenze; nella coftituzione dcll’intut-  to divifibile material fotlanza giugneall’  ecceflo di diftinguere ; per modo che af-  fatto ogni comunione tronca di eden za,  ed ogni via chiude d’ intelligenza . La-  onde e’ non è da maravigliare , fe in  tutte le Lingue più belici’ intelligenza  colla penetrazione , comprenfione, con-  tenenza , ed inclufione è lignificata ; e  con contrarie appellazioni è lignificata  la fconofcenza. Ed è da ammirar molto ,  che i novelli Filofofi fien così ciechi ,  che la cecità della Materia per quella  via non abbiano ravvifata, che fi pre-  fenta nel primo afpetto delle cofe , non  che nel procefio dell* invelligazione.   Con dimoftrare la cecità della mate-  ria    Digitized by Cìoogle      ~rr . — *’-• —    DELL’ UOMO. 4i , ,  ria, abbiamo inficme dimoftrata 1’ im-  materialità della mente ; Imperocché fe  la materia è cieca, perchè ella è di vi-  libile, la mente dee eflere indi vilibiie ,  perchè è intelligente . Pur nondimeno  c uopo in efla intelligenza oflervar la  di lei immaterialità, come in efla natura  diviflbilc la cecità , c l’amenzia abbiam’  oflervata. Adunque fe la Mente cono- °V e f ,a  fce le fue cognizioni , come per la pri- trabiitàdei-  ma, e più interna , più lucida notizia I* Mente.  della colcienza è certiflimo, ella certa-  mente le Tue cognizioni , e 1’ eflere di  quelle, e ’i fuo medefimo dee in fc con-  tenere : e con quelle Tue operazioni , e  con tutto il fuo eflere , per pcnetrevo-  le comunione , e per indiflolubil neflo  d’ identità , efler dee una cofa mede-  lima realmente indiflinta , ed indivifa.   E poiché per mezzo delle cognizioni  apprende tante cofe, quante ve n’ ha_,  in tutte l’Iflorie, e in tutte le Scienze,  ed Arti; la Mente quell’ immenfa am-  piezza, e quel novero infinito di forme  memorabili , fcibili , ed agevoli con-  terrà tutte nel fuo intendere, e nel fuo  eflere penetrando , e includendo :   F con    . . J      , ?»    Digitized by Google    42 DELL’ANIMO  con reai neffo tutte le cofe compren-  dendo, cd unificando nella Tua intelli-  genza ; e la Tua intelligenza in tutte le  cofe eftendendo, indiftinta, ed indi vi-  ta da quelle così, come è dal fuo efte-[  re medcfimo,e dalle fue medeGmc cogni.  zioni.Dal che chiaramente fi feerne, cfter  l’intelligenza, e per confequcnte 1* Eflcn-  za mentale con tutta quell’ ampiezza , e  4 ; con tutta quella dovizia , che accennata  ■ abbiamo efier, dico, nondimeno indiftin-  ta, femplice, ed indivifibile.Concioflìachc  comunione, penetrazione , e inclufione__,   Veneu-abi- fono co ip indiftinzione , o identità una  ■ hta , e rden- r ...   tiù fono um cola, c per poco una ragione , o notizia  c»fa medejì. medefima . Siccome la reai diftinzione  fminuzzaper tutto la foftanza della ma*  teriajondel’eflere materiale è impenetra-  bile^ incomunichevole ; così la penetra-»  zione , la comunione , e l’ inclufione per  tutto realmente conduce, e connette l’in.  telligenza ; onde l’ intendere , e 1’ eflere-  mentale efter dee indiftinto, femplice*  ed indivifibile , immateriale , e immorta*  le. Certamente la fola eftre ma chiarezza  di quefta dimoftrazione a non fani intel-  letti può per avventura far dubitare   della    Digitized by Googlè    DELL’ UOMO. 4?  della fermezza per un momento . Im-  perocché come potrebbe la Mente, o  non contenere quel , eh’ intende, o non  eflerc quel , che contiene, o edere da .  ciò che contiene realmente diftinta ?   Come mai potrà efcludere, e (termina-  re coll’eft’enza quel, che include coll’in-  telligenza ? Come fopra di fe ritornan-  do, o in fe il fuo effere raccogliendo A )■ * 0 -  ad intender fe, e le fu e cognizioni ;  trebbe poi cfler tutta in fe, e quafi  fe realmente diftinta, ed efclufa ? E in  fine il proprio, e 1* altrui edere , nell*  intelligenza accogliendo , come può av-  venire , eh’ ella fia pofta fuori delle co-  fe,che intende, e che efler dee, e fuori di '  fe medefima ancora, qual certamente  larcbbe , fe fuflc divifibile , e materiale ?   Non ci ha dcll’indivifibi!ità,c dell’imma-  terialità argomento più ficuro di quel-  lo , che eia penetrabilità, e della co-  munione, che è l’intelligenza. L’Iden-  tità , che per varj gradi di varie cofe  fomminiftra 1* intelligenza, c connette  l’edenza; nella coftituzion della mente  giugnendo fino alla penetrabilità, ed  infelfionc , che adduce ogni comunio-  .. : Fa ne    •#    Digitized by Google    . •*   ./ •* ^ ^ ^   44 DELL’ANIMO  ne di eflere, ed ogni lume d’intendere,  viene in tanta chiarezza , che egli è  una maraviglia , che alcun de* Filofofi  abbia difperato di poter trovare (uf-  ficiente ragione deli’ Immortalità dell*   Animo dell* Uomo, la quale fenza fa-  tica d’inveftigazione nel primo afpctto  delle cofe ci fi apprefenta.   ■g?** Con quello argomento fenza fallo  ^ffHré P, °mate- fino il fondo è fiato difcopcrto dell’  riale quale efienza materiale, che è la reai diftin-  deU^mmte 2 j one ^ e j a di vifibilità , onde la cecità ,  e 1’ infenfatezza immediatamente di-  pende . E infiemcmente il principio,  e 1* origine dell’ efienza mentale ab-  biam ritrovato , che è la reale indiftin-  zione , e 1’ indivifibilità ; onde l* im-  , materialità , e immortalità neccflaria-  mente difcendono. - *   ' Ora da quel primo fondamento del   , - materiale eflere , molte altre proprietà  procedon della materia: ciò fono mu-  tabilità , e mobil ita ; novità, e contingen-  .) , za ; impotenza , ed inerzia ; e in fine fug-   ^gezione , c dipendenza , che tutta l* ef-  fenza della materia adempiono per av-  ventura . Come altresì da quel princi-  pi» ^ pio   . ■?   «   # - • •   • . ^Digitised by Qoogle    DELL’ UOMO. 45  pio dell' Efler mentale molte proprietà  provengono della mente : quali fono,  coflanza , ed immobilità ; neceffità , ed  antichità ; potenza , ed arte; e finalmen-  te libertà , e independenza , che tutto  1 ’ effer mentale fi può credere, che_  adeguino. Le quali cofe fono altrettan-  ti fermiflìmi argomenti, 1 * une della ceci-  tà della Materia, e l’ altre dell’ Immor-  talità della Mente . Ma alla difputa di  fi fatte ragioni e’ fa di meftieri premet-  tere una confiderazione , con utilità de*  novelli Epicurei , per fargli fin da ora  argomentare la debolezza degli argo-  menti Lucrcziani : e di tutti gli altri , per  agevolargli l’ inrelligerfza di quanto im-  prendiamo a dire di quelle ducEffenze.Io  prefuppongo, che quelli novelli abbian  già fatto quel, che gli antichi non pen-  farono di fare , o fecero leggiermente ,  e trafeuratamenre : cioè che abbiano  afTai filofofato fopra la Natura imma-  teriale ; che nondimeno per la cagio-  ne , che dirò , fi fian rimafi nell’errore.  Prendendo eglino la corpulenza, e la for-  za fenfibile della materia per falda, e chia-  ra verità, e realità; e per la finezza, e   fotti-    4 tutto corporeo , e dirtolu-  bile, e mortale apparifee ; e dall’ altra ,  per gli altri argomenti fi feerne incor-  poreo , ed Immortale : non può niuno  ne a quello, ne a quello, ne alla mor-  talità, ne all’ immortalità , non prima  avendola va nità de’ contrari argomen-  ti dimoftrata , fe non per temerità, e  per capriccio attenerfi . E trovandoli  per avventura amenduele parti inacef-   fibiii f    «"ÌMI -'*T*   « W*f       m-    ?:      Digitized by Google    4 S DELL’ ANIMO   libili, cd inoperabili , c dovere allora,  che fi temperi , e fi mitighi la forza degli  uni, e degli altri argomenti, affinchè o un  qualche comune effetto infieme lor for-  za comunicando , arrechino ; o lor forza  dividendo, in diverfe foftanze , o modi,  divedi effetti producano . Nel qual tem-  - pcramento,e mitigamento egli è fenza  ,e fallo riporto il Vero maravigliofo : co-  me del Vero della Mente abbiamo già  detto doverfi fare: e come a fuo luogo  in quefta medefima Difputa, col favor  di Dio , noi faremo in effetto . Frattan-  to fe lo feopo degli argomenti Lucrc-  ziani è , che la Ragione , e l’Animo  dell’ Uomo fia del tutto diffolubile, e  mortale ; che egli prende da diffipamen-  ti , fucccffioni, vicende, e mutamenti,  •che vi fi veggono : e per contrario i  contrarj argomenti vanno a dimoftrare ,  che la fortanzial ragione, e I’ Animo  egli è in fe medefimo indiffolubile , ed  immortale; non c egli un giurto, e ra-  gionevole temperamento, e mitigamen--  to del contrarto degli argomenti , il di-  re, che l* Animo debba effere in fe, e  verfo di fe immortale per forza de’ fe-  -tèéà condi    * .    ;    DELL» UOMO. 49 »   condi argomenti ; e che la forza de’ pri-  mi più oltra non vaglia a conchiudere,  fe non che l’Animo lia dall’ Uomo dif-  folubile , e in quello fentimento , e in  quello rifguardo mortale ancora?   La fola Compofizione , che è nell’   Uomo, ella è fufficientiflima cagione di  ogni variazione, la qual perciò a quel-  la compolìzione fola puoflì attribuire :  onde necelfità di dover dedurre , che-,  elTd Natura ragionevole immediaramen-  te patifca que’fvariamenti, ed ella deb-  ba clTer caduca e mortale , non vi li ,  fcorge niuna affatto. Gli fcadimenti,  gli avanzi, i eominciamenti,e i lini fo-  no varie guifc, evarj modidieffa com-  polizione.La compofizione è principio, ' ». 41   c radice di ogni variazione. La natura ^luziongeL  ragionevole , quantunque ella in le da ti gli argo-  mutamenti corporali immune , e libera; nienti ima*  tuttavia congiunta colla variabile ma-  reria, dee neceffariarnentfc non in altra  guifa , che variando, difpiegar le fue«  ragionevoli operazioni. Sarà quella Tem-  pre una generai foluzione affai fondata,  c forte di tutti gli argomenti di Lucre-  zio , che può offufear eziandio quella  • * G - appà-'    1 >        •; ¥    Digitized by Google    V t    *0 DELL’ANIMO   apparente evidenza, con che ha prefi  i materiali intelletti de’ Cuoi feguaci:  e’1 farà ella Tempre, finché eglino non  auran dimoftrata 1’ impofiibilità della.,  natura immateriale , o 1* impoflibilità  del concorfo , ed unione della medefi-  ma colla materia , e che a natura im-  materiale fia ripugnante, il potere con  quelle variazioni, che nell’ Uomo veg-  giamo , in niuna guifa operare. Il che  ficcome finora non han fatto, così non  éda credere, che fian per fare in avve-  nire . Ora ritorniamo al propofico, per  dimofirare in oltre per la mutabilità,  o mobilità cieca la Natura materiale; e  per l* immutabilità, o immobilità , im-  mortale l’intelligente: come già prima  . nbbiam fatto, per la reale difiinzione,  ed efclufione dell’ una, e per la reale_  indifiinzione , ed inclufione dell’ altra .  Nell’ eftenfione , o efirapofizione, che  - firZlonc' 1 ^- ne ^ a materia è manifcfta, noi feorgendo  Ucecita della allora quella difiinzione , ed efclufione,  de tornir* ne argomentammo la cecità , ed amenzia:  e nell’ intelligenza , che è in noi , e nell*  e (Ter noftro evidente, veggendol’indiftin-  zione ,e P inclufione ; quindi raccogliem-  mo    , •*» • •    tal ila de Hi  Mente .    1    Dig[tized by Google    DELL’UOMO. 51  mo dover la mente edere indivifibile, ed  immortale. Ora nell’ eftrapofizione me- - 4 -v   dcfima , di più la mutabilità , la mobilità,  e’1 moto oflcrvando ; e nell’ intelligen- r  za , di più la immutabilità ,e l’immobi-  lità, e la quiete ritrovando ; di nuovo  1* una, e l’altra conchiufione dell’ una,  e dell’altra natura verremo a provare. V -.=■ -  L’ Eftrapofizione , per cominciar dalla  prima, c la radice di ogni variazione, . 1   mutazione, e moto ; perciocché man-  cando alla materia unità reale , che_, * .  aduni ,0 unifichi le parti , e 1’ edere  dell’une nell’ altre implichi, e le Arin-  ga, e fermi indillolubilmente ; per ne-  celfltà deonfi poter le parti 1* un e dall’ \  altre feparare, e fcambiarft infra di lo-  ro , e variare, c mutare, e muovere.   Il reai numero delle parti, l’une dall’  altre in realtà diftinte , e 1’ une fuori ~ -*   dell* altre eftftenti, è il medcfimo etter  mobile, e variabile della materia: c Ia_,  fletta mutabilità , e mobilità: è il prin-  cipio di ogni attuai variazione , c mu-  tazione , e moto . Il difetto di quella rea-  le unità, che contenga il numero a quel ^ Materia,  modo , é il verace vuoto, col quale, e . -   . G 2 nel _    Di^itized by Google     wr      r *   -* u      «i*S    *    ** DELL’ANIMO   nel quale dee poter muoverli la mate-  ria: che gli Epicurei ad altra manie-  ra di fallo vuoto trafportano; e i no-  velli Peripatetici , e i traviati de’ Car-  tcfiani n:egano a torto, quello vero vuo-  to con quel falfo degli Epicurei confon-  dendo. V Annone delle parti, Fune  all altre in ordine al luogo fuccedcn-  ti , è come un fluflo , c una fuga delle  medelime per Io fpazio: la quale di fua  natura domanda I’ attuai variazione, c  mutazione, e ’I moto attuale. Il moto  allo ’ncontro egli è l’atto dell’ eflenfio-  ne, o efirapofizionc : ed è prefcnte,ed  attuai efienfione , e fuccelfione . Nel mo-  to di per fc conlìderato non folamenre  e lubricità, e flufTo , e fuccelfione di  parti in ordine al luogo; onde le parti  fieno 1’ une fuori dell’ altre allogate : ma  e altresì fluflo f e fuccelfione in ordine  a tempo; onde le parti fieno I’ unc_,  dopo dell’ altre nel tempo efifienti : di-  modo che ognuna delle parti del moto •  allora ella è, quando 1’ altre fue com-  pagne o fono già preterite, o fono per  efiere in futuro: che o più non fono,  o ad elTere non fono ancora pervenute.   Il        + 4    Y      DELL’ UOMO. 53  II che vero cdendo , come infallante-  mente è ; qual maggiore (Minzione può  avervi dell’ edere , e del non edere ?  qual più certa efclufione di quella, che  Pelle r fa del nulla, ed il nulla fa del Ee Ae-  re all* incontro ? come ciò , che c , può  mai procedere egli a contenere, ed in-  cludere quello che non è, quantunque  o fia dato da prima, o debba edere dap-  poi ? ficcome non vi ha maggior diftin*  zione dell’ edere, e del nulla , ne più  chiara efclufione ; perciocché il nulla,  che non è a niun patto, c ogni efclufio-  ne di ogni realità; e l’ edere che real-  mente è, è ogni efclufione di ogni nul-  lità del non edere: così non ci ha mo-  do più potente a diftinguere, ed cfclu-  dere,cpcr confegucnte più certo , e  più chiaro modo di efcluderc , ed eftin-  gucre ogni intelligenza di quello, che  è il moto, che perchè fia, 1’ edere, c’1  non edere congiunge inficine : le cui par-  ti deono edere tali , che una edendo ,  T altre afFarto non fono, dovendo e(Fc-  re o preterite, o future. Non eie, ne  può eflervi più chiaro argomento dice-    o nio-      cita, ed infenfatezza, della mutabilità,     J' 30é-' UHP    nn. 1 — a  \ "W" 2   •* Wa-       * >• ' le     *    Digitized by    DELL» UOMO. ^  le parti non poflbn Pune dalPaltre fce-  vcrarfi , ne (cambiarli infra di loro, ne  murarli , o muoverli in niuna guifa . J  L’identità delle parti, l’unc nelP elTere "   dell’ altre infiflenri , P unc nell’ altre pe-  netranti^ deflfo elTere invariabile , ed  immobile dell’ intelligenza , è elTa in va- #•   riabilita, ed immobilità, e coftanza, e  virtuofa quiete della mente. L’ inclu-  sone è la virtù maravigliofa , che Uri-  gne,e aduna, e contiene, econferma_. . -1   P clTcnza mentale ad eder libera, e im-  mune dalle mutazioni , e da moti della  materia , e ad elTere in quello riguar-  do invariabile, ed immobile, e quieta.   Quella identità, ed inclulione è ella il Ver 5  verace pieno della Mente, che ne i voi- Tra ma-  gari Peripatetici, ne gli fciocchi de’ Car- ta!e '  tefiani , e tanto meno gli Epicurei in-  tendere non han potuto finora. L.’infi- - ^ > Y'  llenza, ed infeifione delle parti, che ne  luoghi eftendono,ne difpergono tem-  pi , è quello che ogni corporale lubri-  cità, e fltilTo, e fuccelfione allontana^. • ** ì   dall’ elTere intelligente. Ma di cotalin- -  fillenza,o penetrazione , o inclufione,  egli è da fapere, che altra cofa non è,   che    f •.    JDigitiz’ed by Google    t    5 6 DELL’ANIMO *   che (lane l’atro, che 1’ Idea, o perce-  zione . L* intelligenza è principale ,  radicai percezione, ed Idea: e 1* Idea,  o percezione , è prefente , ed attuale  intelligenza; nella quale 1* immobilità,  cd invariabilità del mentale edere, e  1* indivilibilità , e Immortalità in chia-  ridimo lume lì difeoprono . La prefen-  te ,cd attuai percezione dell’ Idea , niu-  na parte della potenza intelligente , e  niuna parte dell’ intendevole obbierto  preterendo , o in futuro rifervando,  cioè ogni parte della cofa , che inten-  de ,infieme comprendendo tutto aduna  in un atro , ed in una prefenza di un  femplice edere indi vifibiìe . Poiché l’ in-  telligenza penetrando , ed includendo  tende all’ influenza di ogni fuo clTere^  in una unità di eflenza: la percezione  c, prefente, ed attuale inclusone, c pe-  netrazione , ed influenza. Ella è l’atto  di quella virtù, c la fermezza, c’1 ri-  pofo, e la quiete della mente, nella..,  pod'cdìone dell’ edere , c del fapere .  Non vi ha maggiore indiftinzione , ed  inclufione dell* ogni edere , cioè di quel-  la edenza, che tutto il fuo proprio ef-    DELL’UOMO 57   fere poflìede, che di fé, e delle fue co-  fc ogni nullità efcludendo , include ogni  fua realità: onde l’atto, e la prefenza,  cioè il prefente edere attuale , che ogni  realità a fe appartenente contiene , è  nel colmo dell’ indidinzione , e dell’ in-  elulione, che ogni nullità, e vacuità, e  lubricità, e fluflo, e mutamento efclu-  de. Tal fermamente è la percezione,  o idea , le cui parti sì elleno fono a fe  prefenti , che una parte eflendo , tutte  l’ altre con quella, ed in quella eder  deono fenza edenfione di luoghi , e fen-  za fucccflìone di tempi ; tutta prefen-  te, ed in atto in fe, e con fcco tutto  il fuo edere conchiudendo. Siccome il  moto edende, e (minuzza , e difperge  le parti della materia; ed è perciò eda  variazione , e mutazione : così la per-  cezione , o idea, diciam così, intende,  e conclude tutto l’ edere della Mente :  e per tanto è la dedìdima invariabilità,  o immobilità, o permeglio dire, è edo  ftabilimcnto , ed eda quiete della Men-  te . Non è nella natura, ne in Cielo,  ne in Terra unione più dretta , ne piu  intima , ne più falda, e indidblubiledel-   H la    L    58 DELL’ANIMO  la percezione: non ci è della percezio-  ne più ficuro , ne più chiaro argomen-  to d’invariabilità, ed immobilità , e di .  . quiete . La Mente che nell’ inclufione ,   ttjftmo arco - e penetrazione deir intelligenza fi di-  menio d' m- moftra femplice edere, ed indivifibile ,      faòlaìwia!' ^ cm P^ ce » penetrabile. La Materia per  la compofizione , edeftenfione,o eftra-  pofizione è divifibilc, variabile , mobi-  le : la Mente per la penetrazione, ed  ♦ inclufione è immobile, ed invariabile.   La Materia ha il fuo proprio atto della  ; , propria edenza, che è il moto: la Men-   te, ella ancora ha il fuo proprio dei  proprio edere ,che è F Idea. Nell’ eden*  dono , efcludone , variazione, e moto  la Materia dimoftra da fua cecità, ed  amenzia: e la Mente ndia'penetrazio&  ne , inclufione , invariabilità , ed, immo-  ti lì bilica    Digitized by-Google    s .    remcLa    DELL’UOMO. 59  biliti fi diicopre indiviiibiie , ed immor-  tale. Non ci ha cofc più tra fe diver-  fc, della Materia, e della Mente: non re  ci ha piu evidente contrarietà di quel- / ra U M/e-  la, che è tra l’Idea della Mente, e ’1 rìsela Mam-  molo della Materia. Ma affinchè niu •  no rivolgendoli alla materia , ed alla  mente deli’ Uomo, ed a’ mori , ed alle  idee del medefimo, non fi turbi, o eoa  tacita oppofizionc non contratti quella  nottra dimoftrazione ; promettiamo in  luogo più opportuno di quella Difputa  far vedere , come nel congiungimento  di quelle diverfe nature, e di que’ di-  verfi modi-, vie più venga adilluttrarfi,  e confcrmarfi la prefente dottrina.   Dall* eflerc indiftinto , penetrevole , * *   ed inclufivo dell’ intelligenza , e* fegue Quarta dì-  di neceffirà , che l’ intelligenza eflcr deg-  già interminata, e univerfale : come-, tdfà-Atuu  dall’ eflerc dillinto , impenetrabile , ed uc  elclufivo della materia , necefli riamen-  te avviene, che la materia debba efler  terminata, e particolare. E benché la  penetrazione , ed inclufione chiaramen-  te voglia aver con beco infiniti, eduni-  verfalitir e l’ efclufionc , ed impenetra.-   H 2 bilità    Digttized by Googk    1    60 DELL’ANIMO  bilità pur con pari chiarezza arrechi  terminazione , e particolarità, anzi più  torto la penetrazione , ed inclufione-,  paja eflere non altro, che erta infini-  tà, cd univerfalità: e 1 * efclufione , ed  impenetrabilità colla particolarità , e-»  terminazione pajano edere una mede-  lima ragione ; contuttociò quelle due  ragioni fono due nuovi rilucenti (Timi  lumi , co* quali nuovamente per nuo-  ve vie rinveniremo coll’ uno la ce-  cità , ed infenfatezza delia materia ,  e coll’ altro l’ immaterialità , ed immor-  talità della Mente . Le quali cofee’ per-  ciò conviene , quanto più c podibile ,  fpiegare ,e dichiarare paratamente. Per  ^Aeco- cominciar quindi , Univerfale c quello,  che tutte le cofe , o quelle che gli appar-  tengono , cioè tutto il numero , e tut-  ta la varietà delle differenze , forme , e  modi pienamente contiene, e sì contien  egli ciò che e’ contener dee , che le for-  me ,o le differenze per lungo ordine di  cagioni l’ une dall’ altre procedenti , e  tutte da una prima, e principale pen-  denti , effo Univerfale dee produrre-,,  eziandio. Una principale unità per altri   mezza.    Digitized-by Google    DELL’ UOMO. 6 1  mezzani principi inferiori, che indi pro-  vengono, ed ordinatamente gli uni agli  altri fuccedono, con fucceffive produ-  zioni fi eftende fino all* cflremiti degli  ultimi particolari a contenergli, e pro-  durgli. Or quella cflenza, o nozione,  o ragion di univerfale , manifefta mente  ella efler dee indivifibile,ed immateria-  le. Conciofliachè eflere immateriale , ed  indivtfibile altro e* non fia, che eflere  in tutti, e con tutti i particolari , e tut-  ti comunicando , penetrando, includen-  do, adunare in una fempliee, indi via-  bile unità di efienza, o foftanza. Senza  quella principale unità contenente, e  unificante , ficura mente le diftinzioni , e  le differenze de* particolari fminuzze-  rebbono , e difperderebbono ogni co-  municazione , e contenenza: e fenza_»  quel numero contenuto , fenza fallo  T uhità rimarrebbe ruota di ogni pie-  nezza , e ubertà . Or 1* intelligenza^  deir Uomo , che ella efprimendo, eraf-  fojtiigliando , fi eftenda da per tutto> a  imprendere ,e conchiuder tutto il nu-  mero , e tutta la varietà dell’ Univerfo  i* Iftorie, e le Scienze x eT Arti il roa-  ni fe-    y ♦    V.jt. ,    62 DELL’ANIMO,  nifdhno a chi che fia. Adunque l’Uni-  verfale ,chc non altro , che una ragio-  ne, o nozione , o Idea parendo elTere  da fé nel primo afpetto non dimoftra  realità ; li Icorge pofcia , ed è reale»,  nell’intelligenza; la cui realità il chia-  ro lume della cofcienza a tutti dimo-  ftra. E l’intelligenza, che è una reali-  tà, o reai natura, o foftanza; c pertan-  to nel primo afpetto non arreca uni-  verfalità; fcernefi pofcia aver vera uni-  verfalità nell’ idea,o nozione, o ragio-  ne dell’ Univerfalc ; la cui immateriali-  tà a tutti innanzi appretta 1* evidenza»,  della ragione . Cotal ritorno, e fcam-  bievole fomminiftramento proprio dì  qualunque più invitta, e piu illultre di-  moftrazione non intendongli Epicurei:  onde nell’ LJniverfale , che di per fe i  {blamente nell’ idea della Mente, tur-  tocche ben vi veggano indivifibilirà, ed  immaterialità; credon pur nondimeno  non più che ideale , e immaginario V elle-  re immateriale: e poi nell’ intelligenza ,  che è , e fi vede edere folo in nature  particolari , febben ravvifano univerfa-  lità; pur ii fanno a credere, che mate-  HNUti riale ,    j Digitized by Google    DELL/ UOMO. 6;   riale, e divisibile efler debba quella na-  tura univerfale ; dovendo per forza»*  di sillogiftica dimollrativa conneffione,  all’ Univerfale , per l’ intelligenxi , con-  ceder realità; cd all’ intelligenza , per  l’ univerfale donare immaterialità . Ma  egli è ben uopo quella univerfalità, che  nell’Arte, nell’ litoria, e nella Scienza  fi manifefta , deferivere più particolar-  mente : affinchè quello argomento non  paja anzi un lavoro di fantafìa , che  vero, e fermo, e fondato in Sicure , e  indubitabili realità . La nollra intelli-  genza, come ognun vede, mifura tutti  i modi dell’ eftenfionc , e diftingue, e  diffinifee tutte le forme del numero ;  onde eHa è aritmetica , e geometrica : ed  al medefimo modo tutte ancora le va-  rie fpezie , e varie operazioni delle co*  fe oflerva, e difeerne, ed eftima ; on-  de ilìorica, e fisiologica può divenire.  Non è adunque la Mente una partico-  lar diterrainata dimenfione, ne c un»*  certo, e particolar numero ditermina-  to; ne finalmente è ella certa ,e diter-  minata forma , o fpezie di quelle, O  quelle nature; ma efler dee, ed è uni>  4 P» P verfal    ftwrtl* I      Univer fatiti  deità Screma*  del P Arte , e  della Storia .      (Séif 4/.  ^4 * V        V,    '* { *    St>\     °S n ‘ cofa efplicando , e argomen-  tando: che è Io tteflo che dire, che ella  i numeri, e i peli, e le mifure, colla_,  univerfalità , dentro di.fc il molto nell*  ~ . : uno accogliendo, e il molto dall’ uno    [M    ■ v ;    ri-    »... v.    ' A: • ~ • ^    r    /+    DELL* UOMO. 69  riproducendo , diftingue , ed efprime:  ficcome con più ragioni nel noftro Vo-  lumetto Metafilico abbiam provato per  ogni parte .Ora dalla univcrfalità, della  quale abbartanza fi è favellato, trapaf-  fiamo alla necertità, ed antichità per ri-  coglierne altri argomenti.   Ma io non prendo ad ofiervare Pef-  fere necertario , per trar quindi dritta-  mente  Immortalità  nuovo, c contingente per argomentar-  ne cecità , ed infenfatezza nella mate-  ria . Perciocché agevol cola è ad inten-  dere , quanto nell’ indiftinzione la ne-  c ertiti, ed antichità ; tanto nella necef-  fità , ed antichità 1* ertere indi vifìbile ,  ed immateriale: ed al primo afpctto,  come /iella dirtinzione della materia fi  ravvifa torto novità, e contingenza j co-  sì nella novità ; c contingenza 1* efler  cieco, ed infenfato fenza molto (len-  to fi riconofce . Onde il far quegli ar-  gomenti , farebbe più torto di ciò eh*  è (lato detto, una riftucchevole ripeti-  zione , che di nuovo ingegno, una di-  moftrazione novella. Benché non porta   negarli    #    argomenti d’ immaterialità , ed * 1   salirà nella Mente : ne 1* erter    m   ■*   . ss» a        * ' -Digitfted by Google    « •K'j    « • •    . ,7© DELL’ ANIMO  negarti, che la ncccifità fopra la indica-  zione; e la contingenza fopra la diftin-  xione aggiungono una, come dicono,  nuova formalità. Adunque nella necef-  fita. fi vuol notar folamenteil primato,  .e’1 principato del proprio edere : che  è*il più forte de’ nobililfimi argomenti  Platonici, da più degli .Autori trattato  con poca dcgnità.E nella contingen-  za deefi moftrare fol la fuggezionc, e  la dipendenza , che meglio di ogni altra  cofa ne conduce a quel Vero , che nella  materia andiam ricercando . E vuolfi per  tanto dcfcrivcrc prima la necclfirà, e_  poi la contingenza: avvenendo per fimi-  glianti acribologie, che mirabilmente e  l’ idee fi dichiarino, e li fortifichino gli  argomenti. Or la neceflità, che altro è   Jìù*cbeelia fc non identità , o inclufione_  Jìa . dell’clferc in una fempliee unità; onde   l’efienza con ogni fua parte , e con fe-  co medefimaè infeparabilmente connef-  fa ? E poiché un cotal nello non può  conccpirfi che fia, fe non infra più Ra-  gioni, o elementi, o parti ; 1’ identità  dell’uno col numero inclufo;e del nu-  mero coll’ uno includente; c delle par-  ti    if. -    *    ’• Digitizec    DELL* UOMO. 71  tr del numero infra di loro in quell’uno»  medefnno, e’ farà certamente il nello  della uccelliti . E in fine non potendo»  tutto ciò edere fenza intrinfeco produ--  cimento , e fenza intrinfeco procedo  dell’ uno dall’ altro; nelj’ efienza necef»  faria , necelfiria mente eflèr dee princi-  pio, mezzo, e fine:, così che il princi-  pio internamente produca il mezzo, c’I  fine, e a quelli comparta tutto il fuo  edere , e in tutto 1* eflere di quelli fi  diffonda • e ’l mezzo , e ’l fine vicende-  volmente tutto il loro edere nel prin-  cipio rifondino , e in quello ritornino ,,  e fi ripolino . La necelfita è edenza.,  avente unità , e numero ,. principio ,  mezzo , e fine per interne comunica-  zioni indivifibilmente congiunti . E adun-  que la necelfita in fc , e con feco ,,eL-  da fe medefima , ed avendo in fc mer.  **ìzo , e fine prodotti da un principio,,  che è ella medefima ; viene con ciò  avere il primato, e ’l principato del fua>  proprio edere , da ogni altra edenza m?  quello rifguardo libera, c indipenden-  te. Dichiarate così quelle nozioni, di-'  eiamo’ che la neceflirà, o non è ella_,  MI» . a fiat-       •*       • r    v          “nitiVarl    l.    ,T>    » ;        . rx    *■-    \ uX '    T ..    (. *    V «   • Vk *• *.   K T'      -■ *-    ; v      - . • -* V ~   [ • rV‘      te.    -a    * * -V    ; u.   e procaccievolc la fcien-   onde pròve' za • Quello è dedò ficuramente tutto il  i ™ . nerbo di quel famofo argomento pla-  tonico, che T Anima dell’ Uomo muo-  va fe medelima: e perciò da fe dipar-  tirli, ed abbandonare fe (leda a vcrun__»  patto non poifa giammai. E di queiral-  tro pur di Platone , che nel primo è im-  plicato , cioè che l’Anima dell’ Uomo,*'  fia eda vita, onde il corpo fia , e li di?  t ca vivente : e per tanto finir di vivere  platonico del? per niuna contraria forza di natura non  immortaliti . poflain niuna guifa. Perciocché qual’ai-  tra cola è ella la vita , fe e* non è un«,  atto perenne , e podcrofo nelP edere, e  nell* operare? la vita è edcnza attuola,  ed atto eflenziale, o foilanziale: è ede-  re, ma perfetto, pieno, vigorofo ope-  rante : è ella altresì operare, ma faldo,  tobufto, incettante. La qual cofa uni-  camente è polla nella generazione,  comunicazione dell’ edere . Nella vita  adunque è pofleflione dei proprio cfse-    I    DELL* UOMO. 7 $  re, e del proprio operare, che fi diftin-  gue , e fpecifica nella pollone del  vero , e del retto , e della fcienza , e  della legge, col potere ad apprenderlo,  e confeguirlo : e nella pofseflione del  proprio potere, colla fcienza ad inten-  derlo, e a reggerlo colla regola. La vi-  ta perfetta è il fapere, volere, e po-  tere della mente . Ma fonovi nondime-  no certi gradi d’ imperfetto vivere, per  gli quali a quella fommità della vita  mentale, dall’imo d’ impcrfcttiflìme vi-  te fi afccnde , che altrove forfè dile-  gueremo . , > :    «     •di-    vediamo ora della Novità , e Contin-  genza della materia , e del fuo eflere^ f .  fpregcvole, fuggetro, e dipendente . Il v  che, per quel che dell’ intelligenza det-  to abbiamo , come facile a comprende-  re , preftamente in pochi motti fpedire-  roo. Siccome nell* inclufione dell’ intel-  ligenza è il vincolo della neccffità ma- . ' i   mfcfio ;cosi nella efclufione della mate- \ • • 4  ria chiaramente feernefi l’ infragnimen- >   to, e ’1 difcioglimento della contingen- ebetekj*   L * contingenza ella è sì fatta , che Z£ s l™. 1  • parti , 1 ’ une all’ altre fono rtra-   «**• K 2 mere,   • ■ , . • ' ì   . • * * Digitizeà by Google    la Mate-  ria fi fpopjia  dì ogni prin -   CÌpGtO «    7 6 DELL* ANIMO.   nierc,avveniticcie ,e nuove; ed al tut-  to ancora, che non in altra guifa, che  i* une all’ altre avvenendo, e congre-  gandoli infierae, compongono; e 1’ une  dall’ altre dipartendoli , c fegregando- -  fi, agevolmente depongono. Come  rincontro per le ragioni medefime , il  tutto alle parti Tue, onde ora è coftrut-  to , ed ora diftrutto , egli è Uranio,  nuovo, e avveniticcio. E giacche l’ in-  diftinzione decedere è il nodo infolu-  biie della necedità ; ben egli è uopo , '  che nell* ogni diftinzione- tanta contin-  genza li ritrovi , quanta non può edere  altrove. La Materia adunque per cotai  difetti non può in fe edere, ne confetf  co, ne da fe;ne può avere interni prin-  cipi , mezzi , c fini per interne comu-  nioni infcparabilmente infieme avvinti.   Il perchè non potendo muovere, o reg-  gere fe medefìma dentro di fe ; ne_,  fuori di fe altrove in altre cpfe pe-  netrare a muovere , o reggere foftanze  da fe diftinte ; è forza che ella fi ri-  manga nuda d’ogni primato , e princi-  pato di edere, c di operare, fenza lu-  me di faperc , fenza nume di volere, .   , ZT . ' efen-    Dtgitfzed by Google    DELL’UOMO. 77  C fenza fermezza di potere , di fcienza ,  di arte, e di regola fprovveduta , eie- v  ca , infenfata , inerte, informe, ed im- a  potente del tutto. Quel capo di fogge -• ' ■  zione, e di dipendenza , fecondo quel-  la generai ragione del non edere , egli  è come radice di tre più proprie,  più fpeciali dipendenze: il primo di non  intendere alcun edere, o vero; l’altro  di non appetir retto, o bene niuno,c’l  terzo, ed ultimo di non avfcre niun_»  vigore verfo niun obbietto , di muove-  nte fe medefima . E qui altresì è cofa de-  gna di maraviglia , che in quel generai  difetto, è manifefto lo fcioglimento ,  e’1 fluita della contingenza, quafi dei  non edere; onde 1* edenza , o fuftanza ^  della materia è rifolubile , caduca,  temporale . La qual contingenza fi diri-  va, e comparte ne’ tre capi fudeguen-  ti: deche nel primo di quelli c la con-  tingenza del non fapere; onde la Ma-  teria è cieca, ed infenfata :c nel fecon-  do è la contingenza del non volere ; ,  onde la Maceria è difinchinevole , ed  indifferente : e nel terzo è quella del  non potere, onde la Materia è pigra,   e feio-    Digitized by Google    78 DELL* ANIMO   e fcioperata . Quello egli c tutto il fà-   yf reomento mofo argomento Ariftotelico di là pre-  Anjtotelico rii r r •   dciu Divini . *° » che qualunque corpo fi muova , e    ta    debba da altro corpo efler moflfo : on-  de per non procedere in infinito , abbia  ad efTcrvi un primario principio, da fe  movente il tutto . Conciofliachè , come il  potere della Mente ritorna nel Capere , e  nel volere, per gir colla cognizione ver-  fo il vero , che fi conofce , e coll’amore  verfo il rètto, che fi appetifee ; così il  non potere della materia fi ellende al  non Capere , e al non volere il vero ,  che non s’ intende , e ’l buono, che non  fi vuole . Adunque come nella coCcien-  n za dell’ Uomo ,da que’ tre principi del»-  trìnci} j men - le tre poteftk mentali fi perviene, a co*  **• noCcerel’ Immortalità della mente dclP  Uomo; onde poi di più conoCcijmo la  cecità , ed inCenCarezza della materia; co-  sì nella conoCcenza, che abbiamo della  Materia, fimilmente da’ tre principi de*  vizj materiali , fi comprende la cecità  di quella Coftanza , e 1* inerzia , e 1* in-  differenza, ed impotenza:* onde poi ve-  gniamo a conoCcere 1* infinito Capere,  volere, e potere della mente del Mon-   do.    De*    Dlgitized by Google    DELL’ UOMO. 79  -, do . Imperocché il primario generai ca-  po viziofo, ci mette dinanzi agli occhi Come da tre  il difettofo lubrico edere della Mare- ^{Tcomjce  ria: onde argomentali infinita efl'enza , l’impotenza^  che l’abbia dovuta trarre dal nulla. Il  primo fpczial vizio del non Capere, ne zadeltaMe * h  fa intender chiaramente il difordinato, Um  ,c turbolento, ed informe edere della_,  medefimajonde fi argomenta infinita  lapienza, che coftanza, ed ordine, e— ;  .forma le abbia donato. Il fecondo, e’I  terzo del non volerete del non potè- *>- ,   re, fa veder l’ edere materiale del tut-  to impotente , ed inetto: onde fi racco-  glie dovervi edere Comma benevola po- vV t-  teda, ed onnipotente Nume, che drit-  ti, e fruttiferi inchinamenti , e moti le  abbia conceduti . L’ uno , e T altro è egli  un ben triplicato argomento dell r Im-  mortalità della Mente dell’ Uomo,e_  dell’ efidenza della Mente del Mondo •  c della fuggezione , e dipendenza della  Materia particolare dalla Mente parti-  colare dell* Uomo; e della materia uni-  verfale mondana dalla mente univerfa-  le del Mondo. Il quale Aridotelico ar-  gomento nondimeno , menti tenebrofe,*   v altri      • • «■   4W4    ■'   i A .->***«*  Vii*.    T-'    . * »    > I '    QigitizcKt-ty    v»^***Ó * 1  . ■ -»   -* ‘,i fc    Cowf /* della Scien-  za ,   mento , quel Filofofo riftretto dentro  de’ confini deli’ attività del fenfo dalle-,  materiali origini, che in quelle ofeurt-  tà, e in quelle anguftie poflono parere  e’ prende, e così efprime ne’ feguenti  ve rii . -m* j w*     DHLL’ UOMO 85   Tum cum gìgnimur , & viu cum limen humus :  i&wrf ftu conveniebat , uti cum corfore , cìr «nà  Caw membris videatur in ipfo fanguine creJTe ;   velut in cavea per fe Jìbi vivere folam  Conventi , ut fenju corpus tamen affluat orane .    Siccome contro all* efiftenza della».  Mente univerfale , 1* argomento , che  dalla fenfuale origine del Mondo trag-  go* 1 più i novelli , che i prifehi Epicu-  rei, cioè che nell’Uomo, e nel Mon-  do, altro che *1 corfo de’ penlìeri loro,  ed altro che la mole, e i moti della  materia non veggendo ; nell’ Uomo al-  sfro che un fugace penfiero , e nel Mondo  altro che mobile materia non elTere ar-  gomentano ; quell’ argomento , dico,  per quella fola dottrina delle due fpc-t  2,c di foftanze , c di origini , fenza far  altro, rimane fviluppato,c fpianatoper  ogni parte. Perciocché, fe niun di lo-  ro, non convinte prima di vanità le fpi-  rituali follarne, e le fpirituali origini ,  che con chiari , ed invitti argomenti  abbiam dimoflrate, crede di premerci  ancora coll 'apparenze delle origini fen-  dali ; egli è Scuramente uno feempio.   ■*** Con    at ti    8 6 DELL’ ANIMO v   Con tutto ciò e’ fa di meftieri , che  quelle inviabili origini in quello luogo  in alcun modo almeno deferivamo .  Adunque poiché 1* eflfer neceflario , e_  T efler eterno fono i primi , e più cer-  ti, e più fplendidi lumi dell’ umana co-  gnizione; e poiché 1' infolubilc della.*  neceflità, e 1’ antico dell’ eternità fon  proprie doti dell’elTenza indillinta , pe-  netrevole, e comunicante; e* non altro-  ve , che nelle tre principali forme del  fapere,del volere , e del potere indi-  ftinzione , penetrazione, e comunicazio*  ne può rinvenirle d’altra parte e* non  ci ha cofa più fparuta, e vana, e fug-  gevole della contingenza , c della novi-  tà , le quali quanto dal vincolo della_*  neceflità, e dal primato dell’ eternità li  dipartono , altrettanto dall’ edere, e dal  conofcere fi allontanano ; e come la no-  vità , e la contingenza fono proprie.,  dell’ cflenza tutta divilìbile , e impene-  trabile della materia, così alla medefl-  ma materia la neceflità, e antichità, o  eternità fono improprie, e repugnanti;  e finalmente poiché non altrove 1’ ogni  diftinzione, colla divifibilità,e impene-    dell; uomo- sj   trabilità ritrovali, che nella cecità, in-  differenza , e impotenza materiale; Poi-  ché, dico r tutte quelle cole per luci-  dilfime nozioni, e per certilTimi argo-  menti fon vere , e manifelle , e con-  te : egli è in ogni modo da dire, che la  neceflità, e V eternità non già nel vuo-  to^ nel nulla, ma nel pieno, e neH’cf-  fererne nell* edere della materia difttn-  ta, divifibile , impenetrevoFe, e con-  tingente, e nuovo; ma nell’ edere del-  la mente, fndiflinto, indi vifibile, pene-  trevole, necelfario, ed eterno, lì deb-  bano allogare. Anzi che la neceflità ,  ed eternit* fiano Ta fteflìflima mental  natura primaria, e lovranare che FjLj  M ente prima altro ella non ITa, cheef-  fa neceflità, cd eternità, di Capere, vo-  lere , e potere dotata . La quale per  Letìfere necelfario, ed eterno, da uni-  co , fupremo , libero , e indipendente  principio' del fuo elfere , che è l r ogni  eflfere fpiritnafe ; e dell’ elfere della ma-  teria, che è l r ogni edere corporale, cut  abbia ogni folhnza , ed ogni potere con-  ceduto, ed apprettata ogni forma. Por,  perchcogni particolare alfuouniverfale,   come    88 DELL* ANIMO '  come a Fonte rivolo fi dee riportare ;  Umilmente è da tener per fermo , che-*  come la materia dell’ Uomo dall’ im-  menfa felva dell’ Univerfale materia el-  la è tratta ; così la Mente particolare  del medefimo ,dall’ infinito potere della  Mente univerfale è provenuta . Ma la  Mente dell* Uomo, benché ella è in al-  cun modo di neceflità,e di antichità  partecipe , e delle tre forme ornata ;  onde può fignoreggiare la Materia, e di  -vita, moto, fenfo, c d’ideali forme fi-  gnificanti cogitative , e fenfitive fornir-  la ; tuttavia perchè ella è finita , e par-  ticolare, non può dominar la Materia,  ne con produzioni di foftanze, ne con  introduzioni di reali forme. Dal che li  raccoglie efler dritto della Mente uni-  verfalc, che ella, come ha prodotta, e  moda, e moderata la Materia univerfa-  le per la formazione di tutte le fpezic  delle cofe mondane, ad edere; così pa-  rimente abbia prodotto, e moda, e fi-  gurata la materia particolare per 1* in- *  formazione , onde fieno l’idee, e forme ■ .  fignificanti a fentire,e a conolccre . Nel  qual noftro diviiamento è pure , a mio   * giu-   #   » ;   # • i   / • . . **   ? * .   .‘^fliqitizedjay. Google     DELL’UOMO. 89  giudizio , memorevole un bel cambio  di libertà, e di dipendenza tra la Men-  te particolare, e la particolar materia  nella coftituzione dell’Uomo . Imperoc-  ché la Mente , comechè per le tre for-  me mentali aver deggia primato, liber-  tà, ed indipendenza ; con tutto ciò per-  chè è terminata, e particolare, non può  ella da fé trarre la Materia al fuo con-  sorzio, ed alla compofizionc dell’ Uo-  mo: onde per la particolarità , e termi-  nazione, ella è in quello ancora, e fug-  gett 3 ,e dipendente : e la materia, ben-  ché per le tre forme viziofe materiali ,  di Tua natura fia dipendente , e ferva ;  nulladimanco , perchè è ella con tan- '  to ingegno formata, che debba eflcrc  informata al fenfo , ed alla cognizione ;  è libera , ed independente dalla materia  univcrfale . Conciollìachè quella forma,  che è magifterio di Sovrano Sapere , non  Solamente la Sottragga alla debolezza ,  cd alla cecità della materia, ad ogni al-  tra formazione di per Se impotente ;  ma oltre ciò la debba diftinguere , e Se-  gregare dall* univerSal Seminario , e dal-  la formazione universale dell’ altre co-   •M Se.   ' ¥      ri.      1    »     t . Digjtized by Google   > • • : ^    4 »    Vera orìgi-  ne dell' Uomo  rintracciata  col lume del-  la filofofia .      Origini ma-  faiche ezian-  dio all’ umano  faPere chiare ,  efuminofe .      90 DELL» ANIMO  fe . Sicché per quelle vie vienfi a co-  nofccre eziandio, che dalla mente uni-  vcrfale, non già la fola mente partico-  lare per creazione; ma infieme la par-  ticolar materia deir Uomo, quanto al-  la formazione , immediatamente è do-  vuta procedere . Quella è ella 1* origi-  ne deir Uomo, che con quell’ altra del  Mondo giunte infieme , fono il vero  pieno, perfetto, armonico , e maravi-  gliofo delle facre origini mofaiche, con  ogni ragione ,c con ogni legge , c rego-  la concordi : quanto ofeure a’ baffi , e ca-  liginofi intelletti , tanto a’ fublimi , e  purgati eziandio dentro i confini dell*  umano faperc Iuminofe . Laddove e»,  manchevoli, e difordinate, ed inette ,e  da ogni ragione , e regola difeordanti ,  le origini di Diodoro, e di Lucrezio, e  d’ altri fenfuali Filofofanti , anche al lu-  me del mondano fapere per falle fi ri-  conofcono .   Per fare come un Epilogo delle co-  fe della natura dell’ Animo finora de-  putate ; prima abbiam provato , che*.  1* Animo è ineftenfo, e penetrevole .  Secondo , che elTo è immobile, ed inva-   ria-    *    . Dinlti7    #    DELL* UOMO. 9 i  riabile .Terzo, interminato , ed umver-  fale T abbiam dimoftrato ; inquanto Tini-  mobilità , e T infinità fi oppongono alla  mobilità, e finizione materiale . Quar-  to , che e’ debba avere dell’ edere ne-  ceffario, ed antico . Quinto , ed ulti-  mo che egli abbia libertà , cd indipen-  denza , e primato , e principato del  proprio efTere , e dell’ alrrui . Da tut-  te , e ciafcuna delle quali ragioni egli  fi è conchiufo , dover T Animo in__.  ogni modo edere immateriale , ed im-  mortale. Di più colf ultimo argomen-  to del primato , abbiamo feoperta la va-  nità di uno de’ principali argomenti dell*  Avverfario . Ma quante ragioni abbiamo  allegare, per convincerne della diverfi-  tà delle due nature dell* Animo , e del  Corpo ; e per conofcere T edere fpiri-  tuale,ed Immortale dell’ uno, e T eder  cieco, ed infenfato dell’ altro ; altret-  tanti oftacoli pare che dinanzi ci fiamo  opporti , per non intendere il concorfo,  e la congiunzion loro a coftituire un_i  principio di edere , e di operare nelT  Uomo. Imperocché quanta fra quelle^  due nature è diderenza nella foftanz#  Mto* M 2 dell’ ci-    *» DELL’ ANIMO  .deir edere , e nella maniera dell’ opera-  re; altrettanta ripugnanza pare dover-  vi edere ad unirli infieme alla coftitu-  zione di una natura . La qual diflicultà  ella è tale, che come l’altra dell’unità  dell’ edere, e dell’ operare dell’ Uomo ,  prima ha fofpinti gli Epicurei a credere  che l’animo, e ’l corpo fiano una me-  defima natura; così la difficoltà del po-  tere edere due nature diverfe , gli ha»,  poi nell’ errore vie più confermati .  Gonciodiachè prima fi prefentò loro in-  nanzi quella unità , onde facilmente»,  ConcKiufero la dmiglianza delle due na-  ture : e pofeia contro ad ogni più forte  argomento, che l’animo di altra natu-  ra dover edere dimoftrade , han fatto  riparo con quella ripugnanza : che na-  ture cotanto diverfe non potelfono con-  venire infieme a comporre una medeli-  ma eflenza . Sicché tutti gli argomenti  della mortalità da quelli due capi , che  ora abbiamo additati , difendono . Ed  ancora quella immaginata ripugnanza ,  cotanto ella ha potuto fopra lo fpirito  di alcuni moderni Filofofanti ; che per  le loro vie , e giuda i loro principi ,    1    DELL’UOMO. 93  non potendo eglino unire infieme lana-  tura fpirituale, e la corporale a formar  1 ’ Uomo , fonofi rivolti a voler riftrin-  gere, e rinferrare la foftanza dell’ Ani- irrori di  mo chi ìh una parte , e chi in un* al- t&StS.  rra acl i^elabro ,come già argomentato tomo alta Se.  avea Lucrezio, che dovette farfi ; ******   T animo di fuori venitte a compor l’Uo- *  mo , e non gii col corpo da fimiglianti  principi nafcefle . Or chi crederebbe -  che anzi quella diverfirà è ben ella la ,  cagione, onde la natura fpirituale, e  la corporale fono inchinevoli, e prette  a convenire infieme , o nel mondo alla  formazione per lo produci mento di tut-  te le fpezie materiali , o nell’ Uomo a  produr 1* Uomo, e le forme fenfitive,  e lagionevoli all informazione? 1 cotan-  to egli è vero, che P inveftigazione ,  dal principio male avviata, per tutto  il corfo, poi fino alla fine fa traviargli  Uomini dalle verità, quantunque age-  voli, e piane. E per difingannareognu-  no, noi dicemmo gii, che la Mente 7  per 1 inclufionc , o penetrazione è ella *  i n S e & nj °fa f attuo fa y operante; e per la  raedefima cagione è altresì invariabile,, •   w ^ «P«   • f    I   DigitizóJ by Coogle    514 DELL* ANIMO,  e per così dire,impallìbile, o impazien-  te: e che la Materia, per l’ efclufione ,  o impenetrabilità è infenfata, viziofa ,  fcioperata ; e per tanto è oltre ciò mu-  tabile, e per così dire, paflibile , o pa-  ziente: poiché immobilità, ed invaria-  bilità, che della Mente c propria, egli  c il medeiimo , che impaflibilità , o im-  pazienza: e mobilità, o mutabilità, che  della Materia efler propria dimoftram-  mo , è lo flelTo che pazienza, o paflibi-  lità. In quella impaflibilità , per cui la  Mente non può edere moda, mutata,  o variata, e* può parer vizio, o difet-  to , e nondimeno è virtù: e propriamen-  te ella c l’atto pieno, perfetto , vigo-  rofo, onde la Mente è, ed intende tut-  to ciò che eder dee, ed intendere: ed  infieme produce ad edere , ed efprime  a conofccre ogni foradiera edenza. E  così la padibilità, o pazienza, per cui  la materia non è immobile, e invaria-  bile , può parere virtù ; e tuttavia è vi-  zio: e propriamente ella è la potenza  vacua, imperfetta, inferma, onde Ia_#  materia non ha proprie forme di ede-  re , ne d’ intendere ; ne di produrre, ne    *    DELL’ UOMO. 9*  di efprimere realità, o idee nell’ altre  cofe . E ficcome V atto mentale , che-  per 1* immobilità fembra dover edere  infertile, ed informe, dalla fua unitali  conduce alla moltitudine, a produrre-,  molte , e varie forme di edere , e da  intendere nella variabil materia ; così  la potenza materiale, che per la mobi-  lità par dover edere fertile , e formo-  fa,da fe trafcorre ne’ difordini,e negli  errori . Ma ben ella dalla moltitudine  all* uno,, cioè ar conciglio, all* ordine ,  ed alla forma eder può condotta per  forza, ed ingegno della Mente , La_*   Materia da fe non ha forma , ne atto ^nzTddl^L  alcuno; ma per quello appunto ella è virtù della-*  tutta capace, ed abile a ricevere ogni ^detuM^  forma, ed ogni atto. La fodanza eden- mia..  fa, rutta didinta , e di viflbile della ma-  teria , che in dividendo o non mai ad  alcun termino perviene, o termina in  indivifibili edremità: quanto per quedo  ella apparifce mobile, e variabile ; tan-  to s’ intende eder pieghevole , ed arren-  devole , ed odequiofa a prendere tutte  le forme , e i modi,, che *1 fapere, e  volere mentale può ritrovare . Se la^   ma-     Digitized by Google    9 6 DELL’ANIMO  materia non forte tale qual’ è , eftenfa ,  impenetrabile, divifibile, e variabile in  ogni modo ; non potrebbe ella efler ca-  pace a ricevere forme, ne reali operan-  ti nel Mondo, ne ideali lignificanti nell’  Uomo . Se la Mente non forte ineften-  fa, indiftinta, immobile , ed invariabile;  non avrebbe ella ne potere , ne inge-  gno di forme; ne potrebbe aver virtù,  ne modo d’ informar la materia . La_.  leggerezza , ed incortinila, e variabili-  tà, ella è della abilità della materia ad  erter formata, o informata. La fermez-  za , e cortanza , ed immobilità , ella è def-  fa virtù della Mente a formare , o in-  formar la materia . La Mente per la  virtù, che è il fuo atto, è principio del-  le cofe operante . La Materia per lo di-  fetto, che è il fuo edere potenziale , è  principio delle cofe, per così dire,paf-  fivo . Quella è la più rimota attitudine ,  e capacità della materia per la produ-  zione del Mondo, e per la cortiruzione  dell’ Uomo a concorrere, e a congiu-  gnerfi colla Mente. Ma altro e* fa ben  di meftieri , che polTa edere vicino appa-  recchio a sì grandi opere maravigliofc .    /I DELL* UOMO. 97  La Materia , fecondo l’ opinione di  coloro, che nell’inizio delle cofe vo-  gliono il vuoto , dee edere fcompiglia-  ta, e fparfa in moti difordinati , e tur-  bolenti : e fecondo 1* altra degli altri ,  che noi vogliono, dee darli immobile,  e fcioperata: nell’uno, e nell’altro fi-  ftcma ad ogni formazione inetta , ivi per  lo fcompiglio,e difordine, che proi-  bire ogni fruttuofa compofizione , equi  per 1* immobilità , e fcioperaggine, che  toglie affatto ogni sforzo ad ogni in-  traprefa. Il perchè gli uni, e gli altri  per viediverfe s’ingegnan di adempier  quei difetti della materia, e di appa-  recchiarla, e condurla alla formazione .  Ma lafciato da parte dare il contrado  di quelle rimotc origini , che qui non  ha luogo; egli è certiflimo , che la ma-  teria di per fe impotente, ed infruttuo-  fa , con due condizioni può pervenire a  comporfi , e variarli , e a comporre , e  produrre i var j frutti delle varie fpezie  delle cofe. L’uno è il contatto, che_  aduna le parti ; l’ altro è il confenfò , o  concerto , che unifce infieme i movi-  menti. La Materia quando ha le parti   N con-    Due condi-  zioni necejpi-  riea compor-  re , e Variar  la Materia •    ;     98 DELL’ANIMO  congiunte in un lol corpo , e i moti  cofpiranti in un fol moto; allora è ella  nel colmo dell’ eflere variabile , e pie-  ghevole , e offequioSo . La Materia pria  Sminuzzata , e raffinata , colle parti in-  ficine accolte , e co* moti tutti in uno  convegnenti , ha la maggiore Squisitez-  za dell* eflere paffibile, o paziente, che  è,o a raflomigliar l’ idee mentali moda-  li , o a congiugnersi con idea Softanzia-  le, la più vicina , e più pronta diSpofi-  zione. Imperocché in quello fiato, con  quelle doti la materia in certa guiSa al-  lora è con Seco , e da Se , ed in Se : ed  ha il primato , e *1 principato del Suo  proprio eflere , nel tutto le parti adu-  nando; e ’l tutto alle parti eftendendo ;  e le parti fra loro, e col tutto infieme  giungendo : ficchè ne moto in una par-  te può SuScitarfi , che per tutte V altre  parti non diScorra , e per tutto in ogni  lato non fi diffonda ; ne modo , o for-  ma può imprimerli in una parte , che»,  ad ogni altra infiememente da ogni ban-  da non fi comunichi . Con che la ma-  teria tanto all* eflere mentale fi avvici-  na , che ben può tutte le idee dclla_.   UBeJÈt ■ • men- .             •jJ, iwO   '   • »** j.v»W    DELL’ UOMO. 99  mente agevolmente cipri mere , e tutti  i numi prontamente efeguire , c la fu-  ftanziale idea fecondare , e con quella  Erettamente collcgarfi acoftituir l’idea,  e ’1 nume dell’ Uomo . Colla copia , e  col contatto delle parti , e col confcn-  fo, ed armonia de’ moti, la materia ha  tutta la felva, c tutto il potere , e tut-  ta l’abilità per appreftare a Mente fu-  periore tutte le forme delle cofe , colla  produzione di tutte le fpezie mondane^  c per appreftare fe medefima a Mente  conforte , per la coftiruzione dell’ Uo-  mo, col producimento di tutte le for-  me ideali fenfirive, c ragionevoli.   Ma per deferivere più particolarmen-  te la maravigiiofa unione delia Mente,  e della materia nell’Uomo, non già per hmfrabÙZ^,  confermarla, che di già abbiam fatto ;  è uopo affifarci ad oflervare le opera- t^Materi  zioni dell’ animo noftro : che giufta il nell'Uomo  veriflimo volgar principio, quale 1’ ef-  fer delle cofe, tale ancora è l’operare:  e vicendevolmente qual è quello, tale  efter dee quello infallantemente . Quan-  do l’Uomo apprende le forme fcnfibili  della materia circoftante ; e in appren-  . » N 2 dendo    Sì prende  ad adombrare -    Digitized-by Google    .t i»    . : * \      100    f:    .. ^ Coro* Al-»   . A lente apfrc-   r da le formai   ì • de' fenjtbili   obbietti •    li       *    '> 3 - 4 »    E; V '     DELL* ANIMO  dendo quelle forme da* piccioli indizj -,  c rudimenti negli organi de* fenfi intro-  dotti , come altrove abbiam ricordato,  le difpiega , e dilata ; certamente allo-  ra la mente nodra , e raccoglie in uno i  numeri , ed adegua le dimenfioni , ed  efprime le modificazioni della materia .  In quelle fcnfuali figurazioni la mente  ha per fuo oggetto la materia formata ;  e in quell’ edere della materia, diciatti  così, obbiettivo, la mente fi congiugne  in alcun modo colla materia ;ficchè or-  nandoli delle di lei forme , dentro di fc  nel fuo eflere eftende , fpiega , e figura  la material fodanza . Similmente quan-  do da’ geometrici elementi , e dalle-,  combinazioni, e da’fillogifmi , la Men-  te dell’ Uomo da fc giugne a trovare  forme artificiose , da trasmettere nella  materia ; quelle forme medefime , nel  fuo medefimo edere codruifce ; molti  particolari in uno , cioè nell’ una* fua_.  Semplice , e indivifi&ile edema , eden-  Stoni, figure, e numeri effigiando . Adun-  que nelle mentali nodre operazioni, due  cofe quanto certe , tanto memorevole  intervengono* L’una è, che la Mente      con      Vf.    V   M      * Oigitized by Gòogie      • -    VÙk' i, %    dimento . Per quello novello fiflema.»  coflrutto fopra faldilfime fondamenta ,  S* intende bene quali fieno i principi  . ; . LHj dell* Uomo: e le maniere dell’ operare ,  utilità del come colle più interne, e più fecrete  nuovo fijiema guife dell* eflere mirabilmente confen-  tano : e la Mente dell’ Uomo , e dell’ U-  niverfore la materia dell’ uno , e dell'  altro: e TofTequio di quella, e di quel-  la materia :c la virtù di quella Mente,  e di quella ; dell’ una a formare , e dell'   altra    ■*, A.    \    :: JL ■*:    Digitized Grtogl»    • . \      DELL’UOMO. io 5   altra ad informare, con mille altre ve-  rità finora alla maggior parte degl’ in-  gegni nafcofte , vegnono a conofcerfi  chiaramente. Sopra tutto per quefta_r>  dottrina , 1* argomento di Lucrezio , che  dal confenfo dell’animo, e del corpo,  il contatto di quelle foftanze ; e dal con-  tatto l’uniforme natura di amendue*. Vucrezio.  vuol concludere ;'nel quale tanto con-  fìdanoi novelli Epicurei ; fi difcopre-chc    Secondo  argomento di    | / l   'egli è ufeito dal più cupole più rene-  brofo fondo dell’umana ignoranza . L’ar-    gomento è efpreflo in que’ verfq : - hit. Uh        H, *tm   e. L bt. enim propellere membra ,    «-    f I.v ’ -   Corpoream docet effe. Ubi. enim  Corripere exjomno corpus , mutar eque vultum ,   Atque hominem tqtum regere , ac ver far e videturz   {Quorum nil fieri fine ta8u pqffe videinus^ '1   J«M! r i t.*V. ‘.   &   ^ i.   H£ t. ‘ fi    io 6 DELL* ANIMO   mentale, che è la penetrazione, e i’ in»  elulione . E che 1’ eftenfione, la fuccef-  fione, e ’l moto con quel contatto , e  con quel contenta, fono il più pronto,  c predo inchinamento, ed olTequiodel-  la materia. E in fine, che P oflequio ap-  prettato con quelle condizioni , e’1 pò-  cere efaltato con quelle doti , fono la  maniera più adattata, e più conface vo-  le di unire infìeme la Mente , c la Ma-  teria alla coftituiione dell’ Uomo .   Ma fe Lucrezio colla feorta de’ tan-  fi non potè penetrare in quelle profon-  dità ; almeno dalla poteflà , e dall' im-  perio, che P Animo ha fopra il corpo,  potea coll* efempio d* illullri Filotafi  alcuna cofa argomentare di più prege-  vole, che non ha fatto. Tanto più, che  quella prerogativa cosi bene efprirae  in quelli verta : 0   Citerà pars arùieé per totum dljjìta corpus   Paret, & ad numen mentiti momenque movetur :   ' a* * - • ^   \dque Jìbi Jolutn per fi fipit , cSr fibi goudeti   Cum ncque res animami neque corpus commove t ulta •   Concioflìachè lo fptendore di cotal   prin-      Pigitized by GoogU      • • . , tn«  » wn    io8 DELL’ ANIMO  folo , ma tutti in un colpo avrem ricili  i nervi di tutta 1’ argomentazione Lu-  creziana . E benché con dimoftrarc lo  fcambievole inchinamento , c combacia-  mento di quelle nature , fi è in parte-,  (pianata la difficultà ; tuttavia ci c altro  da dire ancora , per farne da prcflo ad  offervare quella maravigliofa unità. Nel  fenfo , e nella cognizione dell’ Uomo ,  o per la percezione delle efterne for-»  me, o per la concezione dell’ interne  idee ; egli è da por mente ad una cola  affai memorevole , che non fi è finora  nelle bocche udita , ne su i libri letta  delle novelle famiglie de’ Filofofanti :  cioè, che quanto da noi , o concependo  fi penfa, o con percezioni fi apprende,  tutto dee effere in fé raccolto , accon-  cio , ordinato, e comunicante: e nien-  te , che o diflìpato fia , o confufo, o  difcordantc , può ne effere efpreffo da-  gli edemi obbietti, ne per interne idee  figurato . L’ obbietto del noftro fenfo ,  e della noftra cogitazione , proporzio-  nevolmente fecondo che più , o men-»  vive , e chiare fono le fenfazioni , e le  idee , egli de’ bene effere ordinarameu-  • j , . ■ i * o te    — . Digi^ed by GoogUf    DELL* UOM O. .109  te confetto , c congegnato: licchè le par-  ti ciafcuna al fuo luogo adattate, etra  loro congiunte compongano ciò che_  deono comporre: e poi per lo moto, il  tutto colle parti , e le parti col tutto , _ .   ed infra di loro, comunichino infieme  vicendevolmente . Imperocché, come  altrove è flato detto , qual’ è nella Mcn- OlfaV è la  te la penetrazione , e 1’ inclufione ; tal’ L///ES,  è il moto nella materia: onde la pene- limato  trazione, un moto della natura fpiri- ne ^ t,AaUr,a '  tuale fi può dire che fia ; c ’l moto all’  incontro una penetrazione della corpo- '  ralc. Oltre a ciò la confettura, e’inu-  mero, e le dimenfioni con arte voglion  ettere difpofte: ed in numero , c mifu-  ra regolatamente vuole il moto per tut-  to da un capo all’ altro trascorrere :e di  quindi nella fua origine ridondare: e-,  tutto ciò variamente, fecondo il vario  ingegno , c ’l vario modo delle cofe .   Conci oflìac he , come nell’ efprelfione_*  dell’ efterne fignificazioni , o azioni , - »   tutto l’ ingegrio, e tutto il movimento  vien da fuori , e fi riproduce nel fenfo  dell’Uomo; così nelle figurazioni inter-  ne, a formar 1* opere dell’ arte , tutto   r in-   V /   I* *   Digitized by Google    /    JT     Luce , e le-  nebre che fia-  to elle.    I     ,no DELL» ANIMO  T ingegno, e ’l movimento dall* inter-  no fenfo dell* Uomo provenendo, nel-  le materie efteriori pofcia fi diffonde .  Fermamente ove è diflipamento , tu-  multo , difordine , e difeordanza , qui-  vi ci ha egli un chaos tenebrofo al fen-  fo , ed all’ intendimento dell’ Uomo : ed  ove è adunamento , ordine , e concor-  dia con vigore , ed attività; ivi èchia-  riflima luce . Sicché le tenebre non fi  può dire, che altro elle fieno, fc noru»  che difordine , e dilpergimento , e di-  feordanza di parti, e di movimenti: e  la luce all’ incontro ben fi può crede-  re , che altro ella non fia , che piena ,  vigorofa, ed ordinata comunicazione di  modi , e di moti . Perchè la Mente dell’  Uomo è ragione, ordine , regola, vir-  tù, ed atto penetrevoleje le operazio-  ni mentali, fono elleno o elementi, o  congiungmmenti , o fillogifmi di feien-  ze , e di arti ; non può per tanto la».  Mente altrimenti operare , che fimi-  glianti modi ordinati, e ragionevoli, ed  attuofi, e penetrevoli, o per le forma-  zioni producendo, o riproducendo per  1* efprelfioni. Cioè adire,ficcome ali*    in-    Bigiteed by Google    DELL’ UOMO. in  intendimento noftro fon naturali , e prò- „ >  prj gli elementi, o generi, le combina-  zioni, e i fillogifmi dialettici, metafifi-  ci , geometrici , ed altri d’ altre Facol-  tà , e Scienze, che tutti dal copiofofon- **  te della foftanziale, ed univerfal ragio-  ne , eh’ è della Mente , produconfi ; così  folamente le acconcie,ed ordinate, e  ragionevoli , e penetrevoli forme,  modi , ancora dell’ efterne fignificazio-  ni , ed azioni fono al medefimo inten-  dimento adattate, e proprie: e feonve-  nevoli, e fconcie , e difadatte , e per  confeguente infenfibili , edifintendevoli  fono le cofe difordinate , e feompiglia-  te, e difeordanti . La qual cofa , per  quello tante tolte da noi ricordato  principio , che qual è delle cofe Fede-  re , taf è T operare , è affai chiara , e ma-  nifella . E come le Scienze, e 1* Arti  fono ampliarne tele di ragioni, e di mo- ze te e /^ m  di, e lavori con penetrevole comunio ■ fino mfiìffi-  ne conteftej e le fignificazioni efterne ,  che figurano, c fiedono il fenfo , firnil- * *. ^   mente con forme, e modi, e moti mi-  furati, e comunicanti compongono di  cofe fatte, o nate la Storia ; così è da   tenere •    Digitized by Googl    ii2 DELL’ ANIMO  tenere per fermo, che Cielo , Terra,  Mare, e tutta la macchina mondana, di  elementi, e di congiunzioni , e fillogif-  mi aritmetici, geometrici , e fiatici co-  ftrutta; e di copiofe,e vigorofc forze,  e moti fornita, da un principio per tut-  te le linee fino all* ultime eftremità ,  per continuata ferie gli uni dagli altri  procedenti , tutra confcco medefim.'L,  comunichi, e in fe medefima fotti Ita , e  da fe a fe , da’ principj a mezzi, c fini,  virtù, c vita fommimftri . I quali modi,  e mori j maeftrcvoli ingegni di fovrana  fapienza , ne’l fenfo noflro, ne 1* inten-  dimento può diftinguere , e fccrnere a  . V niun patto: e chi di proprio ingegno a  s ^ fuo modo di fingergli ardifce , egli è  \ certamente un infano. E per li quali   modi, perchè ordinati, e ragionevoli ,  .la materia è, per così dire , fcibile; e  è non per fe fletta : perchè d i fe flef-   f er onevor*' c ^ a ® inferma ,ed informe, dal divi-  ìntlol no Platone per tal cagione condannata  duce la Men . a rimanerli in perpetue tenebre fe pot-  rà . Ecco adunque del conofcimento  dell* informazione un aliai notabile pro-  fitto . La Materia dell’ Uomo , per ordi-  « ne.    ■/ * ■    ir .    • Qigitizqd'by    m    9 k ì.ì      DELL’ UOMO. P  ne , ed incatenamcnto de' principi , mez-  Zl , e fini , tanto nella fabbrica dell' or-  gano .quanto nell’ influenza del moto,  ella e comporta con tale ingegno, che  tutta m fe infittente, ed in fe raccolta,  e per tutto operante, e rivolta ad ap-  prendere le forme efterne degli obbiet-  ti elterni , e a produrre l’ interne degl’  interni : e fecondo querte , e quelle , che  fanno un concerto di lumi a profittar  nella icienza, a regolare la vita , c ad  operare nell'arte . L* altre naturali com-  polizionl, e l’univerfo medefimo della  Matura , non fono in altro modo , che  per e fiere efpreflTe da idea nel fenfo , c ^ :   ne i a n.°f; ta210ne: ma Ia magnifica ope-  ra dell umano comporto è tutta ordi-  nata ad efprimere, ed apprenderle co-  le. Il corpo organico è un arrificiofifli-   P/ r ef P rimere , e raflbmiglta-  re tutte le forme, e apprendere e fUn ca ** cor t°   bile Tfl ,e - azi** ^   de fpeciofi , ed attuofi obbietti circo- ^   flanti . La materia dell’ Uomo a quel   modo coftrutta , e modificata è infine   una mente materiale . Adunque la Men-   P te.     : y    . \   «    > ■   ♦ «    _ iDigitized by Google    r unità diir  Uon w.    1      ar    ri4« DELL’ ANIMOI   tc , modificata fecondo quella ordina*  fì fwV» ta » c ragionevole modificazione del cor-  po organico, in primo luogo fente , o  avverte quella fua modificazione : e per  tal cagione , e in oltre per 1* intima^,  unione , avverte ancora, o fente laMa-*ì  teria congiunta. Conciofliachè quanto  quel modo V è apprettato dalla formai  corporale; tanto ella da fe per naturai  virtù lo produca : ficcome appunto av-  viene nelle minute, e variabili , e lievi  informazioni de’ fenfi, e delle cogita-  zioni particolari . Comunque egli ciò  fia , la Mente fenza fallo i* universa»  compofizione delle parti, e V univerfo  confenfo de* moti, che tutte le parti in  uno, e tutti i moti in un fol moto con-  giunge, por P influenza de’ principi ne*  mezzi , e ne* fini , e per lo ritorno di  quelli in quelli ;Ia compofizione , dico,  e’1 confenfo univerfale, prima conclu-  de nell’ unità della ifua univerfal cogi-  tazione ; e poi , in quanto è modificata  ne’ principi, fente quivi il ritorno de*  mezzi, e de’ fini: ed in quelli allo’ncon-  tro , fecondo i quali fimilmente è mo-  dificata , fente 1’ influHo de’ principi :   onde    ->*t         »    Oigitized by_Googl(    DELtWOMO. il s   onde viene a formarli un confenfo luci-  do , univerfale , con che più efprefla-  mente avverte , e fenre la Tua unione)  p’I corpo organico congiunto, e tutte  le parti, e tutte le azioni fra loro Team*  {fievolmente comunicanti . E in cotal  modo, della materia con ferma , e (U*  bile modificazion ragionevole, ordina-  ta al fenfo ,ed allo ’ntendimento ; e deN  la Meme, che è erta lòftanzial ragione,  che per naturai producimento , e per  P unione del corpo , nel corpo imprem  de quella modificazione medefimajdell*  uno , e dell’ altro ftretri infieme , ed  uniti , in quello già deferitto intreccio  di (labili , e fondamentali percezioni ,   •fa fic ne il fenfo ragionevole , e la cogi- dei fenfo   tazion fenfuale , che è la Natura dell’ e della cog?-  Uomo. Ne è da lafciare addietro, che uz,one •  de’ due modi di operare, l’uno della»,  diftribuzione dell’ univerfale ue* molti  ^particolari , e l’altro del raccoglimen-  to de’ molti particolari nell’ univerfale,   -da Mente qui con quello fecondo mo-  rdo adopera ; poiché di molte partile  -di molti momenti , e movimenti forma  un corpo folo,ed un folo movimento:   P 2 fic-    ^Oigitized by Google    i \6 DELL» ANIMO  ficcome fa delle forme aritmetiche , e  geometriche , e dell* altre di lor natura  eflenfe, e divifibili , che aduna nell’ine-  ftenfa , e indi visìbile fua cogitazione ;  così nelle concezioni , quando ella da  fe le inventa ; come nelle percezioni r  quando ella in quelle già inventate , e  fatte s’ incontra . Laddove per contra-  rio nelle percezioni degli obbietti eter-  ni , nell’organo univerfale dell’ univer-  fal fenfo,e ne’ particolari de’ fcnfi par-  ticolari , la fua unità , ed univerfalità  già piena, e feconda comparte ne’ mi-  nuti indizj , o immagini , all’ impreso-  ne, che ne riceve; tutte dall’intimo  univerfal fenfo, e cogitazione riprodu-  cendole . E ormai , a mio credere , ri-  trovata già 1* unità dell’ effenza , e del-  la operazione dell’ Uomo . Poiché ogni  unità, o metafilica, o fifica,o etica,  di arte , od altra come che fia , fe vi ’  ha di altro genere , certamente ella fi  compie per unione di atto, e di poten-  za; così che, o per identità, o per na-  turai produzione, o per azion morale,  o artificiofa , 1’ atto colla potenza, c-  quella con quello fi avviluppino infa-  me ,    Digitizgd by Google    DELL'UOMO.  © fievole fi difeopre . Imperoc-  ché primamente il fenfo lucido ragione-  vole , che dalla coftituzione delle due  nature rifulta.è quello , che nafce,e fi  eltingue coli* Uomo : e che propria-  mente per gli varj gradi dell’ età quel-  le variazioni , e quelle vicende patifee:  e non è già la pura , e lineerà intelli-  genza della parte pura , e lineerà fpiri-  tuale . Quel fenfo, che è univerfale ,  nella già cfplicata univerfal modifica-  zione della materia congiunta , al va-  riare della materia medefima, ne’ varj  particolari modi, e moti, che al moto,  e modo univerfale fopravvengono , o  dentro dell’Uomo fufcitati, o di fuori  tra fm e Hi , ancor elio dee elfcr varia-  mente figurato, e mollò . E quando nel  procedo dell’ età, al variare degli anni,  o ancora per morbo , o per qualunque  altra cagione i modi ,e moti li perver-  tono, e turbano, o illanguidifcono , o  celiano, o fi cancellano in parte , o in   tutto-    “ Ditgitized by Cooglc    12 6 DELL* ANIMO  tutto ; allora forza è che quel fenfo , di  che parliamo, più , o meno , tutto , o  parte pervertito, e difordinato, ofpa-  ruto, o deformato ne vegna. Ne’ qua-  li cangiamenti, nella parte materiale, e  non altrove, come defcrivonfi i modi,  c fi miniftrano i moti; così i difordini,  e » fopimenti, e i vuoti , ed ogni altro vi-  zio principalmente addivengono. E da  quel lato, onde eflo fenfo è di condi-  toli variabile, e mortale, a tutti quei  cangiamenti , ed accidenti è fortopofto ,  falva , e intera, e illibata rimanendo la  parte pura dell’intelligenza , che a quel-  le varietà la fola univcrfal cognizione,  o cogitazione fomminiftra , c’ tutte-,  quelle varietà lènza moltiplicazione , e  fenza giunta riproduce. E qualunque  fa la (ecreta guila della unione delle-,  due nature, e cheunque ne rifiliti,!!  Mente , ficcome nella reale, e (labile  informazione del corpo organico , che  è come foftanzial percezione , indiflin-  ta, c indivifa , include, c penetra , ed  adegua il vario lavoro di quella prima',  e (labile modificazione ; e come nelle  percezioni, che fono ideali , e leggiere ,   e fu-    r DELL’ UOMO. 127  c fugaci informazioni , fimilmente indi-  ftinra, indivifa , e invariata, penetra, c  include , ed efprime quei varj minuti  modi particolari ; c sì quella prima fo- .  ftanzial modificazione , come quelle fe-  condane accidentali dall’ unità, e dall’  univerfalità della fua virtù , e natura»,  produce , o riproduce ; così quando  quei modi, c moti fi turbano, o ceda-  no, o fi cancellano tutti, o parte ; la v   Mente allora, o in parte, o all’ intutto  fofpende le lue produzioni , c depone  quelle modificazioni fenza pervertimcn- gbi di 'modi  to,e fenza detrimento della fua foftan- corporali. ■  za, falva,ed intera prima nel fenfo uni-  vcrfale' raccogliendoli ; e poi, fe elfo *  univerfal modo, e moto organico cof-  fa, o fi cancella ; nella fua propria uni-  tà, ed univerfalità della fua pura natu-  ra , e intelligenza raccolta , li rivolge  ad altri obbietti , e di altre forme fi  adorna , ad altro vivere , e ad altro  fapere . ' 'f   Quella nofira foluzione non lafcia»,  luogo a dubitare della vanità, ed infcr-  mezza dell’argomento Lucreziano. Im-  perocché nel noftro fillema tutti , dr-   cram J    * vv        rz8 ^DELL’ANIMO  ciani così , i fenomeni delle fenfuali,e  ragionevoli operazioni deli’ Uomo, con  quei crefcimenti , e fallimenti venendo  pianamente efplicati: ficchè ,dato che—   È intelligenza dell* Uomo fia fodanzia-  le, e la materia fia bruta, c cieca , co-  me noi affermiamo, e niegano gli Epi-  curei ; le operazioni della ragione , e—  del fenfo pur nondimeno così dareb-  bono elle, come ora danno; per certo  che quell* argomento il più riputato ,  non vale a concluder nulla . Che fe poi  fi pon mente, che gli Epicurei , con tut- «  to l’ingegno loro, non han finora potu-  to da niun modo, o moto argomenta-  re della materia niuna diffidenza , e-  abilità all’ opere fenfuali ragionevoli  dell’Uomo; tantoché l’imprefa di fpie-  gare quei fenomeni difperando, hari—  lafciata dare; allora certamente la no-, -  dra foluzione farà ancora dell’ edere-  fpirituale,e immortale dell’Animo una  novella dimodrazione. E per ìfcorgere  la convegnenza , eia bellezza della dot-  trina, tutto il penfamento è qui ora-  tempo di rapportare. Noi adunque pri-  ma poniamo due tra fe lontaniffime-f;:   cdre-    r*       -   av    A      ' / /    DELL’UOMO. 129   eftremità , 1’ una del più e ccelfo flato  di perfetta intelligenza, e l’ altra della  più bada condizione della cecità della  materia. Le quali Mente , e materia  in quelle eftremità conflderiamo , che  amendue per contrarie ragioni ugual-  mente da fe sbandifcono ogni docilità.  L’ intelligenza perfetta da un lato, per  1 °& n * includono , e penetrazione do-  vrebbe ella certamente ogni lubricità ,  e fluflo,e fucceflione efcludere di dot-  trina: e si perfetta dottrina , e perfet-  ta feienza in ogni tempo pofledere : e  non mai in niun tempo docile poter ef-  fere ; che fenza il lubrico , e ’l vicende-  vole di variate, e fugaci percezioni , e  ragioni non può ftare.La Materia dall*  altro lato, nell’ eftremo deli’ impoten-  za, e deformità , per la dimoftrata im-  penetrabilità , ed ogni efclufione , doci-  le in niuna guifa non può ella eflèr  giammai : fe la docilità con tutta la fua  incoftanza.e lubricità , pur tuttavia in-  cludono, e penetrazione inftantemente  domanda .   Appreflo , quelle due nature da quell* *-  eftremità argomentiamo poter ricede-   4 R re    -    zza* '    > v    » . t    , Digitizetì by Googlc      4 *t   X +W    rM    •o    l'J’    * * »    . ' f    130 DELL’ ANIMO   re a quello modo: Cioè, che Ueflfere  mentale da quella fublimità , per varj  gradini di varie foftanze giù dechinan-  do, giunga finalmente a poter congiun-  gerfi in uno colla materia , e a poter  cfprimere modi , c mori materiali : e  che T eifer della materia dall’ imo di  fila imperfezione, per varj gradi di va-  riate forme , e lavori innalzandoli fu  pervenga al fine , fino a collogarfi , e  ftrignerfi. colla Mente, e a poter railo-  migliare, e lignificare modi fpirituali ,  e mentali: e così nell’ Uomo , in cui ,          t 0    ìu      i      M *1 §F 1 • *   ' ; ■ -   7 ■ by.   . &*■ - •:    •Go    t    DELL’ UOMO. 13 1 ,  in fine quell’ingegno medefimo,fe non *   altro, ci (copre l’origine dell’ errore.   Perciocché la Mente piegando all’ imo  dell edere mentale, c la materia ergen-  doli al lammo dell’ edere materiale a  formar 1 Uomo; in quella natura , e_> - •"  propriamente nel fenfo lucido, la Men-  te per 1 edendoni , e variazioni mate-  riali , e la materia per gl’ ingegni , e lu-  mi mentali li tengono afcole : onde la  Mente , materiale edere ; e la materia  poter edere mentale gli Epicurei han_» Cagiont-*  creduto, alle fole lignificazioni fenfua  li rivolti . Ma eglino avrebbon potuto w‘.  penfare, che fe la Mente nella propria  fua altezza non potria mentir la mate- r   ria : e la materia nelle fue natie badez-  zc non può fimigliare la Mente ; per-  che i \ i la Mente in chiara luce feerne-  rebbefi immateriale ; e qui la materia  chiaramente infenfata,c cieca fi ravvi-  ferebbe; nell’Uomo , ove 1 ’ una fotto  alle fembianze dell’ altra fi tiene afeo-  fa , è una neeelfità , che ne 1* effer cieco  della materia , ne 1’ immaterialità della  mente, per altra via , che per quella^  degli argomenti col cammino della ra-  ’*** *■ Ri gio- ; *      • Digjtized by Googlp    *3* DELL* ANIMO   gione non fi podano ritrovare .   Quella è certamente una nuova di-  moftrazione , che abbiam tratta dalP in-  telligenza, rifguardata nell’ idea di fo-  vrana perfezione : laddove tutte le al-  tre prima allegate fono (late tolte dall*  intelligenza , confiderata nel fuo edere  generale , e comune : avvegnaché dalla  comunità de’ generi all’ idee perfette, e  da quelle a quelle fiavi commerzio , e  comunicazione vicendevole di cogni-  ' zioni,e di feienze, come nel primo ca-  pitolo della noftra Metafilica abbiamo  dimollrato .   Colla dottrina della univerfal perce-  zione, che fidamente 1* anima contri-  ' buifee a* varj modi , e mori , che nella  materia avvengono; e con quella dell’  univerfal fenfo dall* unione delle due.*  nature rifultante , che c la proprietà  dell* Uomo, e che propriamente per ca-  gion della parte materiale , dee con_>  quei moti, e modi efler modificato, e  modo; con quella dottrina , dico , tut-  C te le altre difficoltà vegnono ancora a  • dillrigarfi degl’ impedimenti, e de’ tur-  cibamenti, che cagiona l’ebbrezza; e de’   deliri,   . 7 * . r * /   * r    «   DELL’UOMO. 133  delirj, e de’fopimenri , edetarghi, che  certi morbi arrecano ; e in particolare  il pericolofo diflipamcnto , che produce  la velenofa forza dell’ Epilelfia , ed ogni  altro fìmigliante accidente . Che come  tutte convegnono in quell* uno argo-  mento generale delle variazioni , che_  dalla materia nelle operazioni dell* ani-  mo trapalano a turbare, o interrompe-  re, o abolire il fapcre ; così tutte con  quell’ una generai dottrina , ugualmen-  te per ogni parte fviluppate rimango-  no. Cioè dire, che quegli accidenti, che*l  vino, e’I veleno epilettico , come Lucre-  zio l’appella, e gli altri malori induco-  no nell’ Uomo , fono eglino folamente  valevoli a difordinare , o interrompe-  re, o affatto caffare le forme fenfitive,  e cogitative ne* moti , e modi corpora-  li, e non altra cofa altrove . I quali  lafcia allora la Mente di più avvivare ,  e illuftrare in tutto, o in parte, eoa-»  fofpendere, come fu detto abbiamole  fue produzioni , e con deporre le mo-  dificazioni: ed indi prima ne’ principali  feggi corporali , e poi , fe più oltra è  (dipinta , nella fua propria unità , ed    134 * DELL’ ANIMO   univerfalità fi ritira da quello ffrazio.   Ma è in alcun modo diftinto 1* argo-  mento del timore , e del lutto, che—  ^Lucrezio • amareggiando, ed affannando l’animo,  foventi volte conducon l’Uomo a mo-  rire. Imperocché in quel primiero ca-  po di argomenti de’ varj gradi dell’età,  e de’ varj accidenti de’ morbi , le va- *  ^ riazioni immediatamenre , c principal-  mente il corpo immutano, ed offendo-  no : le quali perchè nelle operazioni dell’   - . animo ancora trasfondono i difetti, e i  difordini ; per quefto folo , fono a Lucre-  ' zio argomento di mortalità. Ma il timo-   re, c ’l lutto fono morbi dell’ animo, e  l’animo immediatamente, e propriamen-  te conturbano , e affliggono : e quando  • l’Uomo per quelle offefe viene a fini-  re , nell’ animo è il principio , e V ori-  gine del danno, e dall’ animo al corpo  . trapaffa ; fìccomc per contrario ne’mor-  bi corporali , dal corpo all’ animo Lu-  crezio argomenta , che debba la mor-  , • te trapaffa re . Così ugualmente per gli   morbi, che fono manifeffe cagioni del-  la morte corporale , perchè varie paf-  fioni nell’ animo inducono; e dalle paf-  .. . fioni,    Digitized by Google    DELL’UOMO. i-35  doni ,che fono manifede offcfc dell’ani-  mo, perchè c morbo , e morte al cor-  po arrecano; pare à Lucrezio dall’ima  parte , e dall’ altri potere la mortalità  dell’animo argomentare : c poi dclla_,  cu ragione dell’ uno, e dell’ altro propo-  ne come un nuovo argomento , fog-  giugnendo.   Addere enimpartes , aut ordine trajicere &quume(l y  Aut ali quid pr or funi de fummx detrabere illuni ,  Commutare animum quicumque adori tur ,*    *    ,?83r DELL’ANIMO  * le cogitazioni, e tra le fen(azioni,e gli   * V affetti ; così tra' le cogitazioni , e gli af-  fetti c più ffretta appartenenza, e con-   r • neflìonerper modo che non mai, ne co-  a • gitazione fenza ogni fenfo di affetto,  ne affetto fenza ogni lume di cogita-  zione fi può trovare . Da cotcfte cole  Quii fiati (ì fa chiaro, che come il fapcre , cosi  '1 volere dell’ Uomo non è la pura , e  fincera parte dell’ animo ; ma è quel vo-  - lece proprio dell’Uomo, di fenfo infic-  ine , e di ragione commifto , che dall’  unione delle due nature dee rifultarc .  Laonde i varj moti, e modi delle va-  ' i r ie affezioni, o paffioni propriamente in   • - : quel volere , e non già nella parte pu-   ra dell’ animo le loro vicende ingerif-  ’ m cono: e le anzie , e gli affanni , e i tedj  ' del timore , e del lutto quella parte-,  conturbano , e corrompono fino a con-  dur 1’ Uomo mi fero alla morte . E dell’  Animo avvien folo, come nc’ modi del  Capere , che fofpenda le produzioni , e  diponga le modificazióni del volere ; e  . intatto, e purgato, e puro fi ritiri nel-   • la fua univerfalità , per rivolgcrfi ad   altri obbietti con altri amori più puri,   ■ e più ,    DELL’UOMO.: 139   e più finceri . Ma perchè noi nei pre-  fente ragionamento del fa pere dell’ Uo-  mo, di altro genere di operazioni 4 che  delle fcnfuali,e fantastiche non abbiati!  fatto menzione; non è per tanto , che  dentro gli angufti confini del fenfo , e  dell’ efpreilioni fensuali , debba efler ri-  stretta la cogni'zion noftra . Da quelli  univerfal cogitazione , o cognizione ,  ficcome perchè dalla parte corporale è  ella fenfitiva , ne debbon nafeere Itu,  fenfazioni , e l* efpreilioni di fenfibili  obbietti; così perchè dalla parte imma-  teriale, e ragionevole, ed intelligente,  le ragionevoli cognizioni provenire ne  debbono. Siccome nel fenfo univerfa-  le , per fomma finezza , pieghevolezza,,  c mobilità , e per uniformità di virtù ,  e di foftanza, onde è come un genere  generaliifimo del fentire , fono i primi  elementi, o principi , onde rutte le par*»  ticolari fenfazioni, ed efpreilioni fenfi-  bili formate ne vengono; così in efTa_,  cogitazione , o cognizione , da ogni altra  cofa fceverata, ed in fe r ccolta, fono  tutti gli clementi , o principi delle ra-  gionevoli produzioni, e delie Scienze,   S a che    r 4 o DELL/ ANIMO  che cd elfa cognizione è infieme gene-  rale cflenza, e generai conofcenza : e i  fuoi elementi , onde è coftituita , fono .  inficmemente parti, o principi di quel-  la eflenza ad edere ; e fono prime no-  zioni, o ragioni di conofcere, o inten-  dere alla Scienza . Cotefto è il bivio deh  fapere dell’ Uomo, nel quale in oltre.,  è da notare, che TUomo nella via del  fenfo è analitico , conducendofi da’ par-  ticolari a gli universali ; e nella via. del-  la Scienza è Sintetico , dagli universali  ai particolari avviandosi. Ma gli ele-  menti del SenSo, in quanto Sono minu-  ti, imperfetti, informi, fon pure come  altrettanti generi: e le nature fenfibili-y -  in quanto perfette, e compiute , fono  * anco in quel riguardo particolari. E le  eflenze perfette ragionevoli , e intelli-  gibili, perciocché quando vi fi pervie-  ne , illuminano tutta la Scienza , fono  come univerSali: e i generi , perchè fo-  no imperfetti, ed ofeuri, in quello ri-  guardo fono come particolari da ripu-  tare . Similmente come il fapere , così  il volere, o dalla parte impura fenfua-  le genera volontà, ed affetti foraiglian-    Bìvìodel  jà ^cre delP    Picji tizeti ^ Gpogle    • V    • DELL’ UOMO. 141   ti , dietro a gl* incitamenti del fenfo ;  o dalla parte pura fpirituale produce»,  voleri, ed affezioni ragionevoli dietro  alla guida della Ragione. E quello è il  bivio della vita ,in cui fcorgonli le ori-  gini delle due celebrate porzioni dell* V *'  Uomo ,che il volgo de’ Filofofi , quan-  to con magnifici parlari decantavamo  con ofcuri fenfi intriga , ed ofeura .   Adunque la Mente noftra, per la virtù  tante fiate ricordata , e in tanti modi  provata di muovere , e reggere fe ftef-  fa , prima fopra le fenfazioni medefime . '*'' ** # •   E ixti tiMnet certo : velut aurei , atque oculi funi ,   Atq\ aliifenfus , qui vitam cumque gubcriumt: .   t   Et Dilati mnust atque ‘ oculut t ntirefvs féorjltttv   Secreta a ‘nobis nequeunt fentiret neque effe :   Sed tamen in parvo linquuntur fenipore tali i _ ,   , Sic animus per fe non quii fine corpore , dr ip/ó   ' Efse hominet illiut quafi quod va; efse videtur :   .'■o'F 1 .' Qs, ■ t #   Sive aliud quidvts potius coniunaius et   i • .«li*» > ■yjp r i M**-   Etagere quondoquidem e****#*, corpus, adixret .   V.v . -tftbv* "■ o >s   * Tutto il nerbo di quello argomen-  to egli è r a mio credere*!!) quella una   r fola     Digitized by Google      DELL* UOMOa 147   fola cofa riporto ; che 1* operare , fia^  del Tutto , di cui è ancora 1* edere :  onde a niuna delle parti , che *1 com-  pongono , quell* edere , e quell’ opera-  re medefimo debba edere attribuito  Il fentire adunque, e *1 ragionare dell*   Uomo, che certamente è dell’ Uomo’,  cioè del comporto, e del tutto , all’amo  mo folitario non dee poter convenire :  c per confeguente 1* animo folo , fenza  il corpo , e fenza 1* Uomo , non può  fentire , ne ragionare , ne affatto ede-  re : fcevero di fenfo,e di ragione, non  potendo già avvenire , che l’animo da  in niun modo . Si aggiunge a quefto ,  che P eder di Parte è fermamente effe- ^ t  re di relazione, o di rapporto ; onde»,  la parte al tutto appartenga, e col tut-  to da congiunta infeparabilmente . Egli T-V*  è vero, che ci ha alcun genere di parte,  che verfo di fe condderata , ella anco-  ra è un tutto : quali fono le parti del .1 «à-J  tutto cftenfo, e variabile, e quali in»,  ogni altra accidentale compodzione .   Con tutto ciò cotali parti, quando elle *  fono fegregate dal tutto, perdon quell’  eder di parte, con ogni altra cofa, che    Digitized by .Google    I    148 DELL’ANIMO  in quel rifguardo lor conveniva. E che  Lucrezio a quefto ancora abbia rifguar-  dato, dalla dottrina del medefimo in-  torno alla indivifibilità de’ primi corpi ,  è manifefto . Volendo egli indivifibilt  quei primi elementi , e volendogli va-  riamente figurati ; acconfente bene ,  che quelli abbian parti , non già avve-  niticcie , ma natie ; non quinci , e quin-  di raccolte a compor P elemento , ma  in quello nate: il cui edere , tutto fia  dell’ elemento , che le contiene ; ed ab-  biano a quello necefTario rapporto ;on-  . de Pune dalP altre , e dal tutto non_,  poffano per qualunque potere effer fe-  parate giammai . Il luogo di Lucrezio  ciUd^Lucre- è alquanto malagevole ad intendere j  zio , non ’m - Picchè P acutezze de* più nobili Spofi-  tor ‘ P oturo falciar delufe . Il qual  jj>ojì on % nQ j ^ er j a p ua importanza abbiara volu-  to qui arrecare, ed mterpetrare .   , I»,   Tum porri , quorum e/l exttmum quodque cacumen  Corforìs ìll\us % quei noftri cerner* fenfitt  Jam nequeunt : hi nimhrutn fine fartibuy extat >   , \ Et minima cwtfat naturai nec fuit umquam '    Uh. U    JL    Ver    bigitized by Coogle    I    .V    K.    DELL* UOMO. 149   Ter fe fecretum , neque pofìbac effe v debiti  Alterius quoniam ejìrpfum : frinì* quoque ,  fluire a/ùe fìmiles ex ordine parte: *   Agmine condenfo naturavi eorforis explent .   quoniam per fe nequeunt confi are ^neceffe ejl  H*rere , ««c/e ?«e  Hatura nitri-  tale Jì truova  la vera ragio-  ne di ejfer un  tutto .    t.    152 DELL’ ANIMO  domanda, che dentro di fe abbia a con-  tenere tutte (e parti , onde è coftitui-  to: e la parte allo Scontro vuol’ efler  tale, che tutta quanta ella è, con ogni  fuo eflere , (la , diciam così, incorpora-  ta nel tutto . Di modo che l* eflere del  tutto in quello principalmente confida ,  che contenga le Tue parti in guifa,chc  non pofla ne eflere, ne intenderli , len-  za che lia,e s’intenda con quella con-  tenenza : e 1’ edere di parte in quello  lia unicamente riporto , che debba del  tutto eflere , e nel tutto abbia ad ede-  re contenuta ; licchè non eflere giam-  mai, ne pofla immaginarli lenza quel rap-  porto , e lenza quella , per così dire ,  partiva inclusone .Se quello è vero, co-  me è appreflo di erto Lucrezio ancora ;  egli è da tenere per fermo , che la ve-  race , e fincera , e perfetra condizione  dell’ efler tutto, altrove , che nella na-  tura fpirituale , c mentale non pofla_,  rinvcnirfue che la natura corporale, e  bruta non più , che di una imperfetta  limiglianza di quell’ eflere lia capace '  Imperocché la natura mentale , per Io  fenfo ,e per l’ intelligenza di le, e dell'   altre    DELL’UOMO. r Si  altre cofe che fente,ed intende ; chia-  ramente dimoftra dover ella contener  fé medefima, e 1’ altre eflcnze con ogni  identità, e comunicazione: e fé mede-  lima,e 1* altre eflenze dover penetrare  da per tutto. Con che quella inclufio-  ne , e quella contenenza , che *1 tutto  ha delle Tue parti, e quel paflivo incor-  poramento , con cui le parti fono nel  tutto, dimoftra dover fola perfettamen-  te pofledere. Nella qual cofa è princi-  palmente riporto il reciproco rapporto,  e la neccflaria conneflione , onde il tut-  to dalle parti , e quelle da quello , e»,  1* unc dall* altre non portano fepararrt .  Per contrario la natura corporale tut-  ta per ogni vcrfo limitata, ed efclufa,  c diftinta , di quella inclufione , e di  quello incorporamento non è capevo-  le:febbene, come qui, ed altrove ab-  biam dichiarato, può la Materia per fi-  nezza , e per fublimità , ed attività di  foftanze , e per conneflione di parti , e  confenfo di moti cotanto ingentilirli,  che vegna tanto , quanto a Materia è  poflibile , un tutto perfetto a raflomi-  gliare. Oltre a ciò, contenenza , ed uni-   V ver-    Ì54 DELL’ ANIMO   vcrfalità fono una cofa medefima :   Teflere un tutto, e l’ edere univerfale,  fono una medefima elfenza . Donde fi  può intendere , che alla perfezione del  tutto, due cofe vi fi richieggono necef  fariamenrc ; l* una , chc’l tutto debba  aver perfetta pienezza in ampia indivi»  fibile unità; l’altra, che tutti i partico-  lari , che gli appartengono, dentro  quella pienezza fiano realmente com-  prefi . Benché quelle due condizioni ad  una fola finalmente pofiono riferire :  concioflìachè , ne perfetta contenenza.,  fenza palfiva inclufione , ne pafliva in-  clufione fcnza perfetta contenenza , pof-  fa clfervi in alcun modo . Per cotclle_  leggi , primieramente ogni fpezie di tut-  to, generalmente confiderato quell’ ef-  fere , dee con tutte le fue cofe efl'erc-, • •   in fe medefimo riftrcrto,e chìufo,e da Goog[e    •J    t  gegno, colla noftra principal dottrina  potta fcioglierlo di leggieri ; pure per  produrnoi il frutto delle noftre fpecu- ’ \  {azioni , ci rifolviamo a parte trattar-  lo. Adunque quel che di tutti gli altri  argomenti abbiam fatto , e faremo ap-  prettò; di quello argomento ancora fac-  ciamo al prefcntc; ingegnandoci a più  potere fortificarlo da ogni parte . La_.  neceflità del dover 1* Anima fcparata ef-  fcr fornita de’ cinque fenfi , che Lucre-  zio fcmbra voler confermare colle im-  magini de’ Pittori , e de’ Poeti , che at-    • ' •    tedino    • ■** -l   ’ . m   t   Digitizecfby Goòglc      k    DELL’ UOMO. 161  tedino l'antico comun fcntimento , ella  è in fatti da quel Fiiofofo data appog-  giata fopra quel fermidìmo principio ;  che ogni edenza , o natura comune»,  dee con alcuna delle fue differenze , o  proprietà elfer diterminata neceffaria-  mente : e che fenza ogni fua differen-  za , o proprietà non può ella dare in_»  niuna guifa. Siccome allo’ncontro, pro-  prietà ,o differenza niuna e! può avervi  mai fenza il fondamento, diciam così,  della Natura, o edenza comune. Per-  ciocché 1 * Anima con generai fenfo , e  percezione delie cofe , per ogni modo  dover edere; anzi altro, che quel fen-  fo , e quella generai percezione non ef-  fere , egli è ad ognun che vi ponga»»  mente , manifedo .Dal che fegue bene,  che il fenfo, e la percezione generale ,  come con alcuna delle fue proprietà  e particolari forme eder dee compiu-  to, e perfetto; così quelle proprietà, e  particolarità medelime di necedità egli  implica nell’Anima . Fermamente non  può capirfi a niun patto, come l* Ani-  ma feparata poffa aver niun fenfo , o  percezione , che nel tempo medefimo   X ella    m:    m ^      • j|C      .    Digitized by  M "A..    Go4    Sottilità dì  Lucrezio non  inteja da gli  Sfojìtori,    161 DELL’ ANIMO  ella nc veda, ne oda ,nc per niuno de-  gli altri fenfi particolari, niuna percezio-  ne abbia degli obbietti. Dall’altra par-  te , 1’ impoflibilità di avergli in quello  flato, egli è per certo una gran fottili-  tà , con che Lucrezio la compruova ,  che niuno degli Spofitori ha potuto pe-  netrare finora .Onde, e nel variar In-  iezioni, che ftanno bene, e nel fupplir-  vi i fcnfi,che non vi mancano, eglino  fonofi affaticati in vano . Prende egli  a conliderare i fenfl in idea, fecondo le  loro, per così dire , formalità metafi-  ficamente,c gli rapporta all’Anima : e  infieme gli confiderà nelle loro realità ,  e corpulenze filicamente , e gli riferif-  ce al corpo: e poi argomenta, che co-  me i fenfì, ne effere , ne operare pofTono  feparatamente dall’ Anima ; così allo  fteffo modo non deono potere , ne ede-  re , ne operare feparati dal corpo , e—  dall* Uomo . Concioffiachè 1* Anima ila  l’uno Ideale, o formale, o metafilico,  onde le proprietà , o differenze de* par-  ticolari fenfi debbano procedere ; c—  1* Uomo, e’I corpo fia V uno Reale, o  materiale , o tìfico , nel quale quelle—   pro-    *.v ' ^ Digitized by Google    DELL’ UOMO. 1 63   proprietà , e differenze medcfime deb-  bano eflere incorporate diverfamente ,  fecondo quei diverfi rifguardi , di di- ' >   verfi principi , e procefTi.Con ciò vie-  ne egli a conchiudere , che poiché l’Ani-  ma da una parte non può edere sforni- 7  ta de’ fenfije dall’ altra non può in niu-  na guifa efferne provveduta • che ella  non può ne fentire , ne in altro qua-  lunque modo operare, ne effere affatto  dal corpo , e dail’Uomo feparata . Udia-  mo le parole fue proprie, e poi vegnia-  mo alla Soluzione.   Vr eterea fi immortali t natura animai efi , Lib. 111.   Et fentire poiefi fecreta a corpore nqfiro :   QuinqueiMt opinor)eam/aciendum efifenfibus auHantt  Ntc ratione alia nofmet proponet e nobis   " i t *   Tofiumus infermi animai Acheronte vocari.   riHores itaque , & f criptorum Stola priora  Sic animai introduxerunt fenfibut cucì ai r  L * At ne 1* natura ragionevole , ed intelli-  gente , e’I Tuo operare efplichiarao , e  la fenfibile non lafciamo addietro, deo-  no difdire che nel più alto, e puro dell*  intelligenza medcfima, quanto a Uomo  è conceduto , poggiando , a quelle fubli-  mità non afccndtamo ? Ma nulladiman-  co in cotali cofe, affai probabili ragio-  ni , e dove di farlo ci è permelfo , giu-  fte dimoftrazioni allegando , V affare  condurremo a tale, che anzi da defide-  rio di più oltra conofcere accefi , che  da difperazione di potervi altro edere,  confufi rimanghiamo. Per rifecare ogni  rincrefcevolc lunghezza , io dico fulla  e lucidezza .  Sicché il fenfo dell’ Uomo , ove egli è  più virtuofo, e più lucido j quivi è in  quefle , e quelle parti diflinto , c divi-  io : ed ove è unito, ed uno ; ivi è tor-  bido, confufo, ed ofuro. Ma nello fla-    r   è    w    V Anima-,  fepnrntn dee  potere operare  con piìi fran-  cbezza , e vir-  tù .    1 6 * DELL’ANIMO   to della Separazione , fenza far violenza  nc a ragione , ne a cofa alcuna , e’ ci  convien credere, che l'Anima fottratta  a quelle gro(Tezze,e da quelle angurie  Sprigionata , a voler riguardare la natu-  ra di lei, e la fua virtù naturale , quel  potere medefimo , che ella ha fopra la ;  materia penetrcvole , con più Sovrani-  tà^ più vigore efcrcitar polla; e mag-  gior copia di maggior finezza, ed atti-  vità di quella materia dominare. E per  confcguente non riftretta fra quei can-  celli , ne in quelle nnnurczze fpartita ;  ma dilatata, e in fc raccolta, con uil-  folo ampliamo fenfo universale , polla  e più diftinramcntc (cernere , e più al-  tamente penetrare , e più chiaramente  apprendere tutte le forme ,e tutte le«,  azioni delle cofe materiali . Se l’Uomo  per virtù dell’ Anima ha imperio, e po-  reftà Sopra la materia pcnetrevole in»  terna ; e dona a quella , e nc riceve a  rincontro le modificazioni ; e col mini-  fierio della medefima produce il fenfo ,  e la cogitazione univerfale ; e fecondo  la divilata varietà in tante maniere il  difiignuc , quante in noi le ne veggo-  no;    Digitized byCoogle    DELL’UOMO. i 1 pri ,? cip >   primi , e’1 temperamento loro , c l va-  ftarata. g j 0 ingegno de* lavori , e tutte le gene-  razioni , e le fufianae , e gli ordinati  procedimenti » e k virtuofe influenze   • v de*    ikir    Digitized by Google    DELL* UOMO- 175  de’ Celefti corpi, e tutto il concerto r  e ’1 fiftema del Mondo, e la cottruzio-  ne dell* Uomo può meglio efplorare r  e penetrare , ciascuna fecondo la pro-  pria capacità r e virtù . Perciocché è  da credere , che le menti finite emen-  do, abbiano le proprie fpirituali tnodi-i  ficazioni ; onde fieno dall’ infinito cir-  coferitte, ed infra di loro diftinte.Ein  particolare, che la menre dell’ Uomo,  per una cotal proprietà di più fra ella *  propriamente inchinata , ed adattata a  congiugnerfi colla materia per la corti-  tuzione deli’ Uomo . Per quefti nottri  divifamenti s’intende ciò, che dir vol-  lero quei Filofofi,che di certi veli cor-  porali , gli Spiriti puri diceano dover ef*  fere provveduti ; e alcuni Padri , che  le Anime e gli Angeli corporee fo-  ftanze riputarono. Cioè non altro eglino  a-ver voluto infirmare da quello r che  noi della maniera di operare dell’Ani-  mo feparara abbiam conchiufo , fi dee:  tenere per fermo . Cosi fimilmente è da  interpetrare quella Sentenza , che la_.  Mente d’ un’ altra mezzana natura ab-  bisogni , per potere attemperai alla   ma**    9 +    ,'fc*   fc •      i74 DELL’ANIMO  materia * Finalmente , che la villa Tifac-  ela non per inrromilfionc della luce». ' . 1   efterna nell’occhio, ma per eftramillio-  ne della interna verfó gli obbietti ; è  fenza dubbio nata dalla cognizione dell*  imperio, e potere della Mente fopra la  materia penetrevole , e dal minifterio,  ed oflequio di quella verfo di quella :  onde è il vigore della virtù mentale al-  la produzione, o alla percezione delle  cofe.E qui poffumo dire aver termina-  ta la Dilpnra colla foluzione degli ar-  gomenti più principali, e più forti. Per-  chè dopo avere ben fondata la reai di-  fìinzionc dell’ intelligenza : e dopo ave-  re altri punti ftabiliri, così come fatto  abbiamo delle più rilevanti verità ; gli  argomenti , che ci rimangono, così leg-  gieri, e piani 1} difcoprono; che più per  non parere, che nftuf aulente gli tralan-  diamo , che per necdfiti , che abbiano  di particolar foluzione , gli dobbiam ri-  cordare, a ciafcuno argomento adattan-  do quelle generali dottrine : il che fa-  rem brevemente. E prima veggiamo di  quello, che c in quei verfi efpreflo:     \    Dkjitized by Gooole    •V    -*1    DELL’ UOMO. 175   Denìque cum corpus ncque at per far e mimai  Dìjjìdium , quirt in tetro tabefcat odore r  Quid dubitar quin ex imo y penitufque coorta  Emanar iti uti fumus y diffufa anima vis 1  Atque ideo tanta mutatum fu tre ruina  Conciderit corpus pcnitus I quia mota loco funt  Fundamenta forar anima r manantque per artus ,  Terque viarum omnes fiexus y in corpore qui funt r  Atque / or amina : multi modi s ut nofcere pojjìs  Difpertitam anima naturavi exijje per artus 5 *   Et prius effe /ibi diflraclam corpore in ipfo ,  Quitm prolapfa forar enaret in aCris aurar **    *1 '    Vi, UT,      Settimo  argomento’  di Lucre-  zio .    ' x   ‘‘1 0 •          £    Dalla. dillofuzione , c putrefazione  del corpo umano r che al dipartimento 1  dell’Anima fegue immantinente , vuol  Lucrezio inferire r che L’ Anima debba  eflere fparfa per tutto il corpo : che i  di lei principj componenti fieno con_*  quelli del corpo talmente intralciati T c  intrigati ; che quella eflcr 'debba la ca-  gione , onde al dipartirti- dell’ Anima ,  una totale fovverfione al corpo ne av-  venga : ficchè tutto fi cangi , e impu-      \      • m-    *■    Dkjitaed by Goggfe    i*j* DELL" ANIMO  tridifca., c tramandi fuora 1* intollcrabil  fetore - E poi ne’ feguenti verfi foggi ti-  gne , che il folo deliquio , avvegnaché  allora 1 ’ Anima non vada via , ma foi  difiratta , o opprefla languifca ; tanti  cangiamenti nel volto , e negli occhi ,  e in tutto il corpo produce ; quanti le  grida, e le lagrime badino a rifvcgli3re   ^riterfetri ^ e ’ circoftanti . De* più migliori Inter-  no» ban capì- pcrri di Lucrezio, non bene han capi-  la la forza ù t;1 la forza dell’ argomento . Eglino mo-  MntO'. arS ° firan di credere , che quel Filofofo te-  glia , che F Animo , e l* Anima flano  una medefuna cofa ; e quanto qui dice  dei doverfi in morte difperderc i com-  ponimenti dell’Anima , onde il corpo  imputridifca ; che tanto intenda di dire  dell’ Animo , e dell’ Anima infieme ,  E una natura coll’ altra confondendo »  crvvéro prendendo efli 1* Anima per la  fola parte incorporale ; e quella idea t *  e quell’ appellazione alla mafia degli  umori , e degli fpiriti non concedendo ,  fecondo quefto lor proprio fentimcnto.  prendono l’argomento Lucrcziano:  fon contenti di rifponder folamentc ,  che la putrefazione , e ’l fetore del cor-   po    Digitizéd    *      DELL’UOMO. 177  po morto , non è effetto della divifio-  ne, e del dilfipamento dell’ Anima; ma  di altra cagione tutto diverfa. La qual .  rifpofta, fe vuolfi comprendere la par- ... ,  te fenfuale , è certamente falfa : c fe ,  meffa da banda la fenfuale , come quel-  la , cui V appellazione , e 1* idea di ani- * J '  ma non convegna , della fola parte in-  corporale fi vuole intendere ; c fenza  dubbio fcempia, ed inetta: perciocché  corre a far difcfa , dove non bifogna : . .   e quella parte , ove è indrizzata 1’ op- . ...   pofizione , fcoperta lafcia , e fenza di-  Fefa. Si aggiugne a quello , che quando  Lucrezio dice , dover efTere dal profon- '• t *'  do fcolfi i fondamenti dell’ Anima , e  fuora difTipati , e difperfi ; dicono eflì ,  che con ciò s’intenda elfer 1’ animo il ,  fondamento del corpo; il che è ancora  vero: ma eglino non intendon già per  fondamenti i primi componenti , il  cui dilTipamenro cagioni quello effetto. : .  ne’ corpi morti: che è per certo un non #   - affatto intendere 1 * argomento . Ad un- cye f e “ c e re *j } 0 e  que Lucrezio tratto dalla forza del ve- PAAimi^L*  ro, tenne per fermo, che 1 ’ Anima , c  1 * Animo , cioè il principio intelligen- Mmrumt.   ■Hmìz    O'   te    - - - «    Digita ed by Google    .tt..    178 DELL’ ANIMO  tc , c la parte corporale miniera del  fenfo , foflono due nature didinte : per  modo che contro a quella opinione ,  che l’Animo altro e’ non fotte , che un*  armonia, o concerto, o temperamento,  con lunga fchiera d’ argomenti fiera-  mente combatte ; e vuole in ogni mo-  do, che T Animo fia una fpezie,ed una  fodanza . Con che viene a dire , che  r Animo fia una fpezie, ed una fodan-  za didima dalla mafia, e modi , e moti  animali. Poiché certo dell’ eflere dell’  Anima ; dell* Animo folo , come di una  cofa aflai ofcura , va ricercando che e*  fia: e in quella ricerca dice ,che e’ non  fia già un’ armonia , o qualunque altro  modo , ma una certa particolar foftan-  za . Appretto, comechè per l’Anima e’  dica efiere baftevole il calore, e l’aria  e l’aurc; tuttavia a produr 1’ Animo ,  niuna di quelle cofe crede poter bada-  re: ne altro e’rirrova nella felva delle  corporali fpezie , cui pofla attribuire—  quella maravigliofa produzione . Onde  conclude , che cotal natura producitri-  ce dell’ Animo , fia del tutto nafcoda ,  ed ignota, e innominata: di che fin dal    DELL* UOMO. 179  principio della Difputa nc abbiamo alle-  gate le teftimonianzc di più luoghi .Fi-  nalmente c’diftingue bene gli utfizj dell'  Animo , e dell’ Anima ; e ’1 fupremo  dell’ intelligenza , e del reggimento del  corpo all’ Animo aflegnando ; le parti  dell’ ubbidire, e dell’ efeguire all’ Ani-  ma accomanda. Ed efpreflamente ,che  l’Animo, e l’Anima fono due foftanze  tra loro diftinte , febbene {grettamente  infieme congiunte: e per la {{retta con-  giunzione, quanto argomenta della na-  tura dell’ Anima , vuol che dell’Animo  ancora s* intenda . Sopra il qual fonda-  mento buona parte degli argomenti di  lui fono appoggiati . Lucrezio adunque  da quel fubito cangiamento de’ corpi  morti , o languenti, non può, ne vuo-  le egli inferire il difperdimento , ed  annullamento dell’Animo ; ma sì bene  il difperdimento , e l’ annullamento dell*  Anima ; cioè della parte bruta , e fen-  fuale : e quindi per la {{retta unione*,  delle due nature, vuole che lo lìruggi-  mento dell’ Animo infieme fc ne argo-  menti . La qual cofa , comechè e’ ben  vedelTe non efler neceflaria conchiu-   Z 2 fione    i8o DELL* ANIMO  (ione di neceflfario fillogifmo ; percioc-  ché di cofe diftinte , comunque infie-  me congiunte , mancando 1* identità  dell’ edere , dall’ una all* altra cofani  non può con certezza condurli l’argo-  mento a conchiuder nulla ; con tutto  ciò, tra perchè l’Animo una fottiliflì-  ma, e le vidima foftanza cder e* li avvi-  fava; e perchè la robuftezza , e’1 pote-  re dell* Animo nell* intendimento di lui,  e degli altri Tuoi pari, fparuta, e debi-  le cofa appariva ; per quelle cagioni  pensò egli , che come il totale disfaci-  mento del corpo , non altronde , che  da quello dell’ Anima proviene; cosi il  diflìpamento dell’Anima fenza 1* ellin-  zion dell’ Animo , non potede avvenir*.  Ed ecco come noi in efplicando il fen-  fodi Lucrezio , abbiamo infieme difciol-  to il fuo argomento . Imperocché ab-  biam fatto vedere, come edendol* Ani-  ma , e l’Animo , cioè la parte corpo-  rale minilira dclfenfo,e l’incorporale  principio dell’ intelligenza , due nature  dillinte , quali ad elfo Lucrezio pajon  d* edere , 1* argomento in buona Loica  dal didìparaento dell’ Anima , quello   :i dell’    "Digiti? ed    c    DELL- UOMO. 181 .  dell’ Animo non può conchiudere a ni. ^   un patto. Ne dalla (fretta congiunzio- *   •v-W,    584 DELL» ANIMO  del fcnfo fono ftromenti,il cui confen-  fo , e cofpiramento , anima egli appel-  la, ciò intefe di affermare ; quantunque ,  che 1 ’ animo ancora fia divifibile , vuol  che da quella si fatta divifione fi argo-  menti . E dell' infermezza di tal con-  chiufione per la diftinzionc di quelle»,  due nature, che Lucrezio appruova,e  noi abbiam provata, con tutto quello,  che al precedente argomento fi è fatto,  non riman luogo a dubitare : e così  tutti gli altri a quello finiiglianri , che  dal confondere in uno il principio in-  telligente, c la parte fenfualc , tutta_,  lor forza ritraggono. I quali tutti, non  già col folo ribattere , o fchifare i col-  pi negando, come ufano di fare i Vol-    gari ; ma la foftanza indi vifìbil e dell*    Animo , e le fue maravigliofe opera-  zioni, ed ogni altro dimoftrato pregio  v^per tutto opponendo; e quindi da cer-  ' ti , cd indubitati principj argomentan-  do; fi fa chiaramente vedere, che’l va-  rino e’ percuotono dell’ ària . Più larga  '-via ne apre il feguente argomento a  derivarvi i fonti della principal noftra  dottrina , il quale con chiarezza è ne*   .r : fe-    r    ; ( DigitizeQby Goògje '    DELI/ UOMO. iSs   fegucnti verfi efplicato : .   Dtnifue cur animi numquam mens , confili umqu »   Gignitur in capite , aut fedi bus , manibufve ? fed unii   >• - • • . v   Sedibus , «ir certi s regionibui omnibus bar et ?   Si non certa loca ad nafcendum reddita cuique  Sunti «ir ubi quicquam fojjit durare creai um ;  Atque ita multimodis prò totis artubus effe y  Membrorum ut numquam exijlat prxpojìerus orda .  Vfque adeo f equi tur ret rem : neque fiamma creavi    Lib. tll.   Nono argo-  mento .    Fluminibus /olita e/ly neque in igni gignier algor .    ^ Circa 1’ origine dell’ Anima , in prima  e* ci oppolc Lucrezio, che ella nafeer  debba infieme col corpo ; perchè fi veg-  ga col corpo, e con tutte le membra  crcfcere inficine . E poi del feggio, do-  ve l’Anima fia allogata , ftabilifce che  certo, diflinto , particolare , e proprio  e debba clfere. Finalmente , amendue  quelle cofe giunte infieme , dal nafee-  re, c dall’ cficre 1’ Anima in certo , e  ditcrminato luogo, egli argomenta , che  fuori del corpo, e fuori del fuo proprio  luogo non polfa folTiftere . Noi allo ’n-  contro con bello intreccio di metafifi.   A a che    •Digitized by Google      1 8   per altre opportunità ; delle cogitazio- .  ni: c nel fecondo per la finezza , c vi-  vacità del fenfo, e per lo fervore , e_.  Copia de’ fluori più (pi ri rosi; degli affet-  ti ; ma ben ella è in tutti i luoghi , e ini .  tutte le parti del corpo organico colla  fortanz'a > come è in tutti per 1’ opera- .  zione del fenfo , e della cogitazione .   Or due foli argomenti di quelli , che  wnfaìm !r- Cì ^ am proporti , rimangono a trattare:  Sfotefuo^ de’ quali il primo più al platonico dog-  ma della preefiltcnza dell’ Anime va a  ' '.T colpire dirittamente , che nel punto  .. f,"*; .- dell* immortalità : che per diletto de’   * plausibili divifi di quella (cuoia , non_*  abbiam voluto lafciare addietro , coti-,  gli altri che contro a quella medefima .   . opinione ,o alla pitagorica Metemfico-    Digitinoci b/Google    DELL’UOMO. i 9S   fi , o ad altro, che alla principal noftra  quiflione fono indirizzati: c’1 fecondo,  il tedio , c 1 a /Fan no di coloro , che.,,  muojono , ci oppone contra , di facilif-  fìma foluzione. Col quale , efpugnati pri-  ma di grado in grado i più robufti ar-  gomenti , convien conchiudere la prc-  lentc difpurazione . Il primo adunque  que’ vcrfi , che con leggiadria , ed  acutezza è da Lucrezio fpiegato .   Tr eterea fi Immortali s natura animai   , L'I   . - Conflati & in corpus najeentìbus infinuatur ;   Cuì Juper cnteaElam atatem j neminijjf nequimus f   Interi iffe , c ir qut nunc ejl , nane effe creatam * .   Nec vejìigia gejlarum rerum ulla tenemus l  .-*• fi t-'Mope™ e Jl animi mutata potejlas ,   Omnrs ut aBarum exciderit retinentia rerum :   No» ( ut opinor ) id ab Uto jam longius errai .  Quapropter fateare neceffe ' eff , qu « fift ante ,    interìiffe , .  co col dire, che fenza giufta cagione , '  la pura luce deli’ Anime da Cielo in-.  Terra/i traeflono , a congiugnerti co’  tenebrofi corpi terreni . Per quelle me-  defimp ragioni Lucrezio e’ fi avvisò,  che 1 * anticipata produzione dell’ Ani-  me, e’I comun loro nafcimcnto co’cor-  pi , bollono due ellremità , delle quali  una vera , e 1’ altra falla ncccllariamen-  te eflcr dovefie . Onde mcllolì a con-  vincere di fallita il primo efiremo dell’  anticipato nafcimcnto , per quello che  1’ Anime congiunte , di andare cofe niu-  na memoria (eco arrechino al mondo;  conchiufe,che’i fecondo diremo del co-  mune, e promifeuo nalcimento dovefie  cfler vero: e per confeguente , che l’A-  nimc corporee doveflono edere ; e co-  me i corpi , elle ancora corruttibili , e  mortali . Tutravia gli antichi Platonici  co* loro profondi fenfi , c magnifici par-  lari , le minutezze , e le arguzie degli  Epicurei , picciola allora nazione de’ Fi-  lofofanri , aveano per nulla: e col tem-  peramento della reminifeenza-, che ne  -viva, ed cfprclla memoria , nc c tota- 5 -'  le oblivione ; e col dimollrarc come-,  l v ' P an-    - C    Digitized by Gòogle      DELL* UOMO. 199   V antiche notizie, col conjugio de’ cor-  pi porefiono effcrc ofcuratc; il prefen-  te argomento deludevano di leggieri .  Ma noi tra quelle eftremità il vero mez-  zo abbiamo apprefo, che 1 * Anime non  già co’ corpi , ne da’ corpi , ne per tan-  to innanzi a loro, ma bene in eflì nel  punto medelimo da principio ideale, a  mentale debbano effer create : e tutto  ciò dalla natura dell’Animo, c da quel-  la del corpo , e da una mirabile armo,  nia di natura , e di legge , e da ogni  parte del ragionevole umverfo compro-  vando; c’I vero del mirteto platonico  difcoperro,e la difficoltà di quello ar-  gomento abbiamo fpianata-   Al fecondo argomento , che è l* ulti-  mo di tutti ; dato , e non conceduto ,  che ogni Uomo in morte fi dolga di mo-  rire; il che de’ vizioii Uomini, cui i vi-  fibili obbietti , e l’idee ofeurare, e gli  affetti rapir fuo!c r è egli vero , e non_»  già de’ virtuofi , che colla meditazion  della Morte ogni fpecie , ed ogni amo-  re del prefente fecolo deporto , vivaci  idee , e acccrt affetti nudrifeono dell’  invirtbile Mondo ; dato dico, c noiu    200 .DELL'ANIMO •  conceduto , che così dea la cofa , come  canta Lucrezio; giuda i noftri principi  rifpondiamo brevemente, che quel do*  lore e* non è della pura intelligenza , ne  dell’ Anima fola ; ma bene è del fcnfo  impuro dalla unione delle due nature  rifultante: ed è dell’ Uomo per quella  unione medefima codituito . Il qual fen-  fo, coll’ Uomo., eder mortale, fol vie-  ne a concludere 1 * argomento . Al che    Soluzione polliamo accomodare l’acutezza di Lat-  tanzio col dire, che finche 1’ Uomo vi-    mrgonunto. ve, quando l’Anima è ancora nel cor-  po congiunta , c’ non è tempo di dover  ella fentirc la fua liberazione ; anzi più  tolto i languori, e le corruzioni corpo-  rali di quegli ultimi momenti le con-  vien fofFerirc: e quando I* Uomo è già  , morto, e’ non è tempo allora di poter   fignilicare il fuo fenlò . Sicché Lucrezio  da ogni parte ingannato fi mife a dire:    Db. Uh    .... quod fi immortali nofira fcret mens , *  Non lavi f e morlens dijjolvi conquereretur :   Sed mogis ire f mas , vcfiemque relinquere , ut anguis ,  Gaudenti frtlonga fenrx aut ccrma cervus .   fi 7 " : W Con '      ' . Digitizédby poogle    . ft*   DELL’UOMO. 201  Con quella ftiedefima riTpofta , la va-  nità deirargomenro , che a’recitati ver- Dtmde c ! mo .  li immediatamente va innanzi, li dimo- fuafoivzione . *  {Ira ancora . Dove dice , che 1* Uomo in  morendo, non lo fceveramento dell’A-  nima , ma il diftruggimento (ente , ed  avverte :1* Anima non da un luogo all*  altro del corpo intera trapalare , ma_,  nel Tuo proprio luogo , come ogni altra  parte infievolire, e mancar lente appo-  co, appoco. Perciocché è da dire , che **  l’Uomo è quello che muore ; e di quel- ''  la vita, e di quei fenfo, che dalle due  nature rilulta, e’puo efifer vero quel che  e’ dice fentirfi , ed avvertirli in quel  punto; donde il patimento , c ’l manca-  mento , c la mortalità dell’anima pura , e  del fenfo, o intelligenza pura, che niente  di quello foflFrono , e niente fentono,o  avvertono , non dcefi a niun patto ar-  gomentare. Finché 1’ Uomo vive, e fin-  che l’Anima è col corpo congiunta, il  fenfo proprio dell’ Uomo, e la vita pro-  pria dell’ Uomo per legge di unione è  fol operante. E quivi lono i mancamen-  ti, e i profitti : e in quella parte ,  di quella fono i fenfi, e l’ avvertenze,   -«4 C c che    Digitized by Google    202 DELL’ANIMO  che fi fentono , o avvertono . Se più  rodo coll’ allegata acutezza di Lattan-  zio , che propriamente contro a que-  llo argomento ritrovò quel nobile au-  tore, non fi vuol far difefa ; che ben_  può Ilare .   Sciolti a quello modo tutti gli argo-  menti Lucreziani, perocché alcuni piti  minuti, e leggieri, che o fono eftcnfio-  ni,o particolareggiamenti de* più prin-  f en f° cipali; o in qualunque maniera a quelli  JSf/. I* 1 rapportano ; ed altri ,che ad altro fc-  , gno mirano, che al punto dell* Immor-  talità , inutile , e nojofa opera farebbe a  volergli perseguire partita mente ; fciol-  ti , dico, gli argomenti, e fatte le dimo-  llrazioni dell’ immortai natura dell’Ani-  ma dell* Uomo, niente rimane, perchè  non Ita terminata la prò polla Di Sputa .  Ma tuttavia del fenfo degli Animali  bruti conviene foggiugnervi un brieve  ragionamento , per placare ogni Solle-  citudine, ed affanno degl* ingegni vacil-  lanti, edubitoli. Imperocché dalla co-  mune , c volgare openione nafeene-,  pure un molefto argomento, o fofpica-  mento in contrario . Concioflìachè la_   co-      Digitized by Google    DELL’UOMO. 203  cognizione , che nella via del hlofohco  inveftigamento fola ne fa lume nel ri-  cercare l’immaterialità, e 1* immortali-  tà dell’ Anima umana ; comunque , e  qualunque a gli animali bruti li conce-  da ; non pare , che in quel cammino pof-  fa edere così ficura,e così fida feorta,  come ella è in effetti . E adunque con  ogni fludio da dimoftrare la fallita di  quella ftolta openione:'il che altra via  tenendo da quella , che finora han te-  nuta i moderni Fifiologi , con altri ar-  gomenti , *col favor di Dio , faremo  fpeditamente .   E’pare, che i difenfori dell’Immortalità  dell’Anima ragionevole , ogni cognizione  debbano difdire a’ Bruti ; ovvero colla  cognizione conceder loro i’immareriali-  tà, e l’ immortalità parimente. Percioc-  ché dal dover 1* Anima ragionevole»,  effere immateriale, ed immortale, perche  è di cognizione dotata, tanto può con-  chiuderfi , che i bruti , perchè e’ non»,  fieno immateriali , debbano edere di co-  gnizione privi ; quanto che i bruti ezian-  dio abbiano ad edere immateriali , per-  chè abbiano cognizione . Siccome gli   C c 2 Epi-    L’ opinion  volgare dit-  / avori   /’ Immortaliti  dell" Anima-»  delf Uomo •    Digitized by Google    204 DELL’ ANIMO  Epicurei, i quali tcgnono,che l’Animo  umano fi a materiale , non poflono , a—  mio giudizio , a’ bruti non donare alcu-  na Torta di cognizione: ne’ quali da una  parte veggono ordinate operazioni ; ed  a* quali dall’ altra non fi può negare—  qualunque più pregevole condizione, o  fpezie di materia. Ma con tutto ciò , co-  me potrebbe agli Epicurei venir voglia  di negare ogni cognizione a’ bruti, con  dividere dal fenfo cieco la cognizione -,  c l’uno ad una fpezie di materia , e l’al-  tro ad altra fpezie aflegnare; e lafciata  l’inferior materia fenfuale a’ bruti , la  miglior parte all’ Animo dell’ Uomo ri-  ferbarejcosì de’partiggiani dell’Immor-  talità , una parte fi fon voluti lafciar con-  durre a concedere a’bruti cognizione, con  diftinguere più maniere di cognizioni: e  quelle così diftinte , come loro è paru-  to,tra l’ immateriale, e la material na-  tura , tra gli Uomini , e le beftie com-  partire. Onde non c da reftarfi in quel  -folo argomento, il quale nondimeno noi  tratteremo a fuo tempo; ma fa di me-  ftieri di una intera deputazione . In co-  sì fconcia openione , e come farem ve-   dere    * Digltized    ?art    DELL’ UOMO. 205  dcre dappoi, a gli Uomini, ed al fommo  Dio ingiuriofa , più per forza di pregiu-  dizi 1 che per niun valevole argomento  fono eglino caduti . Nella qual preoc-  cupazione nondimeno , c dalla quale»,  pofcia e’ fon giri raccogliendo degli ar-  gomenti : o più torto le preoccupazio-  ni , o i pregiudizi mcdefimi han fatto  contro al vero, arme di argomenti. Or  per cominciare, ognun fa che 1* ingan- .  no de Volgari e non e altro, che que- de'isolg*  fto.Le operazioni animalefche fono el-  leno certamente diritte, e regolate co-  tanto, che il naturai diritto monaftico ,  quanto loro conviene , adempiono inte-  ramente: ed al focicvole domeftico,ed  infino al politico ancora in alcune fpe-  zie pervengono: lafciando ftarc mille»,  varj particolari ingegni di operazioni  in quelli , e quelli animali , che fan-  no le maraviglie del volgo . Adunque  per quel veriflimo principio , che ogni  ragionevole azione dee da ragionevo-  le principio provenire ; tantofto fenza»,  niuna difamina , a quelle cotali opera-  zioni interno principio di cognizione»,  hanno eglino attribuito . E ficcome que-  ***** * fio    Digitizeb by Google    20 6 DELL* ANIMO   {lo pregiudizio è di fuori venuto dalle  cofej così dall’altra banda, da eflo Uo-  mo , e dalla di lui natura, e fua manie-  ra di operare un’ altro n’ è Torto nien-  temeno del primiero faftidiofo . Giacché  il fenfo a’ bruti in ogni modo fi dee-  concedere , e’1 fenfo proprio dell’ Uo-  mo nella cofcienza di ognuno fi dimo-  flra edere di cognizione illudrato jquin-  . di eglino, che’l fenfo altresì degli ani-  • mali di alcuna cognizione fornito etter  debba, han creduto . Per parlar prima  di quello fecondo pregiudizio , che han-  no i Volgari in conto di gagliardo ar-  gomento, e che del primo può di leg-  gieri più prettamente fpedirfi; batta ri-  cordare, che alla coftituzione dell’Uo-  mo due diverfe nature concorrono .  Per la qual cagione , come delle due fo-  ftanze un folo ettere , che è 1 etter pro-  prio dell’Uomo rifulta ;così parimente  de’ due generi di operazioni , che a quei  diverfi principi rifpondono , un folo  operare , che è il proprio operar dell’  Uomo di amendue quelle proprietà do-  tato , dee provenire : ciò che in più   luoghi di quella Difputa, e nella folu-   zione    Dìgitized by Google    . DELL’ UOMO 207  zione degli ultimi argomenti abbiamdi-  moflrato . Donde, che ’l fcnfo dell’Uo-  mo e’ non Ha Tempi ice, e puro Tento; e  che la cognizion del medctìmo non pu-  ra , e Tcmplice cognizione ella ila ; ma  che quello con alcuna luce di cognizio-  ne , e quella con alcuno adombrameli- .   to di TenTo , efler debbano , argomen-  tammo .Giuda quel noftro veriflimo di-  viTamento, Ticcomc chi dalla cognizio- B contórni  ne dell’ Uomo inTcrir voletTe , che le jenfaiTf^fo  cognizioni degli Tpiriti puri, Toflon elle furo jènzj^  altresì commifte di TenTo , per non po- f^orìtroije  ter capire , che cognizione Tenia ogni  TenTo Ti poffa ritrovare , egli in grande  errore fi abbaglierebbe r così parimen-  te va errato colui , che dal TenTo dell*   Uomo argomentando , il TenTo anco-  ra delle bedie voglia credere , che fia_.  con cognizione congiunto, per non po-  tere intendere , come TenTo Tcevro di  ogni cognizione rinvenire fi potTi . Se  nell’ Uomo Tolo le due nature convc-  gnono infieme ad edere, ed operare: e " ,   fuori dell’ Uomo e’ non è altrove in al- ~   tra Tpezie sì fatto mefcolamento :e per  cotal cagione è nell’ Uomo il TeuTo mi-   do    Digitized by Google    208 DELL’ ANIMO  fio di cognizione , e la cognizione a_#  rincontro è comporta di fenfo ; e’ pa-  re per Dio una chiariflima evidenza ,  che fuori dell’ Uomo , come cognizione  non può efferc fe non pura, fenza niu-  na nebbia fenfuale ; così fenfo non pof-  • fa avervi non del tutto cicco , fcnza_*  ogni lucidezza di pognizione .Da tutto  ciò chiaramente fi comprende , che.»  quanto il fenfo limano agl’ inconfidera-  ti c occafion di errare , e di credere-,  ' ' che il fenfo de’ bruti è a quello dell’   Uomo fimigliante ; tanto è chiaro ar-  gomento a’ più fenfati di tenere per  fermo, che come la cognizione del ge-  nere puro fpirituale, perchè non è co-  gnizion di Uomo, non dee erter fen-  fuale : così il fenfo del puro material  genere , perchè non è fenfo d’Uomo,  non può erter luminofo . Intorno a che  egli è affai da maravigliare ,che i Vol-  gari Peripatetici , ed i Cartefiani , fono  i g iriejìa- eglino da una medertma cagione fta-  ri fofpinti in diverfe eftremità di erro-  iia vmcÀgton ri eftremamente contrarj . Imperocché  medejìtna fi - gjj un j jC gjj a |tri fedotti dal fenfo urna-   trarfinorT. no , credendo non mai poterli fenfo da   CO-    Digitizecfby Google    r    DELL’UOMO. 209  cognizion feparareji primi per non tor-  re il fenfo a’bruti , la cognizione ancora  1* han conceduta : e i fecondi per non  donare a’ bruti cognizione , il fenfo an-  cora P han tolto . Le quali eftremc ope-  nioni noi ugualmente falfe riputando ,  liam venuti a quello, di dover fepara-  re quelle due facoltà, per lafciare a’bru-  ti il fenfo folo, ed alle pure immateria-  li Portanze la fola cognizione . E tanto  balli aver detto di quello fecondo pre-  giudizio , per torgli ogni forza , non fo-  lo di argomento per convincere , ma_.  ancora ogn’ illulìone di pregiudizio per  preoccupare . Ma quel primo ha egli  per le Menti degli Uomini fparfe tene-  bre più denfe, e più univerfali :che di-  cemmo già eflcr nato dal vedere gli  Animali bruti, diritte , e regolate,  ragionevoli operazioni produrre ogni  ora . E intorno a quello , onde , come  fopra abbiam notato , falli ancora il  principale argomento loro , dee rutta  la feguente Difputa aggirarli, in dimo-  ftrando,che altra cagione vi lia del di-  ritto, e ragionevole operare de’ bruti ,  che quella delP interna cognizione . B   . D d pri-    no DELL’ANIMO    Epicurei Jo- bachè la Mente, e la Materia colle io-  migliante. ft anzc>c co’modi loro nell’Uomo con-  venendo abbian gli Epicurei medi in__.  confusone ; per modo che eglino la_>  Natura immateriale, che è il principio  intelligente, annullando, han 1’ Anima  dell* Uomo tra le pure materiali fpczie  annoverata: e i modi mentali , e i mo-  di, e foftanze della materia, negli ani-  mali bruti avvenendo, abbian confufi i  Volgari ; (ìcchè fpiritualizzata , diciam  così , la materia , V Anima delle beftie  nel ruolo han meflfa delle foltanze co-  gnofeitive. Perchè nell’Uomo, da una  parte la fola materia è al fenfo riguar-  devole ; c dall’ altra le mentali opera-  zioni,che ficemorrfi n'dta' cofciùiiza ,Co’  modi, e moti materiali , e loro vicen-  de , e variazioni procedono ; i fenfuah  Epicurei -han creduto, che la Materia a  tanta finezza, e attività ,e ingegno per-  venga , che poffa ella efler principio  dell’ umane cognizioni . B i Volgari , ne-  gli animali bruti, perchè la materia de*   modi   ... . 4 '    prima è bello il vedere, che 1* inganno  L 1 instino j c ’ volgari Peripatetici è a quello de-  de luefloVeJi gh Epicurei aliai fimigliante . Conciof-    Digitized by Googl    DELL’UOMO. 2ii  modi dell’arte, e della feienza menta-  le ornata , cd ordinata , veggon produr-  re ragionevoli opere da una parte : e_,  dall’ altra al Colo Uomo , come è dove-  re , concedono immatcrial principio in-  telligente: fono eglino perfuafi,che la  materia porta in alcun modo e/Tcre prin- *  cipio di alcuna cognizione. Nella qual  cofai Volgari per certo più bruttamen-  te errano di coloro . Imperocché gli E-  picurci , negata una volta la natura^  immateriale , che è tutto il loro errore,  concordan poi con feco rteflì , e giuda  i proprj principi da prima preferitti ,  profeguono a dire, quanto poi afferma-  no appreso dell’Anima dell’Uomo. Ma  i Volgari da’ loro principi ben lungi fi  dipartono , c apertamente fi contradi-  cono: quando , concedo che. vi fia na-  tura immateriale , c nell’ crter principio  di cognizione la colei eflTenza riporta ;  pure ne’bruti alcuna cognizione poi do-  nano alla materiale per colorir Tinca  danza, e mitigar la contradizione ; nuo-  ve fpezie di nature immateriali , e nuo-  ve fpezie di cognizione a capriccio poi  fingono . Dalla qual cola il comune aiv   D d 2 go-    • 3    2iì DELL’ ANIMO   gomcnro è tratto di coloro, che niega-  , no a’ bruti ogni qualunque cognizione:  il quale argomento allegheremo noi po-  fcia, fé avremo tempo, e luogo opportu-  no di farlo .   Ora alcune più rimote , e più gene-  il fenfo i ra jj confiderazioni ci deono condurre  uniforme, a quelle f che piu vicine tono , e pra  proprie del propofito noftro E in ogni  modo in primo luogo fi dee efplicare ,  come il fenfo, o natura fenfuale è una,  ed uniforme , che tutte le maniere , e ,  forme delie fenfazioni in quella unità ,  ed uniformità comprende : che medesi-  mamente è il fuo edere ampio, ed uni-  versale, qual’ è, ed efler dee ogni altra  natura comunella qual verità bene in-  tefa , non fi può dire quanta luce fia per  arrecare a quella ofcuriflima quiftione .  •Adunque fiocone la cognizione , o ra-  gione , o natura ragionevole tutte  guife, e tutte le forme di ragionare 'in  una uniforme unita, ed univerfalità con-  tiene, infino a perfetta luminofa Scien-  za, arte, e legge ragionevole ; così al  termine di perfetta material feienzà ,  irte, e legge fenfuale*, da fimigliante_   • w « v prin-    • . Digitized by GoCgle    DELL’ UOMO. 2ij  principio uno , uniforme , e univerfa-  ie il ienfo eziandio fi conduce . Alle  quali due nature giacché con Peripate-  tici, e non già con Epicurei ora depu-  tiamo , dobbiamo aggiugnere la natura  intelligente ; quelle tre nature a que-  llo modo ordinando . Che la pura In-  telligente nella fua immobile uniforme s!  unirà , tutte le intellezioni di tutti gl* uè   intelligibili accolga fenza vicende , e Nature , /«-  lenza variazioni: c che l’impuro Senfo ^onroole^e  tutte le fue proprie varietà di fentire , Scnfualt .  in una mobile , e divifibile unità con_,  moti , e modi con perpetuo flufio va-  rianti , debba contenere : E la natura  ragionevole polla in mezzo al fenfo , ed  alla intelligenza, moti fenfibili , e lumi  intelligenti inficmc congiugnendo* tut-  te le fue particolarità Umilmente in fe  aduni, fino al fine di perfetta feienza ,  legge , ed arte ragionevole . Sicché 1* In-  telligenza fia ciò che ella è , fenza mi-  llura di fenfo ^ il Senfo fia il fuo pro-  prio edere , fenza ogni luce d’ intelli-  genza : e la Ragione così abbia le fue  proprietà, che mefcoli infieme col tor-  bido fenfua le , il chiaro dell’ intelligen-  za.    Digitized by Google    Due fonimi  generi , P uno  dell ’ effere—»  terilene feltro  dell' ejjer  immagine reale, che non è propriamen-  ove fi ritruo- f c quella, o quella fpezie particolare .  v ’-> ed mela Così flando elleno quelle cofc , ad in- '  ìarila > . aiUC0 ' tcllerti metafifici cotanto chiare, quan-  to più non fi può dire, P Intelligenza (  la Ragione , e ’l Senfo fono ciafcuna una  unità uniforme , efprelfiva , e raflomi-  • gliativa di quell’ elfere , ed a quel mo-  do, eh’ è a fe convenevole. L’ Intelli-  genza è un Siiiogifmo già perfetto ,che  con totale penetrazione , e con cccelfi-  va chiarezza comprende Puniverfo ef-  fere intelligente lenza ombre, e lenza  vicende . La Ragione, o cognizione uma-  na non è ella altro , che un argomcn-  *■ to:    *    Digitized by Google   J    DELL’UOMO. 217  to: cioè una poterti, o facilità, per co- *  sì dire , di rtllogizzare , che tutto l’ertere  ragionevole va a conchiudere con vi-  cende, ed ombre . Secondo che noi nel-  la noftra metafilica abbiamo rtabilito,  la ragione dell* Uomo, ella non in altro  modo giugne a conofcere gli obbietti ,  che argomentando dalle minute, e roz-  ze loro fimilitudini ; ed indi le intere ,  e più perfette immagini riproducendo,  ed efplicando . Ella adunque ertendo co-  terto Colo crtere di argomento, che è erte- . Cfme r/tm  re ideale , ed efprertivo , uno , unifor- e£?mto“ em-  me , penetrevole , uni verfale: viene con ten £ a tutt^  ciò a potere efprimer tutte le differen-  ze , e forme ragionevoli, una rimanen-  do , ind irti nra , indivifa , con quell’ una  unità efprefliva , argomentativa . La_.   Ragione, tutto ciò che le rt apprefen-  ta con argomento in fc raccogliendo ,  e fe medefima , c ’l fuo fenCo , e le fue  percezioni , e cogitazioni penetrando ,  c includendo , tutto il novero apprende .  delle forme, che T appartengono . Così  il fcnfo,col contatto, e col conciglio, Comelffen-  e confenfo della più fin 3 ,e più valente   E e por- . '    '    Drgitized t    ' 2 1 8 DELL' ANIMO  m porzione della materia in quel modo r  che noi già dichiarammo, divenuta pe-  netrevole, le azioni , e le lignificazioni  de’ fcnfibili obbietti , ed eziandio degl’  interni appetiti con incredibile agevo-  lezza , e virtù raflbmiglia : ed iniicme  per adattati canali , con abili dromenti  produce operazioni ad ogn’ interna-, r  ed edema lignificazione corrifpondenti .  il Senfo è Egli è il fenfo come un materiale argo-  argomento* mento; cioè una elprelhone , e riprodu-  zione, con che la più virtuofa parte del-  1* • . la materia raccoglie in fé tutte le par-  ticolari , minute, ed imperfette lignifica-  zioni , ed azioni materiali .. A llmiglianza  della natura intelligente, e della ragione-  vole alTai più, il lenfo ancor efìfo è una  efprefliva ideale unità materiale , uni-  forme , ed univerfalc : e cotale ella ef-  fetido , le varie maniere dell* edere Ten-  ibile dee tutte produrre , fino a poter  pervenire a perfetta faenza , legge , ed  arte fenfuale. L’intelligenza ella è pur-  gata da ogni grettezza, e impurità^, ed  c libera da ogni mutamento , di pure t  e lucide notizie conteda in una amplif-  ^ ->•*«* •; • - ima    * -   S*V-'VT      & ♦    Digitized by (Joogle      DELL» UOMO 2i9  {ima faenza deli’ ogni effere intelligi-  bile. Il fenfo è impuro, variabile, tcne-  brofoj e nondimeno con cieche idee ,  e combinazioni , e fillogifmi conchiude  Tumverfa materiale erprclfione , e pro-  duzione d’ ogni fenfibile obbietto . La  cognizione , o ragione di fenfo com-  mifta , e di lume d’ intelligenza , per  convenienti idee , e componimenti , e  per fillogifmi fi raccoglie in una ben  ampia fcienza lucida argomentativa .   Siccome la fcienza ragionevole è pene-  trabile, e inclufiva per interne comu-  nicazioni , e produzioni ; così il fenfo  egli è a fuo modo pur penetrevole , e  inclufivo per finezza , ed agevolezza di  materie, e moti . La fcienza ella è un*  ampia forma univerlale del vero ragio-  nevole , piena , e feconda delle ragio-  nevoli forme , fino alle più particolari,  ed eftreme : c’1 fenfo è umvcrfal for-  ma del vero fcnfibile , con ferie di li-  mili forme fubordinate , potente a pro-  durre tutte le guife delle fenfibili ope- H && è  razioni. Il femo e della corporal natu- cieca-.  ra come una fcienza cieca : come la_- •frtowdco-  fcienza è della natura incorporale , per fumìmfo.   E c 2 COSÌ    Digitized by Google    220 DELL* ANIMO  così dire, un fenfo luminofo. Poflfono  adunque i Volgari Filofofanti fé non-,  credere, fofpicare almeno, chele in-  finite combinazioni , e fillogifmi ciechi  de’ principi, o elementi, onde il fenfo  è coftituito, vaglion di per fe foli , fen-  za niun lume di cognizione a produrre  tutte le ordinate azioni fignificati ve ,  ed operative degli Animali . Cotefte-,  '; r v tre Nature, ciafcuna di per fe feparata-  mentc nel fuo proprio regno , hanno  elleno perfetti principi operanti . Ne  all* intelligenza e* fa uopo ne de’ pro-  cedi della ragione , ne delle macchina-  zioni del fenfo . Ne il fenfo , o degli  {labili comprendimenti dell* intelligen-  za, o delle lucide argomentazioni della  ragione abbifogna . Ma nell* Uomo ,  nel qual folo due nature convengono,  fenfo, cd intelligenza e*fi mefcolano in-  fteme : e come le turbolenze fcnfuali  ^rToffufeano la luce della cognizione ; co-  fienìt la cali- sì i chiarori ragionevoli illuflrano la«.  frJIAZ caligine del fenfo.  dell' intelii- Cosi dette quelle cofe , più per after-  & enza • ger loro il malnato pregiudizio , che  per convincergli del tutto j rivolgiamo  ' ‘ - ormai    DELL* UOMO. 221 . ,   ormai il fermone a quelle, che maggior  forza di argomento ne pare che deb-  bano avere. Benché ne il pregiudizio e* v ’. V * •.   fi è potuto combatterete non in alcun '  modo argomentando ; ne argomento  niuno fi potrebbe adoperare, fé non in  qualche maniera contro al pregiudizio  combattendo ; ne altronde parmi po %  ter meglio cominciar quella parte , che  dalla famofa definizione Ariftotelica^  della Natura, la quale i Volgari di lui  'feguaci malamente interpetrando , di-  fcreditano ; e i meno feorti moderni  affatto non intendendo , deridono. Per-  ciocché il fecrcto di quella mifleriofa_,  definizione difeoperto, tutta affatto dif-  fiderà la nebbia del Volgare abbacina-  mento. Lafciata Ilare ogni altra cofa ,  che dir fi potrebbe , per efplicar quel- ,  la definizione , che qui non è uopo; io \ à d'^nìziow  porto ferma openione,che quel Filofo- Arìj tot elicne  fo , quando e’ diffe , la natura effier prin- u 1 A  cipio di moto , e di quiete ; che egli , *  allora intefe infinuarne di più la comu- —  nicazione , e la diftinzionc , che infic- ^  mementc la Natura ha colla Scienza ,  e coir arte . Sono certamente Natura,   Scierà   * -      Digitized by Google    ^ f . ni DELL* ANIMO   Scienza, ed Arre tre primarj principi ,  natura - j c h e ogni genere di forme compiono  Jnejcnò t , e 1* univerlità delle cofe. La Natura mo-  l?' n yù.i timi vendo , o producendo : che produzio-  L-nivirjo c moto £ C omc più giù dimoftrere-   mo)fonó una medefima cofa. L’Arte  componendo , e formando ; e la Scien-  za penetrando , e intendendo . La Scien-  za generalmente confiderata , altro non  è ella che principio di cognizione: fic-  corae 1’ Arre pur prefa in generale , e*  non è che principio di formazione. La  Natura, ne di formazione come l’ Ar-  te, ne di cognizione come la Scienza;  y mafoldi moto, e di quiete e principio.  Quella diftinzione di quelli tre princi-  pj additar volle il Filofofo in quella  fua diffinizione con ifceverar l’Idea , e  ‘ l’elTenza della Natura dall’ idee, ed ef  viV'X fenze della fcienza,c dell’ Arte; e con  rillringerla alla lua determinata proprie-  tà. Ma fono nulladimanco quei princi-  Comunìone di pj tra loro inficme comunicanti , co-  fueì trefrìn* mG dalla defìnizion medefima è facile  c ' iJ ' argomentare. Perciocché, nc l’Arte e’  può di niuna formazione elTer princi-  pio ; nc la Scienza di cognizione fen-    DKLL’ UOMO. aij  za virrìi di produrre, che e la Naturar  e Icambicvolmente nella Natura è in-  ficine Ja feienza , e 1* Arre ; perchè a_,  niun patto c’ porrebbe la Natura cfler  „ principia di produzione fenza idea , e  regola, e modo di produrre ; il che è  cfler Scienza, ed Arte . Quanto è im-  ponibile , che v’ abbia alcun produci-  mene di cognizioni foie n tifi che r e di  forme artificiofe fenza potere di pro-  durre: altrettanto potere , o virtù nin-  na e’ non può eflervi fenza modo , o  regola di produzione . La feienza ,   T Arte fenza virtù di produzione fa-  rebbono (lenii r ed infruttuofe per im-  potenza, e fi rimarrebbono in una ofeu-  ra, e tenue generalità di fapere . E la  Natura fenza via , e regola , farebbe.,  per tumulto , e difordine di parti , e di  moti ancor ella infeconda , e rollereb-  be in una fparuta , e informe comunità  d* edere . Tanto la Scienza, e 1’ Arte ;  quanto la Natura , come è ben uopo t  hann* elleno potenza, ed atto, de* qua-  li come di due neceflarj principj fi com-  piono. La potenza dell* Arte , e della  Scienza è la virtù producente ; 1* idea T   o for-    V    i*.    224 DELL’ANIMO  o forma ,o regola è il di loro atto . Per  contrario la forma , o regola, o idea è  la potenza della Natura ; e ’1 fuo atto  è la virtù produttiva , L’ atro proprio  'QuùIJùl^ d e i| a Scienza è la potenza della Natu-   f unita della K   Natura* qua- ra : e 1 arto proprio della Natura e la  le de ! i ,i s I icn potenza della Scienza, e dell’ Arte».   ili /f* * | • r •   con bel reciproco lovvenimcnto j  foccorfo . La Regola , o idea ella è V u-  nità della Natura ; la qual fottratra ,  difturbafi l* adunamento , e ’l confenfo  delle parti , e de’ moti ; onde la Natu-  ra in molte, e varie parti, e in molti,  e difeordanti mori fi frange fi difper-  de, che nulla producono . L’ unità del-  la Scienza, e dell’ Arre è egli il potere  di Natura: il qual tolto, la comunica-  zione, o inclusone s’interrompe : dal  che 1* Arte , e la Scienza in molte , e  varie idee ^.cogitazioni fi fmhiuzza ,  • che nulla conofcono, ne formano. Ma  tuttavia. è da notare, che 1* edere , c *1  potere della Scienza ,e dell’Arte, quan-  tunque egli è foftanzievole , e natura-  le, cfler dee nondimeno inclufivo , pe-  netrevole , e Iuminofo: che altrimcnte  la Scienza , e l’ Arte con edere , e con   po-    Digitized by Google      vi   * '■l    1      za .   - • ‘:\v j   xfcr*    ui, ^    r*v.'    V * • * 1  - 9      ' &A   * '* 7  • >-   ■* -►» ' - . - / - . . ,jr * tv* ‘ *gj    -, NpJ   -      - -V S    •'i    *#•      - ; -    La Scienti  'una N aura        ^y    :>        •S   H    OS»      >*    i -ir      .*4 -    -    1    __ » j'f- _ . .   ‘^Otflrtaset-by Coòglr^    i- -W    22 6 DELL’ ANIMO  quella fcientifiche , c quella artificiofe,  con edere, e con potere penetrevole ,  lucido, inclufivo.E la Scienza coll’Ar-  te, non vuota, vana , fpoflata , fantafti-  ca; ma è reale, vera, piena, collante ,  poderola , per edere , c per potere di  reale follanzievole natura: nel che l’E-  ternità della Scienza , dell’ Arte , e del-  la Legge è locata : la qual cola , dopo  "lunghi contraili, e’ non han potuto net-  tamente difpiegare i Volgari . E la Na-  tura non è ella informe , irregolare^*  difordinata ; ma è formofa , ordinata ,  diritta , per idee , e regole di verace , e  falda Scienza, ed Arte : nel che la fem-  piternit'a dell* Univerfo è ripolla , che_*  gli Epicurei intendere giammai non-,  han voluto. Quel che al prefente rile-  va è , che con quanto ho detto della.»   • Natura , e degli àTtrf due principi , io  fon venuto a dimollrare , che le ordi-  nate , e ragionevoli operazioni della^  Natura particolare degli animali bruti,  come quelle della Natura univerfale ,  deono poter provenire da principio in-  terno di Scienza, ed Arte cicca .   ? E perchè il maravigliofo potere del-  le     \   DELL* UOMO.   le idee cieche , che alla Natura abbia-  mo attribuite, finalmente tutti ricono- P!ìt fpezie  lcano; egli è da notare, che oltre alle ^^ orme  forme reali delle cofe, che già fono in  eletto, e fono a’fenfi nortri manifefte,  e vi ha altresì delle forme ideali , che-  così appelliamo , divife in tre diftinte • -   Jpezie, o più torto in tre ufficj diverfi.   Il primo egli è dell» ideali , come lor di-  cefi plaftiche , dalle quali generalmen-  te a formarli, ed efplicarfi vegnono le  reali . Quello genere è egli principal-  mente riporto, e chiufo nel feno degli  elementi ; onde nella prima origin lo-  ro , Erbe, e Piante , e Animali ufeiron «  fuori alla lucè : ed al prefente ancora  non di rado ne avvengono novelle pro-  duzioni . E in fecondo luogo le mede-  lime ideali , nelle fortanze delle cofe-  per tutte le fpezie elle ferbanfi invol-  te : donde ogni cofa può produrre il lì-  mile, e propaginar la fua fpezie. Il fe.  condo genere è dell’ ideali , cui noi di-  ciamo lignificati ve , che fpiccanfi dagli r&jt  obbietti, e a rapprefentar vegnono a’ V Maini-  iioltri lenii tante varietà di colori e di rettrici f ono  forme , quanti già ne veggiamo . Il ter- tt  Pi • Ffa zo,   ; 9 •   \ - _    Digitized by Google    r •     2*8 DELL* ANIMO  zo , che fa al propofito , è dell’ ideali di-  ?** rettrici fopra tutte 1* altre di fommo  valore, e pregio, che il fovrano uffizio  hanno elle di reggere i moti, e le ope-  razioni . La Natura di tutti e tre quei  . ! generi d’ Idee eflfer dee fornita: del pri-  mo, e fovrano delle direttrici ; affinchè  i movimenti fieno regolati, profittevo-  li, e fruttuufi: del fecondo genere del-  le plaftiche; affinchè le forme, o fpe-  zie delle cole fieno durevoli , utili , e-  gradite : e in fine del terzo delle figni-  ficative ; per fomminiftrare al fenfo ac-  conce lignificazioni , ed efpreflìo ni , on-  de fi promuovano le operazioni, e le—  comunicazioni delle particolari nature  infra di loro fi compiano. E ritornando  alle direttrici, è affai ragionevole pen-  famento,che cotali Idee ne’ corpi Ce-  lcfti , e ne’ loro fiti , ed afpetti , c mo-  vimenti fien ripofte . E non per altro ,  che per quelle tre Idee moderatrici è  da credere , che il Mondo , magnimi-,  KtlU Kd Animai fu da Platone appellato. Nella  tuv * fenf uale particolar Natura del fenfo e’ ci ha_.  ètuualapcr • fut t; a perfezion della Natura Univer-   si 0 * natU " fale *. Oltre al fommo potere, ed al per-  fetta    Digitized by Gòogle    D 3 LL* UOMO. 229  fetro concilio de’ principi coll’ idec_,  plaftiche , e fignificative , avvi anco-  ra la fovrana regola delle idee diret-  trici per Io governo della vira. La Na-  tura fenfuale ella è (opra tutte le cor-  porali nature perfetta, e Copra tutte lì  avanza ad imitare la Natura Univerfa-  le: ficcome V Uomo,’ nel quale tutto il  filloma del fenfo , fornito d’ ogni ma-  niera dMdee, egli è oltre ciò governa-  to dall’ Idee lucide ragionevoli , Copra  tutte le terreftri foftanze rafTomiglia_,   1 ’ Univerfo me de fimo illudrato dall’ in-  telligenza della Mente Unìverfale . Or  poiché è neccflario , che negli Animali  bruti vi fin (ufficiente provigione d’idee  direttrici ben ordinate ; per qual ca-  gione e’ vi richieggono di vantaggio il  reggimento delle cognizioni ? Non fo-  no forfè l’ Idee cieche direttrici bade-  voli a moderare 1’ arruolo moto del fea-  fo ; e fecondo i movimenti interni , o  fecondo l’eftcrne lignificazioni , non_»  fono elleno valevoli a produrre quelle,  e quelle ditcrminate operazioni ? Co-  me potranno- le plaftiche idee diftribui-  xc il chaos della Materia fcminale,, e-,   reg-    230 DELL' ANIMO  reggerne i moti per generar erbe , ed  alberi , ed artificiofiilìme forme di Ani-  mali ; e non varranno le direttrici a__.  moderar l’azioni, e i moti fcnfuali per  confervare la vita^E egli per avvenru-  ra il fatto della confervazione della vi-  merzio tra ta P*u ingcgnofo , e piu artihciolo del-  jiicbe ? 7 e f° rrnaz ' one medefima ? Egli non ci  ideejìlnifi- ba tra quelle due fpezie d’ idee di-  eative. rettrici, e plaftiche , fomiglianza , e_  comunicazione, e commerzio si fatto ,  che l’impreflìoni talora delle plaftiche  ' ■ pervengon fino al fovrano feggio delle   lignificazioni, e direzioni, e quivi figni-  ’• ficative, e direttive divegnono ; ed al-   lo ’ncontro le figure delle direttrici , e  lignificati ve difcendono giù al luogo del-  le generazioni , e per così dire, plaftico  - w ingegno, e potere acquila no ? Siccome  la mafia dellgk^a*e*i*,dà*i»m così, ge-  netliaca, è egli un indigefto , e confufo  chaos, e in certo modo indifferente, e  indeterminato , che'' nondimeno l’idea  plaftica diftingue , dirermina , e forma  fino a perfetta generazione; così il mo-  to fenluale è propriamente indetermi-  ' - nato, e indifferente, e come confufo, e in-    A-'    ■% • Qigitized by Goc    V    • *    DELL’UOMO. 231  digefto chaos,che tuttavia 1* idea diret-  trice dee poter diftinguere , e formare  fino all* intero governo del vivere ani-  malefco . Egli è fopra ogni altra cofa  da por mente, che il moto del fenfo è  della più preziofa.,e più agevole mate-  ria; ed c il più vigorofo, ed efficace tra  tutti gli altri, Tempre pronto, e fpedi-  to , ed operante: e che 1’ idee direttri-  ci del medefimo fenfo fono vivaci, ed  efprefle, e ben ordinate, e compiute ;  cioè per diftinta , e lunga ferie fono in  sì fatto modo compartite , che da cer-  te più ampie, e generali, che in una_,  prima , e principale , ampliffima , ed unr-  verfaliffima idea fono accolte , tutte l’al-  tre minori procedono; e quefte medcfi-  me infra di loro 1* une dall’ altre , da  quella prima comuniffima idea fino all*  eftreme, e particolari ordinatamente di-  pendono . Òr egli efleiido nell’Anima-  le, da una parte quel virruofo, e per-  petuo, e univerfal movimento; e dall*  altra quel ben fornito , ed ordinato reg-  gimento di efficaci idee ; qual’ altra 'co-  fa fia uopo , perchè l’animale poffa^  agi’inrerni incitamenti del fuo corpo ,   w ed        r    A    mi •* ?      4 *    ’ DigitizetUiy Google   rJj-    232 DELL’ANIMO  cd agli efterni de’ corpi circoftanti re-  golare le operazioni, di che la vita ab-  bifogna ? Siccome fciocchiflìmo penfa-  mento c* farebbe di chi alla virtù fen-  iuale , altra forza d’ altra potenza ag-  giugner volctfe, per muovere l’ anima-  le ; cosi ugualmente , a mio giudizio,  vaneggiano coloro , che all* intera ,  perfetta regola fcnfuale , altra regola  d’ altro ingegno vogliono fopra porre-.  JtJèZjòT* P er governarlo . Il fenfo è vigorofa vir-  tù motrice, per idee cieche direttrici,  valevole a produrre ordinate , e pro-  fittevoli operazioni . Quindi raccogliefi  bene effer dovere, che 1* animai bruto,  che è indocile , nafea addottrinato di  quanto ha a fare per fua difefa : e per  . * contrario 1 * Animai ragionevole, che è  docile , imperito , ed indotto de’ Tuoi  f affari e’ convien chfc nafea al Mondo ,  Poiché ridec del Bruto e’ fono corpo-  Ter qual co- rali , e cieche ; deono elle con tutto  rottone- 1’ apparecchio della materia, c con tut-  vnie rufea in- to il lavoro delle forme infiemementeT  dotto, effer trafmefTe per via di generazione:  , Siccome l’ idee genetliache, di fimil fat-   ta, tanto nell’Uomo quanto negli altri    DELL’UOMO. 233  animali , non per difciplina fi appren-  dono , ma bene per naturale operazio-  ne fi fommimftrano . E poiché tutte.»  ridee dell’ Uomo fono lucide , elle di  neceflìtà colia luce delia cognizione,  T una dietro all’ altra , e dall’ altra l’una  efplicandofi , crefcer deono a formare  la feienza . Per rimontare ali’ altezza.»  de’ primi principj , di che largamente  nella fuperior Difputa fi è favellato, la.  Mente è ella in fe , e con fe medefi-  ma , ed è in fe , e con feco operante :  il perchè 1 ’ Uomo di Mente dotato ,  a quella guifa operando ,- fe medefimo  infegna o nella Mente univerfale , o  nella univerfal materia , da’ particola-  ri a gli universali , e da quelli a quel-  li discorrendo ; e in cotal modo arti  inventando, ed esplicando Scienze, ed  iftorie teflendo . Ma il SenSo cicco ma-  teriale , da ogni altra coSa e in Se , e  per poco da Se fieflo diviSo, e* non può  fermamente in Se , e con Se operando ^  come fa la ragione dell’ Uomo , inse-  gnare Se medefimo : e perciò con tutte  1* altre forme, ed operazioni , e lavori  materiali , unicamente per gencrazio   G g ne    234 DELL’ANIMO   ne efler dee formato, ed idrutto . Er-  Erme de * rano b cn dj m olto i Volgari , che vo-  ogc,u ' gliono l’animale addottrinato per qua-  Erroredìal - lunque cognizione . Errano eziandio  fan/ *• c    *   A ,, .h.    • 3 . _ •!   ' Digilized è^X3oogfe    2?8 DELL’ANIMO   , • mcdefima debbono immediatamente  procedere . Ed in ciò egli è ben latto   éeU’Vom* avvcrtire » che la Mente deli’ Uomo  la Materia da una parte; e la Materia univerfale-*   jeZnoUtrfn- ^ a ^ l{ d rr3 > cileno amenduc affettano il  creato . primato, e’1 principato dclfc cofe . La  Mente dell’ Uomo per 1’ indifiolubil  m ncflTo della penetrevole , e comuniche-   vole identità, per la quale in alcun mo-  do ella da fé procede, c in fé ritorna,  e in fé ripofa; avendo principio, mez-  zo, e fine infeparabilmente connetti in  una indivifibile, reale unità; e per l a .  quale è ancora a Tuo modo proporzio-  ♦ nevolmenro ampia , ed univcrfalc : e la  materia per la fua ampiezza , ed uni-  verfaliti , onde ogni efifere del fuo ge-  nere abbraccia , c contiene ; cd onde * ^  in alcuna gnifa , una , penetrevole, e co-  municante f! fa vedere . Perciocché a  fondare il fourano primato , e principi- t  to dell’ efifere , due cofe infieme concor-  rono ; Luna è I* identità , che invinci-  bilmente unifee tutta l’ettenza , o fo-  flanza, e tutta in ogni parte rendela a  -fé medefima infittente, e prefente: l’al-  tra c l’ ampiezza , e contenenzjuwrit'er-   fale,    Digitized by.Google    *    DELL’ UOMO. 239  fale , che ogni eflerc dentro di le di -  ogni genere largamente comprendevi  anzi primato, ed univerfalità e’ paioli  di eflerc una medefima eflenza ;  l’ univerfalità per efler prima, e (bura-  tta , ella è uopo , che all* ampiezza ag-  giunga r identità de’ principi ; che il tut-  to alle parti, e quello a quello infepa-  rabilmente connettendo, arrechi verace  contenenza - E così eziandio Identità,  c primato pajono flmigliantemente una  fola cola ; ma e* fa di meftieri, che l’iden-  tità, col neflo infolubile dell’ eflenza_.  abbia infleme la contenenza. ili ogni ef-  fere, per efler perfetta, prima, e po-  derofa, e con perfezione, pienezza, e  potenza efler prima, e fourana . Orla  Mente deli’ Uomo per I* identità de*  principi, che feco adduce alcuna uni-  versità : e la materia mondana per  1’ univerfalità , che pare aver fe.co al-  cuna comunicazione, elle, come dice-  vamo, ambiscono il principato delle co-  fe appreflo degli Uomini ftolti . Dal  che begli nella Fifiologia Torta l* opinio-  ne dell’ eternità del Mondo , e quella  dell’ autorità , e del potere della Fortu-   • na,    m    *r'    Digitized by Google    2 4 o DELL* ANIMO  na , ed ogni altra Scempiaggine, che fa  produzione delle forme ideali, e reali,  umane , e mondane fottragge all’ Idea  divina : ed indi altrefi nell’Etica c egli de-  rivato il pregio del fallo , dell’ utilità ,  e del piacere, che colle frodi , e colle  violenze introducono nelle Civili focie-  tà la peftilenziofa Tirannide . Ma l’una,  e l’altra nell* intelligenza de’ dotti da  quelle alture nel più infimo luogo, cia-  fcuna del fuo genere fono fiate ritrai  te ; conciolfiachc la Mente dell* Uomo  fenza la vera, e piena univerfal conte-  nenza c ella rifirctta, e circol’critta da  ogni lato , minuta , angufta , povera ,ed  impotente, c di minute, c varianti, e  caliginose cogitazioni , e idee fol pre-  veduta : Sebbene ella per forza della r  penetrevole identità , e lumi , e Segni  della Mente uTTiVeffale , e dalla uni- .  verfal materia ricevendo , può b.Z »          t i    ft — '•*      BMv *“v ji.  ! 2 •”    ;    Sfe: .-    yin. /S '   Ev* ■*• *>      L^J        80KT9i    fi.:-,;,;.   t- if ^ %     Vi      V ,.      DELL’UOMO. 24 1   ingegno Mentale può ella, forma, ed  ordine, e bellezza, e forza acquifere  Così la Mente dell’ Uomo , 1* uni verfai  eflere e fapere , che è 1» ogni eirere , c  ogni fapere , fuori di fe avendo ; e di  la fatta accorra di edcr ella piccio-  ni porzione , e fottil produzione di  quell ampia umverfalità ; e la Materia  avendo fuori di fe ogn’ idea, che è ogni  ingegno , e forma , ed arte ; ben ella lì di-  moia e/Tere una partecipazione , ed un  limuiacro delia verace prima univerfal  torma. Con che elleno, non già il va- Doppio».  no lantafima del loro fa4fo pnncimrn «omento del  che creano nel fenfo degli ftolT; maj  del vero principato della fovrana Men-  te divina, doppio, rubufto,e luminofo  argomento fom mi ni Arano; quella colla  cognizione , e quella colla fignificazio-  ne : quella col conokere, indiritta ver- •  fo 1 ogni fapere , ed ogni elTere , onde  procede; e quella col lignificare, addi-  tando il medelimo ogni elTere , ed o" ,w,r, a.-      flf-ft *   - •’.V*    K    -•'Ve    : > .•    .   », * * \y >   -.A     2 4 i DELL* ANIMO  vacuità» e difordine» e tumulto» c de-  formità» e infermezza , cd ogni inutili-  tà, e danno sbandifee » bontà » pienez-  za , potere , Capere , e con erti ogni frut-  to , ed ornamento Ceco arrecando da»#  una parte ; e dall* altra fe nell’ erbe , e  nelle piante , negli animali » ed in ogni  altra corporale fpezie, cogli occhi del-  la fronte e* fi. vede cotal perfetta cofpi-  razione , e comunione con tutte quel-  le virtù, e bellezze: e nell’ Uomo parti-  colarmente tutto il corpo organico con  ogni fila parte feorgefi ordinato all* in-  veftigazionc , ed al profeguimcnto del  vero, c del bello» £ nell’ Univerfo al-  tresì nel corfo regolato , e collante »  negli fplendor» della luce » nel potere  della formazione , c in quello della fi-  rnificazione, nell* infinità delle forme  reali, che opefàn ò*7'c felle ideali, che  lignificano , egli è apertiflima » e luci-  didima cofpirazione , e comunione con  ogni bontà, e belleza,e utilità, e uber-  tà, e dilettamento; fe , dico , tutto ciò  è vero , come fermamente è ; ficcome  vedefi per quello dalle cofe difcacciata  ogni vacuità di edere , che è il nulla ;     DELL’UOMO. 243  ed ogni difetto di configlio , che è il  cafojcosì con indicibil chiarezza l’ogni  comunione perfetta della mente fcer-  nefi ancor chiaramente lignificata . Di  cotali comunicazioni, e fignificazioni ,  onde è l’ Uomo d* ogn’ intorno cinto , e  delle interne comunioni , e lignificazioni  del proprio edere, e del proprio fapere,  egli è ccrtiflima produzione V Idea di  Dio ,che il divagamento , e divi/ione de’  penfieri, e ’l tumulto , e lubricità degli  affetti ofcurano, e cancellano fino all*  infano Ateifmo, che come più fiate è  per noi flato detto, è dpiù cupo.abbiL  fo dell’umana ignoranza , Ora per ri-  metterci in cammino , quello danno an-  cora inferifcono alla fcienza quei , che  per 1 * ordinate operazioni degli Ani- •'   mali bruti, non contenti delle forme , fue cegni    o idee materiali direttrici, di vantaggio ”£> pjcurala  vi richieggono la cognizione : quella fffi^, az '° ne  illuflre fignificazione divina della divi-  na autorità ofeurando non poco ; co-  me fa altresì chiunque T idee direttrici  dell* Univcrfo non riconofce . Percioc-  ché le forme direttrici , con più fret-  to, e più certo xommercio elleno fon  ni H h 2 coll’    • 4 *    * ..    RJ      *m._   l*E3    _     >,    ^ « vP,    sr &»-   l\r iSPIEjS    &   ,    feAfl ». vv. .^■•’MI   j»4 V*.   >» .      ”-fc>   v : \      I    ¥ '   j   fi        Si- „•    Sè?L"; i'r*:-   • ■    r'- fe   V,*. .    •Q©:ii"e'1   ri*»' • ®   ! «r*-      51        *    4    &K 5 J j?* x        DELL* UOMO. 247  nino a fvegliarvi le ufo , o cognizione ;  ma più tolto, che da un capo all’altro,  non in altra maniera qualunque modi-  ficazione fi diffonda, che per virtù del-  la penetrevole materia , fuccelfivamen-  te d’ una in un’ altra parte di fpiriti ,  onde tutto il corpo abbondi , moltipli-  cata, e propagata .Imperocché ficcome  è il Cielo di aere , e d* etere ripieno ,  e di luce, che da per tutto è in perpe-  tuo atto, e moto ; così il corpo dell*  animale della fpiritofa foltanza è tutto  in ogni fua parte irraggiato , e con pe-  renne vigorofo atto-, e mo vimento ope-  rante. Il qual penfamento,(ee più ac-  concio a Spiegare la maravigliofa co-  municazione delle cognizioni de’ len-  ii , e degli affetti; e in particolare il fu-  bito momentaneo contentò , con che-  V imperio della, .volontà fecondano i  movimenti de* membri; ed all 1 incontro jfilg» incoi -  a’ fenfi nelle membra fufeitati rifpon- rjffondenzcu,  dano i penfieri , e gli affetti: e fe è egli  più atto a fpiegare la mirabil propaga-  zione delle figure , de* colori , e de* Tuo-  ni in tante parti, e in tanta diftanzaje  iu ifpczieltà 1’ incredibile velocità del-  mfe le    *■ .   a-      • e L* _i m    a . 1 1 \ .     tf 7    7 >J    ■■ .    A    »V      - -* Sa    * r 7        * T ••   * - •    ' ■ 4M    * +    l,'4 To' ri ‘1   wiH   v- 1 -3    -li,      •.ira     NK3    ì 4 8 DELL* ANIMO  le illuminazioni, e figurazioni delia lu-  ce , che non fa la comun volgare ope-  nione ; e* non dee già niuno offendere  la novità delle cofe. A quella guifaor  dimoflrata 1* origine , e la virtù, e le~,  varie guife dell’ operazioni ideali , noi  fermamente abbiamo refa più accette-  vole la fentenza , che per le fole idee  direttrici , fenza niuna cognizione , fi  governi la vita degli animali bruti.   Pure , come per l’ ingegno , e lume  delle idee direttrici abbiam moflrato ,  poter la materia avvicinar^ al fapere  della mente: così d T altra parte , alla_»  poteflà della mente medefima poter el-  la farfi dapprefTo col vigore del moto ,  conviene che dimoflriamo. E adunque  uopo , che ritorniamo all* Ariflotelica  definizione del moto : la quale intera-  mente fpianancknp' vcrrenTo a conofce-  re da una parte 1* atto della mente ,  che c la cognizione; e dall’altro l’at-  to della materia, che è il moto: e ’l po-  tere deli’ una natura, e dell* altra ;  dell’uno, e dell’altro atto , che dirit-  tamente va a toccare il nodo di que*  fla difficile Quifiione. II moto, dice-u   quel            3    .   -   . * . ; *   i.' , •’ >.• a ,"'' ■ ■     DELL’UOMO. 249  jquel Filofofo, egli è atro di ente iiu.  potenza, in quanto in potenza: diffìni- Defittiti**  «ione, come noi già dicemmo , dcrifa c "   • da moderni Filici , ma che in più , e di-  verfe maniere interpetrata , alti spro-  fondi fenfi difeopre, che la coloro leg. *  gerenza, o feempiaggine ravvi farvi non  ha potuto. Noi l’ altre cofe , che po-  tremmo addurre, ad altro uoporiferva-  te, due fole ne feerremo , che a fu pe-  rare la malagevolezza , che abbiamo  innanzi, crediamo più opportune . Pri- Prima /*.  1^3, il moto non è una particolare e r P e,raz 'mn*  diterminata mutazione a produrre- #£!%£.  quella, o quella diterminata cofa, che nizione *  qualificando il fubbietto , il termini ,  e ’l compia in alcun modo ; ma così  ?gl.' £ ? tto » e c °sì ( diciam così ) attua  il lubbietto; che altro movendo non li  faccia, ed altro non fi polTa dire , fe^  non che quello fi muova , e fi muti ge-  neralmente . Il moto e* già non è di  quella fatta di modi , o qualità , chc^  con qualificare , o modificare f compia  in elTere il corpo movente ; ma egli  avviene all’ente già perfetto, e com-  piuto, ed attuato con ogni atto , e per- £   I i fe-    Digitized by Goprk    , ,• M i | ^    -250 DELL’ANIMO   lezione , e compimento del Tuo eflerè':  il qual eflere perciò e* non è in poten-  za, che al moto foloy cioè a mutazio-  ne, e variazion generale, che altroché  mutazione, e variazione e* non fia.On-  de avviene eziandio, che in qualunque  modo, e quantunque muovali il corpo ,  Tempre e’ rimanga libero, e fpedito , e  in potenza a muoverli più oltra in in-  finito. La mobilità adunque ella non è  certa, e diterminata potenza a quello,  o quel certo , e diterminato atto . Il  di lei atto non è tale , che così ne di-  termini Tinfinità , c T indifferenza ; che  in oltre altro atto , ed altra dttermina-  zione , e perfezione e’ non li abbia a»,  ricevere . La mobilità non h potenza à  produrre, o operare; non è a ricevere  nulla , o patire ; non è ne attuofa , ne  paziente mmi*— * tì iiffr» tua' bene ella è  ima potenza generale , ordinata ad un  generai atto, che attuandola; tuttavia  nella fua capacità , o poffibilità ancor  la (èrbf. Quello è egli effe re in potèn-  za, in quanto potenza; onde Arinote-  le con profondo acume potè dire ciò  che dille del moto in quella dWfinizio-'  - . - ne    Digitized by Google    'A   \ * 1  • -*> * w « v_   ■«: A* otete^tffa-cggn^ ìzrònKéT Bà r » l tW l IH 1 ! g  medefima maravigliofe forze a conofce?  re. Imperocché fa Mente puo^lla a fd  medefima rivolta, fopra di fé ogni fu a  azione adoperare : ficco me fopra noi còti 1  altrettanti argom enti abbia m dimoftra.’   ^ > coniQqj^iioMjfrt( l pf73^5TPa Ja yacjjj.'   tà*#Plffipotenza della materia . Siccome  la cognizione, non come il moto della'  materia è atto di ente in potenzi , in  guanto potenza . La cognizione non è*  eftrinfcca , ma intrinfeca alla foftanza  mentale , e intrinfecamente la termina ,  e compie ; eflfere , e forma , e perfezionò *  in lei rifondendo . Da qucikTnfigne 4   dif-    Digiti;    DELL* UOMO. 255  differenza della mente , c della mate-  ria , della cognizione, e del moto e* fi  viene con Comma chiarezza a conofcere  da una parte il Covrano edere della men- cognizione  te pura ; e dall’altro , l’infimo edere della Ù  pura materia. Imperocché nella totale  acuità , e impotenza della materia e’ben  li ravvifa la Cuggezione ,la dipendenza ,  e Peftremo biCogno ,che ella ha di ede-  re moda , variata , e figurata : e per con-  feguente la Cua natura vuota di ogni po-  tere, e d’ogni atto , e luce mentale. E  nella virtù della Mente, che ella ha di  muovere, e for ma n e c ornare Ce fteC-  fa, e’bene fi riconoCce la Covranltà, e Pin-  dipcndcnza , e la pienezza , c ’1 potere di              254 DELL* ANIMO  defima differenza s’ intende ancora , che  è il proposto noftro , la natura del fenfo  ragionevole dell’ Uomo , e la natura del  fenfo cieco animalefco: quella nella con-  giunzione di mente foftanziale, colla .ma-  teria formata ; e quella nella comunica-  zionedell’ atto mentale alia materia ii*  forme . Ed ecco la natura fenfuale , tutta  con tutte le operazioni ragionevoli , ef-  preffa , ed effigiata nella fola materia .  Quando per virtù della mente pura e*  paffa nella materia 1* atto mentale dell*  ogni comunicazione aritmetica , geome-  trica, ftatica ;-c-+ l arrcr tfelt* ogni poter©  del moto nella materia più fina , agevole ,  cd attuofa con- perpetue circolazioni, ed  ordinate diftribuzioni ,jcon principi, P ro “  greffi , e ritorni; e quello in fine dell* ogni  formazione coll’ ideali plaltiche , c della  direzione , c jigiuficasioiie cotPideali di-  rettrici^ lignificati ve ; ecco allora un  principio movente , ampio , pieno , per-  fetto ,podcro fo e fruttifero : onde nella  materia-mondana è la direzione , efigni-  ficazione ne* Corpi celefti di giorni, me-  fi, e d’anni, e di ordinate {lagioni, e di  altri più ampj , e più perfetti periodi, ed  è 1* ogni formazione , o produzioo^di er-         1    f -    ff    DELL’UOMO. 2 55 '• ,   be ,di piante, e d’ animali , e di ogni altra  potfibile fpezie corporale . 11 qual princi-  pioè egli la Natura univerfale . E nelle- u^'-   matene particolari coflrutte, ed ordì- vt rjÀlc.  nate con quegl’ingegni , e fornita di quel-  le virtù , e forme reali, ed ideali e’provie-  nc , e la produzione , o formazione de li-  mili, e la fignificazione , e direzione di   tutte le ordinate operazioni neceflarie al-   la vita. 11 qual principio a fuo modo capa- -^ rt *  ce, e potente, ed ordinato, c egli lana- f0 / *¥■   # ^ «• +*jàf   ['•" ' .^. ■ .'•a * .*« . ’ •* ' S*1 % 4   f# • „ * ** ?• •* j*'*. . • • !    L.‘.   i * «   L      ■ J #-*   m^^Sr      v%? j   •* 1   ■r^ * * 5A  4 ° ?r SI  2 ‘ * r&Z. '       *• i 1   ».     f    P'^3pMWF ttèfe ••* lìi” „ c tp -i* * .. 4    \ f SjJ f ~ *;>. A* **'$* * f* * # .^ "i ” «   1 * ’* *2 IwNP^ • ■ * ’ ’** %ìj *4** *  *7    V«>    ’ tl ^4 M Tommaso Rossi. Rossi. Keywords: implicature moderna, argumenti contro LUCREZIO (si veda), Lucrezio, De rerum natura, animi degl’uomini, anime degl’uomini, animo/anima, corpi degl’uomini, corpi degl’animali, degl’affetti degl’uomini, il senso, il moto, i corpuscoli, ossessione con Lucrezio come filosofo romano.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossi: la ragione conversazionale di Romolo; o lo storicismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Studia  a Torino sotto ABBAGNANO, Napoli, e Milano. Insegna a Cagliari e Torino. Studia lo storicismo, l’illuminismo, e il positivismo. Saggi: Lo storicismo, Einaudi, Torino; “Storia e storicismo, Lerici, Milano; La storiografia Saggiatore, Milano; “Oltre lo storicismo, Saggiatore, Milano; “Storia della filosofia”, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cf. Grice, “Speranza e l’opera di Grice in Italia.” Pietro Rossi. Rossi. Keywords: lo storicismo, la critica della ragione storica, la storia della filosofia – l’antichita – filosofia romana, filosofia antica, gl’antichi, la filosofia romana, filosofia italica – indice al volume ‘L’antichita’ nella ‘Storia della filosofia” – “L’antichita” – storiografia filosofica – l’origine della filosofia italica, l’origine della filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossi: la ragione conversazionale e l’implicatura di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino). Filosofo italiano. Studia ad Ancona, Bologna, e Firenze sotto GARIN. Insegna a Castello e Milano. Lavora all'Enciclopedia presso la casa editrice Mondadori.  Insegna a Cagliari, Bologna, e Firenze. Si occupa di storia della filosofia. Cura edizioni di diversi filosofi, tra i quali CATTANEO (Mondadori) e VICO (Rizzoli). Le collaborazioni con giornali vanno dalla rubrica "Filosofia" sul settimanale Panorama alla rubrica "Storia delle idee" per il supplemento culturale La Domenica del quotidiano Il Sole 24 ore. Della rivoluzione di GALILEI (si veda) sostiene che la scienza vive un vero e proprio mutamento di paradigma. Il carattere rivoluzionario dei mutamenti nel modo di fare scienza avvenuti all'epoca di GALILEI grazie a una serie di fattori: la visione della natura, non più divisa tra corpi naturali e artificiali, la dimensione continentale (e, in prospettiva, mondiale) della cultura, l'autonomia da Roma, la pubblicità dei risultati. Un'altra importante novità e costituita dal formarsi di un'autonoma comunità scientifica, una sorta di autonoma repubblica della scienza dove non esiste l'ipse dixit.  Si dedica al tema della memoria, in chiave filosofica e storica, in “Il passato, la memoria, l'oblio”. Analizza e denuncia l'esistenza di diverse forme di ostilità alla scienza -- il primitivismo e l'"anti-scienza -- che, come forma di reazione allo sviluppo tecnologico e industriale, propugnano come soluzione di tutti i mali il ritorno a un mondo pre-moderno idealizzato e il rifiuto della razionalità. Dei Pontani di Napoli. Dei lincei. Saggi: “Acocio” (Milano, Bocca); “Favole antiche” (Milano, Bocca); “Dalla magia alla scienza” (Bari, Laterza); “Clavis Universalis: arti della memoria e logica combinatoria” (Milano, Napoli, R. Ricciardi); “I filosofi e le machine” (Milano, Feltrinelli); “Galilei” (Roma-Milano, CEI-Compagnia Edizioni Internazionali, “Il pensiero di Galilei: una antologia dagli scritti, Torino, Loescher); “Le sterminate antichità: studi vichiani” (Pisa, Nistri-Lischi); “Storia e filosofia: saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi); “Aspetti della rivoluzione scientifica, Napoli, Morano); “La rivoluzione scientifica” (Torino, Loescher, Pisa, Edizioni ETS,  “Immagini della scienza,” Roma, Editori Riuniti); “I segni del tempo: Storia della nazione italiana in Vico” Milano, Feltrinelli); “I ragni e le formiche: un'apologia della storia della scienza,” Bologna, Il Mulino); “Storia della scienza,” Torino, Pomba, “La scienza e la filosofia dei moderni: aspetti della rivoluzione scientifica,” Torino, Boringhieri, “Paragone degli ingegni moderni e post-moderni,”Bologna, Il Mulino, “Il passato, la memoria, l'oblio: sei saggi di storia delle idee” (Bologna, Mulino); “La filosofia,” Torino, Pomba, “Naufragi senza spettatore: l'idea di progresso,” Bologna, Il Mulino, “La nascita della scienza” Roma, Laterza, “Le sterminate antichità e nuovi saggi vichiani,” Scandicci, La Nuova Italia, “Un altro presente: saggi sulla storia della filosofia,” Bologna, Il Mulino); “Bambini, sogni, furori: tre lezioni di storia delle idee, Milano, Feltrinelli); “Il tempo dei maghi: Rinascimento e modernità, Milano, Cortina, Speranze, Bologna, Il Mulino, Mangiare, Bologna, Il Mulino,  Un breve viaggio e altre storie: le guerre, gli uomini, la memoria (Milano, Cortina); saggi in onore di R., Vergata e Pagnini, Nuova Italia, Firenze, Segni e percorsi della modernità: saggi in onore, Abbri e Segala, Dipartimento di Studi Filosofici dell'Siena, Rainone, «Rossi Monti, Paolo» in Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Abbri, Nuncius, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un maestro, Pisa, Edizioni della Normale, Tra BANFI e Garin: la formazione, in Rivista di filosofia, Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche -- Per una scienza libera, intervista. Storia Moderna, : memoria e reminiscenza, sul  RAI Filosofia, su filosofia rai. Il Fondo Rossi nella biblioteca del Museo Galileo. PAOLO ROSSI CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO RICCIARDI EDITORE MCMLX CLAVIS UNIVERSALIS DELLO STESSO AUTORE: Per una storia della storiografia socratica, nel vol. Problemi di storiografia filosofica, a cura di A. Banfi, Milano, Bocca, 1951. Giacomo Aconcio, Milano, Bocca, 1952. Il «De Principiis» di Mario Nizolio, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, a cura di E. Garin, Roma-Milano, Bocca, 1953. Francesco Bacone, dalla magia alla scienza, Bari, Laterza, 1957. Su alcuni problemi di metodologia storiografica, nel vol. Il pensiero americano contemporanco, Milano, Ediz. di Comunità, 1958. Altre ricerche di storia della filosofia pubblicate nella « Rivista critica di storia della filosofia », anni 1950 segg. C. Cattaneo, L'insurrezione di Milano nel 1848, Milano, Universale Economica, 1948 (introduzione). O . Cattaneo, La società umana, Milano, Mondadori, 1959 (antologia). > . E. TayLor, Socrate, Firenze, La Nuova Italia, 1952 (prefazione). F. Bacone, La nuova Atlantide e altri scritti, Milano, Universale Economica, 1954 (introduzione, traduzione e note). G. B. Vico, Opere, I classici Rizzoli, Milano, Rizzoli, 1959 (introduzione e note). PAOLO ROSSI CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO RICCIARDI EDITORE MCMLX PRINTED IN ITALY INDICE Premessa I. Immagini e memoria locale nei secoli XIV e XV I. Polemiche di umanisti contro le prescrizioni della memoria - 2. Le fonti classiche e medievali dell’ars memorativa - 3. Ars memorativa e ars praedicandi nel secolo XIV - 4. Tecniche della memoria nel secolo XV - 5. La Fenice di Pietro da Ravenna - 6. Natura e arte - 7. Arte della memoria, aristotelismo e medicina - 8. La costruzione delle immagini. II. Enciclopedismo e combinatoria nel secolo XVI III. IV. I. La rinascita del lullismo - 2. Agrippa e le caratteristiche dell’ars magna - 3. Arte, logica e cosmologia nella tradizione lulliana - 4. L’arbor scientiae © gli enciclopedisti del secolo XVI - 5. La confirmatio memoriae negli scritti di Raimondo Lullo - 6. Bernardo de Lavinheta: combinatoria e memoria locale - 7. La logica memorativa. I teatri del mondo I. Simbolismo e arte della memoria - 2. Diffusione dell’ars reminiscendi in Inghilterra e in Germania - 3. Span- gerbergius - 4. La medicina mnemonica di Gratarolo - 5. Il lullismo e la cabala nei teatri del mondo. La logica fantastica di Giordano Bruno I. Gli scritti lulliani e mnemotecnici del Bruno - 2. Combinatoria, ars memorativa e magia naturale nel secolo XVII.  La memoria artificiale e la nuova logica: Ramo, Bacone, Cartesio. Pierre de la Ramée: la memoria come sezione della logica - 2. Bacone e Cartesio: la polemica contro i giocolieri della memoria - 3. Mnemotecnica e lullismo in Bacone e Cartesio - 4. L’inserimento delle tecniche memorative nella nuova logica: gli aiuti alla memoria nel metodo baconiano; tavole, topica, induzione; gli aiuti alla memoria e la dottrina dell’enumerazione nelle Regulae. 4l 81 109 135 VIII CLAVIS UNIVERSALIS VI. Enciclopedismo e pansofia I. Il sistema mnemonico universale: Enrico Alsted - 2. La pansofia e la grande didattica: Comenio - 3. Enciclope- dismo e combinatoria nel secolo XVII - 4. L'alfabeto filosofico di Giovanni Enrico Bisterfield. VII. La costruzione di una lingua universale I. I gruppi baconiani in Inghilterra: progetti di una lingua universale - 2. Simboli linguistici e simboli matematici - 3. I gruppi comeniani: lingua universale e cristianesimo universale - 4. La costruzione di un linguaggio per- fetto: George Dalgarno e John Wilkins - 5. La funzione mnemonica delle lingue universali: il metodo classificatorio nelle scienze naturali - 6. Cartesio e Leibniz di 179 201 fronte alla lingua universale. VIII. Le fonti della caratteristica leibniziana 239 APPENDICI App. À pp. App. App. App. App. App. App. À pp. App. I II IIl IV Vv VI VII VIII: IX X : 11 Liber ad memoriam confirmandam di Raimondo Lullo. : Un anonimo trattato in volgare del secolo XIV. : Due Mss. quattrocenteschi di ars memiorativa. : Documenti sull’attività di Pietro da Ravenna. : Tre Mss. di ars memorativa del tardo secolo XVI. : Il Petrarca, maestro di arte della memoria. : Uno scritto inedito di Giulio Camillo. Esercizi di memoria nella Germania del secolo XVII. : La voce Art mnémonique nella Enciclopedia di Diderot. : D’Alembert e i caratteri reali. INDICE DEI MANOSCRITTI INDICE DEI NOMI. PREMESSA Il termine clavis universalis fu impiegato, fra il Cinquecento ed il Seicento, a indicare quel metodo o quella scienza generalissima che pongono l’ uomo in grado di cogliere, al di là delle apparenze fenomeniche o delle « ombre delle idee », la trama ideale che costituisce l’essenza della realtà. Decifrare l'alfabeto del mondo; riuscire a leggere, nel gran libro della natura, i segni impressi dalla mente divina; scoprire la piena corrispondenza tra le forme originarie e la catena delle umane ragioni; costruire una lingua perfetta capace di eliminare gli equivoci e di svelare le essenze mettendo l’uomo a contatto non con i segni, ma con le cose; dar luogo ad enciclopedie totali, a ordinate classificazioni che siano lo specchio fedele dell'armonia presente nel cosmo: al tentativo di realizzare risultati di questo tipo, ad analizzare, difendere e propagandare queste posizioni e la visione del mondo ad esse collegata furono intenti, fra la metà del Trecento e la fine del secolo XVII, quanti si volsero a discutere i temi del lullismo, a dettare le regole della memoria artificiale, a compilare grandiose enciclopedie e complicati teatri del mondo, a ricercare l’alfabeto dei pensieri, a farsi sostenitori delle aspirazioni della pansofa e delle speranze in una totale redenzione e pacificazione del genere umano. Si tratta di atteggiamenti, di progetti, di temi che ebbero diffusione vastissima, che esercitarono un peso decisivo sulle ricerche di logica e di retorica, che condussero a studiare e ad approfondire, da un ben determinato punto di vista, il problema della lingua e quello della memoria, le questioni attinenti alle topiche e alle classificazioni, ai segni e ai geroglifici, ai simboli e alle immagini. È senza dubbio difficile per un uomo moderno rendersi conto del peso che una produzione libraria dedicata a quest'ordine di problemi ebbe ad esercitare sulla cultura, anche su quella filosofica. Resta il fatto che ad elaborare le regole del discorso, quelle dell’ argomentazione e della persuasione, a stabilire i canoni dell’arte della memoria, ad insegnare il tipo di collegamento che deve sussistere tra i luoghi della mnemotecnica e le immagini che in essi hanno da essere collocate, a studiare le figure della grande arte di Lullo, ad elaborare le complicate regole della combinatoria, si dedicarono intere generazioni di uomini colti dal primo Rinascimento fino all’età di Leibniz. Che le tecniche della memoria artificiale e della logica combinatoria siano scomparse dalla cultura europea non è probabilmente un male; male è invece che molti storici abbiano creduto o tuttora credano di poter intendere polemiche e discussioni e significati di teorie, strap- pando violentemente quelle discussioni e quelle teorie da un contesto storico preciso nel quale quelle tecniche, oggi ben morte, erano invece vive e vitali. Chi, occupandosi della cul- tura del Cinquecento e del Seicento, non ha per esempio inteso il significato della connessione logica-retorica e ha creduto di poter tracciare una storia della prima senza minimamente occuparsi della storia della seconda, ha raggiunto, in genere, conclusioni abbastanza desolanti. Dire, come molti han fatto, che «testi insignificanti » ebbero grande diffusione in tutta Europa, significa, in ultima analisi, cercare di sfuggire, con un giro di parole, ad un problema storico ben determinato: che è poi quello delle ragioni di quella singolare fortuna e dei motivi che spinsero filosofi come Agrippa e Bruno e Bacone e Cartesio e Leibniz e uomini come Alsted e Comenio e scien- ziati come Boyle o Ray a prendere estremamente sul serio quelle discussioni, a impegnarsi in una valutazione della loro funzione e del loro significato, a interpretarle e adattarle a più diverse e complesse posizioni di pensiero. Certo, ove non si vogliano eliminare dalla storia, come frutto di errori e di illusioni, gli scritti latini del Bruno, vari capitoli del De Augmentis, i frammenti giovanili di Cartesio, una metà degli opuscoli di Leibniz, ove non si vogliano re- spingere ai margini della cultura uomini come Alsted e Co- menio, bisognerà rendersi conto che anche la cultura del Sei- cento (non solo quella delle età precedenti) è, nelle sue stesse linee di fondo, assai lontana da una mentalità post-illuministica. Poiché è proprio il razionalismo illuministico che segna, da questo punto di vista, una svolta decisiva: una serie di problemi che avevano appassionato per secoli i cultori di logica e di retorica, i teorici del discorso e gli studiosi del linguaggio vennero eliminati per sempre dalla scena della cultura europea, perdettero significato e senso, apparvero manifestazioni delle folli aspirazioni di secoli che si erano posti sotto il segno delle empie ricerche astrologiche, magiche e alchimistiche, o sembrarono i relitti, ancora presenti nell’ età della nuova scienza, delle tenebre medievali. Accettando come valido il quadro storiografico estremamente parziale elaborato dagli illuministi nel corso di un’aspra lotta ideologica, non poca della storiografia dei secoli successivi ha preferito sorvolare su alcuni aspetti, che furono in realtà decisivi, della cultura dell’età barocca. Gli interessi del Bruno per la combinatoria e la mnemotecnica vennero considerati come «curiosità e bizzarrie »; si preferì sorvolare sul fatto che Ramo e Bacone e lo stesso Leibniz ave- vano visto nella « memoria » una delle sezioni nelle quali si articola la nuova logica dei moderni; non si tenne conto che la dottrina baconiana delle tavole e dell’induzione, che quella cartesiana dell’enumerazione erano state elaborate su un terreno storico preciso con riferimenti a testi diffusissimi e a discussioni ormai secolari; si vide in Comenio solo il pedago- gista moderno e in Leibniz solo il teorico della logica formale. Di quel complicato groviglio di temi connessi alla cabala e alle scritture ideografiche, alla scoperta dei caratteri reali, al- l’arte della memoria, all'immagine dell’albero delle scienze, alla mathesis e alla caratteristica universale, al metodo inteso come miracolosa chiave dell’universo, alla scienza generalissima, si preferì sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “platonismo” sempre presente, come uno sfondo non chiarito e un indistinto panorama, dietro le opere dei grandi e dei piccoli pensatori. Questo libro è nato dal tentativo di chiarire, almeno nelle sue linee fondamentali, quello “sfondo” e di individuare gli aspetti generali e particolari di quel “panorama”: non mediante riferimenti generici, ma attraverso l’analisi diretta di una serie di testi editi e inediti, un esame della diffusione di determinati libri e di determinate idee, una ricerca dell’azione esercitata da quei libri e da quelle idee sulla “filosofia” (in particolare sulla logica) dei pensatori moderni di maggior rilievo. i La funzione, il significato, gli scopi delle arti della memoria e della logica combinatoria si andarono, di volta in volta, variamente configurando dal secolo XV al XVII. Le formule, da secoli ripetute, di un arte veneranda acquistarono in ambienti diversi da quelli originari, significati assai diffe- renti: quella che era apparsa a molti, fra il Trecento e il Quattrocento, una tecnica neutrale utilizzabile nei discorsi per- suasivi indipendentemente dalle circostanze di luogo e di tempo, finì per rivelarsi strumento di ambiziosi progetti di riforma, per caricarsi di significati metafisici, per connettersi al temi della cabala dell’esemplarismo mistico e della pansofia. Da questo punto di vista fra i testi di ars praedicandi o di ars memoriae del Trecento e del Quattrocento e i testi del Bruno e del Camillo esiste una incolmabile differenza: a uno strumento concepito in vista di finalità pratiche e mondane, nell’ambito della retorica, si è sostituita, dopo l’incontro con la tradizione del lullismo, la ricerca di una cifra che consenta di penetrare i segreti ultimi della realtà, di ampliare smisura- tamente le possibilità dell’uomo. Non diversamente, inserendo la dottrina degli aiuti della memoria nei quadri di una dottrina del metodo o della logica, o richiamandosi alla carena e al- l’arbor scientiarum, Ramo, Bacone e Cartesio muteranno pro- fondamente il senso di problemi tradizionali. L'antico pro- blema della memoria artificiale, piegato a nuove esigenze e profondamente trasfigurato, faceva il suo ingresso nella logica moderna, si legava ai temi del linguaggio universale e della scienza prima o generale. Ma al di là di questi “mutamenti” e di queste “trasfigurazioni” resta ben salda, dalla fine del Trecento agli ultimi anni del secolo XVII, una effettiva con- tinuità di idee e di discussioni: una continuità che ha carat- tere europeo e che è accertabile mediante la documentazione della diffusione di un grandissimo numero di testi e di molte idee in gruppi di uomini ben determinati. Nel corso del Set- tecento i testi di Pietro da Ravenna e di Cornelio Gemma, di Alsted e di Pedro Gregoire, di Schenkelius e di Rosselli, di Bisterfield e di Wilkins, che erano stati studiati e letti e com- mentati da Bruno e da Bacone, da Comenio da Cartesio e da Leibniz vengono eliminati dalla cultura europea. Anche il lullismo, che era stato in Francia, in Germania e in Italia, una delle componenti fondamentali della cultura, una delle “sette” filosofiche più fortunate e accademicamente più forti, si localizza nella città di Magonza e nell’isola di Maiorca, assume carattere esclusivamente erudito, dà luogo, nella se- conda metà del secolo, solo alle malinconiche esercitazioni di qualche professore, si riduce a manifestazione di una menta- lità irrimediabilmente arcaica e provinciale. Non diversamente le arti della memoria artificiale, nate con Cicerone e Quinti- liano, riprese da Alberto e Tommaso, considerate essenziali all’esercizio della virtù cristiana della prudenza, coltivate da Lullo, da Bacone e da Leibniz, vengono respinte ai margini della cultura, vanno infine a far compagnia, nelle collane di libri occulti, ai testi dell’ antroposofia e dello spiritismo. Appellandosi ad un “calcolo” logico e soprattutto ad un “simbolismo” di tipo matematico Leibniz aveva dato in realtà un colpo mortale a quei “simboli” intesi come «pitture ani- mate prodotte dall’immaginativa » che avevano riempito per tre secoli non pochi testi di retorica di pedagogia e di filosofia. Con Leibniz, ed anche per opera di Leibniz, scompariva un intero mondo; non solo un certo modo di intendere la fun- zione delle immagini e dei simboli, ma anche un modo di intendere il compito della logica e i rapporti di questa con la metafisica. Nel 1713 quando Collier pubblicò la sua Clavis universalis, questo termine, già carico di tanti significati, aveva perso ogni senso, era solo un'etichetta, estranea al contenuto dell’opera. Rifiutando gli aspetti arcaici del pensiero leibni- ziano; respingendo l’esemplarismo di derivazione lulliana, le stravaganze della cabala, i sogni della pansofia, tutta l’atmo- sfera — alquanto torbida — dell’enciclopedismo dei due secoli precedenti, il razionalismo settecentesco coinvolgeva però nella condanna — con conseguenze storiche assai importanti — an- che i progetti di una caratteristica universale e di un simbo-

lismo logico avviati da Dalgarno e da Wilkins, condotti avanti da Leibniz. Non a caso Emanuele Kant, a quasi un secolo dalla comparsa della Dissertatio de arte combinatoria, esclu- deva radicalmente che le idee composte potessero essere rap- presentate mediante la combinazione di segni e paragonava la caratteristica di Leibniz agli inconcludenti sogni dell’ alchimia. L’opera di Leibniz veniva così identificata con quella di un teologo e di un metafisico speculativo, la sua fama era affidata alla Teodicea e alle discussioni sul problema del male. Come ha scritto con molta esattezza il Barber, che ha studiato in modo egregio le reazioni di un secolo di cultura francese al leibnizianesimo, l’avvento del nuovo empirismo « swept Leibniz too into the class of the outmoded exponents of apriori : DR, Si : systems ». Per veder ripresi i progetti di Leibniz bisognerà attendere per due secoli: fino ad Augustus de Morgan e a George Boole; come logico, Leibniz verrà rivalutato, agli inizi del nostro secolo, da Louis Couturat e da Bertrand Russel; del vescovo di Wilkins si parla con una certa simpatia, forse per la prima volta dopo il Settecento, nel volume The meaning of meaning di Ogden e Richards pubblicato a Londra nel 1923. La sviluppo ottocentesco della logica formale, il costituirsi della logica simbolica come scienza derivava dalla « graduale acquisizione della sempre più netta consapevolezza della sua natura di tecnica deduttiva indipendente dai presupposti di una visione generale del mondo » (Barone) dallo svincola- mento « da ogni preoccupazione ontologico-metafisica » (Preti). Come già aveva notato Husserl, la logica formale moderna era nata « non da riflessioni filosofiche sul significato e sulla necessità della mathesis universalis, ma dalle esigenze della tecnica teoretica deduttiva della matematica ». I riconoscimenti delle « geniali anticipazioni » presenti nel pensicro di Leibniz ebbero origine precisamente su questo terreno. Ma su un altro terreno, radicalmente diverso, si era mosso Leibniz e, prima di lui, si erano mossi Bacone e Car- tesio. Quelle “anticipazioni”, quei “precorrimenti” che Far- rington, Beck' o Russel, trattando rispettivamente di Bacone, di Cartesio e di Leibniz, hanno così acutamente segnalato sono senza dubbio di grandissimo interesse ed ogni ricerca volta a determinarne meglio la portata e la fecondità per i contem- poranei è non solo legittima, ma auspicabile. E tuttavia sotto- lineare le differenze, battere sulla diversità, sulla alterità è, quanto meno, altrettanto importante: per dissipare cquivoci, per mostrare che cosa fu, nella realtà, quello sfondo indistinto sul quale campeggiano i ritratti dei nostri illustri antenati. Co- me ha scritto di recente Augustin Crombie, a proposito dei lu- minosi precorrimenti presenti nell’opera di Galileo, « it is not by reading our own problems backwards that historical expe- rience is enlightening, but by exposing ourselves to the surprise that thinkers so effective should have had aims and presup- positions so different from our own ». Chi abbia familiare la letteratura sul Rinascimento vedrà chiaramente quanto questo libro debba alle ricerche di E.

Garin sulla cultura dei secoli XV, XVI e XVII e, per quanto riguarda la “continuità” delle “idee” fra il Quattrocento e il Settecento, alle conclusioni cui è giunto, di recente, Delio Cantimori. Desiderio inoltre esprimere la mia gratitudine al Padre Miquel Batllori dell’ Istituto Storico della Compagnia di Gesù, al prof. Frangois Secret, a Mrs. G. Bing del War- burg Institute, agli amici Paola Zambelli e Cesare Vasoli che mi hanno variamente consigliato, fornito pubblicazioni e indicazioni di articoli e di studi. Ringrazio inoltre il dott. Luigi Quattrocchi dell’Istituto Italiano di Amburgo che mi ha procurato le fotografie di alcuni manoscritti leibniziani c la direzione della « Rivista critica di storia della filosofia » che mi ha consentito di riprodurre qui quelle parti del libro che erano apparse, nella rivista stessa, sotto forma di saggi. AvveRTENZA: Nelle note, a indicare le biblioteche qui di seguito elen-

cate, si sono usate le seguenti abbreviazioni (ma si veda anche l’ Indice dei manoscritti: Ambros. . Ambrosiana Ang. Angelica Anton. Antoniana Archiginn. Comunale di Bologna Braid. Braidense Casan. Casanatense Class. Classense Fir. Naz. Nazionale di Firenze Laur. Laurenziana Marc. Marciana Pad. Civ. Civica di Padova Par. Naz. Bibliothèque Nationale Pavia Univ. Universitaria di Pavia Ricc. . Riccardiana Roma Naz. Nazionale Centrale di Roma Triv. Trivulziana Vatie. Apostolica Vaticana IMMAGINI E MEMORIA LOCALE NEI SECOLI XIV E XV. POLEMICHE DI UMANISTI CONTRO LE « PRESCRIZIONI » DELLA MEMORIA. In un testo fondamentale della filosofia moderna, com- posto alla metà del secolo dei lumi, Hume, discorrendo del discernimento e della memoria, affermava che mentre i difetti del discernimento non possono trovar rimedio in alcuna arte o invenzione, i difetti della memoria possono sovente essere attenuati od eliminati «sia nel campo degli affari come in quello degli studi ». Accennando al « metodo », alla « opero- sità» e alla « scrittura » come opportuni aiuti a una debole memoria, scriveva: «quasi mai sentiamo indicare la scarsa memoria come la ragione del fallimento d’una persona nelle sue iniziative. Ma nell’antichità, quando nessun uomo poteva conseguire successo se non possedeva il talento della parola, e quando il pubblico era troppo delicato per reggere ad ar- ringhe rozze ed indigeste del tipo di quelle che gli improv- visati oratori dei nostri giorni propinano alle assemblee, la facoltà della memoria aveva la massima importanza e, per conseguenza, era assai più stimata di oggi ».' Hume, che negli anni della sua formazione intellettuale aveva « segretamente divorato » i testi ciceroniani, era ben con- sapevole dell’esistenza storica di una tecnica o arte della me- moria che, come risulta dal suo brano, è per sua natura con- nessa al fiorire di una civiltà che fa largo posto alle tecniche del discorso e ad un mondo nel quale la retorica si presenta come un elemento vivo della cultura. Negli anni in cui Hume scriveva, le ricerche volte alla fissazione e alla elaborazione 1 D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui princìpi della morale, a cura di M. Dal Pra, Bari, 1957, p. 267. Cfr. il testo inglese ed. L. A. Selby Brigge, Oxford, 1955, p. 241. Sul problema della memoria cfr. anche A Treatise of Human Nature, cd. by L. A. Selby Brigge, Ox- ford, 1955, pp. 8-10 (sulla memoria e l'immaginazione); pp. 117-118 nota; pp. 108, 153, 199, 209. Sull’ assenza di ogni sensazione di piacere o di pena nell'esercizio della memoria cfr. libro III, parte III, scz. IV. 2 CLAVIS UNIVERSALIS delle regole della memoria artificiale erano ormai definitiva- mente scomparse dalla scena culturale europea e si erano rifu- giate sul piano delle curiosità e delle stravaganze. Non si era trattato solo di un corrompersi delle arti del discorso di fronte alla minore delicatezza degli uditori: l’enorme diffusione della stampa (e quindi dei repertori, dei dizionari, delle bibliografie, delle enciclopedie), la progressiva affermazione delle nuove logiche (da Ramo a Bacone, da Cartesio ai Portorealisti) ave- vano dato in realtà un colpo mortale da un lato alla tratta- tistica retorica e dall’altro a quella produzione di opere di mne- motecnica (a quella trattatistica strettamente collegata) che, durante i secoli XV e XVI e nei primi decenni del XVII, ave- vano letteralmente invaso l’ Europa. Solo tenendo conto della diffusione che la mnemotecnica aveva raggiunto non solo in un ambito letterario e filosofico, ma anche all’interno delle scuole e dei programmi d’insegna- mento, ci si possono spiegare le proteste e le ironie che contro di essa da più parti si levarono nei secoli stessi del Rinasci- mento. Nel decimo capitolo del De varitate scientiarum, dedi- cato appunto all’ars memorativa, Agrippa si scagliava con vio- lenza, contro quei zedulones che, nelle scuole, impongono agli studenti lo studio della memoria artificiale o che riescono a spillar quattrini agli incauti facendo leva sulla novità dell’arte. Far ostentazione di capacità mnemoniche gli sembrava cosa puerile; spesso, concludeva, si giunge a manifestazioni di tur- pitudine e di impudenza: si sciorinano tutte le merci dinanzi alla porta mentre la casa, all’interno, è completamente vuota. Ricordando Simonide, Cicerone, Quintiliano, Seneca, Petrarca e Pietro da Ravenna fra i maggiori teorici dell’arte memorativa, egli da un lato notava la insufficienza della memoria artificiale

ove non sussistesse già robusta la nazuralis memoria c dal- l’altro si scagliava contro il carattere mostruoso delle immagini e la pesantezza delle formule in uso nella mnemotecnica. I cul- tori della quale, gli sembrava, intendono far impazzire me- diante l’arte coloro che non si accontentano dei confini sta- biliti dalla natura.” ° H. C. Acrirra, De incertitudine et vanitate scientiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos Fratres, 1600, II, pp. 32, 33 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 3 Con altrettanta decisione, vent'anni più tardi, Erasmo, nemico dei ciceroniani e della retorica, si pronuncerà contro l’uso dei loci e delle immagini che non fanno — affermava — che rovinare e corrompere la memoria naturale. Con più iro- nia, un altro grande critico delle degenerazioni pedantesche e delle precettistiche dell’umanesimo rifiuterà questo tipo di let- teratura, insistendo, con una crudezza che va certo spiegata anche mediante il riferimento ad una situazione culturale pre- cisa, sulla sua stessa mancanza di memoria: Il n'est homme è qui il siese si mal de sc mesler de parler de memoire, car je n’en recognois quasy trace en moi, et ne pense qu'il y en ayt au monde une aultre si mervcilleuse en defaillance... Si jc suis homme de quelque legon, jc suis homme de nulle retention... Ma memoire sempire cruellement tous les jours... Proprio sul terreno dell'educazione c partendo dal presup- posto che « sgavoir par coeur n'est pas “gdvolt, c'est tenir ce qu'on a donné en garde à sa memoire »,° Montaigne polemiz- zava contro l'apprendimento mnemonico in nome di una cul- tura « viva»: non si chieda conto al discepolo delle parole della lezione, ma del suo senso e della sua sostanza; gli si chieda non la testimonianza della sua memoria, ma della sua vita; lo stomaco non ha adempiuto alla sua funzione se non quando ha mutato la forma e la struttura degli alimenti, iden- tico è il compito della mente." Non si trattava di generici riferimenti alla libertà della mente di fronte ad ogni precet- tistica; la polemica di Montaigne assomiglia solo nella forma a quella che potrebbe condurre un professore dei nostri giorni * D. Erasmo, De razione studii, ed. Frocben, 1540, I, p. 466. ! MoNTAIGNE, Esseis, I, 9; II, 10 (ediz. Garnier, Parigi, s. d., I, p. 25; 374). > Essats, I, 25 (vol. I, p. 119). € «Qu'il ne luy demande pas seulement compte des mots de ca legon, mais du sens et de la substance; et qu'il juge du profit qu'il aura faict, non par le tesmoignage de sa memoire, mais de sa vie... C'est tesmoi- gnage de crudité et indigestion, que de regorger la viande comme on l’a avallée: l'estomach n'a pas faict son operation, s'il n'a faict changer la faccon et la forme à ce qu'on luy avoit donné à cuire... On nous a tant assubjectis aux chordes, que nous n’avons plus de franches allu- res; notre viguer et liberté est esteincte ». (Essai, I, 25; vol. I, p. 117). Cfr. anche II, 10 (vol. I, p. 380). 4 CLAVIS UNIVERSALIS contro gli studenti che imparano le lezioni a memoria. Egli aveva di fronte obbiettivi precisi: Si en mon pais on veult dire qu'un homme n°a point de sens, ils disent qu'il n'a point de memoire; et quand je me plains du default de la mienne, ils me reprennent et mescroyent, comme si je m’accusois d’estre insensé: ils ne veoyent pas de chois entre memoire et entendement... Mais il me font tort, car il se veoid par cxpérience que les memoires excellentes se joignent volentiers aux jugements debiles... Ils on laissé, par escript, de l’orateur Curio que, quand'il proposoit la distribution des pieces de son oraison en trois ou en quatre, ou les nombres de ses arguments ou raisons, il luy advenoit volentiers ou d’en oublier quel- qu’un, ou d’y en adjouster un ou deux de plus. J'ay tous- jours bien evité de tomber en cet inconvenient, ayant hai ces promesses et prescriptions...” In realtà, nonostante le proteste di Erasmo e di Montaigne, quelle odiate « prescrizioni » erano destinate a diffondersi sempre più ampiamente durante tutto il secolo XVI e a pro- lungarsi poi fino in pieno Seicento. A_metà del secolo XVII Wolfang Ratke protesterà, da un punto di vista simile a quello dei grandi umanisti, contro l’apprendimento mnemonico e contro gli esercizi di mnemotecnica.* Ancora negli ultimi anni del secolo i ‘““ciceroniani”, che non avevano affatto disarmato nonostante Erasmo, Montaigne e la grande crisi ramista e car- tesiana, si facevano con successo sostenitori, in sede pedago- gica oltreché retorica, della necessità e dell’utilità della me- moria artificiale. Quella vasta produzione di trattati di ars memorativa alla quale si rifaceva la Art of Memory del D’As- signy, che non a caso veniva dedicata nel 1697 ai « giovani studenti di entrambe le università »,° non era stata soltanto espressione di pedanteria grammaticale: in essa aveva trovato forma quel panmetodismo che, nel corso del Cinquecento, aveva contrassegnato tutta la cultura. La fisionomia, i tempe- ramenti, le passioni, le proporzioni del corpo umano, il di-

? Essais, I, 9; III, 9 (vol. I, p. 25; vol. II, p. 350). * Pàdagogische Schriften des Wolfang Ratichius und seiner Anhinger, Breslau, 1903. Cfr. E. Garin, L'educazione in Europa, 1400-1600, Bari, 1957, pp. 234-235. ® M. D'Assicny, The Art of Memory. A treatise useful for such as are to speak in Publick, London, 1697. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 5 scorso, la poesia, l'osservazione della natura, l’arte del gover- nare e quella militare: tutto venne in quell’età codificato e ridotto in arte. In quel periodo della cultura che è stato felice- mente chiamato «l’età dei manuali », in quel secolo che « fu instancabile nel ricercare princìpi normativi di valore generale e perenne da calare in comodi schemi didascalici »,°° proprio mentre si veniva chiarendo la impossibilità, per quelle codifi- cazioni, di passare dal piano delle topiche e dei teatri univer- sali a quello del metodo,!! si andava rafforzando l’esigenza di un’arte capace di presentarsi come la chiave della realtà, come arte universale e somma, capace di risolvere di colpo tutti i problemi dando luogo ad una tecnica suprema che rendesse di fatto inutili tutte le varie provvisorie e particolari tecniche. L’idea di un’arte del ricordare e del pensare che si svolga in modo “meccanico” acquisterà nuovo vigore quando, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, si stabilirà un contatto profondo fra le ricerche di arte della memoria ispirate a Cicerone a Quintiliano alla Retorica ad Herennium, quelle derivanti dal De memoria et reminiscentia di Aristotele dai commenti di Alberto, Tommaso, Averroè e infine quelle diret- tamente legate alla ars magra di Lullo. Avrà allora nuovo rilievo il concetto di un meccanismo concettuale che, una volta messo in moto, possa svolgersi da solo, in modo relativamente indipendente dall’opera del singolo, fino alle ultime conse- guenze, fino alla comprensione totale, ponendo gli uomini in grado di leggere nella sua integrità il gran libro dell’universo. Per rendersi conto del peso che questa idea eserciterà nel seno stesso della filosofia moderna basterà pensare alla macchina che Bacone intendeva costruire mediante la sua nuova logica, al mirabile inventum cartesiano cercato, prima che nella geome- tria analitica, nei testi di Lullo e di Agrippa, ai libri « porta- tori di luce universale » di Comenio, infine a quella mirabile chiave che intendeva essere la “caratteristica” leibniziana. L'antico sogno lulliano di un’arte che sia contemporanea- !° L. Firpo, Lo stato ideale della Controriforma (Ludovico Agostini), Bari, 1957, p. 245. !! Cfr. R. KLEIN, L’imagination comme vétement de l’ dame chez Mar- sile Ficin et Giordano Bruno, in « Revue de Métaphysique et de Mo- rale », 1956, 1, pp. 30-31. 6 CLAVIS UNIVERSALIS mente logica e metafisica,'° che, a differenza della logica tra- dizionale, tratti non delle seconde, ma delle prime intenzioni, che mostri la corrispondenza tra il ritmo del pensiero e quello della realtà, che disveli, mediante combinazioni mentali, il vero senso dei rapporti reali, aveva trovato piena espressione, nei secoli del Rinascimento, nei tormentati scritti di mnemo- tecnica del Bruno. E non a caso, oltre che alla lettura dei testi di Lullo, Bruno ebbe a richiamarsi alla scoperta, fatta in anni giovanili, del trattatello sulla memoria di Pietro da Ravenna," che era invece di precisa ispirazione “retorica” e “ciceroniana”. Quando nel De umbris idearum Bruno si muoverà sul piano dei nessi immaginativi, delle connessioni tra immagini e figure e lettere, affiderà proprio al connubio tra meccanismo logico e meccanismo psicologico quella possibilità di una immensa estensione del sapere o di una nuova inventio che era al cul- mine delle sue aspirazioni: in quel punto apparivano saldate insieme, nei testi bruniani, le aspirazioni del lullismo e le tec- niche sull’uso dei luoghi e delle immagini che derivavano dai testi di retorica antica e dai trattati sulla memoria artificiale del Rinascimento. Leggendo le pagine vivacemente polemiche contro l’arte della memoria (quelle di Ratke come quelle di Erasmo o di Montaigne o di Agrippa) è certo difficile non simpatizzare in qualche modo con quella polemica condotta, in nome della libera spontaneità dell’uomo, contro gli schemi e la pedan- teria e le prolissità di una rigida precettistica. Ciò non toglie 12 R. LutLi, Opera omnia, Mainz, 1721-42, vol. III, p. 1: « Sciendum est ergo, quod ista Ars est et logica et Metaphysica... Mctaphysica considerat res, quae sunt extra animam, prout conveniunt in ratione entis; logica etiam considerat res secundum esse, quod habent in anima... sed hacc Ars tanquam suprema omnium humanarum scientiarum in- differenter respicit ens secundum istum modum ct secundum illum ». Cfr. anche Opera, ed. Zetzner, Strasburgo, 1617, p. 358: « Logicus trac- tat de secundariis intentionibus... sed generalis artista tractat de primis... Logicus non potest invenire veram legem cum logica: generalis autem artista cum ista arte invenit... Et plus potest addiscere artista de hac arte uno mense, quam logicus de logica uno anno ». (Copia usata: An- gelica, XX, 12, 49). 13 A. Corsano, // pensiero di G. Bruno nel suo svolgimento storico, Firenze, 1940, p. 41; F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno, esposte e confrontate con le italiane, Firenze, 1889, p. 37, nota 2. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE / che di fatto proprio quella precettistica (quella derivante da Cicerone come quella derivante da Lullo) ebbe ad incidere, per vie sotterraneee, sulla formazione della nuova cultura con- dizionando il costituirsi stesso della logica nuova da Bacone a Leibniz. In varie guise collegata agli sviluppi delle arti del discorso e alle tecniche della persuasione, ai tentativi di co- struzione di una nuova enciclopedia, alle controversie sul rami- smo e sul lullismo, alla magia, alla medicina e alla fisiogno- mica, la trattatistica sulla memoria artificiale si colloca dun- que, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, al centro di un giro di discussioni e di problemi cui appaiono interessati non solo i teorici o cultori della retorica, ma filosofi e logici c cultori di scienze occulte e medici ed enciclopedisti di varia provenienza e natura. Le “bizzarrie” della mnemotecnica andranno così da un lato a intrecciarsi a problemi di logica e di retorica e dall’altro a connettersi alla rinascita del lullismo e alla creazione di lin- guaggi artificiali nonché a quella ambigua atmosfera magico- occultistica che appare in molti casi collegata al rifiorire di interessi per l’ars magra di Lullo. Le discussioni sulla mnemo- tecnica non saranno in tal modo senza risonanza su due grandi problemi della cultura filosofica del Seicento: quello del me- todo o della logica inventiva e quello della sistematica classifi- cazione delle scienze o costruzione di una enciclopedia del sapere. 2. LE FONTI CLASSICHE E MEDIEVALI DELL’ARS MEMORATIVA. Gli uomini — scriveva l’anonimo autore di un trattato quattrocentesco sulla memoria — inventarono arti diverse c numerose per aiutare e potenziare l’opera della natura. Con- statando la labilità dell’umana memoria, legata alla fragilità della natura dell’uomo, escogitarono un’arte mediante la quale fosse possibile ricordarsi di molte cose che, per via naturale, non potevano essere ricordate. Nacque così la scrittura e poiché in tempi successivi gli uomini si resero conto di non poter portare sempre seco le scritture e che non sempre scrivere era possibile, inventarono, fin dai tempi di Simonide e di Demo- crito, l’arte della memoria artificiale. Questo avvicinamento dell’arte mnemonica alle altre tec- 8 CLAVIS UNIVERSALIS niche che aiutano l’opera della natura, presente in questo co- me in tutti i trattati rinascimentali sulla memoria, non è, come vedremo, senza significato. Ma più che da questo accosta- mento si è colpiti, esaminando i trattati di ars memorativa composti fra la metà del Trecento e la metà del secolo XVII, dal costante, insistente richiamo alla psicologia aristotelica, ai grandi manuali della retorica latina, ai testi sulla memoria e ai commenti di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino. In molti casi i trattati che andremo esaminando non fanno che

esporre, commentare, amplificare regole, dottrine, precetti che risalgono a molti secoli prima e che, elaborati in Grecia e in Roma, giungono agli scrittori del Trecento e a quelli del Rinascimento attraverso l’opera dei grandi maestri della scola- stica. Certo, anche quelle regole e dottrine andranno mutando valore e portata e significato a contatto con tradizioni culturali differenti e con differenti ambiti di civiltà: quegli aiuti della memoria che appaiono connessi nel Medio Evo con l’ars prae- dicandi, diventeranno in Bruno gli strumenti di un’arte che vuol riprodurre le strutture della realtà, mentre Bacone e Descartes li inseriranno, come elementi essenziali, all’interno della nuova metodologia delle ricerche naturali. Tuttavia, chi voglia intendere il significato e l’origine storica di quegli “aiuti alla memoria”, non potrà non aver presenti le fonti alle quali con maggior insistenza quelle dottrine si richiamavano. Appunto di quelle fonti si intende qui dar conto brevemente. 1) Il De memoria et reminiscentia di Aristotele. Questo scritto, che si presenta come un trattato di psico- logia e non come una dissertazione sulla mnemotecnica, con- tiene tuttavia alcune affermazioni che verranno sfruttate in epoche successive in vista della costruzione di una tecnica del ricordare. I teorici della mnemotecnica si richiamano alle se- guenti dottrine aristoteliche: 4) La tesi della necessaria pre- senza dell'immagine o fantasma (gAvtacpa) in vista del fun- zionamento della memoria (pvt ). Il necessario ricorso all'immagine, che è una specie di sensazione senza materia o di sensazione indebolita, fa sì che fra la memoria e l’immagi- nazione ( pavtagia «leSntx4 ) da un lato e la memoria e la sensazione dall’altro intercorrano rapporti assai stretti. 4) La IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 9 tesi che il ricordo o memoria riflessa o attualizzazione della memoria scomparsa dalla coscienza ( &v&pvrotg ) sia facilitato dall'ordine e dalla regolarità, come avviene per esempio nel caso della matematica, mentre ciò che è confuso e disordi- nato difficilmente può essere ricordato. c) La formulazione di una legge dell'associazione secondo la quale le immagini e le idee si associano in base alla somiglianza, alla opposizione, alla contiguità. In un passo del De memoria (2, 452 a, 12-15) che avrà particolare fortuna Aristotele affermava: «talora il ricordo sembra partire dai Zuoghi (Toro). La ragione di ciò è che l'uomo passa rapidamente da un termine all’altro, per esempio dal latte al candore, dal candore all’aria, dall'aria al- l’umidità, dall’umidità al ricordo dell’autunno, supponendo che si cercasse di ricordare questa stagione ». All’impiego delle im- magini Aristotele si riferisce del resto anche nel De anima (III,

3, 427 b, 14-20): «E chiaro che l'immaginazione è qualcosa di distinto dalla sensazione e dal pensiero.. essa è in nostro potere quando lo vogliamo, e si può infatti porre qualcosa davanti agli occhi come fanno coloro che vanno riempiendo i luoghi mnemonici e fabbricano immagini (év toîs pwapovizotîe aiSepevor xa ciòwioror9ivte: ), mentre la sensazione non di- pende da noi ».'' 14 Oltre ai luoghi cit. nel testo cfr.: per i rapporti fra immagine e sen-

sazione: De anima, III, 8, 423 a 9; Rhet., I, 11, 1370a 28; per i rap- porti fra memoria e immaginazione: Sec. An., II, 19, 99b 36-100a 4; Metaph., A, I, 9800 27-b 27; De mem., 1, 450a 22-25; per i rapporti fra memoria e sensazione: Mezaph., A, 980 a 28-29; De mem., 1, 450a 30-b 3. Come è stato notato la traduzione di &vapwoxg con remini- scentia, pur legittimata dal riferimento a Platone in Prim. An., II, 21, 67 a 21-22, non corrisponde al senso che il termine ha in Aristotele. La àvapynog è una attualizzazione della memoria, una ricostruzione del ricordo che richiede una conoscenza del tempo non spontanea come nella memoria (De mem., 450a 19), ma riflessa (452b 7; 453a 9-10) e che è quindi caratteristica solo dell’uomo (453a 8-9). Del De memoria et reminiscentia cfr. l'edizione con traduzione inglese e commento di G.R.T. Ross, Cambridge, 1906. Utile il commento del TricoTr, nella traduzione dei Parva naturalia, Parigi, 1951, pp. 57-75. Scarsa la trattazione della memoria nelle opere sulla psicologia aristo- telica: A. E. CHaicHer, Essai sur la psychologie d’A., Parigi, 1883; J. Nuyens, L’évolution de la psychologie d'A., Lovanio, 1948; C. W. SHUTE, Psychology of A., New York, 1947. Sulla presenza di una mne- motecnica presso i Greci cfr. la testimonianza della RAetorica ad He- 10 CLAVIS UNIVERSALIS 2) Il De oratore di Cicerone (II, 86-88). In questo testo la memoria viene trattata come una delle cinque parti che costituiscono la tecnica dell’oratore. Dopo aver fatto riferimento all’episodio del poeta Simonide (primum ferunt artem memoriae protulisse) che aveva identificato i corpi dei partecipanti a un banchetto sfigurati dal crollo del soffitto ricordandosi il posto (/ocum) che essi avevano occu- pato, Cicerone metteva in luce la opportunità, in base al pre-

supposto che l’ordine giovi alla memoria, di scegliere dei luoghi, di formare le immagini dei fatti o concetti che si vogliono ricordare, di collocare quelle immagini net luoghi. L’ordine secondo il quale sono disposti i luoghi metterà in grado di ricordare i fatti. L'arte della memoria appare in tal modo paragonabile e analoga al processo della scrittura: i luo- ghi adempiono alla stessa funzione della tavoletta cerata, le immagini hanno la stessa funzione delle lettere. L'uso delle immagini appare fondato sulla necessità di un ricorso al piano del senso e sulla maggior persistenza della memoria visiva («ea maxime animis adfigi nostris quae essent a sensu tradita atque impressa; acerrimum autem ex omnibus nostris sensibus esse sensum videndi »). I luoghi dovranno essere molti, chiari c collocati modicis intervallis; le immagini risulteranno tanto più efficaci quanto più atte a colpire le facoltà immaginative («est utendum imaginibus agentibus, acribus, insignitis quae occurrere celeriterque percutere animum possint »). 3) Il De institutione oratoria di Quintiliano (XI, 2). Pur avanzando qualche riserva sull’utilità della € mnemo- tecnica, Quintiliano, che inizia anch’egli la sua esposizione con il racconto di Simonide, dedica all'argomento una tratta- zione assai più ampia e dettagliata di quella ciceroniana. Sulla costruzione dei /xoghi della memoria artificiale Quintiliano renniun, III, 23: «Scio plerosque Graccos, qui de memoria scripse- runt... ». Sulla tecnica della memoria in Ippia d’Elide cfr. l'ipotesi avan- zata da O. Arett, Bettriige zur Geschichte der antiken Philosophie, VIII, 1891, p. 381. Sono da vedere anche: J. A. ErnESTI, Lexicon teclnolo- giae Graccorum rhetoricae, Lipsia, 1795; Lexicon technologiae Lati- norum rhetoricae, Lipsia, 1797; P. Laurap, Manuel des etudes grecques et latnes, App. II: La mnémotechnie des anciens, Les Humanités, 94, 1933. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 1} si sofferma a lungo: per raggiungere risultati efficienti è opportuno servirsi, egli afferma, di un edificio collocando le varie immagini nei singoli luoghi ordinatamente disposti all’in- terno delle singole stanze. « Visitando mentalmente l’edificio » (che può essere anche un edificio pubblico o può essere sosti- tuito dai bastioni di una città o da una giornata suddivisa in varî periodi o da una costruzione immaginaria e « non-reale ») sarà possibile « riprendere » le diverse immagini (e quindi ri- chiamare alla mente i fatti o i concetti che esse esprimono) dai diversi loghi nei quali esse sono rimaste « custodite ». 4) La RAetorica ad C. Herennium (MI, 16-24). In questo scritto di autore ignoto che i medievali, attribuen- dolo a Cicerone, qualificano come rhetorica nova o secunda

(per distinguerlo dal De inventione o rhetorica vetus) ritro- viamo presenti le stesse regole e gli stessi precetti ai quali ci siamo riferiti parlando di Cicerone e di Quintiliano. La distinzione fra memoria naturale e memoria artificiale appare formulata con estrema chiarezza: « sunt igitur duae memo- rine: una naturalis, altera artificiosa. Naturalis est ea quae nostris animis insita est et simul cum cogitatione nata; artifi- ciosa est ea quam confirmat inductio quaedam et ratio prae- ceptionis ». Fra i /uoghi, che per ricordare molte cose do- vranno essere assai numerosi, troviamo elencati: aedes, interco- lumnium, angulum, fornicem et alia quae his similia sunt. Le immagini, che sono le formae o notae o simulacra di ciò che si intende ricordare, vanno collocate nei luoghi: «allo stesso modo infatti in cui coloro che conoscono le lettere dell’alfa- beto possono scrivere ciò che viene dettato e recitare ciò che scrissero, così coloro che hanno appreso l’arte mnemonica pos- sono collocare nei luoghi le cose che hanno udito e da questi ripeterle a memoria ». Mentre le immagini sono variabili, i luoghi dovranno essere fissi (« imagines, sicut litterae, delentur, ubi nihil utimur; loci, tanquam cera, remanere debent ») e ordinatamente disposti: ciò darà la possibilità di richiamare mentalmente le immagini indifferentemente dall’inizio, dal termine o dalla metà di un ordinamento o elenco.'* !° Sull’epoca di composizione della Rhetorica ad H. cfr. la introduzione di F. Marx all'edizione di Lipsia, 1894, p. I. Sulla posizione dei me- 12 “CLAVIS UNIVERSALIS 5) Il De bono (IV, 2) e il commento al De memoria et reminiscentia di Alberto Magno; la Summa theologiae (Il, 11, 49) e il commento al De memoria et remini- scentia di Tommaso d’Aquino. Le trattazioni della memoria contenute nel De Boro di Alberto e nella Summa di Tommaso !* si richiamano esplici- tamente alla fonte aristotelica e a quella pseudo-ciceroniana. Per Alberto, « ars memorandi quam tradit Tullius optima est »; i precetti della mnemotecnica servono all’etica e alla retorica; la memoria delle cose che concernono la vita e la giustizia è duplice: naturale e artificiale. « Naturalis est quae ex bonitate ingenii deveniendo in prius scitum vel factum facile memo- ratur. Artificialis autem est, quae fit dispositione locorum et imaginum ». Come in tutte le altre arti, anche qui l’arte e la virtù aggiungono perfezione alla natura e poiché nella nostra azione «ex praeteritis dirigimur in praesentibus et futuris et non e converso », la memoria si presenta, accanto alla intelli- gentia e alla providentia, come una delle tre parti che costi- tuiscono la virtù della prudenza. Come ha ben chiarito la Yates,!” l’autorità alla quale si appellavano Alberto e Tommaso nella loro considerazione della memoria come parte della pru- denza era il De inventione ciceroniano e poiché Cicerone nella sua seconda retorica (la Rhetorica ad Herennium) aveva di: stinto tra memoria naturale e memoria artificiale dettando le regole per la acquisizione della memoria artificiale mediante l’impiego dei loc: e delle imagines, quella distinzione e que- dievali di fronte a questo testo, p. 52. L'attribuzione del testo a Corni- ficio risale al 1491: RapHaeL Recius, Utrum ars rhetorica ad H. Cice- roni falso iscribatur, in Ducenta problemata in totidem institutionis oratoriae Quintiliani depravationes, Venezia, 1491. Per la posizione di Valla sull'argomento cfr. L. VaLLa, Opera, Basilea, 1540, p. 510. 16 Cfr. ALBERTI Magni, De Bono, Monasterii Westfaliorum in aedibus Aschendorff, 1951, vol. XXVIII, 249 segg. Il commento di Alberto al De memoria ct reminiscentia in Opera, ed. Borgnet, IX, pp. 97 segg.; quello di Tommaso in Opera omnia, ed. Fretté, Parigi, 1885, XXIV e In Avristotelis libros de sensu et sensato, de memoria et reminiscentia commentarium, Roma, 1949. 17 F. A. YatEs, The Ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 882-83. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 13 ste regole entravano ad occupare un posto di primaria impor- tanza nella discussione di Alberto e di Tommaso sulla me- moria come parte della prudenza. Di questa alta considera- zione della € mnemotecnica “ciceroniana” è del resto precisa testimonianza l’ampiezza della discussione di Alberto e la sua minuziosità: praticamente vengono esaminati, nel De dono, tutti i precetti contenuti nella Retorica ad Herennium. Ba- sterà, a titolo di esempio, riportare qui il passo di Alberto che si riferisce al carattere «inconsueto » che devono avere le immagini: « Ad aliud dicendum, quod mirabile plus movet quam consuetum, et ideo cum huiusmodi imagines translatio- nis sint compositae ex miris, plus movent quam propria con- sueta. Ideo enim primi philosophantes transtulerunt se in poe- sim, ut dicit Philosophus, quia fabula, cum sit composita ex miris, plus movet ». Il richiamo ad Aristotele è particolar- mente significativo: questi testi di Alberto e Tommaso si pre- sentano infatti come un tentativo di fusione tra il testo aristo- telico e quello “ciceroniano”. Ciò appare particolarmente evi- dente nella trattazione della Summa theologiae tomistica. Muo- vendo dalla nota identificazione della memoria con una parte della prudenza (« convenienter memoria ponitur pars pruden- tiae... necessaria est ad bene consiliandum de futuris »), Tom- maso mette a confronto la possibilità che ha la prudenza di essere aumentata e perfezionata ex exercitio vel gratia con quella che si offre alla memoria di essere perfezionata me- diante l’arte (« non solum a natura perficitur, sed etiam habet plurimum artis et industriae »). Le quattro regole della me- moria artificiale enunciate da Tommaso riguardano: l’uso delle immagini (« quasdam similitudines assumat convenien- tes »), l'ordine che facilita il passaggio dall’uno all’altro con- cetto o dall’una all’altra immagine («ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur »); la necessità della concentrazione in vista della costruzione dei luoghi; la frequente ripetizione in vista della conservazione dei concetti (« quod ea frequenter meditemur quae volumus memorari »). La prima e la terza di queste regole derivano dalla R&etorica ad Herennium, la se- conda e la quarta dal De memoria et reminiscentia aristo- telico: non a caso, nel commento al De memoria, la prima regola apparirà eliminata, la terza verrà adattata al testo ari- 14 CLAVIS UNIVERSALIS stotelico mediante l’esclusione del riferimento alla costru- zione dei luoghi.!* 3. ARS MEMORATIVA E ARs PRAEDICANDI NEL sEcoLO XIV. Accanto alle citazioni di Aristotele, di Cicerone e dello pseudo-Cicerone, di Quintiliano, di Alberto e di Tommaso, compaiono spesso, nei trattati di ars memorativa composti fra il Trecento e il Seicento, i nomi di Platone (per il luogo del Timeo, IV, 265, che fa riferimento alle maggiori capacità mnemoniche della adolescenza), di Seneca (che in De dene- ficiis, III, 2-3-4-5 tocca, a proposito della memoria dei bencfzi ricevuti sia il tema della « frequenza » sia quello dell’« or- dine »), di Agostino (per i ben noti passi sulla memoria nel libro X, cap. 8 delle Confessioni e per i brevi riferimenti in De Trinitate, IX, 6). Lo stesso sommario elenco di queste

« autorità » basta da solo a mostrare come quella trattatistica di ars memorativa che si diffonde largamente in Europa dopo il Trecento si richiami ad una assai antica. e non mai inter- rotta tradizione. Attraverso una vasta produzione la cui storia attende ancora di essere puntualmente indagata, questa tradi- zione si era andata svolgendo secondo diverse linee di svi- luppo e su piani differenti: mentre il testo aristotelico affron- tava questioni connesse con il problema della sensazione (non a caso i commenti medievali al De memoria et reminiscentia appaiono sempre connessi a quelli al De sensu et sensato), della immaginazione e dei rapporti fra anima sensitiva e anima intellettiva, i testi di Cicerone, di Quintiliano e dello pseudo- Cicerone si erano mossi su un piano tipicamente ed esclusi- vamente « retorico » richiamandosi all'arte della memoria come ad una tecnica i cui compiti e i cui problemi si esaurivano totalmente sul piano di una funzionalità in vista dei partico- lari fini perseguiti dall’oratore. Dal De rhetorica di Alcuino al tentativo di Giovanni di 18 THoMas Aquinas, /n Aristotelis libros de sensu et sensato, cit., 371: « Si ergo ad bene memorandum vel reminiscendum, ex praemissis qua- tuor documenta utilia addiscere possumus. Quorum primum est, ut studeat quae vult retinere in aliquem ordinem deducere. Secundo ut profunde et intente eis mentem apponat. Tertio ut frequenter medi- tetur secundum ordinem. Quarto ut incipiat reminisci a principio ». IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 15 Salisbury di far rivivere gli ideali dell’eloguentia, fino allo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais, tutta la grande retorica medievale si era collocata sotto il segno delle opere ciceroniane.!® Onde, com'è stato giustamente notato, si può parlare di retorica scolastica solo ove si elimini quasi comple- tamente dal termine “scolastica” il riferimento alla “autorità” di Aristotele. In Alberto e Tommaso i due piani sui quali si era andata svolgendo nel corso del Medioevo la trattazione della memoria (il piano “speculativo” e quello “tecnico”) ap- paiono per la prima volta strettamente connessi e intrecciati: la psicologia razionale di Aristotele costituisce, per i due grandi maestri della scolastica, lo sfondo e la cornice entro la quale quella tecnica (che aveva avuto in Cicerone ec nella rhetorica secunda la sua espressione più alta) andava collocata, inserita e giustificata. Come la Yates ha messo opportunamente in luce,?° questo sfondo rigidamente razionalistico della mnemo- tecnica albertino-tomista costituiva molto probabilmente la 19 Di Atcuino cfr. la Dispetatio de rhetorica et de virtutibus sapien- tissini Regis Karli et Albini magistri (in Mine, P. L., CI, 919-50, in Ham, RAetores latini minores, 523-50 e ora, con traduzione inglese, in W. S. Howett, The Rhetoric of Alcuin et Charlemagne, Princeton, 1941). Nella trattazione delle cinque parti della retorica (trattazione che riproduce direttamente o indirettamente quella ciceroniana) ci si limita ad affermare che l'arte della memoria è stata raccomandata da Cicerone. Nel De dialectica (Micne, P. L., col. 952) la logica viene sud- divisa in due parti: dialettica e retorica (K. Logica in quot species di- viditur? A. In duas, in dialecticam et rhetoricam). Mentre la tratta- zione della dialettica derivava da Isidoro, da Boezio, dall’anonimo Categoriae decem (ritenuto una traduzione agostiniana delle Categorie aristoteliche), la trattazione della retorica, fondata sulla partizione delle cinque grandi arti del De inventione, era assai vicina (come ha notato lo Howell) allo spirito della trattazione ciceroniana. Più ampi riferi- menti alla memoria appaiono presenti in Marciano CAreLLA, V, ove ci si richiama all'episodio di Simonide (intellexit ordinem esse qui me- moriae praeccpta conferet), e nella Novissima Rhetorica del Boxncow- PAGNO composta nel 1235 dove ci si richiama ad un «alfabeto imma- ginario » come strumento per l'arte della memoria. Leggo il passo del Boncompagno sulla memoria nella trascrizione che ha dato il Tocco, Le opere latine, cit., p. 25 dal Cod. marciano lat. cl. X, 8, f. 29v. Pa- gine essenziali sulla retorica medievale ha scritto E. R. Curtius, Euro- piische Litteratur und lateinisches Mittelalter, Berna, 1948 (trad. fr. Parigi, 1956, pp. 76-98). °° F. A. Yates, The Ciceronian Art of Memory, cit., p. 887. 16 CLAVIS UNIVERSALIS base del tentativo compiuto da Alberto e da Tommaso di sganciare nettamente le tecniche della memoria artificiale dal piano magico-occultistico dell’ars rotori o di un'arte “magica” della memoria intesa come “arte somma” o come chiave della realtà universale. Nell’ars motoria, come poi avverrà più tardi in taluni testi del pieno e del tardo Rinascimento, il problema dell’arte memorativa appare infatti strettamente collegato a quello di un'arte segreta o scientia perfecta capace di con- durre ad omnium scientiarum et naturalium artium cogni- tionem mediante il congiungimento delle regole dell’arte con formule di invocazione, figure mistiche e preghiere magiche.” Comunque stiano le cose, è certo che sulla via inaugurata dai due grandi domenicani, la via cioè di una sintesi tra le dottrine aristoteliche e quelle ciceroniane, si muoveranno non pochi scritti di arte mnemonica. Chiaramente su questa linea è per esempio il domenicano Bartolomeo da San Concordio (f 1347). Nel capitolo dedicato a «quelle cose che giovano a buona memoria » da lui inserito ne Gli ammaestramenti degli antichi, frate Bartolomeo (dopo aver richiamato la Rée- thorica ad Herennium, il Timeo, il De memoria e il secondo libro della Retorica di Aristotele, l’Ars poetica di Orazio) fa- ceva larghe citazioni dal commento di Tommaso al De me- moria e dalla « seconda della seconda » della Summa: «Di quelle cose che huomo si vuol ricordare pigli alcune conve- nevoli simiglianze, ma non del tutto usate; imperrocchè delle cose disutate più ci meravigliamo... Conviensi che quelle cose che huomo vuole in memoria ritenere, egli colla sua consi- derazione l’ordini sì, che ricordandosi dell’una vegnia nel- l’altra ». Il riferimento alla dottrina ciceroniana dei luoghi e delle immagini appare altrettanto esplicito: « Di quelle cose che vogliamo memoria havere, doviamo in certi luoghi allo- gare imagini e similitudini ». Gli otto « precetti » esposti da Bartolomeo (1. apparare sin da garzone; 2. fortemente at- tendere; 3. ripensare spesso; 4. ordinare; 5. cominciar dal principio; 6. pigliar simiglianza; 7. non gravar la memoria di troppe cose; 8. usare dei versi e delle rime) appaiono quindi 21 Cfr. il cap. Salomon and the Ars notoria in L. THORNDIKE, History of magic and experimental science, New York, 1929 sgg.; II, pp. 279-289. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 17 ricavati da una sintesi tra i varî testi ai quali egli si è richia- mato.?° Esclusivamente ispirato alla RAetorica ad Herennium (no- nostante che l’autore dichiari due volte di «discostarsi da Tullio ») è invece quel trattatello trecentesco in volgare sulla memoria artificiale che è stato erroneamente attribuito a Bar- tolomeo. Accanto alla definizione del luogo (« una cosa dispo- sta a poter contenere in sè alcuna altra cosa ») e della imma- gine («il representamento di quelle cose che si vogliono tenere a mente ») compaiono in questo breve scritto sia la distinzione fra luoghi naturali « facti per mano di natura » e artificiali « facti per mano d’huomo », sia le regole relative alla costru- zione dei luoghi e al carattere simbolico delle immagini: « An- cora conviene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga per la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga il segno della corona et a’ cavalieri il segno dello scudo... Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna cosa, cioè che la proprino, quanto agli acti, quelle cose che a loro si convengono, si come si conviene ad uno lione dare l’imagine apta et ardita... Adunque veg- giamo sempre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lettere ».?° Questo tipo di rapporto fra luoghi e immagini, che risale alla Retorica ad Herennium, e che resterà per tre secoli uno

degli assiomi fondamentali dell’« arte », appare del resto pre- sente anche in altri testi del secolo XIV: « L’arte della me- moria per due, luoghi et imagini, è facta. E’ luoghi non hanno diferentia da le imagini se non perché sono imagini fisse sopra le quali, siccome sopra a charta, alcune imagini sono dipinte... ?2 Fra BartoLoMEo di San Concorpio, Ammaestramenti degli antichi, Dist. 9, capp. 8, 28. 3 Il testo, per intero riprodotto in appendice, è contenuto nei codici Palat. 54 e Conv. soppr. I, 47 della Nazionale di Firenze. Un altro commento alla RAetorica ad Herennium (libro III, capp. XVI-XXIV) è contenuto nel Cod. Aldino 441 della Bibl. Universitaria di Pavia: cart. sec. XV, di cc. III con numerazione di mano più recente. Il Textus de artificiali memoria è alle cc. 1-20 Inc.: Mo passamo al texoro de le cose trovate et de tutte le parte de la Rectorica custodevole Me- moria. Expl.: Con le cose premesse cioè con Studio, Fatiga, Ingegno, Diligentia. Finis commenti in particulari. 18 CLAVIS UNIVERSALIS onde i luoghi sono come materia e le imagini come forma ».5! Le varie regole presenti nel trattatello precedentemente citato tornavano, con lievi differenze, anche in questo scritto. Ma della diffusione negli ambienti domenicani del secolo XIV dell’ars memorativa fanno fede, oltre i testi citati, anche quella connessione, che in molti casi venne a stabilirsi fra l’ars me- moriae e l’ars praedicandi. Non a caso Lodovico Dolce, che fu nel Cinquecento uno dei più noti volgarizzatori dei pre- cetti della retorica e di quelli della mnemotecnica, si richia- mava nel 1562? alla Summa de exemplis et similitudinibus di Fra Giovanni Gorini di S. Gimigniano (} 1323) ?" come ad uno dei testi capitali dell’arte mnemonica e collocava il suo nome, accanto a quello di Cicerone e di Pietro da Ravenna, nell’elenco dei fondatori dell’arte. In quel testo che si era pre- sentato come « perutilis praedicatoribus de quacumque mate- ria dicturis », la costruzione di analogie fra i vizî e le virtù da una parte e i corpi celesti e i moti della terra dall’altra dava luogo appunto ad una tecnica del costruire immagini capace di consentire al predicatore una ordinata esposizione e di col- pire in modo efficace e persuasivo la fantasia degli ascoltatori. Accanto a preoccupazioni di questo genere, un vero e proprio interesse per una tecnica della memoria non era stato del resto affatto estraneo ai cultori di quella scienzia quae tradit formam artifictaliter praedicandi*" che aveva avuto nel Trecento una 24 Cod. Magliab. cl. VI, 5, fol. 67v. La data in fine (Explicit et finitus die X mensis junii millesimo CCCC® XX° Indit. XIII per Petrum quon- dam Ser Petri de Pragha) fa riferimento alla stesura della miscellanea

nella quale il cod. è contenuto. Altri passi, diversi da questo qui ripor- tato, di questo stesso cod. furono trascritti dal Tocco, Le opere latine, cit., p. 27, nota 4. 25 Dialogo di M. Ludovico Dolce nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la memoria, in Venetia, appresso Giovanbattista Sessa et fratelli, 1582, p. 90. La prima cdizione è del 1562. (Copia usata: Triv. Mor. M. 248). 26 Il testo di Giovanni Gorini fu pubblicato a Venezia nel 1499: Sem- ma de exemplis et similitudinibus rerum noviter impressa. Incipit summa insignis et perutilis praedicatoribus de quacunque materia dic- turis fratris Johannis de Sancto Genuniano, Impressum Venetiis per Johannem et Gregorium de Gregoris, 1499 dic XII Julii. 2? L'espressione è di Roberto di Basevorn autore di una Forma praedi- candi composta nel 1322. Il testo è stato pubblicato in appendice al volume di TH. M. CHarvanp O. P.,Artes praedicandi, contribution è IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 19 larghissima diffusione. Per uno dei maggiori teorici della pre- dicazione, Thomas Waleys, la divisio thematis esercita una funzione precisa : Dato vero quod tantum una fiat divisio thematis, adhuc illa divisio erit bene utilis, tam praedicatori quam auditori. Non enim propter solam curiositatem, sicut aliqui cre- dunt, invenerunt moderni quod thema dividant, quod non consucverunt antiqui. Immo, est utilis praedicatori, quia divisio thematis in diversa membra pracbet occa- sionem dilatationis in prosccutione ulteriori  sermonis. Auditori vero est multum utilis, quia, quando praedicator dividit thema et postmodum membra divisionis ordinate et distinctim prosequitur, faciliter capitur et tenetur tam materia sermonis quam etiam forma et modum praedi- candi...?* In quel singolare prodotto di cultura che fu la medievale

ars praedicandi le esigenze della persuasione retorica, della co- struzione di immagini capaci di dar luogo ad emozioni ben controllabili si connettevano in tal modo con i precetti relativi all'ordine e al metodo concepiti come strumenti per imprimere nella memoria i contenuti e la forma dell’orazione. 4. TECNICHE DELLA MEMORIA NEL sEcoLO XV. In molti trattati del secolo XV quella caratteristica tematica speculativa che faceva da sfondo alle trattazioni di Alberto, di Tommaso, di frate Bartolomeo viene decisamente abban- donata. Come avviene per esempio nelle Artificialis memoriae regulae di Iacopo Ragone da Vicenza (composte nel 1434 e conservate in varì manoscritti)?® l’interesse dell’autore si volge l’histoire de la rhetorique au Moyen Age, Paris-Ottawa, 1936, p. 233. Si vedano i cataloghi dei mss. compilati da H. CapLan, Mediaeval Artes praedicandi. A Hand-List e A supplementary Hand-List, in « Cornell Studies in Classical Philology », XXIV ec XXV, Ithaca, 1934-1936 e, dello stesso autore, A late mediaeval Tractate on Preaching, nel vol. Studies in Rhetoric and Public Speaking in honour of S. A. Winans, New York, 1925, pp. 61-91. ?* Cfr. THomas Waters, De modo componendi sermones, in TH. M. ChÒartanp, Artes praedicandi, cit., p. 370. n Nel codice marciano cl. VI, 274 il trattato del Ragone è conservato in due esemplari (di diversa mano) ai ff. 15-34 e 53-66. Un terzo esem- plare è nel codice marciano cl. VI, 159, un quarto nel cod. T. 78 sup. dell’Ambrosiana. Lievi le differenze. I passi qui citati sono stati tra- 20 CLAVIS UNIVERSALIS in modo esclusivo ad un esame ampio e dettagliato delle tec- niche di ricerca dei luoghi: 53r. Iussu tuo, princeps illustrissime, artificialis memorie re- gulas, quo ordine superioribus diebus una illas exercui- mus, hunc in librum reduxi tuoque nomini dicavi, imi- tatus non modo sententias, verum et plerunque verba ipsa M. Tullii Ciceronis et aliorum dignissimorum philoso- phorum qui accuratissime de hac arte scripserunt... Prae- ceptore Cicerone ac etiam teste sancto Thoma de Aquino, artificialis memoria doubus perficitur: locis videlicet et imaginibus. Locos enim consideraverunt necessarios esse ad res seriatim pronunptiandas et diu memoriter tenendas, unde sanctus Thomas oportere inquit ut ca que quis memoriter vult tenere, illa ordinata consideratione dispo- nat ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur. Ari- stoteles etiam inquit in libro quem de memoria inscripsit: a locis reminiscimur. Necessarii sunt ergo loci ut in illis imagines adaptentur ut statim infra patebit. Sed imagines sumimus ad confirmandum intentiones, unde allegatus Thomas: oportet, ait, ut eorum quae vult homo memorari quasdam assumat similitudines convenientes. Dopo essersi rapidamente richiamato alla fonte ciceroniana e a quella tomistica, il Ragone passa a trattare, in modo molto più articolato di quanto non avessero fatto gli autori da lui citati, delle caratteristiche della memoria «locale » : 53 v. Differunt vero loci ab imaginibus nisi in hoc quod loci sunt non anguli, ut existimant aliqui, sed imagines fixe super quibus, sicut supra carta, alic pinguntur imagines delebiles sicut littere: unde loci sunt sicut materia, imagi- nes vero sicut forma. Differunt igitur sicut fixgum et non fixum. Consumitur autem ars ista centum locis, quatenus expedit pro integritate ipsius. Sed, si tue libuerit celsitu- dini, poterit eodem alios sibi locos invenire faciliter per horum similitudinem. Sed oportet omnino non modo bona, verum etiam optima diligentia ac studio locos ipsos notare et firmiter menti habere, ita ut, modo recto et scritti dal Cod. marciano 274 ai ff. 53-66; si è fatto ricorso, per la com- prensione dei passi dubbi, sia all'altro esemplare contenuto nello stesso Codice, sia al Cod. T. 78 sup. dell'’Ambrosiana, ff. 1-21v. Il testo del Ragone è dedicato al Marchese di Mantova: Ad illustrissimum princi- pem et armorum ducem Iohannem Franciscum Marchionem Mantue. Artificialis memorie regule per Iacobum Ragonam vicentinum. Nel cod. dell'’Ambrosiana il titolo è invece: Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad conseguendam artem memorie artificialis ad M. Mar- chionem Mantue. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 21 retrogrado ac iuxta quotationem numerorum, illos prompte recitare queas. Aliter autem frustra temptarentur omnia. Expedit igitur ut in locis servetur modus, ne sit inter illos distantia nimis brevis vel nimium remota sed moderata ut puta sex vel octo aut decem pedum vel circa iuxta magni- tudinem camere; nec sit in illis nimia claritas vel obscuritas sed lux mediocris. Et est ratio quia nimium remota vel an- gusta, nimium clara vel obscura causant moram inquisi- tionem imaginative virtutis et ex consequenti memoriam retardant dispersione rerum que representande sunt aut earum nimia conculcatione, sicut oculus legentis tedio af- fligitur si litterc sint valde distincte et male composite aut nimis conculcate. Loci vero quantitas non est adeo su- menda modica, ut numero videatur esse capax imaginis, quia violentiam abhorret cogitatio ut si velles pro loco sumere foramen ubi aranca suas contexit tellas et in illo 54r. velles equum collocare, non videretur modo aliquo posse / equum capere. Sed ipsorum locorum quantitas sumenda est ut statim inferius distincte notatum invenies. I luoghi dovranno dunque esser disposti in modo da consen- tire una facile e rapida lettura: la loro distanza e la loro gran- dezza sono state stabilite sulla base di alcune osservazioni di natura psicologica. Si tratta ora, sempre sulla base di osserva- zioni dello stesso tipo e tenendo conto di determinate asso- ciazioni che si presentano fra i varî contenuti della memoria, di procedere ad una scelta dell’« edificio » nel quale i luoghi (e di conseguenza le immagini) dovranno essere collocati : 54 r. Oportet etiam ne loci sint in loco nimium usitato sicut sunt plateac ct ecclesie, quoniam nimia consuetudo aut aliarum rerum representatio causant perturbationem et non claram imaginum representationem ostendunt sed confu- sam, quod summopore est cavendum, quia si in foro locum constitueres et in co rei cuiuspiam simulacrum locares, cum de loco simulacroque velles recordari, additus, reddi- tus, meatusque frequens et crebra gentis nugatio contur- baret cogitationem tuam. Studebis ergo habere domum que rebus mobilibus libera sit et vacua omnino, et cave ne assumas cellas fratrum propter nimiam illarum similitu- dinem, nec hostia domorum pro locis quia cum nulla vel parva tibi sit differentia idco confusio. Habeas ergo do- mum in qua sint intra cameras salas coquinas scalas vi- ginti, et quanto in ipsis locis dissimilitudo maior, tanto utilior. Nec sint camere iste ct reliquie excessive magne vel parve, et in earum qualibet facies quinque locos iuxta distantiam dictam superius scilicet sex aut octo vel decem pedes. Et incipe taliter ut, a dextris semper ambulando 32 CLAVIS UNIVERSALIS vel a sinistris quocunque altero istorum modorum ex apti- tudine domus tibi commodius fuerit, non oportcat te re- trocedere. Sed, sicut in re domus procedit, ita continuen- tur loci tui per ordinem domus, ut sit facilior impressio ex ordine naturali. Sulle caratteristiche “materiali” dei luoghi (grandezza, lu- minosità, non-uniformità, ecc.), sulla scelta e la funzione delle immagini, si sofferma, con altrettanta minuziosità l'anonimo autore di un altro testo manoscritto °° che risale, molto pro- babilmente, allo stesso periodo e agli stessi ambienti culturali. 41 v. De ordine locorum. Circa cognitionem et ordinem loco- rum debctis scire quod locus in memoria artificiali est sicut carta in scriptura, propterea quod scribitur in carta quando homo vult recordari et non mutatur carta. Ita loca debent esse immobilia, hoc est dicitur quod locus de- bet semel accipi et nunquam dimitti seu mutari sicut carta. Deinde super talia loca formande sunt imagines il- larum rerum vel illorum nominum quorum vultis recor- dari sicut item scribuntur in carta quando homo recordari vult. De forma locorum. Loca debent esse facta ct ita formata 42r. quod non sint nimis parva nec nimis magna / ut verbi gratia non debes accipere pro uno loco unam domum vel unam terram vel unam schalam, nec etiam, sicut dixi, nimis parvum locum scilicet unum lapidem parvum nec unum foramen vel aliud tale. Et ratio est ista: nam humanus intellectus non circa magnas res nec circa parvas colligitur et imago evanescit; sed debes accipere loca me- dia scilicet terminum clarum et non nimis obscurum, nec enim debes accipere loca in illo loco nimis solitario, sicut in deserto vel in silva, nec in loco nimis usitato, sed in loco medio: scilicet non nimis usitato nec nimis deserto. Et 2° I passi di seguito citati nel testo sono stati trascritti dal Cod. mar- ciano Cl. VI, 274, ff. 41-49. (Ars: memoriae artificialis incipit. Ars me- moriac artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordan- dum de pluribus pervenire potest per memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam naturalem). Dello stesso trattato ho visto altri tre esemplari: il Vatic. lat. 3678, ff. 2r-4r (Inc.: Practica super artificiali memoria. Pater et reverende domine. Quatenus homo ad recordandum) che reca solo l’inizio del trattato; il Vatic. lat. 4307, ft. 79-85v. (Inc.: Ars memoriae artificialis est qualiter homo ad recor- dandum de pluribus pervenire possit) che reca il trattato quasi com- pleto; il Vat. lat. 5129, ff. 60-64v. (Inc.: Ars memoriae artificialis est

qualiter homo) che, come il Vat. lat. 3678, si interrompe dopo le prime pagine. Al £. 68r. è ripetuto l’inizio del trattato. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 23 nota quod predicta loca bene scire debes ct ante et retro et ipsa adigerc per quinarium numerum, videlicet de quinque in quinque. Et debes scire quod loca non debent esse dissimilia, ut puta domus sit primus locus, secundus locus sit porticus, tertius locus sit angulus, quartus locus sit pes schale, quintus locus sit summitas schale. Et nota quod per quintum vel decimum locum dcebes ponere unam manum auream aut unum imperatorem super quin- tum vel decimum locum; qui imperator sit bene atque imperialiter indutus, vel aliquid aliud mirabile vel defor- me, ut possis melius recordari. Et haec sufficiant quantum ad formam locorum. Nunc autem videndum est de ima- ginibus per predicta loca ponendis. De imaginibus. Est enim sciendum quod imagines sunt sicut scriptura et loca sicut carta. Unde notatur quod 42v. aut / vis recordari propriorum nominum aut appellativo- rum aut grechorum aut illorum nominum quorum non intelligis significata aut ambasiatarum aut argumentorum aut de aliis occurrentibus. Ponamus igitur primum quod ego vellim recordari nominum propriorum. Sic enim ponere debes imagines in proprio convenienti loco et ipso sic facto: cum vis recordari unius divitis qui nominatur Petrus, immediate ponas unum Petrum quem tu cogno- scas qui sit tuus amicus vel inimicus vel cum quo habuisti aliquam familiaritatem, qui Petrus faciat aliquid ridi- culum in illo loco, vel aliquid inusitatum, vel simile dicat... In secundo loco ponas unum Albertum quem tu cognoscas, ut supra licet per alios diversos modos, vide- licet quod dict:;s Albertus velit facere aliquid inusitatum vel deforme scilicet suspendens se et ut supra. In tertio loco, si vis recordari istius nominis equi, ponas ibi unum equum album, magnum ultra mensuram aliorum, et qui percutiat quenpiam tuum amicum vel inimicum cum calcibus vel pedibus anterioribus, vel aliquid simile faciat ut supra.... Dalla lettura di queste lunghe citazioni ci sì può fare un’idea abbastanza precisa di quale fosse l’effettivo “funzionamento” dell’ars memorativa di origine “ciceroniana”. La qualificazione non è inutile perché la mnemotecnica dei lullisti e degli aristo- telici è fondata su procedimenti affatto differenti. Per realiz: zare l’arte mnemonica è necessario, in primo luogo, disporre di una specie di struttura formale che, una volta stabilita, possa essere sempre impiegata per ricordare una serie qualunque di cose o di nomi (res aut verba). Questa struttura formale o fira e sempre reimpiegabile (come dicono i teorici della mne- 24 CLAVIS UNIVERSALIS

motecnica, la carta o la forma), viene costruita in modo arbi- trario: si sceglie una località (edificio, portico, chiesa ecc.) che può essere “fantastica” o reale e già di fatto conosciuta e si fissano all’interno di questa località un certo numero di luoghi. Il carattere arbitrario o convenzionale di queste scelte è, come abbiamo visto, limitato da un certo numero di regole che riguardano: a) le caratteristiche della località e dei luoghi (ampiezza, solitudine, luminosità ecc.); 6) il modo nel quale i luoghi stessi devono essere ordinati. È da ricordare infine che la maggiore o minore ampiezza di questa struttura formale condiziona la quantità dei contenuti che in essa possono essere inseriti: nel caso per esempio che si sia costruito un insieme di cento luoghi, questa struttura potrà essere impiegata per ricordare una quantità di nomi e oggetti fino a un massimo di cento (al problema della multiplicatio locorum o del progres- sivo allargamento della struttura verranno non a caso dedicate molte discussioni). La struttura formale così ottenuta si presta ad essere “riem- pita” da contenuti mentali di qualsiasi natura e di volta in volta variabili (/magines delebiles o materia o scrittura). Per effettuare questo “riempimento” si fa ricorso alle immagini che devono simbolizzare, nel modo più adatto a colpire in modo duraturo la mente, le cose o i termini che si vogliono

ricordare. Anche qui, l’arbitrarietà nella scelta delle immagini appare limitata da regole che concernono: la “mostruosità” o “stranezza” delle immagini e il loro carattere direttamente evocativo di contenuti. Le singole immagini vanno infine collo- cate nei singoli luoghi “provvisoriamente” (in vista cioè del ricordo di una particolare serie di nomi o di cose). Ripercor- rendo mentalmente (in modo semi-automatico) la località pre- scelta o la struttura costruita, si potranno aver presenti imme- diatamente, attraverso il richiamo delle immagini e la sugge- stione da esse esercitata, i termini o le cose appartenenti alla serie che si voleva ricordare. Data la struttura fissa dei luoghi, termini e cose ricompariranno nel loro ordine originario e quest'ordine sarà a piacere invertibile. Il problema della dispositio locorum e della formazione delle immagini occupa, nelle trattazioni alle quali ci siamo riferiti, una parte assai rilevante. Proprio su questo tipo di codificazioni insisterà la maggior parte dei trattati quattro-cin- IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 25 quecenteschi,‘' ed è al carattere esclusivamente “tecnico” che questi trattati vanno assumendo, che ci dobbiamo richiamare per spiegarci la loro sostanziale uniformità. Gli autori che si occupano dell’ars memorativa non si presentano mai come de- gli inventori, ma sempre come dei “chiarificatori” dell’arte: essi si limitano a trasmettere una serie di regole già codificate, cercando di esporle in forma particolarmente accessibile e di giungere, se possibile, a qualche integrazione o migliora- mento. Magari attraverso la riduzione delle regole ad uno schematico formulario,®? l’arte dev’essere resa facilmente e so- # Si vedano per esempio oltre ai due mss. dell'Ambrosiana (T. 78 sup., ff. 22-26 e ff. 27v.-32v., quest'ultimo anche nel Cod. Angelica 142, ff. 83-87) riportati in appendice, il Cod. marciano cl. VI, 292 (Inc.: De Memoriae locis libellus) e,alla Casanatense, il Cod. 1193 (E. V. 51) ff. 29-32 v. (Liber seu ars memoriae localis). Una breve trattazione in vol- gare degli stessi problemi è nel Cod. Riccardiano 2734, #. 30-32 (Inc.: Appresso io Michele di Nofri di Michele di Mato del Gioganti ragioniere mostrerò il prencipio dello ’nparare l’arte della memoria, la quale mi mostrò il maestro Niccholo Cicco da Firenze nel 1435, di dicembre, quando ci venni, cominciando per locar luoghi nella casa mia. Expl.: E queste sono lc otto sopradette fighure della memoria artificiale e tutti i modi, atti e chose che s’appartengono in essi. E maturamente studia- re et sapere, c verrai a perfezionare e a notizia vera di presta scienza). 12 È quanto avviene nel Cod. I, 171 inf. dell’Ambrosiana, f. 20v.: « Regu- lae artificialis memoriae. Locorum multitudo; locorum ordinato; locorum meditatio; locorum solitudo; locorum designatio; locorum dissimilitudo; locorum mediocris magnitudo; locorum mediocris lux; locorum distantia; locorum fictio. Locorum multiplicatio: addendo diminuendo per sursum et deorsum, per antrorsum et retrorsum, per destrorsum et sinistrorsum. Imaginum: alia in toto similis; alia in toto dissimilis: per oppositionem, per diminutionem, per transpositionem locorum, per alphabetum, per transuptionem locorum, per loquelam ». Si veda anche, sempre all’Ambro- siana, il Cod. E. 58 sup., f. 1: « Ars memoriac. Locorum multitudo, ordi- natio, permeditatio, vacuitas sive solitudo, quinti loci signatio, locorum dissimilitudo, mediocris magnitudo, mediocris lux, distantia, fictio. Locus multiplicatur: addendo, diminuendo, mutando (per sursum, deorsum, antrorsum, retrorsum, dextrorsum cet sinistrorsum), mensurando (lon-

gum, latum, profundum). Idolorum: aliud in toto simile, aliud in toto dissimile per contrarium, per consuetudinem, per transpositionem (per alphabetum, sine alphabeto), aliud parum simile per compositio- nem, per diminutionem, per transpositionem, per trasunptionem (lite- rarum vel silabarum), per loquelam ». Del trattatello qui trascritto dal Cod. Ambrosiano E. 58 sup. esiste un altro esemplare, quasi identico, nel Ms. 90, f. 84v. della Casanatense. L'idea di rendere l’arte rapida- mente acquisibile attraverso uno schema, si presenta strettamente asso- 26 CLAVIS UNIVERSALIS prattutto rapidamente acquisibile. Su quello che abbiamo chia- mato il carattere “tecnico” di questi trattati, giova d’altra parte insistere per intendere le finalità che essi si proponevano e il clima culturale entro il quale essi poterono trovare larga dif- fusione. L’arte “ciceroniana” della memoria si presenta, nel Quattrocento, come del tutto priva di finalità e di intenti di carattere speculativo, si pone come uno strumento utile alle più varie attività umane. Il trattatello manoscritto di Guardi (o Girardi?)" eximii doctoris artium et medicinae magistri (qui per intero riprodotto in appendice) si propone per esem- pio di insegnare a ricordare: i termini sostanziali e accidentali, gli autori citati (auczoritates), i discorsi comuni (orationes stm- plices), il contenuto di lettere, di collezioni e di libri di storia (epistolas, collectiones et historias prolixas), le argomentazioni e i discorsi scientifico-filosofici (argumenta et orationes sillogi- sticas), le poesie e i termini appartenenti a lingue non cono- sciute (versus et dictiones ignotas, puta graecas hebraicas), gli articoli del codice (capita legum). Sul modo di ricordarsi delle ambasciate, delle testimonianze, degli argomenti insistono del resto tutti i testi che si presentano talvolta come un adatta- mento delle regole della mnemotecnica alla finalità di una vittoria nelle discussioni.” ciata all'altra di una serie di versi mediante i quali si potessero rapida- mente mandare a memoria le regole dell’arte. Si vedano per esempio i versi ai quali fa ricorso il magister Girardus nel trattato contenuto nel Cod. T. 78. sup. dell’Ambrosiana c, in altro esemplare, nel cod. 142 dell'Angelica (vedi Appendice), e il Tractatus de memoria artificiali

carmine scriptus che ho visto nel cod. R. 50 sup. dell’Ambrosiana (f. 9lr). 33 Ambrosiana. T. 78 sup., ff. 27v.-32v. Un altro esemplare nel Ms. 142 (B. 5 12) dell’Angelica, ff. 83-87. 34 Cfr. il già citato Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 43r., 43v., 44r.: « De ambasiatis recordandis. Si vis recordari unius ambasiate quam facere debes, pone in loco imaginato ut supcerius scribebam... Si ambasiata est nimis prolixa, tunc pone unam partem ambasiate in uno loco et aliam partem in uno alio loco ut supra, quia memoria naturalis adiuvabit te. De argumentis recitandis. Argumenta si recitare velis... De testis recor- dando. Si vis recordari unius testis ponas primam particulam in illo loco, primam in primo, tertiam in tertio et sic de aliis successive... ». Ma si veda anche il Cod. Ambrosiano T. 78 sup., f. 25v.: « Ambasiatas vero sì commode volueris recordari... ». Sulla costruzione di argomenti insi- stono molto trattati. Si veda per esempio il Cod. marciano cl. VI, 238, IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 27 Legata per le sue stesse origini agli intenti pratici della retorica, l’ars memorativa intende dunque presentarsi come un aiuto per chi è impegnato in varie guise in attività mon- dane e “civili”. Il Congestorius artificiosae memoriae ®*? del Romberch, un testo che ebbe nel Cinquecento diffusione eu- ropea, si presenta come un’opera utile a teologi, predicatori, professori, giuristi, medici, giudici, procuratori, notai, filosofi, professori di arti liberali, ambasciatori e mercanti. 5. La « FENicE » DI Pietro pa RAVENNA. Che testi di questo genere potessero effettivamente presen- tare una qualche reale utilità appare senza dubbio difficilmente credibile. Tuttavia se dobbiamo prestar fede a una serie nume- rosa di testimonianze, gli assertori e i teorici della mnemo- tecnica erano giunti a risultati di un qualche rilievo. Il celebre Pietro da Ravenna (Pietro Tommai), autore di un trattatello sulla memoria artificiale (Venezia, 1491)? che avrà enorme f£. tv.: Tractatus de memoria artificiali adipiscenda eaque adhibenda ad argumentandum ct respondendum (Inc.: Ne in vobis, fratres, imo fili carissimi opus omittam devotionis). 35 Congestorius artificiosae memoriae ]oannis Romberch de Kryspe, omnium de memoria pracceptione aggregatim complectens. Opus om- nibus Theologis, praedicatoribus, professoribus, iuristis, iudicibus, pro- curatoribus, advocatis, notariis, medicis, philosophis, artium liberaliun: professoribus, insuper mercatoribus, nuncits, et tabelariis pernecessarium, Venetiis, in aedibus Georgii de Rusconibus, IX Iulii, 1520 (Copia usata: Triv. Mor. L. 561). 36 Phoenix seu artificiosa memoria domini Petri Ravennatis memoriae magistri, Bernardinus de Choris de Cremona impressor delectus im- pressit Venetias die X Januarii, 1491. Una copia di questa edizio- ne originale curata dallo stesso autore è contenuta, insieme a due altri incunaboli, nel cit. Cod. marciano cl. VI, 274, ai ff. 82-97x. A questa prima edizione si richiamano le citazioni del testo e quelle riportate nell'appendice. Le regulae dell'operetta del Ravennate (dalla prima alla dodicesima) sono presenti nel Cod. Vat. lat. 6293, ff. 195-199 (Inc.: Fenix domini Petri ravennatis memoriae magistri. Expl.: Finis. Deo gratias matrique Mariae) e sono in parte riprodotte anche nel Cod. Aldino 167 (sec. XVI di cc. 82) della Bibl. Univ. di Pavia. Cfr. alle cc. 63-66 v.: Inc.: Magister Petrus de memoria. Expl.: Expliciunt re- gulae memoriae artis egregii ac rmemorandi viri Petri Magistri de Memoria. Su Pietro da Ravenna cfr., oltre al TiraposcHi, Storia della letteratura italiana, Modena, 1787-1794, VI, pp. 556 segg.; BORSETTI, 28 CLAVIS UNIVERSALIS risonanza e non sarà senza influenza sul Bruno, affermava di poter disporre di più di centomila luoghi che si era andato costruendo onde riuscir superiore a tutti nella conoscenza delle sacre scritture e del diritto. « Cum patriam relinquo — scri- veva — ut peregrinus urbes Italiae videam, dicere possum om- nia mea mecum porto; nec cesso tamen loca fabricare »."* Di fronte al suo maestro in giurisprudenza Alessandro Tartagni da Imola, all’ Università di Pavia, il nostro Pietro, appena ventenne, si cra mostrato in grado di recitare a memoria totum codicem iuris civilis, il testo e le glosse, di ripetere parola per parola le lezioni di Alessandro e più tardi, a Padova, aveva stupefatto il capitolo dei canonici regolari recitando a memo- ria prediche intese una sola volta. Della sua abilità egli parla del resto a più riprese in pagine nelle quali un’accorta auto- propaganda si associa al manifesto desiderio di suscitare nel- l'animo dei lettori una stupefatta ammirazione per tanto pro- digio: « Mi è testimone l’università di Padova: ogni giorno leggo, senza bisogno di alcun libro, le mie lezioni di diritto canonico, proprio come se avessi il libro dinanzi agli occhi, ricordo a memoria il testo e le glosse c non ometto la benché minima sillaba... Ho collocato in diciannove lettere dell’alfa- beto ventimila passi del diritto canonico e di quello civile e, nello stesso ordine, settemila passi dei libri sacri, mille carmi di Ovidio... duecento sentenze di Cicerone, trecento detti dei filosofi, la maggior parte dell’opera di Valerio Massimo... ».?* Historia Gymnasti Ferrariac, II, pp. 37-40; P. GinannI, Scrittori raven- nati, II, pp. 419 segg. Alla Classense di Ravenna è da vedere, per una biografia, il Cod. Mob. 3.3.H2.10 contenente la genealogia della famiglia Tomai. Le ragioni del termine P/oenix contenuto nel titolo sono chiarite dallo stesso Pietro: « Et cum una sit Foenix et unus iste libellus, libello si placet Focnicis nomen imponatur ». Ma alla fenice fanno riferimento, nello stesso senso, anche altri scritti: si veda per es. nel cod. Palat. 885 della Naz. di Firenze, ai ff. 314-323v. il Liber qui dicitur Phenix super lapidem philosophorum (Inc.: Post diuturnam ope- ris fatigationem. Expl.: de lapide philosophorum natura et composi- tione sive fixione quae dicta sunt observentur. Dco gratias. Finis). 87 Phoenix seu artificrosa memoria, cit., £. 87v. 38 Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 92v.-94v. (cfr. i passi ri- portati nell’appendice). Ma si veda anche quanto scrive il Ravenna a f.88r.: «In magna nobilium corona, dum essem adolescens, mihi semel fuit propositum ut aliqua nomina hominum per unum ex astantibus IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 29 Meno sospette delle testimonianze dell’interessato appaiono quelle di Eleonora d’Aragona, che chiamava l’intera città di Ferrara a testimoniare della prodigiosa memoria del raven- nate,?° o di Bonifacio del Monferrato che, dopo aver constatato la sua straordinaria virtù, lo raccomandava caldamente ai re, ai principi, ai « magnifici capitani » e ai nobili italiani, o infine del doge Agostino Barbarigo. Comunque stiano le cose, è certo che la straordinaria fama della quale godette in Italia e in Europa questa singolare figura di giurista era affidata, più che alle sue pur non trascurabili cognizioni giuridiche, al fatto che egli si presentiva come la vivente dimostrazione della validità di un'arte alla quale si volgevano, in quell’età, le speranze e le aspirazioni di molti. Professore di diritto a Bologna, a Ferrara, a Pavia, a Pistoia, a Padova, Pietro Tommai contribuì senza dubbio a diffondere, in tutta Italia, l’interesse per l’ars memorativa. Conteso al doge veneziano da Bugislao duca di Pomerania e da Federico di Sassonia, Pietro vide aperte dinanzi a sè, intorno al 1497, le porte dell’ Università di Wittenberg. Dopo aver rifiutato un invito del re di Danimarca, passava a Colonia e di qui, accu- sato di poco corretto comportamento (scholares itali non pote- rant vivere sine meretricibus), fu costretto a ritornarsene in Italia. La notorietà di questo personaggio e l’ammirazione per la sua opera non saranno senza risonanze: la Phoenix seu artificiosa memoria del Ravennate eserciterà su tutta la succes- siva produzione di mnemotecnica una larghissima influenza e a Pietro si rifaranno, come ad un eccelso maestro, tutti i teorici italiani e tedeschi del Cinquecento e del Seicento. La diffusione di questo scritto, stampato per la prima volta a Ve- nezia, poi ripubblicato a Vienna, a Vicenza, a Colonia, tra- dotto in inglese (intorno alla metà del Cinquecento) da una precedente edizione in lingua francese, basta da sola a mo- strare come tra la fine del secolo XV e il primo decennio del dicenda recitarem. Non negavi. Dicta ergo sunt nomina. In primo loco posui amicum illud nomen habentem, in secundo similiter, et sic quot dicta fuerunt, tot collocavi, et collocata recitavi ». i Il testo della lettera di Eleonora d'Aragona è in Phoenix seu artifi- ciosa memoria, cit., ff. 82-82v. (cfr. l’appendice). 30 CLAVIS UNIVERSALIS secolo XVIII fossero interessati alla “memoria locale” ambienti non soltanto italiani.*° L’operetta del Ravenna appare costruita secondo i già ben noti schemi della tradizione “ciceroniana”. Più che sulle regole concernenti la ricerca dei luoghi, Pietro volge tuttavia la sua attenzione alla funzione esercitata dalle immagini e si soffer- ma a lungo sul concetto che le immagini, per essere davvero efficaci, debbono porsi come dei veri e propri “eccitanti” del- l'immaginazione: « Solitamente colloco nei luoghi delle fan- ciulle formosissime che eccitano molto la mia memoria... e credimi: se mi sono servito come immagini di fanciulle bellis- sime, più facilmente e regolarmente ripeto quelle nozioni che avevo affidato ai luoghi. Possiedi ora un segreto utilissimo alla memoria artificiale, un segreto che ho a lungo taciuto per pu- dore: se desideri ricordare presto, colloca nei luoghi vergini bellissime; la memoria infatti è mirabilmente eccitata dalla collocazione delle fanciulle... Questo precetto non potrà gio- vare a coloro che odiano e disprezzano le donne e costoro con- seguiranno con maggiore difficoltà i frutti dell’arte. Vogliano perdonarmi gli uomini casti e religiosi: avevo il dovere di non tacere una regola che in quest'arte mi procurò lodi ed onori, anche perché voglio con tutte le mie forze lasciare successori eccellenti ».1! 6. NATURA E ARTE, Opere come quelle del Romberch e di Pietro da Ravenna avevano intenti eminentemente, se non esclusivamente “pra- 40 Le edizioni viennesi sono del 1541 e del 1600, l’edizione di Londra, che è senza data, è stata assegnata al 1548 circa: il trattato viene presentato, senza nome dell’autore, da Robert Copland come The Art of Memory, that otherwise is called the Phenix, a boke very behouefull and profytable to all professours of science, granmaryens, rethoryciens, dialectyks, legystes, phylosophes and theologiens. Stampato da Wil- liam Middleton si presenta come «a translation out of french in to englysche ». L'edizione di Colonia è del 1608, quella di Vicenza del 1600. Per la rinomanza del Ravenna in Germania è da ricordare che Agrippa si vantò di averlo avuto maestro e che un ampio elogio di Pietro, maestro di memoria, è inserito nell’A/phabetum aureum del- l'Ortwin, Colonia, 1508. 41 Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 88v., 89r. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 31 tici”: si rivolgevano ai filosofi solo in quanto anch'essi, così come i medici o i notai o i giuristi, sono impegnati in terrene faccende. Con tutto ciò anche in questi trattati, nei quali l’in- teresse tecnico appare dominante, si affacciano dei motivi (cone per esempio quello delle immagini) che hanno stretti rapporti con la cultura rinascimentale, e temi, quale per esempio quello del rapporto arte-natura, che erano stati e soprattutto saranno ampiamente dibattuti in sede più specificamente filosofica. «La memoria locale è un’arte con la quale riusciamo a ricordare facilmente e ordinatamente molte cose delle quali, con le forze naturali, non sarebbe possibile che noi avessimo o così pronta o così distinta memoria », si afferma nell’ Urb. lat. 1743 ‘* e su questo motivo, il cui spunto appare già pre- sente nei testi di Cicerone e di Quintiliano, si ritornerà da più parti con accenti significativi. Mentre contrapponeva i risultati dell’arte a quelli della natura, l'anonimo autore del ms. lat. 274 conservato alla Marciana,** avvicinava non a caso l’arte mne- monica agli altri ritrovati della tecnica e tuttavia, proprio in quel punto, sentiva il bisogno di porre l’arte sotto il leggen- dario patrocinio di Democrito ‘' e di presentarsi come il chia- rificatore delle straordinarie difficoltà e delle « oscurità » conte- nute nella RAetorica ad Herennium : 42 Urb. lat. 1743, £. 428r. 14 Cod. marciano cl. VI, 274, f. 4Ir-4lv. Il brano di seguito citato nel testo, che trascrivo dal cod. cit., è già stato pubblicato da F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno, cit., pp. 29-30, nota 2, che fa riferimento al Cod. marciano cl. VI,226. 44 Il Tocco ha già notato come ritorni in più di un trattato di memoria artificiale il nome di Democrito come fondatore dell’arte. Cfr. Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 1-5: Tractatus super memoria artificiali, ordi- natus ad honorem egregii et famosissimi doctoris nec non et comitis Troili Boncompagni P. F.... Homines enim mortales memoriam labilem conspicientes fuerunt conati quemadmodum fuit Democritus, Simonides et Cicero per artem adiuvare. Ma cfr. anche, nello stessocodice, al f. 5, le Regulae memoriae artificialis ordinatae per religiosum sacrae theolo- giae professorem magistrum Ludovicum de Pirano ordinis Minorum (Inc.: Democritus atheniensis philosophus, huius artis primus inventor fuit). Il richiamo a Democrito appare fondato, come chiarisce il Tocco (p. 30) sulla testimonianza di Aulo Gellio (X, 17) secondo la quale De- mocrito si sarebbe cavati gli occhi per meglio concentrarsi nei suoi pensieri.

32 CLAVIS UNIVERSALIS 4lr. Ars memoriae artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordandum de pluribus pervenire possit per memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam naturalem. Debetis enim scire quod sic natura adiuvatur per artem adiunctam sicut sunt navigia ad mare transfretandum quia non potest transfretari per virtutem et viam naturae, sed solum per virtutem ct viam artis; unde philosophi vocaverunt artem adiutricem nature. Sicut enim invenerunt homines diversas artes ad iuvandum diversis modis naturam, sic etiam videntes quod per na- turam hominis memoria labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memoriam ut homo per virtutem artis recordari possit multarum rerum quarum non poterat recordari aliter per memoriam natu- ralem et sic adinvenerunt scripturas et viderunt non posse recordari horum quae scripserant. Postea in successione temporis, videntes quod semper non poterant secum por- tare scripturas, mec semper parati erant ad scribendum, adinvenerunt subtiliorem artem ut sine quacumque scrip- tura multarum rerum reminisci valerent et hanc vocave- runt memoriam artificialem. Ars ista primum inventa fuit Athenis per Democritum eloquentissimum philoso- phum. Et licet diversi philosophi conati fuerint hanc artem declarare, tamen melius et subtilius declaravit suprascrip- 4Iv. tus philosophus Democritus huius artis / adinventor. Tulius vero perfectissimus orator in cuius libro Rhetori- corum de hac arte tractavit licet obscuro et subtili modo in tantum quod nemo ipsum intelligere valuit nisi per divinam gratiam et doctorem qui doceret ipsam artem qualiter deberet pratichari. 7. ARTE DELLA MEMORIA, ARISTOTELISMO E MEDICINA. Ad una diversa atmosfera culturale e a temi legati alla “psicologia” e alla “filosofia” più che alla retorica, ci riportano invece altri scritti del tardo Quattrocento nei quali l'influsso delle impostazioni aristoteliche e tomistiche è assai più forte di quello esercitato dalla tradizione della retorica ciceroniana. Si tratta, come è ovvio, solo di una differenza di grado poiché, come abbiamo visto, proprio attraverso Alberto e Tommaso, l’arte ciceroniana della memoria era entrata a far parte del

patrimonio della cultura scolastica e tuttavia, in qualche caso, si assiste, leggendo questi trattati, all’interessante tentativo di ricavare direttamente dai testi aristotelici alcune regole della memoria artificiale. In questo senso è tipico il De nutrienda IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 33 memoria pubblicato a Napoli nel 1476 nel quale Domenico De Carpanis si propone di presentare le dottrine svolte da Ari- stotele nel De memoria et reminiscentia « condite col sale del santo dottore Tommaso d’Aquino ».‘° Il sensus communis appare al De Carpanis simile a una gigantesca selva (silva maxima) nella quale vengono accumu- landosi le immagini provocate da ciascuno dei cinque sensi. Su questo caos agisce l’intelletto con una triplice operazione: in primo luogo prende coscienza delle immagini, in secondo luogo le connette secondo un ordine preciso e in terzo luogo infine (quasi deambulans per pomerium) lega l’una all’altra le cose simili riponendole in archa memoriae. Quando di quelle cose si parli, l'intelletto « quasi de armario pomorum cibum sumens, verba per dentes ruminantis intellectus emittit ».'° La memoria, a sua volta, si muove su un duplice piano: quello del senso e quello dell’intelletto. La memoria sensitiva (vis quaedam sensitivae animae) appare strettamente congiunta col corpo e capace di ritenere corporalia tantum; quella intellet- tiva, al contrario, è armarium specierum sempiternarum. Alle principali tesi di Aristotele l’autore accosta, quasi sempre, la citazione di passi tratti dall’ XI libro del De triritate di Ago- stino: così la dottrina aristotelica del carattere corporeo dei contenuti della memoria sensitiva viene accostata al passo di Agostino sulla memoria delle pecore che, dopo il pascolo, tor- nano all’ovile; mentre la nota tesi agostiniana della identità tra memoria intelletto e volontà viene citata a conferma del carattere intellettivo di una delle due parti nelle quali la memoria si suddivide. Anche la dottrina degli aiuti (admin: cula) della memoria risente da vicino della sua origine tomi- stica: accanto all’ordine (bonus ordo memoriam facit habilem) e alla ripetizione (ex frequentibus actis habitus generatur)*' il De Carpanis colloca fra gli aiuti principali la similitudo e la contrarietas. Senza far ricorso all’arte della memoria « locale », 45 Mi sono servito dell’ Inc. De nutrienda memoria Dominicis de Car- panis de Neapoli, anno domini 1476, ind. IV, die vero XVI decembris regnante serenissimo et illustrissimo Domino nostro D. Ferdinando Dei gratia rege Sicilie, Hierusalem et Hungarie, contenuto nel cit. Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 97-103v. 46 De nutrienda memoria, cit., f. 97 v. 4 De nutrienda memoria, cit., fi. 98, 99, 102v. 34 CLAVIS UNIVERSALIS l’autore giunge in tal modo a fissare alcune regole ricavate, anziché da Cicerone, dalla psicologia aristotelica : Contrarietas secundum dicitur adminiculum ubi notan- dum est quod quando res diversorum ordinum et quali- tatum essent recitandae in una orationc vel in una sen- tentia eloquendac, tunc ordo subsequens debet esse con- trarius immediate antecedenti, ut si videlicet memoranda essent libertas servitus frigus estas divitiae paupertas pictas crudelitas iusticia impictas, sic ut sunt hic nominata ordi- nabis; non autem dices: libertas, frigus servitus estas divi- tiae pietas paupertas crudelitas. Graveretur cnim memo- ria sic inordinate procedens cuius ratio videtur quia... contraria non se compatiuntur ad invicem immo iuxta se posita nullo medio, motum habent contrarium et ope- rationem ad invicem contrariam. Sic itaque, sicut motum nullo medio ad invicem habet contrarium, sic in memo- rando nullum aliud habendo vei querendo auxilium, mo- vebunt memoriam. Ars cnim imitatur naturam.!8 Un tentativo dello stesso genere è presente anche nel De omnibus ingeniis augendae memoriae del medico, storico e poeta bergamasco Giammichele Alberto da Carrara che fu pubblicato a Bologna nel 1481.‘° Anche in questo caso le os- servazioni di Aristotele sull’ordine, sul passaggio del simile al simile, sulla contrarietas vengono interpretate come vere e pro- prie “regole” dell’ars memorativa.®® Ma oltre che per queste de- rivazioni aristoteliche e per la proposta di un particolare tipo di 48 De nutrienda memoria, cit., f. 101r. 19 Mi sono servito dell’Inc. contenuto, accanto a quelli delle opere di Pietro da Ravenna e del De Carpanis, nel Cod. marciano cl. VI, 274, ai ff. 69-82: Johannis Michaelis Alberti Carrariensis. De omnibus in- gentis augendae memoriae. Ad prestantissimum virum Aloisium Ma- nentem incliti Venetorum Senatus Secretarium. Impressum Bononiae per me Platonem de Benedictis civem bononiensem, regnante inclito prin- cipe domino Iohanne Bentivolio, secundo anno incarnationis, dominicc 1481 die XXIHI Januarii. Al testo del Carrara attingerà largamente, senza citare l’autore, il medico bergamasco Guglielmo Gratarolo nei suoi Opuscula dedicati alla memoria, Basilea, 1554. Sul Carrara cfr. TiraBoscHi, Storia della letteratura, cit., VI, pp. 688-693. °° De omnibus ingentis, cit., f. 72v.: « Primum est ordo et reminisci- bilium consequentia. Cum cam didicimus ex ordine cum connectione et dependentia si aliquo eorum erimus obliti, facile, repetito ordine, reminisci poterimus. Alterum est ut et uno simili in suum simile pro- IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 35 “memoria locale” fondato sulla suddivisione in cinque parti

del corpo degli animali," il testo del Carrara è importante perché mostra la stretta connessione che venne a stabilirsi, al- l’interno di una certa tradizione aristotelica, fra arte della me- moria e medicina. Richiamandosi a Galeno e ad Avicenna il Carrara affronta, in primo luogo, il problema di una localiz- zazione della memoria, passa poi a discutere delle principali malattie che ostacolano l’uso della memoria, si sofferma ad esporre una serie di regole concernenti l’uso di cibi e bevande, il sonno e il moto, e giunge finalmente alla formulazione di un vero e proprio ricettario. All’idea di una terapeutica della memoria, già presente nel Regimen aphoristicum di Arnaldo da Villanova, e diffusa nella medicina medievale, si richia- mava, accanto al Carrara, anche Matteolo da Perugia che pub- blicava, in quegli stessi anni, un opuscolo di medicina mne- monica.?? In entrambi i testi è non a caso assai frequente il ricorso ad Avicenna: la tesi sostenuta dal Carrara che l’um:- dità sia di ostacolo alla memoria è per esempio già presente nei testi del medico arabo (« qui autem habent locum domi- natum humiditate non rememorant, quia formae non fingun- tur in humido »),°° ma il trattato del Carrara, a differenza di quello del Matteolo e degli altri già presi in esame, appare fondato su numerosissime letture. Oltre ai già noti classici della memoria, comparivano qui i nomi di Galeno, Boezio, Ugo da San Vittore, Giovanni Scoto e Averroè. vehamur: ut si Herodoti obliviscamur de Tito Livio recordati latinae historiae patre, in Grecae historia patrem Herodotum producemur. Tertium est ut contraria recogitemus... ut memores Hectoris, remini- scimur Achillis ». ! De omnibus ingentis, cit., f. 73. Il passo può esser letto nella tra- scrizione che ne ha dato il Tocco (op. cir., p. 34, nota 1). °? Si veda per esempio: Tractatus clarissimi philosophi et medici Ma- theoli perusini de memoria et reminiscentia ac modo studendi tractatus feliciter. L'opera, non datata, è della fine del Quattrocento e insiste sul regime da seguire in vista della buona memoria. Sull’autore cfr. Tira- BoscHI, Storta della letteratura, cit., VI, pp. 462 segg. ° Averrois Cordubensis, Compendia librorum Aristotelis qui parva na- turalia vocantur, in Corpus Comm. Av. in Arist., Cambridge (Mss.), 1949, VII, pp. 70-71. 36 CLAVIS UNIVERSALIS 8. LA COSTRUZIONE DELLE IMMAGINI. Attraverso un contatto con la tradizione della medicina e con certe tesi dell’aristotelismo, la trattatistica sull’ars memoriae del tardo Quattrocento sembra dunque avvicinarsi a temi e a problemi che rivestono un interesse non meramente “tecnico” e non soltanto “retorico”. Tuttavia, ed è opportuno non di- menticarlo, quando a metà del Cinquecento si verificherà l’in- contro fra la grande tradizione del lullismo e l’ars reminiscendi di derivazione “retorica”, saranno proprio i trattati stretta- mente tecnici dei “ciceroniani” ad esercitare una funzione es- senziale. In realtà quell’arte dei luoghi e delle immagini, nono- stante la sua apparente neutralità e atemporalità, era legata alla cultura del Rinascimento da una molteplicità di rapporti, e solo tenendo presenti tali rapporti sarà possibile spiegarsi le ragioni per cui testi spesso aridi e quasi sempre speculativamente inof- fensivi eserciteranno un fascino notevole sulle menti di Agrippa e di Bruno. Chi ponga mente all'importanza dei segni, delle imprese e delle allegorie nella cultura rinascimentale, chi ri- chiami alla mente i testi ficiniani sui « simboli e le figurazioni poetiche che nascondono divini misteri » e avverta il signifi- cato di quel gusto per le allegorie e per le “forme simboliche”

presente negli scritti del Landino, del Valla, del Pico, del Poliziano e più tardi del Bruno, non potrà non rilevare la risonanza che l’arte della memoria in quanto costruttrice di immagini era destinata ad avere in una età che amava incor- porare le idee in forme sensibili, che si dilettava a trasferire sul piano delle discussioni intellettuali la Febbre e la Fortuna, che vedeva nei geroglifici il mezzo usato per rendere indeci- frabili i precetti religiosi, che amava gli “alfabeti” e le icono- logie, che concepiva verità c realtà come qualcosa che si va progressivamente disvelando attraverso i segni e le “favole” e le immagini.“ 94 Su questi temi cfr. E. Cassirer, /ndividuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, Firenze, 1935, pp. 119, 149; PH. Monnier, Le Quattro- cento, Losanna, 1901, pp. 127 segg.; CH. LeMMI, The classical deities in Bacon. A study in mythological symbolism, Baltimore, 1933, pp. 14-19; P. O. KriIsTELLER, // pensiero filosofico di M. Ficino, Firenze, 1953, pp. 86 segg.; E. Garin, L'umanesimo italiano, Bari, 1952, pp. 120 segg.; Medioevo e Rinascimento, Bari, 1954, pp. 66-89. Essenziale resta ]. Seznec, La survivance des dieux antiques, Londra, 1940 (in particolare IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 37 In un testo caratteristico e giustamente famoso, l’Alciati, mentre parlava di un’ars quaedam inveniendorum et excogitan-

dorum symbolorum, si soffermava a lungo a discorrere delle differenze che intercorrono fra schemata, imagines e symbola;?° ottant'anni più tardi, in un libro altrettanto fortunato, il peru- gino Cesare Ripa presentava una « descritione d’imagini delle virtù, vitii, affetti, passioni umane, corpi celesti, mondo e sue arti » annunciando che il suo scritto (che è veramente «la chiave dell’allegorismo del Seicento e del Settecento ») doveva servire « per figurare con i suoi proprî simboli tutto quello che può cadere in pensiero umano ».°°. Alla voce memoria tro- viamo la rappresentazione di « una donna con due faccie, ve- stita di nero et che tenga nella man destra una penna et nella sinistra un libro »: le due facce stanno a significare che la memoria abbraccia « tutte le cose passate, per regola di pru- denza in quelle che hanno a succedere per l’avvenire »; il libro e la penna, simboli della frequente lettura e della scrit- tura, « dimostrano, come si suol dire, che la memoria con l’uso si perfettiona ».°” In un manuale di iconologia, compo- sto negli ultimi anni del Cinquecento, ritroviamo in tal modo da un lato l’antica idea dell’uso e della scrittura come aiutidella memoria (due secoli più tardi Hume parlerà dell’« ope- rosità » e della «scrittura »), dall’altro l’eco di quelle discus- sioni sulla memoria e la « prudenza » che avevano appassio- nato Alberto Magno e Tommaso.”* Ma era l’idea stessa di sulla iconologia le pp. 95-108); ma cfr. anche M. Praz, Studies in Se- venteenth Century Imagery, Londra, 1939 c F. A. Yates, The French Academies of the Sixteenth Century, Londra, 1947, p. 132: «It was on the ’image-level’ of the mind (if one may speak thus) that the Renaissance men achived his ounified outlook ». Uno storico dell’arte come W. WaetzoLp, Diirer and his Time, Londra, 1950, p. 63, giunge del resto a non dissimili conclusioni. Più recente R. }. CLEMENTS, /corno- graphy on the nature and Inspiration of Poetry in Renaissance Emblem Litterature, in PMLA, 1955, IV, pp. 781-804. 55 Omnia A. Alciati Emblemata, Antverpiac, 1581, pp. 11, 13 (Copia usata: Braid. 26. 17. C. 9). La prima edizione è del 1531. 5° È il titolo della /conologia di Cesare Ripa. Uso l'edizione padovana del 1611. La prima edizione è del 1503. °? C. Ripa, /conologia, cit., p. 335. € Sulla Allegoria della prudenza del Tiziano E. Panorsri scrisse, nel 1926, uno splendido saggio (ora ristampato nel vol. The meaning of visual arts, New York, 1957, pp. 146-168). Sulla prudenza come « me- 38 CLAVIS UNIVERSALIS  una rappresentazione sensibile delle “cose” e dei “termini” c di una “personificazione” dei concetti alla quale il Ripa (e molti altri con lui) si ispirava, che aveva indubbiamente assai stretti legami con quella sezione della mnemotecnica che aveva per scopo la costruzione delle immagini. All’interno stesso della più ortodossa tradizione dell’ars memorativa ciceroniana non erano mancate espressioni di una particolare sensibilità per il problema delle immagini. Certe pagine dell'Oratoriae artis epitoma (Venezia, 1482) di Iacobo Publicio ‘* giovano senza dubbio a comprendere come tra queste immagini e quelle delle iconologie sussistesse un legame reale. Le intentiones simplices e «spirituali », affermava il Pubblicio, non aiutate da nessuna corporea similitudine, sfug- gono rapidamente dalla memoria. Le immagini hanno appunto il compito, mediante il gesto mirabile, la crudeltà del volto, lo stupore, la tristezza o la severità, di fissare nel ricordo idee termini e concetti. La tristezza e la solitudine saranno il simbolo della vecchiaia, la lieta spensieratezza quello della gioventù, la voracità sarà espressa dal lupo, la timidezza dalla lepre, la bilancia sarà il simbolo della giustizia, l’erculea clava della fortezza, l’astrolabio dell’astrologia. Ma soprattutto gio- verà richiamarsi, nella costruzione delle immagini, all'opera dei poeti, di Virgilio e di Ovidio. Le loro raffigurazioni della Fama, dell’ Invidia, del Sonno potranno essere felicemente ri- prese in quella collocatio in locis che fa uso di immagini rare ed egregie.®° Simboli e immagini in funzione del ricordare: anche quan- do l’idea di una collocatio imaginum in locis verrà abbando- nata definitivamente, resterà ben salda l’idea dei simboli e delle immagini come aiuti della memoria. La Istoria universale pro- moria del passato, ordinamento del presente, contemplazione del fu- turo » il Panofski avrebbe potuto citare, accanto a fonti meno note, anche 1 passi, assai significativi, di Alberto Magno e di Tommaso d'A- quino. Ma resta egualmente significativa la penetrazione, entro le arti figurative, dell’antico tema della connessione memoria-prudenza. 5° PusLicii IacoBI, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatun spectant oratorem, Venetiis, 1482. L’opera del Publicio fu ristampata nel 1485 a Venezia (Erhardus Radtolt augustensis ingenio miro et arte perpolita impressioni mirifice dedit) e successivamente ad Augusta nel 1490 e nel 1498. Qui si è fatto uso dell’ Inc. 697 dell’Angelica di Roma. 6° Oratoriae artis epitoma, cit., d4v.-d4v. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 39 vata con monumenti e figurata con simboli degli antichi pub- blicata nel 1697 da Francesco Bianchini doveva « unire alla fa- cilità dell’apprendere e del comprendere la stabilità dell’ordi- nare e del ritenere »;* la « dipintura proposta al frontispizio » della Scienza Nuova di Giambattista Vico doveva servire al leggitore « per concepire l’idea di quest'opera avanti di leg- gerla, e per ridurla più facilmente a memoria ».** ©! Francesco BrancHInI Veronese, La istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi, Roma, 1697, p: 5 (Copia usata: Braid. AA. V. 13). 8? G. Vico, Opere, a cura di F. Nicolini, Milano-Napoli, 1953, p. 367, e cfr. le mie Schede vichiane, in « La Rassegna della letteratura ita- liana », 1958, 3, pp. 375 segg. II. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA NEL SECOLO XVI 1. LA RINASCITA DEL LULLISMO. Nel corso del secolo XVI si verificano, in quel settore della cultura che qui ci interessa, due importanti fenomeni. Il primo è la diffusione in Inghilterra, in Germania, in Francia di quell’arte della memoria locale che aveva avuto, alla fine del Quattrocento, la sua più organica e completa trattazione nel- l’opera di Pietro da Ravenna. Il secondo è il contatto che venne a stabilirsi fra quella tradizione mnemotecnica che risale a Cicerone, a Quintiliano, alla RAetorica ad Herennium, a Tommaso e l’altra, diversa tradizione di logica combinatoria che fa capo alle opere di Raimondo Lullo. Fra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento, Cusano, Bessarione, Pico, Lefèvre d’Etaples, Bovillus e poi Lavinheta e Agrippa e Bruno contribuiscono a diffondere le opere di Lullo, l’inte- resse per l’ars magna e la passione per la combinatoria entro tutta la cultura europea. Il significato della loro adesione ad una tematica che appare così profondamente estranea ad una mentalità post-cartesiana e post-galileiana è necessariamente sfuggito sia a quegli interpreti che hanno visto nell’ars magna una specie di sommario elementare o “preistorico” di logica simbolica, sia a coloro che hanno preferito sbarazzarsi, con facile ironia, delle “stranezze” di molti fra gli esponenti più significativi e più noti di una non trascurabile stagione della cultura occidentale. L'interesse per la cabala e per le scritture geroglifiche, per le scritture artificiali e universali, per la scoperta dei primi princìpi costitutivi di ogni possibile sapere, l’arte della me- moria e il richiamo continuo ad una logica intesa come “chiave” capace di aprire i segreti della realtà: tutti questi temi appaiono inestricabilmente connessi con la rinascita del lullismo nel Rinascimento e formano, davanti a chi affronti direttamente i testi del Cinquecento e del Seicento da Agrippa a Fludd, da Gassendi a Henry More, una sorta di inestrica- 42 CLAVIS UNIVERSALIS bile groviglio del quale non appare del tutto lecito sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “plato- nismo”. In realtà molti dei temi che formano quel groviglio hanno non pochi e non trascurabili riflessi anche sui problemi della speculazione e della scienza: dalla teoria baconiana e vichiana dei segni delle immagini e del linguaggio, alla discussione baconiana e cartesiana sull’a/bero delle scienze e sulle facoltà; dalle polemiche sul significato della dialettica e sui suoi rap- porti con la retorica, a quelle concernenti le topiche e il pro- blema del metodo e infine a quelle stesse trattazioni di filo- sofia naturale che fanno appello alla struttura logica della realtà materiale, all’alfabeto della natura o ai caratteri im- pressi dalla Divinità nel cosmo. Non si ha qui la pretesa di dar fondo a questi complessi problemi: si ritiene tuttavia che ad una maggiore compren- sione di talune delle questioni precedentemente indicate possa giovare non poco un esame, analiticamente condotto, della diffusione del lullismo nel secolo XVI e del suo connettersi con la già fiorente tradizione dell’arte mnemonica. 2. AGRIPPA E LE CARATTERISTICHE DELL’ARS MAGNA. Nei primi anni del Cinquecento, in una lettera dedicatoria premessa al suo commento all’Ars brevis di Raimondo Lullo, Cornelio Agrippa * tracciava un sommario quadro della diffu- 1 Faccio uso dell'edizione delle opere e dei commenti lulliani pubbli- cate a Strasburgo dai fratelli Zetzner. Si dà qui, per comodità del lettore, un sommario del contenuto di questa edizione (che verrà di seguito indicata semplicemente con ZetznER). Raymundi Lullii Opera ca quae ad inventam ab ipso artem universalem scientiarum artiumque omnium brevi compendio firmaque memoria apprchendendarum locu- pletissimaque vel oratione ex tempore petractandarum pertinent. Ut et in candem quorundam interpretum scripti commentarit... Accessit Va- leriù de Valerits patrici veneti aureum in artem Lullii generalem opus, Argentorati, Sumpt. Hacr. Lazari Zetzneri, 1617 (copia usata: Triv., Mor., I, 304. La prima edizione è del 1598. L’opera fu ristampata nel 1609 e ne 1651; parzialmente riprodotta: Stoccarda, 1836). Il volume contiene i seguenti scritti: Opere autentiche di Lullo: Logica brevis et nova, pp. 147-161; Ars brevis, pp. 142; Ars magna generalis ultima, pp. 218-663; Tractatus de conversione subiecti et praedicati per medium, pp. 166-177; Duodecim principia philosophiae, pp. 112- ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 43 sione del lullismo nella cultura europea: Pedro Daguì e il suo discepolo Janer sono ben noti e celebrati in Italia, l’insegna- mento di Fernando de Corboba ha avuto vastissima risonanza nelle scuole europee, Lefèvre d’Etaples e Bovillus sono stati, a Parigi, devotissimi a Lullo, infine i fratelli Canterio ° hanno mostrato non solo alla Francia e alla Germania, ma anche all'Italia, le mirabili possibilità dell’arte. Mentre si richiamava ai grandi maestri del lullismo, Agrippa chiariva anche breve- 146. Opere apocrife e attribuite a Lullo: De auditu kabbalistico seu kabbala, pp. 43-111; Oratio exemplaris, pp. 224-217 (sic, errore di numerazione nelle pagine); /n RAesoricam Isagoge, pp. 172-223; Liber de venatione medii inter subiectum et praedicatum, pp. 162-165. Com- menti: G. Bruno, De lulliano specierum scrutinio, pp. 664-680; De lampade combinatoria lulliana, pp. 681-734; De progressu logicae ve- nationis, pp. 735-786; H. C. Acrirra, In artem brevem Raymundi Lullit commentaria, pp. 787-916; VaLeria DE VALERIS, Opus aureum in quo omnia breviter explicanter quae R. Lullus tam in scientiarum arbore quam arte generali tradit, pp. 969-1109. ° Su Pedro Daguì che tenne pubblici corsi di lullismo nella cattedrale di Maiorca nel 1481, sul suo discepolo Janer, sul filosofo platonico

Fernando de Còrdoba che difese Daguì dalle accuse di eterodossia in una commissione nominata da Sisto IV, sul lullismo del Lefèvre e del Bouelles, sui fratelli Andrés, Pedro e Jaime Canterio cfr.: T. e |. Carreras y ArRTAu, Filosofia cristiana de los siglos XII al XIV, Madrid, 1939-43, 2 voll., vol. II, pp. 65 segg., 78, 283 segg., 201-209, 216 segg. nel quale si trovano notizie bio-bibliografiche sui singoli autori. Stru- mento essenziale per la storia del lullismo è: E. RocENT y E. Duran y Renats, Bibliografia de las impressions lul-lianes, Barcelona, 1927 (per le edizioni, numerosissime, del commento di Agrippa, cfr. i numeri: 79, 80, 82, 86-88, 103-105, III, 125, 144, 148, 162, 180). Per le notizie sulle opere edite e inedite, sui manoscritti ecc. si vedano: Littré, in Histoire littéraire de la France, vol. XXIX; E. Lonc- PRÉ, voce Lulle in Dictionnaire de théologie catholique, vol. IX; J. Avinvò, Les obres autèntiques del Beat Ramon Lull, Barcelona, 1935; C. Ortaviano, L'ars compendiosa de R. Lulle avec une étude sur la bibliographie et le fond ambrosien de Lulle, Paris, 1930. Per la diffu- sione del lullismo, particolarmente in Italia, sono assai importanti gli studi di Miguel BatLLORI che, oltre a una preziosa Introducion biblio- grafica a los estudios lulianos, Mallorca, 1945, ha pubblicato: E/ /ulismo en Italia, Madrid, « Rev. de Filos. de l’ Inst. L. Vives », II, 5-6-7, 1944; La obra de R. Lull en Italia, in « Studia », Palma de Maiorca, ag.-sett., 1943; Le lullisme de la Renaissance et du Baroque: Padoue et Rome, in «Actes du XIéme Congrès Int. de Philos. », Bruxelles, 1953, vol. XIII, pp. 7-12 (per una completa informazione cfr. Bibliografia del P. Miguel Batllori S. I., Torino, 1957). 44 CLAVIS UNIVERSALIS mente la portata e il senso della combinatoria lulliana, le ra- gioni della sua superiorità e della sua efficacia: l’arte — affer- mava — non ha nulla di « volgare », non ha a che fare con oggetti determinati e proprio per questo si presenta come la regina di tutte le arti, la guida facile e sicura a tutte le scienze e a tutte le dottrine. L’ars inventiva appare caratterizzata dalla generalità e dalla certezza; con il suo solo aiuto, indipenden- temente da ogni altro sapere presupposto, gli uomini potranno giungere ad eliminare ogni possibilità di errore e a trovare « de omni re scibili veritatem ac scientiam ». Gli “argomenti” dell’arte sono infallibili e inconfutabili, tutti i particolari di- scorsi e princìpi delle singole scienze trovano in essa la loro universalità e la loro luce (« omnium aliarum scientiarum prin- cipia et discursus tanquam particularia in suo, universali luce, elucescunt »); infine, proprio perché racchiude e raccoglie in sé ogni scienza, l’arte ha il compito di ordinare, in funzione della verità, ogni sapere umano.° Agrippa, che pure scriverà molti anni più tardi una pagina feroce contro la tecnica lulliana,' poneva dunque in rilievo, nella prefazione al suo commento, due delle fondamentali caratteristiche con le quali l’arte lulliana si presenta alla cul- tura del Rinascimento. In primo luogo essa appare come una scienza generalissima e universale la quale, richiamandosi a princìpi assolutamente certi e a infallibili dimostrazioni, con- sente la determinazione di un criterio assoluto di verità; in secondo luogo, proprio perché si costituisce come la scienza delle scienze, l’arte è in grado di offrire il criterio per un pre- ciso e razionale ordinamento di tutto lo scibile i vari aspetti * H. C. AcrIPra, /n artem brevem... commentaria, Zetzner, pp. 787-89. 4 H. C. Acrirra, De wvamitate sciertiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos Fratres, 1600, 2 voll., vol. II, pp. 31 segg. (il cap. IX del De vanitate ha per titolo De arte Lulli, il X De arte memorativa). Cfr. lo stesso testo nella versione italiana di L. Dominichi, Venezia, 1549 (copia usata: Braidense 25. 13. H. 14). Nel Saggio bio-bibliografico su C. Agrippa di HeLpa BuLLortA Bar- RAacco, in « Rassegna di filosofia », 1957, III, pp. 222-248, non si fa cenno al commento lulliano di Agrippa. L'opera non è databile con precisione. G. A. Prost, Les sciences et les arts occultes au XVIè*me stècle, Paris, 1881, I, p. 35 la assegna al 1517, con argomenti forse in- sufficienti. Certamente lo scritto è antecedente al 1523 (cfr. Claudius Blancheroseus H.C. Agrippae, in Fpist., III, 36, Opera, cit., II, p. 802). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 del quale mediante successive sussunzioni del particolare al enerale vengono tutti, senza esclusioni, ricompresi e inverati nell’arte. Il giovane Agrippa non aveva fatto altro in realtà che esporre vivacemente e chiarificare temi largamente diffusi. Sul- l'efficacia «inventiva » dell’arte e sulla sua « finalità enciclo- pedica » egli non era stato il solo ad insistere. Il tema di una logica intesa come chiave della realtà universale, come discorso concernente non i discorsi umani ma le articolazioni stesse del mondo reale si congiunge infatti strettamente, nei testi stessi di Lullo e in quelli del lullismo, con l’aspirazione ad un ordinamento di tutte le scienze e di tutte le nozioni che corrisponda all'ordinamento stesso del cosmo. Giustamente si è potuto parlare, a questo proposito, di una « direzione logico- enciclopedista » del pensiero lulliano che si pone, come motivo centrale e dominante, accanto alla direzione « mistica » e a quella « polemico-razionalista ».@ L'apprendimento delle regole dell’arte e la ordinata classificazione di tutte le nozioni im- plicano e presuppongono d’altra parte la costruzione di un sistema mnemonico che si presenta come parte integrante e costitutiva della logica-enciclopedia. Ma gioverà a questo punto, per chiarire questi problemi, delineare brevemente alcuni degli aspetti fondamentali della problematica connessa al lullismo facendo riferimento sia ai testi di Lullo sia a quelli della tra- dizione lullista. 3. ARTE, LOGICA E COSMOLOGIA NELLA TRADIZIONE LULLIANA. Nei testi di Lullo l’arte si presenta come una «logica » che è anche e contemporaneamente « metafisica » (« ista ars est et logica et metaphysica ») ec che tuttavia differisce dall’una e dall’altra sia «in modo considerandi suum subiectum » sia «in modo principiorum ». Mentre la metafisica considera gli enti esterni all'anima « prout conveniunt in ratione entis », e la logica li considera secondo l’essere che essi hanno nell'anima, l’arte invece, suprema fra tutte le umane scienze, considera gli enti secondo l’uno e secondo l’altro modo. A differenza ° Cfr. Carreras y Artau, Filosofia cristiana, cit., II, pp. 10-11. © Introd. all’Ars demonstrativa, in R. Lutt, Opera omnia, Mainz, 1721- 42, III, p. 1. Gli otto volumi dell’edizione di Mainz numerati I-VI, IX, 46 CLAVIS UNIVERSALIS della logica che tratta delle seconde intenzioni, l’arte tratta delle prime intenzioni; mentre la logica è « scientia instabilis sive labilis », l’arte è «permanens et stabilis »; ad essa è possibile quella scoperta della « vera lex » che è invece pre- clusa alla logica. Esercitandosi per un mese nell’arte si po- tranno non solo rintracciare i princìpi comuni a tutte le scienze, ma anche conseguire risultati di molto maggiori di quelli raggiungibili da chi si dedichi per un anno intero allo studio della logica." Opportune premesse all’acquisizione del- l’arte appaiono non a caso, da questo punto di vista, la cono- scenza della logica tradizionale e quella delle cose naturali: «Homo habens optimum intellectum et fundatum in logica et in naturalibus et diligentiam poterit istam scientiam scire duobus mensis, uno mense pro theorica et altero mense pro practica... ».° Presentandosi strettissimamente connessa alla conoscenza delle cose naturali, alla metafisica, all’ontologia l’arte mostrava da un lato la sua irriducibilità sul piano di una conoscenza

formale e dall’altro i suoi legami con quella metafisica esem- plaristica e con quell’universale simbolismo che costituiscono insieme lo sfondo e la premessa delle dottrine lulliane. La scomposizione dei concetti composti in nozioni semplici e irri- ducibili, l'impiego di lettere e di simboli per indicare le no- zioni semplici, la meccanizzazione delle combinazioni tra i concetti operata per mezzo delle figure mobili, l’idea stessa di un linguaggio artificiale e perfetto (superiore al linguaggio comune e a quello delle singole scienze) e quella di una specie di meccanismo concettuale che si presenta, una volta costruito, assolutamente indipendente dal soggetto umano: questi ed altri caratteri dell’ars combinatoria han fatto sì che storici in- signi, dal Biumker al Gilson, abbiano avvicinato — e non X (il VII c I'VIII non furono pubblicati) furono curati, per i primi tre volumi, da Ivo Salzinger. Su questa singolare figura e sulle vicende dell'edizione maguntina cfr. Carreras y Artau, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 323-353. ? Cfr. Ars magna generalis ultima, cap. CI De logica, in ZETZNER, pp- 537-38. S Cfr. Ars magna generalis ultima, in ZETZNER, p. 663. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 47 erroneamente — la combinatoria alla moderna logica formale. A differenza di altri storici meno provveduti, tuttavia, sia il Biumker sia il Gilson avevano chiaramente presente il peso esercitato sul pensiero di Lullo da quell’esemplarismo e da quel simbolismo al quale ci siamo ora riferiti. Dio e le dignità divine appaiono a Lullo gli archetipi della realtà mentre l’in- tero universo si configura come un gigantesco insieme di sim- boli che rimandano, al di là delle apparenze, alla struttura stessa dell’essere divino: «le similitudini della natura divina sono impresse in ogni creatura secondo le possibilità ricettive della stessa creatura, e ciò secondo il più e il meno, secondo che esse più si avvicinano al grado superiore nel quale è l’uomo, così che ogni creatura, secondo il più e il meno, porta in sé il segno del suo artefice ».!° Anche gli alberi, teorizzati nell’Arbre de Sciencia, non of- frono in alcun modo l’esempio di una classificazione formale del sapere: essi rimandano, attraverso un complicato simbo- lismo, alla realtà profonda delle cose, quella realtà che al filosofo spetta appunto di scoprire individuando i “significati” delle varie parti degli alberi. Le diciotto radici dei primi alberi, che rappresentano il mondo delle creature, corrispon- dono non a caso ai princìpi stessi dell’arte. Di modo che, come è stato giustamente notato,"! le radici o fondamenti reali ° Cfr. C. Barumker, Die curopaische Philosophie der Mittelalter, nel vol. Allgemeine Gesch. der Phil., Berlino, 1923, pp. 417-18; E. Gitson, La philosophie franciscaine, nel vol. Saint Frangois d'Assise ecc., Parigi, 1927, p. 163. Un'ampia e precisa esposizione della combinatoria lul- liana è in P. E. W. PLatzeck, La combinatoria luliana, in « Revista de Filosofia », 1953, pp. 575-609 e 1954, pp. 125-165 (già precedentemente pubblicato in « Franziskanische Studien », 1952, pp. 32-60 e 377-407). Assai notevole è lo studio di Fr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, in « Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », 1954, nn. 1-2, pp. 115-173 nel quale vengono posti chiaramente in luce i rapporti tra la logica c la cosmologia lulliane. Del tutto insufficiente appare, alla luce di questi studi, la interpretazione e l'esposizione del PrANTL, ediz. 1955, III, pp. 145-177. 1° Compendium artis demonstrativac, in R. Lutt, Opera, Mainz, 1721. 24, III, p. 74. 1! Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, cit., I, p. 484. La versione

catalana dell’Arbor scientiae occupa i volumi XI-XIII (1917-26) del- l'edizione delle Obres de Ramon Lull, Palma de Mallorca, 1901 segg. Le più recenti edizioni latine sono Lione, 1635 e 1637 (ediz. prece- denti: Barcellona, 1482 c 1505; Lione, 1505, 1515 e 1605). 48 CLAVIS UNIVERSALIS delle cose, i princìpi dell’arte, e le dignità divine appaiono, nella terminologia lulliana, termini assolutamente intercam- biabili ed equivalenti. Gli strettissimi legami fra l’arte e la teoria degli elementi sono stati del resto messi in luce di recente, con molta pene- trazione, da un ampio studio di F. Yates.!? Il tradizionale “approccio logico” alla dottrina lulliana (del tipo di quello presente nella trattazione del Prantl) si è rivelato alla Yates parziale e insufficiente. Un accurato studio dell’inedito Trac- tatus novus de astronomia del 1297 non solo ha posto in luce il significato della applicazione delle regole dell’arte alla astro- logia, ma ha anche chiarito come nelle varie opere di Lullo i nove princìpi divini (le cui “influenze” erano state identifi- cate nel Tractatus de astronomia con quelle dei segni dello Zodiaco e dei pianeti) costituiscano la base effettiva della uni- versale applicabilità dell’arte allo studio della medicina, del diritto, della astrologia, della teologia e, come avviene nel Liber de lumine, della luce. Che sulla base dell’esemplarismo lulliano si potesse perve- nire a una specie di identificazione dell’arte con una cosmo- logia è mostrato, fra l’altro, da uno dei primi testi del lullismo europeo sul quale la Yates ha opportunamente richiamato la attenzione. Tomàùs le Myésier, autore dell’ Electorium Re- mundi (Par. Naz. Lat. 15450) composto ad Arras nel 1325," fu amico personale e discepolo entusiasta del Lullo. In una specie di grande compilazione, egli intende presentare i carat-

teri essenziali della dottrina del suo maestro: all’arte spetta una funzione precisa: la difesa della fede cristiana contro gli averroisti e il riconducimento di tutti gli uomini alla com- prensione della verità e dei misteri divini. Proprio nella parte espositiva o introduttiva si rivelano chiaramente le connes- sioni fra arte e cosmologia: il circolo dell’universo, la cui rap- presentazione grafica viene accuratamente descritta dall'autore, comprende la sfera angelica attorno alla quale ruotano il primo mobile, l’empireo, il cristallino, la sfera delle stelle fisse e le sette sfere dei pianeti. La terra, sulla quale sono rappre- 12 Fr. A. YATEs, The Art of Ramon Lull, cit. 19 Parigi, lat. 15450 (inizio sec. XIV). La data di composizione è in fine al testo: « Anno Domini 1325 per Thoman Migerii. In attrebato ». ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 sentati un albero un animale e un uomo, è circondata dalle sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco. Ad ognuno dei nove segmenti nei quali il cerchio dell’universo è diviso corrispon- de una delle nove lettere dell’alfabeto lulliano (BCDEFGHIK) nel suo duplice significato di predicato assoluto e relativo, mentre, secondo gli insegnamenti di Lullo, alcuni dei signi- ficati delle lettere cambiano in corrispondenza alle diverse sfere.!! L’ Electorium de le Myésier non rimase certo un caso iso- lato: la presenza di interessi di tipo cosmologico all’interno di quell’ampia letteratura lullista che si diffonde in tutta Eu- ropa fino dalla prima metà del Quattrocento è ampiamente documentabile. Ad una adesione, o quanto meno ad una spiccata simpatia per il lullismo, corrisponde in moltissimi testi l’idea del rapporto necessario che si pone fra la costru- zione di un’arte indifferentemente applicabile a tutti i rami del sapere e la delineazione di un'immagine gerarchica e uni- taria dell’universo. Proprio sull’esemplarismo e sulle dignità divine come fondamenti primi dell'arte lulliana insiste, non a caso, il primo grande filosofo europeo che si muove entro l’orizzonte del lullismo. « Primum fundamentum artis — scri- verà Cusano — est quod omnia, quae Deus creavit et fecit, creavit et fecit ad similitudinem suarum dignitatum ».!* I prin- cìpi dell’arte combinatoria (donitas, magnitudo, aeternitas, po- testas, sapientia, voluntas, virtus, veritas, gloria) apparivano qui, ancora una volta, come principia essendi et cognoscendi, non meramente formali, ma esprimenti le caratteristiche divine e di conseguenza quelle di tutti gli esseri esistenti. La metafisica esemplaristica costituiva la garanzia della assoluta infallibilità di una logica attinente non ai discorsi, ma alla realtà. Mentre polemizzava implicitamente con il Gerson e proponeva una 14 Cfr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, cit., p. 172. 15 Cod. Cus. 85, £. 55 v. cit. in P. E. W. PLatzecg, La combinatoria luliana, cit., p. 135. Dello stesso autore si vedano anche: E! /ulismo en las obras del Cardinal N. Kreos de Cusa, in « Rev. Espafiola de Teologia », 194041, pp. 731-65 c 1942, pp. 257-324; Los postumos datos lulisticos del Dr. M. Honecker y las glosas del card. N. de Cusa sobre el Arte luliana, « Studia monographica », 1953-54, pp. 1-16; Lullsche Gedanken bei Nikolaus von Kues, « Trierer Theologische Zeitschrift », 1953, pp. 357.64. 50 CLAVIS UNIVERSALIS riforma terminologica dell’arte lulliana, il Cusano, in una sua postilla all’Ars Magra, mostrava di accettare la sostanza del- l'insegnamento di Lullo: Praedictorum principiorum nomina sunt apud philosophos inusitata et tamen iuxta figmentum inventoris propositae artis res vera significantia. Ergo, cum propter nostram af- firmationem vel negationem nihil mutetur in re... et omne verum vero consonet... praefata ars non est repudianda propter suorum nominum improprietatem [che era la tesi del Gerson]; quin potius, ut possit concordari cum scientiis aliis, est ad corum terminos exfiguranda,!% Ancora più strettamente legata alle impostazioni “esempla- ristiche” del lullismo è, d’altra parte, la dottrina cusaniana dell’ascesa e discesa dell’intelletto secondo la quale è possi- bile elevarsi alla conoscenza di Dio muovendo dalla somi- glianza con le divine perfezioni impressa nelle creature, e di scendere dalla conoscenza dell’essere divino e dei suoi attributi alla conoscenza della realtà che di quella perfezione è lo specchio.!’ Nel Liber de ascensu et descensu intellectus, composto dal Lullo a Montpellier nel 1304, era stato ampiamente svolto il tema, poi ripreso dal Cusano, di una conoscenza che procede attraverso la ricerca delle analogie e dei segni — alla rico- struzione di quel divino modello che ha presieduto alla co- struzione del reale. Attraverso la descrizione della compli- cata scala degli esseri, dalla pietra al fango alla pianta al bruto all'uomo al cielo all'angelo a Dio, questo tema si era andato identificando con l’altro, ben noto, di una ricostruzione minuta, ed “enciclopedica” delle complesse gerarchie del co- smo. Questa stessa impostazione “cosmologica” troviamo pre- sente in quel Liber creaturarum di Raimundo Sibiuda (Sa- 15 Cfr. Martin Honecker, R. Lulls Wahlvorschlag Grundlage des Kaiserwahlplanes bei N. von Cues?, « Historisches Jahrbuch », vol. 57, 1938, p. 572. Sul Iullismo del Cusano si vedano gli studi di F. Kraus, di J. Marx, di F. Tocco, di E. pe VANSTEENBERGHEN segnalati nel ca- pitolo Influencias lultanas en Nicolàs de Cusa della cit. Filosofia cri- stiana det Carreras v ArtAu, II, pp. 178-196. Più recenti: M. DE Ganpittac, La philos. de N. de C., Paris, 1941 e J. E. HorMann, Die Quellen der cusanischen Mathematik, Heidelberg, 1942. 17 Cfr. Carreras v Artau, Filosofia cristiana, cit., Il, p. 187. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 5I bunde, Sebond) che influirà sullo stesso Cusano, su Lefèvre d’Etaples, Bovillus e Montaigne e che fu composto (fra il 1434 e il ’36) negli stessi anni che videro Cusano appassionato let-

tore e trascrittore dei testi di Lullo. Anche qui, accanto alla dottrina dell’ascesa e discesa dell’intelletto, accanto all’affer- mazione di un’arte concepita come « radix et origo et funda- mentum omnium scientiarum », il cui possesso è raggiungi- bile in brevissimo tempo con risultati mirabili (« quia plus sciet infra mensem per istam scientiam quam per centum an- nos studendo Doctores »), troviamo l’immagine di una scala naturale i cui vari gradini vanno ritenuti a memoria e rap- presentati mediante figure: «et haec est prima consideratio in hac scientia radicalis et fundamentalis, scilicet considerare istos gradus in se, et bene plantare et radicare cos in corde et figurare sicut in natura realiter ».!* La ordinata successione dei gradi ci offre un'immagine unitaria, gerarchica e organica dell’universo: il primo grado comprende le cose che sono, ma non vivono né sentono né intendono (minerali e metalli, cieli e corpi celesti, oggetti arti- ficiali); il secondo comprende ciò che è e vive, ma è privo del sentire e dell’intendere (i vegetali); il terzo gli animali che sono vivono e intendono; nel quarto infine, ove risiede l’uomo, sono presenti l’essere il vivere il sentire e l’intendere. L’uomo, come microcosmo, riassume in sé le proprietà stesse dell’universo, è la vivente immagine di Dio. 4. L’ArBoR SCIENTIAE E GLI ENCICLOPEDISTI DEL secoLo XVI. Che l’arte lulliana rinviasse a una descrizione della realtà universale e che questa descrizione si andasse configurando a sua volta come una vera e propria enciclopedia è cosa che, dopo le considerazioni fin qui svolte, dovrebbe risultar chiara. Nell’Arbre de Sciencia, composto a Roma nel 1295, l’impiego degli “alberi” veniva esplicitamente presentato come un mezzo per rendere l’arte più « popolare », più direttamente e facil- mente acquisibile e l'enciclopedia si presentava come parte in- tegrante della grande riforma del sapere progettata da Lullo. !* R. Sabunpe, Liber creaturarum, ed. Wolfangus Hoffmanus, Frank- furt s. Main, 1635, tit. I, p. 8. 52 CLAVIS UNIVERSALIS Alla base dell’enciclopedia, articolantesi in sedici alberi, sta un'idea centrale: quella di una fondamentale unità del sapere umano che è in stretta relazione all’unità essenziale del cosmo. Una suggestiva illustrazione del manoscritto ambrosiano che contiene la versione catalana del testo di Lullo,!® mostra il filosofo e un monaco ai piedi dell'albero delle scienze. Al mo- naco, la cui figura ritorna accanto a quella di Lullo in tutte le illustrazioni dei vari alberi, Lullo si era rivolto per conforto dopo che il suo piano missionario, che includeva la propaga- zione dell’arte, aveva trovato fredda accoglienza presso Boni- facio VIII e proprio il monaco (così racconta Lullo nel prologo) lo aveva consigliato di presentare la grande arte sotto una nuova forma. Le diciotto radici dell’albero delle scienze sono costituite dai nove principi trascendenti (o nove dignità divine) e dai nove princìpi relativi dell’arte (differentia, concordantia, contrarietas; principium, medium, finis; matoritas, aequalitas, minoritas). L'albero si suddivide in sedici rami, ciascuno dei quali corrisponde ad uno degli alberi che formeranno la fore- sta della scienza: l’arbor elementalis, V’arbor vegetalis (bota- nica e applicazioni della botanica alla medicina), sensualis (esseri sensibili e senzienti e animali), imaginalis (quegli enti mentali che sono similitudini degli enti reali trattati negli alberi precedenti), Aumanalis, moralis (etica, dottrina dei vizi e delle virtù), imperialis (connesso all’arbor moralis, si riferi- sce al regimen principis e alla politica), apostolicalis (governo ecclesiastico e gerarchia della Chiesa), celestialis (astronomia e astrologia), angelicalis (gli angeli e gli aiuti angelici), eviter- nalis (immortalità, mondo ultraterreno, inferno e paradiso), maternalis (mariologia), christianalis (cristologia), divinalis (teo- logia, dignità divine, sostanza e persone di Dio, perfezioni e produzioni divine). L’arbor exemplificalis (nel quale vengono esposti allegoricamente i contenuti degli alberi precedenti) e l’arbor quaestionalis (nel quale vengono proposte quattromila questioni riferentisi agli alberi precedenti) si presentano come «ausiliari » rispetto al corpus dell’enciclopedia. 1° Cod. Ambrosiano D. 535 inf. fol. 37v. L’illustrazione è riprodotta nel vol. XIII delle Obres de Ramon Lull, cit. La stessa immagine an- che nell'edizione latina, Lione, 1515, p. 145. De L’arbre de Sciencia ho usato la versione castigliana stampata a Bruxelles dal Foppens nel 1664 (Braid. BB. 9. 64). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 53 L'unità del mondo del sapere appare dunque fondata sul fatto che i princìpi assoluti e i princìpi relativi dell’arte costi- tuiscono la comune radice del mondo reale e del mondo della cultura. Su queste radici (simboleggiate dalle nove lettere del- l’alfabeto lulliano) poggiano infatti sia l’arbor elementalis i cui rami indicano i quattro elementi semplici della fisica, le cui foglie simboleggiano gli accidenti delle cose corporee, e i cui frutti fanno riferimento alle sostanze individuali come l’oro e la pietra, sia l’arbor Aumanalis che raccoglie, accanto alle facoltà umane e agli abiti naturali, anche quelli artificiali o le arti meccaniche e liberali. L'immagine lulliana dell’albero delle scienze, non a caso ripresa da Bacone e da Cartesio, sarà particolarmente fortunata, ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l’aspira- zione lulliana verso un corpus organico e unitario del sapere, verso una sistematica classificazione degli elementi della realtà. Non mancheranno certo suggestioni derivanti da altre fonti e da altri ambienti di cultura, ma Lefèvre d° Etaples e Bovillus, Pedro Gregoire e Valerio de Valeriis, Alsted e Leibniz faranno preciso riferimento, affrontando questi problemi, ai testi di Lullo e a quelli del lullismo. In quell’ideale pansofico che domina tutta la cultura del secolo XVII si insisterà da un lato sul necessario possesso dell’intero orbe intellettuale e dal- l’altro sulla conoscenza di una legge, di una chiave, di un linguaggio capace di dominare il tutto e di permettere una diretta lettura dell’alfabeto impresso dal creatore sulle cose: cosmo reale e mondo del sapere appariranno realtà da cogliere nella loro sostanziale unità e identità di struttura, nella loro profonda “armonia”. Sui testi della pansofia seicentesca do- vremo ritornare. Per ora basterà fermarsi brevemente su alcuni testi cinquecenteschi nei quali questi aspetti dell’eredità lul- liana si espressero in modo compiuto e coerente. Lo scritto In RAetoricam Isagoge fu pubblicato a Parigi, nel 1515, da Remigio Rufo Candido d’Aquitania dietro incita- mento di Bernardo Lavinheta, uno dei più rinomati lullisti dell’epoca. Attributo a Lullo, e ristampato nelle edizioni delle opere di Lullo dello Zetzner, lo scritto rivela chiaramente il suo carattere di opera pseudo-lulliana: frequenti appaiono i riferimenti a Cicerone e a Quintiliano, ai dialoghi platonici, alla mitologia e alla storia greche e romane. In un testo com- 54 CLAVIS UNIVERSALIS posto quasi certamente fra la fine del secolo XV e l’inizio del XVI, e che veniva considerato come un’opera autentica di Lullo, troviamo una singolare mescolanza di retorica, di co- smologia e di aspirazioni enciclopedistiche. Nella prefazione indirizzata dal Rufo ai suoi discepoli, i fratelli Antonio e Francesco Boher, la finalità enciclopedica dell’opera veniva presentata come strettamente connessa alle esigenze della reto- rica e ai bisogni dell’oratore: « Per consiglio e ispirazione del nostro amico Bernardo di Lavinheta studiosissimo di Lullo, portiamo alla luce questa Retorica affinché in questo libro, come in uno specchio nitidissimo, possa essere contemplata, o meglio ammirata, l’immagine di tutte le scienze. È infatti necessario che l’oratore sia a conoscenza di tutto e si impa- dronisca con diligenza di tutto quel mondo delle scienze che vien detto enciclopedia. Per questo, l’autore volle abbracciare con brevità e stringatezza tutte quelle cose che son relative alla comprensione di ciascuna scienza ».?° Nel testo pseudo-lulliano non mancavano, naturalmente, le tonalità occulte caratteristi- che della magia rinascimentale e della letteratura lulliano-al- chimistica: « Ex tenebris lux ipsa emergit. Ipse enim posuit tenebras latibulum suum, qui apparuit in monte circumdato caligine et nebula. Qui rationem dicendi discere volunt, opus habent ut eam silentio adipiscantur. Hinc silentium Pytha- gorae ». 20 Traduco dalla prima edizione: Raemaundi Lulli Eremitae divinitus illuminati, in Rhetoricen Isagoge perspicacibus ingeniis expectata, Ve- nundantur in Ascensianis Aedibus, 1515 (pagg. non numerate). Il passo cit. è tratto dalla lettera dedicatoria di Remigio Rufo (su questo per- sonaggio cfr. Carreras y Artav, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 214 segg.). La stessa opera è inserita nella edizione ZETZNER, pp. 172-223. Ho trovato indicato il Cod. Vat. Lat. 6295 a proposito di un’opera inedita di Lullo: la RAetorica Nova della quale esistono vari altri manoscritti (Parigi Lat. 6443c, ff. 95v.-109v.; Monaco Staatsbibl., 10594, ff. 164r.-196v.; Ambrosiana N. 185 sup., ff. 1v.-35v.). Il codice Vaticano indicato contiene invece, insieme agli Sratuta pesciven- dolorum Urbis, una redazione manoscritta dell’opera apocrifa In Rheto- ricam Isagoge (si tratta di un cod. cartaceo del sec. XVI che reca due fogli bianchi e non numerati all’inizio. Lo scritto pseudo-lulliano oc- cupa le carte ]r.-25v. Il codice è stato rilegato assieme ad un cod. pergamenaceo del secolo XV che contiene gli Statuti sopra indicati). Gli altri tre codici (parigino, monacense e ambrosiano) contengono invece effettivamente lo scritto di Lullo sulla retorica. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 55 Dopo un sommario riferimento ai subiecta dell’arte lulliana (Deus, angelus, coelum, homo, imaginativa, sensitiva, vege- tativa, elementativa, instrumentativa) ed ai praedicamenta, il testo si articola in una lunga serie di quadri sinottici nei

quali viene accumulato ed esposto, secondo un rigido ordina- mento, tutto il sapere. La considerazione dell’imaginativa si trasforma in tal modo in una classificazione degli animali, delle varie parti del corpo umano e degli esseri umani che vengono curiosamente suddivisi sulla base della loro apparte- nenza ai quattro elementi della fisica : Terrestres, ut agricolae, metallarii Aquatici, ut mautae et piscatores Acrei, ut funambuli et schenobatae Ignei, ut fabri, Cyclopes. Hominum quidam sunt Allo stesso modo sotto il subrectum angelo, troviamo la Hie- rarchia angelorum, mentre la trattazione dei predicati dà luogo ad una classificazione dei diversi tipi di narrazione storica e di dimostrazione dialettica, delle varie parti della retorica, delle sezioni dell’etica e dei tipi di virtù, infine delle arti mec- caniche e liberali dall’agricoltura, alla pastorizia, alla caccia, all'arte scenica, alla culinaria, ai lavori manuali, alla filosofia, alla musica, alla geometria, alla matematica, alla medicina. Ben più significativo di questo trattato retorico-enciclope- dico è il De arte cyclognomica (1569) di Cornelio Gemma, astronomo e professore di medicina a Lione, autore di un testo sulla cometa del 1577 e di uno scritto sui prodigi e le mostruo- sità della natura.” Gli interessi del Gemma sono rivolti prin- 21! Cornelius GemMa, De arte cyclognomica tomi II doctrinam ordi- num universam, unaque philosophiam Hippocratis Platonis Galeni et Avistotelis in unius communissimae et circularis methodi speciem refe- rentes, quae per animorum triplices orbes ad spherae caelestis simulitu- dinem fabricatos, non medicinae tantum arcana pandit mysteria, sed et imveniendis costituendisque artibus ac scientiis caeteris viam com- pendiosam patefacit, Antverpiae, cx officina Christophori Plantini, 1569. Ho usato la copia della Vaticana L. IV. 28 (Palat. III, 70), ma della stessa edizione esiste un esemplare alla Braidense (B. XV. 5. 803) e uno all’Angelica (e. 8. 16). Cfr. anche De naturae divinis characteri- smis, seu raris et admirandis spectaculis, causis, indiciis, proprietatibus rerum in partibus singulis universi, libri Il, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini, 1575 (copia usata: Vatic., N. XI. 64, ma cfr. Racc. Gen. 56 CLAVIS UNIVERSALIS cipalmente alla medicina, ma il suo trattato si propone di giungere alla unificazione dei metodi di Ippocrate e Platone, Galeno e Aristotele e di fondare un metodo universale valido così per la medicina come per tutte le altre arti e scienze. Il metodo viene suddiviso dal Gemma in tre parti a seconda che la conoscenza si volga alla comprensione delle cose passate, allo studio delle cose presenti, e alla divinazione di quelle future. Nel primo caso abbiamo la memoria et eius artificium

methodicuni; nel secondo la scientia etusque adipiscendae me- thodus; nel terzo la praedictio eiusque methodus. Ricercando una via compendiosa alla verità, il Gemma insiste a lungo sulla funzione essenziale delle immagini, delle rappresenta- zioni simboliche, dei circoli lulliani, ma concepisce le stesse immagini in funzione di un metodo inteso come ordinata classificazione di tutti gli elementi che compongono il reale: « Tota vis igitur agendi dextere et facile cognoscendi per rerum causas in ipsis ordinibus potissimum collocatur. Ordo enim intelligentiae signum est... ».°° Alla minuziosa, ordinata elen- cazione degli elementi naturali e sopramondani e della facoltà è dedicata la maggior parte dello scritto del Gemma che si configura come una grande enciclopedia nella quale appaiono largamente dominanti i temi della sapienza ermetica e pita- gorica. Nel Quaternio pytagoricus per mundi septenos ordines pari proportione distributos," la materia, la qualità, lo spirito, l’anima appaiono suddivise a seconda della loro appartenenza al mondo intelligibile, alle cose celesti, a quelle eteree, alle sublunari, alle animate, all’uomo, allo Stato. La tavola, nella quale sono raffigurate queste partizioni, ha il compito di mo- strare le segrete corrispondenze tra ciascuno degli elementi, di chiarire il modo in cui il senso o l'immaginazione, la razzo o Medicina, V. 882); De prodigiosa specie naturaque Cometae anno 1577 visa, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini, 1578 (copia usata: Angelica YY. 3. 20). Nell'opera dei CarreRAs y Artau lo scritto De arte cyclo- gnomica del Gemma è stato erroneamente datato 1659. Non si tratta però di un semplice errore di stampa; gli autori, che hanno lavorato molto spesso su informazioni di seconda e anche di terza mano, trat- tano del Gemma nel capitolo dedicato agli sviluppi del lullismo nel secolo XVII (Cfr. La filosofia cristiana, cit., Il, p. 304). 22 De arte cyclognomica, cit., p. 27 29 De arte cyclognomica, cit., p. 34. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 57 la mens si collegano alla totalità dell’universo, ai corpi celesti, al calore presente negli esseri animati, agli spiriti eterci, alle intelligenze che presiedono al moto degli astri. A questo stesso scopo rispondono sia la rappresentazione grafica dell’anima con la collocazione delle cinquantuno facoltà presenti nell’uo- mo,” sia la raffigurazione delle tre scale ciascuna delle quali offre il quadro delle parti che compongono la metafisica, la fisica e la logica mostrando insieme gli scopi di queste scienze, i rapporti che intercorrono tra le varie parti delle singole disci- pline, l'ordine nel quale dev’esser collocata ogni parte in rela- zione all’ordine universale.? AI fondo di queste fantastiche classificazioni, alla base delle strane figure che riempiono il testo del Gemma, dietro questa incondizionata adesione ai motivi più torbidi della tradizione ermetica resta però ben saldo — ed è questo che si vuol sotto- lineare — il presupposto di una necessaria unità del sapere che è specchio della fondamentale unità del cosmo: « mediante l’idea stessa della divina Virtù, le ragioni di tutte le cose risplendono in ciascuna delle particelle del mondo ». Que- st'affermazione — e lo ammetteva esplicitamente lo stesso Gemma — costituiva il primo, essenziale fondamento di tutta l’Arte.?* Su questo stesso terreno, anche se con una fondamentale diversità di tono derivante dal prevalere di interessi di tipo “logico”, si muove l’opera di Pedro Gregoire di Tolosa che fu pubblicata per la prima volta a Lione fra il 1583 e il 1587; il titolo è già di per sè indicativo: Syntaxes artis mirabilis in libros septem digestae per quas de omni re proposita, multis et prope infinitis rationibus disputari aut tractari, omniumque summaria cognitio haberi potest.?* Accanto al consueto tema 24 De arte cyclognomica, cit., p. 105. °5 De arte cyclognomica, cit., pp. 48, 49, 50. 26 De naturac divinis characterismis, cit., p. 34: « Hoc ergo sit primum artis nostrae fundamentum ». 2? Venetiis, apud Jo. Dominicum de Imbertis, 1588. L'altro tomo del- l’opera ha per titolo: Sintareon artis mirabilis alter tomus in quo om- nium scicntiarum et artium tradita est epitome, unde facilius istius artis studiosus de omnibus propositis possit rationes et ornamenta rarissima proferre, ibid., 1588 (copia usata Archiginn., 9, NN. V. 26). L’opera fu ristampata dall’editore Zetzner nel 1610 a Colonia in quattro tomi: 58 CLAVIS UNIVERSALIS di un’arte capace di giungere alla individuazione degli assiomi comuni a tutte le scienze e di elaborare assoluti criteri di certezza, tornavano qui molti dei problemi già affrontati, in quegli stessi anni, da Agrippa e da Lavinheta, ma il tentativo del Gregoire non si risolveva in un semplice “commento” all’arte lulliana. A differenza dei commentatori egli, dopo aver accennato a Lullo e ai principali teorici della sintassi univer- sale, elaborava una vera e propria enciclopedia delle scienze non indegna di essere accostata, almeno per quanto concerne la vastità di interessi e la grandiosità, al De augmentis baco- niano. Essa si fondava su uno speculum artis nel quale veni- vano presentati da un lato i « modi quaerendi examinandi disputandi et respondendi » e dall’altro le classi o cellulas alle quali ogni sapere dev'essere riferito. Il riferimento ai princìpi assoluti e relativi dell’ars magna era qui esplicito, ma altret- tanto e forse più interessanti sono le pagine nelle quali l’aspi- razione ad un sapere enciclopedico e universale si congiunge alla fiducia in una sostanziale intercomunicabilità fra tutte le scienze. Ed è da sottolineare il fatto che questa affermazione dell’unità del sapere si converte, immediatamente dopo, nel- l’altra, ad essa corrispondente, dell’unità essenziale del cosmo: « Poiché, come afferma Cicerone, nulla v’è di più dolce che il conoscere tutto e l’indagare su tutto, giunsi alla convinzione che i particolari precetti delle singole scienze, distinti l’uno dall’altro, possono essere racchiusi in un'unica arte generale mediante la quale essi giungano a comunicare reciprocamente. In tutte le cose è sempre possibile rintracciare un unico ge- nere nel quale concordano e al quale partecipano tutte le specie, nonostante che esse differiscono in talune proprietà; è chiaro di conseguenza che, una volta pienamente conosciuto il genere, la nozione delle specie apparirà più facilmente, allo Commentaria in Sintaxes Artis Mtrabilis, per quas de omnibus dispu- tatur habeturque ratio, in quatuor tomos... in quibus plura omnino scitu necessaria... tractantur. Il secondo tomo ha per titolo Sintarcon artis mirabilis in libros XL digestarum tomi duo. Nel terzo e nel quarto acutissimae ac sublimes tractationes de Deo de Angelis et de Immortalitate animae continentur. Le citazioni che seguono sono tratte da quest'ultima edizione (copia usata: Archiginn., V, VI, 24-26). Per più ampie notizie sull'autore cfr. CARRERAS Y ArtTAU, La filos. cristiana, cit., II, pp. 234 segg. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 59 stesso modo che conosceremmo la divisione in rivoli e lc parti- zioni dei fiumi una volta che, dalla fonte, fossimo giunti, se- guendo l’alveo, ai luoghi nei quali si effettuano le separazioni. Allo stesso modo non apparirà impossibile e assurdo che le diverse opere delle diverse arti vengano realizzate mediante un unico strumento... Così infatti tutti i particolari corpi na- turali sono composti dalla diversa mescolanza dei quattro ele- menti e tutte le piante e tutti gli animali partecipano ad un’unica forza vegetativa e per essa crescono, e tutti i sensi sono contenuti in uno stesso corpo e le cose corporee € quelle incorporee consentono nell'uomo che consta di anima e di corpo, lo stesso Cielo ultimo abbraccia naturalmente e con-

duce e muove in un solo ambito, in un solo moto e in un solo influsso tutte le cose inferiori che tutte in esso concordano ». Il fondamento della “scienza unificata” era dunque una concezione platonico-pitagorica o, se si vuole, “magica” della realtà intesa come un tutto unitario e vivente. La estendibilità dell'Arte o dell’unico metodo a tutte le discipline e a tutti i rami del sapere è possibile in virtù di un presupposto “meta- fisico”: quello di un cosmo nel quale si rispecchiano le idee della mente che ha presieduto alla sua creazione e al suo ordi- namento: « E finalmente tutte le cose sono create e rette dal- l’unica mente di Dio, ogni luce delle stelle partecipa della luce del sole e tutte le virtù partecipano della giustizia... Dio e l’uomo, infine, convengono e convivono in un’ipostasi unica: in nostro Signore Gesù Cristo. E poiché così stanno le cose... senza alcun dubbio la mente e la ragione dell’uomo possono estendersi a tutte le arti, ove siano guidate da un ottimo me- todo generale del sapere e del comprendere... A ciascuna delle scienze particolari appartengono delle nozioni — o preludi universali — mediante le quali l’arte e la perizia vengono facilmente potenziate ».?° A conclusioni non diverse giungerà, nell’ultimo decennio del secolo, il patrizio veneto Valerio de Valeriis che nell’Opus aureum, pubblicato nel 1589, riprendeva, modificandolo e inte- grandolo, il progetto lulliano dell’arbor scientiarum. Nel testo del De Valeriis il problema dell'albero delle scienze viene pre- sentato come strettamente connesso con quello della formula- 28 Commentaria, cit., I, p. 12; per il brano precedente cfr. p. Il. 60 CLAVIS UNIVERSALIS zione delle regole della combinatoria: « L’opera è ripartita in quattro parti. Nella prima verrà trattata la cognizione neces- saria al raggiungimento della conoscenza degli alberi. Nella seconda mostreremo i quattordici alberi dalla cui conoscenza dipende l’intera conoscenza degli enti. Nella terza illustreremo con esempi ciò che è stato esposto nella prima e nella seconda parte. Nella quarta parte, infine, mostreremo in qual modo l’arte generale di Raimondo vada ridotta a questa impresa, insegnando a moltiplicare i concetti e gli argomenti quasi al- l’infinito... mescolando le radici con le radici, le radici con le forme, gli alberi con gli alberi, e le regole con tutti questi e molti altri modi ».?° L’interpretazione che, nella quarta parte dell’opera, veniva data delle “figure” dell’arte appare fortemente influenzata dal commento di Agrippa e, molto probabilmente, anche dalle tesi del Bruno il quale, fra il 1582 e il 1588, era venuto pubbli- cando le sue opere lullistiche e mnemotecniche. Più che ad Agrippa e al Bruno, il de Valeriis si richiama tuttavia più volte a Scoto e allo scotismo ?° (« de aliorum dictis non cura- mus, Scotum praeceptorem sequimur ») introducendo una dot- trina dei predicati assoluti e relativi. L'esigenza di un’arte aurea nasceva in ogni modo, anche in questo caso, dalla constatazione del carattere pluralistico e “caotico” dell’orbe intellettuale, della povertà delle cognizioni umane, dal bisogno di un singulare ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile rendersi conto dell’ordine del cosmo al di là di una caoticità apparente e dar luogo ad una situazione nella quale gli uomini, dopo infinite fatiche, potessero riposare perpetuamente e sicuramente all'ombra degli alberi della scienza (« Nec sine maximis in- commoditatibus et multis vigiliis id perfecimus ut philosophiae imbuti valeant se aliquando ab infinitis ambagibus liberare et viri in scientiis consumati post infinitos labores peracti possint sub felici harum arborum umbra perpetuo et secure quiesce- 29 Sul De Valeriis cfr. CarrERAS y ARTAU, La filos. cristiana, cit., pp. 235-37. Per la prima edizione dell’opera si veda RocenT Duran, Biblio- grafia, cit., n. 138. La citazione riportata nel testo dall'Opus aureun: in quo omnia breviter explicantur quac R. Lullus tam in scientiaruni arbore quam arte generali tradit è ricavata dalla edizione ZETZNER (cfr. la nota 1) p. 971. 30 De VaLerns, Opus aureum, ed ZetznER, pp. 982, 986, 1009, 1115. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 61 re »)."! Anche per il de Valeriis le radici degli alberi coincide- vano con i princìpi dell’arte, mentre lo stesso ordine di suc- cessione dei vari princìpi veniva presentato come dipendente dalla “natura”: « magnitudo vero, quae est secunda radix, non fortuito primam sequitur, sed maximo naturae consilio ». Éra proprio la scala naturae che forniva inoltre il criterio cui far ricorso nella difficile applicazione delle radici o principi del- l'Arte ai subiecta: « Nell’'uniforme applicazione di queste ra- dici ai sudiecta è da impiegare la più grande diligenza... biso- gna osservare la scala della natura e tutto ciò che, nel grado inferiore, denota una perfezione priva di imperfezione, dev’es- sere attribuito al grado superiore. L'operazione attribuita alla pietra (che occupa il gradino infimo) dev'essere attribuita anche ai vegetali che occupano il secondo grado della scala natu- rale... Ciò che comporta una imperfezione, se conviene all’in- feriore, non è da attribuire ad ogni superiore: ne deriva che la contrarietas e la minoritas non devono essere attribuite a Dio, anche se convengono alle cose inferiori. Il divino Lullo ordinò secondo nove soggetti e quattordici alberi la scala della natura... Colui che desidera sapere molte cose in ogni disci- lina si formi questa scala... ».?? Quelle del Gregoire e del de Valeriis sono posizioni tipi- che: da impostazioni di questo genere trarrà nuovo alimento e nuova forza l’idea di una sintassi universale che fornisca, oltre che la chiave dei misteri dell’ideale e del reale, anche il criterio assoluto per la costruzione di una completa enci- clopedia delle scienze. Da Lullo sino alla fine del Cinque- cento e poi fino a Alsted e a Leibniz resta ben salda la con- vinzione che l’arte lulliana o cabala dei sapienti o arte aurea o combinatoria o scienza generale costituisca la scoperta meta- fisica della trama ideale della realtì.. 5. LA CONFIRMATIO MEMORIAE NEI TESTI DI RaiMonpo Lutto. Il problema di un rapido e facile apprendimento delle re- gole dell’arte e dell’ordine nel quale le nozioni sono disposte all’interno dell’“enciclopedia” si presenta, nell'opera di Lullo e in quella dei lullisti, non come marginale o secondario, ma 3 De VALERIS, Opus aureum, cit., pp. 970.71. 3? De VacerIIs, Opus aureum, cit., p. 1026. 62 CLAVIS UNIVERSALIS come costitutivo ed essenziale. Le figure ruotanti, gli alberi, le tavole sinottiche, le sistematiche classificazioni si presen- tano in quei testi come gli strumenti dei quali far uso per tra- sformare in un tempo straordinariamente breve (si oscilla a seconda degli autori da un mese a due anni) un uomo incolto in un sapiente, in un uomo cioè le cui possibilità di cono-

scenza e di azione siano enormemente più vaste di quelle offerte dalla logica e dalla filosofia tradizionali. È dunque naturale che, da questo punto di vista, il problema di una tecnica memorativa o, nella terminologia del lullismo, di una confirmatio memoriae si presentasse strettamente connesso a uello della combinatoria e a quello della classificazione enci- clopedica degli elementi della realtà e delle componenti del mondo del sapere. Nel corso del secolo XVII si parlerà comunemente di art: ficium mnemonicum, di systema mnemonicum, di logica me- morativa per indicare da un lato le grandi costruzioni cosmo- logico-enciclopediche e dall’altro le formulazioni o i manuali di tecnica combinatoria. Alsted, che presentava nel 1610 la sua enciclopedia come artium liberalium et facultatum omnium systema mnemonicum e Stanislao Mink che intitolava logica mnemonica (nel 1648) la sua esposizione e revisione dell’ars magna lulliana, si richiamavano ad una tradizione precisa che ha le sue radici nei testi cinquecenteschi del lullismo euro- peo e nell’opera stessa di Raimondo Lullo. Nel prologo alla Logica Nova, scritta in catalano a Ge- nova nel 1303 e tradotta in latino a Montpellier l’anno se- guente, Lullo esponeva il suo programma di applicazione dei princìpi dell’arte generale alla logica (considerata come disci- plina e arte particolare) e contrapponeva la sua nuova logica a quella tradizionale insistendo sulla facilità di acquisizione e di ritenzione della sua logica compendiosa : Idcirco ad prolixitatem et labilitatem huiusmodi evitandum (divino auxilio mediante) cogitavimus Novam et compen- diosam Logicam invenire, quae citra nimiam difficul- tatem et laborem ab inquirentibus cam acquiratur, et ac- quisita in memoria plenarie conservetur, ac inibi totaliter, et facillime teneatur.?3 33 Liber de nova logica, Mallorca, 1744, p. 1. Cit. in CaRRERAS Y ARTAU, La filosofia cristiana, cit., II, p. 423. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 63 Sulla necessità di un apprendimento mnemonico dei prin- cìpi dell’arte Lullo ritornerà più volte (« diximus de diffinitio- nibus principiorum, quas oportet scire cordatenus... »).°* Non si trattava solo di un accorgimento che riguardasse la “messa in movimento” della complessa macchina lulliana: tutti gli elementi più strettamente “tecnici” dell’arte (le figure, gli alberi, i versi) rispondevano a intenti dichiaratamente mne- monici.**° Proprio nei versi dell’Aplicaciò de l'Art general, un poema didattico del 1301 che esponeva in forma “popolare” i vantaggi derivanti dalla applicazione dell’arte alle varie scienze, Lullo insisteva sulla miracolosa drew:tà della sua com- binatoria e sulle possibilità di un rapido e insieme duraturo apprendimento: Que mostrem la aplicaciò Del Art general en cascuna Que a totes està comuna E per elles poden haver En breu de temps et retener.?° AI problema della memoria e dell’Ars memorativa Lullo aveva del resto rivolto in modo più specifico la sua attenzione fin dai suoi primi scritti. Sulla base della tripartizione delle tre virtù © potenze dell'anima razionale (memoria, intelletto e volontà) già presente nel Libre de Contemplaciò en Dèu del 1272, egli aveva progettato la costruzione di tre grandi 54 Ars brevis, VI, 10. 95 Sul carattere mnemonico delle figure e dei versi varie buone osser- vazioni nell'opera dei Carreras y Artau. A intenti mnemonico-divulga- tivi rispondeva per esempio la Lògica en rims 0 « nuovo compendio » del Compendium Logicae Algazelis (vv. 6-9 e 1574-80): en rimes e’n mots qui son plans per tal que hom puscha mostrar logica e philosophar a cels qui no saben lati ni arabich... Per affermar e per neguar a. b. c. pots aiustar mudant subject e predicat relativament comparat en conseguent antesedent. 16 Aplicaciò de l’Art general, in Obras rimadas de R. Lull, Palma de M., 1859, p. 422. 64 CLAVIS UNIVERSALIS arti l’ars inventiva, l’ars amativa e l’ars memorativa”" connesse rispettivamente all’ardor scientiae, all’arbor amoris e all’arbor reminiscentiae. L’Art amativa (1290), completata dall’Arbre de filosofia d'amor (1298), l'Art inventiva (1289) e l’Arbre de Sciencia (1295) rappresentano la parziale realizzazione di questo progetto. Del 1290 è l’Arbre de filosofia desiderat: ciò che è « desiderato », e nel corso dell’opera solo parzialmente realizzato, è appunto quell’arte della memoria da lungo tem- po progettata. Muovendosi entro l’arbre de filosofia e seguen- done la complessa struttura sarà possibile, secondo Lullo, giun- gere ad intendere le cose vere, ad amare quelle buone e a ricordare artificialmente le cose passate. Il tronco è l’ente dal quale derivano i rami e i fiori che rappresentano contempora- neamente i nove princìpi e i nove predicati dell’arte. Le let- tere da è a & designano i diciotto principi-fiori dell’ars ma- gna, le lettere da / ad « i diciotto princìpi-rami. La struttura dell’albero è quindi la seguente: FIORI TRONCO RAMI b. bontà differenza potenza Ente | Dio creature I. c. grandezza concordanza oggetto Ente |reale fantastico m. d. durata contrarietà memoria ENTE | genere specie n. e. potenza principio intenzione ExTE | movente movibile D) f. sapienza medio punto trascen-| EnTE | unità pluralità p- e. volontà — fine vuoto [dente] Ente | astratto concreto q. Ah. virtù maggiorità opera ENTE | intensità estensione r i. verità eguaglianza giustizia Ente |somiglianza dissomiglianza s. k. gloria minorità ordine Ente |gencrazione corruzione tt. Facendo uso della tecnica inventivo-espositiva, che troverà più ampio sviluppo nell’ars brevis e nell’ars magna, Lullo si richiama alla figura circolare, alla definizione dei princìpi, a dieci regole, infine alle proposizioni e alle questioni. La tec- nica memorativa risulta dalla sistematica applicazione di d (memoria) a ciascuno dei rami simboleggiati da /, m, n, ecc. Ne risultano nove combinazioni dl, dm, dn, ecc., in ciascuna delle quali la memoria artificiale si realizza attraverso parti- 3? Regole per la memoria sono già presenti nel cap. 161 del Liber de contemplaciò. Cfr. Carreras y ArtaAU, La filos. cristiana, cit., I, p. 536. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 03 colari accorgimenti giungendo a risultati di volta in volta differenti. Accanto alle ingenue “regole” già presenti nella trattatistica antica e medievale di medicina applicata alla me- moria, troviamo qui presente il ricorso alla concordantia, alla contrarietas, alla differentia (dp: memoria-unità pluralità; ds: memoria-somiglianza dissomiglianza) e alla subordina- zione del particolare al generale (4n: memoria-genere specie). Lullo si muove dunque, in questo caso, sul terreno di quella rudimentale psicologia delle associazioni che deriva, diretta- mente o indirettamente, dalle opere aristoteliche. Le regole della memoria contenute nell’Arbre de filosofia desiderat sono state ampiamente riassunte cd esaminate dai Carreras y Artau.?* È quindi più opportuno richiamare qui l’attenzione su alcune opere inedite di Lullo che non sono state, a tutt’oggi, fatte oggetto di specifico esame. Si tratta, in primo luogo, dell’inedito Liber de memoria conservato in due manoscritti ‘* e composto a Montpellier nel febbraio del 1304. In questo scritto, che viene presentato dall’autore come la rea- lizzazione di un progetto lungamente meditato (« finivit Ray- mundus librum memoriae quem diu desideraverat ipsum fe- cisse »),‘° Lullo fa riferimento ad un d/bero, l’arbor memo- riae, che non appare elencato tra i sedici alberi dell’Arbre de Sciencia del 1295. Nell’arbor memoriae vengono elencati e classificati nove tipi di memoria ciascuno dei quali è posto in corrispondenza con ciascuno dei nove princìpi, dei nove 38 La filosofia cristiana, cit., II, pp. 534-39. 9° Il Dictionnaire de Theologie catholique e il Lirtré, Histoire littéraire de la France, vol. XXIX fanno riferimento a due manoscritti: Parigi Lat. 16116; Innichen. VIII, B. 14, ff. 90 segg.; Ho trovato inoltre sc- gnalati il ms. I. V. 47 dell’ Univ. di Torino ff. 205-225 v. e il Vat. Urb. lat. 852. Il manoscritto torinese è andato distrutto. Il Cod. Vat. Urb. lat. 852 non contiene il Liber de memoria, ma un’opera apocrifa attribuita a Lullo (di questo più avanti). Non ho visto il ms. di Innichen. Le citazioni sono tratte dal parigino lat. 16116 (sec. XIV) alle carte 18v. - 23 v. Inc.: Per quendam silvam quidam homo ibat. Expl.: Ad gloriam et honorem Dei finivit Raymundus librum memoriae quem diu desi- deraverat ipsum fecisse. Et finivit in Montepessulano in mense februarii, anno CCCIIH ab incarnatione Domini Nostri Iesu Christi. 4° Par. Lat. I6I16, f. 23v. 66 CLAVIS UNIVERSALIS princìpi relativi, c delle nove quaestiones. Ecco l’inizio del trattato : ‘! 16 v. Per quendam silvam quidam homo ibat considerando quid erat causa quia scientia difficilis est ad acquirendum, facilis vero ad obliviscendum et videbatur ci quod propter de- fectum memoriae istud erat eo quia sua essentia non bene est cognita atque suae operationes sive condiciones naturales, et ideo proposuit de memoria facere istum li- brum ad memoriam caque ci pertinent agnoscendum. Subicctum huius libri est ars gencralis, coque cum suis principiis et regulis memoriam intendimus investigare... Est autem memoria ens cui proprium et per se est memo- rari. Dividitur iste liber in tres distinctiones. Prima est de arbore memoriac et de suis conditionibus de principiis artis generalis cum suis diffinitionibus et regulis. Secunda distinctio est de floribus memoriae et de principiis et re- gulis artis gencralis ipsi memoriae applicatis. Tertia dis- tinctio est de quaestionibus de memoria factis ct de solutionibus quaestionum. Et primo de prima dicemus. Arbor memoriae dividitur in novem flores ut in sc patet. 17r. Primus flos est b et b significat / bonitatem [dantem in] > memoriam receptivam ct utrum; secun- dus flos est c ct c significat magnitudinem concordantiam memoriam remissivam et quid est; d significat duratio- nem contrarietatem memoriam conservativam ct de quo; e significat potestatem sive principium memoriam acti- vam et ; f significat sapientiam medium [mate- riam] memoriam discretivam et quantum; g significat vo- luntatem finem memoriam multiplicativam et quale; h significat virtutem maioritatem memoriam significativam et quando; i significat [veritatem]  acqua- litatem memoriam terminativam et ubi; k significat glo- riam, minoritatem memoriam complexionativam et quo- modo et cum quo. In arte ista alphabetum supradictum cordetenus scire oportet... Facendo ricorso alle tavole e alle figure dell’Ars brevis e dell’Ars magna è possibile, correggendo e integrando in due o tre punti il manoscritto," rendersi conto di come si confi- gurasse per Lullo la progettata applicazione dell’ars generalis 4! Le parole poste fra  sono supplite, quelle poste fra parentesi quadre sono giudicate da espungere. Spesso con il termine supplito si propone la correzione di evidenti errori di trascrizione. 42 I termini posti fra parentesi quadre nella tabella che segue manca- no o risultano alterati nel codice. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 67 allo specifico campo della memoria. La struttura della com- binatoria lulliana appare in questo caso la seguente: D « PRINCIPI PRINCIPI SUBIECTA: | QUAESTIONES ASSOLUTI RELATIVI MEMORIA { b. bonitas [differentia] receptiva utrum c. magnitudo concordantia remissiva quid d. duratio contrarictas conservativa de quo e. potestas principium activa [quare ] f. sapientia medium discretiva quantum g. voluntas finis multiplicativa quale h. virtus maioritas significativa quando i. [veritas] acqualitas terminativa ubi k. gloria minoritas complexionativa quomodo ct cum quo. Non è certo il caso di addentrarsi qui in una spiegazione del complesso funzionamento dell’applicazione dell’ars gene- ralis al subiectum memoria. Una tale spiegazione richiede- rebbe fra l’altro la preliminare chiarificazione dei procedi- menti della combinatoria i quali, anche di recente, sono stati esposti e discussi in modo egregio da Erardo W. Platzeck.** Basterà soffermarci su un passo particolarmente indicativo del tipo di problemi ai quali si volge l’attenzione di Lullo. Nel brano che segue Lullo affronta da un lato il problema del rapporto tra la facoltà memorativa e il corpo e dall'altro fa leva sul passaggio dal generale al particolare per gettare le basi di una tecnica del ricordo: 21r. Memoria est in loco ut per regulam de i in tertia parte. Quod amiserat principium distinctionis signatum est et est in loco per accidens non per se, hoc est ratione cor- poris cum quo est convicta, quoniam memoria per se non est collocabilis eo quia non habet superficiem sed est in loco in quo corpus est, ct sicut corpus est mutabile de loco in locum, etiam memoria per ipsum. Memoria vero mutat obiecta de uno loco in alium non mutando se, sed mutando suas operationes obiective recipiendo spe- cies quae sunt similitudines locorum cum quibus est dis- cretiva et multiplicativa ct ideo secundum quod ipsa est conditionata cum loco, debet artista uti ipsa per loca et ideo si vult recordari aliquid traditum oblivioni, consi- derat illum locum in quo fuit et primo in genere, sicut In qua civitate, post in specie, sicut in quo vico, post 43 P. E. W. PLATZECcK, La combinatoria luliana, cit. 68 CLAVIS UNIVERSALIS in particulari, sicut in qua domo seu in aula seu in coquina 21v. / et sic de aliis et ideo per talem discursum memoria multiplicabit se. Nonostante che l’attenzione di Lullo sia qui chiaramente rivolta al processo di successiva determinazione dei particolari (nella sua terminologia la tractatio de generali ad specialia postea descendens) è difficile non avvertire nel passo ora citato l'eco, sia pure attenuata, di quella discussione sui “luoghi” che caratterizza tutta la mnemotecnica di derivazione « cice- roniana ». Gli stessi esempi portati da Lullo (la città, la strada, la casa, la stanza, la cucina) sono tipici di quella termi- nologia della quale i “ciceroniani” avevano fatto un uso larghissimo. Per il tramite dell’agostinismo qualche elemento di quella tradizione dev’essere penetrato all’interno dello stesso pensiero di Lullo.4* I rapporti tra lc tecniche memorative escogitate da Lullo e la tradizione ciceroniana sono certo assai tenui e difficilmente determinabili e tuttavia sarebbe grave- mente errato, continuando ad interpretare l’arte lulliana come un abbozzo di “logica formale”, sottovalutare il peso che sui progetti dell’arte esercitò quella tematica di derivazione ago- stiniana che vedeva nella distinzione di memoria, intelletto e volontà l’espressione simbolica delle tre persone della Tri- nità. Di fatto, come ha notato di recente la Yates, l’arte ap- pare anch'essa concepita a immagine e somiglianza della tri- nità divina. Nella sua pienezza essa consta di tre facce o aspetti: il primo (che si realizza mediante la combinatoria o la nuova logica) agisce mediante l’intelletto; il secondo me- diante il quale si esercita la volontà (e a quest’aspetto si rife- riscono le opere mistiche di Lullo); il terzo che concerne la memoria e trasforma l’intera arte in un grande sistema di mnemotecnica.!* 44 Sul rapporto fra la mnemotecnica ciceroniana c l’opera di Agostino cfr. Fr. A. YATES, The ciceronian art of memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 878-81. 4° Si veda a questo proposito il Cod. 16116 della Naz. di Parigi, f. 23v.: Liber iste [si tratta del Liber memoriae] valde utilis est et asso- ciabilis cum libris Intellectus et Voluntatis in uno volumine quantum ad invicem sunt se iuvantes ad attingendum secreta rerum. Sull'arte concepita a immagine della Trinità cfr. F. A. Yates, The art of Ramon Lull, cit., p. 162. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 69 Sull’effettiva influenza di questa impostazione agostiniana esiste com'è noto una larga documentazione. Oltre ai nume- rosi passi del Liber de contemplaciò e dell’Arbre de filosofia desiderat ricordati dai Carreras y Artau si vuol qui segnalare, come particolarmente indicativo, un altro scritto inedito di Lullo, il Liber de divina memoria** scritto a Messina nel marzo del 1313. In quest'opera l’indagine sulla memoria ap- pare piegata, secondo una curvatura tipicamente agostiniana, a precise finalità teologiche. Trascriviamo, dal ms. ambrosia- no, l’inizio del trattato: 22r. Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quoniam de divina memoria non habemus tantam noti- tiam sicut de divino intellectu et voluntate, idcirco inten- dimus indagare divinam memoriam ut de ipsa tantam notitiam habeamus quantam habemus de divino intellectu et voluntate. Ex hoc habebimus maiorem scientiam de deo... De divisione huius libri: dividitur iste liber in quin- que distinctiones. In prima tractabimus de memoria ho- minis, in secunda investigabimus memoriam divinam per divinum intellectum, in tertia divinam voluntatem, in quarta divinam trinitatem, in quinta et ultima divinas rattones... Memoria humana est potentia cum qua homo recolit ca quae sunt praeterita et ad hoc declarandum damus istud exemplum. Potentia imaginativa non habet actum scilicet imaginari in illo tempore in quo potentia sensitiva attingit suum obiectum cet de hoc quolibet potest habere experientiam, a simili dum homo attingit obiec- tum pensatum seu imaginatum in tempore presenti tunc memoria non potest memorari illud obiectum quia intel- lectus et voluntas hominis impediunt quominus memoria 22v. habeat suum actum quia intellectus intelligit ipsum / obiectum et voluntas diligit seu odit illud et per hoc ostenditur quia memoria est potentia per se contra illos qui dicunt quod memoria non est potentia per se sed est radicata in intellectu et simul sunt una potentia, quod falsum est ut super declaratum est. 46 Il Littré (Hist. litt. de la France, XXIX, p. 318) fa riferimento al Cod. 10517, ff. 22 segg. della Staatsbibl. di Monaco, il Longpré (Dicr. de Théol. cat., col. 1102, n. 59 (15) segnala, accanto a quello di Mo- naco, il Vat. Ott. lat. 405, ff. 182 segg. Ho visto ed usato il Cod. Am- brosiano N. 259 sup..ff. 22 segg. (sec. XV) segnalato dall’ Ottaviano. Inc.: Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quo- niam de divina memoria. Exp/.: Ad laudem et honorem Dei finivit Raymundus istum librum in civitate Messanae mense Martii anno 1313. 70 CLAVIS UNIVERSALIS Fra le due opere sulla memoria del 1304 e del 1313 delle quali abbiamo fatto cenno, si colloca infine un terzo testo sulla memoria — il Liber ad memoriam confirmandam — anch'esso inedito, composto a Pisa nel 1308 durante il sog giorno nel convento di San Domenico.“ Il trattato si apre con la dichiarazione dei fini che si propone la confirmatio memoriae («ratio quare presentem volumus colligere trac- tatum est ut memoria hominum, quae labilis est et caduca, modo rectificetur meliori ») e con la distinzione fra le tre po- tenze naturali dell'anima — capacitas, memoria, discretio — ciascuna delle quali può essere perfezionata mediante l’im- piego di una particolare tecnica. A ciascuna delle tre potenze

naturali corrisponde in tal modo una potenza artificiale ac- quisibile mediante l’arte. A quest’ultima spetta fra l’altro il compito di dar luogo ad un tipo di apprendimento e di tra- smissione del sapere che non affatichi inutilmente e bestial- mente i giovani: Ir. Primo igitur ut laborans in studio faciliter sciat modum scientiam invenire et ne, post amissos quamplurimos la- bores, scientiae huius operam inutiliter tradidisse noscatur, Iv. sed potius labor in requiem et sudor / in gloriam plena- ric convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus in- venire per quem non tanta gravitate corporis iugiter de- primantur, sed, absque nimia vexatione et cum corporis levitate et mentis laetitia, ad scientiarum culmina gra- dientes equidem propere subeant. Multi enim sunt qui, more brutorum, literarum studia cum multo et summo labore corporis prosequuntur absque exercitio ingenii arti- ficioso, sed et continuis vigiliis maceratum corpus suum iuxta labores proprios inutiliter cxhibentes. Igitur decet modum per quem virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valcat invenire et a gravamine tantorum laborum relevari possit. 47 Di questo testo ho visto le tre redazioni manoscritte conservate nei seguenti Codici (tutti del sec. XVI): Ambrosiana, I. 153 inf., 35-39v.; Monaco, Staatsbibl. 10593, ff. 1v.-3v.; Parigi Naz. lat. 17839, ff. 437 - 444r. Il Vat. lat. 5437, che ho trovato segnalato a proposito del Liber ad memoriam confirmandam, non contiene opere di Lullo. Nella tra- scrizione mi sono servito dei tre codici indicati. L'indicazione delle carte si riferisce al cod. monacense. Per il testo completo dell'operetta cfr. l’appendice. L’arte si presenta dunque come uno strumento di libera- zione da una pedagogia inutilmente sopraffatrice: il tema di un rafforzamento “artificiale” delle potenze naturalidell'anima si legava al motivo, tipicamente francescano, della letizia spi- rituale. La capacitas può essere perfezionata mediante l’atten- ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA zione e l’ordinata partizione degli argomenti. Al perfezionamento della memoria vera e propria vengono dedicate osservazioni che presentano un notevole interesse c che differenziano in misura notevole questo dagli altri testi lulliani sull’argomento: 2v. 3r. Varie cose sono da sottolineare in questo brano: in primo luogo il richiamo all’aristotelico De memoria et reminiscentia Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem, secundum antiquos, alia est naturalis, alia est ar- tificialis. Naturalis est quam quis recipit in creatione vel generatione sua secundum materiam ex qua homo gene- ratur et secundum quod influentia alicuius planetae su- perioris regnat: et secundum hoc videmus quosdam ho-

mines meliorem memoriam habentes quam alios, sed de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud concedere. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam est in medicinis et emplastris cum quibus habetur, et istam reputo valde periculosam quoniam interdum dantur tales medicinac dispositioni hominis contrariae, interdum super- fluae et in maxima cruditate qua cerebrum ultra modum dessicatur, et propter defectum cerebri homo ad demen- tiam demergitur, ut audivimus et vidimus de multis, et ista displiciet Deo quoniam hic non se tenet pro contento de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod ad insaniam non perveniat, nunquam / vel raro habebit fructus scientiae. Alia est memoria artificialis per alium modum acquirendi, nam dum aliquis per capacitatem re- cipit multum in memoria et in ore revolvat per scipsum quoniam secundum Alanum in parabolis studens est ad- modum bovis. Bos cnim cum maxima velocitate recipit herbas et sine masticatione ad stomachum remittit quas postmodum remugit et ad finem, cum melius est dige- stum, in sanguinem et carnem convertit: ita est de stu- dente qui moribus oblitis capit scientiam sine delibera- tione, unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masti- care ut in memoria radicetur et habituetur quoniam quod leviter capit leviter recedit et ita memoria, ut habetur in Libro de memoria et reminiscentia, per saepissimam rei- terationem firmiter confirmatur. 72 CLAVIS UNIVERSALIS (tale richiamo che è presente sia nel ms. parigino sia nel mo- nacense, è invece assente in quello ambrosiano. Il ms. pari- gino reca inoltre un erroneo Aristotelem in luogo di Alanum) c l’insistenza sulla reiteratio come elemento essenziale al raf- forzamento della memoria; in secondo luogo l’assenza di ogni ricorso o riferimento all’arbor memoriae e l’aperta pole- mica contro i peccaminosi ed empi tentativi di una applica- zione delle tecniche mediche alla memoria; in terzo luogo, infine, la distinzione (che vien fatta risalire agli « antichi ») fra memoria naturale e memoria artificiale. Si tratta di affer- mazioni e di tesi che consentono di stabilire una connessione fra la trattazione lulliana della memoria e quell’ambito di discussioni che si collegavano da un lato al De reminiscentia aristotelico e dall’altro alla persistenza di motivi di deriva- zione retorica. Mentre l’uso del termine discreto pare rin- viare al concetto aristotelico di rem:niscentia, l’accenno agli antichi sembra confermare, ancora una volta, una conoscenza, sia pure indiretta, di alcuni elementi attinti alla tradizione della mnemotecnica “ciceroniana”. Ci siamo così a lungo soffermati su questo testo perché esso è indicativo di un atteggiamento caratteristico sul quale gli specialisti di Lullo non hanno ancora bastantemente ri- volto la loro attenzione: non si procede in quest'opera ad applicare le regole dell’arte allo specifico settore della me- moria, ma si pone l’intera struttura della combinatoria lul- liana a servizio della memoria artificiale. 3r. Ad multa recitanda consideravi ponere quacdam nomina 3v. relativa per quac ad omnia possit responderi / ... Ista enim sunt nomina supra dicta quid, quare, quantus et quo- modo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti ra- tiones in oppositum factas vel quaccumque advenerint tibi recitanda et quam admirabile est quod centum possis ra- tiones retinere ct ipsas, dum locus fuerit, bene recitare... Ergo qui scientiam habere affectat et universalem ad om- nia desiderat, hoc circa ipsum tractatum laboret cum dili- gentia toto posse quoniam sine dubio scientior crit aliis... Primum igitur per primam speciem nominis quid, poteris certas quaestiones sive rationes sive alia quaecunque volue- ris recitare evacuando secundam figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris in duplo respondere seu recitare et hoc per evacuationem tertiae figurae et multi- plicationem primac... ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 73 Il Liber ad memoriam confirmandam ci è pervenuto solo in tre tardi manoscritti del secolo XVI, i quali, oltre a nu-

merosi errori, presentano differenze spesso notevoli. Il riferi- mento alquanto generico alle quaestiones; l’insistente richia- mo ad un Liber septem planetarum (è il Tractatus novus de astronomia del 1297?) nel quale sarebbero definite la capacitas, la memoria e la discretio; la confusa esposizione della tecnica della evacuatio e della multiplicatto che già nell’Ars magna era stata chiaramente teorizzata; l'impossibilità nella quale ci troviamo, date le divergenze fra i codici, di controllare l’autenticità del richiamo al De memoria aristotelico: questi ed altri elementi non possono non indurre a molta cautela. Il testo è senza dubbio autentico, ma esso ha probabilmente subìto notevoli alterazioni. Le conclusioni cui siamo giunti, relativamente ai rapporti di Lullo con la tradizione della mne- motecnica aristotelica e “ciceroniana”, possono dunque essere considerate valide solo in quanto esse, come abbiamo cercato di mostrare, risultano confortate dall’analisi delle altre opere inedite sulla memoria. Nel caso del Liber ad memoriam confirmandam sussistono dunque solo alcuni dubbi. Assai chiaro è invece il caso del ms. Urb. lat. 852 ** che è stato erroneamente considerato come una delle redazioni del Liber de memoria del 1303. Qui ci troviamo in presenza di un tratto di memoria locale, conce- pito secondo i più rigidi e convenzionali canoni della mne- motecnica ciceroniana, e falsamente attribuito a Lullo. Tra- scriviamo qualche passo: 333 r. Localis memoria per Raimundum Lullum. Ars memora- tiva duobus perficitur modis scilicet locis et imaginibus. Loci non differunt ab imaginibus nisi quia loci sunt an- guli, ut quidam putant, sed imagines quaedam fixae 18 Cod. cart. di ff. 636 (sec. XVI). La Localis memoria per Raimun- dum Ltullum è alle carte 333r.-438v. È da notare che nel Catalogus omnium librorum magni operis Raymundi Lulli proxime publico co- municandi, pubblicato a Magonza nel 1714 da I. Salzinger si trova elencata una Ars memorativa (Inc.: Ars confirmat et auget utilitates) della quale si trova un esemplare nel cod. 10552 della Staatsbibl. di Monaco (cfr. Littré, Hirst. litt. de la France, XXIX, p. 299). L’attri- buzione a Lullo veniva tuttavia successivamente rifiutata dallo stesso Salzinger che ometteva lo scritto dall'elenco delle opere lulliane che si trova nel I vol. dell'edizione di Magonza (1721). 74 CLAVIS UNIVERSALIS super quas, sicut super cartam, dipinguntur imagines de- lebiless Unde loca sunt sicut materia, imagines sicut for- 333 v. ma... / Oportet autem ut locis serbetur modus ne scilicet inter ca sit distantia nimium remota vel nimium brevis, sed moderata ut quinque pedum vel circa; non sit etiam 334 v. nimia claritas vel nimia obscuritas sed lux mediocris... / Inveni igitur, si poteris, domum distinctam caminis XXII 338r. diversis et dissimillibus... / Habcas semper ista loca fixa ante oculos sicut situata in cameris et scias ante et retro illa recitare, per ordinem etiam scias quis primus, quis 339 v.  secundus, quis tertius et sive de aliis... / Si detur tibi aliud nomen notum, puta Joannis, accipe unum Joannem tibi notum... et ipsum collocabis in loco... Che un’opera di questo genere, appartenente ad una tra- dizione culturale assai differente da quella nel cui ambito si era mosso Lullo, venisse attribuita al filosofo di Maiorca non è tuttavia senza significato. Nel secolo XVI, mentre nell’am- bito del lullismo ortodosso si vengono sviluppando in fun- zione mnemonica i temi della combinatoria, si realizza l’in- contro, al quale più volte abbiamo accennato, fra la tradizione “ciceroniana” e quella lullista. A questo incontro darà riso-

nanza europea l’opera di Giordano Bruno. Ma quasi settan- t'anni prima della comparsa del De umbris idearum, del Can- tus circaeus e del De compendiosa architectura et commento artis Lullii (pubblicati tutti a Parigi nell’’82) uno dei più rinomati maestri del lullismo europeo, legato al gruppo di Lefèvre, aveva tentato una sintesi fra l’arte “ciceroniana” della memoria e la combinatoria di Lullo. 6. BERNARDO DE LAVINHETA: COMBINATORIA E MEMORIA LOCALE. Nel 1612, presso l’editore Lazaro Zetzner di Colonia, che aveva pubblicato nel "98 la grande raccolta dei testi lulliani e dei commenti a Lullo, Enrico Alsted curava la stampa della Explanatio compendiosaque applicatio artis Raymundi Lullit del francescano Bernardo de Lavinheta.‘* L’opera era stata 1° Bernarpi De LavinHETA, Opera omnia quibus tradidit artis Ray- mundi Lullii compendiosam explicationem et ciusdem applicationem ad logica rhetorica physica mathematica mechanica medica mataphysica theologica ethica iuridica problematica, edente Johnne Henrico Alste- dio, Coloniac, Sumptibus Lazari Zetzneri bibliopolae, 1612 (copia usata: Trivulz. Mor. I, 75). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 19 pubblicata per la prima volta, a Lione, quasi un secolo avanti: nel 1523. Mentre si scagliava nella prefazione contro i ridicoli aristotelici e gli inetti ramisti persecutori di Lullo e del lulli- smo e intolleranti di ogni libertà (« Itane docuit Aristoteles ut aliis docendi cathedram iusserit clausam? Minime vero... »), Alsted metteva in guardia i lettori da quel tanto di « scola- stico » e di « papistico » che era ancora presente nell’opera di Bernardo: «Sed ostendit praxin philosophiae lullianae more suo et sui saeculi, id est barbare et papistice. Date itaque ope- ram ne impingatis ad duos istos scopulos ». Ciò che aveva entusiasmato Alsted, al di lì degli « scogli » della barbarie scolastica e del cattolicesimo, era il tentativo, presente nell’o- pera del Lavinheta, di costruire sui fondamenti dell’arte lul- liana una vastissima enciclopedia delle scienze. L’applica- zione dell’ars Lullii, come chiariva il titolo, concerneva in- fatti la logica la retorica la fisica la matematica la meccanica la medicina la metafisica la teologia l’etica e la giurispru- denza. Nella sua partizione e classificazione delle scienze Lavin- heta si era richiamato all’immagine lulliana dell’unico albero del sapere rispetto al quale le varie discipline particolari si collocano come i diversi rami di un unico tronco. Pur intro- ducendo nella sua trattazione partizioni e distinzioni assai lontane dal lullismo (per esempio i tre rami del trivium), Bernardo aveva attinto largamente, in particolare nella sua logica, alle figure della combinatoria. Ma il suo intento di servirsi dell’ars magna in vista di una ricerca di princìpi uni- versali e necessari capaci di unificare tutto il sapere, si rivela con molta chiarezza nella sezione intitolata /ntroductio in artem Raymundi Lullit: « È necessaria un’unica arte generale che abbia princìpi generali, primitivi e necessarii, mediante i quali i princìpi delle altre scienze possano essere provati e esaminati... Le arti e le scienze speciali sono troppo prolisse e la breve vita dell’uomo richiede che l’intelletto possegga un qualche strumento universale ».5° Nella sua ampia trattazione Bernardo inseriva un vero e proprio trattato di cosmologia e di filosofia naturale (nella discussione della terza figura), intere opere di medicina (Hor- 3° De necessitate artis. 76 CLAVIS UNIVERSALIS tulus medicus, De medicina operativa, ecc.) e considerazioni sull’ars praedicandi e sull’interpretazione delle Scritture: egli si muoveva in tal modo sullo stesso terreno della RAetorica pseudo lulliana e dava l’avvio a quell’enciclopedismo su basi lulliane al quale dettero la loro piena adesione, negli ultimi anni del secolo, sia il Gregoire che il de Valeriis. Con il corso del Lavinheta alla Sorbona era rientrato trion- falmente a Parigi, dopo la grande parentesi mominalista ini- ziatasi con le polemiche di Pietro d’Ailly e del Gerson, l’in- segnamento del lullismo. Ove si tenga presente la grande risonanza che ebbero nel mondo dei dotti le lezioni del Lavin- heta, la sua intensa attività editoriale nei maggiori centri europei da Parigi a Lione a Colonia, la sua “fortuna” nel secolo XVII, può apparire particolarmente interessante anche la tematica sulla memoria elaborata nell’ultima parte della Explanatio. Bernardo si propone qui di costruire un'arte ca- pace di servirsi contemporaneamente e delle tecniche memo- rative elaborate da Lullo e di quelle, già larghissimamente sviluppate, che erano state ricavate dai testi di Cicerone e di Quintiliano. La definizione della memoria naturale, della quale La- vinheta si serve, è ricalcata sui testi lulliani e sui commen- tari medievali al De reminiscentia aristotelico: « Est memoria naturalis illa potentia cui proprie competit recolere, de cuius organo in tractatu philosophiae naturalis dictum est. Nam ipsum est in occipite ad modum pyramidis et ipsa potentia est spiritualis. Cuius officium est species per intellectum ac- quisitas conservare et similitudines earundem (imperio volun- tatis) intellectui repraesentare ».”! Per quanto concerne la memoria artificiale, Lavinheta ri- prende invece, quasi con le stesse parole, i concetti espressi da Lullo nell’inedito Liber 24 memoriam confirmandam : LavinHETA, Explanatio (edizione LuLro, Monaco  (Staatsbibl.), 1612), p. 653. Artificialis memoria duplex est: quacdam est in medicinis et em- plastris, quam Doctor noster re- putat valde periculosam ex eo quia 5! De memoria, pp. 651 dell’ediz. 10593, f. 2 v. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam cst in medicinis ct emplastris cum quibus habetur, et istam reputo citata. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 77 interdum dantur medicinac contra-  valde periculosam quoniam inter- riac dispositioni hominis in tanto dum dantur tales medicinac dîs- gradu caliditatis quod cerebrum  positioni hominis contrariac, In- dessicant et sic homines in demen-  terdum superfluae ct in maxima tiam et stultitiam deveniunt. cruditate qua cerebrum ultra mo- dum dessicatur, et propter defec- tum cerebri homo ad dementiam demergitur, ut audivimus ct vidi- mus de multis, et ita displiciet Deo... Introducendo una separazione fra le «res sensibiles quae sensu capi possunt» e le «res intelligibiles quae intellectu solo capiuntur », Bernardo apriva però subito dopo la strada alla distinzione fra due tipi di memoria artificiale: « Secun- dum hanc duplicem differentiam, duplex est modus artifi- cialis memorandi. Primus facilior est longe secundo ». Il me: todo più facile di quello lulliano al quale Lavinheta fa qui riferimento è quello — a noi già noto — della memoria “lo- cale” o “ciceroniana”. Per ricordare gli oggetti che cadono sotto i sensi e i prodotti dell’immaginazione si fa ricorso, secondo i canoni tradizionali, ai luoghi ordinati e alla collo- cazione delle immagini nei luoghi: « stabilienda sunt specifica loca in aliquo familiari spacioso et communi quemadmodum est ecclesia, monasterium aut domus... sui oppidi aut sui civi- tatis ». Ritorna, naturalmente, il precetto dell’ordine dei luo- ghi (« memoria ab inordinatione confunditur ») e quello della collocazione nei luoghi delle similitudines o immagini: «et sic procedendo de loco in loco similitudines rerum collocet... et id etiam ordine retrogrado facere potest et pluries debet illa discurrere ».°? Si riaffacciano i temi consueti della iconologia alla quale è affidato il compito di rappresentare e richiamare alla memoria le «cose intellettuali »: oggetti « meramente intelligibili » come gli angeli potranno essere raffigurati « que- madmodum est in Ecclesiis cum figurare, ut esset parvulus infans cum aliis », mentre per fissare nella mente concetti (per esempio: « Dominus est illuminatio mea et salus mea ») ci si servirà largamente delle figure emblematiche: «si porrà nel luogo designato l’immagine solenne di un uomo ben vestito che tiene in una mano un lume e nell’altra del sale, e benché sale e salute significhino cose diverse, tuttavia per 52 Explicatio, cit., pp. 653-54. 78 CLAVIS UNIVERSALIS quella certa somiglianza che i due termini hanno ‘n voce, l’una cosa condurrà a ricordare l’altra »."? Di fronte agli oggetti della speculazione, a quelle cose cioè « quae sunt remotissima non modo a sensibus, vero et ab ima- ginatione », la tecnica “ciceroniana” della memoria si rivela tuttavia insufficiente. In questi casi è necessario far ricorso ad un secondo, più complicato tipo di memoria artificiale, volgersi all’ars generalis escogitata da Lullo. Qui — afferma Lavinheta — piegando ad un uso nuovo la vecchia termino- logia ciceroniana — tutti i possibili oggetti del sapere ven- gono « collocati in pochi luoghi » e, attraverso i princìpi, le figure, le regole, le guaestiones, l'artista può impadronirsi in modo duraturo di tutto lo scibile.?* 7. LA LOGICA MEMORATIVA. La combinatoria di Lullo era dunque apparsa al Lavinheta contemporaneamente come una logica e una mnemotecnica: da un lato essa si poneva come lo strumento universale (1nstru- mentum universale) mediante il quale tutti i princìpi delle scienze particolari potevano essere sottoposti ad esame, dal- l’altro essa si identificava con un grande sistema di ars remi niscendi che aveva assai più ampie possibilità di applicazione dell’ars memoriae di derivazione retorica e ciceroniana. Per rendersi conto di come posizioni di questo genere giungessero ad incidere profondamente in ambienti assai vari, non è ne- cessario richiamarsi ora ai testi, da questo punto di vista deci- sivi, della pansofia e dell’enciclopedismo seicenteschi. Tredici anni prima della pubblicazione dell’opera del Lavinheta, in- torno al 1510, si erano riuniti, all’Università di Cracovia, i rappresentanti del corpo accademico per prendere in esame la consistenza o meno dell’accusa di magia che era stata lanciata contro il francescano Thomas Murner, autore di una Logica memorativa, chartiludium logicae sive totius dialecticae me- moria pubblicata nel 1509. Nello scritto, che propugnava la combinazione di un sistema di concetti con un parallelo si- 33 Explicatio, cit., p. 654. 54 Explicatio, cit., p. 654. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 79 stema di simboli plastici, erano evidenti gli influssi lulliani.*° La relazione finale, scritta da Ioannes de Glogovia sulla questione, è un documento singolare. Meglio di un lungo discorso essa ci dà la sensazione precisa della larga diffusione (anche negli ambienti accademici) di un certo tipo di discussioni € vale anche a mostrarci la presenza di quella connessione, che andò stabilendosi particolarmente nelle università tedesche del Rinascimento, fra la logica e la mnemotecnica: Ego magister Ioannis de Glogovia Universitatis Craco- viensis Collegiatus... testimonium do veritatis... patrem Th. Murner Alemannum... hanc chartiludium praxin apud nos finxisse, legisse et usque adco profecisse, quod in mensis spatio etiam rudes et indocti... sic evaserint memorcs ct eruditi, quod grandis nobis suspicio de prae- dicto patre oriebatur, quiddam magicarum rerum infu- dissc potius, quam praecepta logicac tradidisse...** L’idea di una logica memorativa o di una sostanziale af- finità e parentela fra la logica e l’arte della memoria sta in realtà alla base di tutti i tentativi, che si rinnoveranno nella

cultura europea dal primo Cinquecento fino a Leibniz, di utilizzare l'eredità lulliana per costruire un’ars generalis uni- ficatrice di tutto il sapere c un sistema mnemonicum o enci- clopedia delle scienze. La riforma della logica di Bruno e l’enciclopedismo di Alsted si muovono, da questo punto di vista, su un terreno comune. Non è certo un caso che tra le 55 THomas Murner, Logica memorativa. Chartludiun logicae sive to- tius dialecticae memoria et novus Petri Hispani textus emendatus, cum jucundo pictasmat, cxercitio, Bruxelles, Thomas van der Noot, 1509 (co- pia usata: Parigi, Naz., Rés. R. 871). Cfr. anche la Invectiva contra astrologos, Argentinae, 1499 (ibid. Rés. V. 1148). Non sono riuscito a vedere il Chartiludium institutae summarie doctore Thoma Murner memorante ct ludente, Argentinae, per Johannen Priis, 1518 che con- tiene una riduzione delle Istituzioni giustinianee in quadri sinottici co- struiti sulla base degli stemmi e delle imprese dei vescovi e dei prin- cipi imperiali. Nel 1515 1’ Università di Treviri rilasciò una dichiara- zione dalla quale risultava che il Murner era in grado di insegnare le Istituzioni nello spazio di quattro settimane servendosi di un me- todo fondato sulla memoria artificiale. Sul Murner cfr. Carreras Y Artau, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 224-25 e, per le influenze di Lullo, A. Gortron, Ein /ullisticher Lehrstuhl in Deutschland un: 1600 ?, in « Estudis Universitaris Catalans », 1913. #6 Cit. in PrantL, III (1955), p. 294. 80 CLAVIS UNIVERSALIS fonti della “caratteristica” leibniziana si trovino, accanto ai principali testi del lullismo europeo, non poche e non secon- darie opere di ars reminiscendi. Un'altra cosa va infine sottolineata: il sospetto di magia che aveva colpito il buon Murner era in realtà, almeno in parte, pienamente giustificato. La logica memorativa, la com- binatoria, l’ars inveniendi e l’ars reminiscendi si configurano spesso come progetti di fondazione di un’arte mirabile capace di condurre, come per una rapida scorciatoia, entro i più se- greti recessi della natura. Anche la logica o l’arte di Bruno, profondamente legata al lullismo, alla “memoria”, alla ca- bala, agli emblemi, apparirà assai simile a un prodotto di magia. Pio V, Enrico IH di Francia, l'ambasciatore spagnolo alla corte di Rodolfo II, lo stesso Giovanni Mocenigo ve: dranno in Bruno l’inventore e il possessore di un'arte segreta capace di ampliare, in modo smisurato, le possibilità di do- minio dell’uomo. Dal sospetto di magia questo tipo di “lo. gica” si libererà del resto assai tardi. Nella Historia et com- mendatio linguae charactericae universalis, Leibniz, mentre distingueva la «vera » dalla « falsa » cabala, si preoccupava ancora di liberare la combinatoria dall’accusa di magia: « Già a partire da Pitagora gli uomini furono persuasi che i più grandi misteri sono nascosti nei numeri. Ed è credibile che Pitagora abbia introdotto in Grecia dall’Oriente questa opi- nione come molte altre cose. Ma ignorandosi la vera chiave dell’arcano, i più curiosi sono caduti nelle futilità e nelle superstizioni, donde è nata quella certa cabala volgare molto lontana da quella vera e le molteplici inezie con un certo falso nome di magia di cui sono pieni i libri ».# 5? La trad. del passo (Gerhardt, VII, pp. 184-89) è in F. Barone, Lo- gica formale e logica trascendentale, I, da Leibniz a Kant, Torino, 1957, p. 14. Il I TEATRI DEL MONDO 1. SIMBOLISMO E ARTE DELLA MEMORIA. Non pochi esponenti della cultura del tardo Cinquecento identificarono la combinatoria lulliana con una logica me- morativa. Quest'ultima si presentava da un lato come l’ars ultima o l’instrumentum universale capace di sottoporre ad esame tutti i principi delle scienze particolari, dall’altro come un grandioso sistema di ars reminiscendi che costituiva il fondamento di un organico e completo sistema mnemonicum o generale enciclopedia di tutto il sapere. Da questo punto di vista l’ars memoriae di origine retorica e “ciceroniana” poteva apparire — accanto alla combinatoria e alla mnemo- tecnica di derivazione lulliama — elemento essenziale alla costruzione della pansofia: alla nuova logica, capace di ri- specchiare nella sua struttura le strutture stesse del mondo reale, avrebbe fatto riscontro una enciclopedia o teatro uni- versale che, di quella logica, fosse il naturale compimento. Comune presupposto a quella logica e a quel teatro era una dottrina “speculare” della realtà, la tesi di una perfetta, to- tale corrispondenza fra i termini e le res. Nel capitolo che precede ho cercato di indicare le fonda- mentali linee di svolgimento della tradizione del lullismo durante il secolo XVI. Anche entro la complessa tradizione della mnemotecnica retorica e “ciceroniana”, la cui diffusione procede contemporaneamente a quella del lullismo, interven- nero, fra gli ultimi anni del Quattrocento e i primi decenni del secolo XVII, alcuni essenziali mutamenti. Questi con- cernono non l’apparato tecnico dell’arte mnemonica che resta sostanzialmente immutato, anche se va ampliandosi mediante numerosi accorgimenti, ma il significato stesso che l’arte viene ad assumere all’interno del mondo della cultura. Quell’ars memoriae che era stata valutata nel Trecento e nel Quattrocento un accorgimento utile ai predicatori, una tecnica utilizzabile dai politici dai letterati e dai giuristi, ac- quisterà sul finire del Cinquecento, in taluni ambienti, un 82 CLAVIS UNIVERSALIS

ben diverso significato. Nei testi del Bruno essa appare per esempio strettissimamente collegata alla tematica di una me- tafisica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, alle discussioni sui rapporti logica-retorica, agli ideali della pansofia, alle aspirazioni del lullismo. Mentre si connetteva a questi movimenti e a queste correnti, l’ars memoriae si andava caricando di significati metafisici, veniva piegata a diverse esigenze di pensiero. Quella limpidità di espressioni e quella chiarezza teoretica che avevano caratterizzato le pagine di Cicerone, di Quintiliano, di Alberto, di Tommaso, di Pietro da Ravenna scompaiono definitivamente nella trat- tatistica successiva alla seconda metà del Cinquecento: un gusto di tipo barocco per i geroglifici, gli alfabeti, i simboli, le immagini, le allegorie appare ora nettamente dominante. Fra i testi quattrocenteschi sulla memoria o quelli di Pietro

da Ravenna da un lato e quelli del Bruno dall’altro esiste, da questo punto di vista, una differenza incolmabile: nel primo caso assistiamo al tentativo di elaborare, con strumenti razionali, una tecnica retorica fondata su uno studio delle associazioni mentali; nel secondo caso siamo in presenza di un complesso simbolismo che serve da velo ad una sapienza riposta attingibile solo attraverso la ambiguità degli emblemi e l’allusività delle immagini, dei sigilli e delle imprese. Ad uno strumento costruito in vista di finalità pratiche e mon- dane, si è sostituita la ricerca di una cifra o di una chiave che consenta di penetrare entro il segreto ultimo della realtà e della vita. Intorno alla metà del secolo non sono più i teorici della retorica o gli studiosi di dialettica ad occuparsi dell’ars me- moriae: Cornelio Agrippa e Giulio Cesare Camillo, Giovam- battista Della Porta, Cosma Rosselli e Giordano Bruno con- siderano le regole della memoria come strumenti da impie- gare in vista di finalità assai più ampie di quelle, limitate e modeste, della retorica o della dialettica. In ciascuno di que- sti autori troviamo presenti ed operanti i temi del lullismo e della cabala, della magia e dell’astrologia, l’eredità dell’Ars notoria, dei testi ermetici, dell’opera di Pico e di Ficino. Bruno, commentatore di Lullo e innovatore dell’Ars me- moriae, vedrà derivare da una « fonte comune » la teologia di Scoto Eriugena, la combinatoria, i misteri del Cusano, la I TEATRI DEL MONDO 83 medicina di Paracelso. Erano posizioni e riferimenti, al suo tempo, già ampiamente diffusi: alla metà del secolo aveva visto la luce, a Parigi, il De usu et mystertis Notarum Liber (1550) scritto da Jacques Gohory (Leo Suavius) avvocato al parlamento di Parigi e diplomatico, grande commentatore dell’opera paracelsiana e traduttore del Principe e dei Discorsi del Machiavelli, studioso insigne di alchimia, di botanica e di teoria della musica. Nella sua discussione sui segni egli faceva riferimento costante alla magia di Tritemio, alla cabala cristiana, all’Ars notoria, alle opere di Pico e di Ficino, all’ars memoriae, alla combinatoria lulliana, al Teatro del mondo di Giulio Camillo.! È, la sua, posizione oltremodo indica- tiva di quel mutamento di valutazioni cui abbiamo accennato.

Ma prima di trarre conclusioni potrà esser di qualche giova- mento cercare di seguire la diffusione, in Europa, di taluni testi italiani particolarmente fortunati; considerare alcuni di quei seatri del mondo nei quali i temi della cabala e quelli di un enciclopedismo su basi metafisiche si sovrappongono agli originari intenti mnemonico-retorici; soffermarsi infine su alcuni testi nei quali i temi della combinatoria lulliana e quelli dell’arte mnemonica confluiscono in modo partico- larmente evidente. 2. DIFFUSIONE DELL’ARS MEMORIAE IN INGHILTERRA E IN GER- MANIA. Convenientemente addottrinato da madama Logica, l’eroe di quel singolare poema allegorico-didattico che è il Pastime of Pleasure di Stephen Hawes, continua la sua non lieve ascesa nella Torre della Dottrina ed entra nella stanza di dama Retorica. Dopo aver accuratamente enumerato le cin- que parti della retorica ed aver chiarito la connessione inter- corrente fra queste e le varie facoltà dell'animo, la dotta dama, facendo riferimento alla memoria, così si esprime: Y£ to the orature many a sundry tale One after other treatably be tolde ! Le traduzioni delle opere del Machiavelli sono del 1571. Sul Gohory cfr. L. THorRNDIKE, History of Magic and Experimental Science, New York, 1951, V, pp. 636-40; D. P. Wacker, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella, London, 1958, pp. 96-106. 84 CLAVIS UNIVERSALIS Than sundry ymages in his closed male Eache for a mater he doth than well holde Lyke to the tale he doth than so beholde And inwarde a recapitulacyon Of eche ymage the moralyzacyon Whiche be the tales he grounded pryvely Upon these ymages sygnyfycacyon And whan tyme is for hym to specyfy All his tales by demonstracyon In due ordre maner and reason Than eche yamage inwarde dyrectly The oratoure doth take full properly So is enprynted in his propre mynde Every tale with hole resemblaunce By this ymage he dooth his mater fynde Eche after other withouten varyance Who to this arte wyll gyve attendaunce As thercof to knowe the perfytenes In the poetes scole he must have intres.? In questo testo, pubblicato a Londra nel 1509, veniva per la prima volta formulata, in lingua inglese, la dottrina della retorica classica. Anche se orientato in funzione di una « poetica », il riferimento alla dottrina dei luoghi e delle immagini non poteva essere più preciso. Il tentativo di adat- tare la terminologia della RAetorica ad Herennium alle par- ticolari esigenze dell’arte poetica non era, in Inghilterra, senza precedenti; in questo senso la Poetria Nova composta da Goffredo di Vinsauf fra il 1208 e il 1213 costituisce (come ha chiarito lo Howell) una delle principali fonti del poema di Hawes.® Resta, a confermare una sostanziale divergenza 2 S. Hawes, The Pastime of Pleasure, ed. by W. E. Mead, London, 1928, p. 52, vv. 1247-1267. La prima cdizione è Wynkyn de Worde, London, 1509; successive edizioni nel 1517, 1554, 1555. Ampie notizie sull’autore e sulle edizioni nell’edizione a cura di R. Spindler, Leipzig, 1927, pp. XXIX- XLI. Il brano riportato nel testo è cit. in W. S. Ho- well, Logic and Rhetoric in England, 1500-1700, Princeton, 1957, p. 86. Dal libro dello Howell (sul quale cfr. la rassegna Ramismo, logica e retorica nei secoli XVI e XVII, « Riv. critica di st. della filos. », 1957, 3, pp. 361-63) ho ricavato varie notizie sui testi inglesi di mne- motecnica. 3 Il testo in E. Farat, Les arts poétiques du XIlIc et du XIII: siècle, pp. 197-262. Cfr. HowELL, op. cit., pp. 75-76. I TEATRI DEL MONDO 85 di valutazioni circa la funzione esercitata dall’ars memoriae all’interno dell’ars rhetorica, l’importanza attribuita dallo Hawes all’ars reminiscendi in vista della formazione del poe- ta. La stessa differenza, che è indice del sorgere di un inte- resse nuovo per le tecniche della memoria, possiamo riscon- trare confrontando la terza edizione (1527) del Mirrour of the World di William Caxton sia con le duc precedenti edi- zioni (1481 e 1491) sia con il Livre de clergie nommé l’ymage

du monde (1245?) del quale l’opera del Caxton è la più o meno fedele traduzione. In questa terza edizione, accanto una brevissima trattazione dell’invenzione, della dispositio e dello stile e a più ampie considerazioni sulla pronuntiatio, trovia- mo una dettagliata esposizione delle tecniche  memorative nella quale tornano, con molta abbondanza di particolari, temi ben noti: Memory Artyfycyall is that which men cal Ars memorativa. The crafte of memory by which craft thou mayste wryte a thynge in thy mynde and set it in thy mynde as eviden- tly as thou mayst rede and se the worcles which thou wrytest with ynke upon parchement or paper. Therfore in this arte of memory thou muste have places which shal be to the lyke as it were perchenent or paper to wryte upon. Also instede of thy lettres thou must ymagyn Ima- ges to set in the same places... But yf thou canst not have a corporall ymage of the same thynge as yf thou woldest remembre a thynge whyche is of it selfe non bodely nor corporall thyng but incorporall, that thou muste yet take an ymagce therfore that is a corporali thynge...4 L'interesse per questo genere di discussioni è del resto strettamente collegato alla rinascita, nell'umanesimo inglese, della grande tradizione della retorica classica, rinascita che appare per molteplici aspetti legata ai rapidi mutamenti della società inglese, all’avanzare sulla scena politica e culturale degli uomini di legge, ai dibattiti sull’efficacia delle prediche religiose, alle controversie parlamentari. Non a caso nelle 4 W. Caxron, Mirrour of the World, ed. by O. H. Prior, London, 1913. L'edizione del Prior è condotta sulle edizioni del 1481 e 1491 (circa). La trattazione sulla memoria (cit. in Howett, Logic and Rhe- toric, cit., pp. 88-89) è ricavata dalla terza edizione: The myrrour, dyscrypcion of the wordle with many marvaylles, London, 1527 (?), D3r-D3v. 86 CLAVIS UNIVERSALIS scuole e nei colleges l’insegnamento della retorica e del “me- todo di trasmissione del sapere” occupa, fra la metà del Cin- quecento e la metà del Seicento, una posizione predominante : un testo fondamentale, la Pleusant and persuadible art of Rhetorique di Leonard Cox, veniva presentato, nel 1532,‘ come opera necessaria agli avvocati agli ambasciatori agli in- segnanti e a tutti coloro che avrebbero dovuto parlare davanti ad un'assemblea. Alla diffusione nella cultura inglese del- l'ideale del cortegiano e del gentiluomo (esperto insieme di “cortesia” e di “politica”) corrispose il moltiplicarsi dei ma- nuali di retorica e l’intensificarsi di una discussione che con- cerneva, insieme alle “buone maniere”, anche problemi atti- nenti alla “persuasione”, alla “tolleranza”, alla convivenza civile. Solo tenendo presente questa atmosfera può del resto risultar chiaro il significato dell’aspra, intensa polemica che si svolgerà negli ultimi anni del secolo tra i riformatori rami- sti e gli agguerriti sostenitori della logica scolastica e della retorica ciceroniana. Molti dei motivi che abbiamo trovato presenti negli scritti dell'’Hawes e del Caxton erano stati senza dubbio ricavati da fonti classiche, e, sia pure parzialmente, da fonti medie- vali. Ma non mancò, anche in questo particolare settore della cultura, un diretto influsso italiano: esso è mostrato non solo dall'influenza esercitata in Inghilterra dalla Nova RAetorica di Guglielmo Traversagni da Savona (1479), ma anche dalla pubblicazione, intorno al 1548, di una Art of memory that otherwise is called the Phoenix. Presentato da Robert Co- pland come la traduzione di un anonimo scritto francese, questo libretto era in realtà (come già ha notato lo Howell) la traduzione della ben nota Phoenix di Pietro da Ravenna: Ravenna (3r-3 v) Et pro fundamento huius primae conclusionis quatuor regulas po- no. Prima est haec: loca sunt fe- nestrae in parietibus positae, co- lumnae, anguli et quac his si- milia sunt. Secunda sit regula: loca non debent esse nimium vi- Copland (B 3r) And for the foundacion of this fyrst conclusyon I wyll put foure rules. The fyrste is this. The pla- ces are the wyndowes set in wal- les, pyIlers and anglets, with other lyke. The Il rule is. The places ought nat to be nere togyther not ° L. Cox, The Arte or Crafte of Rhetoryke, cd. by F. I. Carpenter, Chicago, 1889. I TEATRI DEL MONDO 87 cina aut nimium distantia. Tertia to fare a sonder. The HI rule is sit regula vana ut mihi videtur... suche. But it is vayne as me se- meth... Dati questi precedenti, appare facilmente comprensibile come uno dei testi più fortunati e più significativi della cul- tura del Cinquecento, la Arte of RAetorique di Thomas Wil son (1553), potesse rifarsi, in modo caratteristico, a fonti ita- liane costruendo un tipo di esemplificazione che, mentre da un lato ricorda da vicino i testi del Ravennate, dall’altro sembra anticipare, nell’uso costante di immagini di perso- naggi mitologici, alcune tipiche costruzioni del Bruno: As for example, I will make these [places] in my cham- ber. A doore, a window, a presse, a bedstead, and a chim- ney. Now in the doore, I wil set Cacus the theefe, or some such notable verlet. In the windowe I will place Venus. In the presse I will put Apitius that famous Glutton. In the bedstead I will set Richard the third King of En- gland or some notable murtherer. In the Chimney I will place the blacke Smith, or some other notable traitour.* Oltre e più che in Inghilterra, l’arte ciceroniana della memoria trovò, nel corso del secolo XVI, larga diffusione in Germania. Qui, oltre al consueto inserimento della tecnica memorativa entro le trattazioni generali dedicate alla retorica, si ebbe una vera e propria fioritura di testi specifici: nel 1504 esce a Strasburgo un’Ars memorativa S. Thomae, Ciceronis, Quintiliani, Petri Ravennae che colloca definitivamente Pie- tro fra i classici dell’arte; nel 1505, a Colonia, Sibutus pub- blica un’Ars memorativa, del 1510 è il Ludus artificialis obli-

vionis di Simon Nicolaus aus Weida pubblicato a Lipsia; a Venezia, dieci anni più tardi, esce un fortunato libretto, il Congestorium artificiosae memoriae di Johannes Romberch, intieramente modellato sullo scritto del Ravennate e poi dif- fuso in Italia nella traduzione di Ludovico Dolce;’ a Stra- © TH. WiLson, The Arte of Rhetorique for the Use of All Suche are Studious of Eloquence, ed. by G. H. Mair, Oxford, 1909 (cfr. Howett, op. cit., p _.104). 7 Jo. RomsercH DE Kwrspe, Congestorium artificiosae memoriae... om- num de memoria pracceptiones aggregatim complectens, Venetiis, in aedibus Georgii de Rusconibus, 1520 (copia usata: Triv. Mor. L. 561). La Yates, The Ciceronian Art of Memory, in: Medioevo e Rinasci- 88 CLAVIS UNIVERSALIS sburgo, nel ’25 Fries pubblica un’Ars memorativa, ancora a Strasburgo nel ’41 e nel ’68 vedono la luce rispettivamente la Memoria artificialis di Riff e i Praecepta de naturali memo- ria confirmanda di Mentzinger; infine a Wittenberg, che era stata il centro di diffusione dell’insegnamento del Ravenna, esce nel "70 (ma con una prefazione del 1539) il Libellus arti- ficiosae memoriae in usum studiosorum di Johannes Spanger- bergius, più volte ristampato e incluso nel 1610 nel Gazopli- lacium dello Schenkel, una raccolta che fece il giro di tutta Europa. L’aspra polemica di Cornelio Agrippa contro l’uso e l’a- buso delle arti mnemoniche appare facilmente spiegabile ove si tenga presente questa vera e propria invasione di testi di mnemotecnica nella vita culturale tedesca del Cinquecento. Attribuendo a Cicerone a Quintiliano a Seneca al Petrarca e a Pietro da Ravenna la responsabilità di questa « frenetica mania » Agrippa non solo si scagliava contro un tipo di inse- gnamento che opprimeva gli scolari ‘n gymmnastis e contro una tecnica che mirava, anziché alla vera sapienza, alla « glo- ria puerile dell’ostentazione », ma ripeteva, con vigore parti- colare, il vecchio argomento di tutti gli avversari della mne- motecnica, lo stesso argomento contro il quale, cinquant'anni più tardi, il Bruno polemizzerà aspramente: « La memoria artificiale non è minimamente in grado di persistere senza la memoria naturale e quest’ultima viene assai di frequente resa ottusa da immagini mostruose tanto da generare spesso una specie di mania e di frenesia per la tenacia della memoria; accade invece che l’arte, sovraccaricando la memoria naturale con innumerevoli immagini di parole e di cose, conduce alla pazzia coloro che non si accontentano dei confini stabiliti mento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1945, assegna erronca- mente la prima edizione di questo testo al 1533. La traduzione del Dolce è il Dialogo di L. Dolce nel quale si ragiona del modo di accre- scere ct conservar la memoria, in Venetia, Giovanbattista Sessa c fra- telli, 1586 (copia usata: Triv. Mor. M. 248). La prima edizione risale al 1562, una seconda è del 1575. Già nel 1592 la fonte del Dolce era stata individuata: cfr. la Plutosofia di Filippo Gesualdo... nella quale si spiega l’arte della memoria (p. 11 dell'edizione vicentina del 1600. Triv. Mor. H. 65). I TEATRI DEL MONDO R9 dalla natura ».8 Era una curiosa posizione, questa di Agrippa, dato che questa contrapposizione dei diritti della natura alle empie pretese dell’arte proveniva da uno dei più ferventi e appassionati sostenitori dell’arte lulliana, da un uomo che aveva dedicato non poche delle suc energie ad un « perfezio- namento » della complicata impalcatura dell’ars magna. Il testo di Agrippa è del 1530. Due anni dopo, nei suoi Rhetorices elementa il maggior teorico della logica ec della retorica della Riforma, Melantone, assumeva nei confronti dell’ars memoriae una posizione non dissimile. Pur senza l’asprezza polemica di Agrippa, Melantone denunciava la sostanziale sterilità di ogni tecnica intesa al perfezionamento della memoria naturale: « Le cose che sono state scoperte cd ordinatamente disposte vanno infine espresse mediante le pa- role. In queste tre parti si esaurisce tutta l’arte. Sulle altre due parti non offriamo precetti giacché la memoria può ve- nire assai poco aiutata mediante l’arte ».° Insistendo tuttavia da un lato sulla strettissima connes- sione fra la cogitatio e la dispositio e dall’altro sulla funzione della topica in vista di un ordinamento dei concetti origina- riamente sparsi 12 magno acervo, Melantone veniva però a richiamarsi esplicitamente proprio a quella duplice tesi del- l'ordine e della limitazione sulla quale si era fondata la dot- trina dei luoghi e, di conseguenza, l’intera tecnica mnemo- nica. In realtà fra la topica intesa come mezzo di ordinamento dei concetti e la dottrina dell’arte della memoria sussiste, come dovrà notare acutamente Bacone, un rapporto assai stretto.!° Ma di questo più avanti. Ciò che qui va posto in rilievo è invece lo scarso effetto esercitato sugli ambienti tede- schi da prese di posizione del tipo di quelle. di Agrippa e di 8 H. C. Agrippa, De vanitate scientiarum, cap. X, De arte memorativa, in: Opera, Lugduni, 1600, II, p. 32 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). Agrippa attribuisce ancora a Cicerone la R/etorica ad Herennium. ° Rhetorices Elementa, autore Philippo Melanchtone, Venetiis, per Melchiorem Sessam, 1534, p. 4v-5 (copia usata: Ambros. Sxu v. 96). 10 Rhetorices Elementa cit., p. 8. Un caratteristico esempio della con- nessione rilevata nel testo è l' Opusculum de amplificatione oratoria

seu locorum usu, per Adrianum Barlandum in inclito Lovaniensiun gymnasio publicum Rhetoricae professorem, Lovanii, Servatus Zaffe- nus Diestensis, 1536 (copia usata: Braid. B. XIII. 5.512). 90 CLAVIS UNIVERSALIS Melantone: non solo continueranno a diffondersi in Germa- nia i trattati dedicati alla mnemotecnica ciceroniana, ma, dopo la confluenza della tradizione “classica” in quella del lullismo, questo tipo di produzione acquisterà nuovo vigore giungendo, nel corso del Seicento, ad investire alcune delle maggiori personalità della cultura tedesca. 3. SPANGERBERGIUS. Il Libellus artificiosae memoriae in usum studiosorum col- lectus di Johannes Spangerbergius, pubblicato a Wittenberg nel 1570,'! può essere preso ad esempio della vivacità con la quale si presenta, negli ambienti culturali tedeschi del tardo Cinquecento, la tematica attinente all'arte memorativa. L’au- tore di questo libretto (che è forse la più limpida esposi- zione cinquecentesca dell’ars reminiscend:) non ha pretese di originalità: « hanc artificialis memoriae lucubratiunculam ex probatis autoribus utcunque decerpsi et in hanc Epitomem collegi ». Presentando l’arte in forma catechistica egli si preoc- cupa di due cose: rendere l’arte chiara e rapidamente acqui- sibile, presentare una trattazione completa che tenga conto, oltre che delle fonti classiche, anche delle opere più recenti sia retoriche sia mediche. Su alcune delle definizioni e delle regole dello Spangerbergius vale la pena di soffermarsi anche perché esse possono fornirci, in qualche modo, la chiave necessaria ad intendere molte delle posizioni presenti negli scritti del Bruno. Accanto ai leggendari “eroi” della memo- ria (Simonide e Temistocle, Crasso e Ciro, Cinea e Carneade) l’autore ricorda Cicerone, Quintiliano, Seneca e si richiama

anche a Pietro da Ravenna che cita ripetutamente avvicinando il suo nome, in modo significativo, a quello del Cusano: « Nostro saeculo consumatissimus fuit in hac arte clarissimus 11 Artificiosae memoriac libellus in usum studiorum collectus, autore Joanne Spangerbergio Herdesiano apud Northusos verbi ministro, Wi- tebergae, apud Petrum Seitz, 1570. Mi servo della copia dell’Angelica (YY. 3.28) a pagine non numerate. Con il titolo Erosemata de arte memoriae seu reniniscentiae il testo fu ristampato (con la indicazione Authore Ioh. Sp. Herd.) nel Gazophylacium artis memoriae... per Lambertum Schenckelium Dusilivium, Argentorati, excudebat  Anto- nius Bertramus, 1610, alle pp. 339-378 (copia usata: Angelica. SS. 1. 24). I TEATRI DEL MONDO GI vir Petrus Ravennatus utriusque iuris doctor, deinde Ioannes Cusanus et alii ». Il “lullista” Cusano diventava, non a caso, uno dei mae-

stri dell’arte mnemonica: l’idea che le finalità ultime del- l’ars Raimundi coincidessero, in ultima analisi, con quelle proprie dell’ars memoriae era, come vedremo, destinata a raf- forzarsi fino a condurre a quella particolare valutazione della combinatoria lulliana che sarà tipica degli scrittori del Sei- cento e giungerà inalterata alla Historia critica philosophiae del Brucker. Dopo aver definito la memoria come comprehensio earum quae praeterierunt, come retentio e conservatio ed aver di- stinto fra memoria naturale e artificiale, lo Spangerbergius prende immediatamente posizione contro l’accusa di una insufficienza dell’arte di fronte alla perfezione o imperfezione naturale: in primo luogo egli nega la perfezione della me- moria naturale, in secondo luogo pone in rapporto la perfet- tibilità di questa mediante l’arte, con la maggiore o minore perfezione delle doti native: « Quanto naturalis memoria est hebetior, tanto ad artificiosam est imbecillior; contra quanto na- turalis est vegetior, tanto ad artificiosam expeditior ». La memo- ria artificiale è definita una « dispositio imaginaria rerum sen- sibilium in mente, super quas memoria naturalis reflexa com- movetur et adiuvetur, ut prius apprehensa facilius et diutius valeat recordari ». Essa è utile sia all’apprendimento delle scienze, sia a quella transitoria ritenzione degli argomenti che

è necessaria al poeta, all'insegnante, all’oratore, all’avvocato. Accanto alla normale dimenticanza «delle specie delle cose passate » (per corruptionem), lo Spangerberg distingue duc tipi di amnesia “patologica”: l’uno derivante dal sopravvento delle passioni delle malattie della vecchiezza (per diminutio- nem), l’altro dipendente dalla ablezio o da una lesione agli organi cerebrali. Mentre per ovviare alla corruptio è oltremodo utile l’uso dei luoghi e delle immagini, di fronte alla dimi- nutio e alla ablatio i precetti della retorica devono lasciare il posto a quelli della medicina. Sulle tracce della Réetorica ad Herennium e della Phoenix del Ravennate, la dottrina dei luoghi e delle immagini viene svolta secondo i canoni tradi- zionali: accanto a una distinzione dei luoghi in tre tipi fondamentali, l’autore enumera dieci « regole » sulle caratte- 92 CLAVIS UNIVERSALIS ristiche dei medesimi, tratte, in sostanza, dallo scritto del Ra- venna. Agli stessi testi si rifà la teoria delle immagini: di nuovo c’è solo la distinzione fra imagines rerum e imagines vocum. Dalla parte «teorica » della mnemotecnica lo Span- gerberg distingue, come farà più tardi il Bruno, una parte pratica (praxis memoriae) nella quale le regole della sezione teorica vengono applicate, attraverso la costruzione di una serie di esempi o modelli, a casi specifici. Soprattutto preoc-

cupato della creazione delle immagini, lo Spangerbergius co- struisce, seguendo un metodo rigorosamente dicotomico, la seguente tabella di tutti i possibili tipi di dictiones: Omnis dictio aut cst ‘ignota aut nota aut est res inwvisibilis aut visibilis vel est accidens vel substantia vel est imanimiata vel animata est nomen commune vel propriun Il primo dei sei casi è quello della dictito ignota: al posto della diczio della quale si ignora il significato si può collocare, facendo ricorso alla vocalis similitudo, una dictio nota signift- cante una cosa visibile e « similis in voce huic pro qua poni- tur » (come quando, per figmentum, si fa ricorso ad una « palam instrumentum » al posto della « praepositio palam »), oppure si può procedere, nei casi nei quali sia assente la pos: sibilità di una similitudine vocale o di suono, per inscriptio- nem, ponendo cioè un’immagine in precedenza fissata al po- sto di ciascuna delle lettere che costituiscono il termine. Il secondo caso è quello della dictio nota rei invisibilis (per es. il termine «giustizia »); oltre che del fiementum ce della ins- criptio è qui possibile servirsi della comparatio e della simi- litudo facendo leva su quelle che in linguaggio moderno sono le leggi dell’associazione (« nigrum nos ducit in cognitionem albi »; «calamus ducit nos in memoriam scriptoris » ecc.). Il terzo caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia un accidens: qui sì ricorre al subiectum principale (« ut albedo per nivem » ecc.). Il quarto caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia substantia inanimata: essa è I TEATRI DEL MONDO 93 esprimibile attraverso l’immagine di una persona « agens cum tali re ». Il quinto caso è la dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome comune: l’imma- gine è costruita, secondo i canoni “ciceroniani”, col riferi- mento ad una « persona nota ». Infine il sesto caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome proprio: attingendo alla iconologia si dà qui luogo all'immagine di un uomo in particolari abiti e particolari positure (con le chiavi: nel caso di Pietro, con una spada in mano: nel caso di Paolo ecc.). La classificazione così costruita dallo Spangerbergius è in realtà molto più complicata di quanto non risulti da questo già troppo complicato sommario: in primo luogo vengono accuratamente distinti i vari tipi di simulitudo e di figmen- tum,!* in secondo luogo il reale esercizio della praxis mnemo- nica si trova di fronte a casi più complicati di quelli contem- plati, che risultano dall’intreccio di vari tipi di dictio, in una stessa proposizione o discorso. Ma è alla vivacità delle im- magini che conviene, dopo tanti schemi, fare riferimento per- ché risulti ancora una volta confermato quel rapporto, sul quale già ho avuto occasione di insistere, fra la pratica del- l’ars memorativa e la “visione”, fra la dottrina dei luoghi e delle immagini e quelle iconologie, quei simboli, quegli em- blemi dei quali tanto si diletterà Bruno e, con lui, la cultura di un secolo intero: «Ut si velis habere memoriam horum nominum: Petrus, flagellum, canis, sus, aqua, vermes, arena; fac talem colligantiam et imaginationem ut Petrus flagello canem percutiat. Canis vero, verbere commotus, suem mor- 12 Fra i vari tipi di similitudo vengono elencati: « effictio corporum : ut cum senem facimus tremulum, incurvum, labiis demissis, canum; notatio adfectum: ut cum dicimus lupum voracem, lepores timidos, sic laeta iuventus, tristis senectus, prodiga adolescentia; etynrologia : ut Philippus amator equorum; onomatopera: quando sumitur cogni- tio verbi a sono vocis ut hinnitus equi, rugitus leonum, bombitus apum; rerum effectus: cum cuilibet mensi officia sua assignamus ». Molti degli esempi addotti appaiono ricavati, direttamente o indirettamente, da un testo di Iacobo Publicio, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatum spectant oratoren, Venetiis, 1482, D4r-D4v. (Ho visto l'Inc. 697 dell’Angelica; un altro esemplare alla Naz. di Roma, Inc. 70. A. 48). 94 CLAVIS UNIVERSALIS deat. Sus vero, evadere cupiens, vas aquae evertat, in cuius fundo sint vermes procreati qui tegantur arena ». Forse anche di qualche testo di questo tipo converrebbe tener conto quando si parla, a proposito della cultura del tardo Cinquecento, di « barocchismo delle immagini ». 4. LA MEDICINA MNEMONICA DI G. GRATAROLO. Ad una atmosfera ben diversa, permeata di aristotelismo, di magia e di medicina occulta, ci riportano le pagine sulla

memoria del medico e studioso bergamasco Guglielmo Grata- rolo sul quale, in anni recenti, hanno richiamato l’attenzione da punti di vista differenti il Church e il Thorndike.!* Rifu- giatosi a Basilea dopo la sua conversione al protestantesimo, il Gratarolo pubblicava a Zurigo nel 1553 e poi a Basilea nel 1554 (dedicandoli a Massimiliano) i suoi Opuscula !* che con- tenevano, accanto a un trattato di fisiognomica e ad una dis- sertazione sui prognostica tempestatum, un manuale di ars memoriae. Tradotto in francese nel ’55 e in inglese nel ’63, ristampato nel °58 e inserito nel 1603 nelle Introductiones 13 Sul Gratarolo cfr., oltre al TirasoscHI, op. ciz., VII, pp. 615 -16, it CHurcH, Riformatori italiani, tw. it., Firenze, 1935, I, 326 ss.; II, 83 ss, 103 ss, 216 ss. c L. THORNDIKE, op. cit., V, pp. 600-616. Varie indi- cazioni di scritti anche nella « scheda » di E. G. [E. Garin], « Giornale

crit. della filos. ital. », IV (1957), pp. 353-54. Sulla posizione del Gra- tarolo si veda il giudizio del THORNDIKE, op. cif., p. 600: « No man in the sixteentàh century did more to circulate and to perpetuate a va- ried selection of curious works, past and present, in the fields of me- dicine, natural sciences and occult science than did G. Gratarolo... the physician of Bergamo who turned Protestant and settled at Basel ». 14 Uso l'edizione del 1554; Guglielmi Grataroli Bergomatis, artium et medicinae doctoris Opuscula, videlicet: De memoria reparanda, augen- da confirmandaque ac de reminiscentia: tutiora omnimoda remedia, praeceptiones optimae; De praedictione morum naturarumque homi- num cum ex inspectione partium corporis tum alis modis. De tempo- rum omnimoda mutatione, perpetua et certissima signa ct pronostica, Basileae, apud Nicolaum Episcopium iuniorem, 1554 (Triv. Mor. L. 244 e Braid. 13. 52. B. 16). Sulla edizione dell'anno precedente cfr. p. 3: «Superiori anno... citius quam voluissem emisi in lucem ami- corum ac typographi coactus instantia ». In una terza edizione: Lug- duni, apud Gabrielem Coterium, 1558 (che ho visto in Triv. Mor. N. 4) è aggiunto ai precedenti l'opuscolo De literatorum conservanda valetudine liber. I TEATRI DEL MONDO 93 apotelesmaticae di Johannes ab Indagine," il libretto del Gra- tarolo avrà vasta fortuna e diffusione europea inserendosi in quella trattatistica di medicina mnemonica che si rifaceva ai testi di Avicenna e di Averroè. Pur interessato vivamente alla pubblicazione di testi magici ed alchimistici (il Gratarolo si fece editore di testi pseudo-lulliani, di Arnaldo da Villanova, di Giovanni Rupescissa) il nostro medico evita nella sua trat- tazione ogni riferimento all’ars motoria e si richiama, al solito, da un lato ad Alberto Magno ed Averroè, dall’altro alla RAe- torica ad Herennium. In realtà — cosa che il Thorndike non ha notato !* — Gratarolo sfrutta molto ampiamente un trat- tato italiano che risale al 1481: il De omnibus ingentis augen- dae memoriae di Giovanni Michele Alberto da Carrara.” I venti precetti generali dell’arte presenti nel sesto capitolo del- l'opuscolo del Gratarolo (pAslosophica consilia, canones, et reminiscentiae praecepta) e quasi tutto il settimo capitolo a paiono infatti ricavati, con leggere differenze di stile, dall’o- pera del Carrara alla quale già abbiamo avuto occasione di riferirci. Si veda, a titolo di esempio, la definizione dei quattro « moti » che costituiscono la memoria e il comune richiamo a Cicerone e a Tommaso: Carrara (fol. 70r, 73r) Ad memorandum quatuor mo- tus concurrunt: Motus. spiritus qui a cogitativa ad memorati- GrataroLo (pp. 44, 59) Ad memorandum quatuor mo- tus concurrunt: primus est mo- tus spirituum qui a cogitativa vam figuras transportat.  Pictu- ra fixioque figurarum in ipsa cies ad memorativam figuras aut spe- transportant.  Secundus est 15 Discours notable des moyens pour conserver et augumenter la mé- moire avec un traité de la physionomie, traduit du latin par E. Copé, Lyon, 1555 (questo, e un diverso titolo della stessa trad., in THORNDIKE, op. cit., p. 607); The Castel of Memorie, Englished by W. Fullwood, London, 1563 che ebbe una seconda ediz. nel 1563 e una terza dieci anni dopo. Nelle Introductiones, ed. 1603, il testo del Gratarolo: pp. 179 - 215. 16 Il libro del Dolce e quello del Romberch vengono semplicemente citati dal Thorndike (op. cit., p. 607) accanto a quello del Gratarolo come «other works on this subject ». Della produzione di mnemo- tecnica — per tanti aspetti legati alla magia — il Thorndike in realtà non si occupa. 1? Uso l’inc. contenuto nel Cod. lat. 274 della Marciana (classe VI): il testo del Carrara occupa i ff. 69-82r. (Bononiae per Platonem de Benedictis, 1491). 96 CLAVIS UNIVERSALIS memorativa. Reportatio carum a spiritibus a memorativa ad co- gitativam. Actio quac €a cogi- tativa recognoscit, quae proprie est memorari... Artificiosa memo- ria ut Cicero dicit secundo ad Herennium ex locis veluti ex cera at tabella, et imaginibus veluti figuris literarum  constat. Sic enim fieri poterit, ut quae accipimus quasi legentes redda- mus. Cicero centum eos satis esse pictura fixioque figurarum in ip- sa memoria. Tertius est  repor- tatio a spiritibus a memora- tiva ad cogitativam seu ratio- cinativam. Quartus est illa actio qua cogitativa recognoscit, quac proprie est memorari... Artificio- sa memoria, ut inquit Cicero se- cundo ad Herrennium ex locis veluti ex cera et tabella et ima- ginibus veluti figuris literarum constat. Sic enim fieri solet, ut iudicavit, beatus Thomas plures. quae accepimus quasi legentes habendo consuluit. reddamus... Cicero centum eos satis esse iudicavit. Beatus Tho- mas plures habendo consuluit. Gli stessi riferimenti ai testi di Alberto e di Averroè per- dono, sc si tiene presente l’esistenza di questa fonte, molto del loro significato. Di originale, rispetto al trattatello del Car- rara, restano, oltre a un fugace accenno all’anatomia del Ve- salio,"* le numerose e curiose ricette per il rafforzamento della memoria (« Saepe lavare pedes in acqua calida in qua bullie- rint melissophillon, folia lauri, chamaemelon et similia, me- moriae capiti oculisque valde confert »). Quella del saccheg- io dei testi era del resto un'attività largamente diffusa fra i trattatisti della memoria locale. Nel 1562 (e poi ancora nell’ °86) fu pubblicato a Venezia il Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la memoria di Ludovico Dol- ce, uno dei più fecondi e superficiali poligrafi del Cinque- cento, che era in realtà, nonostante la pomposa presentazione del Dolce, solo un volgarizzamento dell’opera del Romberch sulla stesso argomento. 5. IL LULLISMO E LA CABALA NEI « TEATRI DEL MONDO ». Nulla in Italia, sino al Bruno, che corrisponda alla nuova impostazione che Pietro Ramo aveva dato in Francia al pro- blema della memoria e tuttavia, valutando quella confusa e 18 Grataroto, Opuscula, cit., (1558), p. 2: « Sedem vero habet memo- ria in occipitio in tertio vocato ventriculo quem et pupim vocant. Lon- gum esset ac pene superfluum hic (ubi studeo brevitati) cerebri totius anatomen describere, quam in multorum libris videre licet, praesertim doctissimi pariter et diligentissimi Andreac Vesalii ». I TEATRI DEL MONDO 97 macchinosa costruzione che fu l’Idea del Theatro di Giulio Camillo detto il Delminio (1556),'* converrà tener presente il giudizio entusiastico che, di quest'opera, detta un uomo come il Patrizzi che, appunto nel Theatro, vedeva realizzato il ten- tativo di un «allargamento » della retorica e di una sua « estensione » verso la logica e l’ontologia: « non capendo per la grandezza sua negli strettissimi termini de’ precetti dei mae- stri di retorica, uscendone l’allargò in guisa che la distese per tutti gli amplissimi luoghi del Theatro di tutto il mondo ». Intrecciandosi strettamente ai temi più caratteristici dell’er- metismo, del neoplatonismo e della cabala, la retorica diven- tava qui veramente, come è stato scritto, « il tentativo di far corrispondere le articolazioni oratorie del discorso alle strut- ture fondamentali dell’essere ». Senza dubbio, se confrontata con i grandi testi della retorica del Quattrocento e del Cinque- cento, la fumosa costruzione del Camillo non può non appa- rire se non come «la parodia di quanto i teorici rinascimen- tali avevano rigorosamente tentato ».?° E tuttavia se le pole- 19 L'idea del teatro dell'eccellent. M. Giulio Camillo, in Fiorenza, 1550 (copia usata: Ambros. Sir. IV. 36). Cfr. anche Opere, Venezia, A. Griffo, 1584 (Braid. 25. 15. A. 6). Sul Camillo cfr. TiraBoscHI, Storia della letteratura italiana, Modena, 1792, VII, 4, pp. 1520-1532; B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, II, Bari, 1952, pp. III -120; F. Secret, Le Théatre du monde de Giulio Camillo Delminio et son influence, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959, pp. 418-436. Sul significato dell’ « oratoria planetaria » e sui rapporti di questa da un lato con la magia ficiniana e dall'altro con la teoria ficiniana della musica cfr. il capitolo Fabio Paolini and the Accademia degli Uranici nel vol. di P. D. Wacker, Spiritual and De- monic Magic, cit., pp. 126 ss. In particolare sul Camillo, pp. 147 - 48. 20 Questa, come la citazione precedente, da E. Garin, Alcuni aspetti delle retoriche rinascimentali, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, Roma & Milano, 1953, pp. 32, 36. Sul carattere « mondano» della dialettica umanistica che si contrappone alle mistiche cusaniane e fici- niane ha scritto di recente E. Garin, La dialettica dal secolo XII ai princìpi dell'età moderna, « Rivista di filosofia » 2 (1958), pp. 228 - 253: «L'umanesimo opera... nel senso di una smobilitazione di tutti quei simboli che tendevano a proiettare i termini di un'esperienza terrena e storica sui piani del divino e dell’eterno » (pp. 252-53). Nei testi di Camillo, di Rosselli e di Bruno si assiste, per quanto attiene alla mne- motecnica e al lullismo, ad una delle « proiezioni » alle quali fa rife-

rimento il saggio di Garin. Non a caso Bacone e Cartesio, nella loro utilizzazione dell'arte della memoria, saranno ben lontani da questi atteggiamenti e si muoveranno sulla strada di una trasformazione della 98 CLAVIS UNIVERSALIS miche appassionate suscitate dalla comparsa di questa così poco rigorosa « parodia » e gli interessi di Francesco I e gli entu- siasmi del Patrizzi e di Bartolomeo Ricci per la macchina del Camillo possono essere facilmente ricondotti sul piano della “moda”, non è possibile risolvere integralmente la fortuna del Delminio sul piano di una storia del costume.*! L’idea stessa di un teatro « nel quale per lochi et immagini dovevan essere disposti tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo »,°* mentre ci riporta senz'altro ad una tematica assai vicina a quella dell’ars reminiscendi, ci mostra anche come, proprio attraverso l’equivoca e torbida adesione del Camillo agli insegnamenti della cabala, la stessa ars reminiscendi finisca qui per connettersi ad un duplice progetto che sarà, soprattutto nel secolo successivo, ricco di impensati sviluppi: quello di una “macchina universale” o “chiave” della realtà e l’altro, con il primo in stretto rapporto, di una collocazione organicamente e ordinatamente disposta di tutte le umane nozioni e di tutti i fenomeni della natura. Mentre l’uso costante delle immagini veniva posto da Ca- millo in relazione con l’antico tema, presente in tutta la tra- dizione magico-alchimistica da Zosima ad Agrippa, di un sapere segreto °° («et noi nelle cose nostre ci serviamo delle dottrina degli aiuti della memoria in uno degli strumenti della meto- dologia del sapere scientifico. Ed è da sottolineare energicamente il fatto che, in questo loro tentativo, essi si richiameranno a quell’inse- rimento della menzoria nella logica o dialettica che era stato effettuato, nel corso del secolo XVI, dal più noto e discusso rappresentante della dialettica umanistica: Pietro Ramo. 2! E' da vedere la descrizione dell’opera del Camillo in una lettera scritta da Padova il 28 marzo 1532 da Viglius Zuichemus a Erasmo (Cfr. ALLEN, Opus epistolartm D. Erasmi, IX, p. 475; X, pp. 28, 54, 96, 124). Una lettera dell'Alciati del 5 settembre 1530 dì inoltre noti- zie sulla fortuna del Camillo alla corte di Francia (G. Liruti, Notizie, Udine, 1780, III, pp. 69-134). 22 Cfr. Opere, cit., II, p. 212 e J. SturMius, Lidellus de lingua latina resolvenda ratione, ediz. Jena, 1904, p. 5. 23 L'idea del teatro, cit., p. 7: «I più antichi e più savi scrittori hanno sempre havuto in costume di raccomandare a’ loro scritti i secreti di Dio sotto scuri velami accioché non siano intesi se non da coloro i quali (come dice Christo) hanno orecchie da udire, cioè che da Dio sono eletti ad intendere i suoi santissimi misteri. E Melisso I TEATRI DEL MONDO 99 immagini come di significatrici di quelle cose che non si deb- bono profanare »), la trattazione della memoria si collegava strettamente, attraverso la cabala, al progetto del raggiungi- mento di una « vera sapienza ». Fare della retorica lo « spec- chio del mondo » voleva dire, in realtà, muovere verso una radicale distruzione dell’arte memorativa e della stessa reto- rica. Al posto di una riflessione sui discorsi umani, subentrava l'atteggiamento del profeta e del mago: «Salomone al nono de Proverbi dice la sapienza haversi edificato casa et haverla fondata sopra sette colonne. Queste colonne significanti stabilissime eternità habbiamo da intender che siano le sette saphirot del sopraceleste mondo, che sono le sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore... nelle quali sono comprese le idee di tutte le cose del celeste a all’infe- riore appartenenti... L’alta adunque fatica nostra è stata di trovare ordine in queste sette misure, capace bastante distinto et che tenga sempre il senso svegliato e la memoria percossa et fa non solamente ufficio di conservarci le affidate cose parole et arti... ma ci dà ancora la vera sapienza nei fonti della quale veniamo in cognitione delle cose dalle cagioni et non dagli effetti ».?! L’idea, che fu cara al Camillo, di sostituire ai tradizionali luoghi della mnemotecnica ciceroniana «luoghi eterni» atti ad esprimere « gli eterni di tutte le cose » conduceva alla co- struzione di un sistema mnemonico su basi astrologico-caba- listiche. Il grande anfiteatro dalle sette porte non si presentava dice che gli occhi delle anime volgari non possono sofferire i raggi della divinità. Et ciò si conferma con lo esempio di Mosè, il quale scendendo dal monte... non poteva esser guardato dal popolo se egli il viso col velo non si nascondeva. Et gli Apostoli anchora veduto Christo trasfigurato... non sufficienti a riguardarlo per la debolezza cad- devano... A questo abbiamo da aggiunger che Mercurio Trismegisto dice che il parlar religioso e pien di Dio viene ad esser violato quando gli sopraviene moltitudine volgare... I segreti rivelando doppio error si viene a commettere: et ciò è di scoprirgli a persone non degne ct di trattargli con questa nostra bassa lingua, essendo quello il suggetto delle lingue de gli angeli... Et noi nelle cose nostre ci serviamo delle ima- gini, come di significatrici di quelle cose che non si debbon profanare... Né tacerò io che i Cabalisti tengono che Maria sorella di Mosè fosse dalla lebbra oppressa per haver revelato le cose segrete della divinità ». 24 L'idea del tcatro, cit., pp. 9, II. 100 CLAVIS UNIVERSALIS come uno schema vuoto del quale servirsi per ordinare, ai fini dell’orazione, tutti gli elementi della realtà. La ricerca dei caratteri planetari e delle « sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore nelle quali sono comprese l’Idee di tutte le cose al celeste e all’inferiore apposte » trasformava un trattato di arte della memoria in una costruzione di tipo co- smologico-metafisico. Gli interessi per la tematica dell’astro- logia, le suggestioni dell’ermetismo e della cabala finivano per far passare in secondo piano, come avverrà poi in Bruno, ogni finalità meramente « retorica » : «Or se gli antichi Oratori volendo collocar di giorno in giorno le parti delle orationi che havevano a recitare, le affi- davano a luoghi caduchi, come cose caduche, ragione è che volendo noi raccomandare eternamente gli eterni di tutte le cose... troviamo a loro luoghi eterni. L'alta dunque fatica no- stra è stata di trovar ordine in queste sette misure... Ma con- siderando che se volessimo metter altrui davante queste altis- sime misure et si lontane dalla nostra cognitione, che sola- mente da’ propheti sono state anchor nascostamente tocche, questo sarebbe un metter mano a cosa troppo malagevole, pertanto in loco di quelle prenderemo i sette pianeti... ma solamente le useremo, che non ce le propognano come termini fuor de’ quali non habbiano ad uscire, ma come quelli che alla mente de’ savi sempre rappresentino le sette sopra celesti misure ». A questi accostamenti di temi retorici a temi cosmologici, a questa trasformazione dei “luoghi” della memoria artificiale nei “luoghi eterni” della sapienza ermetica, non erano state certo estranee le suggestioni esercitate, sul pensiero del Ca- millo, dai testi del lullismo e dal fiorire della cabala cristiana. Per quanto concerne il lullismo abbiamo una precisa testimo: nianza degli interessi del Camillo per l’arte,?" e non è un caso che Jacques Gohory, nel De usu et mystertis notarum, avvici- nasse il nome del Delmino a quelli dei maggiori commenta- tori e seguaci di Lullo. D'altro lato, quando Camillo aveva pubblicato, nel 1550, la sua /dea del Theatro, erano già ap- 2 G. RusceLLI, Trattato del modo di comporre versi in lingua italiana, Venezia, 1594, p. 14: «Giulio Camillo... m'affermava d’haver fatto lunghissimo studio sopra di quest'arte di Raimondo ». I TEATRI DEL MONDO 101 parsi e si erano rapidamente diffusi in tutta Europa i testi fondamentali della cabala cristiana: l’ Epistola de secretis di Paulus de Heredia (1486 circa), le Conclustones e l’Heptaplus del Pico, il De verbo mirifico e il De arte cabalistica di Reu- chlin (1494-1517), il De arcanis catholicae veritatis del Gala- tin (1518), lo Psalterium del Giustiniani (1516), le opere di Paolo Ricci (1507-1515), il De Harmonia mundi di Francesco Giorgio Veneto (1525), le opere di Agrippa (1532). La combinatoria lulliana e la grande costruzione cosmolo- gica della cabala si incontrarono, nel corso del Cinquecento, sul comune terreno del simbolismo, dell’allegorismo, dell’esem- plarismo mistico. In un passo famoso già Pico aveva avvicinato l’ars combinatoria a quella parte più elevata della magia natu- rale che si occupa degli esseri superiori esistenti nel mondo sopraceleste: l’a/phabetaria revolutto iniziata da Lullo gli cera apparsa strettamente connessa a quella mistica delle lettere e dei nomi che è parte integrante della costruzione cabalistica.** 26 « Haec est prima et vera cabala de qua credo me primum apud latinos explicitam fecisse mentionem... quia iste modum tradendi per succes- sionem qui dicitur cabalisticus videtur convenire unicuique rei secrete et mystice, hinc est quod usurparunt hebrei ut unamquamque scien- tiam quae apud cos habeatur pro secreta et abscondita cabalam vocent ct unumquodque scibile quod per viam occultam alicunde habeatur dicatur haberi per viam cabalae. In universali autem duas scientias hoc etiam nomine honorificarunt: unam quae dicitur... ars combinandi et est modus quidam procedendi in scientis et est simile quid sicut apud nostros dicitur ars Raymundi licet forte diverso modo procedat. Aliam quae est de virtutibus rerum superiorum quae sunt supra lunam et est pars magiae naturalis suprema ». (Apologia tredecim quaestionum, quaestio V: De magia naturali et cabala hebreorum). Sulla funzione delle lettere e dei nomi nella cabala, sull'allegorismo e l'esemplarismo mistico cfr. il cap. VI del volume G. G. ScHorem, Les grands courants de la mystique quive, Parigi, 1950. Ma cfr. anche Zu Geschichte der Anfinge der Christlichen Kabbala, in Essays presented to Leo Baeck, London, 1954. Importante documento dell’incontro fra Cabala rina- scimentale e lullismo è l’opera De auditu kabalistico sive ad omnes scienttas introductorium le cui prime edizioni apparvero a Venezia nel 1518 e nel 1533. Lo scritto venne concordemente attribuito a Lullo e come tale inserito nell'edizione di Strasburgo del 1617 (cfr. ZetzxER, pp. 43.111). Sul cabalismo e il lullismo del Pico cfr. M. MEexENDEZ Pelayo, Historia de los Heterodoxos Espafioles, Madrid, 1880, vol I, pp. 464 e 525 e, soprattutto, E. Garin, Giovanni Pico della Mirandola, vita e dottrina, Firenze, 1937, pp. 90-105; 146-154 c F. Secret, Pico 102 CLAVIS UNIVERSALIS Questa tesi pichiana verrà ripresa, nel corso del Cinquecento, da non pochi fra i seguaci della cabala cristiana: già sul ca- dere del Cinquecento il termine cabala veniva impiegato a indicare l’arte di Lullo. L’avvicinamento non era solo esteriore e non dipendeva solo dall’equivocità del termine cabala con il quale — come ha ben chiarito Frangois Secret — si intesero nei secoli del Rinascimento cose assai diverse: molti (soprat- tutto fra gli esponenti dei maggiori ordini religiosi) si volsero alla cabala come ad una tradizione religiosa alla quale si pote- vano attingere motivi apologetici," ma è certo che le lettere c le immagini, le figure e le combinazioni delle figure riman- davano — nella cabala come nel lullismo — a quel segreto libro dell’universo che il sapiente ha il compito di leggere e di interpretare al di là della parvenza dei simboli. Nell’Encyclopaediae seu orbis disciplinarum epistemon, Paolo Scaligero riprendeva, nel 1559, il progetto di Pico.” Nelle sue 1553 « conclusiones divinae, angelicae, philosophicae, metaphysicae, physicae, morales, rationales, doctrinales, secre- tac, infernales » egli presentava l’immagine unitaria di un uni- della Mirandola e gli inizi della Cabala cristiana, in « Convivium », 1957, |. Alcune osservazioni anche in G. Sarton, Introduction to the History of Science, Baltimora, 1931, II, pp. 901-2. Del tutto insuffi- ciente: ]. L. Brau, The Christian Interpretation of the Cabala in the Renaissance, New York, 1944. 27 Oltre al saggio su Pico citato nella nota precedente sono da vedere, per questi problemi, gli importanti studi di F. Secret, L'astrologie et les Kabbalistes chrétiens à la Renaissance, in « La Tour Saint-Jacques », 1956; Les débuts du Kabbalisme chrétien en Espagne et son histoire à la Renaissance, in « Sefarad », 1957, pp. 36-48; Les domenicains et la Kabbale chrétienne è la Renaissance, in « Archivum Fr. Praedicato- rum », 1957; Le symbolisme de la kabbale chrétienne dans la « Scechi- na» de Egidio da Viterbo, in Umanesimo e simbolismo, a cura di E. Castelli, Padova, 1958, pp. 131-51; Les jéswites ct le kabbalisme chrétien à la Renaissance, in « Bibliothéque d’ Humanisme et Renais- sance », 1958, pp. 542-55. Ma cfr. anche: Jose M.a Mittas VALLICROSA, Algunas relaciones entre la doctrina luliana y la cabala, in « Sefarad », 1958, 251-253. 2* Paul ScaricHius pe Lika (Paul Skalich), Enciclopaediae seu orbis disciplinarum tam sacrarum quam prophanarum Epistemon, Basileae, Oporinus, 1559. Cfr. G. Knasset, P. Skalich, Ein Lebensbild aus dem 16 Jah., Miinster, 1915; L. THornpike, History of magic, V, p. 455 segg.; F. Secret, La tradition du De omni scibili à la Renaissance: l'ocu- vre de Paul Scaltger, in « Convivium », 1955, pp. 492-97. I TEATRI DEL MONDO 103 verso simbolico mediante la quale sarebbe stato possibile rin- novare dalle radici e portare a definitivo compimento, con l’aiuto della sapienza cabalistica, l’arte miracolosa di Lullo. Tralasciando i plagi di Ludovico Dolce e gli scarsi, conven- zionali accenni alla memoria contenuti nella celebre Retorica del Cavalcanti e nella Retorica di Cicerone ad Erennio ridotta in alberi del Toscanella °° (rispettivamente 1562 e 1561), gio- verà dedicare una certa attenzione all’Ars reminiscendi di Giovambattista Della Porta nella quale alla distinzione fra medicina della memoria e ars memorativa, ai consueti ri- chiami alle fonti e ai personaggi del mondo classico, agli or- mai noti tentativi di sintesi fra la tradizione aristotelico-tomi- sta e quella * ‘ciceroniana”, si aggiungono considerazioni di un certo interesse sui geroglifici e sui gestt: due temi sui quali, com'è noto, si eserciterà a lungo la riflessione di molti e di Bacone e di Vico. Alla discussione di questi argomenti il Porta giungeva, non a caso, attraverso il tema delle immagini, « quelle pitture animate che rechiamo nella immaginativa per rappresentare così un fatto come una parola ».°° Di fronte a termini che non simbolizzano cose materiali, come i termini « perché », « ovvero », «tanto » ecc., è necessario ricavare le immagini dalla scrittura, riferirsi cioè con immagini appro- priate alle singole lettere o gruppi di lettere che compongono un termine. In molti altri casi è invece possibile richiamarsi

al «significato »: in questo caso torna opportuno il parallelo con i geroglifici. 29 Per l’opera del Dolce cfr. la nota 7 e TiraBoscHi, op. cir., VII, pp. 1028-29. Sull'opera di O. ToscaneLLa (Venezia 1567), cfr. TiraBOSCHI, op. cit., VII, p. 1156; sulle partizioni della retorica cfr. Lu retorica di Bartolomeo Cavalcanti... divisa in sette libri, dove si contiene tutto quello che appartiene all'arte oratoria, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1559, pp. 24-25 (2 ediz. Triv. B. 377). Ma per rendersi conto della diffusione delle tecniche memorative nei più noti manuali di retorica, gioverà vedere l’opera del Trapezunzio, Réetoricorum libri quingue, Lugduni, apud Seb. Gryphium, 1547, pp. 355-360. 3° Le citazioni sono tratte da L'arte del ricordare del signor Gio. Battista Porta Napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Doran- dino Falcone da Gioia, in Napoli, appresso Mattio Cancer, 1566 (copia: usata: Braid. 25.16. K. 14-15). Il Fiorentino (Studi e ritratti della Rina- scenza, Bari, 1911, pp. 268-69) assegna al 1602 la prima edizione del- l'Ars reminiscendi. 104 CLAVIS UNIVERSALIS « A ciò torremo il modo dalli Egittii i quali, non havendo lettere con che potessero scrivere i concetti de gli animi loro, e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili spe- culationi della Filosofia, ritrovorno lo scrivere con le pitture, servendosi d'immagini di quadrupedi, di uccelli, di pesci, di pietre, di herbe e di simili cose in vece delle lettere: la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricer- che, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle lettere per poterle depingere nella memoria ».î! Molti fra i più illustri esponenti della cultura dei secoli XVI e XVII furono come affascinati dal problema della scrit- tura geroglifica e, più tardi, da quello della ideografia dei cinesi. La contemporanea “esplosione” nella cultura europea del culto per l’ Egitto e della mania per gli emblemi resta oltremodo indicativa di un clima culturale: basterebbe, per rendersene conto, elencare alcune fra innumerevoli edizioni dei Hieroglyphica di Horapollo (il manoscritto greco fu ac- quistato da Cristoforo de’ Buondelmonti nel 1419, pubblicato nel testo greco a Venezia nel 1505, nella versione latina a Parigi nel 1515, 1521, 1530, 1551, a Basilea nel 1534, a Vene- zia nel 1538, a Lione nel 1542, a Roma nel 1597) o del grosso trattato Hieroglyphica sive de sacris Egyptiorum aliarumque gentium di Pietro Valeriano (Basilea e Firenze, 1556; 1567, 1575, 1576 in traduzione francese; 1579, 1595, 1602 a Lione in latino e a Venezia in italiano) riferendosi al quale il Morho- fius, all’inizio del secolo XVIII, scriveva che il libro «è nelle mani di tutti». Gli EmzQ/emata dell’Alciati sono del 1531 (pubblicati a Basilea, avranno più di centocinquanta edizioni, numerose traduzioni e varie edizioni commentate). Uno dei primi seguaci dell’Alciati fu il bolognese Achille Bocchi, ami- co del Valeriano; i Symbolicarum Quaestionum Libri V sono del 1555. Del ’72 sono le Imprese illustri del Ruscelli, del 1603 la fortunatissima /conologia di Cesare Ripa. Di questo tipo di produzione libraria nel quale trovavano espressione temi di derivazione neoplatonica e cabalistica e ove si manife- stava un caratteristico metodo ermeneutico, è necessario tener ® Sulla scrittura degli Egizi cfr. il cap. XIX. Sui gesti il cap. XX: « Potremo parimente col gesto esprimere alcune significationi di pa- role... un muto esprime col gesto ciò che egli desidera usando le mani in vece di lingua ». I TEATRI DEL MONDO 105 conto, come di uno sfondo culturale, anche nel tracciare Je linee di una esperienza “speculativa” quale fu, nel Cinque- cento, quella del lullismo e dell’ars reminiscendi. Il fatto che in civiltà diverse da quella europea fosse stato possibile giun- gere ad ‘una sistematica rappresentazione € comunicazione dei concetti mediante geroglifici o immagini invece che attra- verso le lettere dell’alfabeto, mentre da un lato sembrava in qualche modo confermare quelle possibilità sulle quali l’ars memoriae e il lullismo avevano a lungo insistito, dall'altro an- dava incontro all'esigenza, così largamente e profondamente radicata, di una lingua universale che potesse essere “letta” e “compresa” indipendentemente dalle differenze di linguaggio dovute ai tempi, alle circostanze, alla nazionalità, alla situa- zione storica.’? E se si pone mente al fatto che la stessa tec- nica dell’arte memorativa e le regole del lullismo si presenta- vano di fatto assolutamente slegate c indipendenti dalle lin- gue particolari (ove si consideri appunto la “tecnica” o “arte” prescindendo dalla formulazione delle regole in questa o in quell’altra lingua) si potranno meglio comprendere gli effet- tivi rapporti che sussistono fra fenomeni culturali in appa- renza così diversi come l’arte della memoria, la rinascita del lullismo, l'interesse per i geroglifici, la passione per le icono- logie, il culto per i simboli e gli emblemi. Non a caso in un testo per molti aspetti interessante, il Thesaurus artifictosae memoriae del fiorentino Cosma Ros- selli °° (pubblicato a Venezia nel ’79) ritornava l’ammirazione 3° Ampie notizie sulle interpretazioni cinquecentesche e scicentesche dei geroglifici in MonHor, Polyhistor literarius philosophicus et practi- cus, Lubecca, 1732, II, pp. 167 ss. Sulla stretta connessione fra Egitto- mania ed emblematismo si vedano le osservazioni di E. PANOFSRI, Titian’s Allegory of Prudence, in: Meaning in visuals arts, New York, 1957, pp. 158-62. Fondamentale resta il lavoro di L. VoLKManx, Bilder Schriften der Renaissance. Hieroglyphik und Problematik in ihren Beziehungen und Fortwirkungen, Lipsia 1923 (per le relazioni con la memoria pp. 80-81). Varie notizie sulla letteratura attinente ai gero- glifici in THORNDIKE, op. cit., vol. V, p. 446 ss. Per i rapporti con la letteratura emblematica cfr. M. Praz, Studi sul concettismo, Firenze, 1946, p. 17 ss. e il vol. II degli Srudies in Seventeenth Century Ima- gery, London, 1939. 33 Thesaurus artificiosae memoriae... authore P. F. Cosma Rossellio florentino, Venetiis, apud Antonium Paduanium, 1579 (copia usata: Angelica SS. 1.5). 106 CLAVIS UNIVERSALIS per i geroglifici espressioni non di lettere ma direttamente di concetti (« Aegipti) vice literarum, quae tunc temporis inven- tae non erant, immo non solum literarum vero etiam vice no- minum et conceptuum, animalibus aliisque rebus multis ute- bantur »)?! e si riaffacciava l’idea di una trasformazione del- l’ars memoriae in una vera e propria, universale enciclopedia di tutto il sapere. La dottrina dei luoghi, originariamente con- cepita come avente una limitata e precisa funzionalità all’in- terno della retorica, si trasforma in uno strumento in vista della descrizione degli elementi che compongono il reale. Col-

locando l’inferno, il purgatorio e il paradiso fra i /oca com- munia amplissima il domenicano Rosselli converte il suo trat- tato prima in una specie di enciclopedia teologica, poi in una ampia e minuziosa descrizione degli elementi celesti, delle sfere, del cielo e dell’empirco, dei demoni, degli strumenti delle arti meccaniche o figure artificiali e delle figure naturali come le gemme, i minerali, i vegetali, gli animali, infine le scritture e i vari alfabeti (ebraico, arabo, caldaico). L'esigenza di un esatto, compiuto ordinamento di ciascuno degli elementi della realtà naturale e celeste appare dominante anche nel più famoso dei teatri del tardo Cinquecento: l’Un:- versae naturae theatrum pubblicato a Lione, nel 1590, dal grande giurista e scrittore politico Jean Bodin.®*® Qui siamo ben lontani dall’atmosfera del lullismo e della cabala, qui domi- nano le esigenze di chiarezza e di rigore caratteristiche dei seguaci di Ramo: la minuziosa divisione in tavole delle cause naturali, degli elementi, delle meteore, delle pietre, dei me- talli, dei fossili, degli esseri viventi, dei corpi celesti appare fondata sulla identificazione del metodo con l’ordine e con la apta rerum dispositio. Ma è senza dubbio presente, anche nel testo del Bodin, la convinzione di una piena, continua coe- renza, di una totale coesione fra tutti gli elementi della realtà. La grandezza divina è rivelata dall’opera ordinatrice di Dio che ha collocato nelle appropriate sedi le parti caoticamente 31 Thesaurus, cit., p. 117v. 35 J. Bopin, Universae naturae Theatrum in quo rerum omnium effec- trices causae et fines contemplantur, et continuae series quinque libris discutiuntiur, Lugduni, apud Jacobum Roussin, 1596 (Copia usata, Braid. B. XIX. 6, 565). La prima ediz. è del 1590. I TEATRI DEL MONDO 107 confuse della materia (« permistas et confusas materiae partes initio discrevit, ac forma figuraque decenti subornatas, suo uamque in ordine ac propriis sedibus collocavit »); non dis- simile da quello divino è il compito che spetta al sapiente e nulla può esservi di più bello, più utile e più conveniente di quel paziente ordinamento enciclopedico del reale che consente all'uomo di riprodurre, nei limiti che gli sono consentiti, la perfezione dell’opera divina. Coloro che trascurano questa ri- cerca, dan luogo, anche se sono in grado di discettare sottil- mente, ad una scienza vana e deforme, mescolando i grani del frumento con quelli della senape perdono la possibilità di far effettivamente uso del loro sapere. Il teatro, concepito come coerente e rigorosa dispositio, consentirà invece la sco- perta di quella indissolubile coerenza e di quel pieno consenso degli elementi del reale (« indissolubilem cohaerentiam, con- tagionem et consensum ») per il quale tutto corrisponde a tutto.?° La concezione ramista del metodo aveva esercitato, sul pensiero di Bodin, un'influenza decisiva?” e solo chi tenga presente la identificazione, tanto energicamente sostenuta da Ramo, della dispositto con la memoria potrà spiegarsi la sin- golare somiglianza fra il celebre teatro del Bodin e le faticose enciclopedie costruite nel corso del Cinquecento dai cultori e dai teorici della memoria artificiale. Negli scritti del Camillo e in quelli del Rosselli l'intento enciclopedico-descrittivo, l'ambizioso progetto di una enciclo- pedia totale avevano finito per sovrapporsi nettamente agli ori- Binari intenti dell’arte mnemonica. Alle sommarie, stringate elencazioni dei luoghi e delle immagini presenti nei testi dei teorici quattrocenteschi si sono dunque andate sostituendo, nel corso del Cinquecento, macchinose enciclopedie. Esse non nacquero solo dalla persistenza di temi caratteristici della cul- tura medievale, né trassero origine solo dalla tematica del lul- lismo o dal fiorire delle speculazioni sulla cabala; derivarono ‘anche dal nuovo atteggiamento che molti assunsero nei con- 36 Bopin, Universae naturae Theatrum, cit., Propositio torius operis, PP. 1, 6. si Cfr. K. D. McRae, Ramist tendencies in the thought of Jean Bodin, in « Journal of the History of Ideas », 1955, 3. 108 CLAVIS UNIVERSALIS fronti della tradizione dell’ars reminiscendi:** descrivere i luoghi e le immagini creando una sorta di specchio o di arti- ficiale teatro della realtà apparve molto più importante che il teorizzare in regole precise la funzione dei luoghi e delle im- magini in vista del raggiungimento di una capacità mnemo- nica utile ai discorsi umani. In modo non diverso Giordano Bruno, appassionato cul- tore di lullismo e di magia, intenderà utilizzare i testi, antichi e recenti, dell’arte della memoria. 38 Da questo punto di vista potrebbe presentare un certo interesse l'esame del modo in cui uno scrittore come Jacopo Mazzoni da Ce- sena (De triplici vita, Romae, 1576) utilizza l'eredità di un noto cul- tore di mnemotecnica come il Panigarola (F. PanIcAROLA, L'art de prescher et bien fare un sermon avec la mémoire locale et artificielle, ensemble l'art de mémoire de H. Marafiote, trad. G. Chappuis, Paris, 1604). Sul Panigarola cfr. TrraoscHi, VII, pp. 1602-1609. IV. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 1. GLI SCRITTI LULLIANI E MNEMOTECNICI DEL Bruxo. Di fronte ai molti scritti che il Bruno dedicò fra il 1582 e il 1591 all’ars combinatoria e all’ars reminiscendi, non po- chi storici, anche illustri, hanno mostrato una singolare inca- pacità di comprensione. All’indagine di temi che per essere ora “morti” non furono per questo meno “vitali”, si pre- ferirono valutazioni negative, rapide liquidazioni o addirit- tura esplicite condanne. In questo senso studiosi come l’Ols- chki e il De Ruggiero ridussero il lullismo bruniano sul piano delle « bizzarrie » e delle « grossolane illusioni », mentre an- che di recente la Singer è giunta su queste basi ad esprimere più volte il suo compatimento per un Bruno perso dietro i problemi della combinatoria.' Ben altra sensibilità era stata presente in quegli storici positivisti che, come il Tocco, ave- vano affrontato direttamente non solo il problema del lullismo bruniano, ma anche la questione, ad esso collegata, dei rap- porti fra gli scritti sulla memoria e la produzione italiana e latina del Bruno.® Proprio quegli studiosi che in nome di ! Cfr. L. OtscHrI, Giordano Bruno, Bari, 1927; G. De Rtucciero, Sto- ria della filosofia. Rinascimento Riforma e Controriforma, Bari, 1930, p. 166; D. W. Sincer, Giordano Bruno, his Life and Thought, trad. it. Milano, 1957, pp. 30, 55, 164, 167. Nessun risultato nuovo nelle pa- gine dedicate ai primi scritti bruniani da N. BapaLoni, La filosofia di G. Bruno, Firenze, 1955, pp. 33-51. ? Cfr. F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno esposte e confrontate con le italiane, Firenze, 1889: sulla tradizione della mnemotecnica, pp. 21 - 43; sulla importanza delle opere mnemoniche di Bruno, p. 94; sulla rigida distinzione fra opere lulliane e mnemotecniche, p. 93 ss. Per i rapporti con il lullismo e Cusano si veda anche lo studio Le fonti più recenti della filosofia di G. Bruno, « Rendiconti dell’Accad. dei Lin- cei », cl. scienze morali ccc., sez. 5, 1 (1892), pp. 503-37; 585-622. Nell'opera del BartHoLOMESs, Giordano Bruno, Parigi, 1847, II, p. 158 ss., tutta la mnemotecnica viene erroneamente identificata con il lul- lismo e Pietro da Ravenna è scambiato per un seguace di Lullo. Contro la distinzione operata dal Tocco reagì giustamente E. Trotto, La filo- sofia di G. Bruno, Roma, 1914, II, pp. 55-103. 110 CLAVIS UNIVERSALIS una maggior fedeltà storiografica hanno rinunciato alla inter- pretazione “razionalista”, “moderna” e ‘“avveniristica” del pensiero bruniano, sono giunti, anche su questo terreno, a più apprezzabili risultati: in questa direzione di lavoro, richia- mandosi alle osservazioni della Yates, di A. Corsano, di E. Garin, Cesare Vasoli ha di recente affrontato, in un ampio, saggio, il problema del lullismo e del simbolismo bruniani.* Le esatte conclusioni del Vasoli, alle quali dovremo più volte fare riferimento, vanno qui sottolineate: «i temi e i motivi della mnemotecnica bruniana recano un notevole aiuto alla comprensione della posizione storica e filosofica del Bruno, dei suoi ideali riformatori, delle sue speranze di incidere pro-

fondamente, con mezzi e metodi di estrema efficacia prag- matica, sulla situazione intellettuale del suo tempo, realizzan- dovi quel rinnovamento di cui gli scritti italiani ci offrono così aperte testimonianze... Basterebbe pensare alla continuità di queste ricerche che si svolgono parallelamente allo sviluppo di tutta la sua riflessione metafisica, dal 1582, data presu- mibile della perduta Clavis Magna, al 1591, quando pubblicò la De imaginum signorum et idearum compositione, per in- tendere il legame organico tra indagine filosofica e tecnica logico-mnemonica. Ché se il Bruno si adoperò per tanti anni a svolgere e a completare con tanta cura la sua dottrina mne- motecnica, non fu certo soltanto per portare il suo contributo ad una moda del tempo o per indulgere all’illusione prag- matica di una scienza che spesso sembrava confinare con la pratica magica o con la rivelazione cabalistica, quanto piuttosto. per tradurre in un metodo di facile ed immediata efficacia taluni princìpi centrali della sua dottrina ».' ® Cfr. F. Yates, Giordano Bruno's Conflict with Oxford, « Journal of the Warburg Institute », 1938 - 39, pp. 227 - 42; The French Acadenmies in the sixteenth Century, London, 1947; The Art of Ramon Lull, « Journal of the Warburg and Courtauld Inst. », 1954, 1-2, pp. 115- 173; The Ciceronian Art of Memory, cit.; A. Corsano, Il pensiero di G. Bruno, Firenze, 1940, pp. 54-104; E. Garin, La filosofia, « Storia dei generi letterari italiani », Milano, 1947, II, pp. 149-154; C. Va- soli, Umanesimo e simbologia nei primi scritti lulliani e mnemotec- nici del Bruno, in: Umanesimo e Simbolismo, Atti del IV convegno internazionale di stud: umanistici, Padova, 1958, pp. 251-304. 1 C. VasoLi, Umanesimo e simbologia, cit., pp. 253 -54. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO Ill Sia il Corsano sia il Vasoli hanno entrambi giustamente insistito sul peso esercitato, nella formazione filosofica del giovane Bruno, dagli scritti sulla memoria di Pietro da Ra- venna. In un passo della Triginta sigillorum explicatio, Bruno affermava di essersi imbattuto, ancora adolescente, nell’arte del Ravennate: Hoc modica favilla fuit, quae iugi meditatione progre- diens in vastis aggeris irrepsit accensionem, e cuius flam- miferis ignibus plurimae hinc emicant favillae, quarum quac bene dispositam materiam attingerint, similia maio- raque flagrantia lumina poterunt excitare.* Al gran fuoco suscitato da quella piccola favilla si vennero in realtà consumando molte delle conclusioni cui era perve- nuto il Bruno a contatto « dei peripatetici, nella dottrina de quali egli era stato allievato e nodrito in gioventù ». Ai proce- dimenti deduttivi della scolastica Bruno finirà per opporre

energicamente un processo di graduale avvicinamento, me- diante l’esercizio della immaginazione e della memoria, al piano della conoscenza razionale; al rigido concatenarsi delle ragioni opporrà la fuggevolezza delle immagini; alla ridu- zione dell’intera conoscenza sul piano dell’intelletto contrap- porrà la radicale diversità del piano del senso: Stupidi est dicursus velle sensibilia ad candem conditio- nem cognitionis revocare, in qua ratiocinabilia et intelli- gibilta cernuntur. Sensibilia quippe vera sunt non iuxta communem aliquam et universalem mensuram, sed iuxta homogeneam, particularem, propriam, mutabilem atque variabilem mensuram. De sensibilibus ergo, qua sensibilia sunt, universaliter velle definire, in aequo est atque de intelligibilibus vice versa sensibiliter. L'impiego delle immagini, il gusto bruniano per la rap- presentazione mediante emblemi e divise appare strettamente

collegato a impostazioni di questo tipo, ma questo stesso gusto bruniano per il simbolo, per i geroglifici e i sigilli, per le idee incorporate in forme sensibili non può a sua volta, se ® IoRpaNI Bruni NoLani, Opera latine conscripta, Napoli & Firenze, 1886-91 (qui di seguito ‘indicate con la sigla Opp. Zaz.), II, 2, p. 130. Sul significato di questo passo, già segnalato dal Tocco, Le opere la- tine, cit., p. 37, nota 2, cfr. A. Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., p. 41; C. VasoLIi, Umanesimo e simbologia, cit., pp. 254, 277 e passim. 112 CLAVIS UNIVERSALIS non arbitrariamente, esser disgiunto da quella grande co- struzione nella quale i temi derivanti dai testi del Ravennate e dagli altri esponenti della mnemotecnica ciceroniana anda- vano a intrecciarsi con quelli del lullismo, del simbolismo e dell’esemplarismo metafisico, si collegavano con i motivi più caratteristici della letteratura cabalistica, con gli ideali della pansofia, con l’eredità delle discussioni dialettico-retoriche dell’umanesimo, con le aspirazioni ad una radicale riforma religiosa. Mentre veniva inserita nel più vasto quadro del lullismo, l’intera tematica attinente all’ars reminiscendi veniva in tal modo spostata su un piano tipicamente metafisico. Da questo punto di vista l’atteggiamento bruniano finisce con l’apparire per molti rispetti simile a quello assunto dal Rosselli e dai

cinquecenteschi costruttori dei teatri del mondo: l’arte non è una tecnica legata alle limitate finalità del discorso retorico, ma è, sopra ogni altra cosa, lo strumento di cui servirsi per dar luogo ad un edificio le cui strutture costituiscano l’esatto rispecchiamento delle strutture della realtà. Le regole della memoria, così come le tecniche combinatorie, traggono il loro fondamento e trovano la giustificazione della loro validità nel postulato, chiaramente ammesso, di una piena e perfetta corri- spondenza tra i simboli e le res, tra le ombre e le idee, tra i sigilli e le ragioni che presiedono alle articolazioni del mondo reale. Su questo preciso terreno potevano in realtà trovare un punto di incontro quelle retoriche che si ponevano come lo specchio o il teatro del mondo (Camillo) e quelle riforme della macchina lulliana che avevano mantenuto ben saldo il postu- lato platonico-esemplaristico che era alla base del tentativo di Raimondo Lullo. A quelle retoriche e a questi commenti lul- liani appare assai vicino il Bruno quando concepisce l’intero meccanismo dell’arte come la traduzione, sul piano della sensibilità e dell’immaginazione, dei rapporti ideali che costi- tuiscono la trama dell’universo: mediante l’allusività delle immagini, le ombre e le « specie involute » sarà possibile impa- dronirsi (e altra strada non è data all'uomo) di quelle rela- zioni alle quali, più tardi, potrà pervenire un'indagine di tipo razionale. Questa impostazione, che è chiaramente legata a premesse esemplaristiche, non esclude affatto che in Bruno, come del LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 113 resto già in Lullo e nei lullisti del secolo XVI, fossero presenti vivissimi interessi di tipo “pratico” per una riforma del sa- pere, per una funzione pedagogica dell’arte, per una educa- zione della memoria e delle capacità inventive, per una ra- pida cornunicazione e diffusione della nuova cultura, per la ricostruzione, al di là della frammentarietà delle singole scien- ze, di un sapere organico e unitario capace di porsi a fonda- mento di una enciclopedia o sistema totale. Non a caso la stessa riforma bruniana viene presentata come il progetto di realizzazione di un’arte mirabile capace di ampliare smisura- tamente le possibilità di dominio dell’uomo. Come tale essa fu accolta e valutata in quegli ambienti platonizzanti parigini nei quali, come ha mostrato la Yates,° gli interessi per il coper- nicanesimo e per la riforma ramista della logica, andavano strettamente congiunti a quelli per la cabala e per il lullismo. L'inserimento, operato da Bruno, delle tecniche “retoriche” della memoria entro la grande tradizione lullista non man- cherà del resto di esercitare un influsso duraturo, oltreché ne- gli ambienti francesi, anche in quelli inglesi, tedeschi e bocmi. Parigi, Londra, Praga, Wittenberg, Francoforte erano stati, abbiam visto, centri di diffusione del lullismo e dell’ars rem: niscendi; in questi ambienti si erano mossi Pietro da Ravenna e Bovillus, Wilson, Spangerbergius e Lavinheta.' * F. Yates, The French Academies, cit., pp. 77 - 94; 95 - 151; sul lullismo in Francia cfr. anche T. e J. CarrERAs Y ARtAU, Historia de la Filoso- fia Espaîola. Filosofia cristiana de los siglos XIII al XV, Madrid, 1943, II, pp. 207 ss.; A. RENAUDET, Préréforme et Humanisme à Paris pen- dant les premières guerres d' Italie, Paris, 1953, pp. 378 ss. ® Già nel 1583 esce a Londra, dedicato al conte di Leicester, il De umbra rattonis et iudicii sive de artificiosa memoria quam publice profitetur vanitate, edito da T. Vautrollier, di Alexandre Dicson che si richiama al De Umbris bruniano. Al Dicson, che compare come per- sonaggio nell'opera De la causa principio et uno (cfr. G. Bruno, Dia- loghi italiani, a cura di G. Gentile e G. Aquilecchia, Firenze, 1958, p. 225 e passim) rispose polemicamente tale G.P., autore di un Anti- dicsonus cuiusdam Cantabrigiensis G. P. Accessit libellus in quo dilu- cide explicatur impia Dicsoni artificiosa memoria, London, 1584: nella dedica si fa riferimento a Metrodoro, Rosselli, Bruno e Dicson. Al Sigillus di Bruno fa riferimento anche THomas Watson, Compendium memoriae localis, pubblicato forse a Londra nel 1585. Da un punto di vista ramista polemizza contro l'ars memoriae il Perkins, Prophetica, sive de sacra et unica ratione concionandi, Cantabrigiae, 1952. La trad. 114 CLAVIS UNIVERSALIS Dei tre scritti pubblicati a Parigi nel 1582, il De umbris idearum è, giustamente, il più noto. Il tentativo di « giustifi- care con precise ragioni metafisiche » gli clementi tecnici del- l’arte appare qui particolarmente evidente:* 1) l’ascesa del- l'animo dalle tenebre alla luce si compie mediante l’appren- sione delle ombre delle idee eterne: attraverso le ombre la verità viene in qualche modo svelandosi all’anima prigioniera del corpo; 2) le idee-ombre, nelle quali si rispecchia la trama dell’essere, si presentano sul piano della sensibilità e della im- maginazione, appaiono come fantasmi e come sigilli; 3) attra- verso la ritenzione artificiale delle « catene » o delle relazioni che intercorrono fra le ombre si potrà giungere a ricostruire, come per una graduale purificazione, i nessi che legano le idee per giungere infine, sul piano della ragione, alla com- prensione c al disvelamento di quell’unità che è sottesa alla confusa pluralità delle apparenze. Su queste tre tesi appare fondata da un lato la riforma bruniana della combinatoria, dall’altro il particolare uso bruniano delle regole per la me- moria che erano state teorizzate dalla tradizione ciceroniana. Come già era avvenuto nella Sintares del Gregoire e nell’Opus aureum del De Valeriis, il concetto dell’unità del sapere ap- pare immediatamente convertibile nell’altro, ad esso corrispon- dente, di una unità essenziale del cosmo: inglese apparve nel 1606. Il testo dello studente boemo Giovanni DE Nostiz, che ascoltò a Parigi le lezioni di mnemotecnica del Bruno, è andato perduto. In quest'opera i nomi di Aristotele, Lullo, Ramo c Bruno venivano avvicinati in modo significativo: Artificium  Aristo telico-Lullio-Rameum in quo per artem intelligendi Logicam, Artem agendi Practicam, Artis loquendi partem de inventione Topicam me- thodo et terminis Aristotelico-Rameis circulis modo lulliano inclusis via plura quam centies mille argumenta de quovis themate inveniendi cum usu conveniens ostenditur, ductu lo. a Nostitz, Jordani Bruni ge- nuini discipuli claboratum a Conrado Bergio, Bregae typis Sigfridianis, 1615. Il titolo è stato conservato in J. L. BunEMANN, Catalogus MSSto- rum membranaceorum et chartaceorum item librorum ob inventa ty- pographia, Minden, 1732, pp. 117-18. L’avvertenza del Nostitz ai lettori è ripubblicata in D. W. Sincer, G. Bruno, cit., p. 410. Sull’au- tore, morto nel 1619, la cui biblioteca di famiglia fu conservata in-

tatta a Praga fino al 1938, notizie a p. 4ll. * Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 272. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 115 Cum in rebus omnibus ordo sit atque connexio et unum sit universi entis corpus, unus ordo, una gubernatio, unum principium, unus finis, unum primum... illud ob- nixe nobis est intentandum, ut pro egregiis animi opera- tionibus naturae schalam ante oculos habentes, semper a motu et multitudine ad statum et unitatem per intrin- secas operationes tendere contendamus... Talem quidem progressum tunc te vere facere comperies et experieris, cum a confusa pluralitate ad distinctam unitatem per te fiat accessio; id enim non est universalia logica conflare, quae ex distinctis infimis speciebus, confusas medias, exque iis confusiores suprema captant. Sed quasi ex in- formibus partibus ct pluribus, formatum totum et unum aptare sibi... Ita cum de partibus et universi speciebus, nil sit seorsum positum et exemptum ab ordine (qui simplicissimus, perfectissimus et citra numerum est in prima mente) si alia aliis connectendo, ct pro ratione uniendo concipimus: quid est quod non possimus intelli- gere memorari ct agere? Unum est quod omnia definit. Unus est pulchritudinis splendor in omnibus. Unus e multitudine specierum fulgor emicat.? Nel momento stesso in cui procede ad una “riforma” della combinatoria lulliana, sostituendo trenta soggetti e pre- dicati ai nove teorizzati da Lullo e facendo cadere la distin- zione fra predicati assoluti e predicati relativi, Bruno fa am- pio ricorso alla tradizione ciceroniana modificandone la termi- nologia: ai luoghi della mnemotecnica corrispondono i su- biecta (soggetti primi); alle :mmagini corrispondono gli adiecta (soggetti secondi o prossimi). L’antichissimo paragone della mnemotecnica alla scrittura può in tal modo essere ripreso in senso diverso: « Scriptura enim habet subiectum primum chartam tamque locum; habet subiectum proximum minium et habet pro forma ipsos characterum tractus ».!° Accanto a questo paragone venerando, ritornava nei testi bruniani la maggior parte di quelle regole della memoria che abbiamo visto presenti nei testi del Quattrocento e del Cinquecento. Nei primi paragrafi dell’Ars memoriae si riaffacciano in tal modo le discussioni sull'arte e sulla natura, sull’ingegno pro- duttore di strumenti artificiali, sui rapporti fra il segno e l’og- getto significato, ricompaiono i richiami a Simonide e i pre- ° Opp. lat., 11, 1, p. 47. 1° Opp. lat., II, 1, p. 66. 116 CLAVIS UNIVERSALIS cetti relativi alla modica grandezza, alla convenevole distanza, alla giusta luminosità dei luoghi. La stessa concezione bru- niana del luogo, che è apparsa al Tocco assai « più larga » di quella tradizionale, è in realtà anch'essa derivante da testi molto diffusi. L'idea di servirsi di « oggetti animati » per rap- presentare i luoghi, non è affatto nuova: è già presente in un testo di un secolo prima, il De omnibus ingentis augendae memoriae di Michele Alberto da Carrara.!! Anche nelle pagine del Canzus Circaeus, pubblicato a Pa- rigi nel 1582, sono facilmente rintracciabili, dietro il periodare contorto e il barocchismo delle immagini, temi ben noti. Nel secondo dialogo del Canzus (che fu ripubblicato con qualche modifica a Londra l’anno seguente con il titolo di Recens et completa ars reminiscendi), la materia già trattata nel De Umbris viene ripresentata con maggiore preoccupazione per una diffusione manualistica.'? Ponendosi come una tecnica capace di migliorare, mediante opportuni artifici, la naturale condizione dell’uomo, l’arte appare accessibile a chiunque.

Fra i suoi meriti Bruno annovera, significativamente, proprio questa compiuta tecnicizzazione dell’arte: Intentio nostra est, divino annuente numine, artificiosam metodicamque prosequi viam: ad corrigendum defec- tum, roborandam infirmitatem, et sublevandam  virtu- tem memoriae naturalis: quatenus quilibet (dummodo sit rationis compos, et mediocris particeps iudicii) pro- ficere possit in ea, adeo ut nemo talis existentibus con- ditionibus, ab ademptione huius artis excludatur. Quod quidem ars non habet a seipsa, neque ex corum qui praecesserunt industria, a quorum inventionibus excitati, promoti sumus diuturnam cogitationem ad addendum, 11 Cfr. qui alle pp. 34 - 35, e si veda inoltre il mio saggio La costruzio- ne delle immagini nei trattati di memoria artificiale del Rinascimento, in: Umanesimo e simbolismo, cit., pp. 161 - 168. Per le « regole» bru- niane sui luoghi cfr. Opp. Zat., II, I, pp. 69-71. Il giudizio del Tocco, Le opere latine, cit., p. 51 è stato ripreso da C. VasoLi, Umanesimo e simbologia, cit., p. 276. Per il testo del Carrara, già sopra cit., cfr.: « Guido pater meus ex animalibus cepit locos suos et corum ordine ex alphabeto deduxit... asinus, basiliscus, canis, draco... haec singula in quinque locos dividebat... Nam hunc ordinem ipsa natura porrexit neque confundi in eis cnumerandis ingenium potest... » 12 Cfr. Tocco, Le opere latine, cit., pp. 63-66. Opp. lat., II, 2, pp. 69 - 119. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 117 tum eis quac faciunt ad facilitatem negotii atque certi- tudinem, tum etiam ad brevitatemn.15 Espressioni di questo tipo non devono trarre in inganno. Poche righe più avanti si riaffacciavano i temi, tipicamente ermetici, della necessità di un personale contatto fra il maestro e il discepolo e di una necessaria segretezza dell’arte : Hortatur enim Plato in Euthidemo ut res celeberrimae atque archanac habcantur a philosophis apud se et paucis atque dignis communicentur... Idem omnibus iis, in quo- rum manus ista devenerint, consulimus: ne abutantur gratia et dono eisdem elargito. Et considerent quod figuratum est in Prometheo qui cum deorum ignem hominibus exhibuisset, ipsorum incurrit indignationem.!4 Assai più interessante di questi atteggiamenti che ripetono motivi diffusi, è il tentativo compiuto da Bruno di mante- nere la terminologia dell’arte ben distinta da quella in uso negli altri campi del sapere. Il termine subdiectum, chiarisce Bruno, ha qui un significato diverso da quello che al mede- simo termine viene attribuito in logica o in fisica. Esso viene qui assunto « secundum intentionem convenientem, quae tech- nica appellatur, utpote secundum intentionem artificialem ». Non è il soggetto delle predicazioni formali che, in logica, viene contrapposto al predicato, né quello della forma sostan- ziale detto le o materia prima. Non è il subiectum delle forme accidentali né di quelle artificiali che ineriscono ai corpi natu- rali: «sed est subiectum formarum phantasibilium apponibi- lium, et remobilium, vagantium et discurrentium ad libitum operantis phantasiae et cogitativae ». Allo stesso modo il ter- mine forma non è usato come sinonimo di idea, così come av- viene nella metafisica platonica; né come sinonimo di essenza, così come avviene in quella peripatetica; non indica, come nella fisica, la forma sostanziale o accidentale informante la materia; né, secondo l’accezione tecnica, indica una « inten- tionem artificialem additam rebus physicis ». L'universo di discorso del termine forma è, per Bruno, quello di una logica non razionale, ma fantastica: « Forma sumitur... secundum 19 Opp. lat., II, I, p. 215. 14 Opp. lat., II, 1, p. 216. 118 CLAVIS UNIVERSALIS rationem logicam non quidem rationalem, sed phantasticam (quatenus nomen logices amplius accipitur) ».!° Quest'ampliamento della logica tradizionale, questa costru- zione di una logica fantastica è in realtà uno dei motivi essen- ziali del discorso bruniano. Chi, come il Tocco, ha netta- mente separato nella produzione bruniana le opere mnemo- tecniche da quelle lulliane contrapponendo il carattere « psi- cologico » delle prime al carattere « metafisico » delle se- conde *° ha distinto, in modo artificiale, ciò che in Bruno sj presenta organicamente connesso e ha finito per precludersi la via ad una effettiva comprensione degli elementi di “novità” presenti nella posizione bruniana. L'atteggiamento sostanzial- mente nuovo che Bruno assume nei confronti della tradizione della mnemotecnica retorica e dell’eredità del lullismo è deter- minato proprio dal tentativo di trovare un punto di conver- genza o un terreno comune (o, se si vuole, di operare una “sintesi”) fra due tecniche che erano nate da diverse esperienze e che avevano a lungo proceduto lungo due linee non conver- genti. In quanto seguace di Lullo, Bruno trasferisce all’interno dell’arte della memoria quelle esigenze metafisiche caratteri- stiche del lullismo: in quanto riformatore dell’ars remini- scendi, egli non esita a servirsi, accostandoli a quelli tradizio- nali, degli accorgimenti e delle regole teorizzati dai seguaci della combinatoria. Su queste basi egli conduce la sua pole- mica contro i suoi predecessori e su queste basi giunge a dif- ferenziare la sua dalle altre posizioni: 1) in primo luogo egli rifiuta quel rapporto di tipo convenzionale che i teorici del- l’ars memoriae avevano posto tra il luogo e l’immagine; con- tro questa posizione egli sostiene la necessità di una connes- sione reale (che può essere una associazione o un nesso di tipo logico) tra il subiectum c l’adiectum;'* 2) in secondo luo- go e sulla base di questa esigenza egli sostituisce ai tradizio- nali elenchi delle casalinghe immagini degli oggetti d'uso pre- senti nei testi quattrocenteschi, complicate immagini mitologi- 15 Cfr. Opp. lat., II, 1, pp. 221, 222, 234. 16 F. Tocco, Le opere latine, cit., p. 93. !? Opp. lat., Il, 1, p. 81: « Opus est non ita adiecta subiectis applicari, quasi ca casu et ut accidit proiiciantur... ita adcoque invicem conneva, ut nullo ab invicem discuti possint turbine ». LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 119 che ed astrologiche (attinte alla tradizione ermetica) che gli offrono la possibilità di una rappresentazione visiva non solo del soggetto, ma anche dei rapporti intercorrenti tra il sog- getto centrale e tutti i caratteri e le nozioni che sono ad esso collegati secondo un ordine sistematico;!* 3) in terzo luogo egli concepisce le figure ruotanti teorizzate da Lullo come strumenti per la memoria artificiale; nelle diverse ruote pos- sono essere simbolizzate, mediante lettere alfabetiche latine greche ed ebraiche, tutti gli elementi costitutivi dell’arte.!° I centotrenta luoghi fondamentali ricavabili dalle varie combi- nazioni, mentre si presentano come essenziali in vista della piena realizzazione della memoria artificiale, indicano al tem- po stesso anche gli elementi presenti in un sistema qualunque di relazioni logiche. Tra logica e arte della memoria non si danno, per Bruno, differenze sostanziali. La logica memora- ziva che è al culmine delle sue aspirazioni ha una parentela assai stretta con la metafisica: «l’arte — egli scrive — è un certo abito dell’anima raziocinante che si distende da ciò che è il principio della vita del mondo al principio della vita di

tutti i singolari ».?° Esaminando i testi dei grandi commentatori rinascimentali dell’Ars magna, abbiamo già rilevato come il problema di una tecnica memorativa, rispetto alla quale gli alberi le ruote le tavole si pongono come strumenti, si presentasse come costi- tutivo rispetto agli sviluppi della combinatoria. Si è d'altra parte sottolineato anche il fatto che quest'idea di una logica memorativa si presenta strettamente collegata a quella inter- pretazione enciclopedistica del lullismo che, facendo leva sul- l’immagine lulliana dell’albero, trasforma molti dei commenti lulliani in vere e proprie enciclopedie o tentativi di classifica- zione degli elementi che costituiscono il mondo reale e il mondo della cultura." Chi abbia presenti queste conclusioni non potrà certo meravigliarsi né dell’insistenza bruniana sugli aspetti mnemotecnici del lullismo, né dei suoi tentativi di de- 18 Sull’ applicazione delle immagini zodiacali di Teucro Babilonico all'arte cfr. C. Vasori, Umanesimo e simbologia, cit., p. 281, 291. 1° Cfr. Opp. lat., Il, 1, pp. 107 - 115. 2° Opp. lat., II, 1, p. 56. 2h qui alle pp. 51-61. 120 CLAVIS UNIVERSALIS scrizione degli elementi costitutivi dell'universo mediante il riferimento ai nove subiecta dell’arte.” Alla luce di queste considerazioni non apparirà più soste- nibile neppure quella tesi del Tocco secondo la quale un’opera come il De progressu et lampade venatoria logicorum dell’ 87 sarebbe « un compendio della topica aristotelica » affatto indi- pendente dai commenti all’arte lulliana.°? Il ricorso alle im- magini del campo, della torre, del cacciatore permette di colle- gare questa indagine sulla dialettica ai trattati sulla memoria, mentre l’esplicito riferimento alle figure consente un accosta- mento alla tematica del lullismo.?* Ma non si tratta solo di ragioni “interne”; in molti dei testi dell’enciclopedismo cin- quecentesco (si pensi per esempio allo scritto /2 RAetoricam Isagoge del 1515) il lullismo appare fortemente intrecciato ai temi della cosmologia e della retorica.?* Non a caso, anche Bruno fu fortemente interessato al problema di una “applica- zione” dell’arte alla retorica e alla fisica: nell’Artificium pe- rorandi (dettato a Wittenberg nell’ ’87 c pubblicato dallo Al- sted nel 1610) egli tenta una applicazione della mnemotecnica lulliana ai diversi tipi del discorso retorico, mentre nella Figu- ratio aristotelici physict auditu del 1586 avvia una traduzione in immagini dei concetti centrali della fisica aristotelica. Nei testi londinesi del 1583 le complesse immagini dei sigilli erano state assunte da Bruno a indicare non direttamente gli oggetti da ricordare, ma le regole stesse dell’arte. Ma più che su questi testi,°° peraltro molto significativi, gioverà qui sotto- lineare la valutazione del lullismo che è presente nel De lam- pade combinatoria del 1587: Agrippa non riuscì a penetrare (« aut prorsus non penetravit, aut non satis ») nel valore dimo- strativo della combinatoria e si servì dell’arte per celebrare se stesso piuttosto che i testi lulliani; più degni di considera- zione furono i tentativi di Lefèvre e di Bovillus; solo attraverso la riforma bruniana l’ars magna è giunta al suo pieno compi- 22 Cfr. Opp. lat., Il, 2, pp. 12, 41-49. 29 F. Tocco, Le opere latine, cit., p. 15. 24 Cfr. Opp. lat., Il, 3, pp. 12-13. 25 Cfr. qui alle pp. 53-55. Si vedano le considerazioni del Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit.,, p. 293 ss. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 121 mento ed è pervenuta al più alto grado possibile di perfezione: « artem hanc a Raymundo Lullo adinventam ita complevimus ut ab omni contemptibilitatis praetextu vindicavimus... ut om- nino impossibile sit ei aliquid amplius adiicere ».°” In questo rapido quadro assume un rilievo tutto particolare il richiamo a quella comune fonte dalla quale derivarono la metafisica teologica di Scoto Eriugena, l’arte lulliana, i misteri di Cusano, la medicina di Paracelso: Hic super illius adinventionem excolendam claboravi- mus, cuius genium summi philosophorum principes ha- biti admirantur, persequuntur, imitantur; unde  Scoti- gena thcologicam metaphysicam, vel metaphysicam (quam scholasticam appellant) theologiam, cum subtilibus aliis extrassisse constat; a quo admirandum illud  vestratis Cusani quanto profundius atque divinius, tanto paucio- ribus pervium minusque notum ingenium, mysteriorum, quac in multiplici suac doctrinae torrente delitescunt, fontes hausisse fatetur; a quo novus ille medicorum princeps. Paracelsus...?* Le ragioni di questi accostamenti apparvero già chiare al Tocco: l’opera di Lullo fu valutata dal Bruno come una delle principali espressioni di quel neoplatonismo che, muo- vendo dalla identità di ideale e reale, ritiene di poter proce- dere ad una costruzione della realtà mediante la determina- zione del movimento delle idee. Mentre si configurava come un rifiuto della logica tradizionale e andava sostituendo le immagini ai termini e la topica all’analitica, l’arte bruniana si muoveva su un terreno ben diverso da quello delle indagini dialettiche, rifiutava ogni identificazione con una tecnica lin- guistica o retorica, intendeva aprire possibilità di prodigiose avventure e di costruzioni totali: « Quaedam vero adeo arti videntur appropriata, ut in eisdem videatur naturalibus om- nino suffragari: haec sunt Signa, Notae, Characteres et Sy- Gilli: in quibus tantum potest ut videatur agere praeter natu- ram, supra naturam, et, si negotium requirat, contra natu-

ram ».°° Il fine dell’arte non consiste semplicemente in un raf- forzamento della memoria o in un potenziamento delle fa- Opp. lat., 11, 2, pp. 327, 235. Opp. lat., II, 2, p. 234. Opp. lat., II, 1, p. 62. W n US] » (2) 122 CLAVIS UNIVERSALIS coltà intellettuali: essa «ad multarum facultatum inventio- nem, viam aperit et introducit ». Non a caso nei testi più signi- ficativi della magia bruniana troviamo ancora presente il ricor- so ai sigilli, ai segni, alle figure che vengono avvicinati ai gesti e alle cerimonie come elementi costitutivi ed essenziali di quel linguaggio mistico-rituale che, solo, può aprire la strada a colloqui divini: «cum certo numinum genere non nisi per definita quaedam signa, sigilla, figuras, characteres, gestus ct alias cerimonias, nulla potest esse participatio ».°° Nella conce- zione bruniana della magia come forza ministra e dominatrice della natura, capace di intendere le segrete corrispondenze fra le cose e di cogliere le formule ultime della realtà, in opere come il De Magra, le Theses de Magia, il De Magia mathe- matica trovavano davvero la loro risoluzione i problemi dibat- tuti nelle opere mnemotecniche e lulliane.?! L'immagine di un universo unitario che va interpretato e decifrato mediante i simboli giungeva qui, come già nel Sygil/us, al suo pieno compimento: Una lux illuminat omnia, una vita vivificat omnia... Atque altius conscendentibus non solum conspicua erit una omnium vita, unum in omnibus lumen, una boni- tas, et quod omnes sensus sunt unus sensus, omnes no- titiac sunt una notitia, sed et quod omnia tandem, utpote notitia, sensus, lumen, vita sunt una essentia, una virtus et una operatio."? Alla comprensione della magia bruniana, del grandioso tentativo del Nolano di dar luogo ad un'arte capace di av- vicinare gli uomini ponendosi come strumento essenziale ad una riforma delle religioni, potrebbe giovare non poco un esame, analiticamente condotto, dei rapporti fra il Bruno lul- liano e mnemotecnico e quello, più noto, delle opere mag- giori. Da un tale esame potrebbero forse derivare anche con- tributi non trascurabili ad una comprensione della lingua e dello stile bruniani. Nel ritmo convulso della sua prosa ita- liana sarebbe difficile continuare a vedere (come vuole uno storico insigne della letteratura) un «affidarsi all’istinto e al- 30 Opp. lat., HI, pp. 412-13 (De Magia). * Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 303. Opp. lat., III, pp. 393-454; 455-91; 494-506. 32 Opp. lat., II, 2, p. 179. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 123 l'abbondanza della vena ». Il compito delle immagini, poste accanto ad un soggetto, è quello di « presentare, effigiare, de- notare, indicare, per esprimere e significare a somiglianza della pittura e della scrittura ». La molteplicità delle imma- gini deve indicare ed esaurire i significati, impliciti ed espliciti, contenuti nelle idee centrali e costituire con esse una inscindi- bile unità. Dietro il continuo ritorno delle immagini, l’ab- bondanza delle ripetizioni, il succedersi dei simboli che in- tendono raffigurare sensibilmente i concetti stavano in realtà anche precise convinzioni di natura “filosofica”: « philosophi

sunt quodammodo pictores atque poetae, poetae pictores et philosophi, pictores philosophi et poetae, mutuoque veri poe- tae, veri pictores et veri philosophi se diligunt et admirantur; non est enim philosophus nisi qui fingit ct pingit... ».!° Zi COMBINATORIA, ARS MEMORATIVA E MAGIA NATURALE NEL SE- coro XVII. Esaminando le enciclopedie e i teatri universali della se- conda metà del Cinquecento, considerando i testi bruniani,

abbiam visto che l’ars memorativa di derivazione ‘cicero- niana”, mentre si congiungeva con l’eredità della tradizione lullista, si collegava anche strettamente ai temi di una metafi- sica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, agli ideali della magia e dell'astrologia, al gusto per le immagini, i simboli, le cifre, le imprese e le allegorie. La ricerca di una «chiave universale » capace di decifrare «l’alfabeto del mon- do » e di individuare la trama costitutiva della realtà, l’aspi- razione ad un teatro enciclopedico che fosse lo « specchio » fe- dele della realtà, avevano piegato ad esigenze nuove e a fini diversi da quelli originari le tecniche della memoria arti- ficiale. Inseriti nel discorso, pieno di toni iniziatici, di una magia rinnovata, gli accorgimenti per la costruzione di un'arte memorativa avevano finito per perdere ogni contatto con il terreno delle scienze mondane della dialettica, della retorica, «della medicina e per apparire miracolosi strumenti per il rag- giungimento del sapere totale o della pansofia. Su questo terreno si mossero, nella prima metà del secolo 24 Cfr. Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., p. 97. 124 CLAVIS UNIVERSALIS XVII, non pochi fra i sostenitori e i seguaci delle arti mnemo- niche e del lullismo. Fra il 1617 e il 1619, negli anni stessi che vedevano il giovane Cartesio interessato al lullismo e alle arti della memoria, vedevano la luce a Lione le opere di Johannes Paepp. Una di queste, lo Schenkelius detectus seu memoria artificialis hactenus occultata era un ampio commento dell’Ars memoriae dello Schenkel, un testo ben noto a Cartesio. Negli Artificiosae memoriae fundamenta e nella Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, il Paepp si soffermava ad illu- strare a lungo le dottrine aristoteliche ciceroniane e tomiste sulla memoria, ma mostrava di aver subìto anche le influenze del lullismo e dei suoi esponenti più significativi, dal Bruno allo Alsted.** Proprio sulle tracce di quest'ultimo, in aspra polemica con i denigratori dell’arte, egli sosteneva la oppor- tunità di una stretta connessione della logica con la mnemo- tecnica: mentre la prima appare necessaria ad alcune arti e discipline, la seconda è indispensabile ad ogni forma di sa- pere.?® Mentre sottolineava la funzione mnemonica dei circoli lulliani °° e dettava accorgimenti per decifrare i testi dell’ars notoria, il Paepp eliminava non a caso ogni distinzione tra “ciceroniani” e “lullisti” collocando in uno stesso elenco, tra 94 Jon. Paerr, Arzificiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, Cicc- rone, Thoma Aquinate, altisque praestantissimis doctoribus petita, fi- guris, interrogationibus ac responsionibus clarius quam unquam ante- hac demonstrata, Lugduni, apud Bartholomeum Vincentium, 1619; Eisagoge, seu introductio facilis in praxin artifiosae memoriae, ibidem, 1619; Schenkelius detectus, seu memoria artificialis hactenus occultata, ibidem, 1617 (copie usate: rispettivamente Triv. Mor. L. 430; 430 (2); M. 17). 95 «Sed miror cur cidem (i negatori dell’arte) non et logicam artifi- cialem nigro calculo notent. Ut enim logica artificiosa intellectui rerum cognitionem secutius venatur, sic artificiosa memoria acquisitam ac comparatam cognitionem tenacius conservat ac tuetur naturali; quare Alstedius non minus hanc ad omnes artes et disciplinas, quam istam ad nonnullas necessariam probat » (Artificiosae memoriae fundamenta, cit., p. 10). 26 Sulla funzione dei «circoli » cfr. gli Artificiosae memoriae funda- menta, cit., pp. 13, 49, 52; sulla scrittura segreta da impiegare nell’ in- segnamento dell’ arte cfr. p. 99-02, dove vengono dettate due regole fondamentali: « 1) Legendum more hebraico, puta ordine retrogrado; 2) Alpha et omega sunt otiosa id est primae et ultimae literae non habetur ratio » osras significa ars; codrot ordo, bogamir imago ecc ». LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 125 i fondatori e i teorici dell’arte, Quintiliano e Cicerone, Lullo e Gratarolo, Pietro da Ravenna e Romberch, Rosselli e Gior- dano Bruno, Schenkelius e Alsted.?* Non poche delle sue pa-

gine appaiono dedicate a discutere le posizioni bruniane e, come già Bruno, anch'egli si richiama alle immagini degli dèi antichi e dell’astrologia trasformando la sua trattazione in una elencazione di temi iconografici (« Saturnus, homo senex, pannosus, capite aperto, altera manu falcem, altera vero nescio quid panno involutum gestans... Iupiter apud veteres effin- gebatur sedens, in inferioribus partibus nudus... »).°* Più volte, negli scritti del Paepp, ritornano dettagliate narrazioni e minuziosi resoconti di miracolosi fenomeni di capacità mne- moniche.?® Più che a una discussione dei temi attinenti alla retorica o alla enciclopedia, il Paepp è fortemente interessato alla descrizione dei mirabili risultati cui si può pervenire con l’aiuto dell’arte. Le tecniche della combinatoria e dell’ars reminiscendi venivano qui utilizzate su un piano che presenta non pochi punti di contatto con quello della magia e dell’oc- cultismo: mediante l’arte è possibile trasformare rapidamente un fanciullo in un sapiente, entrare in possesso di prodigiose virtù, giungere a suscitare la stupefatta amimrazione dei dotti e dei reggitori della cosa pubblica. Già in Bruno, abbiamo visto, la tematica del lullismo e dell’ars reminiscendi era apparsa strettamente connessa alle aspirazioni e agli ideali della magia. L’ars inveniendi e l’arte memorativa si configuravano spesso come progetti di fonda- zione di un’arte mirabile capace di condurre entro i segreti della natura e di decifrare la scrittura dell’universo. Non si trattava solo di ampliare, mediante l’arte, le capacità mnemo- niche: la tecnica lulliana si pone in Bruno come ricerca e definizione dei ritmi della natura; il riferimento ai subiecta dell’arte consente di determinare contemporaneamente i prin- 2? Cfr. Eisagoge seu introductio, cit., p. |. °* Per i rapporti del Paepp con il Bruno cfr. N. Bapatoni, Appunti intorno alla fama del Bruno nei secoli XVII e XVIII, in « Società », XIV, 1953, n. 3, p. 517-518. Per l’uso delle immagini degli dèi anti- chi in Paepp cfr. gli Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 86, 89 (ma cfr. alle pp. 86 - 113). °° Cfr. Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 55-56 e soprattutto Schenkelius detectus, cit., pp. 31-39. 126 CLAVIS UNIVERSALIS cipi del discorso e gli elementi costitutivi della realtà. All'arte bruniana della memoria, in quanto prodotto magico o arte segreta capace di ampliare smisuratamente le possibilità uma- ne, si interessarono com'è noto Pio V, Enrico III, Giovanni Mocenigo. Un discorso certo molto diverso, ma non in tutto dissimile converrebbe fare per Campanella che amò anch'egli presentarsi come dotato di miracolose facoltà: al cardinale Odoardo Farnese egli assicurava di poter insegnare filosofia naturale e morale, logica, retorica, poetica, politica, astrologia e medicina con un metodo speciale che avrebbe consentito di realizzare in un anno maggiori risultati di quelli ordinaria- mente conseguibili con dieci anni di normale insegnamento. Questo stesso concetto e la stessa insistenza sulla possibilità di una straordinaria « facilità » di apprendimento, ritroviamo nelle pagine della Città del Sole. Prima di dieci anni, i fan- ciulli della città solare apprendono «senza fastidio » tutte le scienze servendosi di quella gigantesca enciclopedia che risulta dalle immagini dipinte sulle pareti delle sei muraglie.'° Questo ricorso all’immagini come elemento essenziale ha, in Cam- panella, un significato non trascurabile: all’enciclopedismo lullista, fondato sui termini e sui procedimenti logico-mate- matici, egli ne contrappone un altro fondato sulle immagini sensibili delle cose. Nel perduto De investigatione rerum,

composto fra il 1587 e il ’91, Campanella aveva fatto riferi- mento ad una dialettica ex solo sensu che classificava gli og- getti del senso in nove categorie « ut quilibet de quacumque re non per vocabula tantum, ut Raymondo Lullio mos est, sed per sensibilia obiecta ratiocinari posset ». A questa stessa esigenza di un sapere non verbale, fondato sul senso e sulle cose, rispondono del resto le osservazioni, svolte nel De sensu rerum et magia del 1620,** sulla memoria come « senso anti- cipato », le sue critiche alle tesi della medicina peripatetica, la sua affermazione che sia possibile operare sulla memoria con i ritrovati della medicina, la identità, più volte affermata, di 4° Per l’enciclopedia dipinta sulle muraglie e per la facilità dell’ ap- prendimento delle scienze cfr. La città del sole, in Scritti scelti di G. Bruno e di T. Campanella, a cura di L. Firpo, Torino, 1949, pp. 412- 415, 419. 4! Del senso delle cose e della magia, Bari, 1925, pp. 98- 100. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 127 memoria e imaginativa. Si comprenderà anche, tenendo pre- senti queste considerazioni, come egli potesse guardare con simpatia alla « memoria locale » che fa larghissimo uso di immagini sensibili. Gli stessi risultati cui è pervenuta la mne- motecnica “citeroniana” appaiono in tal modo a Campanella una conferma della sua definizione della memoria come « sen- so indebolito »: « l’arte della memoria locale, al senso esposta in cose assai sensibili e note, ponendo le cose cognite per simi- glianza, mostra che la memoria sia senso indebolito che così si rinnova e fortifica ». Quell’arte della « memoria locale », alla quale faceva rife- rimento il Campanella, non mancò certo di cultori nel corso del secolo XVII: negli scritti di Filippo Gesualdo e di Gero- lamo Marafioto, di Johannes Austriacus e di Adam Bruxius, di Francesco Ravelli e dello Schenkel, di John Willis e di Velasquez de Azavedo,* ritornavano i temi e le regole della 42 Cfr. JoannIs MarciRI, De memoria artifictosa, Francofurti, 1600 (Fir. Naz. 3.8.530); la Plutosofia del Reverendiss. Padre F. Filippo Ge- sualdo dei Minori Conventuali nella quale si spiega l’arte della me- moria, Vicenza, Heredi di Perin Libraro, 1600 (Triv. Mor. H. 65); F. GiroLamo Manarioro, Nova inventione et arte del ricordare per luoghi et imagini et figure poste nella mani, Venezia, 1605 (Triv. Mor. M. 68); la traduz. latina dell’opera del Marafioto: De arte remuni- scentiac per loca et imagines ac per notas et figuras in manibus post- tas fu pubblicata nel 1610 e inserita nella edizione (qui di seguito ci- tata) del Gazophylacium artis memoriae dello Schenkelius alle pp. 273 - 338. Nella stessa edizione, alle pp. 183-272 è inserito il De memoria artificiosa libellus di Johannes Austriacus (Angelica, SS.1.24); fra i commentatori del De memoria dello Schenkel (pubblicata per la prima volta nel 1595) sono da segnalare gli scritti di Martin Sommer (Vene- zia, 1619) sotto il cui nome si nasconderebbe secondo il Morhof (Po- Iyhistor, I, p. 374) lo stesso Schenkel e l’Ars memoriae... in gratiam et usum inventutis explicata, Francofurti, typis N. Hoffmanni, 1617 di Francesco Martino Ravelli (Ravelinus) (Par. Naz. Z. 58347). Più interessante è il Simonides redivivus sive ars memoriae et oblivionis... tabulis expressa... cui accessit Nomenclator mnemonicus, Lipsiae, im- pensis T. Schureri, 1610 di Adamus Bruxius (Par. Naz. Z. 7878 - 7879) poi ristampata nel 1640. Ad un anonimo professore di Lipsia si deve l'Ars memoriae localis plenius et luculentius exposita... cum applica tone ciusdem ad singulas disciplinas et faculates, Lipsia, 1620. Non sono riuscito a vedere questo testo né JoHANNES VELASQUEZ DE AZAVEDO, Fenix de Minerva y arte de memoria que ensena sin maestro a apren- der y retenir, Madrid, 1620 (il titolo riecheggia quello del Ravennate). 128 CLAVIS UNIVERSALIS mnemotecnica “classica”, venivano commentate e discusse le opere sulla memoria di Aristotele, di Cicerone, di Quintiliano, di Tommaso, di Pietro da Ravenna, si tentavano combinazioni e sintesi tra la mnemotecnica ciceroniana e la combinatoria di Lullo, si costruivano teatri ed enciclopedie, sî escogitavano nuove, più complicate immagini, si conducevano discussioni sui segni, sui gesti e sui geroglifici. Più che questi testi, che contribuiscono a diffondere una tematica già largamen- te nota e ad alimentare discussioni da tempo iniziate, ap- paiono degni di considerazione altri scritti nei quali la ma- gia non costituisce soltanto — come per Bruno e per Cam- panella — lo sfondo culturale sul quale si collocano le arti della memoria, ma offre a queste una precisa giustificazione di ordine teorico. In questi scritti la connessione tra le tecniche magiche e quelle della memoria viene esplicitamente teoriz- zata e l’ars reminiscendi viene presentata come un prodotto di magia. Nella Magia naturalis di Wolfgang Hildebrand A Lipsia- Francoforte, nel 1678 vedeva infine la luce, con il titolo Variorum de arte memoriae tractatus selecti, una raccolta di scritti com- prendente le opere dello Schenkel, del Ravelli, del Paepp, dell'Au- striacus, del Marafioto, dello Spangerberg. Lo Schenkel, cui toccò in sorte di essere discusso brevemente da Cartesio, è figura particolar- mente interessante: fortunato insegnante c diffusore dell’arte  mne- monica in Francia, Italia e Germania (« artem hanc — scrive il Morho- fius, I, 374 — magno cum successu suo nec sine insigni suo lucro exercuit ») fu accusato dì stregoneria durante un suo soggiorno all’ Uni- versità di Lovanio, riuscendo poi ad ottencre protezione ed appoggio dalla facoltà teologica di Douai. La prima edizione della sua opera, poi spessissimo ristampata, è del 1695: De memoria liber secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai tre opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Span- gerberg l’opera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis me- moriace, Argentorati, Antonius Bertramus, 1610 (Angelica. SS. 1. 24). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam, Anteverpiae, 1589 ec una raccolta di Flores et sententiac in- signiores ex libris de Constantia Justi Lipsit, s.)., 1615 (Par. Naz. Yc. 12326 e Z. 17739), è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con testo latino e trad. tedesca a cura di J. L. Kliber, Erlangen, J. J. Palm, 1804. All’insegnamento di quest'auto- re si richiama anche la curiosa enciclopedia di Aprian LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de mémoire découvert par Schen- Relius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, ]J. Quesnel, 1623 che amplia molto il testo originario (Par. Naz. Z. 11298). LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 129 (1610) la creazione della memoria artificiale viene presentata come la applicazione dell’arte magica ad una particolare forma dell’operare umano.‘ Nella Regina scientiarum e nella Enciclopaedia Pierre Mo- restel insiste su temi largamente diffusi: la regina delle scienze, che è l’arte di Lullo, non verte su un oggetto particolare, ha caratteri tali di generalità c di certezza da presentarsi come totalmente autosufficiente, da essere in grado di consentire il pieno raggiungimento della verità in ogni ramo del sapere. All’arte mnemonica degli antichi, fondata sulla dottrina dei luoghi e delle immagini, Morestel contrappone, come nuova arte della memoria, la combinatoria lulliana. Nei suoi scritti la trattazione dei temi del lullismo e della mnemotecnica si collega con quella della filosofia occulta dei filosofi presocra- tici, con l'interpretazione delle favole antiche, con la tematica della cabala, con la ricerca di una chiave universale.*' Alla 49 W. Hiupesranp, Magia naturalis, das ist, Kunst und Wunderbuch, darinne begriffen Wunderbaren Secreta,, Geheimniisse und KRunststi- che... Leipzig, 1610. 44 Cfr. Pierre MoRESTEL, Enciclopaedia sive artificiosa ratio et via cir- cularis ad artem magnam R. Lullit per quam de omnibus disputatur habeturque cognitio, s.l., in collegio Salicetano, 1646 (Par. Naz. Z. 19006); La philosophie occulte des devanciers d'Aristote et de Platon, en forme de dialogue, contenant presque tous les préceptes de la phi- losophie morale extraite des fables anciennes, Paris, T. Du Bray, 1607 (Par. Naz. V. 21888); Les secrets de la nature... contenant presque tous les préceptes de la philosophie naturelle extraite des fables anciennes, Paris, R. de Beauvais, 1607 (Par. Naz. J. 25112); Artis kabbalisticae sive sapientiae divinae academia, Parisiis, apud M. Mondière, 1621 (Par. Naz. A. 7729); Regina omnium scientiarum qua duce ad omnes scien- tias et artes, qui literis delectantur facile conscendent, Tremoniae, apud Jodocum Kalcovium, 1664 (la prima ediz. è Rothomagi, 1632) (Casanat. M. XIX. 4). La definizione dell'arte di Lullo, presente in questi testi, è ricalcata secondo schemi convenzionali: « Ars R. Lullii non vul- garis, non trivialis, non circa unum aliquod obiectum occupata, sed ars omnium artium regina... Huius artis ea est excellentia praestan- taque, ea generalitas ac certitudo, ut, se sola sufficiente, nulla alia praesupposita... cum omni securitate et certitudine... de omni re sci- bili veritatem ac scientiam non difficulter invenire faciat ». Più inte- ressante è l’interpretazione della combinatoria come arte mnemonica: “ Artificium igitur memoriae, a veteribus traditum, locis constabat et Imaginibus; quidni igitur dabitur aliqua ars memoriae quae terminis constabit? Talis est ars Lullii, cuius termini generales patefaciunt adi- 130 CLAVIS UNIVERSALIS medicina mnemonica di Gratarolo, e quindi alla tradizione dell’aristotelismo, si richiama invece l’anonimo autore di un Ars magica pubblicata a Francoforte nel 1631 che dedica alla memoria e alle immagini astrologiche impiegate per raffor- zarla, due capitoli del suo trattato. Nel Pentagonum philoso- phicum medicum, sive ars nova reminiscentiae (1639) di La- zare Meyssonnier, medico del re di Francia e corrispondente di Cartesio, cultore di medicina astrologica, di chiromanzia e di fisiognomica, ritornano i temi della medicina della memo- ria, del lullismo, della cabala. Nella Belle magie ou science de l’esprit egli presentava, in funzione della medicina magica, un « methode de conduire la raison » e una «logique natu- relle pour resoudre toutes sortes de questions ».'° Questa stessa esigenza di un metodo universale si accompagna, nei testi di medicina magica di Jean d’Aubry, alla affermazione di una scienza unitaria e suprema rispetto alla quale le parti- tum non solum ad inventiones plurimas... sed etiam maxime faciunt ad memoriam, cum sint quasi via artificiosa et methodica ad corri- gendum defectum, roborandam infirmitatem et sublevandam virtutem memoriac naturalis ». (Cfr. Regina scientiarum, cit., pp. 19, 318). 45 Cfr. Lazare MryssonnIER, Penzagonum  philosophicim - medicum sive Ars nova reminiscentiae cum institutionibus philosophiac naturalis et medicinac sublimioris et secretioris... clave omnium arcanorum na- turaltum Macrocosmi et Microcosmi, Lugduni, J. ct P. Prost fratres, 1639 (Par. Naz. 4. T. 19-20); La delle magie ou science de l'esprit contenant les fondemens des subtilitez ct de plus curicuses et secrètes connoitssances de ce temps, Lyon, chez Nicolas Caille, 1669, pp. 322, 350 (Triv. Mor. M. 114). Delle suc competenze astrologiche ci dà testi- monianza lo stesso Mcyssonnier: « Apres avoir durant vingi-cinq ans cxaminé soigneusement les écrits et les observations de ceux qui ont traité de l'astronomie ct de l'astrologie, dressé ct jugé plus de deux mille figures de nativité, qu'on nomme vulgairement horoscopes... » Cfr. Aphorismes d'astrologie tirée de Ptolomée, Hermes, Cardan, Munfredus et plusieurs autres, traduit en frangois par A.C., Lyon, Mi- chel Duhan, 1657, p. 1 (Triv. Mor. M. 194). La teoria del conarinrm so- stenuta dal Meyssonnier nel Pentagonum e nella Belle magie dovrebbe essere studiata anche in vista di una comprensione dell'atteggiamen- to assunto da Descartes verso questo curioso personaggio. Per i con- tatti di Meyssonnier con Mersenne c Cartesio cfr. la lettera di Meys- sonnier a Mersenne del 25.1.1639 ricordata in Adam et Tannery, HI, p. 17, la prima lettera a Descartes è andata smarrita e così pure la risposta alla lettera cartesiana del 29.1.1640 (Adam et T., III, p. 18); si vedano anche le lettere di Descartes a Mersenne del 29. |. 1640, del 1.4. 1640 e del 30. 7. 1640 (Adam cet T., III, pp. 15, 47, 120). LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 131 colari scienze hanno carattere di apparenza. Mentre traccia le linee di una grande enciclopedia, egli insiste energicamente sulla sostanziale unità del sapere e sulla artificialità di ogni separazione tra le singole discipline : « Dans les trois premiers chapitres tu y verras toutes les connoissances du monde et un ordre de toutes choses.... Et tu apprendras aussi dans le troisième chapitre qu'il n'y a qu’une seule science parce qu'il n’y en a qu’une seule laquelle donne reponse sans user d’aucune espece de divination.... La science... laquelle me donne des resolutions et reponses infaillibles de toutes choses, comme estant la règle de toute verité ».*° Anche nei testi di Robert Fludd, che è il più noto e signi- ficativo esponente dell’ermetismo e del simbolismo cabalistico del Seicento, troviamo un’ampia trattazione, del resto con- dotta secondo canoni assai convenzionali, dell’arte memora- tiva.!” 15 Cfr. Jean D’AuBry, Le triomphe de l'archée et la merveille du mon- de, ou la medicine universelle ct veritable pour toutes sortes de mala- dies les plus desesperées... Etablie par raisons necessatres et demonstra- tions infaillibles, A Paris, chez l’auteur, 1661, avvertimento al pubbli- co, pp. non numerate (Vatic. Racc. Gen. Medicina, IV. 1347). In que- sta ediz. francese, che segue a quella latina del 1660 — Triumphus ar- chei et mundi miraculun sive medicina universalis, Francofurti, 1660 (Braid. A. XIII. 2388) — è compresa, in appendice, la Apologie contre certatns docteurs en médicine... respondant à leurs calomnies que l'au- theur a guéry par art magique beaucoup de maladies incurables et aban- donces, già pubblicata a Parigi nel 1638. Fra gli scritti più particolar- mente dedicati a Lullo si veda la traduzione della Blanquerna (Le Triomphe de l'amour et l’eschelle de la gloire, ou la médicine univer- selle des ames, ou Blanquerne de l'amy et de l'aimé, Paris, s.d. Par. Naz. R. 6217), l' Abregé de l'ordre admirable des connoissances et des beaux secrets de saint Raymond Lulle martyr, s. d. (Par. Naz. To. 131. 113) e Le firmament de la vérité contenani le nombre de cent démons- trations... qui preuvent que tous les prestres... abbés, commandataires, prédicateurs et bernabites doivent étre damnés éternellement s'ils ne vont prescher l’ Evangile aux Turcs, Arabes, Mores, Perses, Musulmans et Mahométans, Grenoble, J. de la Fournaise, 1642 (Par. Naz. D. 2. 5652). Ma si vedano a pp. 155-61 della Apologie (ediz. 1661, cit.) le otto ragioni, elencate dal d’Aubry, per le quali i libri di Lullo « doi- vent estre receus de mesme que ceux d'un Père de l’Eglise ». 4° R. FLupp, Tomus secundus de supernaturali, naturali, praeterna- turali et contranaturali Microcosmi historia, Oppenheimi, typis Hie- ronimi Galleri, 1619, pp. 47-70. 132 CLAVIS UNIVERSALIS 9 In piena atmosfera magica ed ermetica ci riporta anche il Traicté de la memoire artificielle pubblicato a Lione, nel 1654, da Jean Belot e inserito, a guisa di appendice, nelle Fami:- lières instructions pour apprendre les sciences de Chiromancie et Phystonomie.** L° intera combinatoria lulliana viene iden- tificata dal Belot con una «memoria artificiale »j mediante la miracolosa invenzione di Raimondo, « homme d’exquise erudition », è possibile abbreviare in modo prodigioso il cam- mino della scienza e sostituire al lavoro di un’intera vita il rapido apprendimento dei princìpi fondamentali e costitutivi i ogni ramo del sapere. Per svelare l’essenza dell’arte, che Lullo volutamente nascose sotto una serie di enigmi, per su- perare le posizioni di Bruno, di Agrippa, di Alsted e di La- vinheta, per mettere l’arte alla portata di tutti («cet arte estoit necessaire à ceux qui font profession de faire sermons... ou quelque trafic de marchandise »), Belot propone di asso- ciare la combinatoria alla chiromanzia sostituendo alle figure della combinatoria e alle immagini della mnemotecnica cice- roniana, le figure e i termini in uso nell'arte chiromantica.** Nonostante le pretese di assoluta novità, le « ruote » delle quali 18 Cfr. Les Oeuvres de Jean Belot... contenant la chiromance, phy- sionomie, l'art de mémoire de Raymond Lulle, traité des devinations, augures et songes, les sciences steganographiques paulines et almadelles et lullistes..., Lyon, chez Claude de la Rivière, 1654, pp. 329-345 (Triv. Mor. L. 88). Oltre a questa edizione è da vedere l’altra di Rouen, chez Pierre Amiot, 1688 (Triv. Mor. L. 80) poi ristampata a Liegi nel 1704. Sulle arti « paulines et almadelles » si veda la nota di L THoRnpikE, A/fodhol and Almadel: hitherto unnoted books of magic in florentine manuscripts, in « Speculum », 1927, pp. 326 -31. Le opere del Belot, che si mostrò favorevole alla teoria copernicana e parlò, nel 1603, di rourbillons de matière, andrebbero esaminate più detta- gliatamente di quanto non abbia fatto il Thorndike (History of ma- gic and experimental science, VI, pp. 360-62; 507-10) anche perché in esse sono presenti evidenti tracce delle posizioni ramiste: cfr. per es. alle pp. 52, 56 dell'edizione del 1654 e alle pp. 62-63 e 67-68 dell'edizione del 1688. A Bruno, come ad uno dei maggiori teorici del- l’arte, Belot si richiama più volte: cfr. Note bruniane, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959. 4° Les oeuvres de ]can Bellot, ediz. 1654, cit., pp. 330, 331, 333-34. Per la connessione tra chiromanzia e arte mnemonica cfr. l’opera di G. MararioTo, qui sopra citata alla nota 42. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 133 il Belot si serve appaiono ricavate dai commenti lulliani di Agrippa, mentre non mancano, in più punti, echi della trat- tazione bruniana. Proprio da Agrippa e da Bruno egli trae infatti la convinzione — in seguito sostenuta con maggior ampiezza nella RAetorigue — di una stretta connessione tra retorica-dialettica da un lato e lullismo ed arti segrete dal- l’altro. Il titolo del suo trattato è, da questo punto di vista, assai indicativo: « La rhetorique par laquelle on peut discourir de ce qui est propre en l’oraison et de disputable par dialecti- que, selon la subtilité de l’art lulliste et autres arts plus secrets qui sont icy compris par une seule legon necessaire en tout art ».5° Le finalità di una retorica e di una dialettica fondata sul lullismo e sulla tradizione magico-alchimistica vengono presentate, non a caso, come coincidenti con quelle che già furono proprie dell’antica sapienza ebraica e dei sostenitori della cabala: Ce que l’antiquité a recherché avec beaucoup de labeur toutesfois sans en avoir acquis la parfaite connoissance, je te le donne tout entier: c'est ce qu'ont voulu acquerir les Prophetes, Mages, Rabins, Cabalistes et Massorets, et depuis eux le docte H. C. Agrippa.5! Portando la retorica e la dialettica sul piano delle «arti segrete », mescolando la combinatoria alla cabala, all’astro- logia, alla medicina magica, facendo corrispondere alle cinque partizioni della retorica nuove partizioni attinte alla tradi- zione ermetica,°® Belot portava così all’esasperazione, intorno alla metà del Seicento, una tematica che aveva avuto le sue più fortunate espressioni nell’opera di Agrippa, di Bruno, di Giulio Camillo. I primi scritti del Belot risalgono al 1620: 5° Cfr. Les oeuvres, cit., p. 1 della seconda parte. °l Les oeuvres, cit., prefazione. 52 Les oeuvres, cit., p. 3 della seconda parte: « Pour les parties, elles regoivent toutes les cinq pour bonnes et utiles, mais il y en a cinq autres particulieres aussi: car pour la memoire, elle a l’Art notoire...; pour l’action ou pronunciation, l’art Paulin et pour les autres parties, a pour l’elocution l’art d’Almadel; pour la disposition la seconde par- tie de la Theurgie et pour l’invention l'art des revelations, que Tri- theme dit venir d’ Ophiel, esprit Mercurial ». 134 CLAVIS UNIVERSALIS qualche anno prima Bacone e Cartesio avevano assunto un atteggiamento fortemente polemico contro questo tipo di let- teratura. Su un punto essi avevano concordemente insistito: su questo piano la combinatoria lulliana e le arti della me- moria si risolvevano nell’inutile costruzione di giochi stupe- facenti atti a ingannare il volgo anziché a far progredire le scienze. V. LA MEMORIA ARTIFICIALE E LA NUOVA LOGICA: RAMO, BACONE, CARTESIO 1. Pierre DE LA RAMÉE: LA « MEMORIA » COME SEZIONE DELLA LOGICA. L’eredità delle discussioni quattrocentesche sull’ ars me- morativa non era stata tuttavia raccolta solo dagli esponenti della magia e dell’ermetismo del Cinquecento e del primo Seicento. Su un diverso terreno, quello di una rigorosa trat- tazione dei temi della dialettica e della retorica concepite come scienze mondane, in ambienti diversi, attenti alle dispute lo- giche, interessati agli sviluppi della matematica e della geo- metria, era andato maturando, fin dalla metà del secolo XVI, il tentativo ramista di inserire i problemi attinenti alla me- moria e le regole della mnemotecnica entro una più vasta ri- cerca concernente la riforma dei metodi di invenzione e di trasmissione del sapere. Il problema degli « aiuti della memo- ria » giungerà per questa via ad acquistare una singolare risonanza anche nei testi dedicati, nella prima metà del se-

colo XVII, ed una riforma del metodo: Bacone vedrà nella ministratio ad memoriam un elemento costitutivo del nuovo metodo delle scienze; Cartesio parlerà, a proposito della enu- merazione, di un movimento continuo del pensiero che ha lo scopo di recar soccorso alla naturale infermità della memoria. Più che in Francia, dove pure vedono la luce nella prima metà del Cinquecento non pochi testi di ars memoraziva, la tradizione ciceroniana che si ispirava in tutta Europa all'opera di Pietro da Ravenna, aveva trovato in Italia, come abbiamo visto, i suoi più fortunati e clamorosi sviluppi. Per quanto riguarda la Francia è dunque il caso di insistere — trascu- rando testi come la Memoria artificialis del Campanus e l’Ars memorativa del Leporeus (Parigi, 1515 e 1520)* che si Non ho visto l'opera del Campanus delle cui caratteristiche discorre il Morhofius; dell’Ars  memorativa Guglielmi Leporei Avallonensis ho visto l'edizione parigina del 1520, in Chalcographia Iodoci Badii Ascensii (Triv. Mor. H. 416). 136 CLAVIS UNIVERSALIS limitano a riecheggiare stancamente l’opera del Ravennate — sulla posizione assunta, di fronte al problema dell’ars me- moriae dal maggior esponente degli studi logici e retorici di questo periodo della cultura francese. Invece di teorizzare l’arte mnemonica come una tecnica autonoma, costruita in vista di fini pratici ben determinati e indipendente dagli svi- luppi della retorica e della logica, Pietro Ramo? si preoccupa proprio dei rapporti che intercorrono fra la « memoria » da un lato e la dialettica e la retorica dall’altro. La sua opera di riformatore intende dar luogo a questo risultato: staccare de- cisamente la memoria dalla retorica, alla quale una secolare tradizione la aveva assegnata, e servirsene come di uno degli elementi costitutivi della dialettica o della nuova logica. Ramo, com'è noto, amò presentare la sua riforma come un ritorno agli insegnamenti della filosofia classica, come una semplificazione e una chiarificazione di quell’insegnamento aristotelico che era stato a suo avviso corrotto dalla confu- sione terminologica degli scolastici e da quella tradizione reto- rica che fa capo agli scritti di Quintiliano. Il filosofo che, in una brillante esercitazione, aveva inteso mostrare la falsità di tutte le proposizioni aristoteliche, non esiterà poi a dichiarare in modo significativo: « Libros veterum conservemus et ad eos, cum fuerit opus, recurramus: philosophiamque ex eorum libris collectam puram veramque doceamus ».° Né esiterà a rintracciare, negli stessi testi aristotelici, i fondamenti delle sue proprie partizioni della dialettica (« Qui partitur logicam in inventionem et dispositionem, Aristoteli authore partitur »).* ? Per qualche indicazione sulla bibliografia intorno a Ramo cfr. la mia rassegna Ramismo logica e retorica nei secoli XVI e XVII, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1957, HI, pp. 359-61. Agli studi indicati in quella sede vanno aggiunti i seguenti: M. Dasson- viLLe, La genèse et les principes de la Dialectique de P. Ramus, in « Revue de l'Université d’Ottawa », 1953, pp. 322-55; La dialectique de P. Ramus, in « Revue de l’ Univ. de Laval », 1952-53, pp. 608 - 616; P. Dion, L'influence de Ramus aux universités néerlandaises du XVII siècle, in Actes du Xle Congr. Int. de Philosophie, Louvain, 1953, XIV, pp. 307-11; R. Tuve, /Imagery and logic, Ramus and methaphysical poetics, in «Journal of the history of ideas», 1942, IV, pp. 365-400. ® P. Ramus, Scholae in liberales artes, Basilea, 1569, pp. 157-158. 1 Scholae in liberales artes, cit., p. 63. RAMO, BACONE, CARTESIO 137 Ancora ad Aristotele, del resto, egli faceva risalire quella con- giunzione di filosofa ed eloquenza che verrà teorizzata in una celebre orazione del 1546: « Aristoteles intelligendi pru- dentiam cum dicendi copia coniunxit: et cum antea matutinis ambulationibus philosophiam solam doceret, pomeridianis etiam rhetoricam docere coepit ».* Per ricostruire nel suo vero significato il senso dell’insegnamento aristotelico, per portare alla luce le verità che nei testi aristotelici sono presenti, anche se solo accennate, è necessario, secondo Ramo, rifiutare ogni indebita commistione di grammatica dialettica e retorica: alla prima andranno riferiti solo i problemi attinenti alle etimo- logie, alla seconda soltanto l’arte dell’invenzione e quella del giudizio, mentre la terza dovrà limitarsi alla trattazione delle tecniche dello « stile » e del « porgere », alla capacità di ador- nare e trasmettere il materiale prodotto dalla ricerca dialettica.

Nella storia della logica e in quella della retorica si è veri- ficato, per Ramo, un errore fondamentale che ha finito per snaturare profondamente il senso della prima e della seconda. Si è ammesso con Aristotele e si è poi sostenuto con Cicerone e con la Scolastica che fosse possibile costruire due diverse logiche valide l'una nel campo della scienza, l’altra nel regno dell'opinione e del discorso popolare, adatta la prima ai sa- pienti, la seconda al volgo. Proprio questa duplicità viene energicamente rifiutata da Ramo: la teoria della inventio e della dispositio è una sola, valida in ogni campo e in ogni tipo di discorso.® Aver creduto all’esistenza di due diverse logiche ha condotto a un’ibrida mescolanza di concetti e di termini affine a quella della quale si è reso responsabile Quintiliano quando, oltre a confondere dialettica e retorica, ha aggravato ulteriormente la situazione mescolando ai temi della retorica quelli propri dell’etica: Duae sunt universae et generales homini dotes a natura tributae: ratio et oratio; illius doctrina dialectica est, huius grammatica et rhetorica. Dialectica igitur gene- 3 Cfr. la Oratio de studiis philosophiae et eloquentiae coniungendis Lutetiae habita anno 1546, riedita nelle Brutinae quaestiones in Ora- torem Ciceronis, Parisiis, apud Jacobum Bogardum, 1547, p. 45r. (Padova, Antoniana, T.V. 5). ° Cfr. Dialectique, 1555, pp. 3-4. 138 CLAVIS UNIVERSALIS rales humanac rationis vires in cogitandis et disponendis rebus persequatur; grammatica orationis puritatem in ctymologia ct sintaxi ad recte loquendum vel scribendum interpretetur. Rhetorica orationis ornatum tum in tropis et figuris, tum in actionis dignitate demonstret. Ab his deinde gencralibus et universis, velut instrumentis, aliae artes sunt ceffectae... Aristoteles summae confusionis au- thor fuit: inventionem rhetoricae partem primam facit, falso, ut antca docui, quia dialecticae propria est; sed tamen rhetoricae partem facit et eius multiplices artes primo artis universae loco conturbat in probationibus... Quintilianus concludit materiam Rhetorices esse res om- nes quae ad dicendum subiectac sunt... Dividitur rheto- rica in quinque partes: inventionem, dispositionem, cle- cutionem, memoriam ct actionem. In qua partitione nihil iam miror Quintiliamum dialectica tam nudum esse, qui dialecticam ipsam cum rhetorica hic confusum non potucrit agnoscere, cum dialecticae sunt inventio, disposi- tio, memoria; rhetorica tantum clocutio cet actio.? Sulla separazione della dialettica dalla retorica Ramo ebbe ad insistere instancabilmente; di fronte all’obiezione che il retore non potrà non servirsi degli argomenti elaborati in sede di dialettica rispondeva che la congiunzione dialettica-retorica,

presente nei vari discorsi umani, non escludeva affatto, anzi esigeva, una distinzione ed una separazione precisa fra la teoria della dialettica e quella della retorica: Non potest... sine numeris Geometria, Musica, Astrologia consistere: an propterca hae artes numeros explicare et sune professioni subiicere debebunt. Usus artium, ut iam toties dici, copulatus est persacpe. Praecepta tamen confundenda non sunt, sed propriis et separatis studiis declaranda.8

Le artes logicae comprendono dunque per Ramo la dialet- tica o logica e la retorica: la prima si articola nella inventio e dispositio, la seconda nella elocutio e nella pronuntiatio. Identificando, sulle traccie di Quintiliano e di Cicerone, la dispositio con il iudicium (il secondo libro della Dialectica, ® Cfr. Rhetoricae distinctiones in Quintilianum, Parisiis, apud An- dream Wechelum, 1559, p. 18; Ciceronianus ct brutinae quaestiones, Basilea, Petrus Perna, 1577, p. 329; RAetoricae distinctiones, cit., p. 43, * Scholae in tres primas liberales artes, Francofurti, apud Andrcam Wechelum, 1581, p. 3I (Fir. Naz. V. 8.37). RAMO, BACONE, CARTESIO 139 noto come la Secunda pars Rami, tratta appunto De iudicio et argumentis disponendis), Ramo fa rientrare nella tratta- zione della dispositio quelle parti della dialettica che si rife- riscono all’assioma o proposizione, al sillogismo e al metodo: Duae partes sunt artis logica: topica in inventione ar- gumentorum, id est mediorum principiorum elemento- rum, (sic cnim nominatur in Organo) et analitica in corum dispositione.... Dispositio est apta rerum inventarum collo- catio.... Atque haec pars est quae iudicium proprie nomi- natur, quia sillogismus de omnis iudicandis communis regula est.... Dialecticae artis partes duae sunt: inventio et dispositio. Posita enim quacstione in qua disserendum sit, probationes et argumenta quaerantur; deinde, iis via et ordine dispositis, quaestio ipsa explicatur.® In uno dei brani precedentemente citati il termine memoria è comparso, accanto a quelli di ‘nventio e dispositio come uno degli elementi costitutivi della dialettica (« cum dialecticae sunt inventio, dispositio, memoria; rhetoricae tantum elocutio et actio »). Proprio alla memoria spetta, secondo Ramo, un com- pito preciso: essa costituisce un indispensabile strumento per introdurre ordine nella conoscenza e nel discorso. Come tale essa non può essere omessa o trascurata: Dicis oratori tria esse videnda: quid dicat, quo quidque loco, et quomodo: primo membro inventionem, secundo collocationem, tertio elocutionem et actionem comprehen- dis. Memoria igitur ubi est? Communis est -ais - multa- rum artium, propterea omittitur. Enimvero, inquam, inventionem et dispositionem communescum multis esse (ais), cur igitur haec recensentur, illa contemnitur? 1° Tenendo presente la funzione ordinatrice attribuita da Ramo alla memoria, appare molto significativa la identificazione so- stenuta da Ramo, della memoria (che nella tradizione era una delle cinque “grandi arti” costitutive della retorica) con la dottrina del giudizio appartenente alla dialettica o logica. Dispositio, iudicium, memoria diventano in tal modo, in molti ° Animadversionum aristotelicarum libri XX, Parisiis, 1553-1560, vol. II, prefaz. ai libri IX-XX, p. 1; Institutionum dialecticarum libri tres, Parisiis, 1543, Il, pp. 2, 3, 77 (rispettivamente: Braid. B. XVIII. 6. 248; Ambros. SN. UV. 41). 1° Brutinae quaestiones, cit., p. 8v. 140 CLAVIS UNIVERSALIS testi ramisti, termini intercambiabili, giacché al giudizio spetta appunto il compito di collocare o disporre le res inventas entro un ordine preciso e « razionale » : Dialectico inventionem, dispositionem, memoriam me- rito assignamus; clocutionem et actionem oratori relin- quamus... Iudicium definiamus doctrinam res inventas collocandi, et ca collocatione de re proposita iudicandi: quae certe doctrina itidem memoriae (si tamen cius esse disciplina ulla potest), verissima certissimaque doctrina est, ut una cademque sit institutio duarum maximarum animi virtutum: iudicii et memoriac... Rattonis duae par- tes sunt: ‘nventio consiliorum et argumentorum, eorum- que iudicium in dispositione... dispositionis umbra quae- dam est memoria... Tres itaque partes illae, inventio in- quam dispositio memoria, dialecticae artis sunto.!! Nonostante i dubbi avanzati da Ramo sulla possibilità di una disciplina della memoria come arte autonoma, anzi, pro- prio in forza di questi dubbi, la sua concezione del metodo come disposizione sistematica e ordinata delle nozioni ten- dente alla costituzione di un ordine unitario delle conoscenze appare in grado di assorbire molte di quelle « regole » che avevano trovato un’esplicita teorizzazione all’interno della mnemotecnica tradizionale. L’ assorbimento della memoria nella logica operato da Ramo, la identificazione da lui soste- nuta del problema del metodo con quello della memoria se- gnava l’atto di nascita di quella concezione del metodo come esercitante una funzione classificatoria nei confronti della realtà che avrà grandissima fortuna nel pensiero europeo dei secoli successivi. Questo tipo di considerazione, mentre anti- cipava l'atteggiamento che nella discussione di questi temi Bacone assumerà mezzo secolo più tardi, avvicinava non a caso la posizione di Ramo a quella di Melantone che negli Erotemata dialecticae aveva visto nel metodo un habitus videlicet scientia, seu ars, viam faciens certa ra- tione, id est, quae quasi per loca invia et obsita sensi- bus, per rerum confusionem, viam invenit et aperit, ct res, ad propositum pertinentes, eruit ac ordine promit.!? 1) Scholae in tres primas liberales artes, cit., pp. 14-46; Dialecticac institutiones, cit., p. 19v. 12 MELANTONE, Erotemata dialecticace, in Corpus reformatorum, XIII, c. 573. RAMO, BACONE, CARTESIO 14] Ad un sistematico ordinamento delle rotiones e degli ar- gumenta, ad una ordinata collocatio dei luoghi, alla costru- zione di enciclopedie intese come classificazioni totali degli elementi naturali e delle operazioni umane, alla creazione di una sopica universale avevano del resto mirato non pochi tra i più significativi testi della mnemotecnica ciceroniana e della tradizione lullista. Il fatto che un giovane studioso boemo, Giovanni de Nostiz, potesse pensare a una nuova logica fon- data sugli insegnamenti di Lullo, di Ramo e di Giordano Bruno può suonare conferma di questa fondamentale unità di impostazioni e di intenti. Per concludere: ciò che soprattutto è da sottolineare nella posizione di Ramo è il tentativo di inserire i problemi atti- nenti alla memoria in un discorso assai più vasto che non ri- guardava solo la elaborazione di una particolare tecnica utile agli oratori, agli avvocati, ai poeti, ma concerneva più delicate e complesse questioni attinenti al metodo e alla logica. Più che ai testi degli storici moderni della filosofia, che hanno a lungo equivocato sul significato della riforma ramista, gio- verà richiamarsi alla precisa affermazione di Omar Talon (Audomarus Talaeus), grande teorico della retorica cinque- centesca, discepolo devoto e collaboratore di Ramo: « quest’ul- timo — egli scriveva — ha ricondotto alla logica, alla quale propriamente appartengono, la teoria dell’inventio, della dispositto, della memoria ».'* E gioverà anche rileggere, a chiarire possibili equivoci, il preciso giudizio di Pierre Gas- sendi: Cum observasset enim quinque vulgo fieri partes Rhetori- cac, inventionem, dispositionem, elocutionem, memoriam et pronunciationem, censuit ex ipsis duas solum pertinere ad rhetoricam: clocutionem puta et pronunciationem seu actionem; duas artes esse proprias Logicac: inventionem puta et dispositionem, quibus, quia memoria iuvatur, posse illam eodem cum ipsis spectare. Quare et Logicam seu Dialecticam... in duas partes distribuit: inventionem et iudicium (sic enim potius dicere quam dispositionem maluit...) atque idcirco artem totam duobus libris com- plexus est.!4 sa i È i . i Petri Rami professoris regi et Audomari Talaci collectaneae  pre- fationes, epistolae, orationes, Marburg, 1559, p. 15. 14 Sa P. Gassenpi DiniensIis, Opera omnia in sex tomos divisa, Floren- tiae, 1727, vol. I. De logicae origine et varietate, cap. 9 Logica Rami, p. 52. 142 CLAVIS UNIVERSALIS Della portata rivoluzionaria e delle gravi conseguenze che ebbe nella storia della logica una riforma dall'apparenza tanto inoffensiva ci si è cominciato a render conto solo in tempi molto recenti. In questa sede e in vista dei limitati fini che qui ci proponiamo, basterà notare quanto segue: l’atteggia- mento assunto da Ramo segna una svolta radicale; nella sua stessa direzione, quella di un assorbimento della dottrina degli aiuti della memoria entro i quadri più generali della logica e della dottrina del metodo, si muoveranno, sia pure con intenti estremamente diversi e talora addirittura divergenti, Bacone, Cartesio e, più tardi, Leibniz. 2. Bacone E CARTESIO: LA POLEMICA CONTRO I GIOCOLIERI DELLA MEMORIA. Bacone pubblicò l’Advancement of Learning nel 1605, Novum Organum (la cui stesura era stata iniziata intorno al 1608) c il De augmentis scientiarum rispettivamente nel 1620 e nel 1623. Le Cogitationes privatac di Cartesio risalgono al 1619, le Regulae ad directione ingenit furono composte fra il 1619 e il 1628, il Discorso sul metodo fu pubblicato nel 1637. Nello stesso trentennio il filosofo inglese e quello francese giungono, relativamente all’ars combinatoria e all’ars me- moriae, a conclusioni che presentano una concordanza sin- golare. Sia nelle pagine di Bacone, sia in quelle di Cartesio !* è rintracciabile la documentazione di una conoscenza diretta dei testi cinquecenteschi di arte memorativa. Bacone accenna più volte alle « raccolte di luoghi », alle « sintassi » che gli è avve- nuto di leggere, alla « memoria artificiale », fa esplicito rife- rimento alla « dottrina dei luoghi » c alla « collocazione delle immagini », alla «tipocosmia » di derivazione lulliana. Car- tesio, che è assai più parco di espliciti riferimenti e non ama le citazioni, accenna tuttavia alla sua lettura dell’Ars memo- 15 Le citazioni dai testi di Bacone e di Cartesio rimandano rispettiva- mente a: Ocuvres de Descartes, ed. C. Adam et P. Tannery, Il voll., Parigi, 1897 - 1909; Tie Works of Francis Bacon, ed. by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath, 7 voll, Londra, 1887-92 qui di seguito indicate con le abbreviazioni Oeuvres ec Works. RAMO, BACONE, CARTESIO 143 rativa dello Schenkelius, ritorna più volte sull’ars memoriae, sulla funzione che esercitano le « immagini sensibili » in vista della rappresentazione dei concetti intellettuali, parla, secondo una tipica terminologia, di catena scientiarum, si interessa vivamente alle mirabili scoperte di un ignoto seguace di Lullo, si rivolge all'amico Beeckmann per aver notizie e chiarimenti sui testi lulliani di Agrippa, sul significato e sulle possibilità reali dell'Arte. Questi temi e questi interessi esercitarono, com’è noto, una notevole suggestione sul pensiero baconiano c su quello del giovane Cartesio. Ma c’è di più: alcuni ele- menti attinti alla tradizione dell’ars memiorativa e dell’ars com- binatoria ebbero ad agire in profondità all’interno della stessa formulazione, baconiana e cartesiana, di un nuovo metodo e di una nuova logica. Di questo più avanti. Ciò che qui interessa di porre in rilievo è il significato del rifiuto, che troviamo presente in Bacone e in Cartesio, verso quelle tecniche memorative che si erano ridotte a giochi intellettuali e si erano andate caricando di riferimenti a quella mentalità magico-occultistica contro la quale entrambi i filosofi presero energicamente posizione. La valutazione dell’arte lulliana che troviamo presente da un lato nella lettera a Beeckmann del 1619 e nel Discorso sul metodo e dall’altro nell’Advancement of learning e nel De augmentis è, da questo punto di vista, quantomai significativa. Di fronte al vecchio seguace dell’ars Srevis che si vanta di poter parlare per un'ora intera di un argomento qualunque e di poter poi proseguire per altre venti ore parlando sullo stesso tema in modo sempre diverso, Cartesio, che pure è fortemente inte- ressato al problema, ha l’impressione di una loquacità fon- data su un’erudizione tutta libresca e di un’attività intesa a suscitare l'ammirazione del volgo anziché al raggiungimento della verità. Questo « sospetto » cartesiano si trasforma di- ciott'anni più tardi, nelle pagine del Discorso sul metodo, in una certezza: l’arte di Lullo serve a parlare, senza giudizio, di ciò che in realtà si ignora anziché ad apprendere verità non conosciute o a trasmettere verità note. A identiche conclusioni cra giunto Bacone nel testo del 1605, poi tradotto in latino nel ’23; il metodo lulliano, che gode di grande favore presso alcuni ciarlatani, non è degno della qualifica di metodo, mira all’ostentazione anziché alla scienza, fa sembrare dotti gli 144 CLAVIS UNIVERSALIS uomini ignoranti; fondato su una caotica massa di vocaboli esso sostituisce la conoscenza dei termini a quella, effettiva, delle arti, assomiglia alla bottega di un rigattiere ove si tro- vano molti oggetti, nessuno dei quali ha un grande valore: Bacone, De augmentis, VI, 2, in Works, I, p. 669. Neque tamen illud praetermitten- dum, quod nonnulli viri, magis tumidi quam docti insudarunt circa Methodum quandam, legiti- mae methodi nomine haud di- gnam; cum potius sit methodus imposturae, quae tamen quibus- dam ardelionibus acceptissima pro- culdubio fuit. Haec methodus ita scientiae alicuius guttulas aspergit, ut quis sciolus specie nonnulla eru- ditionis ad ostentationem possit a- buti. Talis fuit Ars Lulli; talis Typocosmia a nonnullis cxarata; quae nihil aliud fuerunt quam vo- cabulorum artis cuiusque massa ct acervus; ad hoc, ut qui voces artis habeant in promptu, ctiam artes Cartesio, a Bceckmann, 29, 4. 1619; Ocuvres, A. et T., X, pp. 164-65; Discours (ed. Gil- son), p. 17. Repperi nudius tertius cruditum vi- rum in Diversorio Dordracensi, cum quo de Lulli arte parva sum loquutus... Senex erat, aliquantu- lum loquax, et cuius eruditio, ut- pote a libris hausta, in extremis labris potius quam in cerebro versabatur... Quod illum certe di- xisse  suspicor, ut admirationem captaret ignorantis, potius quam ut vere loqueretur. Je pris garde que, pour la logi- que, ses syllogismes et la plupart de scs autres instructions servent plutòt à cexpliquer à autrui les choses qu'on sait, cu méme, com- me l'art de Lulle, à parler, sans Jugement, de celles qu'on igno- ipsas perdidicisse.existimentur.Huius generis collectanea officinam referunt veteramentarium, ubi pracsegmina multa repcriuntur, sed nihil quod alicuius sit pretti. re, qu'à les apprendre. L'accusa di « ostentazione » rivolta alla combinatoria lul- liana assumeva, in pagine come queste, un significato storico di grande rilievo: ciò che qui si mirava a colpire era proprio quella riduzione dell’arte sul piano della magia sulla quale avevano a lungo insistito non pochi dei commentatori cinque- centeschi. Quest’accusa non era in realtà cosa nuova, anche se nuovo è il significato che essa viene ad assumere nelle pagine di Bacone e di Cartesio connettendosi alla polemica baconiana e cartesiana contro la tradizione magico-occultistica. La valu- tazione presente nel testo baconiano del 1623, che potrebbe forse essere posta in relazione con quella poi presente nel Discorso sul metodo, sembra in realtà ricalcataproprio sul RAMO, BACONE, CARTESIO 145 giudizio di uno dei grandi commentatori di Lullo che non aveva nascosto la sua simpatia per le arti magiche, Cornelio Agrippa: Hoc autem admonere vos oportet: hanc artem ad pom- pam ingenii ct doctrinae ostentationem potius quam ad comparandam eruditionem valere, ac longe plus habere audaciae quam efficaciae.!® Fin qui ci siamo riferiti alla combinatoria, ma anche nei confrontidell’ars memorativa di derivazione “ciceroniana” le prese di posizione di Bacone e di Cartesio risultano oltre- modo precise e utilmente confrontabili. Cartesio non esita a definire « sciocchezze » le conclusioni cui era pervenuto lo Schenkel in un testo sulla memoria del 1595 nel quale, ac- canto ai consueti canoni dell’ ars reminiscendi ciceroniana, comparivano i ben noti riferimenti alle fonti aristoteliche e tomistiche, alla medicina galenica, i richiami a Simonide, Te- mistocle e Ciro, ad Agostino e a Pico della Mirandola, a Pie- tro da Ravenna e al lulliano Bernardo di Lavinheta.!” L’au- tore di quel libro gli appare, senz'altro, un «ciarlatano »: a quella falsa arte inutile alle scienze, egli contrappone la cono- scenza delle cause.'* Non dissimile da questa, anche se molto più articolata e ricca di riferimenti culturali, è la posizione assunta da Bacone: egli non nega che coltivando la memoria artificiale sia possibile pervenire a risultati mirabili, né afferma (come si fa volgarmente) che le tecniche memorative possano influire negativamente sulla memoria naturale. Nel modo in cui l’arte viene impiegata, essa gli appare tuttavia assoluta- mente sterile, serve a far brillare l’arte mentre è in realtà priva di ogni effettiva utilità. Essere in grado di ripetere subito, nello stesso ordine, un gran numero di parole recitate una sola volta o comporre un gran numero di versi estemporanei su un argomento a scelta è possibile sulla base di un'educazione di alcune facoltà naturali che, mediante l’esercizio, possono essere portate ad un livello miracoloso. Ma di tutto ciò — pro- dì H. C. AcriPPa, Opera, Argentorati, Zetzner, 1600, II, pp. 31-32. !* Cfr. ScHenkEL, De memoria liber, Leodii, 1595, poi ristampato nel Gazophylacium arti: memoriae, Argentorati, 1610 (Copia usata: An- elica, SS. 1. 24). Sulle sue opere e sui suoi rapporti con Leibniz cfr. qui le pp. 253-54. 18 DESscaRTES, Ocuvres, X, p. 230. 146 CLAVIS UNIVERSALIS segue Bacone — non facciamo più conto che della agilità dei funamboli e della destrezza dei giocolieri. Fra i metodi e le sintassi di luoghi comuni che mi è capitato di vedere — egli scrive —non vi è nulla che abbia un qualche valore; gli stessi titoli di quei trattati risentono più delle scuole che del mondo reale, le pedantesche divisioni dei quali i loro autori fanno uso non penetrano in alcun modo nelle midolla delle cose.!* 3. MNEMOTECNICA E LULLISMO IN BAcoNE E IN CARTESIO. a) Bacone. Il passo baconiano al quale ci siamo ora riferiti ha, senza alcun dubbio, il tono di una esplicita condanna. Tuttavia una cosa va subito posta in rilievo: in Bacone è presente la con- vinzione che sia possibile fare, delle arti della memoria, un uso diverso da quello tradizionale. Anziché servirsi di quelle arti per ostentare il prodigioso livello al quale può esser fatta pervenire una facoltà dell'animo umano, anziché piegarle a fini miracolosi e ciarlataneschi sarà possibile servirsene in vista di seri e concreti usi umani; sarà anzi possibile, secondo Ba- cone, migliorare e perfezionare, in vista di queste nuove fina- 19 Bacon, Works, 1, pp. 647-48: « Neque tamen ambigimus (si cui placet hac arte ad ostentationem abuti) quin possint praestari per cam nonnulla mirabilia et portentosa; sed nihilominus res quasi sterilis cst (eo quo adhibetur modo) ad usus humanos. At illud interim ei non im- putamus quod nazuralem memoriam destruat et super-oneret (ut vulgo objicitur); sed quod non dextre instituta sit ad auxilia memoriae commodanda in negotiis et rebus seriis. Nos vero hoc habemus (for- tasse cx genere vitae nostro politicac) ut quae artem iactant, usum

non pracbent parvi faciamus. Nam ingentem numerum nominum aut verborum semel recitatorum eodem ordine statim repetere, aut versus complures de quovis argumento extempore conficere; aut quidquid occurrit satirica aliqua similitudine perstringere; aut seria quacque in iocum vertere; aut contradictione et cavillatione quidvis eludere; et similia; (quorum in facultatibus animi haud exigua est copia, quaeque ingenio et cxercitatione ad miracula usque extolli possunt); haec certe omnia et his similia nos non maioris facimus quam funambulorum et mimorum agilitates et ludicra... Verum est tamen inter methodos ct syntaxes locorum communium quas nobis adhuc videre contigit, nul- lam reperiri quae alicuius sit pretit; quandoquidem in titulis suis fa- ciem prorsus cxhibeant magis scholac quam mundi; vulgares et pae- dagogicas adhibentes divisiones, non autem eas quae ad rerum me- dullas et interiora quovis modo penetrent ». RAMO, BACONE, CARTESIO 147 lità, le già esistenti tecniche della memoria. Intorno alla me- moria — egli scrive nello stesso capitolo del De augmentis (c questo passo è assente nel corrispondente capitolo del- l’Advancement of learing) — si è finora indagato pigra- mente e languidamente. Non mancano certo scritti sull’argo- mento intesi all'ampliamento e al rafforzamento della memo- ria, e tuttavia sia la teorica che la pratica dell’ars memorativa potrebbero essere ulteriormente perfezionate mediante l’elabo- razione di nuovi precetti o regole.?° Un’arte memorativa così perfezionata nei metodi e rinnovata nelle finalità appare a Bacone non solo legittima e possibile, ma necessaria su un duplice terreno: quello delle «scienze antiche e popolari » e quello « completamente nuovo » del metodo scientifico di indagine sulla natura. Questa distinzione fra le due diverse funzioni o i due diversi campi di applicazione dell’arte me- morativa è esplicitamente teorizzata in un passo del De aug- mentis nel quale ritroviamo presente anche la distinzione, cara a tutti i teorici della mnemotecnica, fra memoria natu- rale e memoria artificiale. Sostenere che nella interpretazione della natura — scrive Bacone — possano bastare le forze nude e native della memoria senza che la memoria stessa venga soc- corsa mediante tavole ordinate, sarebbe come sostenere che un uomo, senza l’aiuto di alcuno scritto e affidandosi alla sola memoria, possa risolvere i calcoli di un libro di efemeridi. Ma, lasciando da parte la nterpretatio naturae, che è dottrina com- pletamente nuova, un solido amminicolo della memoria può essere di grandissima utilità anche nelle scienze antiche e po- polari.*! 2° Bacon, Works, I, pp. 647 - 48: « Circa Memoriam autem ipsam, satis segniter et languide videtur adhuc inquisitum. Extat certe de ea ars quaepiam; verum nobis constat tum meliora praecepta de memoria confirmanda et amplianda haberi posse quam illa ars complectitur, tum practicam illius ipsius artis meliorem institui posse quam quae recepta est». 21 Bacon, Works, I, p. 647: « Atque omnino monendum, quod memo- ria sine hoc adminiculo (scriptio) rebus prolixioribus et accuratioribus Impar sit; neque ullo modo nisi de scripto recipi debeat. Quod etiam in philosophia inductiva et interpretatione naturae praecipue obtinet. Tam enim possit quis calculationes ephemeridis memoria nuda absque Scripto absolvere, quam interpretationi naturae per meditationes et vires memoriae nativas et nudas sufficere; nisi eidem memoriae per 148 CLAVIS UNIVERSALIS Della funzione esercitata dagli aiuti della memoria (mi- nistratio ad memoriam) nella logica baconiana e dell'influenza dei trattati rinascimentali di mnemotecnica sulla costruzio- ne baconiana del nuovo metodo delle scienze (la :interpre- ratio naturae) parleremo più oltre. Ci limiteremo qui ad indi- viduare l’eredità delle discussioni rinascimentali sulla memoria artificiale in quella parte della ricerca baconiana che fa riferi- mento alla logica tradizionale. Quest'ultima, secondo Bacone, mantiene la sua piena validità nel campo dei discorsi, delle dispute, delle controversie, delle attività professionali, della vita civile; l’altra, la nuova logica induttiva, è invece indispen- sabile nell’ambito della progressiva conquista, da parte del- l’uomo, della realtà naturale. La prima di queste due logiche, secondo Bacone, esiste di fatto, fu creata dai Greci e in seguito, per molti secoli, ripresa e perfezionata; la seconda si presenta invece come un progetto o un'impresa non mai tentata. La trasformazione di questo progetto in una esecuzione effettiva presuppone che venga radicalmente modificato l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura e che mutino, di conse- guenza, le stesse definizioni di «filosofia » e di «scienza ». Ma nell’ambito degli scopi che si propone la filosofia tradi- zionale la vecchia logica nor si presenta come un fallimento. Su questo punto Bacone è assai chiaro: ove si vogliano sol- tanto coltivare e trasmettere le scienze già esistenti; ove si desideri insegnare agli uomini a restare aderenti alle verità già dichiarate e a far uso di esse, ad apprendere l’arte di in- ventare argomenti e di trionfare nelle dispute, quella logica si mostra perfettamente funzionale, anche se bisognosa di integrazioni e perfezionamenti. Là ove si occupa dei caratteri della logica nuova, Bacone dichiara ripetutamente di non inte- ressarsi affatto, in quella sede, delle arti popolari o opinabili, né di pretendere in alcun modo che la nuova logica possa ser- vire a realizzare quei fini per i quali fu costruita la logica tradizionale. Nelle scienze fondate sull’opinione e sui giudizi tabulas ordinatas ministretur. Verum, missa interpretatione naturae, quae doctrina nova est, etiam ad veteres et populares scientias haud quicquam fere utilius esse possit quam memoriae adminiculum soli- dum ct bonum; hoc est, Digest probum et eruditum /ocorum com- muntum ». Il passo ora citato non figura nel corrispondente luogo del- l'’Advancement of learning, in Works, HI, pp. 397 - 98. RAMO, BACONE, CARTESIO 149 probabili, nei casi cioè in cui si tratta di costringere non le cose, ma l’assenso, l’uso delle anticipazioni e della dialettica, afferma Bacone nel Novum Organum, è buono (bonus) men- tre esso appare condannabile dal punto di vista della logica nuova. La dialettica ora in uso, si afferma ancora nella pre- fazione alla Instauratio magna, non è assolutamente in grado di «raggiungere la sottigliezza della natura », ma essa può essere usata efficacemente nel « campo delle cose civili e delle arti che concernono il discorso e l’opinione ». Solo quando si voglia trionfare non degli avversari, ma delle oscurità della natura, giungere non a cognizioni probabili, ma a conoscenze certe e dimostrate, non inventare argomenti ma opere, sarà necessario far uso della interpretatio naturae che è infinita- mente diversa dalla anzicipatio mentis o logica ordinaria.’ Nell'ambito di questa logica ordinaria, del tipo di discorso che mira alla persuasione o al raggiungimento dell’altrui as- senso, che non mira all’invenzione delle arti e delle opere, ma degli argomenti, le tecniche memorative esercitano una pre- cisa funzione. Nel capitolo quinto del quinto libro del De augmentis dedicato all’ars retinendi ricomparivano in tal modo, nella trattazione baconiana, i motivi, ormai ben noti, dell’ars memorativa “ciceroniana”: la dottrina dei loc: e delle 1m2a- gines, la tesi di una necessaria « convenienza » tra le immagini e i luoghi, il riconoscimento della necessità di rappresentare sensibilmente i concetti mediante immagini ed emblemi. Il tema di una topica o sistematica raccolta di luoghi veniva ri- preso in queste pagine: si è soliti affermare — scrive Bacone — che la raccolta dei luoghi può essere dannosa al sapere; la fatica necessaria ad effettuare tali raccolte viene al contrario sempre ricompensata perché nel mondo del sapere non è pos- sibile giungere a risultati ove manchi la solida base di una vasta conoscenza. I luoghi «forniscono dunque materiale all'invenzione e rendono più acuto il giudizio consentendogli di concentrarsi in un sol punto ». I due principali strumenti dell’arte della memoria sono laprenozione e l'emblema. La prima ha il compito di porre dei limiti ad una ricerca che # Per le differenze fra la logica ordinaria e la logica nuova cfr.: Par- fis instaurationis secundae delineatio et argumentum, Works, III, PP. 547 ss.; Distributio operis, Works, I, pp. 135-37; Praefatto gene- ralis, Works, I, p. 129; Novun: Organum, I, 26, 29. 150 CLAVIS UNIVERSALIS risulterebbe altrimenti infinita, di limitare il campo delle no- zioni e di stabilire confini entro i quali la memoria possa muo- versi agevolmente. La memoria ha infatti soprattutto bisogno di limitazioni: l'ordine e la distribuzione dei ricordi, i luoghi della memoria artificiale «già in anticipo preparati » i versi sono per Bacone le principali di queste limitazioni. Nel primo caso il ricordo deve accordarsi con l'ordine stabilito, nel se- condo porsi in specifica relazione con i luoghi usati, nel terzo deve essere una parola che si accordi con il verso. Nella for- mulazione delle immagini i luoghi introducono quindi ordine e coerenza, ma le immagini, a loro volta, possono essere più facilmente costruite facendo ricorso agli emblemi. Questi ul- timi, secondo Bacone, « rendono sensibili le cose intellettuali e poiché il sensibile colpisce più fortemente la memoria, si imprime in essa con maggiore facilità ». Del tutto simile alla funzione esercitata dagli emblemi è quella dei gesti e dei geroglifici: gli emblemi non hanno dunque una funzione limitata allo specifico settore della memoria, ma funzionano come veri e propri mezzi di comunicazione. Nel caso dei gesti ci troviamo in presenza di «emblemi transitori », nel caso dei geroglifici di « emblemi fissati mediante la scrittura ». Il rapporto gesti-geroglifici è identico, da questo punto di vista, a quello che intercorre fra linguaggio parlato e linguaggio scritto. Mentre i geroglifici, in quanto emblemi, hanno sempre qualcosa in comune con la cosa significata (sinzlitudo cum re significata), i caratteri reali o ideogrammi non hanno nulla di emblematico. Il loro significato dipende solo dalla conven- zione e dalla abitudine che su di essa si è in seguito istituita. Il carattere della convenzionalità accomuna i caratteri reali alle lettere dell’alfabeto, ma i primi, a differenza delle seconde, si riferiscono in modo diretto alla cosa significata, rappresen- tano cose e nozioni, non parole (nesther letters nor words,... but things or notions). Un libro composto con caratteri reali può quindi essere letto e compreso da persone appartenenti a differenti gruppi linguistici e parlanti lingue diverse che accettino per convenzione i significati dai vari ideogrammi.** Proprio alle discussioni sulla memoria artificiale si erano 29 Cfr. Advancement of Learning, Works, III, p. 399; De augmentis; Works, I, pp. 648-49, 651 -53. RAMO, BACONE, CARTESIO 15] collegate, nel Rinascimento, le considerazioni sui gesti c sui geroglifici. L’approfondimento del problema delle immagini aveva condotto Giambattista della Porta, nella sua Ars remi- niscendi, a prendere in esame questo tipo di problemi. Una volta definita l’immagine come « pittura animata che rechiamo nella imaginativa per rappresentare così un fatto come una parola », il Porta si trovava di fronte ad una grave difficoltà : non nel caso di tutti i termini linguistici — cgli notava — è possibile la costruzione di immagini appropriate (« le parole che ci occorrono a ricordare altre hanno le loro immagini, altre ne stanno senza »). Nel caso di termini che non simbo- lizzano cose materiali, come « perché », «ovvero », « tanto » ecc. è necessario ricavare le immagini dalla scrittura: far cor- rispondere cioè immagini adatte alle singole lettere o gruppi di lettere che costituiscono un termine. In altri casi è invece possibile il ricorso al significato e a questo proposito torna opportuno il parallelo con i geroglifici: gli Egizi « non avendo lettere con che potessero scrivere i concetti... e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili speculationi della filosofia, ritrovorno lo scrivere con pitture, servendosi d’imagini di quadrupedi, d’uccelli, di pesci... la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricerche, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle lettere per poterle dipingere nella memoria ». Altri significati, proseguiva il Porta, potranno essere espressi mediante i gesti (« potremo parimenti col gesto esprimere alcune significationi di parole »). Conclu- sioni di questo stesso tipo si trovano presenti nel Thesaurus artificiosae memoriae del Rosselli (1579) e nel De memoria artificiosa libellus di Johannes Austriacus (1610) che, proprio come Bacone, aveva fatto rientrare i gesti e i geroglifici nella più generale categoria dei « segni ».° 24 Cfr. L’arte del ricordare del signor Gio. Battista Porta napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Dorandino Falcone da Gioia, Na- poli, Mattio Cancer, 1566 (Braid. 25.16.K.14-15): sulla scrittura degli Egizi il capit. XIX, sui gesti il capit. XX; C. RosseLLIus, Thesaurus artificiosae memoriae, Venetiis, 1579, p. 117v; JoHanNnES AustRIACUS, De memoria artificiosa libellus, Argentorati, Antonius Bertramus, 1610, p. 215 (copie usate: Braid. B. XI. 4951; Angelica SS. 1.24). Sulla Egittomania e sulla diffusione c la moda degli emblemi nella cultura dei secoli XVI e XVII si vedano le considerazioni precedente- mente svolte a pp. 104-105 c le opere indicate a p. 105, n. 32. 152 CLAVIS UNIVERSALIS La trattazione baconiana appare dunque, dopo quanto si è detto, profondamente influenzata da una veneranda lettera- tura concernente i segni e le immagini, ma l’eco delle discus- sioni rinascimentali sui luoghi e sulle immagini risulta ancora più evidente nel Novum Organum (II, 26) ove Bacone giunge a ripetere la tradizionale partizione dei /oci: «loci in memoria artificiali... possunt esse loci secundum proprium sensum, ve- luti janua, angulus, fenestra, et similia, aut possunt esse per- sonae familiares et notae, aut possunt esse quidvis ad pla- citum (modo in ordine certo ponantur), veluti animalia, her- bae; etiam verba, literae, characteres, personae historicae et caetera; licet nonnulla ex his magis apta sint et commoda, alia minus ». L’uso dei /oc: appare a Bacone in grado di esaltare le forze della memoria al di sopra dei suoi limiti na- turali («huiusmodi autem loci memoriam insigniter iuvant, camque longe supra vires naturales exaltant »). Accostando l'ordine, ai luoghi e ai versi, insistendo sul valore delle im- magini sensibili (« quicquid deducat intellectuale ad ferien- dum sensum — quae ratio etiam praecipue viget in artifi- ciali memoria — iuvet memoriam »), Bacone mostrava inol- tre di accogliere pienamente i risultati essenziali cui erano pervenuti i teorici della memoria artificiale. Più sottili, meno espliciti, e quindi più difficilmente de- terminabili sono, sempre relativamente a Bacone, i rapporti con la tradizione della combinatoria. A Lullo Bacone ac- cenna soltanto una volta, in una frase che suona — ab- biamo visto — esplicita condanna. Tuttavia chi ponga mente ad alcuni temi caratteristici della filosofia baconiana, non potrà non esser portato a rilevare la concordanza di certe so- luzioni con quelle presenti in quelle sintassi universali, di precisa derivazione lulliana, alle quali Bacone fa più volte esplicito riferimento. All’immagine lulliana dell’ardor scien- trarum, presente nel terzo libro del De augmentis, si connette, non a caso, il progetto di una scienza universale o filosofia prima o sapienza (Scientia universalis, Philosophia prima sive Sapientia) ben distinta dalla tradizionale metafisica. Quest’ul- tima si configura per Bacone come « una fisica generalizzata fondata sulla storia naturale » che mira da un lato alla de- terminazione delle forme e dall'altro a quella delle cause fi- nali. La filosofia prima concerne invece quella porzione del- RAMO, BACONE, CARTESIO 153 l’albero delle scienze che è come una « parte comune della via », che precede la partizione e la suddivisione dei vari rami del sapere. Gli assiomi che non sono propri delle scienze particolari, ma comuni a molte scienze non sono in alcun modo riducibili a semplici similitudini: essi appaiono invece a Bacone segni e vestigi della natura impressi in materie e soggetti differenti: « neque similitudines merae sunt — quales hominibus fortasse parum perspicacibus videri possint — sed plane una eademque naturae vestigia et signacula diversis ma- teriis et subiectis impressa ». Attraverso quella organica rac- colta degli assiomi, della quale Bacone lamenta l’assenza, sa- rebbe possibile porre in luce l’unità della natura."° Per concludere: la vivace polemica baconiana contro i fu- namboli della memoria non investe le tecniche memorative in quanto tali, ma i ripetuti tentativi che erano stati fatti per ridurle sul piano delle arti occulte e della magia. Pie- gata alle più serie finalità della retorica, inserita nella logica della persuasione, l’ars memorativa conservava ancora un suo posto ed una sua precisa funzione nella nuova enciclopedia delle scienze. Infine il progetto baconiano di una scientia uni- versalis, mater reliquarum scientiarum si presentava, proprio come era avvenuto nella tradizione lulliana, come volto a de- terminare un’unità del sapere che trova la sua giustificazione e il suo fondamento nell’unità stessa del mondo reale. b) Descartes. Intorno alle discussioni sulle immagini e sui simboli pre- senti in taluni testi cartesiani si son scritte, anche di recente, cose assai acute e stimolanti anche se non sempre storica- mente esatte. A proposito di alcuni passi degli Olympica con- cernenti la rappresentazione, mediante corpi sensibili, delle «cose spirituali », un insigne studioso di Cartesio ha parlato dell’« idée aristotelicienne de la philosophie qui n'est pas mise en cause» altri, riferendosi a quelle stesse note cartesiane e cercando di coglierne «la résonance intérieure et profonde», 25 Per il già ricordato giudizio su Lullo cfr. De augmentis, Works, I, p. 699; sulla filosofia prima De augmentis, Works, 1, pp- 540 - 544. Sulla distinzione tra la filosofia prima baconiana e la tradizionale metafisica è da vedere il preciso giudizio di F. Anperson, The phi- losophy of F. Bacon, Chicago, 1948, pp. 214-15. 154 CLAVIS UNIVERSALIS ha visto in esse l’espressione di un uomo «qui est à la re- cherche de l’inspiration pure »; altri infine, riferendosi alla immagine cartesiana dell’albero delle scienze, ha lungamente dissertato sulle ragioni della scelta cartesiana dell’immagine di una realtà vivente e sulla « circulation de la vie » presente nell'albero stesso.?* Ove si abbandoni il progetto di rintrac- ciare il senso di interiori risonanze e si tengano invece pre- senti i risultati cui erano giunti quegli enciclopedisti e quei retori del Cinquecento che si erano occupati delle immagini e dell’immaginazione, dei simboli e della memoria, dell’unità delle scienze e delle tecniche combinatorie, sarà forse possibile — pur raggiungendo più modesti risultati — illuminare al- cuni testi particolarmente oscuri e dare, a molte delle affer- mazioni ed osservazioni del giovane Cartesio, un senso pre- ciso e ben determinato. Una cosa va subito notata: la “condanna” cartesiana delle arti della memoria, alla quale abbiamo fatto riferimento nel precedente paragrafo, è, così come quella baconiana, assai meno recisa di quanto non possa a prima vista apparire. In un passo scritto fra il 1619 e il 1620, volto a commentare e a criticare l’Ars memorativa dello Schenkelius, Cartesio mo- stra infatti di accertare e la terminologia c la stessa impo- stazione del problema della memoria presenti nella trattati- stica di derivazione “ciceroniana”: non solo egli attribuisce all’immaginazione la stessa funzione mnemonica che ad essa attribuivano i teorici della memoria artificiale, ma riconosce che quest’ultima non è, in quanto tale, priva di reale efficacia. All’Ars memorativa dello Schenkelius egli infine contrappone, ed è questo il punto che presenta un interesse particolare, una vera arte della memoria della quale offre, in una pagina circa, le regole fondamentali. All’ordine solo apparente pre- 26 Cfr. H. Gounier, Le refus du symbolisme dans l'humanisme car- tesien, in Umanesimo c simbolismo, atti del IV convegno internaz. di studi umanistici, Padova, 1958, p. 67; M. De Corte, Lu dialectique poétique de Descartes, in « Archives de Philosophie », XIHI, 1937, cahier II: Autour du Discours de la méthode, pp. 106-107; P. Mesnarp, L'arbre de la sagesse, nel vol. miscellanco, Descartes, Cahiers de Royau- mont, Paris, 1957, pp. 336 ss. Nello stesso volume è da vedere, su questi problemi, il saggio di M. TH. Spoerri, La pwuissance métapho- rique de Descartes. Cfr., per un più ampio esame, H. GouHier, Les premières pensées de Descartes, Paris, Vrin, 1958. 71 71 RAMO, BACONE, CARTESIO I sente nell’opera dello Schenkel egli intende sostituire un retto ordine che deriva, a suo avviso, dalla costruzione di imma- gini poste, l'una con l’altra, in un rapporto di reciproca di- pendenza: dalle immagini di oggetti connessi tra loro ver- ranno ricavate nuove immagini o almeno, da tutte quelle im- magini, se ne ricaverà una sola; ogni immagine andrà inoltre (a differenza di quanto avveniva nell’opera dello Schenkel) posta in rapporto non solo con quella a lei più vicina, ma anche con le altre. L'immagine di un'asta gettata a terra farà così da collegamento fra la quinta e la prima immagine, quest’ultima sarà collegata alla seconda da un dardo scagliato verso di essa, alla terza da un qualche altro rapporto reale o arbitrariamente costruito.”’ In questo suo breve progetto di un nuova tecnica me- morativa, Cartesio appariva evidentemente influenzato dai ri- sultati dell’ars reminiscendi. Proprio a questi suoi interessi per l'Arte, che non si esauriscono affatto sul piano della semplice curiosità intellettuale, appaiono infatti da collegare alcune si- gnificative espressioni presenti in quelle pagine di diario note come Cogitationes privatae. In esse ritorna una dottrina cara a tutti i trattatisti della memoria artificiale da Pietro da Ra- venna allo Schenkel, quella relativa all'impiego delle im- magini corporee o sensibili in vista della rappresentazione dei concetti astratti o « cose spirituali »: « come l’immaginazione 2? Descartes, Qeuvres, X, p. 230: « Perlegens Lamberti Schenkelii lu- crosas nugas (lib. De arte memoriae) cogitavi facile me omnia quae detexi imaginatione complecti: quod sit per reductionem rerum ad causas; quae omnes cum ad unam tandem reducantur, patet nulla ope esse memoria ad scientias omnes. Qui enim intelliget causas, elapsa omnino phantasmata causae impressione rursus facile in cerebro formabit. Quac vera est ars mermoriae, illius nebulonis arti plane con- traria: non quod illa effectu careat, sed quod chartam melioribus occupandam totam requirat et in ordine non recto consistat; qui ordo In eo est, ut imagines ab invicem dependentes efformentur. Ipse exco- gitavi alium modum: si ex imaginibus rerum non inconnexarum ad- discantur novae imagines omnibus communes, vel saltem si ex om- nibus simul una fiat imago, nec solum habeatur respectus ad proxi- mam, sed etiam ad alias, ut quinta respiciat primam per hastam humi proiectam, medium vero, per scalam ex qua discendent, et secunda per telum quod ad illam proiiciat, et tertia simili aliqua ratione in rationem significationis vel verae vel fictitiac ». Sulla scrittura e gli altri aiuti alla memoria cfr. Entretiens avec Burman, Paris, 1937, pp. 8, 16. 156 CLAVIS UNIVERSALIS si serve di figure per concepire i corpi, così l'intelletto si serve di taluni corpi sensibili, come il vento e la luce, per raffigurare le cose spirituali... Cose sensibili possono aiutarci a concepire quelle dell'Olimpo: il vento significa lo spirito, il moto con il tempo la vita, la luce la conoscenza, il calore l’amore, l’attività istantanea la creazione ».°* Il fatto che Car- tesio, nell’età matura, giunga a un radicale rifiuto di ogni simbolismo, non elimina, per lo storico, il compito di andar rintracciando le origini, spesso legate a temi culturali assai “torbidi” di una filosofia che si svolse sotto il segno della distinzione e della chiarezza razionale. Non a caso, negli stessi anni in cui escogitava una nuova tecnica memorativa, Cartesio pareva anteporre i risultati dell'immaginazione e della poesia a quelli della filosofia e della ragione; si dilet- tava, come già tanti fra i “maghi” del Cinquecento, alla costruzione di «automi» e di «giardini d’ombre »; si in- formava del significato dei commenti lulliani di Agrippa; si interessava all’ordo locorum;?* insisteva, come già avevano fatto tanti fra i commentatori di Lullo, sull’unità e sull’ar- monia del cosmo: « Una est in rebus activa vis, amor, cha- ritas, armonia... Omnis forma corporea agit per harmo- niam ».°° Non si trattava solo di giovanili concessioni ad una moda filosofica. Molti anni più tardi, nel 1639, dopo aver letto e meditato il Pansophiae Prodromus di Comenio, Des- 28 Descartes, Ocuvres, X, p. 217-218: «Ut imaginatio utitur figuris ad corpora concipienda, ita intellectus utitur quibusdam corporibus sensibilibus ad spiritualia figuranda, ut vento, lumine: unde altius phi- losophantes mentem cognitione possumus in sublime tollere... Sensibilia apta concipiendis Olympicis: ventus spiritum significat, motus cum

tempore vitam, calor amorem, activitas istantanea creationem ». 2° « Mirum videri possit, quare graves sententiac in scriptis poctarum magis quam philosophorum. Ratio est quod poctae per enthusiasmum ct vim imaginationis scripsere: sunt in nobis semina scientiae, ut in silice, quae per rationem a philosophis educuntur, per imaginationem a poctis excutiuntur magisque elucent » (Oeuvres, X, p. 217). « On peut faire un jardin des ombres qui representent diverses figures, telles que les arbres et lcs autres... dans une chambre faire [que] les rayons du soleil, passant pour certaines ouvertures, representent diverses chif- fres ou figures» (Ouvres, X, p. 215). « Inquirebam autem diligentius utrum ars illa non consisteret in quodam ordine locorum dialecticorum unde rationes desumuntur... » (Oewvres, X, p. 165). 30 Descartes, Ocuvres, X, p. 218. RAMO, BACONE, CARTESIO 157 cartes insisteva ancora (pur rifiutando come impraticabile il disegno comeniano) sullo stretto parallelismo intercorrente tra una conoscenza « unica, semplice, continua, riducibile a po- chi princìpi » € la «una, semplice, continua, natura » rispetto alla quale la conoscenza si pone come una « pittura » 0 « specchio » : Quemadmodum Deus est unus ct creavit naturam unam, simplicem, continuam, ubique sibi cohaerentem ct res pondentem, paucissimis, constantem principiis clemen- tisque ex quibus infinitas propemodum res, sed in tria regna minerale, vegetale et animale certo inter se ordine gradibusque distincta perduxit; ita et harum rerum co- gnitionem esse oportet, ad similitudinem unius Creatoris et unius Naturae, unicam simplicem, continuam, non interruptam, paucis constantem  principiis (imo unico Principio principali) unde caetera omnia ad specialis- sima usque individuo nexu et sapientissimo ordine de- ducta permanent, ut ita nostra de rebus universis et sin- gulis contemplatio similis est picturae vel speculo uni- versi et singularum ceiusdem partium imaginem exactis- sime repraesentanti.5! Comunque sia da valutare il senso di queste caratteri- stiche espressioni cartesiane, certo è che il programma del giovane Cartesio — un uomo che non ha ancora « preso partito sui fondamenti della fisica» e che è solo «un ap- prenti physicien-mathématicien sans métaphysique » — può apparire, da questo punto di vista, singolarmente vicino a quello presente nelle sirtassi e nelle enciclopedie lulliane del tardo Cinquecento: dietro la molteplicità delle scienze, il loro isolamento, si nasconde un’unità profonda, una legge di connessione, una logica comune. Una volta liberate le sin- gole scienze dalla loro maschera, sarà possibile rendersi conto di una carena scientiarum nel cui ambito le singole scienze ®1 Descartes à Mersenne (1639) in Ocuvres, Supplément, pp. 97-98. La lettera fu in precedenza pubblicata in Spisy Jana Amosa KomensgeHO, Korrespondance, a cura di J. Kvacala, Praga, 1897, p. 83. Il Zbro cui faceva riferimento Cartesio in una lettera del 1639 (Oexvres, II, PP. 345 - 48): «j'ai lù soigneusement le livre que vous avez pris la peine de m' envoyer... » era il Pansophiae Prodomus di Comenio (Cfr. Oeuvres,

Supplément, pp. 99-100 ove si ricorda anche una lettera di Mersenne a Th. Haak nella quale Cartesio è segnalato come uno dei filosofi più competenti a parlare intorno all'opera del Comenio). 158 CLAVIS UNIVERSALIS potranno essere ritenute con la stessa facilità con la quale si ricorda la serie dei numeri: Larvatac nunc scientiac sunt: quae, larvis sublatis, pul- cherrimae apparerent. Catenam scientiarum  pervidenti, non difficilius videbitur cas animo retinere, quam seriem numerorum.?? Il problema dell’enciclopedia appare qui, una volta an- cora, collegato in modo oltremodo significativo a quello della memoria. Questi stessi termini e gli stessi concetti ritroviamo — attribuiti a Cartesio — nel Commentatre ou remarques sur la Methode de R. Descartes del Poisson, mentre, nella prima delle Regulae, Cartesio afferma che la connessione sus- sistente fra le singole scienze è tanto stretta da rendere l’ap- prendimento di tutte le scienze insieme più facile della se- parazione di una di esse dalle altre: il legame di congiun- zione e di reciproca dipendenza tra le scienze, esclude che, in vista di un apprendimento della verità, si possa scegliere una scienza particolare: «credendum est, ita omnes [scien- tias] inter se esse connexas, ut longe facilius sit cunctas simul addiscere, quam unicam ab aliis separare. Si quis igitur serio rerum veritateminvestigare vult, non singularem aliquam debet optare scientiam: sunt enim omnes inter se coniunctas et ab invicem dependentes »."° Se ci volgiamo ai testi del lullismo seicentesco, ad opere che sono ben lontane dall'atmosfera cartesiana, permeate di magia e di occultismo, miranti alla fondazione della medi- cina universale e dell’enciclopedia totale, piene di riferimenti alle fonti della tradizione ermetica, troviamo presente la stessa insistenza sulla catena scientiarum, sulla molteplicità solo ap- parente delle scienze, sulla corrispondenza tra un armonioso e ordinato sapere e un’armonica natura, sulla necessità di una sapienza che superi la fittizia parzialità dei singoli rami del sapere. Il medico e mago Jean d’Aubry, seguace e tradut- tore di Lullo, mentre si difendeva dall’accusa di aver operato 9? DescarTEs, Ocuvres, X, p. 215. Sono da vedere, su questo passo, le precise osservazioni di R. KLIbansky, The philosophic character of history, nel volume miscellanco P/ilosophy and history, Oxford, 1936, pp. 323 - 337. 39 Descartes, Oeuvres, X, p. 361. 159 RAMO, BACONE, CARTESIO secondo magia, accennava proprio a questi concetti. A pro- posito della catena scientiarum egli si richiamava in modo assai significativo al commento alla creazione di Pico condotto secondo gli insegnamenti della cabala: P. Poisson, Commentaire, p. 73 Il regne je ne sgai quelle liaison, qui fait qu’une verité fait décou- vrir l’autre, et qu'il ne faut que trouver le bon but du fil, pour aller jusqu'à l’autre sans inter- ruption. Ce sont à peu-près les paroles de M. Descartes que j’ay leies dans un de ses fragmens manuscrits: Quippe sunt conca- tenatae omnes scientiae, nec una Jean D’AuBry, ipologie, 1638. Qui doute que les parties de la doctrine (que les sots et les igno- rants appellent sciences, comme sil y en avoit plusieurs) ne se trouvent  enchainées  l’une avec l’autre, qu'il est impossible d’estre entendu en la moindre sans avoir une pleine connoissance de tou- tes; l’Eptaple de Pic de la Mi- rande sur les jours de la création perfecta haberi potest quin aliae et l’armonie di monde de Paul sponte sequantur, et tota simul Venitien vous le montrent...?* encyclopedia apprehendatur.34 Lo studio delle connessioni esistenti tra il progetto car- tesiano di una scientia penitus nova?" e gli interessi di Car- tesio (evidenti nelle lettere al Beeckmann del 1618) per una matematizzazione della fisica, è cosa che esce dai limiti della presente ricerca. Quest'ultima può tuttavia servire a mostrare il carattere eccessivamente semplicistico dei tentativi — che si sono più volte ripetuti — di identificare senz’altro la mathesis universalis cartesiana con una pura e semplice esten- sion del metodo matematico a tutti i campi del sapere.’ La scientia nova deve «contenere i primi rudimenti della ragione umana e far uscire la verità da qualsiasi soggetto »: essa è la fonte di ogni altra umana conoscenza. Il progetto cartesiano, poi tanto ricco di complessi e importantissimi svi- luppi, aveva in realtà tratto alimento, così come quello di 34 P. Poisson, Commentaire ou remarques sur la Methode de R. De- scartes, Vandosme, 1670, parte II, Oss. 6, p. 73 (Cfr. Oeuvres, X, p. 255). 35 Jean D’Ausry, Le triumphe de l’archée et la merveille du monde, cit., ediz. parigina del 1661 (Vatic. Racc. Gen. Medicina. IV. 1347): Apolo- gie contre certatns docteurs ecc., in appendice, pagine non numerate. 3° Cfr. Ocuvres, X, p. 157. °? Cfr. per esempio J. Larorte, Le rationalisme de Descartes, Paris, 1950, pp. 8-10. Per una più esatta valutazione: A. DeL Noce, prefazione alla trad. it. delle Meditazioni metafisiche, Padova, 1949, pp. XXIII - XXIV. 160 CLAVIS UNIVERSALIS Bacone, da un terreno storico preciso: quell’enciclopedismo di derivazione lulliana che aveva profondamente imbevuto di sé la cultura del Cinquecento e che raggiungerà non a caso, proprio nel secolo XVII, la sua massima fioritura. Nei commenti lulliani di Agrippa, nella Syntaxes del Gre- goire, nell’Opus aureum del De Valeriis, nella Explanatio del Lavinheta, così come più tardi nella Regina scientiarum del Morestel e negli scritti del d’Aubry, ci si era volti alla ricerca di un «unico strumento » comune a tutte le scienze, di un’unica «chiave » o «sapienza» capace di garantire as- soluta certezza e assoluta verità, di fornire infallibili solu- zioni e risposte, di porsi come regola di ogni possibile scienza particolare. Alla grande diffusione di questo tipo di lettera- tura e di questi testi, noti e celebrati, più volte tradotti e più volte riediti nei principali centri della cultura europea, alla conoscenza diretta o indiretta che di essi ebbero Bacone e Cartesio, va fatta risalire l’immagine, comune ai due filo- sof, dell’ardor scientiarum. Da questo terreno storico traeva anche origine la loro ricerca — destinata poi ad orientarsi in maniera così profondamente divergente — di una scientia universalis o sapientia madre e fonte e radice unitaria di ogni ramo del sapere: Bacone, De augmentis, III, |, in Works, I, pp. 54041. Quoniam autem partitiones scien- tiarum non sunt lineis diversis si- miles, quae cocunt ad unum an- gulum; sed potius ramis arbo- rum qui coniunguntur in uno trunco (qui etiam truncus ad spa- tium nonnullum integer est cet continuus, antequam se partiatur in ramos); idcirco postulat res ut  priusquam  prioris  partitionis membra persequamur, constitua- tur una Scientia universalis, quae sit mater reliquarum ct habetur in progressu doctrinarum  tan- quam portio viae communis an- tequam viae se separent cet di- siungant. Hanc Scientiam Philo- Descartes, Regulae, IV c Pref. ai Principes, in Ocuvres, X, pp. 373-74. Quicumque tamen attente respe- xerit ad meum sensum facile per- cipiet me nihil minus quam de vulgari Matematica hic cogitare, sed quamdam aliam me expone- rc disciplinam, cuius integumen- tum sit potius quam partes. Haec enim prima rationis humanae ru- dimenta continere, et ad veritates cx quovis subiecto cliciendas se extendere debet; atque, ut libere loquar, hanc omni alia nobis hu- manitus tradita cognitione potio- rem, utpote aliarum omnium fon- tem, esse mihi persuadco... Ainsi toute la philosophie est comme un arbre, dont les racines sont RAMO, BACONE, CARTESIO 161 sophiac primae, sive etiam Sa- la méthapysique, le tronc est la pientiac.. nomine insignimus. physique, et les branches qui sor- tent de ce tronc sont toutes les autres sciences... 4. L’ INSERIMENTO DELLE TECNICHE MEMORATIVE NELLA NUOVA LOGICA. a) Gli aiuti della memoria nel metodo baconiano: tavole, to- pica, induzione. Ponendo mente alla dottrina ramista secondo la quale la memoria si presenta come una delle parti o sezioni della dia- lettica, acquista particolare significato la classificazione ba- coniana della logica presente nell’Advancement of learning del 1605 e in seguito ripresa nel De augmentis scientiarum. Per Bacone la logica comprende quattro parti o sezioni de- nominate arzi intellettuali: tale quadripartizione è fondata sui fini o gli scopi che l’uomo si propone di realizzare. L'uomo: a) trova ciò che ha cercato; b) giudica ciò che ha trovato; c) rittene ciò che ha giudicato; d) trasmette ciò che ha ri- tenuto. Siamo quindi in presenza di quattro arti: 1) l’arte della ricerca o dell'invenzione (art of inquiry or invention); 2) l’arte dell'esame o del giudizio (art of examination or judgement); 3) l’arte della conservazione o della memoria (art of cu- stody or memory); 4) l’arte della elocuzione o della comunicazione (art of elocution or tradition)."* In questa classificazione Bacone si richiamava da un lato alle tradizionali partizioni della retorica, dall'altro alle posizio- ni ramiste: si discostava da entrambe queste posizioni quando dava al termine « invenzione » un significato molto più ampio di quello tradizionale distinguendo nettamente fra invenzione degli argomenti e invenzione delle scienze e delle arti. In quest'ultimo settore Bacone riscontra le maggiori deficienze: "* Advancement of Learning, Works, III, pp. 383-8; De augmentis, Works, I, p. 616. 162 CLAVIS UNIVERSALIS mentre per l’invenzione degli argomenti è più che sufficiente la logica tradizionale, per consentire all'uomo l’invenzione di nuove arti e quindi il dominio della natura è necessario procedere ad una riforma del metodo scientifico fornendo alla conoscenza umana un nuovo organo o strumento lo- gico."° La interpretatio naturae o la nuova induzione, teo- rizzata da Bacone nel secondo libro del Novum Organum è quindi solo una delle due parti nellequali si articola l’arte dell'invenzione la quale è, a sua volta, una delle quattro parti nelle quali si suddivide la logica baconiana. La riforma dell’induzione scientifica è quindi solo un aspetto e una sezione di quella generale restaurazione del sapere che Bacone ha in animo di realizzare. Quando si cera mosso sul piano delle «scienze antiche e popolari » o della «logica ordinaria », Bacone — come abbiamo visto — aveva cercato di chiarire la funzione della memoria e delle arti memorative nell’ambito di quella parte dell’ars inveniendi che mira non ad inventare opere ed arti, ma si limita ad inventare argomenti e si pone come una tecnica della per- suasione. Il problema dell’ars memorativa e della memoria si porrà tuttavia, per Bacone, anche nell’ambito della inter- pretatio naturae o della nuova logica. Le considerazioni svolte da Bacone nella Delineatio sulla totale e assoluta diversità fra la logica ordinaria e la logica della scienza, sulla radicale differenza di fini e di procedi- menti delle due logiche, non gli impediranno di richiamarsi, nel caso della ministratio ad memoriam (che è parte inte- grante e costitutiva della nuova logica) a un ordine di con- siderazioni assai simile a quello al quale aveva fatto riferi- mento muovendosi sul piano delle «arti del discorso » 0 della «logica ordinaria ». Nel caso dei discorsi ec della in- venzione degli argomenti, le difficoltà nascevano dalla pre- senza di una molteplicità di termini e di argomenti; sul ter- reno delle opere e del metodo scientifico, le difficoltà nascono dalla presenza di una infinita molteplicità di fatti. La dot- trina baconiana degli aiuti della memoria, svolta nella Delt- neatto e più tardi ripresa nel Novum Organum, risulta da un adattamento a questa diversa situazione delle regole che 39 Advancement, Works, III, p. 389. RAMO, BACONE, CARTESIO 163 guidavano l'invenzione degli argomenti e che costitutvano l’arte del ricordare e disporre gli argomenti. Per realizzare discorsi coerenti e persuasivi, per inventare argomenti era necessario, secondo Bacone: 1) disporre di una raccolta di argomenti estremamente ampia (promptuaria); 2) disporre di regole atte a limitare un campo infinito e a determinare un campo di discorso specifico e limitato (to- pica). Il compito attribuito all’arte della memoria consisteva nella elaborazione di una tecnica (fondata sull’uso delle pre- nozioni, degli emblemi, dell’ordine, dei luoghi, dei versi, della scrittura, ecc.) che mettesse l’uomo in grado di realizzare con- cretamente le due possibilità ora indicate. In sede di metodologia scientifica (nterpretatio naturae) le cose non procedono per Bacone in maniera molto differente: «Gli aiuti della memoria — egli scrive adempiono al se- guente compito: dalla immensa moltitudine dei fatti parti- colari e dalla massa della storia naturale generale, viene di- staccata una storia particolare le cui parti vengono disposte in un ordine tale da consentire all’intelletto di lavorare su di esse e di esercitare la propria funzione... In primo luogo mo- streremo quali siano le cose che devono essere ricercate in- torno ad un dato problema: il che è qualcosa di simile ad una topica. In secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddivise in tavole... In terzo luogo mostreremo

in qual modo e in quale momento la ricerca vada integrata e le precedenti carte o tavole siano da trasportare in tavole nuove... La ministratio ad memoriam si articola quindi in tre dottrine: l’invenzione dei /oci, il metodo della tabula- zione, e il modo di instaurare la ricerca ».!° 4° Partis instaurationis secundac delineatio, Works, III, 552: « Ministra- tio ad memoriam hoc officium praestat ut ex turba rerum particula- num, ct naturalis historiae generalis acervo, particularis historia excer- patur, atque disponatur eo ordine, ut iudicium in cam agere, et opus suum exercere possint... Primo docebimus qualia sint ca, quae circa subiectum datum sive propositum inquiri debeant, quod est instar topicae. Secundo, quo ordine illa disponi oporteat, et in tabulas digeri... Tertio itaque ostendemus quo modo et quo tempore inquisitio sit reintegranda, et chartae sive tabulae praecedentes in chartas novellas transportandae... Itaque ministratio ad memoriam in tribus (ut dixi- mus) doctrinis absolvitur: de locis inveniendis, de methodo conta- bulandi, et de modo instaurandi inquisitionem ». 164 CLAVIS UNIVERSALIS La memoria abbandonata a se stessa, afferma ancora Ba- cone nella Delineatio, non solo è incapace di abbracciare la immensità dei fatti, ma non è neppure in grado di indicare gli specifici fatti dei quali si ha bisogno in una ricerca par- ticolare. Di fronte alla storia naturale generale (che corri- sponde a ciò che in sede retorica è la promptuaria o indiscri- minata raccolta di argomenti) sono dunque necessarie regole per determinare il campo della ricerca e per ordinare i con- tenuti di questo campo. Per rimediare alla situazione di na- turale fragilità della memoria e metterla in grado di funzio- nare come strumento di conoscenza ci si richiama dunque: 1) ad una topica o raccolta di luoghi che insegna quali siano i fatti sui quali bisogna indagare in relazione ad una data ricerca; 2) alle sadelae che hanno il compito di ordinare i fatti in modo che l'intelletto si trovi di fronte non ad una realtà caotica e confusa, ma ad una realtà organizzata. Quanti da Ramo a Melantone, da Pietro da Ravenna a Rosselli, dal Romberch al Gratarolo avevano rivolto la loro attenzione ad una discussione dei problemi attinenti alla to- pica e alla memoriaartificiale, avevano insistito proprio sulla funzione dei /uoghi come mezzo per delimitare un campo di ricerca altrimenti infinito e per introdurre ordine in questo campo. Per Melantone (ma molti altri autori potrebbero es. sere citati al suo posto) i /oc; admonent ubi quacrenda sit materia aut certe quid ex magno acervo eligendum et quo ordine distribuendum sit. Nam loci inventionis tum apud dialecticos tum apud rhetores non conducunt ad inveniendam materiam, quam ad cligendam postquam acervus aliquis... oblatus fuerit. La Partis instaurationis secundae delineatio, alla quale ci siamo ora riferiti, risale al 1607 circa; ma nelle opere della piena maturità Bacone sarà su questi temi altrettanto espli- cito: nel decimo paragrafo del secondo libro del Nowvum Organum si afferma: «la storia naturale e sperimentale è tanto varia e sparsa da confondere e quasi disgregare l’intel- letto ove non sia composta e ridotta in ordine idonco. Bi- sogna pertanto dar luogo a tavole e a coordinationes instantia- RAMO, BACONE, CARTESIO 165 rum in modo che l’intelletto possa agire su di esse ».‘! Le ce- lebri sabulae baconiane costituiscono, anche nel Novum Or- ganum, parte integrante della ministratto ad memoriam. Ad esse spetta un compito preciso: organizzare e ordinare i con- tenuti della storia naturale. Dopo che il materiale è stato or- ganizzato nelle tre tabulae l'intelletto si trova di fronte ad una serie ordinata di fatti, non è più «come smarrito »: da questa situazione trae inizio quel procedimento che Bacone chiama la nuova induzione. L’intero procedimento induttivo baconiano — che non è certo il caso di fermarsi qui ad esporre — ha senza dubbio i suoi fondamenti proprio nella dottrina delle tabulae. Que- stultima appare costruita in funzione di un ordinamento della realtà naturale capace di introdurre nella molteplicità caotica dei fatti fisici una disposizione e un ordine tali da con- sentire all’intelletto di andar rintracciando connessioni reali. In questo senso la compilazione delle sabulze si presenta stret- tamente connessa a quella invenzione det luoghi naturali che attirerà per lunghi periodi l’interesse di Bacone. Il primo, or- ganico tentativo compiuto da Bacone di gettare le basi di una invenzione di luoghi naturali e di un metodo di tabulazione risale al 1607-1608 e non a caso, in questi anni, Bacone usa i termini topica e tabulae (o chartae) come sinonimi. Nei Cogr-tata et visa del 1607 troviamo annunciata con molta precisione la funzione attribuita alle tavole : Ante omnia visum est ci tabulas inveniendi sive legi- timae inquisitionis formulas, hoc est materiem particula- rem ad opus intellectus ordinatam, in aliquibus subiectis proponi, tamquam ad exemplum cet operis descriptionem fere visibilem.4? L’anno seguente, nel Commentarius solutus, egli annota rapidamente: « The finishing the 3 tables, de motu, de calore et frigore, de sono ». Se ci volgiamo a considerare gli appunti del Commentarius ci troviamo in presenza di una elencazione Ja Liu i > Novum Organum, Il, 10: « Historia vero naturalis et experimentalis tam varia est et sparsa, ut intellectum confundat et disgreget, nisi sista- tur et comparcat ordine idoneo. Itaque formandae sunt tabulae et coor- dinationes instantiarum, tali modo et instructione, ut in cas agere possit intellectus ». 4° Works, III, p. 623. 166 CLAVIS UNIVERSALIS di veri e propri luoghi naturali raggruppati in diverse carte.!? Non diversamente sono strutturate le tre brevi opere che risal- gono a questo periodo e che rappresentano la prima realizza- zione del programma indicato nei Cogitata et Visa e nel Com- mentarius solutus: la Inquisitio legitima de motu, la Sequela chartarum sive inquisitio legitima de calore et frigore, la Histo- ria et inquisitio prima de sono et auditu."' Nella prefazione alla prima di queste tre operette Bacone, mentre poneva in luce la funzione essenziale che spetta alla topica c alle tavole, distingueva due differenti tipi di tavole: quelle che devono riunire i fatti più visibili e che si riferiscono a un determinato oggetto di ricerca (machina intellectus infe- rior seu sequela chartarum ad apparentiam primam) c quelle che hanno il compito, più alto, di aiutare l'intelletto a cono- scere « ciò che è nascosto » penetrando in tal modo fino alla « forma » delle cose (machina intellectus superior sive sequela chartarum ad apparentiam secundam). Le diciannove tavole elencate da Bacone nella Inquisitio legitima de motu costitui- vano una topica o «sistemazione provvisoria » che avrebbe dovuto consentire il passaggio alle tavole del secondo gruppo. Queste ultime (la machina superior) non sono in realtà che le tabule presentiae, absentiae, graduum del Novum Organum.** L'immagine baconiana dell’universo come labirinto e come selva, la sua convinzione che l’architettura del mondo « sia piena di vie ambigue, di fallaci somiglianze, di segni, di nodi e di spirali avvolti e complicati »,*° condiziona, in modo radi- cale, la dottrina baconiana del metodo. Uno dei compiti, se non il compito fondamentale, del metodo è, per Bacone, quello di introdurre ordine in questa caotica realtà. Nella Delineazio 4° Commentarius solutus, Works, IIl, pp. 626 - 28: « Tria motuum ge- nera imperceptibilia, ob tarditatem, ut in digito horologii; ob minu- tias, ut liquor seu aqua corrumpitur ct congelatur cte.; ob tenuitatem, ut omnifaria aeris, venti, spiritus... Nodi et globi motuum, and how they concur and how they succeed and interchange in things most frequent. The times and moments wherein motions work, and which is the more swift and which is the more slow ». 44 I tre scritti sono rispettivamente in Works, III, pp. 623 - 40; 644 - 52; 657 - 80. 45 Inquisitio legitima de motu, Works, III, pp. 637 - 38. 49 Praefatio gencralis, Works, I, p. 129. RAMO, BACONE, CARTESIO 167 del 1607 troviamo, a questo proposito, un'ammissione quanto mai significativa : la verità — scrive Bacone — emerge più facilmente dalla falsità che dalla confusione (« citius enim emergit veritas e falsitate quam e confusione »). Il compito, essenziale e fondamentale, di una eliminazione della confu- sione figurava, nella stessa opera, fra gli aiuti della memoria.*' « Eliminare la confusione », porre rimedio alla povertà di conoscenze fattuali dando luogo a raccolte di istanze certe: questi appaiono a Bacone i compiti fondamentali del nuovo metodo di interpretazione della natura. Di fronte a questi compiti le sue stesse tadulae gli appaiono nulla più di semplici esempi di un gigantesco lavoro che attende di essere realiz- zato (« neque enim tabulas conficimus perfectas, sed exempla tantum »).'* La stesura di una logica del sapere scientifico, alla quale Bacone aveva dedicato non poche delle sue fatiche fino dagli anni del Valerius Terminus, fu addirittura inter- rotta perché Bacone era fermamente persuaso che la costru- zione di tavole perfette costituisse l'elemento decisivo in vista della fondazione di un nuovo sapere scientifico. La storia na- turale, la raccolta organizzata dei fatti, la limitazione e la delimitazione dei diversi campi di ricerca, la costruzione di una serie di elenchi di luoghi naturali appartenenti ad un campo specifico (le Aistoriae particulares): tutto ciò gli apparve così importante da indurlo a interrompere la stesura del Novum Organum e a parzialmente svalutare quella stessa « macchina logica » che era stata per molti anni al centro dei suoi interessi.‘ La ordinata raccolta di materiali, la costruzione di una organizzata enciclopedia di tutti i fatti naturali raccolti nelle storie particolari, l’apprestamento di una raccolta di fatti o «storia generale » che fosse in grado di fornire nuovi mate- riali alle stesse storie particolari (Sylva silvarum): tutti questi progetti apparvero a Bacone, almeno al termine della sua 4° Delineatio, Works, III, p. 553, cfr. anche Novun Organum, II, 20. 48 Novum Organun:, II, 18. ° Sul significato, da questo punto di vista, dell’ ultimo paragrafo del libro I del Novum Organum cfr. B. FarrINGTON, F. Bacon: philosopher SCIA science, New York, 1949, trad. ital. Torino, 1952, pp. - 121. 49 168 CLAVIS UNIVERSALIS vita, assai più importanti di ogni indagine volta a perfezio- nare l’apparato teorico delle scienze. Ognuna delle storie par- ticolari alle quali Bacone lavorò affannosamente dopo il 1620 (il suo progetto comprendeva centotrenta storie) risponde a una duplice esigenza: eliminare le opinioni tradizionali muo- vendosi entro un campo di fatti accertati; disporre i fatti entro i campi particolari dando luogo ad una raccolta ordinata. Ove si passi da una considerazione generica ad una diretta lettura di queste « storie » baconiane, ci si renderà conto che esse si presentano appunto come raccolte di luoghi naturali e che esse rappresentano il tentativo di portare a compimento quel lavoro di raccolta già iniziato nella Inquisizio legitima de motu, nella Inquisitio de calore et frigore, e nella Historia et inquisitio prima de sono et auditu. Sostituendo alle raccolte di luoghi retorici una raccolta di luoghi naturali, piegando l’arte della memoria a fini differenti da quelli tradizionali, concependo le sabulae come mezzi di ordinamento della realtà mediante i quali la memoria prepara una « realtà organizzata » all’opera dell’intelletto, Bacone ave- va introdotto, entro la sua logica del sapere scientifico, alcuni tipici elementi derivanti da una precisa tradizione. Da questo punto di vista la sua « nuova » logica era assai più vicino di quanto egli non ritenesse alle impostazioni che un Ramo o un Melantone avevano dato alla dialettica quando l’avevano con- cepita come lo strumento atto a disporre ordinatamente le no- zioni. Vale la pena di ricordare ancora una volta la definizione che Melantone aveva dato del metodo quando lo aveva quali- ficato un’ars che quasi per loca invia et per rerum confusionem trova e apre una via ponendo in ordine le res ad propositum pertinentes e la definizione ramista della dispositio (che si identifica per Ramo con il iudicium e con la memoria) come apta rerum inventarum collocatio. AI di là di tutte le grandi differenze che si possono senza dubbio elencare, il concetto baconiano del metodo della scienza si muove ancora su questo terreno: // metodo è un mezzo di ordinamento e di classificazione degli elementi che compon- gono la realtà naturale. La dottrina della ministratio ad me- moriam aveva esercitato, da questo punto di vista, un peso RAMO, BACONE, CARTESIO 169

decisivo sulla costruzione baconiana di una nuova logica e di un nuovo metodo delle scienze.*° b) Gli atuti alla memoria e la dottrina dell’ enumerazione nelle Regulae. Gli echi della trattatistica rinascimentale sulla memoria artificiale ricompaiono, oltre che nei frammenti del giovane Cartesio, anche nel testo delle Regulae. Quando, nella re- gola XVI, Cartesio concepisce la scrittura come un'arte esco- gitata a rimedio della naturale labilità della memoria e parla di un intelletto che « va aiutato dalle immagini dipinte dalla fantasia » non fa che ripetere nei loro termini più tradizionali, luoghi comuni presenti in quasi tutti i testi della mnemotecnica di derivazione “ciceroniana”: Anonimo del sec. XVI (Mar- ciana, lat. 274, £. 4Ir.). vVescarTEs, Regulae, in Ocuvres, X, p. 454. . operae practium est omnes alias Sicut enim invenerunt. homines [dimensiones] ita retinere, ut fa- diversas artes ad iuvandum di- cile occurrant quoties usus exigit;  versis modis naturam, sic enim in quem finem memoria videtur videntes quod per naturam me- a natura instituta. Sed quia haec sacpe labilis est... aptissime scri- bendi usus ars adinvenit; cuius ope freti... quaccunque erunt re- stituenda in charta pingemus. moria hominis labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memo- riam... et sic adinvenerunt scrip- turam... A questa stessa assai antica tradizione si era del resto ri- chiamato Bacone nel De augmentis quando aveva visto anche egli nella scrittura il principale aiuto alla memoria: adminiculum memoriae plane scriptio est, atque omnino monendum quod memoria, sine hoc adminiculo, rebus prolixioribus impar sit, neque ullo modo nisi de scripto recipi debcat.5! Il ricorso cartesiano alle « immagini corporee », ai simboli, alla scrittura acquista tuttavia, all’interno della complessa me- todologia delle Regw/ze, un senso particolare. La scrittura e la «rappresentazione sulla carta » servono a sgombrare l’animo da ogni sforzo mnemonico, a liberarlo da esso, in modo che °° A queste conclusioni, sulla base di una trattazione più analitica degli scritti baconiani, ero già pervenuto nello studio F. Bacone, dalla magia alla scienza, Bari, 1957, cap. VI. 51 Works, I, p. 647. 170 CLAVIS UNIVERSALIS la fantasia e l’intelligenza possano essere completamente ri- volte alle idee o agli oggetti presenti: fiduciosi nell’aiuto della scrittura — afferma Cartesio — non affideremo nulla alla memoria, ma, lasciando libera e completa la fantasia alle idee presenti, rappresenteremo sulla carta qualunque cosa si vorrà ricordare; nessuna di quelle cose che non richiedono perpetua attenzione, se può esser messa sulla carta, deve essere impa- rata a memoria, affinché un ricordo inutile non sottragga parte della nostra intelligenza alla cognizione dell'oggetto prc- sente. Ai segni o simboli arbitrariamente scelti (a, b, c. ecc. per le grandezze note; A, B, C, ecc. per quelle ignote) è affi- data questa funzione mnemonica: essi saranno proprio per questo « brevissimi » di modo che « dopo aver scorto distin- tamente le singole cose, possiamo percorrerle con un moto celerissimo di pensiero e insieme quanto più è possibile simul- tancamente »."* Il problema della « notazione » o della scrittura e quello, 52 Qeuvres, X, p. 458, 454: « nulla unquam esse memoriac mandanda ex iis, quac perpetuam attentionem non requirunt, si possimus ea in charta deponere, ne scilicet aliquam ingenii nostri partem obiecti prae- sentis cognitioni supervacua recordatio surripiat... nihil prorsus memo- riac committemus, sed liberam et totam pracesentibus ideis phantasiam reliquentes, quaecumque erunt retinenda in charta pingemus; idque per brevissimas notas, ut postquam singula distincte inspexcrimus... possimus... omnia celerrimo cogitationis motu percurrere et quamplu- rima simul intucri. Quidquid ergo ut unum ad difficultatis solutionem crit spectandum, per unicam notam designabimus, quae fingi potest ad libitum. Sed, facilitatis causa, utemur characteribus a, b, c, etc. ad magnitudines iam cognitas, et A, B, C, etc., ad incognitas cexpri- mendas... ». 53 Ancor più chiaramente che nelle Regulae (si veda il passo citato nella nota precedente) il problema della notazione o dell'impiego dei simboli algebrici si collega, nel testo del Discours de la méthode (cfr. Ocuvres, VI, p. 20; ediz. Gilson, p. 20) al problema della ritenzione e della memoria: « Je pensai que, pour les considérer micux en par- ticulier [si fa riferimento ai rapporti c alle proporzioni], je les devais supposer en des lignes, à cause que je ne trouvais rien de plus simple, ni que je puisse plus distinctement représenter à mon imagination et à mes sens; mais que, pour les retenir ou les comprendre plusieurs ensemble, il fallait que je les expliquasse par quelques chiffres, les plus courts qu'il serait possible ». Il termine chiffres è tradotto, nella edizione latina, con «characteribus sive quibusdam notis» (cfr. Oew- vres, VI, p. 551.) RAMO, BACONE, CARTESIO 171 ad esso strettamente connesso, degli aiuti della memoria (« utendum est... memoriae auxiliis », dice il titolo della re- gola XII) vanno in tal modo a intrecciarsi strettamente, nel pensiero cartesiano a quelli dell’intuizione e di quel « moto continuo e non interrotto del pensiero » nel quale consiste la deduzione. Nel corso della regola III Cartesio chiarisce le ragioni della presenza, accanto all’intuito, di un altro « modo di conoscenza che avviene per deduzione ». L'’intuito, che è «un concetto della mente pura tanto ovvio e distinto » da escludere ogni possibilità di dubbio, è richiesto non per i soli enunciati (« ognuno può intuire che egli esiste, che egli pensa, che il triangolo è delimitato soltanto da tre linee » ecc.), ma anche per qualsiasi tipo di discorso: 2 e 2 fanno il medesimo di 3 e 1; non soltanto si deve intuire che 2 e 2 fanno 4 e che 3 e 1 fanno pure 4, ma anche che quella terza proposizione si conclude necessariamente da queste due.?* La deduzione, di principio, si riduce dunque a intuizione. A tale riducibilità di principio non corrisponde tuttavia una riducibilità di fatto : di qui la necessità di introdurre un diverso termine, quello di deduzione. Molte cose vengono sapute con certezza nonostante non siano evidenti di per sé: una verità, di per sé non auto- evidente, può essere infatti la necessaria conseguenza di una ininterrotta catena di verità autoevidenti attraverso la quale, con un moto continuo di pensiero, « passa » la nostra mente. Ogni passo di questo moto o ogni « anello della catena » viene afferrato mediante una intuizione immediata, ma la conclu- sione, vale a dire la necessaria connessione tra il primo e l’ul- timo anello della catena non è presente alla mente con la stessa evidenza che caratterizza la intuizione intellettuale. « Sap- piamo » che l’ultimo anello è congiunto con il primo; non ve- diamo tuttavia, con un solo e medesimo sguardo, tutti gli anelli intermedi dai quali la connessione dipende: ci limitiamo per- tanto a passarli l’uno dopo l’altro in rassegna e a ricordare che i singoli anelli, dal primo all’ultimo, stanno attaccati ai 34 Qeuvres, X, p. 369: « At vero haec intuitus evidentia et certitudo, non ad solas enuntiationes, sed etiam ad quoslibet discursus requiritur. Nam; exempli gratia, sit haec consequentia: 2 & 2efficiunt idem quod 3 & 1; non modo intuendum est 2 & 2 efficere 4, et 3 & |] cf- ficere quoque 4, sed insuper ex his duabus propositionibus tertiam illam necessario concludi ». 172 CLAVIS UNIVERSALIS più vicini. La distinzione fra intwstus e deductio è fondata ap- punto su ciò: nella deductio si concepisce un movimento o una successione che è del tutto assente nell’ /nzetzs; alla de- duzione non è necessaria quella attuale evidenza che è pre- sente nell’intuito: la deduzione mutua in certo modo la sua certezza dalla memoria.” Nel caso di deduzioni non particolarmente complesse o di brevi « catene » è sufficiente la memoria naturale; ove tut- tavia le « catene » siano così ampie da oltrepassare le nostre capacità intuitive e le deduzioni corrispondentemente com- plesse è necessario per Cartesio « soccorrere la naturale infer- mità della memoria » (« memoriae infirmitati succurrendum esse »). La conoscenza di una necessaria connessione tra il primo e l’ultimo anello della catena richiede infatti la dedu- zione dell’ultimo anello: dedurlo vuol dire pervenire ad esso passando «con moto continuo e non interrotto del pensiero » da anello ad anello. Ove venga trascurato anche un solo anello la deduzione apparirà impossibile o illegittima. In questo senso va soccorsa la memoria: La deduzione si compie talvolta mediante una così lunga concatenazione di conseguenze che, quando perveniamo ad esse, non ci ricordiamo facilmente di tutto il cammino che ci ha condotto fin lì: per questo diciamo che si deve > Qeuvres, X, p. 369-70: « Hinc iam dubium esse potest, quare, prae- ter, intuitum, hic alium adiunximus cognoscendi modum, qui sit per deductionem: per quam intelligimus, illud omne quod cx quibusdam aliis certo cognitis necessario concluditur. Sed hoc ita faciendum fuit, quia plurimae res certo sciuntur, quamvis non ipsac sint evidentes, modo tantum a veris cognitisque principiis deducantur per continuum ct nullibi interruptum cogitationis motum singula perspicue intuentis: non aliter quam longae alicuius catenae extremum annulum cum primo connecti cognoscimus, etiamsi uno eodemque oculorum intuitu non omnes intermedios, a quibus dependet illa connexio, contemplemur, modo illos perlustraverimus successive, et singulos proximis a primo ad ultimum adhaerere recordemur. Hic igitur mentis intuitum a deduc- tione certa distinguimus ex co, quod in hac motus sive successio quac- dam concipiatur, in illo non item; et praeterea, quia ad hanc non ne- cessaria est praesens evidentia, qualis ad intuitum, sed potius a me- moria suam certitudinem quodammodo mutuatur ». (Cfr. anche la re- gola XI, Ocuvres, X, pp. 408 -9). RAMO, BACONE, CARTESIO 173 portare aiuto alla debolezza della memoria mediante un continuo movimento del pensiero?" Quel processo che Cartesio chiama enumerazione o indu- zione (enumeratio sive inductio) costituisce appunto questo giuto alla memoria. Il fine che si propone questa minsstratio ad memoriam (per usare il termine baconiano) è l’acquisizione di una rapidità o celerità nella deduzione tale da ridurre al minimo, pur senza totalmente eliminarlo, il ruolo esercitato dalla stessa memoria e tale da conferire ad un insieme di co- noscenze troppo complesso per essere abbracciato da una sola intuizione, l'immediata evidenza che è privilegio della stessa capacità intuitiva: «Se mediante diverse operazioni ho conosciuto quale sia il rapporto tra la grandezza A e B, poi tra Be C, poi tra C e De infine tra D e E, non per questo vedo il rapporto tra A e E, né lo posso ricavare con esattezza dalle cose già cono- sciute se non mi ricordo di tutte. Per questo le percorrerò tante volte con una specie di moto dell’immaginazione che in- tuisce le singole cose e insieme si trasferisce nelle altre, finché abbia imparato a passare dalla prima all’ultima con tanta celerità che, quasi non lasciando alcuna parte alla memoria, mi sembri di intuire tutto insieme. In tal modo, mentre si aiuta la memoria, si corregge anche la tardità dell'ingegno e si amplia in qualche modo la sua capacità ».' E’ tuttavia possibile, ritengo, mettere in luce alcuni punti le) di contatto più profondi di quelli finora rilevati tra il testo % Qeuvres, X, p. 387: « Hoc enîm sit interdum per tam longum conse- quentiarum contextum, ut, cum ad illas devenimus, non facile recor- demur totius itineris quod nos co usque perduxit; ideoque memoriae infirmitati continuo quodam cogitationis motu succurrendum esse dicimus ». 5? Ocuvres, X, pp. 387 -88: « Si igitur, ex. gr., per diversas operationes cognoverim primo, qualis sit habitudo inter magnitudines A _& B, deinde inter B & C, tum inter C & D, ac denique inter D & E: non idcirco video qualis sit inter A_& E, nec possum intelligere praecise ex iam cognitis, nisi omnium recorder. Quamobrem illas continuo quodam imaginationis motu singula intuentis simul et ad alia tran- seuntis aliquoties percurram, donec a prima ad ultimam tam celeriter

transire didicerim, ut fere nullas memoriae partes reliquendo, rem totam simul videar intueri; hoc enim pacto, dum memoriae subveni- tur, ingenii ctiam tarditas emendatur, ciusque capacitas quadam ra- tione cxtenditur ». 174 CLAVIS UNIVERSALIS cartesiano delle Regulae e quella tradizione di ars memorativa alla quale ci siamo fin qui richiamati. L. J. Beck, che sulla metodologia delle Regulae ha scritto pagine assai acute, ha nettamente (e a mio avviso giustamente) distinto due diversi significati o due differenti accezioni del termine enumerazione in Cartesio.?* Quando fa riferimento, nel Discorso, alla enu- merazione Cartesio parla infatti da un lato di « enumerazioni complete » (denombrements entiers) e dall'altro di « revisioni generali » (revues générales). La traduzione latina del Discorso, rivista come è noto dallo stesso Cartesio, chiarisce ancor me- glio la distinzione qui adombrata: l’espressione denombre- ments entiers viene tradotta con singula enumerare, quella revues générales con omnia circumspicere.?® Comunque sia da considerare la distinzione fra questi due diversi aspetti o queste due diverse funzioni dell’enumerazione, resta il fatto che con questo termine Cartesio sembra far riferimento: 1) a quel rimedio alla memoria che deve essere presente, abbiam visto, nel caso di deduzioni particolarmente complesse o di «catene » troppo lunghe; 2) all’ordinamento delle condizioni dalle quali dipende la soluzione di un problema particolare e a quell’iniziale ordinamento dei dati che è preliminare ad ogni ricerca e che mira all’ « isolamento » e alla determina- zione del problema stesso. « Enumerazione o induzione — scrive Cartesio nella re- gola VII — è una diligente e accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione proposta, sì che da essa si possa con- cludere con certezza ed evidenza che nulla è stato ingiusta- mente tralasciato ».°° La funzione attribuita alla enumerazio 58 Cfr. L. J. Beck, The Method of Descartes, a Study of the Regu- lae, Oxford, 1952, p. 143, ma cfr. le pp. III-146. Sull'enumerazione cartesiana: R. Husert, La théorie cartesienne de lenumeration, in « Revue de metaphysique et de morale », 1916, pp. 489-516; Sirven, Les années d'apprentissage de Descartes, Paris, 1928, pp. 378-79; E. Gitson, ediz. del Discosrs, Paris, 1947, pp. 210-213; N. KeMr SMITH, New Studies in the Philosophy of Descartes, London, 1952, pp. 70-77; 144 - 49; 150- 59. 39 Qetivres, VI, p. 559. 6° Qeuvres, X, p. 388: « Est igitur haec cnumeratio sive inductio, corum omnium quae ad propositam aliquam quaestionem spectant, tam dili- gens et accurata perquisito, ut ex illa certo evidenterque concludamus, nihil a nobis perperam fuisse praetermissum ». RAMO, BACONE, CARTESIO 175 appare qui assai diversa da quella alla quale abbiamo fin’ora fatto riferimento. Enumerare vuol dire qui procedere ad una classificazione logica (che si svolge normalmente prima del processo deduttivo) in vista di una determinazione e limita- zione dei problemi. Si tratta, come dice esattamente il Beck, di un « preparatory making-out of the field of knowledge in which a proposed investigation of some particular problem is presently to take place ».° AI Beck, che è esclusivamente interessato ad un esame della struttura formale del metodo cartesiano c delle relazioni intercorrenti tra i vari scritti di Cartesio, è sfuggita (così come agli altri interpreti)? la sostanziale affinità tra questa accezione del termine enumerazione e la topica baconiana che si presenta anch’essa, non a caso, come un aiuto alla memoria. Il prin- cipale compito degli aiuti alla memoria consisteva per Bacone nella costruzione di regole atte a limitare il « campo infinito » 6! L. J. Beck, op. cit., p. 130. €2 Ad una perfetta conoscenza dei testi cartesiani non corrisponde, così nel caso del Beck come in quello del Gouhier, una altrettanto perfetta conoscenza dei testi filosofici e non filosofici circolanti nella cultura francese ced europea del primo Seicento. Si veda per esempio (per re- stare nei limiti dei problemi qui trattati) come il Gouhier, nel suo bel libro su Les premières pensées de Descartes, liquidi in due righe il problema dei rapporti tra Cartesio e la tradizione del lullismo senza aver preso visione dell’unico studio sull'argomento e senza rendersi conto che il giudizio cartesiano su Lullo (« parler sans jugement des choses qu'on ignore ») non è che la ripetizione di un luogo presente nei testi filosofici da Agrippa a Bacone (p. 27 n. 55). Anche l’espressio- ne cartesiana «in quodam ordine locorum dialecticorum unde ratio- nes desumuntur » fa riferimento, contrariamente a quanto mostra di credere il Gouhier, ad un ben preciso tipo di letteratura; così come l'affermazione « una est in rebus activa vis ecc.» e il proposito di servirsi di «cose sensibili » per raffigurare lc « spirituali » ec l’imma- gine della catena scientiarum risultano del tutto incomprensibili e gra- tuiti, pur prestandosi ad eleganti considerazioni di carattere specula- tivo, ovc non vengano intesi nei loro rapporti con un ambiente e con una tradizione. Cartesio, che aveva letto le pagine dello Schenkel, non aveva certo bisogno di ricorrere a Keplero per concepire le cose corporee come simboli di quelle spirituali. Ma del passo cartesiano che fa riferimento all’ars memoriae dello Schenkel, Gouhier elimina la seconda metà (che risulta difficilmente comprensibile a chi non abbia visto il testo dello Schenkel) senza poter spiegare in alcun modo in che cosa consiste il « nuovo procedimento » che Cartesio ritiene di aver inventato. (Cfr. GouHIER, op. cit., pp. 27, 28, 69, 82-84, 92). 176 CLAVIS UNIVERSALIS della conoscenza umana e a determinare quindi un campo di conoscenza specifico e limitato: « dalla immensa moltitudine dei fatti viene distaccata una storia particolare le cui parti vengono ordinatamente disposte... in primo luogo mostreremo quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un dato problema, il che è qualcosa di simile a una topica; in secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddi- vise... ».5° L’enumerazione, come aiuto alla memoria, ha quindi per Cartesio il compito di svolgere una accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione proposta; quella sorta di « to- pica » che costituisce per Bacone il principale aiuto della me- moria ha esattamente lo stesso compito e la stessa funzione: mostrare quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un dato problema. Dopo aver preliminarmente isolato e de- terminato un problema o una questione (proprio questo, ab- biam visto, era il compito che la tradizione retorica affidava ai loci) si doveva, secondo Bacone, procedere ad un ordina- mento, ad una suddivisione e ad una classificazione delle cose concernenti la questione proposta. Su questo punto c da que- sto punto di vista la posizione di Cartesio non è in alcun modo differente : «Se si dovessero considerare una ad una le singole cose che riguardano la questione proposta non sarebbe sufficiente la vita di nessun uomo. Ma se tutte le cose vengano disposte nell'ordine migliore, in maniera che siano ridotte il più pos- sibile a classi determinate, sarà sufficiente vedere esattamente una sola di queste, oppure qualcosa di ciascuna, o almeno non ripercorreremo mai niente due volte invano; ciò è di tanto giovamento che spesso, in base a un ordine bene stabilito, si compiono rapidamente e senza difficoltà molte cose che, al primo aspetto, apparivano immense ».5 © Cfr. il testo sopra riportato alla nota 40. 6! Qcuvres, X, pp. 390-91: « Addidi etiam enumerationem debere esse ordinatam... si singula quae ad propositum spectant, essent separatim perlustranda, nullius hominis vita sufficieret, sive quia nimis multa sunt, sive quia sacpius cadem occurrerent repetenda. Scd si omnia illa optimo ordine disponamus, ut plurimum, ad certas classes reducentur, ex quibus vel unicam exacte videre sufficiet, vel cx singulis aliquid,RAMO, BACONE, CARTESIO 177 Non è qui nostro compito esaminare le differenze inter- correnti tra l’induzione baconiana e la inductio o enumeratio cartesiana. Al di là delle differenze si voleva qui sottolineare, nel pensiero dei due « fondatori » della filosofia moderna, la presenza e la persistenza di temi legati ad antiche e recenti discussioni sulla memoria. A queste discussioni vanno colle- ate non solo gli interessamenti di Bacone e di Cartesio per i problemi della mnemotecnica, non solo l’immagine dell’arbor scientiarum e i progetti di una scientia universalis o sapientia, ma anche la dottrina, baconiana e cartesiana, degli «aiuti della memoria ». Non si tratta dunque solo dei « residui » di una tradizione veneranda, degli echi ultimi, ormai privi di importanza e di significato storico di un fortunato genere letterario; né si tratta di concessioni ad una « moda » assai diffusa. Nella Znterpretatio naturae di Bacone e nelle Regulae ad directionem ingenti di Cartesio ci sono apparse presenti al- cune tesi legate alla tradizione “retorica” dell’ars  memora- tiva: al necessario « isolamento » di una questione si giunge mediante una preliminare classificazione degli elementi costi- tutivi del problema; l’ordine è elemento ineliminabile e costi- tutivo di tale classificazione; queste ordinate e « artificiali » classificazioni costituiscono il necessario rimedio alla insuffi- cienza e alla labilità della memoria naturale. Come già aveva fatto Ramo, anche Bacone e Cartesio avevano dunque inserito, nella loro logica, una dottrina degli aiuti della memoria: en- trambi considerano una tecnica del rafforzamento della me- moria strumento indispensabile alla formulazione e al “fun- zionamento” di una nuova logica o di un nuovo metodo. Con Ramo, Bacone e Cartesio l’antico problema della me- moria artificiale che aveva per oltre tre secoli appassionato me- dici e filosofi, studiosi di retorica, enciclopedisti e cultori di magia naturale, aveva fatto in tal modo il suo ingresso, sia pure piegato a nuove esigenze e profondamente trasfigurato, nei quadri della logica moderna. Attraverso l'influenza eser- citata dal pensiero baconiano sulle ricerche linguistiche che si vel quasdam potius quam caeteras, vel saltem nihil unquam bis frustra percurremus; quod adeo iuvat, ut sacpe propter ordinem bene insti- tutum brevi tempore et facili negotio peragantur, quae prima fonte videbantur immensa ». 178 CLAVIS UNIVERSALIS svolsero in Inghilterra nella seconda metà del Seicento, attra- verso l’opera di Alsted e di Comenio questo stesso problema apparirà ancora una volta essenziale, nel corso del secolo XVII, alla costruzione di dizionari totali, di linguaggi perfetti e di universali enciclopedie. Non a caso nella tradizione lulliana si era lungamente insistito sulle connessioni che intercorrono tra la memoria, la logica e l’enciclopedia. « Si igitur ordo est memoriae mater, logica est ars memoriae » scriverà lo Alsted; e non a caso, avviando i suoi progetti di una caratteristica uni- versale, Leibniz si volgerà — oltre che a Bacone, Alsted e Comenio — a Lullo e ai suoi grandi commentatori del Rina- scimento e si richiamerà a non pochi e non secondari testi di ars memorativa. VI. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 1. IL SISTEMA MNEMONICO UNIVERSALE: Enrico ALSTED. L'ideale enciclopedico che, da Bacone a Leibniz, domina la cultura del secolo XVII si mostra operante, con forza sin- golare, nell’opera vastissima di Enrico Alsted (1588 - 1638) maestro di Comenio a Herborn, editore di testi del Bruno, seguace di Lullo e di Ramo, riformatore dei metodi dell’edu- cazione e dell’insegnamento. Percorrendo i molteplici scritti, i numerosi manuali e infine il grande Systema mnemonicum dello Alsted, ci si rende ben conto che dietro la sovrabbon- danza delle citazioni, la ricchezza strabocchevole dell’erudi- zione e l'apparenza antologica delle opere, dietro la mesco- lanza spesso caotica di temi di logica di retorica di fisica e di medicina, sono presenti motivi essenziali: destinati a eserci- tare un'influenza decisiva sul costituirsi, agli inizi del Sei- cento, dell'ideale pansofico e dell’enciclopedismo. Riformare le tecniche di trasmissione del sapere; dar luo- go ad una classificazione sistematica di tutte le attività ma- nuali e intellettuali: entrambi questi progetti si risolvono, per Alsted, in quello della costruzione di un nuovo « sistema » che riunisca in un unico corpus, in un organo totale delle scienze, i princìpi di tutte le discipline. Solo attraverso l’enci- clopedia, che rivela i rapporti tra le varie discipline e porta alla luce la sistematicità del sapere, potrà essere costruito un nuovo metodo, potrà essere definito un nuovo, organico pia- no degli studi.’ L’esplicita adesione di Alsted alla tematica del lullismo, la sua insistenza sul valore della memoria come tecnica dell'ordinamento enciclopedico delle nozioni, possono essere intese solo in funzione di questo suo grande progetto. ! Per i rapporti fra l'enciclopedia e il piano degli studi cfr. E. Garin, L'educazione in Europa, Bari, 1957, pp. 235 -39. Sul lullismo di Asted cfr. Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, Madrid, 1939-43, II, pp. 239-49; V. OsLer, s.v. in Dictionnaire de Théologie Catolique, I, coll. 923 - 24. Molte opere inedite in Niceron, Mémoires, Parigi, 1740, 41, pp. 298-311. 180 CLAVIS UNIVERSALIS Alla ricerca di una « via compendiosa » capace di dischiudere all'uomo il possesso di un sapere totale si volsero, secondo Alsted, i tre maggiori studiosi di logica che siano apparsi sulla terra: Aristotele, Raimondo Lullo, Pietro Ramo. Essi si ri- volsero agli uomini, che erano alle origini della storia, « pror- sus feros et cyclopicos » e, quasi tenendoli per mano, li con- dussero « verso i pascoli amenissimi della scienza ». Al di là delle differenze, i tre grandi filosofi ebbero uno scopo e un me- todo comune «ad quem collinearunt, licet in modis dissi- deant »: in questo senso le loro dottrine possono e debbono essere conciliate.? Nella Panacea philosophica seu... de armo- nia philosophiae aristotelicae lullianae et rameae® del 1610 Alsted tenterà, con grande ricchezza di riferimenti, una con- ciliazione dei tre metodi, ma già nella Clavis artis lullianae che qui più da vicino ci interessa e che risale all'anno prece- dente, troviamo presente questa stessa preoccupazione. Nel terzo capitolo dell’opera, De tribus sectis logicorum hodie vi- gentibus, Alsted volgeva la sua attenzione alla situazione, in Europa, degli studi di logica. Dopo aver tracciato un breve quadro dell’aristotelismo e aver ricordato, fra gli aristotelici contemporanei, Melantone e Goclenius, Scaligero e Zabarella, Piccolomini e Suarez, egli lamentava lo scarso vigore della setta dei lullisti tedeschi e paragonava la triste situazione della logica tedesca, intieramente dominata dalle controversie fra aristotelici e ramisti, al fiorire degli studi lulliani in Spagna, in Francia, in Italia. I grandi commentatori di Lullo, da Agrippa a Bruno, dal Gregoire al De Valeriis, non sono stati

in grado di chiarire il complesso funzionamento della combi- natoria, hanno aggiunto oscurità ad oscurità, hanno mescolato i loro sogni alle tenebre del lullismo. Per risollevare le sorti 2 Cfr. Clavis artis lullianac et verae logices duos in libellos tributa, id est solida dilucidatio artis magnac, generalis et ultimae quam Raymun- dus Lullus invenit... edita in usum cet gratiam corum, qui impendio delectantur compendiis, et confusionem sciolorum qui iuventutem fa- tigant dispendiss, Argentorati, Sumptibus Lazari Zetzneri Bibliop., anno 1609 (ristampata nel 1633 e nel 1651), prefazione, (Copia usata: Triv. Mor. I, 304). ° Panacea philosophica seu Encyclopaediae universa discendi methodus. De armonia philosophiae aristotelicac, lullianae et rameae, Herbornae, 1610 (Copia usata: Braid., B. XII. 5, 314). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 181 della setta lulliana è necessario richiamarsi all'opera del La- vinheta, di Fernando de Cordoba, di Lefèvre d’Etaples, del Bovillo, dei fratelli Canterio, di Pico e riprendere dai fonda- menti il grande progetto di Raimondo: trovare una scienza, conosciuta la quale, tutte le altre possano essere senza fatica né difficoltà conosciute, e che, come il filo di Teseo, costitui- sca il criterio di verità di ogni aspetto e di ogni manifestazio- ne del sapere. Quest’ars generalis, che Alsted avvicina ripetu- tamente alla cabala, potrà essere realizzata mediante la de- terminazione dei « termini generalissimi » e dei « princìpi ge- nerali » presenti in ogni singola scienza e la successiva indivi- duazione dei termini e dei princìpi « comuni », costitutivi cioè di ogni possibile sapere." Esistono quindi, per Alsted, assiomi o princìpi universali comuni a tutte le scienze, operanti in ogni ricerca. Le scienze e le tecniche si presentano, ad un primo sguardo, come un 4 Cfr. Clavis artis lullianae, cit., pp. 9-14; 19: « Tantum de Rameis restant philosophi in Germania minus celebres Lullisti. In Germania, dico quia in Hispaniis, Galliis et Italia sunt quamplurimi de hoc grege, ct nominatim quidem in Italia sunt speculatores... qui huic arti sunt deditissimi... Haec duo sectae, Peripatetica dico ct Ramaea in pracsen- tiarum sunt florentissimac, superest tertia, puta Lullistarum, quae hodie ferme "Multis pro vili, sub pedibus jacet”... ». Il giudizio sui commentatori era particolarmente aspro: «Nam commentatores (uti- nam fuissent commendatores) lulliani, tenebras potius et nebula offu- derugt quam lucem ‘attulerunt, aut facem practulerunt divino operi. Aut enim sua somnia immiscuerunt, aut obscura per acque obscura explicarunt ». Lo scopo della divina arte di Lullo fu di «talem inve- nire scientiam, qua cognita, reliquae quoque sine difficultate ulla labo- reque magno cognoscerentur, et ad quam, tamquam lydium lapidem, flum Thesci ct Cynosuram omne scibile examinaretur ». L’avvicina- mento dell’arte lulliana alla cabala è, nell'opera di Alsted, continuo e insistente. Si veda per es. la Tabula ad artis brevis cabalae tractatus et artis magnac primum caput pertinens c il giudizio su Lullo: « Quum Lullius fuerit mathematicus et kabbalista, impendio delectatus est me- thodo docendi mathematica et kabbalista, ideoque circulus adhibuit, quos non nemo concinne vocavit magistros scientiarum. Et huc facit tritus versiculus: Omnia dant mundo Crux, Globus atque Cubus ». Può essere di qualche interesse notare che, fra i cultori dell'Arte, Alsted ricorda anche il Poliziano «qui, opino per hanc artem, se disputare posse de omnibus pollicebantur » (p. 14). Per i richiami di Alsted a Bruno cfr. le mie Note bruniane, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959, II, pp. 198-199. 182 CLAVIS UNIVERSALIS insieme caotico, come una disordinata foresta: dietro quel caos apparente sono rintracciabili le linee di un ordine pro- fondo; la rigida separazione fra le scienze è solo provvisoria; quell’intricata foresta potrà rivelarsi l’ordinata ramificazione di un unico, comune albero del sapere dal quale si dipartono, secondo una razionale successione, i rami delle singole scienze e delle differenti tecniche. In vista della costruzione di un nuovo metodo universale è necessario riportare ordine, coe- renza e sistematicità in quel caos, penetrare coraggiosamente in quella foresta per chiarire l’ordinata struttura dei suoi rami, per svelare l’esistenza di un tronco comune e portare infine alla luce le comuni radici. Da questo punto di vista, il problema del metodo si risol- veva integralmente in quello di un ordinamento delle no- zioni, di una sistematica classificazione degli oggetti che co- stituiscono il mondo e dei concetti che sono stati elaborati dall'uomo. La logica, strumento del metodo, ha il compito di ordinare e di classificare: «La sola logica è l’arte della memoria. Non si dì nessuna mnemotecnica al di fuori della logica. E pare che di ciò si sia accorto Raimondo Lullo che, nel suo opuscolo De auditu kabbalistico, scrisse queste paro- le: “Il metodo vien costituito non solo per l’esercizio del- l’umano intelletto, ma anche perché fornisca un rimedio alla dimenticanza”. Se dunque l’ordine è la madre della me- moria, la logica è l’arte della memoria. Trattare dell’ordine è infatti il compito della logica ».* L’intera enciclopedia si presenta in tal modo come un grande Systema mnemonicum e la logica si presenta come una directio intellectus che è, al tempo stesso, una confir- matto memoriae.® Precisamente su questo terreno Alsted tenta di realizzare una conciliazione tra la dialettica rami- 5 Cfr. Systema mnemonicum duplex... in quo artis memorativae prae- cepta plene et methodice traduntur: et tota simul ratio docendi, discen- di, Scholas aperiendi, adeoque modus studendi solide explicatur et a pseudo-memoristarum, pseudo-lullistarum, pseudo-cabbalistarum im- posturis discernitur atque vindicatur, Prostat, in nobilis Francofurti Pal- theniana, anno 1610, p. 5 (Copia usata: Angelica, XX. 12. 47).

* Systema mnemonicum duplex, cit., p. 105: « Logicae duplex est finis et duplex obiectum; primus est directio intellectus, secundus est me- moriae confirmatio ». ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 183 sta e la combinatoria lulliana. Non a caso, nel System mne- monicum duplex del 1610, dopo aver definito il metodo come « instrumentum mnemonicum quod docet progredi a ge- neralissimis ad specialissima » egli inserisce nella sua tratta- zione le tre fondamentali leggi della dialettica ramista: « Pri- ma lex est lex homogeniae... secunda lex dicitur coordina- tionis.... tertia lex dicitur transitionis ».' Eredità lulliane ed influenze ramiste, echi delle ormai secolari discussioni sull’arte della « memoria locale », anda- vano in tal modo a congiungersi in funzione dell’enciclope- dia.* Ma più che a una riforma della logica Alsetd era indub- biamente interessato ad una riforma della « pedagogia »: una nuova organizzazione dell’insegnamento, delle scuole, dei metodi didattici doveva corrispondere, punto per punto, al nuovo ordinamento del mondo del sapere. Riducendo a sistema — come scriverà Bayle® — tutte le parti delle arti ? Cfr. Systema mnemonicum duplex, cit., pp. 106-107. # Seguendo una tradizione che risale al Lavinheta, Alsted avvicina i circoli dell’arte lulliana ai «luoghi » della mnemotecnica di derivazio- ne ciceroniana: « Circulus in arte lulliana est locus et quoddam quasi domicilium in quo instrumenta inventionis collocantur... » (Clavis artis lullianae, cit., p. 25). Ma, oltre alle opere già ricordate sono da vedere: Artium liberalium, ac facultatum omnium systema mnemonicum de modo discendi, in libros septem digestum et congestum, Prostat, 1610; Encyclopaedia septem tomis distincta, Herborni Nassaviorum, 1630 (Co- pie usate: Angelica, XX. 12. 48; Braidense, +}. XIV. 16). Fra le opere di carattere religioso € pedagogico si vedano: Theatrum scholasticum, Flerborniae, 1610; (che contiene un Gymnasium mnemonicum); Tri- gae canonicae, Francoforte, 161! (contenente una Artis mnemologicae explicatio); la Dissertatio de manducatione spirituali, transubstantiatio- ne, sacrificio missae, de natura et privilegiis ecclesiae, Ginevra, 1630 (cfr. Padova, Antoniana, K. VII. 14). Un certo interesse presenta anche

la classificazione delle scienze matematiche contenuta nel Methodus ad- mirandorum mathematicorum novem libris exhibens universam ma- thesin, Herbornae Nassaviorum, 1623, pp. 5-7: « Mathesis est pars encyclopaediae philosophicae tractans de quantitate communiter... Ordo scientiarum mathematicarum hic est. Scientiac mathematicae sunt pu- rae vel mediae. Purae sunt quac occupantur circa solam quantitatem: quales sunt arithmetica et geometria. Mediae sunt quae occupantur, circa quantitatem haerentem in corpore: ut cosmographia, uranoscopia, geographia; vel in qualitate ut in optica, musica et architectonica ». (Copia usata: Padova, Civica, G. 6327). pi Bayle, Dictionnaire historique et critique, Amsterdam, 1740, pp. - 66. 184 CLAVIS UNIVERSALIS e delle scienze, Alsted intendeva in realtà lavorare — come poi Comenio — per un sapere unitario capace di riscattare e di liberare gli uomini. 2. LA PANSOFIA E LA GRANDE DIDATTICA: (COMENIO. La ricerca di un metodo, di una logica, di un linguaggio che consentano all’uomo di penetrare e di dominare tutto, che garantiscano all'uomo il possesso dell’enciclopedia, della sapienza universale: questo fu la pansofia. E nell’ideale pan- sofico, proposto alla cultura di tutta Europa (ma la /anza linguarum fu tradotta anche in arabo e in persiano e pene- trò fin nell’ Estremo Oriente) dall'impeto riformatore di Co- menio ritroviamo chiaramente presenti non solo gli insegna- menti di Bacone e di Alsted, di Ratke e di Andrei, ma anche molti dei temi derivati dalla tradizione dell’ars memorativa e da quella, essai più vigorosa, dell’enciclopedismo lullista.'° Mentre andava chiarendo le linee fondamentali del suo pensiero, nella Conatuum pansophicorum dilucidatio, Co- menio enumerava gli autori che lo avevano preceduto, le opere dalle quali il suo tentativo poteva trarre conforto e ispirazione. Fin dall’antichità uomini insigni tentarono di raccogliere il complexum totius eruditionis; in questo senso operò Aristotele indicando le tre leggi necessarie al raggiun- gimento di quella onniscienza che è possibile all'uomo: la principiorum universalitas, l’ordinis methodus vera, la ve- ritatis certitudo infallibilis. A queste stesse leggi — prosegue Comenio — si son richiamati quegli studiosi che, nell’età moderna, si sono fatti autori di enciclopedie, di polimatheie, di sintassi dell’arte mirabile, di teatri della sapienza, di pa- nurgie, di grandi restaurazioni, di pancosmie. I titoli cui Comenio fa riferimento ci rimandano ad opere ben note: agli scritti del De Valeriis c del Gregoire, alle opere di Giu- lio Camillo e del Patrizzi che vengono accostate (e l’accosta- ! Sulle origini della pansofia: W. E. PeuckeRT, Pansophie. Ein Ver- such zur Geschichte der weissen und schwarzen Magie, Stuttgart, 1936. Sugli ideali pedagogici: L. Kvacata, }. A. Comenio, Berlino, 1914 c ora E. Garin, L'educazione in Europa, cit., pp. 241-252. Sul lullismo di Comenio brevissime, insufficienti annotazioni in CARRERAS Y ARTAU, Op. cit., II, p. 299. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 185 mento è significativo) alla /nstauratio magna di Bacone. Di fronte a questa eredità, Comenio ripete il solenne motto di Seneca: « Molto fecero quanti vennero prima di noi, ma essi non terminarono l’opera; molto resta e molto resterà anco- ra da fare; neppure fra mille secoli sarà preclusa ad alcuno fra i mortali l’occasione di aggiungere ancora qualcosa ». Ri- chiamandosi a questa eredità Comenio intende dunque rea- lizzare « un’opera universale » e anch’essa, come già quella dei suoi predecessori, non è costruita solo per l’uso degli eru- diti ma per quello di tutti i popoli cristiani. Muterà il de- stino stesso della razza umana quando sarà realizzata quella pansofia che è « universae eruditionis breviarum solidum, in- tellectus humani fax lucida, veritatis rerum norma stabilis, negotiorum vitae tabulatura certa, ad Deum denique ipsum scala beata ».!! I richiami di Comenio ai teatri, alle sintassi, alle enci- clopedic basterebbero da soli a documentare l’esistenza di una effettiva continuità di temi e di motivi, il persistere di interessi comuni fra i maggiori esponenti dell’enciclopedismo lullista e i teorici della pansofia. Ma non meno evidenti — anche se assai meno noti — sono i rapporti che legano l’opera comeniana a quella dei maggiori teorici dell’ars me- morativa per tanti aspetti connessa, dopo la metà del Cin- quecento, alla rinascita del lullismo. Solo chi abbia presenti le discussioni sulla funzione mnemonica delle immagini, tanto diffusa fra gli esponenti dell'Arte, potrà rendersi conto dell'ambiente nel quale ebbe a maturare il tentativo come- miano di fondare sulle figure e sulla visione ogni duraturo e stabile apprendimento. La prima parte dell’ Ordis  sensua- lium pictus si presenta, non a caso, come una «omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura !! Per quanto qui esposto cfr. Philosophiae prodromus et conatuum pansophicorum dilucidatio. Accedunt didactica dissertatio de sermonis latini studio perfecte absolvendo, aliaque erusdem, Lugduni Batavo- rum, Officina David Lopez de Haro, 1644, pp. 120-122. (La prima edizione dell’opera è Londra, L. Fawre et S. Gellibrand, 1639). Ho visto l'edizione del 1644 nell’esemplare dell’Angelica, SS. 10.90 al qua- le è stato legato assieme il Faber fortunae sive ars consulendi sibi ipsi ttemque regulac vitae sapientis, Amstelodami, ex officina Petri van der Berge, 1657. 186 CLAVIS UNIVERSALIS et nomenclatura », e chi ne scorra le pagine piene di figure e di simboli troverà appunto, ovunque presente, la tesi che la realtà delle cose dev'essere intuita e vista attraverso le immagini delle cose.!* Fondamento di un erudizione non astratta e scolastica, ma « piena e solida », non oscura e con- fusa, ma «chiara e distinta e articolata come le dita della mano », è la «retta presentazione, ai sensi, delle cose sensi- bili ». Solo per questa via, la via dell'immagine, del senso e della memoria, sarà possibile giungere poi alla più alta educazione dell’intelletto. Alle immagini vien dunque attri- buita una funzione decisiva: esse sono «le icone di tutte le cose visibili dell’intero mondo, alle quali, con modi appro- priati, saranno riducibili anche le cose invisibili ». Ripren- dendo il motivo centrale della Cirsà del Sole campanelliana Comenio giunge a significative conclusioni: «al nostro fine servirà validamente anche questo: dipingere sulle pareti delle aule il sunto di tutti i libri di ciascuna classe, tanto il testo (con vigorosa brevità) quanto le illustrazioni, ritratti e rilievi, che esercitino ogni giorno i sensi e la memoria degli stu- denti. Sulle pareti del tempio d’ Esculapio, come ci hanno tramandato gli antichi, erano scritte le regole di tutta la me- dicina che Ippocrate, di nascosto, copiò da capo a fondo. Anche Dio infatti dovunque riempì questo grande teatro del mondo di pitture, di statue e di immagini, come vive rap- presentazioni della sua sapienza ». Non si trattava solo della generica accettazione di mo- tivi diffusi: l’« alfabeto filosofico » proposto da Comeniocontro quella « permolesta ingeniorum tortura » che è la sil- labatro, nel quale le lettere son riprodotte accanto all’imma- gine dell'animale «cuius vocem litera imitatur »,!” non fa che riprodurre, con intenti solo in parte diversi, quegli « al- fabeti mnemonici » che troviamo presenti in tutti i testi quattrocenteschi e cinquecenteschi di ars reminiscendi. A questa stessa tecnica del raffrozamento della memoria (lar- 12 Orbis senstalis picti pars prima. Hoc est: omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura et nomenclatura, cum titu- lorum iuxta cetque vocabulorum indice, Noribergae, Sumtibus Joh. Andr. Endteri haeredum, anno salutis, 1746 (la prima ediz. è del 1658). Si vedano, in particolare, le pagine della prefazione. 19 Cfr. Orbis sensualis picti pars prima, cit., prefazione e pp. 4-5. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 187 ghissimamente impiegata dallo stesso Comenio nel De ser- monis latini studio del 1644), ai teatri del mondo, alla ca- bala si richiamano poi quelle numerose pagine di Come- nio nelle quali vien presentato quel Theatrum sapientiae cui dev'essere attribuito, per la nobiltà degli oggetti che racchiu- de, il più solenne nome di Templum. Il tempio della panso- fia cristiana è costruito secondo le idee, le norme, le leggi divine, è consacrato a tutte le genti di ogni lingua: in esso sono « collocati » le facoltà, gli oggetti prodotti dalla forza naturale presenti nel mondo visibile, l’uomo e i prodotti dell'ingegno umano, le realtà interne dell’uomo, Dio e le potenze angeliche, i prodotti della vera sapienza: di fronte a queste pagine comeniane è difficile non ricordare le mac- chinose costruzioni emblematiche del De Valeriis e del Ca- millo, le grandi rassegne della realtà universale presenti nel Thesaurus memoriae del Rosselli.!' Anche il progetto comeniano di una «enciclopedia to- tale » appare del resto profondamente legato alle impostazio- ni del lullismo, alle discussioni sulla catena scientiarum, ai progetti, così numerosi nel Cinquecento, di una scienza uni- taria o arte universale. L’oggetto della sapienza — scrive Co- menio nel Pansophiae prodromus del 1639 — è stato di volta in volta attribuito alla filosofia, alla medicina, alla teologia, al diritto; è stato concepito come oggetto di una scienza par- ticolare; identificato con una visione parziale che allontana ogni speranza di pervenire alla totalità, alla comprensione dell’unità del mondo. Alla visione totale, alla lettura del gran libro dell'universo si potrà giungere attraverso un pro- cesso graduale che va dall’enciclopedia sotto la specie sensi- bile (orbis sensualis) all’enciclopedia sotto la specie intellet- tuale (orbis intelletualis): alla visione unitaria, che è lo scopo più alto del sapere, non si potrà invece mai giungere me- 14 Il testo della Dissertazio didactica de sermonis latini studio in Pan- sophiae prodromus, cit., pp. 173-224. Per il tempio della pansofia cristana cfr. le pp. 122-165: « Pansophiae christianae templum ad Ipsius supremi Architecti Onnipotentis Dei ideas, normas, legesque Istruendum, et usibus Catholicae Iesu Christi Ecclesiae, ex omnibus gentibus, tribubus, populis et linguis collectae et colligendae consecran- dum ». Cfr. anche la Pansophiae Diatyposis iconographica, Amstlelo- dami, 1645. 88 CLAVIS UNIVERSALIS diante la successiva aggiunta di considerazioni parziali.!* Tutti i tentativi di giungere all'unità mediante l’enumerazione e la collezione delle soluzioni e delle tecniche particolari, sono miseramente falliti: da un lato si son confezionati gigante- schi ma inutili elenchi che volevano esaurire, in una mint- tiarum confectatio, la totalità delle parole e delle cose; dal- l’altro si son costruite ordinatissime enciclopedie simili più ad eleganti catene dai molti anelli che a macchine capaci di funzionare in modo autonomo e cocrente.!* Ne son derivati ordinati mucchi di legna disposti con gran cura e pazienza, ma non si è riusciti a dar luogo a quell’albero vivo delle scienze verdeggiante di fronde e ricco di rami e di frutti che trae alimento e vigore dalle sue proprie radici. Dar vita a quell’albero («at nos scientiarum et artium radices vivas, ar- borem vivam, fructus vivos desideramus »), sarà possibile solo attraverso la visione unitaria del tutto, la pansofia che è insieme possesso del tutto e viva immagine del vivente uni- verso: (« Pansophiam dico, quae sit viva universi imago, sibi ipsi undique cohaerens, seipsam undique vegetans, seip- sam undique fructu applens... »). A quegli inutili, pedante- schi elenchi di parole e di cose andrà quindi contrapposto il promptuarium universalis eruditionis, il libro della pan- sofia: qui la compendiosità, la chiarezza, il rifiuto di ogni oscurità, la « perpetua connexio causarum cet effectuum » la « ordinis continuo fluentis series a principio ad finem» so- stituiranno la caoticità e l’oscurità delle precedenti compila- zioni.!’ In realtà l'enciclopedia comeniana, per quanto attiene ai motivi di fondo, non si muoveva su un piano molto diverso da quello sul quale si erano mossi, nel corso del Cinquecento, !5 Cfr. Pansophiac prodromus, cit., pp. 132-136 e le considerazioni svolte a questo proposito da E. Garin, L'educazione in Europa, cit., p. 249. 16 Cfr. Pansophiae prodromus, cit., p. 41: «Quas adhuc vidi Encyclo- paedias ctiam ordinatissimas similiores visae sunt catenae annulis mul- tis eleganter contextae, quam automato rotulis artificiose ad motum composito et seipsum circumagente; et lignorum strui, magna quadam cura et ordine eleganti dispositac similiores, quam arbori e radicibus propriis assurgenti spiritus innati virtute se in ramos et frondes expli- canti, et fructus edenti ». 1? Cfr. Pansophiae prodromus, cit., pp. 21, 41-42, 136. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 189 gli “enciplopedisti” di ispirazione lulliana. Questa comu- nanza di impostazioni, che sussiste al di là delle differenze, delle critiche e dei polemici rifiuti, risulterà chiara ove si prendano in considerazioni alcuni problemi caratteristici : 1) quello dei rapporti intercorrenti fra la logica e l’enciclope- dia; 2) quello della corrispondenza fra l’universo dei segni c l'universo delle cose; 3) quello dell’unità del mondo (ritma- to secondo l'armonia delle leggi divine) rispetto alla quale l'enciclopedia si pone come uno « specchio »; 4) infine quello della logica-enciclopedica come «chiave universale » capace di dischiudere all’uomo i segreti ultimi della realtà. Su ciascuno di questi punti la posizione di Comenio è precisa: il vocabolario o la fanua linguarum coincide con la enciclopedia («januam linguarum et encyclopediam debere esse idem ») e si pongono come una intellectus humani cla- vis che consente la lettura dell’alfabeto divino impresso sulle cose; l'ordinamento rigoroso delle nozioni, l’immagine uni- taria e gerarchica dell’universo sono il frutto più alto del nuovo metodo che è in grado di ricondurre ogni nozione al suo genere e alla sua specie « ut quicquid de ulla re dicen- dum est, simul et semel de omnibus dicatur de quibus dici potest »; l’intera enciclopedia appare fondata su un numero ridottissimo di «assiomi » o di «sententiae per se fide di- gnae, non demonstrande per priora, sed illustrandae solum exemplis »; l’intero mondo del sapere apparirà in tal modo simile a una «catena » la cui struttura appare simile a quel- la in uso nella matematica: « Il rimedio sarà: una conforma- zione di tutte le arti e le scienze tale che ovunque si inizi dalle cose più note e il processo verso quelle ignote avvenga con lentezza e gradatamente, così come, in una catena, ogni anello sostiene e trascina l’altro anello... Come, presso i ma- tematici, dimostrato un teorema segue il sapere e dimostrato un problema segue l’effetto, così, nella pansofia, dimostrata una qualche parte dell’universale dottrina, ne conseguono certezza e infallibilità ».!* 18 Cfr. Pansophiae prodromus, cit., pp. 4, 24-25, 78, 85. Sulla coinci- denza della Janua linguarum e dell'enciclopedia cfr. la Janua lingua- rum reserata aurea, Lugduni Batavorum, 1640 (la prima ediz. è del 1631), prefazione e l' Eruditionis scholasticae atrium rerum et lingua- rum ornamenta exhibens, Norimbergae, 1659, p. 5 (copie usate: Braid., tt 4.30 e Angelica IV, 1.56). 190 CLAVIS UNIVERSALIS L’infinita varietà delle nozioni e delle cose è dunque ri- ducibile ad un numero limitato di « assiomi » o di « princì- pi». Questa riducibilitù —che rende possibile la stesura del libro della pansofia — appare chiaramente fondata, anche in Comenio, su alcuni tipici presupposti: le strutture del di- scorso e quelle del mondo reale si corrispondono pienamente; le stesse, identiche rationes sono presenti in Dio, nella na- tura, nell’arte. Le raziones rerum sono in ogni caso le stes- se: in Dio sono ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, nel- l’arte ut in Antytipo.?* Di fronte ai dubbi che possono essere avanzati sulla possibilità di rintracciare una «chiave univer- sale », Comenio fa appello alla riducibilità del mondo a pochi fondamentali elementi e allo stretto parallelismo intercorren- te tra le res da un lato ce i conceptus, le imagines, i verba dal- l’altro: « Per quanto le cose poste al di fuori dell’intelletto sembrino qualcosa di infinito, tuttavia esse non sono infi- nite perché il mondo, opera stupenda di Dio, consta di pochi elementi e di poche forme differenti e perché tutto quanto è stato escogitato mediante l’arte può essere ricondotto a determinati generi e a determinati punti principali. Poiché dunque fra le cose e i concetti delle cose, fra le immagini dei concetti e le parole si dà un parallelismo, e poiché nelle cose singole sono presenti alcuni princìpi fondamentali dai quali tutto il resto risulta, io pensavo che quei princìpi fon- damentali, che sono egualmente nelle cose, nei concetti e nel discorso, potessero essere insegnati. Mi veniva anche alla mente che i chimici avevano trovato il modo di liberare le essenze o spiriti delle cose dalla superfluità della materia in modo da poter concentrare in una piccola goccia una forza ingente di minerali e di vegetali e che questa goccia era, nelle medicine, di maggior efficacia che i corpi mine- rali e vegetali nella loro integrità. E non potrà essere escogi- tato nulla (pensavo) per radunare e concentrare in qualche modo i precetti della sapienza ora sparsi per i così ampi ter- reni delle scienze ed anzi, al di là dei loro stessi confini, sparsi 19 « Eadem proinde sunt rerum rationes, nec differunt, nisi existendi forma: quia in Deo sunt ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, in arte ut in Antitypo » (Pansophiac prodromus, cit., p. 67). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 191 all’infinito? Allontaniamo ogni sfiducia perché ogni atto di sfiducia è una bestemmia verso Dio ».?° Determinando i princìpi e le essenze, ponendosi come specchio fedele della natura, l’arte ha il compito di rivelare la profonda armonia che lega gli elementi dell’universo: « Omnis harmoniae fons, Deus, harmonice fecit omnia... i musici chiamano armonia la piacevole consonanza di molte voci e tale, in verità, è l’armonioso concerto delle virtù eter- ne in Dio, delle virtù create nella natura, delle virtù espresse nell’arte; in Dio, nella natura, nell'arte si dà armonia e c’è armonia divina e l’arte è immagine della natura ».?! Di qui nasceva la fede di Comenio nella possibilità di una partecipazione di tutti gli uomini a una comune salvez- za, la sua convinzione che, attraverso la conquista della pan- sofia, potessero terminare per sempre le guerre, le liti, i dis- sidi dei quali fin’ora si è nutrito il mondo: «cederent etiam non invitae tam claro lumini errorum tenebrae et hominibus facilius cessarent dissidia, lites, bella quibus se nunc conficit mundus ».?? 3. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA NEL SECOLO XVII. L'eredità dell’ enciclopedismo lullista, la fede nella pos- sibilità di un’arte capace di porsi come strumento di razionale convivenza tra le genti, l'aspirazione a un metodo universale o scienza unitaria che riveli la coincidenza tra le strutture del pensiero e quelle della realtà erano ormai state integralmente accolte, in quanto avevano di più valido, dai maggiori rap- presentanti della cultura europea. Bacone, Cartesio, Alsted, Comenio (così come più tardi avverrà con Leibniz) avevano accolto alcuni temi presenti nella tradizione lullista e li ave- °0 Pansophiae prodromus, cit., p. 86. 21 Pansophiae prodromus, cit., p. 67 e cfr. alle pp. 55-56. Ma su que- ste conclusioni cfr. anche la Janua rerum reserata hoc est sapientia pri- ma (quam vulgo metaphysicam vocant) ita mentibus hominum adaptata ut per cam in totum rerum ambitum omnemque interiorem rerum or- dinem et in omnes intimas rebus coeternas veritates prospectus pateat catholicus simulque et cadem omnium humanarum cogitationum, ser- monum, operum fons et scaturigo, formaque et norma esse appareat, 1681. 22 Pansophiae prodromus, cit., p. 44. 192 CLAVIS UNIVERSALIS vano inseriti in un più vasto discorso concernente la logica, la funzione della filosofia, i rapporti fra le scienze, l'educazione del genere umano. In molti dei testi, numerosissimi, dei se- uaci e dei commentatori di Lullo pubblicati nel corso del se- colo XVII troviamo invece solo la ripetizione di motivi ormai tradizionali, l’insistenza su temi ormai trasformati in luoghi comuni, la pedantesca riesposizione delle regole della combi- natoria. Le discussioni sull’enciclopedia, sulla trasmissione del sapere, sul metodo, sul linguaggio si andavano ormai svol- gendo, a più alto livello, in ambienti differenti. E tuttavia an- che di questi testi — non pochi fra i quali furono ammirati c celebrati in tutta Europa e amati e studiati da uomini in- signi — gioverà tener conto. Non solo per sottolineare la presenza operante di un tipo di ricerche che ebbe eco vastis- sima, ma anche per rendersi conto di come, su quelle stesse ricerche, andassero riflettendosi alcune esigenze caratteristiche della cultura del Seicento. Abbiamo già ricordato i progetti di unificazione delle scienze presenti nelle opere del Morestell, del Meyssonnier, di Jean d’Aubry, ma altri casi sono, da questo punto di vista, non meno indicativi. Nel 1632, a Parigi, veniva pubblicato da R. L. de Vassi, consigliere del Re, Le fondément de l'artifice universel... sur lequel on peut appuyer le moyen de pervenir à l’Encyclopedie ou universalité des sciences par un ordre mé- thodique beaucoup plus prompte et vrayment plus facile qu aucun autre qui soit communement receu.?* Il libro, nono- stante le mirabolanti promesse contenute nella lettera dedi- catoria, conteneva in realtà solo la parziale traduzione di alcuni scritti di Lullo. Ma è significativo che l’opera di Lullo venisse allora presentata come lo strumento atto a consentire il metodico ordinamento delle scienze e la realizzazione del- l'enciclopedia. In una situazione che il de Vassi giudicava assai poco favorevole agli studi lulliani («la pratique artift- cielle du Docteur Raymonde Lulle, mis en oubly par la plus grand part et rejetté communement du commun des Doc- teurs... ») i testi della combinatoria venivano riproposti in fun- 29 Traduit par R. L. Sicur de Vassi, conseiller du Roy, A_ Paris, dans l'imprimerie d’Ant. Champenois, 1632. (Copia usata: Triv., Mor. M. 30). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 193 zione di un problema che era, in quegli anni, estremamente attuale. E’ un atteggiamento, questo, che ritroviamo presente anche negli scritti (ben noti a Leibniz) di Jano Cecilio Frey (morto nel 1631), medico della regina madre di Francia, au- tore, oltre che di scritti di medicina e di fisiognomica, di un compendio di filosofia aristotelica e di una Via ad divas scien- tias artesque, linguarum notittam, sermones extemporaneos nova et expeditissima.?* Nell’edizione postuma delle sue ope- re ® troviamo, accanto ai consueti interessi per la retorica e per il linguaggio, per la logica (via ad scienttas) e per l’enciclo- pedia (scientiae et artes omnes ordine distributae et desumptae), il tentativo di ridurre ad assiomi i princìpi di tutte le scienze (ariomata philosophica) e di tracciare le linee di un ordina- mento degli studi. Le regole dell’arte della memoria di origine “ciceroniana” vengono riprese dal Frey e inserite — sulle tracce del Lavinheta — nella tematica dell’ars combinandi. Non a caso la pAilosophia rationalis viene ripartita dal Frey in logica, dialettica e arte memorativa (« philosophia ratio- nalis est logica et dialectica et ars memorativa »).?° La costruzione di una assiomatica delle scienze (riduzione di tutti i termini fondamentali delle singole scienze ai prin- cìpi di una combinatoria riformata), la determinazione dei rapporti fra i vari rami del sapere sono i temi centrali anche 24 L'opera fu pubblicata a Parigi (excudebat D. Langlaeus) nel 1628. Ho usato l’edizione del 1647 (Braid. W.Z.8.3). Del Frey sono da ricordare il Compendium medicinae pubblicato nel 1646 e | Onmnis homo, item amor et amicus, item Physiognonia Chiromantia Onciro- mantia, Parigi, 1630. Di questi ultimi due scritti e del panegirico com- posto dal Gaffarcl (Lacrimae sacrae in obitum Ilani Caecilii Frey me- dici, Parigi, 1631) dà notizia il THORNDIKE, History of magic and expe- rimental science, New York, 1958, VIII, pp. 456 - 57, 472-73. È da ve- dere anche l'Universae philosophiae compendium luculentissimum, ad mentem ct methodum Aristotelis concinnatum, Parisiis, excudebat D. Langlaeus, 1633 (Par. Naz. R. 9652 e R. 36568). 25 Jani Caecitu Frey, Opera quae reperiri potuerunt in unum corpus collecta, Parisiis, J. Gesslin, 1645-46, 3 parti in 2 voll. (Copia usata: Angelica, SS. 6. 15). 2° « Philosophia rationalis est logica et dialectica et ars memorativa. Dialectica quidem dans materiam disputandi et argumenta. Logica dans formas argumentandi. Dialectica vel lullistica, vel peripatetica, vel ramea » (Opera. cit., p. 527). Per la ripresa dei tradizionali motivi della mnemotecnica ciceroniana si vedano le pp. 443 - 450. 194 CLAVIS UNIVERSALIS del macchinoso Digestum sapientiae (1648 circa) di Ivo de Paris e del grande Commento all'arte lulliana di Giulio Pace, scolaro dello Zabarella e profugo a Ginevra, professore a Hei- delberg e a Padova.?” Quest'ultimo testo, compilato da uno fra i più acuti e più noti traduttori e commentatori dell’Orga- non aristotelico, da un uomo che fu, oltre che logico insigne, giurista di gran fama, sarebbe, di per sé, meritevole di un lungo discorso. Ma gioverà invece soffermarsi con una certa ampiezza su un testo del 1659 che ebbe immediata risonanza curopea e godette poi di fortuna grandissima: il Pharus scien- tiarum dello spagnolo Sebastian Izquierdo.°* Alla costruzione dell’arte universale o «scienza delle scienze» — afferma Izquierdo — hanno lavorato nei secoli Aristotele e Cicerone, Quintiliano e Raimondo Lullo. Quest’antica aspirazione verso una «logica prima» che possa illuminare, come un faro, il cammino ai naviganti nel mare della sapienza, ha trovato espressione, nell'epoca moderna, nella Sinzaxis di Pedro Gre- goire, nel Digestum di Ivo de Paris, nella Cyclognomica di Cornelio Gemma, nel Novum Organum di Francesco Bacone. Per condurre a termine l’opera da questi autori avviata, è ne- cessario rendersi conto di tre cose: 1) l'enciclopedia (la scienzia circularis o orbicularis degli antichi) non consiste in un aggre- 27 L’opera di Ivo De Paris, Digestum sapientiac, in quo habetur scien- tarum omnium rerum divinarumn atque humanarum nexus et ad prima principia reductio, fu pubblicata a Parigi fra il 1648 e il 1650. Un'altra edizione, più nota, a Lione nel 1672. Cfr. CarrERAS y ARTAU, Op. cit., ll, p. 297-98. G. Pace, L'art de Raymond Lullius esclaircy... divisé en IV livres ou est enscigné une méthode qui fournit grand nombre de termes universels d'attributs, de propositions et d’argumens par le moyen desquels on peut discourir sur tous sujets, Paris, F. Julliot, 1619 (Par. Naz. R. 42374 e Z. 19007); Artis lullianac emendatae libri IV, Neapoli, ex typ. Secundini Roncalioli, 1631 (Par. Naz. Rés. Z. 959). Sul grande commento aristotelico - In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organtm commentarius analyticus, Aureliac, 1605 - si vedano, fra l’al- tro, le considerazioni di G. Colli, introduzione alla versione italiana dell'’Orgazon, Torino, 1955, p. XXV. 28 P. SepastIan IzquierDo S. ]., Pharus scientiarum ubi quidquid ad cognitionem humanam humanitus acquisibilem pertinet, ubertim juxta atque succincte pertractatur, Lugduni, sumptibus C. Bourget et M. Liétard, 1659 (Copia usata: Par. Naz. R. 942-943). Cfr. Carreras Y Artau, II, pp. 305-308; P. Ramòn Cenat, E/ P. S. Izquierdo y su Pharus scientiarum, « Revista de filosofia », 1942, 1, pp. 127 - 154. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 195 gato di tutte le scienze, ma in una scienza speciale (« in spe ciali quadam scientia consistere ») che comprende in sé la totalità di tutte le scienze ivi compresi i princìpi della stessa scienza speciale o universale; 2) alla logica « parziale » di Aristotele, va sostituita una logica « integra » che comprenda, oltre all’ars intelligendi perfezionatrice dell’intelletto, un’ars memorandi che soccorre alla memoria, un’ars imaginandi e un’ars experiendi che si volgono ad accrescere le capacità della fantasia e quelle dei sensi esterni; 3) la metafisica deve pro- cedere con assoluto rigore dimostrativo secondo il modello delle scienze matematiche: « se i metafisici avessero ragionato dimostrativamente muovendo, al modo dci matematici, da princìpi evidenti, avrebbero già costruito gran parte della me- tafisica ». In questo modo di concepire la funzione della filo- sofia prima e in questa auspicata estensione del metodo mate- matico alla metafisica, operavano senza dubbio suggestioni cartesiane. Che si fanno ancor più evidenti quando l’Izquierdo (dopo aver criticato l’arte di Lullo per la «barbarie » della sua terminologia, l'insufficienza delle combinazioni binarie e ternarie, l'incapacità a discendere dai termini universali a quelli particolari) identifica la combinatoria con un calcolo. Solo la matematizzazione dell’ars combinandi potrà consen- tire la creazione di quell’unico strumento di tutte le scienze « per quod immediate fabrica scientiae humanae construitur et absque ullo termino semper augetur ». L’idea di avvicinare l’Ars magna ai procedimenti della matematica, assimilando la combinatoria ad un «calcolo », sarà ripresa, com'è noto, dal Leibniz e sarà feconda di im- portanti sviluppi. Ma negli anni nei quali il giovane Leibniz si volgeva alla « nuova » combinatoria, si trattava, contraria- mente a quanto molti han ritenuto, di idea non peregrina. La ritroviamo per esempio, chiaramente formulata, negli scritti di quel singolare venditore di fumo che fu il padre gesuita Atanasio Kircher,*° celebrato per le sue mirabili competenze 2° Sul Kircher cfr. Carreras Y Artau, II, pp. 309-13; L. THORNDIKRE, History of magic, cit., VII, pp. 567 - 578; L. Couturat, La logique de Leibniz, Paris, 1901, pp. 541-43; P. FriepLanpER, A. Kircher und Leibniz. Ein Beitrage zur Gesch. der Polyhistorie im XVII Jahrh., in «Atti della Pontificia Accad. romana di archeologia », Rendiconti, 1937, pp. 229- 247. 196 CLAVIS UNIVERSALIS in fisica e in archeologia, in filologia e in egittologia, in storia e in teoria del linguaggio, autore, fra l’altro, del celeberrimo Mundus subterraneus e di un trattato, altrettanto noto, sui mi- steri dei numeri.?° Ed è significativo, importante per l’inten- dimento di un ambiente culturale, che l'accostamento dell’Arte ai procedimenti matematici, l'esaltazione della combinatoria di Diofanto (« Diophanti nobilis mathematici ars combinato- ria ») alla quale veniva ravvicinata la combinatoria di Lullo, ci appaia presente non solo negli scritti di logici insigni, come l’Izquierdo, ma nelle opere confusissime di un uomo come il Kircher per tanti aspetti legato ai temi della tradizione erme- tica e della sapienza gnostica, ai motivi della magia e della cabala, alle speculazioni sui misteria numerorum. Nonostante le sue tirate retoriche sul valore del metodo sperimentale e la sua difesa della nuova scienza, Kircher credeva alle qualità occulte, alle « simpatie » e ai poteri dell’immaginazione, riat- fermava la teoria della generazione spontanea, era convinto dell’esistenza di demoni girovaganti per le miniere, era pronto, in ogni caso e in ogni circostanza a sottolineare gli aspetti « miracolosi » e meravigliosi » della realtà. Quando l’impera- tore Ferdinando III, durante le aspre polemiche suscitate in Germania dall’apparizione del Pharus scientiarum dell’ Iz- quierdo, fece appello alla dottrina del Kircher per essere in- formato sulla reale utilità dell’arte lulliana e sulla possibilità di una sua ulteriore semplificazione, il gesuita tedesco elaborò una complicata riforma che si rifaceva in gran parte al Pharus dell’ Izquierdo.?! Mentre riprendeva le critiche del suo pre- decessore, Kircher si volgeva però, con prevalente interesse, alla costruzione delle immagini, alle allegorie, alla elabora- zione di figure e di simboli, ai misteri dell'alfabeto. Negli ultimi decenni del secolo, soprattutto ad opera dei °° A. KircHer, Mundus subterraneus, Amstelodami, apud Joannem Janssonium et Elizeum Weyerstraten, 1664-65; Arithmologia sive de abditis numerorum mysteriis, Roma, 1665. 31 A. KircHer, Ars magna sciendi in XII libros digesta, qua nova et universali methodo per artificiosum combinationum contextum de omni re proposita plurimis et prope infinitis rationibus disputari omniumque summaria quaedam cognitio comparari potest, Amsterdam, 1669. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 197 gesuiti, il lullismo si legava ancora una volta all'atmosfera, ormai torbida ed equivoca, dell’ermetismo e della magia. Nei farraginosi scritti di un altro gesuita, il padre Caspar Knittel, troviamo solo un’ampia esposizione delle regole della combi. natoria e la stanca, monotona ripetizione delle tesi del Kir- cher.*° Nei primi anni del Settecento, un grande erudito, il Morhofius, esprimeva, su queste riforme e questo tipo di pro- duzione magico-filosofica, un giudizio che può essere ripreso: « illa vero consistit in eo [nel Knittel] emendatio, quod nova comminiscatur Alphabeta, aliis literarum formis alioque or- dine, quae mihi res exigua videtur »." 4. L’ALFABETO FILOSOFICO DI GiovanNI EnrICO BISTERFIELD. In tutt'altro senso, intorno alla metà del secolo, aveva par- lato dell’ « alfabeto » Giovanni Enrico Bisterfield che aveva progettato un « alfabeto filosofico » dopo aver raccolto e ordi- nato, in accuratissime tavole, tutti i termini tecnici e tutte le definizioni impiegati da ciascuna scienza.?* Nella creazione di 22 Sull'ipotesi di una presa di posizione dei Gesuiti in favore della magia contro la nuova scienza cfr. L. THorNDIKE, History of magic, cit, VII, pp. 577 -78. 33 Caspar KNITTEL S. J., Via regia ad omnes scientias et artes, hoc est ars universalis scienttarum omnium artiumque arcana facilius pene- trandi, Pragae, J. C. Laurer, 1687 (Par. Naz. Z. 11263); ma è da ve- dere anche la Cosmographia elementaris, Norimbergae, J. A. et W. Endteri, 1674 (Angelica, CC. 9. 13). °4 D. G. MorHorius, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, Lubecca, 1732, I, p. 358. 35 Ho fatto uso dei due volumi delle opere: Bisterfieldus redivivus, seu operum Joh. H. Bisterfieldi... tomus primus-secundus, Hagae Co- mitum, ex typographia A. Vlacq, 1661. Il primo volume contiene: Alphabeti philosophici libri tres (pp. 1-132); Aphorismi physici (pp. 133 - 190); Sciagraphia Analyseos (pp. 191-211); Parallelismus analy- seos grammaticae et logicae (pp. 212-243); Artificium definiendi catho- licum (pp. 1-104); Sciagraphia Symbioticae (pp. 3-144). Il secondo volume contiene: Logica (pp. 1-451); De puritate, ornatu et copia lin- guae latinae, (pp. 1-26); Ars disputandi (pp. 27 - 33); Ars combinatoria (pp. 34-36); Ars reducendorum terminorum ad disciplinas liberales technologica (pp. 37-41); Ars seu canones de reductione ad praedica- menta (pp. 42-46); Denarius didacticus, seu decem aphorismi bene di- scendi (pp. 47 - 49); Didactica sacra (pp. 50-53); Usus lexici (pp. 54 - 64). (Copia usata: Angelica, XX, 9. 49 - 50). Del Phosphorns catholicus, seu 198 CLAVIS UNIVERSALIS queste tavole, nella ricerca di perfette definizioni si esauriva per Bisterfield la stessa enciclopedia, quel pictum mundi am- phitheatrum che è « ordinatissima compages omnium disci- plinarum ».'° Più che sulla logica e sul metodo (inteso come regola dell'intelletto e rimedio alla naturale debolezza della memoria) Bisterfield insiste infatti sull'importanza decisiva della praxis logica che è una «artificiosa coniunctio » dei ter- mini della logica e di quelli dell’enciclopedia, una mescolanza degli instrumenta della logica con l’universale enciclopedia.*’ Alle radici dell’enciclopedia stanno i termini trascendentali (« termini trascendentales sunt primae universae encyclopae- diae radices »): da essi muovono l’analisi (che è riduzione di un discorso o di un testo ai suoi termini semplici) e la genesi (che è « simplicium combinatio »): come per una scala si potrà pervenire a quell’artificium definiendi che consente una esatta definizione di tutti i termini dell’enciclopedia e una risolu- zione di tutti i termini nei termini primari o fondamentali.?* ars meditanti epitome cui subjunctum est consilium de studiis felici- ter instituendis ho visto l'edizione del 1657 Lugduni Batavorum, H. Verbiest (Angelica, SS. 5. 451). 36 Alphabeti philosophici libri tres, p. |. 3? Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, p. II0: «Praxis logica con- summatur, si omnes termini logici, cum universa encyclopaedia mi- sccantur »; Logica, pp. 323-326: « Usus seu praxis logica est artificiosa instrumentorum logicorum ct terminorum enciclopaediae coniunctio... In praxi logica singulos terminos logicos cum singulis singularum disciplinarum terminis conferri debere ». 38 Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, p. 53: « Termini trascenden- tales sunt primae universae encyclopaedia radices »; Sciagraphia analy- scos, p. 191: « Analysis est accuratum de textu seu dissertatione in sua principia resoluto iudicium. Totuplex sit analysis quotuplex in textu adhibita fuit genesis, idque ordine retrogrado. Analysis autem upote praxis frugalem compendiorum ac tabularum cognitionem prae- supponit »; A/phabeti philosophici libri tres, p. 110: «Praxis logica est vel simplicium combinatio vocaturque Genesis, vel combinatorum reductio vocaturque analysis, vel denique mixta estque vel Genesis- analysis vel Analysis-genesis cuius varietas est infinita »; Artificium definiendi, pp. 1-2: « Artificium definiendi catholicum est quod do- cet modum omnium encyclopaediace terminorum definitiones accurate inveniendi ac diiudicandi... Scopus huius artificii est foclix id est fa- cilis, solida ac practica, et quoad in hac vita fieri potest, certa perfec- taque universa encyclopaediac cognitio... Definitiones sunt omnis ge- neseos et analyseos claves et normae. Omnis enim mentis et entis, cum ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 199 Sull’importanza delle definizioni che sono claves et normae della praxis logica, Bisterfield insiste senza posa. « Tantum scit homo solide quantum scit definire »: per giungere a deft- nire esattamente gli enti reali e gli enti di ragione, gli enti separati e quelli collettivi, gli enzia positiva e quelli priva- tionis, è necessario in primo luogo un dizionario (romencla- tura) dei termini impiegati nei vari discorsi propri delle sin- gole discipline. Sulla base del dizionario verranno costruite le tavole che sono «totius mundi totiusque encyclopaediae re- praesentationes ». Mediante le tavole verranno posti in luce i termini omogenei, quelli subordinati e quelli coordinati. La costruzione di una tabula primitiva, comprendente i termini comuni a tutte o alla maggior parte delle scienze, avvierà alla comprensione di quell’armonia delle scienze che, Bisterfield se ne rende ben conto, è insieme basis et clavis della prassi logica :*° « L’armonia delle scienze è la base e la chiave della prassi logica. Quest'armonia è quella soavissima convenienza per la quale non solo tutte le scienze concordano con tutte, ma anche le parti con le parti di ciascuna; ed è così grande quest’armonia che uomini valorosissimi credono che non si diano più scienze, ma una sola scienza, o piuttosto che sia unico il corpo e il sistema di tutte le scienze ».*° Per realizzare quest’unico systema, per giungere alla indi- viduazione dei termini trascendentali cui tutti gli altri ap- paiano analiticamente riducibili, Bisterfield aveva ritenuto in- dispensabile una elencazione minuziosa e accuratissima delle reductionem, tum deductionem complectuntur, si singula definitionum verba in primos terminos per scalam descendentem et ascendentem resolvantur, sic enim erunt omnigenae reductionis claves, argumento- rum compendia, propositionum fontes, syllogismorum et methodorum lumina ». 9 Sulle definizioni’ cfr. Artificium definiendi, in particolare alle pp. 3, 4, 6. Sulle tavole cfr. p. II, 12, 15: « Tabulae fundamentales (quae sunt certae terminorum homogcanorum subordinationes et coordina- tiones) sunt faciles, sed accuratae totius mundi totiusque encyclopac- diae repraesentationes... Universa illa inductio ac structura tabularum nititur panharmonia tum rerum tum disciplinarum... Tabula primitiva est prima simplicissima universalissima adeoque brevissima  totius mundi totiusque encyclopaediae repraesentatio... cam vocabimus ca- tholicam ». 4° Logica, p. 325. 200 CLAVIS UNIVERSALIS cose e delle nozioni. Il « teatro del mondo », con le sue tavole che rappresentano tutto ciò di cui può discorrere la mente umana, si poneva ancora una volta a fondamento dell’arte, della logica, della scienza delle scienze: «I termini trascen- dentali sono le radici prime dell’universale enciclopedia che è ordinatissima raccolta di tutte le discipline o anfiteatro di- pinto del mondo... L’universale artificium definiendi insegna ad accuratamente rintracciare e giudicare le definizioni di tutti i termini dell’enciclopedia... La prassi logica viene realizzata quando tutti i termini logici vengono mescolati con l’enci- clopedia universale... Le tavole universali costituiscono il no- bilissimo alfabeto di tutte le discipline. Esse devono contenere tutto e devono rappresentare tutto ciò di cui la mente umana può discorrere e chi meglio possiederà le tavole avrà più fermi i semi della scienza. Esse sono le attrezzatissime officine di ogni pensiero e ci pongono sotto gli occhi tutto ciò intorno a cui e muovendo da cui si può discorrere. Di qui possono essere ricavati tutti i temi, tutti gli argomenti, tutti gli as- siomi, tutti i sillogismi, tutti i metodi ».‘ 41 Cfr. Artificium definiendi, p. 1; Alphabeti philosophici libri tres, p. 110; Logica, pp. 330-331. VII. LA COSTRUZIONE DI UNA LINGUA UNIVERSALE 1. I GRUPPI BACONIANI IN INGHILTERRA: PROGETTI DI UNA LINGUA UNIVERSALE. All’inizio del suo Essay towards a real character and a philosophical language, pubblicato a Londra, sotto gli au- spici della Royal Society, nel 1668," John Wilkins, chiarendo le linee fondamentali del suo progetto di una lingua « filo- sofica », « perfetta» o «universale », rimandava il lettore a quellepagine dell’Advancement of learning e del De aug- mentis scientiarum nelle quali Bacone aveva enumerato le 1 An essay towards a real character and a philosophical language by Joun Witkins, D. D. Dean of Ripon and Fellow of the Royal Soctety, London, printed for Sa. Gellibrand and for John Martyn printer to the Royal Society, 1668, p. 13. (Copia usata: Ambros., Villa Pernice, 19069). Su John Wilkins, vescovo di Chester e membrodellaRoyal Society, autore del celebre scritto The discovery of a wordl in the moo- ne, 1638, cfr. Niceron, Mémoires, Paris, 1750, IV, pp. 129-134. Fra i contributi di maggior rilievo sono da segnalare: A. W. HENDERSON, The life and times of }. Wilkins, London, 1910; D. Stimson, Dr. Wil- kins and the Royal Society, in «Journal of modern history », 1931, pp. 539-563; R. F. Jones, Science and language in England of the mid-seventeenth century, in « Journal of Engl. and Germ. Philology », 1932, poi ripubblicato nel volume The seventeentài century, Standford, 1951, pp. 143-160; C. AnpRrape, The real character of Bishop Wilkins, in « Annals of science », 1936, pp. | segg.; F. ChÙristensen, /. Wilkins and the Royal Societys reform of prose style, in « Modern Language Quarterly », 1946, 7, pp. 179 segg.; R. H. Svyrret, The origins of the Royal Society, in « Notes and records of the Royal Society of Lon- don », 1948, 5, pp. 117 segg.; C. Emery, John Wilkins universal lan- guage, in « Isis», 1948, pp. 174-185; B. De MotT, Comenius and the real character in England, in « PMLA », 1955, pp. 1068 - 1081; Science versus mnemonics, în « Isis», 1957, pp. 3-12. Scarso interesse presen- tano le osservazioni contenute nel noto volume di C. K. Ocpen e I. A. RicHarps, The meaning of meaning, London, 1948, pp. 40-44. Sulle idee astronomiche di Wilkins sono da vedere i saggi di G. Mc. Cottey, in « Annals of science », 1936 - 39, in « PMLA », 1937, e in « Studies in Philology », 1938. Una parte dell’Essay di Wilkins fu ripubblicata in F. TecHmer, Beitràge zur Geschicthe der franzòsischen und en- glischen Phonetik und Phonographie, Heilbronn, 1889. 202 CLAVIS UNIVERSALIS differenze esistenti tra i geroglifici e i «caratteri reali ».? I primi, in quanto emblemi, « hanno sempre qualcosa in co- mune con la cosa significata »; i secondi — aveva scritto Ba- cone — «non hanno nulla di emblematico », sono caratteri costruiti artificialmente il cui significato dipende solo da una convenzione e dall’abitudine che su di essa sì è andata in se- guito istituendo. Anche le lettere dell'alfabeto derivano da convenzione, ma i caratteri reali, a differenza delle lettere alfabetiche, rappresentano non lettere o parole, ma diretta- mente cose e nozioni (« neither letters nor words... but things or notions »): « È da qualche tempo cosa assai nota che in Cina e nelle regioni dell’ Estremo oriente sono oggi in uso dei caratteri reali, non nominali; che esprimono cioè non let: tere c parole, ma cose e nozioni. In tal modo genti di diver- sissime lingue, che consentono su questo tipo di caratteri, co- municano tra loro per scritto; e in questo modo un libro, scritto in quei caratteri, può essere letto da chiunque nella sua propria lingua... I caratteri reali non hanno nulla di emble- matico e sono in qualche modo sordi, costruiti in modo ar- bitrario (ad placitum) e poi accolti per consuetudine come per un tacito patto. È chiaro poi che questo genere di scrittura esige una grandissima quantità di caratteri che devono es- sere tanti quante sono le parole radicali (vocabula radicalia)». Alla creazione di una lingua universale e artificiale, che climini la confusione delle lingue naturali e ne superi le de- ficienze e le imperfezioni, contesta di simboli che fanno ri- ferimento non ai suoni, ma direttamente alle «cose », si de- dicheranno, nella seconda metà del secolo, non pochi cul- tori inglesi di logica e di problemi del linguaggio :* nel 1652 esce a Londra uno scritto di Francis Lodowick: The grund- work or foundation laid (or so intended) for the framing of a new perfect language; nel 1653 appare il Lagopandecteision, or an introduction to the universal language di Thomas Ur- ° Cfr. F. Bacon, Works, by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath, Londra, 1887-92, I, pp. 650-51; HI, pp. 399-400. ® Sui linguaggi universali nell’Inghilterra del sec. XVII: O. FunckE, Zum Weltsprachenproblem in England im 17 Jahr., Heidelberg, 1929 c le brevi indicazioni contenute in L. Coururat-L. LeAau, Histoire de la langue tniverselle, Paris, 1907, pp. 11-28 (cfr. la recensione di G. Vartati, Scritti, Firenze, 1911, pp. 541 - 45). LA LINGUA UNIVERSALE 203 quhart (1611 - 1660), il notissimo traduttore di Rabelais; quat tro anni dopo Cave Beck pubblica la sua opera The univer- sal character by which all nations may understand one ano- ther's conceptions; le Tables of the universal character e V Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica di George Dalgarno (1626-1687) vedono la luce, sempre a Londra, rispettivamente nel 1657 e nel 1661; nel 1668, infine, John Wilkins (1614-1672) pubblica il già ricordato £Essay towards a real character and a philosophical language. Per comprendere il significato di queste opere (e delle altre dello stesso tipo) e la funzione storica da esse esercitata, per intendere l’atmosfera culturale dalla quale esse trassero alimento e dalla quale derivarono le ragioni della loro dif- fusione e del loro successo, bisognerà tener conto di tre grandi fenomeni storici che caratterizzano (per quanto qui ci concerne) la vita intellettuale inglese nella prima metà del secolo XVII. Si tratta: 1) in primo luogo della profon- da, decisiva azione esercitata in Inghilterra dall’opera di Ba- cone e dai gruppi “baconiani” della Royal Society, impe- gnati in una dura lotta contro la retorica del tardo umanesi- mo e in un'appassionata difesa della nuova scienza; 2) in se- condo luogo di quella grande “rivoluzione” (che non fu solo « mentale » perché investì non solo le idee e la cultura, la letteratura e il modo di pensare, ma anche le istituzioni accademiche e scientifiche, il modo di insegnare, di impa- rare e di vivere) che conseguì ai grandi progressi della “fi- losofia sperimentale” e degli studi fisico-matematici; 3) in terzo luogo, infine, della profonda risonanza che l’opera, l'insegnamento, le utopie, le speranze di Giovanni Amos Co- menio ebbero su molti ambienti della cultura filosofica, poli- tica, religiosa dell’ Inghilterra del Seicento. Cominciamo dunque da Bacone, anche perché le sue af- fermazioni sui caratteri reali (il termine avrà, in Inghilterra e fuori, una fortuna grandissima), la posizione da lui assunta nei confronti del problema del linguaggio, costituiscono, in tutte queste trattazioni di lingua universale, dei presupposti implicitamente (ma quasi sempre esplicitamente) presenti. Sul carattere « materialistico » delle teorie linguistiche di Ba- cone, Richard Foster Jones ha scritto pagine di grande rilie- vo nelle quali, fra l’altro, è stato anche dimostrato il gran 204 CLAVIS UNIVERSALIS peso esercitato dalle tesi baconiane su quella « rivoluzione stilistica » che caratterizza, in Inghilterra, durante la Restau- razione, gli sviluppi della prosa secolare (testi di storia, di filosofia naturale, di politica) e religiosa (libri di edificazione, prediche, preghiere). Foster Jones ha parlato di una «an- tipatia di Bacone per il linguaggio». In realtà si tratta di qualcosa di più che di una «antipatia »: l’atteggiamento di Bacone è fondato sulla convinzione che il linguaggio, come del resto gli altri prodotti dello spirito umano, costituisca o possa costituire un ostacolo, del quale tuttavia in quanto crea- ture umane non si può fare a meno, alla autentica compren- sione della realtà, sia, in altri termini, qualcosa che s! frap- pone fra l’uomo e i fatti reali o le forze della natura. Per « avvicinarsi alle cose » è necessario da un lato rifiutare i nomi che non corrispondono a cose reali, dall’altro impa- rare a costruire parole che rispondano alla realtà effettiva delle cose. Gli :4ola che si impongono all’intelletto per mezzo delle parole — afferma Bacone nel paragrafo 60 del Novum Organum — sono di due generi: o sono nomi di cose che non esistono, o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, mal definiti e astratti dalle cose in modo affrettato e parziale. I primi sono legati a determinate teorie fantastiche (la for- tuna, il primo mobile ecc.) e, mediante un rifiuto di quelle teorie è possibile liberarsi da essi. Nel caso dei secondi il problema è molto più complesso perché qui si ha a che fare con una inesperta « astrazione dalle cose » che ha dato luo- go a nozioni confuse. Queste affermazioni di Bacone ci consentono di chiarire ulteriormente la sua posizione di fronte al linguaggio: le no- zioni devono essere astratte correttamente dalle cose e cor- rispondere ad esse; ove la nozione sia stata costruita in modo vago e impreciso il nome risente di questa vaghezza e im- precisione. Inoltre i nomi attribuiti alle cose, le parole, eser- citano a loro volta un'azione sull’intelletto: le parole indi- canti nozioni vaghe «ritorcono e riflettono sull’intelletto la 4 Oltre al saggio qui sopra indicato si vedano: Science and english prose style in the third quarter of the seventeenthà century; Saence and criticism in the neo-classical age of english literature, anch'essi ripubblicati nel volume The seventeentà century, cit., pp. 41-74; 75-10. LA LINGUA UNIVERSALE 205 loro forza » e condizionano negativamente la sua stessa ri- cerca di nozioni precise. In tal modo le parole « riflettono i loro raggi e le loro immagini fin dentro la mente e non solo sono dannose alla comunicazione, ma anche al giudizio e all’intelletto ». Quando, attraverso un'osservazionepiù ac- curata e una più attenta opera di «astrazione », si tenta di far meglio corrispondere le parole alla natura, «le parole si ribellano » e danno luogo a infinite, sterili controversie che hanno per oggetto non la realtà, ma solo i nomi e le parole. Il tentativo di impiegare definizioni precise del tipo di quelle usate dai matematici non appare a Bacone molto utile: « trat- tandosi di cose naturali e materiali, neppure le definizioni possono rimediare a questo male, perché le stesse definizioni constano di parole e le parole generano altre parole ». Era, questa, una conclusione assai significativa e la critica (svolta da Bacone nel Novum Organum) del termine « umi- do » è preziosa per intendere il suo punto di vista: la equi- vocità del termine « umido » dipende per lui dalla equivocità della nozione di « umido » che indica una molteplicità di comportamenti diversi e che è stata « astratta superficialmen- te e senza le dovute verifiche soltanto dall’acqua e dai liqui- di comuni e volgari ». Di fronte a questa varietà di signifi- cati, non si tratta, per Bacone, di dare una definizione che determini il campo di applicazione del termine « umido » predeterminando l’uso possibile di quel termine e limitan- done il senso, ma di elaborare, sulla base «di uno studio dei casi particolari, della loro serie e del loro ordine », una nozione che riconduca ad unità la diversità dei comporta- menti e serva da criterio per spiegare questa diversità. La validità di questo criterio sarà però, sempre e in ogni caso, dipendente dalla maggiore o minore corrispondenza alle cose della nozione così elaborata. Si comprende in tal modo come Bacone possa giungere ad una identificazione dei termini “ nozione » e « parola » (« mala et inepta verborum imposi- to », « nomina temere a rebus abstracta » ecc.) che è in con- trasto con gli accenni convenzionalistici pur presenti nella sua trattazione del linguaggio. In conclusione: ciò che Ba- cone non è in alcun modo disposto ad accettare è una teoria che identifichi la verità di una proposizione con la coerenza logica tra i termini che compongono la proposizione stessa: 206 CLAVIS UNIVERSALIS la ricerca si riporta di continuo alle cose, alle qualità sensi- bili e alle proprietà dei corpi materiali. L'ispirazione fonda- mentalmente « materialistica » di questa concezione del lin- guaggio si fa particolarmente evidente quando Bacone crea una specie di graduatoria rispecchiante «i diversi gradi di aberrazione e di errore presenti nelle parole »: il genere di nomi meno difettoso è quello dei nomi di alcune sostanze ben note (creta, fango, ecc.); più difettoso è il genere di nomi indicanti azioni (generare, corrompere, ecc.); più difettoso di tutti è il genere dei nomi di qualità (grave, denso, leg- gero, ecc.).° Bacone aveva dunque contrapposto le «cose» alle « pa- role », aveva insistito sulla necessità di un linguaggio che rimandasse, il più direttamente possibile, alla realtà e alle operazioni o forze presenti nella natura, aveva accentuato i pericoli presenti nell’uso del linguaggio, aveva pensato ad una lingua artificiale, composta da simboli di tutte le « pa- role radicali » che potesse climinare alcuni o molti di questi pericoli. Ma Bacone — e questo è altrettanto importante — era stato anche il /eader dell’anticiceronianismo, si era fatto assertore dei brevi aforismi contrapponendoli al corposo pe- riodare dei seguaci di Cicerone, aveva sostenuto la necessità di un ritorno allo stile «attico» o «senechiano » mirante alla espressività e alla chiarezza, vicino alla « brevità » degli Stoici, « grave » e « sentenzioso », lontano dagli abbellimenti retorici, dalle fioriture stilistiche, dall'impiego delle analogie ce delle metafore, Bacone aveva polemizzato contro le scolasti- che « dispute di parole » e aveva contrapposto al linguaggio in uso nelle Scuole una lingua breve ed essenziale, precisa e cruda, capace di rimettere nuovamente l’uomo — dopo tanti secoli di tenebre e di volontario acciecamento — ‘a contatto con il mondo.° ® Cfr. F. Bacon, Works, cit., III, p. 581 (Redargutio philosophiarum); sugli idola fori: III, pp. 396 -97 (Advancement); HI, p. 599 (Cogitata et visa) e Novum Organum, I, 15, 16, 43, 59, 60. © Cfr.M. W. CroLt, Attic prose in the seventeenth century, in « Stu- dies in philology », 1921, pp. 79- 128; Artic prose: Lipsius, Montaigne, Bacon, in Schelling anniversary papers, New York, 1932; The baroque style of prose, in Studies in english philology; a miscellany in honour of F. Klaeber, Minneapolis, 1929. LA LINGUA UNIVERSALE 207 Negli scritti dei seguaci e degli ammiratori di Bacone, nelle opere di molti fra i maggiori difensori della nuova scienza troviamo, energicamente riaffermate, le posizioni ora delineate. Basterà qualche esempio. John Webster, cap- pellano nell’armata del Parlamento, acceso sostenitore della filosofia baconiana, attacca con estrema violenza nell’Acade- miarum Examen (Londra, 1653) la retorica e l’oratoria che « servono solo per adornare e sono soltanto l’abito e la veste esteriore di ben più solide scienze », respinge gli studi gram- maticali che gli appaiono inutili ad un reale progresso della conoscenza e insiste sulla opportunità di una « symbolic and emblematic way of writing » che superi la confusione e le imperfezioni delle lingue naturali.” Nelle Considerations touching the style of the holy scriptures di Robert Boyle (scritte nel 1653 e pubblicate nel ’61) troviamo lo stesso di- sprezzo per ogni inutile abbellimento dello stile. In un in- teressante brano autobiografico lo stesso Boyle contrapponeva la sua propensione per la filosofia sperimentale e per la cono- scenza delle cose alla sua avversione e al suo disprezzo per lo studio delle parole insistendo anche sull’ambiguità e «li- cenziosità » dei termini scientifici che è esiziale al progresso della vera filosofia: «my propensity and value for real lear- ning gave me such aversion and contempt for the empty study of words... ».° Robert Boyle si era a lungo interessato ai problemi di una lingua artificiale; sui danni che derivano alla scienza dalla confusione delle lingue naturali si sofferma a lungo un altro fervente baconiano, Joshua Childrey, che nella sua Britannia Baconia (Londra, 1660) afferma che il volto della realtà non va sfigurato imbrattandolo con il bel- letto del linguaggio (« not disfigure the face of truth by dau- bing it over with the paint of language »). Anche Thomas Sprat, la cui History of the Royal Society (1667) rispecchia anche le opinioni dei suoi illustri colleghi, condanna l’uso delle metafore, la viziosa abbondanza delle frasi, la continua variabilità delle lingue come altrettanti mali dai quali gli ‘ J. Wessrer, Academiarum examen, Londini, 1653, pp. 21, 24 e cfr. R. F. Jones, The seventeenth century, cit., pp. 82, 147-48. * The works of the honourable Robert Boyle, ed. T. Birch, London, 1772, I, pp. TI, 29-30; II, pp. 92, 136; III, pp. 2, 512; IV, p. 365; V, pp. 54, 229. 208 CLAVIS UNIVERSALIS uomini di scienza debbono liberarsi.’ Difendendo la Roya! Society dagli attacchi di Henry Stubbe che aveva osato assa- lire tutti i « true-hearted virtuous intelligent disciples of our Lord Bacon », George Thompson scriveva nel 1671: "Tis Works, not Words; Things not Thinking; Pyrotech- nie [chimica], not PhAilologie; Operation, not merely Speculation, must justifie us physicians. Forbear then hereafter to be so wrongfully satyrical against us noble Experimentators, who questionless are entred into the right way of detecting the True of things.!° 2. SIMBOLI LINGUISTICI E SIMBOLI MATEMATICI. Le ricerche tendenti alla costruzione di una lingua « filo- sofica » o «perfetta » trovarono un terreno oltremodo favo- revole nell’atmosfera culturale che abbiamo ora brevemente delineato. E queste diffuse esigenze di chiarezza e di rigore, questi progetti di una lingua simbolica trassero senza dub- bio alimento dagli sviluppi degli studi matematici, anche se sarebbe impresa disperata sostenere che i progetti di una lingua universale, ai quali qui si fa riferimento, dipendano o storicamente derivino da quegli sviluppi. Il “rigore” delle dimostrazioni matematiche, il largo impiego, in matematica, di “simboli” contribuì però senza dubbio a rafforzare l’idea che fosse possibile, per gli scienziati, ridurre il loro stile a quella « mathematicall plainess» di cui parlava, nella Histo- ry of the Royal Society, il baconiano Thomas Sprat: «essi hanno avuto la costante risoluzione di rifiutare tutte le am- plificazioni, digressioni e ampollosità dello stile: hanno vo- luto far ritorno alla primitiva purezza e brevità, a quando gli uomini esprimevano molte cose all’incirca con un egual numero di parole. Hanno richiesto a tutti i membri della So- cietà: un modo di parlare discreto, nudo, naturale; espres- sioni positive; sensi chiari; una nativa facilità; la capacità di portare tutte le cose il più vicino possibile alla chiarezza della ® THoMas SpraT, The history of the Royal Society of London, London, 1667, pp. 95 - 115. Cfr. H. FiscH and H. W. Jones, Bacon's influence on Sprat's History, in « Modern Language Quarterly », 1946. 1° Grorce THomprson, Mtooxoplag. Londra, 1671, pp. 31, 40. Cfr. R. F. Jones, in The seventeenth century, cit., p. 145. LA LINGUA UNIVERSALE 209 matematica; una preferenza per il linguaggio degli artigiani, dei contadini, dei mercanti piuttosto che per quello dei dotti ».!! A conclusioni più precise di quelle dello Sprat giunge- vano quegli studiosi che avevano, almeno in parte, subito l'influenza delle posizioni di Hobbes e accolto la sua defini- zione dei « termini » come simboli di relazioni e di quantità e la sua concezione del linguaggio come « calcolo ». Da questo punto di vista è tipica la posizione di Seth Ward, professore di astronomia ad Oxford, che vede nella « symbolicall way inven- ted by Vieta, advanced by Harriot, perfected by Mr. Oughtred and Des Cartes » il rimedio migliore alla verbosità eccessiva dei matematici. Quel tipo di scrittura, secondo il Ward, può essere esteso all’intero linguaggio in modo che, per ogni cosa e nozione possano essere trovati simboli appropriati e tali da eliminare ogni confusione: «I was presently resolved that symboles might be found for every thing and notion ». Con l’aiuto della logica e della matematica (0y the helpe of logick and mathematicks) tutti i discorsi umani potranno essere ri- solti in enunciati (resolved in sentences), questi in parole (words) e, poiché le parole significano nozioni semplici o sono in esse risolvibili (eszher simple notions or being resol- vible into simple notions), una volta rintracciate le nozioni semplici e assegnati ad esse dei simboli, sarà possibile rag- giungere un discorso rigorosamente dimostrativo tale da ri- velare (e l’aggiunta è importante) le nature delle cose (the natures of things). « Un linguaggio di questo tipo — conclu- deva Seth Ward — nel quale ogni termine sarebbe una de- finizione e conterrebbe la natura della cosa, potrebbe non ingiustamente essere denominato un linguaggio naturale, e potrebbe realizzare quell’impresa che i Cabalisti e i Rosa- cruciani hanno invano tentato di portare a compimento quando ricercavano, nell’ebraico, i nomi assegnati da Adamo alle cose »."* A una lingua universale, composta di caratteri « incomparabilmente più facili di quelli attuali » e a un Dic- tronary of sensible words che fornisse la necessaria termino- logia al meccanicismo hobbesiano, lavorò anche, dopo la metà 1 TH. Sprat, The history, cit., p. 113. 1? SetH Warp, Vindiciac academiarum, Londra, 1654, pp. 20-21. Cfr. R. F. Jones, in The seventeenth century, cit., pp. 151-152. 210 CLAVIS UNIVERSALIS del secolo, William Petty, membro della Società reale e gran- de pioniere negli studi di economia politica. « Il dizionario di cui ho parlato — scrive in una lettera a Southwell — ave- va lo scopo di tradurre tutti i termini usati nell’argomenta- zione e nelle materie più importanti in altri termini equiva- lenti che fossero signa rerum et motuum ».'* Anche Robert Boyle, in una lettera del marzo 1647, aveva visto nel carat- tere interlinguistico dei simboli matematici, una prova della possibilità di costruire una lingua composta di caratteri reali: «In verità, poiché i caratteri che impieghiamo in matema- tica sono compresi da tutte le nazioni europee nonostante che ciascuno dei tanti popoli esprima questa comprensione nella sua lingua particolare, non vedo alcuna impossibilità a fare, con le parole, ciò che già abbiamo fatto con i nu- meri ».!* Gli stessi cultori di algebra e di matematica non furono del tutto estranei a queste discussioni sul linguaggio, sulla scrittura, sui simboli. Abbiamo già visto quali fossero, su questi argomenti le opinioni dell’astronomo e matematico Seth Ward, ma anche negli scritti del grande matematico John Wallis il problema dei carazteri o delle note da impie- gare nell’algebra veniva presentato come un aspetto del più generale problema dei segni, delle cifre e delle scritture. For- temente interessato agli sviluppi storici dell’algebra, Wallis metteva chiaramente in rilievo, nelle pagine del De algebra, i vantaggi che presentavano, di fronte alla troppo prolissa simbologia del Viète i characteres o le notae compendiosae di William Oughtred. Nella Mazhesis universalis del 1657 troviamo, numerosissimi, i riferimenti al problema della scrit- tura in genere e della scrittura occulta in specie: « haec qui- dem occulte scribendi ratio, flagrante nuper apud nos Bello intestino, admodum erat familiaris». Non a caso, nel De loquela sive sonorum formatione, premesso alla sua Gram- 1° Cfr. The Petty papers, ed. Marquis of Lansdowne, Londra, 1927, voll. 2, I, pp. 150-51; Petty-Southwell Correspondence: 1676-1687, cd. Marquis of Lansdowne, Londra, 1928, p. 324. Ma è da vedere anche l’Advice to Hartlib, Londra, 1648, pp. 5 segg. nel quale si accenna al problema dei caratteri reali. '4 Lettera del 19 marzo 1647 allo Hartlib, in Works, cd. T. Birch, ly ip; 22: LA LINGUA UNIVERSALE 211 matica linguae anglicanae, Wallis si era a lungo soffermato sulle questioni attinenti alla grammatica e ai suoni. Infine nel De algebra, accanto ad un ferocissimo attacco alla in- competenza matematica di Hobbes (« turpissimis paralo- ismis ubique scatet liber iste »), troviamo un ampio capi- tolo dedicato ad illustrare i vantaggi che presentano, per il matematico, le tecniche dedicate al rafforzamento della me- moria.!* 3. I GRUPPI COMENIANI: LINGUA UNIVERSALE E CRISTIANESIMO UNIVERSALE. L'influenza esercitata dall’insegnamento di Comenio sui progetti miranti alla costruzione di una lingua universale è stata ampiamente e minuziosamente documentata.'* Nessun libro dedicato alla lingua perfetta era apparso in Inghilterra prima del viaggio di Comenio a Londra nel 1641; dopo quel- l’anno si ebbe una vera e propria fioritura di questi testi. E non si trattava di una coincidenza: Samuel Hartlib — che !5 Il De algebra tractatus historicus et practicus ciusdem origines et progressus varios ostendens è contenuto nel secondo volume delle Ope- ra mathematica, Oxoniae, ex Theatro Sheldoniano, 1695, voll. 3 (co- pia usata: Braid. C. XVII. 9.523. 1-3). Sui caratteri di Viète e di Oughtred cfr. le pp. 69-73. Per i riferimenti alla scrittura presenti nella Mathesis universalis, sive arithmeticum opus integrum tum phi- lologice tum mathematice traditum cfr. nella stessa ediz. delle opere il vol. I, pp. 47 segg. Per l'attacco ad Hobbes cfr. Opera, I, p. 361 (ma su questo argomento e sui numerosi scritti antihobbesiani del Wallis cfr. G. SortaIs, La philosophie moderne depuis Bacon jusqu'à Leibniz, Paris, 1922, II, pp. 289-92), sulla memoria è da vedere il capitolo del De algebra (in Opera, II, pp. 448 - 50) intitolato De viribus memoriae satis intentae, experimentum. La prima edizione della Grammatica lin- quae anglicanae cui pracfigitur de loquela sive sonorum formatione tractatus grammatico-physicus è del 1653. Ho visto la quarta ediz.: Oxoniae, typis L. Lichfield, 1674 (Braid. } + VI. 51). Sul Wallis mate- matico cfr., oltre ai correnti manuali di storia delle matematiche, ]. F. Scort, Mathematical work of |. Wallis, London, 1938, l’opera gram- x maticale è stata studiata da M. LeHNERT, Die Grammatik des ]. Wal- lis, Breslau, 1936. 1 Cfr. D. L. StiMson, Comenius and the Invisible college, in « Isis», 1935, pp. 383-88; Scientists and amateurs. New York, 1946; B. DE Mott, Comenius and the real character in England, cit.; sui rapporti Comenio - Wilkins cfr. M. Spinka, /. A. Comenius, that incomparable Moravian, Chicago, 1943, pp. 72-75. 212 CLAVIS UNIVERSALIS era stato per lunghi anni in corrispondenza con Comenio e che apparve, agli uomini del suo tempo, il difensore e il diffusore, in Inghilterra, dell’opera comeniana — fu il più appassionato sostenitore ed editore di opere sulla lingua uni- versale. Hartlib pubblicò nel 1646 l’opera del Lodowick (A common writing); incoraggiò numerosi tentativi per la crea- zione di un vocabolario dei termini essenziali; fu in corri- spondenza con il Boyle su questi problemi; contribuì alla pubblicazione dell’Ars signorum del Dalgarno. Espliciti rife- rimenti a Comenio troviamo presenti negli scritti di Henry Edmundson (Lingua linguarum) e di John Webster (Acade- miarum examen, 1654), mentre John Wilkins, il più noto e celebrato fra questi teorici della lingua perfetta, fu aiutato e incoraggiato da un altro discepolo inglese di Comenio con cui egli ebbe rapporti di viva amicizia: Theodor Haak. Lo stesso Comenio, dedicando nel 1668 alla Royal Society la sua Via lucis vestigata et vestiganda, affermava che l’opera di Wilkins, pubblicata in quello stesso anno, rappresentava la realizzazione dei suoi programmi e delle sue più alte aspi- razioni. Proprio nella Via Zucis, che circolava manoscritta in In- ghilterra fin dal 1641, Comenio aveva ripreso, con ampiezza molto maggiore, le osservazioni di Bacone sui « caratteri reali ». I caratteri simbolici usati dai Cinesi — scriveva — consentono a uomini di differenti lingue di intendersi reci- procamente: se tali caratteri sembrano cosa buona e vantag- giosa, perché non si potrebbero dedicare i nostri studi alla scoperta di un «linguaggio reale », alla scoperta cioè « non solo di una lingua, ma del pensiero e delle verità delle cose stesse? ». Se la molteplicità delle lingue «è derivata dal caso o dalla confusione, perché non si potrebbe, facendo uso di un procedimento consapevole e razionale, costruire  un’unica lingua che sia elegante e ingegnosa e appaia in grado di su- perare quella dannosa confusione? Se abbiamo la possibilità di adattare i nostri concetti alle forme delle cose, perché non dovremmo avere quella di adattare il linguaggio a più esatte espressioni e a più precisi concetti? ».!” 17 Per la Via lucis, che non sono riuscito a vedere nel testo originale, ho fatto uso della traduzione di E. T. Campagnac: The Way of light of Comenius, London, 1938. Per il brano qui citato cfr. le pp. 186 - 89. LA LINGUA UNIVERSALE 213 Il problema di una lingua universale si era posto come centrale nell'opera comeniana: nel suo pensiero era senza dubbio presente l'esigenza di una maggior precisione termi- nologica, di un linguaggio più chiaro, accessibile e rigoroso, ma alla base del suo progetto non stavano preoccupazioni di “logica” o di “metodologia”; stavano quelle aspirazioni e quelle esigenze tipicamente “religiose” che avevano trovato espressione nei testi del lullismo e del neoplatonismo, nelle idee di universale pacificazione — sulla base di una comune lingua — sostenute dai panteisti, dai cabalisti e dai Rosa- cruciani. Più che i testi dei lullisi — ai quali abbiamo spesso fatto riferimento — sarà opportuno ricordare qui la fede di uno dei maestri di Comenio — Johan Valentin Andrei — in una mistica armonia delle nazioni (la respublica christia- nopolitana) realizzabile mediante un nuovo universale lin- guaggio e le osservazioni di Jacob Boehme, un pensatore ben noto a Comenio, su un originario linguaggio della natura (Natursprache) che è stato sommerso dalla confusione delle lingue e che va ricostruito e ricompreso per la salvezza del genere umano.'* Anche per Comenio — come già per i se- guaci di Lullo e per l’Andreîi — il linguaggio reale o «la perfetta lingua filosofica » ha dve scopi fondamentali: 1) porre l’uomo a rinnovato contatto con la divina armonia che è presente nell’universo mostrandogli la piena coincidenza tra il ritmo del pensiero e quello della realtà, tra le cose e le parole; 2) porsi quindi come base, l’unica possibile base, per una piena riconciliazione del genere umano, per una du- ratura, stabile pace religiosa. Nella moltitudine, varietà e confusione delle lingue, Co- menio aveva visto il maggiore ostacolo alla diffusione della luce e alla penetrazione, presso tutti i popoli, della pansofia. Quando sarà costruita «una lingua assolutamente nuova, !* Cfr. J. V. Anprea£, Fama fraternitatis, 1616, pp. 3, 12-13 cit. in B. De MotT, Comenius and the real character, cit., p. 1070; Jacos BoEH- ME's, Simmiliche Werke, ed. a cura di K. W. Schiebler, Leipzig, 1922, IV, pp. 83 segg. 214 CLAVIS UNIVERSALIS assolutamente chiara e razionale, una lingua pansofica e uni- versale, allora gli uomini apparterranno a una sola razza e ad un solo popolo ». Sulla par pAilosophica, sulla concordia mundi, sull'unità del genere umano avevano a lungo insi- stito, nei secoli del Rinascimento, Pico e Sabunde, Cusano e Guillaume Postel ed è precisamente a questa tradizione che si richiamavano le speranze millenaristiche di Comenio. Ma sull'importanza e sul significato dei dissensi di carattere ter- minologico, sulla necessità di una lingua comune, sull’op- portunità di preservare gli elementi comuni della fede ab- bandonando le vane « dispute di parole » si era lungamente e ampiamente discusso, durante la Riforma, negli ambienti più diversi. Non è certo il caso di affrontare qui un proble- ma così complesso, ma vale certo la pena — anche se in vista di scopi assai limitati — di indicare qualche posizione ca- ratteristica. William Bedel (1571-1642), che fu in Inghilterra uno dei maggiori sostenitori dell’irenismo e della conciliazione fra luterani e calvinisti, attribuiva carattere soprattutto ver- bale alle controversie fra le sètte ed era fortemente interessato ai progetti di lingua universale di Comenio e dei comeniani inglesi. Ma anche negli scritti dei teorici della lingua uni- versale questo interesse “religioso” appare quasi sempre in primo piano. La lingua filosofica — afferma Wilkins — chiarirà le attuali divergenze in materia religiosa ed esse si riveleranno inconsistenti, una volta che il linguaggio sarà stato liberato da ogni imperfezione ed equivocità. La elimi- nazione degli equivoci linguistici contribuirà grandemente, secondo Cave Beck, al progresso della religione nel mondo. William Petty vuol tradurre tutti i termini usati nelle argo- mentazioni in altri termini che siano signa rerum (« tran- slate all words used in argument and important matters into words that are signa rerum »), sostiene energicamente una distinzione fra termini significanti e termini privi di signifi- cato, e concepisce l’intero suo dizionario in funzione di una chiarificazione dei termini della vita religiosa. Determinando l’esatto significato di God e devill, angel e wordl, heaven e hell, religion e spirit, church e christian, catholic e pope, si giungerà alla conclusione che le liti e le guerre fra le di- verse sètte si sono fondate solo su divergenze terminologiche LA LINGUA UNIVERSALE 215 e che esiste invece la possibilità di una effettiva intesa sulle nozioni e sulle cose. Anche nell’Ars signorum di Dalgarno troviamo presente un tentativo di questo genere realizzato mediante un complicato sistema di divisione dei concetti e di appropriati simboli.!* Nella History of the Royal Society, Thomas Sprat parla di una « filosofia dell’umanità » che su- eri le differenze e le ostilità di carattere religioso: «not to lay the foundation of an English, Sotch, Irish, Popish or Protestant philosophy, but a philosophy of mankind ». Non si tratta solo della convinzione che la nuova « filosofia speri- mentale » possa affratellare gli uomini al di là delle separa- zioni politiche e delle differenti convinzioni religiose, si tratta anche della speranza (ed è questo aspetto che si vuol qui sot- tolineare) che la stessa organizzazione scientifica possa costi- tuire un potentissimo mezzo per il ristabilimento della con- cordia mundi, dell’unità religiosa e spirituale del genere uma- no. Non diversamente, del resto, la nuova scienza era stata intesa da Bacone come uno strumento di universale redenzio- ne dal peccato originale.? Ove si rinunci a proiettare all’indietro nel tempo i nostri interessi e i nostri problemi per attribuirli agli uomini che scrissero ed operarono alla metà del Seicento, bisognerà ren- dersi conto che i progetti di una lingua « perfetta » o « uni- versale » sui quali in quegli anni si affaticarono non pochi studiosi, traevano senza dubbio alimento dall’atmosfera cul- turale legata alla nascita della nuova scienza, dai progressi della fisica e da quelli della matematica, ma non intendevano certo limitarsi a fornire chiarimenti semantici agli studiosi di filosofia naturale. Quelle «lingue » avevano scopi assai più vasti e più ambiziose finalità: intendevano essere stru- menti di redenzione totale, mezzi per decifrare l’alfabeto divino. Si connettevano storicamente ai sogni di pacificazio- !° The Petty papers, cit., I, p. 150; G. Datcarno, Ars signorum, in The works of G. Dalgarno, Edinburgh, 1834, pp. 22 - 23. 2° Per il passo di Thomas Sprat, citato nel testo, cfr. The history, cit., p. 63. Sull’unità religiosa quale fine dell’organizzazione scientifica insi- ste anche Samuel Hartlib. Per questa posizione cfr. G. H. TuRNBULL, S. Hartlib: a sketch of his life and his relations to |. A. Comenius, Londra, 1920; Harglib, Dury and Comenius, Londra, 1947, p. 75. 216 CLAVIS UNIVERSALIS ne e alle utopie millenaristiche di quegli autori che abbiamo fin qui — nel corso di questo libro — preso in esame. 4. LA COSTRUZIONE DI UN LINGUAGGIO PERFETTO. Nell’Ars signorum di George Dalgarno e nell’Essay to- wards a real character di John Wilkins troviamo considera- zioni sui geroglifici e gli alfabeti, sulle scritture normali c cifrate, capitoli dedicati a discussioni sul linguaggio e sulla logica, sulla grammatica e sulla sintassi, pagine e pagine nelle quali si procede ad una minuziosa classificazione degli ele- menti e delle meteore, delle pietre e dei metalli, delle piante e degli animali, delle attività umane e delle arti liberali e meccaniche, dizionari dei termini essenziali propri delle varie lingue, dizionari « paralleli », troviamo infine la pro- posta di una lingua artificiale.*! E’ lo stesso intreccio di temi, per noi moderni così sin- golare e caotico, del quale abbiamo tante volte riscontrato la presenza in tutte quelle opere e quelle enciclopedie che, di- rettamente o indirettamente, si richiamano al filone logico- enciclopedico del lullismo. Per amore di chiarezza e di bre- vità, oltre che per facilitare il lettore, si cercherà, nelle pa- gine che seguono, di individuare, enumerandole successiva- mente, alcune tesi concernenti la lingua perfetta o univer- sale che rivestono un'importanza centrale e che appaiono re- ciprocamente connesse. L'esposizione del contenuto delle va- rie opere servirà di volta in volta a documentare e a chiarire il significato di ciascuna delle affermazioni che seguono. 1) I teorici della lingua « perfetta », « filosofica » 0 « uni- versale » muovono dalla contrapposizione tra lingue « natu- 21 L’opera di John Wilkins è suddivisa in quattro parti: Prolegomena; Universal philosophy, Philosophycal grammar, Real character and. philo- sophical language. Il titolo dell’opera del Dalgarno è il seguente: Ars signorum: vulgo character universalis et lingua philosophica, qua potuc- runt homines diversissimorum idiomatum spatio duarum septimanarum omnia animi sua sensa non minus intelligibiliter, sive scrivendo sive loquendo, mutuo communicare, quam linguis propriis vernaculis. Prac- terea hinc etiam potuerunt iuvenes philosophiae principia et veram lo- gices praxin citius et facilius multo imbibere quam ex vulgaribus phi- losophorum scriptis, Londini, cxcudebat J. Hayes sumptibus authoris, 1661. (Copie usate: Ambrosiana, Villa Pernice, 1969 e Par Naz. V. 35875). LA LINGUA UNIVERSALE 217 rali» e lingue « artificiali » e intendono costruire una lin- gua artificiale o sistema di segni che risulti comunicabile e comprensibile (quindi adoperabile sia nel linguaggio scritto che in quello parlato) indipendentemente dalla lingua « na- turale » che effettivamente si parla. I caratteri dei quali la lingua è composta, sono « effables » in ogni «distinct language », in ogni caso le regole della lingua universale non è detto che coincidano con quelle pro- prie delle lingue naturali.?? 2) La lingua artificiale è resa possibile dal fatto che le nozioni interne o apprensioni delle cose (internal notions or apprehension of things) o immagini mentali (mental ima- ges) sono comuni a tutti gli uomini, mentre i nomi attribuiti alle nozioni e alle cose sono, nelle varie lingue naturali, suo- ni o parole (sounds or words) nati dalla convenzione o dal caso mediante i quali si esprimono, diversamente da lingua a lingua, le nozioni interne o immagini mentali. A nozioni comuni, non corrispondono quindi, allo stato presente delle cose, espressioni (expressions) comuni: creare artificialmente queste ultime è appunto il compito che si propongono i teo- rici della lingua universale.” 3) La lingua artificiale (che farà corrispondere all’ac- 22 J. Witxins, Essay, cit., To the reader. 23 J. WiLkins, Essay, cit., p. 20: « As men do generally agree in the same principle of reason, so do they likewise agree in the same internal notion or apprchension of things. The external expression of these mental notions, whereby men communicate their thoughts to one ano- ther, is cither to the ear, or to the eye. To the car by sounds, and more particularly by articulate voice and words. To the cye by any thing that is visible, motion, light, colour, figure, and more parti- cularly by writing. That conceit which men have in their minds con- cerning a horsc or trec, is the notion or mental image of that beast or natural thing, of such a nature, shape and use. The names given to these in several languages, are such arbitrary sounds or words, as Nations of men have agreed upon, cither causally or designedly, to express their mental notions of them. The written word is the figure or picture of that sound. So that, if men should generally consent upon the same way or manner of expression, as they do agree in the same notion, we should then be freed from that curse in the confusion of do with all the unhappy consequences of it ». (I corsivi sono nel testo). 218 CLAVIS UNIVERSALIS cordo già presente nella sfera delle immagini mentali anche l'accordo nelle espressioni) costituisce dunque un efficace ri- medio alla babelica confusione delle lingue e potrà eliminare le assurdità c le difficoltà, le ambiguità e gli equivoci di cui son piene le varie lingue « naturali ». Tutta prima parte (Prologomena) dell’opera di Wilkins è dedicata a un esame, assai ampio e minuto, della situazione in cui versano le varie lingue, dei mutamenti e delle cor- ruzioni (changes and corruptions) che in esse si verificano, dei loro difetti (defects), del problema dell'origine del lin-guaggio. Wilkins parte dal presupposto — comune del resto a tutti questi studiosi — che ogni lingua naturale sia di ne- cessità imperfetta: ogni mutamento che si verifica nel pa- trimonio linguistico coincide per lui con un processo di gra- duale corruzione: «every change is a gradual corruption ». Nel mescolarsi delle nazioni mediante i commerci, nei ma- trimoni tra sovrani, nelle guerre e nelle conquiste, nel de- siderio di eleganza dei dotti che conduce a respingere le forme linguistiche tradizionali, egli vede altrettanti fattori di corruzione. Tutte le lingue, ad eccezione di quella ori- ginaria, sono state create per imitazione (‘mitation), deri- vano dall’arbitrio o dal caso; in tutte le lingue sono quindi presenti difetti che, con l’aiuto dell’arte, possono essere eli- minati. « Neither letters nor languages have been regularly established by the rules of art»: la non artificialità delle lingue, quella che noi chiameremmo la loro spontaneità, ap- pare a Wilkins una specie di vizio d’origine e di peccato ori- ginario, la fonte di un inevitabile processo di degenerazio- ne, la radice di una confusione sempre maggiore. In poche centinaia di anni — egli afferma — alcune lingue possono andare completamente perdute, altre si trasformano fino a di- ventare inintelligibili; la grammatica (unica arte che po: trebbe introdurre ordine nel linguaggio) si è costituita più tardi delle lingue stesse e si è quindi limitata a prendere atto di una situazione dominata dall’ambiguità dei termini che assumono, a seconda dei contesti, una enorme varietà di si- gnificati. Identica è, su questo punto, la posizione sostenuta dal Dalgarno: l’arte ha il compito «di porre rimedio alle difficoltà e alle confusioni di cui son piene le varie lingue, LA LINGUA UNIVERSALE 219 eliminando ogni ridondanza, rettificando ogni anomalia, to- gliendo di mezzo ogni ambiguità ed equivocità ».° 4) La lingua artificiale vien presentata come un mezzo di comunicazione enormemente più « facile » di tutti quelli attualmente in uso. Nelle pagine di Dalgarno e di Wilkins ritroviamo presenti quelle mirabolanti promesse che aveva- no riempito, per due secoli, i frontespizi delle opere lullia- ne e mnemotecniche. Nello spazio di due settimane, afferma Dalgarno, uomini di differenti lingue potranno giungere a comunicare per scritto e oralmente « non minus intelligibi- liter quam linguis propriis vernaculis ». In un mese, secondo Wilkins, un uomo di normali capacità intellettuali può im- padronirsi della lingua universale ed esprimersi in essa con la stessa chiarezza con la quale si esprimerebbe in latino dopo quarant'anni di studio.’ 5) La lingua artificiale esercita una funzione terapeuti- ca nei confronti della filosofia che potrà esser liberata dalle sue malattie (l’uso dei sofismi e l’abbandono alle logomachie) e, per la sua esattezza, può porsi come valido strumento per un ulteriore perfezionamento della logica: «In una parola l’Ars signorum non solo rappresenta un rimedio alla confu- sione delle lingue, non solo offre un mezzo di comunicazio- ne più facile di qualunque altro finora conosciuto, ma anche cura la filosofia dalla malattia dei sofismi e delle logomachie, e la provvede di più elastici e maneggevoli strumenti opera- tivi (c0/edly and manageable instruments of operation) per definire, dividere, dimostrare ecc. ».?° 6) Dall’adozione della lingua artificiale risulterà facili- tata la trasmissione delle idee fra i popoli. I confini della co- noscenza potranno in tal modo essere allargati e potrà esser perseguito, con nuovo vigore, quel bene generale dell’uma- 24 Per quanto qui esposto cfr. J. Witkins, Essay, cit., pp. 2-3, 6, 8, 9, 17. Sulla grammatica cfr. p. 19: « The very art by which language should be regulated viz. grammar, is of much later invention than the lan- guages themselves, being adapted to what was already in being, rather then the rule of making it so ». Per Dalgarno, cfr. O. Funke, Weltspra- chenproblem, cit., p. 16. 25 J. WILKINS, Essay, cit., p. 454. 2° G. Datcarno, Ars signorum, cit., p. 45. 220 CLAVIS UNIVERSALIS nità (general good of mankind) che è superiore a quello di ogni particolare nazione. La nuova lingua potrà infine con- tribuire, in modo decisivo, allo stabilimento di una vera pace religiosa: «questo progetto contribuirà grandemente a ri- muovere alcune delle nostre moderne divergenze in religione smascherando molti stravaganti errori che si nascondono sotto le frasi affettate; una volta che queste saranno filosoficamente spiegate e ritradotte secondo la genuina e naturale importanza delle parole, si riveleranno inconsistenti e contraddittorie ».?” 7) I segni dai quali è costituita la lingua universale sono «caratteri reali » (nel senso attribuito da Bacone a questo ter- mine): segni convenzionali che rappresentano o significano non i suoni e le parole, ma direttamente le nozioni e le cose. Riprendendo le tesi di Bacone e richiamandosi alle di- scussioni allora assai diffuse sui geroglifici, Wilkins distin- gue dalle normali lettere dell’alfabeto (originariamente in- ventate da Adamo) le note (rotes) che sono for secrecy e for orevity. AI primo tipo ‘appartengono la «Mexican way of writing by pictures » e i geroglifici egiziani che sono « rap- presentazioni di creature viventi o di altri corpi dietro i qua- li gli Egiziani nascosero i misteri della loro religione »; al secondo tipo appartengono quelle letters o marks dei quali ci si può servire, come di una forma di scrittura abbreviata, per esprimere una qualsiasi parola. In tutto diversa è la fun- zione del « real universal character » che « should not signi- fie words, but things and notions, and consequently might be legible by any nation in their our tongue ».?* Tutti i caratteri, secondo Wilkins, significano naturally o by institution. Quelli che significano « naturalmente » sono pictures of things o altre immagini o rapppresentazioni sim- boliche; gli altri derivano il loro significato da una conven- 2? J. Wikkins, Essuy, cit., Epistola dedicatoria. 28 Sulle note e i geroglifici egiziani J. Witkins, Essay, cis., p. 12-13; parlando dei caratteri reali Wilkins fa riferimento a Bacone (« hath been reckoned by learned men amongst the desiderata ») e alle pagine di Bacone sulla scrittura cinese: mediante i caratteri reali « the inha- bitants of that large kingdom, many of them of different tongues, do communicate with one another, every one understanding this common character, and reading in his own language ». LA LINGUA UNIVERSALE 221 zione liberamente accettata. A quest’ultimo tipo apparten- ono i « caratteri reali » che dovranno essere semplici, facili, chiaramente distinguibili l’uno dall'altro, di suono gradevole e di forma graziosa, e, soprattutto, dovranno essere metho- dical: rivelanti cioè la presenza di corrispondenze, di relazioni e di rapporti fra segni.?° 8) Fra i segni e le cose esiste una relazione univoca ed ogni segno corrisponde al una cosa o azione («to every thing and notion there were assigned a distinct mark »): il progetto di una lingua universale implica dunque quello di una en- ciclopedia, implica cioè la enumerazione completa e ordi- nata, la classificazione rigorosa di tutte quelle cose e no- zioni alle quali si vuole che, nella lingua perfetta, corrispon- da un segno. Poiché la funzionalità della lingua universale dipende dalla vastità del campo di esperienza che essa riesce ad abbracciare e del quale riesce a dar conto, al limite la lin- gua perfetta esige una preliminare classificazione di tutto ciò che esiste nell'universo e che può essere oggetto di discorso, richiede una enciclopedia totale, la costruzione di « tavole per- fette ». In vista di questa classificazione totale, di questa « ri- duzione a tavole » delle cose e nozioni, viene elaborato un metodo classificatorio fondato sulla divisione in categorie ge- nerali, in generi e in differenze. Solo mediante questa grande costruzione enciclopedica ogni segno impiegato potrà fun- zionare come il segno di una lingua perfetta: fornire cioè una esatta definizione della cosa o nozione significata. Si ha infatti definizione quando il segno rivela il « posto » che la cosa o azione (indicata dal segno) occupa in quell’insieme ordinato di oggetti reali e di azioni reali rispetto al quale le tavole si pongono come uno specchio. Inizialmente, all’incirca fra il 1640 e il 1657, i costruttori di queste lingue universali avevano seguito una strada in parte differente: avevano iniziato la raccolta di tutti i termini pri- mitivi (primitive o radical words) contenuti nelle varie lingue per giungere alla costruzione di un dizionario essenziale. In questa direzione si era mosso lo stesso Wilkins in un’opera del 1641 che riecheggiava nel titolo una espressione di Co- °° Sugli alfabeti cfr. J. Wilkins, Essay, cit., pp. 12-15, sulla distin- zione dei caratteri e sulle loro caratteristiche: pp. 385 -86. 222 CLAVIS UNIVERSALIS menio: Mercury or the secret and swift messenger. I termini radicali apparivano qui a Wilkins in una «relazione meno ambigua con le cose » di quanto non fossero i derived words.° A questa stessa ricerca dei termini primitivi (si ricordino a questo proposito le tavole dei termini fondamentali del Bister- field) si erano dedicati, in Inghilterra, Francis Lodowick nella sua opera sul linguaggio perfetto e Cave Beck nell’Ur:iversal character. Quest'ultimo aveva impiegato, come caratteri, i numeri arabi dallo 0 al 9; le combinazioni di tali caratteri, esprimenti tutti i termini primitivi di ciascuna lingua, erano disposte in ordine progressivo da 1 a 10.000, un numero, que- sto, che appariva al Beck sufficiente ad esprimere tutti i ter- mini di uso generale. Ad ogni numero corrispondeva un ter- mine di ogni lingua: ne risultava un « dizionario numerico » i cui termini venivano poi disposti alfabeticamente (a seconda delle varie lingue) in un altro «dizionario alfabetico ». Cia- scuno dei due dizionari serviva in tal modo da «chiave » al- l’altro.?! L'adozione dei caratteri reali con l’annesso progetto di una costruzione di « tavole complete » fece poi passare in se- conda linea la ricerca dei radicals words: si trattava ora di procedere alla riduzione di tutte le cose e le nozioni alle ta- vole («the reducing all things and notions to such kind of tables »). Costruire una raccolta di questo genere apparve a Wilkins un’impresa più adatta ad una accademia e ad un’epoca che a una persona singola: la principale difficoltà consisteva proprio nella completezza (« without any redundacy or defi- ciency as to the number of things and notions ») e nella siste- maticità (« regular as to their place and order »). Il problema dei termini primitivi o radicali non poteva tuttavia essere eluso: le tavole non potevano evidentemente contenere dav- vero tutto. Le cose e le nozioni in esse classificate ed enume- rate erano solo quelle che rientravano (si era deciso di far rientrare) nella lingua universale o « cadevano all'interno del discorso »: «a regular enumeration and description of all 30 J. WiLkins, Mercury or the secret and swift messenger, ahewing how a man may with privacy and speed communicate his thoughts to a friend at a distance, London, 1641, pp. 109 segg. (ediz. London, 1707). 3! Cfr. C. EMery, Wilkins' universal language, cit., p. 175. LA LINGUA UNIVERSALE 223 those things and notions to wich names are to be assigned... enumerating and describing all such things and notions as fall under discourse... ».?* La completezza della lingua veniva fatta dipendere dalla completezza delle tavole che erano presentate come uno spec- chio dell'ordinamento del mondo reale, ma per realizzare una completezza che non fosse irrealizzabile (enumerazione com- pleta) Wilkins riprese l’esigenza che era stata alla base della ricerca dei radical words. Le tavole non dovevano contenere tutto, ma soltanto le cose di « a more simple nature »; quelle di «a more mixted and complicated signification » dovevano essere ridotte alle prime ed espresse mediante perifrasi (per: phrastically). Il dizionario alfabetico inglese posto da Wilkins in appendice alla sua opera intende rispondere a questo scopo: mostrare come tutti i termini della lingua inglese possano essere in qualche modo riportati a quelli elencati e ordinati nelle tavole.?* Per realizzare l’ordinamento in tavole di tutte le cose e nozioni Wilkins fornisce un elenco di quaranta generi, cia- scuno dei quali viene poi suddiviso secondo le differenze che (fatta eccezione per alcune classificazioni zoologiche e bota- niche) sono sei di numero. I primi sei generi, che compren- dono « such matters, as by reason of their generalness, or in some other respect, are above all those common head of things called predicaments »,°* sono: I. Trascendentale generale 4. Discorso 2. Relazione trascendentale mista 5. Dio 3. Relazione trascendentale di azione 6. Mondo Gli altri trentaquattro generi sono ordinati come segue sotto i cinque predicamenti : 22 J. Wikins, Essay, cit., pp. 20-22 e numerosi passi contenuti nel- l’epistola dedicatoria. % J. Wilkins, Essay, cit., pp. 455 segg.: « An alphabetical dictionary wherein all english words according to their various significations are either referred to their places in the philosophical tables, or explained by such words as are in the tables ». °* J. Witkins, Essay, cit., p. 23-24. Per l'esposizione che segue cfr. anche pp. 60 segg.; 415 segg. c il riassunto delle varie parti dell’opera: pp. 1 segg. 224 Erba | considerata secondo : Animali : Parti : CLAVIS UNIVERSALIS Sostanza Elemento Pietra Metallo Foglia . Fiore . Seme . Arbusto . Albero . Esangui . Pesce . Uccello . Bestia . Parti peculiari . Parti generali Quantità 21. 22, 23. Grandezza Spazio Misura Privata : Pubblica : Qualità 24. Potere naturale 25. Abito 26. Costumi 27. Qualità sensibile 28. Malattia Azione 29. Spirituale 30. Corporea 31. Movimento 32. Operazione Relazione 33. Economica 34. Proprietà 35. Provvigione 36. Civile 37. Giudiziaria 38. Militare 39. Navale \ 40. Ecclesiastica Ciascuno di questi quaranta generi viene suddiviso se- condo le sue differenze e si enumerano poi le varie specie ap- partenenti a ciascuna delle differenze «seguendo un ordine e una dipendenza tali che possano contribuire a una defini- zione delle differenze e delle specie, determinando il loro si- gnificato primario ». Dell’ottavo genere (pietra) vengono per esempio enumerate sei differenze: Le pietre possono essere distinte a seconda che siano: Volgari o senza prezzo Di prezzo medio Preziose: Meno trasparenti Più trasparenti Le concrezioni terrestri sono: Solubili Non-solubili Ciascuna delle differenze è suddivisa nelle varie specie. Le « pietre volgari » (prima differenza) comprendono per esem- pio otto specie che non vengono (questo accorgimento è essen- ziale alla tecnica di Wilkins) semplicementeelencate, ma LA LINGUA UNIVERSALE 225 variamente raggruppate, all’interno della tavola, e classificate a seconda della maggiore o minore grandezza, dell’uso che se ne fa e dell'impiego nelle arti, dell'assenza o presenza di elementi metallici, ecc. Di questo tipo sono le tavole di Wilkins, che occupano poco meno di trecento pagine, in corpo fittissimo, della sua opera. Mediante questa ordinata classificazione delle cose e nozioni alle quali « devono essere assegnati i nomi in accordo alle loro rispettive nature », si è realizzata quella universal philosophy che sta alla base della lingua perfetta e che indica l'ordine, la dipendenza e le relazioni tra le nozioni e tra le cose. Mediante l’uso di lettere e di segni convenzionali è ora possibile dar luogo a un linguaggio universale che è il corri- spettivo della « filosofia universale ». I generi (ci limitiamo qui ai primi nove) vengono indicati come segue: Trascendentale generale Ba Relazione trascendentale mista Ba Trascendentale di azione Be Discorso Bi Dio Dx Mondo Da Elemento De Pietra Di Metallo Do Per esprimere le differenze vengono indicate, nell’ordine, le consonanti B, D, G, P, T, C, Z, S, N; le specie vengono indicate ponendo, dopo la consonante che indica la diffe- renza, i segni seguenti: a, a, €, i, 0, ò, Y, yi, yo. Per esempio: Di significa « pietra »; Did significa la prima differenza che è « pietra volgare »; Diba indica la seconda specie che è « ragg »; De significa elemento; Ded significa la prima differenza che è « fuoco »; Deba denoterà la prima specie che è « fiamma », Det sarà la quinta differenza che è « meteore » e Dera la prima specie della quinta differenza che è « arcobaleno ». Individuando la posizione che un dato termine occupa nelle tavole si potrà definirlo, determinare cioè con sufficiente chiarezza il « primary sense of the thing». Le tavole di Wilkins forniscono senza dubbio non poche informazioni: per esempio il significato del termine « diamante » risulterà, in base alle tavole, esser quello di una sostanza, di una pietra, 226 CLAVIS UNIVERSALIS di una pietra preziosa, trasparente, colorata, durissima, bril- lante. Ma varrebbe la pena di soffermarsi su alcune tipiche definizioni come quella di «bontà » 0 di « moderazione » v di «fanatismo ». La formazione del plurale, degli aggettivi, delle preposizioni, dei pronomi, ecc. consente a Wilkins di giungere, sia pure assai faticosamente, alla costruzione di una vera e propria lingua. Dell’uso di questa, impiegando prima le lettere alfabetiche poi i più complessi « caratteri reali » egli ci offre un esempio con la traduzione del Pater noster e del Credo. In modo non dissimile aveva proceduto George Dalgarno quando aveva costruito, nell’Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica, una classificazione logica di tutte le idee e di tutte le cose dividendole in diciassette classi supreme: A. Essere, cose M. Concreti matematici ». Sostanze N. Concreti fisici E. Accidenti F. Concreti artificiali I. Fsseri concreti B. Accidenti matematici (composti di sostanza e acci- ID. Accidenti fisici generali denti) G. Qualità sensibili O. Corpi P. Accidenti sensibili v. Spirito T. Accidenti razionali U. Uomo K. Accidenti politici (compesto di corpo e spirito)  S. Accidenti comuni Ciascuna delle diciassette classi supreme veniva suddivisa in sottoclassi che si distinguevano per la variazione della se- conda lettera. Ecco, a titolo di esempio, la sottoclasse di K : Ka. Relazione di ufficio Ko. Ruolo del giudice Kn. Relazione giudiziaria Kwv. Delitti Ke. Materia giudiziaria Ku. Guerre Ki. Ruolo delle parti Ska. Religione I termini, compresi in ciascuna delle sottoclassi, si distin- guono per la variazione dell’ultima lettera. In questi termini la lettera s, non iniziale, è « servile » e non ha un senso logico determinato, r indica l’opposizione, / il medio fra gli estremi, v è l'iniziale dei nomi di numeri. Sotto Ska (religione) sono compresi i termini seguenti: LA LINGUA UNIVERSALE 227 Skam: grazia Skag: sacrificio Skan: felicità Skap: sacramento Skaf: adorare Skat: mistero Skab: giudicare Skak: miracolo Skad: pregare L'introduzione della lettera ” consentirà la determinazione degli opposti che sono, in questo caso, « natura » che si op- pone a « grazia »; « miseria » che si oppone a «felicità »; « profanare » che si oppone a «adorare»; «lodare» che si oppone a « pregare ». Riproducendo nei dettagli questa classificazione Leibniz comporrà, fra il 1702 e il 1704, quelle ampie tavole di defi- nizioni che costituiscono il più importante documento del suo progetto di una universale enciclopedia.’ 9) La funzionalità di queste complicate lingue artifi- ciali è evidentemente legata (sia nel caso di Wilkins sia in quello di Dalgarno) alla maggiore o minore funzionalità della loro macchinosa classificazione delle cose e delle nozioni. A proposito di quest’ultima, resta da sottolineare una tesi caratteristica delle posizioni delle quali qui ci occupiamo e alla quale abbiamo più volte accennato. L’enciclopedia, l’in- sieme delle tavole — e quindi la lingua artificiale che ne è il correlato — appaiono valide in quanto costituiscono lo « specchio » dell’ordine presente nella realtà. La classifica zione dev'essere fondata sull’ordine delle cose; i rapporti di relazione fra i termini riproducono rapporti e relazioni reali: « apprendendo i caratteri e i nomi delle cose, verremo istruiti similmente nelle zazure delle cose: questa duplice conoscenza dev’essere congiunta. Per realizzare davvero ciò è necessario che la stessa teoria, sulla quale il nostro progetto è fondato, riproduca esattamente la natura delle cose ».*° 3 L. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, 1903, Pp- 437-510. (Phil. VII. D. II. 1-2, 3). 2° J. Witkins, Essay, cit., p. 21: « By learning the character and the names of things, we should be instructed likewise in their natures, the knowledge of both which ought to be conjoyed. For the accurate effec- tung of this, it would be necessary, that the theory itself, upon which such a design were to be founded, should be exactly suited the nature of things ». 228 CLAVIS UNIVERSALIS Non a caso Wilkins, che pure aveva dedicato ai problemi del linguaggio non poche delle sue energie, ripeteva, con Ba- cone e con i baconiani: «as things are better then words, as real knowledge is beyond the elegancy of speech ».? 5. LA FUNZIONE MNEMONICA DELLE LINGUE UNIVERSALI: IL ME- TODO CLASSIFICATORIO NELLE SCIENZE NATURALI. I segni della lingua perfetta o universale consentono dun- que di individuare con la massima precisione il “posto” che ciascuna cosa (o azione) occupa nelle tavole, permettono cioè di collocare esattamente ogni singolo oggetto naturale in quel- l'ordine universale che è rispecchiato dalla ewrniversal philo- sophy o enciclopedia. Mediante questa “collocazione” si pos- sono individuare le relazioni tra la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie, si possono determinare i rapporti intercorrenti tra la cosa stessa e le differenze c i generi dai quali essa è contenuta come elemento. Perché si potesse giungere con la necessaria rapidità a realizzare queste collocazioni, giungendo in tal modo a precise, esaurienti de- finizioni, Wilkins aveva elaborato tutta una serie di accorgi- menti di tipo mnemonico: « Se questi segni o note vengono costruiti in modo da essere in un reciproco rapporto di dipen- denza e di relazione conveniente alla natura delle cose signi- ficate, e similmente se i nomi delle cose vengono ordinati in modo da contenere nelle lettere o suoni che li compongono una specie di affinità e opposizione in qualche modo rispon- dente alle affinità e alle opposizioni delle cose significate, si avrebbero ulteriori vantaggi: oltre che aiutare la memoria (helping the memory) in modo ottimo, l’intelletto verrebbe grandemente rafforzato ».°* Benjamin De Mott, commen- tando questo passo, ha scritto con molta chiarezza: «era fa- cile richiamare alla mente il termine atto a indicare l'oggetto salmone se si sapeva che il termine era composto di due sil- labe e cominciava con Za, il simbolo del genere pesci... Una volta ricordato il termine Zara lo studioso, data la sua fami- liarità con la progressione alfabetica dei caratteri, avrebbe 37 J. Witkins, Essay, cif., cpistola. 38 J. Witxins, Essay, cit., p. 21. LA LINGUA UNIVERSALE 229 avuto chiaro il posto del salmone all’interno del genere pesci e, in ultima analisi, entro l’intero schema della creazione dr * L’insistenza sul valore mnemonico della lingua univer- sale, presente nell’opera di Wilkins, non era casuale : una lingua di questo genere sembrava in effetti esaudire le spc- ranze e realizzare le aspirazioni di tutti quei teorici della me- moria artificiale che avevano inteso « disporre ordinatamente — entro i loro complicatissimi teatri — tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo ».*° Tutti i maggiori teorici della lingua universale insistono del resto, concordemente, sul valore mnemonico dei linguaggi perfetti. Cipriano Kinner, che aveva collaborato con Comenio nel 1640 c che per primo aveva formulato nei dettagli il progetto di una lingua artificiale, concepiva la sua lingua non solo come un rimedio alla « babelica confusione delle lingue naturali », ma anche, e soprattutto, come un potente, prezioso « aiuto alla memoria ». Col suo metodo gli studiosi di scienze natu- rali avrebbero potuto ritenere le nozioni più complicate e dif- ficili: «quale botanico, anche espertissimo, potrebbe impri- mersi nella memoria, fra tanta varietà di autori in contrasto, le nature e i nomi di tutte le piante? ». L'adozione della lingua artificiale i cui termini indicano la natura c le qualità di ogni singola pianta e il posto che ciascuna pianta occupa nella clas- sificazione per generi e specie, renderà quest’impresa, in appa- renza disperata, possibile e oltremodo facile: « mediante la lingua artificiale tutto potrà essere ricordato e recitato senza interruzioni, così come in un’aurea catena, composta di un migliaio di anelli, se vien mosso il primo anello, si muovono tutti gli altri, anche se noi non vogliamo affatto che essi si muovano ».°! Non diversamente dal Kinner, anche Lodowick, Edmundson e Dalgarno metteranno in luce il valore mnemo- nico della lingua universale, mentre Wilkins presenterà più volte, nel corso del suo Saggio, la sua lingua come un aiuto °° B. De MotT, Science versus mnemonics, cit., pp. 8-9. ‘° Cfr. G. Camino, Opere, Venezia, A. Griffo, 1584, II, p. 212. ‘4! Il testo del Kinner è contenuto in una lettera a Samuel Hartlib del 27 giugno 1647 che fu pubblicata da B. De Mott, The sources of the philosophical language, in « Journal of Engl. and Germ. Philol. ». 230 CLAVIS UNIVERSALIS alla debolezza della memoria naturale. I tremila termini dei quali la sua lingua è composta, sono certo in numero assai minore di quelli impiegati in una qualunque lingua cffetti- vamente parlata e tuttavia questi tremila termini « sono ordi- nati in modo da poter esser ricordati più facilmente di mille termini propri di una qualunque lingua naturale ».'? In una lettera scritta a Robert Boyle nel 1663, John Beale, membro della Royal Society, raccomandava l’uso dei mnemonical cha- racters (così egli chiamava i caratteri reali) giacché essi gli apparivano in grado di introdurre finalmente ordine in tutte le possibili combinazioni di lettere, di sillabe e di parole.** ° Come il Kinner aveva ben visto, il problema della fun- zione mnemonica delle lingue artificiali si presentava stretta- mente connesso a quello della classificazione dei minerali, delle piante, degli animali. Proprio su questo argomento si aprì, dopo il 1666, un’interessante discussione della quale fu prota- gonista John Ray, l’autore della monumentale Historia plan- tarum generalis (1686-1704), uno dei maggiori scienziati del secolo XVII. Congiuntamente al Willoughby il Ray colla- borò attivamente all’opera di Wilkins, elaborando una classi: ficazione delle piante rispondente agli scopi e alle esigenze proprie della lingua universale. Alle tavole della grande enciclopedia contenuta nell’Essay towards a real character and a philosophical language non spettava certo, secondo Wilkins, una funzione meramente ausiliaria. Nei suoi propositi e nei suoi intendimenti le tavole « soprattutto quelle concernenti i corpi naturali » avrebbero dovuto « promuovere e facilitare la conoscenza della natura » contribuire cioè in modo diretto al lavoro di ricerca svolto dai membri della Royal Society. Rivolgendosi al presidente e ai membri della illustre accademia Wilkins affermava: « nelle tavole ho disposto le cose in un ordine che potrà essere appro- vato dalla Società: in esse potrete trovare un ottimo metodo per la costruzione di un repository che servirà da un lato a ordinare le cognizioni già possedute e dall’altro a supplire le eventuali lacune ». Le ambizioni di Wilkins dovevano essere 42 Per i riferimenti alla memoria: J. WiLkins, Essay, cit., pp. 31, 385, e in particolare alle pp. 453 - 54. 43 La lettera è ripubblicata in R. BovyLE, Works, cir., VI, p. 339. LA LINGUA UNIVERSALE 231 presto deluse, ma è certo che il suo tentativo di una ordinata, completa classificazione dovette interessare fortemente quanti erano impegnati, in sede di scienze della natura, alla costru- zione di classificazioni riguardanti campi limitati di esperienza. E’ stato notato, molto acutamente, che Wilkins si proponeva di fare con le parole ciò che Linneo farà più tardi con le piante: * « scopo principale di queste tavole — scriveva il buon vescovo di Chester — è di offrire una enumerazione sufficiente di tutte le cose e nozioni e contemporaneamente di disporle in ordine tale che il posto assegnato a ciascuna cosa possa contribuire alla descrizione della sua natura indicando la specie generale e particolare entro la quale la cosa è collo- cata e la differenza per la quale essa è distinta dalle altre cose della stessa specie ».! Sulla base di questa convergenza di interessi e di problemi si verificò, di fatto, una collaborazione fra Wilkins da un lato e Willoughby e John Ray dall’altro. Le classificazioni di ani- mali e di piante, presenti nell’Essay, sono infatti opera dei due illustri scienziati. Ad essi si era rivolto nel 1666 lo stesso Wilkins per poter inserire nel suo testo una « regular enume- ration of all the families of plants and animals ».‘*° L' inte- resse del Ray al progetto dello Wilkins non era certo margi- 41 C. EMery, /. Wilkins universal language, cit., p. 176. 45 J. WiLkins, Essay, cit., 289. 1 Si veda la lettera di John Wilkins a Willoughby in W. DerHax, Philosophical letters, London, 1718, p. 366. Il piano di Wilkins rela- tivo alla lingua universale circolava fino dal 1647; sui primi contatti di Wilkins con il Ray c il Willoughby si vedano le considerazioni di B. De Mott, Science versus mnemonics, cit., p. 4. Sull’opera scientifica di John Ray (1628-1705) che fu detto «il Plinio inglese» e che fu il primo a far uso del termine specie nelle classificazioni botaniche cfr. E. GuyenoT, Les sciences de la vie au XVII: et XVIII: siècle, Paris, 1941, pp. 359 segg.; F. W. OtLiver, Makers of british botany, Cam- bridge, 1913; C. È. Raven, /. Ray naturalist, London, 1950, ma sì ve- dano anche le precise osservazioni di MarceLLA RENZONI, nell'ampio e preciso commento a Burron, Storia naturale, Torino, 1959, pp. 479, 483, 490. La celebre classificazione del Ray, presente nel Mezliodus plantarum nova del 1682 non è che una rielaborazione di quella già pubblicata nell'opera di Wilkins. Sull’opera congiunta di Ray e di Willoughby (1635 - 1672, autore della Orzitfologia, 1657; della Historiapiscium,1686;della Historia insectorum, 1710) cfr. anche E. GurExor, Biologie humaine et animale nel secondo vol. della Histoire générale des sciences, Paris, 1958, p. 362. 232 CLAVIS UNIVERSALIS nale: l’insigne scienziato si sottopose all’ingrata fatica di tra- durre in latino, per renderlo accessibile a tutta Europa, l'in- tero testo dell'Essay.'” Le sue divergenze con Wilkins nasce- vano però sul terreno del metodo, riguardavano proprio gli aspetti mnemonici della lingua universale. « Nella costruzione di queste tavole — scriveva Ray a Lister — non mi si è ri- chiesto di seguire i comandi della natura, ma di adattare le piante al sistema proprio dell’autore. Io debbo dividere le erbe in tre classi il più possibile eguali, suddividere poi ciascuna classe in differenze stando attento a che le piante ordinate entro ciascuna differenza non superino un dato numero fisso... Chi potrebbe sperare che un tal metodo sia soddisfacente? Esso appare assurdo e imperfettissimo, debbo dire francamente che si tratta di un metodo assurdo perché attribuisco più valore alla verità che alla mia personale reputazione ».i8 Anche Wilkins, proprio come Ray, aveva inteso che i suoi schemi « seguissero con esattezza la natura delle cose », ma, a diffe- renza di Wilkins, Ray trovava assai difficile iceordare: almeno in sede di botanica, l’a/fabeto e la natura, l'ordine della me- moria e l’ordine presente nella realtà. Di fronte alle difficoltà di una classificazione degli animali e delle piante entrava in crisi, in realtà, quella assoluta regolarità delle tavole che era essenziale al funzionamento della lingua perfetta: i quaranta generi « may be subdivided by its peculiar differences, which, for the better convenience of this institution, I take leave to determine (for the most part) to the number of six. Unless it be in those numerous tribes of herbs, trees, exanguious animals, fishes, and birds, which are of too great variety to be com- prehended in so narrow a compass »."* Sul metodo come ordinata classificazione, come divisione, costruzione di armoniose tavole e di regolarissime gerarchie, avevano concordemente insistito, per secoli, i teorici dell’ars reminiscendi. Proprio nella costruzione dei «teatri » e degli 4? La traduzione di Ray, che fu effettivamente condotta a termine, non fu mai pubblicata. Cfr. Select Remains of the learned John Ray by the late William Derham, ed. G. Scott, London, 1760, p. 23. 18 The correspondence of John Ray, ed. E. Lankester, London, 1848, pp. 41-42. Sul significato di queste riserve cfr. B. De Mott, Science versus mnemonics, cit., pp. 5 segg. 4° J. Wikins, Essay, cit., p. 22. LA LINGUA UNIVERSALE 233 «alberi », negli ordinamenti e nelle classificazioni essi ave- vano visto i più importanti strumenti per realizzare una me- moria artificiale che potesse soccorrere aila debolezza delle naturali facoltà ritentive. Da questo terreno storico aveva tratto alimento l’idea, così diffusa per tutto il secolo XVII, di una logica memorativa, di una sostanziale affinità tra la logica (il metodo) e la memoria (come facoltà di ritenere l’ordinato si- stema di tutte le scienze). In questo senso Ramo aveva attri- buito alla memoria una funzione ordinatrice e aveva visto nella memoria una parte o sezione del metodo; in questo senso Bacone aveva concepito la min:istratio ad memoriam (cui spet- tava il compito di « eliminare la confusione » e di procedere alla costruzione delle tavole) come parte integrante della nuova logica; in questo senso, infine, Cartesio aveva inteso la enu- meratio come un soccorso alla naturale fragilità dell’umana memoria. In questi stessi anni Alsted aveva visto nella me- moria una «tecnica dell’ordinamento delle nozioni » e aveva sostenuto la piena risoluzione della memoria « madre dell’or- dine » in una logica intesa come arte del classificare, come metodo per la costruzione del systema mnemonicum o uni- versale enciclopedia delle scienze. In modo non dissimile concepirono il « metodo » gli uo- mini che si volsero, nel corso del secolo XVII, alla non facile impresa di una integrale, ordinata, coerente classificazione dei minerali, delle piante, degli animali. Metodo voleva dire per essi « metodica divisione delle diverse produzioni della na- tura in classi, generi, specie », capacità di costruire una no- menclatura i cui termini fossero significativi di rapporti fra il singolo elemento e i generi e le specie di appartenenza, chia- rissero il posto di ciascun elemento in un sistema più vasto. Proprio nel momento in cui, alla metà del Settecento, i « me- todi » entrarono in crisi e vennero rifiutate le classificazioni tradizionali troviamo esplicitamente teorizzata, in polemica contro un recentissimo passato, la funzione mnemonica delle classificazioni e dei metodi. Rifiutando, in nome di una esatta descrizione, l’idea stessa del « sistema» e polemizzando con- tro la tradizione della botanica del Cinquecento e del Seicento, Buffon rifiutava energicamente «tutti i metodi che si sono compilati per aiutare la memoria ».°° E proprio su questa °0 Burron, Storia naturale, cit., pp. 22-23. 234 CLAVIS UNIVERSALIS funzione mnemonica dei metodi insistono concordemente i maggiori esponenti della botanica del Settecento: « l’immensa quantità di piante cominciò a pesare sui botanici — scrive lo Adanson nella prefazione alla Famulles des plantes — quale memoria poteva bastare a tanti nomi? I botanici, per allegge- rire questa scienza, immaginarono perciò i metodi ».°! E Fon- tenelle, nell’elogio pronunciato all'Accademia per la morte di Tournefort, scriveva: «egli permise di mettere ordine nello straordinario numero di piante disseminate alla rinfusa sulla terra e anche sotto le acque del mare e di distribuirle nei di- versi generi e nelle diverse specie che ne facilitano la memoria e impediscono alla memoria dei botanici di crollare sotto il peso di una infinità di nomi »°° Non si tratta di accostamenti casuali: per rendersene conto basta leggere la voce Botanigue della grande enciclopedia il- luministica: «il metodo serve a dare un'idea delle proprietà essenziali di ciascun oggetto e a presentare le relazioni e i contrasti esistenti fra le differenti produzioni della natura... per chi si avvia allo studio della natura il metodo è un filo che serve da guida entro un complicatissimo labirinto, per gli altri (già esperti nelle scienze) è un quadro che rappre- senta taluni fatti, i quali possono farne ricordare altri nel caso che già li si conosca... un solo metodo è sufficiente per la nomenclatura: si tratta di costruirsi una sorta di memoria artificiale per ritenere l’idea e il nome di ogni pianta giacché il numero delle piante è troppo grande perché si possa tra- scurare un tale soccorso; a questo scopo qualunque metodo è buono ». La violenza di questa polemica, il vigore di questi rifiuti costituiscono, di per sé, una conferma della persistenza, per tutto il secolo precedente, di una concezione del metodo come «memoria ». È contro una concezione di questo tipo che pole- mizzano gli enciclopedisti: «queste divisioni metodiche — è scritto nelle pagine dedicate alla voce Histoire naturelle — aiutano la memoria e sembrano venire a capo del caos for- M. Apanson, Familles des plantes, Paris, 1763, p. XCV. B. DE FonteneLLE, E/oge de Tournefort, Hist. Acad. Sci., 1708, p. 147. Questo e il passo precedente sono cit. da M. Renzoni nelle note a Burron, Storia naturale, cit., pp. 478, 483. 51 52 LA LINGUA UNIVERSALE 235 mato dagli oggetti della natura... ma non bisogna mai di- menticare che questi sistemi sono fondati solo su arbitrarie convenzioni umane e che essi non sono d'accordo con le in- variabili leggi della natura ». Qui non venivano solo rifiu- tati quegli « aiuti della memoria » che erano stati teorizzati e difesi da illustri esponenti della filosofia e della scienza del Seicento; qui veniva rifiutata, in nome di un deciso conven- zionalismo, anche l’antica idea di una piena, totale corrispon- denza fra i termini dell’enciclopedia e la realtà delle cose. 6. CARTESIO E LEIBNIZ DI FRONTE ALLA LINGUA UNIVERSALE. Anche il matematismo di derivazione cartesiana aveva senza dubbio contribuito a creare un’atmosfera favorevole alla costruzione delle lingue artificiali, ma l’azione esercitata da Cartesio sui progetti di una lingua universale è, quantomeno, difficilmente determinabile. In una lettera a Mersenne del no- vembre 1629 che fu pubblicata a Parigi nella raccolta dello Clerslier (1657, e ristampe nel 1663 e 1667) e che poté quindi essere letta da qualcuno dei teorici del linguaggio universale (ma siamo sul piano delle ipotesi e di questa lettura non ho trovato alcuna documentazione), Cartesio, pur chiarendo con molta precisione le caratteristiche e gli scopi di una lingua filosofica, si era mantenuto su un piano assai ambiguo. L'im- presa di una lingua filosofica gli era apparsa, almeno teori- camente, possibile: « stabilendo un ordine in tutti i pensieri che possono penetrare nello spirito umano, allo stesso modo che esiste un ordine naturalmente stabilito nei numeri », po- trebbe costruirsi una lingua composta di caratteri apprendi- bili con grande facilità e rapidità. L'invenzione di questa lin- gua — aggiungeva — dipende però dalla « costruzione della vera filosofia, perché sarebbe altrimenti impossibile enumerare tutti i pensieri degli uomini e metterli in ordine ». Una lingua di questo genere, fondata sulla individuazione di quelle « idee semplici che sono nell’immaginazione degli uomini e delle quali si compone tutto ciò che gli uomini pensano », sarebbe facile da apprendere e da scrivere e, cosa fondamentale, « aiu- terebbe il giudizio rappresentando le cose così distintamente che sarebbe impossibile ingannarsi, mentre al contrario le pa- role delle quali attualmente disponiamo hanno quasi solo si- 236 CLAVIS UNIVERSALIS gnificati confusi ai quali da lungo tempo si è adattato lo spi- rito degli uomini: a causa di ciò quasi nulla viene inteso per- fettamente ». Ma poco più avanti Cartesio aveva messo in luce il carat- tere utopistico di un'impresa di questo tipo e aveva mani- festato il suo radicale scetticismo sulla possibilità di una pra- tica realizzazione: «Je tiens que cette langue est possible, et qu’on peut trouver la science de qui elle dépend, par le moyen de laquelle les paisans pourroient mieux juger de la verité des choses, qui ne font maintenant les philosophes... mais n’esperez pas de la voir jamais en usage, cela présuppose de grands changemens en l’ordre des choses et il faudroit que tout le monde ne fust qu’un paradis terrestre, ce qui n'est bon à proposer que dans le pays des romans »." Una cosa Cartesio aveva visto con chiarezza: lo stretto rapporto tra la lingua perfetta e la vera filosofia (quella che Wilkins aveva poi chiamato la universal philosophy o enci- clopedia). Cartesio aveva concepito questo rapporto come un rapporto di dipendenza: l’assenza di un ordinato elenco di tutti i pensieri degli uomini dal quale ricavare l’elenco delle idec semplici rendeva impossibile e illusoria la costruzione di una lingua universale. Dalgarno e Wilkins avevano tentato l'impresa di una classificazione totale delle nozioni e delle cose. Leibniz, largamente utilizzando questi tentativi, rifiu- terà esplicitamente, proprio commentando la lettera a Mer- senne ora ricordata, la posizione cartesiana: « Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che la filosofia non sia perfetta; a misura che crescerà la scienza degli uomini, crescerà anche questa lingua. Nell'attesa, essa costituirà un aiuto meraviglioso: per servirci di ciò che sappiamo, per renderci conto di ciò che ci manca € per trovare 1 Mezzi per arrivarci, ma soprattutto servirà a eliminare, sterminandole, le controversie negli ar- gomenti che dipendono dalla ragione. Perché, allora, calcolare e ragionare saranno la stessa cosa ».° 59 Descartes, Oesvres, ed. C. Adam et P. Tannery, I, pp. 80-82 (ediz. Clerselier, I, lettera 111, pp. 498-502). 54 L. Coururat, Opuscules ct fragments inédits de Leibniz, cit., pp- 27 - 28. VIII. LE FONTI DELLA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA In una lettera scritta a Francoforte nell’ aprile del 1671 Leibniz esprimeva il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins: « Ho letto da poco il Caraztere universale del dottissimo Wil kins; le sue tavole mi piacciono moltissimo e vorrei che egli si fosse servito di figure per esprimere quelle cose che non possono essere descritte che mediante la pittura, come per esempio i generi degli animali, delle piante, degli strumenti. Quanto sarebbe desiderabile una traduzione in latino della sua opera! ». La stessa speranza in una rapida traduzione, Leibniz esprimeva due anni più tardi, in una lettera all’Olden- burg. Dobbiamo arrivare al 1679-80, dopo gli anni del sog- giorno parigino e londinese, per trovare espresse alcune ri- serve di fondo: « Sento che quell’uomo illustre [Robert Hoock| tiene in gran conto il Carattere filosofico del vescovo Wilkins che ho anch'io nella meritata considerazione. Non posso ta- cere, tuttavia, che può essere realizzato qualcosa di molto più rande e di molto più utile. Di tanto più grande, di quanto i caratteri dell’algebra sono migliori di quelli della chimica ».' Il contatto con l’analisi matematica era stato, da questo punto di vista, decisivo: per Leibniz non si trattava più sol- tanto di costruire una lingua che fosse in grado di facilitare la comunicazione tra gli uomini, ma di dar luogo ad una scrittura universale mediante la quale si potessero, così come in algebra e in aritmetica, costruire infallibili dimostrazioni. La differente posizione assunta da Leibniz in queste lettere conferma ancora una volta, dal punto di vista di un problema particolare, la validità di quella interpretazione che vede nel soggiorno a Parigi e a Londra (marzo 1672 - ottobre 1676) una « svolta » nel pensiero leibniziano. In questi anni Leibniz si dedica allo studio della matematica ed entra in contatto con il cartesianesimo e con le correnti più vive del pensiero euro- ® C. I. GerHarDT, Die philosophischen Schriften von G. G. Leibniz, voll. 7, Berlin, 1875-90, VII, pp. 5, 6, 9, 16-17. (Quest'edizione verrà qui di seguito indicata con la sigla G. immediatamente seguita dal numero del volume e delle pagine). 238 CLAVIS UNIVERSALIS peo. L'attenzione per gli aspetti sintattici del linguaggio, la scoperta della « magia dell’algoritmo » o della « funzionalità » dei procedimenti puramente formali, l'affermazione della pos- sibilità di una scienza generale delle forme: questi temi e queste discussioni sono posteriori agli anni della giovinezza, presuppongono l’accostamento dei metodi della combinatoria a quelli della matematica e dell’algebra. Il progetto leibniziano di una caratteristica universale era fondato — com'è noto — su questi tre princìpi: 1) le idee sono analizzabili ed è possibile rintracciare quell’alfabeto dei pensieri che è costituito dal catalogo delle nozioni semplici o primitive; 2) lc idee possono essere rappresentate simbolica- mente; 3) è possibile una rappresentazione simbolica dellerelazioni tra le idee e, mediante opportune regole, è possibile procedere alla loro combinazione. Questo progetto di Leibniz non nacque certamente sul terreno dell’ “algebra” o del “for- malismo logico”. Il Kabitz ha ritrovato, nella biblioteca di Hannover, l’esem- plare, annotato da Leibniz, delle opere di Bisterfield ed è certo a quest’ultimo autore, oltre che più genericamente alla tradizione del lullismo, che va fatta risalire l’idea, fondamen- tale per lo stesso costituirsi della combinatoria leibniziana, di un alfabeto dei pensieri umani o di un catalogo delle nozioni primitive dalla combinazione delle quali si possano ricavare tutte le idee complesse." In una lettera scritta probabilmente al barone di Boineburg e che contiene una delle prime for- ° Per 1 rapporti con Bisterfiecld e la presenza di motivi attinti alle correnti mistiche-pitagoriche: W. Kasirz, Die Philosophie der jungen Leibniz. Untersuchungen zur Entwicklungsgeschichte seines Systems, Heidelberg, 1909; per i rapporti con la pansofia: Leibniz’ Verhaltnis zur Renaissance im allgemeinen und zu Nizolius im besonderen, Bonn, 1912; per i rapporti con Alsted c con Henry Morc: D. MaHNKE, Leib- mizens Synthese von Untversalmathematik und Individualmetaphysik, in « Jahrb. fur Philos. u. phinomenologische Forschung », 1925, pp. 305 - 612; W. FeitcHenFELD, Leibniz und Henry More, Berlin, 1923. " G. VII, 11; L. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, Alcan, 1903, p. 430, 435 (di qui in avanti indicato con la sigla Op. seguita dal numero della pagina); G. G. LEIBNIZ, Textes inédites publiés et annotés par Gaston Grua, voll. 2, Paris, 1948, pp. 542-45 (di qui in avanti si userà la abbreviazione Grua, seguita dal numero delle pagine). LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 239 mulazioni della caratteristica, Leibniz mostrava di accettare, nella sostanza, il progetto del padre Kircher: ai concetti e alle nozioni fondamentali vanno sostituite figure di circoli, di qua- drati, e di triangoli variamente disposti; mediante la combi- nazione delle figure potranno essere espresse le relazioni e le combinazioni fra le idee. Accanto a quelli del Bisterfield e del Kircher, troviamo ricordati, nella Dissertatio de arte combi- natoria del 1666, i nomi di Lullo e di Bruno, di Agrippa e di Pedro Grégoire, di Alsted, di Bacone ec di Hobbes. La cri- tica che Leibniz rivolgeva a Lullo non concerneva minima- mente il principio ispiratore della combinatoria: riguardava l’arbitrarietà delle classi e delle radici, la insufficienza delle combinazioni; il riferimento a Bacone era giustificato dal fatto che il Verulamio aveva posto fra i desiderata una logica inven- tiva; quello a Hobbes dalla identificazione di ogni operazione mentale con una computatio. Il riferimento a Hobbes non deve trarre in inganno: Leibniz si limita ad approvare l’accosta- mento, presente nei testi di Hobbes, ma larghissimamente dif- fuso anche nei testi del lullismo, della logica ad un “calcolo”. Come ha mostrato con abbondanza di argomentazioni il Cou- turat,* il peso esercitato da Hobbes sull’idea della caratteri- stica è assai scarso e, nella interpretazione del calcolo, Leibniz si allontana in modo radicale dalle posizioni hobbesiane. Pre- valgono in ogni modo, tra le fonti indicate da Leibniz, i testi dei lulliani e degli enciclopedisti: richiamandosi agli scritti di Bruno, di Agrippa, di Alsted, Leibniz faceva riferimento alle più note e celebrate esposizioni e ai più diffusi commenti dell’Ars magna; nella Sintassi del Grégoire aveva trovato, vi- gorosamente espressa, l’aspirazione ad una scienza generale fondata sulla determinazione di una serie limitata di princìpi e di assiomi; dalla Technica curiosa sive mirabilia artis di Caspar Schott, uno dei testi più caratteristici della « magia » dei gesuiti del Seicento, aveva infine attinto notizie sulle lin- gue universali.* 1 Cfr. Op. 29-30; 536-37; G.IV, 62, 64, 70. ® L. Coururat, La /ogique de Leibniz d’après des documents inédits, Paris, 1901, tutta la appendice Il e in particolare le pp. 458 - 59. (Qui di seguito abbreviato con CouTuRaT). ® Caspar ScHotT, Technica curiosa, sive mirabilia artis, Norimbergae, 1664 (Copia usata: Triv. Mor. H. 264). 240 CLAVIS UNIVERSALIS Il problema fondamentale della logica inventiva, quale viene esposta nella Dissertatio de arte combinatoria, è quello, ben noto, di trovare tutti i possibili predicati di un dato sog- getto e, dato un predicato, trovare tutti i suoi possibili sog- getti. Trascurando, come è legittimo fare in questa sede, tutta una vasta serie di problemi più strettamente tecnici, ci si limi- terà a fornire, sulla traccia della esposizione del Belaval, un esempio del modo di procedere del Leibniz. Per risolvere il problema sopra indicato è necessario individuare le idee sem- plici e primitive che possono essere indicate con un segno con- venzionale, in questo caso con un numero. Siano i termini della prima classe: 1: il punto; 2: lo spazio; 3: l’interposto fra; 4: il contiguo; 5: il distante; 9: la parte; 10: il tutto; 11: lo stesso; 12: il diverso: 13: l’uno; 14: il numero; 15: la pluralità; 16: la distanza; 17: il possibile ecc. Combinando a due a due i termini della prima classe (com2natio) si otten- gono i termini della seconda classe. Per esempio la quantità (il numero delle parti) sarà rappresentata dalla formula: 14709 (15). Mediante la combinazione dei termini a tre a tre (com3natio) si otterranno i termini della terza classe: per cs. intervallum è 2.3.10, vale a dire che l’intervallo è lo spazio (2) preso in (3) un tutto (10). E così di seguito procedendo per comA4natio, comSnatio ecc. Per trovare i predicati di un deter- minato soggetto basterà suddividere un termine nei suoi fat- tori primi determinando poi le possibili combinazioni di que- sti fattori. I predicati possibili di intervallo sono: lo spazio (2), l’intersituazione (3), il tutto (10) presi uno ad uno; poi, presi per com2natio, lo spazio intersituato (2.3), lo spazio totale (2.10), l’intersituazione nello spazio (3.10); infine, per com3 natio, il prodotto 2.3.10 che costituisce la definizione di :nter- vallo. Per trovare tutti i possibili soggetti di intervallo (predi- cato) bisogna individuare tutti i termini le cui definizioni con- tengono i fattori 2.3.10. Tutte le combinazioni risultanti da questi fattori apparterranno necessariamente alla classe delle nozioni complesse di ordine superiore alla classe cui appar- tiene intervallo (che appartiene alla terza classe). La linea, che è definita come un intervallo tra due punti, appartiene alla quarta classe giacché per definirla occorreranno quattro ter- minì primitivi: 2,3,10 e 1 (il punto). Dati n termini semplici e indicando con 4 (2>4) il numero dei fattori primi costi- LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 241 tuenti un predicato si daranno 2 "-k soggetti possibili (la pro- posizione tautologica «un intervallo è un intervallo » è evi- dentemente compresa in questo numero). La caratteristica, come ha notato con esattezza il Couturat, non fu tuttavia inizialmente concepita sotto la forma di un’al- gebra 0 di un calcolo, ma sotto la forma di una lingua o scrit- tura universale.* L’uso XI dell’ars combinatoria consiste in- fatti per Leibniz nell’invenzione di una «scrittura universale, intelligibile cioè ad un qualunque lettore esperto in una qual- siasi lingua ». Tra i testi di lingua universale a lui contempo- ranei, Leibniz ricordava — fondandosi sull’esposizione che ne aveva fatto lo Schott — uno scritto anonimo pubblicato a Roma nel 1653 nel quale « il metodo era abbastanza ingegno- samente ricavato dalla natura delle cose: l’autore distribuiva le cose in varie classi ed ogni classe era formata da un deter- minato numero di cose »,° per designare un oggetto qualunque bastava indicare il numero della classe e il numero dell’ og- getto. Le altre due opere ricordate da Leibniz sono: il Cha- racter pro notitia linguarum universali di J. Becher (Franco- forte, 1661) e la Polygraphia nova et universalis ex combina- toria arte detecta del padre Atanasio Kircher (Roma, 1663). Entrambi questi testi sono costruiti sulla base di un dizionario numerico del tipo di quello al quale si è fatto riferimento a proposito dell’Un:versal Character (1653) di Cave Beck. E° diventato una specie di luogo comune, nella storiografia leibniziana, quello di contrapporre agli « informi abbozzi » o ai «vaghi e confusi » progetti di lingua universale costruiti dai « predecessori », il limpido, «scientifico », coerente piano di una lingua filosofica costruito da Leibniz. In realtà le cose (quando non si attribuisca a qualcuno la qualifica di « prede- * G.IV, 70-71 e cfr. Y. Betavat, Leibniz, Paris, 1952, pp. 41-42; Couturat, 35 - 40; e, per una più ampia esposizione, F. BARONE, Logica formale e logica trascendentale da Leibniz a Kant, Torino, 1957, pp. 5 segg. 8 Couturat, 5l. ° G. IV, 72. Nel settimo libro della Technica curiosa dello Schott che ha per titolo Mirabilia graphica, sive nova aut rariora scribendi artificia (cdiz. di Norimberga, 1664) alle pp. 484-505 e 507-529 è contenuta una dettagliata esposizione dell’opera anonima del 1653 e del volume del Becher. Le brevi considerazioni svolte da Leibniz sembrano esclu- sivamente fondate su questa esposizione. 242 CLAVIS UNIVERSALIS cessore » per evitare la fatica di leggerne le opere) stanno un po’ diversamente. Quando Leibniz formulava, nella Disser- tatio de arte combinatoria, il suo progetto di lingua univer- sale, egli non conosceva né l’Ars signorun del Dalgarno, pub- blicata nel 1661, né, ovviamente, l’Essay di Wilkins che vide la luce solo nel 1668. In quegli anni, Leibniz concepiva an- cora, sulle traccie di Bacone e di Kircher, i caratteri della lingua universale come composti « di figure geometriche e di pitture del tipo di quelle usate un tempo dagli Egiziani e im- piegate oggi dai Cinesi; pitture che non vengono ricondotte a un determinato alfabeto o a lettere, il che è causa di incre- dibile afflizione per la memoria ».!° Le riserve che egli avan- zava a proposito dell’opera del Becher erano, d’altra parte, assai simili a quelle che formulerà, indipendentemente da Leibniz, lo stesso Wilkins: l'ambiguità dei termini che, nelle varie lingue, hanno diversi significati; la impossibilità, data la mancanza di esatti sinonimi, di una precisa corrispondenza fra i termini di due lingue; la impossibilità, data la diversità delle regole sintattiche, di una pura e semplice traduzione dei termini uno in fila all’altro; la difficoltà infine di ritenere a memoria i numeri corrispondenti non solo alle classi, ma ai singoli oggetti appartenenti a ciascuna classe. Una scrittura o lingua universale che volesse evitare questi pericoli doveva quindi essere fondata su un’analisi completa dei concetti e sulla loro riduzione ai termini semplici. !* All’inizio del 1671 Leibniz lesse il Saggio sui caratteri reali di Wilkins e, probabilmente nello stesso giro di tempo, l'Ars signorum di George Dalgarno. Il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins, il suo desiderio di vedere il Saggio tradotto in latino e diffuso in Europa appare, dopo quanto si è detto, pic- namente giustificato. Nell’Essay e nell’Ars signorum egli aveva trovato (almeno in parte realizzato) il tentativo — già da lui stesso auspicato ed avviato nella Dissertatto — di costruire una lingua universale che fosse anche «artificiale » e « filo- sofica », costruita cioè non sulla base di una corrispondenza tra dizionari, ma sul fondamento di una classificazione logica dei concetti. Le critiche di Leibniz a Dalgarno e a Wilkins 10 G.1V, 73. n G. IV, 72-73. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 243 nasceranno, abbiamo visto, solo negli anni del soggiorno a Parigi: in una nota apposta al suo esemplare dell’Ars signo- rum e in una lettera all’Oldenburg (scritta da Parigi) Leibniz criticava i due autori inglesi affermando che, più che a costruire una lingua davvero « filosofica », capace cioè di indicare le relazioni logiche tra i concetti, essi si erano preoccupati di dar luogo a una lingua che potesse facilitare il commercio fra le nazioni. La lingua internazionale — aggiungeva Leibniz — è solo il più piccolo dei vantaggi offerti dalla lingua universale : essa è prima di tutto un instrumentum rationis.'®? Ma nel modo di concepire la lingua universale (il termine caratteristica reale, sovente impiegato da Leibniz, deriva in modo evidente dalla terminologia baconiana ripresa anche da Wilkins) Leibniz non si discostava di molto dalle posizioni tradizionali. Da questo punto di vista alcune delle sue affermazioni appaiono particolarmente significative e valgono a mostrarci la effettiva vicinanza di alcune delle sue tesi con quelle sostenute dai teo- rici inglesi della lingua artificiale : 1) La lingua universale o caratteristica reale risulta da un sistema di segni che rappresentano direttamente le nozioni e le cose, non le parole (« peindre non pas la parole, mais les pensées »), tali quindi da poter essere letti e compresi indi- pendentemente dalla lingua che effettivamente si parla.!* 2) La costruzione di una lingua universale coincide con quella di una scrittura universale (« nihil refert, an scripturam tantum universalem, an vero et linguam condere velimus; facile enim est utrumque eadem opera efficere »).'! 3) Pur dichiarando di volersi discostare dalla tradizione, Leibniz vede nei geroglifici egiziani, nei caratteri cinesi, nei segni impiegati dai chimici, gli esempi di una caratteristica reale (« hieroglyphica Aegyptiorum et Chinensium et apud nos notae chemicorum, Characteristicae realis exempla sunt, fateor, sed qualis hactenus auctores designavere, non qualis nostra est »).!° !* G. VII, 12; Couturat, Nota III. 19 G. VII, 21, 204. 14 G. VII, 13. 15 G. VII, 25. 244 CLAVIS UNIVERSALIS 4) La lingua universale può essere appresa in un tempo brevissimo (« in poche settimane », ripete Leibniz con il Dal- garno) e serve anche, seppure non principalmente, alla propa- gazione della fede cristiana e alla conversione dei popoli (« cette Eesinure ou langue... pourroit estre bientost receue dans le monde, parce qu'elle pourroit estre apprise en peu de semai- nes, et donneroit moyen de communiquer par tout. Ce qui seroit de grande importance pour la propagation de la foy, et . pour l’instruction des peuples eloignés »).!° 5) L'apprendimento della lingua universale coincide con l'apprendimentodella enciclopedia o del sistematico ordina- mento delle nozioni fondamentali. Il progetto dell’enciclopedia è organicamente legato a quello relativo alla lingua univer- sale e da esso inscindibile (« qui linguam hanc discet, simul cet discet encyclopaediam quae vera erit janua rerum »).!” 6) L'apprendimento della lingua universale costituisce, di per se stesso, un rimedio alla debolezza della memoria (« qui linguam hanc semel didicerit, non potuerit eius oblivisci, aut, si obliviscatur, facile omnia necessaria vocabula ipse sibi repa- rabit »).!* 7) La superiorità della lingua universale sulla scrittura cinese sta nel fatto che le connessioni tra i caratteri corrispon- dono all’ordine e alla connessione esistenti fra le cose («on la pourra apprendre en peu de semaines, ayant les caracteres bien liés selon l’ordre et la connexion de choses, au lieu que les Chinois... »).!* Su due punti, entrambi di importanza fondamentale, Leib- niz si discosta però dai precedenti tentativi: 1) I caratteri della lingua universale hanno il compito di esprimere i rapporti e le relazioni che intercorrono tra i pensieri; come nel caso dell’algebra e dell’aritmetica, i carat- teri devono servire all’invenzione e al giudizio. « Questa scrit- tura, scrive Leibniz nel 1679, sarà una specie di algebra gene- rale e offrirà il modo di ragionare calcolando, di modo che, 16 G. VII, 26. 12.G. VIL- 13; 18 G. VII, 13. 19 G. VII, 26. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 245 invece di disputare, si potrà dire: calcoliamo. E si troverà che li errori del ragionamento sono soltanto errori di calcolo indi- viduabili, come nell’aritmetica, per mezzo di prove ». Il pro- getto di una lingua universale o filosofica, ripreso da Leibniz con nuovo vigore dopo la lettura delle opere di Dalgarno e di Wilkins, poteva in tal modo essere accostato a quello già av- viato nel De arte combinatoria e tendente alla costruzione di un’ars inveniendi concepita come calcolo.?° 2) La costruzione della lingua universale condurrà in tal modo non solo alla realizzazione di un mezzo di comu- nicazione, ma contribuirà anche, in modo diretto, alla realiz- zazione dell’ars inveniendi. Il nome (segno) attribuito nella lingua universale ad un determinato oggetto o ad una deter- minata nozione non servirà solo a individuare le relazioni intercorrenti fra la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie e a determinare i rapporti tra la cosa stessa e le differenze e i generi nei quali essa è contenuta come elemento; non servirà solo a indicare la « posizione » che l’og- getto occupa nello schema dell’universo; servirà anche «a in- dicare le esperienze che devono essere razionalmente intra- prese per estendere la nostra conoscenza »: « Equidem fateor et res ipsa clamat, non posse nunc quidem ex nomine quod auro (exempli causa) imponemus, duci phaenomena quaedam chymica quae dies et casus detegent, donec sufficientia phaeno- mena ad reliqua determinanda nacti simus. Solius Dei est, primo intuitu, huiusmodi nomina imponere rebus. Nomen tamen quod in hac lingua imponetur, clavis erit eorum omnium quae de auro humanitus, id est ratione atque ordine sciri pos- sunt, cum ex eo etiam illud appariturum sit, quaenam expe- rimenta de co cum ratione institui debeant ». Nel lungo fram- mento intitolato Lingua generalis (febbraio 1678), il primo sistema di calcolo logico concepito da Leibniz, poteva in tal modo presentarsi come il fondamento del progetto leibniziano di una lingua universale.?! Per trasformare la caratteristica (facente uso di simboli numerici) in una lingua che potesse essere « parlata » Leibniz n faceva ricorso, come ha chiarito anche il Couturat,#? ai metodi n G. VII, 23, 26, 205 e cfr. Grua, 263 - 64. 2! G. VII, 13; Op. 277-79. ?2 CoururaT, 62, 63. 246 CLAVIS UNIVERSALIS teorizzati da Dalgarno e da Wilkins, indicava con le nove prime consonanti (5, c,d,f,g.hl,m,n)i numeri da 1 a 9, e con le cinque vocali le unità decimali in ordine ascendente (1, 10, 100, 1000, 10000), per le unità superiori ammetteva l’im- piego di dittonghi. Così il numero 81.374 si scriverà e si pro- nuncierà Mubodilefa. Poiché ogni sillaba indica, mediante la vocale, il suo ordine decimale, il valore della sillaba stessa è indipendente dal posto occupato nella parola. Lo stesso nu- mero può essere espresso con il termine Bodifalemu che si- gnifica 1000 + 300 + 4 +70 + 80000 = 81.374.°* Non è il caso di esporre qui le dottrine di Leibniz concer- nenti la grammatica razionale, né i suoi tentativi di una sem- plificazione grammaticale e sintattica del latino al quale egli, dopo i ripetuti insuccessi cui è andato incontro, fa ricorso come « intermediario » fra le lingue viventi e la futura lingua uni- versale.?! È ben certo, tuttavia, che il problema che necessa- riamente Leibniz doveva porsi, della costituzione di un dizio- nario poneva Leibniz di fronte ad una questione nella quale si erano già imbattuti non pochi fra i teorici inglesi della lin- gua perfetta. Perché il nome di ogni oggetto o nozione possa esprimere la definizione dell’oggetto o della nozione in modo che i termini della lingua artificiale divengano simboli ade- guati e trasparenti simili a quella della lingua di Adamo, è ne- cessario aver individuato gli elementi primi e semplici che compongono l’alfabeto del pensiero. Ma per individuare que- st’alfabeto è necessario un inventario di tutte le conoscenze umane; è indispensabile disporre di un’enciclopedia nella quale tutte le nozioni siano classificate nell’ambito di un si- stema unitario e appaiano quindi riconducibili ad un numero limitato di categorie fondamentali: «La Caracteristique que je me propose ne demande qu’une espèce d’Encyclopedie nou- velle. L’ Encyclopedie est un corps où les connoissances hu- 29 Op.278. 24 Cfr., su questi argomenti, Coururat, 66 segg. c, dello stesso autore, Histoire de la langue universelle, Paris, 1907, pp. 11-28. Per una ri- presa, da parte del Couturat, di questi temi leibniziani cfr. Des rapports de la logique et de la linguistique dans le probleme de la langue inter- nattonale, in « Atti del IV Congr. intern. di filosofia », Bologna, 1911, vol. II. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 247 maines les plus importantes sont rangées par ordre. Cette En- cyclopedie estant faite selon l’ordre que je me propose, la Caracteristique seroit quasi toute faite ».° In una serie numerosissima di abbozzi, di frammenti, di piani, di capitoli o sezioni offerti come provvisori specimina, Leibniz, rivolgendosi alle società e alle accademie, ai principi e ai sovrani, andò elaborando durante l’intera sua vita, il pro- getto di un'enciclopedia universale che non si presentasse sem- plicemente come una classificazione o un bilancio delle cono- scenze già acquisite, ma avesse valore « dimostrativo », ser- visse cioè di guida alla ricerca scientifica in atto.?* Sulle « fonti » di non pochi tra questi progetti appaiono essenziali le testi- monianze dello stesso Leibniz. Nella Nova methodus iuris- prudentiae troviamo precisi riferimenti al Lavinheta cui vien riconosciuto il merito di aver individuato quei termini giuri- dici fondamentali mediante i quali potrà venir costruita la tavola enciclopedica del diritto.?” In una lettera del 1714, rife- rendosi agli anni della giovinezza, Leibniz parlava dell’in- flusso esercitato su di lui dal Digestum sapientiae di Ivo Paris. Sull’opera di Alsted, già ricordato nella Dissertatio del ’66 per i suoi scritti lulliani, Leibniz ritornò più volte: nel 1681 par- lava di lui con ammirazione, dieci anni prima aveva dedicato un breve scritto a migliorare e perfezionare la sua grande enci- clopedia.°* Ancor più profondo è il debito verso Comenio: «la mia propria enciclopedia, non differisce molto da quella di Comenio » ed a Comenio Leibniz aveva attinto la tesi (di importanza centrale) di una sostanziale, profonda identità fra la lingua universale e l’enciclopedia.?° 25 G. VII, 40. 26 Sul carattere dimostrativo dell’enciclopedia leibniziana cfr. le utili precisazioni contenute nel saggio di R. Mc Rae, Unity of the sciences: Bacon, Descartes, Leibniz, in « Journal of the History of Ideas », 1957, I, pp. 27-48. 2? L. Dutens, G. G. Leibmtii Opera Omnia, voll. 6, Genevae, 1768, III, pp. 156 segg. 28 Op. 561 ec cfr. Carreras y ARtAU, La filosofia cristiana, cit., II, p. 321. 2° G. IV, 62; G. VII, 67; Cogitata quaedam de ratione perficiendi et emendandi Encyclopaediam Alstedii in Dutens, Leibnitit Opera, cit., V, 183; cfr. Op. 354 - 55. 3° Cfr. Carreras y ARTAU, II, p. 320; Couturat, 571 -73; /udicium de scriptis comenianis in Dutens, Leibnitii Opera, cit., V, pp. 181-82. 248 CLAVIS UNIVERSALIS Facendo riferimento al commento leibniziano alla lettera di Cartesio sulla lingua universale, abbiamo visto come Leibniz si rendesse ben conto del perfetto « parallelismo » esistente tra il progetto della lingua universale e quello concernente l’enci- clopedia. In quel passo, di incerta datazione, egli si era rifiu tato di far «dipendere» la caratteristica dall’ enciclopedia: « Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che la filosofia non sia per- fetta ».*! Ma, su questo punto, la posizione di Leibniz pre- senta non poche incertezze : in una lettera al Burnet del 24 ago- sto 1697 egli affermava, muovendosi in una direzione comple- tamente opposta, che «i caratteri presupporrebbero la vera filosofia ed è solo al presente che io oserei dare avvio alla mia costruzione ».°* Questo duplice punto di vista, ha scritto Fran- cesco Barone, corrisponde «al duplice punto di vista da cui il Leibniz guarda alla caratteristica, considerandola rispetti- vamente, come strumento metafisico assoluto o come stru- mento per la costruzione di particolari sistemi deduttivi ».*° L'osservazione è molto esatta. La caratteristica come stru- mento, come calcolo modellato sul formalismo dell’algebra, non richiedeva la preliminare fondazione della vera filosofia: caratteristica ed enciclopedia si risolvevano l’una nell’altra e procedevano di pari passo. Continuando però a concepire la caratteristica come «chiave universale » come lo strumento atto a disvelare le essenze e a decifrare quell’alfabeto del mondo che corrisponde all’alfabeto dci pensieri, Leibniz si ritrova- va di fronte allo stesso problema che avevano dovuto affron- tare i teorici inglesi della lingua perfetta: costruire una wr: versal philosophy che servisse di base e di fondamento alla lin- gua filosofica. Per rendersi conto di ciò basterà considerare quelle ampie tavole enciclopediche che furono composte da Leibniz tra il 1703 e il 1704.°4 Al termine della sua attività, dopo aver steso e abbozzato piani e frammenti numerosissimi di enciclopedie, 9 Op. 27-28. 32 G. III, 216. 3 F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., p. 24. " Op. 437 - 510. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 249 Leibniz tornava a muoversi, ancora una volta, sul piano stesso sul quale si erano mossi Wilkins e Dalgarno. In queste pagine l'enciclopedia si configurava come una classificazione logica (fondata sulla distinzione scolastica delle sostanze e degli acci- denti) dei principali concetti di tutte le scienze (dalla matema- tica, alla morale, alla politica), di tutti gli oggetti naturali (dai minerali, alle piante, agli esseri viventi) e di tutti gli oggetti artificiali (gli utensili e gli strumenti costruiti dalla mano del- l’uomo). La classificazione leibniziana riproduceva, con tra- scurabili differenze, quella che abbiamo visto presente nel- l’Ars signorum di George Dalgarno: Res: Concreto matematico Accidentia: Accidenti comuni Concreto fisico Accidente matematico Concreto artificiale Accidente fisico generale Concreto spirituale Qualità sensibili Accidenti sensitivi Accidente razionale Accidente economico Accidente politico. Anche all’interno delle varie classi e sottoclassi veniva ri- prodotta la stessa classificazione. La classe degli « accidenti politici » comprendeva per esempio, anche per Leibniz: la re- lazione d’ufficio, la relazione giudiziaria, la materia giudi- ziaria, il ruolo delle parti, il ruolo del giudice, i delitti, la guerra, la religione. Anche nell’elencazione dei singoli ter- mini compresi in ciascuna delle classi e sottoclassi, Leibniz si discostava in misura assai limitata dallo schema costruito dal Dalgarno. Il progetto di una enciclopedia « dimostrativa » — stori- camente così importante — sembrava qui abbandonato. Le ragioni di questo mutamento di prospettive richiederebbero un'analisi particolare. Qui ci si voleva limitare a far rilevare che le “influenze” delle posizioni dei teorici inglesi della lin- gua universale non sono presenti soltanto negli scritti del “gio- vane”Leibniz. Facendo riferimento ai testi dedicati alla costruzione delle lingue filosofiche, abbiamo notato come essi insistano tutti, concordemente, sul valore mnemonico delle lingue universali : i numerosi riferimenti a questo problema, presenti nelle opere 250 CLAVIS UNIVERSALIS di Leibniz, risultano anch'essi, dal nostro punto di vista, oltre- modo significativi. Come già Bacone e Cartesio, anche Leibniz era al corrente o era interessato al problema, così a lungo di- battuto in Europa, della memoria artificiale. Di questo suo interessamento per l’ars reminiscendi resta traccia in un gruppo di carte leibniziane ancora inedite: Phil. VI.19, che è una raccolta di appunti avente per titolo Mremonica sive praecepta varia de memoria excolenda, e Phil. VII. B. III. 7 che contiene una seconda raccolta di appunti e di riassunti di opere di ars memorativa. Alla carta 5r. del primo di questi due manoscritti troviamo teorizzata una serie di accorgimenti che possono essere usati per ricordare facilmente, facendo ricorso alle lettere alfabeti- che, una serie qualunque di numeri: Sr. Arcanum: qua ratione omnes et singulos nmumeros, prae- sertim cos quorum usus est in chronologia, atque aliorum infinitorum, memoriae mandare, corum citra omnem in- genii cruciatum recordari, ac nunquam oblivisci possis, ne dicam, ulteriora et infinita queas deducere. Si quis multos numeros citra cruciatum memoriae atque ingenii memorare cupit, omnino opus est ut subsidio ali- quo utatur. Sunt qui varie rem tentarunt, absque tamen singulari effectu ac successu, donec non adeo pridem hunc modum quispiam excogitando invenerit, multis rationibus ipsaque experientia reddiderit probatum. Alphabeti elementa sunt XXIV: haec dividuntur in vo- cales et consonantes. Vocales hac in re vicariam nobis tantum praebent utilitatem, consonantes vero primariam. / 5 v. Consonantes autem sunt hae: BCDFGKLMNPQ RST, his adiungantur WZV. Numeros habemus hos: 1234567890. Si plures dantur numeri, ex hisce com- ponuntur, ut ex | et 2 fiunt 12 quemadmodum res est plana. Iam vero nihil memoriam adeo torquet quam res referta numeris, quos tamen scire memoriaque comprehendere ma- ximi interest itaque hocce subsidii, ut utaris, valde pro- dest et conducit memoriam. Reduc consonantes istas ita, et puta quod sint numeri, sic facile te extricabis: 1234567890 BCFGLMNRSD PK WQ Z LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 251 Il ricorso ai versi, così diffuso nei testi di mnemotecnica dal Quattrocento fino a Bacone, è presente in un altro di questi fogli di appunti nel quale Leibniz traduce in latino i versi 33-42 della Geografia di Marciano d’Eraclea: °° 7r. Haec ergo visum est explicare carmine facili atque claro, quali utuntur comici. Nam sic iuvatur memoria nec sensus perit et simile quiddam vita nobis exhibet. Qui vult solutam ferre lignorum struem prohibebit aegre ne quid illi decidat sed colligatam facile fasciculo geret Oratio soluta pariter diffluit comprehensa versu mens fidelius tenet. Accanto ad una critica al Lexicon dell’Hoffmann (Anversa, 1698), questo stesso concetto ritorna in un’altra brevissima nota sulla grammatica di Emmanuel Alvarez (Dilingae, 1574 c Venezia, 1580) e sulla Grammatica philosophica dello Sciop- pio (Amsterdam, 1659): 8r. Eos quos in grammatica sua habet Emmanuel Alvarez Societatis Iesu, ipse Scioppius in Grammatica philosophica laudat et disci suadet. Ait cum centum et sexaginta versi- bus hexametris feliciter complexum omnes regulas de ver- borum praeteritis et supinis et omnem prosodiae latinae rationem centum sexaginta aliis versibus. 9r. Hofmanni lexicon universale maxime nominum proprio- rum utilis liber. Unum desidero: cum non posset autor ob rerum multitudinem cuncta plenis edisserere, praeclare fecisset si ubique indicasset autorem aliquem unde cele- rior in studio peti possit. Nelle pagine che hanno per titolo Artificium didacticum ed Exercitia ingenti troviamo, esplicitamente teorizzati, altri caratteristici precetti dell’arte mnemonica: 10r. Artificium didacticum. Semper cognita incognitis miscen- da et temperanda sunt ut labor et molestia minuantur. Ita optime discimus linguas per parallelismum cum linguis nobis notis, ita scriptum non satis cognitae lecturae, di- scendae linguae causa, sumamus librum familiarem nobis cuius sensa pene memoriter tenemus ut Novum Testamentum. Hinc etiam si cui musicam docere possem aut vellem, monstrarem cantiunculas sibi notas posset in charta exprimere si vereretur oblivisci. 35 Cfr. Geographi graeci minores, I, pp. 155 segg. 252 CLAVIS UNIVERSALIS llr. Exercitia ingenti. Ut Rhetores exercitia habent orationis, Grammatici exercitia styli, ita ego in pueris exercitia ingenii institui desidero. Exercitia ingenii nec gratiora nec efficaciora reperiri posse nititur quam ludos [...] verba quo ordine turbato iterum recitare ope mnemonices cui- quam facilis, inverso etiam si placet aut per saltus, histo- rias ab aliis recitatas iterum recitare, extempore describere proelia, itinera, urbes quorum ipsis via ante audita, histo- rias ab aliis recitatas resumere et denuo recitare, fingere preces et iubere ut quis ex duorum disputationibus et concertationibus patrias causas cuiquam implicatas discat facere aut solvere. [...]. Alle carte 16r-16v. è infine presente un ampio e analitico riassunto del Simonides redivivus sive ars memoriae et obli- vionis di Adam Bruxius (Lipsia, 1610). Ma accanto all’espo- sizione di tesi tradizionali ricompaiono in questi appunti i nomi dei teorici del metodo geometrico. Ad essi Leibniz rim- provera di non aver messo sufficientemente in luce quelle pro- posizioni primarie che stanno a fondamento di tutto il di- SCOrso : 13r. Video cos qui geometrica methodo tractare [....] scientias, ut P. Fabrius, Joh. Alph. Borellus, Benedictus Spinosa, R. des Cartes, dum omnia in propositiones minutas divellunt, efficere ut primarias propositiones lateant inter illas mi- nutiores, nec satis animadvertantur, unde saepe quod quae- ris difficulter invenies.?6 Su questi appunti inediti di Leibniz ci siamo soffermati così a lungo non perché essi presentino un particolare interesse, ma perché essi valgono a mostrare — e la cosa non era stata finora messa in rilievo — come i numerosi riferimenti di Leib- niz alla memoria e alla mnemotecnica nascano non tanto, come si è fin qui creduto, dalla lettura delle confuse pagine del Kircher, ma dalla conoscenza effettiva c dettagliata di al- cuni testi di arte mnemonica, come quello del Bruxius, ben noti e celebrati nella cultura del Seicento. Questa conclusione riceve d'altra parte nuova conferma da un csame delle pagine 26 Gli autori cui Leibniz fa riferimento sono, accanto a Cartesio € Spinoza, il padre gesuita Honoré Fabri, feroce anticopernicano ed au- tore dei Dialoghi Physici, Lyon, 1665 e G. Alfonso Borelli il cui Eudi- des restitutus sive prisca geometriae elementa fu pubblicato a Roma nel 1658. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 253 contenute nel manoscritto Phil. VII. B. n. 7. In una nota della quale conosciamo la precisa data di composizione (aprile 1678) troviamo, accanto ad alcune regole per la costruzione di una grammatica razionale, la descrizione dei mezzi mnemoni- ci dei quali far uso per ricordare una serie qualunque di idee. L'antica dottrina dei luoghi e delle immagini; la tesi della necessaria riduzione dei concetti e delle idee sul piano delle figure sensibili; le figure dei patriarchi, degli apostoli, degli imperatori; i precetti relativi all'ordine e alla collocatio in locis; le immagini degli animali; gli accorgimenti relativi ai ter- mini delle lingue «barbare » ricompaiono in questa pagina leibniziana. Certo è che Leibniz, oltre al Simonides redivivus del Bruxius, lesse e commentò con una minuziosa (come ri- sulta dalle carte 1r.-4v. di questo manoscritto) gli scritti dello Schenkelius soffermandosi particolarmente su quella parte del- l’opera che è dedicata all’apprendimento del latino, all’educa- zione dei fanciulli alla retorica, alle numerosissime regole del- l’ars reminiscendi.! Questi interessi di Leibniz, queste sue letture non furono senza influenza sulla soluzione di problemi di carattere più ge- 37 Lo Schenkel, cui toccò in sorte di essere brevemente discusso da Cartesio e studiato da Leibniz, è figura particolarmente interessante: fortunato insegnante c diffusore dell'arte mnemonica in Francia, Italia e Germania (« artem hanc — scrive il Morhofius I, p. 374 — magno cum successu suo mec sine insigni suo lucro exercuit») fu accusato di stregoneria durante un suo soggiorno all’Università di Lovanio, riuscendo poi ad ottenere protezione ed appoggio dalla facoltà teo- logica di Douai. La prima edizione della sua opera, poi spessissimo ristampata, è del 1595: De memoria liber secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai tre opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Spangerberg l’o- pera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis memoriae, Argen- torati, Antonius Bertramus, 1610 (copia usata: Angelica. SS. 1.24). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam, Anteverpiae 1589, e una raccolta di Flores et sententiac insigniores ex libris de Constantia Justi Lipsit, s. 1., 1615 (Par. Naz. Yc. 12326 e Z. 17739), è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con testo latino e trad. tedesca a cura di J. L. Klùber, Erlangen, 1804. All’insegnamento di quest’autore si ri- chiama la curiosa enciclopedia di ApRIAN LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de mémotre découvert par Schenkelius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, J. Quesnel, 1623 che amplia molto il testo originario (Par. Naz. Z. 11298). 254 CLAVIS UNIVERSALIS nerale: è indubbio che per Leibniz l’arte della memoria conserva un suo posto ed una sua precisa funzione nel mondo del sapere e viene più volte accostata alla logica: nella Nova methodus di- scendae docendaeque iurisprudentiae (1667) la mnemonica, la to- pica e l’analitica costituiscono le tre parti della didattica; nel Consilium de Encyclopaedia nova conscribenda methodo inven- toria (1679), la mnemonica viene collocata fra la logica e la to- pica; negli /ritia et specimina scientae novae generalis la sagesse o « perfetta conoscenza dei princìpi di tutte le scienze e arte di applicarli » viene suddivisa in art de bien raisonner, art d'inven- ter e art de souvenir; in una lettera a Koch del 1708 Leibniz giunge ad accogliere la tesi avanzata da Ramo e ripresa poi fra gli altri da Bacone secondo la quale l’ars memoriae costi- tuisce una parte o sezione della logica. Sulla funzione mnemo- nica della lingua universale, dell’enciclopedia, delle tavole, della stessa caratteristica Leibniz insiste più volte: i caratteri c le figure venivano concepiti anche da Leibniz, in pieno accordo con la tradizione, come mezzi per rafforzare l’imma- ginazione; le tavole gli apparivano, come già a Bacone, ad Alsted, a Comenio, a Wilkins indispensabili aiuti alla natu- rale fragilità della memoria: « Combinatoria: his qui imagi- natione firma non valent ad res attente considerandas succur- ritur figuris et characteribus, ita his qui memoria non valent nec multa simul exhibere possunt, succurritur ope tabula- rum ».5 Nell’elaborazione dei suoi numerosi, grandiosi progetti con- cernenti la caratteristica, la lingua universale, l'enciclopedia, Leibniz si era dunque richiamato di continuo a quelle discus- sioni sulla combinatoria e sull’enciclopedia, sull’alfabeto dei pensieri e sulla lingua universale, sui caratteri reali e sulla memoria che avevano avuto in tutta Europa, nei secoli XVI c XVII, un'eco vastissima. Non si trattava di una lieve eredità. Nel 1679, a tredici anni di distanza dalla pubblicazione della Dissertatio de arte combinatoria, dopo il soggiorno a Parigi e a Londra, dopo le grandi « scoperte » matematiche, Leibniz parlava ancora della 18 Per questi riferimenti alla memoria artificiale cfr. Durens, Leibnitii Opera, cit., III, pp. 150 segg.; Op. 37; G. VII, 82, 84, 476- 77. Sull'uso mnemonico delle classificazioni cfr. anche la lettera a Wagner in G. VII, 516-117 e, sui caratteri, « palpabili » e « sensibili»: Gaua, 548 - 49. pi LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 255 sua invenzione con accenti caratteristici, con un tono che appare singolarmente vicino a quello « miracolistico » e «magico » di tanti fra i lullisti e i maestri di memoria del secolo XVI: «La mia invenzione contiene, tutto intero, l’uso della ragione; un giudice delle controversie; un interprete delle nozioni; una bilancia per le probabilità; una bussola che ci guiderà nell’oceano dell’esperienza; un inventario delle cose; una tavola dei pensieri; un microscopio per scrutare le cose presenti; un telescopio per indovinare quelle lontane; un cal- colo generale; una magia innocente; una cabala non chime- rica; una scrittura che ciascuno potrà leggere nella sua propria lingua; infine una lingua che potrà venire appresa in poche settimane e che avrà presto corso nel mondo portando, ovun- que potrà giungere, la religione vera... ».°° Non erano parole dettate dal desiderio di adattarsi a una moda culturale o a un linguaggio corrente: come già i seguaci di Lullo e i teorici della pansofia anche Leibniz restò sempre convinto che fosse possibile rintracciare un metodo che costituisca la chiave della realtà universale; che fosse possibile dar luogo ad una scienza generalissima capace di scoprire la piena corrispondenza tra le forme originarie costitutive della realtà e la catena delle ragioni o dei pensieri umani. La scienza generale « non ab- braccia soltanto la logica... ma è ars inventendi e methodus disponendi, è sintesi e analisi, didattica e scienza dell’ inse- gnare, è noologia e arte del ricordare o mnemonica, è ars cha- racteristica 0 simbolica, è grammatica filosofica, arte lulliana, cabala dei sapienti e magia naturale »."° Dalla tradizione dell’enciclopedismo lullista, da quella della pansofia, dalle teorie sulla lingua universale Leibniz non ac- coglieva soltanto una serie di temi di importanza secondaria e marginale. Quella tradizione operava potentemente su uno dei punti centrali e fondamentali della sua filosofia: sul con- cetto stesso di una scienza generale che è anche una, sia pure «innocente », magia naturale, che è in grado cioè di rivelare le ragioni presenti ed operanti nel cosmo, di chiarire la strut- °° G. W. Leigniz, Samtliche Schriften und Briefe herausgegeben von der Preussischen Akademie der Wissenchaften, I. R., II B., Darmstad, 1927, pp. 167 -69. 10 Introductio ad Encyclopaediam arcanam, in Op. 5I1. 256 CLAVIS UNIVERSALIS tura ontologica della realtà. Su questo punto, che è di impor- tanza decisiva, i testi sono oltremodo precisi. L'arte — scrive Leibniz nella Dissertatio — «conduce con sè l’animo obbe- diente attraverso quasi tutto l’infinito e abbraccia insieme l’ar- monia del mondo e le intime costruzioni delle cose e la serie delle forme ».'! La lingua universale, d’altro lato, « scopre le interiori forme delle cose » 4° e l’astrazione ha il suo fonda- mento nella trama ideale della realtà: « se il nostro animo non troverà il genere delle cose... lo saprà Dio, lo troveranno gli angeli e preesisterà un fondamento a tutte queste astrazio- ni ».°* Nella Confessio naturae del 1668 Leibniz insiste sul concetto di un’armonia universale che proviene dallo spirito divino,‘* mentre, in una lettera del 1704, troviamo esplicita- mente teorizzata una concezione platonico-pitagorica della realtà nel cui ambito la matematica diviene veramente —- come è stato scritto — lo strumento per penetrare i lineamenti più intimi e segreti del mondo: «Qual'è la ragione dell’ar- monia delle cose? Nulla: ad esempio, non si può dar nes- suna ragione del fatto che il rapporto di 2 a 4 sia eguale a uello di 4 a 8, neppure movendo dalla volontà divina. Ciò dipende dalla stessa essenza o idea delle cose. Le essenze delle cose sono infatti numeri, e costituiscono la stessa possibilità degli enti, che non è fatta da Dio, che ne fa invece l’esistenza: poiché, piuttosto, quelle stesse possibilità o idee delle cose coin- cidono con lo stesso Dio. Essendo Dio mente perfettissima, è impossibile che non sia egli stesso affetto dall’armonia per- fettissima... ».!° Temi di questo tipo ritornano, con ampiezza molto mag- giore, in quella serie di scritti che risalgono agli anni 1675 - 1676 e che I. Jagodinski ha raccolto e pubblicato nel 1913 ‘* 4! G. IV, 56. Il passo è stato sottolincato dal Kasitz, Die p/ulosophie der jungen Leibniz, cit., p. 26. 42 G. VII, 13. 43 G. VII, 61, 70. 41 Lersniz, Sdmtiliche Schriften und Bricfe, cit., VI, I, p. 492. 15 Su questo passo hanno richiamato l’attenzione il KaÒitz, Die phi- losophie der jungen Leibniz, cit. p. 36 e F. Barone, Logica formale e trascendentale, cit., p. 8. La lettera fu pubblicata dal TRENDELENBURG in «Hist. Beitrige zur Philos. », Berlin, 1855, II, p. 190. 46 I. JacopiINSsKI, Lerbriziana. Elementa philosophiae arcanae. De sum- ma rerum, Kasan, 1913; dello stesso autore cfr. Leibniziana inedita: LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 257 a proposito dei quali si sarebbe davvero tentati di dire, con il Rivaud, che «il principio di armonia è stato il centro in- torno al quale tutte le idee di Leibniz si son venute cristalliz- zando, c questo stesso principio appare, fin dall’inizio, non una semplice legge logica ma una necessità estetica e mo- rale ».*" Negli Elementa philosophiae arcanae non troviamo solo l'affermazione che « existere nihil aliud esse quam harmo- nicum esse », ma vediamo esplicitamente affermata la dottrina di un ordine logico del cosmo secondo la quale «ciò che distingue una sostanza dall’altra è la sua situazione nel con- testo razionale dell’universo ».°* Su questo stesso terreno si muoveva Leibniz quando scriveva a Federico di poter dimo- strare l’esistenza di una «ratio ultima rerum seu harmonia universalis » o quando affermava, in una lettera del 1678 alla duchessa Elisabetta, la piena coincidenza tra i caratteri reali e gli elementi semplici costitutivi della realtà: «la caratteri- stica rappresenterebbe i nostri pensieri veramente e distinta- mente e, quando un pensiero fosse composto da altri più sem- plici, il suo carattere lo sarebbe egualmente... i pensieri sem- plici sono gli elementi della caratteristica e le forme semplici le sorgenti delle cose ».‘ confessio philosophi, Kasan, 1915 (testo lat. con traduzione russa a fronte). 47 A. Rivaup, Textes inédits de Leibniz publiés par M. Ivan Jago- dinski, in « Revue de Met. et de Morale », 1914, pp. 92-120. 48 I. JAGODINSKI, Leibniziana, cit., pp. 32, 220. 49 La lettera a Federico in G. I, 61; quella ad Elisabetta in Sdngliche Schriften und Briefe, cit., II, I, p. 438. Sulla presenza di motivi « me- tafisici » anche in quei temi di «logica » che sono alla base dell’in- terpretazione panlogistica cfr. B. JasinowskI, Die analitische Urteilslehre Leibnizens in ihrem Verhiltnis zu seiner Metaphysik, Vienna, 1918. Pur muovendo dall’accettazione delle tesi del Couturat e del Russell, .G. Preti, // cristianesimo universale di G. G. Leibniz, Milano-Roma, 1953, p. 77, è giunto a conclusioni che mi pare vadano sottolineate: «In realtà Leibniz non è giunto mai ad uno sviluppo completo della sua logica ed è rimasto impigliato in gravissime difficoltà perché non ha saputo mai abbandonare completamente il suo originario platoni- smo: il criterio dell’evidenza (intuizione immediata delle idee), il rea- lismo logico (per cui esistono idee in sé primitive e in sé composte), la concezione secondo la quale il gioco formale dei simboli doveva riprodurre i rapporti ideali eterni sussistenti fra le idce le quali erano nella mente di Dio, hanno impedito a Leibniz di svolgere fino in fondo le sue intuizioni logiche, che pur erano tanto geniali e nel 258 CLAVIS UNIVERSALIS seguito si mostreranno tanto feconde. In realtà Leibniz crea una logica sempre con la PR di creare un’ontologia e una metafisica; ma per creare la logica moderna occorreva svincolarsi del tutto da ogni preoccupazione ontologico-metafisica, e seguire una gnoseologia (quella che, nascendo da Hume, arriverà al neopositivismo delle scuole di Vienna c di Chicago) che Leibniz non avrebbe seguita ». A con- clusioni non dissimili, da queste del Preti, è giunto più di recente F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., pp. 8 segg. che ha parlato di una « fondamentale differenza » fra la logica formale moderna c la logica leibniziana « sempre inglobata e sorretta, anche nelle ricerche più modernamente tecniche, dall'ideale metafisico della pansofia » c che ha sottolineato la presenza, nel pensiero di Leibniz, di una «concezione platonico-pitagorica delle forme che è a fondamento della formalità degli schemi logici ». A conclusioni fortemente diver- genti da queste ora csposte è giunto A. Corsano, Lerbniz, Napoli, 1952 che ha acutamente analizzato le influenze esercitate sul pensicro di Leibniz dalle opere del Suarez e ha sostenuto la tesi di « un’intima e quasi intera adesione al nominalismo », dalla quale avrebbe preso le mosse il pensiero di Leibniz. Con questa tesi, per le ragioni sia pur brevemente accennate nel testo, non mi pare di poter concordare anche perché non credo, come ritiene il Corsano, che agli «arcaici e decre- pitt motivi di misticismo platonico-pitagorico » Leibniz fosse « co- stretto a inchinarsi in omaggio alle opinioni dei suoi maestri (Weigel) e per parlare con un linguaggio accessibile all’arretratissima cultura filosofico-scientifica della Germania barocca» (A. Corsano, rec. a F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., in « Rivista critica di storia della filosofia », 1957, 4, p. 495). Mostrare la presenza e il non indifferente peso esercitato da quelle arcaiche « sopravvi- venze» — che non mi paiono in alcun modo riducibili ad una specie di espediente accademico o retorico — è in ogni caso il fine che in queste pagine mi sono proposto. APPENDICI APPENDICE 1. IL LIBER AD MEMORIAM CONFIRMANDAM DI RAIMONDO LULLO Il Liber ad memoriam confirmandam, rimasto fino ad ora inedito, fu composto da Lullo a Pisa fra il 1307 e il 1308. A Pisa, Lullo era giunto da Genova, negli ultimi mesi del 1307, dopo un viaggio assai avventuroso ed un naufragio del quale egli stesso ci dà notizia: « Saraceni ipsum [Lullum]) miserunt in quandam navem tendentem Genovam, quae navis cum ma- gna fortuna venit ante Portum Pisanum; et prope ipsum per decem millaria fuit fracta, et Christianus [Lullus] vix quasi nudus evasit, et amisit omnes libros suos et sua bona» (cfr. Disputatio Raymundi Christiani et Hamar Saraceni, vol. IV dell’ediz. di Magonza, 1729, p. 45) A Pisa, Lullo portava a compimento, fra l’altro, la stesura dell’Ars magna generalis ultima iniziata a Lione nel 1305 e progettava una crociata appoggiandosi al governo della Repubblica per ottenere racco- mandazioni per il Pontefice e per i cardinali. Nei primi mesi del 1308 (marzo-aprile) troviamo Lullo di nuovo a Genova e poi a Montpellier. La data di composizione dell’opera indicata da S. Garmes: gennaio 1308 (cfr. Dinamisme de R. Lull, Mal- lorca, 1935, p. 47) appare quindi oltremodo probabile. A que- sto studioso si deve una breve ma accuratissima biografia del Lullo: Vita compendiosa del Bt. Ramon Lull, Palma de Mal- lorca, 1915. Il testo dell’operetta lulliana del quale si dà qui di seguito la trascrizione è conservato in tre mss. del sec. XVI: il cod. I 153 inf., ff. 35r.-39v. dell’Ambrosiana (qui indicato con la sigla B); il cod. 10593, ff. 1 v.-3v. della Staatsbibl. di Monaco (indicato con M); il cod. lat. 17839, ff. 437 r. - 444 v. della Na- zionale di Parigi (indicato con P). Il ms. B appartiene senza dubbio ad un ramo della tradizione diverso da quello cui appartengono gli altri due mss. i quali presentano, rispetto a B, caratteristiche in parte comuni (diverso incipit, assenza della suddivisione in capitoli, lacune comuni rispetto a B, di- versa terminologia ecc.). In P sono presenti lacune che non sono in M. Oltre che una derivazione di M. da P, è tuttavia 262 CLAVIS UNIVERSALIS da escludere anche una derivazione di P da M: le divergenze fra i due mss. dipendono nella maggior parte dei casi da diffe- renti interpretazioni dovute alle abbreviature presenti nel testo originario o in un subarchetipo comune. Si vedano a titolo di esempio le varianti corrispondenti alle note 15, 70, 130, 146. B. 39r. M. lr. P. 437 r. P. 437 v. B. 35\ M. lv P. 438r. In nomine Sanctissimae Trinitatis incipit liber ad memo- riam confirmandam (1). Ratio quare presentem volumus colligere tractatum est ut memoria hominum (2) quae labi- lis est et caduca modo rectificetur meliori (3). Ipsum quidem dividimus in duas partes principales (4), subsequenter in plures. Prima igitur pars est Alphabetum ideo ut sequitur ipsum diffinimus (5). Cap. I. (6). Alphabetum ponimus in hoc tractatu ut per ipsum possi- mus memoriam diffinire (7) ct in certis et (8) terminatis princi- piis ipsam (9) in duabus ponere potentiis. Primo (10) igitur b. significat memoriam naturalem, c. significat capacitatem, d. significat (11) discretivam. Quid tamen (12) sit naturalis me- moria, quid capacitas, quid discretiva, vade ad quintum su- biectum (13) per b.c. d. designatum (14) in libro septem (15) planetarum quia ibi tractavimus miraculose et notitiam om- nium (16) habebis / entium naturalium, quapropter ipsorum (17) prolixitatem et sermonem (18) declarationis hic ad prae- sens exprimere praetermitto, cum intellectus (19) per unam literam plura significata habentem sit generalior (20) et possit in memoria plura significata recipere (21) quam per aliam largo modo sumptam. / Cap. II. Sequitur nunc secunda pars quae memoriam dividit (22) in partes speciales (23) pariter et generales de generali tractans ad specialia (24) postea descendendo. Primo igitur ut laborans in studio (25) faciliter (26) sciat modum scientiam (27) et ne, post amissos quamplurimos labores, scientiae huius (28) ope- ram inutiliter tradidisse (29) noscatur, scd potius labor in . requiem et sudor / in gloriam plenarie (30) convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus invenire per quem non tanta gravitate corporis iugiter deprimantur, sed absque ni- mia vexatione et cum (31) corporis levitate et mentis laetitia ad scientiarum culmina / gradientes (32) cquidem (33) pro- pere subeant (34). Multi enim sunt qui more brutorum litera- rum studia cum multo et summo labore corporis prosequun- tur absque (35) exercitio ingenii artificioso (36) et continuis vi- gilits maceratum corpus suum iuxta labores proprios inuti- liter exhibentes (37). Igitur (38) decet (39) modum per quem APPENDICE I 263 virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valeat invenire et a gravamine tantorum laborum (40) relevari possit (41). Oportet nos igitur conservare (42) ante omnia quaedam prin- cipia et praccepta (43) necessaria et postrmodum ad specialia condescendere (44). Primum ergo oportet praeceptum legis observare, idest diligere Deum ciusque Genitricem beatissi- mam virginem (45) Mariam. Nam Spiritus Sanctus dat scien- tiam cum magnitudine ut sit magna, Beata Virgo Maria dat scientiam (46) cum bonitate ut sit bona. Spiritus Sanctus dat B. 36r. scientiam ut charitas duret, Domina nostra beatissima / dat P. 438v. P. 439r. M. 2r. B. 36v. P. 439v. scientiam (47) ut / pietas duret. Spiritus Sanctus dat scientiam cum potestate (48) ut sit fortis, Domina nostra virgo beatis- sima dat scientiam ut recolatur. Spiritus Sanctus dat scientiam contra infidelitatem, Domina nostra virgo (49) Maria dat scientiam contra peccatum. Spiritus Sanctus dat scientiarp cum ratione (50), Domina nostra (51) pia dat scientiam cum patientia (52) Spiritus Sanctus dat scientiam cum (53) spe, Domina nostra sanctissima pia Virgo Maria (54) dat scien- tiam cum (55) pietate. Spiritus Sanctus dat scientiam cui sibi placet, Domina nostra dat scientiam omnibus illis qui ipsam rogant. Spiritus Sanctus dat scientiam ad rogandum, Domina nostra dat scientiam petendi (56). Spiritus Sanctus dat scien- tiam divitibus, Domina pia dat scientiam pauperibus. Spiritus Sanctus dat scientiam cum gratia (57), Domina nostra sacra- tissima virgo Maria dat scientiam cum petitione (58). Spiritus Sanctus (59) idiomata dat pariter / et (60) consolationes ab ipso quidem divino (61) Domino nostro Jesu Christo omnia prospere (62) procedunt et conceduntur (63) et sine ipso fac- tum est nihil / et placa (64) ipsum per devotissimas orationes maxime per orationem Sancti spiritus (65). Secundo est opti- mum (66) observare modum vivendì in potando et come- dendo praccipue ex parte noctis vel etiam in dormiendo quo- niam (67) ex superfluitate horum (68) corpus gravitate ponde- rositatis ultra modum aggravatur et anima, corpori adherens, illius dispositionem sequitur. Nihil enim tam praecipuum scientiam inquirenti (69) ut moderationem ponat ori suo (70) et palpebris suis non concedat multam dormitionem et inor- dinatam. / Tertium praeceptum invenio (71) quod nunquam (72) deficiat quin (73) maiorem partem sui temporis (74) scientiae operam (75) tribuat cum affectu (76) quoniam (77) ex hoc sequitur capacitas, ex hoc memoria, ex hoc discretio naturalis. / Cap. III Sequitur nunc secunda pars ad specialia descendens. In artificioso studendi modo (78) distinguo tres potentias natu- rales: una est capacitas, alia est memoria, alia est discretio. Prima stat in prima parte capitis quae dicitur phantasia (79), P. 440r. B. 37r. M. 2v. P. 440v. B. 37v. P. 441 r. CLAVIS UNIVERSALIS secunda stat (80) in posteriori, tertia stat (81) in summitate (82) capitis quae aliis velut regina dominatur. Et bonum est habere bonam capacitatem, sed melius est habere bonam memoriam (83), sed multo melius (84) habere bonam discre- tionem (85). Modo restat videre de singulis, et primo viden- dum (86) est de capacitate (87), secundo de memoria, tertio de discretione. Si igitur aliquis (88) capacitatem lectionis cuiuscunque facultatis audiendae ambit (89), regulas quas in- fra dicam debet diligenter (90) observare, quas si observaverit quod sibi eveniet (91) experientia demonstrabit in brevi tem- pore (92). Primo (93) enim, antequam ad scholam accedat, lectionem statim tam de grammatica quam de logica / tam (94) de iure civili quam de iure (95) canonico et ita de omni- bus aliis scientiis audiendam (96), si potest de iure canonico aut civili (97) textum et glossas alias solum textum, et videbit si credit / intelligere; adhuc (98) non confidens de proprio intellectu (99) dabit tibi materiam speculandi (100), dum legat, utrum bene (101) vel male intellexcrit, ct postmodum, quando legetur, erit attentus lectioni ut intelligat per alium id quod per se (102) ignorabat. Item (103) postquam semel in domo viderit, facilius postca intelliget, et tali modo ego (104) scientiam mcam multiplicavi, et ita faciet artista meae artis quoniam sic (105) acquiret / scientiam quam voluerit. Item secundo dico quod (106) dum erit in scholiis habeat intellectum (107) ad id quod doctor vel magister tam in sacra pagina quam in artibus dicet, quod si non, faciliter (108) mens eius spargitur et potius videtur esse in loco ubi habet mentem quam in scholiis ubi est tam- que / frustra (109). Ex hoc tamen (110) multi perdunt offi- cium capiendi (111). Item quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et (112) dum questionem se- cundam vel argumentum (113) cuiuscunque facultatis dicit doctor vel magister vel artista meae artis, primam eodem modo revolvat, et interim quando dicetur tertia (114) reducat ad memoriam secundam (115) et sic de caeteris, et sic habebit intentionem capiendi totam lectionem. Posito quod non, nec (116) partem accipiat quarum (117) paulisper argumentabitur, non autem (118) uno momento poterit habere. Item quando (119) per sc vel per alium quis vult habere bonam capacita- tem, debet ponere ordinem in legendis (120). Nam si vult intelligere unam legem vel decretalem vel gramaticae vel logicae lectionem, dividat ipsam in duas / tres quatuor partes secundum quod lectio fuerit parva vel magna quoniam ad capacitatem multum et (121) forsan magis quam aliud (122) operaretur (123). Et de primo (124) haec sufficiant. / Cap. IV. Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem (125) secundum antiquos (126) alia est naturalis alia P. 441 v. B. 38r. P. 442r. P. 442v. APPENDICE I 265 est artificialis (127). Naturalis est quam quis recipit in crea- tione vel generatione sua secundum materiam ex qua (128) homo generatur et (129) secundum quod influentia alicuius planetac superioris regnat (130) et secundum hoc videmus quosdam homines meliorem memoriam habentes quam alios sed (131) de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud conce- dere. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quae- dam est in medicinis et emplastris (132) cum (133) quibus habetur et istam reputo valde periculosam quoniam interdum dantur (134) tales medicinae dispositioni hominis contrariae (135) interdum superfluae et in maxima cruditate (136) qua cercbrum (137) ultra modum desiccatur et propter defectum cerebri homo ad dementiam demergitur ut audivimus et vidimus de multis (138) et ista displiciet Dco / quoniam hic non se tenet pro contento (139) de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod ad stultitiam (140) non per- veniat (141), nunquam / vel raro habebit (142) fructum (143) scientiae (144). Alia est memoria artificialis per alium modum acquirendi nam dum aliquis per capacitatem recipit multum in memoria ct in ore revolvat per se ipsum (145) quoniam secundum Alanum (146) in parabolis (*) studens est admo- dum bovis. Bos enim cum maxima velocitate recipit herbas et since masticatione ad / stomachum remittit quas postmo- dum remugit et ad finem (147) cum melius est digestum in sanguinem et carnem convertit, ita est de studente qui mori- bus (148) oblitis capit scientiam sine deliberatione unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masticare ut in me- ‘moria radicetur et habituetur; quoniam quod (149) leviter capit (150) leviter recedit et ita memoria (151), ut habetur in libro de memoria et reminiscentia (152) /, per saepissimam reiterationem (**) firmiter confirmatur (153). Lectionem igi- tur diei lunae revolvat die martis et studeat et die martis et (154) die mercurii et sic de cacteris et talia (155) faciendo scientior (156) erit uno anno audiens illo qui sex audierit (157) annis et artistae hoc consulo meae artis caeterisque ad- discere volentibus invenire attingere (158) et habere. Cap. V. Venio ad tertiam videlicet ad (159) discretivam et dico quod discretio est duplex ut de memoria dixi: alia (160) naturalis, alia (161) artificialis. Naturalis est (162) quam quis habet ex dono Dei (163) et de ista (164) non loquor. Alia est artificiosa et ista acquiritur aliquibus (165) modis. Primo enim acqui- ritur si ea quae in memoria retinemus diligenter (166) serve- mus, cum (167) enim aliquid in mente memoramus sive textum sive glosam sive auctoritatem sive rationem per alium dictam (168) et de illo vel de simili a nobis petatur, per €a quae iam sunt in nostra notitia et memoria radicata (169) 266 Z P. 443r. B. 39r. P. 443v, CLAVIS UNIVERSALIS faciliter indicabimus cuicumque respondendo, verum (170) et certum est quod melius discernit (171) sciens quam ignarus propter scientiam quam habet (172) iam cum memoria ac- quisitam (173). / Car. VI. Postquam (174) de memoria et (175) capacitate et discre- tiva (176) tam in speciali quam in generali pariter et singu- lari dictum est (177), nunc videndum est de memoriac reci- tatione, et ad multa recitanda (178) consideravi ponere quae- dam nomina relativa per quac ad omnia possit responderi . quoniam quodlibet / corum (179) crit omnino generale ad omnino speciale et habet scalam ascendendi et descendendi de non omnino generali ad omnino speciale (180) et de non (181) omnino speciali ad omnino generale. Ista cnim sunt no- mina supra dicta: quid, quare quantus (182) et quomodo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti rationes in 0p- positum (183) factas vel quaecunque advenerint tibi recitanda et quam admirabile (184) est quod (185) centum possis (186) / rationes retinere et ipsas, dum locus fuerit (187) bene (188) recitare. Certe hoc auro comparari non debet (189), ergo qui scientiam habere affectat ct universalem ad omnia (190) desiderat, hoc (191) circa ipsum (192) tractatum laboret cum diligentia (193) toto possc quoniam sine dubio scien- tior erit aliis quia (194) nomina sine speciebus aut (195) sine magistro non possumus recitare ideo (196) ipsas pono: primo cnim quid (197) habet tres species quas hic propter carum (198) prolixitatem ponere (199) non curo, sed vade ad quintum subiectum (200) per b.c.d. significatum (201) in libro septem (202) planetarum quoniam (203) ibi videbis miraculose (204) ipsas aliqualiter (205) declarare (206) hic intendo, et sic dictum de primis tribus / ita intelligi potest de aliis (207) sequentibus (208). Primum igitur per primam speciem nominis quid (209), poteris certas quacstiones sive rationes sive alia quaccunque voluerisrecitare(210) cvacuan- do secundam (211) figuram de his quae continet, per secun- dam vero poteris (212) in duplo (213) respondere seu recitare ct (214) hoc per cvacuationem tertiae / et multiplicationem primae, et si (215) per primam tu recitas (216) viginti vel triginta nomina seu rationes (217), per secundam poteris qua- draginta vel sexaginta (218) recitare et hoc semper per eva- cuationem et multiplicationem (***). Tamen est multumdif- ficile nisi sit homo ingeniosus et intellectu (219) subtilis et non rudalis (220). Per tertiam vero centum poteris recitare (221) evacuando primam et multiplicando secundam et de aliis po- teris sicut de ista cognitionem habere. Quare firmiter et fer- venter (222) praedictas stude (223) species in praclibato sep- tem (224) planetarum libro quem nunquam eris studere de- APPENDICE I 267 fessus (225) immo eris gaudio cet laetitia plenus; in dicto libro multa (226) sunt studenti (227) necessaria quae si nota essent et bene intellecta non possent ullo modo (228) extimari; ideo consulo cuicumque ut (229) istum habeat prac manibus et P. 444r. prae oculis suae mentis (230). / Ad laudem et honorem Domini nostri Iesu Christi et publicae utilitati compositus fuit praesens tractatus in civitate Pisana in monasterio sancti Dominici per Raymundum Lullum (231) ut prius dominus Iesus Christus in memoria habeatur et verius recolatur. Amen. (*) Cfr. il Doctrinale minus, alias Liber parabolarum magistri Alani (uno degli auctores octo) in Micne, P. L., 210, col. 585 (425 DD): Denti- bus atritas bos rursus ruminat herbas / Ut toties tritae sint alimenta sibi / Sic documenta tui si vis retinere magistri / Sacpe recorderis quod semel aure capis. (**) De memoria et reminiscentia, Il, 452 a, 28-29. (***) Sulla multiplicatio et cvacuatio figurarum cfr. Ars brevis e Ars magna, Zetzner, pp. 15, 16, 278 -79. (1) In nomine... confirmandam ] Perutilis Raymundi Lulli Tractatus de Memoria B. (2) hominum ] om. B. ] hominis P. (3) meliori ] et melioretur B. (4) principales ] et add. B. (5) diffinimus ] definimus M. (6) Cap. I (e tutte le successive intitolazioni dei Cap.) om. MP. (7) diffinire ] definire M. (8) et ] om. B. (9) ipsam ] ipsum P. (10) Primo ] prima P. (11) significat ] om. B. (12) tamen ] autem B. (13) subiectum ] librum B. (14) designatum ] om. B. ] designata M. (15) in libro septem ] in libro octavo positum B. ] in libro septimo P. (16) omnium ] omnem B. (17) ipsorum ] ipse MP. (18) sermonem ] cc- riem M. ] scientia P. (19) intellectus ] generalior sit add. MP. (20) per unam literam plura significata habentem sit generalior ] pariter in memoria pro litera significata habentem B. ] ponit in memoria plura significata P. (21) et possit in memoria plura significata recipere ] om. BP. (22) quac memoriam dividit ] quac est de memoria et dividitur B. (23) speciales ] spetiales B. (24) specialia ] spetialem B. (25) ut laborans in studio ] laboranti in studio virtuose B. ] laboranti in studio studiose P. (26) faciliter ] facile B. (27) scientiam ] scientiae P. (28) huius ] huiusmodi M. (29) tradidisse ] credidisse B. (30) plenarie ] plenariam M. (31) cum ] etiam P. (32) gradientes ] gradus BM. (33) equidem ] eiusdem B. ] cosdem M. (34) propere subeant ] properari sublimiter B. (35) absque ] nullo add. B. (36) artificioso ] artificiosi B. ] sed add. MP. (37) labores proprios inutiliter exhibentes ] labores proprios exercentes conservare MP. (38) Igitur ] Considerare igitur B. (39) decet ] docet P. (40) laborum ] aliquando ad4. B. (41) pos- sit ] om. MP. (42) Oportet nos igitur conservare ] Nos igitur conside- ramus B. (43) principia et praecepta ] praccipitata B. (44) condescen- dere ] condescendentia B. (45) beatissimam virginem ] perbeatissimam gloriosam B. (46) Maria dat scientiam ] om. MP. (47) dat scientiam ] 268 CLAVIS UNIVERSALIS per sapientiam add. B. (48) cum potestate ] cum pietate B. ] in po- testate P. (49) virgo ] om. B. (50) cum ratione ] in ratione P. (51) nostra ] Maria B. (52) cum patientia ] in patientia P. (53) cum ] in P. (54) nostra sanctissima pia Virgo Maria ] sacratissima pia virgo B. (55) cum ] in P. (56) petendìi ] poenitenti BP. (57) cum gratia ] in gratia P. (58) cum petitione ] in petitione P. (59) Sanctus ] om. MP. (60) et ] om. B. (61) divino ] Deo pio MP. (62) prospere ] prospera MP. (63) ct conceduntur ] om. MP. (64) placa ] placare B. (65) ora- tiones Sancti Spiritus ] orationem spiritus B. (66) Secundo est opti- mum ] Secundum est B. (67) quoniam ] cum BM. (68) horum ] corum B. (69) inquirenti ] acquirenti B. (70) ut moderationem ponat ori suo ] ut ponat custodiam in somno B. ] ut moderate ponat ori suo P. (71) invenio ] om. B. (72) nunquam ] nunque B. (73) quin ] ut B. (74) temporis ] spiritus B. (75) operam ] opera M. (76) cum affectu ] in af- fectu P. (77) quoniam ] cum M. (278) in artificioso studendi modo ] in artificio secundo studendi P. (79) quae dicitur phantasia ] om. B. (80) stat ] om. B. (81) stat ] om. B. (82) summitate ] sanitate P. (83) sed me- lius est habere bonam memoriam ] sed multo melius est habere bonam discretionem P. (84) melius ] plus B. (85) discretionem ] discretivam B. (86) primo videndum ] providendum M. (87) de capacitate ] de bona capacitate M. (88) aliquis ] vult habere bonam 444. B. (89) ambit ] om. B. (90) diligenter ] diligentia B. (91) evenit ] quod add. B. (92) tempore ] om. B. (93) Primo ] Secundo B. (94) tam ] quam MP. (95) iurc ] om. B. (96) audiendam } auditum M. } audiendum P. (97) civili ] simili MP. (98) adhuc ] ad hoc MP. (99) de proprio intellectu ] proprii intellectus B. ] de primo intellectu P. (100) tibi materiam speculandi ]} et ut viam studendi MP. (101) utrum bene ] num vel benc B. (102) per sc ] per ipsum B. (103) Item ] quia add. MP. (104) ego ] om. B. (105) quoniam sic ] cum B. ] quoniam P. (106) quod ] om. B. (107) intellectum ] inventionem M. (108) faciliter ] facile B. ] facilius P. (109) tamque frustra } tamquam frustra B. ] om. P. (110) tamen ] tam P. (111) perdunt officium capiendi } per dictum officium capientur B. (112) Item quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et ] Item dum sciat causam vel scientiam litere mentaliter inter se revolvat ut B. ] Item quod dum fuerit casus vel sententia litterae mentaliter in se revolvat et P. (113) dum questionem secundam vel argumentum ] dum questionem vel scientiam vel argumentum B. ] dum questionem sciendam vel argu- mentum P. (114) dicetur tertia ] docetur tertia MP. (115) reducat ad memoriam secundam ] ducat ad memoriam secundam B. ] ducat ad memoriam sciendorum P. (116) nec ] nisi B. (117) quarum ] quaerere MP. (118) autem ] enim ad4. B. (119) quando ] si secundo B. ] sc- cundo P. (120) legendis ] agendis MP. (121) et ] est MP. (122) quam aliud ] quam quodvis aliud M. (123) operaretur ]} om. MP. (124) primo ] priori M. (125) quae quidem ] Memoria quidem B. (126) secundum antiquos ] in capitulo de memoria add. P. (127) artificialis ] artificiosa M. (128) secundum materiam ex qua ] ex materia qua B. (129) et ] etiam MP. (130) secundum quod influentia alicuius APPENDICE I 269 planetae superioris regnat ] secundum que influentia alicuius planetae inferioris regnat B. ] secundum quod influentia actus planetarum supe- rioris regnat M. ] secundum quod influentiam accipit planetae supe- rioris regnat P. (131) sed ] et MP. (132) emplastris ] epistolis M. ] eplis P. (133) cum ] in P. (134) dantur ] dammantur B. (135) dispo- sitioni hominis contrariae )] dispositio hominis quae contrariae MP. (136) cruditate ] quantitate B. ] caliditate P. (137) qua cerebrum ] quod certe bene B. ] quod cerebrum P. (138) de multis ] multos B. (139) tenet pro contento ] contentat B. (140) stultitiam ] insaniam B. (141) perveniat ] deveniat MP. (142) habebit ] consequetur B. (143) fructum ] fructus B. (144) scientiae ] suac add. B. (145) Alia est me- moria artificialis... revolvat per se ipsum ] om. B. (146) Alanum ] Alo- nium M. ] Aristotelem P. (147) finem ] seriem B. (148) moribus ] munibus B. ] modis M. (149) quod ] om. B. (150) capit ] ct add. B. (151) et ita memoria ] 0m. B. (152) ut habetur in libro de memoria et reminiscentia ] om. B. (153) firmiter confirmatur ] firmiter conti- netur B. ] firmiter confirmiter confirmetur P. (154) studeat et die martis et ] om. B. (155) talia ] taliter B. (156) faciendo scientior ] faciendo quis scienter B. (157) illo qui sex audierit ] illud quod sex annis audiverit B. (158) attingere ] ctiam add. M. (159) ad ] om. BM. (160) alia ] est 444. MP. (161) alia ] est add. MP. (162) est ] om. MP. (163) habet ex dono Dei ] debet dono Dei B. (164) et de ista ] de qua B. (165) aliquibus ] duobus B. (166) diligenter ] dili- gentia B. (167) cum ] quando P. (168) sive textum sive glosam sive auctoritatem sive rattonem per alium dictam ] sine textu sine glossa sine auctoritate sine ratione per aliud dictum MP. (169) radicata ] radicantur B. (170) cuicumque respondendo verum ] cuiuscunque unde B. (171) discernit ] discerit BB. (172) propter scientiam quam habet ] nam rationem quam habet B. (173) acquisitam ] acquisita M. (174) Postquam ] visum est ad4. B. (175) et ] om. MP. (176) discretiva ] dis- cretione P. (177) dictum est ] om. B. (178) recitanda } recitandum B. (179) eorum ] illorum B. (180) et habet scalam.... ad omnino speciale ] om. B. (181) non Jom. B. (182) quantus ] quotus, totus B. ] quatenus M. (183) oppositum ]oppositionem P. (184) quam admirabile ] quoniam mirabile M. ] quam mirabile P. (185) quod ] quia M. (186) possis ] possit P. (187) fuerit ] adfuit B. (188) bene ] om. MP. (189) debet ] potest MP. (190) universalem ad omnia ] utilis omnia B. ] universalis ad omnia M. (191) hoc ] homo esse B. (192) ipsum ] istum B. (193) cum diligentia ] cadem diligentia B. ] in diligentia P. (194) Quia ] quoniam M. (195) aut ] aliquid B. (196) ideo ] labore adeo B. (197) Primo enim quid ] primo quo B. (198) earum ] illarum B. (199) po- nere ] om. B. (200) subiectum ] librum B. (201) significatum ) desi- gnatum vel significatum B. (202) septem ] septimo P. (203) quoniam ] cum B. (204) miraculose ] iam add. B. (205) aliqualiter ] aliquan- tum B. (206) declarare ] volo add. M. (207) hic intendo... potest de aliis ] om. MP. (208) sequentibus ] in sequentibus MP. (209) quid ] quod B. (210) recitare ] evacuare secundum de his quae continet per scientiam positis add. B. (211) secundam ] secundam corretto in pri- 270 CLAVIS UNIVERSALIS mam da mano più tarda B. (212) secundam figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris ] 0m. B. (213) duplo ] duo P. (214) seu recitare et ] on. B. (215) si ] sic P. (216) recitas ] duo vel tria nomina seu rationes add. M. duo e tria sono correzioni più tarde di secunda e tertia. (217) viginti vel triginta nomina seu rationes } om. M. (218) vel sexaginta ] om. B. (219) intellectu ] multum B. (220) rudalis ] naturalis B. ] non ruralis M. (221) recitare ] om. MP. (222) et ferventer ] om. B. (223) stude } audire B. (224) quem nunquam eris studere defessus ] quem nunquam eris audire fessus B ] quoniam eris studendo defessus M. ] quoniam nunquam eris studere defessus P. (226) multa ] nulla B. (227) studenti ] alia evidenter B. (228) ullo modo ] modo aliquo B. ] modo P. (229) cuicunque ut ] quoscunque quod B. (230) oculis suae mentis ] oculis et suae mentis ferveat B. (231) Lullum ] Lulli MP. APPENDICE II. UN ANONIMO TRATTATO IN VOLGARE DEL SECOLO XIV Il trattatello in volgare sulla memoria artificiale composto nel sec. XIV da autore ignoto e qui di seguito riprodotto, è contenuto nei Codd. Palatino 54 (ai ff. 140 - 142) e Conv. Soppr. I 1.47 (carte non numerate) della Nazionale di Firenze. Con- trariamente a quanto afferma la Yates (T%e ciceronian art of memory, cit., p. 888) questo scritto non può essere attribuito con sicurezza a Bartolomeo da San Concordio. Questa attribu- zione oltre che al Manni, risale al Tiraboschi (V, p. 242), ma come già ha osservato il Tocco (Le opere latine di G. Bruno, cit., p. 26), nel corso del testo si fa riferimento al Rosarum odor vitae (contenuto negli stessi codici sopra indicati) e pro- babilmente composto nel 1373 da Matteo Corsini, priore della Repubblica fiorentina nel 1378 (cfr. l’edizione del Rosa:o della vita a cura di Polidori, Firenze, Soc. Tipograf. Ital., 1845). Anche se l’anno di composizione del Rosaio può presentare qualche incertezza resta il fatto che l’opera fu composta da un contemporaneo del Petrarca (Ediz. Polidori, p. 96). A quanto osservato dal Tocco si può qui aggiungere che nel suo rife- rimento al Rosato l’autore del trattato sulla memoria parla di 84 capitoli mentre, sia nel Palat. 54 che nel Cod. I, 1, 47 i capitoli sono 82. L'attribuzione al San Concordio appare dovuta al fatto che in entrambi i codici gli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo sono preceduti da una traduzione del capitolo sulla memoria della RAetorica ad Herennium e seguiti dal trattato sulla memoria artificiale. Nel Palat. 54 1 testi sono così disposti: ff. 29-33v.: Testus memorie artifi- ciose vulgariter scilicet super quandam partem rectorice; ff. 44-139v.: Bartolomeo da S. Concordio gli ammaestramenti degli antichi; ff. 140-142: Ars memoriae artificialis. Il vol- garizzamento del testo della retorica ad Erennio forma la secon- da parte o il sesto trattato del Fior di Rettorica di Bono Giam- boni (Magliab. Palch. II, 90, Riccardiano, 1538. Cfr. Tocco, op. cit., p. 26). ll bro di leggere cui si fa riferimento nelle prime righe del trattato può essere, come vuole il Tocco, il 272 CLAVIS UNIVERSALIS trattato della pronunzia che è il terzo del Fior di: Rettorica nella redazione di Fra Guidotto da Bologna e in quella di Bono Giamboni. Il trattato sulla memoria artificiale faceva dunque parte, con ogni probabilità, di una qualche redazione del Fior di Rettorica. La trascrizione è condotta sul Palat. 54, ma si è fatto spesso ricorso anche all’altro codice indicato. Si sono appor- tate modifiche, oltre che alla punteggiatura, a talune grafie (per es. nolla = non l’ha; lo = l’ho; vene = ve ne; a = ha ecc... 140r. Poi che aviamo fornito il libro di leggere, resta di poter te- nere a mente, et però qui di sotto si scrive l’arte della memoria artificiale in si facta forma che non offende la naturale che ha sifatto ordine il libro da sé che con questa memoria si può d’esso grande parte imparare a mente se solamente il libro si legge cin- que volte ct fra l'una volta et l’altra sia spazio di mezzo di quello che vuoi tenere a mente, et observando le regole di questa me- moria non si potrà errare solo in una lettera di tutto questo libro che tutto non si imparasse a mente. La memoria artificiale sta solamente in due cose, cioè ne luoghi e nelle imagini. Luogo non è altro a dire se non come una cosa disposta a potere con- tenere in sé alcuna altra cosa, sicome una casa, una sala, una camera o simili cose a questa come ab octo dieci anni a te dicte. Le imagini sono il proprio representamento di quelle cose che noi vogliamo tenere a mente. Due sono le maniere de luoghi, cioè naturale e artificiale. Naturale luogo è quello che è facto per mano di natura come c il monte e il piano e gli albori che per sé sono. Artificiale luogo è quello che è facto per mano d’huomo sì come è una camera o un cammino, uno versatoio, uno studio, una finestra, una casa, uno cofano et simili luoghi a questi. Non intendere però tutte le masseritie minute de la camera però che non ti riverebbe la ragione, ma vogliono essere masseritie grandi come sono cassoni, soppedani, fortieri, et se pure alcuna masseritia ci vogliamo mettere, conviene che sia molto riconosciuta et stia in luogo continuamente palese, come è una barbuta, uno cappello lavorato, uno elmo da campo v vero cimiero e cose simili a queste. Intorno a luoghi conven- 140 v. gono / più cose avere. In prima avere dentro molti luoghi, cioè quanti sono i nomi che vogliamo tenere amente però che ogni luogo ha la sua imagine a pigliare ciascuna imagine e rapresen- tamento da una cosa sola per sé, ct però se aremo a tenere a mente XX nomi si pogniano XX imagini per luogo. Et come dico di XX, così si potrebbe fare di cento, CC, CCC, CCCC, pure che luoghi assai aviamo. Non obstante che io dica qui di CC e LII, posto che di questi CCLII viene facta non poca fatica che sono nel librecto dinanzi decto del rosaio odore dellavita capitoli LXXXIIH et ad ogni capitolo si possono leggiermente accattare APPENDICE II 273 tre nomi sì che tre via LXXXIII, CCLII. Ma di più nomi dire qui di sotto più pienamente. Apresso questo, ci conviene avere e’ luoghi ordinati, cioè che per ordine l'uno vada dietro a l’altro. Et se quella persona che vuole usare quella memoria in man- cino, cominci e’ conti de luoghi a mano mancha et se queste sopra da la drecta mano, se a diricta vada sopra la mano diricta, in questo modo: che se in una sala aremo da poter pigliare cin- que luoghi, el primo sia uno camino, el secondo un uscio o un armaro da vasi, el quarto una colonna overo uno pilastro, el quinto uno versatoio. Incominciamo dal primo come è il ca- mino, poi il secondo come è un uscio et così per ordine l'uno dopo l’altro et non si dee mai passare niuno luogo se non che si debbono sapergli bene a mente come sono ordinati da sé. A presso si conviene che i luoghi sicno numerati cioè che ogni nego quinto si segni; cioè a questo modo: che al primo quinto i ponga una mano d'oro che per le cinque dita ripresentino ji luogo essere quinto; poi il secondo quinto, cioè il decimo luogo, ripresenta in questo modo o trovata per sapere subito a quanti nomi sta Piero. Subito puoi avisare se alle due mani sarà il decimo se a due nomi dopo le due mani sarà il duodecimo / 142r. ct così seguitando si può sapere di molti. Ma questa regola di queste mani abbi posta qui perché la insegnia Tulio et non vorrei che altri credessi che io non la sapessi, però l’ho posta qui, ma a me pare uno poco faticosa per tale quale persona. Imperò potiamo lasciare andare testé questo affanno delle mani del oro, et fare in questa forma: cioè che i luoghi sempre cag- gino o in cinque o in dicci; în questa forma che se in una sala sono sci o septe luoghi non tenere a mente se non cinque, et se fussino quattro forzati tanto che sieno cinque che leggier- mente viene facto poi che si mette in pratica. Et così similmente vuole andare de decti che se aremo una sala o una camera dove sieno nove luoghi, forzati tanto che ve ne aggiungi un altro si che sieno dieci. Se ce ne fussino da dieci in su in sulla sala, non ne tenere a mente se non dieci. Adunque se arai in una tua casa una sala et in questa fussino cinque luoghi, una camera et in questa camera fussino dieci luoghi, uno verone et in questo fussino pure dieci luoghi, un’altra camera et in questa fussino cinque luoghi, uno terrazzo et in questo fussino dieci luoghi, una grotta et in questa fussino dieci luoghi, raccogli tutti questi luoghi et vedi quanti sono, et, quanti sono i luoghi, tanti sono i nomi che puoi tenere a mente. Sì che se i dicti luoghi sono L, et L nomi potrai tenere a mente sanza faticha di memoria, et così similmente chi la volessi fare più in grosso, potrebbe avisare dieci case delle dita sue dove trovasse L luoghi ciascuna casa et così la farà di cinquecento et di mille et di diecimila sanza fallo, però che troviamo che Seneca fu giovane esso la fe' di dumilia, ritornando allo inanzi et allo indietro, come fanno i fanciulli ad a.b.c. quando la dicono alla dietro. Ancora vo- 274 141 v. CLAVIS UNIVERSALIS gliono essere dicci luoghi noti cioè che bene gli conosciamo etc. Apresso non vogliono essere troppo grandi né troppo piccoli, ma di mezzana fog/gia come si richiede alle imagini che qui si pongono. Ancora vogliono essere i luoghi temperati dove non usi troppa gente però che la troppa gente guasta il luogo et la nostra memoria. Ancora vogliono essere né troppo chiare né troppo ob- scure però che la troppa chiarezza et la troppa obscurità fa noia agli occhi della mente sì che vedere non possiamo i luoghi. An- cora conviene che i luoghi non si rassomiglino troppo l'uno a l’altro, ma quanto più sono variati meglio è. Ancora non vo- gliono essere troppo apresso l'uno a l'altro né troppo di lungi, ma intorno di cinque o di dicci piedi l'una da l’altra. Et questo è tutto quello che bisognia a’ luoghi. La imagine non è altro se non, come di sopra è detto, come il proprio representamento di quelle cose le quali vogliamo tenere ad mente. Questa imagine ha due proprietà: cioè che ella ha a ricordare il nome et il sen- tire. Ricordare il nome è ricordare a mente Piero Giovanni Mar- tino per ordine ciascuno per sé, ricordare sententie è in questo modo che se io mi voglio ricordare come Troia fu presa  Greci con ferro con fuoco con ruina per cagione di Elena, io pongo in uno luogo la imagine di Troia come ardeva e come in lei sieno entrati cavalieri armati. Ancora se io mi volessi ri- cordare della hedificatione di Cartagine la quale hedificò una donna chiamata Dido, porrò una imagine d’una con molti gua- tatori di intorno, et così va di simile a simile di molte et infinite sententic. Hora d'intorno alle imagini sì come di nomi et di sententie vediamo quante cose sono di necessità. Mostra che sieno sei per ordine. In prima si richiede che le imagini sieno pro- prie, cioè che se io mi voglio ricordare di Piero solamente ponga in uno luogo la sua propria imagine, et se io voglio tenere a mente Martino, quello medesimo. Ancora conviene che la ima- 142r. gine non sia / equivoca cioè che rapresenti più cose di quelle che vogliamo tenere a mente. Ancora conviene che le imagini non sieno troppe, cioè più che non sicno di bisogno non si pon- gano nel luogo, che se io voglio tenere a mente Piero, solamente porre una imagine che rapresenti Piero, la quale cosa è contro alla doctrina di Tulio. Ancora conviene che la imagine non sia varia, cioè che abbia alcuna varietà in sé e questa è delle più utili cose che si possa avere. Questa memoria però sempre ci doviamo studiare di porre imagini di nuove foggie. Ancora con- viene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga a la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga il segno de la corona, et a’ cavalieri il segno dello scudo, al doctore il segno del vaso et ad cui uno segno ad cui uno altro come la fantasia della memoria comune- mente si vuole dotare. Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna cosa cioè la proprino quanto agli acti quelle cose che a loro si convengono, sì come si conviene ad uno lione dare APPENDICE II 275 la imagine apta et ardita et alla golpe l’acto sagace et abstuto, al sonatore l'apto di sonare stromento. Adunque veggiamo sem- pre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lectere. Qui finisce delle sententie et de’ nomi abbreviato. Ancora doviamo tenere questo modo il quale è molto utile: che poi che abbiamo imparato C 0 CC nomi et recitargli, non per tanto dobbiamo conservargli, più inanzi ci doviamo studiare più che possiamo che ci escano di mente e così facendo escono di mente e i luoghi rimangono voti per gli altri che volessino imparare. Finis. Deo gratias. Amen. APPENDICE III. DUE MSS. QUATTROCENTESCHI DI ARS MEMORATIVA Il Cod. lat. ambrosiano T. 78 sup. (di carte 45) contiene i seguenti scritti : fi. 1-21v.: Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad consequendam artem memoriae artificialis ad M. Marchionem Mantuae. Inc.: Iussu tuo princeps illustrissime. [È il trattato di Jacopo Ragone da Vicenza del quale abbiamo citato vari passi nel testo, composto nel 1434 e conservato in due esem» plari di diversa mano anche nel Cod. marciano cl. VI, 274 ai ff. 15-34 e 53-66 e in un terzo esemplare nel marciano 159 della stessa classe. Il nome dell’autore (artificialis memoriae regulae per Jacobum Ragonam Vicentinum) e la data di com- posizione (Kal. Nov. 1434) risultano dal marciano 274 ai ff. 15v. e 53v.]. ff. 22-26: Tractatus solemnis artis memorativae. Inc.: Artificiosie memoriae egregia quaedam. [Di questo scritto si dà qui di seguito la trascrizione. Si è omesso l’elenco in vol- gare dei « luoghi » che occupa i ff. 26-27v.: Exp.: Trespo da tavola. Zovane fameglio]). ff. 27v.-32v.: Tractatus artis memorativae eximii doctoris artium et medicinae magistri Girardi. Inc.: Ars commoda na- turae confirmat et auget. [Nella trascrizione che segue si è fatto ricorso anche al cod. 142 dell’Angelica che ai ff. 83-87 reca lo stesso trattato con il titolo, di mano più recente, Hic traditur preclarus modus conficiende memoriae. Inc.: Ars com- moda natura e confirmat et augct]). ff. 33-40v.: Excerpta ex libris M. T. Ciceronis de memoria. Inc.: M. T. Ciceronis de oratore haec de memoria scripta sunt. [gli excerpta ai ff. 35v.-40v. sono tratti dalla RAetorica ad Herennium). La data di composizione della miscellanea si legge in fine al codice al f. 45: Anno 1466 scriptus pro Raphael de Fuzsy. 22 r. 22v. 23 r. APPENDICE III 277 I Tractatus solermnis artis memorativae incipit. Artificiosac me- moriae egregia quaedam atque preclarissima praecepta in lucem allaturi, non invanum esse duximus quod ipsa sit primum effin- gere cum, iuxta Ciceronis sententia in primo De officiis, omnis de quacumque re sumitur disputatio a diffinitione proficisci debeat ut sciri possit quid sit id de quo disputatur. Est igitur artificialis memoria dispositio quaedam imaginaria vel localis vel idealis mente rerum sensibilium super quas natu- ralis memoria reflexa per ea summovetur atque adiuvatur ut prius memoratorum facilius, distinctius atque divitius denuo va- leat reminisci. Vel sit artificialis memoria est decentium imagi- num quaedam industriosa collocatio qua corum quae in his de- bite applicantur ad tempus memorari valeamus. Tertio vero ex menti Ciceronis, Rhetoricorum tertio, sic eius diffinitionem im- plecti possumus: memoria artificialis est artificium quoddam quo naturalis memoria praeceptoris voce confrmatur. Differt au- tem memoria naturalis ab artificiosa. Harum naturalis est una quae nostris animis insita est et simul cum ipsa / creatione nata. Artificiosa vero est quaedam inductio et praeceptionis ratione confirmatur. Haec autem ars duobus perficitur: locis videlicet et imagini- bus, ut Cicero sentit in tertio Rhetoricorum a quo non dissentit beatus Thomas illud addiciens oportere ut ea quae vult quis memoriter tenere ordinata consideratione disponat, ut ex uno memoratu ad aliud facile procedatur. Cicero vero sic inquit: oportet igitur, si multa reminisci volumus, multos locos domus comparare, ut in multis locis multas imagines comprchendere at- que amplecti valeamus. Aristoteles vero in eo que de memoria scripsit a locis inquit reminiscimur. Necessarii itaque sunt loci ut res seriatim pronuntiare et memoriter tenere valeamus. Dif- ferunt autem loci ab imaginibus quia loci sunt imagines ipsae su- per quibus tamque super carta imagines delebiles, quasi literae, collocantur. Habeant igitur sc loci sicut materia, imagines vero ut forma. Differunt quasi ut fixum et non fixum. Et quoniam haec ars, ut dictum est, duobus absolvitur, locis videlicet et imagini- bus, primum locorum precepta attingenda videntur. Nam cum ars imitetur naturam in quantum potest, volenti autem scribere / primum carta et cera preparanda est, quibus loci simillimi sunt. Imagines autem literis, dispositio autem et collocatio imaginum scripturac, pronuntiatio autem lectioni comparantur. Illud merito fit ut ex his locis primum diffiniamus. Locus enim, ut quibus- dam placet, est spatium quidam domus proportionatum et condi- tionatum quo conditionari debet; vel melius, secundum Cicero- nem, locos appellamus eos qui breviter perfecte et insigniter manu aut natura absoluti sunt ut eos facile naturali memoria comprendere atque amplecti valeamus. Haec autem ars centum locis perficitur. quos hoc pacto nobis constituere poterimus si 278 CLAVIS UNIVERSALIS decem domos nobis comparare poterimus in quarum singulis decem loci affigantur in diversis ipsarum domorum parietibus, vel paranda nobis erit una domus quae computatis cameris co- quina et scalis constituatur centenus numerus apponendo cuilibet camerae vel scalae quinque locos. Locorum proprietas multiplex est: primo locorum multitudo, locorum ordinatio, locorum solitudo, locorum meditatio, loco- 23v. rum signatio, locorum dissimilitudo, / locorum mediocris ma- 24 r. 24 v. gnitudo, mediocris lux et distantia. Sequitur de imaginibus. Ima- gines sunt rerum aut verborum similitudines in mente conceptae. Duplices autem similitudines esse debent, ut ait Cicero, una rerum, alia verborum. Rerum autem similitudines constituuntur cum summatim ipsorum negotiorum imagines comparamus, verbo- rum autem similitudines exprimuntur cum uniuscuiusque voca- buli memoria a nobis imagine notatur. Verborum quidem simili- tudines aliae sunt notae, aliac ignotae, notabilius aliae animatac, aliae inanimatae. Animatarum quaedam propriae quaedam com- munes. Propriarum quaedam duplices, quacdam simplices. Com- munium vero tam animatarum quam inanimatarum quacdam simplices, quaedam ex duabus pluribusne partibus constituuntur, de quibus omnibus dicetur inferius. Et primo videndum est de nominibus propriis simplicibus et duplicibus. Et premicto pro generali regula imaginum collocandarum quod in locis semper collocandae sunt imagines cum motu et acto ridiculoso crudeli admirativo aut turpi vel impossibili sive alio insueto. Talia enim crudelia vel ridiculosa aut insueta sensum immutare solent et melius excitare eo quod animus circa prava multum advertat. / Secundo vero noto collocandam circa imaginem ut aliquid agat vel operet circa se vel circa ipsum locum. Si igitur daretur tibi ad memorandum nomen proprium, puta Petrus vel Martinus, debes accipere aliquem Petrum tibi notum ratione amicitiae vel inimicitiae, virtutis vel vituperii vel precellentis pulcritudinis aut nimiae deformitatis, non ociosum sed se exercitantem motu aliquo ridiculoso. Si nomen non adsit tibi notus capias aliquem factum et si non fuerit, recurrendum erit ad regulam dictionum igno- tarum. Duplicia vero sunt cum duo ex istis simplicibus sumptis in recto casu quae veniunt ad significationem unius simplicis ut Jacobus Philippus, Johannes Maria. Preniomina vero sunt cum unum preest alteri in unico nomine quae prelatio semper est in obliquo cum dependentia, ut Johannes Andrec, Matheus Tomasii. Cognomina autem et agnomina sunt quae parentelae vel ab cunctu [.....] faciunt ad singularem notitiam vel alicuius indi- vidui: ut Franciscus Barbarus et Scipio Affricanus. Duplicia sic collocanda sunt ut cadem facias etiam ipsam imaginem ordinate operari. Item de prenominibus ita tamen quod / actus attributus recto habeat se in minus et actus attributus obliquo in maius. Agnomina autem et cognomina secundum primam sui partem ut traditum est de nominibus propriis. Secundum vero secundam sui partem prout tradetur de nominibus ignotis. 25r. 25v. APPENDICE III 279 Pro clariori doctrina notandum est imagines, cx quibus simi- litudines capiuntur, formari posse dupliciter: aut ex parte rci, aut ex parte vocis. Si ex parte rei et tunc dupliciter: aut respectu rei propriac in se, aut ex parte methafisicac. Ex parte rei pro- priac in se similitudo capitur ut rem ipsam formando in propria forma et naturali, ct hoc modo in rebus naturalibus maxime con- venit. Secundo modo similitudo capitur ex parte rei methafisicac et secundum eius officium quod operatur aut secundum instru- mentum cum quo operatur, et isto modo praccipue operamus in rebus invisibilibus. Si igitur rerum invisibilium vis tibi ima- gines servare, si sint res pertinentes ad virtutes vel vitia duplices possumus similitudines capere scilicet aut capiendo rem in qua est per excellentiam ut pro / superbia Luciferum, pro sapientia Salomonem; secundo modo methafisice. Divina autem ut dictum et angelos a pictoribus didicimus collocare. Item de sanctis, ut virtus iustitia angelus anima deus, scilicet Petrus et cetera. Nominum accidentalium similitudines ita capiuntur indiffe- renter videlicet ponendo picturam aut similitudinem aut realem rem cuius coloris qua nota collocanda demonstratur. Nota vero dignitatum officiorum et artium mechanicarum sic collocatur, capiendo similitudinem secundum signa et principalia eorum si- gnificata demonstrativa et declarativa ipsorum, ut si volumus collocare papam Martinum tibi notum secundum regulam de propriis habentem unam mitriam trium coronarum et sic de sin- gulis secundum signa convenientia suis dignitatibus officiis et artibus. Si vis memorari inanimatas duobus modis id efficere poteris. Primo modo ipsius rei inanimatae similitudinem capiendo ut aliquid operetur, imaginandus est homo sub concepto naturali non sub spetiali, nota et talis operatio fiat contra locum vel contra se. Secundo modo cligendo ordinem alphabeti et ad unum / quemque locum ponendo unum hominem tibi notum supras- tanterm tamque custodem et operarium loci qui operetur quando necesse est cum re inanimata ut dictum est in praccedentibus capitulis. Finalis regula de collocatione prosarum versuum am- basiatarum et ceterorum huiusmodi. Ad apte figendas certa mente epistulas orationes sermones versus et cetera collocandi ratione potissimum opus esse percipi- tur, ut videlicet primum res ipsa universa rectissime teneatur ea quae naturali commendata memoriae congrue despiciatur. In primis enim rei totius summa simplici imagine vel nota aut ex pluribus aggregata contineatur quae quidem deinceps partes in suas idonee recitetur. Deinde illae partes in alias subdividere li- cebit. Finalis tamen divisio loco uno vel multiplicato capiatur. Principales autem divisiones ipsis quinariis applicentur, earum vero partes reliquas in aliorum imaginibus accomodentur. Versus spetialiter vocari possunt si praeter eorum summam figurationem 230 26 r. 27 v. 28 r. CLAVIS UNIVERSALIS principio annotentur aut spetiali imagine aut sillabis vel litteris. Historiac vero per actus annotari possunt ctiam parte tibi nota. Rubricae collocari solent aut corum summas perstringendo imagine accomodata aut per verborum similitudines. / Ambasiatas vero si commode volueris recordari ipsas, pro quo ambasiata collocanda est, imagines capies sive ipsumet in quo pacta sive promissa repones et ex adversis autem illum cui facienda est ambasiata in illo petita repones, et si sumuntur plu- res res sive capitula seriatim conclusive per loca dispones. Argumenta possumus congrue argumentibus applicare quibus absentibus locorum custodibus affigantur. Si enim sologismus fuerit, maiorem dexterae, minorem sinistrae accomodemus, aut potuerimus pro maiori tenere imaginem notatam vel medii aut conclusionis. Si vero fuerit entimema satis erit primam proposi- tionem notare; in iure aut rubricam cum lege aut scilicet cum cius mente notare ut fucrit. TeAog. Il. Tractatus artis memorative eximii doctoris artium et medi- cinae magistri Girardi. Ars commoda naturae confirmat ct auget, ut inquit egregius Tullius in tertio rhetoricae, cuius experientiam habemus in duplici arte scilicet domificatoria qua artifex finalis per hanc intendit defectui naturae providere; in arte etiam medicatoria minister salutis conatur proposse superflua naturae expellere ac defectus eiusdem restaurare. Que quidem ars minime foret in- venta si natura auxilio non cgerct. Verum quia anima nostra in principio sue creationis nascitur defectuosa in tribus suis po- tentiis clarioribus: scilicet memoria, intellectu et voluntate. Non tamen dico defectuosa sit quod anima nostra in principio creationis suac non habeat omnes potentias sibi concreatas, sed dico defectuosa sit quod in principio nostrae nativitatis anima nostra nequaquam potest per has potentias suos actus exercere. Non igitur parum utilis est artificialis memoria, quae commoda naturae amplificat ratione doctrinae. Huius quippe artis multi fuerunt inventores inter quos quidam nimis occulte, alii nimis confuse cam tradiderunt. Sed ego zelo sapientiac dilatandae / hanc artem compendiosis et utilibus verbis declarare intendo, hoc opusculum dividendo per novem capitula. In capitulo primo ostendetur breviter et succinete quac sint instrumenta quibus utendum est in hac arte. In secundo tradetur ars memorandi terminos substantiales.In tertio dabitur ars memorandi terminos accidentales. In quarto dabitur ars memorandi auctoritates ct quascumque orationes simplices. In quinto tradetur ars memorandi epistolas collectiones et quascumque historias prolixas. APPENDICE III 281 In sexto tradetur ars memorandi argumenta ct quascumque orationes sillogisticas. In septimo tradetur ars memorandi versus. In octavo tradetur et dabitur ars memorandi dictiones igno- tas, puta graecas, hebraicas, sincathagoremata et capita legum. In nono et ultimo dabuntur sccreta huius artis. Unde versus: Sedibus humanis trita stans filia celsi Inexculta cibo mens grave tenet in albo Sed si concipiat post sernen arca volutum In varias formas parit similia monstro Qui igitur volet perfectam gignere prolem Promptam facetam recte natam in ordine membri De multis tractum subiectum forbeat haustum.! 28 v. Capitulum primum. Pro expeditione primi capituli prenotan- dum est quod finalis intentio nostra in hac arte est componere librum mentalem qui quid se habeat ad instar libri artificialis. Nam quemadmodum in libro artificiali duo sufficiunt instru- menta duntaxat scilicet carta et scriptura, ita ct non aliter in hoc libro mentali quem intendimus per hanc artem conficere duo sufficiunt instrumenta: scilicet loca ct rerum similitudines. Unde egregius Tullius in sua rhetorica loca inquit carte simil- lima, sicut imagines literis. Dispositio vero imaginum in locis lectioni comparatur. Sed quia vari sunt modi accipiendi loca in hac arte, sufficiet ad presens tres modos notare. Primus modus est secundum Tullium, et hic est satis grossus, accipiendo videli- cet domum realem vel imaginariam in qua diversa signa noten- tur inter angulos illius contenta. Secundus modus est servando ordinem scalarum. Tertius est servando ordinem mense vel alium quemvis artificialem huic consimilem. Verum est tamen quod de novo praticantibus in hac arte bonum est in primis modum Tullii imitari ut a facilioribus ad difficiliora facilior sit transitus. Unde versus: Tipicha fortificat poliniam vallis locorum / 29 r. Hec per ambages deserti querere noli Que rapuit pacifex iam lux perdit vel atro Invisaque spernit fugit gravissima quecque Huius vero plus placuit medios habuisse penatos Incultos natos diversos noto placentes In quorum costis fingantur ordine quino Que fixa maneant signa distantia tractu.? ® Grosse INTERLINEARI: Sedibus humanis: in corpore humano; trita: afflicta; filta celsi: scilicet dci; inexculta: scilicet impleta; grave: graviter; in albo: scilicet memoria. 2 Giosse INTERLINEARI: Tipicha: figurata; poliniam: memoriam; vallis loco- rum: scilicet ordinatio; Haec: loca; per ambages: per loca dubia; pacifer: scilicet intellectus; ian: lux perdit vel atro: per nimiam lucem vel obscuritatem; 282 29 v. 30 r. CLAVIS UNIVERSALIS Secundum capitulum. Si vis memorari terminos substantiales scire debes quod tales sunt duplices. Quidam sunt proprii et qui- dam communes. Si igitur vis memorari terminos communes suf- ficit pro quolibet tali accipere similitudinem agentem aliquid mirabile vel patientem ct illam memento in suo loco collocare, praesuppositis his quae dicta sunt de locis in precedenti capi- tulo. In propriis autem nominibus non sic fit quoniam multorum hominum una est similitudo communis, accipere igitur pro quo- libet nomine proprio aliquem tibi notum ratione laudis, vituperii vel conversationis et illum memento in suo loco collocare. Et notatur  dictum cst supra quod similitudo rei memo- randae debet agere vel pati aliquid mirabile quoniam quanto actio vel passio fuerit mirabiltor aut magis ridiculosa tanto diu- turnior crit memoria. Unde versus: Usia post rerum recte ponatur in istis / Cum voles hanc disce viam quac plana patebit Subiectis propriis proprias est darc figuras Communes aliis: cythara noscetur Apollo.? Tertium capitulum. Si vis memorari terminos accidentales, quia accidens non habet esse per sc sed totum esse eius dependet a substantia, pro quolibet tali accidente debes accipere substan- tivum in quo est per excellentiam: ut pro rubeo rosam, pro albo lilium, pro fortitudinem Sansonem, pro sapientia Salomonem. Et nota hic tres regulas solemnes. Prima est quod omne nomen significans substantiam in qua est aliquid accidens per excellen- tiam significat duo: scilicet substantiam primo et accidens poste- rius et secundario; et sic monialis significat feminam et castita- «tem, lupus animal et voracitatem, philomena avem et cantorem. Secunda regula est quod a tali nomine significanti duo descendit nomen adiectivum vel verbum, ut de rosa descendit roscus rosea roseum et roseare quod est rubcum facere. Tertia regula est quod ad commemorandum artificiose derivativa sive fucrint nomina sive verba aut participia / vel adverbia sufficit habere memoriam primitivi, et ratio est quoniam omnem derivativum virtualiter includitur in primitivo et capit  naturam ciusdem. Unde versus: Quod pendet fixum de se vult capere plenum Si varias uno profers multis ne licebit In derivativis quae sit origo notabis.4 Invisa: loca; gravissima: dissimillima; quecque: loca; medios habuisse penatos : scilicet manifestas domos; Incultos: non habitatas; diversos: scilicet colore vel figura; noto placentes: scilicet voluntati; In quorum: penatum; costis: parie- tibus; fixa: firma. ì 3 GLossi INTERLINEARI: Usig: scilicet forma; recte: sub ordine; in istis: sci- licet costis; Subiectis: nominibus; communes: similitudines. 4 Gtosse INTERLINEARI: OQtiod pendet: illud quod est auribus pendens; fixum: subiectum; de se vult capere plenum: scilicet in quo est per excellentiam. 30 v. 3lr. APPENDICE III 283 Quartum capitulum. Si vis memorari auctoritates ct quascum- que orationes simplices accipe pro qualibet obiectum principale eiusdem et illius memento in suo loco collocare praesuppositis his quae dicta sunt supra. Ratio autem huius est quoniam signum et signatum sunt corrclativa. Unde versus: Complexum si vis obicctum indicat illud. Quintum capitulum. Si vis memorari epistulas et quascum- que historias prolixas divide per suas partes principales ct rursus quamlibet per suas partes donec perveneris ad clausulam; quo facto age ut dictum est in capitulo praecedenti de orationibus simplicibus. Et ratio huius est quoniam divisio valet ad tria. Primum animum legentis excitat, secundo intelligentiam confir- mat, tertio memoriam artificiose corroborat. Unde versus: Ut plerique volunt tribus divisio valet / Animum legentis excitat mentem quoque probat Intelligentis memoriam roborat atque. Sextum capitulum. Si vis memorari argumenta et quascum- que orationes sillogisticas sufficit pro quolibet argumento habere memoriam medii et ratio est quoniam, ut dicit Aristoteles in primo priorum, medium est in virtute totus sillogismus. Sed quia difficile est medium invenire secundum doctrinam quam tradit Aristoteles in fine primi priorum, sciendum est quod medium in proposito nihil aliud est quam causa conclusionis, idest illud inferens in quo virtualiter consistit argumentum. Unde versus: Qui nescit causas nihil scit, quia nulla Res est nota satis, cuius origo latet. Septimum capitulum. Si vis memorari versus hoc potest fieri altero duorum modorum: primo accipiendo a quolibet versu sententiam meliori via in qua fieri potest et cum versus bis vel ter replicando; secundo accipiendo duas vel tres dictiones prin- cipales cuiuslibet versus et cum illis ipsum versum bis vel ter repetendo. Sic enim ars suppedit naturae et ratio huius est quo- niam versus ex sua natura valet ad tria. Unde versus: Metra iuvant animos, comprehendunt plurima paucis Pristina commemorant quae sunt tria grata legenti. Octavum capitulum. Si vis memorari dictiones ignotas hoc potest duobus modis fieri. Primo per viam similitudinis, acci- piendo videlicet pro qualibet dictione ignota dictionem nobs notam habentem aliquam similitudinem cum tali dictione ignota. Secundo fiat hoc per viam divisionis sillabarum, dividendo sci- licet dictionem ignotam per suas sillabas, et pro qualibet sillaba accipiendo dictionem tibi notam incipientem ab ca. Unde versus: Ignotum memorari si vis barbarum nomen Aut summas apparens per partes divide totum. 284 lv. 32 r. 32 v. CLAVIS UNIVERSALIS Ultimum capitulum. Pro cxpeditione completa huius artis facien- dum quod bcatus Thomas in secunda secundae, quaestione 49 et capitulo primo. Ponit quatuor documenta quibus proficimur in bene memorando. Primus est ut eorum quae vult aliquis me- morari quasdam similitudines assumat convenientes nec tantum omnino consuetas, quia ca quae sunt inconsueta magis miramur et sic in eis animus magis et vehementius detinetur. Ex quo fit quod corum quae in pueritia vidimus / magis memoremur. Ideo autem magis necessaria est huiusmodi similitudinum vel imagi- num adinventio, quia intentiones simplices et spirituales facilius ex animo elabuntur nisi quibusdam similitudinibus corporalibus quasi alligentur, quia humana cognitio potentior est circa sensi- bilia. Unde hacc memorativa ponitur in parte sensitiva. Secundo oportet ut homo ca quac memoriter vult tenere sua considera- tione ordinate disponat ct cx uno memorato facile ad aliud pro- cedat. Unde dixit philosophus in libro de memoria a locis vi- detur reminisci aliquando, causa autem est quia velocitate ab uno ad aliud veniunt. Tertio oportet quod homo sollicitudinem apponat et affectum adhibeat ad ca quae vult memorari, quia quanto magis aliquid fuerit impressum animo co minus elabitur. Unde Tullius dixit in sua rhetorica quod sollicitudo conservat integras simulacrorum figuras. Quarto oportet quod ea frequen- ter meditermur quae volumus memorari. Undec philosophus dixit in libro de memoria quod meditationes servant / memoriam, quia, ut in codem libro dicitur, consuetudo est quasi natura. Unde quae multoties intelligimus cito reminiscimur quasi natu- rali quodam ordine ad uno ad aliud procedentes. Sed quia tota difficultas artis memorativac consistit in difficili et laboriosa io- corum acceptione et in illa laboriosa adinventione imaginum convenientium, in hac arte notanda sunt duo pro secretis huius artis. Primo est notandum pro facili et prompta locorum accep- tione quod tota perfectio huius artis ex parte locorum consistit in centum locis familiaribus quae pro certa loca habere poterimus duplici via. Primo accipiendo decem domus reales a nobis opti- me frequentatas in diversibus civitatibus vel in eadem, itaque in qualibet domo notentur decem loca distincta loco situ et figura ac in convenienti ordine et aliqua distantia. Secundo possunt ha- beri centum loca familiaria accipiendo viginti imagines divisa- rum rerum quac tamen sint ordinatae secundum ordinem lite- rarum alphabeti: ut pro A accipiamus arietem, pro B bovem, pro C canem, pro D dromedarium, pro E cquum, pro F folium, pro G griffonem, pro H hircum, pro I idolum, pro K Katerinam, pro L leonem, pro M monacum, pro N nucem, pro O / ovem, pro P pastorem, pro Q quiritem, pro R regem, pro S sapientem, pro T turrim, pro V vas olci vel vini. Ita tamen qued in qualibet istarum imaginum notentur quinque determinata signa quae facient quinque loca in qualibet, ct hoc quidem facillimum est ut patebit in pratica. Secundo est notandum cx parte imaginum APPENDICE III 285 sive similitudinum quod permaxime perficit in memorando arti- ficiose servare imaginibus colligantiam. Talis autem colligantia dupliciter intelligitur. Primo ut quaclibet imago se exercitet ali- quo modo cum suo loco. Secundo ut una imago se exercitet cum alia: sic prima cum secunda, tertia cum quarta et sic de aliis. Et est diligenter advertendum in hac arte quod attestatur egregius Tullius in tertio Rhetoricorum videlicet quod artis huius preceptio est infirma nisi diligentia et exercitatio comprobetur. Unde versus: Doctrinae pater est usus doctrina scolaris Interscissa perit, continuata urget. Finis. APPENDICE IV. DOCUMENTI SULL'ATTIVITÀ DI PIETRO DA RAVENNA Al testo della sua Phoenix seu artificiosa memoria, Pietro da Ravenna premetteva, nella prima edizione a stampa del 1491, alcune lettere di previlegio: del Comune di Pistoia (12 settembre 1480); di Bonifacio marchese del Monferrato (24 settembre 1488); di Eleonora d’Aragona duchessa di Ferrara (10 ottobre 1491). Oltre al testo della lettera di Eleonora, si riproducono qui i versi scritti da Egidio da Viterbo in onore del Ravenna e alcuni passi della prefazione che si riferiscono ad cpisodi della vita del Ravenna. Si è usata la copia della prima edizione a stampa contenuta, insieme ad altri tre incu- ‘ naboli, nel Cod. marciano lat. 274 della classe VI, ai ff. 82-97v. I 82 r. Elconora de Aragona Ducissa Ferrariac etc. quod ab omnium bonorum datore immortali deo generi humano concessum est placrique in orbe terrarum a constitutione mundi usque ad hanc aetatem excellentes viri evasere, quos inter nunc adest spectatus miles auratus et insignis utroque iure consultus dominus Petrus Tomasius Ravennas harum literarum nostrarum exhibitor, qui, practer alias corporis et animi dotes, ita omni doctrinarum genere et tenacissima memoria refulget ut nedum superiorem, sed etiam in his parem minime habere videatur. Quod quidem nuper latissi- me re ipsa comprobavit non solum nos, sed etiam omnis haec civi- tas nostra testimonium perhibere potest. Qua ex re factum est ut cum singulari admiratione precipuaque charitate complexae inter nostros praeter alios familiarem et domesticum habere consti- tuerimus. Quamobrem serenissimos reges, illustres principes, ex- cellentes respublicas et alios quosqunque dominos patres fratres amicos benivolosque nostros precamur et oramus ex animo ut quotienscunque ei contigerit ipsum dominum Petrum / tam 82 v. optime meritum cum suis famulis et equis usque ad numerum octo cum suis bulgiis forceriis et capsis cum pannis ct vestibus suis libris vasis argenteis et aliis cuibuscunque rebus suis ac armis per eorum urbes oppida vicos passus aquas et loca die noc- teque liberrime et expeditissime absque alicuius datii gabellae ct alius cuiuslibet oneris solutione amoris nostri et potissimum tam maximarum huius hominis virtutum causa transire permit- 84 v. 92 v. 93 r. APPENDICE IV 287 tant commendatissimumque ipsum semper habentes ci providere velint de liberrimo expeditissimoque transitu et idonca cohorte ut opus fucrit et ipse requisiverit. Quod quidem nobis iucundis- simum semper cerit atque gratissimum, paratissimis ad omnia corum qui sic in eo sc habuerint beneplacita. Mandamus autem omnibus et singulis magistratibus quoruncunque locorum nos- trorum ct potissimum custodibus passuum reliquisque subditis nostris ut praedicta omnia ct singula in terris et locis nostris in- violabiliter servent servarique faciant. Sub indignationis nostrae incursu et alia quavis graviori poena pro arbitrio nostro eis im- ponenda; ad quorum robur et fidem has nostras patentes litte- ras ficri iussimus et registrari ct nostri maiori sigilli munimine roborari. Datas Ferrariae in nostro ducali palatio anno nativitatis dominicae Millesimo quatringentesimo nonagesimo primo, indic- tione nona, die decimo mensis Octobris. Severius. Il Paduae Domino Petro memoriae magistro. Qui modo pyramides, quid iam Babylona canamus Quid Iovis et triviae templa superba deae Non magis immensum mirabimur amphitheatrum Nam summe facerent hoc quoque semper opes Scipio non ultra iactet quod fecerat usus Agmina qui proprio nomine tota vocat Petrum fama canat quam nobilis ille Ravennae est Gloria, qui plusque docta Minerva potest Quid magni facere dei mirabile dictu Nam retinet quicquid legerit ille semel Effatur triplici quaecunque orator in hora Protinus hic iterum nil minus ore refert Sic reor hunc genuit doctarum quinta sororum Cui pia musa nihil non meminisse dedit Frater Egidius Viterbiensis heremita. III. Bononiae, Papiae, Ferrariaeque legi et qui me audierunt mul- ta memoriter scire incoeperunt, et quamvis mea artificiosa me- moria aliorum auctoritatibus sit comprobata, peccare tamen non puto si acta mea in hoc libello legentur quae ipsam mirabiliter approbabunt. Dum essem iuris auditor, nec vigesimum vidissem annum, in universitate patavina dixi mc totum codicem iuris ci- vilis posse recitare; petii namque ut mihi leges aliquae ad arbi- trium astantium proponerentur, quibus propositis, summaria Bar- toli dicebam, aliqua verba textus recitabam, casum adducebam, tacta per doctores examinabam, lexque ista tot habet glosas dice- bam et super quibus verbis erant positae recordabar, / contraria 288 93 v. 94 r. CLAVIS UNIVERSALIS allegabam et solvebam. Visum est astantibus vidisse miraculum; Alexander Imolensis diu obstupuit, nec fabulam narro: ego palam locutus sum in universitate Paduae ex qua in ore duorum vel trium stat omne verbum; testes huius rei tres habco: magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum senatorem venetum et iuris utriusque doctorem excellentissimum apud illustrissimum Mediolani ducem nunc legatum, clarissimum doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae civem nobilem patavinum cuius predictus Franciscus fuit acutissimi ingenii iuris consultus, specta- bilem dominum Monaldinum de Monaldiniis Venetiis commoran- tem in quo virtus domicilium suum collocavit. Lectiones etiam Alexandri Imolensis Paduae legentis copiosis- simas memoria tencbam et illas ex verbo ad verbum in scriptis redigebam, illas etiam postquam finierat, astante magna audito- rum copia, a calce incipiens recitabam ex suisque lectionibus dum in scholis audirem carmina faciebam et omnes carum partes in carminibus positas statim replicabam; et qui hoc viderunt obstu- pucre: huius rei testes habeo clarissimum equitem et doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae et filium Alexandri Imolensis qui nunc est iuris consultus celeberrimus. Centum et quatraginta quinque auctoritates religiosissimi fra- tris Michaelis de Mediolano Paduae praedicantis immortalitatem animae probantes, coram eo memoriter et prompte pronunciavi, qui me amplexus est dicens: vive diu, gemma singularis, utinam te religioni dicatum viderem. Testis est tota civitas patavina, sed magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum et do- minum Sigismundum de capitibus listae et dominum Monal- dinum de Monaldiniis testes habco. Petii ego doctor / creatus in universitate patavina, ut mihi in cathedra sedenti, aliquis de universitate auditor unum ex tribus voluminibus digestorum quid eligeret praesentaret locum- que in quo legere deberem designaret. Dixi enim supra rc pro- posita innumerabiles leges allegabo. Testes sunt clarissimus iuris utriusque doctor dominus Gaspar Orsatus Paduae iura canonica legens et doctissimus dominus Prosper Cremonensis Paduae com- morans [....]. Semel in schachis ludebam et alius taxillos iaciebat aliusque omnes iactus scribebat ct ex themate mihi proposito duas / cpis- tolas dictabam. Posquam finem ludo imposuimus omnes iactus schachorum cet taxillorum et epistolarum verba ab ultimis inci- piens repetii; hacc quatuor per me codem tempore collocata fuerunt. Testes sunt dominus Petrus de Montagnano et Fran- ciscus Nevolinus nobiles patavini cives. Dum cssem Placentiae monasterium monachorum nigrorum intravi ut illud viderem, in dormitorioque cius comitante mona- cho quodam bis deambulans monachorum nomina quae in ostiis cellarum erant collocavi; deinde congregatis eis nomine proprio quemlibet salutavi, licet quem nominabam digito demonstrare 9% v. 95 r. APPENDICE IV 289 non potuissem. Mirabantur monachi quo pacto ego peregrinus nomina eorum memoriter proferrem, ipsis mirari non desinenti- bus, dixi tandem: hoc potuit mea artificiosa memoria, quorum unus dixit ergo hoc Petrus Ravennas facere potuit et non alius. In capitulo generali canonicorum regularium Paduac, prac- dicationem domini Deodati Vincentini co ordine quo ipsam pronunciaverat recitavi astante ipsius praedicationis auctore. Sc- mel me traxit ad sui contemplationem Cassandra, fidelis veneta virgo excellentissima, quae dum legeret litteras  serenissimae coniugis regis Ferdinandi ad se missas, illas collocavi et recitavi; testis est illa doctissima virgo, dominus Paulus Raimusius doctor excellens ariminensis et Angelus Salernitanus vir clarus [....]. De mea artificiosa memoria testis est illustrissimus marchio Bonifacius et eius pulcherrima uxor quae me egregio munere donavi; testis est illustrissimus Hercules dux et illustrissima uxor Eleonora; testis est tota Ferraria duas enim pracedicationes cele- berrimi verbi dei pracconis magistri mariani heremitae recitavi, quo audito obstupuit dictus magister et dixit: illustrissima du- cissa hoc est divinum et miraculosum opus; testis est universitas patavina: omnes enim lectiones mceas iuris canonici sine libro quotidie lego ac si librum ante oculos haberem, textum et glosas memoriter pronuncio ut nec etiam minimam syllabam omittere videar. In locis autem meis quae collocaverim hic scribere statui et quae locis tradidi perpetuo teneo, in decem et novem litteris alphabeti vigintimilia allegationum iuris utriusque posui et codem ordine sacrorum librorum septem milia, mille Ovidii carmina quae ab co sapienter dicta continent, ducentas Ciceronis auctoritates, trecenta philosophorum dicta, magnam Valeri Ma- ximi partem, naturas fere omnium animalium bipedum et qua- drupedum quorum auctoritatum singula verba collocavi, et quando vires arti / ficiosae memoriae experiri cupio, peto ut mihi una ex litteris illis alphabeti proponantur, super qua pro- posita allegationes profero, et ut clare intelligas, exemplum ha- bes: proposita est mihi nunc littera A in magno doctorum vi- rorum conventu, et statim a iure principium faciens, mille alle- gationes et plures proferam de alimentis, de alienatione, de ab- sentia, de arbitris, de appellationibus et de similibus quac iure nostro habentur incipientibus a dicta littera A; deinde in sacra scriptura de Antichristo, de adulatione et multas allegationes sacrae scripturae ab illa littera incipientes pronunciabo, carmina Ovidii, auctoritates Ciceronis et Valerii non omittam, de asino de aquila de agno de ‘accipitre de apro de ariete auctoritates allegabo, et quaecumque dixero ab ultimis incipiens velociter repetam [. APPENDICE V. TRE MSS. DI ARS MEMORATIVA DEL TARDO SEC. XVI. Una posizione come quella del Rosselli, che pure si muove nell’ambito della tradizione “ciceroniana” e non ha contatti con il lullismo, appare per molti aspetti assai vicina a quella che verrà poi assunta da Bruno. Non mancarono tuttavia, an- che sul finire del secolo, trattazioni di ars memorativa con- dotte secondo i canoni più tradizionali della mnemotecnica “classica”. Più che altro per amore di completezza, si dà qui conto di tre testi manoscritti che risentono fortemente di que- ste impostazioni tradizionali. Nel primo di questi testi, con- servato nel ms. Palatino 885 della Nazionale di Firenze (Cod. cart. miscell. sec. XIV, XV, XVI di carte 466. Ai ff. 289r.- 313v. è un anonimo trattato di mnemotecnica: /Inc.: Queritur primo, quare, antequam hanc, artificialem memoriam non in aperto tradiderunt. Expl.: Vox continua est de quantitate con- tinua. Grafia del sec. XVI) ritorna, secondo gli schemi ormai ben noti, la trattazione dei luoghi e delle immagini. Nel se- condo, l’ashburnhamiano 1226 della Laurenziana (Cod. cart. in folio di carte 71, fine del sec. XVI) riscontriamo quel feno- meno, che abbiamo visto tipico, di una trasformazione dei trat- tati di retorica in una ordinata e sistematica classificazione di nozioni. L'arte della memoria non è qui fatta oggetto di spe- cifica trattazione; gli intenti mnemonici risultano chiari dalla disposizione della materia, ordinata in tavole. Si veda per cs. al fol, l1v.: «La Rhetorica è un’arte di trovare ciò che in ogni cosa sia acconcio a persuadere. Le fedi con le quali si per- suade sono: Dell’arte cotai sono: nella vita e nei costumi del- l’Oratore, in mover l’animo del giudice, nell’oratione quando si prova o par che si prova alcuna cosa. Questa maniera di fede si prova e si tratta dall’Oratore. Fuori dell’arte cotai sono : leggi, patti, testimoni, tormenti, giuri. Quest’altra maniera di fede si tratta solamente dall’Oratore ». Del terzo manoscritto (II, 1, 13, già Magliab. della Nazionale di Firenze, Cod. cart. in folio grande di carte 48) già segnalato dalla Yates, si cono- scono invece sia l’autore, sia il luogo e la data di composizione. APPENDICE V 291 Scritto da frate Agostino Riccio nel Convento di Santa Maria Novella nel 1595, il trattato si rivolge « alla gioventù fioren- tina studiosa di lettere ». La Yates (The Ciceronian Art of Memory, in Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1955, p. 899) ha visto in questo scritto « qual- cosa di meno astratto che i trattati del Romberch e del Ros- selli ». In realtà l’operetta del Riccio appare in tutto con- venzionale, ultima eco di una tradizione che si andava ormai spegnendo. Tuttavia, anche in questo testo, non manca un elemento di novità rispetto alle fonti classiche. Allo scopo di imprimere meglio nella mente del lettore le regole dell’arte della memoria, vengono qui impiegati immagini e simboli: in altri termini, per esprimere i precetti che insegnano a « col- locare » le immagini, ci si serve di altre, più complesse imma- gini. Dello stesso accorgimento già aveva fatto uso il Bruno nella Explicatio triginta sigillorum del 1583. Ir. Essendo la memoria madre delle scienze poi che quello che vera- mente si sa che si ritiene nella memoria impresso, utilissima è l’arte che rende perfetta questa natural potenza. Di essa da molti sono stati scritti vari libri, ma non però ho stimato ch’a me sia negato il formare questo trattato nel quale sotto la simi- litudine d’un potentissimo Re ch’appresso di sé ha due consi- glieri e tre valorosi capitani et un servo che provede ciò che fa di bisogno, brevemente e chiaramente ho ridotto in sette precetti la somma di quest'arte et a voi la dono. 7r. / Seconda regola o Primo consiglier o luoghi, son nominati da me, ché tutti questi tre nomi significano una cosa medesima come si dichiara per la figura dipinta a uso d’huomo consigliere del Re, ché detto consigliere tiene una mano sopra a un map- pamondo dipinto nel quale si vede città, terre, castelli, case, botteghe, così anco chiese, palazzi, vie, piazze, conventi di reli- giosi e a molte altre cose [....] / 17 v. Però io ho fatto molti Alfabeti diversi acciò che tu gli legga e vi facci pratica, un Alfabeto è di fiumi laghi e pesci, un di pietre preziose e tutte l'altre pietre insieme, un d’'erbe c piante piccole, un di fiori, un d’alberi e frutti grandi, un d’animali grandi e piccoli... un di città, un di casati fiorentini, un d'arti meccaniche e liberali o exercitii o servitù che si faccino per guadagnare, un d'huomini honorati [....]. APPENDICE VI. IL PETRARCA MAESTRO DI ARTE DELLA MEMORIA In un saggio più volte citato nel corso di questo libro (The ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 889-894) la Yates ha segnalato una serie di testi di ars memorativa nei quali compaiono espliciti richiami al Petrarca. Nel Congesto- rium artificiose memorie, pubblicato a Venezia nel 1520, Johan- nes Romberch si richiama più volte al Petrarca attribuendogli anche la paternità di non poche affermazioni di carattere “tec- nico” sui /oci e sulle imagines (pp. 20r., 28r., 29r.); nella Plutosofia di Filippo Maria Gesualdo (Padova, 1592, p. 14r.) il Romberch viene addirittura qualificato un seguace della mne- motecnica del Petrarca; nella Prazza universale (Venezia, 1578, Disc. LX) Tommaso Garzoni include il Petrarca fra i più noti cultori di mnemotecnica; Lambert Schenkel nel Gazophy- lacium artis memoriae (Argentorati, 1610, pp. 26-28), dopo aver riportato un lungo passo dei Rerum memorandarum libri (ediz. di Basilea, 1581, I, p. 408; ediz. G. Billanovich, Firenze, 1943, pp. 46, 48), fermi che l’arte mnemonica fu dal Pe- trarca «avide susceptam et diligenter excultam » (Gazophy- lacium, cit., p. 28). Gli sparsi accenni alla memoria, alla memoria artificiale, agli illustri esempi di prodigiosa memoria presenti nell’opera del Petrarca sono stati elencati, con la precisione che le è consueta, dalla Yates: nessuna specifica regola di mnemotec- nica, né alcuna esaltazione o raccomandazione dell’ars memo- riae — della cui divulgazione il Petrarca era tuttavia a cono- scenza («Itaque minus miror tantis nature preditum mune- ribus artificiosam memoriam contempsisse, que tum primum in Grecia reperta, apud nos hodie vulgata est », Rerum mem. libri, ediz. Billanovich, p. 46) — è presente nell'opera dell’au- tore del Canzoniere. La tradizione che vede nel Petrarca un “classico” della letteratura sulla memoria non nasce tuttavia dal semplice desiderio — così diffuso negli autori di questi trattati — di invocare sempre nuove “autorità”. Essa ha ori- APPENDICE VI 293 gini precise: « I think one can see how the tradition about Petrarch as an advocate of the classical mnemonic arose. Eve- ryone knew that the great scholastics in treating memory as a part of prudence had recommended the artificial memory. It was therefore supposed that when Petrarch treated memory as a part of prudence by giving amongst his exempla the me- mories of great classical rhetors in which he made allusions to the classical mnemonic, he thereby meant — though in his own ’humanist’ way — to recommend it. And it was pro- bably further supposed that in the description of the memory of his friend he was describing the feats of a modern ’ artift- cial memory” based on the practice of the ancients. This was certainly the assumption made by Lambert Schenkel, in the passage referred above » (p. 893). Con le conclusioni della Yates sembra difficile non concor- dare, anche se l’unico passo del quale disponiamo per renderci conto delle origini di questa curiosa tradizione, contiene affer- mazioni che solo parzialmente confortano le affermazioni ora citate: «Qui autem aequus rerum aestimator, considerans quae ex Francisco Petrarcha hic citata sunt, nempe artificio- sam memoriam sua aetate vulgatam fuisse, militem illum ami- cum ab adolescentia multorum itinerum individuum comitem ipsi fuisse, saepe totos dies et noctes colloquiis traductos, alias- que circumstantias, ac maximam occasionem consequendae huius artis, vel ab ipso, qui eam tali amico, viro tam docto, negare non putuisset, vel ab aliis, iudicet illam ab ipso esse neglectam; praesertim cum memoriae illius excellentia, com- muni omnium fama, celebretur et a scriptoribus in numerum illorum relatus sit qui admirabili memoria insignes fuerunt, ac scripta facile testentur quantus ille orator, quantus poeta latinus, quodque italorum poetarum princeps habeatur, unde recte colligitur artem memoriae avide ab illo fuisse susceptam et diligenter excultam, atque maximo sibi in studiis omnibus adiumento et ornamento fuisse ». (Gazophylacium, cit., p. 28). Comunque stiano le cose, è certo che la tradizione del Pe- trarca maestro e teorico della memoria artificiale si estende molto al di là dei limiti cronologici indicati dalla Yates (« the tradition of associating Petrarch with mnemonics goes on even into the early seventeenth century », p. 890). Negli scritti di Jean Belot pubblicati nel 1654 e in seguito riediti nel 1669, 294 CLAVIS UNIVERSALIS 1688, 1704, il nome del Petrarca compare accanto a quelli di Pietro da Ravenna e di Giordano Bruno (Les oeuvres de M. Jean Belot contenant la chiromance, physionomie, l'art de memoire de Raymond Lulle, Lyon, 1654, p. 334). Nella lunga nota integrativa apposta dal Diodati alla voce Mémotre del- l’Enciclopedia di Diderot (Ediz. di Lucca, 1767, p. 263) ritro- viamo in pieno Settecento, accanto a quelli di Pietro da Ra- venna, di Jacopo Publicio, del Romberch, di Cosma Rosselli, il nome di Francesco Petrarca. APPENDICE VII. UNO SCRITTO INEDITO DI GIULIO CAMILLO Di carattere teologico e cabalistico è uno scritto inedito del Camillo sul quale ha di recente richiamato l’attenzione E. Garin (« Giornale crit. della filosofia italiana », 1959, 1, p. 159). Cfr. E. MANDARINI, / codici manoscritti della Biblioteca Orato- riana di Napoli, Napoli, 1897, p. 122 e il Ms. Pil. XV, n. ll, in 4°, sec. XVI, di cc. 55 non numerate. Lo scritto del Camillo inizia con un proemio caratteristico nel quale fra l’altro si af- ferma: « Et perché né più degno soggetto, né più alto si tratta del Sommo Dio, contenendo la presente Opera l’interpretazione dell’Arca del Patto, per la quale si ha la vera Intelligenza delli tre Mundi, cioè Sopra Celeste, Celeste et Inferiore, onde ne risorge la vera Cognitione Theologica, over Divina che dir vogliamo, qui è esponuto il Senario Canone Pitagorico et sfor- bito dal Ternario, cioè Artifex, Exemplar, Hyle. Qui è dichia- rato cos'è Materia, Forma et Privatione. Qui più luoghi delle Sacre pagine enodati et de oscuri fatti chiari. Qui vedrai ac- cordata la Pitagorica, et Platonica disciplina, con la philoso- phia et theologia nostra ». Di questo stesso testo del Camillo ho trovato un altro esemplare nel Ms. Aldino 59 della Bibl. Univ. di Pavia (Ms. cart. del sec. XVI, di cc. scritte e nume- rate 95, legatura in cartone, mm. 185 * 147). Anche qui, come nell’esemplare napoletano, segue un trattato De Transmuta- tone. Si veda a fol. 40r.: « Tre esser le une transmutationi, cioè: la Divina, quella delle Parole, et quella ch'è pertinente alli Metalli. Et tutte tre fra loro haver una maravigliosa corri- spondenza ». Al fol. 46r. sono ricordati Agrippa e Giovanni da Rupescissa. Le cc. 51r. segg. contengono una trascrizione dall’edizione veneta del 1548 della Porta della luce santa. APPENDICE VIII. ESERCIZI DI MEMORIA NELLA GERMANIA DEL SEC. XVII Com'è noto, i testi mnemotecnici di Pietro da Ravenna prima, e di Giordano Bruno poi, ebbero grande risonanza negli ambienti della cultura tedesca. Il brano qui di seguito trascritto costituisce un singolare documento dell’interesse, prc- sente anche in ambienti accademici dei primi anni del secolo XVII, per quegli esercizi di memoria che avevano avuto gran voga durante il Cinquecento, soprattutto in Italia e in Ger- mania. A questi divertimenti (recitare per esempio indiffe- rentemente dal principio alla fine o dalla fine al principio una filza di qualche centinaio di termini o di espressioni inusitate) si dedicavano del resto anche non pochi fra i maggiori emble- matisti del Seicento. Come ha ricordato M. Praz (Studi sul concettismo, Firenze, 1946, p. 233) il gesuita padre Menestrier, celebratissimo autore di un centinaio di opere di emblematica, faceva mostra della sua prodigiosa memoria davanti a Cristina di Svezia servendosi di esercizi di questo tipo. Il testo che segue è tratto da Joannes Paepp, Schenkelius detectus seu me- moria artificialis hactenus occultata, Lugduni, 1617, pp. 30 - 39 (copia usata: Trivulziana, Mor. M. 17). Negli scritti del Paepp (cfr. anche Artficiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, Ci- cerone, Thoma Aquinate ecc., Lugduni, 1619, e Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, Lugduni, 1619) è parti- colarmente interessante il tentativo di fondereinsieme le figure della combinatoria lulliana e quelle in uso nella mnemotecnica “ciceroniana”. Il Goclenius, nominato nel testo, è personag- gio assai noto. Si vedano su di esso: Morhof, Polyhistor lite- rarius philosophicus et practicus, Lubecca, 1732, II, p. 455 e L. Thorndike, History of Magic and Experimental Science, New York, 1951, V, p. 326; VI, pp. 137, 368, 485, 506. Die XXIX Sept., styli veteris anni, MDCII, hora octava matutina convenerunt ad aedes celeberrimi ac magni illius philosophi et profes- soris D. Rudol. Goclenii, clariss. vir ac D. Henricus Ellenbergerus praeclarus medicinae doctor et professor, D. Mathias à Sichten Dan- tiscanus Borossus, ct M. Christophorus Bauneman Maior stipendiaro- APPENDICE VIII 297 rum. Petitque Schenkelius a D. Goclenio er D. Ellenbergero dictari XXV sententias, quas ipsc calamo excepit, pracposita cuique nota arith- metica, deinde intro vocavit ingenuum ac doctum adolescentem Dn. lustum Ingmannum, Cassellanum Hessum iuris ac philosophiae studio- sum cui cae omnes ordine prelectae sunt a Schenkelio, singulae bis interiecto aliquantulo more, omnibusque dictis tacitus aliquantisper sedit. Deinde exorsus loqui a prima ad ultimam ordine recto et retro- grado ab hac ad illam sine mora, haesitatione aut errore recitavit. Cum vero bis terve evenisset ut dictionem unam alteri pracponeret, ac bis ut synonymum pro synonymo in quibus facillimus est lapsus ita pro sic, limites pro fines, unico hoc verbo admonitus, dic ordine dixine ita? synonymum ponis: statim et eadem substituit vocabula et suo ordine. Postremo intercalari ordine quolibet expresso numero statim sententiam, aut dicto primo cuiuslibet sententiae vocabulo confestim numerum indi- cavit. Tum rogavit Dn. Iungmannum Schenkelius an vellet aliquas praeterea sententias adiici. Alacri animo XXV alias addi optavit. Verum Schenkelio respondente nimis multas fore, quindecim pettit; quas arti applicatas eadem dexteritate promptitudine qua superiores quolibet or- dine et separatim et cum aliis coniunctim intercalari repetiit. Fuerunt autem sententiae sequentes: 1. Omnia sunt fucata, nihil candoris in aula est. 2. Animus philosophi debet esse in sagina, corpus in macie. 3. Ut planctae saepius translatae raro perveniunt ad frugem, sic et ingenia vagabunda [....]. 39. Timiditas ignorantiam audacia temeritatem arguit. 40. Iuvandi non oppugnandi sunt qui nobis iecere fundamenta sa- pientiae. Si inter alias a Dominis aliquae dicerentur sententiae paulo tritiores quas coniiciebat D. Iungmannum antea memoriter scire, id sincere Do- minis indicavit Schenkelius aliasque illarum loco accepit. Si quoque aliquae iusto breviores videbantur petivit addi aliquid. Ut factum in XXIII et XXIV. Sequenti die XXX Septembris denuo convenerunt su- pra nominati domini ad acdes D. Mathaei Schrodij pharmacopolae hora nona et ab cisdem dictata sunt quinquaginta vocabula a Schenc- kelio excepta; et intro vocato Dn. Iungmanno singula semel praelecta, relicto ipsi paululum morae ad cogitandum et applicandum arti, deinde a primo ad ultimum ordine recto ab hoc ad illud retrogrado, postea intercalari quocunque numero dicto subiecit vocabulum, et contra no- minato quolibet vocabulo numerum sine mora, haesitatione vel errore. Interrogavit Schenckelius an placeret dominis plura dare. Videlicet: numerum illum duplicatum? Quod desiderabat quidem Dn. Iungman- nus, sed responderunt sufficere, nec se dubitare quin possit multo plura codem modo recitare. Postea Schenckelio conquestus est Dn. Iungman- nus dolere se quod non ad quinquaginta sententias et centum vocabula esset processum, haud dubie se optime repetiturum fuisse; fuerunt au- tem sequentia: 298 CLAVIS UNIVERSALIS I. Gobius, 2. Peristroma, 3. Ficedula, 4. Ephipium, 5. Phalerae, 6. Canabis [....], 49. Mantica, 50. Locaria. Rursus oblatis a Schenckelio Dominis ducentis sententiis in quibus sc exercuerat, Dn. Iungmannus dum specimini se praepararet, et quas iam memoria tenebat; una cum quadraginta heri pro specimine dicti- tatis, quibus pracpositac crant notae arithmeticae. Rogavit ut expri- merent quemlibet numerum et Dn. Iungmannus statim corresponden- tem diceret sententiam quod factum est feliciter, non sine praesentium admiratione. Cum praesertim magno id fieret numeri intervallo. E. g. dic 235, dic 27, dic 9, dic 240, dic 228... etc. Postremo Dominis sunt oblata 250 vocabula scripta in quibus partim se privatim ad specimen praepararat, partim cum Schenckelio cexercuerat ita ut illa quoque memoria tencret; quibus iam cadem hora erant apposita 50 alia, ut cum prioribus trecenta efficerent; et petivit Schenckelius ut Domini quem vellent numerum proferrent. Quod ita ut modo dictum est de sententiis fecerunt et statim Dn. Iungmannus vocabulum quodque red- didit. Si semel aut bis non diceret ipsam sententiam aut vocabulum servato prorsus ordine vocum, monitus rem acu non esse tactam, veram aut sententiam aut vocabulum illico restituit. Dic subsequenti primo Octobris interfuit Dn. Iungmannus concioni publicae R. D. Doc- toris Winckelmanni Concionatoris ac Professoris celcberrimi quam etiam valde attente audiverunt, ut certius de specimine iudicare pos- sent Eximius Med. Doctor et Professor Ellenbergerus et D. ac M. Chris- tophorus Baunemmannus, qui una cum Schenckelio concione absoluta iverunt recta ad aedes pracclariss. D. Goclenii, ut coram ipsis cam repcteret, quod fecit ita prompte ct exacte ut nihil ex tota concione esset practermissum. Haec omnia ita ut supra fideliter relata sunt se habere testamur cum ea nobis praesentibus, videntibus sententias et vocabula dictanti- bus, gesta sint et probata, omni fraude et dolo seclusis. In quorum fidem hoc veritati non minus quam equitati debitum testimonium nominibus nostris subscriptis siglillisgue munitum libenter Schenckelio vel non roganti dedimus. Marpurgi Hassorum anno, mense, die supra- positis. Rod. Goclenius L. Professor Henricus Ellenbergerus Med. Doctor et Professor Mathias à Sichten Dantiscanus Borossus Cristophorus Bauneman Maior stipend. APPENDICE IX. LA VOCE ART MNEMONIQUE NELL’ENCICLOPEDIA DI DIDEROT Commentando la voce Mémoire della grande Enciclopedia, il Diodati rimpiangeva che l’autore della dotta dissertazione non avesse fatto seguire alla trattazione della memoria natu- rale una esposizione, altrettanto ampia e precisa, delle regole della memoria artificiale (Ediz. di Lucca, 1767, X, pp. 263-64). Per rimediare a questa lacuna il Diodati ripeteva alcuni dei più tradizionali concetti della mnemotecnica di origine “cice- roniana”; aggiornava l’elenco degli uomini dotati di prodi- giosa memoria aggiungendo ai nomi di Plinio, di Aulo Gel- lio, di Cinea, di Ciro, di Seneca e di Pico, quello del Maglia- bechi; si richiamava ai nomi dei maggiori trattatisti; elencava infine alcune regole di medicina della memoria e i principali precetti dell’arte della memoria locale. La lacuna che aveva scandalizzato il buon Diodati, non esiste affatto nell’ Enciclopedia. Nel primo volume dell’opera (che lo stesso Diodati aveva annotato e pubblicato nove anni prima) un’intera sezione della lunga voce Art appare dedicata alla trattazione dell'Art mnémonique. Del testo, che è opera dell’Yvon (sulla cui figura e posizione intellettuale cfr. F. VEx- tuRI, Le origini dell’ Enciclopedia, Roma-Firenze, 1946, pp. 40-48) si trascrivono qui di seguito le parti essenziali. Nella identificazione dell’arte mnemonica con la logica, nell’appello alla chiarezza e alla distinzione, nell’idea di un ordinamento delle idee in una catena di premesse e di conseguenze, infine nel deciso rifiuto di ogni forma di “memoria artificiale” tradi. zionalmente intesa sono evidenti le influenze delle posizioni cartesiane. Le due opere alle quali l’autore fa riferimento sono: Marius D’Assicny, The Art of Memory, London, 1697 e Wix- KELMANN (che è pseudonimo di Stanislaus Mink von Venus- sheim), Logica mnemonica sive memorativa, Halae Saxo- num, 1659. On appelle ar: mnemonique la science des moyens qui peuvent servir pour perfectionner la mémoire. On admet ordinairement quatre de ces sortes de moyen: car on peut y employer ou des remedes physi- 300 CLAVIS UNIVERSALIS ques, que l’on croit propres à fortifier la masse du cerveau; ou de certaines figures et schématismes, qui font qu’une chose se grave mieux dans la mémoire; ou des mots techniques, qui rappellent facilement ce qu’on a appris; ou enfin un certain arrangement logique des idéesen les plagant chacune de facon qu’elles se suivent dans un ordre naturel. Pour ce qui regarde les remedes physiques, il est indubitable qu’un régime de vie bien observé peut contribuer beaucoup à la con- servation de la mémoire, de méme que les excès dan le vin, dans la nourriture, dans les plaisirs, l’affoiblissent. Mais il n'est pas de méme des autres remedes que certains auteurs ont reccomandés... qu'on peut voir dans l'art mmnemonique de Marius d’Assigny, auteur anglois... D’autres ont eu recours aux schématismes. On sait que nous retenons une chose plus facilement quand elle fait sur notre esprit, par les moyens des sens cxtérieurs, une impression vive. C'est par cette raison qu'on a tiché de soulager la mémoire dans ses fonctions, en réprésen- tant les idées sous de certaines figures qui les expriment en quelque facon. C'est de cette manière qu'on apprend aux enfans, non seule- ment à connoître les lettres, mais encore à se rendre familiers les principaux évenemens de l’histoire sainte et profane. Il y a méme des auteurs qui, par une prédilection singuliere pour les figures, ont appliqué ces schématismes à des sciences philosophiques. C'est ainsi qu'un certain Allemand, nommé Winckelmann, a donné toute la logique d'Aristote en figures... Voici aussi comme il définit la Logique. Aristote est représenté assis, dans une profonde méditation : ce qui doit signifier que la Logique est un talent de l’esprit et non pas du corps; dans la main droite il tient un clé: c’est-a-dire que la Logique n'est pas une science, mais un clé pour les sciences; dans la main gauche il tient un marteau: cela veut dire que la Logique est une habitude instrumentale; et enfin devant lui est un étau sur lequel se trouve un morceau d'or fin et un morceau d'or faux pour indiquer que la fin de la Logique est de distinguer le vrai d’avec le faux. Puisqu'il est certain que notre immagination est d’un grand secours pour la mémoire, on ne peut pas absolument rejetter la méthode des schématismes, pourvà que les images n’ayent rien d'extravagant ni de puérile, et qu'on les applique pas à des choses qui n’en sont point du tout susceptibles. Mais c’est en cela qu'on à manqué en plusieurs fagons: car les uns ont voulu désigner par des figures toutes sortes de choses morales et métaphysiques; ce qui est absurde, parce que ces choses ont besoin de tant d’esplications, que le travail de la mémoire en est doublé. Les autres ont donné des images si absurdes et si ridi- cules, que loin de rendre la science agréable, elles l’ont rendu dégot- tante. Les personnes qui commencent à se servir de leur raison, doivent s'abstenir de cette méthode, et tàcher d’aider la mémoire par le moyen du jugement. Il faut dire la méme chose de la mémoire que l'on appelle teckni- que. Quelques-uns ont proposé de s’immaginer une maison ou bien une ville, et de s'y représenter différens endroits dans lequels on pla- ceroit les choses ou les idées qu'on voudroit se rappeller. D'autres, au APPENDICE IX 301 lieu d'une maison ou d’une ville, ont choisi certains animaux dont les lettres initiales font un alphabet latin. Ils partagent chaque membre de chacune de ces bétes en cinq parties, sur lesquelles ils affichent des idées; ce qui leur fournit 150 places bien marquées, pour autant d'idées qu’ils s'y imaginent affichées. Il y en a d’autres qui ont eu recours è certains mots, vers, et autres choses semblables: par exemple pour re- tenir les mots d’Alexandre, Romulus, Mercure, Orphée, ils prennent les lettres initiales qui forment le mot armo; mot qui doit leur servir à se rappeller les quatre autres. Tout ce que nous pouvons dire là-des- sous c'est que tous ces mots et ces verbes techniques paroissent plus difficiles à retenir que les choses mémes dont ils doivent faciliter l'étude. Les moyens les plus sùrs pour perfectionner la mémoire, sont ceux que nous fournit la Logique; plus l’idée que nous avons d'une chose est claire et distincte, plus nous aurons de facilité à la retenir et à la rappeller quand nous en aurons besoin. S'il y a plusieurs idées, on les arrange dans leur ordre naturel de sorte que l’idéc principale soit suvie des idées accessoires, comme d’autant de consequences; avec cela on peut pratiquer certains artifices qui ne sont pas sans utilité: par exemple, si l’on compose quelque chose, pour l’apprendre ensuite par coeur, on doit avoir soin d’écrire distinctement, de marquer les différen- tes parties par de certaines séparations, de se servir des lettres initiales au commencement d’un sens; c'est ce qu'on appelle la mémotre locale... Les anciens Grecs et Romains parlent en plusieurs endroits de l'art mnemonique Cicéron dit, dans le Liv. II de Orat. c. LXXXVI que Simonide l’a inventé. Ce philosophe étant en Thessalie, fut invité par un nommé Scopas; lors qu'il fut à table, deux jeunes gens le firent appeller pour lui parler dans la cour. A_peine Simonide fut-il sorti, que la chambre où les autres étoient restés, tomba et les écrasa tous. Lors- qu’on voulut les enterrer, on ne put les reconnoître, tant ils étoient défigurés. Alors Simonide, se rappellant la place où chacun avoit été assis, les nomma l’un après l’autre; ce qui fit connoître, dit Cicéron, que l'ordre étoit la principale chose pour aider la mémoire. APPENDICE X. D’ALEMBERT E I CARATTERI REALI La voce Caractère della grande Enciclopedia (i caratteri tipografici vengono trattati dal Diderot in un'ampia voce Ca- ractères d'imprimerie) risulta dalla collaborazione di vari au- tori. Dopo alcune brevissime definizioni dell’ Eidous che di- stingue fra suoni e segni o figure e fa risalire l’origine dei carat- teri ai primi rozzi disegni tracciati sui corpi materiali, d’Alem- bert tratta brevemente della scrittura in generale cinviando: per una trattazione più analitica, alle voci Langue e Alphabet. Ai caratteri egiziani accenna in poche righe, rimandando alle voci Hiéroglyphe ec Symbole, il celebre grammatico Du Mar- sais. Seguono nell’ordine: una colonna c mezzo di d’Alem- bert dedicata ai caratteri reali e al problema della lingua uni- versale; una descrizione dei caratteridei vari alfabeti e dei segni impiegati in geometria e trigonometria di La Chapelle; una breve voce sui Caractères dont on fait usage dans l' arith- metique des infinis ancora di d’Alembert; infine una colonna circa del Venel sui Caractères de la Chimie. Si vuol qui richiamare l’attenzione sul secondo dei tre “pezzi” scritti dal d’Alembert. In questo testo troviamo pre- sente la contrapposizione baconiana dei “caratteri reali” (che esprimono non suoni o lettere, ma cose) ai “caratteri nomi- nali” (o normali lettere alfabetiche); vediamo ripreso il paral- lelo, presente nel De augmentis di Bacone e nell’ Essay di Wilkins, tra gli ideogrammi cinesi e i caratteri reali che pos- sono essere letti e compresi indipendentemente dalla lingua che effettivamente si parla; vediamo brevemente esposti i risul- tati cui erano giunti lo stesso Wilkins, George Dalgarno e Francis Lodowick; le riflessioni di Leibniz sulla caratteristica e sulla lingua universale (di questi interessi non fa cenno la voce Lerbnittanisme ou philosophie de Leibniz) vengono infine poste in un rapporto di diretta derivazione con le dottrine dei due autori inglesi. Le opere del Dalgarno, dello Wilkins, del Lodowick alle quali d’Alembert fa riferimento nel testo sono nell’ordine: Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philoso- APPENDICE X 303 phica, Londra, 1661; Essay towards a real character and a phi- losophical language, Londra, 1668; The grundwork or foun- dation laid (or so intended) for the framing of a new perfect language, Londra, 1652. Les hommes qui ne formoient d'abord qu'une société unique, ct qui n’avoient par conséquent qu’une langue et qu'un alphabet, s'étant extrémement multipliés, furent forcés de se distribuer, pour ainsi dire, en plusieurs grandes sociétés ou familles, qui séparées par des mers vastes ou par des continens arides, ou par des intéretéts differens, n'avoient presque plus rien de commun entr'elles. Ces circonstances occasionnerent les différentes langues cet les différens alphabets qui se sont si fort multipliés. Cette diversitt de caracteres dont se servent les différentes nations pour exprimer la méme idée, est regardée comme un des plus grands obstacles qu'il y ait au progrés des Sciences: aussi quelques auteurs pensant à affranchir le genre humain de cette servitude, ont proposé des plans de caracteres qui pussent ètre universels, et que chaque na- tion pùt lire dans sa langue. On voit bien qu’en ce cas, ces sortes de caracteres devroient étre réels et non mominaux, c'est-a-dire exprimer des choses, et non pas, comme les caracteres communs, exprimer des lettres ou des sons. Ainsi chaque nation auroit retenu son propre langage, et cependant auroit été en état d’entendre celui d'une autre sans l’avoir appris, en vo- yant simplement un caractere récl ou universel, qui auroit la méme signi- fication pour tous les peuples, quels que puissent étre les sons, dont chaque nation se serviroit pour l’'exprimer dans son langage particulier : par cxemple, en voyant le caractere destiné à signifier Sorre, un An- glois auroit lù o drink, un Frangois dorre, un Latin bidere, un Grec riverv, un Allemand trincken, et ainsi des autres; de méme qu'en voyant un cleval, chaque nation en exprime l’idée à sa maniere, mais toutes entendent le mème animal. Il ne faut pas s’'imaginer que ce caractere réel soit une chimere. Le Chinois et les Japonois ont déjà, dit-on, quelque chose de semblable: ils ont un caractere commun que chacun de ces peuples entend de la méme maniere dans leurs différentes langues, quoiqu’ils le prononcent avec des sons ou des mots tellement différens, qu’ils n’entendent pas la moindre syllabe les uns des autre quando ils parlent. Les premiers essais, ct méme les plus considérables que l’on ait fait en Europe pour l’institution d’une langue universelle ou philosophique, sont ceux de l’évèéque Wilkins et de Dalgarme: cependant ils sont demeurés sans aucun effet. M. Leibnitz a eu quelques idées sur le méme sujet. Il pense que Wilkins et Dalgarme n’avoient pas rencontré la vraie méthode. M. Leibnitz convenoit que plusieurs nations pourroient s'entendre avec les caracteres de ces deux auteurs: mais, selon lui, ils n’avoient pas attrapé les véritables caracteres réels que ce grand philosophe regardoit comme l’instrument le plus fin dont l’esprit humain pùt se servir, et 304 CLAVIS UNIVERSALIS qui devoient, dit-il, extrémement faciliter et le raisonnement, et la mémoire, et l’invention des choses. Suivant l’opinon de M. Leibnitz, ces caracteres devoient ressem- bler à ceux dont on sc sert en Algebre, qui sont effectivement fort simples, quoique très-expressifs, sans avoir rien de superflu ni d’equi- voque, et dont au reste toutes les variétés sont raisonnées. Le caractere réel de l'Evéque Wilkins fut bien regu de quelques savans. M. Hook le recommande après en avoir pris une exacte connois- sance, et en avoir fait lui-méme l'experience: il en parle comme du plus excellent plan que l'on puisse se former sur cette étude, il a eu la complaisance de publier en cette languc quelques-unes de ses décou- vertes. M. Leibnitz dit qu'il avoit en vàe un alphadet des pensées humaines, et mèéme qu'il y travailloit, afin de parvenir à une langue philosophi- que: mais la morte de ce grand philosophe empécha son projet de venir en maturité. M. Lodwic nous a communiqué, dans les transactrons plulosophi- ques, un plan d’un a/phabet ou caractere universel d’une autre espece. Il devoit contenir une énumération de tous les sons ou lettres simples, usités dans une langue quelconque; moyennant quoi, on auroit été en état de prononcer promptement et exactement toutes sortes de langues; et de d’écrire, en les entendant simplement prononcer, la prononciation d’une langue quelconque, que l'on auroit articulée; de maniere que les personnes accoùtumeées à cette langue, quoiqu'elles ne l’eussent jamais entendu prononcer par d'autres, auroient pourtant été en état sur le champ de la prononcer exactement: enfin cc caractere auroit servi comme d’étalon ou de modele pour perpétuer les sons d’une langue quelconque. Dopo aver accennato a tentativi più recenti (Journal Litté- raire del 1720, sul quale cfr. L. Coururat-L. Leau, Historre de la langue universelle, Paris, 1907, pp. 29 segg.), d'Alembert concludeva scrivendo: « Mais ici la difficulté est bien moins d’inventer les caractères les plus simples, les plus aisées, et les plus commodes, que d’engager les différentes nations à en faire usage; elles ne s’accordent, dit M. Fontenelle, qu’ì ne pas en- tendre leurs intéréts communs ». La sua sfiducia concerneva quindi, esclusivamente, la possibilità di una realizzazione pra- tica. Su questo punto le opinioni dei collaboratori all’Enciclo- pedia si configurano variamente. Per rendersene conto basterà confrontare la voce Langage nella quale veniva esplicitamente rifiutata la possibilità, anche teorica, di una lingua universale («Puisque du différent génie des peuples naissent les diffé- rents idiomes, on peut d’abord décider qu'il n’en aura jamais APPENDICE X 30)5 d’universel ») con la voce Langue nella quale veniva esplicita mente riaffermata la speranza in una pratica realizzazione della lingua universale: « Mon dessein n’est pas au reste de former un langage universel à l’usage de plusieurs nations. Cette entreprise ne peut convenir qu’aux académies savantes que nous avons en Europe, supposé encore qu’elles travaillas- sent de concert et sous les auspices des puissances ». INDICE DEI MANOSCRITTI I numeri in corsivo rimandano alle pagine nelle quali il testo del manoscritto è stato parzialmente o integralmente riassunto o trascritto. Gli altri rinviano alle pagine nelle quali il manoscritto è stato sempli- cemente indicato o richiamato. Firenze Hannover : Innichen Milano Monaco Napoli Laurenziana Ashb. 1226: 290. Nazionale II, 1, 13 (già Magliab.): 290-291. Conv. Soppr. I, 1, 47: 17, 271, 272-275. Magliab. cl. VI, cod. 5: 17-18. Magliab. Palch. II, 90: 271. Palat. 54: 17, 271, 272-275. Palat. 885: 28, 290. Riccardiana Ricc. 1538: 271. Ricc. 2734: 25. Phil. VI, 19: 250-252. Phil. VII. B. mi, 7: 250, 252-253. VIII. B. 14: 65. Ambrosiana D. 535 inf.: 52. E. 58 sup.: 25. I. 171 inf.: 25. I. 153 inf.: 70-73, 261, 262-270. N. 185 sup.: 54. N. 259 sup.: 69. R. 50 sup.: 26. T. 78 sup.: 19, 25, 26, 276, 277-285. Staatsbibl. 10517: 69. 10552: 73. 10593: 70-73, 76-77, 261, 262-270. 10594: 54. Oratortana Pil. XV n. IT: 295. 308 Parigi Pavia Ravenna Roma Torino Venezia INDICE DEI MANOSCRITTI Bibliothèque Nationale lat. 15450: 48-49. lat. 16116: 65-68. lat. 17839: 70-73, 261, 262-270. lat. 6443c: 54. Universitaria Ald. 59: 295. Ald. 167: 27. Ald. 441: 17. Classense Mob. 3.3. H2. 10: 28. Angelica 142 (B.5. 12): 25, 26, 276. Casanatense 90: 25. 1193: 25. Vaticana Ott. lat. 405: 69. Urb. lat. 852: 65, 73-74. Urb. lat. 1743: 31. Vat. lat. 3678: 22. Vat. lat. 4307: 22. Vat. lat. 5129: 22. Vat. lat. 5437: 70. Vat. lat. 6293: 27. Vat. lat. 6295: 54. Nazionale I. V. 47: 05. Marciana lat. cl. VI, 159: 19, 276. lat. cl. VI, 238: 26-27. lat. cl. VI, 274: 19, 20-23, 26, 27, 31-32, 33, 34, 276, 286. lat cl. VI, 292: 25. lat. cl. X, 8: 15. INDICE DEI NOMI Le cifre seguite da n rimandano alle note. Quelle in corsivo rin- viano alle pagine nelle quali gli autori sono più diffusamente trattati. In questo caso non si è fatto specifico riferimento alle note comprese nelle pagine indicate. Adanson M., 234. Agostino A., 1/4, 33, 145. Agrippa C., x, 2, 2n, 5, 6, 30n, 36, 41, 42-45, 58, 60, 82, 88-80, 98, 101, 120, 132, 133, 143, 145, 145n, 156, 160, 175n, 180, 239. Alberto Magno, xi, 5, 8, 12-14, 15-16, 19, 32, 37, 38n, 82, 95, 96 Alciati A., 37, 98n, 104. Alcuino, 14, !5n. Alembert J. B. d', 302, 303-304. Alsted ]. E., xi, xn, 53, 61, 62, 74:75, 79, 120, 124, 125, 132, 178, 179-184, 191, 233, 238n, 239, 247, 247n, 254. Alvarez E., 251. Anderson F., 153n. Andrade C., 201n. Andrei J. V., 184, 213, 213n. Apelt O., 10n. Aquilecchia G., 113n. Aristotele, 5, 8-9, 13, 14; 15, 16, 33, 56, 72, 75, 76, 124n, 128, 129n, 136, 137, 138, 180, 193n, 195. Arnaldo da Villanova, 35, 95. Aubry J. de, 130-131, 158-159, 160, 192. Austriacus ]., 127, 151, 15In. Averroè, 35, 35n, 95, 96. Avicenna, 35, 95. Avinyò J., 43n. Azavedo V. de, 127, 127n. 127n, 128n, Bacone F., x, xI, XII, XHI, XIV, 2, 5, 7, 8, 36n, 53, 58, 97n, 103, 134, 135, 140, 142-153, 160, 161-169, 175n, 176-178, 179, 184, 185, 191, 201-202, 203-206, 212, 215, 220, 220n, 233, 239, 242, 247n, 250, 251, 254, 302. Badaloni N., 109n, 125n. Baeumker C., 46, 47, 47n. Barbarigo A., 29. Barber W. H., xn1. Barlandus A., 89n. Barone F., xiv, 80n, 24In, 248, 248n, 256n, 258n. Bartholomess C., 109n. Bartolomeo da  S. 16-17, 19, 271. Batllori M., xv, 43n. Bayle P., 183, 183n. Beale J., 230. Becher J., 241, 24In, 242. Beck L. J., xiv, 174, 174n, 175, 175n. Bedel W., 2/4. Beeckmann I., 143, 159. Belaval Y., 240. Belot J., 132-134, Bessarione,. 41. Bianchini F., 38-39. Billanovich G., 292. Bing G., xv. Birch T., 207n, 2/0n. Bisterfield G. E., x, 238, 239. Bocchi A, 104. Bodin J., 106-107. Bochme ]., 213, 213n. Boezio, 35. Boher A. c F. (fratelli), 54. Boncompagno, 15n. Bonifacio del Monferrato, 29, 286. Bonifacio VIII, 52. Concordio, 293-294. 197-200, 310 Boole G., xiv. Borelli G. A., 252, 252n. Borsetti F., 27n. Bouelles (Bovillus) Ch., 41, 43, 43n, 51, 53, 113, 120, IB8I. Boyle R., x, 207, 2/0, 212, 230, 230n. Brigge L.A.S., In. Brucker ]., 91. Bruno G., x, xi, x, 5n, 6, én, 8, 3In, 36, 41, 43n, 60, 74, 79, 80, 82, 87, 88, 90, 92, 93, 96, 97n, 100, 108, 109-123, 124, 125-126, 128, 132, 132n, 133, 141, 179, 180, 239, 291, 294, 296. Bruxius A., 127, 127n, 252, 253. Buffon G. L. Leclerc de, 23In, 233, 233n, 234n. Bugislao di Pomerania, 29. Bullotta Baracco H., 44n. Bunemann J. L., 1l4n. Buondelmonti C. de, 104. Camillo G. C. {(Delminio), xu, 82, 83, 96-r10r, 107, 112, 133, 184, 187, 229n,295. Campagnac E. T., 212n. Campanella T., 126-127, 128, 186. Campanus, 135. Canterio A. P.J. (fratelli), 43, 43n, 181. Cantimori D., xv. Capland H., 19n. Cardano G., 130n. Carneade, 90. Carpenter F. I., 86n. Carrara G. A. da, 34-35, 95-96, 116, 116n. Carreras y Artau T. e ]J., 43n, 45n, 46n, 47n, 50n, 54n, 56n, 58n, 60n, 62n, 63n, 64n, 65, 69, 79n, 113n, 179n, 184n, 194n, 195n, 247n, 248n. Cartesio v. Descartes. Cassirer E., 36n. Cavalcanti B., 103, 103n. Cave Beck, 203, 214, 222, 241. INDICE DEI NOMI Caxton W., 85, 86. Cenal P. R., 194n. Chaichet A. E., 9n. Charland Th. M., 18n, 19n. Childrey J., 207. Christensen F., 20In. Church F.C., 94, 94n. Cicerone, xi, 2, 5, 7, ro, 12, 14, 15n, 17, 18, 28, 31, 3in, 32, 34, 41, 53, 58, 76, 82, 86, 89n, 90, 95, 124n, 125, 128, 137, 138, 206. Cinea, 90, 299. Ciro, 90, 145, 299. Clements R.I., 37n. Colli G., 194n. Collier A., xm. Comenio G.A., x, xI, XII, 5, 156-157, 178, 179, 184-191, 201n, 203, 251-216, 221-222, 247, 254. Copt E., 95n. Copland R., 30n, 86-87. Corsano A., 6n, II0, II0n, III, IlIn, 123n, 258n. Couturat L., xiv, 195n, 202n, 227n. 236n, 238n, 239, 239n, 241, 24In, 243n, 245, 246n, 248n, 257n, 304. Cox L., 86. Crasso, 90. Croce B., 97n. Croll M.W., 206n. Crombie A., xiv. Cues v. Cusano. Curtius E. R., 15n. Cusano N., 41, 49-50, 51, 82, 90-91, 109n, 121, 214. Daguì P., 43, 43n. Dalgarno G., xni, 203, 212, 255, 216, 218-219, 226-227, 229, 236, 241, 244, 245, 246, 249, 302, 303. Dal Pra M,, In. D’Assigny M., 4, 4n, 299, 300. Dassonville M., 136n. De Carpanis D., 32-34. INDICE DEI NOMI 311 De Corte M., 154n. De Gandillac M., 50n. Della Porta G.B., 82, 151, 15In. Delminio v. Camillo. Del Noce A., 159n. Democrito, 31, 3In, 32. De Morgan A., xiv. De Mott B., 20In, 21lIn, 213n, 228, 229n, 23In, 232n. Derham W., 23In, 232n. De Ruggiero G., 109, 109n. Descartes R., x, xII, xIv, 2, 8, 53, 97n, 130n, 134, 135, 142-146, 153-161, 169-178, 191, 209, 233, 235-236, 247n, 248, 250, 252. De Valeriis V. v. Valerio de V. Dibon P., 136n. Dicson A., 113n. Diderot D., 294, 299, 302. Diodati O., 294, 299. Diofanto, 196. Dolce L., 18, 18n, 87, 88n, 95n, 96, 103, 103n. Dominichi L., 44n. Direr A., 37n. Dutens L., 247n, 248n, 254n. 103-104, Edmundson H., 212, 229. Egidio da Viterbo, 286, 287. Eleonora d'Aragona, 29, 29n, 286. Emery C., 20In, 222n, 23In. Enrico III, 80, 126. Erasmo, 3, 3n, 4, 6, 98. Ernesti J. A., 10n. Erodoto, 35n. Fabri H., 252, 252n. Faral E., 84n. Farrington B., 167n. Feilchenfeld W., 238n. Ferdinando III, 196. Fernando de Cordoba, 43, 43n, 181, Ficino M., 5n, 36n, 82, 83. Fiorentino F., 103n. Firpo L., 5n, 126n. Fisch H., 208n. Fludd R., 41, 13s. Fontenelle B. de, 234, 304. Frey J.C., 193. Friedlander P., 195n. Fullwood W., 95n. Funcke O., 202n, 219n. Galatin P., 01. Galeno, 35, 56. Galilco G., xiv. Galmes S., 261. Garin E., xiv, 4n, 36n, 9%n, 97”, 101n, 110, 11On, 179n, 184n, 295. Garzoni T., 292. Gassendi P., 41, 141. Gellio A., 3In, 299. Gentile G., 113n. Gemma C., xII, 55-57. Gerhardt C.I., 237n, 239n, 24In, 242n, 243n, 244n, 245n, 247n, 248n, 254n, 256n. Gerson ]J., 49, 76. Gesualdo F.M., 88n, 127, 292. Gilson E., 46, 47, 47n, 170n, 174n. Ginanni P., 28n. Giorgio Veneto F., 101. Giovanni Rupescissa, 95. Giovanni di Salisbury, 14-15. Giovanni Scoto, 35, 60, 82, 121. Girardus, 26, 276. Giustiniani P., 101. Glovovia I. de, 79. Goclenius R., 180, 296, 298. Goffredo di Vinsauf, 84. Gohory J. (Leo Suavius), 83, 100. Gorini G., 18, 18n. Gottron A., 79n. Gouhier H., 154n, 175n. Gratarolo G., 34n, 94-96, 125, 130, 164. Gregoire P., x, 53, 57-59, 61, 76, 114, 160, 180, 184, 239. Grua G., 238n, 245n, 254n. Guardi v. Girardus. Guyenot E., 23In. 127n, 312 INDICE DEI NOMI Haak Th., 157n, 212. Halm C., 115n. Harriot Th., 209. Hartlib S., 210n, 2/5-2/2, 215n. Hawes S., 83-84, 85, 86. Henderson A.W., 201n. Heredia Paulus de, 101. Hildebrand W., 128-129. Hobbes Th., 209, 211, 239. Hoffmann G.G., 251. Hofmann ]J.E.,50n. Honecker M., 49n, 50n. Hook R., 237, 304. Horapollo, 104. Howell W.S., 15n, 84, 84n, 85n. Hubert R., 174n. Hume D., 1, In, 37, 258n. Husserl E., xiv. lagodinski I., 256, 256n, 257n. Ippocrate, 56. Isidoro, 15n. Ivo de Paris, 193-194, 247. Izquierdo S., 194-195, 196. Janer I. de, 43, 43n. Jasinowski B., 257n. Jones H.W., 208n. Jones R.F., 20In, 203, 204, 204n, 207n, 208n, 209n. Kabitz W., 238, 238n, 256n. Kant E., xt. Kemp Smith N., 174n. Keplero J., 175n. Kinner C., 229, 230. Kircher A., 195-196, 239, 241, 242. Klaeber F., 206n. Klein R., 5n. Klibanski R., 158n. Kliuùber L., 128n. Knittel C., 197. Komenski v. Comenio. Krabbel G., 102n. Kraus F., 50n. Kristeller P.O., 36n. Kvacala L., 157n, 184n. Landino C., 36. Lankester E., 232n. Laporte J., 159n. Laurad P., 10n. Lavinheta B. de, 41, 53, 54, 58, 74-78, 113, 132,145, 160, 181, 183n, 193, 247. Leau L., 202n, 304. Le Cuirot A., 128n. Lefèvre d'Etaples, 41, 43, 43n, 5I, 53, 74, 120, 1BI. Lehnert M., 21In. Leibniz G.G., x, xi, XII XII, xiv, 7, 53, 61, 79, So, 142, 178, 179, 191, 193, 195, 195n, 227, 235-236,237-258, 302, 303, 304. Lemmi Ch., 36n. Leporcus G., /35-1 36. Linneo C., 231. Liruti G., 98n. Littré-Haurdau, 73n. Livio, 35n. Lodowick F., 202, 212, 222, 229, 302, 304. Longpré E., 43n, 69n. Lullo R., x, xni, 5, 6, 6n, 7, 4l, 42, 42n, 43n, 44n, 45-48, 49, 50, 51-53, 54, 58, 60, 60n, 61-74, 75, 76, 78, 82, 101, 101n, 102, 112, 113, 115, 118, 119, 121, 125, 126, 128, 129, 129n, 13In, 132, 132n, 141, 143, 144, 145, 152, 153n, 156, 175n, 178, 179, 180, 180n, 181, 182, 192, 195, 213, 239, 255, 261-270. 43n, 65n, 69n, Machiavelli N., 83, 83n. Magliabechi A., 299. Mahnke D., 238n. Mandarini E., 295. Marafioto G., 108n, 127, 128n, 132n. Marciano Capella, 15n. Marciano di Eraclca, 251. Margirus J., 127n. Marx F., 1In. Marx ]J., 50n. 127n, INDICE DEI NOMI 313 Matteolo da Perugia, 35. Mazzoni ]., 108n. McColley G., 20In. McRae K.D., 107n. ‘McRae R., 247n. Melantone F., 89-90, 140, 140n, 164, 168, 180. Mentzinger, 88. Mersenne M., 157n, 235, 236. Mesnard P., 154n. Meyssonnier L., 130, 192. Michele di Nofri, 25n. Mink S., 62, 299, 300. Mocenigo G., 80, 126. Montaigne M. de, 3-4, 6, 5I. More H., 41, 236n. Morestell P., 129-130, 160, 192. Morhof (Morhofius) G., 104, 105n, 197, 197n, 296. Mosé, 99. Mounier Ph., 36n. Murner Th., 78-79. Myésier T., lc, 48-49. Niceron P., 179n, 20In. Nicolini F., 39n. Nizolio M., 238n. Nostiz G. de, 1/4, 141. Nuyens J., 9n. Oblet V., 179n. Ogden C.K. e Richards 1L.A., x1v, 201n. Oldenburg H., 237, 243. Oliver F.W., 23In. Olschki L., 109, 109n. Orazio, 16. Ortwin, 30n. Ottaviano C., 43n. Oughtred W., 209, 210. Ovidio, 284, 38. Pace G., 194. Paepp J., 124-125, 128n, 296, 297- 298. Panigarola F., 108n. Panofski E., 37-38n, 105n. Paracelso, 83, 121. Patrizzi F., 97, 98, 184. Pelayo M.M., 10In. Perkins, 113n. Petrarca F., 2, 88, 292-294. Petty W., 2/0, 2/4-2/5. Peuchert W.E., 184n. Piccolomini C., 180. Pico G., 36, 82, 83, I0I, 145, 159, I8I, 214, 299. Pietro d'Ailly, 76. Pio V, 80, 126. Pitagora, 54. Platone, 9n, 14, 56, 117, 129n. Platzeck P.E.W., 47n, 49, 07, 67n. Plinio, 299. Poisson P., 158-159. Poliziano A., 36. Postel G., 214. Prantl C., 47n, 48, 79n. Praz M., 37n, 105n, 296. Preti G., x1v,257-2581. Prost G.A., 44n. Publicio I., 38, 93, 294. 10In, Quattrocchi L., xv. Quintiliano, xi, 2, 5, 10-11, 14, 31, 41, 53, 76, 82, 88, 90, 125, 128, 136, 137-138. Rabelais F. 203. Ragone I., 19-22, 276. Ramo (de la Ramée, Ramus) P., xI, x, 2, 96, 98n, 107, 135-142, 164, 168, 177, 179, 180, 183, 233, 254. Ratke W., 4, 4n, 6, 184. Ravelli (Ravelinus) F., 127, 127n, 128n. Raven C.E., 23In. Ravenna P. da, xmn, 2, 6, 18, 27- 30, 34n, 41, 82, 86-87, 88, 90, 91, 92, Ill, 112, 113, 125, 127n, 128, 135, 136, 145, 155, 164, 286-289, 294, 296. Ray J., x, 230-232. Regius R., 12n. Renaudet A., 113n. Renzoni M., 23In. . Reuchlin J., 101. Ricci B., 98. Ricci P., 101. Riccio A., 29/. Riff, 88. Ripa C., 37-38, 104. Rivaud A., 257, 257n. Roberto di Basevorn, 18n. Rodolfo II, 80. Rogent E., 43n. Romberch J., 27, 30, 87, 87n, 95n, 125, 164, 291, 292, 294. Ross G.R.T., 9n. Rosselli C., x11, 82, 97n, 105-106, 107, 112, 113n, 125, 151, 15In, 164, 187, 290, 291, 294. Rossi P., 39, 125n, 136n, I81. Rufo R., 53-54. Ruscelli G., 100, 104. Russell B., xiv, 257n. 169n, Salomone, 99. Salzinger I., 46n, 73n. Scaligero (Scalichius) P., 102-103, 180. Schenkel (Schenkclius) L., xt, 88, 124, 125, 127, 127n, 128n., 143, 145, 154-155, 175n, 292, 293. Schiebler K.W., 213n. Scholem G.G., 10In. Schott C., 239, 241. Scioppius C., 251. Scoto v. Giovanni. Scott F., 21In. Scbond v. Sibiuda. Secret F., xv, 97n, 101, 102, 102n. Seneca L.A., 2, 14, 88, 90, 185, 299. Seznec J., 36n. Schute C.W., 9n. Sibiuda (Sabunde, Scbond) R., $0- 51, 214. Sibutus G., 87. Singer D.W., 109, 109n, 114n. INDICE DEI NOMI Simon N., 87. Simonide, 2, 10, 15n, 3In, 90, 115, 127n, 145, 301. Sirven, 174n. Sommer M., 127n. Sortais G., 21In. Spangerbergius ]., 88, 90-94, 113, 128n. Spinka M., 2IIn. Spinoza B., 252. Spoerri M. Th., 154n. Sprat Th., 207, 208-209, 215. Stimson D.L., 201n, 2IIn. Stubbc H., 208. Sturmius J., 98n. Suarez F., 180, 258n. Suavius L. v. Gohory. Syfret R.H., 20In. Talon (Talaeus) O., 141. Tartagni A., 28. Techmer F., 201In. Temistocle, 90, 145. Thomson G., 208. Thorndike L., 16n, 83n, 94, 94n, 95, 95n, 102n, 105n, 132n, 193n, 195n, 197n, 296. Tiraboschi G., 27n, 34n, 35n, 94n, 97n, 108n, 271. Tiziano, 37. Tocco F., 6n, 15n, 3In, 35n, 50n, 109, 109n, 116, 116n, 118, 118n, 120, 120n, 121, 271. Tolomco, 130n. Tomai P. v. Ravenna. Tommai P. v. Ravenna. Tommaso d'Aquino, xt, 5, 8, r2- 14, 15-16, 19, 32, 33, 37, 38n, 41, 82, 95, 124n, 128. Toscanella O., 103, 103n. Trapezunzio G., 103, 103n. Traversagni G., 86. Trendelenburg F.A., 256n. Trismegisto, 99. Troilo E., 109n. Turnbull G.H., 215n. Tuve R., 136n. INDICE DEI NOMI 315 Ugo da S. Vittore, 35. Urquhart Th., 202-203. Vailati G., 202n. Valeriano P., 104. Valerio Massimo, 28. Valerio de Valeriis, 43n, 53, 59- 6r, 76, 114, 160, 180, 164, 187. Valla L., 12n, 36. Vallicrosa J.M., 102n. Vansteenberghen E. de, 50n. Vasoli C., xv, zz0, Il, lllIn, 114n, I1l6n, 119n, 120n, 122n. Vassy L.R. de, 192-193. Venturi F., 299. Vico G., 39, 103. Viéte F., 210. Vincenzo di Beauvais, 15. Virgilio, 38. Volkmann L., 105n. Waetzold W., 37n. Waleys Th., 19. Walker D.P., 83n, 97n. Wallis J., 250-257. Ward S., 209, 210. Watson Th., 113n. Webster J., 207, 212. Wilkins J., xt, xi, xiv, 205, 203, 212, 216-226, 227-231, 232, 236, 237, 242, 245, 246, 249, 254, 302, 303, 304. Willis J., 127, 127n. Willoughby F., 230, 231. Wilson Th., 87, 113. Winans S.A., 19n. Winkelmann v. Mink. Yates F.A., 12, 12n, 15, I5n, 37n, 47n, 48, 48n, 49n, 68, 68n, 87- 88n, I10, 110n, 113, 113n, 290- 291, 292, 293. Yvon, 299. Zabarella C., 180. Zambelli P., xv. Zosima, 98. Finito di stampare in Como il 20 aprile 1960 nello stabilimento Arti Grafiche S. A. Paolo Rossi. Paolo Rossi Monti. Monti. Keywords: Cattaneo, Aconzio, Vico, Galilei, nato Paolo Rossi, adottato dalla zia materna, Monti, Vico, Vinci, Garin, Banfi, la storia della nazione italiana, Vico e la storia della nazione italiana, favola antica, dalla magia alla scienza, bruno.  – Refs. Luigi Speranza, “Grice e Rossi: l’implicatura di Vico” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rosso: la ragione conversazionale all’isola -- a Sicilia – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Corleone). Flosofo italiano. Scrive tre saggi. Il primo e “Varie cose notabili occorse in Palermo ed in Sicilia”. Il secondo e “Descrizione di tutti i luoghi sacri della felice città di Palermo”. Descrive le chiese di Palermo. Questo saggio è ricordato in vari altri saggi. Il terzo saggio e “Diario Palermitano”. Il comune di Palermo gli dedica una via.  Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Mira/bibl Siciliana. Ciccarelli e Valenza, La Sicilia e l'Immacolata. Atti del convegno,  Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia, Electa, Roma. Istituto di studi bizantini e neo-ellenici, Rivista di studi bizantini e neo-ellenici. Marzo, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Opere storiche inedite. Valerio Rosso. Rosso. Keywords: filosofia siciliana, filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosso” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rota: la ragione conversazionale e la lavagna del gruppo di gioco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vigevano).  Filosofo italiano. Italian philosopher. Grice: “Many Italian philosophers would not consider Rota an Italian philosopher seeing that he earned his maximal degree without (not within) Italy! And right they would, too!” Saggi: “Pensieri discreti” (Garzanti). Dizionario biografico degl’italini. Palombi, “La stella e l’intero – la ricercar di Rota tra matematica e fenomenologia” (Boringhieri); Senato, “Matematico e filosofo” (Springer). Gian-Carlo Rota. Rota. Aune: “I left the play group when I realised that Grice could care less about blackboards!” -- Keywords: il primate dell’identita, Whitehead, fenomenologia, Husserl, Heidegger, tra fenomenologia e matematica, la stella e l’intero, discrezione, indiscrezioni, combinatoria e filosofia, la lavagna del gruppo di giocco. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Rota," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Rotondi: la ragione conversazionale a Roma antica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicovaro).  Filosofo italiano. I primi anni di attività della sua “libreria delle occasione” sono piuttosto travagliati in quanto le autorità fasciste, infastidite dalla tipologia eterodossa dei testi in vendita, operano diversi sequestri e infliggono sanzioni. Costretto a chiudere la libreria per evitare il richiamo alle armi della repubblica sociale. Considerato disertore, si rifugia con la famiglia a Vicovaro. Individuato in seguito ad una delazione, riesce fortunosamente a sfuggire alla cattura e si allontana verso le montagne che circondano il paese, inseguito dappresso da tedeschi. Disperando di potersi salvare, si nasconde nei pressi di una casa abbandonata, popolarmente ritenuta abitata dagli spiriti e qui avviene l'evento fondamentale sopra descritto che cambia la sua vita e le sue convinzioni, aprendolo alla conoscenza del mondo spirituale. Improvvisamente ha una visione folgorante nel nielo. Sedetti a contemplare la scena. Una catena di globi luminosi dall'alto scendevano fin giù, penetravano nella terra, poi altri che risalivano e poi ridiscendevano come per riunirsi in un misterioso convegno. Si senteno delle voci indistinte. Si trattiene ad osservare tale spettacolo misterioso salvandosi, in questo modo, dal rastrellamento in corso nel vicino paese di Roccagiovine. Questo primo decisivo contatto con il para-normale  raccontato in "Il protettore invisibile". Tale evento rappresenta l'inizio del suo studio e del suo interesse nei confronti dell'esoterismo e della spiritualità. Pubblica massime, proverbi e aforismi di Roma antica. Dà alle stampe “L’arte del silenzio e l’uso della parola”, un originale e lungimirante saggio il cui intento si manifesta già dalla dedica, firmato con lo pseudonimo di Vico di Varo, derivato chiaramente dal suo paese natale. Viene incaricato di redigere un opuscolo commemorativo in occasione dell'inaugurazione in Vicovaro del Monumento in onore delle vittime della strage nazista delle Pratarelle. Svolge una funzione di aggregazione e catalizzazione culturale in anni difficili in cui certi ambiti di studio venivano guardati con sospetto, quando non con manifesta ostilità.  Partecipa e svolge un ruolo tutt'altro che secondario nel Cerchio Firenze, una delle più importanti esperienze para-psicologiche collettive italiane. Lui la sua libreria,  sono ormai un punto di riferimento di tutto un mondo culturale in espansione e finalmente libero da ogni censura. Pubblica  titoli presso diverse case editrici -- Mediterranee, Astrolabio, Sugarco, S.A.S. --, firmandoli oltre che con il suo vero nome con il pseudonimo ‘Amadeus Voldben’, acronimo di “Volontario del Bene”. Tale nome d’arte sta ad indicare la missione che si e prefisso e che delinea nel libriccino “I volontari del bene”, vera e propria bibbia per tutti coloro che si riconoscono nel progetto di diffusione del bene.  Oltre al valore intrinseco degli scritti, sono le riunioni e la sua stessa presenza in libreria a suscitare curiosità e interesse presso un pubblico molto ampio che vede in lui una guida spirituale in grado di fornire suggerimenti mai banali e, da educatore, sempre comprensibili. Dietro la sua apparente severità, che è semplicemente rifiuto della superficialità, traspare la disponibilità e l'umanità, accessibili a chiunque si sforzi di varcare un civico di via Merulana. Si caratterizza da una produzione culturale ed una serena consapevolezza. Regala gemme di saggezza e consigli. Oltre ai testi pubblicati lascia altri scritti, alcuni pronti per la stampa altri bisognosi di revisione, che vengono pubblicati da i quali si sono impegnati a proseguire l'attività in libreria, mantenendosi fedeli all'impostazione originaria da lui delineata. La libreria riceve il riconoscimento di "negozio storico" da parte del Comune di Roma.  Opere: Saggezza ” (I della collana Le Perle, ristampato da Astrolabio. L'arte del silenzio e l'uso della parola, ristampato dalla Libreria Rotondi; Saggezza di Roma antica, collana Le Perle). Saggezza dell'antica Grecia, collana Le Perle). Amore e saggezza nel pensiero, collana Le Perle). Il giardino della saggezza, collana Le Perle). “Dopo Nostradamus: le grandi profezie sul futuro dell'umanità” (Mediterranee); “Un'arte di vivere: via segreta alla serenità” (Mediterranee); “La coppa d'oro: insegnamenti dei maestri, fonte di luce e di energia, SAS; Le influenze negative: come neutralizzarle, SugarCo,,  Il protettore invisibile: la guida che ci aiuta nei momenti difficili della vita, Mediterranee, La voce misteriosa, Astrolabio; Lo scopo e il significato della vita: perché si nasce, perché si vive, perché si muore, Mediterranee, I prodigi del pensiero positivo: il suo potere e la sua azione a distanza, Mediterranee, Il destino nella vita dell'uomo, Mediterranee, La re-incarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee, La potenza del creder e la gioia d'amare: i prodigi della fede e dell'amore, Mediterranee,  Una luce nel tuo dolore, Mediterranee); “Guida alla padronanza di sé, Mediterranee, La magica potenza della preghiera, Mediterranee); La chiave della vita, Mediterranee,  La presenza divina in noi, Mediterranee, Le leggi del pensiero: l'energia mentale e l'azione della volontà, Mediterranee); Le grandi profezie sul futuro dell'umanità, Mediterranee. La potenza creatrice del pensiero, Mediterranee, Pensieri per una vita serena, Mediterranee); “Ricordo dei nostri martiri. Commemorazione in occasione dell'inaugurazione del monumento ai martiri delle PratarelleVicovaro, Tipografia Seti, Roma); “I Volontari del Bene” (Libreria Rotondi Editrice, Roma); “Reincarnazione e fanciulli prodigio, Mediterranee, Roma, La reincarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee); “La voce misteriosa”; “Le perle”. L’arte del silenzio e l’uso della parola. La Libreria Rotondi è segnalata in molte pubblicazioni, tra cui la Guida ragionata alle librerie antiquarie e d'occasione d'Italia, C. Messina, Roma); A. Voldben, Il protettore invisibile, Edizioni Mediterranee, Roma,  La sua partecipazione agli incontri del Cerchio Firenze è ricordata in “Oltre l'illusione, Roma, Mediterranee, e “Oltre il silenzio” L. Campani Setti, Roma, Mediterranee). Dopo Nostradamus, I prodigi del pensiero positivo, Le influenze negative, Il protettore invisibile: Molte persone si rivolgevano a Rotondi per ricevere consigli. Una testimonianza letteraria di questa consuetudine si trova nel romanzo di  Giovetti Weimar per sempre (Mediterranee, Roma) in cui il personaggio si reca presso la Libreria delle Occasioni per ricevere suggerimenti su questioni spirituali e libri. Libreria Rotondi, Libreria delle Occasioni (La libreria fondata da Rotondi) La piccola miniera (da Il Corriere della Sera) Il libraio di via Merulana e i globi luminosi (da La Repubblica) Cerchio Firenze  (Esperienza parapsicologica collettiva) Andiamo alla scoperta (da La Piazza di Castel Madama.  ‘Vico di Varo’. Amedeo Rotondi. Rotondi. Keywords: Roma antica, antica Roma, le perle, Vicovaro, filosofia fascista, il veintennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rotondi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rovatti: la ragione conversazionale dei giocchi e gl’uomini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Modena). Filosofo italiano. Grice: “I do not know any other philosopher other than me or Austin who, like Rovatti, is obsessed wiith the concept of a ‘game’!” Studia fenomenologia a Milano con PACI. Insegna a Trieste. Si occupa dei rapporti tra fenomenologia e marxismo pubblicando “Critica e scientificità in Marx” e poi focalizzando in vari saggi il tema dei bisogni con riferimento anche alla psico-analisi. Le questioni concernenti il “pensiero debole” diventano il punto di partenza di “La posta in gioco: il soggetto” (Bompiani, Milano); “Abitare la distanza”, “Il paiolo bucato: la nostra condizione paradossale” (Cortina, Milano); “La follia in poche parole” (Bompiani, Milano); “L'esercizio del silenzio”; “Possiamo addomesticare l'altro? La condizione globale” (Forum, Udine); “Inattualità del pensiero debole” (Forum, Udine). Queste questioni riguardano soprattutto la possibilità di una «logica paradossale» e si articolano intorno ai temi del gioco, dell'ascolto e dell'alterità, tutti collegati alla questione della soggetto. Saggio su PACI.  Dalla filosofia del gioco nascono anche “Per gioco: piccolo manuale dell’esperienza ludica” (Cortina, Milano); “La scuola dei giochi” (Bompiani, Milano); “Il gioco di Wittgenstein” (EUT, Trieste). Si interessa alla consulenza filosofica, con “La filosofia può curare? La consulenza filosofica in questione” (Cortina, Milano). Altre saggi: “Il coraggio della filosofia” in «aut aut».  Tiene una rubrica sul quotidiano "Il Piccolo" di Trieste, “Etica minima”. Racoglie "scritti corsari" (cfr. Pasolini) in vari saggi: “Etica minima – saggi quasi corsair sull’anomalia italiana” (Cortina, Milano); “Noi, i barbari – la sotto-cultura dominante” (Cortina, Milano); “Un velo di sobrietà” (Saggiatore, Milano); “Accanto a una sensibile sintonia”. Si manifesta nella sua filosofia una particolare attenzione sul rapporto tra potere e sapere; “Gli ego-sauri” (Elèuthera, Milano); “Le nostre oscillazioni” (Collana Edizioni alpha beta Verlag, Merano); “L’intellettuale riluttante” (Elèuthera, Milano); “Restituire la soggettività. Lezioni sul pensiero di Basaglia” (alphabeta, Merano); “Consulente e filosofo. Osservatorio critico sulle pratiche filosofiche” (Mimesis, Milano); “Abitare la distanza. Per una pratica della filosofia” (Feltrinelli, Milano); “Scenari dell'alterità, Bompiani, Milano); “Il decline della luce” (Marietti, Genova); L'università senza condizione” (Cortina, Milano); “Fare la differenza” (Triennale di Milano, Milano); “Introduzione alla filosofia contemporanea, Bompiani, Milano); “Lettere dall'università, Filema, Napoli); “Trasformazioni del soggetto: un itinerario filosofico” (Poligrafo, Padova); “Dizionario dei filosofi” (Bompiani, Milano); “Elogio del pudore: per un pensiero debole” (Feltrinelli, Milano Intorno); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); “Bisogni e teoria marxista” (Mazzotta, Milano); “Critica e scientificità in Marx: per una lettura fenomenologica di Marx e una critica del marxismo di Althusser (Feltrinelli, Milano);  “La dialettica del processo” (il Saggiatore, Milano). aut aut. R.: il pensiero debole, sul  RAI Filosofia. Grice: “As Rovatti shows, it is possible to conceive of conversation as a GAME, with its own RULES, and MOVES. Pier Aldo Rovatti. Rovatti. Keywords: i giocchi e gl’uomini --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovatti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rovella: la rgione conversazionale all’isola -- querce, o della filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Acreide). Filosofo italiano. Studia a Ispica e Catania sotto CARBONARA, laureandosi con un saggio di estetica, sul rapporto fra contenuto -- o materia -- e forma. Insegna a Noto e Palazzolo. Pubblica “L'uomo” (Giannini, Napol). In una serrata discussion affronta la meta-fisica ed espone il suo convincimento che la ricerca senza condizioni, attraverso l'intelligenza attiva e creatrice può aprire all'uomo orizzonti creativi, seppur rischiosi. La meta-fisica imprigiona in schemi rigidi e vincolanti. Pervenire all'auto-coscienza è il compito più degno degl’uomini, che pur problematico in sé non rimaneno imprigionati nel problematicismo. Altre opera: “Deneb” (Caltanissetta, Roma), romanzo filosofico che narra la pulsione verso l'oltre, attenuando, così, la precedente critica verso la meta-fisica e aprendo verso il mistero che comporta il confronto con tre donne che rappresentano tre volti diversi della verità. La stella “Deneb” è metafora della pulsione verso l'alto. Abbondano i riferimenti autobiografici da cui emerge l'attaccamento alla casa natia, che non abbandona, alla famiglia e soprattutto ad un modello di vita contadina morigerata e sobria. Lo stile   è affabulante. L'auto-coscienza e il trionfo della morte  in GENTILE in Il pensiero di Gentile (Enciclopedia Italiana, Roma). Qui si esamina il momento finale della vicenda umana e filosofica di GENTILE alla cuia filosofia è legato. “L'errore del cerchio” (Siracusa). Predomina il colloquio interiore, lo scavo nella coscienza e nella memoria. Procede come un giallo. Un tema attraversa gl’avvenimenti, la libertà e la necessità di un suo contenimento. “La fattoria delle querce” (Caruso, Siracusa). L’epopea della famiglia siciliana Capobianco, governata da una donna e sviluppata attraverso un intrigo di personaggi e di vicende. I discendenti Capobianco sono identici agl’ante-nati, e la ricerca della genealogia è il problema più assillante per i personaggi. Il mito dell'eterno ritorno dell'identico li e caro. Rimane sempre legato ai miti. Fisiognomica, astrologia, venti, odori e turbamenti fanno di questa opera un esempio di scrittura immaginifica e personale. Filosofia di non di facile consume traccia una “Imago siciliae”. Nella stessa aura de La fattoria sono scritti i racconti. Cambia di nuovo argomento, inizia quella che lui chiama “la fase cristica”, in cui la figura di Cristo e il rapporto fra le religioni sono il tema dominante. “L'ora del destino, dramma in due atti” (Accademia Casentinese di Lettere, Arti, Scienze ed economia, Castello di Borgo alla Collina, Arezzo,  L'Ora in persona di una donna consola il crocifisso che muore quando una congiuntura astrale perviene al suo compimento. In “Vita di Gesù” (Prospettive d'Arte, Milano) Gesù è visto nella sua umanità. La narrazione segue lo sviluppo dei vangeli sinottici, con qualche incursione negl’apocrifi. L'autore, che pur ne ha le competenze, si tiene lontano dalle problematiche gesuologiche e cristologiche. Vuole narrare un Gesù “così come parla al cuore”.  L'Angelo e il Re, con prefazione di Pazzi per i tipi di Palomar Bari. I nove mesi di gravidanza di Maria vergine sono narrati con un andamento che si mescola di esoterismo e sapienza umana. Maria spesso, nel mistero del suo concepimento, nella sua realtà quotidiana, vive le vicende del suo quartiere, con le sue amiche, con qualche momento di gioia esaltata e prorompente, con un tratto zingaresco. Attratto da zingari e vagabondi di passaggio, come incarnazione di una libertà che abbiamo smarrita. “Le Madri” (Utopia, Chiaramonte Gulfi). Vi si sente l'eco di Bachofen. Breve raro capolavoro, pieno di mistero e poesia, di un potere magico. “Asvamedha” (Utopia, Chiaramonte Gulfi) raccoglie racconti; “Inizio d'amore” (Studi Acrensi, Palazzolo Acreide) raccoglie altri racconti che l'autore pubblica in varie riviste letterarie nazionali, a cura dell'Istituto Studi Acrensi Palazzolo Acreide. I racconti, dice l'autore, vivono nell'aura dei romanzi di questo periodo.  “La vigna di Nabot, dramma in IV quadri” (Associazione Amici di Rovella, Palazzolo Acreide) narra le vicende del ersonaggio che incontriamo nel primo libro dei Re Cap. 21. La prepotenza dei potenti e la sacralità della terra dei padri sono il filo conduttore del dramma. Nabot muore per una questione di coerenza. Scuderi, La fattoria delle Querce, in Le Ragioni critiche, Menichelli in Esperienze letterarie,  Jacobbi, Il miracolo Deneb, in Arenaria, Palermo, Vettori, Il miracolo di Deneb e le profezie di Ruggero, Arenaria, Monachino Ester, Considerazioni su un romanzo di Rovella, in Le Ragioni critiche, Catania, E. Messina, Dal bagolaro alla sequoia” (Romeo, Siracusa); Messina, Alle radici del pensiero. La presenza dei suoi maestri” (Romeo, Siracusa). Giuseppe Rovella. Rovella. Keywords: romanzo filosofico, querce. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovella” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rovere: la ragione conversazionale, o le confessioni di un meta-fisico romano -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. The family originates in Albisola, Savona, Liguria. Filosofo. Il giure civile del popolo italiano ha nel testo della legge positiva e speciale autorità sufficiente da soddisfare la giustizia ordinaria e da risolvere i dubii e acquetare le controversie intorno agl’interessi e agl’ufficii d'ogni privato cittadino. Di quindi nasce che possono alcuni curiali riuscire segnalati e famosi al mondo con la sola abilità del pronto ricordare, dell’acuto distinguere e dell'interpretare acconcio e discreto. Al giure delle genti occorre, invece, assai di frequente la discussione delle verità astratte. Perocché esso è indipendente e superiore all'autorità della sopra-citata legge. Si connette immediatamente al giure naturale che è al tutto razionale e speculativo. Spesso gli è forza di riandar colla filosofia sulle fondamenta medesime dell’ordine sociale umano, e spesso altresì non rinviene modo migliore per risolvere i dubii e acquetare le discrepanze fuor che indagare i grandi pronunziati della ragione perpetua del diritto, chiariti, dedotti e applicati mercé della scienza. Poco importa se i meta-fisici si bisticciano. Ma non va senza danno del genere umano il discordare e il traviare de' pubblicisti. E già si dice che il fine criterio degl’uomini illuminati coglie il certo e il sodo della scienza, ma non la crea e non l'ordina. La demenza degl’uonini fa talvolta scandalosa la verità. Laonde ella ha a pronunziare di se medesima. Non venni a recare la pace in mezzo di voi, sibbene la spada. Lo stato romano essere certa congregazione di famiglie la qual provvede con leggi e con tribunali al bene proprio e alla propria tutela -- tanto che sono competentemente adempiuti i fini generali della socialità e i particolari di essa congregazione. Lo stato romano non esiste per la contiguità sola delle terre e delle abitazioni, ma per certo congiungimento e unità delle menti e degl’animi dei romani. Il che riconosciuto e fermato, se ne ritrae ciò che pel diritto è primo principio ed assioma, non potersi da niuno e sotto niuna ragione arrogare la facoltà di offendere e menomare l'autonomia interna ed esterna dello stato romano insino a tanto che questo non provoca gl’altri ad assalirlo con giusta guerra. Ed eziandio in tal caso è lecito di occupare temporalmente il suo territorio e dominare il suo popolo nei limiti della difesa e dell'equo rifacimento dei danni. L'uomo individuo può nel servaggio e nelle catene serbare con isforzo la libertà dello spirito e compiere in altro modo e sotto altre condizioni certa eroica purgazione e certo mirabile perfezionamento della sua parte interiore e immortale. Ma ciò è impossibile all’intero popolo romano, il quale nel servaggio di necessità si corrompe ed abbietta, e quindi GRAVINA chiama assai giustamente la libertà della nazione romana sacro-santa cosa e di giure divino. L'anima non è vendibile e non è nostra, dicevano i teologanti per dimostrare da più parti la iniquità del CONTRATTO. E neppure la libertà è vendibile. E se l'usarla e abusarla è nostro, non è tale la facoltà e il principio infuso dal divino con l'alito suo divino e che al dire d’Omero vale una mezza anima. Lo stato romano possiede onninamente se stesso. Niuno fuori di lui può attribuirsene la padronanza. Quindi il popolo romano o vivono in se od in altri. Cioè a dire, o provedono al proprio fine con la legge e ordini propri e componendo un individuo vero e perfetto della universa famiglia umana. Ovvero entrano a parte d'altra maggior comunanza con ugualità di diritto e d’ufficio, come quelle riviere che ne' più larghi e reali fiumi confondono le acque e perdono il nome. Questa è la generale e astratta dottrina che danno la ragione e la scienza. La patria romana, impertanto, significa quella contrada e quella congregazione d’uomini a cui ciascuno degli abitanti e ciascuno dei congregati sentesi legato per tutti i doveri, gl’istinti, i diritti, le speranze e gl’affetti del vivere comune. La patria romana, considerata nella sua morale e profonda significazione, è il compiuto sodamento di ciascuno verso di tutti e di tutti verso ciascuno. Se la patria romana non ha debito né possibilità di nudrire del suo ogni giorno tutti i suoi indigenti, spietata cosa sarebbe inibire a questi di procacciarsi altrove la sussistenza. Prediletta opera delle mani del divino e la nazione romana. La nazione romana è pura, domandano essi, e tutta omogenea. Questo e il puro principio della nazionalità romana. Lo stato romano, dipendente come si sia da un altro non è, a propriamente parlare, autonomo. E e perciò, a rigore di definizione, neppure la denominazione di stato romano gli si compete. I prìncipi non sono, del certo, scelti dal divino immediatamente, ma sono dal divino immediatamente investiti della sovranità romana. Il popolo romano indica l'uomo a cui vuole obbedire e in quell'uomo è subito la pienezza della sovranità romana che dal divino gli proviene. Perocché come dal divino è istituito IL FINE della socievole comunanza, così è istituito IL MEZZO nella autorità del comando. È sicuro che nella lunghezza dei secoli le volontà e i giudizi umani si accostano all'assoluto del bene sociale, quanto che la via che viene trascorsa non procede diritta e spedita ma declina e torce continuo fra molti errori e molte misere concussioni. La libertà della nazione romana, essendo naturale ed essenziale agl’uomini e necessaria concomitanza d'ogni bontà, è doveroso per tutti il serbarla integra nella sostanza. E perciò, né il privato individuo si può vendere ad altro privato, né tutto il corpo de' cittadini assoggettarsi pienamente e perpetuamente al dominio d’altro stato. Poco o nessun valore ha il dissentimento dei piccioli e deboli, quando anche piglino ardire di esprimerlo; e CHI INVESTIGA LA STORIA DELL’ANTICA ROMA RI-TROVA che DELLE PROTESTE loro giacciono GRANDI FASCI dimenticati negl’archivi delle Cancellerie. Dacché siete i più forti, correte poco rischio di vivere ex lege alla maniera dei ciclopi. Ma confessare il diritto e contro il diritto procedere, non è conceduto a nessuno. E parlavano meglio quegl’ateniesi che alle querele dei milesi rispondevano senza sturbarsi. Il diritto è cosa pei deboli e non già pei forti e pei valorosi. Il popolo romano è autonomo. Con altri vocaboli, lo stato romano, vero è libero ed inviolabile. E la patria romana, nel significato morale e politico, è *sinonimo* di STATO romano -- in quanto questo compone uno stretto e nativo consorzio in cui ciascun cittadino ha debito e desiderio insieme di effettuare il grado massimo di unimento sociale e civile.  S’incominci dall'avvisare chi sono costoro che si querelano della libertà dello stato romano e ne temono danni così spaventevoli. Costoro sono i medesimi da cui si alzano lagni e rimproveri cotidiani per qualunque libertà, eccetto la propria loro. Vogliono limitare la stampa, limitare la libera concorrenza, limitare IL PARLAMENTO e in fine ogni cosa col pretesto volgare ed ovvio che il parlamento, il commercio, la stampa abusano di loro facoltà e trasvanno più d'una volta e in più cose. La volontà umana, dite, è corrotta e inchinevole al male. Può darsi. Ma privata di libertà so che depravasi molto di più e i padroni non meno che i servi. Non è lecito agl’uomini di esercitare nessun diritto qualora difettino pienamente delle facoltà e dei mezzi correlativi. Perciò il fanciullo, il mentecatto, l'idiota cade naturalmente sotto l'altrui tutela, e per ciò medesimo la parte meno educata del volgo ed offesa di troppa ignoranza, o posta in condizione troppo servile, non ha nel generale facoltà e mezzi proporziod esercitare diritti politici. Esaminato il fine del viver comune, fatta rassegna d'alcuni principii direttivi, più bisognevoli al nostro intento e poco o nulla NOTI AGL’NTICHI ROMANI, segue senza più che noi trapassiamo a contemplare l'ottimo ordinamento civile. Cosi noi delineeremo qnalche fattezza dell'incivilimento umano, contemplandolo nella natura primitiva ed universale del popolo romano, ed avvisandoci di non iscambiare l'alterato e il mutabile col permanente ed inalterato; e per converso, di non dar nome d'errore emendabile e di accidente transitorio a ciò che appartiene alle condizioni salde e durevoli della comunanza civile. Chè nel primo difetto cadono i troppo retrivi ed i pusillanimi; nel secondo, i novatori audaci e leggeri. GL’ANTICHI ROMANI con molto senno incominciano dall'insegnar quello che spetta al buono stato della famiglia, perché della comunanza umana l'individuo compiuto non è lo scapolo, ma l'ammogliato con prole o vogliam dire la famiglia, rimossa la quale non rimane intermezzo alcuno che tempri l'amor proprio e la fiera e violenta natura nostra.  L'organizzazione tanto è più eccellente quanto meno cede alle esterne azioni ed impressioni ed anzi modifica con maggior efficacia ed appropria a sé quelle azioni. È da confessare che un gran trovato fece lo spirito umano e giovevole soprammodo alla prosperità del viver sociale, quando mise in atto quello che fu domandato GOVERNO RAPPRESENTATIVO o parlamentare. Se dirai: carattere della nazione romana è la continuità e circoscrizione del suolo d’Italia. E la nazione e nella lingua romana, la letteratura e le arti. Se le origini e la schiatta; le colonie sono tal membro e così vivace del corpo della patria onde uscirono, da non potersene mai dispiccare, e la guerra americana è dalla banda dei sollevati iniqua e parricida. Gran questione poi insorge sulle genti di confine, le quali compongonsi il più delle volte di schiatte anfibie, a cosi chiamarle. Quindi noi vogliamo, per via d'esempio, i nizzardi essere italiani – ROMANI -- e i francesi li fanno dei loro. La compagnia civile comincia là solamente dove gl’animi si accostano, e sorge desiderio di regolato e comune operare. La giustizia apre e chiude i congressi degli dei, non quelli degl’uomini. La voce “nazione romana” nel suo peculiare e pieno significato vuol dire unimento e società d'uomini che la natura stessa con le sue mani à fatta e costituita mediante il sangue e la singolarità delle condizioni interiori ed estrinseche. Per talché quella società distinguesi da tutte l’altre per tutti gl’essenziali caratteri che possono diversificare le genti in fra loro, come la schiatta, la lingua, l'indole, il territorio, le tradizioni, le arti, i costumi. “Nazione romana” vuol significare certo novero di genti per COMUNANZA DI SANGUE, conformità di genio, medesimezza di linguaggio atte e pre-ordinate alla massima unione sociale. Lo stipite umano è ordinato esso pure a spandere discosto da sé le propagini e i semi. E ogni germe nuovo dee nudrirsi del terreno ove cade, non del tronco da cui si origina. Sieno rese grazie publicamente da tutta l'Italia a voi, o Valdesi, che l'antica madre mai non avete voluto e potuto odiare e sconoscere insino al giorno glorioso che è dal divino coronata la vostra costanza, e un patto comune di libertà vi riconciliava con gl’emendati persecutori.  S'io credessi quelle armi che assiepano IL FORO, DICE CICERONE, starsene qui a minacciare e non a proteggere, cederei al tempo e mi terrei silenzioso. Ma il fatto è che quelle armi NEL FORO induceno per se sole una fiera minaccia, tanto che CICERONE parla poco e male, e la paura ammazza l'eloquenza. Dal riscontro, per tanto, di tutte le storie, senza timore mai d'eccezione, e più ancora dalla ripugnanza intima di certi termini, quali sono felicità a servitù, spontaneità e costrizione, ricavasi questa assoluta sentenza che in una nazione civile come ROMA, nessun governo straniero – come Cartagine -- non può vantarsi mai né della legittimità interiore, né della esteriore che emana dall'assentimento espresso o tacito della popolazione romana. Non può aver luogo prescrizione, dove i diritti innati o fondamentali dell'uomo ricevono sostanziale ingiuria ed offesa; e di si fatti è per appunto la indipendenza o dimezzata o distrutta. Ogni cosa nell'uomo è principiata dalla natura e poi dalla ragione e dall'arte è compiuta.Voi stesso l'avete udito? Poerio: E come nò, se rinchiuso è con lui in una prigione medesima? Pignatelli: E è la vigilia della sua morte? Poerio: Appunto è  la vigilia. Sapete che valica la mezzanotte, una voce improvvisa e sepolcrale veramente rompevane il sonno chiamando forte per nome alcuno di noi; e quella chiamata voleva dire: vieni, ti aspetta il carnefice. La notte pertanto che seguitò quel mirabil discorso di Pagano gli sgherri gridarono il nome suo, e fu menato al patibolo. Pignatelli: Sta per mezzo a voi quell'omerica figura del conte di Ruvo? Poerio: Nò, ma in Castello dell'Uovo insieme con altri uffiziali e con l'intrepido Mantone. Nel Castel Nuovo e in quella carcere proprio dove è Pagano, sta il fratel vostro maggiore, principe di Strangoli, sto io, il Conforti, Cirillo, Granali, Palmieri, Russo e due giovinetti amorevoli e cari, cioè l'ultimo figliuolo dello Spanò ed un marchese di Genzano, bello come l'appollino e di cui sente Pagano particolare compassione. V'à una cagione suprema di tutte le cose, cagione assoluta e però insofferente di limiti e incapace d'aumento e di defficienza. Ma se niun difetto può stare in lei, ella è il bene infinito e comprende infinitamente ogni specie di bene. Ciò posto, la cagione suprema è altresì infinita bontà che raggia il bene fuor di sé stessa e ne riempie la creazione ed ogni ente se ne satura, a dir così, per quanto è fatto capace. Tale contenenza di bene è poi sempre difettiva perché sempre è finita. Di quindi si origina il male. Non si chieda dunque perché il divino è permettitore del male, ma chiedasi in quella vece perché piacque al divino, oltre all'infinito, che sussistesse pure il finito. Se il vivere nostro presente è condito di molto diletto e noi incapaci di conoscere e desiderare con ismania istintiva l'eternità, forse potrebbesi giudicare senza paradosso aver noi sortito quella porzioncella sola e frammento di beatitudine, brevissima ma sincera e inconsapevole della propria caducità. Col presupposto della immortalità, bene avverte BRUNO, alcun desiderio naturale non è indarno e alcuna lacrima non cade senza conforto. Con la immortalità non è affetto generoso perduto, non ferita dell'animo a cui non si apparecchi altrove copioso balsamo. Per entro il corso interminato e magnifico de'nostri destini, ogni male vien riparato, ogni speranza risorge, ogni bellezza rifiorisce, ogni felicità si rinnova e giganteggia ne'secoli. Poerio: Quando è possibile strappare dal cuor dell'uomo il concetto e la speranza della immortalità, il consorzio civile medesimo pericolerebbe di sciogliersi e i piaceri e le utilità stesse della vita presente verrebbero gran parte impedite o affatto levate di mezzo. I dotti e i legisti barbareggiavano sempre peggio, e pareva in loro una sorta di necessità tramutata in diritto, e niun discepolo mai se ne querela; e le lettere cadevano in tale grettezza, che nelle prose di Giordani si appuntavano parecchie mende di stile, ma nessuno accusava la tenuità dei concetti e la critica angusta e slombata. Colletta è stimato dai più uno storico sovrano e poco meno che un Tacito redivivo, ed altri istituivano paragone tra il Guicciardini e il Botta, tra Goldoni e Nota. Tale il gusto e il criterio comune. Pochi grandi filosofi non mancavano neppure a quei giorni. Basti ricordare Bartolini nella scultura; Leopardi e Niccolini nella poetica; Rossini, Bellini, Donizetti nella musica. In Italia scemando il sapere e la potenza meditativa, crebbe l'amore spasimato ed irragionevole della bellezza dell'abito esterno, lasciando a digiuno la mente e poco nudriti e mal governati gli affetti. Letteratura e filosofia vasta, soda e ben definita, e parimente larghe scuole e ben tratteggiate e scolpite mancano alla patria nostra da quasi tre secoli e piuttosto ne abbiamo avuto cenni e frammenti, e ogni cosa a pezzi, a sbalzi e a modo d'assaggio. Miei degni signori, il cibo che v'apparecchio è scarso, scondito e di povera mensa, ma è letteratura e non meta-fisica. Non appena l'esilio mi astrinse a lasciare l'Italia e fui spettatore d'altro ordine di civiltà e uditore d'altri maestri, subito mi si aprì dentro l'animo l'occhio doloroso della coscienza, ed ebbi della mia ignoranza una paura ed una vergogna da non credere. Per giudicare alla prima prima che tutto è vecchio e trito in un libro convien sapere dell'autore se nel generale à l'abito di pensar di suo capo. Ed egli evoca nuovi spiriti di più sublime natura, i quali entrano a uno a uno dentro la torre. Spirito del mare. Che vuoi? Barone. Sapere l'essenza del bene e la fonte della felicità. Spirito del mare. Perché lo chiedi al mare? Barone. Perché tu sai o puoi sapere ogni cosa; tu nei silenzj della notte tieni misteriosi colloquj con la luna e con le stelle che in te si riflettono; e tu pur ricevi nell ' ampio tuo seno i fiumi tutti del mondo, i quali ti raccontano le geste antiche dei popoli e le più antiche vicende dei continenti per mezzo a cui essi fluiscono senza posa. Spirito del mare. lo non so nulla (sparisce). Barone. Che tu venga malmenato in eterno dallo spirito delle procelle, e che i tuoi membri immortali sieno rotti e squarciati mai sempre dalle taglienti creste degli ardui scogli.  La coda del cavallo bianco dell' Apocalisse. Che vuoi? Barone. Sapere in che consiste il bene, e dove è la fonte della felicità. La coda. Perché lo chiedi a me? Barone. Tu sai la fine ultima delle cose, e tu comparirai poco innanzi della consumazione del secolo. La coda. Quando io comparirò, io ondeggerò nelle sfere, simile alla caduta del Niagara e più tremenda della coda delle comete. Ogni mio crine rinserra un destino; e ogni mio moto è un cenno di oracolo; ò trascorsi tutti i cieli di Tolomeo e i cieli di Galilei e i cieli di Herschel; ò lambita con la mia criniera la faccia delle stelle, e l'ò distesa sulle penne de' turbini; molte cose ò conosciute, ma non quel che tu cerchi: io non so nulla (sparisce). Dagli Arabi si travasò il mal gusto ne' Catalani e ne' Provenzali, e una vena non troppo scarsa ne fu derivata ne' primi nostri verseggiatori. ALIGHIERI egli pure non se ne astenne affatto; e noi peniamo a credere che a quel genio sovrano venisse scritta la canzone lambiccatissima della Pietra. Sa ognuno che nel seicento, con lo scadere dell' arte, ricomparvero quelle freddure e mattie, e ogni cosa fu piena di acrostici, d'anagrammi, d'allitterazioni e altrettali sciempiezze. Ma per buona ventura cotesta sorta vanissima di pedanteria non sembra ai moderni pericolosa; e dico ai romani, perché appresso gli stranieri non ne mancano esempj; e molti anno letto in un vivente poeta francese di gran nomea certi capricci di metri e di rime i quali dimostrano come in lui siensi venuti rinnovando tutti gli umori e le vertigini dei seicentisti. E nemmanco ci pare immune dalle stranezze di cui parliamo quel concepimento del Goethe di ordire la tragedia del Fausto con questa singolar legge che ogni scena fosse dettata in metro diverso ed una altresì in nuda prosa, onde potesse affermarsi che niuna maniera del verseggiare ed anzi dello scrivere umano (per quanto ne è capace il tedesco idioma) mancasse a quel dramma; nuova maniera e poco assai naturale e graziosa di porgere idea e figura del panteismo. Non può né deve il poeta scompagnarsi mai troppo dalle opinioni e dai sentimenti comuni dell'età sua; chè da questi principalmente è suscitato l'estro di lui, con questi accende e innamora le moltitudini. D'ogni altro pensiero ed affetto, ove li possieda e li senta egli solo, avrà pochi intenditori, pochissimi lodatori; e la favella delle Muse langue e muor sulle labbra se non suona ad orecchie benevole e a cuori profondamente commossi. In Inghilterra il Milton fierissimo repubblicano e segretario eloquente del gran Cromvello, à quasi sempre poetato di cose mistiche e teologiche e nulla v'à di politico, nulla d'inglese e di patrio, né nel Paradiso perduto, né in altri suoi canti. Riuscirà sempre a gloria grande e invidiata d'Italia che la Gerusalemme del Tasso compaja tanto più bella e mirabile quanto più in lei si contempla e considera intentivamente la perfezione del tutto. Certo, il Valvasone è meno forbito ed armonioso del Tansillo, meno fluido del Tasso seniore, meno corretto, proprio e limato de' più corretti e limati rimatori toscani; ma non per ciò si capisce come questa minor perfezione di forma, abbia potuto oscurare nel giudicio de' raccoglitori e de' critici il gran merito dell'invenzione. Che il Milton siasi giovato dell' Angeleide non so, quantunque fra i due poemi si vengan trovando molti e singolari riscontri che non è facile a credere casuali; ma questo io so bene che a rispetto della guerra degli angeli episodicamente introdotta nel Paradiso perduto, il Valvasone non perde nulla ad esser letto dopo l'Inglese e con quello essere paragonato; il che non avviene del sicuro né per l' Adamo dell'Andreini né per la Strage degl'Innocenti del cavaliere Marino, due componimenti che dicesi aver suggerito a Milton parecchi pensieri e l'ideal grandezza del suo Lucifero. L'ingegno poetico, in versificare ciascuno di quei subbietti, tende a spiegare una novità, un' altezza e una leggiadria suprema di concetto, di sentimento, di fantasia e di stile. Dove mancasse l'una di tali eccellenze, l'arte sarebbe difettosa e quindi increscevole. Ci venne osservato (cosa che per addietro non ben sapevamo) la critica letteraria incominciata in Italia con ALIGHIERI essere morta col Tasso e gli amici suoi; e come cadde con quel mirabile intelletto la nostra primazia nel ministero delle Muse, così venne meno la filosofia estetica; e il nuovo dell' arte non fu capito, l'antico fu dalla pedanteria svisato e agghiadato. L'arte critica antica ebbe ultimi promulgatori due grandi ingegni, il Muratori e il Gravina. Della critica nata dipoi con le nuove speculazioni e con le nuove forme di poesia, non conosciamo in Italia alcun degno scrittore e rappresentatore. Dopo Omero nessun poeta, per mio giudicio, può alzarsi a competere con l'Alighieri, salvo Guglielmo Shakspeare, gloria massima dell'Inghilterra. E per fermo, ne' drammi di lui l'animo e la vita umana vengon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati così nel profondo, che mai nol saranno di più. Ma le condizioni peculiari della drammatica e l'indole propria degl' ingegni settentrionali impedirono a Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione sì delle diverse materie poetiche e sì di tutte l'eccellenze e prerogative onde facciamo discorso. E veramente nelle composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto di rado; e tra le specie differenti e delicatissime d'amore ivi entro significate, manca quella eccelsa e spiritualissima di cui si scaldò l'amante di Beatrice. Il poeta è dall'ispirazione allacciato e padroneggiato sì forte, da non saper bene sottomettersi all'arte ed alla meditazione. Il troppo incivilirsi dei popoli aumentando di soverchio l'osservazione e la critica e affinandovisi l'arte ogni giorno di più per effetto medesimo dell' esercizio e dell' esperienza e per desiderio di novità, mena il poeta a scordar forse troppo l'aurea semplicità degli antichi, il sincero aspetto della natura e i veri e spontanei moti dell'animo. Il compiuto e l'ottimo della poesia consiste in racchiudere dentro ai poemi con vaga e proporzionata unità di composizione tutto quanto il visibile ed il pensabile umano per ciò che in ambedue è più bello e più commovente. Consiste inoltre nel figurare e ritrarre cotesto subbietto amplissimo e universale con la maggior novità e la maggiore sublimità e leggiadria di concepimento, di fantasia, d'affetto e d'elocuzione che sia fattibile di conseguire. Laonde poi il concepimento, così nel complesso come nelle sentenze particolari, dee riuscir succoso, vario ed inaspettato e pieno di recondita dottrina e saggezza; l'affetto dee correre, quanto è possibile, per tutti i gradi e le differenze, e toccare il sommo della tenerezza e commiserazione e il sommo della terribilità. Tasso, anima pia e generosa, ma in cui (non so dir come) nulla v'era di popolare. Quindi egli s'infervorò della maestà teocratica dei pontefici e aderì alla nuova cavalleria cortigiana e feudale; quindi pure accettò con zelo e con osservanza scrupolosa l' ortodossia cattolica, e nella vita intellettuale quanto nella civile, fu dall' autorità dei metodi e degli esempj signoreggiato. Da ciò prese nudrimento e moto il divino estro suo e uscirono le maraviglie della Gerusalemme. Nel Tasso poi sono tutti i pregi e tutta quanta la luce e magnificenza della poesia classica, e spiccano altresì in lui alcuni attributi speciali del genio italiano in ordine al bello. In perpetuo si ammirerà nella Liberata ciò che l'arte, i precetti, l'erudizione e la scienza possono fare, ajutati e avvivati da una stupenda natura poetica. L'ARIOSTO significa la commedia umana quale la veggiamo rappresentarsi nel mondo, laddove ALIGHIERI fece primo subbietto suo il soprammondano, e in esso figurò e simboleggiò le cose terrene. E come il gran Fiorentino nelle fogge variatissime de' tormenti e delle espiazioni dipinse i variatissimi aspetti delle indoli e delle passioni, il simile adempiva l'Ariosto sotto il velo dei portenti magici e delle strane avventure. Ma certo qual narrazione di fatti umani riuscirà più vasta, più immaginosa e più moltiforme di quella dell' Orlando furioso? Quivi sono guerre tra più nazioni, nascimenti e ruine di molti regni, conflitto sanguinoso di religione e di culto, infinita diversità e singolarità di costumi, e tutto il Ponente e il Levante offrono larga scena e strepitoso teatro a cotali imprese e catastrofi. Quivi sono dipinte la vita privata e la pubblica, le corti e le capanne, i castelli ed i romitaggi; quivi s'intrecciano gradevolmente la cronica, la novella e la storia, e ciò che il dramma à di patetico, l'epopeia di maestoso, il romanzo di fantastico. Non credo che in veruna straniera letteratura possa come nella nostra volgare annoverarsi una sequela così sterminata di poemi eroici e di romanzeschi, parecchj de' quali brillerebbero di gran luce, ove fossero soli e non li soverchiasse la troppa chiarezza di Dante, dell'Ariosto e del Tasso. Né reputo presontuoso il dire che, per esempio, la Croce racquistata del Bracciolini o il Conquisto di Granata di Girolamo Graziane sostengono bene assai il paragone o con l'Araucana dell' Ercilla o coi medesimi Lusiadi di Luís Vaz de Camões ai quali ànno accresciuta non poca fama le sventure e le virtù del poeta; e per simile, io giudico che l' Amadigi del Tasso il vecchio o l'Orlando innamorato del Berni, non temono di gareggiare con la Regina Fata di Spenser e con quanto di meglio in tal genere ànno prodotto l'altre nazioni. Ma non è da tacere che in quasi tutti questi nostri poemi riconoscesi agevolmente l'uno o l'altro dei tipi che nel Furioso e nella Gerusalemme ricevettero perfezione, ed a cui poca giunta di novità e poche profonde mutazioni si fecero dagl'ingegni posteriori; e ne' poemi eroici singolarmente a niuno è riuscito di ben cantare i difetti del Tasso, molti in quel cambio li esagerarono. Scusabile mi si fa Marino e scusabili gl'Italiani, quand'io considero lo stato di lor nazione sotto il crudele dominio degli Spagnuoli, e fieramente mi sdegno con questi medesimi che nella patria loro ancor sì potente e sì fortunata, plaudivano a que' delirj e incensavano il Gongora, meno ingegnoso assai del Marino e di lui più strano e affettato. In fine, gioverà il ricordare che all'Italia serva, scaduta e dilapidata, rimaneva pur tanto ancora di prevalenza intellettuale appresso l'altre nazioni che de' trionfi più insigni e delle lodi più sperticate del cavalier Marino furono autori i Francesi; e per lungo tempo assai nessuno de' lor poeti seppe al tutto purgarsi della letteraria corruzione venuta d'oltre Alpe; testimonio lo stesso Cornelio, alto e robustissimo ingegno, ma nel cui stile nondimeno avria dovuto il Boileau ritrovare assai spesso di quel medesimo talco del quale parevangli luccicare i versi del Tasso. Dal Marino incominciò a propagarsi nel mondo una poesia fantastica e meramente coloritrice, la quale cerca l'arte solo per l'arte, fassi specchio indifferente al falso ed al vero, alle cose buone ed alle malvage, alle vane e giocose come alle grandi e instruttive; sente tutti gli affetti e nessuno con profondità, e nell'essere suo naturale od abituale, canta di Adone, come di Erode e così delle favole greche come delle bibliche narrazioni] Fiorirono in tale intervallo tre ingegni eminenti che forse mantennero alla lirica nostra una spiccata maggioranza su quella d'altre nazioni. Ognuno, io penso, à nominato ad una con me il Chiabrera, il Filicaja ed il Guidi. Dal solo Chiabrera fu l'Italia regalata di tre nuove corone poetiche; mercechè veramente nelle sue mani nacque e grandeggiò prima la canzone pindarica, poi la canzone anacreontica e infine il sermone oraziano; né mal s' apporrebbe colui che attribuisse al Chiabrera eziandio la rinnovazione del Ditirambo. Il Filicaja venne a tempi ancora più disavventurati, e quando più non era possibile discoprire ne' suoi Fiorentini un segno e un vestigio pure dell'antica fierezza repubblicana. Ma il senso del bene morale e la pietà religiosa fervevano così profondi nell'animo suo che bastarono a farlo poeta. Mai né in questa nostra patria, né fuori sonosi udite canzoni così ben temperate di splendore pindarico e di maestà scritturale come quelle del Filicaja. Nel Guidi allato a concetti ed a sentimenti spesso comuni e rettorici, splende una forma non superabile di novità, di bellezza e magnificenza. Certo, se a Guidi fosse toccato di vivere in seno di una nazione forte e gloriosa, non ostante la poca fecondità e vastità di pensieri, io non so bene a qual grado di eccellenza non sarebbe salita la lirica sua; perché costui propriamente sortì da natura Yos magna sonaturum, e ce ne porge sicura caparra la sua canzone alla Fortuna. A me sonerà sempre caro ed insigne il nome di Varano, perché da lui segnatamente, a quello che io giudico, s'iniziò il corso della poesia moderna italiana; e forse la patria non gli si mostra ricordevole e grata quanto dovrebbe. Chi trovasse non poca similitudine tra la mente del Varano e quella del Young, credo che male non si apporrebbe. Anime pie e stoiche ambidue, e dischiuse non pertanto agli affetti gentili, diffondono ne' lor versi un religioso terrore e un' ascetica melanconia che nell'Inglese riescono cupi, inconsolati e monotoni, e nell'Italiano s'allegrano spesso alla vista del nostro bel sole, e dai pensieri del sepolcro volano con gran fede alla pace e serenità della gloria immortale. Varano poi insieme col Gozzi restituì alla Divina Commedia il debito culto; Gozzi con li scritti polemici, egli con la virtù dell' esempio; ed ebbe arbitrio di dire a Dante ciò che questi a VIRGILIO: Tu séi lo mio maestro e il mio autore. Se non che il cantore delle Visioni chiuse e conchiuse l'intero universo nel sentimento della pietà e nei misteri del dogma, e non ben seppe imitare del suo modello la nervosa brevità e parsimonia, la varietà inesauribile e la peregrina eleganza. Se taluno dei suoi piuttosto scarsi scolari volle talora celebrare in R.. l'ultimo anello della catena che da GALLUPPI si continua in SERBATI e GIOBERTI, unanime e il consenso dei suoi maggiori contemporanei e dei posteri nell'affermare il valore pressoché nullo della sua vasta produzione filosofica. SERBATI e più scolastico, R. più civile. Quello quasi sterile in politica, questo R. molto feconda, risolvendo i problemi più ardui e interessanti della vita sociale. Quello è timido, questo R. Coraggiosa. Quello arriva a rifiutare sul terreno pratico le conseguenze de' suoi principii per un pregiudizioso rispetto di casta non evitando il disonore di una ritirata e la deformità del sofisma; R., per lo contrario tutta intrepido si sostenne colla gloria di una vittoria, colla dignità di una rigorosa coerenza, e colla bellezza di una vera argomentazione. SERBATI in un bel momento di sua ragione scrive stupende pagine sulla riforma del clero; poi ha la debolezza di ritirarle, impaurito dalle minaccia dell'indice. R. è oggi quel che era ne' primi giorni della sua vita pubblica, e non sa temere altro autorevole indice che quello del buon senso. Nel suo saggio, intitolalo “Del diritto” (Scolastica, Torino) i ammira il coraggio della coscienza di un filosofo, e la prudenza d'un uomo di stato. Riguardo poi ai pregi della forma, SERBATI è semplicemente filosofo, R. è un filosofo-oratore. Nel primo spicca la pura meditazione, nel R. si unisce il genio che feconda il deserto delle speculazioni metafisiche, delle avanzate astrazioni. In SERBATI vi ha una ricchezza povera, cioè una stiracchiatura di poche idee in molte parole, quasi diffidi della memoria, e dell'abilità del lettore. In R. vi ha una povertà ricca, cioè molte idee in poche parole; il che appaga l'amor proprio del lettore, e ne fa liete tutte le potenze della ritentiva e della ragione. Altri saggi: ““Dell'ottima congregazione umana e del principio di nazionalità romana e italiana” (Subalpina, Torino); “Pagano, ovvero, della immortalità”; “Dai Torchi della Signora De Lacombe”; “Prose letterarie” (Barbera, Firenze). Terenzio Mamiani della Rovere. Rovere. Keywords: confessioni di un metafisico, il rinnovamento della filosofia antica italiana, Vico, Cuoco, Cicerone, Roma antica, gl’antichi romani, il foro, il caso di Nizza, la communita di sangue. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e della Rovere," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Rovere

 

 Grice e Rubellio: la ragione conversazionale della filosofia sotto il principato di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Uomo di carattere encomiabile e studi filosofici che si ritrova al centro delle faide tra Agrippina e il figlio princeps NERONE per la sua ascendenza imperiale -- egli e cugino di secondo grado del princeps in quanto figli di cugine nipoti di Tiberio e bisnipoti adottive d’OTTAVIANO -- venne prima esortato, insieme alla moglie Antistia Pollitta figlia del console Lucio Antistio Vetere, a ritirarsi, verosimilmente dopo aver ricoperto solo la questura, nei possedimenti familiari in Asia e poi ucciso con la testa mozzata riportata a Roma.   Nel mezzo di tali vicende, brillò in cielo una cometa, che la credenza popolare interpreta come segno di cambiamento del re. Quindi, come se già  Nerone fosse stato cacciato, ci si domandava su chi sarebbe caduta la scelta, e sulla bocca di tutti correva il nome di Rubellio Plauto, la cui nobiltà derivava, per parte di madre, dalla famiglia Giulia. Amava le idee e i principi del passato, austero nel comportamento, riservato e casto nel privato, e quanto più cercava, per timore, di passare inosservato, tanto  più si parlava di lui. Le chiacchiere sul suo conto presero consistenza, quando si diede, con altrettanta leggerezza, l'interpretazione di un fulmine. Infatti, mentre Nerone banchettava presso i laghi di Simbruvio, in una villa chiamata Sublaqueum, i cibi furono colpiti dal fulmine, che mandò in pezzi la mensa, e ciò si era verificato nel territorio di Tivoli, da cui proveniva il padre di Plauto, sicché la gente credeva che il volere degli dèi l'avesse destinato alla successione, e parteggiavano per lui non pochi, per i quali vagheggiare avventure rischiose è una forma di ambizione suggestiva, ma in genere illusoria. Scosso dunque dalle voci,  Nerone scrisse una lettera a Plauto: lo invitava a farsi carico della tranquillità di Roma e a non prestarsi a chi propalava chiacchiere maligne: aveva, in Asia, terreni ereditati, in cui poteva passare, al sicuro, una giovinezza lontana da torbidi. Così Plauto là si ritirò con la moglie Antistia e pochi amici.Tacito, Annales. Syme. Related by marriage to Tiberio. Perceived as a threat by Nerone, he is sent to Asia where he is killed. He is a friend of Coerano and Musonio Rufo. Sergio Rubellio Plauto. Keywords: Nerone. Rubellio. 

 

Grice e Ruberti: la ragione conversazionale -- la natura abhorre il vuoto, o la tromba di Gabriele -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pideura). Filosofo italiano. Studia a Faenza e Roma sotto CASTELLI. Srive a GALILEI una lettera di risposta a sue richieste a CASTELLI, che assente in quei giorni lascia allo studente il compito di segretario. In tale lettera colge l'occasione per presentarsigli, che egli ammira grandemente. Il vivere da vicino le vicende del processo a Galilei gl’indusse a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli strumenti teorici e fosse un abile costruttore di cannocchiali. Divenne segretario di Ciampoli, un filosofo devoto a Galilei, che segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e nell'Umbria. Castelli presenta a Galilei il saggio di R., “De motu gravium” suggerendogli di impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di Galilei e su domanda e insistenza di Galilei si trasfere nella sua abitazione. Alla morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del gran ducato di Toscana. Studia geometria, dove anticipa il calcolo in-finitesimale. Si dedica alla fisica, studiando il mosso dei gravi e dei fluidi e approfonde l'ottica. Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e telescopi. Si dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il baro-metro a mercurio chiamato, "tubo di Torricelli" o "tubo da vuoto”. Tale invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica attraverso l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione, viene riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm -- esperimento effettuato sul livello del mare. Proprio da questa invenzione nasce l'unità di misura della pressione "millimetri di mercurio" – mmHg -- e l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg -- la pressione di un'atmosfera corrisponde a 760 millimetri di mercurio. Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu gravium” costituisce la II parte.  Si dice faentino e tale è considerato dalle persone che lo conosceno, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua morte nei registri battesimali di Faenza non hanno esito. Ciò da adito ad un secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino, risalendo di due secoli oltre la nascita di R.. Bertoni, del liceo che da R. prende nome, trova nel registro dei battezzati della Basilica di S. Pietro in Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi è il fatto che R. assume il cognomen Torricelli della madre. Si sa che il nome del padre e Gaspare. Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare Torricelli. Viceversa, si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si ritenenne che è la zia paterna. È invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze fra i manoscritti galileiani, è il primo documento nel suo carteggio. Rappresenta un documento fondamentale per studiare la vita e l'opera del filosofo faentino. Descrive la propria formazione filosofica. Si dichiara a conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei e dichiara la propria fede galileiana. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col. mo  Nella absenza del Rev. mo padre matematico di N. Sig. re, sono restato io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma, a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev. mo ne do parte in compendio. potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il padre abbate in ogni occasione, e con il maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li dialoghi di lei Ecc. ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa resolutione.  Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di professione matematico, scolaro del Padre R. mo di anni, e duoi altri havevo prima studiato da me solo sotto la disciplina dei gesuiti. Son stato il primo che in casa del padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già AVENDO ASSAI BENE PRTICATA TUTTA LA GEOMETRIA, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano, finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, ed è DI PROFESSIONE E DI SETTA GALILEISTA. Il Padre Grienbergiero, che è molto mio, confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono molte belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato, crollando la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per LE MOLTE DISGRESSIONI. Io gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo. Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol parlare.  Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R. mo la carissima di V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc. ma mi fa degno, ben che inetto, d'esser nel numero de' servi suoi e DE’ SEGUACI DEL VERO; che già so che il Padre R. mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza.  Roma, Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma Sig. r Gall. Gal. La lettura approfondita delle “Due nuove scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente la stesura ad Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti. Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De motu gravium”. Nell’ “Opera Geometrica” conceve il  principio del baro-metro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e individuando il "vuoto torricelliano". Con VIVIANI dimostra che IL VUOTO ESISTE IN NATURA e che l'aria ha un peso PONENDO QUINDI FINE ALLE MILLENARIE DISCUSSIONI FILOSOFICHE SULL’HORROR VACUI. Un'unità di misura della pressione è stata chiamata “Torr” in onore alla madre di R. e corrisponde a millimetri di mercurio. L'unità di misura del sistema Internazionale è invece il “pascal”, in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione atmosferica descritta da Torricelli.  La parola “baro-metro” coniata da Boyle è quasi sempre associata al nome di R. che risulta quindi fra i più celebri filosofi italiani nella storia. Essendo in diretto contatto con Cavalieri inizia a lavorare con la geometria degl’indivisibili e ben presto supera, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degl’indivisibili, come anche il metodo d'esaustione, che e in uso presso gl’antichi, fra tutti il grande Archimede, di cui è entusiasta ammiratore. A R. dobbiamo la riscoperta del matematico siracusano.  Per il gusto di imitare i classici, dimostra in XXI modi diversi un teorema di Archimede: XI con il metodo d'esaustione, X con il metodo degl’indivisibili.  Spesso i risultati ottenuti con la geometria degl’indivisibili venneno poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della controversia sulla loro fondatezza.  Il fatto interessante è che lo stesso Archimede elabora una sorta di geometria degl’indivisibili, ma non la ritiene rigorosa, e perciò dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione. Tutto ciò si è scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta d’Archimede, il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. -- è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba di Gabriele”, da lui chiamato “solido iper-bolico acutissimo”, avente l'area della superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele è considerato per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso R. stesso, che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro singolare. Il solido in questione scatena un'aspra controversia sulla natura dell'infinito, che ha coinvolto anche Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" R. considera una successione decrescente di termini positivi “{{0},{1},{2}}” e mostra che la corrispondente serie tele-scopica “{{0}{1})+{1}{2})+}” converge necessariamente a “{{0}-L{0}-L},” dove “L” denota il “limite” della successione. In questo modo riusce a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie geometrica. A Faenza è presente una statua di fronte alla chiesa di S. Francesco che lo raffigura con in mano un baro-metro a mercurio -- nella statua, l’altezza del barometro è proporzionalmente inferiore a quella reale, che deve essere di almeno 76 cm. -- Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche Registrazione del convegno per lui, Fidio, C.  Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca Europea di Informazione Cultura. In questa sperimentazione venne preceduto da Berti, che conduce un esperimento baro-metrico utilizzando acqua anziché mercurio. Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli  G.  Rossini, Convegno di studi torricelliani in occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, Bertoni, La sua faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del liceo Torricelli, Faenza, Ragazzini, Toscano, L'erede di Galilei. Vita breve e mirabile, Milano, Sironi. Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni,  Baro-metro di Torricelli, Equazione di Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Crusca. E. Torricelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista Torricelli Ruberti. Keywords: il vuoto, geometria.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The Swimming-Pool Library  

 

Grice e Rucellai: la ragione conversazionale degl’amori di Linceo, o della filosofia imperfetta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Crusca. Discepolo di GALILEI e in certa guisa il depositario e spositore delle opinioni meta-fìsiche professate dal suo maestro. Di più: in cui la scuola di Galilei ha uno dei maggiori lumi. Afferma di essere amico e confidente di Galilei, ma ciò non corrisponde al vero. In verità si incontrano solo una volta quando e suo ospite nella villa di Arcetri. Men che meno e suo studente. Quanto poi alla meta-fisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano da soli.  Quando comincia a comporre i dialoghi presero persino a chiamarlo "il nostro sapientissimo Socrate". Ma anche questa è una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un dialogo, ama recitarlo al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si mangia e beve gratis. Quindi più dialoghi recita, più si gozzoviglia. Per questo lo incitano a continuare. La verità è che in filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo gl’occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che discepolo di Galilei anche se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti. Non è un caso dunque se i dialoghi sono pubblicati non per meriti filosofici, ma linguistici. I dialoghi sono citati dal vocabolario della Crusca, ed ottimo avviso è il farne spoglio abbondante perché la loro favella è veramente d'oro e, se lo stile procede talvolta prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran ricchezza di voci e frasi, convenienti agli studj speculativi. Forse è proprio per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel gran ducato, la sua stella sembra non tramontare mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi Ferdinando III. Intendente della biblioteca laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato priore dell'accademia della Crusca con l’alias di “imperfetto” Strano perché lui, invece, è un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di celebri autori toscani, Prose e rime inedite di Rucellai, Tommaso Buonaventura, Degl’officii per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca. Orazio Ricasoli-Rucellai. Ruscellai. Keywords: gl’amori di Linceo, imperfetto? perfetto – perfetto bugiardo. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rucellai”

 

Grice e Ruffolo: la ragione conversazionale dal guazzabuglio al possibilismo come terapia eutimistica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo Italiano.Torna a Roma dal fronte della campagna greco-albanese della seconda guerra decorato con IV medaglie al valore per diverse intrepide azioni contro il nemico, in cui e ferito con arma da fuoco trapassante il petto. Organizza in seno al ministero dell'interno una cellula di resistenza partigiana, che gli vale l'attestazione di partigiano combattente e una medaglia di bronzo al valore partigiano. Per via della delazione di un componente del gruppo di resistenza è arrestato dalla banda Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione Jaccarino in via Romagna. Trasferito in Regina Coeli, condivide la cella con PINTOR e SALINARI, discutendo del dopo liberazione. Trasferito a via Tasso e interrogato da Kappler. L'iniziale sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche ora prima dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte dei tedeschi, usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei III torpedoni in attesa a Piazza S. Giovanni per essere deportato in Germania. Un IV torpedone e invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso BUOZZI. Lee SS gli impedeno il suo proposito di salire proprio sul IV torpedone, scostato dagl’altri, avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato e non una reazione impulsiva del comandante. Costretto a salire su uno dei restanti III torpedoni, si getta mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far perdere le tracce e a liberarsi nonostante le S. S. hanno fermato il convoglio e lo insegueno nella campagna nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e prigionia da conto in "Roma -- storia della mia cattura e fuga dalle S. S. dai nazisti” (Roma). Al termine della guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto. Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche. In occasione della trasmissione "Testimoni oculari" di S. Zavoli, circa la detenzione a Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua condizione di laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, e probabile causa della mancata intervista. Tuttavia non è citato nella trasmissione, in quanto il fratello omite di nominarlo nell'intervista, causando uno spiacevole dissapore familiare, tenuto conto delle drammatiche e indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti insieme. Amico e intrattenne corrispondenza tra gl’altri, con ORLANDO, LEVI, RAGGHIANTI, BALDINI, TROMBADORI, VALERI, MORANTE, CASSOLA, MELLONE (‘Fortebraccio’), GUERCIO, RIPELLINO, GABRIELLI, E STERN. Notevole la mole dei suoi saggi filosofici e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri saggi: “La cosmologica” (Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la “metafisica possibilista” basata sulla teoria della relatività generale e della fisica dei quanti; "America come pre-testo" (Roma, Ventaglio); "Il possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma, Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri di una esposizione” (Roma, Barone); “Guazzabuglio” (Roma, Croce); “Oltre gl’ali di Icaro” (Roma, Mancosu). Nicola Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo specchio del diavolo, implicatura eutimistica-terapeutica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.  

 

Grice e Rufino: la ragione conversazionale del commentario filosofico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Aquileia). Filosofo italiano. He comments some ‘saggi’ by Origen. Tirannio Rufino.

 

Grice e Rufo: la ragione conversazionale -- NAM CVM ESSET ILLE VIR EXEMPLVM VT SCITIS INNOCENTIÆ CVM ILLO NEMO NEQVE INTEGRIOR ESSET IN CIVITATE NEQVE SANCTIOR NON MODO SVPPLEX IVDICIBVS ESSE NOLVIT SED NE ORNATIVS QVIDEM AVT LIBERIVS CAVSAM DICI SVAM QVAM SIMPLEX RATIO VERITATIS FEREBAT – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Scolaro di Panezio. Combatte sotto Numanzia agl’ordini d’Emiliano SCIPIONE (si veda) come tribunus militum ed e pretore urbano. Al pari di MARIO (si veda) – e SCEVOLA augure, R. segue come legato Quinto Metello nella guerra contro Giugurta. Quando Mario, quale console, assunse il comando dell’esercito, R. ritorna a Roma. Console. R. segue l’amico Marco Scevola l’augure nel suo pro-consolato d’Asia. Condannato ingiustamente per accuse di nemici che si è procurato con la sua rigida onestà, R. vive da prima a Mitilene e poi a Smirne, e rifiuta l'invito di SILLA (si veda) di accompagnarlo a Roma. CICERONE conosce Rufo a Smirne. A Smirne, Rufo scrive un "De vita sua" e una storia di Roma. È oratore. I suoi discorsi hanno per la loro aridità impronta del Portico. Coltiva gli studi giuridici. Militari romani e politici romani. Console della Repubblica romana. Muore a Smirne. Gens: Rutilia. Console. Militare, politico e storico romano. Comincia la sua carriera militare al seguito d’Emiliano Scipione Africano minore, nella guerra in Spagna. R. è legato di Quinto Cecilio Metello Numidico, proprio nel corso della guerra contro Giugurta, durante la quale, fra i sotto-posti di Metello, vi è anche Gaio Mario. Si distinse nella battaglia del Muthul, nel corso della quale fronteggia un attacco di Bomilcare e organizza la cattura o il ferimento della maggior parte degl’elefanti da guerra numidici. Eletto console, ha come collega Gneo Mallio Massimo, il quale arriva secondo all'elezione. Le sue iniziative principali riguardarono la disciplina militare e l'introduzione di un migliore sistema di addestramento delle truppe. Legato di Quinto Mucio Scevola (si veda) l’augure, governatore della provincia d'Asia. Aiutando il suo superiore nei suoi sforzi di proteggere i provinciali dalle malversazioni dei pubblicani, R. si guadagna l'inimicizia dell'ordine equestre, al quale i pubblicani appunto apparteneno. Venne citato in giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli stessi provinciali che lui ha fatto tutto il possibile per proteggere. L'accusa è sfacciatamente falsa. Ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis -- il tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali accusati di ruberie -- sono scelte fra i cavalieri, la sua condanna è cosa certa, a causa del risentimento che essi provano per lui. R. e difeso da suo nipote Gaio Aurelio COTTA (si veda), e accetta il verdetto con la rassegnazione che si addice a uno seguace del Portico e allievo di Panezio quale era lui. R. si ritira a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne -- forse un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori. È infatti accolto con tutti gl’onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si è comportato da funzionario corrotto -- e dove Cicerone lo incontra non più tardi. Sebbene invitato da Lucio Cornelio SILLA (si veda) a fare ritorno a Roma, R. declina l'invito.  Durante il suo soggiorno a Smirne, R. scrive la propria autobiografia e una storia di Roma. R. ha infatti una profonda conoscenza della filosofia, della letteratura ma anche del diritto, e scrive dei saggi giuridici, dei quali alcuni frammenti sono citati nel “Digesto.” R. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Momigliano, R. in Enciclopedia Italiana. R., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. R., su sapere; Agostini, R., Enciclopedia Britannica; R., su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore Quinto Servilio Cepione e Gaio Atilio Serrano con Gneo Mallio Massimo Gaio Flavio Fimbria e Gaio Mario II V · D · M Storici romani . Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Militari romani Politici romani Storici romani Militari Storici Nati a Roma Morti a Smirne Consoli repubblicani romani Rutilii Stoici. R., who came after BRUTO, is the first tribune of the people, then Consul, and subsequently proconsul of Asia. His ancestors had been both censors and consuls. All that is related of him is, that he is in high esteem with OTTAVIANO, who supports all his own plans by the reasonings of this great lawyer. Wise Romans. To the list of wise men recognised by the Greeks, the Romans are proud to add other names from their own history, thereby associating their philosophic principles with patriotic pride. From their mythology ENEA is selected, the man who crushes his desires that he may loyally co-operate with the destiny of his people. From the times of the republic SCIPIONE africano minore and his gentle companion LELIO; whilst in R. a Roman is found who, like Socrates, would not, when on his trial, consent to any other defence than a plain statement of the facts, in which he neither exaggerates his own merits nor makes any plea for mercy. Nam cum esset ille vir [R.] exemplum, ut scitis, innocentiae, cumque illo nemo neque integrior esset in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse noluit, sed ne ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex ratio veritatis ferebat. Cic. de Or. -- cf. Sen. Dial. Publio Rutilio Rufo. Keywords: Filosofia romana. Luigi Speranza, “Grice e Rufo” – The Swimming-Pool Library. Rufo.

 

Grice e Ruggiero: la ragione conversazionale di Remo e di Romolo – filosofia meridionale --  filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo Italiano. Scrive “Critica del concetto di cultura” (Catania, Battia), cui CROCE rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista, senza aderire all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando critiche alla classe politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina e Roma. Avendo aderito all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei valori del liberalismo lo rende un esponente di spicco dell'opposizione al fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una imponente Storia della filosofia  e di una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori italiani. Indaga nella storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità.  Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La filosofia moderna: cartesianismo” (Bari, Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza); “Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel; (Bari, Laterza); La filosofia contemporanea (Bari, Laterza); “La filosofia politica italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero britannico dopo la guerra”, Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari, Laterza); “Filosofi” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti politici”, Felice, Bologna, Cappelli,  La libertà, Mancuso, Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La Critica, I filosofi che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un ritratto filosofico (Napoli, Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia e politica (Firenze, Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.    Griffo, La coscienza critica del liberalismo; Sgambati, Tra ethos e pathos.  Il diritto pubblico romano lascia, assai meglio del diritto privato, osservare le discontinuità e le suture, a testimonianza  delle sue radicali trasformazioni. Esso non presenta  un processo di sviluppo dall’interno, ma piuttosto  un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che  fa coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimulare i mutamenti da un periodo a un altro. La preoccupazione costante dei ROMANI è di salvare la continuità storica delle loro istituzioni, di sforzare il  primitivo regime cittadino, fino a includervi tutto  il ricco contenuto degl’acquisti posteriori. La città  è per essi un più saldo organismo che non la polis  dei Greci: il principio della sovranità popolare, come  fondamento della costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e presidiato, e, principalmente,  le magistrature cittadine vi rivestono quel carattere  e quel prestigio monarchico, che vivamente impressiona un greco romanizzato come Polibio. Lo spirito militare è in gran parte causa della maggiore  coesione e dell’acentramento della vita pubblica. Ma esso è anche il principio della espansione della  città in più vaste associazioni politiche, aventi per  base l’autonomia municipale, limitata soltanto dalle  esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse  militare suggerisce infatti la prima grande federazione che, col nome di lega latina, aggruppa alcune  città sotto l’egemonia romana; che sarà il modello  delle future aggregazioni.   Il principio federale è quello che salva il nucleo  della città, pur mirando oltre la sparsa vita cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa  insieme con le sue conquiste. Il lento processo di  assimilazione dei popoli soggiogati compiuto dalla  civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva dissoluzione degl’originari stati nazionali e indigeni  e sulla trasformazione di essi in aggregati municipali  autonomi, e solo militarmente legati a Roma. L’idea  del decentramento amministrativo è certo una delle  più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia  tramandato. Ma essa ha per l’antichità un valore  anche maggiore che per noi, perché storicamente  l’autonomia municipale è un passo importantissimo  nella formazione del nuovo principio dello stato, che  sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul riconoscimento delle più minute unità cittadine, confluenti  con la loro vita propria nel più vasto organismo  politico. Si forma così una patria communis, che ha  sotto di sé una patria particolare, domus od origo  Questa doppia istanza della vita pubblica, che  da una parte favorisce la profonda esigenza del self-government t dall’altra include il particolarismo locale, come momento subordinato, nella più comprensiva vita statale, è una grande creazione romana. I  greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose  colonie, la vita delle proprie città, non riuscirono  tuttavia a trarre dal particolarismo cittadino nessuna idea superiore e comune; cosi perdettero il  frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di  [Mommsen. Le droit public romain, Paris] riflettersi nel suo principio creatore. Essi posero in  vita una folla di particolari in luogo di una universalità vera e propria; ciò che ne distingue l’opera  nettamente da quella dei ROMANI. Il municipio costituito in seno allo stato e subordinato allo stato è certo una delle manifestazioni  dìù notevoli e feconde dell’età di SILLA (si veda). Il periodo  sillano rappresenta però ancora un’età di transizione  tra i due momenti, della città e dello stato, quando l’antico particolarismo è quasi vinto, ma ancora non  balza fuori la nuova universalità. Il progresso, lungo  questa via, fino all’età di GIULIO (si veda) Cesare, è rapido e sicuro.  E vi ha contribuito, più che l’accrescimento diretto  del numero dei cittadini, mediante l’estensione del  diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un numero sempre maggiore di stati clienti, il cui regime  consta, senza eccezione, di due elementi: dipendenza  legalmente determinata in rapporto allo STATO ROMANO; indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il processo di romanizzazione è sollecito  per la sua stessa spontaneità. In presenza delle progredite istituzioni romane, le città della provincia  sono volontariamente tratte ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti  inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un segno della spontaneità di questo lavoro d’assimilazione è la scomparsa delle stesse tradizioni della  religione locale nell’occidente romano, come il druidismo nella Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere come  un premio ambito ciò che pure è suo interesse  precipuo di largire. Essa non accorda a tutte le città un’adeguazione politica completa, ma la lascia sperare alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che  hanno tutte la piena cittadinanza, vi sono città sine suffragio o città di semi-cittadini, con diverse gradazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità  verso la capitale. La più grande forza di attrazione  è da Roma esercitata per mezzo delle colonie, formanti la vera ossatura romana della vasta compagine  imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani  coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio GRACCO (si veda), autore di un primo grande disegno organico,  a GIULIO (si veda) Cesare ed ai suoi imperiali successori, si svolge  un fecondo lavoro, che ha per scopo di popolare di  Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre  patria. Il principio veramente romano che presiede  a questo lavoro è epigrammaticamente espresso dal  motto: ubicumque vicit Romanus, habitat. Ma se noi guardiamo nel suo insieme la configurazione politica del grande stato federale sull’unire  della repubblica, e prima che GIULIO (si veda) Cesare avesse stampato  nel diritto pubblico i segni del suo genio precursore,  essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro congestionante e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto alla metropoli. I magistrati municipali di Roma  sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia non  sono che un’appendice della capitale. Il rigido principio della conquista sforza fino alle estreme conseguenze il potente particolarismo nazionale dal quale  prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di Roma,  nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza  nuova di sé, viene mortificata e depressa da una  taccia d’irrimediabile inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea unica che attraversi  e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il legame che lo connette è estrinseco e sovrapposto,  riassumendosi nella forza dell’imperium, che sanci-    [Sbn-ec., ad litio.] sce una eguale schiavitù ai popoli sotto la potenza  militare romana. Piccole città isolate e sterminati  regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso  carro; purché l’esterno legame sia salvato, Roma  non si preoccupa della vita che internamente si  svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbitrio di despoti indigeni. Essa regna sul mondo, ma  non lo governa; si appaga di un compito estrinseco  di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci. La  sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento del mondo a suo profitto. Questa deficienza veniva osservata specialmente dagli orientali,  presso i quali erano più vive le esigenze della comunione spirituale dei popoli formanti uno stesso stato.  Apollonio di Tiana, anche quando l’impero aveva  portato molto più avanti il lavoro di unificazione del  mondo, lamenta l’eccessiva materialità del governo  romano, che si strania ed aliena gli spiriti. Una profonda trasformazione di regime s’inizia  però con GIULIO (si veda) Cesare, che, per l’immatura fine, non riesce  a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di grazia  al nazionalismo latino e fonda la nuova idea imperiale, distaccandone il centro dal territorio di Roma  e idealizzandolo nella persona del monarca. La legge  cesarea dei municipi comincia col parificare, in  diritto, tutte le città, e col trasformare, conseguentemente, il significato della preminenza di Roma. Questa non è più l’impero stesso, ma la prima delle  municipalità dell’impero, e le sue magistrature scendono al livello di semplici cariche municipali. La  figura del monarca si distacca nettamente da quella  del magistrato. Non è più il princeps , cittadino tra  [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken Welt. Berlin.  1901, UI.'p. 110.   2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.] i cittadini, ma il dominus che trascende tutto il  mondo parificato al suo cospetto e riceve la propria  autorità direttamente dal divino. Questa idea è affatto  nuova allo spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare l’attinge all’Oriente  e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha un  significato teocratico e mistico, che viene accolto  con diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola dell’ultima età repubblicana, ma conquista  l’età seguente, dominata da uno spirito di concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla  all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la  sua fede viva ed ardente.  Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità  giuridica della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il  re-divino, l’incarnazione vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata dei suoi ministri,  tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto giuridico,  egli è il re-proprietario, al quale appartengono per  diritto proprio le persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono incapaci di concepire  sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è  un bisogno sensibile, immediato della loro esistenza,  essi la vedono incarnata e personificata nel Signore.  In questo foco si accentra tutta la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un  senso alla propria riunione sotto un giogo comune  e sollevano e riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine religioso di cui sono partecipi.  GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara percezione dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è per  lui il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto possono irradiarsi una potenza  e un prestigio coestesi alla vasta mole dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono, per  il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento  politico e amministrativo, airindifferenza per la vita  locale delle città e degli stati particolari, in una  parola al regime del mero stato di polizia, subentra  un regime accentratore, dove un sovrano assoluto  vigila per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del regno, che ormai gli  appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle libertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio  dominio. Una volta che il mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità reale  e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino  per quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando  all’autonomia che disgrega e disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di realizzare questa vasta  trasformazione politica; pero mancò non soltanto a  lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria  per portarla a compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia da lui vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano  ai più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno all’apparenza,  ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel tempo della guerra  civile, riconosce un potere sovrano al senato. L’idea  dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e immanente. Nella  sua concezione, il principe è il primo cittadino tra  i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli  anzi si guarda accuratamente di legare a questo nome  [Mommskn. Le drolt pnblic romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale  invece degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle milizie di tutto l’impero; e poiché questa  posizione preponderante dal punto di vista della  forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia — sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la dignità consolare, alla quale più  tardi rinunzia per assumere il tribunato del popolo,  la magistratura più popolare e praticamente efficace . Così, per via di successive sovrapposizioni di  cariche preesistenti, come il pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si forma il potere  nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento, dapprima limitato e poi indefinito, della  durata delle cariche stesse. L’impero si costituisce  cosi condensando le forze più vitali delle istituzioni  repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di  suscitare reazioni popolari. Dopo il regime eccezionale della dittatura militare e del triumvirato, esso  ha perfino l’aspetto di una reintegrazione delle magistrature ordinarie.  Alla monarchia vagheggiata da GIULIO (si veda) Cesare subentra,  almeno in principio, una DI-ARCHIA, una divisione del  potere tra il principe e il senato. Tutta la provincia  viene separata in due parti, imperiale e senatoriale,  con diversi magistrati; e al senato viene attribuita  ramministrazione dell’ Italia, che OTTAVIANO non crede  opportuno prendere per sé, ritenendo più facile usurpare le libertà della corrotta capitale e della lontana  provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi    1 Mommsen] OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la riassunse Domiziano,  per l'opportunità che gli offre questa carica di influire sulla  nomina del senato.] italici. Di fatto però questa di-archia si converte  gradatamente in una vera monarchia, perché l’imperatore può esercitare una preponderante influenza  sulla costituzione e sul funzionamento del senato,  che finisce col divenire un passivo strumento nelle  sue mani. Con felice incoerenza, OTTAVIANO però tien fermo  al principio cardinale della concezione monarchica  del suo grande predecessore, accettando l’idea della  divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella  della sovranità popolare, che informa di sé la nuova  carica. L’apoteosi del principe, cioè il riconoscimento della sua divinità dopo la morte e la conseguente attribuzione degli stessi onori riserbati agli  dèi, — altari, culto e sacerdoti appropriati— costituisce la parte più importante della riforma religiosa  d’OTTAVIANO. L’influsso sempre più vivo dell’Oriente  spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto,  includendovi l’adorazione dello stesso imperatore  vivente: una trasformazione piena di significato,  perché con essa l’apoteosi si distacca dalla vecchia  concezione occidentale della religione dei MANI, che  in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla,  e s’innesta nello spirito teocratico dell’Oriente.   L’unificazione religiosa dell’impero completa e  ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si eleva sui culti particolari delle singole nazioni  e diviene per i popoli il simbolo di una comunanza  spirituale di vita e quasi l’atto di adesione a un  identico destino storico. A questo punto terminano  le storie particolari delle genti, o meglio confluiscono  nella storia universale. Il migliore ammaestramento  filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza dello  sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia, che vince la  sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse  a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio lavoro. Roma provoca il  brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento della  loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella  vasta orbita della sua azione e a collaborare a una  opera comune. La cittadinanza che l’impero largisce  egualmente a tutti i suoi abitanti esprime la nuova  patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie  particolari e che gl’uomini accettano quasi come  un segno del riscatto dalla schiavitù del suolo che  li lega e li circoscrive materialmente. Essa è  una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una  umanità ancora pregna di materialità ingombrante  e passiva, che non sa guardare oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti spirituali nell’adorazione d’un padrone comune;  ma eh’ è tuttavia il primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme di  consapevolezza sempre più profonde. Guido De Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords: storia della filosofia romana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rusca: la ragione conversazionale dell’apollo lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini dell’apollo lizio – lizeo – Apollo in riposo – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofo Italiano. Studia filosofia. Vicario generale di Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo d’inquisitore. Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De fabulis palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’ “Epitome theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri della cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla, apponendo alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la realizzazione dei nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano proto-martire, Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, vuole che alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete sinistra del duomo. D[EO] O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti economiche. Ri-pristina  la mensa episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la confraternità. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a S. Antonio di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare di S. Antonio con la lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII]. DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra la chiesa di S. Maria Elisabetta al Lido di Venezia.  R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie divote ed erudite intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di Padova, Padova,  Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi, Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica, Venezia); Gusso e Gandolfo, Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords: “Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”; “Defensionem Vestigationum Peripateticum”, il liceo fuori dal liceo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rusconi: la ragione conversazionale dell’attacco e contro-attacco – la romanitas di Tertulliano -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Meda). Filosofo italiano. Insegna a Trento e Torino. “La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi: “Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”; “Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di essere una nazione” (Mulino), in cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; “Resistenza e post-fascismo” (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia – lo stato di potenza, la potenza civile” (Einaudi); “Cefalonia: quando gl’italiani si battono” (Gli struzzi  Einaudi); “L'azzardo” (Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta” (Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi. Rusconi. Keywords: romanità, italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rustico: la ragione conversazionale della tutela di Roma -- il portico romano. Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A friend of ANTONINO (si veda). According to Antonino, R. teaches him, amongst other things, the importance of both character development and careful study. He also introduces him to the writings of a former slave by the name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law. He presides over the trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning him to death (“He didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”). Grice: “Strictly, he should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning ‘Rustic,’ what was he was _called_!” Quinto Giunio Rustico.

 

Grice e Ruta: la ragione conversazionale dei corpi sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale – filosofia fascista – filosofia meridionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belmonte Castello). Filosofo italiano. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta CROCE. Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi: “Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo e la psiche sociale” (Milano, Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari); “Politica e ideologia” (Milano, Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova” (Napoli); “Diario e lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo” (Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche sociale, corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto del sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione del popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.

 

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