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Monday, April 8, 2024

GRICE ITALICO A/Z B

 

molti e più è domandata; e tanto più si paga quanto più (i) Intendendo questo nel senso della filosofia positiva e non in quello della metafìsica materialistica. Come spiego da per tutto nei miei libri, e più a lungo in quello col titolo V Unità della Coscienza nel VII voi. dì queste Op. fil. iiu^.i'i>nn^  si domanda; ma si paga quanto occorre per averla e non più. Questa legge poi, che determina nei suoi limiti ne- cessari la contribuzione assentita e giusta nell'organismo sociale, è analoga alla fisiologica, onde un tessuto vivo si impadronisce delle sostanze che lo nutrono nei limiti deter- minati dallo stesso bisogno della funzione domandatagli. 4. — E quindi il fatto in discorso deve essere con- siderato come un caso speciale di selezione naturale; che si potrebbe chiamare la selezione etico-sociale. E dalle cose dette si conferma e si chiarisce viemmeglio la dottrina sopra esposta, che il Diritto indi- viduale è pur esso una autorità (i). Poiché, come ve- demmo, il Diritto individuale si impone a tutti quelli che contribuiscono all' essere suo; e agli eguali, che lo rico- noscono e lo rispettano; e agli inferiori, ossia a quelli che, in ragione dei rapporti nascenti dalla sua speciale natura, ne subiscono una dipendenza e una direzione; e al Potere sociale subordinante, in quanto questo non lo crea ma lo riconosce, ed è determinato a riconoscerlo dal fatto stesso di porsi da sé; onde, una volta che si sia posto, viene ad essere realmente Diritto in virtù di se stesso. Le unità minime, le unità medie, e V unità ^ massima nel corpo sociale. L’individuo è V unità minima del composto so- ciale, come r atomo del composto chimico. E, come in (i) Vedi Capo III, specialmente \ V. tutti gli altriorganismi naturali, cosi nel sociale, oltre le unità minime degli individui sociali, e Munita massima dell' intero organismo, si trovano delle unità di mezzo di terzo grado, risultanti di più individui associati parti- colarmente fra loro, o di più di queste associazioni di individui collegate particolarmente in federazioni più grandi. In unaSocietà adulta, fiorente e grande, la vita del tutto si manifesta nelle più svariate e spiccanti differen- ziazionidelle attitudini e conseguentemente dei Diritti individuali, come accennammo or ora. Anzi la grandezza della Società è, alla sua volta, il risultato di tali varietà o specificazioni di attitudini; ovvero di tale divisione di lavoro, verificatavisi: come in ogni altro organismo; per esempio, in quello fisiologico dell' uomo, nel quale la ec- cellenza zoologica sopra gli altri animali dipende da una suddivisione di specificazioni in massimo gradodegli or- gani componenti. In un animale del grado infimo della scala zoologica la sostanza componente (come avvertimmo nel principio del libro) non è né muscolo ne nervo: come in una Società umana primitivissima tutti gli individui sono, mettiamo, dei guardiani d' armenti: e non vi si trova una distinzione di occupazioni, per salire, po- gniamo, da uno che attende a far pascolare le oche ad uno che attende a costruire stromenti di ottica o di astro- nomia. La differenziazione in discorso nella Società più pro-gredita va, si può dire, all' infinito. E non solo nelle u- nità minime degli individui, ma anche nelle combinazioni medie già dette delle associazioni degli individui e delle confederazioni di queste associazioni. Le quali pure, nelle Società adulte fiorenti e grandi, si producono, per cosi dire, anch' esse all' infinito: dalle più comuni, normali, e costanti, come quella della/amiglia, alle più insolite, ac- cidentali ed efimere, come quella ad esempio per dare una volta una festa o uno spettacolo: dalle più piccole, come di due persone in una impresa commerciale, alle più grandi, come di due provincie di uno Stato tra loro consorziate per interessi speciali. Or bene, anche queste unità medie sono (al modo che una data somma, come tale, si distingue dalle sin- gole quantità sommate, considerate ad una ad una) sog- getti distinti in possesso di una facoltà speciale, analoga alla individuale, a somiglianza di ciò che pur si verifica neglialtri organismi naturali: nei quali, per esempio, la cellula nervosa singola ha le sue proprietà particolari, e una data massa distinta di cellule nervose ha un dato uf- ficio distinto fisiologico, che essa esercita in quanto esiste e si conserva nella peculiarità del suo insieme. E siccome poi il possesso di una potenza di fare im- porta il possesso di un Diritto, come dimostrammosopra,cosinellaSocietà si danno i Diritti degli individui e i Diritti delle stssociazioni loro. E questi Diritti delle As- sociazioni hanno le proprietà già notate dei Diritti indi- viduali più quelle dipendenti dalla specialità proporzio- nale della associazione. Delle quali ultime proprietà una massimamente occorre che sia qui messa in rilievo. L' individuo, in astratto, si può considerare siccome un plasma generico, il quale, nell' ambiente sociale e nel circolo della sua vita, secondo le disposizioni già pos- sedute nascendo, e le circostanze accidentali nelle quali viene a cadere, riceve una particolarità di impronta di- stinta e tutta sua. Nel che ha luogo un fatto di selezione naturale: cioè la selezione naturale onde una unità so- ciale si sceme quale individualità distinta fra altre unità. Anche le agglomerazioni di più individui in associa- zioni o totalità distinte sono determinate e foggiate, con grandezze, tendenze e attività particolari, neir ambiente sociale, secondo i bisogni ed i fatti, e costanti e acciden- tali, onde emergono, per una analoga selezione naturale distinguente un composto singolo fra altri composti. Ma in questo composto (o unità media, come sopra lo chiamammo) ha luogo un' altra forma della selezione naturale: cioè quella che, neir interno stesso del com- posto, diflFerenzia edistingue fra loro le parti compo- nenti: e si che esso composto riesca un organismo e non rimanga una semplice agglomerazione inorganica di ele- menti tutti identici fra loro. E questa forma di selezione si potrebbe chiamare selezione interorganica. La unità sociale da noi detta media non è puramente un certo numero di parti addizionate le une alle altre, ma è una collaborazione organica degli individui o dei soda- lizi aggregati insieme; e quindi con diversità di attinenze e di facoltà distribuite fra loro. Altri fanno numero, con- tribuiscono e concorrono a mantenere T associazione: altri invece la rappresentano, la dirigono, ne applicano le forze accumulatevi. E, occorrendovi specialità di lavoro e di ufficio, queste vi sono divise quali negli uni e quali negli altri. E, come è naturale la creazione di queste differenze interorganiche delle parti costitutive delle unità medie, cosi è naturale la selezione interorganica dalla quale di- cemmo che proviene. Questa selezione interorganica, come insegna la os- servazione del fatto, avviene in diverse maniere secondo i casi; ma soprattutto secondo la legge, che riesce a una data facoltà ufficio chi piti vi ha attitudine, o ne ha il merito, e colla condizione del consentimento degli as- sociati. Il fatto del merito, onde uno acquista una preroga- tiva o una particolarità d'ufficio a preferenza di altri, è analogo a quello notato da Darwin della specie preva- lente nella lotta per la esistenza. Il fatto del consentimento degli associati è analogco air altro, pure da Darwin segnalato, dell* efficacia del- l' ambiente nel secondare la trasformazione progressiva dell' essere naturale. L' individuo investito di nna facoltà o di un ufficio in un corpo di individui o di sodalizi viene con ciò ad avere due sorta di facoltà o di Diritti: cioè il Di- ritto fondamentale spettante a lui come parte elementare della Società intera, e il Diritto avventizio, onde è in- vestito come organo speciale della associazione partico- lare a cui appartiene. Il Diritto fondamentale ha il suo rapporto immediato colla costituzione generale delle Società che lo garantisce direttamente a tutti senza distinzione: T avventizio V ha con quella della associazione particolare per la quale e- merge; ed è garantito dal Potere sociale supremo in quanto esso riconosce il Diritto della medesima associa- zione particolare. Se privato si dice ciò che è proprio della unità sociale minima, come tale, e pubblico ciò che è proprio della unità massima, parlando delle unità medie si dirà che hanno un carattere di mezzo tra i due, e gradata- mente; in ragione cioè della importanza loro, intensiva- mente o estensivamente, nella vita sociale complessiva. Il pubblico poi si differenzia in genere dal privato in quanto ha un rapporto diretto col Bene, non indivi- duale, ma sociale; ossia è, non egoistico, ma antiegoistico. La proprietà quindi di ente morale antiegoistico com- peterà massimamente alla unità più glande o allo Stato. E se, come sopra dicemmo, il Diritto in genere è \2l fa- coltà del Bene sociale e il suo esercizio è la funzione del Bene sociale, ciò si avvererà meno pel Diritto privato, più pel Diritto delle associazioni sociali intermedie, e in grado più alto pel Diritto dello Stato. Ma non diremo che per questo Diritto dello Stato il principio si avveri proprio nel grado massimo, per la ragione che, come sopra dicemmo n), uno Stato singolo, o già in effetto, o almeno in potenza, si coordina internazionalmente con altri Stati, anzi con tutte le Società umane esistenti sulla terra. La selezione interorganica nella evoluzione formatrice dello Stato. La legge della selezione interorganica, che si avvera nella costituzione degli organismi delle unità com- (i) Dove parlammo del Diritto internazionale (Capo [, \ II). plesse medie, si avvera poi per le ragioni medesime nella costituzione dell' organismo della unità massima dello Stato. Ed è per essa legge che ha luogo in questo la formazione del Potere onde si esercitano le sue fimzioni subordinanti, che sono poi funzioni del Bene sociale. Questa selezione assume storicamente forme svari atis- sime. Ma anche la varietà è determinata da una ragione costante, che si rivela chiarissimamente nella storia poli- tica degli Stati, e che non è altro che una applicazione del principio nostro fondamentale della formazione etico- sociale, che cioè la prepotenza è V indistinto onde si forma il distinto della Giicstizia, E in vero nello stadio iniziale, o della prepotenza, la selezione formatrice del Potere sociale è dipendente dalla violenza, che a poco a poco si mitiga nella eredità, finché da ultimo è sostituita, prima in parte e poi del tutto, dalla elezione (per parte dei subordinati, e in modo legale e pacifico) dei più degni, in ragione del merito morale e della Giustizia» e non del soprastare materiale della ricchezza o della forza dei muscoli: e si che riesca investito dell' ufficio chi si trova piti atto ad esercitarlo, e che il Potere nella direzione del corpo sociale sia quel premio del virtuoso del quale un' altra volta parlammo nel Capo precedente (i). 2. — Il costante e vivissimo lavoro evolutivo del- l' organismo dello Stato, onde si ha la sua formazione na- turale e il suo sviluppo e isuo progresso, è T applica- zione nel grado massimo del principio della formazione (I) \ VII, numero 8. morale, cioè, dall' indistinto (morale solo virtualmente) della prepotenza e dell' egoismo, al distinto (morale in atto) della Giustizia antiegoistica. Più procede la formazione organica dello Stato e più si estende e arriva in tutte le parti e nel!' intimo di esse la virtù direttiva e moralmente perfezionatrice della So- vranità politica. In modo che, dove prima le parti erano agglomerate e coacervate e tenute in fascio violentemente, a poco a poco vanno organizzandosi vitalmente insieme e finiscono coli' aderire 1' una con V altra, e tutte nel tutto, volontariamente e per liberoconsentimento. Come, per esempio, le molecole di certe sostanze, che fanno sentire la loro affinità e aderiscono insieme a formare un cri- stallo solo in seguito ad una compressione che le sforzò a ravvicinarsi meccanicamente. Il quale processo però va di pari passo con quel- r altro; che le parti stesse subordinate, di mano in mano che si orientano nella armonia politica dello Stato, di- ventando partecipi e collaboratrici della sua vita, reagi- scono sul Potere sovraincombente, rintuzzando la prepo- tenza, che vi fosse, e riducendolo ad una forza giusta e mo- rale; ad una forza, in una parola, diretta al Bene di tutti. 3. — Non è nostro compito (non richiedendolo lo scopo del presente libro) di studiare i modi precisi onde, per la elezione interorganica, e pel processo di distin- zione, si va formando nell' organismo dello Stato bordine del Potere, che riesce un sistema complesso di funzioni speciali esercitate da individui e corpi particolari; e come nasca il fatto, mettiamo, della divisione del Governo in diversi ministeri, e di ciascuno di questi in parecchie Voi. IV. 17  dipendenze, alle quali, variamente e per mez£o di centri subordinati, si rannodano le ultime propag^ni della am-ministrazionepubblica sparse in ogni parte dello Stato. Pel nostro scopo, in riguardo alle specializzazioni ac- cennate degli organi del Potere, basterà fare T osserva- zione (pure importantissima) che, come si distinguono tra loro le amministrazioni pubbliche, e quindi gli c^getti di ciascheduna, e conseguentemente il modo di funzionare (che deve atteggiarsi in conformità dell' intento da otte- nere), cosi si distinguono tra di loro le Sanzioni pub- bliche e legali degli atti sociali relativi; e quindi (si noti bene) le specie di Responsabilità, che neemergono. E da ciò proviene che le forme della Giustizia e quindi della Moralità si specializzano insieme collo spe- cializzarsi della pubblica amministrazione; onde, moral- mente, non sono, per esempio, identiche le azioni degli individui giudicate da un tribunale civile e quellegiudi- cate da una una intendenza di finanza, o da una commis- sione igienica o di belle arti; e per un reato controla proprietà individuale o per uno contro le restrizioni della libertà della stampa, in materia scientifica; e cosi via. Il che non vuol dire però che non si possano tutte le dette azioni ridurre al genere comune delle obbliga- torie nel foro intimo della coscienza, in ragione che Del- l' individuo si è formata, come sopra abbiamo dimostrato, r abitudine virtuosa e propria del saggio; l'abitudine cioè di attribuire universalmente alle Idealità antiegoistiche sociali un valore obbligativo per se, assoluto e indipen- dente dalle specialità di procedura e di Sanzione, che loro corrispondono nella amministrazione governativa. m — Come risuiii spiegata la prima /orina de li* ufficio del Intere, e anche la terza: e stabilito l' assunto del liérù. Ora, facendo, colla proporzione dovuta, al fatto del Diritto del Potere, Tapplicazione del priacipio stabi- lito sopra, che ogni Diritto importa una conirièuzionc, possiamo trovare la verità di quella che sopra, alla fine del Capo I, dicemmo la pritna forma dell' ufficio del Po- tere, cioè: di stabilii*^! nella Società a spese delle sue parti. Et facendo allo stesso fatto» pure colla pro- porzione dovuta, r applicazione dell' altro principio, che il Diritto è la facoltà del Bene^ constatiamo la verità di quella, che ivi stesso chiamammo la terza forma dell' uf- ficio del Potere, cioè: di flÌH|ìensHri^ la forza propriadeir ambiente sociale (cioè le contribuzioni suddette) al migli orauiento delle sue parti. In questo ultimo enunciato poi abbiamo il com- pendio, per cosi dire, di tutta la trattaEione di questo libro, E> in relazione allo stesso enunciato, si verificano, in ragione cho lo Stato si perfeziona in ogni sua parte, i principj che seguono: Primo* Che le contribuzioni di ogni genere, prestate da tutti gli elementi costitutivi dello Stato, diventano li-èeramente consentile. Secondo. Che le contribuzioni medesime si vanno av- vicinando al massimo di ciò che pi4Ò dare ciascuno ^ senza suo esiziale detrimento* ^ i '«.iFI-i-^..' TChe nulla, di ciò che è contribuito, va consur- malo prepotentemente ed egoisticamente da chi è investito del Potere di disporne. Quarto. Che la erogazione medesima è fatta secondo il volere di quelli stessi che contribuiscono. Quinto. E alla tutela dei Diritti di tutti; e dXVotte- nimento della prosperità, e al miglioramento morale. Sesto. E a questo soprattutto. E nella ragione che il miglioramento morale ottenuto, supplendo da sé, come dimostrammo sopra (i), alla tutela dei Diritti e all' otte- nimento della prosperità materiale, lascia per sé disponi- bili mezzi sempre maggiori. E cosi nello Stato siverifica T idea della prov- videnza, che il teista colloca in dio, come in esso colloca il tipo della specie di una pianta, per la solita illusione tante volte notata. E si verifica anche V idea della grazia, immaginata per una simile illusione dalla teologia cattolica siccome emanazione divina, atta a rendere V uomo morale, a far che segua le leggi della Giustizia ed eserciti la beneficenza. La possibilità per 1* individuo di essere morale, di conoscere e seguire la Giustizia, e di essere benefico verso gli altri, si ha, come dimostrammo nel corso del libro, dalla sua convivenza nella Società e dalla proprietà di questo di svolgere e perfezionare le facoltà dell'uomo, e di moralizzarlo. 5. — Onde lo Stato, cosi concepito, viene ad essere l'attuazione pura e compiuta della Idealità sociale, ossia (i) In molti luoghi: per es. Numero 2 del J VI del Capo IV. 201 del principio del Bene an ti egoistico, del Bene morale, in una parola del Bene pel Bene, E quindi lo Stato medesimo riesce la prova concreta ' sperimentale della verità del principio della Morale dei positivisti da noi affermato, chiarito, dimostrato: e una prova evidente, in quanto nel fatto dello Stato il fenomeno individuale si trovaingrandito, E mi spiego. Se, ad esempio, si può dubitare che un atomo materiale preso da sé sia pesante, perchè il peso deir atomo è tanto piccolo che non si può rilevare iso- latamente, il dubbio cessa affatto prendendo una grande congerie di atomi, nella quale i pesi minimi non valu- tabili di ognuno sisommano in un peso valutabile, dal quale si arguisce quello troppo piccolo dei componenti. E, se si può dubitare che una molecola di ferro, consi- derata isolatamente, sia calamitata, il dubbio cessa quando se ne prenda una grande massa. E cosi nel caso nostro. Se si può dubitare che T uomo singolo sia mosso nelle sue azioni da una Idealità sociale antiegoistica, perchè la ragione di questa, nella singola azioneumana di un individuo, si sottrae facilmente alla osservazione, stante il concorso e il contrasto colle ragioni egoistiche, le quali ve la accompagnano, il dubbio è tolto interamente arguendo dal fatto che, appuntandosi i voleri individuali nella totalità dello Stato, ne risulta la incontrastabile sovranità del volere morale, e antiegoistico, che vi os- servammo. Le cose dette nel corso del libro dimostrarono che la Responsabilità, intesa nel senso che sia Vastraito delle Sanzioni,onde la Società reagisce, rintuzzandola, contro V azione propriamente umana individuale, si rife- risce, non solo agli atti della Giustizia propriamente detta, ma anche a tutti gli altri atti  etico-civili dell'uomo; cioè: Primo. Agli atti offensivi non contemplati e non con- templabili dalla Legge. I quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta, vanno attribuiti a quel- la altro della puraConvenienza. Secondo. Agli atti sindacabili soltanto dalla coscienza intima dell’individuo in cui si avverano, e producenti la sola reazione del rimorso intemo. Terzo. Agli atti virtuosi, che V individuo potrebbe fare e sarebbe bene facesse, e non fa. Ossia a quegli atti che non si attribuiscono, ne alla Giustizia, né alla Con- venienza, ma alla Carità, come dicevano i moralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza, come direbbero inuovi. E cosi è sciolta la questione, propostaci nella Introduzione, come compito di questa nostra Sociologia. Rodrigo Ardigò. Keywords: sociologia. Grice ed Ardigò:  implicatura cooperativa — positivismo filosofico —  biologia filosofica — psicologia filosofica naturalista — il sociale — l’intersoggetivo ——, la morale positivista, il positivism filosofico. La morale e il diritto all’altro – la convivenza sociale – la giustizia, il bene sociale – la benevolenza e la beneficenza – il calcolo ragionale nella convivenza sociale – l’evoluzione sociale – l’organismo sociale – il positivismo filosofico – communicazione e convenienza sociale – l’onesta morale – spettazione di onesta reciproca – Fondazione naturalistica della morale – Fondazione – il fatto sociale – il devere, la regola d’oro, fare all’altro cioe che vorreste fatto a te – consiglio di prudenza – kant – costume – fatto sociale presupposizione del linguaggio -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ardigò” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Arena – nudi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripatransone). Filosofo italiano. Grice: “I like Arena; my favourite of his tracts are one on what he calls, ambiguously, ‘guerriero dello spirito,’ which is pretty naif – wasn’t Aeneas killing for something too, not necessarily ‘spiritus’? – His focus is two orders: the templari and the teutonic order – my other of his favourite trats is  his ‘nudi’ – or ‘gnudi,’ if you mustn’t – when Romolo converses with Romo, they are ‘nudi’ – what they say is what they mean and what they mean is what they say – ‘nakedness’ becomes a philosophical category, as when Strawson says, ‘the naked true.’” “There is no reason why it shouldn’t be a philosophical category, since the etymology is fascinating – vide Clarke, “The naked and the nude,” --  Leonardo Vittorio Arena (Ripatransone), filosofo. Arena insegna "Storia della filosofia contemporanea" presso Urbino. Filosofo e orientalista,ha dedicato in particolare al Buddhismo Zen, al Taoismo e al Sufismo una vasta produzione saggistica; è anche autore di romanzi e traduzioni sui medesimi temi. Insegna tecniche di meditazione tratte da pratiche buddhiste e sufi. Ha collaborato ai programmi religiosi della Radio Svizzera.  Pensiero La sua visione filosofica è esposta principalmente nelle tre opere Nonsense o il senso della vita,Note ai margini del nulla e Sul nudo, dove si propone una sintesi delle grandi correnti filosofiche orientali e occidentali, con particolare riguardo a Nietzsche, Wittgenstein, Zhuāngzǐ e il Buddhismo Chán/Zen.  Il nonsense, come dall'opera Nonsense o il senso della vita, è da intendere come la meta di ogni autentica indagine filosofica, realizzando la "distruzione delle opinioni" sulla scorta del Buddhismo. La filosofia del nonsense non è teoria, bensì non teoria: come la zattera del Buddhismo o la scala di Wittgenstein, serve ad arrivare a una sorta di consapevolezza speciale, per poi essere tranquillamente accantonata. Punto di partenza: non è possibile formulare una filosofia esente da contraddizioni. Nelle pagine di ogni filosofo si cela il tarlo dell'incoerenza. Traendo tutte le conseguenze logiche di ogni filosofia se ne attesta la contraddittorietà.  L'idealismo, base di ogni filosofia, dovrà sfociare nel vuoto e nel nonsense, laddove se ne sviluppi il suo principio-base, che è esistenziale prima ancora che teoretico, secondo cui il mondo è la rappresentazione del soggetto o di una mente cosmica. La posizione del nonsense spinge a riconoscere che le cose stanno proprio così (Tathātā), cioè sono caratterizzate da una nudità che non può essere interpretata o espressa attraverso alcuna dottrina od opinione.  Non c'è senso nascosto, e tutto è già qui, direttamente accessibile nella vita quotidiana all'uomo comune e al Risvegliato, mai così tanto accomunati. Lo strumento del nonsense è l'arte, specialmente la musica e si procede verso la dimensione del non suono, già cara a John Cage, nella sua composizione 4'33", cui Arena dedica una lunga disamina, nella sua opera La durata infinita del non suono. La stessa tematica viene ripresa e ampliata in Il tao del non suono, nonché nell'analisi di alcuni solisti o gruppi di musica contemporanea, come John Lennon, David Sylvian, Brian Eno, Robert Wyatt, Giacinto Scelsi e Ryuichi Sakamoto. Musica e filosofia si intersecano, entrambe sono mezzi di conoscenza, addirittura intercambiabili. Arena è influenzato dalla beat generation, e riconduce parte del suo interesse di lunga data per l'Oriente ai Beatles e ai grandi gruppi rock dei '60 e '70.  Nella poesia, l'haiku esprime lo yugen, un senso di "profondità misteriosa" che convive con la semplicità del "qui e ora". Nonsense implica il superamento degli opposti, quindi permette di giungere alla non dualità, al di là della logica formale di Aristotele, perseguita dall'esorcista del nudo, il quale pretende di cogliere e congelare in una articolazione sistematica il caotico divenire della vita; operazione votata all'insuccesso, e alla contraddittorietà. Come per Nāgārjuna e Wittgenstein, anche per Arena la logica può servire a invalidare sé stessa, ma nella dimensione radicale del kōan, come è concepita nel Chán/Zen. L'insegnamento si trasmette grazie a una sorta di empatia o comunicazione energetica tra maestro e allievo -, di baraka nel senso che il termine acquista nel Sufismo -, veicolata dal silenzio e dal non suono.  Nella sua opera Note ai margini del nulla, Arena riprende la posizione di Bodhidharma, relativa al "non sapere, non distinzione" (fushiki), in direzione epistemologica ed ermeneutica, sottolineando la complessità della diffusione del nonsense nell'ambito del sociale. Egli analizza le concezioni di vari esponenti del pensiero orientale e occidentale, tra cui Max Stirner, Fernando Pessoa e i maestri del Taoismo, specie Zhuāngzi. Il nonsense propone un nichilismo costruttivo, dove le "ragioni" del nulla non vengano concepite attraverso la modalità unilaterale del nihil privativum, negativum od oggettivizzato. Arena rovescia la conclusione del Tractatus Logico-Philosophicus: di tutto ciò su cui si dovrebbe tacere occorre proprio parlare.  Arena propone di sondare il nonsense attraverso il nudo, una comprensione che sfoci nella non comprensione e nel non pensiero, ben più fecondi di quanto la riflessione logico-formale non abbia dato da vedere all'Occidente. Nietzsche, Bob Dylan e i maestri Zen si rivelano, al momento, i suoi principali ispiratori nei toni di una filosofia non accademica, nemica del dogmatismo e della necrofilia della teoresi. La musica elettronica contemporanea sembra particolarmente adatta a sondare la nudità, nei modi della improvvisazione radicale, cui Arena dedica anche un'attività concertistica solista con lo pseudonimo Mu Machine.  Arena ha pubblicato una serie di ebook sull'analisi di maestri e filosofi alla luce delle categorie del nonsense e del nudo, sondandone tratti indipendenti dai "punti nodali", riscontrabili nei compendi od opere manualistiche, e considerando queste figure nella loro alterità: Samuel Beckett, Jacques Derrida, Nietzsche e Wittgenstein rientrano nel novero, ma anche Jacques Lacan (cfr. la voce Opere). Parallelamente, sta sondando le illusioni e i condizionamenti dell'animo, che non lasciano percepire il nudo/nonsense.  La produzione romanzesca è iniziata con La lanterna e la spada, dove Arena analizza la figura di Qinshi Huangdi, il primo imperatore della Cina, famoso per l'unificazione della lingua, del Paese, e il forte impulso dato alla costruzione della Grande Muraglia, ma anche per il rogo dei libri, che ha ispirato Ray Bradbury in Farenheit 451, e varie efferatezze. La produzione letteraria è proseguita con un altro romanzo, L'imperatrice e il dragone (ripubblicato come Il Tao del sesso), in cui si rievoca un'altra figura molto discussa, stavolta nella Cina medioevale, quella di Wu Zhao, la quale regnò per virtù propria, fondatrice di una sua dinastia, e non come semplice imperatrice vedova, altresì famosa per gli eccessi e le passioni sessuali. Anche di questa figura Arena dà un ritratto senza giudizi moralistici ed esaminandone i multiformi aspetti, come per il primo imperatore. In L'Ordine nero, ripubblicato come La svastica sul Tibet, si tratta della spedizione Schaefer, alla ricerca delle origini della razza umana e di ineffabili segreti magici. Nel gruppo di nazisti si trova anche il filosofo Leonard Mayer (personaggio inventato), alla ricerca del segreto della mente. In Il coraggio del samurai, si parla dell'arcano connubio tra samurai e ninja, e dei segreti di questi ultimi, descritti attraverso un gruppo di donne guerriere, la cui sovrana è la misteriosa Padrona, di cui si dice che abbia quattro secoli; si parla anche di Yoshitsune, un samurai del clan dei Minamoto, sfortunato quanto valoroso, ostile al fratello Yoritomo. Nell'ultimo romanzo pubblicato, La corda e il serpente, Arena si discosta dal romanzo storico e scrive un'opera sperimentale, dove la trama è un pretesto, e si nota l'influsso di William Burroughsanche di H.Lovecraft, per certi aspetti: nell'opera si parla di Atlantide, un mondo sommerso, distrutto da una catastrofe; il protagonista L., darà vita a una nuova specie umana.  Arena propone una personale versione della meditazione nella sua opera La Via del risveglio, Manuale di meditazione. Egli prende spunto dal buddhismo, vipassana e Zen, dal sufismo e da Georges Gurdjieff, dalla psicologia analitica di Carl Gustav Jung (il Libro rosso)[25] e dal lavoro sull'ipnosi di Milton Erickson. Una meditazione che conduce talvolta agli stati alterati di coscienza e permette di sviscerare il nudo nonsense, caposaldo della visione filosofica di Arena. Una meditazione che ha il suo supporto nella musica, la quale non ne costituisce solo il sottofondo, ma anche la base per approfondire le intuizioni che ne emergono. "Difficile separare la musica dalla meditazione", scrive Arena, "l'una porta all'altra".[26] Scopo della meditazione è anche attingere il non suono, categoria che Arena aveva sviscerato nei succitati studi su John Cage e Brian Eno. Una meditazione che attinge all'Oriente, ma fa tesoro delle conquiste psicologiche e spirituali dell'Occidente. Per indicare la modalità filosofica della pratica Arena propone una metafora: "La meditazione è premere il pulsante della consapevolezza".[27]  Dopo anni, e non sulla base di un ripensamento quanto di un ampliamento, Arena torna sul nonsense con una nuova riflessione, imperniata sul non sapere alla luce del buddhismo Chan/Zen nel suo complesso (non solo in riferimento a Bodhidharma), e soprattutto da non intendere come non sapere socratico. Il non sapere invita a diminuire la quantità di nozioni, a spogliare la mente dei preconcetti, principio che potrebbe essere il pilastro della scoperta scientifica. Lo anima il non pensiero, attività più affine alla intuizione, che usa la logica ponendola contro se stessa. Anche questa posizione, come quella relativa al nonsense nelle opere precedenti, mira all'acquisizione di un equilibrio psicofisico, all'autorealizzazione, al riparo da dogmatismi ed eurocentrismi. L'incontro con la nudità permetterà, nella solitudine esistenziale, di svelare nuove risorse nel soggetto, un incontro con se stessi fecondo e produttivo, senza entrare in polemica con alcuna visione filosofica, anzi ospitando visioni del mondo contrastanti. La contraddizione, implicita nel nonsense, è foriera di nuovi sviluppi teoretici, e consente di recuperare istanze che, nel pensiero occidentale, erano state sepolte dopo la demonizzazione dei sofisti.[28]   Altre opere: “Nietzsche-Wagner-Schopenhauer” (Fermo); “Il Vaisheshika Sutra di Kanada (Quattroventi) La filosofia di Novalis (Franco Angeli) Comprensione e creatività. La filosofia di Whitehead (Franco Angeli) Novalis, Polline (Studio Editoriale) Antologia della filosofia cinese (Arnoldo Mondadori Editore) Storia del buddhismo Ch'an (Mondadori) Il canto del derviscio [povero mendicanti sufi] (Mondadori) Il Nyaya Sutra di Gautama (Asram Vidya Edizioni) Antologia del Buddhismo Ch'an (Mondadori) Diario Zen (Rizzoli) I maestri (Mondadori) Haiku (Rizzoli); “Al profumo dei pruni. L'armonia e l'incanto degli haiku giapponesi, Rizzoli ). Realtà e linguaggio dell'inconscio (Borla) Novalis, Enrico di Ofterdingen (Mondadori) Vivere il Taoismo (Mondadori) Il Sufismo (Mondadori) Il bimbo e lo scorpione (Mondadori) La grande dottrina e Il Giusto mezzo (opere confuciane) (Rizzoli) La filosofia indiana (Newton) Buddha (Newton) La via buddhista dell'illuminazione (Mondadori) Del nonsense (Quattroventi) Sun-tzu, L'arte della guerra (Rizzoli) Iniziazione all'autorealizzazione. Un percorso verso la consapevolezza (Edizioni Mediterranee) Chuang-tzu, Il vero libro di Nan-hua (Mondadori); Zhuangzi (Rizzoli). Poesia cinese dell'epoca T'ang (Rizzoli) La barriera senza porta (Mondadori) La filosofia cinese (Rizzoli) La storia di Rama (Mondadori) Nei-ching, canone di medicina cinese (Mondadori) I-ching. Il libro delle trasformazioni (Rizzoli) Samurai. Ascesa e declino di una nobile casta di guerrieri (Mondadori) Musashi, Il libro dei cinque anelli (Rizzoli) Kamikaze. L'epopea dei guerrieri suicidi giapponesi (Mondadori); “Hagakure, Il codice dei samurai (Rizzoli) La mente allo specchio (Mondadori) Il sogno della farfalla (Pendragon) Il libro della tranquillità. 100 koan del buddhismo Zen (Mondadori) Sun Pin, La strategia militare (Rizzoli) Dogen, Shobogenzo (Mondadori) Tecniche della meditazione taoista (Rizzoli); “Il tao della meditazione, Rizzoli); I 36 stratagemmi (Rizzoli); I guerrieri dello spirito (Mondadori); La lanterna e la spada (Piemme) Lo spirito del Giappone (Rizzoli) L'imperatrice e il dragone (Piemme) La pagoda magica e altri racconti per trovare la felicità dentro di sé (Piemme); “Il libro nella felicità”; “II pensiero indiano (Mondadori) Orient Pop. La musica dello spirito (Castelvecchi) L'arte della guerra e della strategia (Rizzoli) Il lago incantato. Racconti sull'amore (Piemme) L'ordine nero (Piemme) L'innocenza del Tao (Mondadori); Il maestro e lo sciamano (Piemme, ) Incontri di filosofia. La biblioteca di Babele,  I (Città di Ripatransone). Xunzi, L'arte confuciana della guerra (Rizzoli) Confucio (Mondadori) Il coraggio del samurai (Piemme) Nietzsche in Cina nel XX secolo”; Incontri di filosofia. La filosofia come conoscenza di sé,  II (Città di Ripatransone). Memorie di un funambolo; Note ai margini del nulla; Nonsense o il senso della vita; La durata infinita del non suono (Mimesis) Il pennello e la spada. La Via del samurai (Mondadori, ) Introduzione al Sufismo (ebook, ). Un'ora con Heidegger (Mimesis, ). Introduzione alla storia del Buddhismo Ch'an (ebook, ). Il libro della tranquillità (Congronglu) 100 koan del Buddhismo Zen”; L'arte del governo (Huainanzi) (Rizzoli); “Heidegger, il Tao e lo Zen (ebook, ). Il Tao del sesso: La storia di Wu Zhao; La lanterna e la spade”; “La svastica sul Tibet”; Il libro dei segreti d'amore”; All'ombra del maestro”; Il Tao del non suono”; “La filosofia di David Sylvian. Incursioni nel rock postmoderno (Mimesis); “Ikkyu poeta zen; “La filosofia di Brian Eno. Filosofia per non musicisti (Mimesis); “Novalis come alchimista”; “La filosofia di Robert Wyatt. Dadaismo e voceunlimited (Mimesis). Yogasutra (di Patanjali) (Rizzoli ). Sun-tzu: l'arte della guerra per conoscersi; La barriera senza porta (Wu-men kuan) 100 koan del buddhismo Zen”; “La comprensione negata”; “Buddha: La via del risveglio”; “Nagarjuna: la dottrina della via di mezzo (Zhonglun)”; “Il libro rosso di Jung (ebook, ). La storia di Rama (Ramayana)”; “Sul nudo. Introduzione al Nonsense (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; Lacan Zen, L'altra psicoanalisi (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; “Oltre il nirvana”; L'altro Derrida”; “Watt, la cosa e il nulla. L'altro Beckett; L'altro Wittgenstein”; “Nietzsche, lo Zen, Bob Dylan. Un'autobiografia”; “ L'altro Nietzsche”; “Una introduzione alla filosofia di John Lennon”; “Scelsi: Oltre l'Occidente, Crac Edizioni. La corda e il serpente, Illusioni, La filosofia di Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Mimesis. La Via del risveglio, Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli. Wenzi, Il vero libro del mistero universale. Un classico della filosofia taoista, Milano, Jouvence. La filosofia di John Lennon. Rock e rivoluzione dello spirito, Milano-Udine, Mimesis. Togliersi le idee. L'ombra del nonsense, Il Tao della pedagogia (selezioni da: Annali Primavere-Autunni di Lu Buwei); Il libro segreto dei ninja: Shoninki; Ikkyu: l'Antibuddha, (poesie in traduzione dal giapponese); Confucio come counselor, Miyamoto Musashi: Dokkodo; Quanti orientali. Oltre il Tao della fisica; Daodejing: Laozi come counselor; Zhuangzi: i capitoli interni; Bhagavad Gita; Qohelet, l'interpretazione "orientale"; Il pensiero giapponese. L'età moderna e contemporanea, Jouvence. La filosofia di Bob Dylan, Mu Machine Collection; Zhuangzi: i capitoli esterni, Mu Machine Collection; Zhuangzi: miscellanea, Mu Machine Collection; La raccolta della roccia blu (i cento koan del Biyanlu), Mu Machine Collection; Basho:Haiku, Mu Machine Collection; Vivere il taoismo, Mu Machine Collection; Il libro rosso di Jung: Liber Primus, Mu Machine Collection, ebook. Storia del pensiero indiano,  II, Mu Machine Collection, Storia del pensiero indiano,  III, Mu Machine Collection, Storia del pensiero indiano,  IV, Mu Machine Collection, ebook. Il libro rosso di Jung: Liber Secundus, Mu Machine Collection, L'antistoria della filosofia, Mu Machine Collection, Zen contro Zen, Mu Machine Collection,  I greci in Oriente, Mu Machine Collection, Liezi il libro taoista della verità, Mu Machine Collection, Lo spirito del samurai: Budoshoshinshu, Mu Machine Collection, Il giardino nascosto (sul tempo), Mu Machine Collection, Neijing il canone di medicina cinese, Mu Machine Collection, Dogen Shobogenzo, Mu Machine Collection, Guida al cinese classico, Mu Machine Collection; Nascita di un samurai, Mu Machine Collection; Il Canone di Mozi. La logica cinese, Mu Machine Collection, ebook. Jung Zen, Mu Machine Collection.  In Inglese Nonsense as the Meaning, ebook,. Nietzsche in China in the 20th Century, ebook,. The Shadows of the Masters, ebook,. An Introduction to Sufism, ebook,. The Dervish, ebook,. Cage Nagarjuna Wittgenstein, ebook,. Nosound, ebook,. The Red Book of Jung, ebook,. Illusions, ebook,. The Book On Happiness, ebook. On Nudity. An Introduction to Nonsense, Mimesis International. David Sylvian As A Philosopher, Mimesis International. In Spagnolo El canto del derviche. Parabolas de la sabiduria Sufi, Grijalbo, Barcelona 1997. In Francese Sur le nu. Introduction à la philosophie du Nonsense, Editions Mimésis,. Note  L. V. Arena, Nonsense o il senso della vita, ebook, cap. 1  Nonsense o il senso della vita, cap. 6  L. V. Arena, La durata infinita del non suono, Mimesis   L. V. Arena, Il tao del non suono, ebook   L. V. Arena, Una introduzione alla filosofia di John Lennon, Kindle Edition   L. V. Arena, La filosofia di David Sylvian. Incursioni nel rock postmoderno, Milano, Mimesis   L. V. Arena, La filosofia di Brian Eno, Milano, Mimesis,.  L. V. Arena, La filosofia di Robert Wyatt, Milano, Mimesis,.  L. V. Arena, Scelsi: Oltre l'Occidente, Falconara Marittima, Crac Edizioni,.  L. V. Arena, La filosofia di Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Milano-Udine, Mimesis,..  L. V. Arena, Orient pop. La musica dello spirito, Roma, Castelvecchi, 2007.  Nagarjuna, The Philosophy of the Middle Way, D. Kalupahana, Albany, 1986  L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, Torino, Einaudi 1984  L. V. Arena, Note ai margini del nulla, ebook, passim  L. V. Arena, Note ai margini del nulla, ebook, cap. 1  Biyanlu, 1  Leonardo Vittorio Arena, Zhuangzi: I capitoli interni, ebook; Idem, Zhuangzi: i capitoli esterni, ebook, idem, Zhuangzi: Miscellanea. ebook..  Contra Kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza 1979, p.281  Nonsense o il senso della vita, Appendice  L. V. Arena, La comprensione negata, ebook,.  Leonardo V. Arena, La filosofia di Bob Dylan, Collezione Mu Machine, ebook..  Leonardo V. Arena, Nietzsche, lo Zen, Bob Dylan, Autobiografia,  I, ebook.  L. V. Arena, Illusioni, Kindle Edition,.  L. V. Arena, La Via del risveglio, Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli..  Leonardo Vittorio Arena, Il libro rosso di Jung, ebook.  Ibidem13.  Ibidem15.  L. V. Arena, Togliersi le idee, L'ombra del nonsense,.. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Leonardo Vittorio Arena  Nonsense o il senso della vita, su amazon.  Note ai margini del nulla, su amazon. L'attività accademica di Leonardo Vittorio Arena [collegamento interrotto], su uniurb. Il blog filosofico di Leonardo Vittorio Arena, su leonardovittorioarena.wordpress.com. L'autobiografia, su amazon. Filosofia Letteratura  Letteratura Religioni  Religioni Storia  Storia Filosofo del XXI secoloOrientalisti italianiStorici delle religioni italiani 1953 Ripatransone. Leonardo Vittorio Arena. Keywords: nudi, Novalis, Schopenhauer, Nietzsche, Wagner, Puccini, Butterfly, Turandot, Mascagni, Iris, Leoni, L’Oracolo, Confucio, la guerra, stratagema, strategia, antistoria della filosofia, Heidegger, Wittgenstein, l’unconscio, Whitehead, Grice on east and west, Staal, ‘those in a position to know’ – metafisica, greco-latina, Heidegger citato par Arena, Leonardo Arena, Leonardo Vittorio Arena. Cinese, linguaggio, la filosofia del linguaggio di Novalis, Gozzi, libretti di Butterfy, Turandot, Isis, L’Oracolo.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arena” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Aresandro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, Aresandro was a Pythagorean.

 

Grice ed Aresa – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Aresas was a Pythagorean. According to lamblichus of Chalcis, he re-established the school of Pythagoras, and Diodorus of Aspendus became one of his students or companions. He is also said to have previously fled from Croton when it was attacked by enemies of the Pythagoreans and sought safety with friends at a distance, but he would have had to have lived an extraordinarily long time for both stories to be true. Although many identify Aresas with Aresandrus of Lucania, it may be that two separate stories and people have been confused, with the earlier history belonging to Aresandrus and the later one to Aresas.

 

Grice ed Ario – filosofia italiana – Roma – Luigi Speranza --  Ario Didimo. Ario Didimo (in greco Ἄρειος?; latino: Arius Didymus) è sun filosofo italiano, insegnante di filosofia di Ottaviano. Ario era un cittadino di Alessandria d'Egitto. Ottaviano lo stima talmente tanto che, dopo la conquista di Alessandria, dichiara di aver risparmiato la città solo per il bene d’Ario. Secondo Plutarco, Ario suggere ad Ottaviano di giustiziare Cesarione, il figlio di Cleopatra e Giulio Cesare, con le parole οὐκ αγαθὸν πολυκαισαρίη "non è bello avere troppi Cesari", un gioco di parole basato su un verso di Omero. Ario, come i suoi due figli Dionisio e Nicanore, insegnano filosofia ad Ottaviano.Viene spesso citato da Temistio, il quale afferma che Ottaviano lo considerava meritevole quanto Agrippa. In Quintiliano si scopre che Ario scrive o insegna anche retorica. Si tratta probabilmente dello stesso Ario la cui Vita era nella parte finale mancante del libro VII delle Vite di Diogene Laerzio. Ario Didimo viene solitamente identificato con l'Ario le cui opere vengono citate a lungo da Stobeo, e che sintetizzano lo stoicismo, la scuola peripatetica ed il platonismo. Il fatto che il nome completo sia Ario Didimo lo sappiamo grazie ad Eusebio, il quale cita due lunghi passaggi della sua visione stoica del dividno; la conflagrazione dell'universo; e l'anima. Plutarco, Ant. 80, Apophth.; Cassio Dione, li. 16; Giuliano, Epistles, 51; comp. Strabone, xiv. ^ David Braund at al, Myth, history and culture in republican Rome: studies in honour of T.P. Wiseman, University of Exeter Press, 2003, p.305. La frase originale era οὐκ αγαθὸν πολυκοιρανίη " cioè "Non è bello avere troppi capi" o "il regno di molti è una brutta cosa" (Omero, Iliade II, v. 204). "polukaisarie" è una variante di "polukoiranie". "Kaisar" (Cesare) sostituisce "Koiran(os)", che significa "capo". Sventonio, Augustus, 89. ^ Temistio, Orat. v., viii., x., xiii ^ Quintiliano, ii. 15. § 36, iii. 1. § 16 ^ Comp. Seneca, consol. ad Marc. 4; Eliano, Varia Historia, xii. 25; Suda ^ Richard Hope, 1930, The book of Diogenes Laertius: its spirit and its method, pag 17. ^ Inwood, B., (2003), The Cambridge Companion to the Stoics, pag 32. Cambridge University Press ^ Eusebio, Praeparatio Evangelica, xv. 15, 18, 19, 20. Bibliografia Arthur J. Pomeroy (ed.), Arius Didymus. Epitome of Stoic Ethics. Texts and Translations 44; Graeco-Roman 14. Atlanta, GA: Society of Biblical Literature, 1999. Pp. ix, 160. ISBN 0-88414-001-6. B. Inwood, e L.P. Gerson, Hellenistic Philosophy. Introductory Readings, 2ª edizione, Hackett Publishing Company, Indianapolis/Cambridge 1997, pp. 203–232. Fortenbaugh, W. (Editor), On Stoic and Peripatetic Ethics: The Work of Arius Didymus. Transaction Publishers. (2002). ISBN 0-7658-0972-9 Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Ario Didimo Collegamenti esterni Arìo Dìdimo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Andrea Ferro, ARIO DIDIMO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1929. Modifica su Wikidata Ario Didimo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Arìo Dìdimo, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Ario Didimo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Eusebio di Cesarea, Praeparatio Evangelica, Libro XV. 15, 18, 19, 20. Portale Biografie   Portale Filosofia Categorie: Filosofi romaniFilosofi del I secoloRomani del I secoloNati nel I secolo a.C.Morti nel I secoloAlessandrini di epoca romanaStoici[altre]

 

Grice ed Arione – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. Arion was a Pythagorean visited by Platone.

 

Grice ed Aristea – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristea was a Pythagorean.

 

Grice ed Aristeneto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Nizza). Filosofo italiano. Aristeneto was a pupil of Plutarco.

 

 

Grice ed Aristeo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, Aristeo was a pupil of Pythagoras. When Pythagoras died, Aristeo became his successor ad married his widow, Theano. Fragments of a work on harmony are attributed to him. Legend has it that he married Pythagoras’s widow, herself the daughter of Brontino. There is however, some confusion over this. According to another tradition, it was Brontino who married Pythagoras’s widow. Still according to a yet another tradition, the woman was Pythagoras’s pupil, not wife, whom Brontino married. Schuler argues that there were actually two women involved, perhaps mother and daughter. This convolution is one of the main reason why Oxford is not co-educational.

 

Grice ed Aristide – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristide was a Pythagorean.

 

Grice ed Aristippo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristippo was a Pythagorean.

 

Grice ed Aristo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Aristo specialised in legal philosophy. Plinio Minore describes him as a man of great wisdom, and superior in virtue to all the philosophers of his time.

 

Grice ed Aristo – Roma –filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Aristus was the brother of Antioco and a friend of Brutus. Aristu was said to hae been an inferior philosopher to his brother, but a wholly admirable individual.

 

Grice ed Aristocleida – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico of Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristocleida was a Pythagorean.

 

Grice ed Aristocle – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tito Claudio Aristocle. A member of the Lizio, studied at Rome under Erode Attico.

 

Grice ed Aristocrate – Roma – filosofia italiana. – Luigi Speranza – Filosofo italiano. Petronio Aristocrate – Regarded as an accomplished philosopher, a man of great learning, and someone who lead a pious life. He was a puil of Lucio Anneo Cornuto and a friend of both Persio and Agatino.

 

Grice ed Aristocrate – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, Arisocrate was a Pythagorean.

 

Grice ed Aristodoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Aristodoro was the recipient of the tenth letter of Platone – but we do not if he responded to it. In the letter, Plato credits Aristodor as being a “philosopher” himself.

 

Grice ed Aristomene – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristomene was a Pythagorean.

 

Grice ed Aristone – Roma – filosofia italiana – Filosofia del principtao -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Ariston was a philosopher at Rome, attached to the household of Marco Lepido. According to Seneca, Aristone used to engage in philosophical discussions when travelling around in a carriage, leading a wit to observe that he was obviously not a ‘peripatetic.’

 

Grice ed Aristone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ceos). Ariston of Julii after the town on Ceos.

 

 

Grice ed Aristosseno – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). of Taranto. How to live the good life.  Aristosseno filosofo greco antico Lingua Segui Modifica «Diceva Aristosseno che il vero amore del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze; perché l'amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni, così come, nelle scienze ed esperienze, quelle buone ed oneste amano davvero il bello; mentre ciò che dai più è detto amore del bello, cioè quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della vita è, se mai, la spoglia del vero amore.»  (Stobeo, Florilegio, III, 1, 101.) Aristosseno (in greco antico: Ἀριστόξενος, Aristóxenos, in latino: Aristoxĕnus; Taranto, ... – ...; fl.335 a.C.[1]) è stato un filosofo greco antico, peripatetico e scrittore di teoria musicale.   Ritratto immaginario di Aristosseno. Figlio di Spintaro (allievo di Socrate), fu da questi e dal padre avviato alla musica e alla filosofia.  S'interessò alla dottrina pitagorica, per poi diventare discepolo di Lampo Eritreo, di Senofilo e infine uno dei principali allievi di Aristotele: infatti ebbe l'incarico di tenere nella sua scuola lezioni di musicologia. Aspirò alla successione del maestro e la nomina di Teofrastoalla direzione della scuola peripatetica, dopo la morte di Aristotele, fu la profonda delusione della sua vita [2].  Infatti si trasferì a Mantinea, una città del Peloponnesofamosa per la diffusione della musica, dove visse per molti anni, ebbe molti discepoli detti Aristosseni e fu consigliere del re Neleo. Qui scrisse due opere, Il carattere dei Mantinei [3] e l'Elogio dei Mantinei [4].  OpereModifica Secondo Suda, Aristosseno scrisse 453 opere, molte delle quali sulla musica, per la quale divenne autorità indiscussa. In base ai frammenti, le opere aristosseniche possono essere divise in vari gruppi [5].  In primo luogo, Aristosseno si dedicò, sulle orme di Aristotele, allo studio delle teorie pitagoriche, con opere come la Vita di Pitagora (Πυθαγόρου βίος, fr. 11 Wehrli); Su Pitagora e i suoi allievi (Περὶ Πυθαγόρου καὶ τῶν γνωρίμων αὐτοῦ, fr. 14 Wehrli); La vita pitagorica (Περὶ τοῦ Πυθαγορικοῦ βίου, fr. 31 Wehrli); Massime pitagoriche (Πυθαγορικαὶ ἀποφάσεις, fr. 34 Wehrli).  L'attenzione alla dimensione educativo-pedagogica è testimoniata dalle Leggi educative (Παιδευτικοὶ νόμοι, fr. 42-43 Wehrli) e dalle Leggi politiche (Πολιτικοὶ νόμοι, fr. 44-45 Wehrli). Numerose furono anche le sue biografie: Vita di Archita (Ἀρχύτα βίος, fr. 47-50 Wehrli); Vita di Socrate (Σωκράτους βίος, fr. 54 Wehrli); Vita di Platone (Πλάτωνος βίος, fr. 64 Wehrli); Vita di Teleste (Τελέστου βίος, fr. 117 Wehrli), sul poeta ditirambico.  Dove, però, Aristosseno lasciò una duratura impronta fu la teoria della musica, con opere come Sui tonoi(Περὶ τόνων), di cui resta una breve citazione nel commentario di Porfirio agli Armonica di Claudio Tolomeo; Sulla musica (Περὶ μουσικῆς, fr. 80, 82, 89 Wehrli); Ascolto della musica (Μουσικὴ ἀκρόασις, fr. 90 Wehrli); Su Prassidamante (Πραξιδα .μάντεια, fr. 91 Wehrli); Sulla melica (Περὶ μελοποιίας, fr. 93 Wehrli); Sugli strumenti (Περὶ ὀργάνων, fr. 94-95, 102 Wehrli); Sugli auloi (Περὶ αὐλῶν, fr. 96 Wehrli); Sui flautisti(Περὶ αὐλητῶν, fr. 100 Wehrli); Sui fori degli auloi(Περὶ αὐλῶν τρήσεως, fr. 101 Wehrli); Sui cori (Περὶ χορῶν, fr. 103 Wehrli); Sulla danza della tragedia (Περὶ τραγικῆς ὀρχήσεως, fr. 104-106 Wehrli); Comparazioni (Συγκρίσεις, fr. 109 Wehrli); Sui poeti tragici (Περὶ τραγῳδοποιῶν, fr. 113 Wehrli).  Infine, tipicamente erudite erano le Miscellanee simposiali (Σύμμικτα συμποτικά, fr. 124 Wehrli); Memorabilia (Ὑπομνήματα), Memorabilia storici(Ἱστορικὰ ὑπομνήματα), Memorabilia in breve (Κατὰ βραχὺ ὑπομνήματα), Note miscellanee (Σύμμικτα ὑπομνήματα), Note sparse (Τὰ σποράδην): fr. 128-132, 139 Wehrli.[6]  A noi sono giunti gli Elementi di armonia (᾿Αρμονικά) divisi in tre libri: nel primo, intitolato Principii vengono esposti la definizione della scienza armonica e i suoi argomenti, quali la voce, acuto e grave, intervalli, melodia, generi, suoni e tonalità; nel secondo vi è una introduzione filosofica, una presentazione innovativa delle caratteristiche dell'armonia, una polemica contro gli esperti di musica passati e tradizionalisti; il terzo libro inizia con l'approfondimento degli intervalli e s'interrompe sulla parte intitolata Elementi.  Musica ed estetica in Aristosseno. Interessa rilevare negli scritti di Aristosseno la presenza più o meno esplicita di un pensiero estetico: un'idea di quel che sia o come debba essere intesa l'opera d'arte musicale. Alla musica attribuì un notevole influsso etico ed educativo, ma anche un uso terapeutico:  «il vero amore del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze; perché l'amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni, così come, nelle scienze ed esperienze, quelle buone ed oneste amano davvero il bello; mentre ciò che dai più è detto amore del bello, cioè quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della vita è, se mai, la spoglia del vero amore.»  (Stobeo, Florilegio, III, 1, 101.) Aristosseno applicò alla musica il duplice metodo, sperimentale e teorico, di chiara influenza aristotelica, tanto da scrivere che i pitagorici «usavano medicine per purificare il corpo e musica per purificare la mente». Abbinò questi studi allo sviluppo della dottrina dell'anima come armonia del corpo, perfezionando gli astratti presupposti dell'aritmeticapitagorica con l'osservazione attenta dei fenomeni del suono. È, tra l'altro, andata perduta un'opera di Aristosseno che era intitolata Sull'ascoltare musica, nella quale pare si sostenesse il carattere necessariamente attivo di questa operazione, che richiede un vigile e assiduo confronto tra i suoni passati e quelli presenti e futuri. Ossia, Aristosseno riconobbe la funzione fondamentale della memoria nell'intelligenza della musica, come risulta da un paragrafo degli Elementi di armonia: «Di queste due cose, invero, la musica è coesistenza: sensazione e memoria. Bisogna infatti sentire ciò che accade e ricordare ciò che è accaduto».  Grazie a Plutarco sono giunte fino a noi altre parti del modello musicale elaborato da Aristosseno, il quale era consapevole che la musica non poteva essere limitata a una ricreazione scientifica e nemmeno a un gioco di sensazioni, bensì alla riuscita di tutte le sue parti, dalle parole ai ritmi e ai suoni, e il compito del genio è quello di creare le corrispondenze fra questi elementi, attraverso un lavoro di sintesi. Il compito dell'ascoltatore, secondo le teorie di Aristosseno è quello di ricostruire l'opera stessa e se la fusione è esaustiva, in qualche modo l'opera esiste. Secondo la Cronaca eusebiana. ^ Suda, s.v. ^ Μαντινέων ἔθη, fr. 45, I, rr. 1-9 Wehrli. ^ Μαντινέων ἐγκώμιον, fr. 45, I, rr. 10-12 Wehrli. ^ Il riferimento è all'edizione di F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles, vol. 2, Aristoxenos, Basel/Stuttgart 1967, con il testo greco dei frammenti e commento in tedesco. ^ a b "Dizionario di Musica", di A.Della Corte e G.M.Gatti, Torino 1956, voce "Aristosseno", pp. 21-22. Modifica Carl A. Huffman (ed.), Aristoxenus of Tarentum: Discussion, New Brunswick - London 2011. Sophie Gibson, Aristoxenus of Tarentum and the Birth of Musicology, New York, Routledge, 2005. Amedeo Visconti, Aristosseno di Taranto. Biografia e formazione spirituale, Napoli 1999. F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles, vol. 2, Aristoxenos, Basel/Stuttgart 1967. Altri progettiModifica Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Aristosseno Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Aristosseno Collegamenti esterniModifica Aristòsseno di Taranto, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Aristosseno di Taranto, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Aristosseno, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di Aristosseno, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Aristosseno, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Trattato di armonica di Aristosseno di Taranto, su users.unimi.it. Portale Biografie   Portale Filosofia   Portale Magna Grecia   Portale Musica Ultima modifica 13 giorni fa di Biobot PAGINE CORRELATE Spintaro compositore e filosofo greco antico  Clearco di Soli filosofo cipriota  De audibilibus opera dello Pseudo-Aristotele

 

Grice ed Armetta – dialogo – filosofia italiana – filosofia siciliana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Grice: “I like Armetta; he is into ‘dialogue,’ I am into conversation. I once suggested to Strawson that he should write a dissertation on the distinction betweehn dia-logos and cum-versatio, but he said that ‘converse’ is used to mean ‘make out’ in the Bible, while ‘dialogue’ ain’t!” Principale allievo di Santino Caramella, di cui cura il lascito.   Si è laureato in Filosofia presso l’Palermo con Santino Caramella, di cui è diventato subito assistente universitario. Con lui e gli altri allievi e collaboratori ha fondato la rivista di filosofia «Dialogo» (1964-1974); dal 1960 al 1992 ha insegnato nei licei di stato (per un lungo periodo di tempo presso il Liceo Ginnasio Vittorio Emanuele II); dal 1981 insegna presso la Pontificia Facoltà Teologia di Sicilia «San Giovanni Evangelista», prima come docente incaricato di Dottrine filosofiche e fino al 2004 anche di Logica; ha fatto parte della segreteria della Rivista della Facoltà per un decennio fino al 1998 e sin dall’anno accademico 1985 è Segretario Generale della medesima Facoltà.  Il pensiero di Armetta è una rilettura del neoidealismo crociano e gentiliano sulla base dello spiritualismo cristiano. I suoi studi sono rivolti soprattutto alla storia del pensiero filosofico e teologico in Sicilia, e sono culmila curatela del monumentale Dizionario Enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia.  Altre opere: "La filosofia del volere da Omero a Platone”; “Storia e idealità in S. Kierkegaard”; “L’uomo come natura”; “Guida agli scritti di Santino Caramella”; “Teoria e pratica in Santino Caramella”; “Caramella e Gobetti. Un rapporto oscurato”; “Il Carteggio Caramella-Croce”; “Il carteggio tra Caramella e Radice”; “Per una società in dialogo”; “Il pensiero filosofico in Sicilia”; “Elementi di ideologia”; “Istituzioni ideologiche”; “Rosario La Duca. Guida agli scritti”; “La toponomastica di TerrasiniFavarotta”; Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Secc. XIX e XX, Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma); “Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Dalle origini al sec XVII (Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma). Riconoscimenti Papa Benedetto XVI lo ha insignito del titolo di Cavaliere Commendatore dell'Ordine di S. Silvestro (13 febbraio ).  Note  Caltanissetta, Sciascia Editore,. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani Professore1928 Palermo. Francesco Armetta. Keywords: dialogo, fascimo filosofico, filosofi del fascism, croce e caramella – il carteggio curato da Armetta, presenza di Caramella nel primo convegno a Milano, dialogo, implicatura dialettica, Caramella e Giobetti, storia della filosofia italiana, filosofia politica nella Italia del primo novecento, la metafisica del dialogo in Vico.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Armetta” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Arnoufi – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. A philosopher. His talents extended to magic. He conjured up a stor for the Romans at a time when they were short of water.

 

Grice ed Arriano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza -- Lucio Flavio Arriano – Scolaro di Epitteto.

 

Grice ed Arrighetti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “I like Arrighetti: his forte was Aristotle’s rhetoric, and he was very popular with the Accademia degli Ardenti, and later with a subgroup of this, The Accademia degli Svelati (which later merged with the Accademia dei Lunatici); his other forte was the distinction between ‘oratio’ and ‘oratio vvocalis’ – “Os” is of course Romann for ‘mouth’ – but figuratively for ‘linguaggio’ – (after all, the tongue is IN the mouth). I happen to prefer ‘mouth,’ because Roman ‘os’ is related to ‘essere’: you are who you are, i.e. you exist, because you can breathe through your mouth. Appartenente a una nobile famiglia fiorentina, studiò la lingua Greca e le filosofie Aristotelica e Platonica nelle Pisa e di Padova. Dedicatosi agli studi teologici, venne ascritto al Corpo dei Teologi dell'Università Fiorentina il 20 novembre del 1631. Il Pontefice Urbano VIII, che aveva molta stima per il giovane, lo creò Canonico Penitenziere della Cattedrale di Firenze e esaminatore sinodale, posizione che mantenne fino alla morte. Arrighetti morì il 27 novembre del 1662 all'età di 80 anni. Fu uno dei membri più illustri dell’Accademia Fiorentina e di quella degli Alterati fra i quali si chiamò Fiorito.  Altre opere: “La rettorica d’Aristotele e Cicerone spiegata” (Firenze);  “La Poetica d'Aristotele, spiegata” (I Svogliati, Pisa), “Il Piacere” (Firenze); “Il riso” (Firenze); “L’ingegno” (Firenze), “L’onore” (Firenze); “Vita di S. Francesco Saverio estratta dalle relazioni, fatte in Concistoro da Francesco Maria Cardinale del Monte”, “Sermoni sacri, volgari e latini fatti in varie chiese e compagnie di Firenze”; “Opere spirituali”; “L'Orazione vocale e mentale”; “Tractatus de iis quae necesitate medii et precepti credenda sunt”. Note  Arrighetti (Philippe), in: Louis Gabriel Michaud: Biographie universelle ancienne et moderne, 2ª edizione 1843,  2291.  Arrighetti, Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society for the Diffusion of Useful Knowledge,  3, 2 (1844)641 sg.  Arrighetti (Philippe), in: Nouvelle biographie générale, 1852–66,  3358 Arrighetti, Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society for the Diffusion of Useful Knowledge,   sg. Biografie  Biografie Cattolicesimo  Cattolicesimo Filosofia Categorie: Religiosi italianiFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII secoloGrecisti italiani 1582 1662 27 novembre Firenze PadovaTraduttori dal greco all'italiano. RETTORICA E POETICA D'ARISTOTILE TRADOTTE E SPIEGATE DA FILIPPO ARRIGHETTI CANONICO FIORENTINO. PROLOQVII NELLA RETTORICA D'ARISTOTELE RECITATI NELL'ACCADEMIA DELLI SVEGLIATI IN PISA. RAGIONAMENTO I. De principii vniversali dell'arte. Prooemium. E' lodevol'usanza di tutti i buoni espositori et massime di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque trattato ch'eglin si metton ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima cagione, per chiarezza et intelligenza delle cose che si deven trattare, et molti son questi de quali si fa maggior o minor copia secondo la qualità de trattati parte nascenti dalla natura delle cose da insegnarsi, parte da varii accidenti onde si vede che questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti dunque benigno uditore, poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione. Quel ch'inducesse li huomini et quando a ritrovar l'arti. E' cosa manifesta a ciascheduno che l'huomo è composto di due parti principali, d'anima et di corpo. L'anima divina et immortale et per se stessa aspirante a cose alte et elevate: ma per esser racchiusa nel profondo del corpo nostro, tale che non può senza l'aiuto suo sostenersi, il ch'è la vita nostra. Hebben acconcia la terra, onde potessen nutricarsi et altresì provedut'onde commodamente vivesseno, si dieden alla contemplazione. Et tanto basti haver detto dell'occasion del ritrovar l'arti, et del tempo in che elle si ritrovarono. Trattano i logici e metafisici della diffinizione ma con esquisitezza singulare mostrando che la diffinitione è una oratione, la quale dichiara la essenza et natura della cosa, et questa da loro si compone di genere et differenze. Ma havendoci noi proposto di ragionar di quelli che son più oscuri et manco trattati da professori della Rettorica, che son chiaramente quelli di cui già habbiam discorso. Poscia che havuto fine il nostro proposito, porrem anchor noi fine al nostro ragionamento. Camminando su l'orme de discorsi fatti sin a qui sì in generale, sì in particolare sopr'il negozio rettorico acciocché si proceda secondo l'ordine della natura, che è cominciando prima delle cose prime, andrem ritrovando il fine a cui s'indirizza questa professione, o ver arte che dir la vogliamo. Però essend'egli parte della felicità, vien ad esser ancho parte del fine humano. Insin a qui habbiam vedut'in quanti modi si piglia il diletto, et non ha dubbio alcuno ch'un di questi si convien alla poesia; hora è da veder quale et come, et scior le dubitazioni ch'intorn'a ciò accadesseno. Disse Aristotele l'imitazione esser una delle principali cagioni della poesia et noi poco fa l'habbiam posta come fine. Adunque terremo per fermo che l'imitazione co'l metro habbin dat'origine alla poesia et che le sien la vera essenza di quella. Del suggetto della poetica. S'egli è vero quel che noi habbiam determinato ne discorsi rettorici essend'il suggetto quel ch'è capace della forma che intende d'introdur l'artefice et ove s'impiega l'opera del poeta, tutta rigirandos'intorno a questo che s'imiti alcuna attione è necessario dir ch'ella sia il suo suggetto. Et vedesi che s'è ben dato qualche condimento all'arti et alla filosofia mediante il verso come fecen molti scrittori innanzi a Platone Anassagora Empedocle ET APPRESS'I LATINI LUCREZIO et di medicina da Q. Sereno et altri la qual'usanza non è stata approvata né seguita da maestri delle scienze et pur le cose da loro eran trattate co' principii proprii, cosa molt'alieno dal sentimento et processo poetico.  Che sorte d'arte sia la poetica. Dell'unità dell'arte poetica. Dell'origine della poesia. Del furor poetico. Quel che nel poeta possa più l'arte o la natura. Due son le parti del ben poetare come di esercitar ben tutte l'arti et professioni, l'una è l'ingegno, l'altra il giudicio, perché ogni buon opera debbe esser regolata da buon giudicio. Ma si com'il giudicio non ha luogo ove non è l'invenzione, sì anchor l'invenzione senza giudicio è cosa poc'artifiziosa et casuale. Della Rettorica d'Aristotele libro primo. La Rettorica ha convenienza con la dialettica trattando l'una e l'altra di quelle cose le quali communemente da tutti in un certo modo si conoscono, né si riferiscono ad alcuna determinata scienzia. Di qui è che tutti gli huomini in qualche modo dell'una o dell'altra partecipano, conciosiache tutti infino a un certo termine sappino arguire e rispondere, e difendere e accusare. Noi dunque (disse colui) domanderemo che voi giudici stiate a le cose che con il giuramento havete sententiato, et noi ci staremo? Anchora le altre cose simili che appartengono all'amplificatione. Et questo basti haver detto quanto alla fede senza artificio. Sommario del primo libro della Rettorica d'Aristotele. La Rettorica è distinta da Aristotile in tre libri. Nel primo narra le cose communi a i tre generi dell'oratione, i quali distinguendosi in deliberativo, dimostrativo e giudiziale, dichiara le propositioni et il fine di ciascheduno. Intorno a quai modi allega Aristotile i precetti di trattare de giuramenti. E così pon fine alle fedi et al primo libro della Rettorica.  Seguendo di ridurre in breve le cose principali del 2° libro della Rettorica d'Aristotile diremo avanti come in questo libro Aristotile tratta de gli affetti dello animo, de costumi. Termina poi questo libro annoverando le cose egli ha trattato nell'ultima parte et proponendo la materia del 3° libro che resta a perfettionare questa arte, cioè la locutione et dispositione.  Sommario del terzo libro della Rettorica. Nel terzo libro della Rettorica si contengono come dicemmo da principio due cose principali che sono gli ornamenti della oratione con le parti di essa. Comprende dunque l'epilogo la benevolenza dell'uditore, la amplificatione, la commotione degli animi et l'essamenatione delle cose dette.  Lettione. Proemio nella Rettorica d'Aristotele. Se dalle operationi si conosce la nobiltà della cosa niuna è più propria a manifestare l'eccellenza dell'animo nostro che quell'istessa la quale da gl'animali irragionevoli ci fa differenti. E' l'huomo mercé della divina bontà di molti doni dotato; onde secondo il Filosofo mediante la parte intellettiva vive sempre desideroso di conoscere la verità. Et Quintiliano seguitando Cicerone afferma che quest'opera è come un germoglio della civile filosofia. Et questo basti haver detto circa i preloquii della Rettorica. Qui fa fine Aristotile al trattato delle fedi senz'artificio et al primo libro della sua Rettorica. Intorno all'espositione della quale mi sono affaticato, per dar maggior luce et agevolezza a voi più giovani accademici nell'apprender da questo famoso filosofo i precetti dell'arte poetica. Il fine della dichiaratione del primo libro della Rettorica. Proloquii nella Rettorica d'Aristotele. Proemio. E' lodevol cosa di tutti i buoni espositori et massime di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque trattato che eglin si metton ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima cagione, per chiarezza et intelligenza delle cose che si devon trattare, et molti son questi de quali si fa maggior o minor copia secondo la qualità de trattati. Onde si vede che questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti dunque benigno lettore, poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione.  Quel che nel poeta possa più l'arte o la natura. Delle parti del poema. Della poetica come metodo. Delle parti della poesia come metodo. Ne metodi ben ordinati il principio e comincia dalle cose che per ordine di natura procedono et questo ordine è di più maniere perché o egli è di perfettione, o di origine. Resta solo per dar fine a questo trattato che noi aggiunghiamo le considerazioni della musica delle quali col tempo piaccendo a dio da cui ogni mia attione riconosco, un'altra volta ne scriveremo. Magl. Cl. Rettorica e Poetica d'Aristotile tradotte e spiegate da Filippo Arrighetti canonico fiorentino. Il testo del vol. I.com. con questo titolo, "Proloquii nella Rettorica d'Aristotele recitati nell'Accademia delli Svegliati in Pisa". Cart., autogr., in fol. Leg.in mezza membr. Già della Bibl. Mediceo. Palatina. Precede il vol. I la tavola delle materie (lezioni, proloqui e versioni). II,I,22.(Magl.CI). Il titolo è di a Lezioni, relazioni e ricordi varii. Ma il vol.contiene "Lettione del Piacere recitata nell'Accademia degl'Alterati da Filippo Arrighetti accademico detto il Fiorito" (fol. 1-6). Lezione «DelRiso» delmedesimo (fol.7-10). Lezione sull'In gegno, del medesimo (fol.13-27). «Notitiaetincontridelviaggiodel R. card. di Firenze Legato in Francia l'anno 1596 » (fol. 29-31). Propositi tenuti da S. M. tả (Enrico iv] alli signori del suo Parlamento in presenza del suo Consiglio et de Duchi et Padri di Francia » (fol. 33 34). « Lettera in materia delle cose di Francia e de Ghisi » (fol. 35 45). « Lettera del Re di Navarra [Enrico iv) ai tre Stati del Reame di Francia » (fol. 50-58): in fine è la data 4 marzo 1589. Cart., infol., sec.XVII, autogr.dafol.1-6,f.79. Leg. inmezza membr.Proviene dalla Bibl. Mediceo-Palat. II,I,23. (Magl.CI.VI, num.15). G. MAZZATINTI Manoscrilli delle biblioleche d'Italia, viii. (Carlo di Tommaso Strozzi, num.581.  at:interlocutori SaccenteeFrinfri(fol.60-71).— «Ricordian l'Alchimia u tichi.Autore Iac. Petribonifiorentino» (titolo del sec.XVII). Precede na nota dei Gonfalonieri di Filippo Arrighetti. Keywords: il piacere, lista di figure rhetoriche --   A Accumulazione Adynaton Agnizione Allegoria Allusione Anacoluto Anadiplosi Anagramma Analogia (retorica) Anastrofe Anfibologia Annominazione Antanaclasi Anticlimax Antifrasi Antilogia Apagoge Apallage Aprosdoketon Arcaismo B Baritonesi C Cacofemismo Cacofonia Captatio benevolentiae Catacresi Catafora (figura retorica) Chiasmo (figura retorica) Clavis aurea Climax (retorica) Concinnitas Correctio D Deissi Diafora Dialefe Dialisi (figura retorica) Diallage Diastole (retorica) Dieresi Difrasismo Dilogia Disfemismo Distribuzione (figura retorica) Dittologia E Ekphrasis Ellissi (figura retorica) Ellissi temporale Enallage Endiadi Endiatri Enfasi Engo Enjambement Entimema Enumerazione Epanadiplosi Epanalessi Epanodo Epanortosi Epicherema Epifora (figura retorica) Epifrasi Epitesi F Fallacia patetica Figura di stile Figura etimologica Figure di suono H Hysteron proteron I Iato Invettiva Ipallage Iperbato Ipocoristico Ipofora Ipotassi Ipotiposi Ironia Isocolon K Kakekotoba Kakemphaton Kenning L Latinismo Leixaprén M Merismo Metalessi Metalogismo Metanoia Metasemema Metatassi N Nemesi storica Neologismo Noema O Occupatio Olofrase Omeoarco Omeottoto Omoteleuto Onomatopea P Palindromo Palinodia Panegirico Paradosso Parafrasi Paragone Paraipotassi Parallelismo Paraprosdokian Paratassi Parequema Paretimologia Parodia Paromeosi Paronimia Paronomasia Patronimico Pleonasmo Polisemia Polittoto Premunizione (figura retorica) Priamel Prolessi R Reduplicazione S Sarcasmo Scarto semantico Senhal Sillessi Similitudine (figura retorica) Simploche Sinafia Sinalefe Sinchisi Sincope (linguistica) Sineddoche Sineresi Sinestesia Sinonimia Sistole Tautologia Tmesi Truismo Umorismo Understatement Variatio Zeugma tipi di discorsi, discorso dimonstrativo, discorso deliberative, discorso di giudizio, imitazione, ornamentation, parte dell’orazione, giovinetti, rettorica per giovinetti, dialettica a la sua convenienza colla rettorica, rettorica come arte, dialettica come arte, l’arte di conversare, filosofia civie, rispondere, argomentare, il fine della retorica, le la rettorica distinta in tre parti, demostrazione, giudizio, buon giudizio, deliberazione, albero della retorica, luoghi retorici, il fine della poesia e il diletto, animale ragionabile, animale non-ragionabile, lucrezio, cicerone, quintiliano, il dire dilettevole, la benevolenza dell’oratore, la benevolenza del conversante, la benevolenza dell’auditore, la benevolenza dell’audienza, principi di rettorica, cicerone sulla rettorica di Aristotele – l’aristotele toscano, aristotele per i platonici di fiorenze, del piacere, della lussuria, dell’onore, dell’ingegno, del riso – Bergson – la felicita come fine – arte e natura – poetica come arte, il poeta e la natura – l’imitazione come fine della poetica, la filosofia e la rettorica. Rettorica e dialettica, universalita fra i uomini, la villa di Giulio di Filippo Arrighetti – Filippo Arrighetti, canonico, detto il Fiorito – pseudonimo, figura retorica, Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arrighetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Artemidoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Expelled from Rome. A close friend of Plinio Minore, who admired him greatly and supported him after he was one of the philosophers expelled from Rome. Plinio describes him as a s a man of sincerity and integrity, as someone ho lived a frugal and disciplined life, and as someone who faded physical hardship with indifference.

 

Grice ed Aruleno – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Quinto Giunio Aruleno Rustico --  Of the porch. Specialised in political philosophy. He actively supported the opposition of the Porch and was condemnded to death by Domiziano, for publily defending the activities of Thrasea Paetus and Helvidius Priscus.

 

Grice ed Asclepiade – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Based in Rome, he was a member of the Accademia. He wrote a book on the immortality of the soul based on his interpretation of certain pronouncements of the oracle of Apollo at Delphi.

 

Grice ed Asclepiade – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Friend of Lactanzio. Wrote a book on Providence.

 

Grice ed Asclepiade – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He developed a new approach to medicine by introducing ideas on atomism.

 

Grice ed Assiopisto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano.  Epicarmo.

 

Grice ed Assunto – i nazareni – filosofia italiana – Luigi Speranza (Caltanissetta). Filosofo italiano. Grice: “I like Assunto; of course in Italy they take aesthetics seriously; my wife would say that they ONLY take aesthetics seriously! And I would correct her, ‘You mean that they take only aesthetics seriously,’ and she would re-correct me, ‘Whatever, dear.’” – “Anyhow, Assunto is best known in Italy as a historian, but he fails to see that when at Clifton we speak of the classics we mean the timeless – my timeless meaning was meant as a Cliftonianism! So Assunto is lacking background when he equates classicism, or worse, neo-classicism of the Canova type popular in London, as dealing with ‘l’antichita’ – that would have offend Canova: his statues were meant to represent Platonic timeless ideas or ideals!” Grice: “Gilbert and Leighton are very explicit about this in ‘The Artist’s Model’!” “Then Assunto thinks he can play with a fictiotious dichotomy between ‘l’antico’ and ‘il non-antico.’” Grice: “I treasure Millais’s slogan that at the Royal Academy, he had to do only TWO things: draw naked men ‘from nature’ – or draw naked men ‘dall’antico’!” – Grice: “As Millais suddently realised: ‘We found out that there were no English types that would represent the ‘antico’, or timeless ideal, so we had to deal with Italian models!” -- L'uomo che contempla il giardino vivendo il giardino [...] solleva se stesso al di sopra della propria caducità di mero vivente.»  -- Ontologia e teleologia del giardino). Ha compiuto i suoi studi secondari presso il Liceo Classico di Caltanissetta nella sua città natale. Laureato in Giurisprudenza è stato avviato alla filosofia da Pantaleo Carabellese professore di filosofia teoretica presso l'Roma.  È stato docente di Estetica a Urbino dal 1956 e titolare dal 1981 della cattedra di Storia della filosofia italiana presso la Facoltà di Magistero a Roma.  «Il suo insegnamento è anticonformista, fortemente intriso di contraddittorio. Ma forse proprio per questo motivo, quando arriva il Sessantotto, il filosofo sceglie la via della controrivolta: quella che passa attraverso l'élite. Rifiuta di adeguarsi al voto politico, si oppone ai collettivi e agli insegnamenti assembleari. I suoi allievi non si oppongono al suo rifiuto, anzi con questo comportamento Assunto riesce ad attirarsi la stima di molti esponenti del Movimento studentesco. Talmente rivoluzionario da divenire reazionario, Rosario Assunto dagli anni Settanta in poi avrà un atteggiamento sempre più schivo...»  Un isolamento, il suo, iniziato col Sessantotto, ma poi sempre più accentuato; infine, si chiuse nei suoi studi e nelle sue speculazioni dopo la morte della moglie, la storica dell'arte Wanda Gaeta, molto amata («Sono la fotocopia di lei, che è stata uccisa dal mio stesso male»).  A Roma fu molto amico di Giulio Carlo Argan pur contrastando le sue idee politiche.  Pensiero Rosario Assunto, interessato ai temi estetici della filosofia da un punto di vista storico e teoretico li ha trattati non solo come tipici della filosofia dell'arte e del bello ma considerandoli coincidenti con la filosofia stessa giudicata come pura estetica. Egli si rifà a Baumgarten, Cartesio, Leibniz, Kant esaminati soprattutto per la loro concezione dell'uomo e del suo rapporto con la natura. Una visione tradizionalista della filosofia, proprio nel momento in cui l'estetica si rivolgeva alla semiotica, che isolò Assunto soprattutto in Italia, mentre in Germania veniva tradotto e apprezzato.  Assunto ha rappresentato una delle voci più significative all'interno del dibattito filosofico estetico del Novecento. Vivamente interessato all'estetica dei giardini anticipa largamente nelle sue opere alcuni rilevanti concetti per la riflessione più recente, come per esempio quello di "estetica del paesaggio", che hanno ispirato i temi ambientalisti sulla tutela e conservazione del paesaggio, naturale o elaborato dall'uomo, che egli definisce «Spazio limitato, ma aperto; presenza, e non rappresentazione, dell'infinito nel finito».  Altre opere: "Civiltà fascista"; “Il teatro nell'estetica di Platone, in "Rivista italiana del teatro"; Curatela di Heinrich von Kleist, Michele Kohlhaas, Torino, Einaudi); “Essere e valore nella filosofia di C. A. Sacheli, in "Rivista di storia della filosofia"; “L'educazione estetica, Milano, Viola); “Educazione pubblica e privata, Milano, Viola); “La pedagogia greca, Milano, Viola); “Forma e destino, Milano, Edizioni di comunità); “L'integrazione estetica. Studi e ricerche, Milano, Edizioni di comunità); “Teoremi e problemi di estetica contemporanea. Con una premessa kantiana, Milano, Feltrinelli); “La critica d'arte nel pensiero medioevale, Milano, Il saggiatore); “Estetica dell'identità. Lettura della Filosofia dell'arte di Schelling, Urbino, STEU); “Giudizio estetico, critica e censura. Meditazioni e indagini, Firenze, La nuova Italia); “Stagioni e ragioni nell'estetica del Settecento, Milano, Mursia); “L'automobile di Mallarmé e altri ragionamenti intorno alla vocazione odierna delle arti, Roma, Ateneo); “L'estetica di Immanuel Kant, una antologia dagli scritti a cura di, Torino, Loescher); “Hegel nostro contemporaneo” (Roma, Unione italiana per il progresso della cultura); “Il paesaggio e l'estetica I, Natura e storia, Napoli, Giannini); Arte, critica e filosofia, Napoli, Giannini); “L'antichità come futuro. Studio sull'estetica del neoclassicismo europeo, Milano, Mursia); “Ipotesi e postille sull'estetica medioevale. Con alcuni rilievi su Alighieri teorizzatore della poesia, Milano, Marzorati); “Libertà e fondazione estetica. Quattro studi filosofici, Roma, Bulzoni); “Intervengono i personaggi (col permesso degli autori), Napoli, Società editrice napoletana); “Specchio vivente del mondo. Artisti in Roma” (Roma, De Luca); “Hohenegger. Esploratore del possibile” (Roma, De Luca); “Infinita contemplazione. Gusto e filosofia dell'Europa barocca, Napoli, Società editrice napoletana); “Filosofia del giardino e filosofia nel giardino. Saggi di teoria e storia dell'estetica, Roma, Bulzoni); “La città di Anfione e la città di Prometeo. Idea e poetiche della città, Milano, Jaca); “La parola anteriore come parola ulteriore, Bologna, il Mulino); “1. Il parterre e i ghiacciai. Tre saggi di estetica sul paesaggio del Settecento, Palermo, Novecento); “Verità e bellezza nelle estetiche e nelle poetiche dell'Italia neoclassica e primoromantica, Roma, Quasar); “Ontologia e teleologia del giardino, Milano, Guerini); “Leopardi e la nuova Atlantide, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa-Edizioni scientifiche italiane); La natura, le arti, la storia. Esercizi di estetica, Milano, Guerini studio); “Giardini e rimpatrio. Un itinerario ricco di fascino attraverso le ville di Roma, in compagnia di Winckelmann, di Stendhal, dei Nazareni, di D'Annunzio, Roma, Newton Compton); “La bellezza come assoluto, l'assoluto come bellezza. Tre conversazioni a due o più voci, Palermo, Novecento); Il sentimento e il tempo, antologia Giuseppe Brescia, Andria, Grafiche Guglielmi, 1997. Note  Rosario Assunto, Ontologia e teleologia del giardino, Guerini e Associati, 1994,  978-88-7802-513-4.  Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. 24 agosto  26 agosto ).  Paola Nicita, Assunto scandaloso esteta, La Repubblica, 13 maggio 2006  Cutinelli-Rendina, Emanuele, Il Sessantotto di Rosario Assunto, Ventunesimo secolo: rivista di studi sulle transizioni: 22, 2,, Soveria Mannelli: Rubbettino,.  Op. cit. ibidem  Assunto scrisse contro il progetto politico della realizzazione del ponte di Messina  Antonio Debenedetti, Rosario Assunto, filosofo delle forme, Corriere della Sera, 25 gennaio 1994, p.27  Claude Raffestin, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio, Alinea Editrice, 2005 p.90  Marisa Sedita Migliore, Il giardino: mito estetico di Rosario Assunto, Società Dante Alighieri, 2000. Teresa Calvano, Viaggio nel pittoresco: il giardino inglese tra arte e natura, Donzelli Editore, 1º gennaio 1996,  139–,  978-88-7989-218-6. Claudia Cassatella, Enrica Dall'Ara e Maristella Storti, L'opportunità dell'innovazione, Firenze University Press, 2007,  191–,  978-88-8453-564-1. Francesca Marzotto Caotorta, All'ombra delle farfalle. Il giardino e le sue storie, Edizioni Mondadori,,  207–,  978-88-04-61114-1. Domenico Luciani, Luoghi, forma e vita di giardini e di paesaggi: Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino, 1990-1999, Fondazione Benetton Studi Ricerche, 2001. Pier Fausto Bagatti Valsecchi e Andreas Kipar, Il giardino paesaggistico tra Settecento e Ottocento in Italia e in Germania: Villa Vigoni e l'opera di Giuseppe Balzaretto, Guerini, 1º gennaio 1996,  978-88-7802-665-0. Emanuele Cutinelli-Rendina, Il Sessantotto di Rosario Assunto (con un carteggio inedito), in «Ventunesimo secolo», VI (2009),  45-57. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Rosario Assunto Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Rosario Assunto Opere di Rosario Assunto,. Rosario Assunto, su Goodreads. Filosofia Filosofo Professore1915 1994 28 marzo 24 gennaio Caltanissetta Roma. Rosario Assunto.  Keywords: i nazareni, massimo, sala dante, koch, civilta, civilta fascista, theorie des schoenen; D’Annunzio, i Nazareni, I nazareni, pittori germani a Roma, Casino del marchese Carlo Massimo, Aligheri, Tasso, Ariosto. D’Annunzio, la preservazione dei Giardini antichi, villa, giardino di villa, giardino di palazzo, estetica del giardino, il giardino e il uomo, giardineria, filosofia del giardino, il giardino di Epicuro a Roma. Horto di Epicuro – il giardino d’Epicuro (non di Epicuro). Hortus, orto romano, i Scipione e la filosofia a Roma dopo Carneade – filosofia al giardino – filosofia nell’orto – orto italiano, giardino italiano, orto romano, simmetria, “teatro, cinematografo, radio” “sono tre simboli ideali” – “Civilta” – “estetica del teatro in Platone” assunto — annunzio —  i nazareni a roma — il giardino d’epicuro — “teatro, cinematografo, radio” — teatro nell’estetica platonica — schelling — il bello — intro alla fondazione della metafisica dei costumi — natura ed arte — roma città — giovanni gentile —  --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Assunto” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Asteas – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Pytthagorean according to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”).

 

Grice ed Astilo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”.

 

Grice ed Astone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Aston was a Pythagorean. According to Diogene Laerzio, there was a view that Aston was the true author of some works attributed to Pythagoras.

 

Grice ed Astorini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Albidona). Filosofo Italiano. Grice: “I like Astorini, but more so does Sir Peter, vide his section on ‘Space’ in “Individuals: an essay in descriptive metaphysics”: ‘Surely we wouldn’t have space as we know it if it were not for Astorini.” La vivacità del suo ingegno, e il desiderio di apprendere cose nuove, lo induce a spogliarsi de' pregiudizi del secolo, e a studiare attentamente i filosofi, conosciuta la forza delle loro ragioni, ardì dichiararsi nemico del Peripato; al che avendo congiunto lo studio delle lingue ebraica e siriaca, ei cadde presso alcuni in sospetto di novatore, e per poco non si attribuì ad arte magica ciò che era frutto del raro suo ingegno e del suo instancabile studio.” Alcuni considerano i paesi di Cirò o di Cerenzia la sua patria. Si ritieneno deboli gli argomenti esposti da un ingegnoso filosofo di Cirò  il quale volle onorare la sua patria della sua nascita. Molti filosofi presero a difendere l'autorità del romano pontefice e a sostenere la chiesa romana contro i nimici della medesima. Uno solo, Astorini, ne accennerò per amore di brevità, con tanto maggior vigore si accinse a difenderla, quanto più avea per sua sventura potuto comprendere la debolezza dell'armi con cui essa era oppugnata. Vari luoghi della Calabria Citeriore han preteso all'onore di aver dato i natali a questo insigne filosofo, ma noi crediamo rimuovere ogni dubbio intorno al luogo di lui natìo, seguendo in questo punto l'opinione di Zavarrone, il quale afferma esser egli nato nella Città di Cirò, detta anticamente Cremissa, luogo non ignobile del Paese de' Bruzi, dove questa famiglia vive ancor oggi onorevolmente. «Molti scrittori di materie ecclesiastiche rilussero in questo secolo, e fra i più celebri si annoverano: primo, Astorini. Studia con il padre Diego, medico in loco, la grammatica, la retorica e la lingua greca. Si trasferì a Cosenza per completare gli studi e poi a Napoli per apprendere gli studi di filosofia, e di teologia a Roma, dove fu insignito dalla corte papale del compito di scrivere alcuni annali. In questo periodo pubblica “De vitali aeconomia foetus in utero”. Pubblicò alcuni saggi di matematica e geometria, come gli “Elementa Euclidis ad usum...nova methodo et compendiare olim demonstrate” e un “Decamerone pitagorico”. Dopo alcuni anni lascia l'Italia per raggiungere la Svizzera e la Germania, ma in quei territori, come la città di Groninga, riscontra una notevole influenza religiosa protestante e poiché il conversar co' i filosofi protestanti gli fece conoscere chiaramente che fuor dalla chiesa di Roma non v'e unità di fede, decise di tornare in patria -- Terranova, feudo del paese di Tarsia.  Note  Giacinto Gimma, Elogi Accademici Della Società Degli Spensierati Di Rossano, Troise, 1703. 7 dicembre.  Si tratta di Francesco Zavarrone (Montalto Uffugo, 1672Roma, 1740), religioso dell'ordine dei Minimi e teologo al servizio di illustri politici, come Augusto III re di Polonia e pontefici. Fu lettore del collegio urbano Propaganda Fide e consultore del Tribunale dell'Inquisizione.  Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, Parte I, Libro III, par. V ("Notizie e opere delElia Astorini"), Firenze: Molini, Landi e C.o,  110-11, 1812 (Google libri) Pietro Napoli-Signorelli, Vicende della Coltura nelle Due Sicilie o sia storia ragionata, 1784  9781145973954 Niccolò Morelli di Gregorio, Pasquale Panvini (Domenico Martuscelli), Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti, N. Gervasi. Falcone, Biblioteca storica topografica delle Calabrie (seconda edizione), 1846  9781104076337  Elia Astorini, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Elia Astorini, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Filosofi italiani del XVII secoloMatematici italiani Professore1651 1702 5 gennaio 4 apriled Albidona Terranova da SibariCarmelitani. Altre opere: "De Vitali Oeconomia foetus in utero" (Groninch); "Elementa Euclidis ad usum novæ Academiæ Nobilium Senensum, nova methodo, & compendiariè demonstrata" (Stampat. in Sienna e di nuovo Neap., apud Felicem Mosca in 8); "Prodromus Apologeticus"; "De Potestate Sanctæ Sedis Apoftolicæ"; "De Vera Ecclesia Jesu Christi, contrà Lutheranos,& Calvinianos,  libri tres" (Neap. apud de Bonis, in 4); "Apollonij Pergæi Conica, integritati suæ, ordini, atque nitoripri stino restituta" (Neap. in 4); "De Recto Regimine Catholicæ Hierarchiæ"; "Ars Magna Pythagorica"; "Philosophia Symbolica"; "Archimedes restitutus"; "Decameron Pitagorico"; "Il consenso, e dissenso delle tre Gramatiche Ebraica, Arabica, e Siriaca; e'l modo facilissimo per apprenderle ciascheduno da se stesso in breve tempo"; "Commentaria ad Scientiam Galilæi de Triplici Motu". La movimentata vicenda biografica di Astorini aonda le radici in una formazione cosmopolita e interdisciplinare, iniziata in Calabria sotto la guida del padre e proseguita accanto allo zio Tommaso Cornelio, esponente del fronte de inovatores nella Napoli di metà secolo. Fu per lui naturale ripudiare la filosofia scolastica e aderire alle teorie dei moderni, da Galilei a Cartesio, Hobbes e Gassendi, teorie che diuse a Cosenza e tra i filosofi nobili in varie località del viceregno e che gli recarono grande notorietà. Al termine di un lungo viaggio in Svizzera, Germania e Paesi Bassi durante il quale si fece apprezzare per le non comuni capacità didattiche,visse alcuni anni tra Firenze e Siena, dove frequenta i principali esponenti della cultura umanistica e scientifica toscana, da Magliabechi a Redi e Viviani. Ritornato nel viceregno per dedicarsi alla pubblicazione di numerose opere, si pone sotto la protezione di D. Carlo Francesco Spinelli Principe di Tarsia, ed anche d'Orsini, avvezzi amendue a favoreggiar letterati. Per l’ampiezza dei temi arontati, sua "Philosophia Symbolica puo giovarsi del ricco patrimonio librario custodito nella biblioteca di Spinelli. Il testo e diviso in dialoghi nei quali sono illustrati tutti gli antichi sistemi filosofici, colle dimostrazioni matematiche e colle osservazioni fatte in varie accademie, ed erudizioni prese da' filosofi latini." Sebbene varii luoghi della Calabria‘si contendano la patria dello Astorino, pure l’opinione più comune de’ suoi biografie, che egli sia nato a Cirò e fu nel battesimo nomato Tommaso Antonio. Fu gli padre un Diego Astorino professore di medicina reputatissimo in Albidona, ove da questi il figliuolo apprese la grammatica, la lingua greca e la rettorica. Studia quindi in Napoli e Roma la filosofia aristotelica, in che acquista tale riputazione, che gli venne permesso di scrivere a fronte delle sue conclusioni il motto: de/‘elndet ipse solus. Morto il genitore ripatrio per assestare i suoi dome stici affari, e iotè frai libri e fra le conversazioni dei suoi concittadini, dopo non lievi meditazioni, darsi tutto alle dottrine filosofiche del Telesio, ed alla libera maniera di ragionare. Era cosi istrutto nelle lingue greca, latina, ebraica, siriaca ed araba, che ne compose le relative grammatiche. E si disse,secondo l’andazzo de’tempi, e fu accusato lotto per magia; ma ei pote discolparsi dalla bassa calunnia, e percorrere per ben tre volte l’ltalia, ovunque acquistandosi e fama ed amicizia. Nominato a reggente di filosofia a Cosenza, fu da qui il propagatore della moderna filosofia per le calabrie; come lo fu altresi della città di Penne per gli Abruzzi. Invitato in Roma, vero o supposto che vi sfinfermasse, egli invece dimoro per qualche tempo in Albano. Ritenuto a Bari da alcuni nobili filosofi, che lo vollero a maestro, ebbe a cominciare in quella Chiesa di S. Nicolo il suo annuale di prediche; ma le convinzioni libere che egli spacciava, gli mossero fiera persecuzione. Sicclie passò in Zurigo, ed indi in Basilea, ove non dimore che un solo aniie. Pescia recessi nel Palatinato, donde si trasferì nell’Assia, dove fu costituito Maggiore ossia Vice Prefetto dell'Universita di Marburgo con la facoltà d’ insegnar filosofia, dacche non essendo dottorato non avrebbe potuto insegnarla. In stabile sempre si condusse dappoi in Groninga, e da quella Repubblica ebbe l'incarico di insegnar filosofia e quivi a spese del Senato fu dottorato, nel quale anno pubblico il suo saggio, "De vitali oeeonomia foetus in utero", in cui sostenne la opinione, non per ance in quell’era divulgate, della generazione dell'uome. Scorgendo intanto, che iteo legi della Chiesa riformata. fra le mille contese religiose si laceravano, penso ritornarsene fra’cattolici in ltalia; e d’Amburgo chieseil condono d’ogni apostasia; il che ottenuto dal S. Uffizio, recatosi presso il Vescovo di lilunster‘ fece solenne abiura, e si porto in Roma, onorevolmente accolto, ed inviato in Pisa come predicatore generale. Dopo un anno da Pisa si tradusse in Firenze, ove si acquista il favore del Granduca, e si concilio l’amistà fraternevele del Redi, del Viviani, del Marchetti e d’altri molti filosofi. In Siena, dove recessi come professore di filosofia, coopera efficacemente alla istituzione dei Fisio-Eritici, e ne fu eletto Principe e Censore perpetuo. Qui pubblica nel medesimo anno: Eiementft Euclidis nova methodo demostraiei. Ritornato in Roma fu inviato a Cosenza col grado di maestro in filosofia, e di prefetto degli studii. Ma riaccesigliodiisempre a cagien de’ suoi meriti, si ritira in Cervinara nel Principato Ulteriore; e da la spesso recandosi in Napoli ebbe a cenciliarsi la stima di Carlo Spinelli principe di Tarsia, il quale per Paifetto che portava all'Astorino (e per rimuoverlo dalla tristezza in che era caduto per la morte di Francesco Mainerio Astorino) lo indusse a recarsi in Terranova, deputandolo custode della sua scelta biblioteca. Fu questa l'ultima residenza, perocchè vi mori. Sono del pari sue opere stampate: Apollonii Pergei conica integritati suae ac nitori restituta" (Nap.); "De potestate S. Sedis apos-tolicae, Siena); "De‘nera Ecclesia Christi disciplina, libri tre Nap.). Fra i molti altri saggi che lascia si commendano: "Philosophia symbolica iuxta propria principia, in dialoghi"; "Ars magna Pythagorica," una specie di enciclopedia scientifico-universale; "Decamerone Pitagorico", in verso,  diviso in dieci giornate, e contenente tutta la filosofia naturale pitagorica in forma di satire in verso sciolto bernesco; "Commentario, ad scientiam Galilaei de tripliei motu"; "Archimedes restitutus"; "De reato reyimine Catholi caelticr archiae; "De vita Christi"; Apologiapro fitte catltolica, che divisava di dedicare a Filippo di Spagna. Parlano con somma lode di questo dotto filosofo il Cimma, il Zavarroni, l’Amato, l'Aceti, il Mazzucchelli, l’(lriglia, il liraboschi, il d’ Alllitto, il Signo relli, i Dizionarii storici, e per tacer‘ di tanti altri,. il Cantù. ASTORINI, Elia. - Nacque il 3 genn. 1651; è incerto se a Cirò, feudo degli Spinelli principi di Tarsia che lo protessero nelle ultime fortunose vicende della sua vita (Zavarroni), o ad Umbriatico oppure ad Albidona (Gimma), dove il padre Diego esercitò la professione di medico e dove sicuramente egli trascorse gli anni dell'adolescenza. Sedicenne, nel 1667, entrò fra i carmelitani dell'antica osservanza, mutando il nome di Tommaso Antonio in quello di Elia. Completò gli studi di filosofia aristotelica a Napoli nel convento dei Carmine Maggiore (dove appartenne all'Accademia degli Incauti) e a Roma quelli di teologia. La morte del padre lo richiamò in Calabria, nell'ambiente familiare.  Stando ai suoi biografi, in questi anni (1670-75) si colloca la sua prima crisi spirituale che investe il campo delle dottrine filosofiche acquisite: un radicale atteggiamento antiperipatetico lo avrebbe indotto a formarsi un sistema eclettico platonico-pitagorico e meccanicistico-materialistico, quest'ultimo ispirato dalla lettura delle opere di Galilei, Gassendi, Cartesio, Mersenne, Hobbes. Più prechaniente. possiamo dire, sulla base degli elementi desumibili da taluni suoi scritti, che egli riprese il pensiero dei suoi conterranei, del famoso "notomista" Marco Aurelio Severino, erede delle speculazioni campanelliane e delle teorie fisiognomiche del Della Porta; di Carlo Musitano, che aveva accolto le posizioni dei "moderni" come elaborate dalla napoletana Accademia degli Investiganti; e soprattutto di Tommaso Comelio, del quale l'A. amò più tardi dichiararsi nipote (cfr. Giornale de, Letterati del 1692..., p. 119).  La crisi non gli impedì tuttavia di raggiungere il sacerdozio nel 1675 e di divenire, nel 1680, reggente degli studi e lettore di filosofia e teologia nel convento dei suo Ordine a Cosenza. Ma i confratelli, nella congregazìone della provincia di Calabria, il 26 aprile dell'anno successivo, gli si ribellarono apertamente chiedendo al generale la sua sostituzione. Rivalità locali, come il contrasto tra l'A. e il provinciale P. T. Puglisi, adombrano l'inquietudine intellettuale del giovane religioso e le resistenze di metodi tradizionali di studio. Sospeso dall'insegnamento, penitenziato nel carcere della curia arcivescovile di Cosenza durante il 1682, l'A. è infine inviato a Roma per un giudìzio definitivo da parte deì superiori dell'Ordine. Dopo un breve ciclo di predicazìone si ritira ad Albano: non si sa se per punizione inflittagli o per motivi di salute. Ha comunque ìnizio adesso il momento più ambiguo e per taluni aspetti più oscuro della sua vita.  Nel 1683 passa a Bari, dove stringe amicizia con G. Tremigliozzi, seguace del gassendista Sebastiano Bartoli e del Cornelio e fondatore in quello stesso anno dell'Accademia dei Coraggiosi, bandìtrice delle nuove dottrine antigaleniche nel settore delle scienze mediche. Partecipò alle polemiche del Tremigliozzi in difesa del Musitano e compose un "epitafio" sulla "materia prima" per quella Nuova Staffetta del Parnaso circa gli affari della medicina...dirizzata all'illustrissima Accademia degli Spensierati di Rossano, Francoforte 1700, che ad opera del Tremigliozzi costituì una convinta difesa del metodo sperimentale degli Investiganti contro la metodologia cartesiana. A Bari conobbe il Gimna, che sarà il suo più diffuso biografo, al quale avrebbe mostrato vari suoi lavori manoscritti (tra essi un'Ars magna trigonometrica di cui si dirà più avanti). Predicò a S. Nicola e visse nel convento carmelitano barese dal quale poco tempo prima era fuggito, apostata in Svizzera, il priore Angelo Rocco. Se dietro esempio del Rocco o per raggiunta maturazione della sua crisi, è certo comunque che di lì a poco l'A., rotto ogni indugio, depose l'abito religioso e riparò anch'egli oltr'Alpe.  Da Zurigo raggiunge Basilea, dove nell'ottobre del 1684 presenzia a esperimenti. di medicina di J. J. Harder (Apiarium observationibus medicis... refertum,Basileae 1687, pp. 28, 47, 110) e dove rimane circa un anno seguendo anche i corsi di teologia di J. R. Wettstein (non si sa se il padre, morto nel 1684, o il figlio succedutogli nello stesso anno sulla cattedra). Sostò nel Palatinato presso il principe elettore Carlo fino alla morte di lui (26 maggio 1685), per trasferirsì poi, nel suo peregrinare da università ad università, a quella di Marburgo dove divìene viceprefetto con facoltà di insegnare filosofia pur non essendo addottorato (stando al Gimma, ma la notizia non trova conferma nel Catalogus professorum Academiae Marburgensis 1527-1910, a cura di F. Gundlach, Marburg 1927). A Marburgo prosegue con fervore gli intrapresi studi di medicina ascoltando le lezioni del rettore J. J. Waldschmiedt. Nel 1686, dopo un breve soggiorno a Brema, è a Groninga: insegna matematica nel collegio dei nobili cadetti francesi e si laurea in medicina, il 1° novembre, con la dissertazione De vitali oeconomia foetus in utero,Groningae 1686 (pubblicata sotto il nome di Tommaso Antonio), che pare sottendere nello studio del problema della fecondazione, oggetto allora di discussione tra "ovisti" e "animalculisti", le preoccupazioni speculative dell'autore, volte sulla scia del Severino e più del Bartoli alla ricerca del "principio" vitale e formativo dell'embrione.  Durante il soggiorno in Olanda, tra il 1686-88, si ha notizia vaga di una sua partecipazione alle polemiche religiose nell'ambito del calvinismo: la difesa che egli assume del cattolicesimo preannunzia un suo più meditato ritorno all'antica fede. Attaccato pubblicamente dai ministri calvinisti, si rifugia ad Amburgo. Qui una sua lettera al S. Uffizio, con la richiesta di poter ritornare in Italia, gli procura una benigna risposta da parte del cardinale Lorenzo Brancati di Lauria e un salvacondotto. Assolto dal vescovo di Münster il 13 dic. 1688, è a Roma il 13 marzo dell'anno successivo.  Riammesso nell'Ordine, predicò a Pìsa e, nel 1690, la quaresima a Firenze. Conobbe allora A. Marchetti, cui dovette unirlo l'interesse per la filosofia "corpuscolare" e che lo presentò al Magliabechi, il Redi, cui lo legò la comune curiosità per il problema della generazione, e il Viviani. là questo, tra il 1691-94, il periodo culturamente più felice dell'Astorii.  Nel 1691, per interessamento del principe Gian Gastone de, Medici, ottiene la cattedra di matematica nella Nuova Accademia dei nobili senesi: per l'insegnamento prepara un'edizione degli Elementa Euclidis ad usum Novae Academiae Nobilium Senensium nova methodo et succincta demonstrata..., Senis 1691,dedicata al principe protettore. Ma la prefazione è indirizzata al Redi, e in essa l'A. chiarisce il proprio metodo ("... etiam proportiones ipsas, quarum nimis longa est series, redigerem. ad acquationes, more Analystarum", p. X) ed esalta la matematica in funzione dello sviluppo delle scienze naturali, concludendo con un elogio della scuola scientifica toscana, dal Galilei al Redi al Torricelli al Viviani al Marchetti al Bellini al Malpighi. Il Redi lo ringraziò (v. lettera del 18 sett. 1691, edita in Gimma, p. 413), promettendo di intervenire nuovamente presso Gian Gastone: il che dovette procurare all'A. la cattedra straordinaria di filosofia naturale nell'università di Siena, che resse dal 5 nov. 1692 al 3 apr. 1694.  Intanto, nel 1691, l'A., con Pirro Maria Gabrielli e Teofilo Grifoni, è tra i fondatori dell'Accademia dei Fisiocritici e ne diviene "principe perpetuo" (v. lettera del Redi al Gabrielli del 6 ott. 1691, in Redi, Opere,VIII, p. 56).Dalle lettere che l'A. indirizzò m questo tomo di tempo al Maghabechi desumiamo molte preziose notizie circa i rapporti tra cultura filosofica e scientifica meridionale e tradizione sperimentale toscana, rinnovando l'A. quell'incontro che per la generazione -precedente era stato compiuto a Pisa dalla scuola iatromeccanica,di G. A. Borelli. Il rapporto ideale tra le due culture è anzi tanto stretto che l'A. teme per quella toscana, le ripercussioni della lotta scoppiata a Napoli contro la filosofia "moderna" (processo degli ateisti): "In Napoli vi sono di gran rumori: mi scrivono che sia stata origine la dottrina di Tomaso Comelio e che già la modernità va sossopra. Mi dispiace per diversi capi, benché io non dubiti esservi framischiate delle calunnie degli emoli aristotelici e galienisti, e molto più mi dispiace per essersi già qui in Siena eretta un'Accademia fisicomedica tutta moderna e per esserne io stato eletto principe perpetuo. L'abbiamo celebrata due volte con l'intervento di tutta la più dotta nobiltà, ma adesso ci siamo raffredati non sapendo dove vadano a terminare le faccende" (al Magliabechi, Siena, novembre 1691). Sotto la guida dell'A. l'Accademia poté tuttavia continuare con tranquillità le riunioni "colla metodo de' Progimnasmi [i Progymnasmata Physica] di Tomaso Comelio" (al Magliabechi, Siena, 15 nov. 1691).  L'A. sperò contemporaneamente di raggiungere una sistemazione migliore: ambì (1691) al titolo di maestro di teologia e sollecitò, tramite il Magliabechi, un intervento del Malpighi, per il momento senza successo (divenne maestro il 13 marzo 1693);compose, mettendo a frutto la sua diretta esperienza del mondo protestante, un Prodromus apologeticus de Potestate sanctae Sedis Apostolicae, Senis 1693,dedicato al cardinale Francesco Maria de' Medici (ristampato in J. T. Roccaberti, Bibliotheca maxima pontificia, XI, Romae 1698),introduzione a una progettata serie di dissertazioni controversistiche, che però non si distacca dalla consueta letteratura dei tempo; dedica tuttavia il meglio della propria attività ancora al settore scientifico, apprestando, tra l'altro, l'edizione delle Coniche di Apollonio, con la quale per suggerimento del Redi e del Viviani intese completare e sistemare l'edizione già apprestata dal Borelli con l'aiuto di Abramo Echellense (Firenze 1661), e stendendo uno scritto di meccanica (Commentaria ad scientiam Galilaei de triplici motu), rimasto inedito.  Ma ai primi del 1694 l'A. lascia quasi improvvisamente Siena per le non buone condizioni economiche, dati gli scarsi proventi che gli venivano dall'insegnamento, e per le sue precarie condizioni di salute. Il 29 maggio 1694 è a Roma; poi a Cosenza, quale prefetto degli studi e successivamente commissario generale nel suo convento di un tempo. Si riaccendono le persecuzioni a suo danno; le vicende sono ancora più oscure che per gli anni 1680-81, ma gli procurano la protezione del principe di Tarsia, F. Spinelli, presso il quale, a Terranova, dimorò nel 1697, e quella del cardinale Vincenzo Maria Orsini (poi Benedetto XIII), allora arcivescovo di Benevento. Il 12 genn. 1697 chiese il trasferimento dalla provincia di Calabria a quella di Terra di Lavoro nel convento di Cervinara e, in un secondo momento, in quello di Mongrassano. Nel giugno 1698 è però di nuovo prefetto degli studi a Cosenza; il 10 settembre priore del convento di Scala e come tale partecipa al capitolo provinciale del maggio 1699. Eletto priore di Mongrassano, non partecipa al capitolo dell'aprile 1701 per le peggiorate condizioni di salute e rinunzia anche alla carica.  Cura nel frattempo a Napoli la stampa dei De vera Ecclesia Iesu Christi contra Lutheranos et Calvinianos libri tres (1700), degli Apollonii Pergaei Conica (1698?, 1702?) e la ristampa degli Elementa Euclidis, Neapoli 1701.  Il nucleo ispiratore dei De vera Ecclesia... libri tres,abbozzati in parte a Siena e dedicati al principe di Tarsia, ha un reale interesse. L'A., come aveva accennato in una lettera al Magliabechi, appare preoccupato di confutare la tesi protestante circa i fondamenti aristotelici della dottrina cattolica e sostenere invece "la identificazione della nuova linea culturale incentrata sull'umanesimo e sul neoplatonismo con il cattolicesimo" (Badaloni). Sulla linea umanistica viene rivendicata anche la continuità del movimento scientifico del '600italiano. Ma tali motivi accennati nella prefazione sono sommersi, nell'opera, da un denso argomentare tradizionale, in cui tuttavia èmessa a frutto dall'A. la conoscenza dell'ebraico e delle lingue orientali.  Nel chiuso ambiente conventuale, dopo l'esperienza in terra tedesca e in Toscana (durante la quale però sembra che l'A. sia stato spinto più dall'esigenza di contatti e di fresche osmosi scientifiche che non da un meditato approfondimento culturale), accanto a un crescente disagio che lo rende insofferente della disciplina dell'Ordine e lo induce a frequenti viaggi a Napoli per sorvegliare la stampa delle sue opere, riaffiorano nell'A. le preoccupazioni proprie di una formazione e di una tradizione meno aperta e duttile: il pesante enciclopedismo e il gusto mnemotecnico della giovinezza prendono nuovamente il sopravvento sull'inteligenza sperimentale della natura, e l'A. dedica gli ultimi anni della sua vita a studi linguistici, condotti con criteri analogico-combinatori, Il consenso e dissenso delle tre Grammatiche ebraica, arabica e siriaca, e 'l modo facilissimo per apprenderle ciascheduno da se stesso in breve tempo (inedito), e ad elaborare o completare una Philosophia symbolica,sorta di enciclopedia pitagorica di cui probabilmente facevano parte opere che dai biografi ci sono indicate con titoli particolari: un'Ars magna pythagorica, un Decamerone pitagorico (esposizione in rime bernesche della filosofia naturale), una Logica pythagorica seu de natura et essentia rerum (lo stesso che l'Ars magna?).  Degli inediti è conosciuta soltanto l'Ars magna in duas divisa Dissertationes Altera De origine rerum altera De ortu et progressu Scientiarum (ms. 336;copia sec. XVIII, pp. 31 con 4 tavv., della Biblioteca Alessandrina di Roma). La copia fu effettuata dall'erudito calabrese Zavarroni per la Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici diretta da Angelo Calogerà (cfr. acclusa allo stesso ms. una lettera dello Zavarroni al Calogerà del 21 luglio 1739).Probabilmente il carattere in apparenza bizzarro dello scritto dovette dissuadere gli editori dal darlo alle stampe. Esso, almeno nella copia dello Zavarroni, pare l'introduzione a una serie di Dissertationes e non va tout court identificato con l'Ars magna di cui fa menzione il Gimma. Se il De origine rerum,cioè la prima parte del manoscritto, può in qualche modo connettersi ai primi studi dell'A., a escludere che il De ortu et progressu Scientiarum sia uno scritto giovanile contribuiscono il cenno all'edizione postuma dei Progymnasmata del Comelio (1688),il ricordo del Redi e del Viviani, la notizia degli studi compiuti dall'A. sulla scienza galileiana del triplice moto, la notevole conoscenza che l'A. dimostra degli studi di anatonúa, elementi tutti che presuppongono appunto la sua esperienza culturale in Germania e in Toscana.  La prima parte dell'opera, che vuole essere una guida "ad metam naturalis sapientiae", contiene una critica agli schemi mnemotecnici del Lullo e del Kircher e si svolge nell'elencazione di triadi platonico-pitagoriche, alla cui base v'è il presupposto gnoseologico della possibilità di conseguire verità assolute attraverso l'ordine naturale delle idee (poiché nella natura creata v'è una "triplex virtus", "intellectiva, volitiva et effectrix", ad essa corrisponde una "triplex operatio", "interectio, volitio et impetus"' ecc.). Tale schema conduce ovviamente alla critica decisa della definitio logica aristotelico-scolastica che non attingerebbe alla "quidditas rei" come la definitio methaphysica,vagheggiata dall'autore.  La seconda parte è in sostanza una ripartizione delle scienze ancora su base platonico-pitagorica. Da "Sophia" è esclusa la logica, di cui sì ribadisce il carattere meramente discorsivo; ma a "Sophia" appartengono la metafisica (notevoli i cenni platonizzanti circa il rapporto microcosmo-macrocosmo); la fisica, per la quale l'A. si dilunga nella critica all'aristotelismo e al cartesianesimo e nell'esaltazione della filosofia atomistico-gassendiana e dello sperimentalismo galileiano, pur richiamandosi insieme nettamente alla tradizione filosofica meridionale da Bernardino Telesio a Tommaso Cornelio; la politica, per la quale egli esalta l'insegnamento di Platone; l'etica, per cui continuo è il richiamo al pensiero di Hobbes, ecc.  A questo impasto di vecchio e di nuovo, che contrappunta un momento della cultura meridionale e riflette il travaglio di un pensiero l'A. dedicò dunque lo scorcio estremo dei suoi anni, divisi tra la meditazione filosofica e la occupazione di biblìotecario presso il principe Spinelli, a Terranova di Sibari, dove morì il 4 apr. 1702.   Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Naz. Centrale, Magl. CI. VIII,171, Elia Astorini lettere ad Ant.Magliabechi da 25 sett. 1691 a 29 maggio 1694...; Giornale de' Letterati del 1692 e primo di Modena, pp. 118-119; Giornale...dell'anno 1693, pp. 244-246; F. Redi, Opere,VIII,Milano 1811, p. 56; G. Gimma, Elogi accademici della società degli Spensierati di Rossano,I,Napoli 1703, pp. 387-413; A. Zavarroni, Bibliotheca calabra, Neapoli 1753, pp. 172-174; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia,I,2, Brescia 1753, pp. 1194-1196 (riprende dal Gimma); N. Di Cagno-Politi, E. A. filosofo e matematico del sec. XVII,Appunti, 2 ediz., Roma 1890; G. Maugain, Etude sur l'évolution intellectuelle de l'Italie de 1657 à 1750 environ,Paris 1909, pp. 133 s.; A. Grammatico, E. A., O. Carm., insignis disceptator saec. XVII, in Analecta Ord.Carm.,VI(1927-29), pp. 493-515; N. Badaloni Introduzione a G.B. Vico, Milano 1961, p. 225. Elia Astorino. Elia Astorini. Tommaso Antonio Astorini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Astorini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Ateiniano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Nizza). Filosofo italiano. Marco Ateiniano. Filosofo.

 

Grice ed Atenodoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Maestro d’Ottaviano. Atenodoro Cananita. Atenodoro di Tarso Atenodoro di Tarso, o Atenodoro Cananita o Atenodoro Calvo (Cana), è  uno filosofo italiano. Nacque a Cana presso Tarso da un uomo di nome Sandone. Studente di Posidonio di Rodi e maestro dell'imperatore romano Ottaviano Augusto a Apollonia e, in seguito, di diversi esponenti della famiglia imperiale. Pare che segue Ottaviano a Roma. Ottaviano, proprio per i natali dati a maestro di filosofia, allevia la tassazione della città di Tarso. In seguito fa ritorno a Tarso dove aiuta ad eliminare il governo di Boeto e abbozza una nuova costituzione che da vita ad un'oligarchia pro-romana. Dopo la sua morte in suo onore fu tenuto un festival ed un sacrificio annuale a Tarso. Plinio il giovane racconta un episodio secondo il quale Atenodoro prende in affitto una casa a basso prezzo poiché era infestata da un fantasma. Mentre scrive di filosofia a tarda notte, un fantasma incatenato gli apparve e lo invita a seguirlo fino in cortile ove spare. Il giorno successivo, con il permesso dei magistrati della città, Atenodoro fa scavare nel punto in cui il fantasma e scomparso e trova uno scheletro incatenato. Dopo che allo scheletro venne data una degna sepoltura il fantasma non infesta più la casa. Gli vengono attribuite le seguenti opera: un'opera contro le Categorie aristoteliche (sebbene venga talvolta attribuita a Atenodoro Cordilione), una storia di Tarso, un'opera di qualche tipo dedicata a Ottaviano, un'opera intitolata περί σπουδη̃ς και παιδείας ("Sul fervore e la giovinezza"), un'opera intitolata περίπατοι. Nessuna di queste opere ci è pervenuta. Aiuta anche Cicerone nella scrittura del “De Officiis” ed è stato suggerito che la filosofia di Atonodoro possano aver influenzato Seneca e Paolo di Tarso. Note ^ Plutarco: Vita di Publicola 17; Strabone, Geografia, XIV, 5, 14. ^ Pseudo-Luciano, Macrobii, 21. ^ Strabone, Geografia, libro XIV, 5, 14 ^ Pseudo-Luciano, Macrobii, 21, secondo il quale Atenodoro morì a 82 anni. ^ Plinio il giovane, Lettere, libro VII, lettera 27. A Sura ^ Griffin, p. 201. ^ Griffin, p. 201; sempre Griffin, pp. 206-208, ritiene possibile che l'autore di questo trattato sia l'Atenodoro logico stoico menzionato da Diogene Laerzio in Vite dei filosofi, VII, 68. ^ Plutarco: Vita di Publicola 17. Bibliografia (EN) Michael J. Griffin, Which 'Athenodorus' commented on Aristotle's Categories?, in Classical Quarterly, vol. 63, n. 1, 2013, pp. 199-208. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Atenodoro Cananita Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Atenodoro Cananita Collegamenti esterni Atenodoro di Tarso (figlio di Sandone), in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata (EN) Athenodorus Cananites, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata V · D · M Stoicismo Controllo di autorità VIAF (EN) 42230050 · BAV 495/352589 · CERL cnp00283629 · GND (DE) 102382530 · WorldCat Identities (EN) viaf-42230050   Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Filosofia Categorie: Storici romaniStorici del I secolo a.C.Storici del I secoloRomani del I secolo a.C.Romani del I secoloNati nel 74 a.C.Morti nel 7Stoici

 

Grice ed Atenodoto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Porch. Pupil of Musonius Rufus, and a tacher of Marco Cornelio Frontone.

 

Grice ed Attico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. FIlosofo italiano. best under Pomponio. Tito Pomponio detto il “Attico”.

 

Grice ed Attalo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Attalo (filosofo). Attalo è un filosofo Italiano. Attalo visse a Roma e fu maestro di Seneca che lo stima molto e lo cita spesso come nelle Lettere morali a Lucilio quando scrive, “Come soleva dire il nostro Attalo 'il ricordo degli amici estinti è gradevole come certi frutti sono soavemente aspri.” -- o ancora a proposito dell'avidità dell'uomo che gode senza discernimento dei beni della fortuna come fa il cane che inghiotte voracemente i pezzetti di carne lanciati dal padrone. Così rifacendosi a Attalo, Seneca afferma che una vita senza affanni e senza nessun attacco dalla Fortuna non è tranquillità è bonaccia. “Attalo lo stoico soleva dire 'Preferiamo che la fortuna mi abbia nel suo accampamento piuttosto che tra le mollezze. Subisco la tortura, ma coraggiosamente. Questo è vero bene'” e che procurarsi un amico è più piacevole che averlo poiché, dice Attalo, avviene che «come per un artista è più piacevole dipingere che aver dipinto.” Ed infine da Attalo Seneca reca il supremo insegnamento riferito principalmente all'ingrato che si tormenta e odia il bene ricevuto perché dovrà ri-cambiarlo, ne sminuisce i valore e accresce l'importanza delle offese ricevute. “La malvagità stessa beve la più grande porzione del suo veleno.” Una massima che Attalo ha modo di vedere applicata quando messo al bando da Roma, Lucio Elio Seiano, amico estremamente influente di Tiberio, e infine da questo stesso fatto giustiziare. Note ^ Seneca, Lettere morali a Lucilio, Edizioni Mondadori, 2013 p.64 ^ Seneca, op.cit. p.73 ^ Seneca, op.cit. p.68 ^ Seneca, op.cit. ^ Seneca, op.cit. p.82 ^ Pierre Matthieu, Historie delle prosperità infelici di Elio Seiano, Grillo, 1620 p.48   Portale Biografie   Portale Filosofia Categorie: Filosofi romaniFilosofi del I secoloRomani del I secolo

 

Grice ed Aulo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Aulo Gellio. under Gellio? Pupil of Lucio Calveno Tauro and Peregrino Proteo. Friend of Erode

 

Grice ed Ausonio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza – filosofo italiano.

 

Grice ed Avieno – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Avieno Rufio Festo. Porch. A Distant descendant of Musonio Rufo. Wrote Phenomena.

 

Grice ed Aurano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Gaio Stallio Aurano followed the doctrine of the Garden.

 

 

Grice ed Azeglio – non si danno doveri reciprochi senza società – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo Italiano. Grice: “I like Azieglo; first he was a marchese, unlike me – second he looked for the fundamental law (or ‘fundamental question,’ as I call it) for the principle of cooperativeness – he finds it’s a natural thing, not a Rousseaunian contractualist thing – so he is a Griceian at heart – on top, he relies on Bentham, to minimise the Kantian rationalism and make it digestibale to those who care about what Azieglo calls ‘amore proprio’ – i. e. conversational self-love as still operating under a wider principle of conversational benevolence.” Coniò il termine giustizia sociale, successivamente ripreso e sviluppato da Antonio Rosmini (1848) nel saggio La Costituzione secondo la giustizia sociale e da John Stuart Mill nel saggio Utilitarianism.  Taparelli d'Azeglio è stato anche uno dei primi teorici del principio di sussidiarietà. Era il quarto degli otto figli di Cesare, conte di Lagnasco e marchese di Montanera, diplomatico della corte di Vittorio Emanuele I, e della contessa Cristina Morozzo di Bianzè. Alla nascita gli fu imposto il nome di Prospero che, divenuto gesuita, cambiò in Luigi. I fratelli Massimo e Roberto furono politici e senatori del Regno.  Maturò la propria vocazione religiosa a seguito di un corso di esercizi spirituali dettati dal venerabile Pio Brunone Lanteri (1759-1830), fondatore della congregazione degli Oblati di Maria Vergine. Studiò nel Collegio Tolomei di Siena e poi nell'Ateneo di Torino fino al 1809. Entrato nel seminario di Torino, quando il padre fu inviato come diplomatico alla corte di Pio VII si trasferì con lui a Roma e fu ammesso nel noviziato dei gesuiti di Sant'Andrea al Quirinale.  Fu ordinato sacerdote nel 1820. Iniziò a studiare negli anni 1824-29 la filosofia di San Tommaso d'Aquino, studio che continuò a Napoli negli anni 1829-32. Nel 1833 fu destinato al Collegio Massimo di Palermo dove insegnò lingua francese per poi assumere la cattedra di diritto naturale.  Nel 1840-1843 pubblicò con i tipi della Stamperia d'Antonio Muratori di Palermo il suo testo più importante, il Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, considerato a quel tempo una vera enciclopedia di morale, diritto e scienza politica.  Nel 1850 ricevette da papa Pio IX il permesso di cofondare con il padre Carlo Maria Curci La Civiltà Cattolica, rivista della Compagnia di Gesù, ove scrisse per venti anni per poi assumerne la direzione nell'ultimo periodo della vita. I suoi oltre duecento articoli pubblicati sulla rivista furono tutti caratterizzati da un contenuto tale da meritargli il titolo di «martello delle concezioni liberali»(Antonio Messineo).  Morì a Roma il 21 settembre 1862.  Pensiero Era preoccupato soprattutto dai problemi che nascevano dalla rivoluzione industriale. Il suo insegnamento sociale influenzò papa Leone XIII nella stesura dell'enciclica Rerum novarum sulla condizione dei lavoratori.  Proponeva di riprendere gli insegnamenti della scuola filosofica tomista. A partire dal 1825 portò avanti questa convinzione, ritenendo che la filosofia soggettiva di Cartesio portasse a errori drammatici nella moralità e nella politica. Argomentava che mentre la differenza di opinioni sulle scienze naturali non ha nessun effetto sulla natura, al contrario idee metafisicamente poco chiare sull'umanità possono portare al caos nella società.  A quel tempo la Chiesa cattolica non aveva una visione sistematica chiara sui grandi cambiamenti sociali apparsi all'inizio del secolo XIX in Europa, la qual cosa portava molta confusione tra la gerarchia ecclesiastica e il laicato. In risposta a tale problema, Taparelli applicò, in maniera coerente, i metodi del tomismo alle scienze sociali. Dalle pagine de La Civiltà Cattolica attaccò la tendenza a separare la legge positiva dalla morale e lo "spirito eterodosso" della libertà di coscienza che, a suo avviso, distruggeva l'unità della società.  Termini chiave della sua opera sono socialità e sussidiarietà. Vedeva la società non come un gruppo monolitico di individui, ma come un insieme di varie sub-società disposte in diversi livelli, ciascuna formata da individui. Ogni livello di società ha sia diritti che doveri, ognuno dei quali deve essere riconosciuto e valorizzato. Ogni livello di società deve cooperare razionalmente e non fomentare competizione e conflitti.  Dopo l'istituzione della Società delle Nazioni, Taparelli d'Azeglio ne vanne considerato un precursore. Sua fu l'idea di un'autorità universaleda lui chiamata "etnarchia"con il ruolo di tribunale e di arbitrio, che potesse proteggere ogni nazione dalle minacce esterne. Taparelli d'Azeglio continuò a fungere da autorevole guida al pensiero cattolico in materia di pace e guerra ancora nel Novecento. Altre opere: “Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto” (Palermo); “Nazione e nazionalità” (Genova, Ponthenier); “La Legge fondamentale d'organizzazione nella società” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “La libertà tirannia” “Saggi sul liberalesimo risorgimentale” (Piacenza, Edizioni di Restaurazione Spirituale); “La Civiltà Cattolica). Diritto soggettivo, proprietà e autorità in Luigi Taparelli d'Azeglio, di Alessanfro Biasini, sito della Università Ca Foscari Venezia. Scuola Dottorale d'Ateneo.  The Origins of Social Justice: Taparelli d’Azeglio, su home.isi.org.  Education and Social Justice, J. Zajda, S. Majhanovich, V. Rust, E. Martín Sabina, Springer Science & Business Media, 20061  Vittoria Armando, Il Welfare oltre lo Stato. Profili di storia dello Stato sociale in Italia, tra istituzioni e democrazia Seconda edizione, G. Giappichelli Editore, Georges Minois, La Chiesa e la guerra. Dalla Bibbia all'èra atomica, Bari, Dedalo, 2003493.  L. Pereña, La autoridad internacional en Taparelli, Libreria editrice dell'Università Gregoriana, 1964,  405-432. Studi Pierre Thibault, Savoir et pouvoir. Philosophie thomiste et politique cléricale au XIXe siècle, Québec, Maria Rosa Di Simone, Stato e ordini rappresentativi nel pensiero di Luigi Taparelli d'Azeglio, «Rassegna storica del Risorgimento», Giovanni Miccoli, Chiesa e società in Italia fra Ottocento e Novecento: il mito della cristianità, in Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato, Francesco Traniello, La polemica Gioberti-Taparelli sull'idea di nazione, in Id., Da Gioberti a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano, Francesco Traniello, Religione, Nazione e sovranità nel Risorgimento italiano, «Rivista di storia e letteratura religiosa», Emma Abbate, Luigi Taparelli D'Azeglio e l’istruzione nei collegi gesuitici del XIX secolo, «Archivio storico per le province napoletane», Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, 5 voll., Palermo, Stamperia d'Antonio Muratori, 1840-1843. S. T., Per il centenario della nascita delLuigi Taparelli D'azeglio, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie, Luigi Di Rosa, Luigi Taparelli. L'altro d'Azeglio, Milano, Cisalpino, Gabriele De Rosa, I Gesuiti in Sicilia e la rivoluzione del '48, con documenti sulla condotta della Compagnia di Gesù e scritti inediti di Luigi Taparelli d'Azeglio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1963. A. Perego, La «Miscellanea Taparelli», in Divus Thomas,  Gianfranco Legitimo, Sociologi cattolici italiani. De MaistreTaparelliToniolo, Roma, Volpe, 1963,  30–51. Antonino Messineo S.J., IlLuigi Taparelli d'Azeglio e il Risorgimento italiano, in La Civiltà Cattolica, Carlo Maria Curci Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica Rerum novarum  Luigi Taparelli d'Azeglio, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Angiolo Gambaro, Luigi Taparelli d'Azeglio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Taparelli d'Azeglio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Opere di Luigi Taparelli d'Azeglio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Luigi Taparelli d'Azeglio,.  Francesco Pappalardo, Luigi Taparelli d'Azeglio, in Giovanni Cantoni, Dizionario del pensiero forte, Piacenza, Cristianità, 1997. Giovanni Vian, Luigi Taparelli d'Azeglio, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.Aloysius Taparelli, in Catholic Encyclopedia, Compagnia di Gesù Filosofia Sociologia  Sociologia Categorie: Gesuiti italianiFilosofi italiani del XIX secoloSociologi italiani Torino Roma. Non si danno doveri reciprochi senza società. Egli è costume di chi spiega diritto naturalo -- il ius naturale -- il considerare certe classi di doveri dell'un uomo verso l'altro anteriori ad ogni idea di società. E un tal modo di speculare è coerente con tutto il resto della dottrina allorchè la società si riguarda come una pura convenzione umana. Ma siccome il fatto di questa convenzione, per confessione di parecchi fra i suoi difensori, non è se non una finzione di diritto, fictio juris, ed io non amo fondar sopra una finzione quanto vi ha di più sacro ed importante nel commercio fra gli uomini, mi vidi astretto a cercare nel *fatto reale* (italici d'Azeglio) altro miglior appoggio. E sì mi parve averlo trovato con nulla più che analizzare la idea che ognuno si forma allorché pronunzia il vocabolo *Società*, o paragonar questa idea collo stato *naturale* in cui ogni uomo trovasi sulla terra. Ecco per qual motivo non credei poter trattare dei *doveri reciprochi* fra gli uomini se prima non li considerava formanti una qualche società. E in verità, come potrebbero esservi *doveri* reciprochi senza relazioni reciproche? Come relazioni senza qualche congiunzione? Come congiuzione senza qualche legge? Come legge senza legislatore e senza autorità? Data poi la congiunzione di molti esseri intelligenti sotto una autorità comune che altro ci manca per costituire una società? Parventi dunque ripugnante la voce di *relazioni extrasociali*, usata dal ch. C. di Haller -- di cui per altro ammiro in molti punti la dottrina --, nù seppi come introdurmi a considerare i doveri reciprochi se prima non no stabiliva *sul fatto* le fondamenta con una attenta osservazione dell’essere sociale. La legge fondamentale del *civico* operar sociale potrebbe dunque ridursi a questa — la socielà (e per essa la autorità) dee far sì che ciascuno *cooperi* a *difendere* e crescere il bene altrui senza sua perdita, anzi con vantaggio proporzionato alla sua cooperazione. Della società in generale. Società suol dirsi una concorde comunicazione di bene fra esseri intelligenti. Società di questi esseri *in istato di tendenza* sarà dunque la *tendenza concorde a fine comune*. E siccome la tendenza intelligente fra uomini dee produrre azione esterna, cosi la società umana potrà definirsi *cooperazione concorde di uomini ad un bene comune*. Prop. I.: Gli uomini tutti hanno nella lor *natura* un elemento di società universale. Prova: Gli uomini tutti sono obbligati a secondare l’ intento del Crea- tore. Or il Creatore vuole da essi *cooperazione concorde a ben comune*. Dunque ec. La minore si prova. Uno è per natura il bene da tutti conosciuto, ed a cui tendono tutti, giacche una è la loro *natura* ossia impulso primitivo. Questo impulso manifesta l'ntento del Creatore. Dunque ec. Diremo questo elemento *dovere di socialità*. Coroll. 1.: Ogni dovere sociale deriva da questo principio *fa il bene altrui*. Giacché la causa che mi obbliga a far ad altri *un* qualche bene è che debbo far loro il bene. Coroll. 2.: Questo è il primo principio *sociale* applicazione del primo principio morale. Coroll. 3: Il precipuo bene di ogni società è la *onestà*, giacché a questa tende precipuamente la *natura umana*. Coroll. 4.: Poiché *ottener il bene* è negli *enti ragionevoli* un *divenir felice*, il fine di universal società è rendere gli *associati* *onestamente felici*. E poiché la felicità dell’uomo consiste *secondo natura* nei beni di *mente* e di *corpo*, *assicurarci* e *crescerci* queste due specie di beni è il fine naturale della società universale. Una società determinata può o abbracciare tutto il fine naturale con mezzo particolare cioè col convivere stabilmente, o abbracciarlo parzialmente. Il *fine* particolare della prima sarà il *convivere* onestamente felice. Della seconda il conseguire quel particolare oggetto per cui ella si associa. Diremo società *completa* quella che abbraccia tutto l'obbietto naturale della umana società, cioè il bene di mente, quello di corpo, o la difesa di entrambi. Incompleta quella che ne abbraccia sol qualche parte. Coroll. 5.: La società è *mezzo*, non fine dell’ individuo. Luigi Tapparelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. Luigi Prospero Tapparelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. Prospero Tapperelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. D’Azeglio. Azeglio. Keywords: non si danno doveri reciprochi senza società, ius naturale, “non si danno doveri reciprochi senza società”, cooperazione, cooperare, fa il bene altrui – onesta, fine, principio della socialita, applicazione del principio della moralita, natura umana, fatto, socieeta totale, societa parziale, definizione di societa in termine di cooperazione, ‘de more geometrico’ – tendenzia impulso naturale all’onesta – societa – azione esterna, esseri ragionabile, esseri intelligente, convivir stabilmente, felice, -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Azeglio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Bacchin – anypotheton haploustaton; overo, i fondamenti della filosofia del linguaggio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Belluno). Filosofo. Grice: “I like Bacchin; as an Italian he is allows to speak pompously as we at Oxford cannot! But he is basically saying the commonplace that ‘intersoggetivita’ has a ‘dialectical dimension’ (interoggetivita come dimensione dialettica) in the sense that the ego (or ‘l’io’) presupposes the ‘altro’ (as he puts it: ‘a cui’) – therefore; it is a presupposition of the schema, as Collingwood would have it, alla Cook Wilson – and thus only transcendentally justified. Bacchin has noted that the operator ~ is basic in that ‘inter-rogo’ invites a ‘risposta’ whose ‘motivation’ may be ‘implicita’ – the ad-firmatum is motivated by the domanda – which can be another dimanda: why do you think so? “Why do you ask why I think so?” --  Bacchin is alla Heidegger and other phenomenologists, with the ‘essere’ versus appare on which my impicata in ‘Causal Theory of Perception’ depend (‘if A seems B, A is not B. Note that there is no way to express this implicata without a ~. It might be argued that it can express with some of the strokes or with some expression that would flout ‘be brief, rather than the simplest” – and which would involve, as Parmenide has it, the idea of, precisely –altro’ (other than). Note that Bacchin equivocates on the ‘altro’ – in the dialectical dimension of intersubjectivity he obviously means ‘tu,’ not ‘altro.’ In the negation or contradiction (in dialectical terms) of an affirmation – which is involved in every ‘dialogue’ that Bacchin calls ‘socratico’ or euristico rather than sofistico (based on equivocation) – the ‘altro’ is the other, A is not B, impying A is other than B (cf. my ‘Negation and Privation’). This does not need have us multiply the sense of ‘ne,’ in old Roman!” -- Giovanni Romano Bacchin (Belluno), filosofo. Dopo aver conseguito la laurea ottenne la libera docenza in filosofia della storia. Insegnò filosofia della storia e filosofia della scienza presso l'Perugia. Occupò anche la cattedra di filosofia della scienza presso l'Lecce. Fu docente presso la facoltà di lettere e filosofia dell'Padova, tenendo la cattedra di filosofia teoretica.  Fu membro della "Società Filosofica Italiana". Morì sulla spiaggia di Rimini.  Pensiero Cresciuto filosoficamente nella scuola metafisica padovana di Marino Gentile, intorno agli anni sessanta, Bacchin presto sviluppò una propria originalità di approccio e di ricerca filosofica, che lo rendono difficilmente assimilabile ad una qualche corrente o "famiglia" filosofica se non quella della libera e inesausta teoresi.  A testimonianza della specificità del suo approccio metafisico si può citare questa sua affermazione.  «V'è un senso metafisico che può andare perduto. Né basta parlare di metafisica e considerarsi metafisici per possederlo. La perdita del senso metafisico è anche trionfo del condizionale e quindi dell'ipocrisia: "direi", "avanzerei la proposta", "mi si passi l'espressione", "vorrei che il lettore ricavasse l'impressione..'", "anche se siamo, il lettore ed io,certo ioimmensamente piccoli", "a mio sommesso avviso" e così via in un continuo spostare l'attenzione su di sé e in un continuo, inutile, domandare scusa al lettore della propriascontatapochezza, rivelando che non è poi così scontata da non parlarne. Nudo e indifeso alla presenza della verità, il metafisico non lo può essere di meno di fronte agli uomini, i qualidi certo- non sono la verità. »  Riferimento costante dell'incessante dialogo filosofico di Bacchin fu senz'altro l'attualismo gentiliano.  Altre opere: “Su le implicazioni teoretiche della struttura formale” (Roma, Jandi Sapi); “Originarietà e mediazione del discorso metafisico” (Roma, Jandi Sapi); Sull'autentico nel filosofare” (Roma, Jandi Sapi); “L'originario come implesso esperienza-discorso” (Roma, Jandi Sapi); “Il concetto di meditazione e la teoremi del fondamento” (Roma, Jandi Sapi); “I fondamenti della filosofia del linguaggio” (Assisi); “L'immediato e la sua negazione, Perugia, Grafica); “Anypotheton” Saggio di filosofia teoretica” (Roma, Bulzoni); “Teoresi metafisica” (Padova, Nuova Vita); “Haploustaton” (Firenze, Arnaud); “La struttura teorematica del problema metafisico”;  “Classicità e originarietà della metafisica, scritti scelti” (Milano, Franco Angeli); “La metafisica agevola o impedisce l'unità culturale europea?”in ‘Il contributo della cultura all'unità europea', Danilo Castellano, Edizioni scientifiche italiane, Napoli); “L'attualismo nel pensiero di Marino Gentile, in Annali, Roma, Fondazione Ugo Spirito. Informazioni biografiche reperibili anche in G.R. Bacchin, Haploustaton, Arnaud, Firenze 1Giovanni Romano Bacchin in Teoresi metafisica, 1984  Berti, Enrico Ricordo di Giovanni Romano Bacchin, "Bollettino della Società Filosofica Italiana", 1Scilironi, Carlo Tra opposte ragioni: nota in ricordo di Giovanni Romano Bacchin a dieci anni dalla morte. in Studia patavina: Rivista di scienze religiose. Filosofia Filosofo Professore Belluno Rimini. Metafisica del principio. Si comincia dopo avere cominciato. L’innegabile è innegabilmente. Negare è escludere un’inclusione indebita. Non v’è limite del sapere. Il luogo del filosofare è la domanda del luogo per filosofare. Ciò che v’è di originario nell’esperienza. La filosofia non ha oggetto e nessun oggetto si sottrae alla filosofia. La riappropriazione metafisica. L’esperienza praticabile è conversione fattuale in fatto. Funzione della parantesi nell’asserzione e l’aporia del dogmatico. L’autorità del dogmatico si presenta come critica di ogni autorità. L’ideale dell’autorità è di essere indiscutibile. Autorità e intelletto si fronteggiano. Ciò che l’intelletto impone all’autorità è di essere ciò che pretende di essere. Il luogo della domanda è l’insufficienza di ciò che si presenta a ciò che, presentan- dosi, non è interamente. L’identità tra inevitabile e necessario è solo co- struita. Il senso in cui non si può domandare tutto. Ciò da cui dipendono le valutazioni del domandare. Il senso in cui non si può non domandare tutto. Domandare tutto è negare di poter asserire. Paradigma del dottrinario in filosofia. Una richiesta che preceda la domanda di verità non può essere vera. Il prefilosofico oltrepassa il sapere di non sapere credendo di superarlo. L’impossibilità di oltrepassare quel ‘limite’ che è la stessa impossibilità di oltrepassarlo. La costante esistenziale dell’esperienza e gli equivoci della sua valorazione. La domanda universale investe il linguaggio come luogo della possibilità dell’errore. Digressione. La base del filologismo in filosofia. Dell’ingenuità storiografica in filosofia. Le due direzioni dell’ingenuità storiografica. L’equivoco storico in filosofia. Equivoco di coscienza storica e conoscenza storica. Le storie della filosofia rendono la filosofia accessibile al senso comune prefilosofico. L’ideale sistematico del prefilosofico si prolunga nella storiografia. Filosofare nonostante la storia della filosofia. Inattualità teoretica dello storicismo. La nozione dogmatica di storia. Il carattere fideistico della tradizione e il circolo del riconoscimento. Due figure dell’accoglimento della tradizione: integralismo e progressismo. La ragione formale come unica ragione delle due figure. L’ideale immanente del credere è coincidere con il vivere. La ragione. Indice. Indice formale presiede nel suo uso ciò che la determina nei suoi contenuti. Se ogni fede è cosmica, ogni cosmo è creduto. La valenza sperimentale è già nella protomatematica, come si esemplifica in Galilei. Il carattere ipotetico di ogni riferimento assertorio all’esperienza. Il rischio erme- neutico è considerare effettivo ciò che è interpretazione, come si esemplifica in Galilei. Il senso in cui la scienza è alienazione. Ingenuità del ten- tativo di fondare scienza e filosofia sull’esperienza immediata. Il campo in cui si discute è ciò che intanto permane indiscusso. Credere di conoscere è non sapere di credere. Il rapporto tra intendere e pretendere è struttura del conoscere. Il rapporto strutturale di compreso e comprendente tra universi. Il rapporto di compreso e comprendente è struttura del contenuto di osservazione. Costanti del progetto d’esperienza e il vettore di interesse. Il progetto fondamentale e Kant. Il progetto di filosofare è il modo filosofico di progettare: miraggio del ritorno all’immediato, Controllabilità e statuto dell’individuale. Ambiguità del sapersi orientare nel mondo. L’intenzione conoscitiva del fenomeno individuale. Progetto del conoscere come adeguazione progressiva. Il co- noscere rappresentato come rappresentazione. Il presupporre è limite presupposto all’operare. La scienza ignora di essere una fede. La scienza non può sapere ciò che essa implica, dovendo postulare ciò di cui abbisogna. La considerazione pensante. La conoscenza scientifica ipotizza la realtà che le consente di ipotizzare. Tentativo della distinzione tra ‘visione naturale’ e ‘visione scientifica’ del mondo. Esame della struttura del ‘punto di vista’ nella configurazione dei sistemi di riferimento. Dopo l’intermezzo ludico, che cosa si intende per ‘considerazione logica’. La logica formale è il modo formale di considerare la logica. Il formalismo della logica è il nihilismo della verità. La conciliazione tra storia mondana e filosofare non può avvenire nella storia mondana. Ciò che si presenta con la divisione pone la richiesta della connessione. Il pensiero si affida al linguaggio per essere riconosciuto come indipendente dal linguaggio. Si esemplifica con l’espressione hegeliana “movimento dell’essenza”. Si insiste con l’esemplificazione hegeliana. Ancora esemplificazione hegeliana: la “cosa stessa” non può venire utilizzata. Il senso della cura–custodia. Il senso in cui il pensare penetra. Il pragmatico è fittiziamente teoretico. La verità mette in questione ogni discorso intorno alla verità. Il nesso tra tecnica logica e configurazione funzionale del concetto. La conoscenza scientifica considera astratto ciò che essa non può considerare. Rischio dell’equivoco tra mera domanda e domanda pura. L’imporsi della verità è l’asse delle pseudofilosofie. Volontà di coerenza e volontà di dominio. Coerenza è fedeltà alla logica di un sistema. Sistema ed esistenza. Esistenza e chiarificazione. Esistenza e coscienza. Coscienza e punto di vista. Il punto di vista fondamentale non è un punto di vista. La nozione comune di esistenza e l’istituzione. Ciò che esiste non è assoluto. Differenza tra teoresi e teoria e l’impossibilità di scegliere la teoresi. La teoresi, che non è teoria, appare in una qualche teoria. Poiché l’intero non può essere oggetto, nessun og- getto è intero. La scienza che escluda la filosofia diventa “filosofia della  natura”. Il mondo della vita impone l’astrazione. La filosofia non vincola a se stessa le scienze. Ricorso alla formula. La “formula” e l’aporia del metodo ideale. Il metodo di filosofare è filosofare, ossia domandare. Inevitabilità dell’astratto. Necessità e cogenza. Il carattere divino della matematica è l’essenza matematica di Dio anche se Galilei non lo vuole. L’ordine astratto si esemplifica in Wolff, ma esso è la logica interna della formulazione del principio di non contraddizione. La “proposizione” è la figura minima del sistema, la forma del quale è l’equazione. L’ideale del conoscere esclude dal conoscere l’operare. Le condizioni del conoscere sono riconosciute nella loro indipendenza dal conoscere, nel conoscere di cui sono condizioni. La relazione, che è esperienza, non può essere relazione dell’esperienza con altro da essa. La conoscenza dell’incono- scibilità dello in sé è conoscenza in sé. L’astratto è inevitabile, ma non necessario. Per dire con che cosa si comincia, si comincia con la domanda intorno a come si comincia. Affermare la totalità è dimostrare che es- sa non può venire negata e, dunque, non abbisogna di venire affermata. La condizione apriori è trovata analiticamente, perché è contraddittorio che, nel no- stro conoscere, tutto derivi dall’esperienza. L’uso è unicamente empirico ed è riconosciuto trascendentalmente. L’analisi è la presenza operante del “principio di non contraddizione”. La struttura sintetica del giudizio è l’infinitezza dell’analisi. Il giudizio è domanda infinita di venire fondato. Tra esperienza e giudizio non sussiste rapporto, perché l’esperienza non può essere un giudicato. La prima forma di mediazione è l’immediatezza fenomenologica, o medialità. Il contessere infinito del dato non è dato. Ogni ordinamento di oggetti è teorico. L’oggetto è pluralità di oggetti. Se è astratto l’oggetto, è astratto il suo contesto. L’intuizione astrae dal contessere infinito. Ciò che è dato per primo è risultato di un processo astrattivo: l’intuizione non è originaria. Differenza tra teorica dei giudizi e teoresi del giudizio. Impostazione. L’interpretazione empirica dell’oggetto “come tale” quale “oggetto in generale”: trascrizione generalizzata degli oggetti. La sintesi precede ogni analisi e la condiziona. Il conoscere presenta un duplice livello: quello del suo fungere che costituisce l’oggetto, quello della consapevolezza di tale fungere. Il conoscere muove dalla fiducia nello essere in sé del conosciuto, con base esclusiva- mente pratica. Può venire formulata anche la contraddizione, dunque la forma proposizionale non è struttura del giudicare. L’analisi come pre- senza dell’incontraddittorietà formulata come “principio di non contraddizione”. Un giudizio media la posizione di altro giudizio: medialità posizionale o fe- nomenologica. Di volta in volta un giudizio può valere come analitico o come sintetico. Si intende di sapere con necessità. Se v’è un modo empirico di conoscere, v’è un modo non empirico di riconoscerlo. Kant conosce analiticamente che la conoscenza umana è sintetica. Nessun giudizio matematico è conoscitivo. La ragione dell’aritmetica è un fatto, perché le risulta possibile ciò che le risulta fattibile. Le categorie. Indice. Indice trovate dall’analitica sono usate dalla stessa analitica. L’esperienza è condizione del darsi delle sue condizioni. “Cosa” ha significato operativo. Il tempo è essenzialmente prassi. Spazio e tempo provengono dalla sintesi dell’intelletto, ma operano nella sensibilità. L’oggettivazione dell’esperienza è matematizzazione, di cui il trascendente è negazione. Il trascendentale è, ma non appare. La sintesi è negazione di se stessa come negarsi reciproco dei suoi termini. Tempo e durata. La presenza fungente dell’apriori è analiticamente reperibile nel dato e non lo eccede. La differenza tra conoscere e sapere è conosciuta e saputa. Conoscere non è sapere e l’oggetto è matematico perché è oggetto. Esemplificazione con Kant di ambiguità fra matematica e conoscenza. Il conoscere della matematica, essendo matematico come conoscere, non è conoscere. La volontà di potenza è l’impotenza dell’io nei confronti delle sue rappresentazioni. L’io si riferisce a se stesso come dato all’io. Non vi può essere una ragione pura. Teoresi e finitezza della ragione. Il senso teoretico dell’inconoscibilità dello “in sé” è quello dell’inoggettivabilità del vero. La ragione è strumentale per se stessa. Il carattere filosofico della pricerca.   Il carattere dialettico, o negatorio della filosofia.  La dialettica dell identico livello.  La dia-letticità della filosofia e il momento analitico della filosofia del linguaggio.  I limiti di validità dell analisi nella filosofia del linguaggio.  Limiti di validità e valore.  Come è possibile una filosofia del linguaggio.  Concetto di  "teoria" e sua riduzione. La riduzione del concetto di teoria e la radice pragmatica dell intellettualismo.  La nozione ateoretica dello  "in generale" come base della teoria. Riduzione del procedimento analitico all inde terminato, cioè al contraddittorio. Differenza ontologica tra il contraddittorio ed il negato.  La dialetticità come impossibilità di un procedimento analitico sulla totalità. La domanda totale e la totalità domandata. L intero della domanda totale e della totalità domandata. La conversione dialettica della totalità domandata nella esclusività del domandare.  La domanda come riferirsi in atto alla risposta.  La problematicità della  "definizione"  concettuale.  L intersoggettività come dimensione dialettica.  La struttura dialettica dell'implicazione.  L'insignificanza teoretica del disaccordo.  La preoccupazione di raggiungere un accordo effettivo è empirica e filosoficamente ingenua. Fittizietà del rapporto tra filosofia e senso comune.  La superfluità del problema del  "solipsismo". Presenza e coscienza.  La realtà come pensiero si risolve nel pensiero come atto. La realizzazione. L'attualismo come attualismo  puro. La realizzazione come negazione e come posizione. L'attualismo monistico come naturalismo. La presenza pura. La coscienza della presenza pura. Il rapporto tra atto ed oggettivazione tra presenza e pre-sentificazione.  Importo teoretico dell'espressione "Verum et esse convertuntur".  La metaforicità intrinseca delia parola. La "cosa stessa" come l'intero di se stessa. L identità pensare-essere.  Il riproporsi del pensiero su se stesso come origine della parola "cosa". La duplice funzione della parola  "cosa". Le condizioni ad un indagine critica. L atto critico o negatorio come atto di pensiero nella coscienza.  La ricerca del mezzo logico adeguato e l interrogazione. I limiti teoretici delle asserzioni condizionate da interessi. La riduzione pretesa del  "sapere" al  "potere" e il concetto ateoretico di  "teoria". L'interpretazione matematicistica nei suoi limiti.  La teoria come formulazione generale.  La radice dell'interpretazione matematicistica.  Le condizioni imposte dal concetto d interpretazione.  Il carattere teoretico del controllo sull esperienza.  Lo spostamento del limite come essenziale alle determinazioni.  La determinazione come ritorno dell atto: totalità di definizione e totalità di esaustione.  La totalità di definizione come "essenza". L' atteggiamento fondamentale umano operante nella definizione concettuale.  Il modo indiretto dì dire l'essenza. Originarietà e mediazione nel discorso metafisico (Il "Tema"; Svolgimento delle indicazioni teoretiche del "Tema". L'originario come implesso esperienza-discorso. L'"Esperito" e l'"Esperienza integrale". Il significato dell'"Implesso"; Il senso dell'"Originarietà" dell'"Implesso". Il concetto di meditazione e la teoresi del fondamento (L'impostazione; La "sospensione" degli enti dall'essere). Giovanni Romano Bacchin. Keywords: anypotheton, haploustaton; ovvero, i fondamenti della filosofia del linguaggio, il discorso metafisico – a new discourse on metaphysics, from genesis to revelations, etymologia di ‘autentico’, l’esperienza e il disscorso, implesso esperienza-discorso;  anypotheton, haploustaton, anypotheton hypotheton, supponibile, insupponibile, haplloustaton, superlative di haplous, simplex, simplicior, simplicissum, simplicissmo, complesso, simplice/complesso, simpliccismo, simplicissimo, complessissimo, complesso proposizionale, semplice sub-proposizionale – implesso, analisi del concetto d’impicazione – senso e significato – senso e segno – proposizione – funzione proposizionale – Whitehead. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bacchin” – The Swimming-Pool Library.

 

Bacchio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Bacchius. He was a member of the Accademia. Antonino attended his lectures. He was the adopted son of Gaius.

 

Grice e Bacci – I bagni dei romani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sant’Elpidio al Mare). Filosofo Italiano.  Grice: “You’ve got to love Bacci; he was born in the Italian equivalent of Weston-super-Mare, and therefore, he dedicated his philosophy to swimming!” – Studia a Matelica, Siena, e Roma. Scrive “Del Tevere, della natura...”. Pubblica il “De Thermis”, un saggio sulle acque, la loro storia e le qualità terapeutiche che venne accolto con entusiasmo. Dopo aver ottenuto la cattedra alla Sapienza e l'iscrizione all'albo dei cittadini romani, e nominato Archiatra pontificio. I saggi “Delle acque albule di Tivoli”, “Delle acque acetose presso Roma e delle acque d'Anticoli”, “Delle acque della terra bergamasca”, “Tabula semplicim medicamentorum”, “De venenis et antidotis”, “Della gran bestia detta alce e delle sue proprietà e virtù”; “Delle dodici pietre preziose della loro forza ed uso”, “L'Alicorno”. Il monumentale trattato “De naturali vinorum historia”, un compendio in sette libri su tutti i vini conosciuti. Tratta temi relativi alla vinificazione e conservazione dei vini; Consumo dei vini in rapporto alle condizioni di salute; Caratteristiche peculiari dei vini; Uso dei vini nell'antichità classica, Vini delle varie parti d'Italia, Vini importati a Roma, Vini stranieri. Note  DBI.  Andrea Bacci la figura le opere, Atti della giornata di studi tenutasi il 25 novembre 2000 a Sant'Elpidio a Mare. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Andrea Bacci Collabora a Wikiquote Citazionio su Andrea Bacci  Mario Crespi, Andrea Bacci, in Dizionario biografico degli italiani,  5, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. De Naturali Vinorum Historia De Vinis ItalEae et de Conuiuijs Antiquorum Libri Septem Andreae BacciI Traduzione del libro Quinto nella parte dedicata ai vini delle Marche, Gianni Brandozzi, Associazione culturale Giovane Europa, Filosofi italiani del XVI secolo Medici italiani Scrittori italiani Professore Sant'Elpidio a Mare Roma Enologi italiani. In quo agitur de balneis artificialibus, penes instituta recæperit, hoc tempus non esta deo compertum, nisi quantum legitur fuisse antiquissimum. Nam ex omnibus monumentis quæad notitiam hominum peruenerunt, vetustissima huncritum lavationum, perinde necessarium ad communem vitam commemorant. Balnearum enim mentionem invenio non modo ante ROMANORUM IMPERIUM. Sed ante asiaticos etiam et chaldæos extitisse. Imòsiiactatis, antequam ulla extitissetliterarumin ventio, dicterija credamus; extat apud Pisandrum id circo Calida balnea fuif fe natura bal. cognominata Herculea, quòd Minerva olim fesso Herculi calida parasset. Vel  veterum et Galeni in Thermis primus la tascoengerit quodammodo ad lauacra homines. Quippe ean ecessitas, quæ uationumv a primordio rerum monstrauerat mortalibus ex agresti vita victum quærere, sus. Tecta construere,abæstu& frigoresetueri:eadem & fordesabluere,mun ditiæquecultum monftrauit.primo quidem quantum vitæsatisfaceret,donec paulatima liqua industriaadhibita, laffata corpora mollia quarum foturecrea reedocuit. Verum quando id inftitutum locum aliquem in REPUBLICA HABE ROMANORUM, VANTA fuerit naturæ solertiaincumulandis gratijsaquarum spontemanantium et quæ differentiæsinttùm simplicis Elementi, tùm consequentes ex misturi. Et quisvsusearumin balneis. Hactenus proeoac potuimus explicauimus. Quis enim pro dignitate naturæ, speciales proprietatescunctarum aquarum sermonem consequi audeat? In hisautem quæ ad thermarum vsum dicendarestant, sirectèquis thermarum ARTIFICIALIUM magisteriaconsi dignitas. deret, summum artis cum natura certamen videri poterit. Ut tnesciam anadeo sciuerit natura elargiri mortalibus tota diumentorum materiam, torqueadeo diuinæ dispositionis ostentare miracula inaquis. Quanto maiora funt, quæ arsaddiditornamentain Thermissuis. Præsertimfubila ROMANI IMPERII maiestate. Inquarum monumentis,quæ exeispartimvidentur et partimle gunturapud varios authores, nons atisconstatapudme vtra fuerit maior, an magnificentia operis ad illorum temporum instituta, an commoditas popu. larisadvtilitatemlauationum.Principiononeftdubium fiprima quasiin cunabula cæterarum rerum coniectemus, quin ipsa vitæ, ac naturæ necessi quia   quia eidem (vtAthenæus est author)vulcanusmuneris vice feruida suppo fuisset. Etlivera credimusre tulisse Platonem tamspectatæfapientiæautho rem,superatomnium seculorummemoriam, quamipsetraditexantiquissi mis monumentis, de Atlantica maxim a olim insula nun c Oceano ipso occupant aextram Columnas; quam Neptunimunere cùmomni delitiarum genere Thermar r o n clarssima, habuisse refert ipse etiam balneas quæ omni cultu ornatæ partim usus, quidem subdiuopaterent, partim verò subtecto calentia haberent lauacrahy Είμαζα, τ'έξιμοιρα, λοιπάτε θερμα,καιανα cus Sexcenti sautem post Homerum annis,Hippocratesprimusmedicinæau derat. thor, Thermarumvsum curandarum ægritudinum causa, tanquamreiiam in Græciacommunitervsitate commemorat, ac damnauit aliqua. Floruitau tem (ut ratio temporum habeatur) natus primo octogesimæ Olympiadis ut Hippocrates Soranus tradidit circam Peloponnesiacum bellum:quod teste Plinio gestu estàtricentesimovrbisRoniæannoexactisanteàRegibusannos circitersexa ginta,& ArtaxersePersarumRegemagnam Græciæ partem, & Hellespontú occupante. Poftquæ temporadum Græciaindies Sapientiffimorum virorú scriptis venirent illustrior, perpetua habemus de Balneis testimonia, Socratis, Platonis, Aristotelis, cæterorum quesuccessu temporum authorum,qui& Aliam, & PersiamnonfolùmGręciambalnearumvsumhabuissefamiliarem LaconesTber testantur. Laconesinter Græcos antiquiores, primamlaudem Thermarum marimiznitanquam suuminuentumsibivendicare videntur, Dioneauthore: ac abeis tores. pofteà huncmorem reliquas nations didicisse. Quod confirmatpartium nomina in Thermis Romanis, quæ omnes græcæ suntvoces,laconicum,Hypo cauftum,Miliarium,& Thermæ ipfæ, nedicam cætera. Ex quibusconstat vsumThermarumapud Romanos fuise posteriorem, aceasinæmulationem græcorum constructastestanturMarcus Varroin librode antiquis nomini bus,& item Vitruuius.VeruntamensubilaRomaniimperijmaiestate, sicut omnes artes floruere, ac inuenta prius ab alijs meliora cuasére, vnde meri to Roma QUASI ALTER A MVNDI PARENS dictaest: itaomnium maxi mè Thermarumi nftituta incredibiles, & supraquàm exprimivnquam pof sit,habuêreprogressus,eatamen obliterataferèad hancætatem,necliteris mandata, multisforsanèdoctishæcmeliusscientibus.Quamobrem nos, volentes ad noftrarum lauationum regulam, antiquum Thermarum vsum rcuocarein lucem; operæ precium eftRomanarum institutaprosequi:inqui bus quæ prima ipsarum introducendarum ratio fuerit, quisordopartium,& quisvsus,& quæ tandem ineis medicinæ pars extiterit,percurremus. In Critia, berno tempore, atque feorsumaliaregibuspriuata,alia viris,aliamulieri bus,aliaitem equis, cæterişúeiumentis. Posterisveròseculispater Home rus, cuiusscriptisnullumconstatapud Græcos testimonium antiquius,mul toties calidaruin lauationum mentionem fecit. Præcipuè verò in Odysseæ lib. 8.vbi Poëtaomnium fermèrituum memoriadignorum obseruátissimus, Thermas indeliciiscommemorat illisversibus. vic. Homeri lo Aid δωμϊνδαίς τεφίλη, κιθαρίςτε, χοροίτε, De  affiduis primùm venatibus deditos,necminusagrestibus operibusedu catos, nonaliaferè industriatùm amplificandæ Reipublicę, tùmdefen dendæquùm opusfuit, præualuiffe, quàm quoddurataiampacislaboribus corpora,facilèquodcunquemilitiæonussustineredidicerant.Inquo perce lebremhabemus Quintium Cincinnatum, abaratroaddictaturamvocatum. Itemque C. Fabritium et Curium Dentatum, qui rure ac militiæ laudatissimi, omni Spicula contorquent, cursuque, ictuquelacescunt, Abhisergoexercitijs, vterant frequentes, harena, puluereque conspersi, ac fudoreprofusiatqueoleo,vtseminudi acexertisbrachijs,cruribusque,vel liberosaltemhabitu, quo degebant, vt effent admunia propriores, necessario lauationes pofcebant. Qua dere, dum adhuc nouitiavrbs inhis studijs Patres campum Martium vicinum Tyberi, in quo iuventus post exercitium Lib.1. c.10 armorum, ludorem, pulueremque dilueret, aclassitudinem,cursusquela borem natandodeponeret. Qui mos vt paulatim èreipsa, & quasi nemine Lauationes instituentese in ciuitatem ingessit (quem ve plurimum soletese nouo rūrituum in Tyberi, introductio)itatandem crescente indiesiuuentute,armorumquefimulac exercitiorumaffiduostudio,viamtamfrugiinstitutiaperuit. Sanèin ciuile videri nobilem ciuitatem in luculentis Auminis aquis quotidielauari;aclaua craid circo Asiaticorum, & Græcorum moreparandaesse,quæpostexercitia non ad munditiam facerentsolùm, verumetiam recrearent, maiusque robur laffatis membrisadiungerent.Quod tamenpropositumlongissimèdistulêre: nonquideminscitia,autvecordiatamgenerosæciuitatis, sed propter  Antevrbempueri, & priinęuofore iuventus. Exercenturequis, domitant que in puluerecurrus. Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis 7. Aeneid. Lauationum Deprimis Thermarum institutis in vrbe Roma. Aris quidem constar Romanos illos Quirites,antiquosque Sabinos, satissuntexemplonobis, hæcfuisseilliusseculiftudia. Non pecuniapræua lere, non forma, nõ ambitiofo hominum comitatu, non stemmatis dignitate certare: fed totamvimin proprijanimiexcellentia,viribuscorporis,acexa etacura Rei pub. collocare. Feruebant honestælaudisemulatione ingenia, vt quosarma,& propria virtus ad prim s ciuitatis honores euexerant, studio, ac laboreæ quarent. Quare vbi militiæ in externosceffasset occasio, ROMANORUM quasi natiuo instinctu dediti ad labores, autrurese agrestibus exercebantope-studia. ribus, autaddisciplinamac roburcorporis, ciuilibus,ijsquevarijs exercita mentis vtebantur: cursu,disco,faltu, lucta,& pugilatu,natatione, atque armis. Quem more man t è urbem conditam fuiffe quoue. APUD LATINO antiquissimum, planèilis versibusrepresentauitVergilius. necessitas. 36 strenuè adolesceret, præclarum habemus Vegetij testimonium,constituisse gruentem,au&taque fpatio temporis,spectatævrbisinfinitimasterrasautho Aquaríper ducen.decre ritate; deaquistandem èvicinis montibus, Auuijsquein vrbem perducen- tum. 1 (vtegoreor) potissimascauffas:Tùm quiaprimiili Patresnontamfrugifu turumolimhuncritum existimauêre, quàm luxui, ac mollicieiforelenoci nium; id quod accidisse, posteà declarabitur. Deinde ob aquarum incom moditatem,quarum incolles,vbitunchabitabantdifficiliserat,& nonsine maximaimpensa,perductio. Verùmhoc laucitiædesideriovniuersimin dis, duas   dis, decreto S. P. Q. R. publico ftatutum est: quæ & potuum fimul,& laua tionumritui suppeterent.Quod factum est primùm M. Valerio Max. P. De cio Mure Coss. (authore Plinio) aqua Tyberinarī Appia ex Tusculano per ducta, Censore Appio Claudio curante. Aquibusté. porusdimif. poribus, Tyberinarum aquarum vsus,adeam vsque ætatem tàm potu, quá sus. lauacrofrequentiffimus, exolescerepaulatimincepit:aclauationum simul, atque exercitationis gratia (ut tradit Festus Pompeius) Piscina publica ad cli Piscina Pub.uium Capitolinum iuxtàTyberimestconstituta.Pofteà Thermæconstructę. stitut& uationumduntaxat,conftitutæ fuerant,haudmagnum habuêre progressum. Visicùm auctaciuitate, simul atquecrescenteindiesineisiuuentutisapplau. fu; semper maiorisearum capacitates ratiofuit habenda.& præsertim vbime dicorum consensu incurationem quoque ægritudinum suscipicæperunt.Ve rumtamenpostinitiadiuadmodum consuetum fuitangustasfieri,actenebri cosas;nonenimcalidævidebanturnisiobscuræ;quem admodum fcribitSe necaadLucillum,fuissebalneum Scipionis Aphricani ad Linternum. Causa verò amplificationis Thermarum præcipua, fuit Palæstrarum adiunctio. Quippe cùm apud Romanos veteres, ferèvfquead Augustum,nonadeo multa extiterit architecturæ dignitas, nec adeo fuerit consuetudinis Italicæ. (vt desuotemporescripsitVitruuius,& multoetiampost)cumPalęstrisLa uationes habere coniunctas;contentus quisque ruralibus exercitationibus, ThermeadvelCampo ipfoMartio,& harenaPlatearum;solasin Thermisobibantla exercitia có uationes. Quo ritu ad imperium vsque Principum perseuerante (vnde planè stitute. constarepoteritThermas exercitiorum cauffa fuiffeinstructas)vbicunqueali qua fierent publica edificia, ac populi celebritas,iuxtà constituebantur & Thermæ.Exemplo primùm Agrippæ clarissimo;qui ob celebritatem admira bilistempli Pantheon,atque Campi Martij; iuxtà,Thermas suas extruxit. SicNeroposteàNeronianassuasiuxtà Agonalem circum, ob Ludos,quiibi fiebant celebres,constituit. Necfecus authore Suetonio TitusVespasianus dedicato Amphitheatro,Thermas celeriterextruiiussit: nimirùm ad Amphi Palestrari theatri,& exercitiorum, quæineofiebantcommoditatem. Donectandem cum Ther.illustratacuniImperijmaiestateArchitecturæperitia,moreGræcorum Palæ mis coniun-ftræcum Thermis fuêre coniunctæ,vbinimirùm generosa iuuentus,relictis iamruribus,atqueharenis,simul& exercitationesobirentomnisgeneris,ac lauarentur. AtquehincnonsolumoperaThermarum fueruntelegantiùsdi. sposita,atque admodum amplificata, sedtantam etiam promeruerunt o m niumgratiam,vttotaciuitaspaulatim hancsusceperitconsuetudinem,fre quentare singulis diebus Thermas, & tàm Senes,quàm consulares,atque amplissimiordinisviri,necnonartifices,& matronæ.Proveteriinstituto, acftudiovirium,promunditia,& prosanitate,atqueomnicuracorporum. Romanarum Thermarum cenfura, atque Magnificentia,  Quæ quoniamfrugiinprimis,obeam, quam dixi causam et ad ritum la.10 Etæ 40 čtio. A e c ergo initia, atque hæc incrementa fuerunt thermaru m Romanorum. Primò quidem institutæob ritum laudabilem,quem exer citium,& vitæratioillorum temporum inuexerat. Deinde au Therme con Therma auCtæobcommunemvtilitatem,& magnificatæcumpalestris. Eradfum mam tandem amplitudinem, acmagnificentiamperductęobdelicias.quem ad modum à nobis ex earum aliqua descriptionem on f trabitur. Quan quam id quidem, prorei, atq;vrbis magnitudine, haudnostroindigeret testimonio,descriptio quiMedicinęduntaxatineisinstitutaprofiteremur: nisiminusplenèomnes,curnecela quide Architecturaconscripserunt, earummaiestatem expreffiffent. Nam ria. quidde Vitruuijlibriseliciemus,nisinudaquædam lineamenta,atqueeaqui Invitruvio dem nonadmodum explicata,paucaquelocabalnearumsuitemporis,quan-censura. doperangusta,& blactariafiebantbalnea(vtpauloantèex Senecætestimo niodiximus) quæeiusætate,& poftcà maximè, locuminter primasædificio rum vrbismagnificentiashabuêre?Minusàiuniorum scriptis,quimutatis rebusposttotsecula,acminus concordibus, quifparfimdeeismeminerunt authoribus; fatissibi,atquelegentibus fecisseratisunt,sivastamduntaxat Thermarum dixerintmolem, acDedaleioperisinstaradmirarentur, cùm ta men Romanarum rerum magnitudo cunctarum nationum miracula supera- Medicorum. uerit, non in Thermis folum. Minimè omnium à medicis. Quos turpe h o dieadrectam lauandiægros institutionem videri deberet hæcignorasse; indi gnissimumveròproea,quam profitentur Galeniimitationem,quæ vixvlla essepotestsinehorumrituum notitia, inquibus ferètotaeius doĉtrina versa 20tur. Quam obremoperæ preciumest, advniuersam instituti nostril rationé, Therme an aliquam ThermarumVrbanarum,partiumq;ipfarúcensuramfacere.Princi-publicę,an pioThermas fuissedecreto publico constitutas, (vt eftdictü)non eft dubitan priuata. dum.Nam idmultæ declarantauthoritatesscriptorum,acmarmoreæ tabu læ,inquibus vel Senatusconsultaleguntur, vellegespositæinThermis,ve! munera. Quę exmultispofteàritibusdeclarandavenient,vtpotè,inaliquo publicogaudiosinemercedepræstarisolitas;veloleum gratuitodari.incom muni veròluctupublicè Thermarum vsum interdicisolitum. Imò in priua tispęnisexéplum legimus apud Valerium Max. lib.2.Titio pręfectoobigno miniofam deditionem Calpurnium Cor. Conuictum hominum, & balnearu vsuminterdixisse. Verùm quinegantThermasoperafuiffepublica,memi sedinThermis:quarumhodieamplitudinem,accelebritatem,hac sancta religioneintroducta, templanostra, ac pia xenodochia immittantur. Quare & Thermæ Xeniædicte, quæitaapudgræco scognominarifolebant, quasi hospitales,& gratuitæ, quo cognomina Thermarum publicarum vtitur manı  Thermarum nissedebent magnificos in eis Imperatorum titulos, qui æternitate nomi- Thermarum nissui, tantioperismagnitudine affectassevidenturacRomanis suis, vel Po- magnitudi Oo pulo gratuito constitutasindicant.Quo planum fitetiam,easfierioportuis secapacissimas. Non enim in templistuncconsueuit populus congregari, quæidcirco angustafiebant, acsuisquisqueindigetisacpenatibuseratcon tentus, Tuniorum, nis ratio. Therma xea 40. Vnde perperam inhistorijsretulit Volaterranus, quiblice. M.Tulliuspro Cælio legitproSenensibus, cùm nus Francisci Patritij imitatus, Senias primas verò scripta subSenarummenioria.Inter quam balneainantiquislegantur, quarummeminititem palatine.,credo fuiffe Palatinas, atquehas xenias per acpublicas,ademissaria Aque Claudiæ adeaspofteå Cicero,vbiSex.Rosciusoccisus,authoreeodemSene,earum cura erat publici muneris Max. ductæ. Necminus ætatem, quails & Cato, & Fabius ca, nobilissimos Aediles antesuam, acsuaetiam & alij, populum inthermis exigend imunditias gratia receptare niæ dop H. 2   manutemperare folitos. Balneatorestamenin Plautolegimus, & pofteain Balneatores M. Tullio pro Celio, quieiministerioaderant. EtIureconsulcus.Instru et Balneato me nto inquit balneatorio legato, balneatores continentur, quoniam sinerium lega ti. his balneæ vsum suum præber e non possunt. Producto autem seutis annis instituto ipso ad luxuriam Principum, non solùm capacitatitantæ vrbis con sultum eft, fed citrà vllam mensuram aut modum, & vt Ammianus aflimi Thermarunlat potiusprouinciaruminftar,quàmvlliusædificijforma Thermascæpe numerus Ther.Impe runtextruere. Extatinterprimamonumenta,M.Agrippam,inAedilitatis munere;quodpostconsulatum gessit,gratuitapræbuiffebalneaquæ'po steasub Nerone,vt testator Plinius, ad infinitum auxêre numerum. Sextus autem Aurelius victorin censu partium vrbis, Thermas, amplissima opera Imperatori axii. nominauit. Priuatarum verò balnearú, quasad priuatosvsus Ther. Priua qui lautè viuerētsibiinproprijs domibus compararunt, numerum exeodem ta. fubducimusferèdcccLx.quassuccinctèperregioneshicrecensebimus. Prima s ergo ha r u m duo deci m n o n eft dubitandum, fuisse Agrippę  Thermas, qui Ther. Agripeo dé authore Plinio, imperáte Augusto eiussocero, multa & egregiainvrbe perfecitopera, ac Thermas fuaslytostrato,acencaustopinxit,& pauimétaex Neroniana. vitropofuit. ErantautemvltràCampum Martium adfiniftram templiPan theon,vbinunclocusvulgòCiambelladicitur,vtquæin Campo & inAgo nali Circo exercitaretur iuventus, hinc Tyberisnaturalem aquam, hincverò calentiuminThermisaquarumhaberetcommoditatem,vbilauaretur.Ineis verocùm neque capacitati, nequeadeodelicijs consultumfuisset, eodem au. thore, successitquadragesimocirciterpofteàanno Nero profusiffimusImpe. rator, quiad Agonalem ipsum CircumsecundasThermassuonomineextru. xit.Inquibus,vtscribitLampridius,syluasdeputauit;& nonfolùmdulces, Alexandri. sedvelmarinasaquasinterdum,velalbulasperAquæductusAnienisadduci Hadriani Traiana. eum fecissememinitSuetonius.PonitidēLampridiusAlexandrinas,abAle xandro Seuero extructas in C a m p o Martio, quas quidam easdem esse N e r o nianas putant, quam tanto imperio fastuo- 30 sam,par erathacquoquenoncareresuperbia.InIli& SerapideMoneta Regione, c ù m Titus Amphitheatrum dedicasser, Thermas iuxtà celerite rex truxit, Suetonio;quæ tertiæfueruntImperatoriæ,nimirùm inAmphitheatri celebritatem& commode (vti diximus) & id circo breues. Quartæiuxtàhas Traianę, quas Traianusobhonorem Suræ, cuiusstudioad imperium perue nerat,erexit,acTitiThermismaiores,vbiquæextantmiraAquarum rece ptaculaseptem Salasvulgo appellant. Priuatæveròintotahac Regione Bal cömodianæneę xxx.I n Regione ad Portam Capenam, quintæinordinefuerunt Com & Seueria-modianę,quarum &Alexandrum Seuerum affectassenomen videtur: etiamsi nę. Antoniana. interpriores, acnoftrosantiquarios, aliquafitdelocis, & temporibus,& cognominumassignationevarietas.Inquapræterhas,extantalicuiusnomi nisapud authoresciuium balnea,Torquati,Vettij Bolani, Mamertini, Aba s c antiani, Antiochiani, & priuatæ aliæ Balneæ Lxxxv. Sextæ in Circo Maximo Antonianæ, quasmaximas verè dixeris, Spartianoauthore,quieasm e minitadradices AuentinicollisAntoninumImperatoremcognomento Caracalla minchoasse,perfeciffeveròeundem Seuerum:mirahodie architectu ra,   ratoria. pa. na. Agrippina. Titi. instauratas. Adhæc P.Victor Hadriani Thermas. Et ex priuatis Balneisintotahac RegioneLxu11.Eodemtemporeerexitquoq;suasTher-: mas iuxtàExquilias Agrippina Neronismater ra,necimitabili,cumPalęstrisconiuncto.Inhac& Varianæ,& Decianępo sterioresnumeranturaP.Victore,necnon Syriacæaliæcognominatę, & Pri uatæaliæLXIIII. Seueriquoque nominef uêrein TranītyberinaRegione Scueriane. Thermæ, eode in Spartiano teste. Necnon Aurelianz,Vopisco. Balneuitem Aureliane. Ampelidis, Balneum Priscilianæ, & Priuatæ aliæ 1xxxvi. Inter Esquilias &Montem Celium, apud Titi & Traiani Thermas, PhilippiImp. Thermas Gordiani. amplifl. ac pofitum estadperpetuamreimemoriaminipsabasylicadistichuin,deAngelis. Quodlicànobisest restitutum. QuæfuerantThermæ,nunctemplum estVirginis,auctor El Pivs ipsePater,cediteDeliciz. ruptèdicuntur,&PriuatæintotahacRegione 1xxv.Porròrecenseturinli. EsquilijsRegioneOlimpiadisLauacrum,vbisummo colliculoSanctiLau Vltimæ Cæsarum nomine, Constantinæleguntur ThermæinCliuoMontis Quirinalis. Quas non reparatas, non d e integro ex tructas à Constantin o e x i ftimo, cùmvetuftofatis appareant opére. Necnonmarmoreæ tabulætestimo nio,quodlegitur: HAS CIVILI BELLO DEVAST ATAS QVANT VM PVBLICÆ PATIEBANTUR ANGVSTIÆ PETRONIVS PERPENNA RE STITVIT. Propèhas L.quoq; PauliBalnea,quæ vulgò Balnca Napolicor- Balnea Pau rentijinPanisperna,monialium ecclesiahodiecelebratur. Adcliuumcollisà Olympiadis. Suburra Agrippinæ Neronis,quod diximus Balneum, & infrà Nouati ciuis alix balneæ, vbi S. Pudentianæ est ecclesia. Et Priuatæ aliæ in totum lxxv. Subinde vede Priuatisreliquisbreuiteragam: erantinquartaRegione,vbi& Templum Pacis, Priuatæ BalnexLxxv.cum Daphnidisbalneo. InCeli montio xx. InviaLataLXXV. InForoRomano iXVI.InPiscinaPubli. caxlinn. InP alatioxxvi. PluresinMartialesparsimlegunturThermæ, Tuccæ,Hetrusci,Grilli,Lupi, Fortunati, Pontij, Seueri, Fausti, Peti,Ti ti, Tigillini, quarum locanon assignantur. PorròextraVrbem nonminor Thermarum cultusessedebuit, vtexquarundam preclariscolligimusm onu, Constantina. mentis. Erantad Hostiam P. Tacij Thermæ, centum Numidicis columnis Thermeer Ooij adscribit Pomponius Lçtus. Necprocul Gordianorum Domus, quam descri psitIul.Capitolinusadmirandam,ducentascolumnasvnostilohabentem,& cum Therinisadeolautis,vtprætervrbanas,vixaliæfimileshaberenturin toto orbe terraru m. In a lta Semita Regione, Viminali colle, Diocletianæ ex - Diocleti.1 1.. tant Thermæ, quasincçperatquidem Diocletianus Imp. cuni ordine exactif simo, atque amplissimoPalestrarú omnium generum,inquarum opus quadra gintamilliaChristianorumeum addixisseaccepimus. Ob magnitudinem tamen (v tin Marmorea tabula legitur)CONSTANTIVS ET MAXIMIANVS OMNICVLTV PERFECTASROMANIS SVIS DEDICAR.Hę,cùm in fermè ædificio admirandæ permanerent, hodieCartusiensium Mona tegro sterio Sacræ, Pio Iu11.Pont. Max.subtitulo Sanctæ Mariæ de Angelis magnificèrestaurantur: Curante M. ANTONIO AMV110.S.R.E.CARD. S. Maria exornatæ. Arpini suas instituitThermas Cicero,scribens ex Asia ad Q. Fra trem. Erantin Lucullano, quænunc Frascati vulgò dicitur, Luculli Thermæ, vbi nos integra vidimus Hypocausti vestigia. Ad Baias autem Thermæ Baians. erantprætervrbanas,supraquàm quisoptarepotuissetvoluptuofiffimæ,na turaipsaibia quasvberriinè fuppeditante,gelidas,calidas,& plurifariâfalu bres,quasfatisinsuishistorijscelebrauimus.Quid verò hìc cęteras Italię pro sequar Philippi. Trarbem L.  haberet? Quinetiam Rusticanas, inquibusfamilia (vt inquit Columella,& Rusticana. exeoPalladius) ferijssaltemdiebuslauaretur: nequeenimfrequenteniearū vsum robori corporis operariorum conuenire. Similiterhunc morem acce Aquarum maris, & portuumcommoditate, aquarumduntaxatsustineretpe-': nuriam;hacinpartevenisseincertamenquodam modo cum naturavisaest, vtaquarum quoque essetabundantissima. Itaquecumhocdesiderio, crescen teindiesinstituto Thermarum, & modò aliaatquealiaadducta multo spatio temporis in tantam aquæ venêre copiam, vt Augustiætate, Strabone teste, pervrbem, atquecloacasomnesinundareviderentur, & vni uersæpropemodum ędessubterraneos meatus, syphones, acfistulasvndo sashaberent.Quo temporeM.AgrippaAugustiipliusgener,quem complura invrbefecisseconstatopera,cultu,atqueedificiomagnifica;aquarum Cu ratorperpetuus,authorePlinio,alijscorriuatisatqueemendatis,& alijs nouiter adductis,septingentos lacus fecit.Pręterea fontes c v,Castella Lacusintelligoex Frontino, alueosbreuimuro,inquibusaquæ reciperen tur,& aliaexalia,vtfiuntapudnos Fontane,Lauacra,Fullonum stagna, jumentorumaquagia,& huiusmodipublicacommoda. Fontes, quiprimas ac fyn ceras ex Castello funderent aquas, pauciores id circo quàm lacus. C a stella,certaAquæductuum receptacula, ad MęniaVitruuio,&inviarumdi uortijs, vbi aquarum facienda esset distributio.Quale etiam num visitur in E r quilijs Castellum aquæ Claudiæ, indiuortio ad portam Maiorein nunc dictá et adpisse reliquas Provincias, quibus Romani imperassent, in transcursu diversarum lectionum obseruauimus. Prætermultas, quaslegimus Romanis anti  Lacus in vr sequar Thermas, cùmeatempestate vulgò vilaquæ libetdiuitumfuas balneas quiores, vtquasprimasinGreciadiximus, in Asia,inSicilia,& apudPersas Hebræorum DarijThermas, quasPlutarchusdescribitditiffimas, & lautiffimas. EtIose Hifpanorum phus Hebrçorum Thermas ad Ascalonem, ad Tripolim, ad Damascum, ad Ptolemaidam. Hispaniaqua calidalauari poftfecundum bellum Punicum à 10 Romanisdidicêre,anteànon consueueruntnisiinfrigidalauari,authorIu stinusHistoricus.Multæ occurrunt apud authores Thermarum memoriæ,in Germania,inGallia,inBritannia,aclongè pluraipfarumvestigiavisuntur in Italia, in quibus vidi sępius per inscitiam etiam doctos virosobstupescere, alij Theatra,alij Labirinthos, alijmemorandas moles alicuius sepulchri ia ctantes.Quarum tamenritum legimusvenisseadeocommunem, vtnonco lonias, & municipia solum,sednemo dignè tùm Romanam militiam profi terivisusesset,quinon haberetsuabalnea,& gymnasia, inquibuscommi litonessuiexercerentur. Quod de CleandroTribuno equitum Commodi Cęs.meminit Herodianus. Indomesticisveròvsibusbalneum eratviainci-20 bum,vtnotauit Arthemidorus. Cuiusreipassimhabentur exempla,quùm ex itinere,labore,acexercitio quopiam balneum primò ingredi consueue rint,& pofteamolliaquarumfotu recreatiaccumberent. De aquis vrbanisad vsum Thermarumadductis. Externe. aqua;haud copiaivrbe bequid. Fontes V Ros autem Roma,cùmprætercæterasgratias,quibuseamaltissi musdecorauit,salubritateaëris,situagriadimperium opportuno, zo adportam SanctiLaurentij,quod pofteà C.Marijtrophæisinsignitum, adhuc illius retinet n o m e n. Porrò fingulis castellis aquaruin erant propositi Trophça suiCastellarij,vtpræclaroquod Romæ legitur epitaphiocostat. D. M. Clemen Aquarum propria commoda. Mirariveròlicet inprimis ipsarum ductuum fabricam, duétuumma dignam planècùm magnitudine operis, tùm certè publicaipsavtilitate, quęgnitudo. Pluribus mundispectaculisproponendaessevideatur.Molesingens,àdimi dioferèItaliæquædam perducta,partimexcisisac perforatismontibus, par 30timascendens, partim abimis vallibus perimmensosarcussublata, quibus Aufeia,& 20 fue xit. Etanteà lib. 31. cap. 3. Clarissima inquit Aqua ruinomniumintotoorbefri goris, falubritatisquepalmapræconio vrbis Martiaest, inter reliquadeûn damlociscentum& nouempedesaltitudinismensurantur.Vniuersamverò omnium censuramitahabuitFrontinus.AltissimusAnioestnouus,Proxima Claudia,Tertiumlocum tenetIulia,quartum Tepula,dehinc Martia,quæ capiteetiam Claudiælibramæquat,deindeAppia,omnibus humiliorAllie tina. Primaverò,vtpropinquior,& maximècommoda,Appiaadducta co ftarexTusculano:Cenfore vtfupradiximus Appio Claudio, annovrbisAppiaaqua quæ perportam Capenam,nuncSanctiSebastiani,inocto vr munera vrbitributa.Vocabaturhæc quondam Aufeia.Fons autem ipfePico nia. OriturinvltimismontibusPelignorum.TransitMarsos,& Fucinum La piconia tempus addu tiCæsarum N.Seruo CASTELLARIO Aquæ Claudiæ fecit Claudia Saba tis& fibi& fuis. Extat Senatus consultum apud Iul. Frontinum,quoaquam non eratpermissum nisiexcastelloadducere,ne autriui, autfiftulæ publicæ lacerarentur. Publicisidcirco Thermis, propriacastella videnturfuissecon ftituta: qualiavidemusintegraadDiocletianasThermas,& adTraianas,mul tipliciopereconcameratas.In Priuatisautemprima Censorum,aut Aedi liumeratauthoritas,quorum arbitratupermodulos, digiti, velvncięnomi necertoannuosolutovectigaliconcedebatur. Legequecautum codem te fte,ne quispriuatus aliam duceret,quàm quæ exlacuredundaret,quam ca ducam vocabant: & hancipsam non in alium vsum quàm balnearum, aut fullonicarumdariessesolitam. Omnem aquaminpublicosvsuserogari debere.Cæterùmquotnumeroessenthæaquæ,quæ,quonomine,& quo tempore,& vnde adducerentur,breuiterpercurrendumest. ScribitPro copiusIustinianiCæs.fcriba,Romæ quatuordecim fuisse aquarum ductus, excocto latere,ealatitudine,acprofunditate, vtferèequesteripsocúequo pereosposseteuadere. Nos Frontinum imitati, qui Nerva imperante pręfuit hisceoperibus curator perpetuus, & fcriptis cuncta sid elitermandauit, octo aut nouem suo emissario per ductas dicimus. Quę fuerunt ex ordine, Appia, Anienisvetus, Martia,Tepula,Claudia,Anienisnouus,Iulia,Allietina,& virgo: etiamsi pofteàduplici, acplurinomine, vtvsueuenit,fuerintcogno minatæ. Nam poft Frontiniætatem, non aliamlegitur, prętereasfuiss ead ductam, nisieasdem àdiuersis Imperatoribusautinstauratas, autseductasad bi sRegiones exviginti caftellis distribuebatur. Quadraginta veròannispo- tus. fteà, exmanubijs PyrrhiRegisEpiri,SpurioGarbilio,L.PapirioCoff.prima Anienisadductafuit,vtetiamcommodavrbi,& altæoriginissupraTybur.Martiaquę. Tertia fuit adducta Martia, dicente Plinio lib. 36.c.15.Q.Martius iussusà Se natu Aquarum Appiæ, & Anienistegulaductusreficere, nouamànomine suo appellatam, cuniculispermontes actis intràpræturæ cum, Marü. Anienis ve Oo i 1  Triana. cum, Romam non du biè p e t e n s. M o x specum e r s a in Tiburtina s e a p e r i t n o. uem millibus passuumfornicibusftructis perducta. Primuseam invrbem per ducereauspicatusestAncusMartius,vnus exregibus.Poftea Q.MartiusRex inprętura, rursus querestituit M. Agrippa. Hæc Plinius. Hancdemum& Traia namnuncupatam aseritFrontinus,àTraianoinAuentinumvsq; protracta. QuartafuitTepula,quaabagroLuculli,quéinTusculanoexvarrone legimus Tepula,. Gn. Seruilius Cepio, L.CasiusLonginusCollin Capitolium perduxêre, via, quæ PortaMaiorhodie appellatur,claristitulis Cæsarum, Claudij, Claudiaque VespasianiT, iti,& M.Aurelij. Eamquidemdestinaueratprius Caligula,per & Curiadaduxitveró Claudiusabvsque xxxvi. lapide, viaTiburtina, èfontibus Cæ Cerulean ruleo,Curtio,atque Albudino collectam,quibusfæpènominibusscribitur. Adduxithiç & alteram Anienem, cuiductuiaddifferentiamveteris,Nouus Aniocognomentumfuitinditum, Frontino authore, qui& ipfumpofteàre Fons Albu ftituit.Concipiturautemperagrum Tyburtinumxx, milliario,operealtili-. Moad Portam Esquilinamadducto.AquamveròIuliamadmiscuitcum Tepu laM.Agrippa, viaLatina,quæab Aurelianoiterurmeftituta, eiuscognomen Juliaquęegassumplit. Ållietinam,quam & Augustam, miratur Frontinus Augustumpro Aureliana, uidentiffimum Principem per ducere curasse nullius gratiæ, imò & parum sa Alietina, lubrem,nisi fortecùm opusNaumachiæ aggredereturtransTyberim. Qui dam ob hoc eam intervrbanas aquas non numerant. DE AQVA VIRGIN E,QVAM duxitAgrippa,vtPlin,meminitlib.31.c.3.& deinde Claud. Cęs.Pri mum veròauthorêCaium Cęs. fuisseindicantmarmoreæinscriptiones,quarú 30 vnaineiusaquæductuitalegitur. Tit.CLAVDIVS DrusifiliusCesarAug. Nominisra-ductusaquæ Virginis destinatosper Cæs.àfundamétisrefecit, acrestituit.Vir ginis porrò nomen (vt Frontinus scribitnobilis author de aquis vrbanis ) ad cafum fuithuicaquæ inditum:nam quærentibusa quammilitibus, puellam virgunculam quasdam venas præmonstrasse, ac il as sequut o s in gentem a q u ç moduminueniffe.AediculaidcircoVirginisfontiapposita.Quod nomen posteavidenturadsciuiffe Dianæ, ac Triuiænuncupaffe, quasi Dianæfonsdi Fons Diane triplex habere dicebatur numen, celebrarisolita, necnon à triplicifonte,qui- 40 bushæcaquaconcipitur. Vel (vtquibusdamplacetantiquarijs) virginisno futurna menindicasseIuturnam,quam Nymphamsic dictam (testeVarrone) quòd Nympha. iuuaret, invotisfuisehabitaminfirmis, quiexeaaquabiberent, facramque in via. simulat que puteum, qui extat, dive Mariæ  Virgini fuisse consecratum, vt r a n In Triuia. libetquiseiusnominisinterpretationem accipiat,verumtamen eofit magis verisimilisnoftrafententia huncfontemfuisse virginéàDiana,& Triuianun Meuiæ,quæ dinus, Anio nouns 20 vocant Şaloniam, tio. Vel Triuię. & aqua Diançsacra,quęveteribusvirgohabitaest,& in Triuijs, vt AQVA autem Virgincquoniamsolahæcadnostramhancætatem Romam perducitur, altioraliquantosermohabendusest. Eam per cupa Primus aute D thor, ceretur, 10 Latina dextrorsus,longex1, milliapaff. subterraprius, deinde arcuato opere. Quinta, ac fausti nominis fuit aqua Claudia,vtinfrontispiciolegiturPortæ id circo hanc ædemei fuisse constitutamasseruntiuxtaipsum fontem,quam Sinct.Mar.posteàReligioneintroducta,insuperstitionempræteritiseculiabolendam,  JO est Herculaneus riuus, quem refugiens, virginis nomen obtinuit. Hactenus Ductus lon Plinius. Habetautemductus longitudinesàcapiteadipsum Triuijfontem,girudo. spatio a bestàvia Prænestina, dicente Plinio.Marcus Agripa & virginéaddu ” xitaquamaboctauilapidisdiuerticuloduomillia pafsuú Prænestinavia:iuxtà (vt Frontinus dimensus est) milliariorum XIIII.n a m vbi fpecus subit montių, vbicircuitcolles,velvallesæquatarcuatoopere, multoshabetflexus. Pro greditur Anienemfuuium,acintersectaTyburtinavia, & exinde Nomenta na, & proximè Salariavia; tandeminter Collatinam Portamque estsalaria, & Puteus Po. Pincianam sub colle Hortulorú, qui est hodie Sanctæ Trinitatis, ad Trivium litianus vicum exilit fonte. Subitautemeum collempro fundiffimnospecu,cuiusho die puteus altissimus repertus estin medio viridario, quod magnifico, ac con spicuointotāvrbem ædificio ibi constituit Cardinalisamplish. POLITIA. 20NVS, & vtrinqueduæ eiusaquæ marmoreæ inscriptiones.Tı.CLAVDII nomine. Etquo digno tum fuit magnisilis Romanorum Architectis, erita; omni futuro seculo memorabile Camilli Agripæ Architecti inventum, salientemsuaptes ponte facit aqua (impulsam tamen in æreum tubum rotis ræ, primam fanèlaudem promerentur Sanctiffimi D.nostriPivs IIII.& qui - statim ei successit Pivs V. Pont. Max. quivirginem ipsam aquam ad Virginisper pristina mantiquorum formam perducerecurauêre. Quippe lapsu temporum hæcaqua varias subijt mutationes,& quodmirum eft, vsqueà Plinijtem lutem. Pofte àc raffantibus in Italiam,& invrbemipsamtotbellis,acvaria rumgentium incursionibus: plana in historijs monumenta habentur, quæ ductio. Refert Platina, Adrianum patria Romanum Pont. Max.d omitisiamaf. Adrianiin fi&isque Longobardis, anno falutisnoftræcirciter Virginis Stauratio. Aquæductum dirutum, cumalijsvrbisaquæ ductibus restituisse. Donecite rumnonmulto poftdirutus, protantarerum,quæsuccessitcalamitate, nuf quam prætdr e a videtur fuisse restitutus. Nam quod in ipso Trivii fonte legi Nicolai. tur, Nicholaumv. annoabhinccxII. Virginem fontem restituiffe, planevi detur is Pontifex haud vllam antiqui ductus huius aquæ partem instauraffe; sedconfluentesduntaxatèviciniavenascitràpontem Salarium prorefugio vrbis collegiffe, quæeftminimapars; virgoigitur aqua octauo (vt diximus) est Salonia. Milliario concipitur,vbi nunc locusà Salone dicitur: Quæcunque fuerithu ius nominis significatio apud vulgus, quod,vt consueuit huiusinodi aqua run conceptaculafalasdicere,forsan & hoc obamplitudinem areę Salonem nunc uparit, dicente præsertimFrontino,hunclocumvnde virgo aqua con- Riuusnúad iicitur, palustrem fuiffe, & vt scaturigines contineret, lignin operecom-mititur.  40 cupatum, quod nomen ipsum ædis Sancta Maria invia, vulgari (vt videtur) vocem utila dicitur,  pro Sancta Maria in Trivia, vbi multa cum devotione Beatæ Mariæ Virginis etiam num ea aqua ab infirmis bibitur. De Fonte ergo ipso quia d huc in Triviæ vico celebris est, non est dubitandum. De origin e a u - Origo. tem, Pliniusa pertèdicit concipivia Prenestina. FrontinusautemCollatina ad milliariumoctauum, quæ vtquidam putant,duorumcircitermilliariorü pore(vtipsememinit )cæpithuius aquæ fimulatque Martiæpenuria: Ambitione (inquit) ac auaritia in vilas,acsuburbanadetorquentibus publicamsa Artificium per Usurpatio.  Herculews ipsam aquam volubilibus, & machinis) quæ eximo puteoads ummam planiciem. paffusexilitfonte, actantavbertate, vt non hortosfolùm,fed & totam quoque subiectam vrbis partem reddat irriguam. Cuiustam frugiope Agrippe. mu 4 OO 111)   munitum, quod nunc quoque visitur aliqua parte. Iuxtà estriuus Herculaneus. quemtamen non admittit, tùm quia locus palustris humilisque est, ac v l i g i n e totus obsitus; nec aquæ est satis vtilis: tùm qui a  satis fupe r q; adeam formam aquæductus Salonia est. Neceum riuum admisisse antiquos,satis apertè de clarantea Plinij verbaiam allegata. Iuxtàest Herculaneus riuusqué A Salinis refugiens Virginis nomen obtinuit. Nec secusdimittendaeorum sententia aqua. est,qui ad Salinas vocatas à Frontino aquas pro Salonia acceperint: cùm hæ longiusinfluantà Salone, sinistrorsusàvia Præneftina, vcidem Frontinus inquit,passuum septingentorumoctogintaquævelAppiaaqua,velAppix Appi&origo carestudeat, piètamen & public vtilitati consulens, opus tàm frugiprofequu Vltimaper tusest, aquamqueVirginem, adeototseculisdesideratam, hocanno,acmen se MDLxx. decimoseptimo Calen.Septembris, cummaximo totiusvrbis applausu, ac gaudio perduxit in totum. Consultistamen prius (vt Sapientissimum decet Principem) Medicis, àquibus & bonitatem aquæ, et vtilitatem, quam præbere posset huic almæ vrbì re latam comprobauit. Qua dere Naturaem hæc mea eft sententia: Sanè magnum argumentum bonitatis huius aquæ hoc Qualitates esseexistimo, quòd hæcaquafueritinvsu, vt nunc quoqueeft, longiffimis seculis. Quippe hæc primas sempermeruit laudes simulcum aqua Martiain tercæteras vrbisaquas. Authore Pliniolib.eodem 31.cap.3.d.Quantum vir gotactu(hocestfrigore)tantumpræstatMartia haustu:alternantehocbo tactusintfrigidæ, easnonperinde(laudabiles) & haustuesse. Hæcs uccinctè Plin. Hác aquam Martialis cognominatcrudam, ilisuerlibus. Ritussi placeanttibi Laconum, Contentus potesaridovapore 30 te influentium, & tepidarum, & frigidarum aquarum; hanc specialiter vsu Ab experi- balnei comprobat frigore, & profrigida, metri causa dixitcrudam. Velcru mentis. Dam intelligas eum dixisse in comparatione aquæ Martiæ, quæ (vt dictúest) vtilior haultuerat, virgo tactu. In experimentis, tardius hæccoquit legu mina, accibariareliquaque Tyberisaquęlimpidę,& Cisternalesaliquę.nimi rum quia fluuialeseiusmodi, inrespectu fontium, omni exutæsuntcrudita te,ac pluuiales magis aëreæ. Cæterùm hęcaquanullis fontium aquis vide- 40 turmeritò postponenda. Cætera veròquælegunturaquarumvrbisnomina, autvariæduntaxatipso nomin e sunt, sicut iam plura ali c u i a quę adduximus nomina:a u t externę sunt Crabra. Sabatina Lacus Saba saporem, inter vrbanas non adnumerant. Nec Crabram,quæ erataliaaqua, aquæ,nonvrbanæ. Quomodo quidam Alfietinam, itavocatamobingratū tis.Amnis Tusculanis, vndeaduehebatur, relicta. NecSabatinam,quamàLacuSa Larus. batis, qui hodie est amnis Larus, nouissima momnium aquarum breuimo. Io ductio. Martialis.  pars per Capenam portam, nunc Sancti Sebastiani ducebatur in vrbem. Tota ergo virgo aqua Saloniaeft, multisvenarum, & riuulorum acquisitionibus (vt Frontini verbisvtar) obitervsqueinviam Salariamaucta'. Quam Pivs IIII. Pont. Max. vt delectabatur vrbem suam æternis monumentis, publi cisq; idgenus operibus adornare,destinauerat.Pivs verò V. Pont. Max.cũ fanèprimùm orthodoxamfidemnoftramàtotseculihuiuserroribusvendi no, vtquæ CrudaVirgineMartiaquemergi. Quo nomine haud quidem cruditatisvitioeāhic Poëta damnare voluit. Sed mirisex tollens laudibus Hetrusci balneum, blandicie præsertim, & varieta dulo   20 qua q u a n ı diversæ à prædictis aquæ. Quod vsu cuenit in eternis id gen us operibus, perpetuams ibiquisque memoriamcomparare.ItaqueprimaTherma structuræ exemplo, nulloque integrèscriptoremandata literis, nisi obiteràmultis,& controuersè. Etquæobfitaadeovetustissimisiacetruinis, vt quanquàm peritissimi multi hacętate antiquarij conquisitiffimè studuerint easinali quamlucem reuocare:nonminortamenadhucrelictafit, magnis etiamingenijsconfusio, vtquęsparsim dehislegunturauthoritatesscripto rum,cum paucisquæipsarumapparentreliquijs concordentur. Inprimis describendaessetixvoypapíce, basisquetantiedificij,quam noftriadverbúPlan tamrectè appellant: at hæc diuersissima habeturabe aquam tradit Vitruuius, neceadem dispositioin omnibus Thermis.Porrò, præterfpatiaplatearum, m i n a esse tantum aut instauratorum, aut insigniu meor u n d e m constat, h a u d ac additos lucos, hortosque immensos, ac Lacus, distinguenda effentloca exercitationum àbalneis.Acloca propriacuique exercitijgeneriassignanda, vbicominus, acbreuicirco, vbieminusfierent, sub Diuo, subtecto, in Xi stis. Et quæratio fuisset exercitiorum in Palestris, & quali aexercitia.Quis vsus præter e a totali a r ú partiu m: & quæ dispositio, Corycęi E, p h e b ç i, E l ç o thefij, Conisterij, Exhedrarum, Spheristerij, Xistorum. Etdebalneis, fi singulæ Thermæ plura habebant balnea, at dubiumnonest,quæ naniratio 30 distinctionis, ancommoditati, an loco, an ordini, vtcunctis legitur fuisse consultum. An omnibus vnum essetcommune hypocaustum:& feu vnum commune omnibus, seu commune vni partitioni, vt verisimile fit, quo loco maximècommodo.Anbinæ& ternæ, quælegunturlauationes,eodem fie rentbalneo, andiuerso.Etsidiuerso,aneadem pluribusferuiebat,ansin gulisnouaaqua.Velquæ ratiotàmmiriartificijcalefaciendivna hora tantam aquæ quantitatem, quæ innumerabili populo sufficeret? Vnde & quo certo ductutantæ aquæ copia? Quæ ratio erat Pensilium Balnearum, quastantocú applause Vrbis, & totius Italiæ quosdamintroduxisselegitur? Quibusadid valibus, aut balneis, aut alueisvtebantur? Etsilabrislapideis(vt quidam pu t a n t) quæ videmus per Vrbem maximis: q u æ e o r u m e r a n t i n balneis dispositiones, & quo situ ad aquas accipiendas? Etdebalnearijsrebus,quæ fanis expedirent,& quæęgris. Quiddicamdelauandirituperordines;perætates, perleges,peranni tempora, peripsaexercitia;acde innumerisdenique id genuscircunstantijs,quasvelnon scriptasabantiquarijs,velper coniectu ramduntax attentatasà iunioribus, merispotiùserroribus obscuratas, quàm explicatas invenimus? Quar e n o s d u m h e c aliqua ex parte revocare in lucem intendimus, & quævsuimaximè medico opportunasunt, exponere,nullam Fos Veneris  1 rum instituta, atquemomenta Aquarum ductuum habemus. is fchnographia Thermarum, &dehisquetractandafunt. Cap.v. Hermas verò per partesliterisinstaurare, haudquaquàm presentis muneris est. Nec facile esset, pro tantæ molis magnitudine,  non vnius dulorestituit  Hadrianus I. Pont. Max.quam & Ciminam interim appellariin uenio, àCiminoipsomonteinFaliscis, fonteVenerisdeducta.Drusaauté, Ciminaaqui Annia,Traiana,Antoniana,Seueriana,Alexandrina,& idgenusaliæ,no. ferè Dubia in Ther. 2 Oov   ferèiuniorum positionemfequemur: sedquátum exrationeillorumrituum,  Spacia Thersimulatque locorum ipsorum diligenti consideratione colligerepotuimus, percurremus. Spatia in primis Thermarum videmus amplissima: atque ad eo vt quasdam vndeciesmilliespedumtotaarea continere constet,authore Baptista Alberto in libris de Architectura. In Diocletianis, quæ inipsaareaappa rentvestigia,præterspatiavndiqueplatearum,& prætermembra,quæinfe riusacsuperiusvarijsThermarum ministerijsferuiebant,centum continent partitiones, vario ac nobiliffim oordine. Nec mirum, siconsidereturpublici çdificijmagnitudo,inquocommunis fueritratiomaximæciuitatisadexer 10 Magnitudo. citia corporis, ad balneas, ad disciplinas. In  i s enim communia er nt  studia, tamanimi quàm corporis, necaliaerantartium gymnasia, vndefæpè apud authores Gymnasia legimus pro balneis. Necminus addelicias: Nam ratio Gymnasia acresipsaostendit, nonfolùmvsuiinpartibus Thermarumfuiffe consultum, verumetiamvtiuuentus faciliùsadea studiatraheretur, & delicijsmaximè, & ornamento cunctarum rerum. Propterea Thermæ neque digniores occupa bantvrbis locos, nequeintervilioresfiebantvicos, sed vbilocicapacitas, at Forma Ther marum, ac partitið. Queoperis maiestas requireret.Vitruuijtamenętatenon videturfuissecon suetudinis Italicæ (vtipsescribit)magnificareadeo palæstrasac Gymnasia in Thermis: vtquibus satisad exercitiafacerenttùm Campus ipfeMartius,tùm Agonalis, totCirci,totplatex,totaliaexercitationumlocapublica, & priuata. Sed per angustas fieri, & paruas quales Agrippæ Thermas meminit Pli nius.Pofteà veroperductoimperiovrbisad luxuriam Principum,non modò Græcorum more constitutæ, sed dilatatæfuêreamplius,distinctaquem e liusloca exercitationum, acGynınaliaàbalneis. QualesAntonianæ, acDio cletianæde maioribusextant,acmeliusdispositis:quarum sinunc præsumná describere magnitudinem, non tam describere, quàm maiorem partem di gnitatis earum mihi videbor minuere: sedharum m a x i m è,ad notitiam tanti ritus, fequarvestigia. In his edificationis eratvaria forma, ac varia dispositio partium: sed a r e a amplissima, q u æ i n quadrum c l a u s a, tribu s v e l u t i perpetuis circuitionibusdiuisaesset. In primovndiq;ambitu,quæ męnioruminftar lib.s. 6. 11. totum edificium claudebant, errant gymnasia exercitationum, varioordine, quædicemus. In secundo, longèlat eque spatia platearum, Xista, acPlatano nes, ad exercitiasub diuo. In medio,totaipfamoles Thermarum,quæ sunt membra balnearum,Atria,simul atq; Xifti, & Palęstrarum amplissimæ porti cus,vbi (authoreVitruuio) Athletæ perhyberna tempora intectisstadijsexer cerentur, actranfirentstatim ad balneas, vtdelineataprimùmipfarumbasi, distinctèmagissingulaexplanabimus,  4marum. Thermæ. Ther. Diocl. 1 Oo vj   Hexedra Lalitudopal. 200 choricen Calidaria FO х NAT  MC) V R a THERMARVM DIOCLE Longitudo Platego Atriolum Die Scola riú BВ Spheriferti H Tostring 71 Apod TOD  Schola Longitudo Ρ Ι Α ΤΑ Laconica Hexedra Basilica Fngida Topida n uนี" Agaagiâetlume ORIINS Hexedma Hephebri ATRIVM nPoarttaitciuosnis la карэхэн Spheristerium 200 Hacera Lpatlitudo. 2  Hemicyclus Condste platego Porucus Tres Stadiate Theatric SET   VN M M HT NONES Hexedra A triolum sperifleriâ Laconicü Coniste Hephebell Hexedra pal. Kesedara LongituPdloa. odyterium Hypocau Dico Engda Hexedra 'Jių rium Porticus Staduatę Aquagiấetlume pal. OCCIDENS OS Tres salo ирэхэн ATIOTES TIANARVM ICON. ATRIVM n Paotrattiicounsis Spenfterum I O O O. Basilica Tepida Frigidai Calidariú Tõstrina A 5oC Hemicjclus sefala ridium PTENTRIO Scola 1    Departibus Thermarum, acexercitationumlocis. N PRIMA ergo facie, quæestadmeridiem,tertiamferèpartemmediamoc cupabat Theatridium. Quæparseratprincipalis,& tang caputtotiushuius ædificij: vndeduplicem (vt quibusdam videtur) habebatvsum;alterum extrinsecus, alterum intrinsecus. Ambitum enim exterioré ponunt fuisse arcuato opere distinctum,& apertum,quo exéplo patet, circūcolumnium poftbafilicam Posticã. ecclesiæ Lateranen.Vnde. f.ingrederenturquafiper Posticum, fiuedextrâverte rentur, fiuefiniftrâ per porticus, apertèvenirentinampliffimam plateam,ac exindè quò vellent, fiue in palæstras, fiue in balneas. In conspectu verò interiori ergaplateas, eratTheatrispeciedistinctumcũsedibus,vbi.f.populus,& maximè nobiles subvmbrameridiei sederetadludorū spectacula, quiinplateisexercitij causa fierent. Partes verò quæ vt rinqueà Theatri d i o plures sunt, aliqui balnea putant. Ná quodrotundaformaestvtrinqueinversurisvnum,pinguntessecali darium, & consequenterponunt vnú Tepidarium,vnum Frigidarium,& vnum lib.5.c.1 Apodyterium. Nec equidem nega uerim debuisse quæ d ã balnea s e o r f u m, & quali extra palestras constitui: partimmulieribus,partim artificibus, &hisquivenien tesàciuitate,statimintrarent, & quasiextràconspectumpopularemlauarétur, & abirent. Verütamenhæcnonfuiflebalnea,hauddubièvidetur:nam iuxtàeá ria Sacella. appictionem,nullus hicvidetur Hypocaufti locus: quoddebuite ffeinmedio, & communevtriqueordinibalnearum,tefteVitruuio,atinmediohiceftThea tridiummaximum.Nec eratconsentaneum,vtmébraspectaculieffentStuphæ. Deest & laconicum,nisifortasse hæc opinio confundat laconicum cũ calidario. Saterat& vnum Apodyterium comune,vtpotevnum vestibulum balnearum: hicduo ponuntur. EtprætereaTepidariaduo,cùm tamenidemfitTepidarium, quodApodyterium. Meliusergomihivideturdicendū,hæc fuiffepartimipfius Theatridij membra, & partimlocaadvsumAthletarum.i.eorum,quiexercendi essentcoram Theatridio, vtpote Conisteria, Elçotesia,& quædam apertè in pla team, forsane quorum carceres. Duo pofthæc Peristiliaquadracaoblonga, hinc (vt scribit Plin. Lunior de villa sua) exercitationú generibus.Vel Sacella, vt nota turperædiculasæquisvndiquespatiisstaruarum. hæceratprimæfacieipartitio. Porròinalterafacie,quæabaquiloneeodemcomensuhuic refpondet, videntur Gymna fuiffe maiori ex parte Gymnasia, philosophis dicata, ac Rhetoribus, reliquisq; q studiis literarum de dissent operam.Vtpot epars magis remota àftrepituAthle tarum,& litucômodiffimo, tùm propteramenitatévnibrarum (erant.n.inhac plareaPlatanones,vtdicemus)tùm proptergratafontium murmuria, inNataa tionéipsamcadentiū. Quaproptervisum estpluribusantiquariis, inmediohoc Vestibulu. Spatioå Septétrione fuifleprincipale vestibule totius huiusæ dificij. Exquoper40 Hexedre medios Platanones patebat aditus ad Natationem, & hinc, & hinc in porticus, in & Hemi-basilicas, Diętas, & atria, quæ pofteà dicemus. Primùm verò àd extra vestibuli, cycli. & àsinistraerant Ex hedræ pluresclausæ ante plateam, &cusedibus Hemicycli forma, vt disputantes, & tam loquentes, quàm audientes sese omnes afpicerent: & aliquæpatentes, cellscholænoftræad leuiora studia. Maioremverò citer  10 Peristilia fia. atq; hincvnum àTheatridiq,quasipalestræbreues,veldeābulationes.Acinver Spheriste surisvtrinque,vnum Sphærifterium,quod diximus rotunda forma,cum plurib. 30 Schola. exercitationum. Gymnasticarum continebant partem duæ vtrinque facies laterales, hinc, atquehinchabebantpartitiones.Ac fuisseeasadexerci quæ conformes tiadicatas videtur: tùmquia platexhælateraleserant liberæ,& amplæmillecir,  citer pedum spatio. Tùm quia membr a ipsa partim erant Hemicycli aperti cũ sedibus,acvarioornamento,quod apparet,lignorum,acpicturarum:& partimconisteria, Elæothesia,aliaquemembra advsumAthletarum oppor tuna. Totam hanc autem primam circunferentiam circundabant continua porticus,ducentiscolumnisvnostylo. Subinde erantPlatex,amplæ,&.Nam siædificiorum perfectioproportionibushumani corporis responderedebet,vtVitruuiustradit,perfectisfimèresponder in Thermis Diocletianis, ac melius quàm constituat ex Græcis Vitruvius. Ex Lib. 3. 20 eniminhis Theatridium, vbieratvestibulum, tanquàmcaput: Apodyteriū, pectus: Hyppocaustum, Stomachus: vmbilicus, maxima, acregalisbasili-Diocletiana cainmedio: venter, Natatio. Membrorum veròvtrinque, quæfuntbalnea, rummirifica atria, palæstræ, porticus, Diętæ, basilicæ; æquaratio, ac mensura eft, vt braars et de chiorum, acfæmorum. itavtquæ exvnatradeturparte,cadem ex alterapa basilicaameniffima, vbiconuenirentomnes, quivelinpalæstrasventuriBasilica. essent,velinbalneas. Idcircosatisampla,ornatuplastices,acpicturis adhucnitetantiquiflimis. Hinc rectâ in Diętam, quæerateadem capacitate, fed latiortamen basilica, duplici columnarum stylotripartita: nam media par teceuatriolum,erataditusinatriummaximum, & inpalestras: capitaverò hincatquehincdeunebantinhemicyclis, vbifortasseAthletarum ferrentur iudicia Circuncolí - liberæ, vt dixi, t à m q u æ a n t è Theatr i d i u m Stadium, nia.,erant xistum, Platanones, & autem,quæeratanteNatationem enim Xista (authoreVi maximè estiuas idonea. Fiebant adexercitationes Platani, virentesqueidgenusXista,&Syl )interduasporticusSylux,quæerant caperentre-ua. truuio situantèNatationem,vndeaquarum arboresconfitæ,aptissimo autemStadium,itafiguratum,inquit Vitruuius,vtpof frigeria. PoftXiftum, Athletarum cursus, variaque alia sent hominum copiæ fine impedimento hæ omneserantpartitionesquoquo latere,&  gym: spectarecertamina.Atque veròoperismaiestas,erattotamolesinme Stadium nasiorum,& platearum. Summa,acmultimodisearúmē dio,quæ communes habebatpalæstrascum balneis bris,acmiriartificij,quàm vtræquelaterales. Inea Porticus riterintelligendafit. Incipiemusautem àNatatione, quæpatentiffimapars aspiciebatAquilonem:& exeaàlatereperbasilicas,acdiệtasveniemusin atria, exindein palæstrasinteriores, acmaximam bafilicam,& demum ad balnearum membra. Erat in quam Natatio in recessum e dio ab aquilone, lon Natatio. Gitudinedu centorum pedum, latitudinedimidiominus, ponte, acarcubus bipartitaadinteriores aditus, vbinunc factaestmaiorisaltaris basilica. Habe batautemàcastelloproximo Aquæ Martiæ emiffarium, quod per occultos tubos ferebatad Natationem ipfam aquas.Habebat& supernèadlongitudi-Emissarium nem fontesvariaspecie,acMusxa,quæ teftePlinio,expumicibus, acero-aqua Mar fisvetustatefaxisextructa (vt hodie quoque Romæ sunt in vsu) specusima-tię. g i n e m referebant, ac fiftulis modò apertis, m o d ò clausis, vario, blandisli moque salientium aquarumlusu, recentessemperaquasinnatationéipfam Fontes,ac fundebant. Miriscircùmadhibitisornamentis,quorum etiamnumapparetMufaa ædiculæfignorum,& statuarum, fontiumquevestigia, & columnarum bases. A Natatione plura, ac nobilissimamembra: primùmabvtroquecapiteerantPorticusna amplissimæ porticus conformes, nimirùm & adspectaculaNatationum,& tationis. adrefrigeriaconstitutæ. Etaliæadaltiorem prospectumporticuspensiles,mi noristylo.Exeuntibusveròàporticu,tamdextrâ,quam sinistra,eratprimùm fcriptio. 30 Platanones. Dięta.  iudicia. I n Atriis era nt Peristilia, hoc est circü columnia, quæ facie ba n t a t r i u m oblongum trecentis pedibus, latitudine dimidiominus. vbiin Porticu, orie simacum sedibus, quæ tertiaitem parte longior quàm lata, eratad exercitia Corticum. iuuenumdicata. Sub dextra Ephebei erat Corticeum, seu Coryceum à Co. Coryceum. ryco, quod videtur pilæ genus in Galeno 11. de San. tuenda. Seu Choriceum Choriceum dictum, Choreisnimirùm, ac saltationibus locus proprius. Proximè Frigidarium, locus ventis per flatus, feneftris amplis. Ab eoqueiterin Spheristeriú ro oblongum, & fimplex, ad pilæ ludum aptissimum. Adsinistram Elçothesium, Spherifleritquæeratad vnctiones faciendascellaolearia. SubhocConisterium, vbificcó Elçothelium.puluere, velharenaluctaturiseseconspergerent. Ab eoqueiterinPropni. Conisteriú. geum, vbi erat in ver  u r a porticus Laconicum, quod referemus suo loco p o Propnigeú. iteà. A Peristilioautem, atrioqueintrantibus ad interiores Palæstras, erant Talastre in Porticus tres stadiatæ,quas hodie occupat longitudo ecclesiæ.Ex quibus m e teriores. diaparsamplissima, centumpedumlatitudine, superingentescolumnas,al Porticusftatissima prominettestudine, cæterùmitafactasecundum Vitruuium, vtilate Frigidariit. diate. Xistus. ra, quæ suntvtrinqueadcolumnasmargineshaberent,& qualeshabethodie via ab Hadriani mole adVaticanumsemitas,nonminuspedum denûm,re liquaqueplaniciesoctogintapedúm.Itaquivestitiambularentcircùminmar 20 ginibus, non impediebanturàcunctisfeexercentibus. Hæc autemPorticus ziso'sapud Gręcos vocitatur,in quo Athletæ in tectis stadijs exercerentur.Quę quoniamexacteeratinmedio,& velutiincordetotiusedificij,vbimaximè conuenire solebat nobilitas ad exercitia hyberna, ad ambulationes, & adspe ctacula; cæterasmeritò exceditpartes, tùm magnitudine, tùmregalimaie stateoperis, altiffimisfuperbiffimisqueprominenscolumnis,& patentissima vndiqueinperistilia, inbalneas,in Hypocaustum,inNatationein,acfuper nè feneftris illustrator latissimis. præualereassuesceret: deinde ad sanitatemtuendam,quiduofuerant fines præcipui:& demumaddelicias. In quibus omnibus mutua Balnearum,atq; Exercitationum errant beneficia. Nam quantum conferebant balnea lassatis rumque similiter coniunctaeratvtilitas, acmutuaerantinuicembe Thermarumneficia. Nempe Thermarum ratioduos, imòtreshabebatfines: primum ad instituta,  ac disciplinam iuuentutis, quæfic viribus corporis, honestis que vitæ conatibus fines et Exercita exercitatione, aclabore corporibus ad robur virium reparandum, & admuntionum muditiam. Tantundem rependebant vtilitatis exercitia, fine quibus balnea non tuo beneficia possuntesse vtilia, maximèsanis. Itaque Galenusinlibrisdetuenda San.mo Non p i l a, non sollis, non t e paganica Thermis Prz.   tali parte, eranthæcmembra,situaliquantifperdiuerfoabeo,quem assignat €phębeum Vitruuius.PrimòEphæbeum, in medio, hoc autem erat Hexædraamplif Balnearum 1 Bal. Recurel Atria. De exercitatio num generibus, ac preparationibus ad balnea. Cap. vir. CONSTAT ergo hactenus,balnearum locainThermis,atqueExer citationumfuisseconiuncta. Idqueoptimaratione,quoniam vtro dobalneaRecuratoriaviriumessedixit;modò Exercitia Præparatoriaadbal toria. Exerci nea.Quod frequenter inalijs authoribuslegimus,& succinctèeoEpigram tatio,Prapa ratoria. mate colligiturMartialis vnde dieta existimat D. Augustinusin confessionibus, quòd Bénestaisdivíes,idestquòdan xietatestollat. Ergo vtpro veteriinstitutogenerosæ Ciuitatis,quam diximus inlaboribusnatam& educatam, magnaeratomniuminThermiscelebritas; itapro tempore, & pro conditionibus personarum,Exercitationeserantva- Exercitatio riæ,& invarijslocis. Quippealiæin Palestrisfiebant, aliæinXistis, aliæinnumloca. Hexedris, subdioalię,instadio,& platearumlibero fpatio; alięinpluribus fiebantlocis. Necsecus quædam eran tcommunes exercitationes,pueris, senibus,& iuuenibus, vteo carminenotaturà Martiale. tereolusuum genera,quorum (vt cætera rumrerum viciffitudincs sunt) vix nomi. Iuuenum  De fatu.  Præparat, aut nudis tipitisictushebes. Vara nec iniecto ceromate brachia tendis, Folle decet pueros ludere, follesenes. Quædam propriæ. Iunioresautlucta, autcursu, autfaltu, autpilaludicriss; Personarum 20 idgenus exercitijscepissentafsuescereinEphebęis.Quemplanèmoremre exercitatio- presentauit Plautusin Bacchidibus, vbi in personam seuerisenisindicatpue-nes. Rosprimis vigintianniscum Pedagogo in Palestramantè Solem exorientem veniffefolitos, d. Βαλανέα Romanorum Puerorum Non harpaftamanu puluerulentarapis. Vidiffesigiturtum frequentem civitatem,nonfecusatq; hodienossolemus Vite ratio facrasEcclefiasfestissolennibus, frequentare Thermas. Alios quidem adho nestos, quos primo instituto proposuimus vitæ conatus.Alios ad sanitatem Ther. tuendam. Et alios ad oblectamenta tam animi,quàm corporis capienda, pro celebritate illa populi, pro variarum rerum, ac ludorum spectaculis. Et denique pro amænitate loci deliciosissimi: vnde barevéesidcirco dictas græca voce Ibi cursu, luctando, hasta, disco, pugilatu, pila, Saliendo se exercebant, magis q uam scorto, aut fauijs. Fortiori autemiuuentaiis dem quidemexercebantur, velacrioribusetiáple runqueludis,halteribus,harpafto,& aliquandocęstu.Velarmorum varijs g e n e ribus in Palestris. Vel in Hippodromis cursu equì, vel agitatu. Athle - Caftus. tæ vel stadium spectante populo de cusrrissent, vela c r i pugilatu dimicassent,  Halteres. cum cęstibusplumbeis,acbaltheis implicatismanibus,quo grauiùs percu terent. Alijsaltusimul et halteribus, item plumbeis globulis. Alijinsphę risterijslusifsent pila, vel foliinplateis, vel Harpasto, pilamaxima. Senio-Harpastum. resquidam, quorum erat ad sanitatem præcipuastudia,vtrecensuitGalenus, ambulatione duntaxatantèbalneumcontentierant. Alijclaralectione, vel Senumexer disputatione in Hemicyclis, velde clamatione oratoria, vel cantumusico. Alijcitationes. modòvnovtebantur, modòalioperoccasionem, exercitij genere. Id circos. Defa. tu. nec mirum septies quosdam aliquadielauari solitos, quod apud Plinium le gitur. Alexander Seuerus, vt  meminit Lampridiuspostlectionemoperam Palęftræ, aut Sphæristerio, aut cursui,aut luctaminibus mollioribus dabat, m o x venieba t in balneum. Aliis supplebant diurni operris labores, quia d r e Operari j. creandum lassatum viriumr oburvsuriessent balneo. Cæterùm lenis exercitationis modus erat ambulatio,quam Senes, & Virigraues, & imbecilles potiffimùmobibant. Dignior adl audem, acdisciplinam,eratexercitatioin Palestris & armiseorum, quirobustisess entviribus. Etquam oriquazíar, hoc 2. Desa.cu. est vmbra t i l e m pugnam, vt interpretatur Gellius, Græci appellant, divodepce T e u Tirl, ob salubritatem a gymnasticis dictam,Galeno teste. Innumera præ Рp   nomina ad posteras ætates transiêre. Nec nostræ professionis est exercitatio Nostrisecunum singulosmodos,aut genera:quibusiliveteresvterentur, recensê. livita dif ferensaban tiquis. re, quam partemà Hieronymo Mercuriali, Medico atque Philosopho scientissimo elucubratam, propediem in luce meditam videbimus.Verùm exco rum exercitiorum censu, quem fecimus, hanc præcipuam habebimus vtili tatem, considerantes quàm longè differathic præsens nostri seculi viuendi modus,& maximèPrincipum,necopportuno pofteros destituemusconfi lio. Sanèvbiillorumtemporum vitaaffiduisdeditaeratexercitijs,vtpote 10 quæ & fanitatem conseruarent,& promptiores redderentviresad singula, tàm animi, quam corporis munera o b e unda; è contra hodie in continuo ocio degitur. Età Principibus maximè, quiob decorum, ac ampliffimi ordinis maiestatem, semotam à communi consuetudine degentes vitam;aut curis animi grauibus iugiter tenentur. Aut siad ludicra aliqui tranfire foleant, ea Exercitianoinertiasunt, tabellæ, alex, vel Trochinouus modus hàc illuc supermensam stritemporisagitati: inquovitægeneretandemobdefidiain,& anxietatem,totam breui inertia, cursu vitædeficiant. Quapropter generalisfimum hoc ac saluberrimum sibi 20 Exercitijnequisqueproponeredebet institutum,exercitiumnecessariumessead susten cesitas ad vitationem vitæ: inquire omnes sapientes, variorum quenationum ritussum moconsensu conueniunt. Verùin quoniam hoc tempore non solùm pluri maveterum exercitiorum generanon funtinvsu, imòvelipsorum nomina (ut diximus) sunt obscura; necadeoilisvtiessetpoffibile,quinec Palestras habemus, nec Thermas, proptereàingratiamnoftrorun Principum,aliquot particularium exercitation numgeneraproponemusexGaleno, atq;alijsan tiquisauthoribus, quarum multas si non in campis et plateisobirepoterit; licebitfaltem et incameris et inatrijs,acviridarijsfuis,seruataetiainperso nægrauitate,percommodèexerceri.Exercitationum (inquitGalenus)com Exercitatio-pluresdifferentiæinueniuntur. Aliærobustæsunt, & violentę, fiuevehemen num dife-tes; aliæmediocres,&lenes. Aliæ singulares, aliæcumalio fiunt. Etaliæ rētiæex Gavni uersas simul corporis exercent partes, aliæ vnam magis,& aliæalteram. le.2.desan.Vehemens exercitatiodicitur,quę& robusta,& celerissit:atquehæcmul tergrauequoduistelum iaculari,& continuatisia&tibusoneremaximo subla  tame, pervertere temperaturam coguntur. Vnde non mirum est, qui præ properam accelerentsenectam, incurrantque facileautinmorbosrenales,autinpoda gram,autinHemicraniam,aliosqueidgenus affectus,medioquevelutiin fum tuen to, tash abet differentias. Quædam enim fiuntocylimèagitatis, quædamrobore, acnixu, quædamfinehis, quædam cum roborepariter & celeritate, & quæ Exercitatio-damlente.Fodererobustaest,& singularis exercitatio,remigare,discum nugenera. mittere,mouericeleriter,saltare;idquefineintermissionemaximè. Simili et ac clivis ambulare.Grauiarmaturatectumceleriteragitari.Continua tusdiucursus.Et iterfacere.Perfunem manibus apprehensum scandere, modo in Palestris quo solitum erat puerosexerceri.Velèfune,velperticama nuapprehensa sublimenpendere,acdiutenere.Manibusinpugnum redu: &tis, iisdemqueprolatis, velinaltumsublatis. Halteribus,feuglobisplus minusgrauibusleorsumpositis,vtraqueseinflectensmanu attollere.Quæ robustior erit exercitatio, si qui ad sinistram manum fuerit dextrâ coneturat tollere, & sinistrà qui ad dexteram. Diuq;,acsępiusidentidem facere.Potest & foliscruribuserectusacvnolococõsistensceleriterexerceri, modò retrora suminsiliens, modóinanterioravicifsim crurumvtrunquereferens.Solus fimiliterexerceriest,summispedibusingredi,tensasqueinsublimemanus, hancantrorsum, illamretrorsumcelerrimèmouere.Sehumi celeritercir cumuoluere, velsolum,velcumalijs.Cum alijsverò& citràrobur, & violen tiammultæexercitationesperaguntur. Vtcursusadmetam constitutam.Vel vibratilisar morum meditatio. Summisinuicem manibusconcertare.Co nes cú alijs. ryco,& paruapilaludere. Stare, nec finereseloco dimoueri;quo exercitij genereMilo Crotoniatescelebratur.Velseerectum,& circumactum 10astantemmutare. Complecti quempiam manibus,digitisquepectinatimiun ctis,isque diuellere seadnitens. Medium appræhendere,ac sublatum ceù magnumonusprotendere,&reducere. Luctaytriusqueluctatorisrobur maximèvtipoteruntSeniores,& quiadmotumsuntimbecilles. Ambula.Vltimò Fri &tiones suppleant. His omnibus ex ercitationum generibus,imòinfinitis alijs (vtGalenusinquit)docebant Pædotribæexercendumesse:& velinPa læstris, velextrà, velinaltopuluere, velconculcato, & firmosolo, & omni noantèbalneum. Quibus & nosiuxtàpræsentemviuendimodum,siuepro præparatione, fiquis velit ad balneum,feusinebalneo,vtpleriquehodiefa tecdicere,quæ situborealifrigidas,acpurasstatimàfontibusadmittebat aquas.EratenimNatatio (vtidiximus) separataà partibus balnearum: citationes, le  cimus, percommodè vtipoterimus. Sed de exercitationum emolumentis 40 alio loco occurretdicere: nunc ad describendas balnearum partesin Thermis redibimụs, acaliaineisrequisitaexplicabimus. De Natatione. Ne i principes autemThermarum partes, primùm de Natatione opor Cap. vii. Рp ij nimi. Exercitatio. prope rium mem brorum.exercet. Luctaricum roboreest, ambobus cruribus alter alteriu scrus com plecti, minibus intersesecollatis, & collo. Manua lteratanquamfunecol loalteriusiniecta,ipsumqueretrorsumtrahere, acreuellere.Pectoribusex aduers o i n n i x i, magn o se co n a t u i n uicem retrudere. Ad singulares porrò universalis, attinet electionem, qua parte corporis quis vtivelit, aut indigeat exerci- particula tatione. Aliæ enim vniuersas simul exercent corporis partes;quo nomine ludusparuæpilæà Galenoprætercæteracommendatur. Aliæ vnam magis, aliæalteram exercentpartem, lumbos, crura,brachia, spinam,pulmonē, Deparuepi thoracem. Itatio, cursusquecrurum exercitationes sunt. Acrocorisini, hoclxludo. Est festiuæs altationes & Sciamachiæ, crurum, brachiorum,& manuum pro pria. Lumborum autem, affiduèse inclinare,autpondusaliquod àterra tollere,autassiduèmanibus sustinere, Spinam transuersim exercet, atollere vt dictum est alternatimhalteres. Thoracis vero et pulmonis suntpro priæ, maximæ Respirationes. Cor. Celsus inter exercitationes imbecillisto lib.2. c.8. macho conferentes,claramcommendatlectionem. Maximaveròvoxvocis quoque instrumentaomniapermouet, dilatatque:naturalemexcitatcalo-Clarale&tio. rem, & quomagisfitafsidua, eomagisvniuersis corporis partibus communicatur, vtinnostris concionatoribus experimur et in libro de voceà Gale noestproditum. Hoc genere exercitationum per vocem, quælenessunt, Lenesexer Lufta. Etio,& amo tioneetiam quimagis validi. Velequitationessufficiantur, gestationesquebulatio. seucurru, seuproægrotantibusin Scimpodio,& Sellaportatili Cap. 18.   Nimirùmquia singularis eiuserat, acpropriusvsus, non tàm quidemadlaua Varzac efttionem,quàm ad exercitium. Eftenim Natare laboriosum, quòd itaiacta quoddam e rerectè Aristoteles in Probleumatibus, Natationem, oblaborem, cursuico parat, aquarum periculaexercerentur. Et Galenus testator de suo tempore, pue 1, Defa.tu,rosin aquis qumasina's Feudasfacere consueuiffe,idest, quòd prima fiebantin of Pifcina, Piscina P u aquis pueritiæ rudimenta. Itaque præter Tyberis commoditatem,propria adhuncritumlocaconstituta fuisseinvrbediximus,quæ diuersisexplicata nominibusinuenimus, Natationes, Piscinas, Stagna, atque etiam naumachias, Piscinædi&tæ, quòd & pisces hauddubiècontinerent, nontamenad vsum piscium, nam ad hoc propriaerantviuaria,sed ad munditiam seruanda aquarum,& amoenitatem. Videturautem exercitatio numhuiusmodi causa, primùm constituta fuiffe Piscina publica dieta sub cliuo Capitolino, ad veniebat populus. Exca& piscinæaliquandofuntdictæparticularesNata tiones,& labra lapidea, qualia Romæ videmus maxima, nec non portatilia, ac lignea advsum etiam calidarum aquarum. Quod authoritate constatM. 08 Tullijad Q.Fratrem desuisbalneis,Latiorem (inquit)piscinamvoluissem, vbiiactatabrachianon offenderentur. Hasà Galeno,acalijsGræcisautho x a n u p u s o ' n ga ribus, modò x o d u a k r í z s a s, mod ò Bari i su p o e edicta s legimus. Parva autem Solia, Capesupulco peluesquequercus; quam differentiam planamfaciuot Galeni verba lib.7. Mé πυελοι. Stagna. thodi, vbi ad ventriculis iccitatem curandam, quæ Hecticamminetur, nata tioneminbalneo factam consulitivteīsno numerisus, id eft in piscinis natandocó stitutis, quàmivtotspixpsīsavenoīs. Memorantur porrò & Neronis Stagna,vbi Amphitheatrumà Martiale poniturinprimis Epigrammatis d. Hic, vbiconspicuivenerabilisAmphitheatri Erigitur moles Stagna Neronis erant. Quod tamen stagnumnon plane constatanad natationis usum, anpro Nau stagno circumpofuit, conseuiffe. Stagnihuiusin Vaticano Naumachiæno Navale Sta minememinit Egelippus Græcus author, in D. Petri & Pauli martyrologijs. Cæterùm NaumachiapostNatationes& balneas,altiorisfuitinstitutiquàm Naumachia adnatationem,nec, nifipoftimperiaprincipuminuenta. Nempe inqua nautici certaminis fieret spectaculum, vel ad disciplinam militarem, q u ò faci of Finis duplex liùsmilites pericula Aluminum, vel naualis belli, cùın opus fuisset, possent Naumachię euadere. Sic Polybius refert Romanos primo bello Punico, quod aduersus Chartaginienses gesturierant, militessuosinnaualidisciplina exercuisse. Et SuetoniusAugustumcúm effetcótrà Pompeiumiturus, inportuIulioapud Baias milites in nauali exercitatione tota vna hieme detinuiffe. Vel erat N a u jucundunfpe Etaculum. machiævsusaddelectationempopuli,vtcæteraspectacula.Pluraenimerãt q u æ præberent animo delectationem:primò aluei magnitudo, ac Cyrci c u   1 vivarium. blica. Quam (ut Festus Pompeius est author) & natatum et exercitationis caussas duo. rat, gnum. xercitium, tismanibus, accruribusaffiduè, vniuerfæcorporis exercentur partes.Qua Et Oribasiuseaminteraliaexercitationum generaadnumerat. Imò Natationis in vrbe fuitprimus,acantiquissimus vsus ante balnea:quando scilicet conftitutæ fuerunt exercitationes in Campo Martio,vbiiuuenes (te ste Vegetio)  puluerem, sudoremque detergerent, simulatque ad obennda machiafuerità Nerone constitutum.Vsumtamen vtrunquepræftarepote Neronis no- sicut& de altero eius nominis meminit Tacitus,claufifle Neronem in mine stagna valle Vaticani spatium, in quo equos regeret, apud quenemus, quod navali iusdam OZ jusdamamplissimiforma, editaadcommoditatem tantiludi,inconspectu maximæciuitatis. Deinde classisineam, etiammagnarumnauiumintrodu Etio, & ludusipsecertaminis. Etdemum populicelebritas, & velipsaaqua r u m copia, atque amænitas, maris instar tranquillissimi. Et quæ apertis eu ripistantamvimaquarun vnohaustureciperet,laxaretquefinitospectaculo.Martialis inquo mouet admirationem aduenæ Martialis,dum sicadulatur Domitiano.locus. Cui lux primas acrimunerisipsafuit. Ne tedecipiatratibus naualis Enyo (Paruamora est) dices, hicmodò Pontuserat. Ex quo plane authoritate colligitur, in Cyrcotammarisquàm terræcelebra In Cyrco rispectaculadebuisse: vbimodòterra (inquit) modòPontuserat. Quod Naumachia. Cyrci Maximisitus confirmatinterAuentinnm montem,& Palatinum de pressus, inquem Gabiusæaquæriuus,quemMarianam posteridixerunt,per Gabiusaa petuòinfluit na. na aqua,vtFrontinuseftauthor, quæ fapore,& crafficiemarinamaquam AugustiNa 2 0 æmulabatur, in q u a faciliùs natat r, t e f t e quo que Aristotele in Problemati - u m achia: sub colle Hortulorum, ademiffarium aquæ Virginis. Authore Sueto Domitiani. nio,quiasseritDomitianum circunstructoiuxtà Tyberinilacu (inter Cain pum Martium scilicet& ipsum collem Hortulorum, vbi nunc iuxtà Sanctito pluresessentqui exercerentur et quifrequentarent Thermas adca,quă Bal spectaculaquàm quilauarentur.Eteodemtemporemagnahominum co-nearum. piaexercebatur, &quivno,& quialioexercitiigenere. Atadbalneasin trantiumcontinuaficbatsuccessio, nam cùm priores occupassentloca, reli qui (vt scribit Vitruuius) circunstabant,dum lauarentur. Pleriquesani,ac robusti, poftquàm in exercitijs incaluissent, nullisferè alijsvtebantur bal neis vtinfràmonftrabitur nisinatatione. Quæ parsidcircoeratamplissi ma, & exercitationibustamsubdialibus; quàm interniscommodissima. Vel Balnearum transiffentdunt axat ad balneas calidas, atque illicoegrelliinsiliebantinfrigisitus. dam. Summa ergo artificijin balneishæc fuissevidetur, vt in locoessentquả commodo omnibus seseexercentibus;acmirandiplanè artificijministerijs totaquarum,calidarum simul,& tepidarum,quæcontinụèexsefunderen turin balneas. Pro commoditate, ac ratione lauationum, erant omnes ad Рpij meri  Et parvndafreti, hic modò terrafuit. Non credis?spectes dum laxent æquora Martem. ropriè verò ad vsum naualis certaminis, duæ fuerunt certiffi-qua Maria inæ Naumachiæ. Priina Augustitrans Tyberim, adductâobidineam Alfieti Sylueftriædesapparentvestigia naualespugnasineo, penè iustarum Claf fiume didisse. Luxuosissimus Heliogabalus, euripis vino plenis, naumachia Heliogabali. exhibuisse. Tradit Lampridius. Sed nuncad partes balnearum proprias acMilanius. De partibus balnearum, esde Milliariis vafisin Hyppocausto. BÀLNEARVM veròin Thermisnoneam videmuscopiam, quamde BВ exercitationum locis iam diximus. Ex quo planè videtur, quod mulnum pluralo Exercitatio Siquisades longis serus spectatoraboris, bus. Alteraverò et magis celebris, fuit naumachia, quam Domitianidixi. mus Apodyteriú seu Tepidarium. meridiem,vndefolissemperillustrarentur, acfouerenturaspectu. Nam tó: taeafaciesanteriorerat distincta in duos ordines balnearum, vnusàdextris Hypocausti,&alteràfiniftris. Etvterqueordo distinguebaturinquatuor Cameras, conformes vtrinque, ac ita collocatas, vt ex una in aliam Etuplatearum àsitumeridionaliproposuimus,progressuferèad media pla eratceùvestibulum regaleApodyterium,seu Tepidarium. Quem lo mirabilem, meritò alterum noftræ ætatis Trimegistum dixerim. Hinc fini Hypocaustús tror sumn modicus introitus in Hypocaustum. Sive (vt meliusdicam) super Hypocaustilocum, quirotundaforma, cumopportunishincatquehincmē Cryptoportibris, nuncprimisNouæEcclesiæfacelisdicatuseft.Totaeniminfràmoles res. Aftuaria. darum, aliæ frigidarum aquarum ductus, alię calorum æstuaria, aliægrandes tores vt vocabulo vtar Iure consulti curam succédendi ignem habebant in Thermis. Eratautem vnicum, teste etiam Vitruuio: collocatum tamenin medio,vtcommuniseiusessetvsusvtrisquecaldarijs,exvnapartevirilibus, 30 exaltera muliebribus. Idqueperopportunaæstuaria,quierantmeatus ab Hypocausto perpetui, vndecalores occulti in cameras caldariorumipsorum penetrabant. Quod tetigit in primo Syluarum Papinius Statiusd. Vbilanguidusignisinerrat dioplacet æneatamenpatinasubiecta. Quorum idemeratnomencum ca meris prædictis,vnum caldarium, alterum tepidarium, tertium frigidarių. Legitur item Milliaria, a magna fortasse capacitate, quali plus millelibrarú aquæ caperent. Quippeidgenusvasa, teste Vitruuio,maximi aheni inftar, actestudinataadcircinum,itaerantcollocata, utex tepidarioin caldarium quantum quæ calidæ exisset, infueret, de frigidario in tepidarium adeundem modum. Atque hinc planum artificium est, in quotant opere laborauimus, quomodo ad communeinvsumtantaaquarum copia exvafisfuppedi tareturinbalneas. Quod restituo in lucem ex Seneca, quidum ad Lucillum miradeliciaruminuentasuitemporisdetrectat, hocafferitobiter. Construiteam, huiusædificij, concameratainuenitur,acdistinctaaddiuerfosvsus. Aliæ Fornacato. Criptoporticus erant patentes ad refrigeria in magnis caloribus. Aliä сali 40 IO CUS. 20 cum laxum, & hilaremdescribit PliniusadApollinarem, hocest,amænum, acmollisteporis, tùm solaribusradijsàmeridie illustratum;tùm proximi Hypocausti vapore laxum:vbi nimirùm ingressuri ad balneas exuebát vestes. Qux quoniamprimaerat, acnobiliffima Thermarum pars, nobilissimietiá numapparetartificij. Figura inquadrumoblonga,achemicyclisquaquefa ciedistinctum,cum aditisvndiqueintercolumniorum,columnisquesuper nætestudinisaltissimis, quætàmauthoris,quàmoperissummam maiestate ostendunt. Vnde sapienter hæc pars, proposita est pro prima porticu Ecclesiæà Michaele Angelo Bonaroto, quem pictura, sculptura et rchitectura cloacæ vnde lauationes exonerarentur, & aliadenique Hypocaustum,atq; Lib.s.c.10 Hypocaustimembra.EratergoHypocaustum fornaxinferior, vbifornaca Aedibus,& tenuem voluunt hypocaustavaporem. Vasariatria Super Hypocaustotriaerant compositavasariaænea, velplumbea (ut Palla Mincepice Græcis hæc Mirsapíe, Latinis (vt apud Catonem, Senecam, atque Palladium folitum aditus.Inmedio quidemerat Hypocaustum, vtrinqueveròinversuris La conicum, deinde consequenter Calidarium,Frigidarium,& tepidarium,vt planèsingula explicabimus. Principio contram Theatridium, quodinprospe pateret solitumin ipsis milliarijs dracones, quæerant fistulatavasatubæ instarære tenui, perdecliuemilliariocircundata,vtaquadum ados draconis con lis canales occultos, quorum aliquæ visæ sunt reliquię in eruendis ad nouam 2 0 ecclesiam m a c e r i j s: atque ex hinc aquas de duci solitas in Natationes, in Fonsicis organis n o n absimiles. Quia d firmitatem quidem, ac robur faciebant Tubi etepi ipsis v a l ibus: simulatque artificio ferès i miliquonos hodie Romæ nymph e i s s t o m i a. acviridarijsdamus velarcemusaquas, habebantfiftulasinfra parietes occul tas, q u æ in cameras balnearum,vbi opportunis locis essent epistomia, infundebant aquas. Quod ex eodem Seneca non est dubium, d u m n i miæ la uti ti æ adscribit, quod continue aqua calida ex sefunderetur in balneas,acrecens semper, veluti ex calido fonte per cameras transcurreret. Et ex Galeno, vë iam decamerarum dispositionibus dicemus. De Laconico, esde Solis Balnearum. RDINES quidembalnearumin Thermisduosdiximus,vtrinque scilicetabhypocausto vnum testeVitruuio,alterumvirilium,alte Balnea viri. rum muliebrium. Nam vtscribit Gelliuslib.io.cap.3.authoritateVar ronis2.deAnalogia,Pudornon patiebaturvtrunquesexum simullauari,sed do liadoMu aquarкт epis t o m i j s, fundebantur. Vbi nota harum ductuum in Balneas alterum arti 30fícium. Eranttubięne ierecti, tresàdextera et tresàsinistra milliarijs, m u 40 glomerati specie plurieseundem ignemambiret, pertantumfueretspatij, vasis. quantum acquirendocalorisatisesset. Quare triplex semper aqua invalis, acinfinitæcopiæ, calida, tepida,frigida, nam successiuas vasexvase Caldarium piebataquas.primum quidem,quod caldarium dicebatur,superprimavas. hypocaustistraturacollocatum, tanquam omnium vasorumvalis, calfa tes, Dracones i 10 са. Etasperdraconisinuo lucra fundebat aquas. Secundumsuperhoc erat tepidarium, quod a primi vasis vaporibus modicè incalescebat. Tertium Fri- Frigidariú. gidarium: vtpotequod frigidass tatimab emissario aquas capiebat et quan tum subiecta vasa vacuabantur, tantum hoc nouarum aquarum infunde- batfinefine. Emissarij verò huius obscura quoque ratio est. Nam vide-Emisariaa mus quidemad Thermas ipsas propria aquarum Castella constituta: qualequarum· extatin Diocletianis poft palestras orientali parte. Etin Antonianisàt ergo Theatridij admeridiein. Horum tamen altitude nullibi excedit planiciem bal nearum. Nec vllus est modus, neque artificij vllius vestigium, insummis Thermarum testudinibus, vndetam altè deduci potuissent aquæ.Videturita que mihià proximis iliscaftellis cóstructosfuiffeinfràpauimentatotiusm o Tepidarium lib.io.administris balnearijs veletiam iumento alligato, subleuatæ aquæinsu ipsihypocausto piscinam infundebantur, quæs ponteposteàinsubie pernamn rursusin Tepidarium,& conse ĉtumFrigidariumcaderent,& exFrigidario, quenterinCaldarium,velutidiximus. Vnde plenas emper vasa suis aquis imumcalida, medium temperata, supremum frigida, quæ per fistulasencas hinc atque hinc in quolibet vase compactas, versis ad vnum quenque actum Tympana Fistulę aqua ac alias piscinas. Hinc, tanquam a communi fonte, per rotas ac tymparo t e a c na, ac id genus alias machinas aquæ hau storias, quas describit Vitruuius commoditas coniungi desiderabat. Quanquam in hisque post Varronis et post Vitruvi j ętátem f a &t æ sunt, hæc distinctio non sit mihi ve risimili. Q a n rum. liebria.   do auctoritu exercitationum,ac lautitia inThermis,vix publicas potuisse virorum frequentiæ sufficere videtur.Itaquepromiscuas potius ex eo tempo refuissereor,achonestismulieribussatisfecissepriuatas,velquasprincipes Matronas constituisse iam scripsimus, Agrippinæ Neronis matris balneas, terke inbal Olympiadis,atquealias. Cameræ in quoque ordine quaternæ, Laconicum, Calidarium, Frigidarium et Tepidarium. Velternæ adminus:hoc enim non videturdubitandum,non fuisseThermas vno stylo vbique,nequevno ordinepartium et tam in publicis quam in priuatis. Et hinc in authoribus Celsus. Tanta earum inuenitur varietas. Quaternas point Celsus lib. 1. cap. 4. dum scribit, Sub veste primùm paululumin Tepidario sudare folitos: tùmtranfi- Galenus. re ad Calidarium, vbi sudabatur largiùs, quod ponitpro Laconico: tumque aut in calidamd efcendere,autinTepidam;deinde in Frigidam. Easdem C.i72ero qua λουτρόν Pyriateriit. Hypocaustü point Galenus lib.10..Methodi, a Laconico incipiens: Primùm enim inquit ingredientis inaë reversantur calido:hinc secundò in aquam Calidam defcé dunt,quod propriè aoutcovait appellari. Ab hac mox in tertiam Frigida ibár: & tandem in quarta sudoren detergebant, quod erat tepidarium, seu Apo dyterium græce dictum. Inquo& Celsusdicit,fenouissimèquiselauissent abstergere,& vngereconsueuisse. Quem planèordinem & inhis Thermis, quarum videmus vestigia, seruatum inuenimus. Extat Laconicum adsuda tiones inquoqueprimæfacieiangulo vnum, idquenonadeomagnum,hu- 200 iusenim partis noneratvsus communis, nequeadeo necessariusomnibus, vtquibus fatis ad sudandum exercitiafeciffent. Sed imbecillis proprius et quiminus validiadexercitia,sudoreshocloco excitabant:subindeintrabát adcæterasbalneas. Nomen autemdeduxità Laconibus: quos huncritum rium, Laconicum veròc ommuniter omnibus, & Ciceroni quodam loco ad Sphærifte- Atticum. Suetoniusin Vespasiani Cæs. Vita Sphærifterium hanc partemap- 30 rium. pellat à figuræ rotunditate. Locus quippe concameratus ac rotunda fpecie, Lib.5.c.10.habens,authore Vitruuio, inhemisphæriolumen,exeoqueclypeumæneú cathenispendens,percuiusreductiones,acdemissiones perficeretur Suda Clypeus Lationum temperatura, vaporibusnimirùm ficretentis,veldifflatis. Erat autem huius institutiratio, vtfcribit Dion in Annalibus, vtfus è intrantesinhac par vfus: t e sudaret et sub i n d e unctione ad hibita, statim descenderent in frigida. Quod planè clarius ex Galeno fiet pofteà, ac à Martiali obiter tangitur in Hetrusci Thermis, ad Oppianuin tribus versibus. tepidum tamen aquarum vaporem potuisse suscipere. Proinde Celsusineo, affus dixit sudationes lib.z. cap.27. alibi exiccari dixit corpora: Seneca exani tos  .primò instituise, Plutarchusin Alcybiadis Lacedemonijvitaeftteftis. Græ Calidarium. cialiquando Ilupice Supo's,& nonnullisuTorw50sdictum,ob igneum ineova Sudatorium.porem:Latinis modo Calidarium,inodò Cella calidaria,Senecæ Sudato Laconici coni, ncis. mari, ritus si placeant tibi Laconum Contentus potes arido vapore CrudaVirgine, Martiaquemergi. Vaporíqua Virginem dixit, & Martiaminhisbalneis Romanasaquas, blandissimifrigo litas in Laco ris. Videtur autem Laconici aërem,siccum quidem fuisse, atque igneum, Bico. Galenus & alijmediciinterdum elixari, Oribafius planè aëreferuidu dixit, ac præhumidum i n Laconico. Quod rationi consonum sit. Nam ex æstuarijs, partim quidem siccis, ex quibusiaindiximusabhypocaustooccul   10 su  tenui calore, diceba t Galenus x. Methodi, reservatis vniquem eatibus, liquatisque per totum corpus superfluis,sudores, vtilesquemadores clicere, quæ inęqualias untęquare, cutimlaxare et multa quæsubhac detenta erant, vacuare. Ex Laconico patet aditus i n Calidarium, quod proprie Calidum So aoutpór, hocestlauacruindicitur, eodemteste,& calidum Solium. Patetau-lium. tem hæc pars,duplex magnitudine ad cęteras cameras:vt cuius in balreis maior erat necessitas, longior in e o f i ebat mora, ac usus frequentior, præsertim minusvalidis ac imbecillis. Vbi meminisse oportetex Celli verbis, quæ pau Halat & immodicosextaNeronecalet. Mox tertiolocoeratFrigidarium,seuFrigidumSoliuminquo aquaexquisi. acviresdensatacutifirmarentur. Qui enim, subdit, hoc modo àcalidislaua- Vlus. tionibus, sudationibus que laconicis ftatim in frigidam non descendissent, Paulo post transpirato immoderatius calido innato,totum corpus frigidius euafiffe sentiebant. Quodfanè frigidælauatiofieri prohibebat,totum semel corpusconftringendo,&constipando,nonsecusatqueaccideresoletcalen tiferro,quod quùm infrigidammittitur, & refrigeratur,& induratur. Atque huius rei causa potissimum constatinuenta fuisse balna, pro imbecilliu vm i delicetcorporumrobore: hoceftvtimbecilla corporapræcalfacerent, itaque ad frigidum Soliumpræpararent. Adeoquepræualuit semperfrigidarũvsus, Frigidarum 40vtvixquidam alijsbalneis vterentur. Carmis Maffiliensis Medicus, etate Neronis prerogativa, scribit Plinius lib. 29. cap. 1. damnatis prioribus Medicis, ac balneis, frigidalauarihybernis etiam algoribuspersuasit. Merficęgrosin Lacus.Vide bamussenes consularesin ostentationem vsquerigentes. Ex frigido tandem Solio erat exitus in Tepidarium, tepidiscilicetaëris,q uod diximus apodyterium, sive spoliatorium. Etcratfinisinbalnco.Ancè Tepidarium tamen Cella olearia in Diocletianis commodè est ut videtur Cella Olearia, eademque Tonstrinæ na.  tôs penetrare ignes in cameras, partim aqueis per suostubos ac spiracula, v a pores misti ad hemisperium Laconicipetentes,sub curuatura magni clypei intenuiffimas conuertebanturaspergines,quæimbrium modò super capita Facultates. corum,qui morabantur in Laconico depluebant. Potest autem hæc prima pars lo ante retulimus,vel in calidam fieridescensum, vel in tepidam, & quali ad uno, tenore vtentis arbitrium potuisse temperari. Et Galenus in 3. de  an, t u e n d a idem videtur asserere, nimirùmquòd in Calido Solioaqua, exvafisquæ diximus Miliariorum calidis, tepidis,ac frigidis, poteratadvsum trifariam tèfrigida, ad hunc videlicet vsu minquit Galenusx.Methodi;vtquæ fuerantFrigidum.So fòexcalfacta fiue'in lium., anterioribus Solijs, fiucin exercitijs, hicrefrigerarentur, An balnea calida. fieri, tepidam, aciusto calidiorem. Quam tamenva ri, nempè temperatam lauationibus, sed in priuatis,vel non videopotuissefieriinpublicis rietatem, parabatur à Balneatore aqua advsum pu adpriuatosvsus. Nam in Thermis compara LO Aeftiuo serues vbi piscem tempore quæris. fortas selocus,vbinimirùmoleaseruarentur,atquevnguenta do Tonstri,aliique odo blicum,vnotenorecalidaomnibus. Quod declarant authoritates scripto-frigidæ, alia rum, quialias Thermas appellant frigidas, alias blandas, alias fervidas. Vei frigidas significauit Martialisinprimo Epigrammatum. In Thermisferua Cecilianetuis. Idem inx. Neronianas indicat fuisse calidiffimas, eo epigrammate. Temperat hæc Termas nimios priorhoravapores res cal d a Therme alię   resad opportunosvsus,& quivellentbarbæ,& capillorum cultuivacarent. Unetiones in Eratautem hæc pars vn ade necessarijs, acessentialibus (ut ita loquuntur) in Thermis, toto ritu Thermarum, quandohiçmoseratcommunissimus,vtquisque lo tus,simplicis faltem oleivnctionevteretur,tùmvtsudoresinhiberet,tùm vtfeabextrinsecùsambientisiniuriavendicarepofset. Hunc enim tenorem in omnibus ferè,quę hùc sparsim adductæ sunt,authoritatibus obseruabis: primùmlegiturexercitium, deindebalneum, vbifrictiofiebat,& detersio, inoxstatim frigidæ lauatio, pofteavnctio,posteacibus& potus,vltimòso mnus. Proinderecolome legissepluriesinvitisPrincipum, ficuti ntermu..10 Oleimunus nerapublica erat Congiarium,erat Recta, erat Sportula,itaoleum aliquan publicum. do publicè donatum, quoin communi velutigaudio,quisque frueretur in balneis.Nimirùm vel Thermis cùmprimùmdicatis,velfaftualiquoPrinci pis.vnctionum verò,quasquisquesibipriuatimdeferebatadbalneum,luxus legiturinestimabilis. Quidelicatèviuerent, velimbecilles, odoratisvnguen Balnea contis refouebant spiritus. Quosdam legimus iuffisse spargi parietes unguento. spersa vn-Vtfimul (equidem puto) & lauarentur, proiectisinalueositaimbutosaquis ipfis, & vngerentur, fic penetrante exactiùs vnguento, & odorem, virtu temquesuam diutiusseruante in corpore. Atqueita Caium Principemsoli tum lauari, testisest Suetonius. Scribit Lampridius Heliogabalum nunquá inPiscinislauarisolitum,nisiillæcroco, aliisúepreciosisvnguentisperfusæ fuissent. Velplanè conspersiseo modoadluxum parietibus vtebantur,vedu quis se parieti confricaret (quod aliqui facere folebant, vt apud Spartianum in Hadrianoleginus)sineministris,acetiam proprijsmanibusperungilice Balneton ret. Neroautem profusissimus non folùm calidis balneass pargebatodorib. guentipre-sed & frigidis quoque vnguentislauabatur, fcribitPlinius.'Recensenturau ciosi. tem hoc in generepræciolamulta,quæ (Galeno teste) Romanorum lauritia Olea, etvn- inueniffevidetur: vt Mendelium, Cyprinum, Narcissinum, Susinum, M e guenta pre- galium factum ex balsamo, Regale apud Reges Parthos primò comparatum. ciofa. Nardinumquoque,quod& Foliatumdicebatur, Plinio:& alterum Spicatú, QuodidemNardipisticæpræciosivnguentum legiturinEuangelio.Etitem30 Iasminum oleum,quododoriscaufla(vtteftiseftDioscorides)non inbal neissolùm,verumetiaminterepulandum apud Persas, vsurpari consueue. Unguenta in r a t. Dono, equidem opinor, et in Xenijs. Quem morem d i u Spartanos, at conuiuijs. Quelonasretin uiffe narrat Valerius quę, Plinio teste, Diapasmata,quasi conspersoria dixeris, Cyprini pulueris instar, quohodievtimurodoratissimi; dequoebriam,putidamq;Felceniam illuditMartialis in primo Epigrammatum, eo carmine. Quid?quod oletgrauiusmiftumdiapasmatevirus? Apodyterií Vt redeamus ergo ad cameras, Apodyteriumerat principium, & finisinbal gues. 40 M a x.lib.2. vnguenti, coronarumq uein conuiuio dandarum, secundismensis.Erat& Oenanthinuminter præciosa. Quorum similia aliqua apud Paul. Aeginetam legimusvnguenta, atqueolea. Multaquei d genu salia apud Plinium lib.13. inalabastrisferuari solita:nunc omnia rarissima, aut que dam subdititi a, vel adulterata, tantæ verò e a tempestate copiæ, vevsuscorum ad vulgares quoquede fuxerit, quodserioarguit Iuuenalis. Moechis Foliataparantur. Diapasmara Ad sudores autem propri  cohibendos, quæda m ficcis constabnt odoribu, neo;  eôdem nimirùm reuertentes, vbiantèbalnearum vestimentacõsignal sent.Idemqueex Galeniverbisplanèintelligiturx. Methodi: hicenim dum cunctarentur, actergerentur, corpusadhucpersudorem,innoxiè,accitrà refrigerationem vacuabatur,acinnaturalem redibatmediocritatem. Porrò vana quorundam controuersia est, ponere Auicen.trescasas(itaenim interpretantur) in balneo, easque long è aliter dispositas, quam diximus. Cui bil. cnim dubium non fuisse balneas vnost ylovbiquenequevno ordine? Defijf setamen pariterapud Arabes hunc ritum, testator Auerroes in Canticis, acBalnearum nonmirùm imperfectastùmeoshabuiffebalneas, Nequein antiquiffimisa nidemsły 10exempliseadistinctioquærendaeft: quando Hippocratisætatenon adeori tè balneaparabantur, quod & ipseinnuit 3. De ratione victus in morbis acutis. Neque in priuatis multo minus, quas Galenus aliquando perinde damnat, acincommodas, Depensilibus balneis, ac balneariis rebus. Uenire potuirationem. Nam si Pensiles balncas intellexeris sublime salueos, Pensile quid & quæ fu per solario locatæessent, idmagnuninoneft: ficut & Hortospensi lesvidemus, atquehorrea, acmaiusopus, Thębas Aegyptias pensiles fcribit Plinius. Audiuiqui id artificiumattribuant Laconico, ècuiussuspensura  lusvbique. ENSILIVM veròbalnearum, celebreduntaxatnomenperuenitad nos, fuis se eas inter maiora illius seculi blandimenta: cæterùm Cap. xi. namearum fuerit ratio, non facilè ex aut ho r i b u s colligitur. Ponit Valerius Max,interluxuriæexemplalib.9. CaiumSergium OratamPensiliabal quæ Auicenna neaprimum facereinstituiffe. Idquet radit Plinius lib.9.cap: Pensilibal 54.L. Crafsi Ora- neurum inui torisetate,parum anterempub.occupatam.Queminteraliasvoluptates,& torSergius Ostrearum afferitinueniffe viuaria, nec tamgulæ causaa, quàm auaritiæ, vt Orata. Quiitamangonizatas vendebat villas. Eadem testator Macrobius 3. Saturna lium cap.15. Porrò venisse eas in gratiam popularem planè oftendit Plinius lib.26. cap.3.Asclepiadis Neronis Mediciçtate: vrbe, inquit, imòveròtota Italia imperatrice, tum primùm vsu balnearum pensiliadinfinitumblandien te. Extat & Annei Senecę censura ad Lucillum,dePensilibusbalneis:qua vapores conuersosintenues aspergines, imbriummodo Aqua pensi supercapitacorum, lis. q u i lauabantur, depluere diximu s. Vel quem ad modum Aqua Pensilis dicitur z Fluvius p e n & Auuius Pensilis, ita id balneum Pensile fortasse intelligendum, exquodi-filis. ximus authore Seneca, atque Galeno calidas perpetuò aquas, vel quales quisquevellet & tepidas & frigidas, velut ex calido fonte depluere, actran {currerepercameras. Verùm nihililliusblandimentivideoinhis,quam ob rem populus eascum tanto applausu receperit, & quæ ad authorem adscri: bantur voluptuosiffimum. Pensiles ergo balneę haud publici videntur fuisse vera balnea instituti, sed in priuatis extitiffe. Vtquæ priuatum habuêre authorem, & pri-rum Pensi uatamc aussam,nempèinuentæaddelicias. Necvllumvestigium,nulladeliurnrutio. Hisin Thermispublicismentiohabetur, Earumveròrationem, inquatanto. perehesitaui,elicioexeodem Plinio, cuidererumantiquarummemoriapri ma laussupercæterosscriptores, meritòtribuendaest.Pensileenim dicitur rum inqnit suspensura inuentaest,vtnequid deesset adlautitiam. Hæc ha 3 benturde inuentione, atquedelicijs Pensilium, quarum tamen non facilèin 40 P suspen   suspenfum,& mobile: qualesipfememinit lib. 19. cap. 5. Tyberij Cesaris hortos Pensilesmiræ voluptatis,quoshaudquaquam ponitsupersolariolocatos, sedsuspensos,& mobiles, quos inquit singulis diebuspromouerentadso lemrotisolitores. Quod idem clarainbalneis authoritate exposuit lib.26. сар.3.dum Cleophantum Medicum commemorat, authore M. Varrone, alia quoque blandimenta ex cogitaffe, iam inquit suspendendo lectulos, quo rum iactatuautmorbosextenuaret,autsomnosalliceret. Iambalneasaui disfima hominum cupiditate instituendo: easdemscilicet,&suspensas,vtdi xitlectulos.Quam fententiam confirmantquæmoxpaulòsubiunxitverba, quæ allegauimus; Anxiam nimis fuisse Asclepiadis, & quorundam eum se." quentium curan,tum primùm Pensili balnearum vsu ad infinitum blandien te. Easdem & balnearum suspensurasdixitSeneca. Et ValeriusMax.impen faleuibusinitijscępta,suspensis calidæaquæ balneis. Vnde fiiam mente co cipiasvidere hominem inbalneo Pensili,velęgritudine debilem,vel volu ptuofævitæ,çuiusdulcitepore,acleniiactaræ,& nęnijs,& dulciconcentu tibiarum,somno& quietiindulgeretur, iamnihilpoterisexcogitaresuauius. Leftuli non Ex quibus intelligitur, neque lectulorum ritum in publicisextitisse: sed ho erấtin Therrumquoq;, vt Pensilium balnearum, priuataratio effedebuit, maximèegris. mis. Vtensilia in Neque particulariumquorundam vtensilium,quorum in balneis aliquando xandrinusPedagogij lib.3. cap.5. consueuiffe nobilesante ferreadbalneasva sainnumerabilia, aurea,atqueargentea, quorum hęcquidem adlauandum, illa ad vescendum, alia ad propinandum. Quin etiam carbonum craticulas, Syndones. &cathedras. Syndonestergendosudoripræparatas, maximèægris,memi-. nusfitpedesdenos, vtgradusinferiorindeauferat,& puluinusduospedes. Labrainvr-Hactenus Vitruuius. Quare, vtarbitror, labraistalapidea, quæmultavide bemarmo-muspervrbemmaxima, vicenos& ampliuspedeslongitudine, erantfortaf-40 s e i n priuatis balne s. Vel aliqua fort af f e in Thermis ad magnificentiam potius operis, ac ornamentum, quàm advsum. Alioquia d publicum vsum nó videolocum,nequeadeofuiffevidenturcapaciapopulo. Pofteàvitroquæ dam extructafuiffeconftat. Pauimentorumautem, ac Lythoftrotorum, quibus alveos, atque ipsas cameras adornabant, luxus erat inæstimabilis. Quod certe inuentum Agrippæ tefte Plinio lib. 36. cap. 25. In Thermis, inquit, quas Romæ fecit Agrippa, figlinum opus encaustopinxit, in reliquis albarioador  Sufpenfabal nea, Thermis. mentio fit, quæ pueris voquisque domino ad balneum ante ferebant. Ut de strigili, quo sudore in detergebant;meminit Persius eocarmineIronico. Strigiles Ipuer,& Strigiles Crispiniadbalneadefer. Inęgristamen prostrigilibus,quierantvelofsei,velferrei,velargentei,spon giavtebantur,Galeno testex.Metho. Idgenuserat& Guttus,quodLe cythumquoquelegitur, inquoferuabanturoleuni,velaliavnguenta præ 20 30 rea, ciosa ad balneum. Hydriæ, pelues, alabastri, aliaqueid genusvasa, exau Vasaaurea.ro,argento, ferro, velinterdum lapidibusquibusdam. Refert Clemens Ale Labra, nit Galenusx. Methodi. Labraautem ex Vitruuio,& vestigijsipsorumal ueorum videntur fuiffe extructa in cameris signino opere, atque albario: sic enimlegiturlib.5.cap.1o. Labrumsubluminefaciendum videtur, nestan tes circumsuisvmbriso bscurentlucem. Scholasautem labrorumitafieri oportetspaciosas, vtcùm prioresoccupauerintloca, circumspectantes reli quirectèftare poffint. Aluei autem latitude inter parieten & pluteumnemi nauit.  O nauit. Non dubi èvitreas facturus cameras, fipriusi dinuentum fuisset. Libro autem3.cap.12.visasolimscribitBalineasgemmis,acargentostraras,vtnevitres ca vestigio quidem locus esset. Argento fæminas lauari solitas, argenteis folijs, meræge m Afiaticori sum missem perin delicijs fuisse apud omnes nationes oftenditur, hanc par mirans, hydrias, pelues, vnguentorum odores, & alabastros, cunctaauromaditißimg 20 lita, ac miro ornamento instructa; ad socios conuersus, & quasi nimiunı il DeritibusantiquisinThermisvrbis. Primis ergoThermarum,ac Palæstrarum institutis,jam partium earum principalium distinctiones,necnon requisitaad earum vsum magis necessaria tetigimus. De Ritibus verò in eis, atque ordine publicaemolumentum, quoniam per hæc oblectamenta, assiduafiebatin gymnasijs frequentia,acvarijs,quasdiximuscorporisexercitationibus af suefiebat iuuentusad armorum industriam,vnde faciliùs posset militiæ labo res,quando hæc erantprimailliusfeculiftudia, sustinere. Hûc accesserat& alia causa, quoniam qui tepidescere quodammodo ab honeftis conatibus cepiffent,perhas delicias retrahebaturà vitijsanimi, sicqueocium, quod eftomnium malorum fomes, tollebantur, feditionesarcebantur, & omnes populares corruptelæ. Ex quibus triainter communes ritus videnturesse manifesta. Primùm si vetustam illam verecundiam, ac Romanum decusrespicias, summam inThermishonestatemfuisseferuatam. Simaiestatempopu li,omnia ineis fuisse magnifica & splendida, velutidiximus, & quæ nolentes allicerent, atque etiam traherent. Sid enique communem causam. Communem, ac liberum earum vnicuique fuiffe usum. Erat autem hæc balnea- Thermecó. Rum condition communissima, vt singuli balneum ingressuri Quadrantem solmunes. Uerent balneatori. Quod planèali quæpræclaræ declarant authoritates: pri Quadrantis mùm M. Tullii pro Cælio, vbi quadrantariam vocat permutationem balnea em concludam. Asiaticos durante suo imperio luxuofiflimos fuisse, acexeis Thermalu A Fines, etvti &, probrisseruisse. Pauper fibiquisquevide eandeinque materiam & cibis seexercentium,aclauationum,haudmirum est hæc instituta semper maioré mis,acar litatesprin habuisseprogressum;siconsideremus non folùm hincvitæ cip.iles Ther 30 seruare consueuiffe, fanitatem elegantiam eos, & roburcorporis;sedquod maius eftinre ز gëtostratę. Baturacsordidus (scribit Seneca ad Lucillum) nisiparietes balnearūmagnis, a c preciocis orbibus refulsissent. Alexandrina marmor a Numidicis crustis distincta, operose vndique, & picturæmodo variataçircunlitio, Vitroconditæ cameræ. Aquainper argenteaeffundebantepistomia, & adhuc (inquit) ple beiasfiftulasloquor. Relinquocum hisstatuasillicęternitatidestinatas, operatectoria,picturas, speculariorumlapidumluxus, quiantècameras præbe bantlumina, & columnarn mingentium numerum, alia quetantioperisor namentasinefine. Atque hocvnotantùm Plutarchiexemplo,quobalneas primùm ad Gręcos, & exindeadRomanos huncmorem balnearumema nafse,apud veterum historiarummonumenta clarum est. Cùm ergo Alexa der Magnusdeuicto Dariorerumtandem Persię, ac imperijeius potitusesset, balneumque, vt sudorem pugnæ leuaret, ingrederetur; aquarum ductusad-Darij Ther ludens luxum, Hoccine (inquit) imperare erat. Torifieri solitam. Indicat & cocarmine Horatius, folutio. 1. Saty.3. Qq dum xuofiffima.  Nuditas in Redde pilam,sonatæs Thermarum,luderepergis? Verecundi ase nudum quisque in balneas exhibere,& etiamin exercitationes. Cuiusreiinteraliafidem faciuntstatuæ, præsertimvirotum,inqui bus videtur minuere potuisse corporis gratiam, ac venustatem, si non pudenda etiam fimpliciterenudataessent. Nonnullitameninterexercitationes, autfuccinctafibulaprodiresolebant,autsubligaculis,quæ & subligariavo nihil foluiffe videntur:teste Iuuenali Satir.2.d. Nec pueri credunt, nisiquinondum ærelauantur. Quorum tamen priuatafieret lauatio, hora extraordinariaquæeratpoftde cimā, ij pluri precio lauabant, quod indicate o carmine Martialis lib. 10. Balneapostdecimanılafo, centumq; petuntur Quadrantes, &c. incommunitamen gaudio, erataliquandohocmunus interalia Principum, ut gratis lavaretur. Antonini Pij exemplo, quem balneum sinemercede prestitisse, meminitIul. Capitolinus. Sive ergo proveter iinstituto, fiueproso Sub ligaculo cabant. AuthoreM.Tullio1.offi.Scenicorum mostantamhabetveterisdi rumvfus. Sciplinæ verecundiam, vtin Scenasinesubligaculo prodeat nemo. 40 Tecta tamen non hac,qua debes partelauaris..promi-Cæterùm cum haclicentiabalnei,videturdiuadmodum perdurassemulie. Eal. Mulierum verecundiam,quænon promiscuècumvirisintrarentinbalneas,nisi perabusum.Hinctotpriuatarum balnearumnumerus.Etquædam viden  uerecunda. Subligar. E.. dum tuquadrante lauatum 14.annum, Lauari. Cædere Syluano porcum, & quadrantelauari. Pueri tamen antè Fibula. Bal Rexibis,&c. Vituperanseum Principem, quivtvnusdemultisqua drāte lauaretur. Idem Iuuen.authoritate confirmatur in 6.ybi mulieres quas damarguit impudentiæ, quæ communiter cum viris auderent, inquit ips e, lutamercede,hocmanifestumest,commune,acperpetuum fuissein Ther Locai Thermis indultum,vtlocus inbalneo, cuicunque tam primati,quàm plebeio co mis commu munis esset, atque indifferens. Ex quo intelligitur Tertulliani similitudo nia. aduersusMarchionem, QUASI LOCVS IN BALNEIS: quiavidelicetnul li e x merito datur, nectollitur locus in balneis, iam gratuito constitutis, & T intinnabu - ad usum publicum. Erant autem tintinnabula in Thermis summo quo p i a m fasti gi oposita, fære factitio conflata, quorum sonitu populum, sicut i h o d i e adfacra; conuocari lauandihoraeratsolitum.Tintinnabuluminter Xenias exhibuit Martialis, eo disticho. Virgine visfolalotusabire domum? Facitadeandem licentiam Suetonijauthoritas, D. Titum Cæs. admissaple Secum plebebenonnunquamin Thermissuis lavisse. Et Aelij Spartianialia, Hadrianum Cæs. tamprobatævitæ, publicè frequenterselauiconsueuiffecum multis, verecundia etiam priuatis. Inuafiffe enim consuetudo videtur,ex affiduis il lisexercitijs, inbalneis. vndefolutohabitu, acseminudiplerunquehominesdegebant,vtnonesset Idem affirmatquodamloco Clemens Alexandrinus de athletis et martialis si pudor est, transfer subl igar in faciem. 10 la. Reges lauif. invil. bres. uaret.d. Dum ludit media populospectantepalæstra Delapsa est misero fibula verpus erat. Et lib.3. Chionemnotat verecundiæ, quæmuliebriainbalneis contectala tur  publicæ fuisse muliebres, ut Agrippinæ Augustæ Neronis matris. Olym piadisitem balneæ in Suburra. EtquastransTyberim, quasiextràconspe čtum hominum habuisse Ampelidem,& Priscilianam ex P.Victorerecensui mus. Conqueritur hac de caussa insuis Amatorijs Propertiusnon eam esse tum Romanis virginibusin balneis libertatem, quibuscum more Spartano publice liceretcertare, & lauari, hisversibus. Sed magè virgine itot bona gymnasij. Quòd noninfamesexercetcorporelaudes cepsbeneinstitutę Reip.lapsus) totossingulisdiebuslauaricepisse.Invniuer 20sum, qui cunquein exercitijsfuis, autlaboribusdefatigatieffent,vixfanam vitam putassent, nisibalneasstatimintrarent, vbisudoré,fordespulueremq; detergerent,acintotum semolliaquarumfoturecrearent. Quoplanèfit, ve Septiesquos dam lauari. mirumessenondebeat, nequeluxuiadscribendum,quodquidamsepties eadem dietum lauari consueu erint, quod Plinius in primis refert. Ac posteri scriprores Commodum Cęf. et Gordianum idasseruntfactitasse. Sicenim intelle xêrequotienscunqueexercerentur,laffitudinisacrefrictionisvitarepericula, obstructionestollere,cutis afperitateinlenire, faciei,manuum,ac vniuersi corporis decorem conciliare. Erant tamen lauandi horæ constitutæ. Scribit Lauandiho I ul. Capitolinus antem Alexandri Severi tempora numquam Therinasantèau 30 roram apertas fuisse, & semper antè solis occasum claudi consueuiffe. Communiterv erò lauandihora erat a meridie ad vesperum, quando, inquit Vitruvius, maxime calidæ auræ a spirare incipiunt. Cuiomnesaliæ authoritates consentiunt. Hadrianus Cęs. (inquit Aelius Spartianus) ante horam octauam inpublico neminem, nisiçgrum, lauaripassus est: quod erat duashoras poftmeridiem.Vbi operæ præciumest Horarum apudantiquosHorologiri rationemhabere,quidiemartificialem quolibetannitemporedistinguebanttusapudan horisduodecim, &no&tenipervigilias. Horæergoerantinęquales, maiorestiquos. estate, quialongiorestuncdies; minoreshieme, & proportionecæteristem poribus.Haud tamen intelligendumest cosà prandiovsosbalneis fuise: Prădijetcę Nam communiter vir Romanus impransus, autientaculo tantùm primoma-navfus. nerefectus,bonam dieipartemimpendissetnegocijs:mox àmeridie,àsexta nimirùm ad decimam horam,exercitijs & balneo;à balneo autem,circa vi gesimamscilicet& secundamhoram,cenabatopiparè.Quam dieiatqueho rarum partitionemconquisitèin eo Martialis epigrammate comprehensam habemus. Primasalutantes, atquealteracontinethora, Exercet raucos tertiacausidicos. Martialis  ma 10 CO, Multa tuæ Spartemiramur iura Palæstræ, Inter luctantes n uda puella viros. Refert Plutarc husinterlaudabiles Catonisillius Cenforij mores,hocsum- verecundiă ma:laudiilicefliffe, quodcùmfilionunquàmlauisset. Imò Val. Max. fcribitinterafines. Deinstitutis antiquis, necpatercum filiopubere, necsočercum generis lauabatur. Quia interista fancta Vincula, non magis quàm in aliquo sacra tolo nudaresenefasessecredebatur. Sed transeamusiamadeosritus, qui com inunivsuretinebanturin Thermis. Perinitia institutihuius, narratSenecaad Lucillum consueuifseveteresquotidiebrachia,& cruralauare, totosnundi nisfolùm. Cæterùm poft Magni Pompei ętatē (cuiusmemoria notatur præ ra. Qa ij Ad quintam variosextendit Roma labores, Sexta quieslafis,septimafiniserit. Sufficitinnonam nitidisoctaua palæstris, Imperat extructos frangerenonatoros. Hora libellorum decimaest Euphememeorum, Temperatambrosias cùm tuacuradapes. Octavam verò dieihoram fuisselauationibus propriam,tùm publica,tùm pri M. Tullius, uata testantur exempla. M. Tullius scribit ad Atticum de Cesare: Ambulavit inquitinlittore,pofthoram octauamin balneum, vnctusest, accubuit,edit, bibitq;opiparè. Horam & distinctionem temporum aliquamadnotamusex Galenus, Galeno v.deSa.tuen.d. Antoninus Imp. cognomento Pius, ad curam corporis promptifsimus, subbrumabreuibus, f.diebus, sole Occidente in palestram ingressus, sub indeole operun & tus lauarierat solitus: in Solstitio autemhora Thermehie-nona, autfummumdecima. Porrò quod legitur apud aliquos authores,Ther males, eteftimasaliquasfuise Hiemales, aliquasAestiuas;hæcnoneratcommunisom niumdistinctio,sedquarundam àcertocoelisitu dispositio. QualesHiema lesfecissetraditVopiscusAurelianum Cæs.in Transtyberina regione; nimi rum ad meridiem expositæ,apertè solis fouebantur aspectu, itaq; ad hie males exercitationes aptissimæ. A e quaratione A estivas in Gordiano Iunior e meminitIul. Capitolinus, quæ in opaco fit uinter montem Celium & Esqui Bal.vfuspe-lias,gratas estate exercitationibus præftabant vmbras. Alioquî penes anni nesannitem tempora, vix vllaeratlauandidistinctio, sedbenèpersonarum. Nam qui cun que lavabantura d exercitium, in differentert am hiem e, quam estate lauissent, quando cunquescilicetexercerentur.Sanitatisverò& mundicieicauf sa:quandocunque opusfuisset,velad priuatamcuique consuetudinem, vt de Telep o Grammaticom e m i n i t Galen. v. de San. t u. qui lauari consueverat hieme bis mense, estate quater,medijs verò temporibus ter. Et de Primigene quodam philosopho, quiquadienonlauisset, febricitabatomnino. Adde liciasautemac voluptates,velme tacente, priuataquoqueratio essedebuit, 30 & citràvllamaut regulam, autmensuram. Vnde Meridianælauaționes le Lychniinguntur, atqueetiam antemeridianę,& vespertinæ. Necnon Medicine introductio. xi,trimixi,polymixi, idest angulorum & luminum,vnius, duorum,trium, plurium, Devrilitatibus Balnearum esquandoprimum Dalnceinvfum Medicinavenêre. seruatur;nonaliam legimusfuiffeRome Medicinamsexcentisannis, quàm balnea. Quod teftatur Pliniuslib. 29.cap.1. Receptos primùm è Græcia Medicos L.Aemilio, M.Licinio Coff.vxxxv.VrbisRomæ anno. Quádoqui dempetrarierant, nisiquiob cæliinclementiam crassarenturmorbi.Nam quæ exmalovitæregimine, acextermis causiseuenirep. Andrea Baccius. Andrea Bacci. Keywords: i bagni dei romani, De thermis – thermal baths – philosophy of thermal baths – implicatura ginnastica – le xii pietro pretiose – storia naturale del vino, bacco – terme romane – il vino e la filosofia, bacco ed Apollo, le xii pietre pretiose per ordine di dio I sardio II topatio III smeraldo IV barconchio IV saphhiro VI diaspro VII lingurio VIII agata IX amethisto X berillo XI chrisolito XII onice – tevere, le tibre au louvre, i vini. Thermopolium romanum – illustrazione – incisione terme romanae – natatio – piscina – ginnasio, mercurial, arte ginnastica. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bacci” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Badaloni – colloquenza – filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Filosofo Italiano. Grice: “I like Badaloni; he never took the ROMAN story of philosophy – I say story since history, as every Italian knows, is too pretentious! – seriously until he had to teach it! “Storia del pensiero filosofico – l’antichita’ is my favourite – because he does his best to understand Plato’s pragmatics of dialogue as misunderstood by Cicero!” --  Nicola Badaloni, Sindaco di Livorno Durata mandato19541966 PredecessoreFurio Diaz SuccessoreDino Raugi Nicola Badaloni (detto Marco) (Livorno). filosofo. Di spiccate convinzioni marxiste, è stato uno studioso di Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Giambattista Vico, Karl Marx, Antonio Gramsci.  All'attività di ricerca e di docenza presso l'Pisa, dove è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia e ha occupato dal 1966 e per molti lustri la cattedra di Storia della filosofia, Badaloni ha affiancato un'imponente attività politica nelle file del movimento operaio, ricoprendo per molti anni la carica di sindaco di Livorno (dal 1954 al 1966), di presidente dell'Istituto Gramsci, nonché di membro del Comitato centrale del PCI. I suoi contributi storiografici, salutati fin dall'esordio dall'apprezzamento di Benedetto Croce hanno messo in luce autori considerati minori e pensatori inattuali (Niccolò Franco, Gerolamo Fracastoro, Giovanni Battista Della Porta, Herbert di Cherbury, Antonio Conti) rinnovando radicalmente, attraverso una collocazione nel contesto storico, grandi figure viste dalla storiografia idealistica precedente come immerse in una «solitudine metastorica».  Storicismo e filosofia Nella presentazione dell'ultima pubblicazione di Badaloni nel 2005, Remo Bodei ha sostenuto che il marxismo, lontano da ogni vulgata, conserva, per lo storico della filosofia toscano, la sua capacità di strumento di comprensione del mondo, di erogatore di energie di cambiamento, di guida per lo sviluppo di una prassi razionale, ancora validi dopo le esperienze del cosiddetto "socialismo realizzato". Badaloni ha incessantemente ricercato un legame, nella storia, tra pensiero e azione sociale e sviluppato uno storicismo di impronta marxista che raccordasse autori lontani nel tempo (come Giordano Bruno, Gian Battista Vico, Antonio Labriola), ma accomunati dalla tensione al rinnovamento e alla trasformazione progressiva degli assetti sociali in una data situazione storica determinata. Così come c'è alterità profonda, ma non rottura senza legame, tra Hegel e Marx e similmente tra Croce e Gramsci.  Altre opere: “Retorica e storicità in Vico” -- “Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano” (ETS, Pisa); “Appunti intorno alla fama del Bruno”; “Introduzione a Giambattista Vico, Feltrinelli); “Marxismo come storicismo, Feltrinelli); “Tommaso Campanella” (Feltrinelli, 'Istituto Poligrafico dello Stato); “Conti. Un abate libero pensatore tra Newton e Voltaire” (Feltrinelli); “Il marxismo italiano degli anni Sessanta” (Editori Riuniti); “Labriola politico e filosofo, sta in Critica marxista, Roma); “Per il comunismo. Questioni di teoria, Einaudi); “Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del 600, sta in  Storia di Napoli, Società Editrice Storia di Napoli); “Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Laterza); “La storia della cultura, sta in Storia d'Italia, III -(Dal primo Settecento all'Unità), Einaudi); “Il marxismo di Gramsci. Dal mito alla ricomposizione politica, Einaudi); “Libertà individuale e uomo collettivo in Gramsci, in Politica e storia in Gramsci, F. Ferri,  1, Roma, Editori Riuniti-Istituto Gramsci); “Labriola, Croce e Gentile” (Laterza); “Dialettica del capitale, Editori Riuniti); “Gramsci: la filosofia della prassi, sta in Antonio Gramsci. La filosofia della prassi come previsione, in Hobsbawm, E. H., Storia del marxismo” (Torino, Einaudi); “Teoria della società e dell'economia in A. Labriola, I e II, in Dimensioni”; Forme della politica e teorie del cambiamento. Scritti e polemiche” (ETS); Movimento operaio e lotta politica a Livorno”; “Democratici e socialisti in Livorno” (Nuova Fortezza); “Filosofia della praxis, sta in  Gramsci. Le sue idee nel nostro tempo, Editrice l'Unità); “Labriola nella cultura europea dell'Ottocento, Lacaita); “Il problema dell'immanenza nella filosofia politica di Antonio Gramsci, Quaderni della Fondazione Istituto Gramsci Veneto, Venezia, Arsenale); “Giordano Bruno. Tra cosmologia ed etica, De Donato); “Laici credenti all'alba del moderno. La linea Herbert-Vico, Le Monnier-Mondadori); “Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano, Edizioni ETS, Pisa, Nicola Badaloni è inoltre coautore di due importanti manuali:  Storia della pedagogia, (Laterza); “Il pensiero filosofico. Storia. Testi. Per le Scuole superiori” (Signorelli Editore). Notizia della morte sul settimanale Macchianera, su macchianera.  Giuliano Campioni, Addio a Nicola Badaloni, uomo politico e maestro di filosofia, Athenet, Sistema bibliotecario di ateneo, Pisa. La lezione di Nicola Badaloni di Giuliano Campioni, professore del Dipartimento di Filosofia dell'Pisa, 20 gennaio,, in Pisanotizie. Nicola Badaloni, in TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Predecessore Sindaco di LivornoSuccessoreLivorno-Stemma.svg Furio Diazdal 1954 al 1966Dino Raugi90637957 Filosofia Politica  Politica Categorie: Politici italiani del XX secoloPolitici italiani del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi. Nicola Badaloni. Keywords: colloquenza, la retorica di Vico. La storia di Vico, storia e storicita, campanella, lingua utopica. Bruno, Campanella, Gentile, Croce, Labriola, Gramsci. badaloni — implicatura vichiana — libero — biologia filosofica  telesio — vallisneri — lingua utopica di campanella — “retorica e storicità” — laico — bruno — comune — comunismo — marchetti — vignoli —Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Badaloni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Baglietto – dialettica – filosofia italiana – filosofia ligure – Luigi Speranza (Varazze). Filosofo italiano. Grice: “I like Baglietto; unlike me, he was a consceinious objector, but then we were fighting on different camps! I love the fact that his first tract is on ‘il problema del linguaggio’ in Mazzoni – but then he turned from ‘la bella lingua’ to Dutch! And specialized in Kant, but most notably Heidegger – ‘mitsein und sprache.’ But he also wrote on ‘eros’ and ‘love,’ – which is very Platonic of him! And of me, since the ground for my theory of conversation is on the balance between what I call a principle of conversational self-LOVE (or egoism, if you mustn’t) and a corresponding principle of conversational OTHER-love (or altruism, if you must, since I prefer tu-ism – ‘thou-ism’).” Claudio Baglietto (Varazze), filosofo.   Di origini modeste, dopo gli studi liceali presso il Liceo "Chiabrera"di Savona, studiò Filosofia all'Pisa e si perfezionò presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, allora diretta da Giovanni Gentile. Baglietto fu assistente del filosofo Armando Carlini. Negli anni pisani sviluppò idee di riforma religiosa e morale, in contrapposizione al Cattolicesimo e al Fascismo. Insieme ad Aldo Capitini, Baglietto organizzava riunioni serali in una camera della Normale, cui partecipavano giovani studenti, divenuti in seguito affermati intellettuali, come Walter Binni, Giuseppe Dessì, Carlo Ragghianti, Claudio Varese.  Così Capitini ricordava l'amico nel suo saggio Antifascismo tra i giovani (Trapani, 1966): "era una mente limpida e forte, un carattere disciplinato, uno studioso di prima qualità, una coscienza sobria, pronta ad impegnarsi, con una forza razionale rara, con un'evidentissima sanità spirituale. Cominciai a scambiare con lui idee di riforma religiosa, egli era già staccato dal cattolicesimo, né era fascista. Su due punti convenivamo facilmente perché ci eravamo diretti ad essi già in un lavoro personale da anni: un teismo razionale di tipo spiccatamente etico e kantiano; il metodo Gandhiano della noncollaborazione col male. Si aggiungeva, strettamente conseguente, la posizione di antifascismo, che Baglietto venne concretando meglio. Non tenemmo per noi queste idee, le scrivemmo facendo circolare i dattiloscritti, cominciando quell'uso di diffondere pagine dattilografate con idee di etica di politica, che continuò per tutto il periodo clandestino, spesso unendo elenchi di libri da leggere, che fossero accessibili e implicitamente antifascisti. Invitammo gli amici più vicini a conversazioni periodiche in una camera della stessa Normale [...]".  Ottenuta nel 1932 una borsa per perfezionarsi presso l'Friburgo in Germania, dove allora insegnava Heidegger, in coerenza con i suoi ideali di nonviolenza incompatibili col Fascismo, Baglietto decise di non rientrare più in Italia e rinunciò alla borsa, cosa che scandalizza Gentile (che aveva garantito per lui presso le autorità per il visto). Anche Delio Cantimori criticò animatamente la scelta di Baglietto, in particolare nel suo carteggio con Aldo Capitini e con Claudio Varese, accusando i colleghi normalisti dissidenti dal Fascismo di mancanza di senso di realismo politico, nonché di senso dello Stato (fu poi lo stesso Cantimori ad avvisare Gentile della morte di Baglietto).  Lasciata Friburgo, Baglietto si trasfere quindi a Basilea, dove visse da esule, proseguendo gli studi e dando lezioni private.  Morì nel 1940: è sepolto nel cimitero di Basilea.   Il cammino della filosofia tedesca dell'Ottocento, “Annali della Scuola Normale di Pisa”, Scritti religiosi. Antifascismo tra i giovani, Celebres, Trapani); "Kant e l'antifascismo", in Claudio Fontanari e Maria Chiara Pievatolo, Bollettino italiano di filosofia politica, Pisa, Ospitato su archiviomarini.sp.unipi. (Saggio inedito di Baglietto, composto a Basilea e da anni depositato nell'Archivio Marini dell'Pisa) Note. A. Capitini, L'antifascismo tra i giovani, Celebres, Trapani); Chiantera Stutte, Delio Cantimori. Un intellettuale del Novecento, Carocci, Roma, che rinvia soprattutto a Simoncelli, La Normale di Pisa. Tensioni e consenso; Franco Angeli, Milano); Scritto pubblicato postumo Aldo Capitini.  Aldo Capitini Mahatma Gandhi Nonviolenza  Claudio Baglietto e la questione morale --  "Phenomology Lab", 2 giugno,. Claudio Baglietto, Kant e l'antifascismo di Claudio Fontanari, nel sito "Archivio Marini". Filosofia Università  Università Filosofo Professore1908 1940 Varazze Basilea Nonviolenza Antifascisti italiani Studenti dell'Pisa. Claudio Baglietto. Keywords.  dialettica, filosofia ligure, baglietto — il kantismo di heidegger — manzoni — filosofia dell’amore — dialettica — Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baglietto” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Balbillo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Tiberio Claudio Balbillo. A man of learning, he was much admired by Seneca. He was the personal philosopher of Nero and wrote a long book on astrology.

 

Grice e Balbo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Lucio Lucilio Balbo. L. Lucilio Balbo, scolaro di Q. Mucio Scevola Pontefice, e soprattutto un giurista.   I shall say but little of some other Balbus's, mentioned by ancient Authors.   Lucius Lucilius Balbus, disciple of Mucius Scavola, and preceptor of Servius Sulpitius, was an excellent Lawyer.   Cicero says, that Servius Sulpitius did exceed his master, who, by the addition of a mature judgment to his learning, was fomething slow, whereas his disciple was quick and expeditious.   Balbus's writings are lost, to which perhaps his disciple Servius Sulpitius did not a little contribute, by inserting most of them in his own.

 

Grice e Balbo – Roma – filosofa italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Lucio Cornelio Balbo. Member of the Porch. Consul. Friend of Cicero, who successfully defended him in a legal action. Comments made by Cicero suggest he was a member of the Garden.

 

Grice e Balbo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Lucilio Balbo. Q. Lucilio Balbo è chiamato stoico da Cicerone, che nel "De natura Deorum," gli assegna l’esposizione delle dottrine teologiche stoiche.   Ivi Q. Lucilio Balbo dichiara di avere familiarità con Posidonio.   Antioco d'Ascalona dedica a Q. Lucilio Balco un’opera.  Secondo Cicerone, L. Lucilio Balbo e pari ai più insigni stoici.  Quintus Lucilius Balbus (fl. 100 BC) was a Stoic philosopher and a pupil of Panaetius.  Balbus appeared to Cicero as comparable to the best Greek philosophers. He is introduced by Cicero in his dialogue On the Nature of the Gods as the expositor of the opinions of the Stoics on that subject, and his arguments are represented as of considerable weight.[2] His name appears in the extant fragments of Cicero's Hortensius, but it is no longer thought that Balbus was a speaker in the dialogue. Cicero, De Natura Deorum, i. 6.  Cicero, De Natura Deorum, iii. 40, De Divinatione, i. 5.  Griffin, Miriam (1997). "Composition of the Academica". In Inwood, Brad; Mansfield, Jaap (eds.). Assent and Argument: Studies in Cicero's Academic Books. Brill. This article incorporates text from a publication now in the public domain: Smith, William, ed. (1870). "Balbus, Q. Lucilius". Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology. This ancient Roman biographical article is a stub. You can help Wikipedia by expanding it.  This biography of a philosopher from Ancient Greece is a stub. You can help Wikipedia by expanding it.  Categories: 1st-century BC philosophersPhilosophers of Roman ItalyRoman-era Stoic philosophersLuciliiAncient Roman people stubsGreek philosopher stubsAncient Greek people stubs  GRICE E BALBO We must not, as Glandorpius has done, confound this Balbus with *Quintus* Lucilius BALBUS, the philosopher, and one of Cicero's interlocutors in the books de Natura Deor. A member of the Portch. Cicero uses him as a spokesmn for the Porch in De natura deorum.

 

Grice e Baldini – il linguaggio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Greve). Filosofo Italiano. Grice: “I like Baldini, but more so does Austin! In his collection of ‘lessons’ (lezioni) on ‘filosofia del linguaggio’ (not just ‘sematnica’ or ‘semiotica’) for the distinguished Firenze-based publisher Nardini, he deals with Austin, but not me!” Grice: “Baldini fails to realise that I refuted Austdin – when Baldini opposes ‘filosofese,’ I am reminded of my non-conventional non-conversational implicata – and Austin’s less happy idea of a felicity condition for a perlocutionary effect!” Grice: “But what I like about Baldini is that being Italian, he refers to ‘amore’ in his ‘natural’ history of AMicizia – which is all that my conversational pragmatics is about: Achilles and Ayax must share a lot of common ground to be able to play the game of conversation, and they do!” -- Massimo Baldini (Greve in Chianti), filosofo. Si è dedicato in particolare alla filosofia della scienza e alla filosofia del linguaggio. Figlio dello storico Carlo Baldini, laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze nel 1969, nel 1970 è stato nominato assistente incaricato di Filosofia; l'insegnamento era tenuto da Dario Antiseri) presso la Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Siena. Nel 1975 è diventato professore incaricato di “Storia del pensiero scientifico” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Perugia. Nel 1980 ha vinto il concorso di professore di prima fascia di “Filosofia del linguaggio” ed è stato chiamato dall'Bari alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Ha insegnato anche presso l'Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nella Facoltà di Medicina. È stato direttore del Dipartimento di Filosofia e dell'Istituto di Filosofia presso la Facoltà di Scienze della formazione all'Università degli Studi di Perugia e direttore della sezione di Storia della medicina del Dipartimento di Patologia presso l'Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.  Nel 1999 è stato chiamato dalla Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma per coprire la cattedra di "Semiotica". Qui ha insegnato anche “Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico e radiotelevisivo”, “Semiotica dei linguaggi specialistici”. Presso la LUISS ha inoltre rivestito numerosi incarichi accademici: preside della Facoltà di Scienze Politiche (da giugno 2007); coordinatore del corso di laurea magistrale in “Comunicazione politica, economica e istituzionale”, direttore della Scuola superiore di giornalismo, e direttore del Master di primo livello in “Economia, gestione e marketing dei turismi e dei beni culturali” (dal 2004). In precedenza, è stato vice preside della Facoltà di Scienze Politiche, direttore del Dipartimento di Scienze storiche e socio-politiche, direttore del Centro di ricerche sulla comunicazione. Tre sono stati gli ambiti di ricerca che più di altri Massimo Baldini ha coltivato: la filosofia della scienza (con una particolare attenzione al pensiero dell'epistemologo Karl R. Popper, di cui ha curato anche alcune opere in edizione italiana), la filosofia del linguaggio, la semiotica della moda. A partire dagli anni Settanta, Massimo Baldini ha dedicato numerosi lavori all'epistemologia contemporanea, cogliendone le possibili applicazioni alla medicina, alla storia della scienza, alla pedagogia e, infine, alla filosofia politica. Parallelamente, ha rivolto i suoi interessi anche alla storia della scienza e, in particolare, alla storia della medicina. Un'attenzione particolare è stata dedicata ai nessi che intercorrono tra l'epistemologia e la filosofia della politica: sulla scorta delle riflessioni popperiane, ha riletto il pensiero utopico sia nella sua dimensione storica che in quella teorica.  L'altro grande interesse filosofico di Massimo Baldini è stata la filosofia del linguaggio. In particolare ha studiato le tesi dei semanticisti generali, un movimento nato negli Stati Uniti tra le due guerre mondiali e di cui si era occupato per primo in Italia negli anni Cinquanta Francesco Barone. L'interesse per la filosofia del linguaggio si è declinato anche in chiave storica: e alla storia della comunicazione Massimo Baldini ha dedicato numerose opere. Inoltre, gli studi sulla filosofia del linguaggio si sono incentrati sull'analisi di alcuni linguaggi specialistici: quello della pubblicità, quello dei mistici, quello della pubblica amministrazione, quello dei giornalisti, nonché il tema correlato del silenzio. Tutti questi linguaggi, sono stati studiati nelle prospettive dell'oscurità e della chiarezza, e dell'oggettività (soprattutto con riferimento al contesto dell'informazione).   La biblioteca comunale "Carlo e Massimo Baldini" di Greve in Chianti A partire dalla fine degli anni Novanta, infine, gli interessi di Massimo Baldini si sono incentrati sul tema della moda, che egli ha studiato dal punto di vista storico e semiotico, e nelle diverse componenti della moda vestimentaria e della moda capelli. Tutta l'attività di ricerca di Massimo Baldini è confluita in numerose opere individuali e collettive, curatele, introduzioni e prefazioni a testi italiani e stranieri, traduzioni, nonché nella collaborazione stabile con alcune case editrici e riviste scientifiche. In particolare, presso l'editore Armando (Roma) ha diretto le collane Temi del nostro tempo, I maestri del liberalismo, Moda e mode, I linguaggi della comunicazione; presso l'editore Rubbettino (Soveria Mannelli) la collana Biblioteca austriaca (con Dario Antiseri, Lorenzo Infantino e Sergio Ricossa).  Menzione a parte merita poi il ricordare che Baldini è stato ed è rimasto nel corso dei decenni un grande estimatore e diffusore dell'opera del concittadino grevigiano Domenico Giuliotti, il "poeta-mistico" o "profeta" Giuliotti, del quale il nostro ha riedito alcune delle sue maggiori opere per lo più per conto delle edizioni Logos di Roma, oltre a dedicare al medesimo alcune raccolte di saggi come "Il più santo dei ribelli. Scritti su Domenico Giuliotti" oppure "Giuliotti. Cristiano controcorrente" (ed. EMP, 1996), senza contare i volumetti preparati per conto della preziosa casa editrice La Locusta di Vicenza, a partire dal 1977, in consonanza agli interessi espressisi e sviluppatisi soprattutto a partire dagli anni ottanta, quelli che afferivano ai connotati e alle 'modalità' del linguaggio dei mistici, o alle relazioni intercorrenti fra le dimensioni del silenzio-parola-Parola di Dio-ascolto.  È stato altresì membro del Comitato Nazionale per la Bioetica; membro del comitato scientifico delle riviste L'Arco di Giano, 'Nuova civiltà delle macchine, Desk.  Morì a causa di un infarto mentre si trovava a cena con alcuni colleghi universitari. Nel  per la casa editrice Rubbettino è uscito il libro La responsabilità del filosofo. Studi in onore di Massimo Baldini Dario Antiseri con saggi di amici, colleghi, collaboratori e studenti per ricordare la figura intellettuale e morale di Massimo Baldini a quattro anni dalla scomparsa. Partecipano all'antologia Tullio De Mauro e Derrick de Kerckhove. Il primo maggio  è stata inaugurata a Greve in Chianti la Biblioteca comunale "Carlo e Massimo Baldini".  Sulla filosofia del linguaggio «È chiaro che devo preoccuparmi di essere inteso da tutti perché penso che la chiarezza sia la cortesia del filosofo»  (José Ortega y Gasset, Cos'è la filosofia?) Secondo Baldini scopo del filosofo e della sua filosofia è essere chiari: scrisse infatti «l'accusa che più frequentemente viene rivolta alle opere dei filosofi è quella dell'illegibilità». I filosofi come dimostra nel suo Contro il filosofese e nel Elogio dell'oscurità e della chiarezza non seguono sempre questa missione ed in alcuni casi sembra usino volutamente un linguaggio oscuro ed incomprensibile. Tre dei filosofi più oscuri secondo Baldini, che ricalca in questo anche il giudizio di Schopenhauer, sono stati Fichte, Hegel e Schelling. Parlando di Hegel, Baldini riporta il giudizio di uno scritto di Alexandre Koyré che definisce la lingua di Hegel "incomprensibile e intraducibile".  Citando inoltre il giudizio di Popper scrive: «Troppo spesso, secondo Popper, i filosofi vengono meno alla virtù della chiarezza. Con l'oscurità sovente mascherano le tautologie e le banalità che infiorettano i loro discorsi». Henri Bergson cita l'esempio di Cartesio, di Nicolas Malebranche e di molti altri filosofi francesi mostrando che idee molto raffinate e profonde possono essere espresse nel linguaggio ordinario anziché con circonlocuzioni e ridondanze e termini che sono causa di equivoci. Baldini afferma che «l'oscurità in filosofia è, dunque, il modo migliore per fingere di spacciare pensieri, mentre si sta solo spacciando parole, è una maschera che cela spesso il vuoto di pensiero o la banalità dei pensieri». Nonostante tutto secondo Baldini, non bisogna giudicare frettolosamente un filosofo, definendolo "oscuro", a volte può essere una carenza della nostra conoscenza che ci porta a respingere come vuoto suono, parole che invece, hanno il loro preciso significato.  Scrivere la filosofia in maniera chiara può avere le sue difficoltà, Nietzsche infatti afferma che «ci vuole meno tempo ad imparare a scrivere nobilmente che chiaramente» e Ludwig Wittgenstein che celebra a più riprese la chiarezza, fa autocritica ammettendo in una sua lettera a Russell che il suo Tractatus logico-philosophicus «è tremendamente oscuro». Quanti celebrano la chiarezza in filosofia, sanno bene che ogni lettore di testi filosofici deve fare proprio il consiglio che Wittgenstein dava a Bertrand Russell, quando questi si lamentava con lui dell'oscurità del trattato, gli scrisse: «Non credere che tutto ciò in cui tu sei capace di capire consista di stupidaggini». Invece, un personaggio che volutamente, secondo Baldini, tendeva a non farsi capire e a sopraffare linguisticamente («fra gli applausi di ammirazione») i suoi ascoltatori, è stato Armando Verdiglione.  Chi si avventurava nelle sue opere, fa rilevare il filosofo, si imbatteva in frasi tipo questa: «Sono tratto da un demone a dire, a fare, a scrivere sempre fra oriente e occidente e fra nord e sud. Senza luogo della parola. Questo demone è il colore del punto, dello specchio, dello sguardo, della voce: la moneta stessa. Punto, sembiante, oggetto scientifico, è indotto dalla pulsione, dall'instaurazione della domanda, dove l'offerta è il pleonasmo», ed ancora: «Ecco questo primo rinascimento. Primo in quanto procede dal secondo, ovvero dall'originario. Secondo dunque non in senso ordinale, non in nome del nome. Non è neppure nuovo, perché non parte dalla corruzione per arrivare all'utopia». "Oscuro superlinguaggio" e "gargarismi linguistici e semantici" sono secondo Baldini il risultato della "verdiglionite" ovvero di chi si muove "sui sentieri del filosofese". Secondo Baldini quindi la difficoltà di esprimere alcuni profondi pensieri filosofici non dovrebbe essere amplificata, è vero che ci sono pensieri filosofici difficili da esprimere in modo semplice, ma è pur vero che il filosofo che desidera trasmettere la propria filosofia, dovrebbe fare un onesto sforzo affinché essa sia quanto più possibile comprensibile al proprio uditorio.  Note  Sociologi: è morto Massimo Baldini, semiologo e filosofo, Adnkronos, 11 dicembre 2008  Contro il filosofeseI filosofi e l'abuso delle parolepag. 43-49  Contro il filosofeseFichte, Schelling, ed Hegel: i professionisti dell'oscuritàpag. 50-56  Alexandre Koyré, Note sulla lingua e la terminologia hegeliana, Interpretazioni hegeliane, La Nuova Italia, Firenze 1980, pag.43  Bertrand Russel. L'autobiografia Longanesi, Milano Armando Verdiglione, Manifesto del secondo rinascimento, Rizzoli, Milano 198323. Altre opere: “Epistemologia e storia della scienza” (Ed. Città di vita, Firenze); “Campanella ed il linguaggio dell’utopia” – “Utopia e ideologia: una rilettura epistemologica” Ed. Studium, Roma); “Epistemologia contemporanea e clinica medica” (Ed. Città di vita, Firenze); “Teoria e storia della scienza” (Armando Editore, Roma); “I fondamenti epistemologici dell'educazione scientifica” (Armando Editore, Roma); “La semantica generale” (Ed. Città nuova, Roma); “Gli scienziati ipocriti sinceri: metodologia e storia della scienza” (Armando Editore, Roma); “La tirannia e il potere delle parole: saggi sulla semantica generale” (Armando Editore, Roma); “Congetture sull'epistemologia e sulla storia della scienza” (Armando Editore, Roma); “Epistemologia e pedagogia dell'errore” (Ed. La Scuola, Brescia); “Il linguaggio dei mistici” (Ed.Queriniana, Brescia); “Il linguaggio della pubblicità” “La fantaparola” (Armando Editore, Roma); “Educare all'ascolto, Ed. La Scuola, Brescia); “Parlar chiaro, parlar oscuro” (Ed. Laterza, Roma Bari); “Lezioni di filosofia del linguaggio” (Ed. Nardini, Firenze); “Antologia filosofica, Ed. La Scuola, Brescia); “Contro il filosofese” (Ed. Laterza, Roma-Bari); “Storia della comunicazione, Newton & Compton, Roma); “La storia delle utopie, Armando Editore, Roma); “Il proverbi italiano” (Newton & Compton editori s.r.l., Milano); “Karl Popper e Sherlock Holmes: l'epistemologo, il detective, il medico, lo storico e lo scienziato” (Armando Editore, Roma); “La medicina: gli uomini e le teorie, Ed. CLUEB, Bologna); “Il liberalismo, Dio e il mercato” (Armando Editore, Roma); “L’amicizia” (Armando Editore, Roma); “Introduzione a Karl R. Popper, Armando Editore, Roma); “Capelli: moda, seduzione, simbologia” (Ed. Peliti, Roma); “Popper e Benetton: epistemologia per gli imprenditori e gli economisti” (Armando Editore, Roma); “Elogio dell'oscurità e della chiarezza, LUISS University Press e Armando Editore, Roma); “Elogio del silenzio e della parola: i filosofi, i mistici, i poeti, Rubettino Editore, Soveria Mannelli); “I filosofi, le bionde e le rosse, Armando Editore, Roma); “L'invenzione della moda: le teorie, gli stilisti, la storia. Armando Editore, Roma); “L'arte della coiffure: i parrucchieri, la moda e i pittori, Armando Editore, Roma); Popper, Ottone, Scalfari, LUISS University Press, Roma 2009. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Massimo Baldini  Scheda dell'Università LUISS, su docenti.luiss. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1947 2008 18 giugno 10 dicembre Greve in Chianti RomaProfessori della Libera università internazionale degli studi sociali Guido CarliProfessori della SapienzaRomaProfessori dell'Università degli Studi di PerugiaProfessori dell'Università degli Studi di SienaProfessori dell'BariStudenti dell'Università degli Studi di Firenze.  In questo contributo intendo concentrarmi su alcuni aspetti della teoria aristotelica dell’amicizia: il metodo di indagine attraverso cui è articolata e acquisita, e il suo significato dialettico e teorico.  Il processo conoscitivo, per Aristotele, è una transizione da ciò che è “primo per noi” a ciò che è “primo per sé”[1], e l’indagine sull’amicizia non fa eccezione. Il “primo per noi” contempla la nostra esperienza della cosa intesa in senso ampio, tale da includere: le prassi linguistiche e ascrittive diffuse[2], le opinioni notevoli (ἔνδοξα) condivise da tutti o dai più o dai sapienti o da alcuni di essi[3], i topoi o luoghi comuni consegnati dalla tradizione, i fenomeni intesi come “fatti della vita”, ovverosia le ordinarie prassi umane, i comportamenti concreti implicati nelle relazioni di amicizia[4]. Si tratta di un materiale eterogeneo, variegato, opaco, bisognoso di sintesi e di articolazione concettuale: il suo trattamento dialettico preliminare sarà orientato anzitutto a evidenziare le contraddizioni che tale materiale ospita, per poi cercare di superarle entro una sintesi superiore la quale, attraverso una teorizzazione positiva ˗ materiata di distinzioni semantiche e concettuali, argomenti, definizioni ˗ ne salvi gli elementi genuini nella misura del possibile, mostri l’apparenza delle contraddizioni, e produca così una sorta di “equilibrio riflettuto” fra il “primo per noi”, da cui pure si sono prese le mosse, e il “primo per sé”, punto d’arrivo dell’indagine. Una buona teoria dovrà fare giustizia dei caratteri manifesti dell’oggetto, renderli cioè intellegibili e inferibili[5]; invece una teoria che negasse questi caratteri, sarebbe ipso facto una teoria deficitaria, insoddisfacente: non ci riconcilierebbe coi φαινόμενα, che pure sono il suo originario explanandum.  Questa cifra metodologica va tenuta presente, se si vuole apprezzare in modo non superficiale la trattazione aristotelica dell’amicizia nelle due Etiche. Perciò è opportuno partire non da Aristotele, bensì dall’orizzonte teorico-culturale cui egli si rapporta dialetticamente, nonché dai suoi obbiettivi polemici. Il significato ordinario di «φιλία» ha un’estensione ben più ampia della nostra nozione di «amicizia»: oltre all’amicizia propriamente intesa, può denotare anche l’alleanza politica[6], la vasta gamma dei rapporti sociali, dalle relazioni parentali e matrimoniali a quelle commerciali, quelle cameratistiche, quelle amorose ed erotiche; insomma, qualunque interazione umana positiva e non ostile, fra individui o fra gruppi – ma anche fra uomini e dei[7] – è denotabile come φιλία. Nella caratterizzazione preliminare che ne offre, Aristotele attinge ai grandi modelli omerico ed esiodeo, così come ai Sette Savi, ai tragici, nonché al sapere filosofico dei predecessori (Empedocle, Eraclito, etc.); ma il punto di riferimento dialettico che, sottotraccia, orienta l’intera trattazione, è il Liside platonico, la prima indagine filosofica sistematica dedicata alla φιλία[8], nelle cui note aporie sono peraltro condensate e portate a tematizzazione le contraddizioni insite nelle istanze della tradizione pre-filosofica globalmente intesa. Il Liside dunque, fra gli ἔνδοξα e i λεγόμενα, riveste un ruolo dialettico-polemico primario, anche se non se ne fa alcun riferimento esplicito. È impossibile in questa sede tentarne anche solo una cursoria sintesi, ma è necessario individuare perlomeno quelle aporie di fondo intorno alla φιλία che Aristotele riprende in maniera puntuale[9].  Una importante aporia (210e-213c), radicata nella dicotomia attivo/passivo, è articolata intorno alla questione: chi dei due, in una relazione amicale, è l’amico? Chi ama o chi è amato[10]? Si sonda tutto lo spazio logico delle possibilità, producendo esiti paradossali (di qui, appunto, lo status di aporia): se 1) è chi ama, ad essere amico di chi è amato, allora nel caso che chi è amato odiasse chi lo ama, uno sarebbe amico di chi lo odia! 2) se è chi è amato, ad essere amico, sarà anche il caso che chi è odiato è nemico, dunque se qualcuno ama qualcuno che lo odia, allora sarà nemico di un suo amico! 3) se sono amici o chi ama o chi è amato, indifferentemente, resta fermo che uno potrebbe essere amico di chi lo odia 4) se sono amici necessariamente entrambi, allora non potremmo essere “amici” di entità che non ci amano, come la scienza, o il vino, o i cavalli. L’aporia presuppone l’ampia estensione semantica di φιλία e di φίλος, che da un lato può avere significato passivo (esser caro a qualcuno), attivo (essere amico di) o reciproco[11], dall’altro come prefisso (φίλο-) può comporre termini denotanti amore, passione o apprezzamento per entità impersonali, che non reciprocano. Ma l’aporia è filosofica, non meramente linguistica[12].  Una seconda aporia (213d-223b) muove dalla questione se l’amicizia si dia fra simili o fra dissimili. Se 1) si dà fra simili, allora anche i malvagi sarebbero amici, ma fra malvagi non si dà vera amicizia (assunzione qui data per vera)[13]; 2) se si dà non fra simili simpliciter ma fra simili nell’esser buoni, sorge il problema di come il buono – il quale basta a se stesso[14] – possa trarre utilità da un altro buono, e viceversa, quando si era precedentemente stabilito che nessun amico è inutile all’amico (210c6-8); 3) se si dà fra dissimili contrari, come povero/ricco, sapiente/ignorante etc., allora, daccapo, l’amico sarà amico del nemico, il malvagio del buono etc.: amico/nemico e malvagio/buono sono contrari; 4) forse si dà fra certi dissimili non contrari: chi è intermedio fra buono e cattivo può amare il buono in virtù della presenza in sé di un “male”, cioè della privazione di bene di cui è conscio e che lo rende intermedio[15]; così l’amicizia diventa un caso particolare del desiderio[16], volto strutturalmente a ciò di cui si è privi. Ma anche qui si ricadrebbe nel caso 1 della Prima aporia: pare che l’amare unidirezionale e non ricambiato non sia sufficiente all’amicizia, inoltre il buono sarebbe amato senza amare a sua volta (infatti l’altro gli è inutile giacché egli ha già il bene presso di sé).  A questo punto viene introdotta l’idea che, se noi cerchiamo nell’amico il bene ma nessun amico può avere il bene pienamente presso di sé, allora ciò che cerchiamo negli amici è il «Primo Amico», qualcosa che trascende sia noi che gli amici stessi, di cui questi ultimi sono apparenze (εἰδώλα)[17]. Le relazioni amicali sono da ultimo orientate verso qualcosa che trascende entrambi i relati, secondo una dinamica “ascensionale” segnatamente platonica: ma così l’amico in carne e ossa parrebbe ridotto a mero luogo di transito di una tensione desiderante che ascende in direzione di un assoluto ideale. Riesaminando poi la relazione “orizzontale”, si introduce la nozione di «affine» (οἰκεῖος): forse la φιλία è rapporto col simile in quanto affine, o familiare; ma l’affinità pare essere reciproca (se A è affine a B, B è affine ad A), dunque il buono risulta inservibile a chi è già affine al buono; inoltre, sono affini anche i malvagi.  Anche se la trattazione appare un poco schematica e talora verbalistica, essa tocca problemi speculativi genuini. Come ci si aspetta da un dialogo “socratico” di Platone, le aporie non trovano uno scioglimento, se non la paradossale acquisizione che né amanti né amati, né simili né dissimili né contrari, né affini, né buoni, possono essere amici[18]! Teniamo dunque a mente questi nodi problematici. L’amicizia è studiata nel libro VII dell’Etica Eudemia, e nei libri VIII-IX dell’Etica Nicomachea[19]. Mentre la trattazione dell’Etica Eudemia risulta più logica e astratta, quella dell’Etica Nicomachea è più orientata a salvare i fenomeni, è più empirica e inclusiva: per cogliere i nuclei teorici di fondo, è sensato muovere dalla prima, e valutare criticamente quando e perché la seconda propone integrazioni o discostamenti teorici da quella. Sia la Eudemia precedente alla Nicomachea o meno[20], in essa appare più nitidamente come la trattazione aristotelica costituisca una sorta di virtuale controcanto filosofico del Liside platonico[21].  Etica Eudemia VII introduce il soggetto come specialmente degno di essere indagato: gli ἔνδοξα universalmente diffusi pongono la φιλία come il fine stesso della politica, come antidoto all’ingiustizia, come habitus caratteriale rivolto ai buoni, pongono l’amico come il più grande dei beni esterni (anche in quanto volontariamente scelto) e l’assenza di amici come il male più terribile[22]. La φιλία è aspetto centrale dell’etica – soprattutto entro un’etica eudemonistica imperniata sul bene e sulla felicità – dunque non sorprende che la sua trattazione occupi quasi un quinto degli scritti etici aristotelici.  Ma altre opinioni notevoli non sono universalmente condivise: per alcuni il simile è amico del simile (Omero, Empedocle), per altri lo è il contrario del contrario (Esiodo, Euripide, Eraclito)[23]: sono le opzioni 1 e 3 della Seconda Aporia del Liside, che pure non viene citato. Si ricordano poi altre opinioni, topoi tradizionali già ripresi dal Liside: per alcuni non c’è amicizia fra malvagi ma solo fra buoni (cfr. opzione 1 della Prima Aporia), per altri solo chi è utile può essere amico (cfr. opzione 2 della Seconda Aporia).  Prima di passare alla pars construens, Aristotele enuncia candidamente il criterio metodologico e lo scopo dell’indagine:    Occorre trovare un’argomentazione che insieme renda conto (ἀποδώσει) al massimo grado delle opinioni (τά δοκοῦντα) intorno a queste cose, e anche che sciolga le aporie e le contraddizioni. Ciò avverrà qualora appaia che le opinioni contrarie sono sostenute con buone ragioni: una tale argomentazione sarà nel massimo accordo coi fenomeni. E le tesi in contraddizione risultano mantenersi, se quel che affermano è vero in un senso, ma in un altro no. (Et. Eud.).  Le opinioni diffuse e notevoli non vanno accolte in modo supino e acritico, ma comprese nelle loro buone ragioni e, nella misura del possibile, salvate entro una sintesi teorica che superi le aporie e mostri che le affermazioni apparentemente incompatibili possano essere vere entrambe, in sensi diversi; così vi sarà anche il massimo accordo coi φαινόμενα. Questi, i desiderata da soddisfare.  Se l’amicizia è desiderio (altra acquisizione del Liside[25]), il desiderio può essere del piacevole (appetito) o del buono (volontà)[26], dunque ciascuno di essi ci è «amico» o caro (φίλον); comunque il piacere si presenta come un bene (o appare tale o è creduto tale[27]): la prima distinzione da fare è perciò fra bene e bene apparente (φαινόμενον ἀγαθόν), oggetti del desiderio[28]. La seconda è quella fra bene incondizionato (ἁπλῶς) e bene per qualcuno[29]: ciò che è buono simpliciter lo è per l’essere umano in generale, ciò che è tale «per qualcuno» lo è per certi individui particolari in certe circostanze (per esempio, un’operazione per un malato); parimenti, vi è un piacevole incondizionato e un piacevole «per qualcuno» (per esempio, in condizioni fisiche o morali alterate); Aristotele sostiene che il piacevole incondizionato coincida col buono incondizionato[30]: ciò che è buono per l’uomo in generale, è anche piacevole per l’uomo in generale, invece un individuo malato o corrotto troverà piacevoli cose non oggettivamente buone; né coincideranno il piacevole «per lui» e il buono «per lui». Un uomo saggio e virtuoso troverà piacevole ciò che è buono, dunque nel suo caso si identificano bene apparente e bene reale (è buono ciò che gli appare tale), bene «per lui» e bene incondizionato (ciò che è bene per lui è buono in generale per l’uomo), nonché bene e piacere: egli è norma rispetto a ciò che per l’uomo in generale è e deve essere buono e piacevole, in quanto esprime l’eccellenza della stessa natura umana. A ogni modo, ciò che motiva un soggetto S deve apparire un bene a S (che lo sia o meno), e apparire a S un bene per lui (che sia o meno anche un bene in senso incondizionato)[31].  Ci sono cose per noi buone in quanto le riteniamo dotate di valore intrinseco, cose per noi buone in quanto le riteniamo utili, e cose per noi buone in quanto le troviamo piacevoli. Poiché l’amico è un bene scelto e desiderato ˗ il φιλεῖν è un caso particolare di desiderio ˗ potrà esserlo per questi tre motivi: come bene in sé, e cioè in quanto è ciò che è e «per la virtù», o in quanto è ci è utile, o in quanto sia piacevole, «per il piacere»[32]. Chiariremo successivamente perché il buono in quanto buono, quando il bene sia l’amico stesso, si identifichi con la sua virtù.  Colui che è amato in base a uno dei tre aspetti suddetti (bene-virtù, utilità, piacevolezza) diventa un amico ˗ si aggiunge ˗ quando contraccambia l’affetto: dunque la reciprocità diviene un tratto essenziale dell’amicizia, una sua condizione necessaria; Aristotele sceglie l’opzione 4 della Prima Aporia del Liside, ma replica all’obiezione ivi contenuta, secondo cui cose amate come il vino, i cavalli e la scienza non possono ricambiare, mediante la distinzione fra φιλία e φίλησις[33]: la seconda è un affetto/desiderio per le cose inanimate, la prima implica un simile affetto come componente, ma include necessariamente la reciprocità. Talvolta, una nozione vaga può essere disambiguata mediante una distinzione semantica, in modo da sciogliere apparenti contraddizioni e insieme “salvare i fenomeni”. Tuttavia, l’affetto reciproco sulla base di uno dei tre amabili non è ancora sufficiente perché ci sia φιλία; tale reciprocità deve essere esplicita, non celata, nota ai due amici: se amo qualcuno che non lo sa, non siamo amici, nemmeno nel caso lui ami me e io lo sappia; entrambi devono amarsi l’un l’altro, ed entrambi lo devono fare in modo manifesto, tale che sia noto all’uno e all’altro. La coscienza di essere amici è essenziale all’essere amici: qualcuno può credere di essere amico senza esserlo[34], però nessuno può essere amico di qualcuno senza credere di esserlo. Se manca la reciprocità, non si ha amicizia ma «benevolenza» (εὔνοια), cioè desiderio del bene dell’altro; quando quest’ultima è reciproca e non è celata, allora può divenire amicizia[35].  Le tre forme di amicizia, rispettivamente basate su virtù, utilità, piacere, secondo l’Eudemia intrattengono la relazione asimmetrica che Aristotele chiama πρὸς ἓν, in cui vi è un significato primario o focal meaning cui gli altri, secondari e derivati, rimandano[36]: l’amicizia a causa della virtù e fondata sul bene è posta come πρώτη φιλία, «prima amicizia», da cui le altre dipendono dal punto di vista definitorio. Quindi «φιλία» non denota tre specie di un unico genere, né è un termine equivoco che denota realtà completamente diverse; è termine “multivoco”, giacché l’amicizia si dice in molti modi ma in riferimento a un senso che illumina tutti gli altri, e a cui gli altri si rapportano necessariamente. Molti critici ritengono che, siccome l’amicizia “utilitaristica” e quella “edonistica” possono darsi indipendentemente da quella “virtuosa”, l’idea che esse rimandino necessariamente a quella “virtuosa” non sarebbe convincente, e proprio per questo sarebbe poi abbandonata nella Nicomachea[37]. Ma la gerarchizzazione πρὸς ἓν è anzitutto definitoria: il piacere è un bene apparente (dunque, una declinazione del bene), l’utile è tale in quanto foriero di bene[38] o di piacere (che, daccapo, è un bene apparente); dunque i tre amabili sono un bene, un modo di apparire del bene, una via che porta al bene. Al modo in cui il piacere e l’utilità si definiscono in rapporto al bene[39] (ma, per Aristotele, non viceversa), così le amicizie basate sul piacere e l’utile si definiscono in rapporto a quella basata sul bene come tale: e infatti, come vedremo, ne sono forme imperfette e difettive.  Si noti la pur generica assonanza fra la πρώτη φιλία e il πρῶτον φίλον, il Primo Amico del Liside: se Platone radica il senso delle relazioni amicali in un anelito a qualcosa che trascende le amicizie e gli amici stessi illuminandole, per così dire, dall’alto, Aristotele immanentizza il bene entro gli amici stessi e le loro relazioni; c’è una amicizia prima, ma non un Amico primo che si distingua dagli amici empirici e concreti. Il bene che è in gioco nell’amicizia è ubicato negli amici stessi, è immanente.  Qual è la ragione profonda di questa tripartizione? Si può mostrare in modo puntuale che si tratta di una risposta alle aporie platoniche: se i platonici pongono come amicizia solo quella virtuosa, «non riescono a dare conto dei fenomeni»[40], ove per fenomeni si devono intendere non solo le prassi umane, ma anche gli ἔνδοξα e i λεγόμενα. Se vi sono tre forme di amicizia, può darsi che alcune opinioni notevoli e intuizioni siano vere dell’una ma false dell’altra, altre siano vere dell’altra ma false dell’una, come afferma il passo metodologico succitato. Se poi a partire da ciascuna delle tre caratterizzazioni si potessero inferire o congetturare dei rispettivi propria, che coincidano coi rispettivi tratti manifesti dell’amicizia che parevano aporetici in quanto incompatibili, allora grazie a questa tassonomia tricotomica le aporie potrebbero essere sciolte, poiché alcuni di questi tratti caratterizzeranno un tipo di amicizia, alcuni altri un altro tipo di amicizia.  L’amicizia virtuosa, fondata sul bene, è fra simili in quanto buoni[41]: essa cattura l’opzione 2 della Seconda Aporia del Liside, nonché l’ideale arcaico, omerico ma anche teognideo e in generale aristocratico, della φιλία come sodalizio elettivo fra ἀγαθοί; a questo topos tradizionale, il Socrate del Liside replica che esso è incompatibile con un’altra idea ben radicata (basata su altri due topoi tradizionali): il buono è autosufficiente, e un amico gli sarebbe inutile, ma l’amicizia è fondata proprio sull’utilità reciproca; quest’ultima idea, di matrice esiodea[42] ma anche un luogo comune confermato dalle prassi umane, non può essere negata, per Aristotele: sono gli stessi φαινόμενα a mostrare che coloro che intrattengono relazioni continuative di utilità e soccorso reciproco, si chiamano amici  e si ritengono tali, e così sono dagli altri chiamati e ritenuti. La contraddizione è apparente, se si postula che l’utilità reciproca è un prerequisito di una forma di amicizia (quella basata sull’utile) e non dell’altra (quella basata sul bene). Le relazioni utilitaristiche sono amicizia, sebbene di un certo tipo; sia queste che quelle fondate sul piacere, possono sussistere anche fra individui non buoni, persino fra malvagi, sebbene in forma estremamente labile e instabile: l’opzione 1 della Seconda Aporia del Liside è anch’essa percorribile, in quanto due individui non “buoni” possono essere amici sulla base del piacere, e sono simili nella misura in cui condividono certi tipi di piacere; inoltre, l’intuizione per cui l’amicizia si dà fra contrari come povero/ricco, sapiente/ignorante etc. ˗ opzione 3 della Seconda Aporia del Liside ˗ è anch’essa fatta salva, in quanto viene posta come peculiare all’amicizia utilitaristica, che tipicamente è intrattenuta da individui in qualche senso contrari (l’uno ha qualcosa che l’altro non ha). Aristotele riesce a salvare i fenomeni attraverso una distinzione tassonomica fondamentale, che deve conciliare certe apparenti incompatibilità ma al tempo stesso preservare una certa unitarietà dell’oggetto: quella di amicizia è una nozione originariamente ospitale, plurale e polivoca, tanto internamente differenziata da implicare una demarcazione netta fra l’amicizia virtuosa e le altre, ma non tanto monolitica da implicare che si escludano dal novero delle amicizie quelle forme di relazione (utilitaria, edonistica) ordinariamente denominate così: altrimenti si farebbe violenza al linguaggio e alle “cose stesse”[43]: a quel “primo per noi” che è lo stesso explanandum originario.  Una delle ragioni per cui l’amicizia virtuosa è detta «prima» nella Eudemia e poi «perfetta» (τέλεια) nella Nicomachea[44], è che essa è costitutivamente piacevole, benché non sia fondata sul piacere, e implica la disposizione alla mutua utilità quando serva, benché non sia fondata sull’utile: dunque contiene in sé, in certo modo, le altre due. Tuttavia, il piacere che consegue al bene ed è persino costitutivo di esso, non è lo stesso piacere che fonda le amicizie edonistiche; il primo è inseparabile dal bene cui consegue[45], quindi l’integrazione di piacere e utilità nell’amicizia virtuosa non è da concepirsi come una somma estrinseca o giustapposizione di aspetti positivi (bene + utilità + piacere). La perfezione di questa amicizia non è una somma di amicizie imperfette, è originaria completezza.  Nella Nicomachea non vi è traccia della relazione πρὸς ἓν, e la πρώτη φιλία diventa τέλεια φιλία[46]. Le altre amicizie qui sono dette tali «secondo somiglianza» a quella perfetta[47]: a mio avviso, al netto della differenza di linguaggio, la posizione di Aristotele non muta in modo sensibile fra le due opere; la somiglianza delle amicizie edonistica e utilitaristica a quella perfetta consiste anche qui nel fatto che quest’ultima è, per entrambi gli amici, utile e piacevole, dunque contiene quegli aspetti che fondano le amicizie imperfette, ma non ne è simmetricamente contenuta. Infatti, ciò che è buono è anche utile e piacevole, mentre ciò che è utile può non essere piacevole e può non essere buono (né simpliciter, né per l’individuo) – per esempio, se l’individuo è corrotto e trova per sé utile qualcosa che lo approssima a ciò che non è il suo bene (anche se egli magari crede che sia il suo bene[48]) – e ciò che è piacevole può essere inutile o persino dannoso. Questo vale in generale, e a fortiori vale per gli amici buoni, utili, piacevoli. In realtà, lo stesso “compito” etico implicitamente affidato all’uomo, gli è affidato anche in rapporto all’amicizia: l’ideale umano, incarnato dal saggio che ne è norma ed esempio, è quello di far coincidere ciò che è bene per sé con ciò che è bene in generale, e ciò che è piacevole per sé con ciò che lo è in generale; si realizza così anche la coincidenza di bene e piacere, visto che il buono in generale e il piacevole in generale si identificano per natura[49]. Ciò importa che occorra anzitutto essere buoni (saggi e virtuosi) e, essendolo, prediligere le amicizie virtuose (che sono appannaggio dei buoni): esse non ospitano conflitti strutturali, soprattutto il bene e il piacere – il confliggere dei quali sopraffà l’acratico – sono adeguati ab origine, nell’amicizia perfetta, giacché essa è piacevole proprio in quanto buona. Ma ciò non esclude che i buoni possano intrattenere anche amicizie fondate sul piacere, o sull’utile[50]: esse però, nell’economia della loro vita, risulteranno marginali, sia nella quantità che nella qualità.  Può sorprenderci il fatto che alla forma di amicizia più rara e più “inarrivabile” delle tre (i buoni sono pochi, gli amici a causa del bene ancora meno) venga ascritta una priorità definitoria, sia essa del tipo πρὸς ἓν o «per somiglianza». Ma per Aristotele qualunque capacità umana – l’amicizia è una virtù, le virtù sono capacità acquisite – viene individuata e definita sulla base della sua eccellenza: è il caso eccellente, in cui un tratto umano è più pienamente realizzato, che funge da essenza normativa rispetto ai casi difettivi, deficitari, degradati, imperfetti; per definire, occorre guardare ai casi migliori, alla modalità in cui una potenzialità è dispiegata ed espressa più compiutamente, e che misura gli altri casi quasi costituendone un virtuale dover-essere rispetto a cui essi mostrano la loro manchevolezza. Perciò la teoria aristotelica presenta al contempo una dimensione descrittiva e una normativa, fra le quali sussiste una sorta di tensione dialettica. E in effetti le amicizie fondate sul piacere e sull’utile sono incomplete: vengono caratterizzate addirittura come amicizie per accidens[51], il che sembra sulle prime vanificare l’atteggiamento inclusivo adottato da Aristotele come cifra metodologica, non solo praticata ma persino esplicitata in modo programmatico[52]. È come se in sede di definizione generale Aristotele fosse interessato a preservare l’unità della nozione di amicizia nonostante le differenze, ma in sede di caratterizzazione sinottico-comparativa dei diversi tipi, ponesse invece l’enfasi sullo iato che separa l’amicizia prima o perfetta dalle altre, fino a trattare le altre come solo accidentalmente tali. Perché esse sono caratterizzate come «accidentali»?  Chi si ama per l’utile o per il piacere lo fa «non perché l’individuo amato sia quello che è, ma in quanto è utile o in quanto è piacevole»[53]: l’utilità e la piacevolezza sono proprietà relazionali esterne all’essenza dell’amico amato, determinate dagli effetti che esso ha su chi lo ama, «perché gli uni ne traggono un qualche bene, gli altri un piacere»[54]; invece l’amicizia basata sulla virtù e la bontà dell’amico amato, è basata su proprietà intrinseche all’amato, su ciò che da ultimo l’amato è[55]. Noi siamo il nostro carattere, il nostro carattere è l’insieme unificato delle nostre virtù, una seconda natura che è frutto prima dell’educazione e poi delle nostre scelte: noi siamo un sé che sceglie, e i nostri pensieri, discorsi e azioni manifestano il nostro “sé”. Pertanto, nell’amicizia perfetta il bene che è in gioco è l’amico stesso che è amato, per ciò che egli essenzialmente è, mentre il bene che è in gioco nelle altre amicizie è il bene – nella forma dell’utile o del piacevole – dell’amico che ama. Anche se l’amicizia è sempre reciproca, resta fermo che nell’amicizia perfetta il fondamento è, per ciascuno degli amici, l’altro come buono, nelle altre è invece il proprio bene in quanto utilità o piacere[56]. Nelle amicizie imperfette la ragione per cui si vuole e persegue il bene dell’altro, resta radicata nell’interesse proprio come diverso dal bene elargito all’altro e diverso dall’altro stesso come dotato di valore intrinseco. È questa differenza radicale a rendere le amicizie imperfette amicizie per accidens: ciò non implica, si badi, che non siano amicizie[57], bensì che lo sono solo in virtù del loro somigliare all’amicizia perfetta, seppure in modo difettivo.  Ma l’amicizia fondata sul bene dell’amico non rischia così di risultare “disinteressata” in un modo psicologicamente implausibile? Solo in apparenza, in quanto il bene di chi ama è in gioco, ma lo è in quanto coincide col bene dell’amico: se siamo amici perfetti, siamo entrambi buoni e virtuosi, e il nostro bene individuale coincide col bene simpliciter: noi, come amici perfetti, cooperiamo per realizzare il bene in generale[58]; il bene mio e dell’amico sono voluti – rispettivamente, dall’amico e da me – in conseguenza del fatto che anzitutto io e l’amico siamo dei beni: se lo siamo l’uno per l’altro, è perché siamo buoni, siamo dotati di valore intrinseco, e lo riconosciamo reciprocamente. Non si tratta di una implausibile relazione puramente altruistica e disinteressata, perché non si fonda – ribadiamolo – solo sul volere il bene dell’altro, ma anzitutto sull’altro come bene in sé: voglio e perseguo il bene dell’altro non per altruismo astratto, ma perché l’altro è un bene. Una nozione comune con cui forse potremmo rendere più chiaro questo aspetto, è quella di stima. L’amicizia perfetta è fondata sulla stima reciproca: un amico che stimo per ciò che è e per come è, esemplifica in sé ciò che è buono, a prescindere da ciò che io posso trarre da lei/lui: «se uno non gioisce perché l’altro è buono, non c’è la prima amicizia» (1237b4-5). La stima reciproca presuppone una consonanza di valori, un’intesa su ciò che vale e ciò che è degno: e visto che i due amici sono virtuosi e buoni, essi valgono e sanno di valere, per questo valgono anche l’uno per l’altro. Si tratta di una amicizia in cui coltivare il proprio bene coincide col coltivare l’altro e il suo bene, e questo coincidere non è accidentale – come accade nelle altre amicizie – bensì è costitutivo. Invece posso trarre vantaggio da un amico utile senza stimarlo affatto, così come posso trarre piacere – per esempio, divertendomici insieme – da qualcuno che non stimo, che non ritengo una persona buona, degna, valida.  L’accidentalità delle amicizie non perfette si rende perspicua nella loro strutturale instabilità: un rapporto fondato sull’utilità non avrà più ragion d’essere, qualora uno dei due amici smetta di essere utile all’altro; i bisogni umani sono cangianti, e tali sono le risorse altrui per farvi fronte, cosicché anche le relazioni utilitarie sono essenzialmente mutevoli; lo stesso accade per gli amici secondo il piacere: cambiano, nel tempo, le fonti del piacere, i “gusti”, e cambiano anche le capacità altrui di procurarci piacere; l’amicizia piacevole, poi, è precaria anche perché riguarda tipicamente i giovani, i quali sono di per sé in continuo cambiamento[59].  Invece la virtù del carattere è cosa stabile: le amicizie complete sono stabili perché sono fondate sul bene come virtù, che è costante e non facile a mutare[60]. Il tempo può rendere inutile un amico che prima era utile, o non più piacevole un amico che lo era, ma difficilmente può sottrarre a un carattere le virtù, far diventare malvagi i buoni, stolti i saggi, e dunque minare le basi su cui le relazioni virtuose fra buoni sono costruite. Per questo l’amicizia completa è specialmente solida, quasi incrollabile[61], e l’amico virtuoso è un amico «al massimo grado»[62], un amico «vero»[63]. Un tale amico si renderà utile se può e quando sia necessario, ma sarà utile perché è un amico, piuttosto che essere amico perché è utile; e sarà piacevole all’amico, giacché ci risulta tendenzialmente piacevole frequentare chi stimiamo[64].  Così Aristotele, forte della sua tassonomia tripartita, deriva dei propria (dei caratteri distintivi) di ciascuna amicizia, spiegando i fenomeni e riconciliandoci con le comuni pratiche ascrittive: alcune intuizioni, luoghi comuni e opinioni notevoli sono vere di un’amicizia, alcune dell’altra. Parlando coi giovani Liside e Menesseno, Socrate nel Liside si dice desideroso di amicizia più di ogni cosa al mondo – con una Priamel che restituisce in modo icastico l’idea dell’amicizia come il più grande dei beni esterni, fatta anch’essa propria da Aristotele – e invidia ironicamente la loro felicità, visto che sono giovani e sono diventati amici «in modo facile e rapido»[65]. Si tratta di caustica ironia, visto che la φιλία che ha a cuore Socrate non è né facile né rapida: ciò che è dissimulato, è che quella non è verace amicizia, ma altro. Qui c’è un’aporia in nuce, visto che i giovani che si frequentano, pur con una certa leggerezza e una conoscenza reciproca non profonda, paiono amici e sono detti tali, eppure non soddisfano i requisiti della “vera” amicizia non solo secondo l’idea socratica, ma anche secondo l’opinione diffusa per cui la vera amicizia è durevole, lenta e difficile a darsi. Aristotele distingue i soggetti delle attribuzioni incompatibili, salvando la verità di entrambe: l’amicizia giovanile (per esempio, quella di Liside e Menesseno) è fondata sul piacere, e ha certi tratti distintivi quali la facilità a prodursi e a decadere, l’intensità emotiva, e così via; l’amicizia perfetta, tipica degli uomini maturi (è quella per cui Socrate dice di ardere di desiderio), necessita di una lunga consuetudine e di una conoscenza reciproca profonda[66], è rara e appannaggio di pochi, è difficilissima a nascere ma altrettanto difficile a morire, fondandosi su ciò che in noi vi è di più stabile. Invece, quella utile caratterizza tipicamente gli anziani, particolarmente bisognosi d’aiuto e sensibili, per debolezza, al beneficio che può arrecare il mutuo soccorso[67]; inoltre, essa si riscontra nei più, nelle masse, le quali sono più preoccupate dei benefici personali che del bene e del bello. Fra le amicizie incomplete, Aristotele ascrive una superiore nobiltà a quella fondata sul piacere, mentre quella fondata sull’utile è «da bottegai»[68]. In effetti, la condivisione del piacere è qualcosa di meno strumentale rispetto al trarre vantaggi da qualcuno: perlomeno il piacere è un fine, non un mezzo; inoltre, il piacere appartiene alla frequentazione stessa dell’amico, mentre l’utile è a questa completamente estrinseco: dunque il fondamento dell’amicizia utile è più esteriore e più contingente di quello dell’amicizia piacevole.  Un altro aspetto problematico del Liside emerge in particolare nella Prima Aporia rispetto alla polarità attivo/passivo (amante/amato), ma soggiace implicitamente anche ad altre aporie: l’amicizia sembra implicare uguaglianza e comunanza da un lato, e differenza e asimmetria dall’altro; si mescolano aspetti tipici del rapporto pederastico-erotico (amante e amato non sono intercambiabili), aspetti del rapporto genitoriale, anch’essi per definizione asimmetrici, e relazioni “fra buoni” simili, potenzialmente simmetriche. Aristotele cerca di articolare queste istanze entro un quadro più sistematico: la tassonomia delle tre amicizie si arricchisce di una distinzione trasversale, fra amicizie simmetriche e amicizie asimmetriche in cui uno è superiore e l’altro inferiore[69]; la φιλία deve essere reciproca, ma tale reciprocità può essere simmetrica o asimmetrica (fra superiore e inferiore). I tipi di amicizia sono dunque sei, giacché si può essere superiori quanto a virtù, a utilità, e a piacevolezza.  La ulteriore distinzione fra amicizie simmetriche e asimmetriche consente ad Aristotele una esplorazione straordinariamente ricca dei legami sociali più eterogenei, che assimila alla φιλία e alle sue declinazioni i rapporti familiari (padre-figlio, marito-moglie, figlio-figlio), i rapporti politici fra città (in vista dell’utile)[70], gli stessi rapporti fra i cittadini in rapporto alla loro comunità, i rapporti fra governanti e governati, le relazioni commerciali, e così via, e indaga le relazioni profonde fra amicizia, giustizia, concordia, comunità. Non è possibile restituire nemmeno sommariamente la ricchezza di tali analisi in questo contributo, il quale si focalizza piuttosto sul significato filosofico e dialettico della tripartizione in generale: ma fa d’uopo rilevare che le applicazioni di questa teoria generale sono molteplici e fecondissime.     3. Amicizia e autosufficienza    La tripartizione (con ulteriore dicotomia trasversale) non scioglie di per sé un nodo aporetico concernente la stessa amicizia perfetta fra buoni: è l’idea espressa entro il punto 2 della Seconda Aporia del Liside, per cui chi ha il bene presso di sé è autosufficiente e non ha bisogno di nulla, dunque l’amicizia di chicchessia gli sarebbe inutile. È vero che Aristotele ha distinto l’amicizia perfetta da quella utile, ma resta il problema di comprendere come mai colui che è saggio, virtuoso e buono, bastando a sé stesso, abbia una qualche motivazione a coltivare un amico, foss’anche un amico perfetto: «se è felice chi ha la virtù, che bisogno avrà di un amico?»[71]. L’idea dell’autosufficienza di chi è saggio, virtuoso, felice e beato, ripresa dal Liside, è un topos tradizionale, quindi ha lo status di ἔνδοξον ben radicato, di cui va dato conto e di cui va mostrata la compatibilità con la teoria positiva proposta nonché con altri ἔνδοξα altrettanto ben attestati.  Il problema è affrontato in Etica Eudemia VII 12 e in Etica Nicomachea IX 9, in maniere parzialmente differenti. L’Eudemia muove dall’analogia con la condizione divina, paradigma dell’autosufficienza. Ma la condizione umana può assurgere all’autosufficienza solo nella misura in cui lo consente la natura dell’uomo, che è animale sociale-politico[72] e può/deve realizzare questa natura, non quella divina[73]: il bene umano contempla sempre il rapporto a un’alterità – è καθ’ ἕτερον[74] ˗ quello divino è assoluto rapporto a sé[75]. L’autosufficienza divina funge da “idea regolativa”, da norma ideale: l’uomo felice minimizzerà il numero degli amici e si limiterà a quelli virtuosi, degni di accompagnarsi a lui; proprio il caso di chi non è obnubilato da bisogni e mancanze, evidenzia il valore intrinseco dell’amicizia perfetta, perseguita non già per ricevere benefici bensì per fare, dare e condividere il bene che si possiede. Ma l’argomento successivo – che è molto complesso e possiamo solo sintetizzare[76] – chiarisce che non si tratta di un altruismo generico e astratto, in quanto l’amicizia è ingrediente essenziale, non accessorio, della felicità individuale.  Vivere, per l’uomo, è percepire e conoscere[77], e – prosegue Aristotele ˗ l’aspirazione massima di ciascuno di noi è, da ultimo, quella di conoscere noi stessi (tesi che rivisita il celebre monito delfico-socratico); la felicità è costituita dalla conoscenza di sé in quanto attivi come buoni e virtuosi[78], e la conoscenza di sé passa per la conoscenza reciproca fra amici: l’amico è «un altro sé»[79], «percepire l’amico necessariamente è percepire in certo modo sé stesso e conoscere in certo modo sé stesso»[80]. Condividendo con l’amico i beni, i piaceri e le attività della vita felice, incrementiamo dunque la conoscenza di noi stessi e della nostra stessa felicità. La Nicomachea chiarisce la relazione fra il riconoscimento reciproco degli amici virtuosi e la loro felicità, soprattutto in un passo speculativamente densissimo:    Se l’essere felici consiste nel vivere e nell’agire, e l’attività dell’uomo dabbene ed eccellente è per sé virtuosa [..], se poi anche ciò che è familiare/affine (οἰκεῖον) a qualcuno è tra le cose che lui trova piacevoli, se noi possiamo osservare il nostro prossimo meglio di noi stessi, e le sue azioni più che le nostre, se le azioni degli uomini superiori, che siano anche amici, sono fonte di piacere per i buoni, dato che hanno tutte e due le caratteristiche piacevoli per natura, allora l’uomo beato avrà bisogno di amici simili a lui, posto che davvero preferisca osservare azioni buone, e che gli sono proprie, come lo sono le azioni dell’amico, quando è buono. (Et. Nic. IX 9 1169b31-1170a4)[81] Le attività di un’esistenza virtuosa e felice sono obbiettivamente piacevoli agli occhi di un uomo buono, virtuoso e felice a sua volta: vi si rispecchia, sentendocisi “a casa propria”, e la familiarità determinata da affinità e prossimità, gli è in sé piacevole. Come si evincerà, la nozione platonica di οἰκεῖον, introdotta sul finire del Liside come cifra stessa della φιλία, trova una ripresa puntuale e una valorizzazione speculativa nella teoria aristotelica. Il prossimo si offre alla nostra conoscenza in modo più trasparente che noi stessi, giacché la sua distanza da noi lo rende meglio oggettivabile. I due tratti umani piacevoli per natura sono da un lato la felicità di cui la virtù è costitutiva, dall’altro la familiarità, che chi è felice è virtuoso riscontra ed esperisce nel contemplare e cooperare con un’altra esistenza felice e virtuosa. Le azioni di un nostro amico “perfetto” sono buone e nel contempo ci sono proprie, cosicché contemplarle è come trovare in esse lo stesso bene che noi siamo. Potrebbe stupire il riferimento reiterato al tema del piacevole, quasi che si trattasse di una delle due amicizie non perfette: ma occorre tenere a mente che il piacevole per natura o ἁπλῶς coincide col bene ἁπλῶς, e che si tratta di un piacere costitutivo del bene e inseparabile da esso, piuttosto che di un piacere addizionale ed esteriore rispetto al bene cui consegue. Se l’altro è sufficientemente prossimo a me, posso de-situarmi e oggettivarmi riconoscendomi nelle sue azioni, secondo una dialettica complessa e chiastica di riconoscimento reciproco. «Se l’uomo eccellente si comporta verso l’amico come si comporta verso di sé, dato che l’amico è un altro se stesso, allora, così come è desiderabile per ciascuno il suo proprio esserci, così è desiderabile l’esserci dell’amico, o quasi» (EN IX 9, 1170b5-8). In questo gioco speculare di identificazioni reciproche, il mio rapporto con l’altro è mediato del mio rapporto con me stesso[82], l’altro è un «altro me» e perseguo il suo bene in maniera pressoché equivalente a come perseguo il mio (quel «quasi» è una concessione al realismo empirico, da cui questa idealizzazione non vuole disancorarsi); ma è altrettanto vero che il mio rapporto con me stesso è a sua volta mediato dal mio rapporto con l’altro, giacché conosco genuinamente me stesso non già con un qualche misterioso atto introspettivo[83], bensì conoscendo persone simili a me che a loro volta mi riconoscono simili a sé: questa è la ragione perché v’è bisogno di amici buoni e virtuosi entro relazioni di amicizia “perfetta”; se la felicità implica autosufficienza, si tratta di un’autosufficienza umana e non divina, che passa per l’inclusione del prossimo nella nostra esistenza, e per la cooperazione con chi scegliamo come degno incarnare il bene e la virtù[84]. Come l’essere amici non si dà senza il sapere di esserlo anche se si può credere di essere amici senza esserlo, così l’essere felici (in quanto buoni e virtuosi in attività) non si dà senza la coscienza di essere felici (in quanto buoni e virtuosi), anche se è possibile credere di essere felici senza esserlo davvero. E per sapere chi sono, devo rispecchiarmi in amici simili a me[85]. Ciò importa che l’uomo beato non avrà bisogno di amici “meramente utili” e “meramente piacevoli”, invece dovrà avere amici buoni e virtuosi: il topos tradizionale è riscattato nella sua verità profonda, ma anche oltrepassato in virtù della tripartizione; in un senso è vero, in un altro no. Essere felici insieme è diverso dal semplice divertirsi insieme, anche se lo include, ed è diverso dal semplice aiutarsi l’un l’altro, anche se può includerlo.  L’amico perfetto ˗ come ogni altro autentico bene ˗ è oggetto di scelta razionale[86]. Anche per questo la teoria aristotelica si distanzia da quella platonica[87]: la φιλία erotica, già ben presente nel Liside sin dalla sua ambientazione scenica – una palestra, ove Liside è il «bello del momento» di cui Ippotale è innamorato – viene relegata da Aristotele a una delle tante forme di φιλία, degna di pochi accenni espliciti, mentre nel Simposio e nel Fedro, dialoghi ben più elaborati e costruttivi del Liside, l’eros è la forma di φιλία che viene eletta a oggetto di indagine paradigmatico. Ma le componenti mistico-estatiche della φιλία erotica come «follia divina» e frutto di invasamento[88], risultano completamente marginalizzate entro la teoria aristotelica. L’amicizia più degna e verace è attività derivante da scelta come desiderio razionale; se la felicità è attività e i beni che la materiano sono oggetto di scelta, allora anche l’amicizia, ingrediente costitutivo della vita felice, sarà espressione di attività, piuttosto che passivo invasamento consistente nell’esser “posseduti” da uomini o dèi. Il primato etico, fisico e metafisico dell’azione sulla passione, è anche il primato di un certo tipo d’amore su un cert’altro. L’amicizia è riportata fra gli amici, e la sua declinazione più eccellente, normante rispetto alle altre, è caratterizzata secondo la dimensione eticamente più elevata dell’umano: la ragione che sceglie e governa il desiderio, piuttosto che esserne governata. L’eros platonico, così bellamente ed enfaticamente rappresentato nel Simposio e nel Fedro, diventa per Aristotele solo una delle tante declinazioni possibili di un tipo di amicizia – quella fondata sul piacere – che è già di per sé incompleta e deficitaria[89].  Secondo l’aporetico excipit del Liside, né amanti né amati, né simili né dissimili, né contrari né affini, né buoni, possono essere amici[90]; le Etiche aristoteliche presentano una teoria la quale non solo consente ma anche prevede che amanti, amati, simili, dissimili, contrari, affini, buoni, e perfino malvagi possano essere amici; inoltre tale teoria offre le risorse concettuali per chiarire quali coppie di amici possano e/o debbano avere questo o quel carattere distintivo, e perché.  Spero di avere almeno approssimato il duplice obbiettivo prefissatomi: mostrare in modo dettagliato e sistematico la dipendenza polemico-dialettica della teoria aristotelica dal Liside platonico, e mettere in luce il significato filosofico generale della tripartizione della φιλία in Aristotele. Adkins, ‘Friendship’ and ‘Self-sufficiency’ in Homer and Aristotle, «Classical Quarterly», Annas, Plato and Aristotle on Friendship and Altruism, «Mind»: 532-554. 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Williams, R.R. (2010), Aristotle and Hegel on Recognition and Friendship, in Seymour, M. (ed.), The Plural States of Recognition, London: Palgrave Macmillan. Zucca, D. (2015), L’anima del vivente. Vita, cognizione e azione nella psicologia aristotelica, Milano-Brescia: Morcelliana.     Note al testo   [1] Cfr. Phys. I 1: la conoscenza procede da ciò che è più prossimo e più conoscibile per noi, a ciò che è primo per se o per natura; se tale “risalita” verso i principi a partire da ciò che ci è immediatamente più vicino è il metodo della fisica, a fortiori esso si applica all’ambito etico, che è ambito segnatamente umano: cfr. Et. Nic. I 2, 1095a31-b4, ma anche De An. II 2, 413a11-17 e Met. VII 3, 1029a35-b12. Sul valore epistemologico di questa differenza, resta decisivo Ruggiu (1965). [2] Per esempio: quando diciamo, tipicamente, qualcuno «amico» di qualcun altro? Sul rapporto costitutivo fra il primo-per-noi e il linguaggio, cfr. Wieland (1993). [3] Cfr. Top. I 1, 100 b 21-23; intendo questa definizione di ἔνδοξον come una disgiunzione inclusiva: se un’opinione è condivisa almeno da uno degli insiemi indicati (tutti, i più, i sapienti, qualcuno di essi), è un ἔνδοξον, e ciò che lo rende tale può essere quantitativo, o qualitativo, o entrambi: per esempio, se è condiviso da tutti, lo sarà anche dai sapienti. [4] Sulla intima connessione fra δοκοῦντα, λεγόμενα e φαινόμενα, cfr. Owen (1967), Nussbaum (1986b). [5] Cfr. De An. I 1, 402b 16-403a8. [6] Cfr. Herod. III 82, 35 e Tucid. I 137, 4, in cui si trova l’endiadi «συμμαχίᾳ καὶ φιλία». [7] Nei poemi omerici non vi è il termine φιλία – le prime occorrenze si trovano in Teognide (Teog. I, 31-38, 53-60, 323-28) – ma termini analoghi come φιλότης, φίλος sono utilizzati sia a proposito del rapporto fra uomini che di quello fra uomini e dèi. Sulla φιλία nel mondo antico, cfr. Pizzolato (1993), Fraisse (1974). [8] Nel Fedro platonico (228a-e), Socrate confuta un discorso di Lisia sulla φιλία, che Fedro custodiva sotto il mantello: quindi è verosimile che anche prima della data di composizione del Liside la φιλία fosse importante oggetto di dibattito e di riflessione critica. Del resto Giamblico (De Pythagorica Vita, 229-30) e Diogene Laerzio (Vitae Philosophorum, VIII, 10) attribuiscono già a Pitagora la prima trattazione filosofica della φιλία. [9] Anche il Fedro e il Simposio si occupano lungamente della φιλία – l’eros è una forma della φιλία, per Platone quella più significativa – ma, come cercherò di mostrare, l’indagine aristotelica dipende sistematicamente dal Liside: per così dire, essa articola una differente risposta a quelle aporie, rispetto a quella che propone Platone nel Simposio e nel Fedro. [10] Meglio: se qualcuno sia amico di qualcun altro in quanto ami o, piuttosto, in quanto sia amato. [11] φίλος + dativo significa “caro a qualcuno”, φίλος + genitivo indica colui a cui qualcuno è caro, due individui sono φίλοι, quando sono l’uno “caro” all’altro. [12] Alcuni interpreti leggono il Liside come un esercizio dialettico, filosoficamente debole [Versenyi (1975)] o più retorico-sofistico che filosofico [Bordt (1988)], o dal significato prolettico-introduttivo rispetto ai maturi Simposio e Fedro [Kahn (1996), ma già Gomperz (2013), Auslage 5, e Willamovitz (1959)]; benché questi due dialoghi successivi ne possano a buon diritto adombrare il valore intrinseco, tuttavia i temi sollevati dal Liside sono nodi aporetici sostanziali, e non deve fuorviare il fatto che Socrate mutui il linguaggio e lo stile argomentativo dal tipo di interlocutore che affronta (per esempio, “facendo” il sofista col sofista Menesseno, e così via). Per una interpretazione non riduttiva del Liside e del suo valore speculativo, è illuminante Trabattoni (2004). [13] Un altro topos tradizionale – per cui la vera amicizia è fra ἀγαθοί – ricorrente in Platone: per restare all’esempio più noto, in Resp. I, 351a-e Socrate replica a Trasimaco che fra malvagi e ingiusti non può esserci alcuna cooperazione né amicizia; era comunque un tema essenziale per Socrate (cfr. Senofonte, Mem., 2.6 1-7). [14] Sull’ascendenza omerica di questo topos tradizionale, e sulla sua importanza per Aristotele (cfr. infra: Par. III), cfr. Adkins (1963). [15] La coscienza del male come tale è sintomo del fatto che il male è relativo e non assoluto. [16] Qui nel Liside si tratta di ἐπιθυμία (cfr. 217c). [17] Tralascio qui la questione della possibile identificazione del Primo Amico col Bene: ciò che rileva, qui, è il fatto che esso trascenda gli amici concreti, i quali sono tali solo «a parole» e stanno al Primo amico – che è tale «in realtà» (τῷ ὄντι) – come i mezzi al fine (cfr. Lys. 220b1-4). [18] Lys 222e1-7. [19] La letteratura sull’amicizia in Aristotele è sterminata: in luogo di proporre una lunga lista di studi che comunque sarebbe tutt’altro che esaustiva, nel seguito mi limiterò a citare alcuni contributi che sono particolarmente pertinenti agli aspetti che tratterò. Un commento sintetico e preciso a Et. Nic. VIII e IX è Pakaluk (1998). [20] È il giudizio nettamente prevalente, anche se non unanime. [21] Sul rapporto fra il Liside e le Etiche aristoteliche riguardo l’amicizia, buoni spunti si trovano in Annas (1986). [22] Et. Eud. VII 1, 1234b18-1235a4; cfr. anche Et. Nic. VIII 1. [23] Et. Eud. VII 1, 1155a33-b7. [24] Trad. it. modificata. [25] Cfr. supra: nota 16. [26] Et. Eud. VII 2, 1235b22-23. [27] C’è chi crede che il piacere sia un bene, ma c’è anche chi crede che non lo sia eppure gli appare – porto dalla φαντασία – come se lo fosse. Nell’acratico la forza della φαντασία sopravanza, nelle scelte pratiche, quella della δόξα. [28] Il «bene apparente» è qualcosa che appare come bene; ma può anche non esserlo: tuttavia, anche il bene reale motiva il desiderio solo apparendo come bene. Dunque «apparente» qui non va affatto interpretato come falsa apparenza. [29] Et. Eud. VII 2, 1235b30-1236a1. [30] Il piacevole non è l’immediato, ma anche ciò che non procura dispiacere futuro; Aristotele sa bene che molte cose dannose possono procurare del piacere immediato. Ma chi non è acratico, conscio delle conseguenze negative, accorderà il suo desiderio con la sua ragione, e la motivazione data dall’ipotetico piacere immediato sarà soverchiata dalla motivazione a evitare danni futuri. [31] Questo punto è più chiaro per come è presentato in Et. Nic. VIII 2, 1155b23-27. [32]  Nelle espressioni δι’ ἀρετὴν, διὰ τὸ χρήσιμον, δι’ ἡδονήν, la preposizione significa a un tempo «in base a», «a causa di», «al fine di»: il rispettivo amabile è ciò che causa quell’amicizia, ciò che ne costituisce il fondamento o ragion d’essere, ciò che ne rappresenta il fine [su un’idea analoga, cfr. Nussbaum (1986a)]; nei termini della nota teoria delle quattro cause (dei quattro sensi del διὰ τί, cfr. Phys. II 3), potremmo plausibilmente intendere il tipo di amabile come causa efficiente, formale e finale della rispettiva relazione amicale. [33] Cfr. Et. Nic. VIII 2, 1155b26-31. Mentre la φίλησις è una passione o affezione (πάθος), la φιλία è uno stato abituale (ἕξις, 1557b28-29). [34] Cfr. Et. Eud. VII 2, 1237b17-23; Et. Nic. VIII 4, 1156b30-33. [35] Vi è discussione sul fatto che questa caratterizzazione definitoria offra condizioni sufficienti perché qualcosa sia amicizia, oppure solo condizioni necessarie; propenderei per la seconda opzione: per esempio, Aristotele ritiene che per diventare amici deve passare del tempo, e molti scambiano il desiderio di essere amici con l’amicizia stessa (Et. Eud. VII 2, 1237b12-22); ma se il desiderio è reciproco, sussiste già benevolenza reciproca non celata, che non è ancora amicizia. [36] Sul focal meaning cfr. Owen (1963), Ferejohn (1980). L’exemplum princeps è quello della Metafisica: la sostanza è il focal meaning dell’essere, tutto ciò che è o è sostanza o rimanda a una sostanza, al modo in cui tutto ciò che è «sano» rimanda alla salute e tutto ciò che è «medico» alla medicina (cfr. Met. IV 2, 1003a32-1003b11). [37] Cfr. Fortenbaugh (1975). [38] Può esserlo in modo mediato, come foriero di un altro utile, al modo in cui qualcosa è mezzo di un altro mezzo, ma in ultima istanza l’utile è tale perché porta al bene e i mezzi sono tali perché portano al fine. [39] Per esempio, in De An. III 7, 431a10-13 il piacere è definito come l’essere percettivamente attivi nei confronti del bene in quanto bene; l’utilità è indefinibile se non come capacità di avvicinarci a un qualche bene; l’utile sta al bene come il mezzo al fine, e non vi è modo di definire cosa sia un mezzo, senza chiamare in causa la nozione di fine. [40] Et. Eud. VII 2, 1236a25-26. [41] Et. Eud. VII 2, 1236b1-2; Et. Nic. VIII 4, 1156b7-8. [42] Cfr. Esiodo, Opera et dies, 342-360; 707-723. [43] Chiamare amicizia solo quella prima, equivarrebbe a «violentare i fenomeni» (βιάζεσθαι τὰ φαινόμενα, Et. Eud. VII 2, 1236b 22). [44] Et. Nic. VIII 4, 1156b7. [45] La prima amicizia, infatti è quella «secondo virtù e a causa del piacere della virtù» (EE VII 1238a31-32). [46] Secondo Aspasio (164.3-11), Owen (1960) e Dirlmeier (1967) vi sarebbe comunque focal meaning e relazione πρὸς ἓν, ancorché non esplicitata. [47] Et. Nic. VIII 5, 1157a32. [48] Se poi l’individuo è acratico, potrebbe anche non credere che qualcosa sia il suo bene, ma perseguirlo perché gli “appare” bene e frequentare individui utili a qualcosa che egli cerca di procurarsi pur sapendo che non è il suo bene: come uno che frequentasse un pusher in modo costante per procurarsi della droga, sapendo di farsi del male ma perseverando nel suo comportamento autodistruttivo (e nelle frequentazioni relative) per debolezza. [49] Sulla rilevanza della distinzione fra «bene per qualcuno» e «bene incondizionato» in rapporto alla teoria delle tre amicizie, insiste doverosamente O’Connor (1990). [50] Et. Nic. IX 10,1170b20-29. [51] Così, nella Nicomachea (Et. Nic. VIII 2, 1156a17), non nella Eudemia. [52] Cfr. supra: Par. II, 3. [53] EN VIII 3, 1156 a 16-17. [54] EN VIII 3, 1156a18-19 [55] Cooper (1977) sostiene che le amicizie accidentali siano tali perché dipendano da tratti accidentali del carattere dell’amico amato; Payne (2000) replica che anche i tratti in virtù di cui qualcuno risulta piacevole o utile possono essere altrettanto essenziali di quelli che lo rendono virtuoso: gli amici perfetti sarebbero scelti «per sé stessi» in quanto i loro caratteri virtuosi sono scelti come fine e non come mezzo (per altro). Ma le letture sono forse componibili: l’esser utile o piacevole, anche se sopravviene a tratti essenziali del carattere altrui, restano esterni all’altro, in quanto relazionali in un senso diverso dalla virtù; l’esser buono è sia essenziale e intrinseco all’amico, che scelto per sé stesso e non per altro, e rende anche l’amico stesso, che ha quel carattere virtuoso, scelto per sé stesso e non per altro. Cfr. supra: nota 31. [56] In Et. Eud. VII 7, 1241a5-7 si afferma che «se uno vuole per un altro i beni perché costui gli è utile, li vorrebbe allora non per quello ma per sé stesso; mentre invece la benevolenza, proprio come l’amicizia, si ritiene che sia rivolta non a quello che la prova, ma a colui per il quale la si prova. Pertanto, è chiaro che la benevolenza è in relazione con l’amicizia etica». Qui pare che solo l’amicizia etica (=virtuosa) implichi la benevolenza, che però è un costituente della definizione generale di amicizia. Da passi di questo tenore pare che le amicizie incomplete non siano amicizie in senso proprio, visto che non soddisfano la definizione; Aristotele è oscillante, è innegabile che vi sia una tensione irrisolta fra la sua vocazione inclusiva e lo sforzo di enucleazione della “vera” amicizia come tipologia normante e assiologicamente sovraordinata, che non è semplicemente una delle tre amicizie ma quella par excellence, di cui le altre sono approssimazioni manchevoli. Si può accogliere la lettura di Walker (1979), per cui l’amicizia perfetta soddisfa criteri più severi, le altre criteri più laschi. [57] Si pensi alla percezione per accidente (De An. II 6, III 1): essa è comunque studiata come una modalità genuina di percezione: le ragioni per cui essa è percezione per accidente non inficiano il fatto di essere genuinamente un tipo di percezione. [58] I due amici perfetti, in quanto buoni e virtuosi, realizzano l’eccellenza della natura umana, sono esempi del bene incondizionato e del piacere incondizionato. [59] Et. Nic. VIII 3, 1156a31-1156b1. [60] Et. Eud. VII 2, 1238a11-30; Et. Nic. VIII 3, 1156b17-32. [61] Può succedere che l’altro cambi, peggiori, o impazzisca, ma non accade per lo più. Cfr. Et. Nic. IX 3. [62] Et. Nic. VIII 4, 1156b10. [63] Et. Eud. VII 2, 1236b31. [64] La sventura, poi, può rivelare che un’amicizia che pareva perfetta era in realtà in vista dell’utile (Et. Eud. VII 2, 1238a19-21). [65] Lys. 211e-212a. [66] Et. Eud. VII 2, 1237b13-27. [67] Et. Nic. VIII 3, 1156a24-31. [68] Et. Nic. VIII 7, 1158a21. [69] Et. Eud. VII 4; Et. Nic. VIII 8. [70] Et. Eud. VII 9-11, Et. Nic. VIII 12-14. [71] Et. Eud. VII 12, 1244b4-5. [72] Cfr. Pol. I 1, 1253a10-12; Et. Nic. IX 12, 1169b18-19. [73] Et. Eud. VII 12, 1245b15-16. [74] Et. Nic. 1245b18. [75] Et. Eud. VII 12, 1245b18-19. [76] Si tratta di una complessità anche filologica, dovuta a corruzioni del testo. Su ciò, cfr. Kosman (2004). [77] Delle tre anime – nutritivo-riproduttiva, percettiva, razionale – la percettiva e la razionale sono quelle che discriminano la realtà (cfr. De An. III 3, 427a17-23); la percettiva, poi, è intimamente connessa col desiderio e, quindi, con l’azione (cfr. De An. III 9-11). Vivere significa realizzare le proprie capacità naturali e acquisite, il che per l’uomo implica anzitutto l’esercizio di percezione e pensiero (ove entrambe vanno concepite come connesse all’azione, in quanto coinvolgono anche desiderio e intelletto pratico). Su ciò, mi permetto di rimandare a Zucca (2015), Capp. II e VI. [78] La felicità è «una certa attività dell’anima secondo virtù completa» (Et. Nic. II 13, 1102a5-6). [79] Et. Eud. VII 12, 1245a30; Et. Nic. IX 9, 1166 a 32, 1170 b 6. [80] Et. Eud. VII 12, 1245a35-7. [81] Trad. it. modificata. [82] In Et. Eud. VII 6 e in Et. Nic. IX 4 si argomenta che i tipi di relazione che si hanno con gli altri dipendono dal rapporto che si ha con sé stessi: chi è buono e virtuoso sarà anche amico di sé stesso in modo armonico e costante – sebbene si possa parlare di amicizia solo κατὰ ἀναλογίαν (1240a13), nel caso dell’auto-rapporto – chi è malvagio sarà incostante e in conflitto con sé stesso, e in senso analogico sarà nemico di sé stesso. Questa idea non contraddice l’idea per cui la conoscenza di sé passa per la conoscenza dell’altro (Et. Nic. IX 9), ma anzi la completa: il buono e virtuoso è felice anzitutto in quanto ha un “sano” rapporto con sé, ma si conosce e realizza come felice solo in quanto ha un rapporto di riconoscimento reciproco con amici che hanno, a loro volta, un altrettanto “sano” rapporto con sé stessi. [83] L’idea di un accesso introspettivo infallibile ed essenzialmente privato ai nostri propri atti mentali, così tipicamente moderna, è affatto estranea ad Aristotele. [84] Come è naturale porre l’enfasi sul valore speculativo intrinseco della teoria, così è altrettanto opportuno ricordare che l’amicizia perfetta aristotelica resta prerogativa di un sottoinsieme dei maschi adulti liberi; tuttavia, questa tara storica affetta la teoria dell’amicizia, per così dire, mediatamente: in quanto restringe a quel sottoinsieme la capacità di realizzare l’eccellenza morale, precondizione della relazione d’amicizia perfetta. [85] Non uso la locuzione «sapere chi sono», anacronisticamente, come il coglimento di me stesso in quanto individualità irriducibile, magari ineffabile e inaccessibile ad altri – non è certo questa sorta di soggettività “novecentesca”, che secondo Aristotele giungerebbe alla coscienza di sé nell’amicizia – bensì come il venire a conoscenza di che tipo di persona sono. [86] Come bene intrinseco che trascende il livello del piacevole, è un amabile oggetto di volontà piuttosto che di appetito (Et. Eud. VII 2, 1235b22-23), e la volontà è desiderio razionale di beni scelti. [87] Un’analisi sistematica e comparativa delle nozioni di amicizia e amore in Platone e Aristotele, è Price (1989). Cfr. anche Kahn (1981). [88] Cfr. Phaedr. 265b-c. [89] La relazione erotica amante/amato, peraltro, è anche meno significativa e più instabile di altre relazioni fondate sul piacere – dunque, già di per sé instabili – in quanto in questo caso il piacere «non deriva dalla stessa fonte» (l’uno gode nell’esser corteggiato, l’altro nel contemplare l’altro, Et. Nic. VIII 5, 1157a2-10). [90] Lys. 222a3-7. Proverbi, impicatura proverbiale. A Errare humanum est.jpg Ab amico reconciliato cave. Guardati da un amico riconciliato.[1] Absit reverentia vero. Bando ai pudori di fronte alla verità. (Ovidio) Abusus non tollit usum. L'abuso non esclude l'uso.[2] Accidere ex una scintilla incendia passim. A volte da una sola scintilla scoppia un incendio.[3] Ad impossibilia nemo tenetur. Nessuno è obbligato a fare l'impossibile.[4] Adulator propriis commodis tantum suadet L'adulatore tiene di mira solo i suoi interessi.[5] (Giulio Cesare) Amantis ius iurandum poenam non habet. Il giuramento dell'innamorato non si può punire.[6] Amicus certus in re incerta cernitur. Il vero amico si rivela nelle situazioni difficili.[7] (Quinto Ennio) Amicus omnibus, amicus nemini. Amico di tutti, amico di nessuno.[8] Amicus Plato, sed magis amica veritas. Amo Platone, ma amo di più la verità.[9] (Aristotele) Amor arma ministrat. L'amore procura le armi [agli amanti perché possano essere grati alla persona amata].[10] (proverbio medievale) Amor caecus. L'amore è cieco.[11] Amor gignit amorem.[10] Amore genera amore. Amor tussisque non celatur. L'amore e la tosse non si possono nascondere.[12] Amoris vulnus sanat idem qui facit. La ferita d'amore la risana chi la fa.[12] Anceps fortuna belli. Le sorti della guerra sono incerte.[9] (Cicerone) Aquila non captat muscas. L'aquila non prende mosche.[13] Athenas noctuas mittere.[14] Mandare nottole ad Atene. Fare cosa inutile e superflua. Ars est celare artem.[15] La perfezione dell'arte sta nel celarla. Audi, vide, tace, si vis vivere in pace.[16] Ascolta, guarda e taci, se vuoi vivere in pace. B Barba virile decus, et sine barba pecus.[17] La barba è decoro dell'uomo e chi è senza barba è pecoro. Bene qui latuit, bene vixit. Ben visse chi seppe vivere nell'oscurità.[18] (Ovidio) Beati monoculi in terra caecorum. Beati i monòcoli nel paese dei ciechi. Bis dat qui cito dat. Dà due volte chi dà presto.[19] Bis peccat qui crimen negat.[20] È due volte colpevole chi nega la propria colpa. Bis pueris senes.[21] Il vecchio è due volte fanciullo. Bonis nocet qui malis parcet. Chi risparmia i malvagi danneggia i buoni.[22] Bonum nomen, bonum omen.[23] Buon nome, buon augurio. C Caecus non judicat de colore.[24] Il cieco non giudica i colori. Non si può giudicare ciò che si sottrae alle nostre attitudini. Caesar non supra grammaticos.[25] Cesare non (ha autorità) sopra i grammatici. Le persone più altolocate non possono avere autorità se non su quelle cose di cui s'intendono. Canis caninam non est.[26] Cane non mangia cane. Carpe diem. Cogli il giorno. (Quinto Orazio Flacco) Caseus est sanus, quem dat avara manus. Fa bene quel formaggio servito da una mano avara.[27] Causa patrocinio non bona peior erit. La causa cattiva diventa peggiore col volerla difendere.[28] (Ovidio) Causa perit iusta, si dextera non sit onusta.[29] La giusta causa soccombe se la destra non è piena [di denaro]. Cave a signatis. Guàrdati dai segnati.[28] Antico adagio in odio a coloro che sono affetti da qualche imperfezione fisica: guerci, zoppi, ecc. Cave tibi ab acquis silentibus. Guàrdati dalle acque chete.[28] Cavendo tutus.[30] Se sarai cauto, sarai sicuro. Cogito ergo sum. Penso dunque sono. (Cartesio) Commendatoria verba non obligant.[31] Le parole di raccomandazione non obbligano. Commune periculum concordiam paret.[32] Il comune pericolo prepari la concordia. Consuetudo est altera natura. L'abitudine è una seconda natura.[33] D De gustibus non est disputandum. Sui gusti non si discute.[34] Difficilis in otio quies. È difficile esser tranquilli nell'ozio.[35] Dulce bellum inexpertis, expertus metuit. La guerra è dolce per chi non ne ha esperienza, l'esperto la teme.[36] (proverbio medievale) Dum caput dolet, caetera membra languent. Quando duole il capo, tutte le membra languono.[37] Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Mentre a Roma si delibera, Sagunto è espugnata.[38] Dum vinum intrat exit sapientia.[39] Mentre il vino entra, esce la sapienza. Duo cum faciunt idem, non est idem.[35] Quando due fanno la stessa cosa, non è più la stessa cosa. E Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.[40] L'errare è cosa umana, il perseverare nella colpa invece è diabolico. Error hesternus sit tibi doctor hodiernus.[41] L'errore di ieri ti sia maestro oggi. Est in canitie ridicula Venus. È ridicolo l'amore di un vecchio.[42] (Proverbio medievale) Est modus in rebus, sunt certi denique fines | quos ultra citraque nequit consistere rectum. C'è una giusta misura nelle cose, ci sono giusti confini | al di qua e al di là dei quali non può sussistere la cosa giusta. (Quinto Orazio Flacco) Ex ungue leonem.[43] Dall'unghia si conosce il leone. Da un atto compiuto si rivela la forza dell'autore, morale o materiale. Excusatio non petita fit accusatio manifesta (proverbio medievale)[44] Chi si scusa senza esserne richiesto s'accusa. F Fabas indulcat fames.[45] La fame addolcisce le fave. Facile est inventis addere.[46] È facile aggiungere a ciò che è stato inventato. Facile perit amicitia coacta.[47] Facilmente muore un'amicizia forzata. Facit experientia cautos.[48] L'esperienza rende cauti. Fac sapias et liber eris.[49] Fa' di sapere e sarai libero. Felicium omnes sunt cognati. Tutti sono parenti dei fortunati.[8] Fiat iustitia et pereat mundus. Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo. Frangitur ira gravis cum sit responsio suavis.[50] Una dolce risposta infrange l'ira. Frustra sapiens qui sibi non sapet.[51] Inutilmente sa chi non sa per sé. G Gutta cavat lapidem. La goccia scava la pietra. H Homo longus raro sapiens; sed si sapiens, sapientissimus. Un uomo lungo (ossia alto) di rado è sapiente; ma se è sapiente, è sapientissimo.[52] Homo sine pecunia, imago mortis. L'uomo senza danaro è l'immagine della morte.[53] I Ianuensis ergo mercator. Genovese quindi mercante.[54] Imperare sibi maximum imperium est. Comandare a sé stessi è la forma più grande di comando. (Seneca, Lettere a Lucilio, CXIII.30) In magno mari capiuntur flumine pisces.[55] Nei grandi fiumi si pescano i grandi pesci. Nei grandi affari si fanno i grossi guadagni. In medio stat virtus. La virtù sta nel mezzo. (Orazio) In vino veritas. Nel vino c'è la verità. L M Magnum vectigal parsimonia.[56] La parsimonia è un gran capitale. (Cicerone) Major e longiquo reverentia.[56] La riverenza è maggiore da lontano. (Tacito) Mala gallina, malum ovum.[57] Gallina cattiva, uovo cattivo. Mea mihi conscientia pluris est quam omnium sermo.[58] Per me val più la mia coscienza che il discorso di tutti. (Cicerone) Medicus curat, natura sanat. Il medico cura ma è la natura che guarisce.[59] Melius est abundare quam deficere. Meglio abbondare che trovarsi in scarsezza.[60] Mors tua vita mea.[56] La tua morte è la mia vita. Mortui non mordent. I morti non mordono[61] [truismo] Mortuo leoni et lepores insultant. Anche le lepri insultano un leone morto.[62] Multi multa, nemo omnia novit. Molti sanno molto, nessuno sa tutto.[63] N Natura non facit saltus. La natura non procede per salti.[64] Naturalia non sunt turpia.[65] Le cose naturali non sono turpi. Nemo non formosus filius matri. Nessun figlio non è bello per sua madre.[66] Ne pulsato portam alterius, nisi velis pulsetur et tua.[67] Non bussare alla porta altrui se non vuoi che bussino alla tua. Nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu. Nulla è nell'intelligenza che prima non fosse nel senso[68] Non omne quod licet honestum est.[69] Non tutto ciò che è lecito è onesto. Non omnibus dormio. Non dormo per tutti.[70] Nomen omen Il nome è un presagio (v. anche nomina sunt consequentia rerum e conveniunt rebus nomina saepe suis) (Plauto, Persa, 625) Nomina sunt consequentia rerum. I nomi sono corrispondenti alle cose. (Giustiniano, Institutiones, 2, 7, 3) O Omne animal post coitum triste. Tutti gli animali sono mesti dopo il coito.[71] Omne ignotum pro terribili.[72] Tutto ciò che è ignoto incute paura. Omnia munda mundis. Per chi è puro tutto è puro. (Paolo di Tarso) Omnia vincit amor. L'amore vince ogni cosa. (Virgilio, Bucoliche X, 69) Omnia fert aetas. Il tempo porta via tutte le cose. (Virgilio) Omnis festinatio ex parte diaboli est.[73] Ogni fretta viene dal diavolo. P Panem et circenses. Pane e giochi [per distrarre il popolo]. (Giovenale, X 81) Patere quam ipse fecisti legem.[74] Subisci la legge che tu stesso hai fatta. Pectus est enim quod disertos facit È infatti il cuore che rende eloquenti (Quintiliano, 10,7,15) Pecunia non olet Il denaro non puzza (Vespasiano) Per aspera ad astra. Alle stelle [si giunge] attraverso aspri sentieri.[75] Periculum in mora. Vi è pericolo nel ritardo. (Tito Livio, Ab urbe condita; XXXVIII, 25) Philosophum non facit barbam.[76] La barba non fa il filosofo. Primum vivere deinde philosophari (Thomas Hobbes) Prima vivere, poi fare della filosofia. Q Quando Sol est in Leone, bibe vinum cum pistone. Quando il sole è in Leone [segno zodiacale], bevi il vino col pistone [a garganella].[77] Qui aquam Nili bibit rursus bibet.[78] Chi beve l'acqua del Nilo la berrà di nuovo. È destinato a ritornarvi. Qui asinum non potest, stratum caedit.[79] Chi non può bastonare l'asino bastona la bardatura. Qui gladio ferit gladio perit. Chi di spada ferisce di spada perisce.[80] Qui in pergula natus est, aedes non somniatur. Chi è nato in una capanna, i palazzi non li vede neanche in sogno. (Petronio, 74,14) Qui jacet in terra non habet unde cadat. Per chi giace in terra non c'è pericolo di cadere.[81] [truismo] Qui medice vivit, misere vivit. Chi vive sotto la guida del medico, vive miseramente.[81] Qui scribit, bis legit. Chi scrive, legge due volte.[82] Quisque faber fortunae suae. Ognuno è artefice del proprio destino. (Appio Claudio Cieco) Quod differtur non aufertur Ciò che si dilaziona non lo si perde[83] Quod non potest diabolus mulier evincit. Ciò che non può il diavolo, l'ottiene la donna.[84] (proverbio medievale) Quot homines tot sententiae. Tanti uomini, altrettante opinioni.[85] Quot servi tot hostes. Tanti servi, tanti nemici.[85] R Re opitulandum, non verbis.[86] L'aiuto va dato con i fatti, non con le parole. Rem tene, verba sequentur Possiedi l'argomento e le parole seguiranno. (Marco Porcio Catone) Res satis est nota, plus foetent stercora mota.[87] È cosa nota: lo sterco più è stuzzicato e più puzza. S Salus extra Ecclesiam non est[88] Al di fuori della Chiesa non v'è salvezza (Tascio Cecilio Cipriano, Lettera, 73, 21) Sapiens nihil affirmat quod non probet.[89] Il saggio nulla afferma che non possa provare. Satis quod sufficit.[90] Ciò che è sufficiente al bisogno, basta. Semel abas, semper abas.[91] Una volta abate, sempre abate. Proverbio medioevale, affermante che chi ha vestito una volta l'abito sacerdotale non può spogliarsi più delle idee e delle abitudini ecclesiastiche. Significa anche, per estensione, che si conservano sempre le idee una volta acquistate. Semel in anno licet insanire. Una volta all'anno è lecito fare follie. (Seneca) Senatores boni viri: senatus autem mala bestia.[92] I senatori sono brava gente; ma il senato è una cattiva bestia. Sero venientibus ossa.[93] Per chi viene troppo tardi restano le ossa. Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace prepara la guerra. (Vegezio) Sicut mater, ita et filia eius. Quale la madre, tale anche la figlia.[94] Simia simia est, etiamsi aurea gestet insignia.[95] La scimmia resta sempre scimmia, anche se indossa ornamenti d'oro. Sol lucet omnibus.[96] Il sole splende per tutti. Vi sono delle cose di cui tutti gli uomini possono godere. Sorex suo perit indicio.[97] Il topo perisce per essersi rivelato da sé. Sublata causa, tollitur effectum.[98] Soppressa la causa, scompare l'effetto. T Timeo Danaos et dona ferentes. Io temo comunque i Greci, anche se recano doni. (Publio Virgilio Marone) U Ubi maior, minor cessat. Dinanzi al più forte, il debole scompare.[8] Ubi opes, ibi amici. Dove sono le ricchezze, lì sono anche gli amici.[8] Ubi uber, ibi tuber.[99] Dove è la mammella, ivi è il tumore. Dove c'è abbondanza, ivi si forma il marciume, la corruzione. V Verba movent, exempla trahunt.[100] Le parole commuovono, ma gli esempi trascinano. Verba volant, scripta manent.[101] Le parole volano, gli scritti restano. Vigilantibus, non dormientibus, jura succurunt.[102] Le leggi forniscono aiuto ai vigilanti, non ai dormienti. Vinum lac senum.[103] Il vino è il latte dei vecchi. Vulgus vult decipi, ergo decipiatur. Il popolo (il mondo) vuole essere ingannato, e allora sia ingannato.[104] Note  Citato in Mastellaro, p. 21.  Citato in Tosi 2017, n. 1408.  Citato in Tosi 2017, n. 1010.  Citato in 2005, p. 6.  Citato in Mastellaro, p. 11.  Citato in Mastellaro, p. 25.  Citato in Mastellaro, p. 18.  Citato in Mastellaro, p. 20.  Citato e tradotto in 2005, p. 15.  Citato in De Mauri, p. 27.  Citato in Mastellaro, p. 24.  Citato in Mastellaro, p. 23.  Citato in Tosi 2017, n. 2265.  Citato, con spiegazione, in Umberto Bosco, Lessico universale italiano, vol. XV, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma, 1968, p. 59.  Citato e tradotto in 2005, § 169.  Citato e tradotto in 2005, § 188.  Citato e tradotto in 2005, § 215.  Citato con traduzione in 2005, p. 28.  Citato in 1921, p. 43, § 161.  Citato e tradotto in 2005, § 243.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 148.  Citato con traduzione in 2005, p. 30.  Citato e tradotto in 2005, § 256.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 154.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 155.  Citato e tradotto in 2005, § 280.  Citato in Andrea Perin e Francesca Tasso (a cura di), Il sapore dell'arte, Skira, Milano, 2010, p. 41.  Citato e tradotto in 2005, p. 37.  Citato e tradotto in 2005, § 305.  Citato e tradotto in 2005, § 312.  Citato e tradotto in 2005, § 343.  Citato e tradotto in 2005, § 344.  Citato in Mastellaro, p. 9.  Citato in 2005, p. 57.  Citato in Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza nella vita, traduzione di Oscar Chilesotti, Dumolard, Milano, 1885.  Citato in Marco Costa, Psicologia militare, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 645. ISBN 88-464-7966-1  Citato in 1876, p. 66.  Citato in 1921, p. 496.  (ES) Citato in Jesús Cantera Ortiz de Urbina, Refranero Latino, Ediciones Akal, Madrid, p. 68 § 773. ISBN 9788446012962  Citato e tradotto in 2005, § 645.  Citato e tradotto in 2005, § 650.  Citato in De Mauri, p. 29.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 366.  Citato in Giuseppe Fumagalli, L'ape latina, Milano, 1975, p. 82  Citato e tradotto in 2005, § 732.  Citato e tradotto in 2005, § 739.  Citato e tradotto in 2005, § 741.  Citato e tradotto in 2005, § 744.  Citato e tradotto in 2005, § 747.  Citato e tradotto in 2005, § 829.  Citato e tradotto in 2005, § 835.  Citato in 2005, p. 108.  Citato in 2005, p. 109, § 941.  Citato in Filippo Ruschi, Questioni di spazio: la terra, il mare, il diritto secondo Carl Schmitt, G. Giappichelli Editore, Citato e tradotto in 2005, § 1072.  Citato in 2005, p. 152.  Citato e tradotto in 2005, § 1313.  Citato con traduzione in Jean Louis Burnouf, Metodo per studiare la lingua latina adottato dall'Università di Francia, presso Ricordi e Jouhaud, Firenze 1850, p. 276.  Citato in 2005, p. 158.  Citato in 2005, p. 159.  Citato in AA. 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De Mauri, Angelo Paredi e Gabriele Nepi, p. 95.  Citato in Peter Olman, Zwei Mädchen suchen ihr Glück: Caleidoscopio berlinese, Edizioni Mediterranee, Roma, 1966, p. 265.  Citato e tradotto in 2005, § 1970.  Citato in 2005, p. 248.  (DE) Citato in Friedrich Otto Bittrich, Ägypten und Libyen, Safari-Verlag, Berlino, 1953, p. 7.  Citato e tradotto in 2005, § 2167.  Dal Vangelo:... tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada (Mt 26:52).  Citato in 2005, p. 256.  Citato in 2005, p. 258.  Citato in Tosi 2017, n. 1174.  Citato in De Mauri, p. 171.  Citato in 2005, p. 266.  Citato e tradotto in 2005, § 2342.  Citato e tradotto in 2005, § 2363.  Spesso la frase viene attribuita a Cipriano in una forma diversa: Extra Ecclesiam nulla salus.  Citato e tradotto in 2005, § 2415.  Citato e tradotto in 2005, § 2421.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1034.  Citato e tradotto in 2005, § 2457.  Citato e tradotto in 2005, § 2472.  Citato in 1921, p. 138, § 465.  Citato e tradotto in 2005, § 2528.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1079.  Citato e tradotto in 2005, § 2606.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1097.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1169.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1203.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1204.  Citato e tradotto in Lo Forte, § 1216.  Citato in Proverbi siciliani raccolti e confrontati con quelli degli altri dialetti d'Italia da Giuseppe Pitrè, Luigi Pedone Lauriel, Palermo, 1880, vol. IV, p. 140.  Traduzione in voce su Wikipedia. Bibliografia L. De Mauri, 5000 proverbi e motti latini, seconda edizione, Hoepli, Milano, 2006. ISBN 978-88-203-0992-0 Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921. Giuseppe Fumagalli, L'ape latina, Hoepli, Milano, 2005. ISBN 88-203-0033-8 Giacomo Lo Forte, Ad hoc, Sandron, 1921. Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012. ISBN 978-88-04-47133-2. Gustavo Benelli, Raccolta di proverbi, massime morali, aneddoti, ed altro, Carnesecchi, Firenze, 1876. Renzo Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, 2017. Voci correlate Modi di dire latini Lingua latina Palindromi latini Categorie: Lingua latinaProverbi per nazione. Proverbi Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi: Proverbi toscani. A A brigante brigante e mezzo.[fonte 1] A buon cavalier non manca lancia.[fonte 2] A buon cavallo non manca sella.[fonte 2] A buon cavallo non occorre dir trotta.[fonte 3] A buon intenditor poche parole.[1][fonte 2] A caldo autunno segue lungo inverno.[fonte 4] A cane scottato l'acqua fredda par calda.[fonte 5] A cane vecchio non dargli cuccia.[fonte 2] A carnevale ogni scherzo vale, ma che sia uno scherzo che sa di sale.[fonte 6] A caval che corre, non abbisognano speroni.[fonte 3] A caval donato non si guarda in bocca.[2][fonte 2] A cavalier novizio, cavallo senza vizio.[fonte 3] A cavallo d'altri non si dice zoppo.[fonte 3] A cavallo di fuoco, uomo di paglia, a uomo di paglia, cavallo di fuoco.[fonte 3] A cavallo giovane, cavalier vecchio.[fonte 3] A caval nuovo cavaliere vecchio.[fonte 2] A chi batte forte, si apron le porte.[fonte 7] A chi Dio vuole aiutare, niente gli può nuocere.[fonte 4] A chi fortuna zufola, ha un bel ballare.[fonte 4] A chi ha abbastanza, non manca nulla.[fonte 4] A chi mangia sempre polli vien voglia di polenta.[fonte 8] A chi non piace il vino, il Signore faccia mancar l'acqua.[fonte 8] A chi non può imparare l'abbicì, non si può dare in mano la Bibbia.[fonte 4] A chi non vuol credere, poco valgono mille testimoni.[fonte 8] A chi non vuol credere sono inutili tutte le prove.[fonte 8] A chi non vuol far fatiche, il terreno produce ortiche.[fonte 9] A chi prende moglie ci vogliono due cervelli.[fonte 4] A chi tanto e a chi niente.[fonte 2] A chi troppo e a chi niente.[fonte 10] A chi ti dà il cappone, dagli la coscia e l'alone.[fonte 8] A chi ti porge un dito non prendere la mano.[fonte 2] A chi vuole fare del male non manca l'occasione.[fonte 4] A ciascun giorno basta la sua pena.[3][fonte 2] A ciascuno sta bene il proprio abito.[fonte 4] A donna di gran bellezza, dalla poca larghezza.[fonte 4] A duro ceppo, dura accetta.[fonte 4] A goccia a goccia si scava la pietra.[4][fonte 11] A goccia a goccia s'incava la pietra.[fonte 2] A gran salita, gran discesa.[fonte 4] A granello a granello si riempie lo staio e si fa il monte.[fonte 4] A grassa cucina povertà vicina.[fonte 4] A lavar la testa all'asino si perde il ranno e il sapone.[fonte 12] A lume spento è pari ogni bellezza.[fonte 4] A mali estremi estremi rimedi.[fonte 1] A muro basso ognuno ci si appoggia.[fonte 1] A nemico che fugge ponti d'oro.[fonte 1] A ogni uccello suo nido è bello.[fonte 1] A padre avaro figliuol prodigo.[fonte 13] A pancia piena si ragiona meglio.[fonte 8] A pagare e a morire c'è sempre tempo.[fonte 14] A paragone del molto che ignoriamo, è meno di niente quanto noi sappiamo.[fonte 4] A pazzo relatore, savio ascoltatore.[fonte 8] A pensar male, s'indovina sempre.[fonte 15] A pensar male ci s'indovina.[fonte 2] A pentola che bolle, gatta non s'accosta.[fonte 8] A rubar poco si va in galera, a rubar tanto si fa carriera.[fonte 1] A san Lorenzo il dente la noce già sente.[fonte 2] A san Martino [11 novembre], apri la botte e assaggia il vino.[fonte 8] A San Martino ogni mosto è vino.[fonte 16] A san Mattia la neve va via.[fonte 4] A scherzar con la fiamma, ci si scotta.[fonte 17] A tal fortezza, tal trincea.[fonte 4] A torto si lagna del mare chi due volte ci vuole tornare.[fonte 4] A tutto c'è rimedio fuorché alla morte.[fonte 1] A usanza nuova non correre.[fonte 2] Abbattuto l'albero scompare l'ombra.[fonte 8] Accasa il figlio quando vuoi, e la figlia quando puoi.[fonte 18] Acquista buona fama e mettiti a dormire.[fonte 4] Ai bugiardi e agli spacconi non è creduto.[fonte 8] Ai voli troppo alti e repentini sogliono i precipizi esser vicini.[fonte 19] A voli troppo alti e repentini sogliono i precipizi esser vicini.[fonte 2] Abate cupido, per un'offerta ne perde cento.[fonte 4] Abate rigoroso rende i frati penitenti.[fonte 4] Abbi piuttosto il piccolo per amico, che il grande per nemico.[fonte 8] Abiti stranieri, costumi stranieri; costumi stranieri, gente straniera; la gente straniera sloggia gli antichi abitanti.[fonte 4] Abito troppo portato e donna troppo vista vengono presto a noia.[fonte 4] Abbondanza genera baldanza.[fonte 4] Accade in un'ora quel che non avviene in mill'anni.[fonte 2] Accade in un'ora quel che non avviene in cent'anni.[fonte 2] Accendere una candela ai Santi e una al diavolo.[fonte 4] Accendere una fiaccola per far lume al sole.[fonte 4] Acqua che corre non porta veleno.[fonte 4] Acqua cheta rompe i ponti.[fonte 16] Acqua di san Lorenzo [10 agosto] venuta per tempo; se alla Madonna viene va ancora bene; tardiva sempre buona quando arriva.[fonte 2] Acqua e chiacchiere non fanno frittelle.[fonte 20] Acqua lontana non spegne il fuoco.[fonte 21] Acqua passata, non macina più.[fonte 22] Ad albero vecchio ed a muro cadente, non manca mai edera.[fonte 4] Ad ogni primavera segue un autunno.[fonte 4] Ad ognuno la sua croce.[fonte 23] Ad ognuno pare bello il suo.[fonte 4] Ad un grasso mezzogiorno spesso tien dietro una cena magra.[fonte 4] Agosto ci matura il grano e il mosto[fonte 16]. Agosto: moglie mia non ti conosco.[5][6][fonte 1] Ai macelli van più bovi che vitelli.[fonte 2] Ai pazzi ed ai fanciulli, non si deve prometter nulla.[fonte 8] Ai pazzi si dà sempre ragione.[fonte 8] Aiutati che Dio t'aiuta.[fonte 24] Aiutati che il ciel t'aiuta.[fonte 25] Aiutati che io ti aiuto.[fonte 16] Al baciarsi presto tien dietro il coricarsi.[fonte 4] Al bisogno si conosce l'amico.[fonte 1] Al buio la villana è bella quanto la dama.[fonte 2] Al buio, le donne sono tutte uguali.[fonte 8] Al buio tutti i gatti sono bigi.[fonte 16] Al confessor, medico e avvocato, non tenere il ver celato.[fonte 26] Al confessore, al medico e all'avvocato non si tiene il ver celato.[fonte 2] Al contadin non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere.[fonte 1] Al cuore non si comanda.[fonte 1] Al cuor non si comanda.[fonte 27] Al cazzo non si comanda.[fonte 2] Al culo non si comanda.[fonte 28] Al destino non si comanda.[fonte 2] Al tempo non si comanda.[fonte 2] Al tempo e al culo non si comanda.[fonte 2] Al debole il forte sovente fa torto.[fonte 8] Al fratello piace più veder la sorella ricca, che farla tale.[fonte 8] Al levar le tende si conosce il guadagno.[fonte 4] Al gatto che lecca lo spiedo non affidar arrosto.[fonte 8] Al genio non si danno le ali, ma le si tagliano.[fonte 4] Al medico, al confessore e all'avvocato, bisogna dire ogni peccato.[fonte 8] Al povero manca il pane, al ricco l'appetito.[fonte 8] Al primo colpo non cade l'albero.[fonte 2] Al primo colpo non cade un albero.[fonte 2] Al suono si riconosce la pignata.[fonte 29] Al villano, se gli porgi il dito, si prende la mano.[fonte 30] All'A tien dietro il B nel nostro abbicì.[fonte 4] All'eco spetta l'ultima parola.[fonte 4] All'orsa paion belli i suoi orsacchiotti.[fonte 8] All'uccello ingordo crepa il gozzo.[fonte 2] All'ultimo si contano le pecore.[fonte 1] All'umiltà felicità, all'orgoglio calamità.[fonte 8] Alla fame è presto ridotto chi s'imbarca senza biscotto.[fonte 4] Alla fine anche le pernici allo spiedo vengono a noia.[fonte 8] Alla fine loda la vita e alla sera loda il giorno.[7][fonte 4] Alla fine loda la vita e alla sera il giorno.[fonte 2] Alla guerra si va pieno di denari e si torna pieni di vizi e di pidocchi.[fonte 4] Alle barbe dei pazzi, il barbiere impara a radere.[fonte 8] Alle volte si crede di trovare il sole d'agosto e si trova la luna di marzo.[fonte 8] Altri tempi, altri costumi.[fonte 2] Alzati presto al mattino se vuoi gabbare il tuo vicino.[fonte 8] Ambasciator non porta pena.[fonte 2] Amare e non essere amato è tempo perso.[fonte 4] Ambasciatore che tarda notizia buona che porta.[fonte 2] Amicizia che cessa, non fu mai vera.[fonte 4] Amico beneficato, nemico dichiarato.[fonte 4] Amico di buon tempo mutasi col vento.[fonte 4] Amico di ventura, molto briga e poco dura.[fonte 31] Ammogliarsi è un piacere che costa caro.[fonte 4] Amor che nasce di malattia, quando si guarisce passa via.[fonte 8] Amor di nostra vita ultimo inganno.[8][fonte 32] Amor, dispetto, rabbia e gelosia, sul cuore della donna han signoria.[fonte 8] Amor nuovo va e viene, amor vecchio si mantiene.[fonte 8] Amor regge il suo regno senza spada.[fonte 32] Amore con amor si paga.[fonte 2] Amore di parentato, amore interessato.[fonte 4] Amore di villeggiatura poco vale e poco dura.[fonte 2] Amore di fratello, amore di coltello.[fonte 8] Amore è il vero prezzo con che si compra amore.[fonte 33] Amore non si compra né si vende.[fonte 33] Amore onorato, né vergogna né peccato.[fonte 8] Amore scaccia amore.[fonte 4] Anche fra le spine nascono le rose.[fonte 34] Anche i fanciulli diventano uomini.[fonte 4] Anche il più verde diventa fieno.[fonte 4] Anche il sole ha le sue macchie.[fonte 4] Anche l'abate fu prima frate.[fonte 4] Anche l'ambizione è una fame.[fonte 4] Anche la legna storta dà il fuoco diritto.[fonte 4] Anche la regina Margherita mangia il pollo con le dita.[fonte 35] Anche le bestie le ha fatte il Signore.[fonte 8] Anche le colombe hanno il fiele.[fonte 4] Anche le pulci hanno la tosse.[fonte 2] Anche le uova della gallina nera sono bianche; ma staremo a vedere se anche i suoi pulcini sono bianchi.[fonte 4] Anche un giogo dorato pesa.[fonte 8] Andar presto a dormire e alzarsi presto chiude la porta a molte malattie.[fonte 8] Andar bestia, e tornar bestia, dice il moro.[fonte 36] Anno nevoso anno fruttuoso.[fonte 16] Anno nuovo vita nuova.[fonte 1] Approfitta degli errori degli altri, piuttosto che censurarli.[fonte 4] Aprile dolce dormire.[9][fonte 2] Aprile e maggio sono la chiave di tutto l'anno.[fonte 4] Aprile ogni goccia un barile.[10][fonte 2] Aprile piovoso, maggio ventoso, anno fruttuoso.[fonte 4] Ara nel mare e nella rena semina, chi crede alle parole della femmina.[fonte 8] Arcobaleno porta il sereno.[fonte 2] Aria rossa o piscia o soffia.[fonte 2] Asino che ha fame mangia d'ogni strame.[fonte 2] Assai bene balla a chi fortuna suona.[fonte 4] Assai digiuna chi mal mangia.[fonte 8] Assai domanda chi ben serve e tace.[fonte 37] Assai domanda chi si lamenta.[fonte 8] Assalto francese e ritirata spagnola.[fonte 2] Attacca l'asino dove vuole il padrone e, se si rompe il collo, suo danno.[fonte 1] Avuta la grazia, gabbato lo santo.[fonte 8] B Bacco, tabacco e Venere riducon l'uomo in cenere.[fonte 2] Ballaremo secondo che voi suonerete.[fonte 4] Bandiera rotta onor di capitano. Bandiera vecchia onor di capitano.[fonte 2] Basta un matto per casa.[fonte 8] Batti il ferro finché è caldo. Batti il ferro quando è caldo.[fonte 1] Bei gatti e grossi letamai mostrano il buon agricoltore.[fonte 38] Bella cosa presto è rapita.[fonte 4] Bella in vista, dentro è trista.[fonte 4] Bella ostessa, conti traditori.[fonte 2] Bella ostessa, brutti conti.[fonte 39] Bell'ostessa, conto caro.[fonte 40] Bella vigna poca uva.[fonte 2] Bellezza di corpo non è eredità.[fonte 4] Bellezza e follia vanno spesso in compagnia.[fonte 41] Bello in fasce brutto in piazza.[fonte 1] Ben sa la botte di qual vino è piena.[fonte 4] Ben si caccia il diavolo, ma Satana ritorna.[fonte 4] Bene per male è carità, male per bene è crudeltà.[fonte 8] Bene educato, non mentì mai.[fonte 4] Bene perduto è conosciuto.[fonte 4] Beni di fortuna passano come la luna.[fonte 2] Bevi il vino e lascia andar l'acqua al mulino.[fonte 8] Bisogna dire pane al pane e vino al vino.[fonte 2] Bisogna far buon viso a cattivo gioco.[fonte 1] Bisogna fare di necessità virtù.[fonte 2] Bisogna fare il pane con la farina che si ha.[fonte 4] Bisogna fare la festa quando cade, e prendere il tempo come viene.[fonte 4] Bisogna fare la festa quando è il santo.[fonte 4] Bisogna mangiare per vivere e non vivere per mangiare.[fonte 2] Bisogna prendere gli avvenimenti quando Dio li manda.[fonte 4] Bocca che tace nessuno l'aiuta.[fonte 2] Bocca che tace mal si può aiutare.[fonte 42] Bocca chiusa ed occhio aperto non fecero mai male a nessuno.[fonte 4] Botte buona fa buon vino.[fonte 2] Brutta cosa è il povero superbo e il ricco avaro.[fonte 8] Brutta di viso ha sotto il paradiso.[fonte 2] Brutto in fasce bello in piazza.[fonte 1] Buca il marmo fin d'acqua una goccia.[fonte 8] Bue sciolto lecca per tutto.[fonte 8] Bue fiacco stampa più forte il piede in terra.[fonte 4] Bue vecchio, solco diritto.[fonte 4] Buon fuoco e buon vino, scaldano il mio camino.[fonte 8] Buon sangue non mente.[fonte 2] Buon tempo e mal tempo non dura tutto il tempo.[fonte 1] Buon vino e bravura, poco dura.[fonte 8] Buon vino fa buon sangue.[fonte 1][fonte 8] Buon vino, favola lunga.[fonte 8] Buona fama presto è perduta.[fonte 4] Buona greppia, buona bestia.[fonte 8] Buona guardia giova a molte cose.[fonte 4] Buona la forza, migliore l'ingegno.[fonte 4] Buone parole e pere marce non rompono la testa a nessuno.[fonte 31] Burlando si dice il vero.[fonte 4] C Cader non può, chi ha la virtù per guida.[fonte 4] Cambiano i suonatori ma la musica è sempre quella.[fonte 1] Cambiare e migliorare sono due cose; molto si cambia nel mondo, ma poco si migliora.[fonte 4] Campa cavallo che l'erba cresce.[fonte 2] Campa, cavallo mio, che l'erba cresce.[fonte 1] Can che abbaia non morde.[fonte 1] Cane affamato non teme bastone.[11][fonte 2] Cane e gatta tre ne porta e tre ne allatta.[fonte 8] Cane non mangia cane.[fonte 43] Cane ringhioso e non forzoso, guai alla sua pelle![fonte 4] Capelli lunghi, cervello corto.[fonte 4] Carta canta e villan dorme.[fonte 1] Casa fatta e vigna posta, non si sa quello che costa.[fonte 44] Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia.[fonte 45] Casa mia, casa mia, benché piccola tu sia, tu mi sembri una badia.[fonte 2] Casa mia, casa mia, pur piccina che tu sia mi sembri una badia.[fonte 9] Castiga il buono e si emenderà; castiga il cattivo e peggiorerà.[fonte 4] Cattivo cominciamento, fine peggiore.[fonte 8] Cavallo da vettura, poco costa e poco dura.[fonte 46] Cavallo vecchio, tardi muta ambiatura.[fonte 47] Cavolo riscaldato non fu mai buono.[fonte 2] Cavolo riscaldato, frate sfratato e serva ritornata non furon mai buoni.[fonte 2] Cento teste, cento cappelli.[fonte 48] Certe macchie ben si possono grattare ma non togliere.[fonte 4] Cessato il guadagno, cessata l'amicizia.[fonte 49] Chi a tutti facilmente crede, ingannato si vede.[fonte 4] Chi accarezza la mula rimedia calci.[fonte 2] Chi accarezza la mula buscherà calci.[fonte 2] Chi accetta l'eredità accetti anche i debiti.[fonte 4] Chi ad altri inganni tesse, poco bene per sé ordisce.[fonte 4] Chi alza il piede per ogni paglia, si può rompere facilmente una gamba.[fonte 8] Chi ama me, ama il mio cane.[fonte 50] Chi ara terra bagnata, per tre anni l'ha dissipata.[fonte 51] Chi asino nasce, asino muore.[fonte 4] Chi balla senza suono, come asino si ritrova.[fonte 52] Chi ben coltiva il moro, coltiva nel suo campo un gran tesoro.[fonte 47] Chi ben comincia è a metà dell'opera.[fonte 53] Chi ben comincia è alla metà dell'opera.[fonte 2] Chi ben comincia è alla metà dell'opra.[fonte 1] Chi bene semina, bene raccoglie.[fonte 4] Chi beve vin, campa cent'anni.[fonte 54] Chi beve birra campa cent'anni.[12][fonte 2] Chi biasima il suo prossimo che è morto, dica il vero, dica il falso, ha sempre torto.[fonte 4] Chi caccia volentieri trova presto la lepre.[fonte 4] Chi cade in povertà, perde ogni amico.[fonte 4] Chi cava e non mette, le possessioni si disfanno.[fonte 55] Chi cavalca o trotta alla china, o non è sua la bestia, o non la stima.[fonte 8] Chi cento ne fa una ne aspetta.[fonte 1] Chi cerca di sapere ciò che bolle nella pentola d'altri, ha leccate le sue.[fonte 8] Chi cerca lealtà e fedeltà nel mondo, non trova che ipocrisia.[fonte 4] Chi cerca, trova.[13][fonte 2] Chi cerca trova e chi domanda intende.[fonte 2] Chi coglie acerbo il senno, maturo ha sempre d'ignoranza il frutto.[fonte 8] Chi comincia in alto, finisce in basso.[fonte 8] Chi compra il superfluo, si prepara a vendere il necessario.[fonte 56] Chi compra sprezza e chi ha comprato apprezza.[fonte 2] Chi conserva per l'indomani, conserva per il cane.[fonte 8] Chi contro Dio getta la pietra, in capo gli torna.[fonte 8] Chi d'estate secca serpi, nell'inverno mangia anguille.[fonte 4] Chi d'estate vuole stare al fresco, ci starà anche d'inverno.[fonte 4] Chi da gallina nasce, convien che razzoli.[fonte 8] Chi da savio operare vuole, pensi al fine.[fonte 4] Chi dà ghiande non può riavere confetti.[fonte 4] Chi di gallina nasce convien che razzoli.[fonte 2] Chi dal lotto spera soccorso, mette il pelo come un orso.[fonte 8] Chi dà per ricevere, non dà nulla.[fonte 8] Chi del vino è amico, di se stesso è nemico.[fonte 8] Chi di spada ferisce di spada perisce.[14][fonte 1] Chi di speranza vive disperato muore.[fonte 1] Chi di una donna brutta s'innamora, lieto con essa invecchia e l'ama ancora.[fonte 8] Chi di coltel ferisce, di coltel perisce.[fonte 4] Chi di spirito e di talenti è pieno domina su quelli che ne hanno meno.[fonte 4] Chi dice A arrivi fino alla Z.[fonte 4] Chi dice A deve dire anche B.[fonte 4] Chi dice donna dice danno.[fonte 1] Chi dice donna dice guai, chi dice uomo peggio che mai.[fonte 8] Chi dice male, l'indovina quasi sempre.[fonte 4] Chi dice quel che vuole sente quel che non vorrebbe.[fonte 1] Chi disprezza compra.[fonte 1] Chi disprezza vuol comprare e chi loda vuol lasciare.[fonte 2] Chi domanda ciò che non dovrebbe, ode quel che non vorrebbe.[fonte 2] Chi domanda non erra.[fonte 2] Chi domanda non fa errore.[fonte 57] Chi dopo la polenta beve acqua, alza la gamba e la polenta scappa.[fonte 8] Chi dorme d'agosto dorme a suo costo.[fonte 2] Chi dorme non piglia pesci.[15][fonte 1] Chi è causa del suo mal pianga se stesso.[16][fonte 1] Chi è bugiardo è ladro.[fonte 4] Chi è destinato alla forca non annega.[fonte 58] Chi è generoso con la bocca, è avaro col sacco.[fonte 4] Chi è in difetto è in sospetto.[fonte 1] Chi è mandato dai farisei è ingannato dai farisei.[fonte 4] Chi è morso dalla serpe, teme la lucertola.[fonte 8] Chi non è savio, paziente e forte si lamenti di sé, non della sorte.[fonte 8] Chi è schiavo delle ambizioni ha mille padroni.[fonte 4] Chi è stato trovato una volta in frode, si presume vi sia sempre.[fonte 4] Chi è svelto a mangiare è svelto a lavorare.[fonte 1] Chi è tosato da un usuraio, non mette più pelo.[fonte 8] Chi è uso all'impiccare, non teme la forca.[fonte 4] Chi fa da sé fa per tre.[17][fonte 1] Chi fa come il prete dice, va in Paradiso: ma chi fa come il prete fa, a casa del diavolo se ne va.[18] Chi fa del bene agli ingrati, Dio lo considera per male.[fonte 4] Chi fa il male odia la luce.[fonte 4] Chi fa l'altrui mestiere, fa la zuppa nel paniere.[fonte 59] Chi fa la legge, deve conservarla.[fonte 4] Chi fa una legge, deve anche preoccuparsi che sia eseguita.[fonte 4] Chi fa le fave senza concime le raccoglie senza baccelli.[fonte 2] Chi fa falla e chi non fa sfarfalla.[fonte 1] Chi fa un'ingiustizia, la dimentica; chi la riceve, se ne ricorda.[fonte 4] Chi fosse indovino, sarebbe ricco.[fonte 4] Chi fugge il giudizio, si condanna.[fonte 4] Chi fugge un matto, ha fatto buona giornata.[fonte 8] Chi getta un seme lo deve coltivare, se vuol vederlo con il tempo germogliare.[fonte 60] Chi gioca al lotto, è un gran merlotto.[fonte 8] Chi gioca al lotto, in rovina va di botto.[fonte 8] Chi gioca al lotto, in rovina va di trotto.[fonte 8] Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato.[fonte 16]. Chi ha avuto il beneficio, se lo dimentica.[fonte 4] Chi ha da far con un incostante, tien l'anguilla per la coda.[fonte 4] Chi ha denti non ha pane e chi ha pane non ha denti.[fonte 1] Chi ha farina non ha la sacca.[fonte 1] Chi ha fatto ingiuria ad altri, da altri convien che la sopporti.[fonte 4] Chi ha il capo di cera, non vada al sole.[fonte 61] Chi ha imbarcato il diavolo, deve stare in sua compagnia.[fonte 4] Chi ha ingegno, lo mostri.[fonte 62] Chi ha per letto la terra, deve coprirsi col cielo.[fonte 8] Chi ha polvere spara.[fonte 1] Chi ha portato la tonaca puzza sempre di frate.[fonte 2] Chi ha prete, o parente in corte, fontana gli risorge.[fonte 63] Chi ha tempo, ha vita.[fonte 64] Chi ha tempo non aspetti tempo.[fonte 1] Chi ha terra, ha guerra.[fonte 56] Chi ha tutto il suo in un loco l'ha nel fuoco.[fonte 2] Chi ha un mestiere in mano, dappertutto trova pane.[fonte 4] Chi il vasto mare intrepido ha solcato, talvolta in piccol rio muore annegato.[fonte 65] Chi la dura la vince.[fonte 1] Chi la fa l'aspetti.[fonte 1] Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non sa quel che trova.[fonte 1] Chi lascia la via vecchia per la nuova peggio si trova.[fonte 16] Chi lavora con diligenza, prega due volte.[fonte 4] Chi lavora, Dio gli dona.[fonte 4] Chi mal semina mal raccoglie.[fonte 1] Chi male una volta si marita, ne risente tutta la vita.[fonte 4] Chi male vive, male muore.[fonte 2] Chi maltratta le bestie, non la fa mai bene.[fonte 8] Chi mangia sempre pan bianco, spesso desidera il nero.[fonte 8] Chi mangia sempre torta se ne sazia.[fonte 8] Chi mena per primo mena due volte.[fonte 1] Chi molto parla, spesso falla.[fonte 66] Chi mordere non può non mostri i denti.[fonte 40] Chi muore giace e chi vive si dà pace.[fonte 1] Chi nasce afflitto muore sconsolato.[fonte 1] Chi nasce è bello, chi si sposa è buono e chi muore è santo.[fonte 1] Chi nasce matto non guarisce mai.[fonte 8] Chi nasce tondo non può morir quadrato.[fonte 57] Chi non ama le bestie, non ama i cristiani.[fonte 8] Chi non apre la bocca, non le piove dentro.[fonte 4] Chi non beve in compagnia o è un ladro o è una spia.[fonte 1] Chi non caccia non prende.[fonte 4] Chi non comincia non finisce.[fonte 1] Chi non crede di esser matto, è matto davvero.[fonte 8] Chi non crede in Dio, non crede nel diavolo.[fonte 67] Chi non dà a Cristo, dà al fisco.[fonte 8] Chi non è con me è contro di me.[fonte 2] Chi non è volpe, dal lupo si guardi, perché ne sarà preda presto o tardi.[fonte 4] Chi non fu buon soldato, non sarà buon capitano.[fonte 68] Chi non ha fede, non ne può dare.[fonte 8] Chi non ha il gatto mantiene i topi e chi ce l'ha li mantiene tutti e due.[fonte 8] Chi non ha imparato a ubbidire, non saprà mai comandare.[fonte 8] Chi non ha testa abbia gambe.[fonte 57] Chi non lavora non mangia.[fonte 2] Chi non mangia ha già mangiato.[fonte 2] Chi non muore si rivede.[fonte 2] Chi non naufragò in mare, può naufragare in porto.[fonte 8] Chi non può bastonare il cavallo, bastona la sella.[fonte 4] Chi non risica, non rosica.[fonte 1] Chi non sa adulare non sa regnare.[fonte 4] Chi non sa fare non sa comandare.[fonte 68] Chi non sa leggere la sua scrittura è asino di natura.[fonte 69] Chi non sa niente non è buono a niente.[fonte 4] Chi non sa tacere non sa parlare.[fonte 2] Chi non sa ubbidire, non sa comandare.[fonte 68] Chi non segue il consiglio dei genitori, tardi se ne pente.[fonte 4] Chi non semina non raccoglie.[fonte 2] Chi non si innamora da giovane, si innamora da vecchio.[fonte 8] Chi non trovò ombra nell'estate, la troverà nell'inverno.[fonte 4] Chi non vuol essere consigliato, non può essere aiutato.[fonte 4] Chi parla due lingue è doppio uomo.[fonte 70] Chi pecca in segreto fa la penitenza pubblica.[fonte 8] Chi pecora si fa, il lupo se la mangia.[fonte 1] Chi per grazia prega, non ha mai bene.[fonte 4] Chi perde ha sempre torto.[fonte 1] Chi perdona senza dimenticare, non perdona che metà.[fonte 4] Chi pesca con l'amo d'oro, qualcosa piglia sempr e.[fonte 8] Chi piglia leone in assenza, teme la talpa in presenza.[fonte 8] Chi più ha più vuole.[fonte 1] Chi più ha più ne vorrebbe.[fonte 2] Chi più lavora, meno mangia.[fonte 4] Chi più ne fa è fatto papa.[fonte 4] Chi più ne ha più ne metta.[fonte 2] Chi più sa meno crede.[fonte 1] Chi più spende meno spende.[fonte 2] Chi poco sa presto parla.[fonte 2] Chi porta fiori, porta amore.[fonte 8] Chi predica al deserto, perde il sermone.[fonte 71] Chi prende l'anguilla per la coda, può dire di non tenere nulla.[fonte 4] Chi prima arriva meglio alloggia.[fonte 2] Chi prima nasce prima pasce.[fonte 1] Chi prima non pensa dopo sospira.[fonte 2] Chi rende male per bene, non vedrà mai partire da casa sua la sciagura.[fonte 8] Chi ricorda un beneficio, lo rinfaccia.[fonte 4] Chi ride il venerdì piange la domenica.[fonte 1] Chi rimane in umile stato, non ha da temer caduta.[fonte 8] Chi ringrazia non vuol obblighi.[fonte 8] Chi ringrazia per una spiga, riceve una manna.[fonte 8] Chi Roma non vede, nulla crede.[fonte 8] Chi ruba poco, ruba assai.[fonte 72] Chi rompe paga e i cocci sono suoi.[fonte 1] Chi ruba un regno è un ladro glorificato, e chi un fazzoletto, un ladro castigato.[fonte 4] Chi ruba una volta è sempre ladro.[fonte 4] Chi s'accapiglia si piglia.[19] Chi s'aiuta Iddio l'aiuta.[fonte 1] Chi sa fa e chi non sa insegna.[fonte 1] Chi sa fare fa e chi non sa fare insegna.[20] Chi sa il gioco non l'insegni.[fonte 1] Chi sa il trucco non l'insegni.[fonte 1] Chi sa senza Cristo non sa nulla.[fonte 8] Chi scopre il segreto perde la fede.[fonte 1] Chi semina buon grano avrà buon pane; chi semina lupino non avrà né pan né vino.[fonte 2] Chi semina con l'acqua raccoglie col paniere.[fonte 2] Chi semina raccoglie.[fonte 2] Chi semina vento raccoglie tempesta.[21][22][fonte 1] Chi serba serba al gatto.[fonte 1] Chi si contenta gode.[fonte 1] Chi si diletta di frodare gli altri, non si deve lamentare se gli altri lo ingannano.[fonte 4] Chi si fa i fatti suoi campa cent'anni.[fonte 57] Chi si fa un idolo del suo interesse, si fa un martire della sua integrità.[fonte 73] Chi si fida nel lotto, non mangia di cotto.[fonte 8] Chi si fida di greco, non ha il cervel seco.[fonte 74] Chi si guarda dal calcio della mosca, gli tocca quello del cavallo.[fonte 4] Chi si immagina di essere più di quello che è, si guardi nello specchio.[fonte 4] Chi si loda si sbroda.[fonte 4] Chi si prende d'amore, si lascia di rabbia.[fonte 8] Chi si scusa si accusa.[fonte 1] Chi si somiglia si piglia.[fonte 2] Chi si sposa in fretta, stenta adagio.[fonte 75] Chi si umilia sarà esaltato, chi si esalta sarà umiliato.[fonte 8] Chi si vanta da solo non vale un fagiolo.[fonte 2] Chi si vanta del delitto è due volte delinquente.[fonte 4] Chi siede in basso, siede bene.[fonte 8] Chi sta tra due selle si trova col culo in terra.[fonte 2] Chi tace acconsente.[fonte 1][23] Chi tace davanti alla forza, perde il suo diritto.[fonte 4] Chi tanto e chi niente.[fonte 1] Chi troppo e chi niente.[fonte 1] Chi tardi arriva male alloggia.[fonte 1] Chi ti dà un osso non ti vorrebbe morto.[fonte 4] Chi ti vuol male, ti liscia il pelo.[fonte 8] Chi tiene il letame nel suo letamaio, fa triste il suo pagliaio.[fonte 8] Chi tiene la scala non è meno reo del ladro.[fonte 76] Chi troppo comincia, poco finisce.[fonte 77] Chi troppo vuole nulla stringe.[24][fonte 1] Chi trova un amico trova un tesoro.[fonte 1] Chi uccide i gatti fa male i suoi fatti.[fonte 38] Chi va a caccia non deve lasciare a casa il fucile.[fonte 4] Chi va a Roma perde la poltrona.[fonte 2] Chi va all'acqua d'agosto, non beve o non vuol bere il mosto.[fonte 8] Chi va all'osto, perde il posto.[fonte 78] Chi va al mulino s'infarina.[fonte 1] Chi va con lo zoppo, impara a zoppicare.[fonte 79] Chi va piano va sano e va lontano. Chi va forte va alla morte.[25][fonte 80] Chi ha più fretta, più tardi finisce.[fonte 4] Chi fa in fretta fa due volte.[fonte 4] Chi pesca e ha fretta, spesse volte prende dei granchi.[fonte 4] Chi va via perde il posto all'osteria.[fonte 81] Chi vanta se stesso e abbassa gli altri, gli altri abbasseranno lui.[fonte 4] Chi vende a credenza spaccia assai: perde gli amici e i quattrin non ha mai.[26][fonte 2] Chi dà a credito spaccia assai perde gli amici e danar non ha mai.[fonte 2] Chi va alla festa e non è invitato, ben gli sta se ne è scacciato.[fonte 4] Chi vien di raro, gli si fa festa.[fonte 8] Chi vince ha sempre ragione.[fonte 82] Chi vive in libertà non tenti il fato.[fonte 4] Chi vive sei giorni nell'oasi, il settimo anela il deserto.[fonte 8] Chi vivrà vedrà.[fonte 2] Chi vuol d'avena un granaio la semini di febbraio.[fonte 2] Chi vuol dell'acqua chiara vada alla fonte.[fonte 4] Chi vuol udir novelle, dal barbier si dicon belle.[fonte 8] Chi vuol esser libero, non metta il collo sotto il giogo.[fonte 8] Chi vuol essere pagato, non dev'essere ringraziato.[fonte 8] Chi vuol guarire deve soffrire.[fonte 4] Chi vuol impetrare, la vergogna ha da levare.[fonte 83] Chi vuol lavoro degno assai ferro e poco legno.[fonte 2] Chi vuol pane, meni letame.[fonte 84] Chi vuol presto impoverire, chieda prestito all'usuraio.[fonte 8] Chi vuol provar le pene dell'inferno, la stia in Puglia e all'Aquila d'inverno.[fonte 8] Chi vuol saper cos'è l'inferno faccia il cuoco d'estate e il carrettiere d'inverno.[fonte 8] Chi vuol un bel pagliaio lo pianti di febbraio.[fonte 8] Chi vuol vedere Pisa vada a Genova.[fonte 85] Chi vuole arricchire in un anno, è impiccato in sei mesi.[fonte 4] Chi vuole assai, non domandi poco.[fonte 86] Chi vuole essere amato, divenga amabile.[fonte 9] Chi vuole essere sicuro della sua farina, deve portare egli stesso il sacco al mulino.[fonte 4] Chi vuole i santi se li preghi.[fonte 1] Chi vuole la figlia accarezzi la madre.[fonte 4] Chi vuole vada e chi non vuole mandi.[fonte 1] Chiara notte di capodanno, dà slancio a un buon anno.[fonte 8] Chiodo scaccia chiodo.[fonte 2] Chiodo schiaccia chiodo.[fonte 9] Chitarra e schioppo fanno andare la casa a galoppo.[fonte 8] Ci vuole altro che un'accozzaglia di gente per fare un esercito.[fonte 4] Ci vuole ingegno per governare i pazzi.[fonte 4] Ciascuno è artefice della sua fortuna.[fonte 2][27] Ciascuno è artefice della propria fortuna.[fonte 2] Ciascuno porta il suo ingegno al mercato.[fonte 4] Cielo a pecorelle acqua a catinelle.[fonte 1] Ciò che è male per uno, è bene per un altro.[fonte 4] Ciò che lo stolto fa in fine, il savio fa in principio.[fonte 87] Ciò che non si può cambiare bisogna saperlo sopportare.[fonte 4] Col fuoco non si scherza.[fonte 1] Col latino, con un ronzino e con un fiorino si gira il mondo.[fonte 4] Col nulla non si fa nulla.[fonte 1] Col pane tutti i guai sono dolci.[fonte 1] Col tempo e con la paglia maturano le nespole.[28][fonte 2] Col tempo e con la paglia maturano le sorbe e la canaglia.[fonte 2] Colla sola lealtà, non si pagano i merletti della cuffia.[fonte 4] Come farai, così avrai.[fonte 4] Come i piedi portano il corpo, così la benevolenza porta l'anima.[fonte 4] Comincia, che Dio provvede al resto.[fonte 4] Compar di Puglia, l'un tiene e l'altro spoglia.[fonte 8] Comun servizio ingratitudine rende.[fonte 8] Con arte e con ingegno, si acquista mezzo regno; e con ingegno ed arte, si acquista l'altra parte.[fonte 4] Con gli anni crescono gli affanni.[fonte 8] Con i matti non ci son patti.[fonte 8] Con l'inchiostro, una mano può innalzare un furfante ed abbassare un galantuomo.[fonte 8] Con la pazienza la foglia di gelso diventa seta.[fonte 88] Con la pietra si prova l'oro, con l'oro la donna e con la donna l'uomo.[fonte 8] Con la più alta libertà, abita la più bassa servitù.[fonte 4] Con le buone maniere si ottiene tutto.[fonte 89] Con un bicchier di vino si fa un amico.[fonte 8] Con un occhio si frigge il pesce e con l'altro si guarda il gatto.[fonte 8] Conchiuder lega è facile, difficile il mantenerla.[fonte 4] Confidenza toglie riverenza.[fonte 4] Conserva le monete bianche per le giornate nere.[fonte 8] Contadini, scarpe grosse e cervelli fini.[fonte 1] Contano più i fatti che le parole.[fonte 90] Contro due donne neanche il diavolo può metterci il becco.[fonte 8] Contro due non la potrebbe Orlando.[fonte 91] Contro la forza la ragion non vale.[fonte 1] Contro la nebbia forza no vale.[fonte 4] Coricarsi presto, alzarsi presto, danno salute, ricchezza e sapienza.[fonte 8] Corpo satollo anima consolata.[fonte 1] Corpo sazio non crede a digiuno.[fonte 1] Cortesia schietta, domanda non aspetta.[fonte 92] Corre un pezzo la lepre, un pezzo il cane; così s'alternano le vicende umane.[fonte 8] Cosa fatta capo ha.[29][fonte 2] Cosa di rado veduta, più cara è tenuta.[fonte 8] Cosa rara, cosa cara.[fonte 8] Cucina grassa, magra eredità.[fonte 4] Cuor contento gran talento.[fonte 93] Cuor contento il ciel l'aiuta.[fonte 94] Cuor contento il ciel lo guarda.[fonte 2] Cuor contento non sente stento.[fonte 2] D D'aprile ogni goccia val mille lire.[fonte 2] D'aquila non nasce colomba.[fonte 4] Da colpa nasce colpa.[fonte 4] Da cosa nasce cosa.[fonte 95] Da falsa lingua, cattiva arringa.[fonte 8] Da Lodi, tutti passan volentieri.[fonte 8] Da un disordine nasce un ordine.[fonte 8] Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io.[fonte 2] Dàgli, dàgli, le cipolle diventano agli.[fonte 96] Riferito alle insidie che l'amore riserva alle virtù delle fanciulle. Dai giudici siciliani, vacci coi polli nelle mani.[fonte 8] Dall'asino non cercar lana.[fonte 4] Dall'opera si conosce il maestro.[fonte 4] Dall'immagine si conosce il pittore.[fonte 4] Dalla mano si riconosce l'artista.[fonte 4] Dal canto si conosce l'uccello.[fonte 4] Dal passato è facile predire il futuro.[fonte 4] Dalla casa si conosce il padrone.[fonte 4] Danaro e santità, metà della metà.[fonte 8] Denari e santità metà della metà.[fonte 97] Date a Cesare quel che è di Cesare.[30][fonte 2] Davanti al cameriere non vi è Eccellenza.[fonte 4] Davanti l'abisso e dietro i denti di un lupo.[fonte 4] Debole catena muover può gran peso.[fonte 8] Dei vizi è regina l'avarizia.[fonte 98] Del senno di poi son piene le fosse.[fonte 1] Delle calende non me ne curo purché a san Paolo non faccia scuro.[31][fonte 2] Detto senza fatto, ad ognuno pare un misfatto.[fonte 4] Di buone intenzioni è lastricato l'inferno.[fonte 99] Di chi è l'asino, lo pigli per la coda.[fonte 4] Di dolore non si muore, ma d'allegrezza sì.[fonte 8] Di maggio si dorme per assaggio.[32][fonte 2] Di malerba non si fa buon fieno.[fonte 4] Di notte si ritirano i galantuomini ed escono i birbanti.[fonte 8] Di quello che non ti interessa, non dire né bene né male.[fonte 4] Di tutte le arti maestro è l'amore.[fonte 8] Dice la serpe: non mi toccar che non ti tocco.[fonte 8] Dicembre favaio.[fonte 16] Dicono che è mercante anche chi perde, ma questo presto ridurrassi al verde.[fonte 100] Dieci ne pensa il topo e cento il gatto.[fonte 101] Dietro il monte c'è la china.[fonte 2] Dietro il riso viene il pianto.[fonte 8] Dimmi con chi vai, e ti dirò che fai.[fonte 73] Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei.[fonte 102] Dio aiuti il povero, perché il ricco può aiutar se stesso.[fonte 8] Dio dà la piaga e dà anche la medicina.[fonte 4] Dio guarisce e il medico è ringraziato.[fonte 4] Dio li fa e poi li accoppia.[fonte 1] Dio manda il freddo secondo i panni.[fonte 1] Dio mi guardi da chi studia un libro solo.[fonte 4] Dio misura il vento all'agnello tosato.[fonte 4] Dio vede e provvede.[fonte 2] Disse la volpe ai figli: "Quando a tordi, quando a grilli".[fonte 4] Dolore comunicato è subito scemato.[fonte 4] Domandando si va a Roma.[fonte 2] Domandare è lecito, rispondere è cortesia.[fonte 2] Donna al volante, pericolo costante.[fonte 103] Donna adorna, tardi esce e tardi torna.[fonte 8] Donna baffuta sempre piaciuta.[fonte 2] Donna barbuta, sempre piaciuta.[fonte 103] Donna barbuta coi sassi si saluta.[fonte 2] Donna bianca, poco gli manca.[fonte 8] Donna rossa coscia grossa.[fonte 8] Donna che canti dolcemente in scena, pei giovani inesperti è una sirena.[fonte 8] Donna che dona, di rado è buona.[fonte 8] Donna che piange, ovver che dolce canti, son due diversi, ambo possenti incanti.[fonte 8] Donna che sa il latino è rara cosa, ma guardati dal prenderla in isposa.[fonte 8] Donna e fuoco, toccali poco.[fonte 8] Donne e motori gioie e dolori.[fonte 104] Donna e vino ubriaca il grande e il piccolino.[fonte 8] Donna giovane e uomo anziano possono riempire la casa di figli.[fonte 8] Donna io conosco, ch'è una santa a messa e che in casa è un'orribil diavolessa.[fonte 8] Donna nana tutta tana.[fonte 2] Donna nobil per natura è un tesor cheonna savia e bella è preziosa ancsempre dura.[fonte 8] Donna pelosa, donna virtuosa.[fonte 2] Donna pregata nega, trascurata prega.[fonte 8] Donna prudente, gioia eccellente.[fonte 8] Dhe in gonnella.[fonte 8] Donna si lagna, donna si duole, donna s'ammala quando lo vuole.[fonte 8] Donne e sardine, son buone piccoline.[fonte 8] Donne, danno, fanno gli uomini e li disfanno.[fonte 8] Dopo desinare non camminare; dopo cena, con dolce lena.[fonte 4] Dopo e poi son parenti del mai.[fonte 2] Dopo il dolce vien l'amaro.[fonte 8] Dopo il fatto il consiglio non vale.[fonte 4] Dopo il fatto viene troppo tardi il pentimento.[fonte 4] Dopo il giorno vien la notte.[fonte 8] Dopo la grazia di Dio, la miglior cosa è la libertà.[fonte 8] Dopo la tempesta, il sole.[fonte 8] Dopo le fosche nuvole il sol splende più fulgido.[fonte 8] Dopo vendemmia, imbuto.[fonte 105] Non bisogna lasciarsi sfuggire le occasioni favorevoli, chi ha tempo non aspetti tempo. Dove c'è l'amore, la gamba trascina il piede.[fonte 8] Dove è castigo è disciplina, dove è pace è gioia.[fonte 4] Dove entra la fortuna, esce l'umiltà.[fonte 8] Dove l'accidia attecchisce ogni cosa deperisce.[fonte 4] Dove la fedeltà mette le radici, Dio fa crescere un albero.[fonte 4] Dove non c'è amore, non c'è umanità.[fonte 8] Dove non c'è fieno, i cavalli mangiano paglia.[fonte 8] Dove non c'è ordine, c'è disordine.[fonte 8] Dove non si crede né all'inferno né al paradiso, il diavolo intasca tutte le entrate.[fonte 8] Dove non vi è educazione, non vi è onore.[fonte 4] Dove non vi sono capelli, male si pettina.[fonte 4] Dove può il vino non può il silenzio.[fonte 8] Dove regna Bacco e Amore, Minerva non si lascia vedere.[fonte 4] Dove regna il vino, non regna il silenzio.[fonte 8] Dove son carogne son corvi.[fonte 8] Dove sono i pulcini, ivi è l'occhio della chioccia.[fonte 8] Dove vola il cuore, striscia la ragione.[fonte 8] Due cani che un solo osso hanno, difficilmente in pace stanno.[fonte 4] Due noci in un sacco e due donne in casa fanno un bel fracasso.[fonte 8] Due polente insieme non furon mai viste.[fonte 8] Dura più un carro rotto che uno nuovo.[fonte 4] Duro con duro non fa buon muro.[fonte 106] E È cattivo sparviero quel che non torna al richiamo.[fonte 8] È difficile far diventare bianco un moro.[fonte 4] È difficile guardarsi dai ladri di casa.[fonte 4] È difficile piegare un albero vecchio.[fonte 4] È difficile zoppicare bene davanti allo sciancato.[fonte 8] È facile lamentarsi quando c'è chi ascolta.[fonte 8] È impossibile come cavalcare un raggio di sole.[fonte 4] È impossibile volare senza ali.[fonte 4] È inutile piangere sul latte versato.[fonte 98] [truismo] È l'acqua che fa l'orto.[fonte 98] L'acqua fa l'orto.[fonte 98] È la donna che fa l'uomo.[fonte 57] È lieve astuzia ingannar gelosia, che tutto crede quando è in frenesia.[fonte 4] È meglio avere la cura di un sacco di pulci che una donna.[fonte 4] È meglio contentarsi che lamentarsi.[fonte 8] È meglio correggere i propri difetti, che riprendere quelli degli altri.[fonte 4] È meglio esser digiuno fuori, che satollo in prigione.[fonte 8] È meglio essere testa d'anguilla che coda di storione.[fonte 8] È meglio essere uccel di bosco, che uccel di gabbia.[fonte 8] È meglio essere umile a cavallo, che orgoglioso a piedi.[fonte 8] È meglio gelare nella nuda cameretta della verità, che crogiolarsi nella pelliccia della menzogna.[fonte 4] È meglio mangiarsi l'eredità, che conservarla per il convento.[fonte 4] È meglio meritar la lode che ottenerla.[fonte 4] È meglio sentir cantare l'usignolo, che rodere il topo.[fonte 8] È meglio testa di lucertola che coda di drago.[fonte 8] È meglio un esercito di cervi sotto il comando di un leone, che un esercito di leoni sotto il comando di un cervo.[fonte 4] È meglio un leone che mille mosche.[fonte 8] È più facile biasimare, che migliorare.[fonte 4] È più facile lagnarsi, che rimuovere gl'impedimenti.[fonte 8] È più facile prevenire una malattia che guarirla.[fonte 8] È più facile trovar dolce l'assenzio, che in mezzo a poche donne il silenzio.[fonte 8] È un bel predicare il digiuno a corpo pieno.[fonte 4] È una bella risposta quella che si attaglia ad ogni domanda.[fonte 8] Ebrei e rigattieri, spendono poco e gabbano volentieri.[fonte 4] Ecco il rimedio per l'ipocondria: mangiare e bere in buona compagnia.[fonte 8] Errare è umano, perseverare è diabolico.[fonte 107] Errare è umano, perseverare diabolico.[fonte 2] Sbagliare è umano, perseverare è diabolico.[fonte 108] Errore non è inganno.[fonte 4] Errore non paga debito.[fonte 4] Errore riconosciuto conduce alla verità.[fonte 4] Esser dotto poco vale, quando gli altri non lo sanno.[fonte 8] Èssere più torbo che non è l'acqua dei maccheroni.[fonte 8] F Fa quel che il prete dice, non quel che il prete fa.[fonte 1] Fa quello che fanno gli altri, e nessuno si farà beffe di te.[fonte 4] Faccia bella, anima bella.[fonte 4] Facile è criticare, difficile è l'arte.[33][fonte 109] Fare debiti non è vergogna, ma pagarli è questione d'onore.[fonte 4] Fare e disfare, è tutto un lavorare.[fonte 110] Fare l'amore fa bene all'amore.[fonte 111] Fate del bene al villano, dirà che gli fate del male.[fonte 8] Fatta la legge trovato l'inganno.[34][fonte 1] Fatti asino e tutti ti metteranno la soma.[fonte 4] Fatti di miele e ti mangieranno le mosche.[fonte 4] Fatti le ali e poi vola.[fonte 4] Febbraio, febbraietto mese corto e maledetto.[35][fonte 2] Felice non è, chi d'esserlo non sa.[fonte 64] Femmine e galline, se giran troppo si perdono.[fonte 8] Ferita d'amore non uccide.[fonte 8] Finché c'è vita c'è speranza.[fonte 1] Fino alla morte non si sa qual è la sorte.[fonte 8] Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.[fonte 1] Fidati dell'arte, ma non dell'artigiano.[fonte 4] Fino alla bara sempre s'impara.[fonte 112] Fortezza che parlamenta, è prossima ad arrendersi.[fonte 4] Fortuna cieca, i suoi acceca.[fonte 4] Fortuna instupidisce colui ch'ella favorisce.[fonte 4] Fortunato al gioco, sfortunato in amore.[fonte 4] Fra Modesto non fu mai priore.[fonte 8] Fra sepolto tesoro e occulta scienza, non vi conosco alcuna differenza.[fonte 8] Fra un usuraio e un assassino poco ci corre.[fonte 8] Frutto precoce facilmente si guasta. Fuggire l'acqua sotto la grondaia.[fonte 4] Funghi e poeti: per uno buono dieci cattivi.[fonte 8] G Gallina che non razzola ha già razzolato.[fonte 113] Gallina vecchia fa buon brodo.[fonte 114] Gallo senza cresta è un cappone, uomo senza barba è un minchione. Gatta inguantata non prese mai topo.[fonte 8] Gattini sventati, fanno gatti posati.[fonte 115] Gatto e donna in casa, cane e uomo fuori.[fonte 38] Gatto rinchiuso diventa leone.[fonte 8] Gatto scottato dall'acqua calda, ha paura della fredda.[fonte 4] Gelosia non mette ruga.  Gioco di mano gioco di villano.[fonte 1] Gioia e sciagura sempre non dura.[fonte 8] Giovani di buon cuore, indoli buone, crescono cattivi per poca educazione.[fonte 4] Giugno la falce in pugno.[36][fonte 2] Gli abiti e gli uomini presto invecchiano. Gli abiti e i costumi sono mutabili.[fonte 4] Gli abiti sono freddi, ma ricevono il calore da chi li porta.[fonte 4] Gli amori nuovi fanno dimenticare i vecchi.[fonte 4] Gli eredi dell'avaro sono onnipotenti, perché possono risuscitare i morti.[fonte 4] Gli eretici rubano la parola di Dio.[fonte 4] Gli errori degli altri sono i nostri migliori maestri.[fonte 4] Gli errori non si conoscono finché non siano commessi.[fonte 4] Gli errori si pagano.[fonte 8] Gli estremi si toccano.[fonte 4] Gli idoli separano papa e imperatore.[fonte 4] Gli occhi s'hanno a toccare con le gomita.[fonte 91] Gli stolti fanno le feste e gli accorti se le godono.[fonte 116] Gli uccelli dalle stesse piume devono stare nello stesso nido.[fonte 8] Gli uomini onesti non temono né la luce, né il buio.[fonte 8] Gobba a ponente luna crescente, gobba a levante luna calante.[fonte 2] Gola degli adulatori, sepolcro aperto.[fonte 117] Gotta inossota, mai fi sanata.[fonte 118] Gran giustizia, grande offesa.[fonte 4] Grande amore, gran dolore.[fonte 8] Greco in mare, Greco in tavola, Greco non aver a far seco.[fonte 74] Gru e donne fan volentieri il nido in alto.[fonte 8] Guardalo, figlia, guardalo tutto, l'uomo senza denari com'è brutto.[fonte 4] Guardare e non toccare è una cosa da imparare.[fonte 2] Guardati da chi accende il fuoco e grida poi contro le fiamme.[fonte 4] Guardati da cane rabbioso e da uomo sospettoso.[fonte 8] Guardati da chi giura in coscienza.[fonte 8] Guardati da chi non ha cura della sua reputazione.[fonte 8] Guardati da chi ride e guarda da un'altra parte.[fonte 8] Guardati da tre cose: da cavallo focoso, da uomo infido e da donna svergognata.[fonte 8] Guardati da tutte quelle cose che possono nuocere all'anima e al corpo.[fonte 8] Guardati dai fanciulli che ascoltano: anche i piccoli vasi hanno orecchie.[fonte 8] Guardati dai matti, dagli ubriachi, dagli ipocriti e dai minchioni.[fonte 8] Guardati dai tumulti, e non sarai né testimonio né parte.[fonte 8] Guardati dal diffamare, perché le prove sono difficili.[fonte 8] Guardati dal vecchio turco e dal giovane serbo.[fonte 119] Guardati dall'ipocrisia, perché è una cattiva malattia.[fonte 8] Guardati dalla primavera di gennaio.[fonte 8] Guardati in tua vita di non dare a niun smentita.[fonte 8] Guerra, peste e carestia, vanno sempre in compagnia.[fonte 120] H Ha cento volte un uomo flemma e giudizio, alla centuna corre al precipizio.[fonte 65] Ha bel mentir chi vien da lontano.[fonte 76] Ha la giustizia in mano bilancia e spada, perché il giusto s'innalza e l'empio cada.[fonte 4] Ha più il ricco in un angolo, che il povero in tutta la casa.[fonte 8] Ha un buon sapore l'odore del guadagno.[fonte 4] Ha un coraggio da leone, quello che non fa violenza ai deboli.[fonte 8] Ho veduto assai volte un piccol male non rispettato, divenir mortale.[fonte 65] I I baci sono come le ciliegie: uno tira l'altro.[fonte 2] I cani abbaiano come sono nutriti.[fonte 4] I capponi sono buoni in tutte le stagioni.[fonte 8] I cattivi esempi si imitano facilmente, meno i buoni.[fonte 4] I debiti sono gli eredi più prossimi.[fonte 4] I denari del lotto se ne van di galoppo.[fonte 8] I denari servono al povero di beneficio, ed all'avaro di gran supplizio.[fonte 4] I desideri non riempiono il sacco.[fonte 4] I docili non hanno bisogno della verga.[fonte 8] I doni dei nemici sono pericolosi.[fonte 4] I fanciulli diventano uomini e le ragazze spose.[fonte 4] I fanciulli e gli ubriachi cadono nelle mani di Dio.[fonte 4] I figli dei gatti mangiano i topi.[fonte 8] I figli sono la ricchezza dei poveri.[fonte 18] I figli sono pezzi di cuore.[fonte 2] I fiori tanto profumano per i poveri come per i ricchi.[fonte 8] I frati non s'inchinano all'abate, ma al mazzo delle sue chiavi.[fonte 4] I gamberi son buoni nei mesi della erre.[fonte 8] I gatti e i veri uomini cadono sempre in piedi.[fonte 121] I genii si incontrano.[fonte 4] I genitori amano i figli, più che i figli i genitori.[fonte 4] I genovesi risparmiano anche sui numeri: li usano due volte.[37][fonte 122] I giovani vogliono essere più accorti dei vecchi.[fonte 4] I giuramenti degli innamorati sono come quelli dei marinai.[fonte 4] I granchi son pieni quando la luna è tonda.[fonte 8] I guai della pentola li sa il mestolo che li rimescola.[fonte 8] I ladri grandi fanno impiccare i piccoli.[fonte 4] I loquaci e i vantatori son mal veduti da tutti.[fonte 8] I matti ed i fanciulli hanno un angelo dalla loro.[fonte 8] I matti fanno le feste ed i savi le godono.[fonte 4] I medici vogliono essere vecchi, i farmacisti ricchi ed i barbieri giovani.[fonte 4] "I miei datteri sono più dolci", dice il vischio che cresce sulla palma.[fonte 8] [wellerismo] I panni sporchi si lavano in casa.[fonte 123] I paperi vogliono portare a bere le oche.[fonte 4] I parenti sono come le scarpe: più sono stretti, più fanno male.[fonte 2] I pazzi crescono senza innaffiarli.[fonte 8] I pazzi e i fanciulli possono dire quello che vogliono.[fonte 8] I pazzi per lettera sono i maggiori pazzi.[fonte 124] I pazzi si conoscono dai gesti.[fonte 8] I peccati di gioventù si piangono in vecchiaia.[fonte 8] I poeti nascono, e gli oratori si formano.[fonte 8] I poveri cercano il mangiare per lo stomaco; e i ricchi lo stomaco per mangiare.[fonte 8] I poveri hanno la salute e i ricchi le medicine.[fonte 8] I pulci di vendemmia li tiene l'uomo e non le femmine.[fonte 125] I ricchi devono consolare i poveri.[fonte 8] I rimproveri del padre fanno più che le legnate della madre.[fonte 8] I soldi non fanno la felicità.[fonte 2] I veri amici sono come le mosche bianche.[fonte 4] Il bel tempo non viene mai a noia.[fonte 9] Il ben di un anno se ne va in una bestemmia.[fonte 4] Il ben fare non è mai tardo.[fonte 4] Il bisognino fa trottar la vecchia.[fonte 2] Il bue dice cornuto all'asino.[fonte 126] Il bue mangia il fieno perché si ricorda che è stato erba.[fonte 2] Il buon ordine è figlio del disordine.[fonte 8] Il buon nocchiero muta vela, ma non tramontana.[fonte 8] Il caffè deve essere caldo come l'inferno, nero come il diavolo, puro come un angelo e dolce come l'amore.[38][fonte 127] Il caldo delle lenzuola non fa bollire la pentola.[fonte 128] Il cane che ho nutrito è quel che mi morde.[fonte 8] Il cane è il miglior amico dell'uomo.[fonte 2] Il cane pauroso abbaia più forte.[fonte 4] Il cane rode l'osso perché non può inghiottirlo.[fonte 4] Il coccodrillo mangia l'uomo e poi lo piange.[fonte 8] Il colombo che rimane in colombaia è al sicuro dal falco.[fonte 8] Il colore più caro agli ebrei è il giallo.[fonte 4] Il coraggio copre l'eroe meglio che lo scudo il codardo.[fonte 8] Il corpo e l'anima ridono a chi si alza di buon mattino.[fonte 8] Il corvo piange la pecora e poi la mangia.[fonte 117] Il cuor cattivo rende ingratitudine per beneficio.[fonte 8] Il cuor magnanimo si piglia con poco amore, e il cuore dello stolto con poca adulazione.[fonte 8] Il cuore ha le sue ragioni e non intende ragione.[39][fonte 129] Il dare è onore, il chiedere è dolore.[fonte 8] Il delitto non si deve tollerare, ma anche meno si deve approvare.[fonte 4] Il denaro è il nervo della guerra.[fonte 4] Il denaro può molto, ma l'amore può tutto.[fonte 4] Il diavolo ben si lascia pigliare per la coda, ma non se la lascia strappare.[fonte 4] Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.[fonte 1] Il diavolo non è così brutto come lo si dipinge.[fonte 130] Il diavolo vuol farsi cappuccino.[fonte 2] Il diavolo vuol farsi santo.[fonte 2] Il domandare è senno, il rispondere è obbligo.[fonte 8] Il dono del cattivo è simile al suo padrone.[fonte 56] Il dubbio è padre del sapere.[fonte 4] Il fare insegna a fare.[fonte 4] Il fatto non si può disfare.[fonte 4] Il ferro di cavallo che risuona, ha bisogno di un chiodo.[fonte 8] Il ferro è duro, ma il fuoco lo rende morbido.[fonte 4] Il figlio al padre s'assomiglia, alla madre la figlia.[fonte 4] Il filo sottile facilmente si strappa.[fonte 4] Il fuoco che non mi scalda, non voglio che mi scotti.[fonte 4] Il fuoco che non mi brucia, non lo spengo.[fonte 4] Il gatto ama i pesci, ma non vuole bagnarsi le zampe.[fonte 131] Il gatto brontola sempre, anche quando gode.[fonte 8] Il gatto che si è bruciato, ha paura anche dell'acqua fredda.[fonte 121] Il gatto è una tigre domestica.[fonte 8] Il gatto lecca oggi, domani graffia.[fonte 132] Il gatto non è gatto se non è ladro.[fonte 133] Il gatto non ti accarezza, si accarezza vicino a te.[fonte 134] Il generoso non ha mai abbastanza denaro.[fonte 4] Il gentiluomo chiede solo il miele, ma la gentildonna vuol anche la cera.[fonte 8] Il gioco è bello quando dura poco.[fonte 2] Il gioco, il lotto, la donna e il fuoco non si contentan mai di poco.[fonte 8] Il giudizio è opera di Dio.[fonte 4] Il grano rado non fa vergogna all'aia.[fonte 135] Il Greco dice la verità solo una volta all'anno.[fonte 4] Il lamentarsi non riempie camera vuota.[fonte 8] Il lavorare senza pregare, è una botte senza vino, e oro senza splendore.[fonte 4] Il lavoro nobilita l'uomo.[fonte 136] Il letto si chiama rosa, se non si dorme si riposa.[fonte 137] Il lotto è la tassa degli imbecilli.[fonte 8] Il lotto è un inganno continuo.[fonte 8] Il lupo non caca agnelli.[fonte 2] Il lupo perde il pelo ma non il vizio.[40][fonte 1] Il lupo quando acciuffa una pecora, ne guarda già un'altra.[fonte 4] Il magnanimo è superiore all'ingiuria, all'ingiustizia, al dolore.[fonte 8] Il magnanimo non ricorre all'astuzia.[fonte 8] Il male che non ha riparo è bene tenerlo nascosto.[fonte 4] Il male peggiore dei mali è il timore.[fonte 8] Il male viene in grandi quantità, e se ne va via a poco a poco.[fonte 4] Il matrimonio è la tomba dell'amore.[fonte 2] Il mattino ha l'oro in bocca.[fonte 138] Le ore del mattino hanno l'oro in bocca.[fonte 139] Il medico pietoso fa la piaga puzzolente.[fonte 140] Il medico pietoso fa la piaga verminosa.[fonte 140] Il meglio è nemico del bene.[fonte 1] Il merlo ingrassa in gabbia, il leone muore di rabbia.[fonte 8] Il miele non è fatto per gli asini.[fonte 4] Il miglior tiro ai dadi è non giocarli.[fonte 4] Il molto ringraziare significa chieder dell'altro.[fonte 8] Il mondo ricompensa come il caprone che dà cornate al suo padrone.[fonte 8] Il mulino di Dio macina piano ma sottile.[fonte 141] Il nano è piccolo anche se è sul campanile.[fonte 8] Il passato deve essere maestro dell'oggi.[fonte 4] Il passato non deve prendere a prestito dall'oggi.[fonte 4] Il peggior passo è quello dell'uscio.[fonte 2] Il pesce puzza dalla testa.[fonte 1] Il Piemonte è la sepoltura dei francesi.[fonte 8] Il poeta ben trova le palme, ma non i datteri.[fonte 8] Il politico bacia con la bocca, e tira calci con i piedi.[fonte 8] Il Portogallo[41] è piccolo, ma è un pezzo di zucchero.[fonte 8] Il povero non può e il ricco non vuole.[fonte 8] Il prete, dove mangia, vi canta.[fonte 142] Il prete vien cantando e va via zufolando.[fonte 143] Il prete vive ancor un anno dopo morte.[fonte 142] I suoi familiari continuano ad incassar per un anno i suoi redditi.[42] Il primo amore non si arrugginisce.[fonte 8] Il primo amore non si scorda mai.[fonte 8] Il primo anno ci si abbraccia, il secondo si fascia, il terzo anno si ha la malattia e la cattiva Pasqua.[fonte 4] Il puledro non va all'ambio, se la cavalla trotta.[fonte 144] Il ramo assomiglia al tronco.[fonte 4] Il ricco ha tanto bisogno del povero, quanto il povero del ricco.[fonte 8] Il ricco vive, il povero vivacchia.[fonte 8] Il ringraziare non fa male alla bocca.[fonte 8] Il ringraziare non paga debito.[fonte 8] Il riso abbonda sulla bocca degli stolti.[fonte 2] Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi.[fonte 145] Il riso nasce nell'acqua ma deve morire nel vino.[fonte 8] Il sapere è di tutti.[fonte 2] Il «se» e il «ma» sono due corbellerie da Adamo in qua.[fonte 4] Il silenzio è d'oro e la parola d'argento.[fonte 1] Il sospirar non vale.[fonte 8] Il superfluo del ricco è il necessario del povero.[fonte 8] Il tatto è tattica.[fonte 8] Il tatto è tutto.[fonte 8] Il tempo è denaro.[fonte 146] Il tempo è un gran medico.[fonte 147] Il tempo scopre tutto, perché è galantuomo.[fonte 147] Il tempo vola.[fonte 147] Il termine della notte è l'inizio del giorno.[fonte 8] Il timore fa trottare anche lo zoppo.[fonte 8] Il troppo gestire è da pazzi.[fonte 8] Il troppo tirare, l'arco fa spezzare.[fonte 4] Il turco ben può divenir un dotto, ma un uomo giammai.[fonte 119] Il ventre non ha orecchie.[fonte 2] Il vero infermo è quello che non vuol esser guarito.[fonte 8] Il vino al sapore, il pane al colore.[fonte 8] Il vino è buono per chi lo sa bere.[fonte 8] Il vino è forte ma il sonno lo vince, ma più forte d'ogni cosa è la donna.[fonte 8] Il vino è il latte dei vecchi.[fonte 8] Il vino è mezzo vitto.[fonte 8] Il vino fa ballare i vecchi.[fonte 8] Il vino la mattina è piombo, a mezzodì argento, la sera oro.[fonte 8] Impara a vivere lo sciocco a sue spese, il savio a quelle altrui.[fonte 4] Impara l'arte e mettila da parte.[fonte 1] In amore e in guerra niente regole.[fonte 8] In bocca chiusa non entran mosche.[fonte 2] In Campania si inganna persino il diavolo.[fonte 8] In casa del calzolaio non si hanno scarpe.[fonte 4] In cento libbre di legge, non v'è un'oncia di amore.[fonte 148] In chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni.[fonte 1] In compagnia prese moglie un frate.[fonte 1] In febbraio la beccaccia fa il nido.[fonte 8] In Lazio si nasce coi sassi in mano.[fonte 8] In lunghi viaggi anche la paglia pesa.[fonte 8] In paradiso non ci si va in carrozza.[fonte 141] In Sardegna non vi son serpenti, né in Piemonte bestemmie.[fonte 8] In tanta incostanza e quantità delle cose umane, nulla, se non quello che è passato, è sicuro.[fonte 4] In terra di ciechi, beato chi ha un occhio.[fonte 36] In terra di ladri, la valigia dinanzi.[fonte 8] In vaso mal lavato, il vino è tosto guastato.[fonte 8] Ingegno e capelli, crescono soltanto con gli anni.[fonte 4] Insieme non vanno la pudicizia e la beltà.[fonte 4] Inventare è poco, diffondere l'invenzione è tutto.[fonte 4] L L'abbaiare dei cani non arriva in cielo.[fonte 4] L'abbondanza non lascia dormire il ricco.[fonte 4] L'abete che fa ombra crede di fare frutti.[fonte 4] L'abete cresce in altezza, ma la felce cresce in larghezza.[fonte 4] L'abito non fa il monaco.[43][fonte 2] L'abuso insegna il vero uso.[fonte 4] L'acqua cheta rovina i ponti.[fonte 2] L'acqua corre al mare.[fonte 149] L'acqua e il fuoco sono buoni servitori, ma cattivi padroni.[fonte 4] L'acqua fa male e il vino fa cantare.[fonte 8] L'acqua fa marcire i pali.[fonte 5] L'acqua fa venire i ranocchi in corpo.[fonte 150] L'acqua di maggio inganna il villano: par che non piova e si bagna il gabbano[44].[fonte 2] L'acqua non è fatta per sposarsi.[fonte 9] L'allegria dei cattivi dura poco.[fonte 8] L'allegria è di ogni male il rimedio universale.[fonte 4] L'allegria è il balsamo della vita.[fonte 8] L'allegria fa campare, la passione fa crepare.[fonte 8] L'allegria piace anche a Dio.[fonte 8] L'allegria scaccia ogni male.[fonte 8] L'allodola vola in alto, ma fa il suo nido in terra.[fonte 8] L'altezza è mezza bellezza.[45][fonte 2] L'ambizione e la vendetta muoiono sempre di fame.[fonte 4] L'ambizione è nemica della ragione.[fonte 4] L'amore di carnevale muore in quaresima.[fonte 8] L'amore è cieco.[fonte 2] L'amore è cieco, ma vede lontano.[fonte 8] L'amore fa passare il tempo e il tempo fa passare l'amore.[fonte 8] L'amore non è bello se non è litigarello.[fonte 103] L'amore non si misura a metri.[fonte 8] L'amore passa dentro la cruna di un ago.[fonte 8] L'amore quanto più è bestia, tanto più sublime.[fonte 32] L'amore scalda il cuore e l'ira fa il poeta.[fonte 8] L'amore senza baci è pane senza sale.[fonte 8] L'animo fa il nobile e non il sangue.[fonte 8] L'anno produce il raccolto, non il campo.[fonte 4] L'apparenza inganna.[fonte 1] L'appetito non vuol salsa.[fonte 151] L'appetito vien mangiando.[fonte 1] L'arancia la mattina è oro, il giorno argento, la sera è piombo.[fonte 2] Con riferimento a chi fa fatica a digerire le arance. L'arcobaleno la mattina bagna il becco della gallina; l'arcobaleno la sera buon tempo mena.[fonte 1] L'arte non ha maggior nemico dell'ignorante.[fonte 4] L'asino e il mulattiere non hanno lo stesso pensiero.[fonte 4] L'asino non conosce la coda, se non quando non l'ha più.[fonte 4] L'assai basta e il troppo guasta.[fonte 1] L'avaro in punto di morte rimpiange i soldi spesi per la bara.[fonte 8] L'avaro lascia eredi ridenti.[fonte 4] L'avaro non dorme.[fonte 4] L'avaro non vive, vegeta.[fonte 4] L'avversità che fiacca i cuori deboli, ingagliardisce le anime forti.[fonte 8] L'eccesso degli obblighi può fare perdere un amico.[fonte 4] L'eccesso della gioia divien tristezza, e l'eccesso del vino ubriachezza.[fonte 8] L'eccezione conferma la regola.[46][fonte 1] L'eclissi di sole avviene di giorno e non di notte.[fonte 4] L'edera taciturna si arrampica in cima alla quercia.[fonte 4] L'elefante non cura il morso delle pulci.[fonte 8] L'elemosina non fa impoverire.[fonte 4] L'eloquenza del cattivo è falso acume.[fonte 8] L'Epifania tutte le feste porta via.[47][fonte 1] L'erba del vicino è sempre più verde.[48][fonte 152] L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re.[fonte 2] L'erba che non voglio, cresce nell'orto.[fonte 4] L'erba non cresce sulla strada maestra.[fonte 4] L'eredità paterna ai paterni, la materna ai materni.[fonte 4] L'errore che si confessa è mezzo rimediato.[fonte 4] L'errore è un cocchiere che conduce sopra una falsa strada.[fonte 4] L'errore è umano, il perdono divino.[fonte 153] L'esercizio è buon maestro.[fonte 4] L'esperienza nel mondo conduce alla diffidenza, la diffidenza conduce al sospetto, il sospetto all'astuzia, l'astuzia alla malvagità e la malvagità a tutto.[fonte 4] L'esperienza senza il sapere è meglio che il sapere senza sapienza.[fonte 70] L'estate ce la porta sant'Urbano e l'autunno san Bartolomeo.[fonte 4] L'estate davanti e l'inverno dietro.[fonte 4] L'estate di San Martino dura tre giorni e un pochinino.[49][fonte 2] L'estate per chi lavora, l'inverno per chi dorme.[fonte 4] L'estate è una schiava, l'inverno un padrone.[fonte 4] L'estate per il povero è migliore dell'inverno.[fonte 4] L'eternità è una compera lunga.[fonte 4] L'eternità non ha capelli grigi.[fonte 4] L'eterno parlatore né ode né impara.[fonte 4] L'idolo si adora finché non è infranto.[fonte 4] L'ignorante ha le ali di un'aquila e gli occhi di un gufo.[fonte 4] L'inchiostro è il mio campo, su cui posso scrivere valorosamente; la penna, il mio aratro; le parole, la mia semente.[fonte 8] L'inchiostro è nero, e tinge le dita e la reputazione.[fonte 8] L'inferno e i tribunali son sempre aperti.[fonte 4] L'ingegno viene con gli anni, e se ne va con gli anni.[fonte 4] L'ingratitudine converte in ghiaccio il caldo sangue.[fonte 8] L'ingratitudine è la mano sinistra dell'egoismo.[fonte 8] L'ingratitudine è un'amara radice da cui crescono amari frutti.[fonte 8] L'ingratitudine nuoce anche a chi non è reo.[fonte 8] L'ingratitudine taglia i nervi al beneficio.[fonte 8] L'intelletto è nella testa e non negli anni.[fonte 4] L'intelletto non viene mai prima degli anni.[fonte 4] L'interesse acceca anche i galantuomini.[fonte 8] L'inverno al fuoco e l'estate all'ombra.[fonte 4] L'invidia è annessa alla felicità.[fonte 4] L'invidia è un gufo che non può sopportare la luce della prosperità degli altri.[fonte 4] L'invidia è una bestia che rode le proprie gambe, quando non ha altro da rodere.[fonte 4] L'invidia somiglia alla gramigna, che mai non muore, e da per tutto alligna.[fonte 4] L'ipocrisia intasca il denaro, e la verità va mendica.[fonte 4] L'ira senza forza, non vale una scorza.[fonte 4] L'ira turba la mente e acceca la ragione.[fonte 4] L'Italia è il paese dove corre latte e miele.[fonte 4] L'Italia è un paradiso abitato da demoni.[fonte 4] L'Italia per nascervi, la Francia per viverci e la Spagna per morirvi.[fonte 4] L'occasione fa l'uomo ladro.[fonte 1] L'occhio del padrone ingrassa il cavallo.[fonte 1] L'oggi non deve calunniare il passato.[fonte 4] L'olivo benedetto vuol trovar pulito e netto.[50][fonte 2] L'ombra di un principe dev'essere la liberalità.[fonte 4] L'ordine caccia il disordine.[fonte 8] L'ordine è pane, il disordine è fame.[fonte 8] L'orgoglio crede che il suo uovo abbia due tuorli.[fonte 8] L'orgoglio è stoltezza, l'umiltà è saviezza.[fonte 8] L'orgoglio fa colazione con l'abbondanza, pranza con la povertà e cena con la vergogna.[fonte 154] L'orologio dell'amore ritarda sempre.[fonte 8] L'ospite è come il pesce: dopo tre giorni puzza.[fonte 2] L'ospite e il pesce dopo tre dì rincresce.[fonte 1] L'ozio è il padre di tutti i vizi.[fonte 1] L'ozio in gioventù non è la via della virtù.[fonte 4] L'uguaglianza e misurar tutti con la stessa spanna, è la legge della morte.[fonte 8] L'umiliarsi è da saggio, l'avvilirsi è da bestia.[fonte 8] L'umiliazione va dietro al superbo.[fonte 8] L'umiltà è il miglior modo di evitare l'umiliazione.[fonte 8] L'umiltà è la corona di tutte le virtù.[fonte 8] L'umiltà è la madre dell'onore.[fonte 8] L'umiltà è una virtù che adorna tanto la vecchiaia, quanto la gioventù.[fonte 8] L'umiltà ottiene spesso più dell'alterigia.[fonte 8] L'umiltà sta bene a tutti.[fonte 8] L'umiltà sta bene con la castità.[fonte 8] L'unione fa la forza.[fonte 1] L'uomo avaro e l'occhio sono insaziabili.[fonte 4] L'uomo deve tenere aperta la bocca a lungo prima che c'entri un colombo arrostito.[fonte 4] L'uomo fu creato per lavorare, come l'uccello per volare.[fonte 4] L'uomo ordisce e la fortuna tesse.[fonte 1] L'uomo politico accende una candela a Dio e un'altra al diavolo.[fonte 8] L'uomo per la parola e il bue per le corna.[fonte 1] L'uomo propone e Dio dispone.[fonte 1] L'uomo propone e la donna dispone.[fonte 2] L'uomo si conosce al bicchiere.[fonte 4] L'uomo si giudica male dall'aspetto.[fonte 4] L'usura arricchisce, ma non dura.[fonte 8] L'usura è il miglior apostolo del diavolo.[fonte 8] L'usura è la figlia primogenita dell'avarizia.[fonte 8] L'usura è un assassinio.[fonte 8] L'usura è vietata da Dio.[fonte 8] L'usura veglia quando l'uomo dorme.[fonte 8] L'usuraio arricchisce col sudor dei poveri.[fonte 8] L'usuraio ha un torchio a sangue.[fonte 8] L'usuraio ingrassa andando a spasso.[fonte 8] La bestemmia gira gira torna addosso a chi la tira.[fonte 4] La buona cantina fa il buon vino.[fonte 8] La buona mamma fa la buona figlia.[fonte 4] La buona sorte ogni vile cuore fa forte.[fonte 8] La calma è la virtù dei forti.[fonte 2] La capacità si vede nelle difficoltà.[fonte 4] La carestia è il pane dell'usuraio.[fonte 4] La carne migliore è quella intorno all'osso.[fonte 4] La carne senz'osso non fa brodo.[fonte 4] La carrucola non frulla, se non è unta.[fonte 4] La cattiva sorte porta spesso buona sorte.[fonte 8] La cicala prima canta e poi muore.[fonte 8] La coda è la più lunga da scorticare.[fonte 1] La comodità fa l'uomo cattivo.[fonte 8] La compassione è la figlia dell'amore.[fonte 4] La concordia rende forti i deboli.[fonte 8] La contentezza viene dalle budella.[fonte 1] La corda troppo tesa si spezza.[fonte 1] La cupidigia rompe il sacco.[fonte 4] La dieta ogni mal quieta.[fonte 155] La difficoltà sta nell'iniziare.[fonte 4] La diffidenza aguzza gli occhi. La diffidenza è la morte dell'amore.[fonte 4] La diffidenza porta più avanti della fiducia.[fonte 4] La donna a 15 anni scherza, a 20 brilla, a 25 ama, a 30 brama, a 35 sente, a 40 vuole e a 50 paga.[fonte 8] La donna bisogna praticarla un giorno, un mese e un'estate per sapere che odore sa.[fonte 8] La donna buona vale una corona.[fonte 8] La donna deve avere tre m: matrona in strada, modesta in chiesa, massaia in casa.[fonte 8] La donna e l'orto vogliono un sol padrone.[fonte 8] La donna ha più capricci che ricci.[fonte 8] La donna oziosa non può essere virtuosa.[fonte 8] La donna per piccola che sia, vince il diavolo in furberia.[fonte 8] La donna più sciocca vale due uomini.[fonte 8] La donna troppo in vista, è di facile conquista.[fonte 8] La fame caccia il lupo dal bosco.[fonte 1] La fame caccia il lupo dalla tana.[fonte 4] La fame spinge il lupo nel villaggio.[fonte 4] La fame condisce tutte le vivande.[fonte 4] La fame non vede la muffa nel pane.[fonte 4] La fame è cattiva consigliera.[fonte 1] La fame, gran maestra, anche le bestie addestra.[fonte 4] La fame muta le fave in mandorle.[fonte 4] La farina del diavolo va tutta in crusca.[fonte 1] La fedeltà non è mai rimeritata abbastanza, e l'infedeltà mai abbastanza.[fonte 4] La femmina è cosa mobile per natura.[fonte 4] La fine della passione è il principio del pentimento.[fonte 129] La fortuna aiuta gli audaci.[fonte 2] La fortuna del savio ha per figliola la modestia.[fonte 8] La fortuna è cieca.[fonte 2] La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo.[fonte 108] La fretta fa rompere la pentola.[fonte 8] La fretta è una cattiva consigliera.[fonte 108] La furia non fu mai buona.[fonte 4] La gallina del vicino sembra un fagiano.[fonte 152] La gatta frettolosa fece i gattini ciechi.[fonte 1] La gatta grassa fa onore alla casa.[fonte 121] La gatta, mette il piede davanti alla vacca.[fonte 156] La gatta non s'accosta alla pentola che bolle.[fonte 38] La gatta vorrebbe mangiar pesci, ma non pescare.[fonte 157] La gelosia della moglie è la via al suo divorzio.[fonte 4] La gelosia è il peggiore di tutti i mali.[fonte 4] La gelosia è una passione che cerca avidamente quel che tormenta.[fonte 4] La generosità è un muro che non si può alzare più alto di quello che arrivano i materiali.La gente ricca alleva male i suoi cani, e la gente povera i suoi figlioli. La gente savia non si cura di quel che non può avere.[fonte 87] La gioventù fugge, e la bellezza sfiorisce.[fonte 4] La gioventù vuol fare il suo corso.[fonte 4] La lealtà se ne è andata dal mondo e la dirittura si è messa a dormire.[fonte 4] La lega fa forte i deboli.[fonte 4] La liberalità è un muro che non si deve rizzare più alto di quello che comportino i materiali.[fonte 4] La liberalità non sta nel dare molto, ma saggiamente.[fonte 4] La libertà del povero è di lasciarlo mendicare.[fonte 4] La libertà è da Dio; le libertà, dal diavolo.[fonte 4] La libertà è più cara degli occhi e della vita.[fonte 4] La libertà fila con le sue mani il filo della sua tenda.[fonte 4] La lingua batte dove il dente duole.[fonte 1] La lingua non ha osso e sa rompere il dosso.[fonte 4] La lingua spagnola è la più amabile; quando il diavolo tentò Eva, le parlo in spagnolo.[fonte 8] La lode propria puzza, quella degli amici zoppica.[fonte 4] La luna di gennaio è la luna del vino.[fonte 2] La luna è bugiarda: quando fa la C diminuisce, e quando fa la D cresce[fonte 158] La luna non cura l'abbaiar dei cani.[fonte 2] La luna regge il lume ai ladri.[fonte 158] La luna, se non riscalda, illumina.[fonte 158] La Lombardia è il giardino del mondo.[fonte 8] La madre del peggio è sempre incinta.[fonte 159] La madre degli imbecilli è sempre incinta.[fonte 160] La madre dei fessi è sempre incinta.[fonte 160] La magnificenza spesso copre la povertà.[fonte 4] La mala erba non muore mai.[fonte 1] La mala nuova la porta il vento.[fonte 1] La malerba cresce presto.[fonte 2] La malinconia e le cure fanno invecchiare anzitempo.[fonte 4] La mercanzia rara è meglio che buona.[fonte 8] La miglior difesa è l'attacco.[fonte 1] La minestra lunga sa di fumo.[fonte 8] La modestia è il dattero che matura raramente sull'albero della ricchezza.[fonte 8] La modestia è madre d'ogni creanza.[fonte 8] La moglie è la chiave di casa.[fonte 8] La morte ci rende uguali nella sepoltura, disuguali nell'eternità.[fonte 8] La necessità aguzza l'ingegno.[fonte 2] La necessità fa più ladri che galantuomini.[fonte 8] La notte è fatta per gli allocchi.[fonte 8] La notte porta consiglio.[fonte 1] La novella non è bella, se non c'è la giuntarella.[fonte 8] La pancia del buongustaio è il cimitero dei cibi buoni.[fonte 8] La parola del ricco è simile al sole, e quella del povero è simile al vapore.[fonte 8] La pazienza è la virtù dei forti.[fonte 9] La pazienza è una buon'erba, ma non nasce in tutti gli orti.[fonte 88] La pecora che se ne va sola, il lupo la mangia.[fonte 91] La peggio ruota è quella che stride.[fonte 8] La peggior carne da conoscere è quella dell'uomo.[fonte 4] La penitenza corre dietro al peccato.[fonte 8] La pentola vuota è quella che suona.[fonte 8] La pianta si conosce dal frutto.[fonte 1] La pigrizia e l'impudicizia sono sorelle.[fonte 8] La pittura è una poesia tacita, e la poesia una pittura loquace.[fonte 8] La più bell'ora per il mangiare è quella in cui si ha fame.[fonte 8] La polenta è utile per quattro cose: serve da minestra, serve da pane, sazia e scalda le mani.[fonte 8] La povertà è priva di molte cose, l'avarizia è priva di tutto.[fonte 56] La prima acqua è quella che bagna.[fonte 1] La prima gallina che canta ha fatto l'uovo.[fonte 108] La prima eredità al primo figlio, l'ultima eredità all'ultimo figlio.[fonte 4] La provvidenza quel che toglie rende.[fonte 4] La pulce che esce di dietro l'orecchio con il diavolo si consiglia.[fonte 8] La puttana e la lattuga una stagione dura.[fonte 8] La rana è usa ai pantani, se non ci va oggi ci andrà domani.[fonte 8] La rana non morde, perché non ha denti.[fonte 8] La rana, o salta o piscia, ma mai non sbrana.[fonte 8] La razza comincia dalla bocca.[fonte 8] La roba dei pazzi è la prima ad andarsene.[fonte 8] La ruota della fortuna gira.[fonte 4] La ruota della fortuna non è sempre una.[fonte 4] La scorza fa bella la castagna.[fonte 4] La scimmia è sempre scimmia, anche vestita di seta.[fonte 8] La semplicità senza accortezza è pura pazzia.[fonte 8] La sera leoni e la mattina coglioni.[fonte 2] La sorte è come ognuno se la fa.[fonte 8] La speranza è cattivo denaro.[fonte 161] La speranza è il pane dei poveri.[fonte 2] La speranza è il patrimonio dei poveri.[fonte 2] La speranza è il sogno dell'uomo desto.[fonte 2] La speranza è l'ultima a morire.[fonte 2] La speranza è la miglior consolazione nella miseria.[fonte 161] La speranza è la miglior musica del dolore.[fonte 161] La speranza è la ricchezza dei poveri.[fonte 2] La speranza è sempre verde.[fonte 2] La speranza è un balsamo per i cuor piagati.[fonte 161] La speranza è un sogno nella veglia.[fonte 2] La speranza infonde coraggio anche al codardo.[fonte 161] La speranza ingrandisce, l'esperienza rimpicciolisce.[fonte 57] La superbia è figlia dell'ignoranza.[fonte 1] La superbia mostra l'ignoranza.[fonte 162] La superbia va a cavallo e torna a piedi.[fonte 1] La terra è madre di tutti gli uomini ed anche sepoltura.[fonte 8] La troppa umiltà vien dalla superbia.[fonte 8] La vanagloria è un fiore che mai non porta frutta.[fonte 163] La vera libertà è non servire al vizio.[fonte 4] La verità è nel vino.[fonte 8] La verità viene sempre a galla.[fonte 2] La veste copre gran difetti.[fonte 55] La via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni.[fonte 1] La vipera morta non morde seno, ma pure fa male coll'odor del veleno.[fonte 8] La virtù sta nel mezzo.[51][fonte 164] La vita è breve e l'arte è lunga.[52][fonte 55] La vita è già mezzo trascorsa anziché si sappia che cosa sia.[fonte 165] La volpe si conosce dalla coda.[fonte 4] Lamentarsi, supplicare e bere acqua è lecito a tutti.[fonte 8] Latte e vino, tossico fino.[fonte 8] Lavora come se avessi a campare ognora, adora come avessi a morire allora.[fonte 4] Lavoro non ingrassò mai bue.[fonte 4] Le allegrezze non durano.[fonte 8] Le belle penne rendono bello l'uccello.[fonte 4] Le bellezze durano fino alle porte, la bontà fino alla morte.[fonte 4] Le braccia e le mani del povero appartengono al ricco.[fonte 8] Le bugie hanno le gambe corte.[fonte 1] Le bugie sono lo scudo degli uomini dappoco.[fonte 4] Le chiacchiere non fanno farina.[fonte 1] Le colombe che rimangono in colombaia, sono sicure dal nibbio.[fonte 8] Le cose lunghe diventano serpi.[fonte 1] Le cose lunghe prendono vizio.[fonte 1] Le dita della mano sono disuguali.[fonte 8] Le donne hanno lunghi i capelli e corti i cervelli.[fonte 4] Le donne hanno quattro malattie all'anno, e tre mesi dura ogni malanno.[fonte 8] Le bestie vanno trattate da bestie.[fonte 8] Le cattive nuove sono le prime ad arrivare.[fonte 8] Le cattive nuove volano.[fonte 1] Le chiavi ed i lucchetti non si fanno per le dita fidate.[fonte 8] Le disgrazie non vengono mai sole.[fonte 1] Le disgrazie sono come le ciliegie: una tira l'altra.[53] Le donne hanno lunghi i capelli e corti i cervelli.[fonte 166] Le donne hanno sette anime... e mezza.[fonte 8] Le donne ne sanno una più del diavolo.[fonte 2] Le donne piglian bene le pulci.[fonte 8] Le lacrime sono le armi delle donne.[fonte 4] Le leghe e le corde fradice non durano a lungo.[fonte 4] Le malattie ci dicono quel che siamo.[fonte 88] Le montagne stanno ferme, gli uomini s'incontrano.[fonte 167] Le ore del mattino hanno l'oro in bocca.[fonte 1] Le parole sono femmine e i fatti sono maschi.[fonte 1] Le piante che fruttano troppo presto, si seccano.[fonte 8] Le querce non fanno limoni.[fonte 2] Le ragazze sono d'oro, le sposate d'argento, le vedove di rame e le vecchie di latta.[fonte 8] Le rane han perso la coda perché non seppero chiedere aiuto.[fonte 8] Le rose cascano, le spine restano.[fonte 168] Le teste di legno fan sempre del chiasso.[fonte 55] Le Trentine vengono giù pollastre e se ne vanno sù galline.[fonte 8] Le vie della provvidenza sono infinite.[fonte 1] Le vie del Signore sono infinite.[fonte 1] Leggi, rileggi e pondera.[fonte 8] Lingua cheta e fatti parlanti.[fonte 4] Lo sbadiglio non vuol mentire: o che ha sonno o che vorrebbe dormire, o che ha qualche cosa che non può dire.[fonte 8] Lo scarafaggio corre sempre allo sterco.[fonte 8] Lo scimunito parla col dito.[fonte 8] Lo scorpione dorme sotto ogni lastra.[fonte 8] Lo smargiasso ciancia in guerra, il valente combatte muto.[fonte 8] Loda il gran campo e il piccolo coltiva.[fonte 169] Loda il monte e tieniti al piano.[fonte 2] Loda il pazzo e fallo saltare, se non è pazzo lo farai diventare.[fonte 8] Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.[fonte 170] Lontan dagli occhi, lontan dal cuore.[fonte 2] Luna di grappoli a gennaio luna di racimoli a febbraio.[54][fonte 2] Lunga lingua, corta mano.[fonte 8] Lungo come la quaresima.[55][fonte 2] Luglio dal gran caldo, bevi bene e batti saldo.[fonte 16] Lungo digiuno caccia la fame.[fonte 4] Lupo non mangia lupo.[fonte 2] M Ma in premio d'amore amor si rende.[fonte 33] Maggio ortolano, molta paglia e poco grano.[fonte 16] Maggiore il santo, maggiore la sua umiltà.[fonte 8] Mai gli uomini sanno essere abbastanza riconoscenti verso gli inventori.[fonte 4] Mal comune mezzo gaudio.[fonte 2] Mal può rendere ragion del proprio fatto chi lardo o pesce lascia in guardia al gatto.[fonte 65] Mal si giudica il cavallo dalla sella.[fonte 3] Male che si vuole non duole.[fonte 9] Male ignoto si teme doppiamente.[fonte 8] Male non fare, paura non avere.[fonte 2] Male voluto non fu mai troppo.[fonte 57] Maledetto il ventre che del pan che mangia non si ricorda niente.[fonte 8] Manca tanto la pazienza ai poveri, quanto la compassione ai ricchi.[fonte 8] Mangiar molto e far buona digestione, è un privilegio che han poche persone.[fonte 8] Mano dritta e bocca monda possono andare per tutto il mondo.[fonte 4] Marinaio genovese, mercante fiorentino.[fonte 8] Martello d'oro non rompe le porte del cielo.[fonte 47] Marzo è pazzo.[fonte 16] Marzo pazzerello guarda il sole e prendi l'ombrello.[fonte 2] Marzo molle, gran per le zolle.[fonte 16] Mazza e pane fanno i figli belli; pane senza mazza fa i figli pazzi.[fonte 171] Medico vecchio e chirurgo giovane.[fonte 172] Medico vecchio e medicina nuova.[fonte 2] Chirurgo giovane e medico anziano.[56] Mediocre bestiame ben pasciuto è di maggior vantaggio che molto bestiame mal mantenuto.[fonte 173] Meglio andare a letto senza cena, che alzarsi con debiti.[fonte 4] Meglio aperto rimprovero, che odio segreto.[fonte 8] Meglio dietro agli uccelli, che dietro ai signori.[fonte 8] Meglio essere ben educato, che nascere nobile.[fonte 4] Meglio essere invidiati che compatiti.[fonte 174] Meglio fare la serva in casa propria, che la padrona in casa altrui.[fonte 4] Meglio fave in libertà, che capponi in schiavitù.[fonte 8] Meglio fringuello in man che tordo in frasca.[fonte 2] Meglio fringuello in tasca che tordo in frasca.[fonte 2] Meglio il marito senz'amore, che con gelosia.[fonte 75] Meglio l'uovo oggi che la gallina domani.[fonte 1] Meglio mangiar carote in pace che molte pietanze in disunione.[fonte 8] Meglio mendicante che ignorante.[fonte 124] Meglio pane con amore, che gallina con dolore.[fonte 4] Meglio poco che niente.[fonte 1] Meglio soli che male accompagnati.[fonte 1] Meglio tardi che mai.[fonte 1] Meglio un asino vivo che un dottore morto.[fonte 1] Meglio un fiorino guadagnato, che cento ereditati.[fonte 4] Meglio un magro accordo che una grassa sentenza.[fonte 2] Meglio un morto in casa che un pisano all'uscio.[fonte 2] Meglio una festa che cento festicciole.[fonte 1] Meglio una volta arrossire che mille impallidire.[fonte 8] Meglio vivere ben che vivere a lungo.[fonte 64] Meno siamo meglio stiamo.[fonte 57] Mente lieta, vita quieta e moderata dieta.[fonte 2] Merito non conosciuto poco vale.[fonte 8] Milan può far, Milan può dir, ma non può far dell'acqua vin.[fonte 8] Mille errori sono più facilmente pronunciati che una verità.[fonte 4] Moglie e buoi dei paesi tuoi.[fonte 1] Donne e buoi dei paesi tuoi.[fonte 2] Mogli che non contraddicono e galline che facciano le uova d'oro, sono uccelli rari.[fonte 8] Moglie maglio.[fonte 1] Molte cose si giudicano impossibili a farsi prima che siano fatte. Molte mani fanno l'opera leggera. Molte paglie unite possono legare un elefante.[fonte 8] Molte volte la belleza più adorabile si unisce alla stupidaggine più insopportabile. Molte volte si perde per negligenza quello che si è guadagnato con giustizia.[fonte 4] Molti hanno buone carte in mano, ma non le sanno giocare.[fonte 4] Molti inventano oro con la bocca ed hanno piombo alle mani e ai piedi.[fonte 4] Molti parlano d'Orlando anche se non videro mai il suo brando.[fonte 8] Molti sfuggono alla pena, ma non ai rimorsi della coscienza.[fonte 8] Molti si immaginano di avere il pulcino, che non hanno ancora l'uovo.[fonte 4] Molti si lamentano del buon tempo.[fonte 8] Molti sono i verseggiatori, pochi i poeti.[fonte 8] Molti squartano un gatto e giurano che era un leone.[fonte 8] Molti voti fanno l'abate.[fonte 4] Molto denaro, molti amici.[fonte 4] Molto fumo e poco arrosto.[fonte 1] Molto può nuocere una piccola negligenza.[fonte 8] Morire di fame in una madia di pane.[fonte 4] Morta la serpe, spento il veleno.[fonte 8] Morto un papa se ne fa un altro.[fonte 1] Mulo buon mulo, ma cattiva bestia.[fonte 8] Muore il ricco, gli fanno il funerale; muore il povero, nessuno gli dice: vale.[fonte 8] Muove la coda il cane non per te, ma per il pane.[fonte 4] N Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. Né col capretto né con l'agnello, si adopera il coltello.[fonte 8] Né di venere, né di marte non si sposa né si parte, né si dà principio all'arte.[fonte 2] Né donna né tela al lume di candela.[fonte 8] Ne uccide più la lingua che la spada.[fonte 2] Ne uccide più la gola che la spada.[fonte 2] Necessità fa legge e tribunale.[fonte 2] Negli ordini pari, i pareri sono dispari.[fonte 8] Nel bere e nel camminare si conoscono le donne.[fonte 8] Nel bosco tagliato non ci stanno assassini.[fonte 8] Nel dubbio astieniti.[fonte 2] Nel monte di Brianza, senza vin non si danza.[fonte 8] Nel paese degli zoppi, zoppicar non è vergogna.[fonte 8] Nel regno dei ciechi anche un orbo è re.[fonte 175] Nel regno dei ciechi anche un guercio è re.[fonte 175] Nel regno di Dio, poveri e ricchi sono uguali.[fonte 8] Nell'autunno non bisogna più sognare di rose e tulipani.[fonte 4] Nell'estate si deve pensare all'inverno, e nella gioventù alla vecchiaia.[fonte 4] Nell'eternità si arriva sempre in tempo. Nell'inverno il pazzo sogna rose, e nell'estate il savio le raccoglie.[fonte 4] Nella botte piccola c'è il buon vino.[fonte 8] Nella felicità ragione, nell'infelicità pazienza.[fonte 8] Nella gotta, il medico non vede gotta.[fonte 176] Nelle sventure si conosce l'amico.[fonte 1] Nessuna corona è più bella di quella dell'umiltà.[fonte 8] Nessuna fortezza è così salda che non si lasci conquistare dall'oro.[fonte 4] Nessuna ingiustizia rimane impunita.[fonte 4] Nessuna mela è così bella che non abbia qualche difetto.[fonte 4] Nessuna nuova, buona nuova. Nessuno è profeta in patria. Nessuno può dare quello che non ha.[fonte 4] Nessuno può difendersi dalla beffa.[fonte 4] Ne uccide più Bacco che Marte.[fonte 4] Neve di Dicembre dura fin che dura la brina.[fonte 8] Niente è più bello di una faccia allegra.[fonte 8] Niuna guardia è migliore di quella che una donna fa a se stessa.[fonte 4] Non accettare i rimproveri o consigli da chi educare non seppe i propri figli.[fonte 4] Non aspettar che l'abete porti pomi.[fonte 4] Non basta esser galantuomo, bisogna anche esser conosciuto per tale.[fonte 8] Non bisogna fare il diavolo più nero di quello che è.[fonte 8] Non bisogna fasciarsi il capo prima di romperselo.[fonte 8] Non bisogna mai usare due pesi e due misure.[fonte 8] Non bisogna scuotere l'orzo dal sacco prima di avere il frumento.[fonte 8] Non c'è alcuno così povero che non possa aiutare, né alcuno così ricco che non abbia bisogno d'aiuto.[fonte 8] Non c'è cosa più triste sulla terra dell'uomo ingrato.Non si muove foglia che Dio non voglia. Non c'è affanno senza danno.[fonte 4] Non c'è Carnevale senza luna di febbraio.[fonte 2] Non c'è due senza tre.[fonte 1] Non c'è due senza tre e il quarto vien da sé.[fonte 2] Non c'è cosa così cattiva che non sia buona a qualche cosa.[fonte 4] Non c'è eretico che non abbia la sua credenza.[fonte 4] Non c'è fumo senza arrosto.[fonte 1] Non c'è gallina né gallinaccia che di gennaio l'uova non faccia.[fonte 2] Non c'è intoppo per avere, più che chiedere e temere.[fonte 178] Non c'è male senza bene.[fonte 4] Non c'è miglior cieco di quello che non vuole vedere.[fonte 4] Non c'è pane senza pena.[fonte 1] Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.[fonte 2] Non c'è regola senza eccezioni.[fonte 1] Non c'è rosa senza spine.Non cade foglia che Dio non voglia.[fonte 1] Non ci fu mai frettoloso che non fosse pazzo.[fonte 8] Non ci rimane nessuna vigna da vendemmiare, e né meno nessuna donna da maritare.[fonte 179] Non credere a donna, quand'anche sia morta.[fonte 4] Non destare il can che dorme.[fonte 1] Non dire quattro se non l'hai nel sacco.[fonte 2] Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco.[fonte 180] Non è arte il giocare, ma lo smettere.[fonte 4] Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace.[fonte 181] Non è bene esser poeta nel villaggio.[fonte 8] Non è bene riporre denaro in una cassa di cui non si ha la chiave.[fonte 4] Non è col dire "miel, miel," che la dolcezza viene in bocca.[fonte 117] Non è contento quel che si lamenta.[fonte 8] Non è in nessun luogo chi è in ogni luogo.[fonte 4] Non è mai gran gagliardia, senza un ramo di pazzia.[fonte 8] Non è povero, se non chi si crede tale.[fonte 8] Non è sempre savio chi non sa esser qualche volta pazzo.[fonte 8] Non è sì tristo cane, che non meni la coda.[fonte 182] Non è tutto oro quel che luccica.[fonte 183] Non è tutto oro quel che riluce.[fonte 183] Non esiste amore senza gelosia.[fonte 8] Non fa la stessa viva sensazione il solletico a tutte le persone.[fonte 8] Non facendo niente, più pena si sente.[fonte 4] Non far mai bene, non avrai mai male.[fonte 8] Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.[58][fonte 2] Non fare il male ch'è peccato, non fare il bene ch'è sprecato.[fonte 1] Non fare il passo più lungo della gamba.[fonte 2] Non gira il corvo che non sia vicina la carogna.[fonte 8] Non lodare il bel giorno prima di sera.[fonte 4] Non mettere il carro davanti ai buoi.[fonte 184] Non mettere il rasoio in mano a un pazzo.[fonte 8] Non mettere un rasoio in mano a un pazzo.[fonte 185] Non mi morse mai scorpione, ch'io non mi medicassi col suo olio.[fonte 8] Non nominar la corda in casa dell'impiccato.[fonte 1] Non ogni abisso ha un parapetto.[fonte 4] Non ogni lettera va alla posta, non ogni domanda vuole risposta.[fonte 8] Non pensa il cuore quel che dice la bocca.[fonte 4] Non perde il cervello se non chi l'ha.[fonte 8] Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi.[fonte 1] Non sempre va d'accordo la campana dell'orologio con la meridiana.[fonte 8] Non serve dire «Di tal acqua non berrò».[fonte 4] Non si campa d'aria.[fonte 4] Non si comincia bene se non dal cielo.[fonte 4] Non si dà fumo senza fuoco.[fonte 4] Non si entra in Paradiso a dispetto dei Santi.[fonte 1] Non si fa niente per niente.[fonte 1] Non si fan nozze coi fichi secchi.[fonte 186] Non si finisce mai di imparare.[fonte 4] Non si insegna a nuotare ai pesci.[fonte 4] Non si legge mai libro senza imparare qualcosa.[fonte 4] Non si possono cavar le castagne dal fuoco colla zampa del gatto.[fonte 187] Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.[fonte 1] Non si può bere e fischiare.[fonte 77] Non si sa mai per chi si lavora.[fonte 4] Non si sta mai tanto bene che non si possa star meglio, né tanto male che non si possa star meglio.[fonte 8] Non sono cacciatori tutti quelli che portano il fucile.[fonte 4] Non sono uguali tutti i giorni.[fonte 4] Non ti far povero a chi non ha da farti ricco.[fonte 8] Non ti fidar d'un tratto, di grazia o di bontà.[fonte 8] Non ti vantar farfalla, tuo padre era un bruco.[fonte 8] Non tutte le ciambelle riescono col buco.[fonte 1] Non tutte le lacrime vengono dal cuor.[fonte 4] Non tutti i matti rompono i piatti.[fonte 8] Non tutti i pazzi stanno al manicomio.[fonte 8] Non tutti possiamo abitare in piazza.[fonte 8] Non tutti sono ammalati quelli che sono in letto.[fonte 8] Non tutti sono infelici come credono.[fonte 8] Non tutti sono infermi quelli che gridano ahi![fonte 8] Non tutti vedono la serpe che sta nascosta sotto l'erba.[fonte 4] Non tutto il male vien per nuocere.[fonte 2] Non v'è mai tanta pace in convento, come quando i frati portano tonache uguali.[fonte 8] Non vi è donna senza amore.[fonte 8] Non vi è inganno che non si vinca con l'inganno.[fonte 4] Non vi è lino senza resca, né donna senza pecca.[fonte 4] Non vi è nulla che ricercando non si possa penetrare.[fonte 4] Non vi è peggior burla che la vera.[fonte 4] Non vi fu mai gatta che non corresse ai topi.[fonte 8] Non vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.[fonte 1] Non vo' dormire né fare la guardia.[fonte 4] Notte, amore e vino fanno spesso l'uomo meschino.[fonte 8] Novembre vinaio.[fonte 16] Nulla è così buono che a lungo andare non venga a noia.[fonte 8] Nuovo padrone, nuova legge.[fonte 58] Nutri il corvo e ti caverà gli occhi.[fonte 8] Nutri la serpe in seno, ti renderà veleno.[fonte 8] O O taci, o di' cosa migliore del silenzio.[59][fonte 8] Occhio che piange cuore che duole.[fonte 2] Occhio che piange cuore che sente.[fonte 2] Occhio non vede, cuore non duole.[fonte 2] Occhio per occhio, dente per dente.[60][fonte 2] Olio di lucerna ogni mal governa.[fonte 2] Oggi a me domani a te.[fonte 2] Oggi allegria, domani malinconia.[fonte 8] Oggi creditore, domani debitore.[fonte 8] Oggi fresco e forte, domani nella morte.[fonte 8] Oggi in figura, domani in sepoltura.[fonte 8] Oggi in pace, domani in guerra.[fonte 8] Oggi mercante, domani mendicante.[fonte 8] Oggi pioggia e doman vento, tutto cambia in un momento.[fonte 8] Ogni Abele ha il suo Caino.[fonte 4] Ogni animale per non morir s'aiuta.[fonte 188] Ogni bel gioco dura poco.[fonte 1] Ogni bella scarpa diventa ciabatta, ogni bella donna diventa nonna.[fonte 8] Ogni bene infine svanisce, ma la fama non perisce.[fonte 4] Ogni cosa ch'è rara, suol essere più cara.[fonte 8] Ogni disuguaglianza, l'amore uguaglia.[fonte 4] Ogni erba si conosce dal seme.[fonte 4] Ogni fatica merita ricompensa.[fonte 4] Ogni gatta ha il suo febbraio.[fonte 8] Ogni giorno non è festa.[fonte 4] Ogni giorno non si fanno nozze.[fonte 4] Ogni grillo si crede cavallo.[fonte 8] Ogni lasciata è persa.[fonte 1] Ogni legno ha il suo tarlo.[fonte 1] Ogni lucciola non è un fuoco.[fonte 8] Ogni lumaca vede le corna delle altre.[fonte 189] Ogni matto fa il suo atto.[fonte 8] Ogni medaglia ha il suo rovescio.[fonte 1] Ogni pazzo vuol dar consiglio.[fonte 8] Ogni pelo ha la sua ombra.[fonte 4] Ogni popolo ha il governo che si merita.[fonte 190] Ogni promessa è debito.[fonte 1] Ogni rana si crede gran dama.[fonte 8] Ogni rana si crede una Diana.[fonte 8] Ogni scimmia trova belli i suoi scimmiotti.[fonte 8] Ogni serpe ha il suo veleno.[fonte 8] Ogni simile ama il suo simile.[fonte 1] Ogni uccello fa il suo verso.[fonte 8] Ogni uccello canta il suo verso.[fonte 191] Ognun patisce del suo mestiere.[fonte 192] Ognuno trascura per sé i godimenti dell'arte sua, quasi venutigli a noia perché ci ha guardato dentro: il cuoco non è mai ghiotto, il calzolaio va colle scarpe rotte. Ognun per sé e Dio per tutti.[fonte 1] Ognun vede le proprie oche come cigni.[fonte 8] Ognuno all'arte sua e il lupo alle pecore.[fonte 2] Ognuno ama sentirsi lodare.[fonte 4] Ognuno che ha un gran coltello, non è un boia.[fonte 4] Ognuno fa degli errori.[fonte 4] Ognuno faccia il suo mestiere.[fonte 2] Ognuno ha i suoi gusti.[fonte 193] Ognuno ha il suo affanno.[fonte 8] Ognuno ha la sua croce.[fonte 1] Ognuno tira l'acqua al suo mulino.[fonte 2] Orto, uomo morto.[fonte 169] Orzo e paglia fanno il caval da battaglia.[fonte 8] Ospite raro ospite caro.[fonte 1] Ottobre mostaio.[fonte 16] P Paese che vai usanza che trovi.[fonte 1] Paga il giusto per il peccatore.[fonte 1] Pancia affamata, vita disperata.[fonte 4] Pancia piena non crede a digiuno.[fonte 1] Pancia vuota non sente ragioni.[fonte 1] Parla all'amico come se ti avesse a diventar nemico.[fonte 8] Pane finché dura, vino con misura.[fonte 194] Parenti, amici, pioggia, dopo tre giorni vengono a noia.[fonte 8] Parenti serpenti.[fonte 1] Parenti serpenti, cugini assassini, fratelli coltelli.[fonte 2] Parere e non essere è come filare e non tessere.[fonte 2] Parlare francese come una vacca spagnola.[fonte 4] Passata la festa gabbato lo santo.[fonte 1] Passato il fiume scordato il santo.[fonte 4] Patti chiari, amici cari.[fonte 2] Patti chiari amicizia lunga.[fonte 2] Pazzi e buffoni hanno pari libertà.[fonte 8] Pazzo è colui che bada ai fatti altrui.[fonte 8] Pazzo è quel prete che biasima le sue reliquie.[fonte 195] Pazzo per natura, savio per scrittura.[fonte 8] Peccati vecchi, penitenza nuova.[fonte 8] Peccato celato è mezzo perdonato.[61][fonte 196] Peccato confessato è mezzo perdonato.[fonte 8] Per amore anche una donna onesta, può perdere la testa.[fonte 8] Per chi vuol esser libero, non c'è catena che tenga.[fonte 8] Per essere amabili, bisogna amare.[fonte 9] Per fare l'elemosina non manca mai la borsa.[fonte 4] Per il galantuomo non ci sono leggi.[fonte 8] Per il saggio le lacrime delle donne sono come gocce salate.[fonte 4] Per imparare qualche cosa, non è mai troppo tardi.[fonte 4] Per l'abbondanza del cuore la bocca parla.[fonte 4] Per l'oro, l'abate vende il convento.[fonte 4] Per la santa Candelora[62] dell'inverno siamo fora, ma se piove o tira vento, dell'inverno siamo dentro.[fonte 2] Per la santa Candelora se tempesta o se gragnola dell'inverno siamo fora; ma se è sole o solicello siamo solo a mezzo inverno.[fonte 2] Per natura tutti gli uomini sono simili; per l'educazione diventano interamente diversi.[fonte 4] Per ogni civetta che si sente cantare sul tetto, non bisogna metter lutto.[fonte 8] Per quanto alletti la bellezza di un fiore, nessuno lo coglie se ha cattivo odore.[fonte 4] Per san Lorenzo la noce è fatta.[fonte 2] Per San Lorenzo la noce si spacca nel mezzo.[fonte 197] Per san Lorenzo piove dal cielo carbone ardente.[fonte 2] Per Santa Caterina [25 novembre], le bestie fuori dalla cascina.[fonte 198] Per trovare ingiustizie non occorrono lanterne.[fonte 4] Per un chiodo si perde un ferro, e per un ferro un cavallo.[fonte 8] Per un punto Martin perse la cappa.[63][fonte 2] Per una scopa formano un mercato tre donne e assordan tutto il vicinato.[fonte 8] Perde le lacrime chi piange davanti al giudice.[fonte 4] Perdona a tutti, ma non a te.[fonte 199] Perdonare è da uomini, scordare è da bestie.[fonte 199] Pesce che va all'amo, cerca d'esser gramo.[fonte 8] Pianta a cui spesso si muta luogo, non prende vigore.[fonte 4] Piccola fiamma non fa gran luce.[fonte 8] Piccola pietra rovesciar può il carro.[fonte 8] Piccola scintilla può bruciar la villa.[fonte 8] Piccole ruote portano gran pesi.[fonte 8] Piccolo ago scioglie stretto nodo.[fonte 8] Piglia il bene quando viene, ed il male quando conviene.[fonte 8] Piove sempre sul bagnato.[fonte 2] Pisa, pesa per chi posa.[fonte 8] Più alta la condizione, più si deve essere umili.[fonte 8] Più briccone, più fortunato.[fonte 4] Più il fiume è profondo, più scorre il silenzio.[fonte 4] Più si chiacchiera, meno si ama.[fonte 8] Piuttosto un asino che porti, che un cavallo che butti in terra.[fonte 87] Poca brigata vita beata.[fonte 1] Poeta si nasce, oratori si diventa.[fonte 200] Poeti e Santi campano tutti quanti.[fonte 201] Poeti, pittori e pellegrini a fare e a dire sono indovini.[fonte 8] Polenta e latte bollito, in quattro salti è digerito.[fonte 8] Portare frasconi a Vallombrosa.[fonte 4] Prendi la bruna per amante e la bionda per moglie.[fonte 8] Preghiera di gatto e brontolio di pulce non arrivano in cielo.[fonte 131] Preghiera umile entra in cielo.[fonte 8] Presto e bene, raro avviene.[fonte 8] Prete spretato e cavolo riscaldato, non fu mai buono.[64] Prevedere per provvedere e prevenire.[fonte 202] Prima della morte non chiamare nessuno felice.[fonte 4] Prima di ammogliarsi bisogna fare il nido.[fonte 4] Prima di andare alla pesca esamina ben bene la tua rete.[fonte 8] Prima di domandare, pensa alla risposta.[fonte 203] Prima lusingare e poi graffiare, è arte dei gatti.[fonte 8] Prodigo e bevitor di vino, non fa né forno né mulino.[fonte 8] Pugliesi, cento per forca e un per paese.[fonte 8] Puoi ben drizzare il tenero virgulto, non l'albero già fatto adulto.[fonte 4] Putto in vino e donna in latino non fecero mai buon fine.[fonte 4] Q Qual proposta tal risposta.[fonte 1] Qualche intervallo il pazzo ha di saviezza, qualche intervallo il savio ha di stoltezza.[fonte 8] Qualche volta anche Omero sonnecchia.[fonte 204] Quale uccello, tale il nido.[fonte 205] Quand'anche si trapiantassero in paradiso, i cardi non porterebbero mai rose.[fonte 8] Quando arriva la gloria svanisce la memoria.[fonte 2] Quando c'è l'esercito, si trova anche il generale.[fonte 4] Quando c'è la salute c'è tutto.[fonte 57] Quando canta la rana, la pioggia non è lontana.[fonte 8] Quando ci sono molti galli a cantare non si fa mai giorno.[fonte 16] Quando è alta la passione, è bassa la ragione.[fonte 206] Quando è finito il raccolto dei datteri, ciascuno trova da ridire alla palma.[fonte 8] Quando fischia l'orecchio dritto, il cuore è afflitto; quando il manco, il cuore è franco.[fonte 8] Quando gli eretici si accapigliano, la chiesa ha pace.[fonte 4] Quando il colombo ha il gozzo pieno, le vecce gli sembrano amare.[fonte 8] Quando il culo è avvezzo al peto non si può tenerlo cheto.[fonte 2] Quando il fanciullo è satollo anche il miele non ha più gusto.[fonte 4] Quando il fanciullo ha sette anni, la ragione spunta in lui.[fonte 207] Quando il gatto lecca il pelo viene acqua giù dal cielo.[fonte 38] Quando il gatto non c'è i topi ballano.[fonte 1] Quando il gatto non può arrivare al lardo dice che è rancido.[fonte 8] Quando il gatto si lecca e si sfrega le orecchie con la zampina, pioverà prima che sia mattina.[fonte 8] Quando il gozzo è pieno, le ciliegie sono acerbe.[fonte 8] Quando il grano ricasca, il contadino si rizza.[fonte 57] Quando il grano va a male, bisogna ringraziare Dio per la paglia.[fonte 8] Quando il lardo è divorato, poco val cacciare il gatto.[fonte 8] Quando il mandorlo non frutta, la semente ci va tutta.[fonte 8] Quando il padrone zoppica, il servo non va diritto.[fonte 8] Quando il sole splende, non ti curar della luna.[fonte 8] Quando il tempo è chiaro in autunno, vento nell'inverno.[fonte 4] Quando in autunno sono grassi i tassi e le lepri, l'inverno è rigoroso.[fonte 4] Quando l'amore è a pezzi non c'è alcuna colla che lo riappiccichi.[fonte 8] Quando l'angelo diventa diavolo, non c'è peggior diavolo.[fonte 4] Quando l'avaro muore, il danaro respira.[fonte 4] Quando l'Italia suona la chitarra, la Spagna le nacchere, la Francia il liuto, l'Irlanda l'arpa, la Germania la tromba, l'Inghilterra il violino, l'Olanda il tamburo, nulla è uguale ad esse.[fonte 8] Quando la barba fa bianchino, lascia la donna e tienti al vino.[fonte 208] Quando la cicala canta in settembre, non comprare gran da vendere.[fonte 8] Quando la fame entra dalla porta, l'amore esce dalla finestra.[fonte 8] Quando la grazia di Dio è nel cuore, gli occhi nuotano nell'allegria.[fonte 4] Quando la guerra comincia s'apre l'inferno.[fonte 4] Quando la neve si scioglie si scopre la mondezza.[fonte 1] Quando la pera è matura casca da sé.[fonte 1] Quando la pera è matura bisogna che caschi.[fonte 16] Quando la radice è tagliata, le foglie se ne vanno.[fonte 8] Quando la ragione dorme, il cuore scappuccia.[fonte 8] Quando la luna è bianca il tempo è bello; se è rossa, vuole dire vento; se pallida, pioggia.[fonte 4] Quando la rana canta il tempo cambia.[fonte 8] Quando non dice niente, non è dal savio il pazzo differente.[fonte 8] Quando non sai, frequenta in domandare.[fonte 209] Quando piove col sole le vecchie fanno l'amore.[fonte 1] Quando piove col sole il diavolo fa l'amore.[fonte 1] Quando piove col sole le streghe fanno l'amore.[fonte 2] Quando piove col sole si marita la volpe.[65][fonte 2] Quando piove d'agosto, piove miele e mosto.[fonte 8] Quando si è in ballo bisogna ballare.[fonte 1] Quando si è patito si è inclini a compatire.[fonte 4] Quando si mangia non si parla.[fonte 57] Quando sono fidanzate hanno sette mani e una lingua, quando sono sposate hanno sette lingue e una mano.[fonte 8] Quando un amico chiede, non v'è domani.[fonte 210] Quando un povero dà al ricco, Dio ride in cielo.[fonte 8] Quando una cosa è accaduta, poco vale lamentarsi.[fonte 8] Quando viene la forza, il diritto è morto.[fonte 4] Quanto più è alto il monte, tanto più profonda la valle.[fonte 4] Quanto più la rana si gonfia, più presto crepa.[fonte 8] Quanto più se n'ha, tanto più se ne vorrebbe.[fonte 4] Quattro lumi non s'accendono.[fonte 2] Quattro nuove invenzioni vanta il mondo: scorticare senza coltello, arrostire senza fuoco, lavare senza sapone, e invece degli occhiali vedere attraverso le dita.[fonte 4] Quel ch'è innato per natura, si porta alla sepoltura.[fonte 8] Quel ch'è raro, è stimato.[fonte 8] Quel che con l'acqua mischia e guasta il vino, merita di bere il mare a capo chino.[fonte 8] Quel che è disposto in cielo, conviene che sia.[fonte 4] Quel, che è fatto, è fatto, e non si può fare, che fatto non sia.[fonte 211] Quel che è fatto è reso.[fonte 2] Quel che non può l'ìngegno, può spesso la fortuna.[fonte 4] Quel che non puoi pagare col denaro, pagalo almeno col ringraziamento.[fonte 8] Quel che è gioco per il forte per il debole è morte.[fonte 8] Quel che si dà al ricco, si ruba al povero.[fonte 8] Quel che si fa a fin di bene, non dispiace mai a Dio.[fonte 4] Quel che si fa all'oscuro, appare al sole.[fonte 4] Quel che supera il mio intelletto, lo lascio stare.[fonte 4] Quella bellezza l'uomo saggio apprezza che dura sempre, fino alla vecchiaia.[fonte 4] Quelli che hanno meno ingegno, ne hanno da vendere più degli altri.[fonte 4] Quello che abbaia è il cane sdentato.[fonte 4] Quello che deve durare per l'eternità non si deve scrivere con l'acqua.[fonte 4] Quello che è accaduto ieri, può accadere oggi.[fonte 4] Quello che è passato, è scordato.[fonte 4] Quello che ha da essere, sarà.[fonte 4] Quello che non avviene oggi, può avvenire domani.[fonte 4] Quello che non è stato può essere.[fonte 4] Quello che non può l'intelletto, può spesso il caso.[fonte 4] Quello che puoi fare oggi, non rimandarlo a domani.[fonte 4] Quello che si dice all'eco nel bosco, il bosco lo ripete.[fonte 4] Quello che si impara in gioventù, non si dimentica mai più.[fonte 4] Quello che si usa non si scusa.[fonte 212] Quello è mio zio, che vuole il bene mio.[fonte 4] Quello è un fanciullo accorto che conosce suo padre.[fonte 4] Questo devi sapere che la gelosia di un Arabo è la stessa gelosia.[fonte 4] Quieta non muovere.[fonte 16] R Raglio d'asino non giunse mai al cielo.[fonte 2] Rana di palude sempre si salva.[fonte 8] Rane, malsane.[fonte 8] Render nuovi benefici all'ingratitudine è la virtù di Dio e dei veri uomini grandi.[fonte 8] Ricchezza mal disposta a povertà s'accosta.[fonte 8] Ricchezze nell'India, sapere in Europa, e pompa fra gli ottomani.[fonte 8] Ricchi e poveri non portano che un lenzuolo all'altro mondo.[fonte 8] Ricco e grande fortuna potrà farti, ma mai il comune senso potrà darti.[fonte 4] Ricorda che il nemico può diventarti amico.[fonte 8] Ride ben chi ride ultimo.[fonte 2] Ride ben chi ride l'ultimo.[fonte 2] Roba calda il corpo non salda.[fonte 213] Roba d'altri, tutti scaltri.[fonte 4] Roma, a chi nulla in cent'anni, a chi molto in tre dì.[fonte 8] Roma non fu fatta in un giorno.[fonte 2] Roma santa, Aquila bella, Napoli galante.[fonte 214] Rosso di mattina, pioggia vicina.[fonte 215] Rosso di sera bel tempo si spera; rosso di mattina acqua vicina.[fonte 2] Rosso di sera, buon tempo si spera; rosso di mattina mal tempo si avvicina.[fonte 1] Rosso e giallaccio pare bello ad ogni faccia, verde e turchino si deve essere più che bellino.[fonte 216] Rovo, in buona terra covo.[fonte 169] S Salta chi può.[fonte 1] San Benedetto[66] la rondine sotto il tetto.[fonte 2] San Lorenzo dalla gran calura.[fonte 2] San Pietro abbracciato, Cristo negato.[fonte 4] San Silvestro [31 dicembre] l'oliva nel canestro.[fonte 2] Sangue giovane sempre spavaldo.[fonte 8] Sasso che rotola non fa muschio.[fonte 47] Pietra che rotola non fa muschio.[fonte 2] Sbagliando s'impara.[fonte 1] Scalda più l'amore che mille fuochi.[fonte 8] Scherza coi fanti e lascia stare i Santi.[fonte 1] Scherzando intorno al lume che t'invita, farfalla perderai l'ali e la vita.[fonte 65] Scherzo di mano, scherzo di villano.[fonte 1] Gioco di mano, gioco di villano.[fonte 1] Schiena di mulo, corso di barca, buon per chi n'accatta.[fonte 8] Scusa non richiesta, accusa manifesta.[67][fonte 217] Se ari male, peggio mieterai.[fonte 47] Se fossero buoni i nipoti non si leverebbero dalla vigna.[fonte 218] Se gioventù sapesse, se vecchiaia potesse.[fonte 167] Se i gatti sapessero volare, le beccacce sarebbero rare.[fonte 131] Se il coltivatore non è più forte della su' terra questa finisce per divorarlo.[fonte 47] Se il ladro lasciasse il suo rubare, non ci sarebbero più forche.[fonte 4] Se il giovane sapesse di quanto ha bisogno la vecchiaia, chiuderebbe spesso la borsa.[fonte 4] Se il padre di famiglia è miope, i servi sono ciechi.[fonte 8] Se il piede destro è zoppo, Dio rafforza il sinistro.[fonte 8] Se il poeta s'erige a oratore predicherà agli orecchi e non al cuore.[fonte 8] Se il primo bottone hai fatto essere secondo, tutti sbagliati saranno da cima a fondo.[fonte 4] Se il re sputa sopra un abete si chiama subito abete reale.[fonte 4] Se il ricco conoscesse la fame del povero, gli darebbe del suo pane.[fonte 8] Se il ringraziare costasse denaro, molti se lo terrebbero in tasca.[fonte 8] Se il tuo gatto è ladro non scacciarlo di casa.[fonte 8] Se il virtuoso è povero, il lodarlo non basta; il dovere primo è d'aiutarlo.[fonte 8] Se la pazzia fosse dolore, in ogni casa si sentirebbe stridere.[fonte 8] Se le lattughe lasci in guardia alle oche, al ritorno ne troverai ben poche.[fonte 219] Se ne vanno gli amori e restano i dolori.[fonte 4] Se nessuno sa quel che sai, a nulla serve il tuo sapere.[fonte 8] Se non è zuppa è pan bagnato.[fonte 1] Se non hai mai rubato, la parola ladro non è per te un'ingiuria.[fonte 4] Se occhio non mira, cuor non sospira.[fonte 8] Se ognun spazzasse da casa sua, tutta la città sarebbe netta.[fonte 220] Se piovesse oro, la gente si stancherebbe a raccoglierlo.[fonte 8] Se son rose fioriranno.[fonte 1] Se ti vuoi nutrire bene, fai ballare i trentadue.[fonte 8] Se un fratello compie un omicidio, gli altri non sono responsabili.[fonte 4] Se vuoi che t'ami, fa' che ti brami.[fonte 8] Se vuoi portare l'uomo a incretinire, fallo ingelosire.[fonte 4] Segui il filo e troverai il gomitolo.[fonte 4] Senza denari non canta un cieco.[fonte 1] Senza denari non si canta messa.[fonte 1] Senza umiltà tutte le virtù sono vizi.[fonte 8] Sempre ti graffierà chi nacque gatto.[fonte 8] Senza umanità non vi è né virtù, né vero coraggio, né gloria durevole.[fonte 8] Seren d'inverno e nuvolo d'estate, non ti fidare.[fonte 4] Sette in un colpo! disse quel sarto che aveva ammazzato sette mosche.[fonte 8] [wellerismo] Settembre, l'uva è fatta e il fico pende.[fonte 16] Si bacia il fanciullo a causa della madre, e la madre a causa del fanciullo.[fonte 4] Si deve alzare di buon'ora chi vuol contentare i suoi vicini.[fonte 8] Si dice il peccato, ma non il peccatore.[fonte 2] Si mantiene un esercito per mille giorni, e non se ne fa uso che per un momento.[fonte 4] Si parla del diavolo e spuntano le corna.[fonte 130] Si può conoscere la tua opinione dal tuo sbadigliare.[fonte 8] Si può vivere senza fratelli ma non senza amici.[68] Si stava meglio quando si stava peggio.[69][fonte 2] Sia l'astrologo che l'indovina ti portano alla rovina.[fonte 4] Sicuro come il pane.[fonte 4] Sin che si vive, s'impara sempre.[fonte 4] Sol gente di mal'affare, bestie e botte, van fuori di notte.[fonte 221] Son padrone del mondo oggi le donne e cedon toghe e spade a cuffie e gonne.[fonte 8] Sono meglio cento beffe che un danno.[fonte 4] Sono sempre gli stracci che vanno all'aria.[fonte 1] Sopra l'albero caduto ognuno corre a fare legna.[fonte 4] Sopra ogni vino, il greco è divino.[fonte 8] Sotto la neve pane, sotto l'acqua fame.[fonte 1] Spesso a chiaro mattino, v'è torbida sera.[fonte 222] Spesso chi commette un'ingiustizia, ne subisce una peggiore.[fonte 4] Spesso vince più l'umiltà che il ferro.[fonte 8] Sposa bagnata sposa fortunata.[fonte 223] Stretta la foglia, larga la via dite la vostra che ho detto la mia.[fonte 2] Larga la foglia, stretta la via dite la vostra che ho detto la mia.[fonte 2] Stringe più la camicia che la gonnella.[fonte 4] Studia non per sapere di più, ma per sapere meglio degli altri.[fonte 224] Studio in gioventù, onore alla vecchiaia.[fonte 4] Sulla pelle della serpe nessuno guarda alle macchie.[fonte 8] Superbia povera spiace anche al diavolo; umiltà ricca piace anche a Dio.[fonte 8] T T'annoia il tuo vicino? Prestagli uno zecchino.[fonte 4] Tagliare i capelli con la pentola.[fonte 225] Tagliarli male. Tal lascia l'arrosto che poi brama il fumo.[fonte 4] Tale padre, tale figlio.[70][fonte 2] Tanti galli a cantar non fa mai giorno.[fonte 1] Tanti idoli, tanti templi.[fonte 4] Tanti pochi fanno un assai.[fonte 226] Tanto fumo e poco arrosto.[fonte 2] Tanto l'amore quanto il fuoco devono essere attizzati.[fonte 8] Tanto l'amore quanto la minestra di fagioli vogliono uno sfogo.[fonte 8] Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.[fonte 1] Tempo chiaro e dolce a capodanno, assicura bel tempo tutto l'anno.[fonte 8] Tenga bene a mente un bugiardo quando mente.[fonte 4] Tentar non nuoce.[fonte 1] Terra assai, terra poca.[fonte 169] Terra bianca, tosto stanca.[fonte 227] Terra coltivata raccolta sperata.[fonte 2] Terra nera buon grano mena.[fonte 2] Testa di lucertola, collo di gru, gambe di ragno, pancia di vacca, groppa di baldracca.[fonte 8] Testa di pazzo non incanutisce mai.[fonte 8] Tinca di maggio e luccio di settembre.[fonte 8] Tinca in camicia, luccio in pelliccia.[fonte 8] Tira più un pelo di fica che cento paia di buoi.[fonte 2] Tira più un capello di donna che cento paia di buoi.[fonte 8] Tolta la causa, cessato l'effetto.[fonte 8] Tondi l'agnello e lascia il porcello.[fonte 8] Torinesi e Monferrini, pane, vino e tamburini.[fonte 8] Tra cani non si mordono.[fonte 1] Tra i due litiganti il terzo gode.[fonte 1] Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.[fonte 1] Tra l'incudine e il martello, mano non metta chi ha cervello.[fonte 4] Tra moglie e marito non mettere il dito.[fonte 1] Tradimento piace assai, traditor non piace mai.[fonte 148] Trattar male il povero è il disonor del ricco.[fonte 8] Tre cose cacciano l'uomo di casa: fumo, goccia e femmina arrabbiata.[fonte 4] Tre cose fanno l'uomo ammalato: amore, vino e bagno.[fonte 8] Tre cose simili: prete, avvocato e morte. Il prete toglie dal vivo e dal morto; l'avvocato vuol del diritto e del torto; e la morte vuole il debole e il forte.[fonte 142] Tre cose sono rare: un buon melone, un buon amico e una buona moglie.[fonte 8] Tre sono le meraviglie, Napoli, Roma e la faccia tua.[fonte 228] Trenta monaci e un abate non farebbero bere un asino per forza.[fonte 4] Triste e guai, chi crede troppo e chi non crede mai.[fonte 8] Triste quel cane che si lascia prendere la coda in mano.[fonte 8] Triste quell'estate, che ha saggina e rape.[fonte 8] Tromba di culo, sanità di corpo.[fonte 213] Troppa manna, nausea.[fonte 8] Troppa modestia è orgoglio mascherato.[fonte 8] Troppe soddisfazioni tolgono ogni voglia.[fonte 8] Troppi cuochi guastano la cucina.[fonte 1] Troppo povero e troppo ricco fa ugual disgrazia.[fonte 8] Tu scherzi col tuo gatto e l'accarezzi, ma so ben io qual fine avran quei vezzi.[fonte 8] Turchi e Tartari, flagelli dei popoli.[fonte 229] Tutta la strada non fallisce il saggio che, accortosi a metà, corregge il viaggio.[fonte 4] Tutte le cose sono difficili prima di diventar facili.[fonte 70] Tutte le strade portano a Roma.[fonte 1] Tutte le volpi si ritrovano in pellicceria.[fonte 2] Tutte le volpi si rivedono in pellicceria.[fonte 2] Tutte le volte che si ride si toglie un chiodo dalla cassa.[fonte 230] Tutti del pazzo tronco abbiamo un ramo.[fonte 8] Tutti i fiumi vanno al mare.[fonte 1] Tutti i giorni sono buoni per andare a caccia. ma non per prendere uccelli.[fonte 4] Tutti i guai son guai, ma il guaio senza pane è il più grosso.[fonte 1] Tutti i gusti son gusti.[fonte 1] Tutti i mestieri danno il pane.[fonte 231] Tutti i nodi vengono al pettine.[fonte 1] Tutti i peccati mortali sono femmine.[fonte 8] Tutti i salmi finiscono in gloria.[fonte 1] Tutti siamo figli di Adamo ed Eva.[fonte 190] Tutto ciò che dura a lungo annoia.[fonte 8] Tutto è bene quel che finisce bene.[71][fonte 1] Tutto il cervello non è in una testa.[fonte 4] Tutto il mondo è paese.[72][fonte 1] Tutto quello che è bianco non è farina.[fonte 4] Tutto s'accomoda fuorché l'osso del collo.[fonte 31] U Uccellin che mette coda vuol mangiare a tutte l'ore.[fonte 2] Uccello raro ha nido raro.[fonte 8] Ucci ucci, sento odor di cristianucci.[fonte 2] Umiltà e cortesia adornano più di una veste tessuta d'oro.[fonte 8] Un bel tacer non fu mai scritto.[73][fonte 2] Un'anima magnanima consulta le altre; un'anima volgare disprezza i consigli.[fonte 8] Un'oncia di allegria vale più di una libbra di tristezza.[fonte 232] Un'ora di contento sconta cent'anni di tormento.[fonte 233] Un abete non fa foresta.[fonte 4] Un bell'abito è una lettera di raccomandazione.[fonte 4] Un buon abate loda sempre il suo convento.[fonte 4] Un buon principio va sempre a buon fine.[fonte 4] Un cattivo libro ha spesso un buon titolo, ed una fronte onesta, un cervello ribaldo.[fonte 4] Un cuor magnanimo vuol sempre il bene, anche se il premio mai non ottiene.[fonte 8] Un esercito senza generale è come un corpo senz'anima.[fonte 4] Un fido amico, e ricchezze ben acquistate son due cose rare.[fonte 8] Un fratello aiuta l'altro.[fonte 4] Un granello fa traboccare la bilancia.[fonte 4] Un granello di polvere fa scoppiare tutta la bomba.[fonte 4] Un ladro non ruba sempre, ma bisogna guardarsi da lui.[fonte 4] Un lume è più presto spento che acceso.[fonte 4] Un male tira l'altro.[fonte 4] Un padre campa cento figli e cento figli non campano un padre.[fonte 2] Un pazzo ne fa cento.[fonte 8] Un piccolo buco fa affondare un gran bastimento.[fonte 8] Un povero virtuoso val più di un ricco vizioso.[fonte 8] Una bella barba e un cuor valente adornano l'uomo.[fonte 4] Una bella giornata non fa estate.[fonte 4] Una bella lacrima trova facilmente un fazzoletto che la asciughi.[fonte 4] Una bugia ha bisogno di sette bugie.[fonte 4] Una buona risata si trasforma tutta in buon sangue.[fonte 232] Una ciliegia tira l'altra.[fonte 2] Una cosa tira l'altra.[fonte 16] Una estate vale più di dieci inverni.[fonte 4] Una parola tira l'altra.[fonte 2] Una e buona.[fonte 16] Una ma buona.[fonte 16] Una fa, due stentano, ma a tre ci vuol la serva.[fonte 8] Una Fenice fra le donne è quella, che altra donna confessa essere bella.[fonte 8] Una mano lava l'altra e tutte e due lavano il viso.[fonte 1] Una mela al giorno leva il medico di torno.[fonte 2] Una ne paga cento.[fonte 1] Una ne paga tutte.[fonte 1] Una rondine non fa primavera.[fonte 1] Un fiore non fa giardino.[fonte 4] Un fiore non fa primavera.[fonte 4] Una volta corre il cane e una volta la lepre.[fonte 1] Una volta per uno non fa male a nessuno.[fonte 1] Uno semina, l'altro raccoglie.[fonte 72] Uno si fa la sorte da sé, l'altro la riceve bell'e fatta.[fonte 8] Uomo a cavallo, sepoltura aperta.[fonte 2] Uomo avvisato mezzo salvato.[fonte 1] Uomo da nessuno invidiato, è uomo non fortunato.[fonte 4] Uomo di vino, non vale un quattrino.[fonte 8] Uomo morto non fa più guerra.[fonte 234] Uomo senza quattrini è un morto che cammina.[fonte 2] Uomo solitario, o angelo o demone.[fonte 235] Uomo zelante, uomo amante.[fonte 4] L'uomo misero è un morto che cammina.[fonte 2] Uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, donna di quindici e amici di trent'anni.[fonte 8] V Va' in piazza vedi e odi, torna a casa bevi e godi.[fonte 236] Va più di un asino al mercato.[fonte 4] Val più un piacere da farsi che cento di quelli fatti.[fonte 8] Val più una messa in vita che cento in morte.[fonte 4] Vale più la pratica che la grammatica.[fonte 1] Vale più un fatto che cento parole.[fonte 237] Vale più un gusto che un casale.[fonte 1] Vale più un testimone di vista che cento d'udito.[fonte 2] Vale più uno a fare.[fonte 16] Vanga e zappa non vuol digiuno.[fonte 47] Vanga piatta poco attacca, vanga ritta terra ricca, vanga sotto ricca il doppio.[fonte 2] Vecchi doni vogliono nuovi ringraziamenti.[fonte 8] Vecchiaia d'aquila, giovinezza d'allodola.[fonte 4] Vedere e non toccare è una cosa da crepare.[fonte 2] Vedere per credere.[fonte 238] Vento fresco mare crespo.[fonte 239] Ventre pieno non crede a digiuno.[fonte 16] Ventre vuoto non sente ragioni.[fonte 16] Vesti un legno, pare un regno.[fonte 41] Vi sono dei matti savi, e dei savi matti.[fonte 8] Vicino alla chiesa lontano da Dio.[fonte 2] Vicino alla serpe c'è il biacco.[fonte 8] Vigna nel sasso e orto in terren grasso.[fonte 240] Vincere un ambo al lotto è un malefizio, che più accresce la speranza al vizio.[fonte 8] Vino amaro, tienilo caro.[fonte 8] Vino battezzato non vale un fiato.[fonte 8] Vino battezzato, non va al palato.[fonte 8] Vino dentro, senno fuori.[fonte 8] Vino di fiasco la sera buono e la mattina guasto.[fonte 8] Vino e sdegno fan palese ogni disegno.[fonte 8] Vino non è buono che non rallegra l'uomo.[fonte 8] Violenza non dura a lungo.[fonte 241] Vivi e lascia vivere.[fonte 1] Vizio di natura fino alla fossa dura.[fonte 2] Vizio di natura, fino alla morte dura.[fonte 242] Voglia di lavorar saltami addosso, lavora tu per me che io non posso.[fonte 243] Voglio piuttosto un asino che mi porti, che un cavallo che mi getti in terra.[fonte 4] Volpe che dorme, ebreo che giura, donna che piange, malizie sopraffine colle frange.[fonte 4] Note  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Matteo, 6, 34.  La locuzione latina gutta cavat lapidem (letteralmente "la goccia perfora la pietra") venne utilizzata da Tito Lucrezio Caro, Publio Ovidio Nasone e Albio Tibullo. Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Titolo di un'opera di Achille Campanile del 1930, passato a proverbio e modo di dire comune.  Cfr. Petrarca: «La vita el fin, e 'l dí loda la sera».  Cfr. Giacomo Leopardi: «Amore, | amor, di nostra vita ultimo inganno, | t'abbandonava».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Giovanni Verga, I Malavoglia.  Slogan pubblicitario degli anni Ottanta.  Cfr. Gesù, Discorso della Montagna: «Cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova».  Cfr. Gesù, Vangelo secondo Matteo: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Citato in Giovanni Battista Rossi, Conferenze popolari per gli uomini nel tempo degli esercizi spirituali, Tappi, Torino, 1896, p. 164.  Citato nel film Riso amaro.  Citato in Dizionario Italiano Olivetti, dizionario-italiano.it.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Libro di Osea: «E poiché hanno seminato vento | raccoglieranno tempesta».  Cfr. attribuite a Papa Bonifacio VIII: «Qui tacet, consentire videtur».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Cristoforo Poggiali, Proverbj, motti e sentenze ad uso ed istruzione del popolo, 1821: «Chi dà a credenza, molte merci spaccia; | Ma un presto fallimento si procaccia».  Cfr. Appio Claudio Cieco, Sententiae: «Quisque faber fortunae suae.»  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  La frase è attribuita (Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine, II, 3; Giovanni Villani, Nuova Cronica, VI, 38) a Mosca dei Lamberti che, nel 1215, a Firenze, convinse così gli Amidei a uccidere Buondelmonte de' Buondelmonti; dal delitto nacquero le fazioni dei guelfi e dei ghibellini. Citato anche nella Divina Commedia di Dante Alighieri (Inferno, 28, 106-108): Gridò: "Ricordera' ti anche del Mosca, | che disse, lasso!, 'Capo ha cosa fatta', | che fu mal seme per la gente tosca". È possibile che Mosca dei Lamberti adattò al momento un proverbio già noto ai suoi tempi (Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921); secondo l'Accademia della Crusca (Dizionario della lingua italiana, 1827) corrisponderebbe al latino «Factum infectum fieri nequit».  Cfr. Gesù, Vangelo secondo Matteo: «Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Philippe Néricault Destouches, Le Glorieux, atto II, scena V: «La critique est aisée, et l'art est difficile.».  Cfr. «Facta lex inventa fraus.»  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Riferito all'uso di numeri civici di colore nero per le abitazioni e rosso per gli esercizi commerciali.  Cfr. Michail Aleksandrovič Bakunin: «Il caffè, per esser buono, deve essere nero come la notte, dolce come l'amore e caldo come l'inferno».  Cfr. Blaise Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce».  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Nei dialetti siciliani e nel napoletano l'arancia viene chiamata portogallo.  La spiegazione è in Strafforello, vol. III, p. 329.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Veste da lavoro usata, specialmente in Toscana, da contadini e operai.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Cfr. Ippocrate: «La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione è fugace, l'esperienza è fallace, il giudizio è difficile».  Citato in Dizionario Italiano, dizionario-italiano.it.  Cfr. voce dedicata Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  itato in Dizionario Italiano Olivetti.  Cfr. Gesù, Vangelo secondo Luca: «Nessun profeta è ben accetto in patria».  Cfr. Etica della reciprocità.  Cfr. anche Salvator Rosa, iscrizione riportato su un autoritratto: «Aut tace | aut loquere meliora | silentio.».  Questo detto, ripreso dal Libro dell'Esodo («occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido»), è chiamato Legge del taglione.  Il proverbio compare in una novella del Decameron di Giovanni Boccaccio (la quarta della prima giornata). Cfr. Focus storia n. 49, novembre 2010, p. 74.  2 febbraio: in tale giorno la Chiesa cattolica celebra la presentazione al Tempio di Gesù (Luca 2,22-39), popolarmente chiamata festa della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo. La festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo l'usanza ebraica, una donna era considerata impura del sangue mestruale per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre.  Cfr. voce dedicata su Wikipedia.  Citato in Vocabolario degli accademici della Crusca, vol II, parte 2, Tipografia Galileiana di M. Cellini e c., Firenze, 1863, p. 726.  Una leggenda simile esiste anche in Giappone: i demoni-volpe (le kitsune) preferirebbero celebrare i loro matrimoni sotto la pioggia mentre splende il sole; il regista Akira Kurosawa ne prese spunto per il primo episodio (Raggi di sole nella pioggia) del film Sogni (1990).  21 marzo, prima della riforma del calendario liturgico del 1969.  Cfr. Proverbio latino medievale: Excusatio non petita, accusatio manifesta.  Citato in Macfarlane, p. 256.  Attribuita a Francesco Domenico Guerrazzi.  Cfr. Libro di Ezechiele: «Ecco, ogni esperto di proverbi dovrà dire questo proverbio a tuo riguardo: Quale la madre, tale la figlia».  Titolo di una commedia di William Shakespeare, scritta fra il 1602 e il 1603.  Cfr. Petronio Arbitro, Satyricon, 45, 4.  Cfr. Iacopo Badoer: «Un bel tacer | mai scritto fu». Fonti  Citato ne Il nuovo Zingarelli.  Citato in Lapucci.  Citato in Carlo Volpini, 516 proverbi sul cavallo, Cisalpino-Goliardica, 1984.  Citato in Donato.  Citato in Max Pfister, Lessico etimologico italiano, vol. 3, Reichert, 1987.  Citato in Schwamenthal, § 14.  Citato in Schwamenthal, § 29.  Citato in Selene.  Citato in Marino Ferrini, I proverbi dei nonni, Il Leccio, 2002³.  Citato in Schwamenthal, § 52.  Citato in Schwamenthal, § 78.  Citato in Schwamenthal, § 85.  Citato in Schwamenthal, § 122.  Citato in Schwamenthal, § 123.  Citato in Schwamenthal, § 131.  Citato in Vocabolario della lingua italiana.  Citato in Schwamenthal, § 170.  Citato in Macfarlane, p. 118.  Citato in Schwamenthal, § 278.  Citato in Schwamenthal, § 235.  Citato in Schwamenthal, § 242.  Citato in Schwamenthal, § 243.  Citato in Schwamenthal, § 255.  Citato in Schwamenthal, § 281.  Citato in Schwamenthal, § 281.  Citato in Schwamenthal, § 288.  Citato in Schwamenthal, § 290.  Citato in Schwamenthal, § 290.  Citato in Castagna 1866, p. 137.  Citato in Schwamenthal, § 317.  Citato in Vezio Melegari, Manuale della barzelletta, Mondadori, Milano, 1976, p. 35.  Citato in Macfarlane, p. 352.  Citato in Francesco Protonotari, Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, volume settimo, Direzione della nuova antologia, Firenze, 1868, p. 454.  Citato in Grisi, p. 34.  Citato in Daniela Schembri Volpe, 101 perché sulla storia di Torino che non puoi non sapere, Newton Compton Editori, 2018, p. 121. ISBN 978-88-227-2521-9  Citato in Pescetti, p. 123.  Citato in Grisi, p. 254.  Citato in Paronuzzi, p. 68.  Citato in Schwamenthal, § 585.  Citato in Giulio Franceschi, Proverbi e modi proverbiali italiani, Hoepli, 1908.  Citato in Macfarlane, p. 83.  Citato in Grisi, p. 24.  Citato in Schwamenthal, § 768.  Citato in Schwamenthal, § 804.  Citato in Schwamenthal, § 805.  Citato in Volpini, p. 137.  Citato in Francesco Picchianti, Proverbi italiani, A. Salani, 1886.  Citato in Schwamenthal, § 848.  Citato in Schwamenthal, § 854.  Citato in Schwamenthal, § 878.  Citato in Schwamenthal, § 886.  Citato in Castagna 1866, p. 172.  Citato in Grisi, p. 113.  Citato in Schwamenthal, § 906.  Citato in Augusto Arthaber, Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali, Hoepli, 1972.  Citato in Macfarlane, p. 276.  Citato in Temistocle Franceschi, Atlante paremiologico italiano, Edizioni dell'Orso, 2000.  Citato in Macfarlane, p. 214.  Citato in Schwamenthal, § 1066.  Citato in Grisi, p. 11.  Citato in Macfarlane, p. 171.  Citato in Amadeus Voldben, Il giardino della saggezza, Amedeo Rotondi, 1967.  Citato in Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini, Dizionario della lingua italiana, 1872, Unione Tipografico-Editrice Torinese, vol. IV, p. 369.  Citato in Macfarlane, p. 281.  Citato in Grisi, p. 106.  Citato in Schwamenthal, § 1324.  Citato in Schwamenthal, § 1365.  Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 583.  Citato in Grisi, p. 247.  Citato in Macfarlane. Citato in Schwamenthal, § 1541.  Citato in Emanuel Strauss, Concise Dictionary of European Proverbs, Routledge, 2013.  Citato in Macfarlane, p. 112.  Citato in Giuseppe Giusti, Dizionario dei proverbi italiani.  Citato in Macfarlane, p. 364.  Citato in Macfarlane, p. 299.  Citato in Macfarlane, p. 122.  Citato in Schwamenthal, § 1742.  Citato in Schwamenthal, § 1744.  Citato in Schwamenthal, § 1753.  Citato in Schwamenthal, § 1754.  Citato in Schwamenthal, § 1762.  Citato in Schwamenthal, § 1788.  Citato in Schwamenthal, § 1796.  Citato in Filippo Moisè, Storia della Toscana dalla fondazione di Firenze fino ai nostri giorni, V. 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Swenson, Proverbi e modi proverbiali, Nerbini, 1931.  Citato in Grisi, p. 109.  Citato in Ugo Rossi-Ferrini, Proverbi agricoli, I Fermenti, 1931.  Citato in Grisi, p. 39.  Citato in Schwamenthal, § 3271.  Citato in Castagna 1866, p. 18.  Citato in Carlo Giuseppe Sisti, Agricoltura pratica della Lombardia, Milano, 1828, p. 99.  Citato in Schwamenthal, § 3296.  Citato in Schwamenthal, § 3528.  Citato in Florio, lettera N.  Citato in Schwamenthal, § 3566.  Citato in Schwamenthal, § 3630.  Citato in Castagna 1866, p. 75.  Citato in Paronuzzi, p. 66.  Citato in Schwamenthal, § 3674.  Citato in Pescetti, p. 105. Anche in Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza della vita, Parenesi e massime, 29.  Citato in Schwamenthal, § 3691.  Citato in Schwamenthal, § 3723.  Citato in Grisi, p. 191.  Citato in Schwamenthal, § 3761.  Citato in Schwamenthal, § 3770.  Citato in Grisi, p. 270.  Citato in Schwamenthal, § 3952.  Citato in Macfarlane, p. 310.  Citato in Schwamenthal, § 3992.  Citato in Alfani, p. 102.  Citato in Schwamenthal, § 4019.  Citato in Schwamenthal, § 4130.  Citato in La scienza pratica: dizionario di proverbi e sentenze che a utile sociale raccolse il padre Lorenzo da Volturino, Quaracchi: Tipografia del Collegio di S.Bonaventura, Firenze, 1894, p. 457.  Citato in Focus storia n. 49, novembre 2010, p. 74.  Citato in Schwamenthal, § 4306.  Citato in Schwamenthal, § 4352.  Citato in Grisi, p. 197.  Citato in Schwamenthal, § 4498.  Citato in Schwamenthal, § 4499.  Citato in Piero Angela, A cosa serve la politica?, Mondadori, Milano, 2011, p. 145. ISBN 978-88-04-60776-2  Citato in Schwamenthal, § 4568.  Citato in Macfarlane, p. 95.  Citato in Schwamenthal, § 4615.  Citato in Macfarlane, p. 390.  Citato in Grisi, p. 224.  Citato in Schwamenthal, § 4698.  Citato in Schwamenthal, § 4757.  Citato in Macfarlane, p. 255.  Citato in Pescetti, p. 98.  Citato in Schwamenthal, § 4850.  Citato in Augusta Forconi, Le parole del corpo. Modi di dire, frasi proverbiali, proverbi antichi e moderni del corpo umano, SugarCo, 1987.  Citato in Castagna 1866, p. 136.  Citato in Castagna 1866, p. 35.  Citato in Castagna 1866, p. 24.  Citato in Schwamenthal, § 5051.  Citato in Castagna 1866, p. 8.  Citato in Grisi, p. 78.  Citato in Schwamenthal, § 5147.  Citato in Schwamenthal, § 5314.  Citato in Grisi, p. 254.  Citato in Schwamenthal, § 5385.  Citato in Grisi, p. 269.  Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, XII Orad - Pere, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1984, p. 1065.  Citato in Schwamenthal, § 5454.  Citato in Schwamenthal, § 5513.  Citato in Castagna 1866, p. 73.  Citato in Gustavo Strafforello, La sapienza del mondo, ovvero, Dizionario universale dei proverbi, Volume III, A. F. Negro, 1883, p. 701.  Citato in Schwamenthal, § 5620.  Citato in Schwamenthal, § 5630.  Citato in Francesco Grisi, Il grande libro dei proverbi. Dall'antica saggezza popolare detti e massime per ogni occasione, Piemme, 1997, p. 12.  (EN) Citato in Jerzy Gluski, Proverbs. Proverbes. Sprichworter. Proverbi. Proverbios. Poslovitsy. A comparative book of English, French, German, Italian, Spanish and Russian proverbs with a Latin appendix, Elsevier Pub. Co., 1971, p. 114.  Citato in Schwamenthal, § 5721.  Citato in Macfarlane, p. 267.  Citato in Novo vocabolario della lingua italiana, vol. I-II, coi tipi di M. Cellini e C., 1870, p. 312.  Citato in Schwamenthal, § 5765.  Citato in Schwamenthal, § 5795.  Citato in Schwamenthal, § 5817.  Citato in Castagna 1866, p. 39.  Citato in Macfarlane, p. 138.  Citato in Schwamenthal, § 5924.  Citato in Schwamenthal, § 5932. Bibliografia Augusto Alfani, Proverbi e modi proverbiali, Tipografia e Libreria Salesiana, Torino, 1882. Niccola Castagna, Proverbi italiani, Antonio Metitiero, Napoli, 1866. Niccola Castagna, Proverbi italiani, pe' tipi del Commend. Gaetano Nobile, Napoli, Donato, Gianni Palitta, Dizionario dei proverbi, L.I.BER. progetti editoriali, Genova, 1998. John Florio, Giardino di ricreatione, appresso Thomaso Woodcock, Londra, Grisi, Il grande libro dei proverbi, Piemme, Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani, Mondadori, 2007. David Macfarlane, The Little Giant Encyclopedia of Proverbs, Sterling, New York, 2001. ISBN 0-08069-7489-3 Alessandro Paronuzzi, José e Renzo Kollmann, Non dire gatto..., Àncora Editrice, Milano, Pescetti, Proverbi italiani. Raccolti, e ridotti sotto a certi capi, e luoghi comuni per ordine d'alfabeto, Compagnia degli Aspiranti, Verona, 1603. Riccardo Schwamenthal e Michele L. Straniero, Dizionario dei proverbi italiani e dialettali, Selene, Dizionario dei proverbi, Pan libri, Volpini, 516 proverbi sul cavallo, Ulrico Hoepli, Milano, 1896. Aa. Vv., Il nuovo Zingarelli, Zanichelli, Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli Editore, Bologna, Strafforello, La sapienza del mondo: ovvero, Dizionario universale dei proverbi di tutti i popoli,, vol. III, Augusto Federico Negro, Torino, stampa 1883. Voci correlate Modi di dire italiani Scioglilingua italiani Categoria: Proverbi dell'Italia. Massimo Baldini. Keywords: linguaggio, Campanellese, lingua utopica, fantaparola – phanta-parabola, il proverbio italiano, amici, implicatura proverbiale, proverbi romani, proverbi italiani, lezioni di filosofia del linguaggio, con D. Antiseri, indice, grice – filosofia analica, parte I: filosofia analitica Austin e Grice, parte II tipi di linguaggio.  baldini — implicatura proverbiale — i amici — das mystisch — filosofia italiana della moda maschile italiana — haircuts — journalese — journal of the Royal Association of Philosophy — lingua utopica — Campanellese — Empedocle filosofo poeta — Lucrezio filosofo poeta — Parmenide filosofo poeta — Eraclito l’oscuro — vallisneri — fantaparola — gargarismo — trabocchetta — rumore — ingorgo — aforismo — Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baldini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Baldinotti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Grice: “I like Baldinotti; Speranza thinks he is a Griceian, just to oppose to the Italian received view that he is Lockeian! But I say, he is MORE than either! Baldinotti can quote from  Rousseau, and the French authors that Locke never cared about! And most importantly, he can SIMPLIFY and need not appeal to Anglo-Saxonisms as Locke does (what does it mean that a ‘word’ STANDS for ‘an idea’?” --.” Grice: “In fact, as Speranza showed at Oxford, one can organize a tutorial on the philosophy of language (he won’t though – he hardly organises!)  just using Balidonotti’s rough Latin of first chapter of ‘De vocibus’!”  “All the material I rely on in my Oxford 1948 talk on ‘meaning’ for the Philosophical Society can be found there: ‘vox’ significat affectus animae artificialiter, lachrymal significat affectum animae naturaliter --.” Grice: “Unless she is a crocodile, as Speranza remarks!” Tutore di metafisica nel ginnasio di Mantova, pavia, padova. -- Altre opere: “De recta humanae mentis institutione”;  Historiae philosphica prima, et expeditissima adumbratio -- Operationum mentis analysis . De elementis humanarum cognitionum -- de perceptione et ideas, earumque adnexis -- de idearum affectionibus, et in primis de realitate, abstractione, universalitate earumdem -- de simplicitate, compositione, relatione idearum -- de idearum clartitate, et distinctione, veritate, et perfectione -- DE VOCIBUS -- DE SYNONIMIS, ET INVERSIONIBUS -- DE VARIETATE LINGUARUM, ET DE MUTUO VOCUM, ET IDEARUM IFLUXU -- DE USU, ET ABUSU VERBORUM -- DE VERBORUM INTERPRETATIONE -- DE MULTIPLICITI SCRIBENDI RATIONE. De humana cognition. Humana cognitionis analysis -- de PROPOSITIONIBUS -- de gradibus humana cognitionis -- De cognitione probabili -- De cognitionum realitate -- De extensione humanarum cognitionum -- De impedimentis humanarum cognitionum -- de humanarum cognitionum instrumentis --  De mentis magnitudine, et perspicacitate augenda -- De analysi, et definitione -- de ratiocinio et demonstratione -- De nonnullis argumentorum generibus -- De inductione et analogia -- De methodo generatim -- De methodo analytica -- De methodo synthetica -- De principiis -- De hypothesibus -- De ratione coniectandi probabilia -- De fontibus humanarum cognitionum -- de conscientia -- de ratione -- De concursu rationis, et revelationis -- De sensibus, deque recto eorum usu -- De cognitionibus, et erroribus sensuum -- De observatione, et experientia -- de auctoritate -- De testibus oculatis, et auritis -- De traditione et monumentis -- De historia -- De librorum authenticitate,sinceritate, suppositione, interpolatione, corruptione, et de interpretationibus -- de arte hermeneutica -- “Tentamen”; “De metaphysca generali liber unicum” De existente et possibili, et deiis, quae qua tenus tale est, ad utrumque pertinent -- De identitate, similitudine, distinctione -- De composito, simplici, uno -- De infinito. De spatio. De tempore. De causa. De non nullis impropriis causarum generibus. De Kantii philosophandi ratione et placitis, ut ad metaphysicam generalem referuntur. S. Gori Savellini, Cesare Baldinotti in "Dizionario Biografico degli Italiani", Istituto dell'Enciclpopedia Italiana, Roma. E. Troilo, Un maestro di Rosmini a Padova, Cesare Baldinotti in: "Memorie e documenti per la storia della Padova", Padova. Cesare Baldinotti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. DE VOCIBUS. Voces nostrum studium,et operam expostulare,fuit iam suo loco (V. Introd.) observatum.Quae cum sint idearum nostrarum signa, horum tradenda prima divisio est', qua in naturalia, et artifi cialia distinguuntur. Signum naturale cum re significata habet nexum ex eius natura derivatum; artificiale vero ex hominum institutione, et arbitrio aliquam rem significat: lacrymae sunt doloris signum naturale, voces signum idearum artificiale. Non erit porro alienum de naturalibus signis advertere, homines non raro ad errorem trahi, dum ex illisrem significatam inferunt: sunt enim haec signa, vel effectus, qui caussas, vel caussae quae effectus indicant,ut in signis rerum futurarum. Iidem autem effectus nunc ab una,nunc ab alia caussa oriun tur;neceadem caussa eosdem semper effectusgignit; sed multa sunt, quae causarum actionem determinant, suspendunt, et etiam omnino mutant. Non igitur necessario, et semper SIGNUM NATURALE rem certam innuit; sed a multi spendet, quod eo una potius,quam alia ostendatur. SIGNA AFFECTUUM ANIMI SUNT NATURALIA. Eos tamen non semper denotant,et ille in perpetuo errore versaretur, qui de affectibus ex eorum signis statueret. Sed ad voces revertamur, quarum origo, indoles, vis, in ideas et mentis operationes, influxus, usus, abusus, interpretatio leviter attingenda. Quin imo Reid Rech. sur. l'Entend. tom. I. p.147. arbitratur, eas, quas dicimus causas, esse tantum RERUM SIGNA.Videmus dumtaxat, quae dam hunc inter se nexum habere, ut si unum praecedat, aliud illico subsequatur. Id tantum statuere possumus; non vero in eo, quod prae cedit respectu illius, quod subsequitur, causalitatem, ut aiunt, inesse, cum haec nullaratione ostendatur. Inter eas quae non prorsus inutiliter attinguntur, commemorari possunt potissimum nominum divisiones, ad quarum normam nomen in enunciatione, vel est subiectum de quo aliquid effertur, vel est praedicatum quod effertur, vel est concretum, remque significat cum sua forma, vel est ab. Voces INSTITUTIONIS esse signa nempe ARTIFICIALIA, nec necessarium habere NEXUM CUM REBUS, ad evidentiam probantmuti, et linguarum varietas. Nam si haberent, organo tantum vocis impedito, sermonis nullus esset usus, et quae apud omnes eadem sunt, iis demetiam nominibus appellarentum. Mira autem est non rerum, sed verborum diversitas; et muti sunt ii, qui surditat elaborant. Nunc vero videamus, an facultates humanae vocibus AD RES SIGNIFICANDAS INSTITUENDIS sint pares. An videlicet possint homines linguam aliquam condere. Animi affectus, sensusque vividi doloris et voluptatis naturalibus quibusdam signis coniunguntur, iisdemque manifestantur: homines haec facile possunt artificialia reddere, sinempe observent affectus, quos indicant, nec ea tantum edant impellente natura, sed consulto, ut quae experiuntur, ceteris manifestent. Quae signa clamoribus non articulatis, habitu vultus, et gestibus continentur, atque actionis, quam vocant, linguam conficiunt. Usu autem constat facilem, expeditam secretam idearum COMMUNICATIONEM hac lingua non obtineri, distantia, et interposito corpore impediri. Sensim igitur ab ea recedere coguntur homines, ad eamque feruntur, quae vocis distinctionibus pititur. Hanc ut instituant clamores naturales in primis pro stractum solamque formam exprimit, vel est categorematicum quod solum et per se aliquid notat, vel est syncatagorematicum quod ab alio avulsum nihil certi repraesentat, vel categoricum quod rem categoria comprehensam obiicit. Sed de his satis, sapiens est non qui multa, sed qui utilia novit. Negat P. Lamy in Trat. de Ar. log.; et Rousseau disc. sur. l’ineg. parmi les Hom. parum abesse censet, quin demonstratum sit, fieri numquam posse, ut lingua ulla suam ab hominibus originem habeat. Ita etiam A. Encycl. A. lang. His e diametro se se oppouunt Epicurei, quorum hac super re doctrinam Lucretius l.5. de Nat. rerum exposuit. Diodorus Siculus lib. I. Bibl. quod nobis possibile, et hypotheticum est, factum habet, omnesque linguas humanum fuisse inventum putat. Nuperrime in Diss. de ling. orig. ab A. Berol. an. praemio donata Herder contendit linguas in universum non divinae, sed humanae prorsus esse institutionis. De hac lingua V. Condil. Gram. part. 1. lib. 1. Sinensium lingua hanc videtur originem habuisse, ea constat ex monosyllabis 328., quae pronunciationo variata otficiunt SIGNA, (V. Condil.    100 -- trahunt, et simul iungunt, rerum etiam externarum sonos referunt, et imitantur (1), unde voces oriuntur, quae elevatione et depressione multum distantes aliquo modo gestuum et clamorum vim exprimunt (2). Atque ita verborum dstinctioni consultum, quantum patitur vocis et auditus organum rude adhuc et inexercitatum. Subtilius, qui haec disputant, quorum etiam aures delicatiores, similitudinem quamdam inveniunt inter impressionem a rebus, et a verbis excitatam. Eamque prolatis ex. gr. vocibus "crux", "mel",  "vepres", "furens", "turbidus", "languidus" distincte sentiunt. Hinc multae voces (3). Multae etiam facultate, qua pollemus, per metaphoras sive transferentiam omnia explicandi, et associandi insensibiles ideas sensibilibus. Revera verba, quae res insensibiles referunt, metaphorica sive transrelata omnino sunt. Perpetuo autem usu nomina propria evasere, et vetustate multorum etymologia sensibilis ita evanuit, ut res pror sus in sua SPIRITUALITATE relinquant (4). Quin immo eadem verba solum confugiendo ad metaphoras sive transferentiam poterant fabricari. Externa namque forma carent, etsono res insensibiles, unde earum no mina desumantur. Ac certe per imagines solum et similitudines id, quod experimur, aliis, qui illud ipsum non experiuntur, possumus explicare. Traité des connois. hum. t. II.) Alii monosyllaba Sinensium numerant 330. Freret sur la lang, des Chin. 214., et signa inde componunt 54509. et 80000. Haec loquendi ratio supponit iudicium aurium subtilissimum.V. Soave Compendio di Lock. l. III. Ap. al c.I. Hoc facile sibi suadeat quisquis rerum, quae sonorae sunt, nomina advertat ex gr. "ululare", "hinnire", "sibilus", "tonitrus", "stridor", "murmur". Observat Warburthon Ess. sus les Hierogl. actionis lingua, inventis iam vocibus, homines usos fuisse, Orientales praesertim, quorum alacritas, et imaginatio vehemens hunc exitum etiam requirit. Atque exempla permulta ex historia tum sacra, tum profana hanc in rem profert. Ut recte nomina rebus IMPOSITA sint, quamdam esse debere rerum, et nominum convenientiam ex ipsa earumdem rerum natura ortam in Cratylo contendit Plato. Sunt enim, ait ipse, nomina IMITAMENTUM, quemadmodum etiam pictura, et qui rei speciem in litieras, ac syllabas referre nonnovit, is ineptus nominum opifexest. Erecentioribus Ioannes Baptista Vico, principii d'una scienza ec., de similitudine verborum cum forma rerum multis disseruit. Horum nominum exempla sint cogitatio, voluntas, desiderium, aliaque huiusmodi. V. Traité de la Formation mechan. etc. Ch.XII.  Quod vero homines, ut boc aliisque modis ad sermonem formandum aptisutantur, fortius incitat, indigentia est, maxima rerum omnium magistra. Sermonis etiam utilitas, atque necessitas vix paucis inventis vocibus sub oculos posita. Hinc multi conatus, ut verborum numerus augeatur, quos felices reddit cognitionum, et idearum COMMERCIUM homines inter initum. Haec enim se mutuo fovent, et,ut verba commercium illud amplificant, ita ex commercio novae vires additae, et nova suppeditata istrumenta, quibus ars faciendorum et deligendorum verborum perficiatur. Nec vero sunt verba hominum opus, in quo ipsi nihil aliud, quam arbitrium recte sequantur. Est enim illa analogia im pressionis, et soni imitatio, quam pulcherrime in fingendis vocibus sequimur. Est forma, et affectio orgaai vo eis, a qua earumdem elementa, literae praesertim vocales determinantnr. Sunt denique derivata, et voces artium, et technicae in hominum libertate haud repositae, cum illae derivationis naturam imitentur. Hac vero vim, et EFFECTUS RERUM SIGNIFICENT significent. Duo sunt, quae videntur iam asserta impugnare. Primum scilicet sermonis institutionem requirere, ut de significatu verborum conveniatur. Conveniri autem inter eos non posse, qui omni sermone destituti sunt. Quasi vero nulla alia praeter voces ratio suppetat. Qua explicetur quid ipsae SIGNIFICENT Percipi enim id. Modum transferendi verba necessitas genuit inopia coactaet augustiis, post autem delectatio iucunditasque celebravit. Cic. de Orat. III. 38. Notat et illuminat marime orationem tamquem stellis qui. busdam verbum translatum Idem ib. 48. Huc faciunt quae de linguarum analogia subtiliter disserunt Valcke naerius in observatt. academicis, Lennep inpraelett. academicis et Scheidius in orat. de linguarum analogia ex analogicis mentis actionibus probata. Sed est etiam unde moveantur homines ad res alias per multas metaphorice appellandas, eas scilicet quas primum obscure, et confuse percipiunt. Et enim has meditando earum quamdam similitudinem cum aliis distincte perceptis intelligunt, quorum proinde nomina ad illa transferunt. Atque in hoc mirifice dele ctantur luce, quae ex rebus claris, et distinctis in alias obscuras, et confusas diffunditur. potest ex circumstantiis, in quibus adhibentur, et ex gestibus, qui pronunciatis nominibus res indicarent. In eamdem etiam rem conferet illa imitatio, atque similitudo. Aliud vero erat huiusmodi. Summis viris difficultas maxima se semper obiecit in linguis ornandis, et perficiendis. Qui ergo fieri potuit, ut homines plane rudes, atque ferini, communione scilicet cum aliis non exculti ex integro sermonem con dant? Fieri istud quidem non posset, si de perfecto sermone contenderetur, in quo non tantum apte expressa, quae ad necessitatem pertinent, sed etiam, quae ad cultum vitae, et oblectationem. In quo multae orationis partes, multae leges syntaxis, et inflexionum, multa denique, ut numerus, et varietas obtineatur. Haec sermoni non absolute necessaria sunt, et vix nomina, utaiunt, substantiva, et signum aliquod numquam variatum ad verbum auxiliare sum exprimendum. Quae quidem hominis licet sylvestris facultates non superant. Multa in qualibet lingua videntur esse synonima, voces scilicet, quae unam, eamdemque ideam referunt. Dubitari autem iure potest, an revera sint. Quin potius statuerem ea, quae di cuntur synonima, eamdem ideam principalem reddere, accessoria vero differre plerumque. Atque hoc modo inter se differunt "amo", et "diligo"; "peto", et "postulo", "timeo", et "vereor" V. Condill. Gram. P. I. Ch. XIV. V. Traité de la form. mechan. du langage V. II. Ch. IX. et suiv. Condillac Traité des connois. hum. T. II. Grammaire P. I. Ch. I. II., Maupertuis Diss.sur les moyens etc. pour exprimer leurs idées; Sulzer de l'influence recipr. de la raison, etc. extat in Ac. Ber. et Vol. IV. opusc. Select. Mediol. Soave Comp. etc. L. III. Ap. al C.I. Receptum apud logicos novimus, ut nomina tribuant in synonima, quae secundum unam eamdem que rationem de pluribus usurpantur, et in homonyma quae rationem naturamque diversam in iis SIGNIFICANT, de quibus adhibentur, Iam vero homonyma alia dicuntur casu et citra rationem ac temere im. Synonima stricto sensu accepta, quae nulla idea accessoria differrent, linguae vitium indicarent. D'Alemb. Elem. de Phil. XIII. Hac de re notandum est, vocibus duplicem illam ideam  subesse. Et, ut praeteream exempla, quis est, qui non noverit, vocabula quaeque loco, et tempori, et generi s u scepto orationis non convenire? Quod profecto maxime oritur ex idea accessoria, quae non solum verba eamdem principalem exprimentia distinguit, sed eorum etiam opportunitatem deter minat. Quae ergo synonima habentur, ea profecto non iure; namque discrepant accessoriis illis ideis, quae rerum diversos aspectus, gradus, et relationes, et adiuncta exprimunt. Imperiti haec apprime synonima reputant, quorum levia discrimina lin guarum cultores notant. In eo frequenter peccant ex lexicis pene omnia, quae adolescentes, misere decipiunt. Duplex distinguitur ordo verborum, et conformatio, naturalis, et artificialis; seu inversa. Porro quem ordinem habent ideae, idem etiam verborum est: ordo autem idearum, fertur ad modum, quo in mente sibi succedunt, vel ad earum dependentiam mutuam,ex qua fit, utaliaealias regant, et explicent, aliae explicentur, atque regantur. Si primum, ordo, quo exprimuntur ideae, naturalis erit, quando idem, ac ille, qui in earum successione servatur. Qui quidem in singulis diversus est. Si secundum, ut ordo sit naturalis, quae alias regunt, vel ab aliis explicantur praemittendae sunt. Quae reguntur, et alias explicant postponendae. Secus erit artificialis, seu inversus. Sed unde oritur, quod ordo inversus orationi vim addat,et siteius quasi lumen quoddam nosque voluptate perfundat? Scilicet posita, et alia dicuntur ratione, quod rebus tribuantur aliqua inter se similitudine cohaerentibus. Posteriora haec aptius vocantur analoga, sive attributionis, quum uni quidem rei primario conveniunt, reliquis secun dario,sive proportionis,quae pluribus rebus propter proportionem aliquam accommodantur. Ex  hoc fonte methaphorae pleraeque omnesdimanant. Nonnullarum rerum, atque actionum voces quaedam ex ideis hisce accessoriis inhonestae, et turpes evadunt; quae ideae si in aliis vocibus omittantur, vel mutentur,nulla amplius est turpitudo. Unde fit, quod eae. dem res, etverecunde, etobscoene dicifpossint,etquod ea,quae turpia re non sunt, nominibus, ac verbis flagitiosa ducamus. vel re. D'Alembert loc. cit. Traité de la form. mech. du lang. ch. IX n.161.  quia eum, quem Rethores MODUM appellant, et numerum parit; quia imaginationem exercet;quia ideas nimis disiunctas coniungit. Revera voces ordine inverso positas ad se mutuo referi m u s, ut postulat idearum ratio. Atque si in periodo multae sint ideae, quae a quadam principalipendeant, et exiis aliquaehuic praeponantur, postponantur vero aliae, arctius omnes cum ea coniunguntur. In quo nexu illud praesertim admirabile,quod uno verbo ad integram sententiam animus revocetur. ET IDEARUM INFLUXU. Varietatem linguarum,et nos ad confusionem Babylonicam referimus: simul autem liceat statuere,ex diverso hominum ingenio, et indole,eorumque externis circumstantiis oriri potuisse, et magna ex parte ortum esse,ut singulae suum -co lorem habeant. Ac ex confusione illa vocum origines potius, quam ipsaelinguae;quae perfici sensim debuerunt,etaugeri verborum copia, atque syntaxi, et inflexionibus moderari. Non una autem in hoc fuit omnium gentium ratio, quod multis causis tum physicis, cum moralibus tribuendum est. Atque inter eas recenserem caeli temperiem, non eamdem ubique faciem naturae, rerum aspectus multiplices, diversas opiniones sive ad civitatem sive ad religionem pertinentes, regiminis formam, educationem, mores denique et studia. Revera sermonis vis, copia,et harmonia, et inflexio nationum exprimit characterem,ingenium,atque culturam;ac eadem linguarum, et gentium fuere semper fata, et vicissitu dines. QUOD IN ROMANI IMPERII, ET LINGUAE LATINAE ORTU, progressu, et occasu velut sub oculos positum est. Iunctam, cohaerentem, levem, et aequabiliter fluentem orationem facit verborum collocatio. de Orat. II. 43. V. D'Alembert Eclair cis. S. X. Condill. Gram. P. II. ch. XXIV. Art.d'Ecrire L. I. Ch. I. II. V. Traité de la form. mechan. etc. Ch. IX.  INSTITUTIONE DE VARIETATE LINGUARUM, ET DE MUTUO VOCUM. Sed ex iisdem quoque caussis fit, ut nationes singulae suas habeant idearum compositiones, et vocibus, quibus aliae carent, utantur. Inde in interpretando necessitas verborum circuitum saepius adhibendi, cum non semper verbum e verbo exprimi possit. Indeadeo difficile, libros ex una in aliam linguam convertere. Atque in hoc lice tomnis cura, et studium ponatur, adeo singulis linguis suum quoddam inest ingenium, ut nullae fere sint interpretationes, quae authographi vim, et elegantiam, et nativum splendorem nequaquam desiderent. Quae quidem eo nos adducunt, ut intelligamus, quem dam esse posse sermonem, edisci, et percipi omnino facilem. Quem si universalem veluti linguam cunctae gentes amplecterentur, eo possent mutuum idearum, et cognitionum commercium inire. Ac difficultas, qua ab hoc impediuntur, ex lin guarum varietate, et multitudine orta, alia etiam ratione vinci posset, characteristicam nempe aliquam linguam adhibendo, quae res ipsas, non rerum voces exprimeret. De bac sermo erit inferius. Interim cum nullus ex hisce modis adhuc suppetat. Nec ulla spes sit, ut in unum, V. Clericum Art. Crit. tom. I. part. II. cap. II JII.IV.  Linguarum varietas non leve incommodum affert societati, et progressui scientiarum. Nec enim consultum, ut facile edisci possent, sed casu magna ex parte conditae, et procurata copia, et ornatus. Sublatis declinationibus, coniugationibus, et generibus, si substantiva unam immutabilem terminationem haberent, suam adiectiva, et verba pariter, quae adverbiorum ope temporibus, et modis distinguerentur. Pullae superessent regulae grammaticorum, et solius lexici auxilio linguam quam libet perciperemus. Cumque insuper esset prima illa lingua absurda, et egestate, atque uniformitatis squalore sordesceret. Maxime erit optandum, ut LATINI SERMONIS USU conservetur. Locupletissimus namque est hic sermo, electissimis, et praeclaris verbis abundat, communis hactenus fere fuit omnium eruditorum; qui eo abiecto, si suam singuli linguam in scribendo usurparent, iam, vel aliena omnia nescirent, vel in omnium gentium, quae doctrinae laude vel alium conveniant omnes. Splendescunt, perdiscendis linguis curam, et operam compellerentur insumere, quam ad rerum cognitionem adipiscendam con tulissent. Quae hactenus de vocibus dicta sunt, satis ostendunt, easabideis, et cogitandi modo non parum pendere. Sed magnus etiam est verborum in ideas, et mentis operationes influxus. Atque in psychologia, si fortasse ad veritatem plane non sua detur, nullas fere absque verborum usu nos exequi posse. Illud profecto demonstratur, eo foveri multum, et perfici. Quod probari nunc potest exemplo mutorum. Earum etiam gentium, quibus signa numerica pro maioribus quantitatibus deficiant, cetera sint nimis composita. Illi quidem multis omnino ideis destituuntur, mentisque facultates obtusas habent, nec ad operandum faciles et expeditas. Hae vero gentes in rebus ARITHMETICIS ne vix quidem progressae sunt. Tantum signa valent ad humanas cognitiones promovendas vel impediendas. Equidem arbitror, a veritate abesse longius, qui crederet verba communicationi cum aliis tantum inservire. Ea menti sistunt obiecta. Nimis composita dividunt. Si magnifica sint et nobilia, res amplificant, et extollunt. Si humilia, imminuunt, et deprimunt. V. Laur. Mosheim DISSERT. DE LINGUAE LATINAE CULTURA ET NECESSITATE V. etiam quae nuperrime Ferrius, et Tiraboschius, Alexander Gorius, et Clementinus Vannetti in eam habent Alamberti sententiam (Melang. tom. V.) statuentem bene LATINE scribi non posse, et LATINITATE abiecta studium omne ad patriam linguam transferentem. Refert Condaminius, quosdam Americae populos, cum ocesnume rorum supra ternarium non habeant, in hoc arithmeticam eorum consistere: certevix paucis huiusmodi signis utuntur, iisque ad modum compositis, ex quofit, ut maiores numeros mente haud comprehendant, et quem libet ultra vicesimu in indefinite concipiant, atque capillorum numero comparent.V. De la Condamine Voy. Paw Rech. sur les Americ. tom. II. ch. 27. Cogitatio, ait Plato in Theaeteto, est sermo,quem mens apud se volvit circa illa, quae considerat. Cum enim cogitat, secum ipsa disserit adeo, ut cogitatio sit sine strepitu vocis oratio, aut interior collocutio. Verba sunt veluti signa algebrica idearum. Brevitati proinde consulunt, multarum idearum comparationem faciliorem reddunt, mentenique sublevant in consideratione multarum rerum, atque compositarum: quae verborum utilitates maxime elucentin modorum mixtorum ideis, quas in nullo exemplari iunctas videmus, sed verbis exhibentur et comprehenduntur. Verba denique nexus inter ideas augent, eas facilius, et promptius exsuscitant, distinguunt, quae vix confuse percipe rentur. Sic technicae in arte pingendi voces omnia alicuius tabulae vitia, omnemque praestantiam indicant. Quae eos prorsus fugerent, qui illas voces nequaquam callerent. Quare scientiae, omnesque artes multum debent verborum inventoribus, ut Linnaeo Botanica; et Ontologia, licet nomenclatione tantum contineretur, non esset penitus contemnenda. De verborum usu, et abusu haec fere a Lokio, aliisque melioris notae Logicis accepimus. In primis duplicem esse usum verborum. Vel enim eo cogitationes nobiscum cooferimus, vel aliis exprimimus. Illum jam attigimus capite superiore, in quo osten debam, maximas utilitates ex hoc interno sermone profluere. Cum aliis autem utimur verbis,aut in vitae civilis consuetudine,vel in studio Scientiarum. Inquo praesertim distinctioni, et perspicuitati. Ideae in primis connexae inter se sunt ex analogia rerum, et ex circumstantiis, in quibus acquiruntur. Sed insuper verbis etiam unae cum aliis colligantur. Quot ideas unum verbum saepius excitat? Atque ex verbis haec alia utilitas provenit, ut in ideiş revocandis, et disponendis ordini, quo a nobis comparatae fuere,non adstringamur, sed illum qui magis placeat, magisque conveniat iisdem tribuimus. V. Bonnet Ess. Analyt. ch. XV. V. Sulzer loc. iam citato, Micheaelis de l'influ. des opin. sur le lang. etc. Condil. Art. de penser. part. 1. ch. II. STELLINI OSSERVAZIONE SULLE LINGUE tom.V. Soave Comp. di Locke I. III. ap. al cap. XI.  Scilicet, si circa ideas maxime compositas,  sertim versemus, iisdem nomina, quibus appellantur, substituimus. Nimis enimesset operosum, eetiam impossibile, omnes ideas simplices illas componentes mente revolvere. Quod etiam confusionem afferret, et, ne idearum relationes viderentur, obstaret. Haec habitualis, non actualis distincta perceptio est idea coeca, et symbolica Leibnitii. circa notiones prae 1 litandum est, ne per se difficilia reddantur difficiliora. Et ne rerum INVESTIGATIONES in aeternas quaestiones de nomine abeant. Locutionis perspicuitas, atque distinctio maxime optanda idearum claritatem, et distinctionem desiderat: quomodo enim, quae confuse percipimus, aliis distincte explicarentur? ad eam confert brevitas, in qua tamen habendus modus;nam ut nimia verborum copia res obruit, ita eorum egestas tenebras rebus offundit. Denique cum iis, qui loquuntur confuse, vitanda fa miliaritas est,qua nihil fortius ad idem vitium contrahendum. Ita autem verbis utamur,ut unicuique idea determinata re spondeat;dequo,sinobiscum tantum colloquimur, nos ipsos debemus interrogare; si vero cum aliis,et dubium sit, an verba ideas claras,etdistinctas in aliorum mentem immittant, tunc ea dilucide explicanda sunt. Id quidem de nominibus idea rum simplicium praestari potest (vix autem erit necesse), si observanda proponantur obiecta,quae significant,etmodus,et circumstantiae indicentur, in quibus eorum ideae acquiruntur. Nomina vero idearum, quae sint compositae, decla rantur earum obiectis exhibitis, et addita ipsorum definitione; nec enim omnia attributa patent sensibus, et multa indolem potentiae habent. Quod si haec obiecta non existant.Verborum universalium magnus est usus, et maxima utilitas; innumera enim individua una tantum voce comprehendi mus, quae esset impossibile omnia suis nominibus distinguere. Esset etiam inutile, quia necii, quibus cum loquimur, multoque minus illi, quibus aliquid scriptum relinquimus, eadem indivi dua agnoscunt.  ergo. Sed quae circa rectum verborum usum,et eorum inter pretationem, de qua inferius, praecipienda sunt, separari vix possunt ab idearum doctrina iam tradita; utrisque enim idem finis, avocationempe ab erroribus. Inter eaetiam intimus nexus, quantus inter voces, et ideas. Nunc lum, quae propius ad verba pertinent, quaeque eo loci explicata non sunt. ne actum agam, so meratio idearum, quas simul reflexione, aut pro arbitrio con iunximus. fiat enu Vocibus demum abutimur, si quae incertam significa tionem habent, non definiantur; si definitus sensus mPombaur. Si in rebus scientiarum artes consectemur oratorias. Namque delectant, et movent, mentemque avertunt a philosophico rerum examine,quas non accurate,sed ad similitudinem exprimunt. In verborum sensu commutando peccarunt vehementer scholastici. V. Gassendum in Exerc. Arist. Exerc. I. Y2. Hic cum Logicis fere omnibus non praecipio, abstinendum esse a tropis atque figuris:rebus enim permultis vocabula metaphorica necessario imposita sunt, aliis utiliter, cum ex iis orationi splen dor accedere videatur.V. Condil. Art. d' écrire lib. II. ch.VI.VIII. Translationes propter similitudinem transferunt animos,etre. Neque vero minor utilitas ex verbis notionum;.harum nullum archetypum extra nos invenitur iunctas exhibens ideas, ex quibus componuntur. Id vero praestant nomina, quae illas comprehendunt. Sunt denique voces, quas particulas appellant Grammatici; his utimur, ut ideas, et periodi membra, et periodos ipsas interse coniungamus. Quisaneusus mirificus est, et ex eo maxime vis tota orationis derivat. Rectus erit,si m u tuam rerumdependentiam, et relationes diligenter consideremus.  Haecdeusu. Nunc de abusu,quirestat,dicendumest. Iam vero abutimur verbis, si iis, nullam ideam, aut obscuram associemus, adeo ut inania sint, et ambigua: in quo non rarum estlabi;etmaxime verba notionum virtutis,honoris,et simi lium multo pluribus sunt meri soni; obiectum namque non referunt, quod sensus moveat, nec illud quod referunt in in fantia, percipimus. Hinc ea absque ulla significatione usurpandi longam consuetudinem iam contraximus, a qua ut reMilanius, reflexione vehementer nitendum est. Sed abusus verborum etiam ex ignorantia, et malitia. Scilicet, qui partium studio, vel anticipata opinione moventur. Qui vulgo avent imponere. Qui difficultatum pondere haerent et idearum defectu impediuntur. Tunc enim vero ii obscuritatem affectant, verbis inanibus se se involvunt, nova etiam fundunt, atque sesquipedalia. Optimum ergo erit, mentem parumper a verbis abstrabere, eamque in ideas intendere, ne verborum so nitu hallucinemur. Ut verba recte interpretemur, advertendum in primis, notiones eius, a quo adhibentur,'significare. Non igitur suppo natur, omnes iisdem verbis adnectere easdem ideas, et ipsis rerum realitatem apprime respondere. Quae qui supponunt, de rebus perperam ex verbis iudicant, et ex propriis aliorum ideas non bene copiiciunt. Hisce per summa capita indicatis, advertam in primis, duplicem distingui sensum verborum,proprium scilicet,et tran slatum;namque verba,aut illam rem exprimunt,cui primum fuere assignata. Vel ex quadam similitudine cum re ipsis propria eadem verba ad aliam significandam transferimus. Quod si fiat, sensum habent translatum, secus autem proprium. Nisi quis sensum proprium alicuius vocabuli accurate perceperit, numquam fieri poterit, ut translatum assequatur; hic siquidem ad illum refertur. Rerum praeterea conditionem inspiciet,ex qua oritur, ut quaedam voces potius, quam aliae, ad res sensu translato exprimendas, electae fuerint. Inde clarius is sensus patebit ferunt, ac movent huc, et illuc, qui motus cogitationis celeriter agi tatus per se ipse delectat. de Orat.III.39. Translatio est, cum verbum in quamdam rem transfertur ex alia; quod propter similitudinem recte videturposse transferri. Cic. ad Heren. IV. 34. V. D’Alembert Eclaircis., sur les Elém. de phil.S.IX.  Quam vero quisque vocibus notionem subiicit, arguere tuto possumus, si multa nobis nota sint, eaque invicem conferamus; loquentis scilicet ingenium,et characterem; affectus, oris habitum; linguae, quautitur, vim, etindolem; rem,quam tractat; circumstantias, in quibus versatur; opiniones, religionem, quam sequitur;demum popularium eiusmores, ritus, consuetudines. Haac enim omnia efficiunt, ut licet verba sint eadem, non tamen eumdem significatum, eamdemque vim habeant. Nunc vero singula verborum genera persequar, deque  Difficilius assequimur sensum verborum, quae notionibus respondent; siquidem praeter caussas nominibus rerum existentium communes, peculiares etiam concurrunt, ex quibus efficitur, ut singuli fere has ideas diverso modo componant. Nec eadem semper significatio est vocibus orationis par ticulas exprimentibus; loquentium igitur, vel scribentium affe ctus, et praecipue contextus consulatur,cum ex iis sit dedu cenda. De nominibus relativis, quid advertendum in praesen tiarum,ut recte explicentur? Porro id muneris iam explevi dum agebam de eiusdem generis ideis. Quid de nominibus uni versalibus,quod paritereoloci, traditum non sit? Illud subiungam,voces particulares,aliquis,quidem etc. obscuras esse et indeterminatas, nec denotare, quae, et quanta subiecta sint; universales vero aliquando particulariter esse sumendas, aliquando non omnia individua generum,sed individuorum omnia  siores esse, iisnonnulla admoneam,ad quae semper in eorum interpretatione spectemus. Qualitatum sensibilium nomina, colorum nempe, saporum, aliarumque huiuscemodi, sensationum etiam doloris, et voluptatis, non ita accipienda sunt, quasi explicent id, quod est in rebus extranos positis. Nostras affectiones, sensationesque upice indicant, nec vero vim,et quantitatem earumdem. Hanc experimur, non autem accurate possumus efferre. Fit autem sae pius,ut in singulis maior,vel minor multiplici gradu sit. Dubitari quidem potest,quin ipsae sensationes apud aliquos prorsus differant, licet omnes iisdem verbis utantur. Omnes arborum folia viridia appellant; sed adhuc videndum, utrum haec vox eamdem omnibus ideam excitet. Quam dubitationem ingerit di versa corporis temperies, et habitus, nec eadem omnino fabrica sensuum;unde certo oritur,affectiones easdem aliquibus inten aliis languidiores. Nomina idearum compositarum non idem apud omnes. Maxime si veteres cum recentioribus confe rantur.Ne eas igitur ex nostris notionibus interpretemur,sed ex illis quae ampliores fortasse, vel angustiores. Nominibus substantiarum easdem qualitates non omnes complectimur. Nulli essentiam primariam,a qua eae nascuntur,et quam nemo novit.   genera significare. Quae quidem ex circumstantiis, linguarum indole, ingenio, loquendi consuetudine patent dilucide. His fere,quae adhuc de vocibus disserebam,continentur potiora,ex quibus Grammatica philosophica conficitur: linguarum singulae suam habent, eaque particularis Grammatica dicitur. Est vero etiam Grammatica universalis,quae principia constituit omnibus linguis communia.Notandum superest,syntaxim totam legibus concordantiae, et regiminis moderari. Illae principio identitatis, hae principio diversitatis innituntur. Verborum disputatio manca videretur, si de scribendi rationibus haudquaquam dissererem. Non igitur una fuit haec ratio apud omnes,nec omnibus temporibus;tamen in eo con veniebant, quod signis non ore,sed manu expressis,quae mente revolvimus, manifestarent. Ac, quae fuere adhibitae, pictura, symbolis allegoricis, denique signis arbitrariis continentur. Pictura, aut unam figuram, aut plures exhibet, signa arbitraria, aut ideas,aut syllabas,aut litteras verborum significant. Scripturae, licet ab ea, qua nunc omnes fere gentes utuntur, longe dissimilis,specimen aliquod hominibus innotuit per imagines, quae sui res exhibent, et quas conamur exprimere gestibus, et clamoribus, ut iis longinqua designemus. Ad has imagines adumbrandas urgebat necessitas communicandi cum absentibus, et praesentibus explicandi id, quod verbis efferri non poterat. Inde scripturae origo potius, quam ex cura committendi nostras cognitiones posteritati. Ac homines ex rerumimaginibusidconsiliicepisse,ut illas ad suos cogitationes enuntiandas delinearent, omnium pene De usu, abusu, interpretatione verborum videantur Locke Ess, etc. lib.III. Leibnitz Nouv.Ess,etc. lib.III. Ioannes Clericus art.crit. tom.I. pari.II. V., silubet, Du Marsais princip. de gram. Condillac gram. D'Alembert Elem.de Phil. XIII. et Eclaircis. sur les Elem. etc. S.X.  Hinc sensim crescere CONVENTIONIS SIGNA, etomniatan. dem huiusmodi evadere. Quae sola notiones reflexione perceptas possunt exprimere;quae ob multos rerum aspectus sunt neces saria. Namque notiones illae nullam imaginem praeseferunt, nec ulla imago diversas relationes comprehendit, sub quibus res, ut lubet, consideramus. Signa autem, quae ex CONVENTIONES sunt, optime quidem ab eo constituta fuissent, qui singula singulis ideis simplicibus destinasset, suaideis universalibus, aliademum determinationibus individua constituentibus. Enim vero simul iungendo, et apte componendo haec signa, res omnes possent distincte explicari. Hoc scribendi modo philosophus tantum uti potest, nempe ille solus, qui probe noverit, quaenam ideae simplices illas substantiarum, et notionum componant. Quique etiam adeo individua observaverit, ut ea possit plane describere. Illum Si  V. Paw Recher. sur les Americ. tom. I. part.V. sect.I. Quemadmodum artis typographicae occasio fuit ars caelatoria et sculptoria, ita occasio scripturae non inepte ex pictura derivatur. Praesertim quum non aliter pictura sit obiectorum in oculos incurrentium scriptura, quam scriptură sit obiectorum quae aures feriunt pictura. Videsis Augustum Heumannum in conspectu reipublicae literariae cap. III. Signa huiusmodi spectant ad linguae universalis institutionem. Alia ratio, qua ad eamdem possumus pervenire, indicata, vix est N. LXXII., LXXXII. V. Soave Comp. di Locke lib. III. cap. XI. append. II., qui etiam celebriores scriptores recenset, a quibus ea institutio suscepta fuit. V. Leibnitii historiam, et commend. characteristicae linguae univers. V. Traité de la Form.etc. ch. XII. XIII. Mémoires de l'Acad.de Berl., ibi Thiebault videtur succensere Michaelis, et non ita difficilem, nec vero inutilem, et multo minus perniciosam, quemadmodum ille, censet linguae universalis institutionem, quae primo illo modo conti. neretur. Sepositis iis,quae de universali lingua instituenda excogitari subti.  vetustarum nationum monumenta, et gentium sylvestrium usus confirmant. Quae scribendi ratio picturae affinis, cum auctis cogni tionibus, relationibus, et indigentiis ad omnia exprimenda non non satis esset apta, paulatim a signis discessum est rerum i m a ginem referentibus, et huius pars tantum depicta, et plures ideae uno signo manifestatae. nenses adhibent; proindeque mirum non est, si tanti apud illos sit literas scire. Quae difficultas effecit, ut nationes pene omnes eum scribendi m o d u m probaverint, quo non obiecta, non ideas, sed sonos verborum reddunt; ad quem duplici via perveniri posse declarabam liter possent, splendideque proponi; multo fuerit satius consilio adquie scere Ludovici Vivis, cuius haec sunt (De tradendis disciplinis lib.III. verba. Sacrarium est eruditionis lingua,et sive quid recondendum est,sive promendum velut proma quaedam conda.Et quando aerarium est eruditionis, ac instrumentum societatis hominum,e re esset generis humani unam esse linguam, qua omnes nationes communiter ute rentur: si perfici hoc non posset, saltem qua gentes ac nationes plurimae, certe qua nos christiani initiati eisdem sacris, et ad commercia et ad peritiam rerumpropagandam. Peccati enim poenaesttot esse linguas. Eam vero ipsam linguam oporteret esse cum suavem, tum etiam doctam et facundam. Suavitas est in sono sivé simplicium verborum ac separatorum, sive coniunctorum. Doctrina est in apta proprietate appellandarum rerum. Facundia in verborum et formularum varietate ac copia. Quae omnia effi cerent, ut libenter ea loquerentur homines,et aptissime possent explicare quae sentirent, multumque per eam accresceret iudicii. Talis videtur mihi latina lingua ex iis certe quas homines usurpant, quaeque nobis sunt cognitae. Quod continuo diligenter, ostendit, eaque tradit quae merito cum disputatione componantur ab Aloisio Lanzio libris inscriptionum et carminum praefixa. Sinensium alphabetum Typographicum ex 50000. signis constat. V. Mémoir, concernant l'histoire etc. des Chinois parles mission. tom.X1., Mopertuis ius auget ad 80000. Iaponenses, licetomnino diversa linguautan tur, quae tamen Sinenses literis consignant,probe intelligunt; adeo verum est haec signa non rerum voces, sed earum conceptus delineare. V. Marpertuis loc. Iam. cit. Cesare Baldinotti. Keywords: signum, genere, segno, genere, segno naturale, lacrima, segno artificiale, ‘homo’, conventione, imposizione, idea, ideazionismo, ‘Locki’ – enciclopedismo, illuminismo, ‘discorso sulle lingue’, propositione, articulazione, logica, grammatica, forma logica, modus significandi, imitatmento, il Cratilo di Platone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baldinotti” – The Swimming-Pool Library.   

 

Grice e Balduino – il vestigio dell’angelo al  Campidoglio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Montesardo). Filosofo italiano. Grice: “It is amusing that when we were lecturing with Sir Peter at Oxford on ‘Categoriae’ and ‘De Interpretatione,’ Girolamo Balduino had done precisely that – AGES before, in a beautiful beach town of Italy! ‘vir Montesardis,’ –“ Grice: “Strawson and I, following an advice by Paulello, drew a lot from Balduino’s commentary – especially of the Peri Hermeneias, the section on the ‘oratio,’ since we were looking for ordinary-language ways to render all the modal distinctions (indicative, imperative, optative, interrogative, vocative, …) that Balduino finds so easy to digest – but our Oxonian tutees didn’t!” --  Girolamo Balduino (Montesardo), filosofo.  Studiò all'Padova sotto Marco Antonio Passeri (detto il Genua) e Sperone Speroni, formandosi nell'eclettismo aristotelico proprio di quella scuola. Insegna sofistica in quello Studio; passò poi all'Salerno e all'Napoli.  Nella seconda metà del Cinquecento le sue opere furono occasione di vivaci dibattiti. Alle sue dottrine si oppose, in particolare, il filosofo padovano Jacopo Zabarella. Altre opere: “Perì hermeneias”, “De interpretation, “Dell’interpretazione”; “Quaesita tum naturalia, tum logicalia”.  Studi Giovanni Papuli, Girolamo Balduino: ricerche sulla logica della Scuola di Padova nel Rinascimento, Manduria, Lacaita, Giovanni Papuli, Girolamo Balduino e la logica scotistica, in « Acta Quarti Congressus Scotistici Internationalis», II, Roma, Giovanni Papuli, Dal Balduino allo Zabarella e al giovane Galilei: scienza e dimostrazioni, in « Bollettino di storia e filosofia », Raffaele Colapietra, recensione di Ricerche sulla logica della scuola di Padova nel Rinascimento, Emeroteca della Provincia di Brindisi. Girolamo Balduino. “De signis”. It. segnare, notare, segnificare, notificare. Primum oportet ponere quid sit nomen et quiddam in proæmio, ut propositum suæ considerationis ante quid verbum cognovit et infra ab orationibus rethoricis et poeticis, atque his quæ affectus explicant, illam se legit. Item tes cum iste liber cum tota logicae undem modum cong ordine lint considerandæ quo, ex processu resolvente com, siderandi participet, qui ut ante monstrani est instrumen monstrat cum inquit primum bum etc. vers tum seu organum notificandi. Quid inter hunc librum quid nomen quid alios differt? Respondetur. Id interesse et, inter diversos primum, non intentione, cum libros eandem rem eodem. Sed quod primo exequi instituimus dicit opor versa prædicata propria, de illa cognoscantur. Q dis eaq. præs cipia quæ ut deus, et prima in omni tempore, loco, et subiecto dicata ex fine libri facile inveniri possunt demostrationis prin sunt nes mus, extremum nam ut posuis cellaria. Sed suppositione in hoc libro et finis, rum conceptarum res et secundum quid. nam tuimus dicata quinq vocem SIGNIficativam stag are, ut toto, necessario tra verlrum etc. Hæc verbi, orationis, enunciationis nominis, nis quibus eædem libro poeticorum est præceptionem tradere finiendo considerant alterum ut aspernetur et um metrum formandum, bi etc. ponere ergo sumetur non tanquam res dubia inquirendum sum, verum et constans ponendum primo mento magno exemplo explicatur artificum idem ligna ut lignum, sit sed ut per seno post incos unus artifex statua malter, referet tæ, cum suo proprio monius inquiens est, ad metria positi oest. Ita que non nisi ut enunciativa. Sed de subiecto do post secund infine. Regulem logicem ponuntur ut notæ orator et  poeta enunciativa orationis codem modo ista des:ante et SIGNIficativas intendit idenim definitionem nomini suer, sitione SIGNIficantes tionis tantum urilitatem declarat apo demonstra, ad impossibile primo prior de tione simplici et hæc porest. Sed demonstratio viriali cuius, extranea autem quod licer hæc omnia demonstrationis Postremo scientiarum. ne viam atrium et iuxtaponitur uerbo. Magentinus positionis modos modo considerantes est interpretario posis ab instituto, nomen, aim. Ponere seu constituere. Ammonius has tres particulas legit cum ergo sunt prædicata propria, affirmationis et negatio mum ponendum constituat, alterum appetendum explicaretur oportet definire et fugiat. Poeta ad cocinnum orator vero adornatum. Id, quasi istorum quid nominis ad efficiendam. Huic quam retuli rei confidera Averrois, definitio enim inquit Aristotele ingeo navem, alteradarcham considerandi modo, assentit, Amonius definitiones positiones in arte dicuntur. Metafisicae in hoc libro confiderari de oratione, in magno com cuiusratio est primopoft. quam per voces clariores mo prior primo, syllogismus est positis et concessis et concesso, pri oratio in quaquibusdam attingit. Magentinus syllogism ducente hac tenus. Paul e re niam fiunt. Quos cis nunc. De utilitate dicimus ab anima, quæ facile opus suum inquitex proposito patet: ad de et ex inscriptione cepit ergo tertium  modorum quos Ammonius attulit. Su subiceti interpretationem refertur. Quam mitur enim gratia quæri retulimus nam enunciatio ad ins ponere, primo prosupposito tendatur tet non simpliciter sic enunciatio in to, propositum quas per voces clariores NOTIFICARE nostrum esse, de oratione enunciativa. Hic autem finis haberino potest, nisi per hæc præ tertio ait igitur de partibus tractandum est, quid nomen et quid verbum inquiens et Aristotele verba conne fit ita res tractatæ alibi differunt. Requires et ens quia propositum Aristotele quam, necessario. Quona igitur modo sei ungi simplicium essential cognoscenda differentia locus, tamen hic nomen quid ferme omnis explicatur ex proprio fine quoniam et uerbum. Juult ergo cum cæteris ista considerat utg syllogism parte sefficiantur logicus bus ponere sumendum fore pro definire et definit, ut verum strationi deseruiant, grammaticus vero voces tis compositas incongruum sermonem ex elemen, ut congruum, siue oportet ponere, id est definire et falsum declarant. Et novissime ut demons dissentio latina ac sensum accedens ab Aristotele sidiceret. Sed ab his ad Aristotele verba græca et. nam committeretur nugatio possunt? ideo dixit primum est erfide hoc infra fit proprius considerandi oportet ponere  id est definire, magis ut iudico. Hæc ut bene Ammonius cognoscit. Ac.p fine propositis nullo modo tamen, ut omnia moveri commune commodum est id muniter posito primo top. nono.Tertio et concello quomodo sumitur procom de mente Ammonii attulimus gratia explicentur omnibus Aristotele. Quarto pro ea fine ratiocina, pro proprium est. Locis quos adverbio quod nibuscarentibus pro definitio positione fieri ex Heracliti sententia via relinquenda non est docentes, fine via eius contemplationem medio. Secundo poster incommens damus, tenebrisan; circumsusi more feramur, est igitur enumerat: tray in incertum imperitorum via, illa quam toti logicæ Aristotele to magno est. coniung nomine et verbo. Pris. primo post secundo post. et ratiocinatione ex hypothesi. Secundo supra retulimus et hic accepit sed quem modum Aristotele hic fert. Ex hisitaque patet. Arit, resconsiderandas acceperit, verbum nullum proj ea considerantur. Quod si orationem ante etiam posuit et tractavit, non nisi ut genus commune enunciationis, ad verbum. OD rum ordinem pofuisse) tanquam subiecta et tertio prædi num triplex potestelle consideratio: primo ut absolute Cara, quideorum, scilicet ponere sive constituere. Sed SIGNIificant simplices CONCEPTUS. Ita in prædicamentis cons citorcum primo post in parva commentatione: scieny fiderantur. aliomodo secundum orationem, ut partes tiasitunius generis fubieéti, quçcúq; exprimis componitur, sunt enunciationis: sica dhuc librum spectabunt, propter et partes et PASSIONES horú sunt pse. igitur duo sunt per reaenim inquit traduntur sub rationem nominis: uet er se predicata, substantia sive essentia quæ per definitione, et biut SIGNIficant cum tempore aut sine tempore, intulit accidens proprium, quod per demonlirarionem concluditur. etiam. et traduntur alia huius modi, quæ ad dictionum secundo post. Inmagno commento cur tantum pertinentrationem, ut enunciationem conftituunt sed quid istorum proposuit? Ad hoc dicendum mihi uiden quam vistant iuiri ingenium et iudicium semper cum sum tur: ex primo post res quarueif ecf timperfectum, et quasi in mente, non habentuere definitiones. Secundo ponendum quod supra documus, res logicas ut intrumen ta et organa artium  et scientiarum, ad proprios fines et quod satis probatum est supra cum a nobis Ammonius notitiam explicandam referri. His datis patet ad petitios est reprehensus. Præter eaut diximus nome et verbum nem responsio: namdum Aristotele quid prædi et orumponen simplicior asunt decem vocum conceptibus. Amplius dumpropofuit, et propriosfinesquiipsorumpropriafer rationoininis et ucrbi et fi ut materia adorationemenun rendicuntur accidentia, anteposuille dicetur sic enim ora, ciatiuam pertineant: tamen corum rationes sunt commu cionem definiens enunciatilia inquiet non omnis: sed in nes, non ad orationem tantum contra et æ. ut prædicari de qua verum et falsum explicatur et nomen quod vox fit si vocibus simplicibus prædicamentorum non possint, licet SIGNIificatrix. Requirit secundo Ammonius a quo Aquinas cum divo Thomas in ultimo suo dicto contra Ammonii opis mas accepit. Side simplicium vocum essentia in prædica; nionem consentiam: nomina et verba in hoc libro tracta mentistra et auit: cur hic iterum repetits respondet Ammonius. ri,ut cum tempore aut sine tempore SIGNIficant, et non solu unum quod supra tanquam falsum reiecimus. Nam et fi hæc SIGNIificare dicuntur, sed et alia huius modi quæ perlig verum dicat. Ut robique easdem res subicto, rationetas nent ad rationem dictionum. Licet ipse sub inferat, utes men differentes finiri: nihilo minus differentia quamaddu nunciationem constituunt. Non solum affirmatigam enun cit est falsa. Dum inquitin prædicamentis voces simplis ciationem, ut Ammonius afferebat. Si autem ista verba, ces considerariut indicativæ sunt rerum simplicium quæ Aquinas referret addi et tasuperius ut diceret qiftain hoc quando cum temporis mensura SIGNIficant, verba: quando libro traduntur sub ratione nominis et verbi et alia huius, sine tempore cum articulis explicant, nomina sunt dicen modi, scilicet traduntur quem  ad rationem pertinent diction da. Quando pars affirmationis uel negationis, dictio: cum num, tunc inter nomen, et verbum et dicionem distingue autem pars syllogismi, terminus. Sed primum inas SIGNA y ret. Sed primum de mente sua verius credo. nam alii ta differentia dubito: quarationeun quam fiet: ut substan teridemdi et umforet contrasequodin, Ammonium die sia per le existens SIGNIficari possit cum motu? maxime ximus. Postular Ammonius et AQUINAS curaliisoras cum prædicamentares sint completæina et tu. Nam quinto tionis partibus missis, solum nominis et verbi considen metaph. septimom et septimo primo physic. ens rationem præposuit? addituretiam. quia libro poetico, quod est, aut existere dicitur, in decem primasres, seu voces partitur: quo ergo SIGNIficari possunt cum tempore! nisi diceres ut sunt imperfe et cres, et in motu cum actione, et passione et generatione lubstantiæ alteratione qualitatis augumento quantitates et ex accidente mutatione eorum quem ut uo referuntur. Seundo nec dubium solve revidetur quod dicit. Sed falsum etiam est in prædicamentis rum orationis partes enumerans, inquit septem elle. Elementum, syllabam, coniunctionem, nomen, uerbum, articulum, orationem. Ad hoc breviter respondent alig qui Aristotele omifisse quediximus, tanquam inutilia et ad rectum poetarum metrum spectancia hic solum mentioq nem fecisse nominis et verbi: pista sunt necessariæ parstes enunciativæ orationis, inquo, Ammonio non aduery voces considerari, ut ad simplicium rerum cognitionem dedu satur nec diuo AQUINAS & fi oratio enunciativa quando que cunt. Sed inftan taliqui. In prædicamentis, Aristotele fini ens in conftetexaliis, non necessario, simpliciter, omnitempore, quit. Substatia dicitur. sed quam uanère spondeantex Aril. Quinto meta et Alexandro Aphrodiseo exponente cognoscant, secundum se inquit vero dicuntur quæcunq; predicamenti figuras SIGNIficant aut secundum Boethium quæcunque figuras predicationis significant. Itaq. Per Aphrodiseus quod a nomine, vel uerbo deducitur:lig verbum hoc dici et significare res simplices, prædicamen ca ad metaph. Non logicum pertinent: sed ut decemu ces, res mediis CONCEPTIBUS A POSITIONE SIGNIFICANT logie corum considerationi convenient. Tertio dubito et tan cuti et legendum, et navigandum alegere et navigare verbo originem ducunt. Similia dici possunt de explicatione Alexandri. Quautitur Ammonius dum de verbo consin dcrans Aristotele inquit. Verba autem secundum se dicta nomina sunt id est simplex habent SIGNIficatum nominis eius simplicibus partibus simile, ex quibus constatoratio. Ita pro Alexandro dicendum. Adverbia plurima ex parte quam vanam explicationem existimo, dictionem, scilicet affirmationis partem vocari. Nam quid interest dicere nomen et verbum vocem esse SIGNIFICATRICEM A PLACITO et afferere nomen et verbum dictionem esse ihuius may de ducia vero nomine aut a parte orationis simpliciquæ nifestum indicium ex Aristotele sumitur. Qui ipsam orationem definiensait oratio est vox SIGNIficatrix, cuius ex partibus aliqua separata SIGNIficat ut dictio, verum non ut affirmatio ergo idem est dictio, quod nomen. Ut habet translatio Magentini. Et verbum. Ergo dictio, orationis communis pars erit, non affirmatione stantum. Nisi per appropriationem dicat illud sed AQUINAS vidensuocesalo, gico consideratas non posse decem simplicissimas resnis fime diis conceptibus explicare itaenim secundo intely uim habeat nominis. Et ita si quando goriatura verbo, nihil Alexandri et Aristotele sententiæ officit. Sed cur particispium, quoquam se pissime in demonstrativis scientiarum sermonibus utitur, tam hicquam poeticorum libro relis quit? Ammonius dicit, quia ad nomen et verbum reduciy tur. Alii vero quod idem sft dicunt quia pars comporis ta non simplex orationis dicitur. Quæ responsio magis perspicua et evidens iudicio meo est. Nam primo pos ter, secundo, præposuit dupliciter præ cognoscere oportere, leda sive secundæ intentiones dicentur, nonu tres linere alia namgquia sunt prius opinari necesse est alia vero quid lationibus denotant ad philosophiam naturalem spe et an est quod dicitur intelligere oportet sed cum duas propos tes et metaph. A literalseric, simplicium inquit diction ne rettrese numeravit et ad hoc respondet Aver, optertia ma veneratione sanctitatis probarim: in hactamenre' sponsione dissentio: cum decem voces non solum simplices conceptus sed res mediis conceptibus explicent: loco et subiecto et non nisirespe et uhorum ut pronomen loco proprii nominis. Adverbium tam hic, quam in libro poeticorum relinquitur, uel quiaut Ammonius ait, modum dicit quo prædicatum incit subiecto. aut ut  sрее   species composita est ex his dicas etiam o duas præposuit neccessarias signum est q Aristotele dixit dupliciter præcognoscere oportet et quia lunt, opinari necesse est et quid intelligere oportet ad tertiam vero præcognitionem der scendens, fineullo necessitates verbo additoait quædam autem ut rag nam compositaquæ esse et am tertiam naturam non dicunt distinctama componentibus, explicatis necessariis partibus, coniunctim ex his explicari intelliguntur verum quicquid sit de Arist. textu et ratione quamdi xi: sufficiens ref ponfiofit: qhicde simplicibus partibus Aristotele loquitur, quale non est participium. Coniunctionem omisit, nonquia inutilis, quoniam. infra quod ipseconfirmat hic, et supra contra Boethii opinionem adduxit Arist. dividet orationem enunciatiuam in unam simpliciter et coniunctione unam: quæ necessario coniuctionem expostulat. Nec exomisit ut Ammonius et Aquinas quia pars orationis non est sed pars conne et ensatque coniungens. quoniam Aristotele coniunctionem poeticæ locutio nian numeravit, tanquam orationis elementum. Item in cap.quarto Aver dicet, q syllogismus conditionalis est unus per unam copulativam. Gifoloritur ergo dies est sicut predicativus est unus per medium terminum sed hic medius terminus necessaria est pars prædicatiui sive CATHEGORICI syllogismi. Ergoconiunétio syllogismiexpofis tionefiuehypothetici.Hinc etiam contra eos fequetur inutilemconiun et ionemnonesse: sed hypotethico fyllor gisino necessariam: ut medium terminum prædicativo syllogismo. Alii sentiunt propterea coniunctionem omiy filfe de enuntiatione una simpliciter demonstrationi servienti, non coniun et ione una considerat sed hanc reo sponsionem suprareiecimus: ea rationeq hic liber etiam ad librum priorum dirigitur, proximam syllogismo hypothetico positionem seu præmis lamelargiens. Itemin hoc libro, capit.quarto, propofitam enunciationem ab aliis oratoriisac poeticis seligens, in has duas partitur. itidemq; definite oratione in libro poeticorum eam in hasdistribuit feudi uisit species. Dicendum igitur nobis videtur, proptereahic relictam coniunctionem esse, quia facilis, et Aristoteles sufficiens erat ea parva cognitioquam tradidit in libro poeticorum. Aut secondo dicasquor demonstrativa scientia. Et secundo poft. iuxta ordi niamhic propofitum est de vocibus necessario SIGNIFICATRICI nemquem compositiuum aut componentem appellant, pri bus agere ad interpretationem per voces clariores efficieendam: quem oém orationem efficient nam hic libercom munia principia explicat. Dic secondo q in libro poeticorum cap. septimo, coniunctio significationis est expers: qua de causa definitioni, quæ perfecta oratio est, nond eses Post ea quid est negatio, o affirmatio et enunciatio, u oratio, deinde quid sit negatio, a affirmatio, o enunciatio, oratio. mo genus, quid syllogismus, inde speciem, demonstrationem collegit. Premponens igitur hic ista duo tangfinem unum in tegrūperse ex genere et specie constitutum, primo ait enunciationem, deinde oratione, non ita per se intenta: nobis innato aminus communi ad communiora. Sed hæc responsio improbatur quia. Si ordinen obis innato, seu aminus communi et im per se et oincipiendum est, cur latus ordo ex accidente euenit, ut quando gab imperfer et o furnatinitium quia in libro de anima secundo, textura Magentino cum universe res quas universalia dicunt singulis præferantur, cur hic non primum de oratione et genere, deindede enunciatione affirmatione et negatione ex orsus fit Aristoteles sed primum a nomine et uerbo: nam auta nobilior iincho an dumerat, aut are magiscõi, ut ordone ceffarius servaretur, non anobiliori, cum negationem affirmationi prætulerit non acommuniori, quia oratio fuif setante ponenda. Responder ipse. Solere quandoq; Arist. Hocfacere et are communiori quæ ad singulasres spes et antincipere quomodo hic dicita nominee SIGNIficante substantiam sive eflentiam et a verbo SIGNIficante actionem seu passionem, Aristoteles inchoare sed quare istum secundum necessarium ordinem inter negationem et affirmationem, enunciationem et orationem non seruauerit, ut Gbioccultumomi fit. Præter ca enunciatio ut finishorum materialium principiorum prenstantior est, ergo antepor nendafuisset. Amplius nomen et uerbum, non ideo communiora esse dicimus, q subtantiam aut accidens SIGNISFICARE dicuntur, sed q voces SIGNIficative apositionelunt, non substantiæ aut accidentis, ut naturæ terminatæ, sed communiter omnium ratio ergo est sumpta a processu resolvente finem in causas et principia prima intra rem itas quecum orationem non omnem, sed inqua est verum et falsum, id est enunciativam, ut finems peculetur, et hæc ex nomine et verbo, ut materiis, constituatur necessario ergo primum dehis ponendum quidf snt: deinde complebit reliquas partes processus resolutiui sed subiectum, ut totum potential primas species continens, cognosci non potest finesuis speciebus, sicut totum constare non potnifiex suis constituentibus principiis materialibus: ergo deinde de his quæ ad finem proprium diriguntur, dicendum, quid oratio et enunciatio, ut completes finisele et us habeatur: quiahec in affirmationem et negationem dividitur ut pris mophy intelligere et scire, id est intelligere scientificum: quod Auer. Finem rerum naturalium pofuit. Item genuscum principali sua specie unum finé constituit, acea uno proce mio proponuntur et epilogo colliguntur: ut primoprio rumde syllogismo tradaturus, resoluentem processum efficiens a principali fine inchoauit: de demonftratione et  Propositis communibus, ut materia, principiis, quæ per se SIGNIficant ia omnem orationem conftituunt: nunc de coniumctis ex his principiis & conftitutis proponit. pri mumq; ait Deinde, ut diximus ex Ammonio, ordinem et urum proponit de rebus omnibus: deinde de elementis, denotata principiorum constituen tiu madres constitutas. Et de omni anima prius quam hac autilla animaratio pof t e a inquit quid ne a t i o affirmati o et c Hic quæris igitur & causa ordinis a dnoscelatiesta notioribus nobis Diiii gationem affirmationi prætulerit. Ammonius ait prius nomen perfectius posuit? Item in situs, et ad nosre asenfuuisus incepit ut Auer. aitineodem libro. de anima de intellectu prius quamdesecuny. dum locum motiva potentia. Similiter secundum accidens est ut a comunioribus five minus comunibus pro Milanius. Nam de generatione considerans de ea generatim sedin ruit: et fi per se non SIGNIficat ut ait Aristotele licet SIGNIfica, demonftratio intenditur quam syllogifmus. Et primophy. tionem non impediat perfead hunc librumnon per primo finem proponens rerum naturalium primum, dixit. Et at, quietiam per se SIGNIFICANTIA principia ut materias spe quoniam intelligere et scire contingit, id est rationem ellen culari conftituit. Quarenon inutilis quidem coniun&tioerit: tiam ac naturam ipsarum, inde scientiam per demonstras sednec necessaria pars SIGNIficans, orationi per se, id est, tionem acquisitam ratione et eflentia posita et explicata omni conveniens oratio autem divisa in species duas, per definitionem, in fine explicando, nobilius explicavit, quas monstravimus, conjunctionem a poetica, ut eius parti ac magis intentum. Sed ad huc dubium remanet curnes utilem, mutuo accipit sed ad enunciationem relatam ut primo priorum, prius TEX. BOETHII. ordine ad nos relato, ab imperfecto ad perfectum procedit et   tum negatio enim diuisionem continet, affirmatio autem in compositione consistit negationem igitur affirmationi præposuit, et magis ad partes accedir, compositioautem ad totum. Sed ueniat anti uiri fit dictum negation magis composita dicitur quam affirmatio, cum additione negan cis particulæ, affirmatio efficiatur negatio. Ad rationem orationem quatenus ex luis materialibus principiis cons harum alter utra præferatur. Sed contra dicimus, pris mo hic liberad demonstrationem dirigitur, ut ipse fal dem, fic nece ædem voces. Quarum autem hæ primum NOTAE sunt, eædem omnibus PASSIONES ANIMAE sunt et quas rum hæ similitudines, res etiam eædem. Sunt quidem ergo hæc in voce, earum in anima passios ad modum necliter et omnibus cædem, fic nec eædem voces. sentiens cum Magentino reprehenditura Sueffa. adiu mentum seu commodumin proæmio, nointractatupræ do secondo phy.tertio.natura est principium motus et quietis, per se et non secundum accidens ita que ex his positis sequitur negationem instrumentum explicans con fitione formam eflentiam q; cognoscimus hoceft agen rium et dirigentium ad ipsas. Oportet igiturante cogno! Scereea exquibus est definitio: propter eaq ifta præcogni tetur, quææternorum est non autem ad eaquæ possunt ponitur. Diceret enim ille utilitatem totius libri et subiecti esse et non esse. Amplius et fiinuno, quod de potens anteponenda, non utilitatem cognitionis, perquampro tiaadactume ducitur, non esse prius fit eo, quod est: pofitad eclarari, ac definiri possunt. meæ etiam rationi nontamen simpliciter in omni natura: cumea, quem poten responderet. In sequenti textu commodum quale fitex tia continentur, non nisiaba et tu, ac eo quod uere eft in plicari: sed quam in ordinate ac fine arte id faciat, uides actume dantur præterea cap.quarto enunciationem in rintalii, retamen idem cum Ammonio sentit quiait Ari. has duas species diuidensinquit. Prima autem oratio docere uelle nomen et verbum quorum finitiones promi enunciatiua est affirmatio, deinde negatio ergo analoga, fit, voces SIGNIficativas esse, quod ifferata vocibus nonli aut per rationem ad aliud nonç que diuisa participatur ab SIGNIficantibus, ut scindapfus docetom quæ inprimis, ac utrii: fedde hoc fuo loco dicemus. sicut Ammonius di proxime ab ipfis vocibus in dicentur. conceptus, scilicet durum promittit: Mihi quod uerius probatur iftud est, primo: quorum interuentures explicantur.quæ omnia, hic affirmationem et negationem numerariut plures species enunciationis, id est oppositionem contradictoriam erficientes. Quæ infine fectionis fecundæ, in hoc conssistit. ut aliquas edeiiciant, deftruant, abiiciant, atque ne gent; in hoc autem efficiendo potissimam et inprimis vim habet negatio. Quade causa ibi primum ab Arift .numeratur, ut secondo de anima cum species subiecti fint plures, ex enumeratione ipsarum precognoscitur esse, id verum in demostratione, iti demin definitionem ons quod anteponendum est, prius quam tractatus cognitioaut definitiohabeatur. Secundo sciendum primo topic. ofta  Opposita secundum contradictionem protenfa alterum oppositum explicare.Et primo post. octauo. In antiqua commentatione, de omni eft quod non inquodam quidem fic, in quodam autem non nec aliquando quisdem sic, aliquando quidem non. Jitidem & tex. Quinto scire autem simpliciter opinamur: sed non sophistico monitionis: qua simplici conceptu fine assertione seu compo iun et a et  divisa, notio rem esse quam affirmationem nam ta, ad eam habendam nos dirigunt at qzillamex præno attendere folemus diligentius ad contraria, ut nobis ads uerlancia, quam eaquæ sunt nobisi nnata. hæc autem affirmatio, illa negatio explicat per externa, explicantia ti sefficiunt. Arif. igitur quoniam dixit oportet nos constituere, siue ponere quid nomen, et uerbum etc et com muniter hæc erunt voces SIGNIificatiuæ positione aliem fine quodam modo alterum sed cum iple species ex propriis very explicatione, aliem cum vero. iccircoiftatria antemani principiis internis definiuntur, I uxta ipsarum naturam, feftat: nesue definitiones fineratione et fineea quam ipse proprietatem et ut ad commune genus proportionale tradidit arte ponantur, at constituantur. In hoc textu eu analogum referuntur, finienda sunt primo, modo hic in proæmio negatio præposita numeratur, ut instrumeng voces esse SIGNIficatiuas: quod Ammonilis exponens cum tum est habens ellenorius: secondo autem modo infra in Magentino ait quattuor ad ho cutilia effe: rem, conceptum, tra et tatu et propria definition subsequitur itainfra intely vocem, et literas. Amm. autemait Aril. inchoare, nona lectus quando plineuero est et falso: circa composition rebus, quæ perse, nec simplices sunt nec compofitr: id nem enim est falsum et uerum. Querunt novissime curuo enim habent conceptus sed a vocibus, tr"fine quibus dis cem omiserit. Sed Aris . infri ad hoc respondebit ut supra sciplina et præceptio fieri non potest aitam; nullam facere etiam a nobis fatis est dictum. Propter ea ad alia contendamus. Aristotele de literis mentionem g nullius ui funt ad proporto & fiuerafint, dimin Pombaamen ponunturcum aliammay gis intentam differentiam SIGNIFICARE SCILICET A POSITIONE, NON NATURA relinquat, quamtamen Alex. et Pfellius prosequuntur et in expositione tex. Ammonius A uer. ato alii non omittunt unum ergo et idem cum hissentiens, eorum veritatem confirmo. Cum nominis doctrina et dissciplina ex ante posita fiue præexistenti fiat cognitione, ftretur et testimonio Auer. confirmetur. primopost.ses cundo. et Arift. primo Metaph. et apud Alex. pri motop. quarto oportetenimait Arift. ex quibus eft de finitiopræ scire, fiue ante cognoscere et Alex. inquit definition per omnia nota et precognita procedit et Averroes primo post. secundo. fic. etiam uerisimile eft effe dispositionem specierum prænotionum conceptionis id est defiunumeorum quæ diximus explicatur, nomen et verbum  primo secundo. hec autem quandog imperfctiora, TEX. BOETHIL. Suntergoea, quæ funt in voce earum, que sunt inanie quandoy perfectiora, minus communia autcomiora. Ma ma, passionum not&,o eaquæ scribuntur, corum, que gentinusaitq cum evidentia dixerit, abhistanquam abdi tis et occultis abstinuit. Aquinas dicit gquia Aril. cępitapar sunt in uoce. Et quem ad modum nec literæ omnibuse et s tibuse numerare: ideo nunc procedit a partibus ad tol adducam dicitur. aliud effe dicere num note: O quæ scribuntur eorum IN VOCE. Et queme procedere, quia magis sensate sunt de anima instrumentum, seu Atat, esse magis minusu e compositam aliud finem habes PASSIONES ANIME SUNT, o quarumbæ similitudines, res quoquecedem. re ut alterum coniungicum altero, aut feiungi ab altero enunciet. secundum concedimus: sed exillo affirmationis naturam magis compositam esse, sequi negamus sed Magentinus dicit q enumeratis nominee et verbo et aliis eorum definitiones tradendæ erant, quas ponere constistuerat. Sed hoc Aril. non facit: sed caput proponit quod nobis ad iumento erit sed quod fit ad iumentum non exiplicat, nec increpandus ame eritut Herminius idem negationis potius. Secundo respondet p in hisquę possunt efle X non efle, prius eft non effe quod SIGNIficant negatio, quamefle, quod explicat affirmatio sed ut species sunt æque genus diuidentes, sunt fimulnatura, nihil grefert Quorum tamen hæc primum notæ funt, eædem omnibus i ta con    la contemplanda. Quod fi ita est. Cur ergo iftorum quat PASSIONES SEU CONCEPTIONES esse omnibus easdem:id est tuor meminic? Et si infra longioribus, nunc tamen quod ellea natura: Expolitores non explicant qua de causa, ad rem pertinent dicamus et brcuiter: finem huius libri interpretationem esseut fupra pofuimus hæc autem ut lov gicum instrumentum et organum cognoscendi, ad explicationem rerum dirigitur, ac tanqua multimum & perfe netemere et fineulla ratione iddrift pofuiffe dicamus. notandum, sexto topi. In explicandis partibus defini tionis oppositorum, non tantum opus effe oppoftiscum negation præpofita, sed etiam rebus huius modi, quiz intentum finem refertur interpretatio uero rerum non busdefinitio feu definitionis pars tanquam habitui conue fit nisi per voces clariores SIGNIficantes A POSITIONE, aut perl iteras cum voces defuerint propter eanecresomi lit, sed tanquam fine multimum et in primis intentum por fuit tertio enim mera meta nemo define consuls nit: nam per se habitus per privations noscuntur: licet quodammodo id est ut commentator primo pofter, in magna commentauone et primorheto. cap. quin toinepitomatibus logicalibus explicet alicui generi ha minum privatio, atque oppositum cum negatione praeposita, alterum manifestet. quam obrem topica loca constituunt. Qomnibus, aut pluribus ita uidentur. Cum igitur supra explicasset, li voces SIGNA ESSE A POSITIONE, ex appo fat: fed ftatuitatq; ponit: sed quomodo et per quæis finis eueniat deliberat. nam primo ethico septimo, fifinem tanquam exemplar habuerimus, magis intelligemus quæ nobis sunt bona et septim opoli. in principio: duo funt inquibus omnis commendation bene agendiconsiy fito cum negatione præmissa, nunc eadem explicat pary ftit. unum ut propositum ac finis recte agenda subjaceat: alterum ut eas quæ in illum sinem ferant actiones inueniamus, resigitur hic non relinquuntur sed tanquam fines explicanda ponuntur. Nec literæ fruftra ab Arift. nume rantur cum vocum fungantur officio: hisq; principibus explicatis,& quæ scribuntur aperiri intelligimus huius enim caula quæ sunt in voce conscribimus, ut absentisbus uocibus, res concepta scertius, uberius et firmius teneremus quæ enim uox, tot philosophorum, a nobis absentium, sententias unquam aperuit ad quas eorum libri nostam facile deduxerunt, ut possemus aliquando quid ticulamex opposite positiuo passiones enim et respros prereaq eædem sunt omnibus, NATURA SUNT, NON EX ARBITRIO ET POSITIONE ex opposito voces, ac scripiuræ quia non sunt eædem, A POSITIONE, NO NATURA SIGNIFICANT. aHinc etiam differentia vocum A POSITIONE ET PASSIONUM sive conceptionum et rerum colligitur et approbationem intelligat, ex græca particular aperitur. quæ diciti quorum quidem. Quæ particula causam propofiti explicat, non controversiam. Quioaduerba, Ammonius primum obseruat.q cumde uocibus et literis diceret Arist. ait. quorum ex SIGNA sunt sed passions similitudines re senserint eorum scripta fæpius repetentes a gnoscere: No rum uocauit. Quia simulacra rerum naturas, quoadlicet igiturut Ammonius dico nihilo pusesse scriptis. Sed dico, representant ut inpi et uristidetur inquibus mutarefor magis fuisse conveniens Arift. nomen & verbum et c des mas præsentatas non licet. litin Socrate pitto calvo, fi finire per uoces quæ in disciplinis quasalio certo duce mo, oculis prominentibus SIGNA vero et NOTAE totumha per discimusfacile primas tulerunt: quam perscripta: bent ab impositione et cogitatione nostra, ut in militum quibus periti occulta cognoscunt et percepta declarant, SIGNIS ET NOTIS diversis a; institutis conspicitur. Sed cong Nunc ad litera mueniamus ea quæ in uoce sunt, cons traquia secondo priorum. de enthimema te tractans. fi stunt, aut continentur, sunt SIGNA se unorem ounebonor enim duo hæc significat earum passionum i.eorum conceptuum: quos patitur, id est, ut formis perficitur phantasia, mens, seu anima, ut Prelliusait et quem scribuntur SIGNA ac NOTAE funt eorum quæ in uoce consistunt. Etquemadmo gnificans.quiaidemuerbum,lignum,&notauocatur. dum necliteræomnibusexdem ficneceædem uoces.} Explicata prima definitionis particula, núc ad secundam accedit q uoces A POSITIONE SIGNIFICANT. Id que approbat Arifto. ratione fumpta ex opposite cum negation prol tensa. Quodquodam modo notius, alterum palam facit. primo topico et auo, hinc facile confirmatut experimen Arist. quod supra de negatione ante posita affirmationi docuimus ratione sed oppositum ei quod est A POSITIONE elle, estelle A NATURA: quæ eadem omnibus in est ex opsposito igitur ratio in hunc modum formetur ad conclusionem ex similinotiori in litteris innuendam, id natura esse dicetur quod eftomnibus idem; natura enim princiy pium est perse& deomni: quæ igitur non sunt omnibus eadem, non natura sunt aut significant. A negatione proy Prætereasi hæc differentia uera esset, acillam Aristot. ex his uerbis intenderet, his tantum nominibus pofitis suffincienter explicasset, dum diceret. Propterea quod uoces & literæ SIGNA ac NOTAE sunt, A POSITIONE SIGNIFICANT. PASSIONES vero et RES quia SIMILITUDINES SUNT A NATURA. Ita in finiendo nomine et uerbo sufficeretsiduntaxat dixisset, nomen et uerbum es tnota non igitur addendum quog cesfint A POSITIONE SIGNIFICANTES et hic omittendum fuils set, quod voces & literæ sunt notæ fue SIGNA non eadem, neidem calu, actemere refricaret. Mihi ita sentiendum videtur. Ovuboloy superior “NOTAM” (NOTARE, NOTIFICARE), “SIGNUM” (SIGNARE, SIGNIFICARE), “VESTIGIUM” dices re quæ ita dicuntur quia ut notiora exterius NOTIFICANT, ac ut VESTIGIA pedum significant. Hoera autem, id est PASSIONES SIVE CONCEPTIONES non ita: quanuis interius priæ definitionis ad negationem definiti henc propositio, similitudines rerum vocentur: rem tamen et fiinterius, quia perspicua, approbanda non est: sed lumiper senoi exterius non aperiunt propterea igitur voces et literas fi, tam oportet, alibi quodam modo declarandam: Allumy SIGNA ET NOTAS vocauit et  PASSIONES SIMILITUDINES quia ille prio, id eft minor propositio in textu ex oppofito cumne exterius, hæc interius manifestant. Secundo ex dicti sfaz gatione præposita notiori in literis et quemadmo! cile reprehenditur syllogismus quem Suella formauitex dum neque literæ omnibus eædem: fic nec eædemuol litera dum afferit Arifto. uelle probare voces & literas ces conclusio consequetur. Igitur nec voces A NATURA SIGNIFICANT a quume uarient, A POSITIONE haberi, conceptiones ver et SIGNIFICANT et non omnibuseç demerunt. Quorum aux res, cum non euarient, natura esse. hocto tumuultelle tem.; Approbata minori propofitione ex simili notiori præceptum et complexionem fiue conclufionem ad qua inliteris, in quibus idem prædicatum inuenitur. nunc inferenda mait Aristotele in textu ratiocinari. Quæcung sunt alia duo, conceptus scilicet, seu passions & resmanis aliorum SIGNA VEL NOTAE, positione se habent. Uult deinde fe stata natura effe et ita ead emomnibus, inquit ledpal, quom dassumptionem, id est minorem Arift.ponatibi funt Gones animæ quarum hædi et æ uoces primum nuly quidem igitur quæ sunt in uoce et c. id est sed nomina et lointeruentu, noræ sunt hæ animæ passiones sunt cæs uerba. Et scripta sunt signa et notæ aliarum, voces, Ccili demomnibus et res quarumhæ passiones sunt similitus c et conceptionum, et scripta vocum: sequitur conclusiout dines, etiam eædem funt. Sed cuius gratia manifestat putatibi qaemad modum nec literæe ædem ficnecuos Aristot. ipsum definiensait, syllogismus est imperfectus: ex signis ubieodem uerbo ut itur ad ex plicandum SIGNUM NATURALE E SIGNUM A POSITIONE uana iti demerit, assignata differentia Magentini. non fita positione ceseæd emerunt ubi sic ingræco non haberi affirmattur. Sed primær esponsionis partitio, feudiftinentio, quo quod manifefte falsum eft Toosenim sic latine significat nam modo fit uera in primo suo membro, supra longios et quem ad modum et ait et uim habere inferendi fæ ribus disservimus cetera tamquam uera probanus. Seddu pe consueuisse. Sed obiurgandus est Ammonius qui lis SIGNUM ET NOTAM ait approbationem, id est probationem bitabis Vox SIGNIficatrix est per se genus nominis et uery bi: igitur vox erit generis pars communis, per se unum constituens: duo igitur consequuntur. primum naturale ,unā per se constituerecum artificiali, et ens reale cum enteratio, nis: secondo partem efle intotoniinuscommuni: signifi care,scilicetapositione,effeinuoce,quæeftmagiscomo munis. Qui modus improprius dicitur eius, quod est in esse.q nomina,& uerb auoces, & scripta a positionef SIGNIificent: cum secondo priorum In Epiromatibus logica, libus, de rhetorica persuasiua et syllogismo contradictoria SIGNA enthimematis et demonstrationis et topica etiam,  non a positione significent. lignum ergo, et NOTA, commune est ad signum, quod EX ARBITRIO ET inftituto signifiy alioelle. quartophy.Adprimum&finihilhicneceffario cat,& signumnaturaconsistens. Secundo propria eius ratiocinatio confutatur: non enim unus est syllogismus in textu quen suo arbitratu diuisit, sedduo. Vnus quonos mina Aristot. Et verba voces esse SIGNIFICATIVAS declarat: quod amedi&um est Paulo antedum primum in textum hoc modo quæ sunt in voce sunt NOTAE ET SIGNA scilicet SIGNIFICANTIA exterius earum quæ sunt in anima passionum minor siue assumptio, ut pofitio per se nota, ap Aris. dubitarem res logicas ut habentes esse imperfectum et quasi in cogitatione ut subiecto: in voce ut SIGNO,aliam naturam ullam sortitas non esse, quam eamquam anima probationis non indigens ponetur. Cum nomen et uers ex arbitrio finxit: ut ad aliud SIGNIficandum exterius refe bum definiet, sed nomen et verbum sunt SIGNA seu voces: ratur. Ficut ea, quæ artificum manuseffingunt præterna itaq; maior, ergo et c.propositio allumpta est, ut per seno turæopis, lignum, scilicetæs, aurumue, nil reliquumha ta. SIGNUM est illa græca particula quidem igitur quæ bent, nisi quod ars uera per sua inftrumenta hoc uelillo uel executionis fit nota, uel fi neulla approbatione ex propositis inferens, meam sententiam confirmabit id esse fine approbatione aliqua positum. ut communiter affertum abomnibus: Secundus syllogismus eriti bi. Etquems admodum et c ut secunda pars definitionis ponatur, SIGNIFICARE, SCILICET, A POSITIONE. Quod tanquam per se notum, non demonstrat, sed quia non omnino, cinealiy qua controversia est consessum propter eaquodam modo ex opposito cum negatione præposita manifestat. Quod in scriptis est manifestius, a positione sint; et eui dentius conttantius q; manifestent. Syllogismus igitur erit. quæ non omnibus eadem sunt illa non a natura quæ in omnibus uno modo invenitur: per se idem in omnibus similiter operans sed A POSITIONE sunt et SIGNIFICANT minor in textu. Et quem ad modum nec literæ omnibus eædem, fic nec uoces eædem. Ita que maior propositio syllogismi Suessenon est ad hanc inferendam conclufionem, quam nostra secunda ratiocinatio intulit et quæa suessa ratiocinationis conclusion et complexion dicitur, no bisminor secondi syllogismi cum eius approbatione ex simili literarum uiderur nam fine ulla controuersia ut bene animaduertit Ammonius scripturæ et literæa positione significant licet quodam modo uertaturindus biuman nomina et uerba, nátura, ut Plato uideturassere re, anaconfilio, ut Arift. sentit, significare dicantur. hinc. per se unum constituit cum voce, naturali opera anima ut fequetur eum non aduerba Arift. ne que sensum dicere. dum infecunda sua expofitione afferit, quam Alexandri & Afpafii esse confirmat, hic Aristotele velle colligere similitudi singulare opus naturæ est, fed ut indiuiduum ab arte for matum. Itaque nec primum sequetur, naturale cum arti ficialiunum per se constituere: quianon ut naturale, sed nem inter scripta et uoces. Sed q ex hoc predicato, significa ut arte effectum, formatum cum sua causa formali perl e re ut non idem, idefta pofitione: quod norius et firmiusin unum efficeredicitur: similiterres logicas et placitum scriptis uidetur. Inferti demde uocibus significatiuis, tan uementis arbitrium in uoce contineri affirmamus: non quam genere proximo nominis et uerbi et omnium alio tamen ut opus naturæ eft, per se unum genus conftituit, rum. Quærit secundo Ammonius: cur Arift. non dixer fed tantu muta positione, et confilio, et cogitatione fal cit. uoces sunt SIGNA CONCEPTIONUM. Sed eaquæ sunt in et um eft, ut vox ad hoc uel illud explicandum ponatur. Voce irespondet primum: cum triplex fit oratio, concel & ex communi imponentium consiliore feratur. Sica pra, in uoce; inscripto: de secunda hic loquitur fecuny mentis relatione, que in uoce ad significandum relinquis do respondet, voces naturae dimus ficut uidere, audire: aliud eft ergo uoces esse, ut opus naturæ, aliud nomis na et verba a positione et nostra cogitatione, quæ uoce utuntur, nam quem ad modum ianua dicitur lignum, & nummusæsue laurum ex arte, quæ imponit figuras et tur, uocem naturæ opus, artis logicæ inftrumentum et opus artificiale per leunum et ad alterum SIGNA ng dum relatum conftituitur. Ex his ad id quod secundo consequebatur patet responsio non enim in conuerniens eft minus commune, quod formam et a&umdig characteres: eodem modo et uoces dicuntur nomina, cit, contineriin alio magis communi quod  in potentia cum a locutoria imagination fingunturac formantur, fie exiftensperficiacformariabaliopossitminuscommu; gna eorum,quæ inanimouoluntantur,& talem sunt formamadeptæ:utex positionefignificent.signum est uoxmutorum articulata, quæ quianon ex composito et  institutione aliorum eft, ideo nomen et uerbum non dicis ni.ut de intellectu et cogitativa Auer opinatur de anima altrice, sentiente et rationali et ex Aristotele confirmatur secundo de anima. Postremo in uoce, perfe&io placiti, seuarbitrii, confilii, &pofitionis, effet dicendum sed metaphyfico et naturali hæc quæftio difficilis relinquenda ellerbonitatis, tamen gratia, quam breuissime poterore spondebo. Sed animaduerten dum primo modo effigiantia progenuerit. Hoc,alterum comitatur, easdem res logicas, uts ecundo intellecta, ad logicam non ut scientiam sed artem spectare namearuni, mentis arbitrium, ut externa causa efficiens assignatur aquo effig ciunturea, quæartiu et scientiarum explicationi conuer niunt et in uocibus, acaliis notioribus regulis apponuntur primo post secondo poster tertio ponens dum metaph. Non eodem modo, omnium unitatis per se causam requiri. Alia nanque, quæ matelriæ conditionibu suacant, ut intelligentiæ fiue mentes, fta timens et unum persesunt. Aliaquæ ex materiis constant, unum per se fiunt q hocidem, quod ens potentia erat; idem fit et u:efficiente tantum educented epotens tiaina et um artificialia per se unum conftituunt, secundo physica secundode animao octauo, non cum subiecto ut naturæ indiuiduum est, sed ut arte formatum, viue effigia tum est: artis, ac formæ artificialis esse recipiens. causa enim propria cum sitars, & esse us artificiale quiderit. Ficut causa propria indiuidui et esse et in naturalis est forma et substantia, effe tum igitur subftantia erit, ita proportione et similitudine quadam, quæ de unitate et definitioneres rum artificialium dicta sunt: fere eadem de rebus logicis, et v ocesignificatrice a positione dicenda sunt non enim quod in uoce ex consilio et mentis arbitrio pofitumest, quibus quibu suoxipsa, quali formatur et denominatione exo trin. ecus SIGNIFICARE A POSITIONE dicitur, atque, ut aiunt, per attributionem placiti, ut formæ specialis, uoci, ut cantibus omnibus, non definite contractis ad nomen et verbum: nam uox significativa partem communits imam generis nominis et uerbi et orationis conitituit non pros materiæ sive generi magis communi ad sunt. Nec incon prie nomen et uerbum tantum. Differentiam aut eniliter ueniens modus ellendi in alio eft, minus communisinma rarum abelc mentis quam Ammonius accepita Dionysgis communi fiue formæ in materia, ut Suetreuidetur, quo fio, lumasab Arist. in libro enim poeticorum ait. Eles niam quarto physica Primus modus numerator partis in mentum uocem effe indiuuduam: ergo proprie in uoce sed toto, secundus totiusin partibus tertius specie ingenere, ad sensum patet literas partes eorum efle quæ scribuntur. Quartus generis in specie, quintus speciei, leu formem inmai Quæriturcur passiones uocauit et similitudines uelfimu feria  et c. Nec ualetfua obiectio contra Porphyrium: lacra. Ut Ammonius dicit. Sueffar espondet propter eafie sequeretur Arist. Intam paucis verbis ambigue dicere. Militudines appellari, qarederiuaniur: passiones uero, ut animum ipsum perficiunt:c onceptus, ut principilim et ratio intelligendi. Sed contra, quiarecte Ammonius interpretatur, simulacra rerum dicuntur, non quia causa, taarebus ut phantasmatibus siue sensu perceptis sed quoniam rerum naturas, quo ad licet, representant ut in picturis demonstrate in quibus mutare, ac transformare naturas representatas non licet. Præterea conceptus, nifi constituantur nouarum rerum uocabula, rem iam concer ptam et cognitam supponunt. Non igitur proprieprincis piumseuratio cognoscendi dicentur: nisi ut species et phantasma, ut obiectum alumina intellectus agens, eft des puratum, uta iunt, formatum et illustratum. Item non explicatquem animum passiones perficiant. quianon mentem per se impatibile in, ut Auer. opinatur. Sed animam seu mentem phantasticam, id eft existentem in phantasia ut oprimePsellius explicauit attributiue enim mens quia dudicit eaque sunt in uoce. Sumitur ut parsminus communis in toto, id est inmagis communi. cum vero sequitur, sunt SIGNA earum passionum quæ sunt in anima nunc sumitur ut accidens et forma in subiecto. Sed constraquia æque ipsum inconveniens hoc sequetur: cum placitum, fiue consilium, uoci non hæreat denominatione interna, id est intrinsecus sed a confilio imponentium attributum, ut SIGNOf Placitum ergo fiue arbitrium, pactio et mentis cogitation eft in uoce ut SIGNO non cui extraanis mæ operationem inhæreat: sed passiones animæ rationa liconueniuntutactueamformantesacperficientesetiam dum dormimus. Item proprius modus elrendi in alio maxime dicitur ultimus,utinlocoueluale aliitrans lumptiue, id est per translationem, ut Arift et commentator afirmant. Tertio queritur quod primo loco quæren dun fuerat an per uoce, ergo aliquid ex propofitis inferat, an executionis fit nota AQUINAS ait ex præmissis concludere, hoc modo quia Arift. dixit oportet ponere quid nomen et uerbum et c Shemc sunt uoces SIGNISficatii caduca et infirmapatibilis et poftremo in homine sola mortalis. Sed hic primum quærocur solum Arift. passion num et similitudinum seu simulacrorum meminit: Respo deturcu principio intelletus fiue mens phantastica rerum qualia dumbratas intelligentias et similitudines recipit, his ut patiens i l lu f tratur u t patibilis intellectus. Hinc requistur, eas similitudines, ut animam perficiunt phantasticam, passiones vocari, perficientes, ac illustrantes eamnuilo contrario ante corrupro. Hemec similitudines dicuntur ut o intendimus ex Ammonio jur rerum naturas quo ad licet representant et conceptus, ut abintelle et tu patibili seu possibili concipiuntur, autiam sunt conceptæ. Secundo ponendum intellectum patibilem, idest possibilem ad passiones et similitudines cum eas primum concipit conferri, ut poteftate eft omnia illa, tertio de anima quem ad modum TABVLA RASA in qua nihil esta scriptum siue fir et um. Indeetiam sequitur tertio intellectum semper esse uerum. tertio de anima id eft non errare. sed intelles Etu ssecundo progressus ultra componit illas passiones, ut simplicial intelle et a: et hoc quando ßuerequandog false compræhendit ut infra sectione quinta datur opisnio falsa ac apositione, confilio, fiue arbitrio opinatur. Buntur sunt notæ eorum quæ sunt in voce, non autemdi dequibus Alexander forteait dee isdem rebus fæpe uæ: ergo oportet uocum SIGNIficationem exponere, seu rectius ponere. Contra placet Sueffecum græcis omnibus notam elle executionis. Sed nec ipse quicontradicit diffi cilere fellitur, non enimdiuus AQUINAS afirmat ergo aliquid supra  tra & tatum, seu, ut ipsia iunt, colligere supra execustum, sed ex prædicatis ac præceptis inferre, infraconfidei randaspræ cognitiones ut nosetiam diximus et itaes xecutionis est nota propter eanon uniuersatim eft uerrum quidem igitur notam efle executionis, quæexan te positis no ntr a haturnam nomen definiens, nomen in quitquid emigitur eft uox et c. definition autem nominis exante cognitis partibus sequitur similiter secondo priorum deenthimematetractans, declarator et posito quidfis gnumdicatur, intulit Enthimema qudem igitur est syllorgismus imperfectus sed alii arbitrantur, ornatus causa a græcis poni.fica NOSTRIS LATINIS quidem enim adexory nandam orationem ponuntur: Mihi Arift. uerba et pro cellum consideranci, quando que epilogi, quando q exer cutionis, siue ornatus ellenota uidetur: quod facileex fuperiore & inferior scriptura, ne ambigua estimentur, perspicuum fiet. Quærit Ammonius cur dixerit. quçscri nos diuersos sensus habere in quo Magentinus fruftraconatur, Alexandrum arguere. itaphi sensusuarii quos exueris simplicibus cognitis et eifdem, acanaturacon di non sunt literem & elementa sed horum partes i secundo fiftentibus intellectus coniungit non omnibus iidem Xerit .literæ et elementa sunt SIGNA eorum, quæ in uoce: duobus modis respondet, primo hic Arif. de nomine et uerbo, acaliis propositis in proæmio speculari, cuiusmo aitq si'uerbum Aris ad omnem dictionem extenditur litteræ proprie sub his continentur quem scribuntur, elemens taueroquæ proprie in prolatione consistunt, subhisquem in  oce. Sed Arift. generatim loquitur de vocibus SIGNIficatiuis ut pars definitionis eft omnium, quæ in proæmio definire proposuit. Sed in libro poeticorum elementum definitur, a uox fit indiuidua: non omnis, scilicet per se significans sed ex qua intelligibilis vox fieri poteft.hic uero dixit eaquæ sunt in uoce.i.arbitrium, confilium, an passiones simplices quas de ipsis habemus, easdem res cognitio, intelligentia sunt SIGNA SIGNIFICANTIA et intelli SIGNIFICARE dicantur: cum semper fint distinguen deutdie gentiam conceptuun explicantia, non igitur hic eft fers uerfas res continentes Responde as aliudeile dicere paso mo proprie de elementis ex literis, quæ eadem sun tre, li fiones primas effe similitudines easdem, id eft a natura cetratione quam diximus differant, ledde uocibus SIGNIFICANTES fignifi constantes, aliud passionesesse naturales fimilitudines rem patibilem affirmamus primo de anima tery tio de anima ratione phantasiæ fiue cogitatiue quæ funt ,l icet a positione et opinantium consili opendeant. His positis, patethorum duntaxat Arist. meminiffe, quia hæc sola sint uere omnibus eadem, adquæ anima cons paratur ut potestate recipiens quam obrem passiones Arift. appellauit alii autem conceptus, aut non iidemdi cuntur, autadillas, quas diximus passiones et similitudines, reducuntur hæc dehisha et enus quæ tunc docenda erunt cum de anima dicemus. De æquiuocis ambigunt. id est natura consistentes habebunt: quibus plura cognosscunt et representant, acreferunt licet voces quarum proprie ambiguitas dicitur, non naturas inteædem feda positione SIGNIficent: æquoca enim rem unam cominus nemnon habent: fed tantum uocem et hoc responsio, diz ui AQUINAS dictis, eft fuita. Sed obiicies ut Suella contra Porphyrium ubi voces funt eædema consilio, pofitæ, easdem primas conceptiones fine erroreaut falso SIGNIficant; non ergo ambigue loqui contingeret, ne quedifting bis. ubinamin Ari. patet, similitudines in primis esseres rum simulacra et naturalia ficutresnatura eædem omnis bus sunt? Respondeasextertiode anima animam, quodammodo efficiomnia,cum omnium formas,aut sensu, aut mentes uscipiat et quia singulorum formæ per animam cognoscuntur, LAPIS autem NON EST IN ANIMA,sed species et forma eius primum lapidem representans. Primum ergo similitudines et species rem et DURAM LAPIDEM ESSE repre reautillic Arist.dicit. Ad phantasmata intellectus confers tur, ut sensus ad SENSIBILIA a quibus natura mouemur: atque impossibile dicitur, qui nuis istangamur. Itemne celle Arilair, intelligentem phantasmara, id eft eorum SIMILITUDINES, specularit ex res autem o narura constent, tanquam omnibus perspicuum omittatur. Amnionius di de anima ad poftremo relatum dixit cæterum prodig tum de hiseflein libris de anima, scilicet tertio de anir TEX. BOETHIT. De his uero dictum – LAPIS EST DURA – est inijs, qui sunt de anima, alte rius enim est negocij. Eius demrei uel diuerfarum nam analoga, ut primum offensioad arteriam, fideconsulto et composito siat, illac concipiuntur, diuersa continent, ordine, comparatione qua commeat spiritus uox eft: tussisuero, non eft ea uox: seu proportione adunum collata. tamen eorum prime intelligentiæ fcuconceptiones eædem dicuntur, id eft naturra non arbitrio uariæ ficut voces: qux comparatione, reu proportione dicta A POSITIONE SIGNIFICANT simili ratione ambigua, id eft æquiuoca, primas conceptiones easdem, nus, quicum SIGNIficatione aliquaemittitur. Sed postula quamuis per eadem loca, machinamenta proueniat. quia, scilicet non ex proposito accidit nam aitfi necogitatio ne aut consilio vox missa, non est vox nam “hocomnino” in definitione uocis collocandum eft quoniamuox eft so in  guere differentes, qui satis ex notis locibus, atque errore, conceptionibus conftituere poffent, quod fit ads sentant, nam intellectus omnium, de rebus senfibilibus primum uenit, ex quibus VISA quædam et similitudines procreat ad quasintelligens feconuertit et cum intelli uersariorum consilium ,aut quid ueline Dicas his disting dioneuti opus non effe, quibus ita hæc nomina sunt perspicua et communia, ut quasidomi ab ipsorum positione nascantur. Sed his qui quasi modo nascentes de notissimis rebus atque nominibus hæsitant, nihilq; ab aliisexplicar tum nouerunt: qua de causa, diftinctio in bis nominibus fiet, quæ habentur dubia: quorum res abditæ et arbitrium consilium plurimarum rerum et conceptum non gie necesse est simul phantasma aliquod speculari. phang ialmata enim, sicut sensibilia sunt: præterquam tertiode aninia sunt sine materia. fecido natura constant similitudines: non ex arbitrio pendent: quia ad similitudines comparatur patibilis intellectus, ut natura pure potentia aut poteft ate recipiens tertio de anima in natura enim anime ef tunum natura agens, alterum natura patiens ficut in omnia lia natura monstratur tertii. Prætes perspicuuin dicitur. Ad textum nunc redeamus. Ex uerbis his collige quod supra docuimus uenforqui dem igitur quandog ad exornandam orationem ab Ari. poni, ut hic: nilenim ex supra cognitis infert, neque alia quid exequendum. seu tractandum proponit. Queresab Arift.cur istorum naturam dillerere diligentius et proprietates omittis? quibusg ab animantibus instrumentis uocalibus proueniant: pulmone et aspera arteria, aquos ma at conceptus dicit mentis primi, quid intererit quo minus fint phantasmata: Respordet an neque alii phantasmata sunt, uerum non fine phantasmate tum in rum primo, uocis materia aer præstatur. ab altero, voces graves et acutæ effigiemfumunt.& q articulate dicantur a lingua, palato labiis, ac dentibus ut animæ rationalis motioni deseruiunt curhçcitidema positionc, alteraa natura confiftant atque fimilitudines rerum sint primum fimulacra, voces uero passionum ligna, ac notæ dicans tur: Ad hæc omnia putoAristot. respondere propterea abeo essereliaa o alterius est pertra &ationis, id eft ad alium pertinent modum considerandi naturalem deani, ma: nam pertra et are quanam ratione istaabaninia, ac instrumentis eius proueniant, an a voluntate pendeant, ut operationes, ad animam, suum proprium principium res rum voces primo res generatim SIGNIificare, sedl ogicos feruntur, de quibus ut supra diximus, secundo de anima differit ubi vocem significativa mex imagination animæ uoluntaria, Conum appellat: hinc ergo patet voce sesse SIGNIificatiuas sic enim ad interpretatio rum primo conceptus quod ex definitione Platonis aquo Grammatici acceperunt confirmant nomen nem dicuntur conferretex et apositione SIGNIifica re quia ab imaginatione SIGNIficant et voluntate ut commentato at Arist. asserunt. Arist. enimait oportet animatum esse ucrberans et cum imaginatione aliqua, id eit voluntaria cuius rationem adducens, inquit sunt in aninia et quarum passionum eq voces primum gnasunt etc sed contra quia eodemmodo nomen defini, tura logico, poeta, atque grammatico id autem ut verum fit in definition nominis declarabimus secundo fin nisharumuo cum eft idem ei ad quem oratio enunciatiua refertur hicautem eft interpretation rerum conceptarum, quæ idem sunt quod conceptus: SCOTUS vero quæstione secunda respondet conceptus SIGNIficarerem, ut similitudo et speciesrei, non ut accidens animæ dicitur, Sed non quæritur hoc, sed duntaxat, an voces principaliter, seu vox enim est quidam SONUS SIGNIFICATIVUS NON NATURALITER  ut SIGNIficatiuus est sonus respirati acris sicut tussis sed ab alio libero movente hunc aerem ad arteriam. Ing quit etiam Themistius acute hunc locum perspiciens hus iusergoaeris quem spirando reddimus percussion et quibus imaginationem passivi intellctus nomine appels landamcensuit tertio de anima primo de anima ex quibus tam obscuris verbis non potest concludi aliud, nifiquod poftremo deduximus non enim video quid suadi et a sequatur, fi primi et aliia primis conceptibus non sunt phantasmata, non tamen sine phantasmate, line quo nihil intelligit animam, nisi conceptus primo phantasmata representare et necesario: ut intulimus. Mihi autem VISUM eft, sermonem Arift. adomnia supra di et a potuisse referri, cuius uerifimile argumentum poteft esse. dixit dictum eft, quidem ergo in his quæ de anima, id est libris duobus secondo et tertio: ut retulimus; non tertio solum ut Ammonius opinatur. Et ut finem tandem quærendi faciamus paucis ad hæcadditis, poftres moquæramus nomina fiue uoces an primo SIGNIficent res, an conceptus? Quidam respondent, grammaticos finientes quod substantiam vel qualitatem significet et hic Arift.quæ in voce, ligna sunt earum passionum quæ de his quidem igitur dicemus in his que de anima alterius enim estnegocij: et um hoc Arift. Dehis quidem dictum efti nhis, quæ   in primis res aut conceptiones significent. Propterea uerius ad rem et senfum accedens, respondeo et nobiscum, sinominibus non concinnat suella, re tamé idem affirmat cum Alexandro primum pono voce tanquam ultimo in? Tentumfinem et principalius, mediatetamen, SIGNIficare RES et extremum, voces, an res ipsas SIGNIficent in contrariam partem Arift. et Comment. et quæ scribuntur SIGNA et no iæ sunt eorum quæ in voce & li uoces PRIMO SIGNIFICANT CONCEPTUS, et conceptus primum res, scripturæ ergo primum uoces declarant sed contrarium, leniuum teltimonio et experimento monfiratur. Quia scriptura homini et cei terarum rerum dequibus philosophi differunt, utimur, rei cum ipsarum explicandarum causa præterea epistola in uen fecundo autem minus principaliter, sed IMMEDIATE CONCEPTUS quæ duo afferta exemplo a scie manifestant urnam ascia ut instrumentum efficit immediatum sed principale seu princeps efficiens est artificismanus quod declar ta affirmatur, ut certiores faciamus absentes, siqu id esset rans primo de anima octauoThemist ait qprincipale ac ultimo intentum cognosci et definiri, indiuiduum dicitur: fed alio intermedio cognito forma uero uniuersalis fine alio medio: ut tamen ad indiuiduum cognoscendum refertur. Hæc di et ahisrationibus approbantur. Id quod eos scire aut nostra autipsorum interesset: igiturres poftremo, ut ultimü & finis, explicari intenduntur. Item fi quæ scribuntur SIGNA sunt vocum, autearum quæ extraani mam, quod impossibile eft, aut in anima: uoces autemin anima conceptus dicuntur, quos ad rerum explicationem in primis uoces SIGNIficant, ad quod SIGNIficandum nouos referriut sinem supraretulimus. Nunc ade aquæ adducerum nominum inventorim posuit hic autem ad rem explicandam uoces consticuit id.n. de uerbo considerans Aril. et manifestans uerbum SIGNIficare, approbat, quia consftituit intellectu. sed VOX PROLATA hominis tunc conftituit, et quie cerefacit intellectum non cum ad conceptum: sed ad naturam humanam deducit ergo voces et nomina tanguls timum finem in primis intentum res explicabunt licetins ter mediis conceptibus præterea primo elenchorum pris banturex Arift. respondebo. Non solum querendum quid philosophus dicat. Sed quid convenient errationi et sententiæ suæ vere opinetur audiendum. Hunc enim in modum. Aristoteles Intelligimus quæ scribuntur, sunt notæ eorumquç in voce i. confilii et arbitrii in voce quæ secondo intellectus et conceptus res explicantes dicuntur. Sici nterpreteris quæ ex Arift. adducuntur que scribuntur sunt lignaeorü, quæ in voce i.explicant cum voces defuerint ea, quem ex plicantur per voces, quarum uice fungitur immediateer go uoces sed non tanquam ultimum et extremum, quod mo, uocum finem declarans Arist. ait: quoniam res addil serendum afferre non poffumus, utimur nominibus loco rerum ad explicationem ergo rerum, consideration uocum referturnon conceptuum, ut fine mulcimum. Amplius. Idem opus exercetcumeo, cuiusuicemgerit, utdeconsu metaph. Ratio illiusrei, cuius nomen est SIGNUM, definition eft uox igitur rei per definitionem explicatæ, SIGNUM dicetur. Item teftimonio fenfuum confirmatur:quorum clara& certaiudiciasunt, eorumquærationeetiamiudis cantur.Ad quidenimtam diu expectamus, flagitamusuo le, rege et pro-consule, siue proregein vollendiscontro uersiis perspicuum est. Scripta autem vocum uicem exercent. Idem ergoextremum significatum habebunt. explicationem, scilicet, conceptarum rerum. Amplius literarum inventor, ad rerum explicationem direxit et Auer. Ait scri cum interpretationem: nisi ueri inuenié di gratia in rebus, pturas SIGNIficare uerba, id est fine medio et SIGNIficata uer quas cognoscere cireftatuimus I denim uolumus et borum cum forte uoces defuerint, hæc dequestionibus ardemus defiderio tang extremum. Ad hæc.fi conceptus sunt inftrumenta ipsa rumuocum ut ad rerum notitian mediis conceptibus ducant nó igitur ultimum et extremum que verum adbucest. SIGNUM autem huius est, hır coce e ruus enim aliquid SIGNIficat, sed non dumuerum aliquid, vel falsum, fi non uelese, uel non esse addatur, uclfine pliciter, uel fecundum tempus. Est autem quem admodum in anima aliquando quidem o falsum. Nomina quidem igitur ipsa Q verba consimi liafuntei intelligentiæque est sine composition neo diuie suimus et rationibu sacsensibus, rationem confirmatibus fone, ut “HOMO” uel “ALBUM”, quando non aliquid additur: nes approbauimus. Pugnabis poftremo, fi uoces, mediis con queenim falsum, nequeuerumadhuc est. SIGNUM autem ceptibus explicationem rerum efficiunt: cum immediate bus ueritas et falfitas inuenitur, hæc autem conceptus sunt, non res ipsę. respondeasuerum et falsum in conceptibus, ut in rerum similitudine inueniri: quæadipfarumuerará rerum cognitionem refertur uerum in rebus est, ut in causa. In poft prædicamentis cap.de priori et in fine huius primi libri itap attributiue. i. per attributionem et collationem ad res, veritas in conceptibus erit: uere autem, ut in causa, in rebus. Dices propter quod unum quod am tale et illudma césrefertur, ueascia admanus artificum: quod suprapor SIGNIficatum non ab organo sumi oportere: sed ultimo explicare conftituunt. nam quod uicem alterius perficit, dum uerum aliquid uel falfum; si non uel esse uel non effe  fatis, ac principale SIGNIficatum vocum dicentur. Etfiobiicietati quidem intellectus fincuero, uel falso, aliquando autem cuiiam quis Arift. textum, quem retulimus voces PRIMUM SIGNIFICARE CONCEPTUS intelligas fine medio alio. non tamen,ut necessees thorum alterum in effe, fic etiam in uoce. Circa compositionem n. o divisionem, eft uerum,o falfum. No ultimum & extremum SIGNIficatun. Nam uoces dicuntur SIGNIficare conceptus, ut rerii sunt similitudines ut ab ipsis rebus conceptus uenisse ad intelletum dicamus, quas novissime, ut finem et ultimum intermedias conceptibus per voces clariores NOSCAMUS. Nec secundum eorum argumentum concludet. Voces ea in primis ut finem SIGNIficare in quis mina igitur ipsa et verba consimilia sunt ei, qui fine comegis. Si ergo voces mediis conceptibus explicantres, igitur uoces magis et inprimis conceptus, q res ipsa saperient. Dic Aristoteles locum ualere in causa principe. i. principali non iuuante tanquam instrumento, quomodo conceptus a duo intellecus et cogitation fine vero uel falso, aliquando autem cuiiam necesse est alterum horum ineses, ic, etiam inuos ce. Circa compositionem enim et divisionem estuerum conceptus, ut accidentia denotent, nunquam substantiam explicabunt. Paucis, ut supra, respondeas, tocum propria addatur, uel simpliciter uel secundum tempus et extremo fine intent. Quod quandoq substantia quando g accidens appellatur. Huic veritati Alexander et Themistius ascribunt, etc. Ammonius non dissentit. Secundo quæs ritur, an scripturæ siue quæ scribuntur, tanquam ultimum Magentinus hunc in modum Aristotelis textum cum præce denticonne et tit.cum duo sint investigata. Primiiquonam modo nominis et uerbi SIGNIfication intelligenda ellerutrum TEX. BOETHII. Est autem, quem ad modum in anima, aliquando positione, divisione est, intellectui. Ut “HOMO”, uel, “ALBUM”, quando non aliquid additur, neque enim falsum. Ne huius est, quia “hircocervus” aliquid significat sed none E   hæc duo fineab Aristotele, posita, causam et finem curitapo ratiocinatur. Quem ad modum in anima intelle usquando fuerit, non declarant:ut.l. quid nominis partium definir tionis nominis et uerbiorationis, enunciatiuæ tang præs cognitions ponag ntur. Alterum etiam secondo dicúrey fello. Non et enim video ubi investigauerit Aristotele inquibus verum et falsum inveniretur. Quod nucquog inueftigare constituat. Item pugnantiacum Ammon. dicit. aitenim in anima eft quando querum aut falfum et ita probatio Ammonius per hæc utilitate in ad institutæ commentatio, esset minorisibi. Circaca in positionem. n.intellectus et di nis propositum tradi cum. C. verum et falsum sit in mentis uifione meftuerum aut falfum conclufio ut claratuncre concepribus et uocibus ut SIGNIficantibus et quodnumcdo linqueretur ergo itaerit in uoce sed uere arguit ex hypo cet philosophus non in his simplicibus sed compofitisue theli, non potential cathegorico syllogism nam cumpos rum et falsum spectari non nominibus nisi ut peroratio fitionem quodammodo ignotam manifestet, non syllogir n e m enunciatiuam a firmativam coniunctis, vel per negativam divisis, ita gnó in quit hæc quæ diximus Aristotele docuif m o arguit. Ex quo aliud ignotum natura concluditur, sed ex hypothesi, ut diximus et infradicemus. Prætere aut Commen et Ammonius asserunt ibi circa compofitionem enim & diuisionem non minorem sed approbationem unius partis antecedentis apponit. Aliquádo intellectus cumuero et falso fit SIGNUM est particula enim quæcau sam propositi denotat, scilicet quia verum et falsum sunt circa compositionem, id est affirmatione, quaaliquid cum falsum in compositione et divisione sequuntur intentiones se: sed nunc docere et in conceptibus et vocibus ut SIGNI? SIGNIficatiuis, falsum & uerum spe et ari,dum coniunguntur aut diuiduntur non persesumptis. Addeex Amm.hæc Aris. Nunc docere ut alteram orationis parte mante cognoscat. Dices pro Magentino illa quæ dixit, ab Amm.ferem aduer bum superiori textu sumpfife cuminquit cumhæcitaq percaquæ nunc dicunturtradentur. Iuocesesse SIGNIficati was rerum mediis conceptibus tum uel maxime quibus in rebus quocunq fuerit modo ueritatem ac falfitatem scruz tariconuenict C. inhoctex. Addés uero quem in textu supe intellectus. i. sunt in anima, sexto metaph. Ergo eruntin riori confideret ait. de quibus in præsentia nobis perpen uocibus seu uerbis significantibus ipsas conceptiones, ut fioest. Utrumin rebus anmentis conceptibus, an uocibus, Comen. animaduertit. Exhis declaratis etiam patet,q in aninquibufdam. harumduabus: anetiamin omnibus. telle et usfitali quando finc uero aut falso, idq; tangexsuo fiin uocibus qualibus his scilicet compofitis non nomine & uerbo et prædicamentis, ita incompositis conceptibus qui causa funt locum, no per le in simplicibus nec compo! Fitis rebus) Sed animaduerte quod dixerit nobis perpensio uisionez.i. line uero aut falso hæc exemplo manifeftat subs inprçsentiaeft) quod tamen inferius considerabit. neg dicitab Arifthæcquæ ipse perpendit, inveftigata nec'ait Inveftigasse Aristan SIGNIficatio nominis et uerbis olī, pen deatexuocetantum, an ex intelligentia uel rebus: sed quo cunq; fueritmodo, inhisueritas & falfita seft, ute xplicátis bus instrumétis hac enim ratione res ipfa sabiecit adquas famen ut extremum et finemultimum explicandas, uoces ter et non admittunt: ergo nec dequominus: nistuery et conceptiones animæ referuntur, q siquispiamhęcquæ bum effe affirmatum, aut non effe negatum addatur. fim eft fine uero aut falso, quando cuihorum alteruminesse necesse eft, ita et in uoce: hoc totum eft propofitio maior, affumptio et minori bi.circa compofitionem enim et diui rionemestuerum et falsum et non circa simplicia, ita ergo erit in voce. Sed contra: quiaminor hæc effe debuiflet: fed alio componi SIGNIficatur, aut diuifioné, id est negationé, qua explicatur prçdicatum a subie&to disiúgi. et uerum et opposite perspicuum utcorolarium et consfequens posuitcū ait. nomina quidemigituripsa et uerba consimiliasuntei intelligentię fiue intellectuiquiestfine compositione et di ftantię et accidétis: “HOMINIS”. C. et “ALBI” . utexhisomniaalia prædicamenta intelligatur. quando. n. his non aliquid ads ditur, fcilicet uerbum prædicatum “ALBUM” cum “HOMINE” suz biecto coniungens, neque falfum ne que uerum adhuc eft. Hoc denominehyrcoceruimanifeftat, nanquehuiusinor di compofita nomina uidentur uerum aut falsum admity  exvocetanti: m, aut sola intelligentin, an ex resolumuos ex Anmonio dicimus non probarit, inutrunq zfitdi&tum. Cesitemper animi sensus rerum elle interpretes. Secundo inquibusuerum et falum inuenireiur quòdnunequoß idoftendendti Arist. proponit. fedutrunchiltorum reiicio. non eniin fupra inuestigauit. Sed pofuit, ut persenorum, AQUINAS dicitq postquam tradiditordinem SIGNIficationis uocum, hic agitde diuersa uocum SIGNIficatione: quarum quædam uerum & falfum SIGNIficant: quædam non. Sedli cetuerumdicatur, ut de Ammonioreiulinius: tamenfine nomina et uerba SIGNIficatiua efle, cx hoc peaquæsuntin cuius gratia ista ponantur,fubricuit: Licédumigiturcum uocefunt SIGNA ET NOTAE SIGNIFICANTES PASSIONES nullomes diointerie et o, hisautem mediis, tanquam ultimui, res explicare. prçterea non uideo ubi inuestigarit, an nominis et uerb SIGNIgnificatio intelligenda esset ex uoce tantum, aut intelligentia tantum, aut ex re solum: fed hoc posuit sunt uæ, quibus etiam differebantabaliis: nuncuelleconstitue quidem ergoquę funt in uoce et c ut SIGNIficatio sumatur non ex uoce tantum, nonintelligentia, fed arbitrio,cognitione, et CONSILIO et  imponentium consensu, quem in uoce re feuante cognoscere differétiam, qua oratio differtano mine et uerbo: et quaoratio enunciatiuaaboraroriis poeticis optantibus et c.separatur et quoniamquępones reoportet et antecognoscere, ut per senota, non isialiquo facili instrument innuidebent nullo modo demonstrari. Propterea ex fimili seu hypothefi, &cóceflo, acpofitotery expaétione et confilio reliquerunt acuoci per attributio né dederunt at nullamentio eftfaéta de rebus, anabeasu mendaeflet SIGNIicatio nominis et uerbi quoniam maxiy m u m esset ignorationis, ac inscitiæ in Arift. argumentum, firem tam perspicuam, nec dubiain pro occulta quæliffet tiam definitionis partem et differentiam manifeftat.cũ inz quit. esid. ubi, ',proenim Magentinus uertit. ut causam hic assignareuelit ut Ammonius et Aquinus dixerút, acdubia. cuieniniuelrudi dubium uideretur, nomen et uerbum quod ut organum & instrumentum SIGNIficant a rebus, inftrumenti SIGNIficatiu et organi cognoscendi alte rum, SIGNIficationem habere, cum tantü SIGNIficentur, & nul lomodo SIGNIficent ine SIGNIficare & explicare ,utorgas num logicum uideantur? Item ea SIGNIficatioerat nomio nis et uerbiponenda, quæ ut præcognitio partium definitionisadea cognoscendadirigeret hæcautem eftuoxa de quo nunc differemus aitergo de antecedente syllogismi exposito ficutuelquem admodu menim eft in anima intellectus cogitatio, intelligentia vóruceenim ifta SIGNIficat.) aliquando quidemsine uero uel fallo: aliquandouer rocui necesse esthorum alteruminesse. Ex hoc posito et notiori antecedente infert quodammodo ignotumin choantibus consequens ficetiam in uoce ut SIGNIS ET NOTIS CONCPTVVM erit, aliquando sine uero uel fallo ut in nominibus et uerbis, aliquando cuinecesseestiam horum alterumin effe: ut in oratione enunciatiua, Suellaueroita pofitione SIGNIficans,non res tantum SIGNIficata: a uoce ergo et intelligentia in voce relicta, Ctributa fiue attributa SIGNIficatio nominis et uerbi pident, no ar ebus. Amplius: Suela nam licet fupra male textum Arist. declararit Sucr sa, nun cueritatecoaaus idem dicit quodnosin explicans do philofopho dicebamusp ofitisduabus partibus defini tioniscómunibusnomini et uerbo et orationi enunciatis pliciter,  efle, quamartemutexemplar, adopuseffin latenus inc aliquiduocum: neceorum quæ in uoce, no ut gendumexteriusafpicit, qopusexarte notioriinmates finis: cum conceptus prior fit uoce et ueritate quem in uoce confiftit: non ut agens.quia res agens est, a qua oratioues taut falsa vocatur sed non difficileest Amm. et Aquinas. sententiam et opinionem, a Suessæ argumentis defendere. primum, absurdum affirmat. Conceptus non tangformam SIGNIficant: qui in voce tang artificiali materia relinquuntur: quo esseueriautfalliinuoce, cumnecaliquidfintvocum, nec cumuiuocessuntnotæ: Exhisrespondemus: rationem eorum quæsuntin uoce: Peroenimabeocumsupra dixe ritArift. Eaquæfuntinuoce etc.nonnifiarbitrium, et placitum, cogitatiointelligitur: ut ipse metcum locum interpretans, opinatur: ergo conceptus est aliquid existens in voce, non utopus naturaleest, sed arte.i. uoluntate: confi et um. Itemipfeconfiteturuocemsignificatiuam,communeges nusnominisuerbi& orationisenunciatiuęuocari:nõuo lessuntsimilitudinesrerum.Seddicessecundomenunc cé, utnaturaleopus. ergoutacognitione, imaginatione pugnantiadicerecumhis, quæanteacontraAnimo.Boe uoluntaria effi&taeft:utsignumfitadaliudextraexplican thium,& Scotum diximus: orationen dariinméte et no dum relatum: Et fecundodeanima Averroes et Themist. tioremesseea, quæinuoceconfiftit. Diximusadhçcartis fumentes ab Arift. asserunt: essentiamuocisinterpretatis inuentoribu sueliaminuentam docentibus, ineodem no efle percussionem aeris anhelati, ad membrum quod cana tioremesse artem, acconceptionescūuero& falsoinani dicitur, abexpulfioneanimæ imaginatiuæ uoluntariæ: et ma, quam exterius opus effictum: ficinpropofito,excong infraqinessendo uocem necesse est ut percutiens habeat ceptibus rationem coposuit, notioribusapositione signifi animamimaginatiuam, tuoluntatem:effentiaergouol catis:quiquodammodonotiores:utindu&ionesensata cispendet abipso conceptu et placito reliéto a positione patet infraenim sectione quinta ex opposition maioriin in uoce, tangforma et uox uropus naturæ interpretans mente, explicatitae! Tein uoce: Item placitum eft caufa, a placito ab animaetiá,tangagente, depédet:nam secundo de anima. percussiorespiratiaerisad uocala arteriam ab anima quæinhispartibus uoxeftutefficien tecausa hinc Cómen. Inprincipiocómentiait oportet igiturut percussioaerisanhelati ab anima, queestisismé præcognitionem partistertię definitionisratiocinatur:no brisadcannam, fitillud quodfacituoc a et inmediocom igitur demonftrationem effect quæadnaturaliterignos menti primum enim mouensinuoce,estanima,imagina tiua et concupiscibilis et ideouox eftsonusilliusprimi uolentis & mouentis. Etq etiamdicipofsitquodammo dofinisuocum, perspicuum est ex his,quæ fupradocuio mus: fine muocum effè eriam res conceptas: namorgal na ad eorum opera, tang finem & ultima, diriguntur.pris mo topic..cumnonpropterse, sedpropteralterum exo petantur:sed uoces SIGNA sunt ET NOTAE CONCEPTUUM adquos explicandosreferimus: finesergomedii,licetnon ultimi tumdir igitur. Secundo post.primo. necillam utperitus ad rem per se nota efficere potuit. ne ipse suampręcogni tionum artem confirmaturus experiment contrarioinfir maret. Itidemminimeconsecurionem ualeredicimus:ra tio ex caufis eft notioribus, ergodemóftrationempropter quid aut simpliciter constituereaffirmabitur.quoniam alte rum& pręcipuum demonftratiodi &arequirit.utadigno tum naturaliter dirigatur, non ad pręcognitionem ponendam, utpersenotam:nam primopofte veręetiàdefis uocabuntur:Exhisfacileeiusrationibus respondemus. nitiones, quidtantum nominis non ueræ definition suim haberedicunturab Auer. utpræcognitionessunt:ita et fi hæc præcognitio ex caufamonftretur, nonutdemonstras tiua, fedutexfimiliaccepta, et uisa, et alibideclarata; pros ptereatopica potius, quàmdemonftransuocanda:noto pica,o fitdubia, autfalfa,immouera, sed hic accepta alig biuisa philosopho et hic posita, utc redita:dequo latius ressecundum feeffedicantur, nótamenapudeosquicon ceprus et res conceptas ignorant: adquarumexplication nem, utultimum, referuntur. Adtertiamdeagentedico: inquit exAmmonioait. Primo quiahæcconfi& anomina rem, agensremotumuocari: aquo intellecus phantasticus falsum significare uidentur: ut. Aquinas ait. Sedcótra.quia fimilitudiné abftrahit: sedanima,utnaturaagens,uocem ab Aristotele dicitur sed non dum uerum aut falsum signifi interpretantem tang operationem propria mefficit, &lo cant. Nifi effe aut non effe addatur: ergoutrunque signis gicotradit: cuilogicusproprium considerandi modum ficareuidentur. Item causa assignandafuiffet, curexem attribuens,utinftrumentum significandi & explicandicon pliscöpositis (que uerum dignificare potius etiá uidentur) Ad primam,utpatet, intelligentia, inuoceartecong fi et tareli&ta,eft,utaliquiduocis.i.forma. Ad secundam Q non fitfinis,nonualet,idpriuseft,ergonon finis:Deus enim eftpriormotu&creatura,quæad Deicognitionem deducunt, ut signa et effe&taadsuumfinemcognoscenda directa:fimiliterdicaturdeuocibus, & ficóceptusprio riaexternareli&um: manifeftum eft argumentum qdixit Arist. bon uoces: sedeaquæsuntinuoce, suntsignapass fionum et conceptuum,utnaturaliumsimulacrorum et res rum fimilitudinum. i.cóceptusapositione,(utratio)signi exfimilinotiori, et fuperiusab Arif. pofito, exlibrisdeani maprocessisle: ficutinanima eftaliquandointelle us fineueroautfalso, aliquandocum horum altero: ita& in uoce: et de uero et  falso loquitur utAlex. et Ammo.ac cæteriboni expositoresaffirmant)orationisenunciatiuæ, et denominibusfignificantibusaplacito,nonutnaturas quamobremuoces significant cúfiuntnotæ. Necproptes reao conceptusutcaufedicuntur.quosnomina et  uoces tanquam SIGNA et effetusimitantur, afferendúeftArif.des monftrantem rationem efficere: namhich ypotheticè ad Deoda nieprimotopic. dicemus. Quæruntcur Arift.fis &aprotulitexemplapotiusquàmuera.Sueflasumens ut  pliciter, quod præsentis efttemporis.aut secundum tome pus.i.præteritum& futurumut Com. explicauit. De Am monii expositione dicemustunc,cumaddubiaresponden bimus. Quæritprimú Suessa.qualisnam ratiocinatio Aris. fuerit(quéadmodum inanima quandoq intelligétiafine ueroautfallo, quando quehorumalterumnecetle eft in esse.respondet. Aquinas et Ammo. intex. præcedenti,nes liderat, accognoscit: Respondendum ergoest uteftdig &um Arift. exhypothefileu positione,& ex fimili notion riprocedere: quod quemadmodum particuladenotat. dum asimili: sed a causaquamimitatureffectus, proceder re. nam Ammo. ait: circa enunciatiuam orationem quæ quæsupraetiam Aril. poluit: namproptereauoxfignum exillorumcomplexuefficitur, uerum et falsum spectari. &notaexterius explicansdicitur, qapositione et intellig ante voces quoq; hæccircaconceptuscósiderari.utqui causæ uocuinlunt,aquibusconceptusfimplicesfineueris tate, & compofiticum uero & falsodefignantur & declas tantur: Responsionem improbat Suelta: quia conceptus non causaueriaut falliinuocetang formasunt:cumnuls duftioncperspicuum eft ut Amnioniusanimaduertit no tioremartem Seddices ratione inaliniilieffe& et tamex ignotis concludes re, nanieaexquibushic ratiocinatur, extertiodeanima infrasumuntur: hæcautemtanquam ardua,& inchos antibus difficilia,utphilofophus,& relinquendasupra nosmonuit: Satis huicrationi faciendum arbitror ex his, gentiaatqzarbitriopendet:ineo presertimartific equivoces impofuit: uel ab impositis et Gibi notis nominibus, regulas logicæ docet:in mente enim artificis& docétis ing E ii   quærimus, ad que causa hæc nondirigitur. Tertio dicit: ut quçinintelle&usuntfolo.sednefcioquçueritasdicipót, cuinihilextraresponderinre:cum infra& inpoftpredi camentisdicatur abeoq resest, uelnoneftoratiodicitur uerauelf alla remota aūt causa et prima radice, ceterade ftruinec effe eft. Item Aristotele de vocibus loquitur. Propterea mihi hoc libet dicere. Hac de causa fiais exemplissuasen tentianicomproballe,o fi&aamer a positione significant: & ideo magisobuia& perspicuaacconsuetafuntadexpli candum: ut quod ámodonotiora, ut magisuulgata, exars omnemueritatem haberiin compofitione& diuisione.ne excludatur ueritas apud Platonem in intelligibilibus,& in telligentiisfiuemenubus,& apudArift.desimpliciuming telligentia et abstractis: fedeam que in pronunciatiuissubs est motibus, scilicet cum discursu: seu ratiocinatione: quæ perenunciatiuam fitorationem.&inniotibuspronuna ciatiuis,non invoce solum (intelligas) exiftentibus:fices nimtextui Arift.& eiusdillisaduersantiadiceret.sedetia ne&diuifionefalsum & uerumremouerineceffeeft:pro ptereaergodixit, (circacompositionem at causam noia ret: sed ad nomina in uoce descendens ait non significare uerum, aut falsum: significare enim proprium eftnomi num, quæinuocea compositione significanteconfiftunt. PetitAmmonius quomodo uerum fit, circacomposicios innueretueritatem non in rebusreperiri:fedinhisetiam, nem et divisionenelle uerum et falsum. Responder non nonutitur: ficut utiturhis, quæ falsum significare maxime affirmantur. fecundam causam adducit: utinnueret, non solum nomina simplicia ad ueritatem explicanda indiges reuerbo sed etiam ipsa composite. Sed idem est dicendum de nominibus compositis ueris, nosautem de fictis proprie non  bitrio plurimorum: exhistamenfi&lisnominibus, aliaue ca intelligendasunt. exempla autem innotescendi gratia inuenta, exuulgatis& consuetistr ad endafunt et lificadi cantur: quibustaméuerum facilius inueniamus, autinuen tum facilius doceamus: Petit Suella cur Aristotele.dixerit conpositionem significare cum uero et falso, non autem significare uerum aut falsum i respondet, hoc differreinter significare uerum et significare cum uero:quias ignificare ueru potest uere in nomine simplici inueniri:u.g.hoc nomen uerum aut fallum, simplex verum significat.i. se ipsum: sed significare cum uero, eftfignificare cum uerbi complexu ut de uerbo dicetur, significare cum tempore, notempus: ut dies et annus sedlicethęc dubitatione relinquenda foret, cum id quærat, quodin Arift.textunoneft:tamenneaus inmotibus pronunciatiuis, ideftquicaufafuntutper enung ciatiuam orationem pronuncientur,ueritasergoquacon ditorum ingenia, obuiriau&oritatem fallantur, ponere& cipitur,aut enunciatur aliquid ineffc alicui,folum circa con pofitionem & diuifionemeft,utspeciesorationisenuncia tiuæ.dixieam ueritatem circacompofitionem elle,quæ concipiturinmente, uelexplicaturinuoce,& quaprædiy catuminesse subiectoaffirmatur:quoniam primotopic.4, loca accidentis propriè dicuntur,quibus potentes fumus concludere hæc alteriineile:& ideo locaeducentia uerum enunciative propofitionis dicuntur loca accidentis et veritatis qua aliquid alicui in esse concipitur vel explicatur:Sci scitatursecüdo Ammonius cur Aristotele dicens nomina igitur et uerba consimiliaíunteiqui sine compositione et divisione est intelleclui exempla protulittantum nommun, non uerborum dicens, ut “homo” vel “album”. Respondet per hominem nomen: per “album” verbum fumpfiffe: non eata meninquitratione, qua verbum proprie inferius definitur. Sed quia Aristotele statuit, omnemvuocem quæt erminum prædicatum facit, verbum appellanda. Sed responsio hęc improbandauidetur: primum q Arift.nondieetinfraprę refellereconstitui:non.n.Aristotele dicit compositionem cum uero aut falso significare: sed ait circa. n. compositionem et divisionem elle veritatem et falsitatem. Item de “hircoscervi” nomine afferuit. “Chircocervus” aliquid SIGNIficat, sed non dum uerum aut falsum de nominibu sergoopposiy dicatumu erbum appellandum fore: quod fictiam dices tum dicit eiquod Suellafingebat: nomina non significare ret, exemplum albiquod posueratantea, adexplicandum uerum aut falsum, sed significare sine vero aut salso: Eiusery uere uerbum, inutile videretur:Aliter igitur responden, gore sponfioin textu Aristotele.infirmatur, cum denominibus dum. His exemplis dicta inchoantibus comprobandaque compositis neget significare verum aut fallum: differentia etiam abeo assignatauerbis Aristotele, adversatur Ampliu snec potuisset Aristotele dicere, compositionem et diuisionem verum significare, na in compositio.i.affirmatio et divisio.i.negay cumuerbonominibus:tamenutnotaprædicatumcuin ciosumerenturinuoce quo infrade oratione enunciatiua dubieto connectens, dubiumfaciunt, anuerum & failum dicetur. Litoratio significans verum vel falsum, &inqua fignificent, signum est. Ammoniusetiam tanquam duy eftuerum& falfumutinfigno externo significante:nam oratio in mente, non significate positione, ut hic intelli, bium quærit de uerbis primæ et secundæ personæ “ambulO”, “ambulaAS” et in quibus tertia persona et certas statuitur. Git SIGNUM est opde nominibus fimplicibu s& compofitis, line uerbo, intulit dicens nomina igitur ipsa auteur bacó similia sunt fine compositione et divisione intellecus. lt homo et album hircocervus quæ et si aliquid simplex significent, non dum tamen uerum aut falsum hæc autem nomini in voce sunt, noninmente: quiafiutinmēte essent, ut ningit. quæ veritatis et falsitatis videntur capacia. Licet nonperfe, fedcomplexuhorumuerborum cũcertispery fonis.nonitadubium eft de nominibus, dequibusinse acceptishæstat nemo, an veritatem significant aut falsitatem: Quærit nouissime Ammonius quid intellexerit Aristotele. Per simpliciter, uel secundum tempus cum ait. (hircocery considerentur, non dicerenturno significare uerum aut falsum et q effent fimilia intellectui fine compositione& diy uifione: quiaessentipseintelle&us,seuintelligentiafineue roautfallo: Dicendum igiturin questionem potiusuerten dumcurdixerit.(circac compositionem.et divisionem, ut inmentesunt, est verum et falsumj denominibus autem in uocecorolarieinferens,ait:(fineuerbonondum uerum uusenim aliquidsignificat:fednondum uerumaliquid autfalsum, finon, ueleffeuelnonesseaddatur,uelfimpli citeruel secundum tempus. respondet sermonem Arif. ad eadem referens verba, inquiens: nifi effe addatur fimplicis ter,ideftnisi effe addaturindefinite et indeterminate significans: ut “Fuit hircocervus” est, auterit. Non definiens, ac determinansan hodie, sero, anmane, perendie etc. vel aut falsum significare. Ad quod respondendum, quod fecundum tempus, ideftnifiaddatur cum aliqua determis propterea vox quando eftfineuero&fallo, quandoque natione tempori addita præsenti, præterito, uel futuro, cum his, quia circa compofitionem et divifionem intelle, sciliceterat,eft,erit,herianno superiori, hodie uel cras, & us eftuerum & falfum:ex quo intulit de nominibus in autsuccessiuotempore.quam tamenexplicationemaci uoce, gfintfine uero, X fallo ex eadem causa, pfimiliasing intellectui fine compofitione et divisione: circa quæuerum cipiens Magentinus uel in latinum vertens non intellexit: cumpereffef smpliciter et omnino, in, finitoacdetermi & falsum uersatur, ut caulam, quaposita, uerum aut falsum i ponitur. & hac remota (ut in nominibus fineaddito uery natotemporeintelligat. Ad tempus uero et in tempore infinito. tragelaphuserat, uel erit, hęc.n.infinitafunt: fed bouidetur, quæ fimiliasuntintelligentięfinecompositio eft presentist emporis, aitdefinitumelle:l iceteft,utdeDeo facilius conftitutam sententiam approbant verba aute in ut dicetur quandam compositionem significant, quam licet ex se non habeant, sed ex alio, ex compositis, scilicet dicitur infinitum significet: Idem Deus, erat, et est, sed in aliis rebus, tempore non definite uti murita. Hinc liquet, igitur erunt: quæ et fiacu et explicite verbii, prædicatum et subiectum ut nomina non contineant, illata men eximigit, ergo et hic per tempus dimpliciter, tempus præsens, 8C per secundum tempus præteritum vel futurum: quæ pros ptereanuncupantur et lunt, quere tempus prælensciry cunstant, iuxtas; ipsum ponuntur: propterea dixit, secun significat, quemadmodum in oratione quaestequus ferus. Ofitis et precognitis partibus definitionis nominis ac nunc ad definitione sponendas integras ac totas accedit: sed Ammonius querit cur primo de nomine ade verbo definis dum tempus quod non simpliciter et ina et ueft. Sed quod.tionem assignet? respondet, proptere a nomen uerbo esse præteriit uel futurum est: solum præsens simpliciter et in actuest utre et te. Aquinas exposuit. Nec Sueffe confutatio ualet et que liber differentia temporis est tempus secundu quid: quoniam per aliquid ab aliis differentiis differt: quod autemper partem est, fecundumquid, non simplicitertas antepositum, qnomen substantiả.i. naturam et vim rerum significat: verbum vero a&ionematqz affetionem, quænel Cellario naturam acuimmouentem supponit. contraarguit Sueffa. substantia non nisi per accidentia cognoscitur, prius ergo verbum definiendumq nomen: Ad instantiam, Am Icesse dicetur: primo clenchorum. Sedĝfalla hæc fit monius facile diceret substantiam cognoscifine describir improbatio patet, quiaens, cumin substantiamens simplisciter diuidatur & accidens, inaĉtum simpliciter, et potens tiam secundum quid, ne quaquam uere divideretur: quia per aliquid differ substantia ab accidente et potentia ab aétu, &fi proprie differentiam non habeant. Item ratiofal lit. lihęc species per aliquam differentiam acuprecipue differt, rrgo per partem. Igitur secundum quid. accidenti aut posteriora accidentia vero per substantias definiri, ut priores: fic Aristotele primo naturam quam motum finiuit, aquamotus, ut perseprincipio, prouenit: & materiam primo phy..g formam. phy. quæ a materia cuiu nitur& datellelustentatur, Aliteripse respndet, proptere a nomen uerbo prætulisle, onotius est. Et iterbi feconuenire Arist. affirmauit, sed enunciationitantu: erunt igitur enunciationes, cum enunciationis proprium opusef signum. sed compositionem acueritatem comsignificat quan fician. Suellanouariis Sorticularumdi et tis et improbatis sententiis, hocuisum est: literas et nomina quo ad prima eorumimpo fitionem, non significare nidi in complexum, nec cum uero et falso: sed quod quo ad nova impositio, nem, significare possunt cum vero et falso: propter eaqapo in compositione explicare fine additouer bonó possunt. Dis fitione sunt. Nung tamen erunt propositiones aut enuncia cas Querbumetsi compositionem extremorum aétu non tiones: propter eanóualereait, a, significat cum uero aut dicat, a et tionem tamen, et affectionem significat, quæ causa fallo, ergo enunciation erit. Quoniáin quit oportetinantes est, qpredicatum seu appositúsubie &ofiue suppositocon cedenteaddere. significet ex prima impositione, nonau iungatur, uerbum ergo lempereftunio comiungens apritu temex nova institutione. Sed contrahancadditam conditio dinesaltem cum in propositione non est. Sedcunsecundum nem ex proprio arbitrio. Enuciatio prima impositiones isse, acpurú accipitur: nomina uero sunt composita, seu quæ significat propriecum vero et falso. Ego ubi est proprium apta sunt pera & tumuerbi coniungi, proptere a nomina pen opus, necessario propriumerit instrumentum: neq; enima denta verbo, quasi formauniéte et verbiianoíe quasimai nova aliqua institutione propriú opus a proprio inftrosen teria, qunici habetp uerbum. Ut materiaaŭt, tempore pre iungipoteft: proptereafi. a. b. c, etc.  novis aut antiquis concedit forma, & prius,utfacilius& ordinenecessitatisnos Giliis&pofitioneimpositasunt, ad verum et falsum, seu ut menanteafiniendu. Verbum vero, quniéda funt, prçsuppo ipfi volunt cum uero et falso significandum. enunciationes nés, posterius ut ignotius et the posterius explicandú: quas quando secundū se, acpurumdicetur. Ipsum.n.sic purumi nullüueritatis et compositionis, aqua verum explicatur, est dam, nonperse, sed quam sine compofitis nominibus non est intelligere. Gi ergo hac de causa nomem præponit verbo, q notitia verbi in compositione verum explicantis, non pont, intelligi sine nominibus compositis. Ita et nomina, uerum  illud, quod Ammonius, tempus simpliciter & omnino, ponentium CONSILIO coplcctuntur. Exemplo simili Amm sus ideftindetinite et indeterminate significans, appellabat, Ma, gentinus dicit esse tempus finitum et determinatum. Et parsticula, quam Ammo. adom né temporis differentiam rer pra, cum dicimus "curro", "curris", nin git, pluit, complexuhorūuer borum cúcertis intelle&is personis, cú vero et fallof sgnificant. ferebar, Magentinus ad solum præsens direxit. falsum igir. Keywords: il vestigio dell’angelo, Campidoglio Inv. # 334, donazione di papa Gregorio, logicalia, interpretatio, interpretazione, logica, signum, segno, nota, notare, notante, segnante, notificare, segnante, vestigio, il segno del’angelo, campidoglio, san michele, vestigo, etym. dub. ves-stigium, foot-print. – segno naturale – segno, genere e specie – genere: segno. Specie: segno naturale, vestigio, marca, nota.. segno artifiziae, segnar per posizione, arbitrio, a piacere, consilio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Balduino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Banfi – Eurialo e Niso; ovvero, la tradizione vichiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vimercati). Filosofo Italiano. Grice: “What I like about Banfi is that he is more ‘important’ than it seems, at least to Italians! He has written bunches, but my favourite are two: his ‘l’interpretazione’ (Banfi makes a distinction between ‘esegesi,’ ‘interpretazione’ and ‘TEORIA dell’interpretazione,’ in a slightly non-Griceian use of ‘teoria’ – and his essays on ‘eros e prassi,’ for indeed the second strand (eros e prassi) is the base for the former (interpretazione): unless you CARE, why interpret – which is indeed, a performance?!” -- Antonio Banfi seenatore della Repubblica Italiana LegislatureI, II Gruppo parlamentareComunista CircoscrizioneLombardia Dati generali Partito politicoPartito Comunista Italiano Titolo di studioLaurea in Lettere UniversitàUniversità Humboldt di Berlino ProfessioneDocente. torico della filosofia, traduttore, accademico e politico italiano. Fu sostenitore di un razionalismo aperto e antidogmatico in grado di attraversare i vari settori dell'animo umano.  A lui è intitolato il Liceo Scientifico con Sezione Classica Aggregata del suo comune natale, Vimercate.   Antonio Banfi nacque a Vimercate, in provincia di Milano, in un ambiente familiare formatosi su principi cattolici e liberali della borghesia colta lombarda, nella quale da generazioni combaciavano una moderna e positiva idea del cattolicesimo e un razionale illuminismo tecnico-scientifico. La ricca e vasta biblioteca in possesso della famiglia diventò per il giovane grande stimolo di conoscenza nei suoi studi, quando da Mantova, dove frequentava il Liceo Virgilio, ritornava a Vimercate, dove assieme alla famiglia trascorreva le vacanze estive.  Nel 1904 incominciò a frequentare i corsi universitari alla facoltà di lettere della Regia Accademia scientifico-letteraria di Milano e ottenne, dopo quattro anni, la laurea con lode, discutendo (con il relatore Francesco Novati) una monografia su Francesco da Barberino.  Incominciò a insegnare all'Istituto Cavalli-Conti di Milano e contemporaneamente proseguì con grande determinazione gli studi di filosofia (con Giuseppe Zuccante per la storia della filosofia e Piero Martinetti per la teoretica); il 29 gennaio 1910 prese la seconda laurea in filosofia, discutendo con Martinetti una tesi intitolata "Saggi critici della filosofia della contingenza", contenente tre monografie sul pensiero di Boutroux, Renouvier e Bergson.  Con la borsa di studio attribuita dall'Istituto Franchetti di Mantova ai laureati meritevoli, Banfi decise di andare in Germania e iscriversi, con il suo amico Confucio Cotti, alla facoltà di filosofia della Friedrich Wilhelms Universität di Berlino, dove strinse amicizia con il socialista Andrea Caffi. Nella primavera del 1911 ritornò in Italia e partecipò a vari concorsi, ottenendo una supplenza di Filosofia prima a Lanciano, in seguito a Urbino; per molti anni assunse diversi incarichi in varie sedi scolastiche.  Banfi conobbe una ragazza, la contessa Daria Malaguzzi Valeri, con la quale dopo poco tempo, il 4 marzo 1916, si unì in matrimonio civile nel municipio di Bologna. Durante la guerra, già riformato al servizio di leva, si dedicò con senso di servizio e scrupolosa diligenza all'insegnamento e, per la penuria di insegnanti richiamati al fronte, oltre alla sua cattedra fu costretto a ricoprire altri incarichi; solo agli inizi dell'ultimo anno venne aggregato come soldato semplice all'ufficio annonario della Prefettura di Alessandria.  Nei primi anni del dopoguerra Banfi, pur non militando nel movimento socialista, assunse in modo molto deciso posizioni di sinistra e partecipò, come iscritto alla Camera del Lavoro, all'organizzazione della cultura popolare, diventando in poco tempo una delle personalità più in vista del mondo culturale democratico alessandrino; venne nominato anche direttore della biblioteca di Alessandria, da cui fu in seguito allontanato dal nascente squadrismo fascista. Nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce. Nel 1931 Piero Martinetti, che era stato collocato a riposo d'autorità per aver rifiutato di giurare fedeltà al fascismo, lo propose come suo successore per l'insegnamento della Storia della Filosofia all'Università degli Studi di Milano, dove, a partire dal 1941, fu maestro di Rossana Rossanda.  Diresse la rivista Studi filosofici, pubblicata dal 1940 al 1949.  Nel secondo dopoguerra, con le elezioni politiche del 1948, fu eletto per le liste del Partito comunista,nel Senato della Repubblica. Il mandato fu confermato alle successive elezioni del 1953.  Il razionalismo critico Magnifying glass icon mgx2.svg Problematicismo. Antonio Banfi può essere considerato il maestro della corrente filosofica che in Italia si è denominata Razionalismo critico e che ha avuto anche derivazioni significative nel campo della pedagogia teoretica con il Problematicismo. In sostanza, usando il concetto kantiano di ragione, Banfi la considera come la facoltà di un discernimento critico, analitico, presupposto trascendentale che sistematizza l'esperienza, i dati empirici, non pervenendo a dogmi o a sistemi di sapere chiusi e assoluti. Il principio razionale permette di cogliere e comprendere la realtà nelle sue complesse determinazioni: senza questo principio, che va assunto appunto come trascendentale, la realtà sarebbe caotica e solo contingente ed esperienziale oppure interpretata secondo la Metafisica o sistemi di pensiero chiusi e non problematici come richiesto dalla scienza e in generale dalla complessa dinamica del mondo umano e naturale. L'apertura della ragione è talmente ampia che anche le filosofie assolutizzanti vengono poste come possibilità di verità, seppur parziali ("È bene tener presente che il pensiero non pensa mai il falso in modo assoluto"). La filosofia è lo strumento indispensabile per l'analisi critica del reale, non deve tendere a un sapere assoluto, ma porsi il tema privilegiato della coscienza, purché questa coscienza sia "coscienza della relatività, della problematicità, della viva dialettica del reale". Si sfugge al relativismo possibile seguendo le orme di Socrate: l'eticità prevale quando, non potendo esistere se non come tendenza verità assoluta, le verità relative sono assunte come problema, cioè come ricerca interrogante e incessante fondante l'intero processo conoscitivo. Le conclusioni sono, come nell'ambito scientifico (la scienza è lo strumento pragmatico della ragione, la filosofia lo strumento teoretico) non false ma possibili, non solo provvisorie, ma reali. Le categorie che Banfi propone per sintetizzare la sua proposta filosofica, sono quelle di "sistematica" del sapere, fondata su un significato antidogmatico della ragione, una "sistematica" aperta per il rinnovamento critico di tutte le strutture razionali e di un umanesimo nuovo, radicale, che ponga l'uomo al centro dell'indagine razionale e nella sua realtà storico-effettuale, che forma la sua coscienza concreta nel mondo reale: dunque critica alla metafisica ma necessità della filosofia, il sapere costruttivo garanzia di libertà e concretezza. Il confronto che Banfi predilige è con gli indirizzi filosofici della prima metà del Novecento, in particolare la Fenomenologia, il neokantismo di Marburgo, il neopositivismo, l'Esistenzialismo, ma negli ultimi anni orienta sempre più il suo interesse al Marxismo, di cui condivide gli assunti fondamentali leggendoli alla luce del suo razionalismo critico, come si evince dalla raccolta postuma Saggi sul marxismo editi nel 1960.  Archivio Si segnalano tre fondi archivistici del pensatore:  "Fondo Antonio Banfi" presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. L'archivio, insieme con la biblioteca personale di Banfi, dopo la morte del pensatore venne donato alla provincia di Reggio Emilia insieme con la costituzione del "Centro studi Antonio Banfi”. In seguito, il Centro si trasformerà in "Istituto Banfi", con sede a Reggio Emilia. Nel, l’archivio e la biblioteca personale del filosofo sono stati depositati alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, a seguito di un accordo tra Soprintendenza Archivistica per l’Emilia-Romagna, Comune e Provincia di Reggio Emilia. La biblioteca conserva anche l'archivio di Daria Malaguzzi Valeri e l’archivio delle carte di Clelia Abate, segretaria del Fronte della Cultura e allieva di Banfi. Archivio "Antonio Banfi e Daria Malaguzzi Valeri" presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano. Il fondo archivistico contiene diverse centinaia di documenti conservati da Daria Malaguzzi Valeri, moglie del filosofo, e da lei usati nella stesura del libro Umanità, pubblicato nel 1967 per le Edizioni Franco di Reggio Emilia. I documenti del fondo coprono l'intero arco di vita di Antonio Banfi ma risultano particolarmente ben rappresentati gli anni giovanili; da segnalare soprattutto il ricco epistolario con la futura moglie, riferito e la corrispondenza con Piero Martinetti, durante la sua docenza presso la Regia Accademia Filosofico Letteraria di Milano e poi dal suo ritiro di Spineto. "Archivio privato familiare Antonio Banfi" conservato presso l'Università degli studi dell'Insubria. Centro Internazionale Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti, riunisce migliaia di lettere, biglietti, cartoline postali, plichi e buste, conservati in 33 raccoglitori a loro volta inseriti in 15 buste, per una consistenza di circa 1,5 mi. Gran parte dell'archivio è costituito dal carteggio tra Antonio Banfi e Daria Malaguzzi Valeri, sposatisi  Il rapporto epistolare con la moglie, infatti, non si limitò alla sfera affettiva e familiare, ma affronta spesso tematiche filosofiche (ad esempio, la frequentazione di G. Simmel durante il giovanile soggiorno a Berlino, nel 1909-1911, o la ricezione dell'opera e la personale conoscenza di E. Husserl) e di attualità, nella concretezza dei riferimenti a eventi e circostanze del presente e ai rapporti sociali coltivati da Banfi come pensatore, studioso, organizzatore culturale e uomo politico. Altre opere: “La filosofia e la vita spirituale” – lo spirito, l’animo, vita, animo vitale – (Milano, Isis); “Principi di una teoria della ragione” (Firenze, la Nuova Italia); “Pestalozzi, Firenze, Vallecchi); “Vita di Galileo Galilei” (Lanciano, R. Carabba); “Sommario di storia della pedagogia” (Milano, A. Mondadori); “I classici della pedagogia: Rousseau, Pestalozzi, Capponi, Gabelli, Gentile” (Milano, Mondadori); “Studi filosofici: rivista trimestrale di filosofia contemporanea” (Milano); “Saggio sul diritto e sullo Stato, Roma, Rivista internazionale di filosofia del diritto); “Per un razionalismo critico, Como, Marzorati); “Lezioni di estetica raccolte Maria Antonietta Fraschini e Ida Vergani, Milano, Istit. Edit. Cisalpino); “Vita dell'arte, Milano, Minuziano); “Galileo Galilei” (Milano, Ambrosiana); “L'uomo copernicano, Milano, A. Mondadori); “La crisi dell'uso dogmatico della ragione, Milano, Bocca);:La filosofia del settecento, Milano, La Goliardica); “La filosofia critica di Kant” (Milano, La Goliardica); “La filosofia degli ultimi cinquant'anni, Milano, La Goliardica); “La ricerca della realtà” (Firenze, Sansoni); “Saggi sul marxismo, Roma, Editori Riuniti); “Filosofia dell'arte” (Roma, Editori Riuniti). Note  "Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi, In questo senso ho scritto, richiesto da Castiglioni stesso, che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria] d.[ella] F.[ilosofia]"; Lettera n. 108 Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in Piero Martinetti Lettere, Firenze,,  Rossanda, Rossana, La ragazza del secolo scorso, Torino, Einaudi, Vedi scheda del Senato della RepubblicaI Legislatura.  Vedi scheda del Senato della RepubblicaII Legislatura.  Cit. in "Il marxismo e la libertà di pensiero", "Saggi sul marxismo", Editori Riuniti, 1960, pag.152  A.Banfi, La mia prospettiva filosofica, in La ricerca della realtà, Fondo Banfi Antonio, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. 3 dicembre.  Centro Internazionale Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti per la filosofia, l'epistemologia, le scienze cognitive e la scienza delle scienze tecniche, su dicom.uninsubria. 3 dicembre.  G. M. Bertin, Banfi, Padova, MILANI, 1943 E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900), Bari, Laterza,Bertin, L'idea di ragione e il pensiero etico-pedagogico di Antonio Banfi, Roma, Armando, Papi, Il pensiero di Antonio Banfi, Parenti, Firenze 1961. F. Papi, Banfi Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani,  Treccani. A. Erbetta, L'umanesimo critico di Antonio Banfi, Milano, Marzorati, 1978. Antonio Banfi tre generazioni dopo. Atti del convegno della Fondazione Corrente, Milano, Il Saggiatore, Milano 1980. Roselina Salemi,  banfiana, Parma, Pratiche, 1982. G. Scaramuzza, Antonio Banfi. La ragione e l'estetico, Padova, Cleup, 1984 Luciano Eletti, Il problema della persona in Antonio Banfi, La Nuova Italia, Firenze, Centenario della nascita di Antonio Banfi, Reggio Emilia, Istituto Banfi, 1986. Livio Sichirollo, Attualità di Banfi, Urbino, QuattroVenti, 1986. Francesco Luciani, Incontro con Banfi, Cosenza, Presenze Editrice, Neri, Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di Antonio Banfi, Napoli, Bibliopolis, Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Milano, Guerrini, 1990 Paolo Valore, Trascendentale e idea di ragione. Studi sulla fenomenologia banfiana, Firenze, La Nuova Italia, Scaramuzza, Crisi come rinnovamento. Scritti sull'estetica della scuola di Milano, Milano, Unicopli, Luciani, Polemiche della ragione. Gramsci, Banfi, Della Volpe, Cosenza, Arti Grafiche Barbieri, 2002. Giovambattista Trebisacce, Antonio Banfi e la pedagogia, Cosenza, Jonia editrice, Papi, Antonio Banfi e la pedagogia, Cosenza, Jonia editrice, Chiodo G. Scaramuzza (a cura), Ad Antonio Banfi cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, 2007. A. Vigorelli, La nostra inquetudine. Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Milano, B. Mondadori, Giovambattista Trebisacce, La pedagogia tra razionalismo critico e marxismo, Roma, Anicia, 2008. D. Assael, Alle origini della scuola di Milano. Martinetti, Barié, Banfi, Milano, Guerrini, Sacaramuzza, Estetica come filosofia della musica nella scuola di Milano, Milano, CUEM, Miele, Antonio Banfi Enzo Paci. Crisi, eros, prassi, Milano, Mimesis,. M. Gisondi, Una fede filosofica. Antonio Banfi negli anni della sua formazione, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,. A. Crisanti, Banfi a Milano. L'università, l'editoria, il partito, Milano, Unicopli,.  Maria Corti Antonia Pozzi Luciano Anceschi Rossana Rossanda Pietro Bucalossi Piero Martinetti Scuola di Milano Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Antonio Banfi  Antonio Banfi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Antonio Banfi, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Antonio Banfi, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Antonio Banfi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Antonio Banfi. Antonio Banfi / Antonio Banfi (altra versione), su senato, Senato della Repubblica.  La morte a Milano del sen. Antonio Banfi articolo del quotidiano La Stampa, Archivio storico. Massimo Ferrari, Piero Martinetti e Antonio Banfi, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Marcello Gisondi, La formazione intellettuale e politica di Antonio Banfi. Tesi di dottorato discussa presso l’Università Federico II di Napoli (a.a. /) "Antonio Banfi a Milano", sito della mostra allestita dal 22 maggio al 13 giugno  presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano Filosofia Università  Università Filosofo del XX secoloStorici della filosofia italianiTraduttori italiani Vimercate MilanoAccademici italiani del XX secolo Direttori di periodici italianiPolitici italiani del XX secolo Professori dell'Università degli Studi di Milano Antifascisti italiani Senatori della I legislatura della Repubblica Italiana Senatori della II legislatura della Repubblica ItalianaStudenti dell'Università Humboldt di BerlinoTraduttori all'italianoTraduttori dal franceseTraduttori dal greco all'italianoTraduttori dall'inglese all'italianoTraduttori dal latinoTraduttori dal tedesco all'italiano. Antonio Banfi. Keywords. Eurialo e Niso; ovvero, la tradizione vichiana; banfi — spirito vitale — storiografia filosofica — istituto di storia della filosofia — ragione e conversazione — criticismo — conversazione con hegel — personalismo — l’interpersonale — sovranità — lo stato italiano — lo stoicismo romano — enea e marc’aurelio — acerrima indago — diritto criminale — kantismo —Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Banfi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Baratono – stilistica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I like Baratono – especially his ‘stilistica italiana’ – if I were to offer an English stylistics I would not count as a philosopher – but that’s because ‘English’ is spoken by more than Englishmen, while Italian ain’t!” Grice: “Baratono thinks he is a sensist alla ‘Giovanni Locke,’ which he possibly is.” Grice: “In the typical Italian way, instead of focusing on the classics – Roman philosophy – he read sociology and psychology and came up, in a typically Italian way, with a ‘sintessi,’ ‘la psicologia del popolo’ alla Wundt.” Grice: “If Austin punned on sense and sensibility – Baratono takes ‘sensibilia’ VERY sensibly – as the basis for ‘aesthetics,’ seeing that ‘aesthetikos’ IS Ciceronian for ‘sensibile’.” – Grice: “Baratono is Griceian in his search for what he calls the ‘elementary’ – he applies ‘elementary’ to ‘fatto psichico’: judicativo e volitivo – both based on the ‘sensibile’ – or rather on probability and desirability – credibility and desirability --. His use of ‘sense’ does not quite fit the Oxonian ‘sense datum,’ since the will is involved in the sensibile – or, in his wording, it is the anima (or psyche) that searches for the corpus -- -- The compound is something like the hylemorphism – the form is sensible – and the volitive (prattica) and judicative (teoretica) components of the soul operate on this.” --  Fra i maggiori esponenti del Partito Socialista Italiano nel periodo fra le due guerre.  Vive sin dalla giovinezza a Genova, dove compie i suoi studi. Si laurea in filosofia. Insegna a Genova, Savona, Cagliari, Milano.  Baratono si iscrive al PSI subito dopo la fondazione e viene eletto consigliere comunale a Savona, aderendo all'ala intransigente in forte polemica con i riformisti. Entra nella Direzione nazionale del partito. Alcune battaglie politiche lo vedono emergere come figura di primo piano del socialismo italiano, come quella che Baratono porta avanti capeggiando la frazione comunista unitaria al Congresso di Livorno. L'accettazione con riserva dei 21 punti dell'Internazionale comunista di Mosca determina la clamorosa scissione e l'uscita dei comunisti dal Partito Socialista. Presenta al congresso la mozione massimalista. Diviene deputato. Confermato per la terza volta membro della Direzione socialista, mentre la maggioranza massimalista si orienta per la scissione dei riformisti, al Congresso di Roma sostiene fortemente l'unità, anche per il timore dell'affermarsi delle forze fasciste. Dopo il Congresso di Roma, aderisce al Partito Socialista Unitario e diviene un assiduo collaboratore di Critica Sociale. Collabora al “Quarto Stato”. Con il consolidamento del regime fascista, si dedica esclusivamente ai suoi studi filosofici.  Torna all'attività politica all'indomani della Liberazione, con collaborazioni sull'Avanti! riprendendo i suoi studi di critica marxista.  Note  «Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi, In questo senso ho scritto, richiesto da Castiglioni stesso, che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria] d.[ella] F.[ilosofia]». Lettera n. 108, Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in Piero Martinetti Lettere (1919-1942), Firenze,, Fonti Vittorio Mathieu, «BARATONO, Adelchi» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 5, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1963. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Adelchi Baratono Collabora a Wikiquote Citazionio su Adelchi Baratono Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Adelchi Baratono  Adelchi Baratono, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Adelchi Baratono, su Liber Liber.  Opere di Adelchi Baratono, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Adelchi Baratono,.  Adelchi Baratono, su storia.camera, Camera dei deputati. Filosofi italiani del XX secoloPolitici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1875 1947Nati l'8 aprile 28 settembre Firenze Genova Politici del Partito Socialista ItalianoDeputati della XXVI legislatura del Regno d'ItaliaStudenti dell'Università degli Studi di GenovaProfessori dell'Università degli Studi di Genova Professori dell'Università degli Studi di CagliariProfessori dell'Università degli Studi di Milano. Critica dei valori ed estetica metafisica. Psicologia critica dei valori e metafisica estetica. Carissimo Groppali. Nella tua pubblicazione dal titolo Psicologia sociale e psic.collettira, trovo rammentato un mio articolo (comparso nel quarto fascicolo del l'Archivio di Psic.coll.).con queste parole citato; non posso fare comequel buon figliuolo di Renzo Tramaglino, che, a sentir dire che la sua Lucia era una bella baggiana, per amor dell'epiteto lasciava passare il sostantivo. Lasciami invece un po'brontolare contro la seconda parte del tuo giudizio. E, quantunque in fatto di scoperte scientifiche nessuno si possa dire assolutamente il primo scopritore, permettimi di dare al Sighele quelch' èdi Sighele, ea me quelchesembramio.  Per il nostro caso, la scoperta piùimportante, acuisono giunti questi autori, è la semplice constatazione del fatto, che gli atti estrin secanti la emozione d'un individuo riproducono in altri individui ana loghe emozioni ed atti volontari. Ebbene: prima e più completamente di quegli scienziati, Spencer e pervenuto alla medesima legge con la sua teorica della simpatia; e per di più aveva spiegato il fatto diquella suggestione con la ragione sociale, osservando che un atto emotivo non puo suscitare nei pre senti un sentimento corrispondente se non vi fosse stata l'esperienza propria o atavica che avesse associato quell'atto all'emozione reale unitamente sofferta; trovandone perciò la genesi nella convivenza sociale, per essere gl'individui associati sottoposti alle medesime cause di piacere e dolore. Adunque io nel mio studio potevo passarmi di citare altre teorie, oltre quella spenceriana, quando ridussi il fenomeno collettivo a fenomeno simpatetico. E fin qui non ho fatto, nè ho detto di fare, nessuna scoperta: ma soltanto ho applicato la legge spenceriana a un nuovo gruppo di fatti, da Ini non considerati specialmente. Ripeto: io non ho sostenuto come mia scoperta, ma ho soltanto accettato e meglio dimostrato, che il fatto psichico del delirio collettivo ha per sostrato il giuoco delle emozioni e rappresentazioni, cioè il fatto simpatetico. A questa domanda non puo rispondere nè Sighele, che non è mai entrato nel campo della psicologia generale, nè,c ome si sa, Spencer e gli associazionisti, che si contentavano di descrivere il fatto, riducendolo a uno schema associativo,ciòche,come spiegazione, ha ilvalore di una tautologia, senza svelarne il meccanismo, cioè il rapporto fra gli elementi; né I materialisti, che ne davano una ipotetica spiegazione anatomo-fisiologica, senza entrare nella pura psicologia. Dall'altraparte, rispondere a quelle domande significa trovarele ragioni ultime e più generali del fenomeno collettivo. Vale a dire, ridurlo completamente. Questo ho tentato io di fare; di qui comincia il mio studio genuino. Me ne sono vantato? ho soltanto asserito che tentavo di muovere un  Sighele intui, che i fatti caratteristici della emozione di una folla si possono ridurre a qualcosa di più generale, ov'entri quella facoltà dell'imitazione, quella suggestione, con le quali altri avevano spiegato il contagio morale; perciò egli, se mal non ricordo, senza nulla aggiungere di proprio, si rifere alle teorie di Bordère, Ebrard, Jolly,Tarde, Sergi, Espinas ecc. ecc. Ho dunque accettata una legge, o, meglio, ladescrizione di un fatto generale, che si potrebbe enunciare cosi. In due individui associate, A e B, la percezione degl’atti corrispondenti alle emozioni di alcuno destando in altri la rappresentazione di piaceri o dolori analoghi, suscita piaceri o dolori analoghi e gliatti corrispondenti. In questo enunciato c'è qualcosa di mio. Ma non mi curo di metterlo in luce. Piuttosto ti rivolgo la domanda: osservato il fatto, Spencer ne trova la ragione sociologica. Ma vi è qualcuno che ne trova la ragione *psicologica*? Come una rappresentazione emotiva può diventare un'emozione attuale, condizione e stimolo di atti volontari? Passo nel cammino della psicologia collettiva. Tu puoi scusarmene, perché conosci il tripudio di chi lavora per la scienza, che oggi è ancor l'unica nostra ricompensa. Adunque il rimanente studio, la risposta a quella domanda è mio. Mio nelle premesse, che si riferiscono al saggio, “I fatti psichiri elementary”, dove dimostro che la legge più generale della psiche è data dalla serie dei fatti emotivo -conoscitivo -volitivo, quando si consideri questa come l'espressione di un rapporto, per cui il primo termine rappresenta l'energia determinante degli altri. Mio nell'applicazione al fenomeno collettivo, dove le multiple rappresentazioni emotive devono agire sopra ognuno degli individui come altrettante emozioni reali attenuate, ma accumulate sulla prima; onde l'esaltazione propria della folla. Tutte queste tesi sono diverse da quelle sostenute e dall'intellettualismo e dal volontarismo. Epilogando: Sighele giunse a ridurre il fenomeno collettivo a un fatto generale enunciato come legge; e Spencer da la spiegazione sociologica di questo fatto. Ma, perchè vi fosse una spiegazione *psicologica*, bisogna aver trovato non solo l'associazione, ma anche il rapporto tra gli elementi associati; il quale rapporto di dipendenza, cioè di condizione e stimolo, dove, per ridurre completamente quel fenomeno, coincidere col rapporto o legge più generale della psiche. Questo ho cercato difare: e, poi che in modo particolare avevo stabilita la serie dei fatti psichici veramente elementari e il loro rapporto, cio è la legge psicologica generale, anche particolare, dove riuscire l'inferenza al fenomeno collettivo. Non posso, egregio e carissimo amico, riassumere in poche pagine quello che, a giudizio mio ed altrui è già troppo strettamente riassunto ne'miei saggi. A te, che liconosci, e che possiedi un forte ingegno intuitivo, basta questo richiamo; e spero che ti persuaderai, che Sighele restaugualmente uno de'nostri migliori scienziati, anche senza regalare a lui, che non ne ha bisegno, quelle due o tre pagine con le quali si termina il mio saggio. Spero ancora più fervidamente, che tu non mi dia del noioso e del l'immodesto per questa mia lettera, e che sempre mi creda il tuo. Adelchi. Nacque a Firenze dove il padre, Alessandro, originario di Ivrea, si era stabilito dopo il trasferimento della capitale del regno da Torino. La madre, Ermelinda Rossi, era fiorentina. La famiglia si fissa definitivamente a Genova, e compiuti gli studi classici, frequenta l'università, addottorandosi in lettere e in filosofia. Suo principale maestro fu Asturaro, del cui indirizzo sociologico B. risentì nei suoi primi lavori (Sociologia estetica, Civitanova Marche; Sul problema religioso,in Riv. ital. di sociol.), così come, successivamente, sube l'influsso di Morselli e delle sue lezioni di psichiatria. I suoi interessi psicologici sono documentati in questo periodo da numerose pubblicazioni (I fatti psichici elementari, Torino; Sulla classificazione dei fatti psichici, Bologna; Energia e psiche, in Riv. di filos. e scienze affini). Psicologia e sociologia venivano, poi, naturalmente a fondersi in una wundtiana psicologia dei popoli (Sulla psicologia dei popoli, Genova), permeata di una filosofia scientificamente concepita. Questo movimento culmina nei Fondamenti di psicologia sperimentale (Torino), che risentono ancora dell'influsso positivistico, nella ricerca di una filosofia scientifica, ma cominciano, al tempo stesso, a rivelare la sua originalità filosofica. Contemporaneamente coltivava il proprio gusto estetico frequentando i circoli letterari, le mostre di pittura, i caffè degli artisti. Pubblica un volumetto di versi (Sparvieri,Genova, con acqueforti di Edoardo De Albertis), che sarà seguito da altre poesie (Lettera - Notturno - Congedo), articoli letterari e frammentarie commedie, comparsi generalmente in Riviera ligure.  Questo duplice interesse, psicologico, ed estetico, accompagna il filosofo per tutta la vita, ma non senza trasformarsi radicalmente, dall'originario positivismo, in una personale forma di sensismo, dove tornavano a incontrarsi il significato etimologico e il significato moderno della parola "estetica". L’anno del congresso internazionale di filosofia di Bologna, a cui B. partecipa - egli, che l'anno prima aveva celebrato I funerali del positivismo italiano (in Lavoro nuovo), pubblica la Psicologia sintetica, in cui l'aspetto filosofico e quello scientifico-sperimentale della ricerca erano nettamente divisi, e la psicologia venne assegnata al secondo.  Conseguita la libera docenza, tenne corsi e conferenze all'università di Genova - oltre che all'università popolare - prendendo a interessarsi del problema pedagogico, strettamente congiunto con quello politico. Quattro Discorsi sull'educazione furono da lui riuniti in un volumetto, e alcuni anni dopo uscì la sua opera fondamentale in materia: Critica e pedagogia dei valori (Palermo).  Dalla politica si er sentito attratto. Le sue convinzioni etiche lo indussero a militare nelle file del socialismo; tuttavia, anche nell'attività politica, egli conserva quell'atteggiamento aristocratico e leggermente distaccato che lo caratterizzava sul piano culturale, ciò che tolse mordente alla sua azione. Per le elezioni amministrative, redasse in collaborazione con Gennari un ordine del giorno, votato poi all'unanimità dal Consiglio nazionale del partito, dove si dichiara che dei comuni ci si doveva impadronire per parálizzare tutti i poteri e tutti i congegni dello Stato borghese, allo scopo di accelerare la rivoluzione proletaria. Rispetto alla rivoluzione russa, si pronuncia contro l'accettazione senza riserve delle ventuno condizioni poste da Mosca per l'adesione alla Terza Internazionale, ma e messo in minoranza nella riunione della direzione. Cerca inoltre di evitare ogni scissione a sinistra, anche a costo dell'espulsione dei riformisti, che rappresentavano l'ala destra del partito: questo suo punto di vista, sostenuto prima e durante il congresso di Livorno, trova tuttavia la via sbarrata dal successo degl’unitari. Dalla sua dirittura morale e portato all'intransigenza. Antimassone, respinge l'anticlericalismo di maniera, auspicava la libertà dell'insegnamento. Turati ha a definirlo "il filosofo della direzione del partito". Eletto deputato nella legislatura, sedette al parlamento, ma l'avvento deli fascismo lo costrinse ad abbandonare l'attività politica (nella quale rientrano anche scritti come Le due facce del marxismo italiano, Milano e Fatica senza fatica, Torino).  Più fortunata divenne, a, questo punto, la carriera universitaria. Titolare a Cagliari, si occupa, tra l'altro, di Problemi universitari (Mediterranea) e vagheggia un progetto Per la riforma della facoltà filos. (Atti della Società ital. per il progresso delle scienze), che fu combattuto dal Gentile (Giorn. crit. d. filos. Ital.). Passa a Milano, sulla cattedra di P. Martinetti (che si era ritirato per non prestare giuramento) e torna all'amata Genova, stabilendosi sulla riviera di Sant'Ilario. Qui riceve volentieri i suoi studenti e colti visitatori, attratti da una fama, che, specialmente dopo la pubblicazione di Arte e poesia (Milano), si estese oltre la cerchia dei filosofi di professione. Riprese l'attività politica negli ultimi anni, soprattutto in forma di collaborazione a giornali e di rielaborazione di vecchi scritti di critica marxista. L'ultimo articolo, L'etica dell'economia marxista, uscì sull'Avanti! alla vigilia della morte. Al suo nome è intitolato l'istituto universitario di magistero di Genova.  La sua prima formulazione pienamente matura della filosofia può essere considerata il volume Il mondo sensibile, introduzione all'estetica (Messina), preparato da alcuni degli scritti raccolti in Filosofia in margine (Roma); in esso si vuol raggiungere la "prova esistenziale" della spiritualità del contenuto sensibile. Contro l'impostazione gnoseologica che soggettivizza il mondo, propugna un'impostazione estetica che vede nel mondo sensibile, preso per se stesso, "la forma dell'esistenza". Tale dottrina fu chiamata "occasionalismo sensista", in una comunicazione alla sezione piemontese dell'Istituto di studi filosofici  (Per un occasionalismo sensista, in Concetto e programma della filosofia d'oggi, Milano). La denominazione esprime l'intento di "riflettere sulla pura forma invece di prenderla quale rappresentazione di altro (soggetto od oggetto) posto come un contenuto irreducibile a quella forma. L'esperienza estetica ci mostra che un'ide a pura esiste come forma pura, sensibilmente, e che questa forma sensibile vale per sé, in un rapporto formalmente sentito con certezza, che diciamo verità. Ciò costituisce un valore sensibile direttamente, diverso sia dal valore del sensibile (che rappresenta il valore specificamente teoretico) sia dal valore del sentimento (che rappresenta il valore pratico). L'esserci sensibile interessa il pensatore o l'uomo pratico solo come ostacolo da superare, ma riempe di meraviglia chi guarda il mondo con gli occhi spalancati sol per la gioia di vedere, e così ne può apprezzare la bellezza. Queste idee sono esposte in Arte e poesia,e messe alla prova non solo a contatto con estetiche come quelle di Burke e di Focillon, a cui iscrisse introduzioni (Milano), ma con la stessa opera poetica, per es. di un Verlaine, di cui ripubblica in Italia una raccolta di Poesie, conintroduzione (Milano). Arte e poesia si conclude con una "apologia della forma", la quale sembra a torto imprigionare lo spirito e limitare il valore solo perché, in realtà, lo determina e lo realizza. Rovesciando l'istanza idealistica, secondo cui il valore sta in un'unità spirituale che si riduce a un'esigenza puro-pratica, a una rappresentazione di ciò che non è, dichiara che l'anima cerca il corpo, non viceversa, che lo spirito cerca la forma, la filosofia la poesia. Sicché il valore non appare più la premessa indimostrabile di ogni esistenza, ma il risultato intuitivo della stessa forma sensibile.   Bibl.: F. Della Corte, A. B., in Genova, Sul B. Ipolitico: F. Meda. Il Partito Socialista Italiano dalla Prima alla Terza Internazionale, Milano, I deputati al Parlamento per la legislatura, Milano, M. Carrea, Per una filosofia del socialismo, in Osservatorio, Genova, Nenni, Storia di quattro anni, Roma, Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Firenze, Turati-A. Kuliscioff, Carteggio. Dopoguerra e fascismo, a cura di A. Schiavi, Torino, vedi Indice. Inoltre per alcuni scritti del B., in Critica Sociale, degli anni 1923-24, vedi Critica Sociale, a cura di M. Spinella, A. Caracciolo, R. Amaduzzi, G. Petronio, III, Milano, Indici, a cura di M. T. Lanza. Sul B. filosofo, oltre l'esposizione del proprio pensiero fatta da lui stesso in Il mio paradosso, in Filosofi ital. contemporanei, Como, Milano, cfr. U. Spirito, L'idealismo ital. e i suoi critici, Firenze, Volpe, Crisi dell'estetica romantica, Messina, Sciacca, Il secolo XX, Milano, Faggin, Il formalismo sensista di A. B.,in Riv. crit. di storia d. filos.,  Assunto, B. e l'estetica moderna, in L'Italia che scrive, Bertin, L'estetica di B.,in Studi filosofici, Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia, Talenti, A. B., Torino  (con bibl.). Adelchi Baratono. Keywords: stilistica, breviario di stilistica italiana, fatto psichico elementare, i fatti psichici eleentare, psicologia filosofica, illuminismo, implicatura luminaria, implicatura escataologica, politica ed etica, la filosofia al margine: gentile, croce, natura umana, esperienza, il mondo sensibile, estetica, il bello, il sublime, criticismo, assiologia, hume a Cremona e torino, spirito, animo, forma logica, l’eneide, riviera ligure, “Rivera Ligure”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baratono” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Barba – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gallipoli). Filosofo italiano. Grice: “I like Barba, but then I like Gallipoli – and he was born and died there, at Villa Barba. His main interest was Roman philosophy, which he studied at Naples! – The Roman occupation in Southern Italy brought ‘a breath of fresh air,’ as Barba has it, to the old “Grecia Magna” tradition --.” Grice: “Barba is very clear: ‘Epigrafia filosofica latina,’ o ‘epigrafia filosofica romana’ surely ain’t Grecian!” --  Figlio di Ernesto, conduce gli studi a Gallipoli, per poi trasferirsi a Napoli presso il zio, Tommaso Barba. Tommaso Barba e presidente della Gran Corte. Studia grammatica e materie letterarie nella scuola di Puoti. Si laurea in Filosofia. Studiare nel R. Collegio Cerusico e divenne professore di anatomia umana comparata. Insegna scienze e lettere al ginnasio di Gallipoli e fu sovrintendente scolastico ed Assessore delegato alla Pubblica Istruzione.  Fu arrestato ed esiliato a causa delle resistenze al governo. I membri dell'Associazione Democratica posero una scritta: "Nato dal popolo, Per il popolo si adoperò". A lui fu intitolato il Museo civico di Gallipoli.  Note  AnxaEmanuele Barba, su anxa. 21 aprile  13 ottobre ).  Scheda sul sito del Museo Emanuele Barba. Filosofi. Emanuele Barba. Keywords. epigrafia latina, iscrizione latina, iscrizione greco-romana, la iscrizione di Platone sulla porta dell’academia, ageometretos medeis eisito, Delville pittore belga (Libert), a Italia crea ‘L’ecole de Platon,’ per la Sorbonna.  I vasi di Barba – gemelli, fratelli siamesi, ecc. Monete romana, Gallipoli, colonia romana, ‘Proverbi e motti del popolo gallipolino” – poesie di Barba sulla morte del re d’Italia, risorgimento – esilato, carcere – la filosofia di Barba, barba filosofo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barba” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Barbaro – il Daniele – filosofia italiana – filosofia veneziana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice: “This can be confusing to Oxonians, althou we are familiar with the Hanover dynasty! Daniele Barbaro, a faitehful nephew, commented on his uncle’s, Ermolao Barbaro’s, ‘translation’ of Aristotle’s rhetoric – I shouldn’t even be saying this since it’s implicated in the title where Ermolao features as ‘interprete,’ and the ‘commentarium’ is due to Daniele.” Grice: “On top, Daniele wrote about ‘eloquenza,’ but his comments on his uncle’s vulgarization into latin of Aristotle’s vulgar-greek (koine) rhetorica – is perhaps more Griceian – since there is little conversational about Daniele Barbaro’s ‘eloquenza,’ while the rhetoric (or ‘rettorica,’ as he prefers) is ALL about ‘dialettica’ and dialogue!” --  Daniele Barbaro patriarca della Chiesa cattolica Portret van Daniele Barbaro Rijksmuseum SK-A-4011.jpeg Ritratto di Daniele Barbaro, attorno al 1561-1565, opera di Paolo Veronese, presso il Rijksmuseum di Amsterdam Template-Patriarch (Latin Rite) Interwoven with gold.svg   Incarichi ricopertiPatriarca di Aquileia. Nato 8 a Venezia Nominato patriarca 17 dicembre 1550 da papa Giulio III Deceduto13 aprile 1570 (56 anni) a Venezia. Ritratto da Paolo Veronese, 1562-1570 (Firenze, Palazzo Pitti)  Villa Barbaro a Maser  Pratica della perspettiva, 1569 È noto soprattutto come traduttore e commentatore del trattato De architectura di Marco Vitruvio Pollione e per il trattato La pratica della perspettiva.  Importanti furono i suoi studi sulla prospettiva e sulle applicazioni della camera oscura, dove utilizzò un diaframma per migliorare la resa dell'immagine. Uomo colto e di ampi interessi, fu amico di Andrea Palladio, Torquato Tasso e Pietro Bembo. Commissionò a Palladio Villa Barbaro a Maser e a Paolo Veronese numerose opere, tra cui due suoi ritratti.   Daniele Matteo Alvise Barbaro o Barbarus fu figlio di Francesco di Daniele Barbaro ed Elena Pisani, figlia del banchiere Alvise Pisani e Cecilia Giustinian. Suo fratello minore fu l'ambasciatore Marcantonio Barbaro. Barbaro studiò filosofia, matematica e ottica all'Padova.  Fu ambasciatore della Serenissima presso la corte di Edoardo VI a Londra, dall'agosto 1549 al febbraio 1551, e come rappresentante di Venezia al Concilio di Trento.  Nipote del patriarca di Aquileia Giovanni Grimani, fu suo coauditore nella sede patriarcale di Aquileia. Venne promosso in concistoro a patriarca "eletto" di Aquileia (coadiutore), con diritto di futura successione, ma non assunse mai la guida del patriarcato perché morì prima dello zio. All'epoca tale carica era quasi una questione di famiglia per i Barbaro, infatti furono patriarchi di Aquileia ben 4 Barbaro. Ermolao Barbaro il Giovane, patriarca di Aquileia dal 1491 al 1493, Daniele Barbaro, patriarca di Aquileia, Francesco Barbaro, patriarca di Aquileia dal 1593 al 1616, Ermolao II Barbaro († 1622), patriarca di Aquileia dal 1616. Fu forse nominato cardinale in pectore da papa Pio IV nel concistoro del 26 febbraio 1561 e mai pubblicato.  Solo i Grimani, con cui erano imparentati, occuparono più volte il patriarcato (ben sei).  Partecipò a varie sedute del Concilio di Trento a partire dal 14 gennaio 1562 fino alla sua chiusura. Atre opere: commentarii di Aristotele Retorica del suo pro-zio Ermolao Barbaro il Giovane (Venezia); Compendium scientiae naturalis di Ermolao Barbaro il Giovane (Venezia); Commento sull’archittetura d Vitruvio, pubblicato col titolo “Dieci libri dell'architettura di M. Vitruvio” (Venezia). Di essa pubblica anche una versione in latino intitolata M. Vitruvii de architectura, (Venezia). Le illustrazioni sono realizzate da Palladio --; un trattato sulla geometria, prospettiva e scienza della pittura, La pratica della perspettiva (Venezia); un trattato sulla costruzione delle meridiani, “De Horologiis describendis libellus” (Venice, Biblioteca Marciana, Cod. Lat. VIII, 42). Più tardi si scopre che il testo del Barbaro affronta la tecnica di strumenti come l'astrolabio, il planisfero, il bacolo, il triquetrum, e olometro di Abel Foullon. Cronache, probabilmente riprese da Giovanni Bembo nella Cronaca Bemba. Aurea in quinquaginta Davidicos Psalmos doctorum graecorum catena interpretante Daniele Barbaro electo patriarcha Aquileiensi, Venetiis, apud Georgium de Caballis.  Note  La pratica della perspettiva, 1569, consultabile online (testo italiano + tavole originali)  Giuseppe Trebbi, Barbaro Daniele, in Nuovo Liruti: dizionario biografico dei friulani. 2: l'età veneta. A-C, Forum editrice universitaria, Udine 2009374  Eubel, Hierarchia Catholica Medii et Recentoris Aevi, III39, che cita gli Acta camerarii 9, f. 37 e gli Acta vicecancellarii 8, f 7  Louis Cellauro, Daniele Barbaro and Vitruvius: the architectural theory of a Renaissance humanist and patron, Papers of the British School at Rome, 72 (2004),  293–329 Pio Paschini, Daniele Barbaro letterato e prelato veneziano del Cinquecento, Rivista di storia della chiesa in Italia, Władysław Tatarkiewicz, History of Aesthetics,  III: Modern Aesthetics, edited by D. Petsch, translated from the Polish by Chester A. Kisiel and John F. Besemeres, The Hague, Mouton, 1974. Daniele Barbaro, Pratica della perspettiva, In Venetia, appresso Camillo, & Rutilio Borgominieri fratelli, al Segno di S. Giorgio, Robert Devreesse, La chaine sur les psaumes de Daniele Barbaro, in Revue Biblique,  Giovanni Mercati, Il Niceforo della Catena di Daniele Barbaro e il suo commento del Salterio, in Biblica,  Storia della fotografia Villa Barbaro. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Vacca, Daniele Barbaro, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Daniele Barbaro, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Giuseppe Alberigo, Daniele Barbaro, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Daniele Barbaro, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Daniele Barbaro,. David M. Cheney, Daniele Barbaro, in Catholic Hierarchy.  Daniele Barbaro, su museogalileoMuseo Galileo, Firenze. 21 ottobre. Daniele Barbaro (15141570), su mathematica.snsEdizione Nazionale Mathematica Italiana, Pisa, Centro di Ricerca Matematica Ennio De Giorgi. 21 ottobre.Salvador Miranda, Barbaro, Daniele Matteo Alvise, su fiu.eduThe Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International University. PredecessorePatriarca di AquileiaSuccessorePatriarchNonCardinal PioM.svg Giovanni Grimani17 dicembre 155013 aprile Aloisio Giustiniani Umanisti italiani Nati Venezia VeneziaBarbaroPatriarchi di AquileiaAmbasciatori italiani. DELLA ELOQUENTIA, DIALOGO. INTERLOCVTORI:  L'ARTE, LA NATVRA, ET L'ANIMA. R. IO VORREI VOLENTIERI Natura, che noi disputassimo insieme, se però l'ufficio del disputare alla tua conditio nesi conuenisse. NAT. Il disputare é cosa da te ò arte, figliuola mia. Ma se à me stesse l'ammaestrarti, di presente direi, che tra il tuo intendimento, o il mio, alcuna differenza non fusse, da che dentro ti venija se il contender meco. AR. Al almeno desidero tale occasione. NAT. Vano, o dannoso desiderio é il tuo, si perche io non sono mai ociosa, come perche tu sempre dei non mes no abbracciare il bene che cercare la verità delle cose. AR. Niena te più migioua, che il bene, ne che il vero più mi diletta. NA. In questo almeno tu m’assomigli, che ouunque sia, ch'io mi ritrdovi, il vero sono, o il bene di ciascuna cosa. AR. si,  ma tu alla cieca ne vai, e io di tanto amo ogn'uno, che con deliberato consiglio, o anati veduto fine faccio, lo difar bene. NAT. Emmipur manifesto che la tua grandezza è di nascondere te stessa quantopuoi, o di accoltarti à me. AR. Questo é, maciò aviene, perche tu prima di me al mondo venisti, o gli huomini a’ tuoi piaceri adulasti, innanzi ch'io ci nascessi; o questa mia imitatione non ti accresce dignitade alcuna. Percioche, nella formica vile animaluzzo e più degna, nell’huomo meno onorato, ancor che questo quella imitando, l'estate per lo verno ſiproueda. La mia industria, o natura, fa maggiore il tuo povero patrimonio. NAT. Che accrecimento farebbe ella, se io non ti lasciassi che accres cere? Tupure, se uuoi, ben sai, che ogni opera presuppone il soggetto, senza il quale nulla si può fare. Que so da me, non da te procede. Oltra che appresso giusto giudice il secondo. A secondo luogo, non che il primo, ti faria denegato. AR. Giusto à tua scelta intendi colui, che te à me anteponga; ma nonſai che per la età molto ti concedo. NAT. E'mipiace di ragionare an poco tea cosopra questa materia, poi che tant'oltra procedutaſei, che di te con buona equità midolga. Dicoti adunque, che in ordine di onoranza ne prima ſei, né ſeconda. Ar. Chi adunque à noi ſopraſta? NAT. Chi ne fece ambedue é il primo senza mezo dalui nace qui. Tu doppo me sei. NAT. Adunque mentono coloro che affer mano, te effer madre uniuersale, poi chetu ſteſſa non nieghi eſſere d'altruifattura? NAT. Ad un modo io ſono madre,ad un'altro figlia. A R. Adunque di te coſa picprestante ſi truoua? NAT. Chi ne dubita? Ma io per eſſere å gliumaniſentimenti vicina, tutta fiata ſon preferita. AR. Hai tu conoſcimento di fine alcuno? NAT. Certo no; ma nel gouerno del tutto io ſon drizzata, e quafi addeſtrata dalpadre mio. AR. In che dunque é ripoſta queſta tud gloria? NAT. Tanto potente, ſaggio, w buono é il mio fattore, che la ſua gloria in me mirabilmente ſoprabonda. AR. Sommi più voltemarauigliata di coteſta tua occulta uirtù, dalla quale tu ſei cosi gentilmente guidata.jpelefiate mi è uenuto in animo di cre dere che ella forſe habbia potere di trar mead imitarti diforza; ergo però diſcorrendo,etpiù dentro penetrando, bo giudicato eſſere gran famiglianza tra quelprincipio, che ti muoue, &me, ondeper la ſea creta uirtu,non tua,io mi muouo ad operar come tu fai. Ma poi mi pare,che,ſe il diſcorrere l'ordinare,e il ridurre àfine le coſeantiue dute, è ufficio mio,io ſia inanzi di teſtata nel Cielo appreſſo il padre tuo, che egli habbia l'opera mia uſata in generarti ò produrti NAT. In altra guiſa io faccio le coſe mie tule tue, di quella del fattor noſtro, chenehafatte, & create.Però guardati dinon giudi care troppo animoſamente le coſe, figurando le inuiſibili, & occulte per le uiſibilio manifeſte. Ma perchecosi agramente mi condane ni? ſe in qualunque modo tu uuoi per le coſe già dette chiamar mi, ò madre, è figlia, o ſorella, ó amica ſeisforzatadi nominarmi? no mi tutti di congiuntione, amicitia, oſtrettezza. Egli non ſi uuol có. si correre a furia. AR. Non ti adirare ó Natura, che io non ho contra te mal uolere, né il finemio é ſtato cattiuo, anzi per lo tuo ef faltamento ho uoluto raffrenare la mia credenza, che era di ſapere con qual calamita io tirata fußi ad operare come tu fai,e mi uenu to ben fatto per lo ragionamento, che éftato fra noi, perche hauen do noi do noi ritrouata l'origine del noſtro naſcimento, ſiamoſicuré della no ftra nobiltà, come quella checon la eternità ſipareggi,o dal primo fattore d'ogni coſa proceda. Ma ben mi duole, & per queſto ti ho chiamata,cheà molte ſciagure ſia la grandezza mia ſottopoſta.Et quanto maggiore è lo stato mio, tanto àpiù pericoli mi ueggio eſſer ſoggetta. NAT. Quai ſciagure, oquai pericoliſono queſti? AR. Saper dei Natura, madre mia, che in tutte le parti delmondo mi truouo hauer molti miniſtri,de quali neſono alcuni,chemifanno una gran uergogna, a oltre à ciò miſono di danno infinito, o per lor cagione io ne ſento male. Perche non indrizzando me al debito fine, anzifieramente in abuſo ponendomi, come buona, utile, oono reuole cheio ſono,rea,dannofa, & uituperabilemifanno. Ondegli huomini per mezo mio ingannati da loro, certi de' loro danni, main certi di chi la colpaſiſia, s'accendono d'ira contra dime, à guiſa di co loro,che le ſpade,o non glihomicidi punir uoleſſero. NAT. Tu non ſei ſola nelmale di si fattioltraggi, tutto'l dime ne uengono afe ſai. Percioche producendo io ogni coſaà beneficio della vita di chi ci naſce, moltiſciagurati epieni dimal talento, maleufando l'arti ficio loro,empiono iltutto diconfuſione, auelenando, uccidendo,in, gannando, eoffendendoſenza riguardo alcuno; e chi ode o xede taliſceleraggini, maledice ogni mia fattura. AR. Duraper certo ėlaforte noſtra,però che il uolgo cieco, &ignorante non ſa,chereo non è quello, che in bene uſar ſipuote.Maper uer direzio poco mi marauiglio, ſe il ueleno auelena,ò il ferrouccide, ma ben grandeam miratione miporge,quädo il cibo, di cuiſiuiue,cosi ſpeſſo in cattiuo umore ſi conuerte,che alla morte conduce. Et ciò dico à fine,chetu Sappia quantoiogiuſtamente mi dolga,che lapiù pretiofa parte,che tupergratia del tuo fattoreall'huomo cõcedi conla quale egli poſ fan debbia altrui eſſere d'infinito giouamento, cosi ad offeſa Sia, ex à danno preparata, che niente più. NAT. Chié quelmaluagio Oingrato,che tal coſa ardiſca di fare? AR. L'Anima, o la più diuina parte di lei. NAT. Perseguitiamola dunque, o facciamo la citare dinanzi al tribunal diuino, Voglio, che ella dica la cauſa ſua. AR. Ma prima uoglio,che infingendo noi con eſſo lei,tanto la prendiamo che ella dica à noi ogni ſuaeſcufatione. NAT. Né la giuſtitia del Giudice, né la uerità del fatto, nela tua dignità ricerca tale inganno,eſſendo quello ſincerißimo,la coſa uerißima, otu quel la,che del medeſimo errorej, del quale ſei per riprender lei, puoi eſ A 2 Ser accufatd. A R. Ben di..Ma io altrimenti non ſonouſata difure. Ma eccoti queſta ingrata,che di molte parti, et eccellenti doni da noi dotata d'alcuna gratia,che futta le habbiamo,non ſi ricorda,contre mecon me fteſa,o contra te per li beni, che dato le hai, altiera ſi lieua. Aſcoltiamola alquanto. ANIMA. Iddio vi ſalui ſorelle amantißime, delle qualiund mi rende atta l'altra mi fa gagliarda als l'operare. AR. Et te ancora ſecondo il tuo buon uolere, ma dins ne, che usi tu cercando? AN. Te ſopra tutte le coſe. AR. In parte difficile ti ſei riuolta, perciò che biſogna, che tu oſſeruicon di ligenzatutte le operationi, a modi di coteſta noſtra commune amis ca. A N. Hoio ad impiegare tanta fatica, innanzich'io t'imprens da? AR. Et poſponere a queſta ogni altra cura,ben che dolcißima cura ti fia, per la ſperanza dello acquiſto, che ne farai. Ma che parte di me conoſcer deſideri? AN. Indifferentemente,ſe poßibil fuſſe, tutte le uorrei, tutte le abbraccerei tutte le poſſederei. Ma ora grado mifia tant'oltre procedere, ch'ioſappia altrui paleſare i cons cetti miei. AR. Più chiaramente midi quel che uuoi,perche in molte maniere giouar ti poſſo d'intorno à cosi fatto dimoſtramento di penſieri. Vuoi tu ſapere conqual nodo di ragione ſi ſtringa ung parola con l'altra quale ſia la concordanza de' numeridelle per fone, ode' uocaboli delle coſe, et con quai regole dirittamente fifcri Me? AN. Queſta parte io la preſuppongo. AR. Forſe tu uai cer cando d'intendere con quale unione una coſa con l'altra conuengd, per poter'à tua uoglia diſcorrere,argomentare,o foſtenere le cons teſe  AN. Né ciò intendo per ora, ma di più diletteuol parte ho curd. AR. Tu uuoi tutta fiata porgere diletto col parlar ſoauiſ fimamente,à guiſa di delicata uiuanda acconciandoi numeri,il ſuono, per l'armonia delle uoci eſprimenti coſe piaceuoli, & grate à i fenfi umani? A R. 10 uorrei più adentro penetrare, né tanto effer folles cita di piacere alle orecchie,quanto di giouare all'animo, operò dimmiſe hai più parti, quaſi figliuole,cui ſi conuenga la cura del ras gionare. AR. Honne, o hauer ne poſſo ancora molte altre, che nonſono in luce; ma tra le altre una ue n'ba, che non è leggitima; un'altra la quale bēche leggitima ſid, pure e di tāto riſpetto, che rare Holte ſilaſcia al mondo compiutamente uedere. La prima in tanto da me é hauuta per buona, in quanto ella inſegna di conoſcere gli ingan ni del parlare, e à fuggire i ciurmatori. Laſeconda e da me coſto dita, &guardatamolto, percheio temo, che gli huomini di malaf fare non la ſuijno. Et eſſendo ella di bellezza,o di forma ſopra ogni altra eccellente gran pericolo miſoprafta Jlquale tolga lddio, ma doue non paſſa la maluagità umana: doue non penetra l'audacia? ego di queſto, poco fa, la Natura, a io ci doleuumo, et penſauamo,che tu fußi quella tu, che d'ogni male Q uergogna noſtra fußi l'apporta trice. A N. Perunared eu perfida, che ſi truoua, non crediate di gratia, che oggi di tutte ſieno tali,perche da me ui prometto,che als tro che onore non hauerete, AR. Bene, o cosine cape nell’anis mo. Che uuoi tu adunque da me ſapere?  AN. 10 cerco molto, Ò Arte, à modo mio di posſedere coteſta tua cosi bella, o riguardata figliuola,à benefitio deipopoli, o delle genti, o à gloria tua, di me,dicui altro cibo più ſoaue non truouo. AR. Prega tu prima la Natura, che à te conceda corpo ben diſpoſto, oformato, aſpetto graue, o gentile, uoce chiara, á eſpedita fianco,modo, o mouimen ti conformialla virtù, che deſideri". Appreſſo poi à me prometterai congiuramento di non ufare già mai la figliuola mia,uezzofa, inſos lente, « che tanto uagaſia delle bellezze ſue, che per farſi uaghegs giare in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni propoſito ſenza riſpetto alcuno compariſca. Et con luſinghe eadulatione dal ben fare le genti, o i popoli aſcoltanti rimuoua. AN. Se ottimo uolere, fe oneſtédimanda ritruoua luogo appreſſo di te, o Natura, con ogni af fetto ti priego, chetu mi dia quello chel'arte mi perſuade, che ti dis mandi, corpo gratiofo,formato,odotato di quelle parti, che conue nientiſono alualore della figliuola fua. Etſe bene in alcun tempo io non ti poteßi di tanto donorimeritare,pure non ceſſerò di eſſertiſem pre obligatißima. NAT. Siati la gratia, che dimandi, conceſſa. A N. Io tigiuro ó Arte,perquella diuinità, che ſi truoua maggiore, di accoſtumare la tua figliuola à giouare ouà ben far’altrui, né per modo alcuno permettere, che ella ſeguagli apperiti diſordinati, ma circoſpetta ſempre, oſempre riguardeuole compariſca. AR. CO si habbi la chiarezza del ſangue, la libertà, eccellenza della pas tria, ibeni da gli huomini defiderati, come ciò facendo,alcolmo della gloria à pochi conceſſa,peruenirai. NA. Felice patria,che di tale, e tant'huomoſaràfornita. Maqual patria le dareſti tu,ó Ar te? AR. A'mia uogliale darei quella,in cui le leggi poteſſero piit, che gli huomini, doue la maggior parte alla commune utilità s'ina drizzaſſe; antica,nobile,illuſtre,e di quelgouerno, nel quale il bes ne di tutti glialtri gouerniſiconteneffe, qualeforſe non più che unds'e  s'è ritrouata,oſi ritruoua al mondo, oforſe tu, o Natura,conſentia ſti di prepararle il più ſicuro & comodo luogo, oil piie forte fito, cheueder ſi poſſa,nonmeno al mare che alla terra uicino,cui di gra tiaſpeciale ancora il Cielo concede priuilegio di eſſer nimica d'ogni tumulto, o ſeditione,parca,pia,oreligioſa, con inſtitutiottimi temperata: NA. Troppo di cuore commendi, o lodi queſta tua Città, eforſe à ciò fare queſto t’induce,che tu in eſſa puoi il tuo ud lore, o la tuaforza chiaramente dimoſtrare. Ma tu, ó Anima, già ricca di tanti doni, chefatti t'habbiamo, che dici? A N. Le gratie non ſonopari al uolere,io attendo quello, che attender dei, &sò lo ſtudio,che tu ſei ſolita di porre nelle coſe tue;mi& rendo certa, che tuſai ancora, che ritrouando io unatemperatißima compleßione di corpo,à quella dò la umanaperfettione, o come quella temperanza cade, cosiſopra di eſſa declina ilmio ualore. Làondeſono alcune co ſe, allequali io non degno la uita concedere. Ad altre ueramente dos no la uita,ma le operationi di quella cosi ſono occulte, che in forſe fi ftà di credere ſe in eſſe la uita ſi truoui. Altre uita,ſenſo, omouis mento da me hanno comealcune intelligēze, et amore, coſa nobile et ueramente diuina. NAT. Queſtomipare,checosi ſia map ure als cuna fiata io ueggo, che le anime uan ſeguitando le compleßioni de' corpi. Onde poiſono alcuni ſdegnoſi, alcuni manſueti, altriuanno dietro alle apparenze, altrialle fauole più che alla uerità fi danno, emolti in ogni pruoua, ſoda ex inquiſita ragione uan ricercando. A N. Et queſto èquello da me tantodeſiderato dono, che e di ſapes re in tal guiſaſpiegare i concetti miei,ch'io ſatisfaccia à tanta diuer. ſità di nature, o d'ingegni. NAT. Quando tu ſarai giunta à quel paßo,chetu ſappia per mezo dell'arte cosi ben gouernarti con ogni maniera di perſone, dotte,roze,ciuili, barbare, umane, e inumane, allora potrai à tua uoglia mitigar’anco gli adirati, fpingere i pigri, raffrenare i feroci, ingagliardire i deboli; et di uno in altro cótrario à uiua forza ogni anima tramutare. A N. Coteſta é und magica eccellentiſsima. Ma tu Arte,cui è dato di ritrouare alcune uie ragio neuoli di peruenire alla cognitione di coſe non conoſciute, incomincia da quelle che facili, en eſpedite ad inuiarmi al deſiderato fine riputes rai. Ar. Cosi uoglio, o à te farò capo, ó Natura, dinuouo addis mandandoti,di che beni uuoi tu adornare queſta noſtra nouella ſpoſa? NAT. Hollo già detto, a più aperto ti diſtinguo,dar le uoglio, ol tre al corpo ben formato unauoce grata, chiara, eguale, che ogniſuonoageuclmente ſi pieghi, e che ſe ſteſſa inſino all'eſtremo ſoſtenti. AR. Et io le dimoſtreró parole atte ad eſprimere leggia dramente ogni concetto,pure,ampie, illuftri, eleganti ſeuere,giocona de, accoſtumate,ſemplici,uere, tarde, ueloci, ofinalmente tali, che abbracceranno la uera idea di me in queſtoeſſercitio. Et di più io l'inſegnerò di collocarle si fattamente inſieme, che diletteranno ſema pre, o non falliranno già mai; or iu Anima farai ociofa? AN. Hauendo io per gratia di te Natura le coſe conuenienti, oper tud corteſia ò Arte le parole conformi, farò si, che niuno in mepotrà de fiderare ne penſamento neſtudio alcuno. NAT. 10 a' ſenſi tuoiſot toporrò tutte le coſe, dalle quaifacilmēte ti uerrà fatto di prendere argomento di ragionare. Tu fin tanto non mancherai di diligenza. AR. Paterno, oſaggio ricordo. Però che con la diligenza ogni giorno teſteſſa auanzerai, ella ti farà poßibile ogni impoßibilità,ela la é la perfettione, lalode di tutte le opere de mortalijà cui cons giunte ſono tutte queſte coſe, cura, induftria, penſamento, fatica,eſſer citio, imitatione de migliori, «il tempo padre d'ogni coſa. Credi adunque à me quelloche la lunga eſperienza mi haidimoſtrato, cioé, che niente giouano imieiprecetti,niente le regole, niente gli ammae ſtramenti,ſenza la diligenza,con la quale oltre alla inuentione, all'ordine delle coſe,otterrai di accommodar la uoce alle parole, eſpri mendo le umili con baſſo, o rimeſſo ſuono, le pure coniſchiettezza, le afpre con durezza,abbaſſando, & inalzando queſto beato inſtrué mento à que' tuoni, che ſaranno conuenienti. An. Coteſte fono leggi da eſſere oſſeruate allora che io ſarò col corpo congiunta. Pers cheben ſai chenė lingua, nė uoce habbiamo, nė però egliſi uuoldire cosi ad ogn'uno,in che maniera tra noi fauelliamo. NAT. 10 ſo be ne, chegli huomini andrannofauo leggiando di noi, come altre fiate hanno detto chele cannucce parlarono, ilche é maggior miracolo, che ſe gli Indiani uccelli eſprimono le uoci umane. A R. Se già col mio aiuto uolarono gli huomini, molte coſe inſenſate hebbero mo uimento, che marauiglia potranno oggi maiprendere del parlar nos ſtro? AN. Che debbo dir’io? partita ora dalluogo,oue il parlaa re é uiſibile, l'intendimento ſenza fauella ſi ſcuopre, muoueſi ſenza luogo,e s'impara ſenza discorso. AR. Coteſti miracoli, che tu ci narri,ſono ſegno, che tu non habbia biſogno dell'opera noſtra. AN. Tu di vero, ſeio nella mia primiera ſimplicità mi rimaneßi. Ma diſcendendo dalpuro o purgato eſſere, o venendo quaſi ad un'aria infettata e corrotta,molto mi ſento dal mio primo ſtato ria moſſa. NAT. Peggio ti auerrà meſcolandoti con la masſa matea riile del corpo. A N. Ad ogni modo mi biſogna ſtar ſottopoſta. AR. Non uſciamo di ſtrada,macome buoni mercatanti accontiamo inſieme. Haßi dunquefin'ora promeſſa di uoce eſpedita, di copia di parole, di modo conueniente di accomodar la uoce alle parole;oraci reſta di affettare le parole alle coſe. Cheditu Natura? NAT. Die co, ch'egli è più che neceſſario queſto affettamento,ſenzail quale le parole ſarebbon uane et ſenza frutto, però accreſcendo le doti, che io intendo dare à coſtei, promettole di dimoſtrarle nelle coſe mie us na certa uerità, alla quale accoſtandoſi, potrà ſeco tirare ogniforte di gente, o di tale ueritàſenza dubbioti affermo eſſerne ogn'uno capace. A'R. Già tre corde di queſto liuto ſono accordate, uoci, parole, a coſe. Reſta, che nelle coſeſi ueda una certa conuenienza con eſſo teco,ò Anima, e con le parti tue; che ne riſulti la perfetta e compiutafoauità della deſiderata armonia. Però aiutamia ritros uare le tue più ſecrete parti, epiù occulte uirtù, acciò cheſi ſappia qual parte di te, con quai coſe, « con che parole, et con che attione ſi debba muovere. A n. Piacemi queſta diſpoſitione mirabilmene te ofappi,che auenga;ch'io nonſia ſtata col corpo già mai, nientes dimeno come nouella ſpoſa nella caſa del padre molte coſe hoſapute, che mi aueranno quando ciſarò legata. A R. Ora incomincia à dir mene alcune. AN. Hogià inteſo,che quando io ſarò con eſſo il cor po, molte mie forze emoltemie uirtù ſi ſcoprirāno,le qualiora non ſi conoſcono. Et prima ne gli occhi io ſarò il uedere, nell'orecchie l’u dire, nel palato il guſto, per ogni luogo oparti del corpo faró ſentimento, nel cuore principio diuita,di ſenſo,etdi mouimento.Ben che ad altra intentione altri riguardando,la origine di tai coſe ad al tre parti aſſegnerano. In un luogo ſarò fantaſia,in altro memoriain altro ingegno,et per tutto ſarò anima.Et ſe il corpo fuſſe di tal tem pra, chegli fuſſe diffoſto à riceuere ogni mis uirtù, farei nelle orecs chie la uiſte, o ne gli occhi l'udito, quantunque per molti accia denti, che uengono à i corpi, l'animepouerelle uſar non poſſano le forzeloro, da che nacque l'opinione di coloro, che dicono "credos no che noi moriamo inſieme col corpo.Ma io ti giuro per quell'onnis potente maeſtro, che mi fece che noiſiamoimmortali, oſe ora io fo noſenza il corpo,perche non ſi dee credere che io reſtar poſlı dapoi, che'l corpoſarà disfatto? AR. Tutto chemolte ragioni aſſai pro Babiliper l'und ei per l'altra parte mi muouano,pureal modo,che io Sonoſolita di cercare la uerità delle coſe,io non ſono puntoſicura del la voſtra immortalità, però rimettendomi à qualche maggior ſapien za, che la mia non é, mi gioua di credere che noi uiuiate eternaměte. A N. Più oltraiſe fenza il corpo conoſco,fo ueggio, econoſco di conoſcere,miapropria operatione, che dirai tu poſcia dello eſſer mio? AR, Ritorniamo al cominciato ragionamento. An. Ben ti dico ora delle forze mie, perche io conoſco di dentro, e di fuori, dentro con la fantaſia, col diſcorſo, o con l'intelletto, o ciò si dia mandavolontà, come quello del ſenſo appetito, il quale hauirtù di porſiinanzialle coſe diletteuoli, o di fuggire le diſpiaceuoli.La no lontà è Regind. AR. A'me pare, che tu mi hábbiposto inanzia gli occhi la forma di una ben'ordinata Republica, nella quale ui ſia il Principe, iCoſiglieri,i Guardiani, et gli Artefici. Mainfinitamentemi doglio d'alcuni, che per molti ſecreti auenimenti, de' quali non fan renderealtramente ragione, corrono à fabricar nomi, che nonſono, et con quegli impauriſcono le genti,aguiſa delle nutrici,che ſpauenta, no ifanciulli con le fauole, quindi è nato il nome della Fortuna,cui ca pital nimica io ſempreſonoſtata, nõ percheio creda,che à quel nome alcuna coſariſponda, maperche mimoleſtalafalſa opinione di colo ro, che non ſolamente uogliono, che ella ſia una coſa come le altre, che ſono, ma le attribuiſcono la diuinità. NAT. 10fo bene, che la for tuna non è fattura mia. ART. Né di me'ancora. An. Molto mea no dimeauezza à coſe stabili e impermutabili. ART. Laſcida mola dunque andare, o ueggiamo ſe io ti bo ben’inteſa, due ſono i conſiglieri,per quanto io comprendo,ragione, &appetito, daiquali commoſſo e perſuaſo,s’induce à fare, eoperare il tutto, perche ora nė difortuna,nédi uiolenza alcuna ragiono. A N. Senza dub bio,ſe riguardi al nome, maſaper dei, che ſotto queſto nome di appea tito ſi comprendono due conſiglieri,l'uno, nel quale è poſto l'iracons dia,che è come difenſore dell'altro,nelquale è posta la cõcupiſcenza. AR. O diquantimali, e di quante conteſe l'uno e l'altro de gli appetiti ſuoleſſer ſemenza. An. Queſto non già auiene pur il dritto gouerno in tirannia non ſi tramuti. Diritto gouer è quel lo,nel quale,chi deue ubidire, ubidiſce, ochi dee comandare, cos manda". La ragione adunque di queſta piccola città preceder deue allo appetito, e non permettere, che egli ad abandonate redini cors sendo, ſeco dietro la tiri. AR. Moltomipidce quello che tu di,eso B per che 1 jo per ricompenſa di tal piacere voglioti ſcopriremoltiſecreti, che io bo d'intorno alle predette coſe.Ma dimmi tu prima queſta una parte, nella quale é riposta la ragione,diche hai tu inteſo cheella eſſer deb bia adornata? NAT. Diſcienza o di buona opinione ART, Vero é, per che la ſcienza é ilpiù bello adornamento, che s'habs bia, al qualeſe s’auicina la buona opinione,ò che gentileabito é que ſto,diche l'animaſiueſte apparando le ſcienze. Alora ella acquiſta laſua perfettione,allora ella é pronta à conſeguire il deſiderato fine, & quaſi ſeſopraſeinnalzando auanza ogni coſa mortale, o ſi cons giungecon la diuinità.Ma come di coſa precioſa,orara, difficile,or non da noi ora cercata,non ne ragioniamo, ma ritorniamo alla buong opinione, la quale si come la ſcienza è una certa cognitione delle cofe occulte, nata da uere og manifeſte cagioni, cosi eſſa opinione è una incerta notitia,nata da alcune dubbioſe cagioni, alle quali l'anis ma con timore difallire, odi errare, s'inchina. Per uoler'adunque ottenere l'intento fuo,é biſognoconoſcere il modo,col quale dapia gliareſi hanno,o, comeſidice, farſi beneuoli i detti conſiglieri,ac cio che acquiſtata lagratia loro, l'animaſi muoua àfareleuoglie di chi parla.Muoueſiadunque la ragioneuol parte,che è nell'anima, că lepruoue, ocon le ragioni; & tal mouimento s'addimanda inſegna re. Etperche la ragione è uno de' conſiglieri,prudente,etſuegliato, perd nell'ufficio deŪ'inſegnare é di mestiere diacuto epronto inten: dimento, mal'appetito in altro modoſimuoue.Il primo, che è detto Concupiſcibile,richiede una certa piaceuolezzaet cõciliatione. Pero ciòche cosi di dentro i petti umaniſono da quello tirati. Ilſecondo gli fpigneàforza, operò cõ eſo egliſiuuole uſare uno impeto, a cui più propriamente queſto nomedimouimento ſi conuiene, che à gli al tri; e comedebito è lo inſegnare,cioè il dimoſtrare con ueriſimil pruoua le propoſte coſe, cosi è onoreuole il conciliare, o neceſſario il muouere. Ma da ogni afficio di queſti tre peruiene lapropria dileto tatione. An. Io ſo almeno,che altro diletto non ho che lo apparda re. AR. Et tu prouerai appreſo quanto piacere naſca negliapa petiti. An. 10 pure ſono auifata cheeſſendo in eßi ripoſte le umaa ne affettioni, nonpuò eſſere che ſenza riſentimento di dolore ſimuou wano. ART. In ogni affetto, & mouimento d'animo,dolore, o piso cere ſono compagni.Oruedi quáto sfrenataſia l'iracondia, oquana to doloroſo ſia l'adirato,et pure conoſcerai, che lo appetito,et la ime ginatione della vendettaglie piùfoane che il mele. Ho duucrtito,che nc ELOQVEN Z A. ii negli eſtremi dolori gli huomini hauuto hanno piacere di dolerſi, ayo il non poter ciò fare, èſtato loro di doppia doglia cagione, non cbe à loro elettionehaueſſero uoluto l'occaſione di dolerſi,ma poſti neldo lore; dolce coſa il poter'à lor uoglia ramaricarſi hāno riputato. Dilet ta ueramente la ſperanza,ma il deſiderio la tormenta. Peßima coſa è la diſperatione tra tuttigli affetti umani, maſola è ſicura contra la morte. Mauannetu diſcorrendo nelle altre perturbationi,che trouca rai nella allegrezza ſteſſa un mancamento diſpiriti, ounatenerez xa, che al pianto ti condurrà fpele fiate.Però io tiſcuopriròintorno à tai coſe bellißimiſecreti. A N. sidigratia; percioche queſte mi paiono leuere, epotentifuni, con le quai ſi tirano l'altrui ate nos ſtre uoglie. A R. 10 ho inſegnato a' mieifedeli,che non fieno fema pre folleciti d'intorno ad unoaffetto, per fuggire la noia con la uda rietà dellecoſe, imitando la Natura, la qualeamaſopra modo il udm riare,o il mutare le coſe ſue. NAT. Vero è, perche chiaramente dei vedere la diuerſità delle ſtagioniedei tempi, la grandezza co l'ornamento de i cieli, la moltitudine delle coſe e delle apparenze, ch'io ſonouſata di dare alle coſe mie. AR. O'quanto io leggo fo pra il tuo libro è Natura;ma non abandoniamo l'impreſa. Deiaduna que fapereè Animà un'altroſecreto, non meno delſopra detto bello, degno da eſſere apprezzato. Jo ti dico che tu auuertiſca bene di nõ ſollecitare con tutte le forze ad unoſteſſo tempo i detti conſiglieri, perche l'anima trauiata in molti mouimenti, non attende comeſi dee ad un ſolo.L'eſperienza ti moſtrerà, che ad un'bora né gliocchi, di belißime pitture,né l'orecchie di ſoauißime confonanze potrai pies: namenteſatiarejma compartendole opere, meglio aſſai per guſtare i diletti,e i piaceri delſenſo,uederai quanto può queſtaſeparata pers ſuaſione. Inſegna adunque. Inſegnato che hauerai, muoui,apporta le facelle, et eccita con gli ſtimolide gli affetti l'animo de gliaſcoltanti. AN. O' Arte tu ſarai ſempre arte. A n. Et tu anima ſaraiſempre anima. A N. Eſſendo io anima, o da te ammueſtrata,diuentero Ar te, o tu eſſendo in me Arte, Anima diventerai. A R. Nuouo miracolo,didue coſe farne una; ma digratia non ci laſciamo ſuiare dalle occaſioni,che in uero alcuna uolta épiùdifficile la ſcelta, che la inuentione. Ora foniamo a raccolta, o quaſi ſotto uno ſtendardo ria duciamo le tue;uirtù, dalle quali fin’ora habbiamo iregali aßiſtenti ragione, concupiſcenza,oira. Reſta, che andiamo alle altre parti.; AN. Cosi faremo, o da eſſa memoria ſidarà principio. AR..O B quanto tiſon tenuta in nomeſuo,che mi giouerebbe duuertiré un'afa fetto di Natura, ſe altra fiata in quello abbattendomi, la memoris preſta nõ mi diceſse, Eccoti,ò Arte,quello che ancora uedeſti. Che es ſperienza ſitruouain meſenza di eſſa?chis'accorgerebbe, che in al. cuna di uoi, ó Anine, io miritrouaßi, ſe non fuſe la memoria come guardiana, teſoriera ditutte le parti dello ingegno? onde con ues rità ſidice, Che tanto fa l'huomo, quäto ſiricordaNaſce la memoria dal bene ordinare, l'ordine dello intendere, odal penſamento, però poſſo io con le imagini in alcuni luoghi riposte artificioſaméte indura rela memoriadelle coſe. NAT. A lungo andare tu le ſeipiù toſto di danno, che di prò alcuno,però non mipiace altro che uno eſſercitio, di eſſa memoria,cheſi fa mandando motte coſe à mente. A R. Che fai tu di eſſercitio • Natura, l'ordine della quale è ſempre conforme? il tuo fuoco ſempre tiraall'insù, la tua terra per lo dritto all'ingiù di fcende, o cot ſuo giuſto peſo al centro rouinando à modo alcuno non fi può uſare alla ſalita.volgeſiilcielo tutta fiata raggirandoſi in ſe medeſimo, ogni tua legge e impermutabile, o tutto che i tuoi mona ftri, le tue ſconciature alcuna volta ci diano da marauigliare, pus ge ſono tue fatture,néſono alla tua generale intentione repugnanti, mal'Anime da uno in altro cõtrario trapaſſando, buone di ree,et ree di buonediuengono. NAT. Io conoſco il biſogno in quel modo che gli occhi comprendono la notte, che é priuatione di luce, ma ben ti dico,chela memoria da me con molta cura é guardata nella compoſiz tione dell'huomo. A R. Io l'ho auuertito nel tagliare di eſſo, egomi fono marauigliata con quanta cura difeſo hai quella parte,nella quale éla memoria collocata,hauendole dato nella parte di dietro della tes ſta un'oſſo fermo, e rileuato,che da ogniſtranieraforza nella difens da.Tui in temperata umidità e la impreſione, e in ſecco proportios nato la ritentione delle coſe. Ma tu Arima,la cui nobiltà fi fa manife ſta per tante & tali operationi, di ciò il tuo fattore ne ringratierai, regolando con la ragione i tuoi appetiti, penſa,ordina, ocon lo eſa fercitio conſerua la memoria quanto puoi,percheciò facendo,tale di senterai,quale deſideri, e conoſcendo te ſteſſa, conoſcerai l'altre tue forelle, & come della più onorata di eſſe la tua ragione ſopraſta alla loro, il tuo dritto deſiderio ſarà lor freno, onde infinita riputatione acquiſterai,perche di leggieriſicrede à colui,in chiſifida, et facilmen te ſi fida in chi ſi truoua autorità, w credito, il qual naſce dalla inte grità,o bontà de' coſtumi, o queſto é,ch'io deſideroſa, fe altra ſi truoua del bene,temo aſſai non abbattermiin perſonemalungie.AN: In che potranno ufare la loro malu agità, non eſſendo lor data ſede? ART. Come io non ti niego,che il uiuer bene,es accoſtumatamente non ſia di gran giouamento à farſi luogo nel coſpetto degli huomini, e acquiſtarlagratia de gli aſcoltanti,cosi non ti conſento che l'has uergli dalla ſua,per uirtù, oforza di parole non ſi poſſa fare. A N. Perche inſegni tu coteſti incanteſimi? A R. Il mio ualore e tale, che io poſſi in parti contrarie e repugnanti, ſenza che io deſidero ſcoprire in altruiſimili inganni,e però biſogna conoſcergli, cosila uerità ſtadi ſopra, ola bugia cade'uinta in terra,cosiſiponfine alle conteſe, cosi ſi terminano le liti, cosi ſi ammolliſce le durezze degli adirati, s'attura le rabbie de’ ſeditioſi, ſi ſollieua l'autorità delle leggi caduta contra il uolere di quegli, che ſtimando l'oro, l'argento, più cheil douere, & à prezzoſeruendo, poſpongono la ſalute coma mune alla utilità priuata.o quanto nei publici mali,e nei tempi pe ricoloſi compenſo pigliarſi ſuole dal parlare digraue et onorato cit. tadino,le cui parole condite diſenno,ſeco hanno l'alleggiamento d'o gnimalinconia,che gliafflige. An. E dunquegran difetto d'huos mini da bene? AR. Senza dubbio, o ciò auiene perche la uia dis ritta è una,male torteſono infinite, però di raro ſi vede tra mortali, chi per la ſola camini. Ma tuſcordata ti ſei d’un'altrauirtù, la quale per mettere le coſe dinanzi a gli occhi (il che éſommamente richies ſto)non ha pari.Di queſta uirtù, perche ella ha grande amicitia co i ſenſi corporali,o é molto confuſa,come quella, che é lo ſpecchio ges nerale di tuttii ſentimenti umani, o perciò è detta imaginatione; di queſta uirtù dico, non hauendola tu ancora eſſercitata, non ne haifin ora alcuna parola mosſa. Io odo dire che nella imaginationeſirifere bano le imagini, e le apparenze da ſenſi riceuute,et beneppeſſo in lei cosi ſtranamente tramutarſi che i ſogni non ſono cosi turbati, et con fuſi, là onde molti ſono detti, o riputati fantaſtici, altri ſi fanno Re O signori,o talmente par loro eſſere que'tali, che ſi credono di eſ ſere,che riſo eg compaßione mouono a chigli vede. Alcuni uanno, come ſi dice,in aria fábricando, et tanto ſi ſtannonel lor penſiero fißi, che forſennati,e pazzi da tutti creduti ſono. A R. Quanto piùe uanamente ſpender ſi ſuole tal uirtù, tanto à maggior prò li deue ue farla,& adoperarla. Per queſta l'huomo prima taleſi fa, qual uuole che altri ſieno. Perche egli prima dentro diſe ſi propone la coſa, che egli cerca dare ad intendere altrui, con quel migliore e più eccelslente modo cheſi può, auolendo egli metter’altri a pianto, non tera rà mai gli occhi aſciutti. Simile forza nella pittura ſi dimoſtra,lo ar tefice della quale, ogni forma, che egli cerca di far uederenelle ſue tele, primanella imaginatione fermamente ſi dipinze, o quanto più belli,o gagliarda è la ſua imaginatione, tantopiù illuſtre, o loda. ta e la ſua pittura. Molte forme, oſembianze ſono de gli adirati,ma una più eſprimela forza dell'iracondia; queſta una deue inanzi alle altre eſſer poſta nella fantaſia, o à quela il pennello e la linguafi deue indrizzare; en cosi tutta fiata il più efficace modo o di moues re, o di dilettare, ò d'inſegnare por ſi dee chiragiona,inanzi,accioche egli ſi habbia l'aſcoltatore come deſidera.Et queſta è la utilità grans de di coteſta tuapericoloſa potenza,pericoloſa dico,perchemolti no ſanno ufarla à feruigidello intelletto, ocredono, che lo imaginarſi ſia intendere odiſcorrere. Ma laſciamo queſto da parte;o racco: gliamo le tue uirtù. Che mi hai tu dato fin'ora? An. Mente,uolons tà,appetito,memoria,imaginatione. A RT. Molto mi piace.Nella mente, che uiporremo altro, ſenon buona opinione, con l'ufficio dello inſegnare? Làonde la uolontà ſi muoua ad abbracciar le coſe. Et nel lo appetito,che ui ſtarà ſenongli affetti,eccitaticol muouere, &col dilettare, Là onde l'animo ſia uiolentato à bene eſſequire? Della me. moria non dico altro, né della imaginatione, percheſono ambedue di ſopra aſſai bene ſtate de noi diſtinte. Ora bella coſa udirai, oda non eſſer à dietro laſciata. A N. Che mi dirai tu? ART. Dicoti,che doppo la eſpedita dimoſtratione di tutte le tue parti, fa di meſtiere di ſapere in qual maniera elleſieno dipoſte à riceuere la impreſione dei loro oggetti. Perche uana, ofriuolafatica quella ſarebbe, di chi af fettaſſe in parte al pianto diſpoſta ſenza alcun mezo porre il piacere. Credi tu che eguale prontezza hauerai allo imparare,et allo adirars ti? Indrizza adunque i tuoi penſieri à gli ammaeſtramenti, che io ti uoglio dare, oſaperai comedeueeſſer' apparecchiato l'animo dico. lui che ricerca la pruoua, edi colui che è pronto all'affettione, imis tando i buoni medici, i quali prima uannoinueſtigado quai partiſieno guaſte, o quaiſane,eappreſſo, le guaſte uanno disponendo à rices uere i rimedij conuenienti; e primaleniſcono, e ammolliſcono, poi apportano la medicina. L'anima adunque, nella quale la ragione fi dee porre, acciò che dia luogo alle pruoue, et accettar poſſa la buona opinione, e iſcacciare la contraria,deue eſſere ripoſata, e quieta,et non in modo niuno affettionata, et trauagliata. Perche eſſendo il piancere,cheha l'anima, quando impara, foauißima coſa, biſognofache ellaſia lontana da ogniturbatione, operò molto male è conſigliato colui chenel conſigliar'altrui uſa la forza, o la violenza degli aps petiti, &degli affetti, laſciando il ripoſo della verità daparte; qual contento può riportar colui, che partito dal Senato dica, per qual ragione ho io aſſentito?perche ho io cosi deliberato?Buona coſa è l'hauer’alla uerità conſentito,mamiglior'e, ciò hauerfatto ragion neuolmente più toſto che à forza,perche in tal caſo non pure ſifabe ne,maſiſa di far bene; di che non è coſa più diletteuole w gioconda. Habbiaſi dunque l'animo ripoſato di colui cheattende la ragione; queſto ageuolmenteſi può fare, ponendoſiprima di mezo trail si o il no,come chiſta in dubbio.Però che più prontamëte ſi prende para tito,et ſi ammette il uero dubitando,che portando ſeco alcuna opinio ne. Macome diſpoſto ſia lo appetitoalle coſeſueattendi,che loſaprai con una bella diuiſione degli affetti. Perciò che in eſſo appetito gliaf fetti ripoſti ſtanno,comet'ho detto. Ogni affetto e d'intorno al male, ò d'intornoal bene, truouiſi pure lo affetto in qualunque parteſi uos glia. Ecco nel tuo generoſoſoldato,cui é conceſſo l'adirarſi, opren. der l’armi quando biſogna dico dello appetito iraſcibile,d'intorno al bene uiſta la ſperanza, e la diſperatione. Laſperanza é uno aſpetta re il bene, la diſperatione è un cadimento da quello aſpettare. D'in = torno al maleuiſta l'ira, la manſuetudine, il timore, ol'audacia. Ira é appetito diuendetta euidente per riceuuto oltraggio Mania ſuetudine èraffrenamento dell'ira, oambedue queſti affettiſono in torno almale,difficile,etpreſente.Il timore é un aſpettatione di noia, ouero un ſoſpetto di eſſere diſonorato.Et queſta ſichiamauergogna. Il primo,ouero é temperato,ouero eccede la miſura. Dal temperato neuieneil conſiglio,dall'altro la inconſideratione,il tremore, & altri ſtrani accidenti.Laconfidenza, «audacia, é contrario affetto. Et queſte perturbationi tutte ſono d'intorno almale che dee uenire.Nel L'altro appetito, in cui è poſta la concupiſcenza, d'intorno al bene ui ſta l’amore,il deſiderio, a l'allegrezza. D'intorno al male l'odio, o l'abominatione, di cui ſegno infelice e la triſtezza, dalla quale naſce l'inuidia, la emulatione, lo ſdegno, o la compaßione,quando auiene che la triſtezza detta ſia de i maliouero de i beni altrui. Ma nelle co fe proprie affligendoſi l'huomo tre alleggiamenti ritruoua. Il primo ė ripoſto nel proprio ualore, perche niuno ſcelerato é compiutamente aüegro.L'altro è meſſo nel conſiderare il dritto della ragione, werita 16 D ' Ε ι ι Α fuerità delle coſe, da che naſce la ſofferenza figliuoladella fortezza. L'ultimo é la conuerſatione di alcuno amico, perche ne gli amici e ripoſta la ſoauità della uita. Ritornando adunque allo amore, ti dico, che Amore è uoglia del bene altrui,eu ſe é mouimento d'animo a far bene, li dimanda gratis. Senonſopporta concorrenza, geloſia, lela ſopporta ad onefto fine, amicitia. L'inuidia non uorrebbe, che altri haueſſe bene,ſe benuifuſſe il merito. Lo ſdegno non lo uorreb be, non ui eſſendo il merito La emulatione il uorrebbe anche per ſe. La compaßione ſi duole del male altrui, temendo il ſimilenon da uengu á lei. Etciò ti puòbaſtare in quanto ad una brieue dichiaraz tiore di tutti gli umani affetti. Ora econueniente, che tu ſappia in che modo à ciaſcuno d'eſſi tu ſia diſpoſta, acciò che tu ſappia poi als truiſimigliantemente diſporre. Eſſendo adunque l'appetito uarias mente affettionato, quandoſi ſdegna,quandoinuidia, quando aborris ſcequando ama, quando teme, quandofpera, equando in altro mo. do é trauagliato,acommoſſo, aſcolta un bellißimo ſecreto, ilquale non ſolamente à diſporre gli animi à qualunque affetto è buono, ma in ogni operatione é neceſſario, & benche oggi mai per uero ammies ſtramento della uita da ogn'uno ſi dica, RIGVARDA AL F 13 NE, non é però d'ogn’uno l'applicare alle attioni o opere de' mor tali, cosi belle ſentenza. Laſcerò da canto le coſe, che non ſpettano alla noſtra intentione,ſolo dirotti quanto io deſidero, che ſia negli af fetti oſſeruato. Deiſapere che egli ſi truoua una maniera diparlare, la quale in molte, manifeſte parole effrime la forzı, ey la natura delle coſe; e quelle molte, omanifeſte parole altro non ſono, che le parti della coſa eſpreſſa. Queſtamanieradi parlare é detta Diffie nitione. Ora dunque io ti ammoniſco, che nel muouere gli effetti pri ma tu habbia à riguardare alla diffinitione di ciaſcuno,come al deſide rato fine. Però cheſe la diffinitione rinchiude in certi termini la nas turi della coſa propoſta, ſenza dubbio querrà, che il conoſcitoredel la natura, o delle parti deltutto diffinito, oeſpreſſo, indrizzerà tutte le forze dello ingegno ſuo, à ciò fare,et tale aiuto preſterà abon dantißima copia di ragionare, o diſciogliere ogni occorrente diffi cultà, e durezzé. Eccotiſe ſai, che l'ira é deſiderio di uendetta per riceuuto oltraggio, o ſe mirerai in queſto fine, non anderai tu dia ſcorrendo, in qual modo eſſer debbia diſpoſto all'ira colui, che tu uora rai hauere ſcorucciato? o conchi, oper qualicagione, & quanti modiſieno di oltraggiare altrui? Et ciòin ogni affetto facendo,non ti farai ſignore, & poſſeditore dello animo di ciaſcheduno? Et rans to più dimoſtrerai con la uoce, & co i mouimenti del corpo, te tale. effere, quale uorrai,che altri ſia,certamente si. La diffinitione adun queé il ſegno,al quale ſi deue attentamente guardare. Ora inbrieue ti dico dell'ira, che eſſendo ella uoglia di uendetta,è neceſſario,che lo adirato ſi dolga, o dolendoſi appetiſca alcuna coſa, dalche naſce,che repugnando altri à gli umani deſiderij, ouero à quelli alcuno impedi mento ponendo, ouero in qualunquemodo ritardande le uoglie al trui, porga cigione di adirarſi, cioé di deſiderare uendetta,ilperche nella ſtanchezza nell'amore, nella pouertà, e ne i biſogni ſonodiſpoſti i petti umani agramente al dolore cagionato dall'ira, epiù cheſono ideſiderijmaggiori, più apparecchiati, oprontiſono all'ira, o al furore. Lo hauer male di chi s'attende ilbene,lo eſſere in poco pre gio tenuto, ò diſubidito, o prezzato, o per ingratitudine, ò per ingiuria ſenza prò dello ingiuriatore, ſono tutte diſpoſitioni al predet to mouimento.Giouamolto, oin queſto, & in altri affetti ſaper. la natura,ilpaeſe, la fortuna, ela conſuetudine di ciaſcheduno. Se adunque ſi accende nell'ira in tal modo, chië diſonorato, o iſcordas to,ſenza dubbio acqueterai colui cheſarà onorato, riuerito,ubidito, ammeſſo, et riputato;ouero, chiſiſarà uendicato,a cuiſarà dimandato perdono con la confeßione del fallo, incolpando la violenza, enon la uolontà. Deueſi dare molto al tempo, oalla occaſionein ognicoſa, operò ne' conuiti, ne i diletti, one igiuochigli umani appetitifoa no più alla manfuetudine inchinati Dell'amorealtro non tidico, le non che eſſendo eſo soglia del bene altrui, l'eſſere cagione, mezano, interceſſore, aiutore al bene altrui,diſpone ageuolmente à tale affets to ciaſcuno. Et perche Amore appreſſo, é una ſimiglianza, w unios ne di uolere, però coluiſarà più amato, ocon l'animo più abbrace ciato, il quale dimoſtrerà d'eſſere d'un'animo, o d'una uoglia steſſa con noi. Ilche nelle allegrezze, one i dolori ſi conoſce, o neį biſoa gni ancora; non ſolo nelle perſone amate, ma ancora negli amici de gli amici. Allo Amore riferiſco la Benuoglienza, e l'Amicitia, las quale, ben che affetto non ſia, pure è nata da eſſo amore, che è uno de gli umani affetti. Qui non é luogo di più diſtintamente ragionare dell'amicitia; de gli oggetti, delle parti, e delſine ſuo. Perciò che altroue nei graui ragionamenti di filoſofia ciò ſi conuiene. Baftiti d'hauere per ora la ſuperficie, el'apparenza. Ritorno adunque e ti dico,che ipiaceuoli,coloro, cheſidimenticano dell'ingiurie i с faceti, imanſueti, gli officiofi uerſo i lontani, atti ſono ad eſſer'amati. Peril cótrario ſapersi chedire intorno all'odio,il quale è ira inſatia: bile, da uendetta, da tempo,daruina alcuna non mitigato; occulto ine ſidiatore, ymortale, nato da in giurie o ſoſpetti. Al quale diſpoſte ſono altre nature più, altre meno, o à megliodiſporle,biſogna ams plificare le ingiurie, « iſospetti,acciò che nonſoloſi brami una ſema plice uendetta, ma la diſtruttione della perſona odista. Del timore, odella confidenza, che ne attendi più, ſe di queſta, ed'ogni altra perturbatione ne i uolumi degliſcrittori, et nelle pratiche umane'ne Jei per uedere aſſai? Timore e turbation d'animo, nata da ſoſpetto di futura noia. Et però chi temeſa ó penſa dipotere ageuolmente eſſer’offeſo, eda chiſpecialmente, ſopraſtando il tempo,es la occas: fione. Etchiciò non ſoſpetta,non é al timore diſpoſto comeé chi ſem pre éſtato fortunato, chi ſempre miſero, chi è copioſo d'amici, di ros 64,09di potere,chi é fuggitoſpeſo dalle ſciag ure, ode pericoli,ego altriſimiglianti;o que'taliſono confidenti, &audaci. Euui altra maniera di timore, non didanno,madi biaſimo; alla quale diſpoſtiſos no i giouanetti,i riſpettoſi, oriuerenti, quelli cheuoglionoeſſer' ha uutiper buoni da ' più uecchi, o da ſimili, opari. Et però aûa loro preſenzaſonopronti ad arroſire. Non cosi ſono i vecchi,perche non credono,che di loro altri ſoſpettino quelle coſe, che ſono ne' giouani, come laſciuie,amori, euanità. Etperche il diſonore è coſa, cheuies n'altronde, però gli ſpiritidalſangue à quellaparte, che più lo ricer inuiati ſono.Ladoueil uiſo ſi tignediquel roſſore, cheſi vede. il contrario nei timidi, nel cuore dei quali il ſangue ſi riſtringe, per ſoccorſo di quella parte, che teme la offenſione.Nella uergogna ſi abbaſſano gli occhi, come che tolerar nonſi posſa la preſenza dicos lui, che è giudice de i difetti umani. Queſto è ne' giouani aſſai buon ſegno di gentil natura. Però che pare, cheuergognandoſi conoſcas no idifetti, ey habbiano cura di quelli. Non uogliopire diſcorrer’ina torno all'audacia, allo ſdegno, alla compaßione, alla emulatione, « al la inuidia. Però che molto ne uedraiſcritto, eragionato da altri. Ben non ti poſſo tacere del male acerbo, mortale, ch'io uoglio à quella fiera indomita, eabomineuole dell'inuidia, che all'udir ſolo il nomeſuo, ſtranamentemi muouo. Lafigura,i modi, ai coſtumi di eſſa ſono da gran poetadeſcritti. Di queſta mi dolgo, per eſſer quels la, che più regnaneimiei seguaci. Là doue il fabro al fabro, il mes dico al medico,l'uno artefice all'altro, inuidia portano ſempremai. M4 ca,Md tacciamoora di queſto, e poicheragionatohabbiamo di te, delo le parti tue,delle quali taci, che in eſſeſi ſtanno,e delle loro difpofia tioni, addimandiamo la Natura quaicoſe a’quai parti di te conuena gono, acciò che accordando la foauißima armonia della umana elo quenza con piacere, og utiledegli aſcoltanti uditi ſiamo apieno por polo raccontare i miracoli della Natura. ' AN. lo ueggio ben oggia mai' ' Arte, che tuſei quella chefai l'acume, ò la ſottilezzadell’oca chio mortale nel ſecreto della diuinamentetrapaſſare. AN. Anzi per te, ó Anima,coteſto mirabile ufficio s'acquiſta, la cui cognitione tanto apporta di lume, e chiarezzaad ogniprofeßione, o scienza, che ucramenteſi può dire chetuſia ilprincipio d'ogni conoſcimento Etperò chiunqueſtima; ola uſanza di uno leggieri eſſercitio, o il ca fo tanto potere quanto tu, o io.uagliamo, grandamente s'allontana dal uero. Tu t'abbatterai in un ſecolo impazzito, d'huomini, i quali s'accoſteranno ad imitare più uno, che l'altro, olo imitar loro non faràſenon manifeſto rubamento, ſciocchi,oferui imitatori, che non Sapendo, perche altri s'habbiano acquiſtato il nome, tutta via in ciò s'affaticano. Altri perche hanno unaſcelta di belle, &ornate pde role uogliono ad uno ſteſſo tempo fcoprirle accomodando à quelle i concetti loro; ma che poi ſono cosi rozi, a inetti,cheſenza ordine, Ofuor di tempo le metteranno, e diranno, Io cosi dißi,perche cosi ha detto alcuno de' più preſtanti. Queſtiſono gli incomodi delfecom lo. Nat. O`quanto m’increſce perciò eſſere ſtimatapouera «biſo gnoſa, come che à me manchi alcunafiata,che donare, o che nel cer care l'altrui teſoro l'huomo perda,ò non conoſca il ſuo. AR. Chi ſempre ſegue, ſempre ſta di dietro, chi nonua dipari,nõ puòauan zare. Male hauerebbonofatto i primi inuentori delle coſe, fehae veſſero aſpettato,chiloro douea farla ſtrada. Et troppo pigro écoe lui, cheſi contenta del ritrouato. Ionon porgo già mai la mano a chi laſcia, oabandona la naturale inclinatione, come bene ho ueduto que' ali non conſeguire il deſiderato fine. NAT. Mi turbano apa preſſo quelli, ò Arte, che tanto di me ſi fidano, che te laſciano à dies tro". A R. Non ti dißi da principio, chenoi erauamo unite, e che ciò che appare di uarietà, e diſomiglianza tra noi,e in un principio ricongiunto? Che miditu? Chiunque opera alcuna coſa da me drizzato, uſa una regola commune, & uniuerſale, che à molte, diuerſe nature feruendo,quelle uniſce, o lega in uno artifi cio medeſimo, perche io ſono la conformità,o la ſimiglianza;altri acutifono, eſuegliati, altriſeueri,& graui,altri piaceuoli,&eles ganti per natura. Vnaperò e l'arte,una éla uia, che ciaſcuno al ſuo ſegno conduce. Quando adunque l'arte precede,facile e lo imitare; lodeuole il rubare, & aperta la ſtrada alſuperare altrui. Et in tal guiſa bene ſilpendeſenza lo auantarſi di eſſer ricco, a fenza dar ſos: spittione di uergognoſo furto. Accompagnifi dunque nelle ciuili con teſe il core, ola ſcrima,cioè la natura, el'arte, ogſi uederanno poi que’miracoli, ch'io ſo fare. Ma laſciamo tai coſe, e incomincia o Natura, o dimmi, in che modo le coſe tue fiſtanno, che di eſſe cosi dileggieri gli huomini ſi uanno ingannando NAT. Sappi ò Arte, che ogn'uno che ci naſce, ſeco porta dal naſcimento ſuo unacerta ins clinatione alla uerità, donde auiene, che inſieme con glianni creſcens do ella in parteſuole il uero congetturare, laqual congetturi opis nione più toſtocheſcienza uferai di chiamare. Laſcio la uſanza mia imitatrice,chefino da primiannirecarſuole molte opinioni, che poi dipenacon l'altra certezzaſileuano, parlerò di quella ſembianza più toſto, che ſembiante di uero,cheé atta nata à muouere l'umane mentia far giudicio delle coſe. Dico adunque, alcune coſeeſſer da ſe ſteſſe manifeſte, chiare, altre, niente da ſe hanno di lume, edi fplendore,mailluminate da quelleche ſeco hanno la luce, ſi fannoa? fenſi umanipaleſi; nel primo gradoé il Sole, o tutti que' corpi, che ſon chiamati luminoſi. Nel ſecondo ſono i corpi coloriti, i quali non hannoin ſe ſcintilla di chiarezza, ma d'altronde ſono illuminati. Il fimigliante ſi ritruoua nello intelletto. Iljaale riceuendo alcune coſe diſubito quelle apprende, og ritiene. Però che quelle ſeco hannoil lume loro, ſe à me ſteſſe il fabricare de' nomi, io le chiamerei Noti tie, ouero Intendimentiprimi. Ma poi altre ſono, che non hannoda ſe lume, ó uiuezza alcuna,&però di quelle ſifa giudicio con ſoſpetto di errare, fe da altro luogo la loro intelligenza non uiene; quinci ė nata la opinione, la quale come opinione, che ella é, né uera ſitruoua, ne falfa. Il difetto naſce daquelli uirtù,chepoco dianzi diceſte.Pero che le coſe mie fono, come ſono,mariceuute nell'anima, e da' ſenſi al la fantaſia per alcune debili ſembianze traportate, ſtranamente meſcolate, fannodiuerſe opinioni. Ben’é uero, ch'io non faccio una co ſa tanto diuerſa da un'altra, che l'huomo dueduto non poſſa alcuna Somiglianza tra eſſe ritrouare. A R. Molto mi piace che l'animadi ciò nonſia fatta capace, perche accadendoleſpeſo mutare le opinioni umine, e da uno in altro contrario traportarle, molto deſtramente biſogna adoperarſi,et diſimiglianza, in ſimiglianzaà poco a poco pas fando,perchelo errore in eſe ſimiglianze ſinaſconde, tirar le menti, che no s'aueggono di una in altra ſentenza. An. Et chi può queſto ageuolmente fare? A R. Chi con diligenza inueftiga la natura dela le coſe ſottilmente, uedrà in che l'una con l'altra ſi conuenga, ma non chiamiamo però la opinione incerta,cognitione à queſto ſenſo,checo lui, che ha opinione ſappiaſempre quella eſſer’incerta, o dubbioſt conoſcenza, ma bene che in ſe conſiderata, come opinione da chiuna que hauerà il uero ſapere,ſarà riputataincerta. NAT. O quans to mi nuoce in questo caſo,la uſanza inſieme con la età creſciuta, lds quale à guiſadimeſtesſa, ferma talmente le coſe nelle menti umane, che bene ſpeſſo la bugia, più che la uerità in eſi ritruoua luogo. Et peròcredono molte coſe che nonſono, ouerofe ſono, ad altro modo di quello, che ſono, uengono giudicate. Etfe pure dirittamente appreſe ſono, altre cagioni lor danno,che le uere, e quelle ch'io so eſſere in mediati o continuate à gli effetti. Et queſto auiene quando la ragio ne inchina più al ſenſo che all'intelletto, « più all'apparenza, che al l'eſſenza. AR. Tu hai più dell'Arte,o Natura,che di te ſteſſa,cos si bene uai diſtinguendo i tuoi ragionamenti. NAT. Non te ne ma rauigliare, ò Arte,perche io qual ſono,tale mi dimoſtro, oſe di me medeſima parlo, cometu uedi io lo faccio in quel modo, chetu altre uolté hai confeſſato, che io ragionereiſe io fußite. AR. Quello che io dico, lo dico per amınaeſtramento di coſtei, laqualanche non ſi dee marduegliare di queſta apparenza del uero. Perciò che è aſſai als l'huomo ſaggio, che le buoneragioni gliſieno ſemprequelle ſtelle, da quelle ne prenda la ſimiglianza del uero, che per lo più muoue le umane menti, oin eſſe ageuolmente ſi pone, al che fare, opportuna, ocomoda coſa é ricordarſi, in che maniera per lo pulſato l'huomo ſe ſteſſo habbia ingannato, o in qual modo ancora, e per qual cagione altri ingannatiſi fieno da loro medeſimi, in uero te ne riderui, uedens do alcuni che penſano, ogni coſa, che precede un'altra, cffer di quella cigione, ò che lo eſſer fimile ſia il medeſimo. Ne per ciò direi che l'os pinione fuſe ignoranza,comenon dico, eſſa eſſere ſcienza, perche la ſcienza e stabilità,o fermata da uero, e infallibile argomento, en la ignoranza non è di coſe uere. Onde naſce,chela opinione è un abi to mezano tra il uero intendimento, o l'ignoranza, differente dal dia bitare in queſto che la opinione piega più in una, che in un'altra par te, il dubitare tiene in egual bilancia la mente tra l'affermare, o il negare, eye però biſogna riuocare in dubbio le coſegià ammeſſe,e di mojtrare quäto pericolo ſia il giudicare. Da queſtone naſcerà la que ſtione, e la dimanda, la quale diſponendo le menti alle ragioni; quan to leuerà della prima opinione, tanto porrà di quella, che tu uorrai, o à ciò fare uia non é appreſſo quella che ua per le ſimiglianze delle coſe.Partipoco,ò Anima,cotesti uirtu? penſi tu,che ſia cosi facile il perſuadere? ó credi tù chegià biſogni con dritto giudicio, o con ſal do intendimento penetrare dalla ſuperficie alla profondità delle coſe? A N. Da che occulta radice l'apparente bellezza dicoteſta tua figli uola,nel cuiadornameiito la Natura ſola non baſta. NAT, Ora ogniſentimento mi ſi ſcuopre, ó Anima, da costei, emanifeſta uedo eſſermifatta la cagione,per la quale molti miei amiciſono diſonorati. ART. Quai ſono coteſti amicituoi? NAT. Quei, che inueftis gando uanno iſecretimiei, le ripoſte cagioni delle coſe,i movimenti, le alterationi, &i naſcimenti d'ogni coſa, o che non ſicontentano di ſtare par pari de gli altri huomini,manobilitando la ſpecie loro con le dottrine traſcendono i cieli. AR. Che ſtrano accidente può ueni re à perſone cosi pregiate, come ſono iſeguaci tuoi, ogli amatori della Sapienza,i quali comerettori delmondo, felicißimi,er beatißis mi eſſer deono riputati? NAT. Queſti fedeli miei à punto ſonoquel li, che più de gli altri ſono diſonorati. An. In che coſa? ART. Aſcolta digratia; mentre che gli ſtudioſidi meſi ſtannoſoli, ein par te ripoſta comeſchiui dell'umano confortio,non é loda • grido onora to, che con ammiratione delle gentinon gli eſſalti o inalzi infino al cielo. Mapoi che compareno, et uěgono alla luce,ſono prima da ogn'u no guardati, si per la eſpettatione già conceputa della virtù loro, si an cora per la nouità dell'abito, o dell'aſpetto,et del portamento,ogn's no lor tiene gli occhi addoſſo, a attentamente ſi dimoſtra di uolergli udire. Io non ti potrei eſprimere con che grauità poi aprono la boca ca, e con che tardezza poimandano fuori le parole, etquanta ſia la dimora de i loro ragionamenti, i quali poi che da principio nonſono in teſi dalle genti,comecoſe lontane dalla umana conuerſatione, non cosi toto uiene lor tolta la credenza, per che purſiattende coſa miglios respire conforme alla opinionede’uolgari,iquali dalla prima eſpets tatione inuiati danno i ſeſteßi la colpa del non capire la profondità de' concetti loro. Mapoi che nel ſeguete ragionare s'accorgono pur in tutto di non poter’alcuna coſa da que'beati ritrarre, et che ogn'os ra più le coſe intricate, ar le parole aſcoſe ogni lume d'intelligenza Hanno lor togliendo, quanto ſcherno, Dio buono, jego quanto riſo ſe ne fanno. AR. Jo grauemente miſdegno, ó Natura, & mi dolgo di ſimili auenimenti, poi chegli infelici non fanno drittamente ſtimar le coſe, benchefino al fondodi eſſe paſarſi credono,maforſe è, cheſtan do eßiſemprein altro, quando poi allo in giù riguardando ueggono l'altezza loro, a la profondità delle coſe terrene, uanno uaccillando con gli occhi; ocomparando il cielo alla terra, ſtimano ld terra un minimo punto, o una bella città un niente che nobiltà, che chiaa rezza diſangue può eſſere appreſſo coloro, che ſeſteßicon la eterni tà miſurando, tutti da uno ſteſſo principio uenuti affermano?Che rica chezzaſarà grande appreſocoloro, che ſi ſtimano poſſeditori del cie. lo? qual prouiſione daſoſtentare i popoli farà colui il quale quaſipa ſciuto del cibo de i Dei,altro non guſta, altronon ſente,altronon din fia,cheſempre ſtare alla ſteſſa menſa? ne credono, che altriſieno in bi sogno? Queſte coſe io direi in loro efcuſatione. Ma che midiraitu di quelli cheſonoſtudioſi della vita ciuile,ochefanno le cagioni de’mu. tamenti de i Regni, e delle Rep.le conditioni de principi, gli ufficij di ciaſcuno,le uirti, gli abiti uirtuoſi? Non credi tu, che queſti ſie no più auenturati de gli altri? NAT. Peggio, percioche il ſapere ciaſcuna delle dette coſe,hauer le diffinitionid'ogni uirti, ocoa noſcere diſtintamente ogni buona qualità,non é aſſai, ma egli biſogna uſar tanto teſoro al governoaltrui per ſalute, ocomodo uniuerſaa le, e oltre all'uſo hauer parole al preſente maneggio oalla ciuile uſanza accomodate. ART. Dondeprocede coteſta loro cosi ſot tile ignoranza: forſe cosi eleggono penſando di eſſer' hauutiper dot tiæintelligentiparlando in cotalguiſa?Ma questa é una groſſezza infinita,perche non é piacere, che s'agguagli àquelloche prende ľa ſcoltatore quando impara &intende ciò che uien detto.Sai tu duns que la cagione di cosi fatto errore? NAT. Forſe è,perche non ha uendo eſsi alcuna eſperienza della conuerfatione cittadineſca, fanno quelguidicio dimolti cheſonoſoliti di far d'alcuni pochi, loro come pagni,co i quali tutto’l giorno con uarie diſputationi argomentando trapaſſano,ne mai ſono riſoluti. ART. Et io ancora cosi credo, pe rò guardati ó Anima, di non entrare nel loro no conoſciuto collegio, ò ſe pure ui uorrai entrare tanto iui dimora,quanto alcun giouamen to ne puoi ritrarreper la ciuile amminiſtratione. Nel resto pronta, et ſuegliata nel coſpetto degli huomininon meno alla ſcuola eall'acas demia,che alla piazza,alla corte, o alſenato intentafarai, o uſans do. D E L L A. doistiche le gi,con mozeme uoci raptorersi, percbe riund coſa é få mots, creudire ripublicico:lizále uanie dig esioni, o le Haitat parole di moint, i quali razlo" 2r.do le ébloro per la Città frendere unsguerra,realize, ne: i mezi di efl: u21 riguardando, riaprindo le ſcuole de presa deguono, di 7: oro, oargos:ht::opia ficcrente del mondo, o cercano chifu il primo ins kantore deli'arxi chifrino in ROMA trionfale, cbisitrouo le naui, chui brizla i czasu, et ilere ciance si fatte,cbenc irfegn2":0,ne dis last250,14.1widojiore della prostione de' daruri, delle genti, o del *010, col quale s bubbis a fartal guerra. Il percbelo. To poi auies fie, cbei nero perini,çia deguamente di loro parlando, ſono con grue de 11ratione acoltati. NAT. Cotto e mio dono,percbe ditus to potere affreuz! cusi mi truono,che wina forzaglimetto irrar ci i tuoi ſegussi. AR. Et forſe corne sfrenati causlii, gli fai tel mezo del coro pericolare; pero sili eccellente natura,che ta lorda, sorrei che mi falje l'aiuto rio.percbe meglio, o çik ficuri aadribs 6290 per lefiziglianze dre coſe. An. Bisogna dunque pik skatie rigliz- guardare, cbe al wero? A R. Cosi biſcgna; o quedo porriaz slitacels il facesi, sı il donerci tu fare, o ciaſcuno, che * pis airtai perjuadere, accio cbe fiso aſcoltato, o inteſo dude geri, lezasli barefeito -Is bagis nga 14.0, får cbe in ejja las casicae spetto dd zero. Queto per fo cjjere, cbei şià f- 931 babe bis 10 c50 surorit: b4xx.: predoi popoli cbei nácti inges gs. An. Dizni gratis, çusio é cbegli buozi idaro fede: cazzo, cbe apps uto, nos lo faze0 percbeloro piace il nero? Ar.. As. Paepiuere già saco: 507 co:cf-:: ta? Forzz aidake,che il sero lis és glicucuitico? Ax Pacte danese giàceil serezos bruszni P -T271? AR Perikliois tragises filer cxz. AX. Aja -- 22:04 ks:0 600leri: del bero. Às. SostraTrao Adira.secte lazaratsie sesi tid: acts indiscrezi!4.cezecklacteaefepie regiaze, o lomatto; c (72.0: 1, o Resmitironine. cedriersdieedia 2.3 " To Rossiradizioro Boricitis 32 2 ciasto nigirisececeáciless Aires22:22: carte.ro 2:46, 13:3050: 22: 15: 4:15,cheſe la opinione con la ragioneſarà legata, per modo niuno potrà fuggire,anzifuori dell’eſſerſuo leggiadramente uſcita nõ più opinio ne,maſcienza ſi potrà nominare. A N. Dimmi, ſe'l uerifimile e tale ad ogn'unoegualmente. AR. Nó. An. Che differenza ci fai tu? A R. Grande. Ben'è uero,che quando io dico ueriſimile, io intendo ciò che pare alla più parte. Ma diſtinguendo dico, la più parte però effere ode gli huomini ſenza dottrina,o degli huomini letterati. Et altro ſarà il ueriſimile,che parerà à gli Idioti, altro à iperiti. AN. Inſegnami à conoſcere queſto uerifimile. AR. Il ſegno della ſimia glianza alcuna fiata ſi ritruoua in eſſaſuperficie delle coſe, cheſenza diſcorſo di ragione ſono riceuute,o appreſe daiſenſi umani; da ciò naſce il veriſimile, che pare egualmente a tutti, come auienedimolte miſture, che's'aſſomigliano à l'oro, cheſe il giudicio filaſciaſſe al ſenſo ſolo,per oro da ogn’uno ſarebbono hauute. Alcune uolte il detto fe gno emeſcolato con alcuna ragione,accompagnata col ſenſo, oque sto é quello, che pare àmo!ti. Speſſo più di ragione, che di ſenſo ſi mette, e ciò è quello,che pare à i piùſaggi; o quarto più dalſenſo s'allontana,o s'accoſta la ragione all'intelletto, tanto de' più saggi, edi pochi ſarà l'apparenza del uero. Ma laſciando coteſte più ina terneſomiglianzedel uero, bauendo tu àfare. con la moltitudine, quelle attendi,che a tutti,ò alla partemaggiore appariranno; &co: si ogniforza di proponimento nelle altrui menti rompendo, farai la uoglia tud. AN. Queſtomipiace. Ma uorrei, che tu m'inſegnaſi à congetturar quello chepuò eſſere. Dimmi, ſe n'hai ammaeſtramen to alcuno. A R. Dimandane pur la Natura. AN. Non n'hai tu ancora poter’alcuno? A r. sibene; ma la Natura operando, Sa meglio dime,quello che èpoßibile. An. Dimmi tu dunqueò Naz tura,quai coſeeſſer poſſono? NAT. Tutte quelle il principio delle quali ſi ritruoua. An. Adunque ui ſarà l'arte deldire, poi che'l prin cipio di lei ſi truoua? ilquale nõ é altro, che l'ojferuatione,che fu l'Ar te di te ó Nitura. Ar. Che uai tu mettendo in dubbio quello che fie qui habbiamo fermato? ſegui. NAT. Se quello chepiù importa, ò che piie uale, ò che ha più difficultà, fiuede, ſenza dubbio il meno importante, il più debile, il più facile ejer potri. A n. Adunque ſe l'arte puòridurre gli huomini rozialla uita ciuile, meglio potrà gli ammaeſtrati inalzare algouerno della Città? A R. T4 pur uti argomentando. AN. Mercé tua, che giàmiſei fatta familiare. A R. Queſto ſo io, che poſſeduta che io ſono dalle anime,dimoſtro il. Α ualore, il piacere, o la facilità dell'operare. NAT. se può eſſer la cagione, chivieta che lo effetto non posſa eſſere? et ſe queſtoé, quel la di neceßità ſi haue. Quello che ſegue dimoſtra,che può eſſere quel lo che antecede. In ſomma ogni coſa può offere, di cui naturale appeti toſi uegga, o dalla poſibilità delle parti naſce quella del tutto. Dals l’uniuerſale il particolare, o dal meno quello che più comprendeſi congettura. Vna metà, il ſimile, il pare ricerca l'altra metà, l'altro Simile, o l'altro pare. Etſeſenza arteſi puòfar’una coſa molto me glio ſi farà con artificio, ſe chi meno può opra, chi più può non opes rera egli ancora? Chene attendi più,ſe queſto ti può eſſere à baſtan za à farti aprire gli occhi è ritrouare il fonte della eloquenza? AR. Et io già mitruouoſatisfatta in queſta parte,che alle coſe appar tenenti all'intelletto ſi conuiene; però aquelle io uorrei,che paſſaßi, lequaliſono da eſſere ne gli appetiti collocate.Et attendo,che tu quel le brieuemente mi dimoſtri,etdiffiniſca, acciò che l'anima oggimaicõ. tenta dellaſeconda promeſſa,alla terza,et ultima ſi riuolga. A N. Per qual cagione, ò Arte, dimanditu le diffinitioni della Natura? ejendo ſuo carico il diffinire. A R. Perche ora io non attendo le eſquiſite, Oregolate diffinitioni,maquelle che dalla più parte delle gentiſono ammeſſe, delle quaiquaſiſenz'artificio ſe ne può formare un numero infinito. An. Tu ſei molto circoſpetta. AR. Seguiò Natura, féle coſe àgli umaniappetitidi lor natura piacere, o dispiacere posſo no apportare,òpur l'Anima ne li fa tali. NAT. Senza dubbio non folo elaAnimaha uirtidi apprendere, ofuggire le coſe, ma in effe ancora e nonſo cheda eſſer fuggito,ouero abbracciato. Quädo adun que tra la coſa, o l'animaſi truouaalcuna conformità, allora lo appe tito ſi muoue ad abbracciarla, o queſto mouimento,ſi può dire, no minar defiderio,ilquale è appetito di coſa che nõ ſi poßiede,cõforme però à quella uirtù ò parte dell'anima, che l'appetiſce; ma quando no ui é queſta conformità,tra gli oggetti, o l'anima,ella gli aborre, o fugge, né ſolamente oue o anima,oſentimento ſi truoua cotefti ab bracciamenti,e fugheſiueggono,ma doue occultamente io ſonoſoli ta di operare, doue non éſenſo, ociò faccio con un ſemplice inſtinto, ilquale al mio poteree tale, quale al tuo é la conoſcenza. Coteſto in ſtinto ogni coſa conduce alla conſeruatione, o albene; & dalmale & dalla morte il tutto ritragge quanto può. Maper dirti de gli huo mini, ſappi, che eſſendo tra le coſe oppoſte, ole parti de gli animi lo ro,conuenienza,quando auiene,che quelli ſíenopreſenti,oche laſcia no impreſſa la loro qualità,in quellapartechegli appetiſie, allora ſi genera ildiletto, e l'allegrezzanata dalla morte delprimo deſides rio, perche poſſedendo la coſa deſiderata, il diſio è già conuertito in piacere. Ilqualpiacere altro non é,cheadempimento di uoglie. Tu conoſcerai, cheil guſto tuo bauerà conformità con le coſe dolci; da queſta nenafcerà l'appetito,auenendo poi,chele coſe dolci uicine fica no à quella parte,doue il detto ſenſo dimora, eche in eſſa laſcino la lor qualitàimpreſſa,che é la dolcezza, nonha dubbio,che quella par te nonſia per bauer diletto, egiocondità. Il ſimigliante uedrai in ogni tua parte, Et per lo contrario ſi ſente noia, e diſpiacereo nella priuatione delle coſe deſiderate, o nell'hauere le difformi, oaborrite, ecome il principio di ottenere il bene era il deſiderio dalla ſperanza accompagnato,cosi il principio di hauere la noia, era la fuga dal timore commoffa. Etcome nella prima impreſione la ſperanza in gio is fi conuertiua, cosi nella ſeconda la paura ſi tramutaua in dolore. Eccoti adunque i quattro principali affetti diuoianime. AN. Vor reiſaperè,o Natura, in cheſia poſta la conueneuolezza, che é trale coſe, ole parti mie. NAT. Percheioſono tale in ciaſcuna coſa, quale io mi truouo, però nelle coſe eſaéripoſta per me; maperche poi auenga,che io tale mi truoui in ciaſcuna coſa,dimandane chi cos si ab eterno prouid. AR. Or l'anima tiparetroppo curioſa? ma dimmi quai coſe,à qual parte dell'anima ſono conformi. NÁT. In fomma il uero é il bene, &per tal cagione, quello che è uero,uien giu dicato bene. Ar. Che intendi tù bene? NAT. Ciò che daogn'u no,e da ogni coſa uien deſiderato, &uoluto. A R. Qual bene Ć cercato daữ’intelletto? NA T. Dimandane coſtei  AN. il ſapee re, la dritta opinione. NAT. Dalla uolontà? AR. Ogniabis to di uirti. NAT. Da gli appetiti. AR. Ogniutilità ® dilets to AR. Che naſcerà poi, ò Natura, dal deſiderio ditai coſe? NAT. Lo sforzo, o lo ſtudio de'mortali per conſeguirle. An. Buui alcuno inganno de gli appetiti intorno al bene, come ui é l'ingan no dell'intelletto intorno al uero? NAT. Grandissimo. AN. Et come ſe il bene e cosi conforme all'anima? NAT. Non hai tu udito poco di ſopra, come l'anima era d'intorno al uero, opure anco il ue to le era molto conueneuole, et proportionato? AN. Ben'inteſi, che la cognitione del uero era molto confuſa, riſpetto alla fantaſia. A'R. Cosi é. Et di nuouo ti dico, afferino,che ogn'uno confufae mente apprende un bene,nelquale par che l'animo s’acqueti, et quels lo deſideri,mapoi da gli appetiti traportato (come prima era l'intele letto dalla fantaſia ) e aquegli rivolto ſmarriſce la uera strada di quel bene, al quale ciaſcuno digiugner contende, moſſo dalla interna forza della Natura. Et in quella ſtrada,orapiù lentamente, ora più. velocemente camina, troppo è meno amando, et deſiderando quello, che con miſura dourebbe amare,ò defiderare. Indië nata la ingorda uoglia delle ricchezze, lo sfrenato appetito dei piaceri, vtalbora la pigritia, om negligenza dell'ocio; &deſiderando altrilapropria con ſeruatione, s'inganna, credendo,che il bene altrui,ſia la ruina ſua,oue ro temendo di perder’i ſuoibeni, fauori,gratie,amiſtà,onori,o lodi, ſi muoue alla ingiuria,alla inuidis,alla uendetta. Et di qui naſce quello di che tutto di ſi contende fra' mortali, il giuſto, lo ingiufto,ildouere, l'equità, l'utile, oaltre coſe, che ſono cagioni di liti, o di conteſe Per il diletto adunque, & per il comodo, ciaſcuno ſi muoue à fare. Et benefarà quello, alquale ogni coſaſi riferiſce, ouero ſiriferirebbe, • perragione, o per appetito, o per natura.Et ciò cheopera, difende, conſerua,accreſce,accompagna, ſegue,ordina,et ſignifica il bene,bene ſi chiama, operò la felicità, o tutte le parti ſueſarannobuone, a le uirtie ſopra tutto ſono benidiſua natura degni,bencheàmoltinon ſono cosi apparenti. Ilpró,l’utile, il piacere ebene, perche l'utile ė mezo di conſeguire il deſiderio, oil piacereè moltoalla natura cona forme. A N. Fermati un poco, & dimmi,come non eſſendo beni cosi apparenti le uirtù de coſtumi,gli huominiſieno uenuti in cognis tione di quelle: AR. Credi, ó Anima,che ogni maniera di bene, che appare à gli huomini, éſimiglianza di quel bene, che non appare,e chi uuole drittamente giudicare da coteſti apparenti beni, potrà ris trouare la uia di peruenire alla cognitione di quegli, cheſono in ſebe ni, o che fanno la uera, es ſola felicità,più deſiderata,che conoſciu taima non ſta bene ora difiloſofare intorno a tal coſa. Baſtiti, ch'io ti ritruoui la uia, per la quale gli huomini ſono andati a ritrovare i beni dell'animo, o le uirti interiori. Dicoti adunque, che uedendo i mortali nel corpo umano molte buone conditioni, hanno congetturas to, ancora nell'animo ritrouarſi alcune ottime qualità, à quelle del cor po in qualche parte conuenienti. Dimandane la Natura, quali ſieno le doti del corpo,che tu ſaprai da me poſcia quali ſienogli ornamenti tuoi. AN. Dimmi ò Natura, fe egli ti piace, diche beni adorni tu i corpi umani? NAT. Prima diſanità, o di forza,poidi bellezza, O d'integrità diſenſi. An. In checonſiſte la ſanità? Nat. Nels la. la proportionata meſcolanza degliumori principali, enell'uſo di ej 14,6 queſta proportionata meſcolanza, ueramente ſipuò chiamare una egualità ragioneuole. ART. Credi tu, o Anima,di eſſer’al corpo inferiore? AN. Non già. ART. Credi adunque, che in te eſſer deue una certa egualità. Il cui ualore conſiſte nell'uſo. A N. Quale uuoi tu che ella ſia? AR. Quella che Giustitia ſi chiamna,fers ma, o coſtante volontà di render a ciaſcuno ilſuo. Ma che dici tu delle forze? NÅT. Dico, la gagliardezzaeſſer’una uirtù del cor po,poſta nel potere à ſua uoglia abbattere,atterrare,et uolgere ogni alieno impeto con leggiadria. AR. Bella, aneceſſaris uirtù neli aa nimo. Perqueſto giudicarono ifaggi,eſſer la fortezza, laquale reſis ſtendo à gli impetidella fortuna,ſola nė"ſuperbanel bene,ne uile nelle auuerſità ſi dimoſtra, &fola guida nella militia della uita mortale uin cendo,glorioſamente trionfa. NAT. Che dirai tu della bellezza del corpo, laquale è una proportione di membra, o di parti tra ſe ſteſ fe, o col tutto conuenienti dauiuacità di colori, et gentil gratia acs compagnata? AR. Tumi dipingila temperanza dell'animo,laqua le in ſe ſteſſa raccolta, ecompoſta,inuera, o proportionata miſura conſiſte, tanto può di dentro,che di fuorinel corpo il ripoſato, o quieto penſiero uedi, dolce, ogratioſa maniera ſi conoſce, & quafie una conſonanza di tutte le conſonanze. NAT. Che coſa trouerai tu nell'anima,conformealla integrità dei ſenſi, come alla bontà della uiſta, alla perfettione dell'udito, « al uigored'ogni ſentimento? ART. La prudenza, la quale consiste in saldo, o sincero conoſcia mento delle attioni umane: A N. Egli mi pare, che io ſia da Dio creata à fine, che le coſe mie fieno ſcala all'altezza di quello. AR. Che penſitu altro, ò Natura? NAT. Nulla, ſenon che conchiudo frame, che gli huominiſi ſieno aueduti delle uirtú interiori per le qua lità eſteriori. AR. Senza dubbio, a molti anche ſi ſono ingannas ti, oper una ſimiglianza, che hanno le uirtù con alcuni uitij, se lo Cangiando il nome hanno detto chela tardezza ſia moderata pruten za,la liberalità ſia la larghezzaſenzamiſura; e cosi all'incontro il prodigo ſia liberale. Et non hanno conſiderato, eſſergran differenza tra il ſaper dare, er il non ſaper conſeruare.Et queſto è quel ueriſimi le nei beni, che muoue ſpeſſo lementi, ogli appetiti umani. Orain brieue l'ordine,l'ornamento,e la coſtanza delle coſe handimoſtra to le uirtù, ou appreſſo la concordanza di tutte le operationi, o la grandezza, che le ſopra feſteſſa inalzają si come in ogni arte, com in ogni scienza biſogna hauer’alcuna coſa manifesta, e chiara, dalla quale da prima ella naſca, o s'augumenti,cosinella felicità, bed ta uitaſi richiede, euidentefondamento,preſo dui benimanifeſti à i ſen ſi umani,dalquale s'argomenti il uero, ottimo fine, operò dalle predette coſe ſiſtima,quella eſſer felicità, che con proſpero corſo tracorre,tutta diſeſteſsa, tutta di ſua uoglia, tutta piena,tutta d'ogni parte abondeuole, ocopioſa, eyd'intorno à tai coſe ricordati ſeme pre della diffinitione, da unaparte conſiderando, che coſa é bene,di! l'altra diſtinguendo quello che é del corpo, da quello, che é del’ani mo, e come ciaſcuno in molte parti ſi diuide.perciò che cosi ne trar: rai quella abondanza di coſe che tuuorrai,doue meritamente la pres detta parteſi può dar tutta alla inuentione, laquale e il fondamento della noſtra fábrica. Partidoadunque tutto quello cheſotto il nome di bene, ò uero, ò apparente ſi conciene, trouerai la felicità con tutte le ſue parti,o trouerai, che'l fuggire dal maggior male,ſia bene, et l'acquiſto delmaggior bene, « il contrario delmale; & queſto, pera che molti s'affaticano, e che i nimici lodano alcuna fiata.Et che ſifa ſenza incomodo, feſa, fatica, ò tempo, ſe é diſiderato; ofinalmente tutto è bene,uero, apparente, v dubbio, quello che uiene deſiderato. AN. Che dirai tu del piacere? AR. Grande ueramente è la fore za del piacere, & del dipiacere, percheſin da fanciulli ſi uede, che il tuttoſi fa per tai contrarietà. Et s'io uoleßi pienamente ragionarti, io non finirei cosi toſto, però di eſſo alcune brieui ſentenze io ti pros pongo,dalle quaiſe ne ritrarrà quella ſimigliäza di uero, che in tai be niſi può trarre. Dicotiadunque,che quelle coſe grate ſono, dipid= cere,che ſono alla natura conformi,come hai diſopra ſentito; pero à ciaſcheduno grato ſarà quello,à che eglidi natura ſua ſaràinchinas toje per la medeſima ragione,foaue,et gioconda coſa é la conſuetudi ne, come quella chemolto alla natura ſi confaccia. Perche quello, che speſſo,et per lo più ſifa, è molto uicino a quello che ſempre ſi ſuolfa re. Caro e quello,che non ſi trde per forza,perche la forza é contra natura, onde i trauagli,lecure, e ogni maniera diſtudio, odi pens ſiero,che turbi la quiete dell'animo, perche é uiolēto,arrecca moleſtia o diſpiacere. Seforſe la conſuetudine non l'ammolliſce. Cosi per con trario il diletto, il giuoco, il ripoſo,la ſicurezza ilſuono, et la rimeßio ne, come coſe di ogni neceßitá lotane. Néſolo col ſenſo uicino ſiprende piacere delle coſepreſenti, ma con la memoria,con la ſperanza,del lequali una riguarda le paſſate, l'altra le future. Lepaſſate apportano nella ricordatione aſſai diletto,perche la imaginatione le fa quaſi pres ſeriti, e ſe erano graui, o noioſe, con lieto, o piaceuol fine fatte ſos no dolci, eſoauile coſe buoneche hanno à uenire nello ſferare con fortano, comele preſenti nel goderle,ouero nel imaginarle, ilche ſuos le à gliamantiuenire, iquali non hanno ripoſo ſenon quanto penſano alle coſe diſiderate. Lauittoria ė foauißima coſa, ó lo auanzare il compagno, or però ogni maniera digiuoco ſuol dilettare la caccia, l'uccelare, la peſcagione, et appreſſo l'onore,ogni gratitudine, ogniri uerenza,inſin l'adulatione piace infinitamente. Lo imparare ancora é coſa piaceuole, onde la imitatione delle coſe è giocondiſſima, tutto che le coſe imitate non dilettino, perche nõ la coſa eſpreſſa,malo sfor zo, e il contraſto dell'arte ſuol dilettare. Indi è nato, che la pittura, le statue,o l'opre finte aggradano chi li mira. Ne più ti uoglio af faticare,o Anima,in dimoſtrarti,quello cheda te, et in te prouerai ef ſendo con eſſo il corpo.o quanto ti fia dipiacere il dominar’ultrui il comandare il ridurre à compimento le coſe incominciate, il veder riu ſcire ogni tua deliberatione, e finalmente tutto quello, che al bene t’indrizzerà,ò dal male ti ritrarrà. AN. Se queste coſe ſono buo ne, come tu di, per qual cagione ſipuò errare nel deſiderarle, nel cercarle? A R. Due mouimenti,ò Anima in te conoſcerai, l'uno de' quali da eſſa Natura riceuerai, e l'altro riporterai teco. Nel primo niuno errore puoi commettere,perche non è colpa tua, che alcuna co ſa ſi truoui,che ti diletti; ma nelſecondo ageuolmente puoi cadere, eſſendo in tua mano il freno di non conſentire cosi à pieno à quella prima voglia&, non riguardare alla ragione, che con certo conſiglio al gouerno de'primi appetiti guidar tidee. Maperche per lo primo, O naturalemouimento gli huominifanno il più delle loro operatio ni però debbonoeſſer ueriſimilmente guidati,o é creduto per lo più, che ciaſcuno faccia con deliberatione quello cheegli fa, ſeguendo il primo inſtinto; néſi conſidera che in teſi truoua uirtá libera, o po tente,dalla quale ognilode, o ogni biaſimo procede. Etacciò che el la ſiapiù drittamentegouernata, eccoti l'autorità delle ſacre leggi, nella quale è poſta la ſalute, e la correttione d'ogniumano errore. Contra le quaichiunquepreſume di opporſi, dal proprio conſiglio abandonato, è dato in preda alle ſue proprie uoglie,e ſottoposto ale la pend, come quello cheiniquo, o ingiuſto ſia. Ora in brieue ti dico, che eſſendo eſſe leggi nelle rep. àgli animi quaſi medicine delle loro infirmità, o rimedijà i loro errori, biſogna ſapere ogni maniera di gouerno,  gouerno, in che eglipiù fermo fia,da che uegna il cadimento di quels lo, et quanti ſienoi contrarij ſuoi,per poteralla cõmune utilità con le Sante inſtitutioniliberamente prouedere. NAT. Matu non dimo ſtri, ò Arte, che alcune leggi ſono eterne, er immutabili, non da gli huomini ſecondo gli ſtati loro ordinate, ma dallo editto diuino, o da me inuiolabili ſtatuite, communi,& uniuerſali à tutte le genti, lequai non più allo Indiano,cheallo Ethiope,eguali, in ogniſecolo, in ogni luogo ſi Sogliono ritrouare, non ne igrandiuolumiſpiunati da' morta li,manel libro della eternità impreſſe,et ſigillate in ciaſcuno che ci na ſce. AR. Coteſte leggi,ó Natura,non ſono ritrouamenti umani, né ſecondo le occaſioniformate, ma eterne, econtinuate ad un modo in permutabile, del quale non tocca à me il ragionare, «pint é quella ch'io non dico di eſſe, o forſe quella equità,dichefpeſoſi ragiona, al tro nonė, che la leggeſcritta nel cuore d'ogn'uno per correttione di quella cheè poſta per commune uolere di ciaſcun popolo. An. Dun que nelle umane leggiſi truoua errore? AR. Nongià, ma ben può eſſereche ilfondatoredi eſſe al tutto non proueda,et chenon conſide ri molte coſe,lequaiperalcuno accidente, come, che molti ne ſieno fanno uariare i giudicij, e in queſto caſo la equità, & l'oneſtà può aſſai, operò molto prudente, oqueduto biſogna cheſia, chiunque forma le fante leggi, « che il più che può tolga il potere à gli huos mini di giudicare da ſe ſteßi. Però cheben ſai, quantopericoloſopra ſtà nel giudicio, riſpetto allo amore, all'odio, e ognialtra perturbae tione umana. Matempo è, cheſi dia fine à queſta parte, perche aſſai sé detto d'intorno alle uirtù dell'anima,e d'intorno alle coſe appars tenenti ad eſſa, si di quelle che allo intelletto, come di quelle, che ape partengono allo appetito. In quanto che elle hanno ſimiglianza del uero, delbene, dj appartengono alla inuentione. A N. Tutto che ó Arte, inanzi à gli occhimiſieno le coſe, che tu m'hai dimoſtras te, hauendole tu ſopra la Natura delle coſe ſtabilite,pur uorrei ſapes re alcunſecreto, come diſopra molti me n'hai ſcoperti, quando tra noi ſi ragionaua delle parti mie. AR. Io non per naſconderti alcu na coſa miſon taciuta, maperche eglimipare, cheda te ſteſſa potrai ogni ripoſte bellezza conſiderare, uedere, che da que' beni che di ſopra habbiamo diſtinti,naſcono treparti principali dello artificio no ſtro. Però che ſe il bene é utile,nenaſce quella parte, che é posta nel conſigliare, laquale ſi uſa neiſenati. Se'l fine è giuſto, quell'altrapare te, che delle ingiurie ciuili,ò criminalitra i popoli fa mentione, felfie ne 1 1 ne é honeſto, allora ampia, o magnifica materia ſipreſta di lodare nelle pompe, et ne i trionfi le opere glorioſe, ma il ualore delgraue, o riputato Cittadino,primanel ben fare,poi nel ben conſigliareſi di moſtra. AN. Diche coſa più ſi conſiglia? AR. Di quello, che: più abbraccia l'utile uniuerſale. Etprima d'intorno al corpo delle uettouaglie, odel uiuere per ſoſtenimento di ogn'uno, odella difen fione per ſicurtà de i popoli, delle ricchezze perſoſtenere la difes Ja. Dapoi delle ſacre leggi, e della religione per ottenere l'ultis mo, o deſiderato fine. ANI. Che ſi ricerca nel conſigliare? ART. Prudenza, beneuolenza, animo, ſecretezza, e celeris, tà nello eſſequire. A N. Gli ineſperti adunque,imaligni, i timis di, i uani, i pigri huomini, non ſono atti al conſigliare: ART. Non già. Necoloro, che non ſanno conſigliare ſe ſteßi. Ma odi: alcuni ſecretidi queſta parte, forſe non uditi fin'ora. Vuoi tu ſapere un modo mirabile di conoſcere glianimi de' mortali? AN. Queſto eil tutto. A R. Sappi,checiò, che ſecreto nell’hkomo ſi truoua, forza cheſia in alcun ſentimento di eſſo,ò di dentro, o difuori.Sentis, mento chiamo ora ogniparte di te ó Anima. Et però uolendo tu ri trouar coteſto ſecreto, tenterai ogni ſentimento, perche quando es toccherai quella parte,nella qualee ripoſto il ſecreto di alcuno, o pia ceuole, ò noioſo,che egli fi fia,ſenza dubbiomanderà fuorialcuniſea gni,comemeſſaggieridelle uoglie ſue,ocon alcuneſimiglianze dimo ſtrerà quello,che egli ſipenſa di haueredétro diſe naſcoſo; aguiſa di una corda chealſegno tirata di un'altra; quandoritruoua la conſon: nanza,ſimuque, a ſuona di pari armoniacon quella.Da queſta reues, latione dipende la uittoria, eu l'onore di chi parla nel coſpetto degli huomini.Etqueſto è un ſecreto ripoſto aſſai, wodegno di penſamento.. L'altro è, che a conoſcereil giuſto, e lo ingiuſto,biſogna riguardas re al fire,alquale ciaſcuna coſa deueeſſer meritamente riferita, pera, che quando ſia, che dal debito fine alcuna coſa ſi rimuoua, allora ne ng ſce la ingiuria,la quale éuna eſpreſſa maniera di ingiuſtitia. Aqueſta ingiuria altri ſono più diſpoſti a farla, che à patirla,altri per lo cons, trario. Et questo biſogna conſiderare per potere in quella parte uas lere, ii cuifinalgiudicio rizuarda il giuſto, o l'ingiuſto. Altri ſes creti ui ſono, ma io mi riſeruo là doue della applicatione ragiones remo, cioè quandoſi dirà il mododi porre le coſe nell'anima. Ma che marauiglia è queſta? doue é gita l'Anima, ò Natura? Perche te ne ridi tu? come ſono ingannata? come tolto mi viene il poter ſeguire E l'incominciato ragionamento? NAT. Aſpetta ó Arte, non titurs bare, toſto merrà, con chi tu habbi à ragionare. Ora uoglio che noi ci tramutiamo, o che cifacciamopalpabili, o viſibili. AR. Che mutationimiusi predicando? NAT. Taci, attendi. Eccomi qui di corpo,e di formaumana. AR, Guardami ancora tu, ch'io ſo no trafigurata,à chimiſomigli tu o Natura? NAT. Io non ſaprei à coſa alcuna ſimigliartijmubene io uedo, che tu hai molto del graue nell'aſpetto, e nello andare, onel uestire,et à pena io ardiſcofiſarti. gliocchi à doſſo. Et mi viene una certa tenerezza di lagrimare. A R. Coteſto é ſegno,che tu mi ami et riueriſci;et tanto più ch'io ti ſcorgo un certo roſſore nel uolto, e ti odo ſopirare. Ma che ti pare de gli occhi miei? NAT. Tu haideldiuinoin eßi,come cheſieno di coloa re celeſte, o di luce penetrante. A R. Et de capelli,chedi tu? delle ciglia? NAT. Quelli ſono neri, a queſte rare, e di oneſta grandezza. ART. Saitu di cheſieno ſegni le predette coſe? NAT. Non già,ma bene ſtimo, che tu t'habbifigurata in quel mo do difuori,che tuſei di dentro, cioè piena d'intelletto, edi capacità ftudiofa delbene,folerte,er ſuegliata comeſei. A R. Tudi il ues ro, e dipiù il naſo aquilino, le orecchie egualiil collo brieue, il pete tolargo, le ſpalle große, le braccia, le palme, ø i diti lunghi, tuttiſou no ſogni euidenti dello eſſer mio. NAT. Ma tunonſei peròtroppo grande,bencheiltuo mouimento ſia tardo, elo ſtarediritto, chedie moſtrino te manſueta, umana, a piaceuole. Ar. Se non fuſſe il mio continuo penſamento, mi uedreſti ancora più allegra. Ma guarda quantiſtrumentiadoperar mi conuiene perporre in opra quello che io nella mente diſegno. NAT. 10 ſono dite più ſemplice, o piis ſchietta comeuedi. AR. Tu mifai ridere con tante mammelle. NAT. A punto io fo ridere ogni coſa per tante mie mammelle, pero che credi tu, chelefemine, noni maſchi habbiano tai parti? AR: Perche le femine ſono quelle chepartoriſcono, però biſo gna, che come eſſe danno la uita, cosi diano il notrimento,etperò han no le dette parti come iſtrumenti della nodritione. NAT. Quans te adunque nedebbo hauer’io, eſſendo madre dituttele coſe? AR. Tu hairagione,ma chi é quel giouane cosi bello, che incontro ne uie ne? NAT. L'anima,che poco dianzi era ſola,ora è accompagnata col corpo. AR. Chemiracoli fai tu ò Natura? NAT. Credi tu Arte ſapere ogni coſa? AR. 10 fo bene quello, che credo, ſo che le genti non crederanno queſte mutationi, che tu o io facciamo. NAT. E LO QVENZA. NAT. Pochi ſono i ueri Sauij., però non diamo orecchie al uolgo. Eccoti il deſiderato aſpetto, conſidera o miſura le parti fue, che ria trouerai bella,o proportionata compoſitione. Ar. Che carne gen tile, odelicata, non però troppo molle, guarda chedignità,che maa niera chefronte allegra, « ſignorile,chipotrà dire che egli nonhab bia ad eſſere pieno di coſtumi, o d'ingegno? NAT. Ben ſai,che io gli ho la promeſſa ſeruata in tutto. ART. Rallegromi ueramen. te, o mi pare, che tu ſeimolto miglior maeſtra di me, ma che nome gli daremo?.NAT. Quello che conuengaà chi lo fece. ART. Io ne ho poco che fare. NAT. Anzi tugli hai dato, & darai il miglior'eſſere;ben’è uero,ch'io ne ho la parte mia, o il mie fattore la ſua. ART. Chiamiamolo dunque DINARDO. NAT. Perche? AR. Perche Dio, Natura, & Arte il donarono. NAT. Tu mi allegri con tal fabrica di nomi. A R. In molte lingue io ho queſto potere, il quale e poco da gli huomini conoſciuto. NAT. Mipiace, ma perche non l'hai tu dacapo a piedi minutamente miſurato? AR. Micuſui lo hauerglidimoſtrato, che la oratione eſſer dee.comeil corpo umano, o hauere principio,mezo, & fine.Etche le partiſue deono corriſpondere à ſejteſe, al tutto con dignità,e decoro? Et si comenel capo ſono tutti i ſentimenti del corpo, cosi nel principio eller deono ripoſti i ſentimentidella oratione. A lui pofciaſtarà di ore dinar la predetta materiafecondo il biſogno, facédolo auuertito, che i teftimonij delle opere de’ mortaliſono le coſe che ſtanno d'intorno à quelli. Et però mi gioua di nominarle circostanze, percioche fa cendo,o operando l'huomo alcuna coſa, ha ſempre inanzi,ò apprefe ſo il tempo,il luogo,le perſone, il modo, ilfine, le quaicoſe fanno fede ſe l'operaſua è buona, orea. Da coteſta conſideratione, ſi ſtima chi ragiond, e con chi,ſe è la occaſione di dire ſe in questo, o in quel luo, goſtarà bene di parlareſe ilfine è buono,et altre coſe,alle opere ap pertenēti. Ma tu gratioſißimo Giouane, che con tăto fauore delcielo ſeinato,ti ricorderai tu quelle coſe che dette habbiamo fin'ora? Non titurbure,cheio ſono l'Arte, e queſta è la Natura,con la quale tu, eſſendo Anima ragionaſti. Din. In che maniera ſono le coſe ſchiette, oignude, oin che forma ſono le compoſte,che cosi uiſiete mutate, piacemi di hauerui riconoſciute, o cosi uiaffermo di ricordarmi di quanto s'è detto. ART. 1o non mipoſſo ſatiare di guardarti. NAT. Che giouanezze ſono queſte? ART. Non ti dolere, o Natura, che la bellezza delle opere tue ſia da me riguardata con E 2 marauiglia. NAT. Poi che io à tale fon uenuta, che pienas mente ho ſatisfatto al deſiderio tuo, e chef Anima pronta s'è die moſtrata, comincia tu ancora ò Arte ad inſegnarci ilmodo, col quale applichiamo le coſe all'Anima. Et perché non più aſtratte ſiamo,ma compoſte,però voglio,che con le eſperienze degli ingegni altrui, eo con glieſempi, cheſono oſtaggi della verità, e con l'uſo quotidiano, tu ti rivolga à darci ad intendere la forza di L’ELOQUENZA UMANA. AR. Cosifarò. Ma tu ò Dinardo, preſteraimi udienza, enon las ſciare à dietro coſa, ch'io ti dica. Marauiglioſae ueramente la forza ola virti di LA FAVELLA UMANA. Perciò che oltre alla intentione de i concetti e delle uoglie di uoi mortali, che per essa si fuole con besneficio univerſale, &euidente diletto appaleſare, non é in uoi ſentismento alcuno, l'appettito del quale non ſia da quellafieramente eccia tato, e commoſſo; a chi uoleſſe di ciò prender debito argomento. ogn'hora,che ueniſſe bene, riguardando à i modi, cheſiuſano tra uoi, ritrouerebbe le coſe à i sensi ſottopoſte alcuna uolta effere di minor uirtù in muovere ciaſcuna il ſenſo ſuo, che IL PARLARE, qualhora egli fia con bello, efficace, es maeſtreuole modo formato, o fabricato, o appreſo doppo alcuna più profonda consideratione, conoſcerebbeese fere QUASI INFINITO IL VALORE DI ESSO PARLARE,come che ſolo allo intellets to dimoſtri la ſoſtanza, ela ragione delle coſe, it che à niuno altro sentimento, quantunque la Naturaſempre atutti liberaliſima ſtata fia,né é,në fu, nefarà conceſſo già mai. Quante cofe del cielo, quante delle intelligenze, quante del divino PER MEZZO DELLA LINGUA, ſenza l'aiuto de gliocchiò d'altro ſentimento ſi fanno? Il parlare èſolo dimoſtras tore della ſoſtanza, IL PARLARE E SOLO PER UNIVERSALE MINISTRO DELL’ANIMA, IL PARLARE E SOLO STRUMENTO DELLA RAGIONE, ma onde é o Dinardo, che ne gliquenimenti, et ne gli atti degli huomini tanta forza discens da NELLE PAROLE? DINARDO. Credo ueramente, cheeſſendocidato da eſſa Natura IL PARLARE, come tu dici, affine,che LE NOSTRE BISOGNE, I NOSTRI PENSIERI ALTRUI MANIFESTIAMO, gran potere in quella FAVELLA debeba eſſere, la quale da uero, &ſaldo intendimento, e da sforzes uole diſiderio procedendo, tale difuori apparirà, quale di dentro nele l'animo dimorando ſtaraſi. ART. Ben di. Eſſendo adunque le pas role come oſtaggi delle uoglie, o de concetti, bifogna, come tra’ sis gnori auiene,dare gli oſtaggi alle perſone conuenienti, e però prens dendo noi DINTORNO AL PARLARE quelmiglior partito, che ſi conviene, soglio,che picde inanzipie mettendo or, gentilmente più oltre pafé fando ritrouiamo le maniere, egli ASPETTI DELL’ORATIONE, oconfia deriamo quale PARLAMENTO à qual coſa, età qual perſona fi conuenga. DINARDO. Di, ch'io t'aſcolto. AR. Non è dubbio, che riportando IL PARLARE per gl’orrecchi alle anime de gli ascoltanti, la forza dello intendere, o del volere, bisogna in questo viaggio dar mouimento,et modo ad eso PARLARE. Perciòche lo intendimento ó la uoglia nell'anisma ſi ripoſano, o iui come nel ſuo caro nido dimorano, ne ſi potreba bono da quello senza ragione, et artificio, dipartire. Al che fare accõa ciamente uoglioin prima che in ciaſcuna forma, o maniera di L’ORATIONE ſi truoui IL CONCETTO DELLE COSE INTESE, ca DESIDERATE , il quale par oraſia detto, ey nominato SENTENZA. Appreſſo uoglio, che ci sia lo artificio dileuare LA SENTENZA dall uogoſuo, & là doue farà biſoagno, leggiadramente portarla, perche SIMIGLIANDO LA SENTENZA AL RISPOSO E ALL’ANIMA, diremo, che l'artificio sia la machina, il modo conueniente di levare il peſo della SENTENZA dalla MENTE umana Ma perche si vede, che l'anima usa le forze sue, oadopra il corpo come strumento, però à ciaſcuna forma di LA ORATIONE appresso l'artificio, Ry LA SENTENZA, le ſidarà PAROLE, e uoci, per mezo delle quali potrà l’anima delle sentenze la ſua uirtù, le forze ſue gentilmente ad opearare. Ma perche aspetto alcuno non si potrà vedere, oueſieno le pare ti, la compositione di eſſe, IL COLORE, i contorni, oifinimenti del tutta, desidero condonar alle parole i suoi COLORI, il ſito, o le parti qua ſi membra, o i ſuoi termini, accioche altri allo aspetto, o alla forma conosca quali oſtaggiſienodati dall'anima DEI I SUOI RIPOSTI E SECRETI INTENDIMENTI. Chiameremo dunque i colori FIGURE, le parti membra, il ſito compositione, il finimento chiuſa o termine della oratione. Et perche uan a fatica ſarebbe la noſtra, le haueßimo folamente formasto si bella creatura affine che ella ſifteſle, népunto ſimoueffe, pexo come uiuo s'intende quel corpo, cui mouimēto e conceſſo, cosidaremo AL NOSTRO PARLARE il ſuo paſſo, ò uero il ſuo corso, il quale ſifarà col ripofo di alcune parti, e col mouiméto di alcune altre, come farſi vede ne gl’animali, o perche con altro mouimentoſi muoue uno adirata, con altro un manſueto, o altro é il paſſo d'huomo graue, & atteme pato, altro d'un leggiero, & ancorafreſco di età, però nello spatio, per lo quale haverà da correre, o caminare LA ORATIONE, uoglio che ſi conoſcaogni interna qualità delle cose perlo mouimento, e per lo rispoſo di LE PARTI DEL SERMONE, ewe perchedi sopra habbiamo dato à cias fcunaparte il nome che à formar UNA MANIERA DI PARLAMENTO ſi richies de däremo ancora à queſta ultima il nome ſuo, si ueramente che il riposfo, yo il mouimento delle parti ſotto uno steſſo uocabolo ſi rinchiuda, poi chiamato fia ó Numero, o numeroſo componimento. Din, Qual Dedato potrebbecosi belle figure, a fare, adornare, come fai tu ò Arte! Raccolgofin tanto quelloche io ho da te sentito fin’ora, odi * co,che tu uuoi, che LA ORATIONE habbia una qualità, che conuenga alle cose, o alle perfone soggette, o queſta iſtessa qualità, formaá maa inierazò guiſa dimandi. Ari Cosie, DINARDO. Tuuuoi appresso, che ciaſcuna forma primieramente habbia la sua SENTENZA, che altro non è che il concetto della cosa, dapoi l'artificio, che é il modo di les uarla dalluogo ſuo, ne queſto ti baſta, a però uuoi ire grandamente fi conſideri con quai PAROLE si posſa pixi acconciamente RAGIONARE, a esprimere la OCCULTA uirtù delle SENTENZE, diſponendo quelle PAROLE, e dando loro iſuoi COLORI, o finalmente rinchiudendole in alcuni termini accio che ſieno alla SENTENZA eguali, come l'Anima à tutto il cor. Spo, oaciaſcuna parte dare il fuo numeroſo, e MISURATO mouimeto, che col ripoſo, o con la uelocità del tempo preſente ſi miſuri. ART. Cosi u'ho detto DINARDO: Ogni coſa mi pare d'intendere ragioneuolmente, ſolo che tu uoglia dichiararmi alquanto d'intorno a questo numero ſo componimento, che NvMERo hai nominato. Et io fon diſpoſta àfarlo, sueramente, ch'io uoglio prima partitamente ragionare, ego distinguere le maniere, e le forme predette, decioche tu fappia il numero dici aſcuna determinatione. Dico adunque, lapris smaguila, esla prima formadouer eſſere la LA CHIAREZZA, la quale ſotto dife contiene la PURITA, o la ELEGANZA del DIRE, anzi più presto da queſte maniere ne riſultala cagione, che nel primo luogoſi riponga queſta forma perche niuna coſa più ſi ricerca, ò ſi diſideradachi jagiond, cheil laſciarſi intendere, il che altramente non ſi può fare fenzá LA PURITA DEL DIRE, la mondezza, la quale oggi uoglio, che ELEGANZA fi chiami da noi. Ma percheſpeſſo auiene, chesforzans doſi alcuni di eſfer’inteſi, cadono in forma umile, ego dimeſſa molto les cuando, otogliendo della dignità, della grandezza del PARLARE, però appreſſo la predetta forma,fi'dirà della grandezza, o GRAVITA DELLA ORATIONE, quale damoltealtre forineprocede, che ſono ques ste, Mueftd, Comprensione, Asprezza; Veemenzt, splendore, viuacie tài boppo LA CHIAREZZA, e la grandezza del DIRE a me pare che ſi conuenga conoſcer’un'altra forma; ta quate tutto il corpo della os ratione con la conuenienza delle parti, ornamento, osgratia recando, bella, en miſurata ſimoſtra, v però mi gioua di nominarle Bellezzi, alla quale un'altra formaſi darà, uolubile, preſta, perche tèggiaa dramente ſi muoua, leggiadramente dico a fine, chene troppo sciolta, né troppo legtta ſiueggia. Et ſe la chiara, a la grande, e la bella, o la veloce forma sono tanto richieste, quanto previ dá te ſteſſo cona ſiderare che diremo noi di quella, nella qual ſi dimoſtrano imodi, i coſtumi delle persone? Et diquell'altra, chefa credere ogni coſa, che fi dice esser uerissima? Certo non meno queste, che quelle esserticare deuriano, quando in queſte sta ripoſta ogni riputatione di CHI PARLA; et ogni credenza delle coſe, cosi uoglio nominar quella forma, la quae le ſecondo le nature, & gli abiti delle genti ua ragionando ſotto della quale è la ſimplicità, la giocondità, o l'acutezza; e quels l'altra ancora, che uerità ſi dimanda, ſono forme, ſenza le quali morta, e spenta ſarebbe la oratione. Et in queſto numero ſono chiuſe le maniere, o le guiſe, delle quali alcune haueranno le loro ſentenze, &i loro artificij, e l'altre parti diſtinte, es ſes parate dalle altre; alcune comunicando inſieme, ſi confarànno, o nelle ſentenze,ò nello artificio, ò nelle parole, ò nelle figure;o nel reſto, cos me chiaramente uedrai. Queſte uoglio, chetu da feſteſe, come ſemplici forme riguardi diſtinte l'una dall'altra. Perciò che non quel lo cheſitruoua, maquelloche può eſſere, uoglio che tra te medeſimo rivolgendo conſideri, e ciaſcuna forma, come tale, ew tale conoſchi. DINARDO. Io t'intendo, Tu vuoi, ch'io sappia considerare ogni guisa di ORATIONE in se stessa, onde poi a scelta mia io possa questa con quella, et quella con altra meſcolando, di più ſemplici formarne una bella coinin poſitione. AR. Che credi tu, che uaglia poicoteſta mescolanza, che nella purità ritenga grandezza, a peſo, nella ſemplicità, forzkiego fplendore, et habbia nella grandezza del bello, e diletteuole, mache afþramente piaceuole, e piaceuolmente aſpra ſi dimoſtri, pungendo; gungendo, comeſi dice ,ad un'horafteli, & facendo, chequello, che è nelle sentenze ampio, o ripieno, ſia nello artificio ampio, ad leggida dro? Et in tal modo accompagnando le figure d'una forma con le PAROLE d'un'altra, di più contrarij (coſa alla natura medeſima riputatd. impossibile)farne una amore uole fratellanza, onde poiqueſto genes roſo accozzamento di coſe repugnanti empia ogn’uno di marauiglia. DINARDO: Non mi accender pir di gratia, diquello che io ſono, cos minciami oggimai à formare ciaſcheduna delle dette maniere, accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del PARLARE. DE Ï Ï A parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenel l'Anima, al. tra parte è quella che apprende la ragione, alfra quella, che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nella Natura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto,als cune alle coſe della uoglia, odello appetito, o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella. Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DINARDO. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondo la occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intorno al Numero, o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il bisogno. Sappi adunque, è Dinardo, chequalhora alcuno ſi rivolga à conſiderare il modo, es la ragione del medicare, che ritrouando alcuna bella cosa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla ad IL ARTE DEL DIRE, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona, grandiſsima ſimiglianza. Ecco la medicina cerca di indurre sanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua. Il ſimile fa queſt'arte, d'intorno alla buonaopinione, perche conogni ſtudio s'affitica di metterla, ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata, cosi queſt'arte opra con l'anima, e con le parti sue con le forme del PARLARE. La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo, con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore, ego l'odore delle medicine, ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quell ſentimento, che prende iſuoi ris medij, il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità del ſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione, quantun que ſia di coſa dalla natura aborrita. Et finalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette, non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiosa FAVELLA, non ti posſo in poca hora dichiarare, perche troppo grande é la forza delſuo numeroſo componimento; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle PAROLE, o delle SENTENZE, paſa,e penetra per ogni parte dell'anima, deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota, onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto, che del sentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che LE PAROLE più ad un modo, che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua il tutto eſſere alla natura, quanto al ſuo principio, conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi; però che io ne ho grandißima parte. Et perche tuſappia quello che la natura, a quello che io ti poßiamo prestare, dico,che la natura ha posto alls cor nelle orecchie il ſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità, a dolcezza di IL DIRE; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare, che'l numero, ola fosnità delle PAROLE. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella ORATIONE, si perchefa ORATIONE, e non musica, si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, opera leua loro ogni perſuaſione, o fede. Ma quando con ine certo, & non conoſciuto numero, dolce però, e foaue, SI COMPONE IL PARLAMENTO, oſi lega inſieme il faſcio della SENTENZA, & del'intendimento, fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, ogni regola continouata del uerſo; continouata dico, peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, conſueto ritorno, più alſuono, che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi, il numero de' quali ufae to, e conoſciuto, più dall'arte, che dalla natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'ORATIONE, che OSCURA, cu piaccuole ne rimarrebbe, però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che nasca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'ORATIONE, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente, dichiarando prima, che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo componimento. DINARDO. Queſto ordine à meſommamente diletta, però di cuore ti prie go, che più diſtintamente che puoi, me lo dimostri. AR. La neceßità uuole, che LE PAROLE ſieno pari alla SENTENZA, perche à queſto fine ſi ragiona, comeſi è detto, accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori, doue mancando o accreſcendo PAROLE, o il CONCETTO interno non ſarebbe ESPRESSO, come nella mente dimora, ò IL PARLAR ſarebbe ociofo, ò mancheuole. Maperche la ſentenza nell'anima è finita O terminata, però debbon’eſſer finite, os terminate in quantità LE PAROLE, che  dimostrano. La qual quantità inſieme ragunata, Giro, o circuito nos mineremo il quale altro non ſarà, che pieno o perfetto abbracciamento del LA SENTENZA. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef LA SENTENZA, puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori, ſecondo le parti di LA SENTENZA;  a ciaſcuna parte é composta di PAROLE, oſi chiama Membro, o Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuo fine, e il ſuo mezo, o il corpo medeſimo e terminato, & finitocosi, le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, o terminato. In tutto queſto spatio adunque, che è tra il principio, il fine di ciaſcuna parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa, che s'è detto chiamar ſigia ro, ė forza, che la lingua alcuna uolta s'adagi, o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno, oſi muoua più ueloce,ò piu tarda ſecondo la qualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto mouimento, miſurato col tempo di IL PROFERIRE, para toriſce il numero, del qual ragioniamo, uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, o molto piu nel fine, che nel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi che nel mezo.Et perche di eſſo Numero gl’orecchi fanno giudicio in quanto al sentimento del piacere, o del dispiacere, per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi, ne cerca la cagione però, hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene, in parte dico, perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce, odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero. Però cominciando a trattare di LE FORME DEL DIRE daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroueremo quello che con ragione ſfarà dimostrato. DINARDO. Molto bene auif di far mi capace di questa magnifica o illusſtre compoſitione; però ſegui, che con maggior deſiderio, che prima, fono apparecchiato di aſcoltarti, perche mi pare, che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La prima forma e nominata CHIAREZZA, la qual nasce da purità, og da eleganza, come s'è detto. Pero essendo ella quaſi un tutto, acciò che meglio ſi manifeſti, ſi dirà delle parti fue, & prima della mondezza opile rità, poi della scelta, o eleganza. Deefl dunque dare alla purità del dire quelle SENTENZE, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno bisogno di piu consideratione,come per lo pia fono, o effer deono le narrationi delle co fe, come qui. Leggi. DINARDO. Tancredi, principe di Salerno, fu signore affai umano, di benigno aspetto. AR. Eccoti, che senza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in. gigno  gegropuò capire ilſentimento della SENTENZA già letta, come ancora in questi uerfi. Leggi. DINARDO. Io son Manfredi, nipote di Costanza Imperatrice. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle, la SENTENZA delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenza fottoposta, pur che partitamente ſa ciaſcheduna inſe conſiderata, percio che pua re non ſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi dicesse. Essendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano, per che queſta SENTENZA non ſarebbe terminata, o finita, douendo attendere a quel io, che segue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque altro intendimento, chi uuoleſſer puro nella SENTENZA, las quale stando nell'anima, dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di modo, ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza: DINARDO. La quale percioche egli, sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua, s'inamora d’uno uomo chiamato Roberto. AR. Non lascia eſſer pura cotesta SENTENZA, quel trammezamento, che dice, percioche egli,si come i mercatanti fanno, anda molto intorno, o questo adiuiene, perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno, ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi. Delle PAROLE ueramente con le quali ſi dee uestire la purità breue ammaestramento ſi daràperche, tutte le parole, piane, facili, ufitate, bricui, O communi ſono all'anima della purità molto proportionate, onde le trae portate, le ſtraniere, le lunghe, & quelle, che la lingua pena à PROFERIRE, o l'intelletto a CAPIRE fono dalla purità lontane, però purissime sono queste. DINARDO. Cheà me pareuaeßer’in una bella, « diletteuole ſelua, & in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca, or in brieue spatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non partiſſe, le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro, e quella con una catena d'oro tener con le mani. ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le PAROLE adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole, al la purità ſotto poſte, é il dritto,ecco. DINARDO. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino, o ricco huomo. ARTE Et quiancora DINARDO. Aſolo adunqueuago, « piaceuole castello posto ne gli estremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno dee sapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo, Di Aſolo, uago & piaceuole castello poſſe ditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola puro non ſia, doue ſi dice Arneſe, uoce straniera, ancora nello artificio non é puro per quello tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circostanze del castello uago, piaceuole, pera che ritarda il sentimento de gl’acoltanti, oui mette le circonstanze del luogo. DINARDO. Dunque erra chi uolendo cßer puro usa parole non pure, artificio, ò figura d'altra maniera, della oratione? AR: Errerebbe ſe egli credeſſe, otentasse d'eſſere in ogni parte puro, &netto, & non usasse quello che ſi conuiene, ma non erra uolendo alla purità del dire porgere «grandezza o dignità. Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata, e però la purità del dire ha le parti ſue distinte, os ſeparate dalle altre; nė ſolamente il dritto è figura, di questa forma, o maniera, ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprensione della quale ſi dirà poi, ora trattiamo delſito, odella compositione delle parole, Dico nella purità, cs mondezza del dire douerſi mettere le parole insieme con quel modo, che piu uicino ſia al FAVELLARE, uſitae coſenza molta cura, caffettatione semplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna PAROLA di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni difficultà di lettere, o di ſillabe, accioche la uoce di suono e quale, temperato, non impedito ufciſſe fuori, cosi nella compositione biſos gna guardare di acconciare talmente, che pine tosto nate, che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del sogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lo spirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba, come la natura in tutte ha posto la ſua piaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delle parole, della loro diſpoſitione, ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto, o eſce poifuori con alta восс, uoce, riſonante, onde lo spirito di eſſa grande, oſonoroffente, odi laſe guente, ch'é, B. LA B é puraſnella, deſpedita,come è afpra'la C. quando è fine della fillaba, ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce, ſpeſſo, o pieno ſuono, precedendo alla I. @alla E.co. me qui. Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera poi da te stesso il restante delle lettere, in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione. Le parti, & le membra, della purità esser deono breui, & ciaſcuna dee terminar'il suo sentimento, non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del popolo, come qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano, otrauagliano la lor uia, colſegnodella indiana pie tra, ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo, non Ria lor tolto il potere, & uela, ogouerno, là doue eßi di giugner procaca ciano, ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna parimente in minore ſpatio raccogliere il sentimento di ciaſcuna para te, oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo, benche le PAROLE fieno ale quanto dure. Leggi. DINARDO. Chino di Tacco piglia l'Abbate di Clugni, a medicalo del ma le di stomaco, « poi il laſcia, L'abbate ritorna, in corte di ROMA, o il rico cilia con Bonifatio Papa, o fallofriere dell'ospedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata, come, qui. Leggi. DINARDO. Pace non trouo, e non ho da far guerra, E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene in queſta altra parte. DINARDO. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò che il senso è troppo ritardato, o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle SENTENZE, allo artificio, aile PAROLE, alla figura, alla compositione, & alle parti di cſa. Reſta, che ſi tratti del numero, & del finimento, cioè della chiuſa, odel ter mine della SENTENZA,o delle parti ſue. Dico adunque, che nello andare, ego nello spatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce, ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi, one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione, co dal fine, però ſapendo quale eßer dee la compoſitione dele PAROLE, quale il fineztutto quello, che ſotto di queſte partiſ contiene DA AD INTENDER QUELLO CHE SI E DETO,  perche quantoſi ricerca alla com positione si é dichiarito resta che ſidica del finimento ogniſentenza, ogni giro può finire,ò in alcuna parola tronca, o in parola piena, ſienoque ſte parole, ò di due, ò di tre,ò di piu ſilabe, o ancora di una. Le parole pie ne, e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili, o ſalde, oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la vicina, o proſima, però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luogo ſuo. Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſe ſue, aſſai chiaro ofer dee. Perciò che aßimigliandoſi elle al dire cotidiano, fugge il fine del le parole tronche, come ſono quelle andò, corfuftarà, o C. perche le medesime dee nella dispositione fuggire, come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine, che per lo più la natura a’uolgari dimostra, ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene, & perfete te, fuggendo le tronche, ole fdruccioloſe, che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare, perche quello cheſi dice, ſi dice per la maggior parte de I finimenti, e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla dispositione riſorge quella miſura, che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque la chiuſa ſimile alla dispoſitione, la diſpoſitione non isforzeuole, ma temperata, enaturale, fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuolo ſarà, à quelle fomigliante. Ben'è uero, che la forza di cia fcuna manierà, e ripoſta piu toſto nelle altre parti, che nel numero, eccetto, che nella bellezza, douc l'ornamento, e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, nella poesia, che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio, doue non biſogna riportandoti a gli orecchi, il giudicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo, quanto giouala mondezza, opurità del dire alla chiarezza. Ma perche questa ſemplice forma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſia qualche impedimento, però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri, con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro, piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplice purità del dire, il qual'aiuto èpiù presto nell'artificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni SENTENZA CHIARA e aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della eleganza, o prima dello artificio, colquale ella lcuar fuole ogni SENTENZA nella mente riposta. AR. La ceeganza e maniera, che porta chiarezza à tutte le maniere della oratione, operò non tanto alla purità, dove ella manca soccorre, quanto à ciascaduna forma opra intelligenza, o facilità, daquesto nasce, che la eleganza dalla purità del dire in alcuna cosa é differente. Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara, oaperta,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun sole, che ogni oſcurità, che per quella poteſſe uenire,  leua, o diſgombra, o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo, si co i colori, le figure. L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto, acciò che ella ſia inteſa, cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DINARDO. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa,comequi. DINARDO. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, & l'altra il biaſimare alquanto altrui, ma prio che dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi il purfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti, Appreſſo i quali aſſai bello artificio, s'intende quela to, che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante. Leggi. DINARDO. Ma per trattar del ben, ch'io vi trovai, Dico de l'altre coſe, ch'io ui ho ſcorte. AR. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in disgratia di Dio, non haur ebbe potuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato. Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di FIRENZE, auuertendo pri ma chi legge, in queſto modo. DINARDO. Mapercioche qualefuße la cagione, perche le coſe che appref fo Rileggeranno, aueniſſeno, non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare, quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. AR. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe, fatta per le uare ogni impedimento, chepoteſſe offendereilrimanente. DINARDO. Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti, alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto, comefoleui, & oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo, non ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo, che elte ſon fatte, narrandole, ė artificio ſcelto, & elegante, però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DINARDO. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DINARDO. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’al Ciel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai. Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DINARDO. Saranno per auentura alcuni di uoi, che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppo licenza usata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DINARDO. La qual coſa io niego, percioche niuna cosa esi disonesta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſieme posto habbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbia fcufato, ma quelmodo non ha dello elegante, comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DINARDO. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni, che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui, come io fo. Altri più maturamente moſtrando di uoler dire, hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamo ſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente, àſtarmi con le Muse in Parnaso,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi. Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente, che ſauiamente parlando, hannodete to,cl’io farei più diſcrettamente à penſare, donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui, che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autore ſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante,come il primoartife cio,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni, perche non di ſubito riſponde, ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera,ma parte di una. AR. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura? A R.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle. Secondo la ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DINARDO. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati. DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leua dalla mente ogni ſenienza,oraſi dirà con quai parole più acconciamente ella ragioni, oquesto brieuemente ſi farà.Vſa la eleganza le medeſime parole, che la purità,chiare,piane,natie,o tali,che niuna durezza in eſe ſi truoui. Et perònonſono eleganti,né con eleganza diſposte le parole che dicono, Amen due ſopra gli mal trattiſtracci caddero à terra,&quelle, Non curandofar gli falſ, o quelle che nellapurità dicemmo,Ghino di Tacco piglia l'Abba te di Clugni. Da quelloche ſi è detto delle parole, tu puoi uedere chedalla difpofitione di eſſe,le parti,i finimenti, &il numerononſono dalla purità lontani,anziſonole coſe steſſe. Leggerai,come gentilměteſi sbriga dalle co fe,come brieuemente rinchiuda il ſentimento, come puramente elegga, o temperatamenteſi muoua questa nouella di Ricciardo de' Manardi,otro uerai parole parti, chiuſe,numerio fiti diparole purißime, oelegantisſa me. Ma le figure di queſtaforma fono diuerſe molte, tra lequali ottiene il primo luogo la ordinatione, laquale è unafigura,che da quello cheſi dia ce,dimostra altro ſeguirne, come qui. DÍN. Et accioche quello chemi par difare,conoſciate,oper conſes guente aggiugnere, o menomare poßiate à uoſtro piacere,con pocheparo le we lo intendo di dimostrare. AR. Et ancora qui della fortunaparlando. DIN. Le quai noiſcioccamente nostre chiamiamo,ſeno nelle ſue ma ni, oper conſeguente da lei ſecondo ilſuo occulto giuditio ſenza alcuna po ſa, d'uno in altro,o d'altro in uno fucceßiuamente ſenza alcun conoſciuto ordine da noi,eſſer da lei permutate. AR. Egli ſf ordina, come ſi è detto anco nel proporre di quante coſe fha da dire,con lo auuertimento di dire prima una coſa,o poi un'altra.Il che inquanto abbraccia più coſe,ė Comprenſionedella qualeſi dirà. Main quanto diſpone, acconcia allo intendimento,epuro,eleganteo chiaro.Al trafiguraèſcelta,eelegante,oltra la predetta nominata Partitione, lde quale Afa,quando noi,due coſe è piùſepariamo parlando, come qui. DIN. Et il tacere,oil parlareoggimai mi ſonoegualmente diſcari, perciò che nè quello debbo,ne questo poſſo. AR. In molti modipuòpartitamente ragionare,come qui con mola ti efſempi ſi dimostra. DIN. Tra per la forza della peftifera mortalità, per lo eſſeremol ti infermimalſeruiti,& abbandonati. AR: Etqui ancora. DIN. Et tra che egli s'accorſe, si come huomo, che molto aueduto erd, Otrache da alcuno fu informato,trouò dal maggiore al minore Co. ART. Etaltroue. DIN. Carißime dore,siper le parolede fauijhuomini udite, o si per le cofe da me molte uedute or lette. AR. Appresso le dette figureit ripigliamento è bellißimo colore della eleganza, come quelloche alla obliuione,alla oſcuritafoccorra, in quca ſto modo, DIN: E perche mifogliate immantenente Del ben,che adkor’adhor l’anima fente? Dico che ad hord ad bora, Vostra mercede, iofento in mezo l'alma Vna dolcezza inufitata e noua AR. Et nella proſa, come qui. - DIN. Ilchemanifestamente potrà apparire nella nouella, laquale dl raccontare intendo,manifeſtamente dico,non il giuditio di Dio, maquello de gli huominiſeguitando. · AR. Queſto ripigliamento appreſſo la chiarezza e di non poco peſo alla oratione, come figura molto uicina al raddoppiamento, ilquale è di for za marauiglioſanell'arte deldire,o,òinterpretado,ò interrogado,ò riſpon dendodi ſubito alla eleganzaconuerrà grandemente.Etper contrarioRfan ra nella oſcurità,la quale naſce da confuſione,& diſordine, nel’animofia tà, o ne gli affetti grandementeſi ricerca,perche in eſil'animo dallo ema pito traportato ogni coſa difordina,o la mente confonde. E adunque la confufione alla ſcelta,& elegante oratione contraria,come la meſcolanza, alla purità, da ambedue, cioè confufione, meſcolanza, naſce la oſcurità, come da quell'altre due la chiarezza del dire. Della quale pora uoglio che à baſtazaſa detto,o dimoſtrato.Resta chefi ragioni del la grădezzadel dire,acciò che il pericolo della baſſezza,odell'umilità,che Hella chiarezza ciſopraſta,con l'autorità della orationeſ leui in tuttó. DELLA GRANDEZZA DEL DIRE, prima della Maeſtà. ESSEND'O la grandezza del dire unamaniera, che oltra l'uſato modo di ragionare inalza, ø follicuala oratione, è di neceßità di molte parti compoſta delle quali altre faranno daſe ſteße altreinſieme alcune co fe raccommunando faranno un tutto magnifico, generoſo. E adunque la grandezzafatta dalla maestà,dalla comprenſionedalla ucemenza, dalla ui uacità,dallo ſplendore,o dall'apprezza.La maeſtà, ola comprenſione da ſeſtanno,ohanno le parti loro dall'altre ſeparate.Etperò di clje prima di rò, poi dell'altre partitamente. La maestà del dire é maniera conueniente alle coſe grandi,o Rfa quan do di eſſe con dignità,o ornamento ſi ragiona.Leſentenze ueramentedela la maeſtàſono prima quelleche appartengono à Dio, o alle diuine coſe,co uerità e decoro efpreffe,come queſte.Leggi, DIN. Conueneuole coſa è carißimeDonne,che in ciaſcuna coſa, che l'huomo fa,dallo ammirabile,oſanto nome di colui,ilquale di tuttofufate tore, le diaprincipio. AR.  AR. Dapoi,le coſe appartenenti alla natura umana, come qui. Leggi. DIN. Natural ragione è di ciaſcuno che ci naſce, la ſua uita quantū que può,aiutare,e conferuare, & difendere. ART. Et appreſſo quelle,oue le ſecrete cagioni delle coſe inuestigane do, & dimoſtrando ſt uanno,lequai poco appartengono alla uita ciuile, po co dico, perche alcuna uolta ſi diconoperfare alcuna fede à quellochedicia mo,come qui. DI N. Andiamo adunque,& bene duenturoſamente aſſagliamo la nde ue, che Iddio alla noſtra impreſa fauorcuole ſenza uento prestarle,la citien ferma. AR: La maeſtà è uſata per lo più ne i proemij delle nouelle. Perció che in eßi fi contiene il fine, perlo qualeſi racconta il tutto,& percheil fi ne, per utile,a giouamento de gli huomini ſi ricerca,però di coſe al uiucre appartenenti con grandezza maeſtaſiragiona.Leggi queſto principio, come è pieno di alta,o degna ſentenza. DIN. Credefi permolti filoſofanti,che ciò che s'adopra de mortali, Rade gli Dij immortali diſpoſitione,& prouedimento. AR. Degne adunque di riuerenzaſono le coſe di Dio, però chiunque di quelle altramente ragiona,ė dalla maeſtà del dire lontano, perche chida ramente da te comprenderai,che niuna maeſtàſi truoua là,doue il mutamē to in Angelo, d’un frate ſi narra, &doue in alcuni altri luoghi non ſi dicon no coſe alla religione conformi,con quella uerità e decoro, che ſi conuica ne, &però aliena dalla maeſtà équcũa comparatione, chedice, DIN. Si come eterna uita é ueder Dio, Ne più ſ brama,né bramarpiulice, Cosi me, Donna, il uoi ueder, felice Fa in queſtobreue, efrale uiuer mio: AR. Lo affetto di chi ragiona ſcuſa chiunque parla in tal modo, pere che lo acceſo deſiderio acciecal'intelletto,ela lingua come di ebbri uacil la,ofa dire che gli Angeli aſpettano di uedere il bel uiſo delle amate los rou che la preſenza di quelle adorna il Paradiſo, altre coſe,le quai pe rò ſotto altra form !,che questa ſi riduranno.Sarà dunque ſeuera,o degna, epiena di maeſtà la ſeguente ſentenza. DIN. La gloria di colui che tutto mouc Per l'uniuerjo penetra, e riſplende In una parte più, e meno altroue. ART. Et per la più parte degno e il preſente poema,dalquale aj na turali, co umane,o diuine ſentenze,ſecondo la macià delle coſe leggendo  ne ritrarrai, come qui, DIN. Le coſe tutte quante Hann'ordine tra loro,e queſto è forma Che l'uniuerfo à Diofa ſomigliante. Qui ueggion l'altre creature l'orma De l'eterno ualore, ilqualefine, Al qual'èfatta la toccata forma. A R. Et finalmente pieniſono i uolumi de i buoniſcrittori. Leggi. DI. ciaſcuno, che bene, o onestamente unol uiuere, dee in quan topuò, fuggire ogni cagione, laquale ad altrimenti fare il potere cons durre AR. Et qui, D I N.Manifesta coſa è cheogni giuſto Re,primo oſſeruatore dee eſſe re delle leggifatte da lui. AR. Baſtiti queſto d'intorno alle ſentenze della formapredetta. Ord, con che artificio dal lor ſoggiorno leuareſi debbano,intenderai.Percheadū que piene di maestà ſono quelleſentenze,che di Dio, & delle diuine coſe, delle umane,& naturali, peròfanno con fiducia O certezza è afferman do,ò negando,ſarà l'artificio della maestà. Negando,come qui. DIN. Ne creator,necreatura mai Cominciòci, figliuolfu ſenzaamore O ' natural, o d'animo, e tu'l ſai. AR. Affermando,come qui, DIN. Lo natural fu ſempre ſenza errore Ma l'altro puote errar, per mal'oggetto oper poco, ò per troppo di vigore. A R. Leggi pure,chenon mancano effempi. DIN. Le coſe, che alferuigio di Dio N fanno, deono far tutte nete tamente. AR. Et qui, DIN. Chiunque fouente fa male,egli certamente non é Iddio,& chii que Iddio e,egliſenza dubbio non puòfar male. AR. Laeſpreßione ha gran forza nell'artificio di quella forma com me qui. DIN. Veramente fiam noi poluere eombra, Veramente la uoglia cieca,e ingorda, Veramente fallaceè la ſperanza, AR. Et qui ancora DIN. 57 DE LL A DIN. Nel ciel, che più de la ſua luce prende, Fu'io, euidi coſe, che ridire Nésà, ne può, chi di la sù diſcende. A R. Hanno in queſta forma le allegorie peſo, or forzagrandißima, eperò le ſacre lettere di allegorie ſono ripiene,etutto il preſente poema è quaſi una continuata allegoria,coſa molto alla ſuamaeſtà diprofitto,co d'ornamento, &però la leonza,il leone,la lupa, e tutto quello chein tute ta l'opera gli appariſce,èuna raunanza di allegorie, degna « grande for pra modo.Conſidera come queſt'altro poeta uolendo innalzar le coſe baſe, Qumili grandemente ſi dà alle allegorie,facendo con quelle i cotidiani aue nimenti si grandi apparire che ifatti d'arme, ole coſe marauiglioſe di na tura si grandi nonſono.Ecco, DIN. Quando dal proprio ſito ſi rimoue L'arbor, che amogià Febo in corpo umano, Soſpira e fudaà l'opera Vulcano, Per rinfreſcar l'afpre ſaette à Gioue. AR. Questa grandezza di coſa, altro non uuol dire,ſenon,che nel partiredi un luogo ad un'altro della donnafua, fieramente era il Cielo tura bato da uenti, « da tempefta.Et cosi il reſtante di questo fonetto, omolti de gli altri,che ſeguono per l'artificio delle allegorie,ode gli enigmi, mis rabili appariſcono,à chi gli legge.ENIGM Iſono modi oſcuri di dire, come qui, Fortuna, chi t'intende, non t'intende, Efa chiſei,chi non ſa chi tufa. Tale adunque é l'artificio della maestà. Reſta óra à dirſi delle altre par tijeg prima delle parole.Sono alcune lettere, lequali fanno leparole ampie, e di ſpirito sforzeuole,come la A la 0,però quelle parole, che ſono di tai lettere, odiRllabe di eſſe fatte,ſaranno alla maestà del dire conucnicne tißime,tanto più diforza haueranno,quanto auanzeranno le duefillas be,odi maggiorſignificatione faranne.come qui. DIN. Quel, che infinita prouidenza, o arte, Moſtrò nel ſuo mirabil magistero, Che creò questo, e quell'altro emiſpero, E manſueto più Givue, che Marte. ART. Et ancora in un'altro luogo. Perſeguendomi Amor’al loco uſato Ristretto, in guiſa d'huom, ch'aſpetta guirra, Che prouede,e ipaßi intorno ferra, Di mici antichi penſier mi saua armato. AR. Sono ancora le parole traportate,di grandezza, e maestà mdo rauiglioſa, «perche molti credono il loro dritto pagare,ſe degni, ogran di riputando,poi gonfi fono o freddiper la troppa licenza,cbe piglia no nel trasferire,però alcuna coſa ti ſcoprirò d'intorno alle traslationi, bel lage degna,o di profitto non mediocre. Voglio,che dalla bruttezza del uitio ſpauentatoda quello alla uirtù ti riuolga,o però di quelli dirò, i qua li cosi gonfiamente,o cosi freddamente parlando, come fanno,ſono da ogni ſaldo giuditio abborriti. Alcuni di queſti hanno ardire di fingere,odi co por nomi,oparoleſenza alcuno raffrenamento di conſideratione,chiamar do il Cielo oculoſo,il mare ueligante, la terra granifera, o di queſte s'eme piono ifogli.Altri danno à nomi ſtranieri,dalla antichità rifiutati,nuoui, oſcuri,o di niunſentimento,coſa fpenta,o agghiacciata, comeeßiſono, che uuoi tu più freddo,che'l continuare in fimili inuentioni? Tuſei l'ombra del l'angustia,il diadema della mestitia,un'atto fatale,o si fatti. Peccano mola ti dando ad ognicoſa i loro aggiunti, ilche quando nonſifa per diletto, o con circonfpettione,come per condimento del dire,affettato,inſipido,o rin creſceuoleſ truoua, comeſe in luogo diſudoreſi diceſſe,il liquoredelle car niperlo caldo ſtillato,o non le feſte,ma la celebrità delle feſte,ne i triona fi,ma la grandezza de i trionfi,&alere gonfiezze, ilqual uitio in alcuni ė ucnuto al fommo,o però parlandoeßi più che pocticamente & fuor di të po,fannocoſe degne di riſo, o di compaßione,fono oſcuri &ociofiſatiano, Orincreſcono fieramente.Leggi. DIN. Potrei,poſcia che il vento della licentia datami di ragionare ba tanto inantifpinta la naue del mio parlamentoper l'ampio pelago di si fat ta materia,conducerui distintamente à uedere checoſa è difpofitione. AR. 1o mene rido di tai coſe, guarda quanto meglio ſi èdetto qui nel uerfo, o con più modestia. DIN. O'uoi, che ſete in piccioletta barca, Defideroft d'aſcoltar ſeguiti Retro almio legno,che cantando uarca, Tornate à riveder inoſtri liti Non ui mettete in pelago, cheforſe Perdendo me rimarreſteſmarriti. AR. Ecco,chedi più ampia materia ragionaua il Poeta, & non diffe la naue del ſuo parlamento,o altroue diſſe, Per correr miglior’acqua alza le uele Ormai la nauicella delmio ingegno Che laſcia retro à ſe mar si crudele, Etquandopurepiù arditamenteegli baueſſe alcuna traslatione uſata, dico,che egli era Poeta, o hauea ſotto la penna materia,ſe altra ne è,gră dißima, o d'ogni parte degna; o poteua ben laſciarſi portare(dirò cosi) dal uento della licenza,ma uedi ancora nella proſa in miglior modo ridotta laſopradetta traslatione. DIN. Madonna,aſſai m'aggrada,poi che ui piace, per questo campo aperto Wlibero, nel quale la uoštra Magnificenza ci ha meßi,del nouella. re,d'eſſer colci, che corra il primo arringo. AR. Ma riuolgiti à queste fredde,çocioſe maniere,& leggi, DIN. La real conditione del quale ſaria stata di più felice uita,odi più beata memoria,che uerun'altra mai,ſe il generoſo della bontà di lui,hax uelle men creduto al maligno della fraudealtrui. AR. E' ancora più ſpento qui. DIN. Nel finedelle parole cadendogli giù per le gote alcune lagrie me non men groſſe,che calde, le compaßioni delle ſuepietadi transformaro. no l'ira in manſuetudine. 1. AR. Di che giudicio dotati,di che eſperienza ammaestrati,e di quan ta gratia eſſer deono adornati coloro, i quali uogliono traportare le paro. le nate à ſignificar’una coſa, alla di chiaratione d'un'altra, nonſi può cosi brieuemente eſporre.Baſtiti per tuo ammaeſtramento,che tu fugga le ridic cole,perche ſono de' comici,le gonfie, percheſonode' tragici, le austere dure,perchenon ſono euidenti, & infine quelleche dallalunga ſi uanno tra endo,comeſe alcuno chiamaſſe la ſapienza lo ſteccato della anima, l'acqua loſpecchiodi Narciſo, ò che diceſſe le faccende qui uerdeggiano,o altre coſe sifatte. Biſogna adunque deriuare le parole da coſe facili,& di pres fta intelligenza, con queste i due pocti le loro fittioni mirabilmente innale zarono, delle quali piene ormai ne ſono tutte le carte.Alte parole appreſſo ſi odono quelle del nome,or del uerbo partecipi comeAmante, Ardente,co quelle ancora Andando, Vergognando,percheſono di ampio o largo fpiris to.Et nel loro andare ſonoadagiate graui. Et di queſta ſia detto aſſai. Ora con quai colori, ofigure adornar ſi debba la maeſtà delle parole, ſi di rà,o prima,che alle coſe clgne unafalda confirmatione del proprio gilidi tio, come un fermo tratto di pennello,rileua mirabilmente la oratione.Pere che non è uera grandezza quella, della qualeſi tiene alcuna dubitanza,cu però grande è quella parte. Leggi. DIN. Chi il commendò mai tanto, quanto tu il commendaui in tutte quelle coſe laudeuoli,di che ualoroſo huomodee eſſer commendato? certo. certo non a torto. AR. Ma quel giuditio,cheſeguc,ė fatto con timore na dubbioſamente te proferito,però non ha del grande,benche al modeſto dire, grandemente fi conuegna. DIN. Che ſe i miei occhi non mi ingannarono,niuna laude da te data glifu, ch'io lui operarla,o più mirabilmente chele tue parole non poteca no eſprimere,non uedeßi. ART. Conſidera quanto togliedella maeſtà di quel ſonetto,che con mincia, Perſeguendomi Amoral loco uſato, quel timido o ſoſpetto giudicio che dice, quella che ſe'l giudicio mio non erra,Era più degna d'immortaa le ſtato, Et tanto più quanto quest'ultimo uerfo non ha quelſuono,che gli al tri hanno.Douea ſenza temenza giudicare ancora questo autore. Leggi, DIN. Et perciò che la gratitudine,ſecondo ch'io credo,fra l'altre uir tùėfommamente da commandare. AR. Perche la ſentenza è degna, a ricercaua un colore,che terminaf se il ſentimento.Nequesta figura ſolamentealla maeſtàſ conuiene, ma tut te quelle che alla purità ſirichieggono,delle quai di ſopra ſe ne è detto afa ſai.Et ciò ſifa,perche la maestànon entri in tumidezza, o cada (diroco. si )in quella infermità che idropiſia é nominata. Le parti, le membra eſſer deono bricui ſenza alcuna lunghezza di giriyil che ſi uede ne'ſauij huomini, iquali breuißimamente uanno raccom gliendo le coſe loro in fentenza, & detti,come oracoli.Leggi, DI N. Giuſtitia moſſe il mio alto fattore. Fecemi la diuina potestade, Laſommaſapientia,e'l primo amore. A R. Et qui ancora. DIN. Iſon Beatrice, che tifaccio andare, Vegno dal loco oue tornar diſo, Amor mi moſſe, che mifa parlare. ART. Etqui. DIN. Gli animi noſtri ſono eterni,perche difuggeuole uaghezza gli inebriate.Mirate uoi come belle creature ci ſiamo,o penſate quanto dee of ſer bello colui, di cui noi ſiamo miniſtre. AR. Inſomma,degno è ilſeguenteparlare in ogni ſua parte. Leggi, DIN. Et queſto altrimenti non ſi fa,che à quello Iddio gli noſiri ani mi riuolgendo,che ce gli ha dati. Ilchefarai tufigliuolo,ſe me udirai, o penſerai,che eſſo tutto queſtoſacro tempio,chenoi mondo chiamiamo,di ſe empiendolo hafabricato. ART. AR. Et qui ancora dicoſeumane. DIN. La uirti primieramente noi,che tuttinaſcemmo, o naſciamo equali,ne distire,o quegli, che di lei maggior parte haucuano, o adopee rauano, nobili furon detti, e il rimanente rimafe non nobile. A R. La diſpoſitione o il ſito delle parole nella maestà del dire dee tal mente ordinarji,che non ui ſia concorſo di uocaboli, onde la bocca ſi apra ſconciamente. Voglio poi,che le paroleſdruccioloſe, con più libertà uilica no,che nella parità, o tal ſuono eſſe legate inſieme diano, quale ft deſides raua,che da ſe steſſo diſciolte faceſſero.Il ſimileſi dice nella chiuſa, o nel finimento,operò il fine in parole manche non deeper alcun modo hde uer loco in questa forma, deſidero la uarietà de' finimenti,o de i princia pi, ma fieno di parole cheauanzino le dueſilabe, oquello cheper la più ſarà tale in tutto il giro, farà il numero, che in queſtaforma ft ricere ca. Leggi tutto il ſopra detto effempio, che ciò chen'ho detto, chiaramena' te wedrai. Et ciò della maeſtà ti può bastare. Eſſendo la comprenſione alla grane dezza del dire comela eleganza alla chiarezza, e eſſendoſi della male stà detto, come di forma, che da ſemedeſima di tutte le ſueparti era cone tenta, nè ad altra maniera, Òſentenze,ò numeri, ò parole, ò artificio, o ale": tra qualità concedeuia,nėda altri alcuna coſa pigliaua, non è fuori dira. gione che ſi dica ora della comprenſione, uera, ounicaforma da folleuare ogui baiſao umile maniera della oratione. Et pero delleſueſentenze fi dirà prima, poi delle altre parti. Le ſentenze di queſta forma,ſono quel le, che chiamano altro ſentimento, o che raccolgono,operò in queſtapar te la comprenſione è oppoſta alla purità del dire,nella quale dicemmo,non eſſer’alcuno raccoglimento. Raccoglimento intendo,quando quello che piis i riſtringe nel meno,come una coſa commune in generale, alla ſpecialità ė ristretto. Leggi, Certißima coſa é adunque,ò Donne, che di tutte le perturbationi dell’d nimo,niuna coſa é cosi noceuole, cosi graue, niuna cosiforzeuole o nio. lenta, niuna che cosi ci commoud,ogiri,comequellafa,che noi amore chia mia mo. Eccoti che la perturbatione è un genere commune ſotto il quale ſi rac coglie l'amore, che è una ſpecie di perturbatione. Raccoglieſi ancora lo in determinato v oſcuro,allo aperto & terminato,comequi. Molte nouelle,dilettoſe Denne à douer dar principio à cosi lieta gior. nata,come questa ſarà,per douere eſſere da me raccontate miſi parano das uanti,delle quali una più nell'animo me ne piace. Et qui ancora molto più lines. $ 9 fi uede per due raccoglimenti. Et come che à ciaſcuna perſona stia bene, à coloro maßimamente éria chieſto,li quali già hanno di conforto hauuto mestieri, & hannolo trouato in altrui.Fra quali ſe alcuno mai ne hebbe,ò gli fu caro,ò già ne riceuette piacere io ſono uno di quegli. Riduceſt tutto il tutto alla parte ſia quel tutto è del tempo, ò del luogo, ò d'altra coſa. Del tempo,come qui, · 10 amaiſempre,ey amo forte ancora. Del luogo ancora, come qui, In Frioli, paeſe quantunque freddo,lieto di belle montagnedipiù fiumi e di chiarefontane,è una terra chiamata Vdine. Suole ogniſentenza, che chiama o ricerca ſentimento alcuno, eſſere di quella forma,o appreſſo tutte quelle che alla purità ſono repugnanti nelle quali ogni circostanza di luogo,di tempo dimodo, oogni accidente, che preceda,accompagni,ófegua,alle coſe ſiſuoleaggiugnere.Come fe egli R diceſſe in queſta guiſa, in sù la meza notte con molti'armati al luogo del le guardieſoprauenne,fdegnato per la ingiuria fattagli il precedente gior no.Ecco checon molte circostanze ſi narra il fatto,oR amplifica mirabil mente la coſa.Come in queluerſo ancora, Giouane incauto,diſarmató, e ſolo. Chiamano altroſentimento alcuni in questo modo, Ma si come àlui piacque,il quale eſſendo egli infinito, diede per legge incommutabile à tutte le coſe mondane bauer fine, il mio amore oltre ad ogn'altro feruente,o il quale. AR. Non legger piùche da teſteſſo poi nel predetto luogo potraiper comprenſione eabbracciamento uedere tantagrandezza di oratione che niente più. Abbracciano alcuneſentenze mirabilmente,o ſono quelle, che la ragio nedella coſa in ſe ſteſſe ritengono,come s’io diceßi,L'ira de'mortali immor tale eſſer non dee,e queſta, Aſai dimanda chi feruendo tace. Et quell'altra. Un bel morir tutta la uita onord. Etſimiglianti. Senza timor uiue chi le leggi teme.: Che il perder tempo, à chi più sàpiù piace. Queste fonole ſentenze,che abbracciano a comprendono, ma l'arte H 2 difolleuareè prima in ogni tramezamento. Leggi, Alla qual coſa fare (come'chein ciaſcuna età stia bene il leggere « l'u dire le giouenili coſe, & c. Etſopra l'altre questa. Percioche non amare,come che ſia,in uoſtra stagione nonſi può, quane doſi uede, che da Natura inſieme col uiuere a tutti gli huomini è dato, cbe ciaſcuno alcuna coſa ſempre ami, oſempre diſii,pure io, che giouane fono, gligiouani buomini,« le giouani donne conforto oinuito. Maggiormente queſti tramezamenti inalzano la oratione comeuedi, i quali uanno meſcolando le ragioni con le coſe, o fanno la oratione ampia ecircondotia, o uſanſiſpeſſo da queſto Autore nelle fentenze baſſe, co me qui, Le quai coſe,quantunque molto affettuoſamente le diceſſe, conuertite in uentocome le piu delleſue impreſefaceano,tornarono in uano. AR. Lo andare per gli gradi raccogliendo,ė artificio di quella fora md, come qui, Figliuola miaio credo,che gran noiaſa ad una bella edelicata donna come uoi ſiete,bauere per marito un mentecatto,ma molto maggiore la cre do eſſere d'hauere un geloſo. Et queſta ancora. Leggi, Drmare ciaſcheduna delle dette maniere, accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del parlare. 40 DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella, che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto,als cune alle coſe della uoglia, odello appetito, o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella. Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero, o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo, chequalhora alcuno ſi rivolga à conſiderare il modo, es la ragione del medicare, che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza. Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte,d'intorno alla buonaopinione, perche conogni ſtudio s'affitica di metterla,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore, ego l'odore delle medicine, ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione, quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita. Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette, non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare, perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto, che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo, che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio, conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità, a dolcezza del dire; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare, che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede. Ma quando con ine certo, & non conoſciuto numero,dolce però, e foaue,ſi compone il parld. -mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo; continouata dico, peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno, più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to,e conoſciuto,più dall'arte,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione, che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DINARDO. Queſto ordine à me sommamente diletta, però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. AR. La necessità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora, ò il parlar ſarebbe ociofo,ò mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che la sentenza dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro, o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori, ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi, le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to. In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno, oſi muoua più ueloce,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto mouimento, miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero, del qual ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però, hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce, odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione; però ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto, acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile rità,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe,come qui. Leggi. DIN. Tancredi, Principe di Salerno, fu Signore affai umano, di benigno aſpetto. A R. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in. gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi, Nipote di Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti essempi ſono della purità nelle nouelle, la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata, percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano, per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza, las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo. do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza: DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento,che dice,percioche egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno, o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche, tutte le parole, piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate, onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire, o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella, « diletteuole ſelua,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. F 2 ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago, « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola puro non ſia,doue ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti, oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure, artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro, &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità. Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata, e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole, Dico nella purità,cs mondezza del dire douerſi met: tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale, temperato, « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente, che pine tosto nate, che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba, come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto,o eſce poifuori con alta uoce,riſonante,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente, ch'é,B. LA B é puraſnella,deſpedita,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo, o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere, in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra, della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo,come qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna, in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata,come, qui. Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra, E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero, & del finimento,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque, che nello andare, ego nello ſpatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene, &perfete te,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione, «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà, à quelle fomigliante.Ben'è uero,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella poeſia,che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giudicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza, opurità del dire alla chiarezza; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar. tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera, cheportachiarezza à tutte le maniere della oratione, operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce, che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole, che ogni oſcurità, che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo, si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa, cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa,comequi. DIN. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio, s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben, ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio, non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze, avvertendo pri ma chi legge,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN. Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo, che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto, & elegante,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il simigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi, che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda seguita la solutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato, ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni, che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante,comeilprimoartife cio,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde, ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura? AR.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati. DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuarmare ciaſcheduna delle dette maniere, accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del parlare. DE Ï Ï Á parlare. AR. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella, che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto,als cune alle coſe della uoglia, odello appetito, o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella. Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero, o numeroſo componimento. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo, chequalhora alcuno ſi rivolga à conſiderare il modo, es la ragione del medicare, che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza. Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte,d'intorno alla buonaopinione, perche conogni ſtudio s'affitica di metterla,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore, ego l'odore delle medicine, ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione, quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita. Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette, non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare, perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto, che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo, che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio, conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità, a dolcezza del dire; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare, che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede. Ma quando con ine certo, & non conoſciuto numero,dolce però, e foaue,ſi compone il parlamento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo; continouata dico, peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno, più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to,e conoſciuto,più dall'arte,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione, che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora, ò il parlar ſarebbe ociofo,ò mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che laſenten F DEELLA za dimostrano. La qual quantità inſieme ragunata, Giro, o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori, ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpo medeſimo e terminato, & finitocosi, le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to. In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto mouimento,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero, del qual ragioniamo, uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però, hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce, odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione; però ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La primaformae nominata Chiarezza, laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto, acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile rità,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe,come qui. Leggi. DIN. Tancredi, Principe di Salerno, fu Signore affai umano, di benigno aſpetto. AR. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in. gigno. gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi. Leggi. DIN. Io son Manfredi, Nipote di Costanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle, la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata, percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano, per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza, las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo. do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella sentenza: DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento,che dice,percioche egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno, o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche, tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate, onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire, o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella, diletteuole ſelua,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. F 2 AR DEL LOA: ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino, o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago, « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo, DiAſolo,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola puro non ſia,doue ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti, oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure, artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro, &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata, e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole, Dico nella purità,cs mondezza del dire douerſi met: tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale, temperato, « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente, che pine tosto nate, che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba, come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto,o eſce poifuori con alta восс, uoce,riſonante,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente, ch'é,B. LA B é puraſnella,deſpedita,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo, o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere, in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra, della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo,come qui, D. Suol’essere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna, in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata,come, qui. Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra, E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero, & del finimento,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque, che nello andare, ego nello ſpatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc  le parole, quale il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C. perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene, &perfete te,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione, «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà, à quelle fomigliante.Ben'è uero,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella poeſia,che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu. dicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza, opurità del dire alla chiarezza; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar. tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere della oratione, operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce, che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole, che ogni oſcurità, che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo, si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa, cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa,comequi. DI N. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio, s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio, non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze,auuertendo pri ma chi legge,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento, chepoteſſe offendereilrimanente. DIN. Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo, che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto, & elegante,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi, che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato, ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni, che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler dire, hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente, àſtarmi con le Muse in Parnaso,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante,comeilprimoartife cio,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde, ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera,ma parte di una. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura? A R.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita.  Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati. DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuarmare ciaſcheduna delle dette maniere, accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella, che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto,als cune alle coſe della uoglia, odello appetito, o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella. Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero, o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo, chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del medicare, che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza. Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte,d'intorno alla buonaopinione, perche conogni ſtudio s'affitica di metterla,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore, ego l'odore delle medicine, ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione, quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita. Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette, non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare, perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima Ειοο ν Ε Ν Ζ Α. dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto, che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo, che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio, conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità, a dolcezza del dire; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare, che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede. Ma quando con ine certo, & non conoſciuto numero,dolce però, e foaue,ſi compone il parld. -mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo; continouata dico, peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno, più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to,e conoſciuto,più dall'arte,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione, che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. AR. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora, ò il parlar sarebbe ocioso, ò mancheuole. Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che laſentenza dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro, o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori, ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi, le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to. In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto mouimento,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero, del qual ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però, hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce, odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione; però ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto, acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile rità,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe,come qui. Leggi. DIN. Tancredi, Principe di Salerno, fu Signore affai umano, di benigno aſpetto. AR. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in. gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi, Nipote di Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle, la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata, percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano, per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza, las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo. do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza: DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento,che dice,percioche egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno, o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche, tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate, onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire, o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareva eßer’in una bella, diletteuole ſelua,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. F 2 ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. A solo adunqueuago, « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola puro non ſia,doue ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti, oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure, artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro, &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata, e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole, Dico nella purità,cs mondezza del dire douerſi met: tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale, temperato, « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente, che pine tosto nate, che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba, come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto,o eſce poifuori con alta восс,  uoce,riſonante,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente, ch'é,B. LA B é puraſnella,deſpedita,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo, o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere, in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra, della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo,come qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna, in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata,come, qui. Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra, E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero, & del finimento,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque, che nello andare, ego nello ſpatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc  le parole, quale il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà, o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene, &perfete te,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione, «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà, à quelle fomigliante.Ben'è uero,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella poeſia,che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu. dicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza, opurità del dire alla chiarezza; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar. tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere della oratione, operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce, che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole, che ogni oſcurità, che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo, si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa, cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa,comequi. DIN. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio, s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio, non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze,auuertendo pri ma chi legge,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. AR. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN. Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari. AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo, che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto, & elegante,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi, che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato, ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni, che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante,comeilprimoartife cio,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde, ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura? A R.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. A R. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati. DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuarmare ciaſcheduna delle dette maniere, accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del parlare. DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella, che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto,als cune alle coſe della uoglia, odello appetito, o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella. Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero, o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo, chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del medicare, che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza. Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte,d'intorno alla buonaopinione, perche conogni ſtudio s'affitica di metterla,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore, ego l'odore delle medicine, ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione, quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita. Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette, non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare, perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto, che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo, che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio, conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, vuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità, a dolcezza del dire; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare, che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede. Ma quando con ine certo, & non conoſciuto numero,dolce però, e foaue,ſi compone il parld. -mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & dell’intendimento, fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo; continouata dico, peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno, più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to,e conoſciuto,più dall'arte,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione, che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora, ò il parlar ſarebbe ociofo,ò mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che la sentenza dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro, o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori, ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi, le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to. In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto mouimento,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero, del qual ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però, hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce, odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione; però ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto, acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile rità,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe,come qui. Leggi. DIN. Tancredi, Principe di Salerno, fu Signore affai umano, di benigno aſpetto. A R. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in. gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi, Nipote di Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle, la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata, percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano, per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza, las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo. do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza: DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento,che dice,percioche egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno, o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche, tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate, onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire, o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella, diletteuole ſelua,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. F 2 AR ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago, « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola puro non ſia, doue ſi dice Arneſe,uoce straniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti, oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure, artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro, &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata, e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole, Dico nella purità,cs mondezza del dire douerſi met: tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale, temperato, « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente, che pine tosto nate, che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba, come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto,o eſce poifuori con alta voce,riſonante,onde lo ſpirito di essa grande,oſonoroffente,odi laſe guente, ch'é,B. LA B é puraſnella,deſpedita,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo, o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere, in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra, della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo,come qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna, in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata,come, qui. Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra, E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero, & del finimento,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque, che nello andare, ego nello ſpatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene, &perfete te,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione, «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà, à quelle fomigliante. Ben'è vero,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, nella poeſia,che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu. dicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza, opurità del dire alla chiarezza; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar. tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere della oratione, operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce, che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole, che ogni oſcurità, che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo, si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa, cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poi seguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa,comequi. DIN. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio, s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. AR. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio, non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze,auuertendo pri ma chi legge,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN. Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo, che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto, & elegante,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi, che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato, ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni, che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante,comeilprimoartife cio,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde, ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura? AR. Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. A R. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati. DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuadato per ſostegno la grandezza o magnificenza del dire,cosi nella grandezza è pericolo di uſcire in forma che non habbis ornamento, proportione,o peròſe le darà per miſura, o bellezzafua unaforma diligente,accurata,o ben composta, laquale in termini conuc. nienti richiudendo l'ampiezza della oratione,o ſangue, o colore amabi le en gratioſo le donerà,ondeil tutto miſurato, & temperato marauigliofan mente ſipotrà uedere.Questa forma nėſentenze, ne artificio ſeparato dal l'altreforme ritiene,ma ogniſuaforza nelle parole,nelſito di oſſe, ne i luo mi,onelle altre parti e ripoſta.Seperò dare non le uogliamo quellefenten ze, che acuti fono,o diſottile intendimentodelle qualiſi dirà poi. Le paro le adunque di queſtaforma ſono le foaui,leggiadre,bricui, difacile intelli. genza,iſchiette,o con gran circoſpettione traportate. Perciò che le trasla tioni in queſtaforma eſſer deono rarißime, o lefigure di questa miſurata Oben compoſta manieraſono le repetitioni. Leggi, Per meſ ua ne la Città dolente, Per me ſi ua ne l'eterno dolore, Per mefi ua tra la perduta gente. AR. E molto bella eornata queſta figura, os tanto più ha di ornde mento,quantoquello che ſi replica,augumenta,o creſce. Come qui. Amor, che à cor gentil ratto s'apprende, Preſe costui de la bella perſona Che mifu tolta,e'l modo ancor m'offende. Amor che a nullo amato amarperdona, Mipreſe del coſtui piacer si forte Che, come uedi ancornon m'abbandona. amor conduſſe noi ad una morte. A R. Se alla repetitione aggiugnerai la interrogatione, ſenza dubbio tu entrerai nella maniera forte ucemente comequi. Qual'amore,qual ricchezza,qualparentado baurebbe le lagrime, o i K sospiri pospiri di Tito con tanta efficaciafatti à Gilppo nelcuorfentire, che egli perciò la bellaſpoſa,gentile,&amata da lui haueße fatta diuenir di Tito, fe non coſtei? Quai leggi.Quaimi nacce?oc. AR. Tu da te stesſo poi quanto ornata ſa ducemente queſta parte conſiderando uedrai; tanto più ſeappreſo le dettefigure ancora ui porrai la conuerſione della quale di ſopra s'è detto.Nėti marauigliarefe(una me defimafiguraſia da altrefigure ornata willustrata.Pero che la lingua di queſtiornamenti é capacißima. Laſcia che à fuo modo altri ragioni, tu neſarai giudice,ola coſa iſteſſa te lo dimostra. La conversione adunque è figura di queſta idea, a Rſuol fare quando in quella ſteſſa parola pià membri ſ laſciano terminare,come nello eſempio ora letto. Bella è ancora la ritornatacheſi fa quando la parola cheſegue, comincia da quella in che la precedente finiſce,come qui. Leggi, Di me medeſmo meco miuergogno. Et qui, Et confoauepaſſo a campi difcefa,per l'ampia pianura sùper le rua giadoſe erbe in fine à tanto che, & c. AR. O uero in questo modo. Infiammò contramegli animi tutti, Egli infiammati infiammar si Auguſto, che lieti onor tornaro in tristi lutti. AR. Et ancora il Bifquizzo come nell'uno Poeta ſi dicra Ch'io fuiper ritornar più uolte uolto, Et l'altro. Il fiorir queſte innanzi tempo tempio. Da poi la predetta ui ſono anco altre ornatisſimefigure, come è illoro aſcendimento,ala tradottione o altre. Lo ascendimento R fa quando le parti che ſeguono,cominciano dalle parole medeſime,nelle quali uan tere minando le parti precedenti,con questa conditione che ſi mutino, le cadenze di esse parole. Come qui, Nel dir l'andar,ne l'andar lui più lento. AR. Ouero in queſt'altromodo. Luſca, io non poſſo credereche queſte parole uengano dalla mia donnd, eperciò guarda quello che tu di.Et ſe pure da lei ueniſfono,non credo che con l'animo fermo dire le tifaccia.Etſe pure con l'animo le diceſſe, il mio Rignore mi fa più onorecheio non merito: A R. La tradottione ė figura,che replicando la steſſa parola,nonfolde mente dimoſtra la intentione di chi parla,ma mirabil'ornamento accreſce oue ella ſtruoud.come qui, Laurd, che'l uerde lauro,e l'aureo crine. AR. Molto diligente as accurata figura e quella cheſifa quädo due, • più partifraſecongiunteſi ſogliono proferire.Leggi, Et utile conſiglio potrannopigliare, & conoſcere quello che fa dáfug gire,o che ſia fimilmente da ſeguitare. AR. Et qui, A cui grandi ey rade,o à cui minute pelje. AR. Forza ė,che onunque in una bella,& adornata figura s'abbatta un bel giuditio, egli conoſca es ſenta dentro difealcuna dolcezza; com meſe uno udirà in questo modo ragionare. Riſpoſemi non huomo,huomo giàfui, E li parentimiei furon Lombardi, Mantovani per patriambedui, Nacqui ſub Iulio ancor che foſſe tardi, E uißi à Romaſotto il buon ’Auguſto, Al tempo de gli dei falſie bugiardi Poetafui,e cantaidi quel giusto Figliuol d'Anchife,che uenne da Troia, Poi che'lſuperbo Ilion fu combuſto. AR. Non ſentirai tu per queſta diſgiuntione,per la quale ogni parte ſotto ilſuo uerbo è rinchiuſa,una diligenza gentile del Pocta:si comelà,do we dice, Io ſon Beatrice,che ti faccio andare, Vegno dal loco, oue tornar diſſo, Amor mi molle, che mifa parlare. Et molto piùſe nella proſa detto ritrouaſi A que' tempi che i noſtri maggiorihaueano l'occhio al gouerno di que ſta Republica,eta riconoſciuta la uirtù de'buoni, dauanſ i compenſi dei danni riceuuti per la patria,chi robaua il publico,era castigato; fioriua dia na giouentù dedita alla mercantia, oucro alle lettere, laſciauaſi il facerdos: tio, la militia da' noſtri queſta,per che i cittadini non pigliaſſero l'arme contrafe ſtoßi,quello,acciochefuſſero più finceri i parenti afar giudicio delle coſe importanti. ART. Vedi,che narrando partitamente, oſenza congiugnimene to alcuno, il parlareè ſpedito, la figura ornata, odiletteuole ſopramo do il ſuono di eßa oratione. Al cui ornamento il traportar delle parti di oßa gioua mirabilmente, come quando ſi dice, Al costei foco,alcolei grido. K 2 Giouin Giouinettopoß'io nel coſtui regno. Et qui. Vſate le colei bellezze. In queſto caſo nonf dee di tanto leuar dall'ordine loro le parole, che la ſentenza oſcura deuenti,come diſſe, Che i belli,onde miſtruggo,occhi mi co la, di che èquaſ piena quella canzone. Verdi panni,ſanguigni,oſcuri,operſ. Bello alquanto èquel tranſportamento chedice. Or non odio per lei, per mepietade Cerco, che quel non uo,questo non poſſo. Concedeſ però a ' Poetimaggior licenza per riſpetto della neceßità del uerfo,nel quale ancora più ampio luogo fanno gli ornamenti che nella profa.pure non èche del bello nonhabbiano aſſai quelle figure, che per le negationi affermano,come s'egliſi diceffe, io nol niego, cioè io il confefe fo.Et quella,non è alcuno,che nol creda,cioè ogn’uno il crede.Poi non taca que,cioè parlò, e diſſe. Suole ancora chi fcriue amaggior bellezza circoſcriuendo le coſe, con più parole,quello che conuna può eſprimere come qui, Era giàl'hora,che uolge il deſio, A'nauiganti,e inteneriſceil core, Il di,che han detto à i dolci amici,A Dio, AR. Et cosiA chiama il Sole Pianeta,che distingué l'hore, e diceft. laprudenza di Mario,la fapienzadi Catonein luogo di dire Mario prila dente, o Catone faggio,&éappreßo bella figurala innouatione i com me qui, Parte preſ in battaglia,e parte ucciſt. Et quia Taciti ſolieſenza compagnia, N'andauan l'un dinanzi e l'altro dopo. AR. Ecco come la bellezza ogni formaabbelifce,ne per tanto auenga che ella moltefigure, molti lumidimoſtre,di quelle ſolamenteſt contene ta,ma ſtudioſa del diletto sforza di ragionare uariamente. Là onde per fuggir la fatietà con mirabile artificio è uſata di uariare la oratione. Et questo ſuolfare primieramente doppo molte uoci di piene «ſonore lettere ponendonealcune dibaſſe U rimeſſe.Dapoifuggendo la continuatagiacia tura de gli accentiſopra una medeſimafillaba,ora nelle ultime,ora in quet le,che uanno innanzi adeffe gliſopramette,o di più in mezo delle lunghe le corte parole framettendo gratia &adornamento le giunge. Bella coſa ė si come tra cittadini vedere gli ſtranieri, cosi tra le nostre parole alcuna adirai che alicna fa,o meſcolare le ifquifite con alcuna detle popolari, le BMOWE huone con le uſate, finalmente la elettiöne in queſta parte può aſai, la quale ritrouandofi in ſaldo w ſottilgiudicio, dimoſtra in un'eſſere tutto quello che col conſiglio di molti eletto a ricolto effer potrebbe però non degnale uili,ſcaccia le brutte,fugge le aſpre, abbracciale eleganti ſceglie leſignificanti, o con copia marauigliofa uaria la difpofitione, i të pi,ilnumeroje i finimenti;nė di pari lunghezza formeràle parti delparlaa re,nėripiglierà una'steßa figura,un tempo medeſimo,un modo Amile, una perfona pari,ma quaſi un'adorno pratola oratione di molta varietà fora mando, diletto, o gioia,recherà ſempremai.Leggiprima qui, comeil Poce ta i medeſimi nomi non ridice in uno steßo luogo. Io credo checi credette,ch'io credeßi, Che tante uoci uſciße da quei bronchi, Da genti cheper noiſi naſcondeffc., Però diſſe il maeſtro,ſe tu tronchi Qualchefrafchetta d'una deste piante, Penſter c'hai ffaran tutti monchi. Allor porfi la mano un poco duante, E colfi un ramufcel da un gran pruno, E'l tronco fuo gridò perche miſchiante. Da chefattofupoi diſanguebruno, Rincominciò à gridar,per che mi ſterpiš Non hai tu ſpirto di pietade alcuno? Huominifummo, oorfemfatti sterpi, Ben douerebbe la tua man più pia, seſtatefoßim'anime di ferpi? Comed'un ſtizzo uerde,che arfo Ria, Dal'un de lati cheda l'altro geme, Bi cigolaper uento che ua uia. Cosi di quella ſcheggia ufciua inſteme, Parole,e ſangue,ond'io laſciai la cima Cadere,e dette come l'huom che teme. A R. Tu puoiuederein quanti modiilPoeta ha uoluto variar leparon ko con quanta felicità egli lo habbia ottenuto. Il che in molti luoghi può in elo uedere.si come là,doue parlando del lago gelato, lo chiamaora ghiaccio,era uetro, ora gelozora groſſo,o duro uello,ora ghiaccio, ora geld ti guazzi, ora eterno uzzo,oragelata,ora cristallo orafaſcia gelata, ora fredda crostázora lagrime inuetriate, &fimili altre parole ufa variando il poema. Il fimigliante hannofatto,fono perfare tutti gliſcrittori di non D B 1 L me. Leggerai mirabili eſſempi della narietà in tanti principij di giornar Odi nouelle cheſono in quell'autore, o leggerai anco l'ultima parte del ſecondo libro di quest'altro che comincia. Che andiamo noipure tutta uia di molti amanti et diletti ragionando. Maė tempo di ritornar’omai alle altre parti della formapredetta,ope ró d'intorno alle membra dei ſapere chela lunghezza di eſſe in queſtafor. ma èpix deſiderata,chela breuità ocortezza,non però uoglio, che si lo ftremo ti fermi,macon più disteſe parti che nella eleganza uorrei,che leſue ſentenze liportaſjero,che le parole di effe in tal guiſa ſi collocaſſero,et ſ terminajſe queüa oratione,che uariate alſopradetto modoil faſtidio o la satietà ſi fuggiſſe, oin grado ogni sprezzata coſa ci ueniſſe. Il numero al uerfo uicino in questaforma ci uuole,il qual numero primaſarà di quel la maniera,che di ſopra ti ho detto, cioè ripoſo o mouimento, ouero tempo di proferire,ò da poi di un'altra,che ora io ti dimoſtrerò. Perciò chemolto bene all'oratione può dar formanumeroſa et bella, la qualeſia nata da ue na certa neceßità delle coſe ben composte, o conſiderate, come il contra. porre i contrarij, o le coſe diſcordi l'una all'altra con miſura corriſpone denti,ritrouare i ſimiliipari, o altre coſe ſomiglianti à queste,delle quali partitamente e con eßempio ne dirò, Sono alcune membra,ò nodi della oratione,iquali hanno le lor ſentenze oppofte,ma con una corriſpondenza tra loro mirabile temperate. Ilprimo cfſempioſarà di quello che ſi chiama Pare,il qualeſi fa quando le parti che Äihanno à corriſpondere ſono quaſi di pare numero di ſilabe, odi tempi, quafi dico,però che queſta parità di ſillabe, o di tempi con ſaldo intendie mento o giuditiodeue eſſereſtimata, et nõ del tutto pari.L'eßempio di que ſta forma e questo. Dou’elladifonestamente amica ti fu, ch'ella oneſtamente tua moglie diuenga. ART. Nel predetto effempio in duemodi ſiuede effer fatta numero, ſa la oratione primaper la parità delle ſillabe,la quale nelle parti ſi uede poi per la contrarietà corriſpɔndenteperche amica omoglie, ſono contra rij, oneftamente o difonestamente fo:10 contrarij, oppoſti,ſolodi pari ud queſto. Leggi, Quiui à niunoſi cerca inganno,a niunoſifa ingiuria. ART. I contrarij adunque fanno la oratione offer numeroſa,come an cora qui, Et di gran lunga é da eleggerpiù toſto il poco oſaporito, che il mola to o infipido. ART. tornare. 2 ! TAR. Ne i ſimili ancora cade il numeroſo concento in modochequando in fimil ſuono la chiuſa finiſce,ne rinſulta il numero. Quel roſſore, che in altri ha creduto gittare,ſopra di ſe l'ha ſentito A R. Speſſo auiene,che per fuggire il ſoſpetto di cotesto artificio, la simiglianza de ifinimenti delle parole in mezo delle parti ſi ponga, com me qui, Poi ueggendo,che questoſuo, conſumamento,più tosto che emendamento della cattiuità del marito potrebbe eſſere. Et qui. Che più dispettosamente,che fauiamente,parlando. Molti eſempi ritrouerai da teſteſſo di queste numeroſe maniere, nate dalla corriſpondenza delle parti.Ora vorrei, che bene aucrtißi di non re. plicare piùuolte cotesti adornamenti,di non affettar tanto la conſonana za delle parti,che cadeßi in fastidio,ouero infospetto de gli aſcoltanti. Et per queſta reggerai medeſimamente il uerfo,nel quale caduto in più luoghi Ruede l'autore delle nouelle,il quale à mepare che di ciò molto curato nõ habbia.Beneuero,che con mirabile perfettione riempie le parti ele měs bra della ſua fauella quando diuide i nodi de' ſuoi giri in tre parti, come qui Percioche niun'altro diletto,niun'altro diporto, niun'altra confolatione laſciata ti ha la tua eſtremafortuna.Etqui, Et ſe qualunque di quelle fuſſe in Salomone,ò in Aristotile,ò in Seneca, 'haurebbe forzadi guastar'ogni lorſenno,ogni lor uirtů, ogni lor ſantità. Et qui. Maquantoſenfante, quanto poderoſe,di quantoben cagion le fore ze d'Amore,& c. Conſidera la distintione de' membri in quella nouella, doue introduce to ſcolare,la uedoua,perche cosirichiedeua la dotta perſona dello ſcolare. AR. E degno di conſideratione il numero delle fillabe, chenelle parti, che hanno à riſpondere l'una all'altra,ſ mette. Perciò che quando una pare te di troppo l'altra auanzaſſe,non ne ſeguiterebbe alcuna numeroſa compo Rtione,però buone onumeroſe appaiono eſſer queſte. Accioche come per nobiltà d'animo dall'altre diuiſe fiete, cosi ancora per eccelentia di coſtumiſpartite dall'altre ui dimostriate. ART. Maqui appare alquanto lunghetta la riſpondenza, &la die fagguaglianza demembri.Leggi. Quanto piùſ parla de' fattidellafortuna,tantopiù à chi uuole lefue co fe ben riguardare,ne reſta da poter dire, ÄR. ART. Può eſfer’ancora,che non ſi gusti il numeroper la lunghezza delleſueparti,benche fieno quaſi paricomequi, Egli auieneſpeſſo, che sicomela fortunafotto uili artialcuna uolta grandi teſori di uirtù naſconde,cosi ancoraſotto turpißime forme d'huo. miniſtruowa marauiglioſ ingegni dalla natura eſſere stati ripoſti. AR. S'io ti uoleßi ogni coſa moſtrare d'intorno alla bellezza del dire, troppo ritarderei gli ſtudij che hai afare,o pocoti laſcerei da eſercia tarti d'intorno allaeloquéza umana.Peròp trapaſſare alle altre forme,par lerò della ueloce e pronta maniera della oratione; la forza della quale è nello artificio,più tosto,onelleſeguenti parti,che nelle ſentenze riposta. L'artificio adunque della prestezza eà brieui dimande brieuementeria fpondere.Leggi. S'amor non èche èdunque quel ch'ioſento?:: Ma s'egliè amor,per Dio che coſa è quale? Se buona,ond'ċ l'effetto afpro e mortale? Se ria,ondési dolce ogni tormento? ART. Ouero il fare molte dimande, con forze di ſpirito obrer uits: Non era egli nobile giouane? Non era egli tra gli altri ſuoi cittadini bello? Non eraegli valorofo in quelle coſe che d' giouani s'appartengono? Non amato? Non bauuto caro?Non uolentieri ueduto da ogni huomo? AR. Le membra,quaſ parole eſſerdeono bricui «uolubili, oche pa ia che in eſſe fail monimento del parlar noſtro, oltre alla ſignificatione delle parole nelle quali ėripoſta la forza dela efpreßione di ogni forma. Leggi. Soli bastano, accompagnati creſcono, und mille nefå, odelle mille in brieue tempo mille ne naſcono,per ciaſcuna ſono aſpettate giocondißime,no aſpettate uenturoſe, ſono cari ageuoli,ma diſageuolivia più care inquanto le uittoric acquiſtate con alcuna fatica fanno il trionfo maggiore, donare, rubbare, guadagnare, guiderdonare, ragionare,ſoſpirare, lagrimare, rotte, reintegrate,prime ſeconde,falje,o uere,lunghe bricui, tutte fonodiletteuo li tutte ſono gratiofe. AR. Vedi che mouimento apporti ſeco questo parlamento, il quale quando l'huomo è riſcaldato s'aſcolta con marauiglia delle genti. Confia Ate anco nellaforzadelleparole, o nelſuono, onella compoſitione. com mequi. E già uenia sì per le torbid onde, Vn fracaſſo d'un ſuon pien difpauento, Per cui tremauan' amendue le ſponde, Non altramente fatti,che d'un uento: Impetuofo per gli auuerſardori, Chefier la ſeluaſenza alcun rattento Gli ramiſchianta,abbatte, e porta i fiori Dinanzipolucroſo uaſuperbo Etfafuggir lefiere e gli pastori. ART. Tanto uoglio che tu ſappia della preſtezza del dire. Perciò che date medeſimopuoi comprendere quanto « ilconcorſo delle uocali,ore forezza delle fillabe pa lontana da questa forma,esfapere che ogni ina dugio di proferire, ogni raccoglimento,ogni giro, impediſce il mouimento fuo. Reſta adunque a dire della formaaccostumata,o delle fueparti, la. quale e, cheſi conuiene alle cocoalle perſone in tal modo chequello che ſi chiama Decoro, molJa chiaramente ſi ueda Et però la detta forma ſota to di ſe quattro maniere principaliſ uede contenere. La primaė la unilta ubaſſezza. L'altra é la piaceuolezza o il diletto. La terza e l'acutezza Uprontezza. Et l'ultima la moderatezza della oration. Delle quai fore menecessariamente in queſta forma si ragiona, perche cosi porta la natua rade gli huomini,i quali sono ó uili, o riputati, è piaceuoli, o moderati. La bajezze dangue e forma infima, e dimessa del dire, alle roze, o idiote persone convenicnte, à femine, fanciulli non diſdiceuole: da Comici, rie chieſta ouſata pia toſto che da Oratori, o eloquenti buomini,o piu tom Ho nelle cauſe de priuati, che ne i communiconſigli ricercata,quando uor rai attribuire il parlar a quella perſona, cui non ſidifdice la baffizza. Cá dono in queſta ſimplicita di dire i paſtori, aquelli che le coſe.boſcarecce Man deſcriuendo,o però le ſentenze di queſtaformaſonopiu baſſe Qumi li, opiùfacili che quelle della purità oſcioltezza del dire. Là onde ala cuni giuramenti ſciocchi à qneſtamaniera ſi confanno. O Calandrino mio dolce, culor del corpo mio, quanto tempo t'ho defide Tatob’dauerti edi poterti tenere a mio fenno.Tu m'hai con le piaccuoa lezza tuațratto il filo delacamicia, tu m'hai aggrattigliato il cuore con la tua ribecca. Può egli eſſer che io titenga? Leggeraila tutta, otutto che in questa formauiſabaſſezza, non è però ela ſenza artificio, percioche per dimoſlrarla pulefe,fi fuole alcuna fista minutamente ogni coſa deſcriuere,u ogni particolarità chia rire, introdurre alcune ſcioccheriſpoſte, ò ſemplici contentioni di coſe, che non rileuano con detti, le ſentenze de quali ſono grandi, ma le parole ſciocche, at rozze. Leggi. L Cominciò à dire ch'egli era gentilhuomo per procuratore, roy. Begli bauea diſcudi più di milantanouefenza quellich'egli hauea àdarealtri che erano anzi piùche meno e che egliſapeus tale coſe fare; ct dire che domine pure unquanche. ART.. A tuo agio nie leggerai ilrestante,mauedi la contentione: Guatatala un poco in cagneſco per amoreuolezza la riniorchiaua '; ege ella cotale ſaluatichetta, facédo uiſtadi non auederſene andaua pure oltra in contengo. Seguita che tutta ëbaſſa per li giuramenti, per le beffe, con per alcuni rabbuffi, come qui. Vedi bestial buomo che ardiſce, là doue io Pid, parlar prima di me, laſcia dir à me, Et alla reina riuolta diſſe,Madonna, costui mi uuol far. conoſcer la moglie di Sicofanta,ne più ne meno come scio con lei ufata nor, fußi, che mi uuol dar' à uedere chela notte prima che Sicofanta giacque con lei meſſer Mazza entraffe in monte nero per forza,e con ſpargie mento di fangue oio vi dicoche non é ucro,anzi u’entró pacificamente: La deſcrittione del fante di fracipolld;& della fante,ėbaſſa,er propria di queſta formaa alcuni lameti cô parole ufitate & popolari. Leggi. Dime,oimė Giãnel mio io fon morta,ecco ilmarito mio,chetri fto il faccia Dio,che ſi tornò, « non ſo che queſto ſi uoglia dire. ART. Et alcuni prouerbiemodiſono dimeßi. Leggi.: Et cosi al mododeluillan matto doppo il danno fece il patto, muoia. foldo, oniua amore, e tutta la brigata. ART. Dalle fentenze di queſta forma ſipuò far congettura quai parole, ochenumero, oquaichiuſe ad effali conuengonc, Però cheari tificioſamente da ogni artificio lontana offer deue ogni ſua parte, & imie tare la ſemplicità, ogroſſezza delle perſone. Io non uorrci queſtaforma in unpocma grande, o genoroſo; o dubito che per questa ragione da ale cuni ripreſo noſia uno de i piùcarifigliuoli ch'io habbia,ilqualefpeſo per dire ognicoſaminutamente cade in parole baßißime,come quando dife. Vn’amme non faria potuto dirſt, Quero. Etmentre che la giù con l'occhio cerco, o quello che ſegue Trale gambe pendeuan le minuggia La corata parea, e il tristo ſacco. Et il reſto. E non uidi già mai menare ſtregghia A ragazzo aſpettato daſignorfo, Et la doue diſſe che Tencuan bor done alle ſue rime. Md ora al diletto paſſando, dirò, che per diletto de gli aſcoltanti ale cuna uolta l'oratione ad una forma s'inchina la quale tutta e riposta nellä, bautentione delpoeta,però gioconda diletteuolemanieras'addimanda ĝrellache la ſemplice edimeſſa alquanto più rileua ealla fauola, ó fala uoloſa narratione ſi uolge. Là onde leſentenze di questa formafaranno contrarie alla forma della dignità del dire; &però diletteuoli o gior conde ſono quelle, doue ragionano inſieme la Diſcordia, o Gioue, o in quel dialogo d'Amore, oue R dimostra in che guiſa difcendeſſe fra more tali Amore.Sonoanco grate,ga dolci quelle ſentenze chehanno quelle coſe ntinutamente deſcritte, lequali per natura loro hanno onde piacere difense timenti umani, es però la deſcrittione dell'amenißima valle delle Donne a molto grata ad udire. Conſidererai di quanta dolcezzaſia ſtato amaeſtro Simone il ragionaméto di Bruno, quando egli deſcriſſe la brigata, che giudi in corſo,og de i loro follazzi, opiaceri,e delle altre coſe diletteuoli che egli uedeus in udiua. Ma è bene che tu ſappia, come di quelle coſe, che a ſenſi ſono ſottoposte, alcune fono oneste, alcune diſoneste. Le diſor Heiste ſe paleſamentesi ſcuoprono co iloroproprij uocaboli, offender for gliono le caſte orecchie;benche non offendano quelliche nė di dirle, ne di farle R logliono tergognare,maſe con diſcretomodoleggiadramente cura prono la bruttezza loro,non pure non perdono il diletto quando ſono inteſe, ma molto più di ſoauird ſeco recano à gli aſcoltanti: Narra lo amore di due cognatiilpoetaDante,o uolendo il finedieſſo quantopiù poteua onestan mente ſcoprir diffe. Quel giorno pia non ui legemmo auante, cioé attena demmo ad altro che à legger quello, che fu cagione del nostro amore, o cosi quá lo l'altro poeta diſſe, Con lei fuß'io da cheparte il ſole. E non ci Medeß'altri che le ſtelle.Ocosi in mille modi ó per le coſe antecedenti, per quelle cheſeguono,eſſendo meno diſoneste,le difoneſtißimèappalefar ft poſſono ne è pocalode dichi ſcriuezin tale occaſione abbattědofi,ſenza offen fione anzi con diletto delle oneſte perſone deſcriuer le coſe meno che oneſte. Intělaſi adunque la coſa, ofuggaſi la bruttezza delle parole,o in queſto modo ſarà foaue, &diletteuole il parlar uoſtro. Alquale gli amori,le bele lezze de i luoghi,igiardinizi prati,i fiori le fontane,la prima uera, le pite ture, o altre coſe piaceuoli aggiungendoſi,ſenzadubbio ſi dimoſtrerà la predetta forma,della quale anco di ſopras é detto aſſai, quando del diletto, della gioia tiragionxi,che naturalinēte inuouc ogni coſa creata. Et cosi ſecondo l'affettione di ciaſcuno ſi porge ſolazzo opiacere col ragionare. L'artificio,et le parole della giocõdità tolteſono dalla primaformadel dire chiamata purità, onettezza. Voglio bene in queſto paſſo,che co più licen zoufigliaggiunti,ſegno e che i pocti loſtudio de' quali è proprio il dilet? tare, allora più dilettano quando più belli;eacconiodatiaggiunti- fono? wfati di porre ne' verſi loro, ecco Leggi. L & Giace nella fommità di Partenio,non'umile monte della pastorale Arct. dia,un diletteuolepiano di ampiezza non molto patioſo,peròche'l ſito del luogo nol conſente ma,di minuta, o uerdisſima, crbetta si ripieno, cbe fe: le lafciue pecorelle congli auidi morſi non uipafceffero,ui ſi potrebbe dom gni tempo ritrouar merdura. ART. Tutti i principii delle giornateſono à proua fatti per dileta tarc, eperò inshi 13 ziunti uiſono meſcolati come tu potrai uedere. Egli lliſuole anchora interporre de i ucrſi per. dilettare, ma con destro modo, Perciò che non mipareche bence ſtia, che la compoſitionc babbia del uer fo come qui. Cofi detto, et riſposto,e contentato, doppo, un brieue.filentio di ciaſcuno. ART. Ecco che nella proſa ui è il uerlo,ſenza quel propoſito che: io ti diceua,però, biſogna rompere i ucrſi con alcuna parola,eccoti uer: foc, Postbaueafine alſuo ragionamento, madicendo. Pofthauca fine Lau, retta.al ſuo.ragionamento non è più verſo, benche queſto.autore altrowe: non foſſeſchifatodal uerfo,come quando diſſe. Poſcia che molto commendata l'hebbe, Disleale, o spregiuro, e traditore, Etpoi con un ſospir aſſai penſoſo, Luogo moltoſolingo, ofuor. dimano.. Et questi uerſi quanto ſono migliori,tanto più ſono da.cſfer fuggiti nel fic lo della oratione, fenon quando,o per eſſempio, o per autoritade, o per di: letto ſono tolti da poeti. Ora delle figure di questa faperai,che alla giocondaforma, oltra le fi gure che alla purità,Q umiltà. conuengono quelle ancora non disd.cono, che alla bellezza ſi danno,o peròle membra pari di ſimili cadimenti le rime, i biſguizzi, itramutamenti; i circoli, le uoci.ſimiglianti, il fingeri: de i nomi ſonofigure di questaforma. Leggi i ſimili cadimenti. Tranquilla lite de'giudicanti ristora.le fettche gucrreggianti, in quel le con le ſeuereleggi de gli huomini, la pisceuolezza della natura,meſcoa. lando a queſti nel mezo de gli nocentisſimi guerreggiantipure, ø inno.. centisfime paci recando. Nellefſempio letto ui troucrai anco la bellezza di contrari, la parità de'membri, perche niente ci uicta,che una ſtela figura da molti lumi ancora illuminata, fi poffa fare illuſtre e luminoſa. Laura, che il ucrde lauro,c l'aurco crine.. Eſcherzo di upci ſimiglianti. Il mormorar dett'onde,bisbiglio, ſpruzza.. reribombo,gracidare, fonoparolefinte,cha con diletto cfprimeno il fatto,  ecco quando colui diffe,Filli, Filli,fonando tutti i calami, parue ueram mente che i calami fuſſono tocchi col fiato di dettopaftore, o quello ſem zafar motto alcuno. Rimafu quella di coſtui che diſſe. Tanto d'intorno à quel più bello, quanto pià de Thumido fenting di quello, Et perpiù adornamento et diletto, diſſe anco. L'acqua laquale alla ſua capacità ſoprabondaua. Et comei falli meritano punitione, Cosi i beneficii meritano guidero: done. Nella rima è pofta. la dolcezza de' Poeti di questa lingua, dallaqual.rima chi ardiſſe ò tentaſje per alcun mododidipartirf, toſto ſi pentirebbe. Le rimepiùuicine fono più dolci: Qucta licenzadel rimaremoderatamente Bplglia de proſatori, purche di affettata dilettatione: disoneſto ſegno non porga. Voglio bene la compoſitione di questa forma,numeroſa epiù al uerſo uicina che l'altre, ma il uerfo per ogni modo le tolgo. Guarda con chefacilità ſipotrebbe coteſta proſa alla dolcezza deluerfo ridurre.Leg. Vna fede medeſimatraloro per le menti unafermezza, unoamore in agni faſo, in:ogni tronco,inognirina,,uede l'amante la faccia dolce delld. fua.belladonna,o ella quella del ſuoſignore. Ma.ora non: voglio che tantoti piaccia la forma predetta che tralaſcian do la dignità,o grandezzadeldire, procuri.con ogni ſtudio il diletto piacere cheda quella fola procede, Perciò che io non uorrei che alcuna. parte del tuo ragionamento ſenza piacer s udiſſe, di.che l'aſcolta,ilqual pia cere naſce ancora. dalla Idea dell'altreforme, o dalle orecchie allo animo, trapaſſando ogni parte di eſſo fparge di diletto marauiglioſo, perche moe. uendo diletta, o dilettando li mouc, inſegnando ſimilmente fi.moue,, odiletta.in quanto che lo inſegnare il mouere,o il dilettare, ſono opera. tioni non distinte l'una dall'altra. Mi. laſciamo queſta quiſtione. ad altro, tempo, o ancora nonstiamo troppo in.questa forma tutta.di altra confla deratione, come quella.cbe al Posta.grandemente conuenga, alquale pocta. i giuochi, po le coſe ridicole ſi confanno, operò di. cße ora non te ne dia 60, e tanto piu adietro di buon cuore ti laſcerà queſta matcria ', quanto di: ſacopioſamente damoltine è ſtato ſcritto,etragionato. Larifponfione: ad ogni parte è anco figura di diletto. Leggi. Laquale ciiba fattinc i corpi.delicate,o morbide, negli animi. timide opaurofe,ne le menti benignc, opietoſe, obacci dute le corporalifora ze leggieri, le uoci piacsuoli, o imouimenti de imembrifoaui.. Ms or a pasfiamo all'acutezza del.dire, forma inucro egregia. &. piùalto penfamentoche altra meriteuple. Peroche ella contiene le ſentenza fic,deltuttocontrarioalla umiltà, «baffezza della oratione, ej in uero altro dicendo,altro intende.Percioche è dicoſeche hanno in ſeforza,et uds Forela onde lo artificiaė proferire le alteodifficili intentioni pianaměte, o con facilità, e le umili &abictte che paianoalte,o degne: onde i primo modo é,quandofi piglia una parola in altra ſignificatione che nella ufata confueta maniera,ne pcro e meno conuencuole et propriafe gli wiguardaalla forza della uoce,che la uſala, « conſucta, come qui. Non creda donna Berta oſer Martino * -Prueden un furar altro offerine. 9. Wedergli dentro al conſiglio diuino. Che quel puo furger,oquel può cadere. C: il  secondo modo e quello cheſi fa non mettendo la parola, doueela berie Starebbe, ilche abufione s'addimanda; come ė à dire allegrezza inſanabile, in luogo di dire allegrezza grandißima. Seguita il terzo modo di porre. una þarola pia uolte'., ma che ſempre ſia ad un modo istefjo pigliata, come dicendo,ſecglimuore, morirà tutto, perche uiuendo non uiue.Vſaſi ancora biquestaforma un altro artificio aljai degno di conſideratione ilquale ft fa quando il parlare ſi fa pieno ditraslationi,o per la moltitudine di quelle lifa ogn'horpiùmanifesto. Leggi. Eeleggi fon,ma chiponmanoad eſſe Nullo, percheil paſtor, che precede i Ruminar può,manon ha l'ugne. foffe, Perche la gente che ſua guida uede ** Pur à quel bel ferir on fella é ghiotta Di quelfi paſce, opiù oltre non chiede. ART. Et in queſto altro loco ancora Nel mezo del camin di noſtra uita Mi ritrouai in unaſelua oſcura Che la diritta uia craſinarita. ART. Acuti ſono ancora quei rimedij,che uanno quafi medicando le dile rezte delle Tralationi con alcune altre piu chiare, ecco dire il fiato della morte é duratralatione. Ma dire della morte, e ſpigne col ſuo fiato il noe ſtro lume,e acutamente raddolcita la aſprezza fua. O qui.Con altezza di: animo propoſe di calcar la miſeria della fori una.Voglio ancora,che acuto fa ilporre inanzi yliocchi le coſe con bella colligatione di ſignificantißia me parole,Vuoi tu ucdere la celerità del tempo. Leggi. a Delaurco albergo con l'aurora istanzi E to 1vs K $ *** siratto ufciua it ſol cinto di raggi, Che detto baureſt',.' Apur corcò dianzi. Jo uidi il ghiaccio, e li preſſo la rofa, Quaſi in un tempo il granfreddo, e ilgran caldo. Che pure udendo par mirabil cofa Veggo la fuga del miouiuerpresta. Anzi di tutti, et nel fuggir delſole, La ruina del mondo manifesta Voi tu uedere dipinta la oſcurità. Leggi. Buio d'inferno, o di notte priuata D'ogni pianeta ſotto pouer ciclo Quant'eſſer puo di nuuol tenebrata: ART.No ſolaměte leparolefanno l'effetto,ma te fllabe, et le lettere steffe Vedi quáte fiate uie replicata la quinta lettera come lēte baſſa,co oſcura. Sotto queſtaforma i beidetti ſi coprendono, et quei mottiurbani,che co dimeſe parole dicono altißime coſe.Là onde alcune ſentēze, la ragione delle quali in effe ſi conticnejacute ſono, o di ſuegliato ingegno ſegnimanifesti. come à dire, le minacce fon arme del minacciato. sēdotu huomo penſa alle coſe humane o offendo mortale nõ hauerl'odio immortale, o quello.Rade volte è ſenza effetto quello che uuole ciaſcuna delle parti. Queſte ſono le parti principali dellaforma ſublime; & acuta,nellealtre haida ſeguitare la purità o eleganza del dire. Ma della Modestia,o Circonfpettione del parlarenelquale conſiſte quanta gratia tuti puoi con gli aſcoltanti acqui Atare,dirò,pregandoti caraméte,che tu uoglia questaſopra tutte l'altre ele gere,abbracciare,et fauorire in ogni tuo ragionamēto. Modesta è adunque quella forma del dire che le proprie coſe abbaſſando innalza le altrui, o quaſi cede e toglierſi laſcia del ſuo, il che opinione acquista di grābone tade appreſſo chi ode.Le ſentezedi quellafono quelle che dimostrano l'ani mo di chi parla alieno dalle contētioni, il deſiderio di fuggire, o terminar le coteſe,ildiſpiacere d'accufar altrui, il poter dimoſtrar maggiorpeccati dell'auuerfario,«nõfarlo,et quello che ſi fafarlo sforzatamēté,ė astretto dalla uerità,o p no laſciar opprimere gl'innocēti,uerfo de'quali,chi dice, A deue dimostrare cõ queſta formaofficiofo,et benigne,comefece coſtui. Leggi. Mi piace condiſcendere a' conſigli de gli huomini,de quai die cendo mi conuerrà far due coſe molto a' miei coſtumi contrarie;luna fia al quanto me commendare o l'altra il biaſmar alquanto altrui,o auilire. ART. Molti huomini eccellenti nelle lodi, che date hanno a i loro cittadini uſati ſono di dire, uoi faceſte, uoi uinceste,mánel dimoſtrare alcana coſa meno che oneſta de' fatti loro,hanno detto per modeftia.Noi perdesſimo, noi malefi portasſimo, noialquanto imprudentemente to gließimo la guerra. A questeſentenzeſi aggiugne l'artificio, ilquale con Rate nel dire di fero delle proprie coſe modeſtamente, con dubitatione facendolegrditamente minori di quello cheſono; eſcuſando per lo contras rio gli auuerfarii,oucro con ragione, conalquanto di timore accufando li,permettendoli alcuna coſa a fuomodoin loro diffeſa pronuntiare,acció sonſi dia ſoſpetto al giudice dioffer contentiofo,& amicodelle liti, in que ſto caſo voglio,che tu uſ parole baſſe, et pure, oquelle che hanno manco forza nelle tue lodijonel biaſimo de gli auuerfari, però quelle figure a questaformaſono accomodate,nellequali con deliberato conſiglio alcuna coſaſ pretermette,quiſando però l'aſcoltante di tale deliberationc.Inbrie ue ti dico, cbe la disſimulatione, che ironia s'addimanda, quenga, che ale cuna volta morda cu pungasėperò artificio,o figura di queſta materia,nel laqual alcuni Greci riuſcirono mirabilmente. Lacorrettione, oil giudi cio con timore ſonocolori di questa idea. Come quando ſi dice, S'io nca sn'inganno,s’io non erro, cosi mipare,ofimiglianti modi, i quali quanto più banno del leggiadro, tanto più dilettano,o fanno l'effetto, che ſi ricer 14. La correttione e in quel luogo. Si come prima cagione di queſto peccato, fe peccato é, perciò che io t'accerto. ART. Et la disſimulatione iui. Godi Fiorenza, poi che ſei si grande. ART. Belmodo e modešto é quando o il biaſimo, o la lote ſi fa dar da una terza perſona, perche meno ha d'innidia il teſtimonio altrui, che'l noftro, operò in queſto Poeta nel dire la origine fua, uedrai modestia ma rauiglioft, Leggi ancora qui. Nobilisfime giouuni, à confolatione delle quai io mi ſono meſſo à cosi lunga fatica io mi creda aiutandomi la diuina gratis ſi come io auiſo, per gli uostri pictofi preghi non gia per i mei mcriti quello compiutamente ha Herfornito, che io nel principio della preſente opera promiſi di douer far. ART. Etil principio della quarta giornata i ripieno di queſti modi. Ma tempo è di ucnire all'ultima forma di queſto ordine, ma prima in die gnità o perfettione,comequella, ſenza laquale niuna delle altre può nel l'animo entrare de gli aſcoltanti,dico della uerità, a laquale benche la moc desta e dimeſſaforma piu che l'altre s'auicinano,nientedimeno non è da di Te,che ella debbia dall'altre offer abbandonata, imperoche non è opinione, òaffetto,che ſenza eſſa indurre ſi poſſa, queſta fa credere che cofiſia,come Adice,questa moſtra l'animo di chiragions, queſta èfrutto diquella uir ta che tùche noi chiamiamo imaginatione,cosi potente nel porre le coſe dinanzid gli occhi,et cosi efficace ad ottenere ogni nostra intenţione.Dimoftrafl adia que l'aniino di chi parla in questo modo,cioèſenzamezo alcuno rompendo in uno effetto,perche la natura in queſta guiſa ui diſpone chequandoſiete iņuno affetto ſenza altra ragione in quello entrando le dimoſtrate, cosi l'a ra,lo ſdegno, il diſo, il dolore,o ogniaccidente ſi fa paleſe. In ſommaſe je fidate,o diffidate, c teneteſperanza d'alcuna coſa ſe allegrezza uimuoue 'ò noia alcuna,ueracißimi pareranno gli affetti uoftri,ſe da quello che defe derateſenza porui tempo di mezo cominciante. Leggi. Fiamma del ciel si le tue trecce pioua Equi doue il Poeta dimanda aiuto Quando uidi costui nel gran diferto. Miferere di me cridai à lui. A R. Come qui è uitiofo, doue un nụncio corre al palazzo à dan nog ua alla Regina della preſa della città, es ardere etſaccheggiare ogni coſa, o incomincia con lunga narratione,dicendo, id ui dirò diffuſamente il tutto. Ma ritorniamo, hauendo il Porta di mandato aiuto à Virgiliopiù bricue che può gli da notitia diſco perche l'affetto lo pronaua à chiedergli pohc cagione egli ſi trouaſje in quel luo. soſeluaggio,dice. Ma tu perche ritorni à tanta noia? Etfa maggiore il ſuo affetto replia çando, perche non fali il dilettoſo monte. Là onde poiil Poeta pien di mara uiglia di ueder Virgilio, non gli riſponde, ma dà loco allo affetto,et dicca Leggi. orſe tu quel Virgilio, equella fonte, Che parge di parlar si largo fiume, Ripoſi lui con uergognofa fronte, Et piu ritornando all'effetto di primajo de gli altri poeti onor',e tume. AR. Vedi comele Discordia con Giove adirata in tal modo comincia. Parti Giove,che io, la qualeprodußi, et conſeruo il mondo,degna fia di doc uer’eßer biaſmata da ciaſcaduno. AR. Serbati in questo caſo à dimostrare che inte più uaglia la natur ra,che l'arte, o otterrai la credenza del uero che tu uuoi. Dire con uolubi li parolc é ſegno di uerità, l'infigner d'hauerſi ſcordato, il dimostrare die ſere dall'artificio lontario, o lo ejer dulla ucrità commoſſo,il correggerſ daſeſteſſo,lo cſclamare in alcune parti quafi rapito dal uero, o finalmene, te una diligente traſcuragine, & una traſcurata diligentia può far’apparenza diuero.Ecco quanto bene appare,ola modeftia, ola verità ufar la Discordia,doue dice, Etſel mio eſſere pien di miſeria mi ci rende in diſpetto l'effer Dea (coa me tuſei ) onata al gentilißimo modo delfangue two pieghi il tuo anis mo ad aſcoltarmi benignamente. oRati' stato ilmio minacciare più tos fto fegno di diſperatione, che cagion d'odio è di ſdegno che tu mi debbi portare. AR. Et poco dipoi. Io parlerò Gioueaffine di farti pietoſo alla mia miſeria,non con animo d'effer lodatacome eloquente;muoue il dolor la mia lingua,parte,et diſpone a fuo modo le mie parole, o quale id'l ſento nel core tale,à te uegnia allos recchie,cheſenza offer altramente artificioſa,Oornata,affai ti perſuaderà l'oration mia à dolerti di me,la qualedi tanto nonſon conformeallo affan nocleoue quello continuamente m’afflige,queſta toſto fi finirà, o ad ogni richiesta tua s'interromperà,però che qualunque uolta cofa dirò, che mena zogna ti paia ſon contenta di dichiararla,accioche picciolo error nel prin cipio nonſi faccia grande alla fine: AR. Vedi quanto efficaci ſtenote eſclamationi. O‘Amor quanti, o quali ſono le tue forze: AR. Et là doue dice, o felici anime,alle quali in unmedeſimo di auer re il feruente amore o la mortal uita terminare,o piú felicife inſieme ad uno medeſimoluogo n'antaſte, o felicissimi fe nell'altra uitaſi ama.com toi vi amate; come di qua faceste. Questa eſclamationefa parere la cofa uera, ilfalimento bella, la ſentent za degna,o grande,le parole aſpra, o acerba, oil numero fplendida,o generoſa.Al predetto artificio s'aggiungono le parole conuenienti alle cos feale appre nell'ira, le pure, o le fimplici nella comuniſeratione. Leggi. Ahi dolcißimo albergo di tutti imiei piaceri,maledetta fia la crudeltà di colui checon gli occhi della fronte or mi tifa uedcre. Affai m'ora con quelli dellu mēteriguardarti à ciaſcun’hora.Tu hai il tuo corſo finito, et di tale,come la fortuna tel concedette tiſe ſpacciato.Venuto ſe alla fine,alla quale ciaſcun corre,laſciate hai le miſerie del mondo, o le fatiche. AR. Conſidera le parti,le parole, o le figure di questa forma nella effempio ora letto, ote ſimili uſorai nelle occaſioni che ti ucrranno, et uce derai uſcirne opora maraniglioſa. Vodi che cömiferatione ſi truoua in que fe parole. Caro mio signore, fe la tua anima oralcmiclagrimc uede, oniuno i conoſcimentoóſentimento doppo la partita di quella rimane a corpi,rice. dei benignemoute l'ultimo dono di colei, laquale tu uiuendo cotato amasti. Vedi ancora qui la ſomiglianzadel ucro grandemente adopraſi in rio fpondere alle coſe,che potriano eſſer dimandate. Andreuccio,io ſuno molto certa, che tu ti marauigli, & delle carezze,le qualiiori.fo.a delle mie lagrime;si come colui chenon miconoſci,oper quentura mai ricordar nonm'udisti,matu udirai toſto coſa, la quale più tifarà forſe marauigliare, si come è ch'io ſia tua ſorella. AR. Eccoti,che con una coſa più incredibile fa parere il falſo eſer aero. Vſafi questo modo nel raccontare,nello amplificar le lodi, ouero i uituperii delle genti,ouero in narrare le coſe fuori dell'ordine naturali,e rare.Con una antiucduta eſcuſatio::e,come qui, Carißime Donne à me ſipara dinanzi a doucrmifi far raccontare una uerità,che ba troppopiù di quello che ella fu, dimenzognaſembianza. AR. Vera in ſoiamaè quella formadel dire, nella quale confiderata la natura delle coſe la uarietà de gli affetri,la uſanza del uiucre, con prue denza,riguardo dimostra le coſe fuggendo il coſpetto dello artificio, & però molto leggiadramente fidce procedere nell'accurata, obella forme del dire nella quale più vale il numero etl'artificio, che nell'altre.Sicno dun que gli ſpirtidi questa forma partiper tutto il corpo,accompagnati dal Sanguedella bellezza,odal mouimento della celerità del dire,che facila menteſi otterrà il deſiderato fine.Ne gl'affetti grandi,bricui ficno le mem bra,uiusci le parole,nel resto il giudi.io di chi parla habbia luogo.Et qui Na ilfine delleformc o maniere del direin quanto che di ciaſcuna partie samente ſi può dirc. Ma non sarà il finedi esse in quanto bisogna sapere il modo di usarle, ed accomodarle nella civile oratione. Perciò che colui ne oratore, ne erudito parcrebbe il quale come nouel cfſercitaßcle predette maniere daſe steſſe ignude, o inconipote, onde l'artefuafi manifestaffs, oegli di abomincus defatietà, ct fastidio ricmpicſſe le orecchie, o gli animi de gli aſcoltanti, Bella coſa é adunque il meſcolare inſieme le predette forme, o farne una ortima miſtura,dalla quale n'uſcirà l'ottima,o uniuerſale idea della oratio nc; appreſſo la qualeſarà quellà, che mancherà alquanto da quella ottima meſcolanza,cosi di grado in gradofcemundo ilterzo,il quarto, o l'ul timo luogo occuperà l'oratore. Della prima operfetta compofitione dela leformeio non ti trouerei per ls uerità chi in questa lingua potefje, pere che gli ſcrittori di efla hanno hauutaaltra intētione, cheformarela città M dincica dineſca minicra,ben che per quello ch'io ſtimo,non anderà molto, che alcu noci naſcerà atto a questa grandezza,alla quale più tosto manca la fatie ča,che il modo.Ora in quale forma debbia abondarc la eloquenzafaperaiz per che la chiarezza,la ucrità, quella cheaccoſtumata ſi chiama, fono le formeprincipali di tutta la manicra ciuile.Dapoi appreſſo io amerei la celerità del dire con quelle forme poi,che alla grandezzafi danno, tra le quali io eleggerei la comprenſione.Le altre ueramenteſecondo il tempo; er la occafione reggendomi abbraccerei con quella ſcelta, con quella di fcretione che uolentieri,ut non isforzate păreſſero ucnire riel parlar mio Ben'è uero, che molte ſono le intentioni de gli huomini, equelle con dilia genza offer dcono confiderate. Chi uuole de i ſecretidi natura parlare, bo delle coſe morali dee abondar'in grandezza senza alcuno volubile movimeto. Chi ueramente cerca narrare ifatti de mortali,comeſi fa nella iſtoria, elleggerà la ſchiettezza,ocleganza,nella quale è ripoſto l'ordine delle co fe,cu dei tempi,a riguarderà primai conſigli,ale deliberationi, poi le attioni, o ifatti,o finalmente gli auenimentio fucceßi. Neiconſigli di moſtrerà quelloche deue cffer lodato,o quello che merita biaſimo nelle at tioni,i fatti,ole parole,ilmodo, il fine. Et ne ifucceßi dimostrerà ció the alla uirtù,o ciò che alla fortunafi deve attribuire.Chi ne ifenati uud l'esprimere la forza dell’eloquenza,perche il peſo delle coſe ſară poſto fore. pra lepalle di chiragiona, biſogna abondare in grandezza,o dignità, di mostrar cura openſamento,il che non uale ne i giudicij, ſe non ſono di coi. Le graui,aimportanti,perche in eſſe più fimplicità,baſſezzaſi ricerca, eſſendo quegli per lo più di coſe edi buominipriuati. Nel difendere, ale fai uale la forma accoſtumata, obalfa,ſe non quando arditamente il fatto Rinega. Poco ancora ui ſi vedrà di uolubile,o presto mouimento. Ma non. cosi nello accuſare,douc oajpro, uecmente,o uiuo cſer dee l'accuſato re. Chi lola. fi dee dare alla bellezza,o al diletto, o apprezzare lo fplene dore fenza ucсmenza, o celerità. Et in brieuc,biſogna aprir gli occhi; eje nello imitare i dotti,o eccclenti huomini.ſi richiede conſiderare; di che for ma eßt ſieno più abondanti,o di che meno;accioche ſapendoper qual caz glorie eß istatilicno tali,ancora non ſia tolto il potere à gli studioſi di ace coſtarſi loro, o aguagliarli,o le poßibilc é,che pureé paßibile al modo già detto di ſuperargli. Et chi.pure non uoleſſe la fatica,poteße almeno giudicare i loro fecreti. Molti, o minuti ſono i precetti d'intorno a questo offercitio,maio non uoglio più affaticarmi,effendo quegli in molti,o gran di uolumi ordinatamente ripoſti, oltra che ilnostro diſcorſo à niunopuò på rere terc imperfitto,quando egli uoglia la noſtra intentione riguardare,laqua le è stata di fare i fondamenti della eloquenza, auuertire di quanta co gnitione elſer debbia chi à quella ſi dona; sopra i quali fondamenti ſono for date l'articelle de' maeſtri, o gli esercitij de' giovanetti. Baſtiti, ô Dinare do, che tu ſia giunto là, doue di giugnere deſideraui, o che tu habbi ueduto un circolo della tanto deſiderata cognitione. Però che dalle parti dell'anie ma incominciaſti,o in eſſe ſei ritornato,hauendo il corſo tuo ſopra di natů ra, ci sopradi me fornito, come sopra due rote di quel carro,cheper lo apet to cielo ti condurrà uittorioſo, o trionfante. Daniele Matteo Alvise Barbaro. Daniele Barbaro. Keywords: archittetura, palladio, prospettiva, retorica, ordine cronologico: Ermolao Barbaro il vecchio – Ermolao Barbaro il giovane – Daniele Barbaro – Temisto, index nominorum, interpretazione e commentario di Barbaro sul commentario di Tesmisto sull’analitica posteriora – manoscritto, Bologna. Manoscritto delle ‘Adnotationes ad analyticos priores’ – commentario diretto su Aristoele e no via Temisto – Villa Barbaro – lezione privati di Barbaro sull’organon di Aristotele – analytica priora e analytica posteriora, non al studio GENERALE, ma alla sua propria villa!. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Barbaro – il vecchio – filosofia italiana – filosofia veneziana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo italiano.  Umanista --. Grice: “As much as Speranza LOVES Daniele Barbaro, I prefer Ermolao Barbaro; after all, he was his uncle – I mean, Ermolao was Daniele’s uncle – and therefore HE taught HIM; I mean, Ermolao, as a good philosophical uncle, taught the ‘minor’ (literally, since he was his junior) Barbaro.”  "Some like Barbaro, but Barbaro's MY man." Ermolao Barbaro detto il Vecchio. Umanista e vescovo cattolico italiano.  Sendo stato uomo degnissimo, m'è paruto farne alcuna menzione nel numero di tanti singulari uomini, acciocché la fama di sì degno uomo non perisca (Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV). Ancora bambino comincia a studiare lettere conVeronese, e il successo di quest'accoppiata allievo-maestro fu tale che tradusse in latino le favole d’Esopo. Fece poi i suoi studi universitari a Padova dove si laurea. Successivamente si trasfee a Roma dove entrò al servizio della cancelleria papale. La sua carriera nella curia romana fu così fulminea che Eugenio IV lo nomina protonotario apostolico e gli concesse la diocesi di Treviso. Il rapporto con il pontefice, però, si interruppe bruscamente quando, dopo che gli era stata promessa la nomina a vescovo di Bergamo, il papa assegna il posto a Foscari.  Lascia Roma e viaggiò per l'Italia ma, dopo una serie di peregrinazioni, tornò a lavorare in curia. Si trasfere poi a Verona dove Niccolò V lo designa vescovo e dove si sistemò in pianta stabile, tranne una breve parentesi a Perugia come governatore. Messer Ermolao Barbaro, gentiluomo viniziano, fu fatto vescovo di Verona da papa Eugenio, per le sue virtù. Ebbe notizia di ragione canonica e civile, ed ebbe universale perizia di teologia, e di questi istudi d'umanità; ed ebbe nello scrivere ottimo stile. Fu di buonissimi costumi, e nel tempo di papa Eugenio si ritornò a Verona al suo vescovado, e attese con ogni diligenza alla cura, e vi accrebbe assai e onorò e multiplicò il culto divino. Era umanissimo con ognuno. Ridusse nel suo tempo il vescovado in buonissimo ordine, così nello spirituale come nel temporale. Aveva in casa sua alcuni dotti uomini, in modo che sempre vi si disputava o ragionava di lettere; ed era la sua casa governata, come si richiede una casa d'uno degno prelato. S'egli compose (che credo di sì) non ho notizia alcuna. Compose. Nulla se ne ha alle stampe trattane qualche lettera, ma più opuscoli manoscritti se ne hanno in alcune biblioteche, e fra essi la traduzione della Vita di S. Anastasio scritta da Eusebio di Cesarea. Note  Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, ed. Barbera-Bianchi, Firenze. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, ed. Firenze, Vol. VI, pag. 808  Società storica lombarda, Archivio storico lombardo, ser.4:v.7, L'Umanesimo umbro: Atti del IX Convegno di studi umbri. Gubbio, 22-23 settembre, 1974, Perugia, Vespasiano da Bisticci, cit. pag. 195  Girolamo Tiraboschi, cit. pag. 808 Opere (alcune moderne edizioni italiane)  Ermolao Barbaro il Vecchio. Orationes contra poetas. Epistolae. Edizione critica a cura di Giorgio Ronconi.Firenze: Sansoni, Facolta di Magistero dell'Universita di Padova Ermolao Barbaro il Vecchio. Aesopi Fabulae. A cura di Cristina Cocco. Genova: D.AR.FI.CL.ET., Trad. italiana a fronte Hermolao Barbaro seniore interprete. Aesopi fabulae. A cura di Cristina Cocco, Firenze: Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2007. Il ritorno dei classici nell'umanesimo. Edizione nazionale delle traduzioni dei testi greci in eta umanistica e rinascimentale. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, ed. Firenze, Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, ed. Barbera-Bianchi, Firenze, 1859. Pio Paschini, Tre illustri prelati del Rinascimento: Ermolao Barbaro, Adriano Castellesi, Giovanni Grimani, Roma, Facultas Theologica Pontificii Athenaei Lateranensis, 1957. Emilio Bigi, Ermolao Barbaro, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 6 luglio 2018. Voci correlate Ermolao Barbaro il Giovane Collegamenti esterniDavid M. Cheney, Ermolao Barbaro il Vecchio, in Catholic Hierarchy. Predecessore Vescovo di Treviso Successore Bishop CoA PioM.svg Lodovico Barbo Marino ContariniPredecessoreVescovo di VeronaSuccessoreBishopCoA PioM.svg Francesco CondulmerGiovanni Michiel · Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Treviso Portale Treviso Venezia Portale Venezia Categorie: Umanisti italianiVescovi cattolici italiani Nati a Venezia Morti a Venezia BarbaroVescovi di TrevisoVescovi di VeronaTraduttori dal greco al latino. Ermolao Barbaro, il vecchio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Barbaro – il giovane – filosofia veneziana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo italiano. Grice; “Very good.”, ermolao – the younger – il giovane, non il vecchio --  "Speranza likes Ermolao Barbaro the Younger, but Ermolao Barbaro The Elder is MY man." -- H.G. Ermolao Barbaro il Giovane. Avea profondamente meditato sopra i doveri che impone il carattere di legato a chi lo sostiene e sopra le avvertenze che devono servirgli di norma nella pratica degli affari, ónde servir con vantaggio il proprio governo e riportare onore anche da quello presso di cui risiede. Ei ne ha indicate le tracce in un pregevolissimo opuscolo  in cui la prudenza apparisce compagna della onestà del candore, ed è venuto a delineare in certa guisa il suo ritratto. Ma lo stesso suo merito fu a lui cagione di grave calamità. Cardinale di Santa Romana Chiesa Hermolaus Barbarus Ritratto di Ermolao Barbaro, opera di Theodor de Bry. Patriarca di Aquileia. Ordinato presbitero. Nominato patriarca da papa Alessandro VI. Consacrato patriarca. Creato cardinal da papa Innocenzo VIII. Ermolao Barbaro detto "Il giovane" -- è stato un umanista, patriarca cattolico e diplomatico italiano, al servizio della Repubblica di Venezia. Comincia l'educazione elementare con il padre Zaccaria Barbaro, politico e diplomatico veneziano, poi in tenerissima età e mandato a Verona dal pro-zio Ermolao Barbaro, vescovo della città e umanista di fama, per studiare lettere latine con Bosso. Per perfezionarsi passa a Roma dove ha come insegnanti prima Leto e poi Gaza. Un cursus studiorum concluso con successo. E laureato poeta, a Verona, da Federico III. Segue a Napoli il padre, titolare dell'ambasciata veneziana, e proprio nella città partenopea scrive la sua prima opera ovvero il “De Caelibatu”.  Traduce tutto Temistio, pubblicato poi, in parafrasi. Tornato in Veneto consegue a Padova il dottorato in arti e quello in diritto civile e canonico. Subito dopo fu nominato titolare della cattedra di etica. Come professore insegna soprattutto sulla Nicomachea di Aristotele, mettendo in guardia i suoi studenti dalle traduzioni in latino di Aristotele e predicando il ritorno alla traduzione diretta dal greco, proprio come face lui. Sono infatti di quegli anni i commentari all'Etica e alla Politica e la traduzione della Retorica. Abbandonato l'insegnamento  accompagna nuovamente il padre in missione diplomatica a Roma. E promosso senatore della Repubblica di Venezia e ma stavolta in veste ufficiale, si reca a Milano con il padre per una nuova ambasceria. Il primo incarico diplomatico arriva quando, insieme a Trevisano, rappresenta a Bruges la Serenissima in occasione dei festeggiamenti per l'incoronazione a ‘re dei romani’ di Massimiliano d'Asburgo e nell'occasione fu investito cavaliere. Dopo un'esperienza come savio di terraferma, e finalmente nominato ambasciatore residente a Milano dove si accredita e rimane in carica. Venne creato cardinale in pectore d’Innocenzo VIII nel concistoro, ma non venne mai pubblicato. L'ottima gestione della legazione veneziana a Milano, in tempi davvero turbolenti come quelli della reggenza di Ludovico il Moro, gli vale un anno dopo la nomina ad ambasciatore a Roma alla corte d’Innocenzo VIII. Ed e qui che avvenne la catastrofe.  Il giorno dopo la morte del patriarca di Aquileia Marco Barbo, Ermolao erasi recato all'udienza del papa, per fare istanza acciocché fosse differita la nomina del patriarca successore, finché il senato non gli e ne avesse presentato, secondo il consueto, la nomina. Ma il papa, senza punto badare a cotesta istanza, nomina lui appunto in patriarca di Aquileja; aggiungendogli, essere questa grazia una giusta ricompensa al suo sapere ed alla sua virtù. Il Barbaro in sulle prime si rifiutò dall'accettare la dignità, che il pontefice conferivagli; ma quando Innocenzo gli e lo comandò in virtù di santa ubbidienza, si vide costretto a sottomettervisi ed obbedire. Allora il papa sull'istante lo vestì del rocchetto, di cui, per darglielo, si spogliò uno dei cardinali colà presenti; e poscia in pieno concistoro fu preconizzato patriarca di questa Chiesa. La procedura era rigorosamente contraria alle leggi della repubblica che vietavano ai propri ambasciatori, senza la previa autorizzazione del senato, di ricevere incarichi o nomine dai principi presso i quali erano accreditati. Allora, per giustificare la violazione procedurale, il Papa scrisse una lettera al Doge chiedendogli di confermare la nomina, ma il Consiglio dei Dieci, competente in materia, delibera comunque che Barbaro deve rinunciare al patriarcato. Cosa che, dopo un po' di tira e molla, prontamente fa. Scelse, per farla più solenne, la circostanza del giovedì santo alla presenza del papa e di tutto il sacro collegio. Ma il papa non la volle accettare. Né l'obbedienza sua agli ordini del senato basta per anco a giustificarlo. Poco avveduto, non pensa di spedirne a Venezia la stessa sua dimissione al senato, ad onta dell'opposizione del pontefice; mostrandosi dal canto suo per tal guisa fedele ed obbediente alle leggi del suo governo. Più avrebbe inoltre dovuto lasciar Roma e ritornare a Venezia. Ov'egli si fosse regolato così, l'affare avrebbe cangiato di aspetto, e sarebbesi ridotta ad una semplice controversia di giurisdizione tra la corte di Roma e la Repubblica di Venezia. Ma essendo rimasto in quella capitale, ad onta della fatta rinunzia, né avendone dato avviso al senato, egli fu riputato veramente colpevole in faccia alla legge, e perciò costrinse il senato ad usare verso di lui ogni misura di rigore. Come risultato di questo pasticcio fu bandito perennemente dalla repubblica e interdetto da qualsiasi ufficio pubblico e privato. Quanto al patriarcato di Aquileia, tecnicamente, ne rimase titolare ma il senato oltre ad avergli impedito, con l'esilio, di recarvisi fisicamente, ne congelò le rendite patriarcali e nomina Donato in suo vece, anche se la nomina non fu ratificata dal papa. Ne deriva una situazione di stallo, durante la quale la diocesi patriarcale fu amministrata da Valaresso (anche Valleresso), vescovo di Capodistria, con il titolo di Governatore generale. Barbaro rimase a Roma dove decise di dedicarsi a tempo pieno ai suoi studi. Pparticolarmente importanti, oltre alla composizione di Orationes et Carmina in latino e alla pubblicazione delle “Castigationes Plinianae,” disputazioni scientifiche sulle imprecisioni e sulle invenzioni della Naturalis historia di Plinio,  sono l’epistolario filosofico che si scambiò con Poliziano e Pico, che, insieme, costituirono un vero e proprio «triumvirato, a que' giorni potente e celebratissimo nelle scienze e nelle lettere. E sventuratamente colto dalla pestilenza che serpeggia nell'agro romano. Giunta a Firenze la nuova del suo pericolo trafisse altamente il cuore dei due suoi celebri amici Poliziano e Pico. Si lagnavano essi che la sua perdita seco involge il destino delle buone lettere, sembrando loro che in un sol uomo pericolasse l'onere delle cose romane. Pico anzi volle tentar di soccorrerlo, inviandogli col mezzo di suo corriere un antidoto ch'ei medesimo componeva e che credeva atto a domare il morbo pestilenziale. Ma quando arriva a Roma l'espresso, era di già passato tra gli estinti. Note  De Legato, recuperato dal cardinal Quirini da un codice della Vaticana e stampato per la prima volta nelle annotazioni alla Deca II della sua Thiara et purpura veneta  Giovanni Battista Corniani, Camillo Ugoni, Stefano Ticozzi, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, Torino, Contemporaries of Erasmus, op. cit.91  Bruno Figliuolo, Il Diplomatico E Il Trattatista: Ermolao Barbaro Ambasciatore Della Serenissima, Napoli, Guida Editori, Bettinelli, Risorgimento d'Italia negli studj, nelle arti, e ne' costumi dopo il mille, Bassano, Bettinelli, cit.219  Antonino Poppi, Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Rubbertino, Branca, La sapienza civile: Studi Sull'umanesimo a Venezia, Firenze, 1988,67  Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Firenze, Cappelletti, Le chiese d'Italia della loro origine sino ai nostri giorni, Venezia, Cappelletti, Bernardi, Ermolao Barbaro o la scienza del pensiero dal secolo decimoquinto a noi, Venezia, 1851,12  I secoli della letteratura italiana, Bettinelli, Risorgimento d'Italia negli studj, nelle arti, e ne' costumi dopo il mille, Bassano, Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Firenze, 1846 Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia della loro origine sino ai nostri giorni, Vol. VIII, Venezia, 1851 Jacopo Bernardi, Ermolao Barbaro o la scienza del pensiero dal secolo decimoquinto a noi, Venezia, Giovanni Battista Corniani, Camillo Ugoni, Stefano Ticozzi, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, Torino, 1855 Vittore Branca, La sapienza civile: Studi Sull'umanesimo a Venezia, Firenze, 1988 Bruno Figliuolo, Il Diplomatico E Il Trattatista: Ermolao Barbaro Ambasciatore Della Serenissima, Napoli, Guida Editori, 1999 Antonino Poppi, Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Rubbertino, 2001Thomas Brian Deutscher, Contemporaries of Erasmus: A Biographical Register of the Renaissance and Reformation, University of Toronto Press, 2003 Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Ermolao Barbaro il Giovane Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ermolao Barbaro il Giovane Collegamenti esterni Ermolao Barbaro il Giovane, su Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Ermolao Barbaro il Giovane, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Opere di Ermolao Barbaro il Giovane, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.Opere di Ermolao Barbaro il Giovane, su Open Library, Internet Archive.David M. Cheney, Ermolao Barbaro il Giovane, in Catholic Hierarchy.Salvador Miranda, BARBARO, iuniore, Ermolao, su fiu.edu – The Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International University. Ermolao Barbaro, in Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Emilio Bigi, BARBARO, Ermolao, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 6, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, PredecessorePatriarca di AquileiaSuccessorePatriarchNonCardinal PioM.svg Marco Barbo Nicolò Donà Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Umanisti italianiPatriarchi cattolici italianiDiplomatici italiani Nati a VeneziaMorti a RomaBarbaroAmbasciatori italianiPatriarchi di AquileiaTraduttori dal greco al latino[altre] Ermolao Barbaro. Keywords: il celibato, lettera a Pico, lettera a Poliziano, traduzione della retorica, commentario all’etica nicomachea, comentario alla politica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – The Swimming-Pool Library.

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