Luigi Speranza -- Grice e Rosso: all’isola --
la ragione conversazionale all’isola -- a Sicilia – la scuola di Palermo – la
scuola di Corleone -- filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Corleone). Flosofo siciliano. Filosofo italiano.
Corleone, Palermo, Sicilia. Scrive tre saggi. Il primo e “Varie cose notabili
occorse in Palermo ed in Sicilia”. Il secondo e “Descrizione di tutti i luoghi sacri
della felice città di Palermo”. Descrive le chiese di Palermo. Questo saggio è
ricordato in vari altri saggi. Il terzo saggio e “Diario Palermitano”. Il
comune di Palermo gli dedica una via. Biblioteca
storica e letteraria di Sicilia: Mira/bibl Siciliana. Ciccarelli e Valenza, La
Sicilia e l'Immacolata. Atti del convegno,
Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia, Electa, Roma. Istituto di
studi bizantini e neo-ellenici, Rivista di studi bizantini e neo-ellenici. Marzo,
Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Opere storiche inedite. Valerio
Rosso. Rosso. Keywords: filosofia siciliana, filosofia italiana. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rosso” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Rota: la
ragione conversazionale e la lavagna del gruppo di gioco – la scuola di Vigevao
-- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vigevano). Filosofo lombardo. Filosofo italiano.
Vigevano, Pavia, Lombardia. Italian philosopher. Grice: “Many Italian
philosophers would not consider Rota an Italian philosopher seeing that he
earned his maximal degree without (not within) Italy! And right they would, too!” Saggi:
“Pensieri discreti” (Garzanti). Dizionario biografico degl’italini. Palombi,
“La stella e l’intero – la ricercar di Rota tra matematica e fenomenologia”
(Boringhieri); Senato, “Matematico e filosofo” (Springer). Gian-Carlo Rota. Rota. Aune: “I left the play group
when I realised that Grice could care less about blackboards!” -- Keywords: il
primate dell’identita, Whitehead, fenomenologia, Husserl, Heidegger, tra
fenomenologia e matematica, la stella e l’intero, discrezione, indiscrezioni,
combinatoria e filosofia, la lavagna del gruppo di giocco. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Rota," per
il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Rotondi: la
ragione conversazionale a Roma antica – la scuola di Vivocaro -- filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicovaro). Filosofo lazio.
Filosofo italiano. Vicovaro, Roma, Lazio. I primi anni di attività della sua “libreria
delle occasione” sono piuttosto travagliati in quanto le autorità fasciste,
infastidite dalla tipologia eterodossa dei testi in vendita, operano diversi
sequestri e infliggono sanzioni. Costretto a chiudere la libreria per evitare
il richiamo alle armi della repubblica sociale. Considerato disertore, si
rifugia con la famiglia a Vicovaro. Individuato in seguito ad una delazione,
riesce fortunosamente a sfuggire alla cattura e si allontana verso le montagne
che circondano il paese, inseguito dappresso da tedeschi. Disperando di potersi
salvare, si nasconde nei pressi di una casa abbandonata, popolarmente ritenuta
abitata dagli spiriti e qui avviene l'evento fondamentale sopra descritto che
cambia la sua vita e le sue convinzioni, aprendolo alla conoscenza del mondo
spirituale. Improvvisamente ha una visione folgorante nel nielo. Sedetti a
contemplare la scena. Una catena di globi luminosi dall'alto scendevano fin
giù, penetravano nella terra, poi altri che risalivano e poi ridiscendevano
come per riunirsi in un misterioso convegno. Si senteno delle voci indistinte.
Si trattiene ad osservare tale spettacolo misterioso salvandosi, in questo
modo, dal rastrellamento in corso nel vicino paese di Roccagiovine. Questo
primo decisivo contatto con il para-normale
raccontato in "Il protettore invisibile". Tale evento
rappresenta l'inizio del suo studio e del suo interesse nei confronti
dell'esoterismo e della spiritualità. Pubblica massime, proverbi e aforismi di
Roma antica. Dà alle stampe “L’arte del silenzio e l’uso della parola”, un
originale e lungimirante saggio il cui intento si manifesta già dalla dedica,
firmato con lo pseudonimo di Vico di Varo, derivato chiaramente dal suo paese
natale. Viene incaricato di redigere un opuscolo commemorativo in occasione
dell'inaugurazione in Vicovaro del Monumento in onore delle vittime della
strage nazista delle Pratarelle. Svolge una funzione di aggregazione e
catalizzazione culturale in anni difficili in cui certi ambiti di studio
venivano guardati con sospetto, quando non con manifesta ostilità. Partecipa
e svolge un ruolo tutt'altro che secondario nel Cerchio Firenze, una delle più
importanti esperienze para-psicologiche collettive italiane. Lui la sua
libreria, sono ormai un punto di
riferimento di tutto un mondo culturale in espansione e finalmente libero da
ogni censura. Pubblica titoli presso
diverse case editrici -- Mediterranee, Astrolabio, Sugarco, S.A.S. --, firmandoli
oltre che con il suo vero nome con il pseudonimo ‘Amadeus Voldben’, acronimo di
“Volontario del Bene”. Tale nome d’arte sta ad indicare la missione che si e
prefisso e che delinea nel libriccino “I volontari del bene”, vera e propria
bibbia per tutti coloro che si riconoscono nel progetto di diffusione del bene.
Oltre al valore intrinseco degli
scritti, sono le riunioni e la sua stessa presenza in libreria a suscitare
curiosità e interesse presso un pubblico molto ampio che vede in lui una guida
spirituale in grado di fornire suggerimenti mai banali e, da educatore, sempre
comprensibili. Dietro la sua apparente severità, che è semplicemente rifiuto
della superficialità, traspare la disponibilità e l'umanità, accessibili a
chiunque si sforzi di varcare un civico di via Merulana. Si caratterizza
da una produzione culturale ed una serena consapevolezza. Regala gemme di
saggezza e consigli. Oltre ai testi pubblicati lascia altri scritti, alcuni
pronti per la stampa altri bisognosi di revisione, che vengono pubblicati da i
quali si sono impegnati a proseguire l'attività in libreria, mantenendosi
fedeli all'impostazione originaria da lui delineata. La libreria riceve il
riconoscimento di "negozio storico" da parte del Comune di
Roma. Opere: Saggezza ” (I della collana Le Perle, ristampato da
Astrolabio. L'arte del silenzio e l'uso della parola, ristampato dalla Libreria
Rotondi; Saggezza di Roma antica, collana Le Perle). Saggezza dell'antica
Grecia, collana Le Perle). Amore e saggezza nel pensiero, collana Le Perle). Il
giardino della saggezza, collana Le Perle). “Dopo Nostradamus: le grandi
profezie sul futuro dell'umanità” (Mediterranee); “Un'arte di vivere: via segreta
alla serenità” (Mediterranee); “La coppa d'oro: insegnamenti dei maestri, fonte
di luce e di energia, SAS; Le influenze negative: come neutralizzarle, SugarCo,, Il protettore invisibile: la guida che ci
aiuta nei momenti difficili della vita, Mediterranee, La voce misteriosa,
Astrolabio; Lo scopo e il significato della vita: perché si nasce, perché si
vive, perché si muore, Mediterranee, I prodigi del pensiero positivo: il suo
potere e la sua azione a distanza, Mediterranee, Il destino nella vita dell'uomo,
Mediterranee, La re-incarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee, La
potenza del creder e la gioia d'amare: i prodigi della fede e dell'amore,
Mediterranee, Una luce nel tuo dolore,
Mediterranee); “Guida alla padronanza di sé, Mediterranee, La magica potenza
della preghiera, Mediterranee); La chiave della vita, Mediterranee, La presenza divina in noi, Mediterranee, Le
leggi del pensiero: l'energia mentale e l'azione della volontà, Mediterranee);
Le grandi profezie sul futuro dell'umanità, Mediterranee. La potenza creatrice
del pensiero, Mediterranee, Pensieri per una vita serena, Mediterranee); “Ricordo
dei nostri martiri. Commemorazione in occasione dell'inaugurazione del
monumento ai martiri delle PratarelleVicovaro, Tipografia Seti, Roma); “I
Volontari del Bene” (Libreria Rotondi Editrice, Roma); “Reincarnazione e
fanciulli prodigio, Mediterranee, Roma, La reincarnazione: verità antica e moderna,
Mediterranee); “La voce misteriosa”; “Le perle”. L’arte del silenzio e l’uso
della parola. La Libreria Rotondi è segnalata in molte pubblicazioni, tra cui
la Guida ragionata alle librerie antiquarie e d'occasione d'Italia, C. Messina,
Roma); A. Voldben, Il protettore invisibile, Edizioni Mediterranee, Roma, La sua partecipazione agli incontri del
Cerchio Firenze è ricordata in “Oltre l'illusione, Roma, Mediterranee, e “Oltre
il silenzio” L. Campani Setti, Roma, Mediterranee). Dopo Nostradamus, I prodigi
del pensiero positivo, Le influenze negative, Il protettore invisibile: Molte persone
si rivolgevano a Rotondi per ricevere consigli. Una testimonianza letteraria di
questa consuetudine si trova nel romanzo di Giovetti Weimar per sempre (Mediterranee, Roma)
in cui il personaggio si reca presso la Libreria delle Occasioni per ricevere
suggerimenti su questioni spirituali e libri. Libreria Rotondi, Libreria delle
Occasioni (La libreria fondata da Rotondi) La piccola miniera (da Il Corriere
della Sera) Il libraio di via Merulana e i globi luminosi (da La Repubblica)
Cerchio Firenze (Esperienza
parapsicologica collettiva) Andiamo alla scoperta (da La Piazza di Castel
Madama. ‘Vico di Varo’. Amedeo Rotondi.
Rotondi. Keywords: Roma antica, antica Roma, le perle, Vicovaro, filosofia
fascista, il veintennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rotondi” –
The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Rovatti: la
ragione conversazionale dei giocchi e gl’uomini – la scuola di Modena -- filosofia
emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Modena). Filosofo Emiliano.
Filosofo italiano. Modena, Emilia-Romagna. Grice: “I do not know any other philosopher other than
me or Austin who, like Rovatti, is obsessed wiith the concept of a ‘game’!” Studia fenomenologia a Milano con PACI. Insegna a
Trieste. Si occupa dei rapporti tra fenomenologia e marxismo pubblicando “Critica
e scientificità in Marx” e poi focalizzando in vari saggi il tema dei bisogni
con riferimento anche alla psico-analisi. Le questioni concernenti il “pensiero
debole” diventano il punto di partenza di “La posta in gioco: il soggetto”
(Bompiani, Milano); “Abitare la distanza”, “Il paiolo bucato: la nostra
condizione paradossale” (Cortina, Milano); “La follia in poche parole”
(Bompiani, Milano); “L'esercizio del silenzio”; “Possiamo addomesticare
l'altro? La condizione globale” (Forum, Udine); “Inattualità del pensiero
debole” (Forum, Udine). Queste questioni riguardano soprattutto la possibilità
di una «logica paradossale» e si articolano intorno ai temi del gioco,
dell'ascolto e dell'alterità, tutti collegati alla questione della soggetto. Saggio
su PACI. Dalla filosofia del gioco nascono anche “Per gioco: piccolo
manuale dell’esperienza ludica” (Cortina, Milano); “La scuola dei giochi”
(Bompiani, Milano); “Il gioco di Wittgenstein” (EUT, Trieste). Si interessa alla
consulenza filosofica, con “La filosofia può curare? La consulenza filosofica
in questione” (Cortina, Milano). Altre saggi: “Il coraggio della filosofia” in «aut
aut». Tiene una rubrica sul quotidiano "Il Piccolo" di Trieste,
“Etica minima”. Racoglie "scritti corsari" (cfr. Pasolini) in vari saggi:
“Etica minima – saggi quasi corsair sull’anomalia italiana” (Cortina, Milano); “Noi,
i barbari – la sotto-cultura dominante” (Cortina, Milano); “Un velo di sobrietà”
(Saggiatore, Milano); “Accanto a una sensibile sintonia”. Si manifesta nella
sua filosofia una particolare attenzione sul rapporto tra potere e sapere; “Gli
ego-sauri” (Elèuthera, Milano); “Le nostre oscillazioni” (Collana Edizioni
alpha beta Verlag, Merano); “L’intellettuale riluttante” (Elèuthera, Milano); “Restituire
la soggettività. Lezioni sul pensiero di Basaglia” (alphabeta, Merano); “Consulente
e filosofo. Osservatorio critico sulle pratiche filosofiche” (Mimesis, Milano);
“Abitare la distanza. Per una pratica della filosofia” (Feltrinelli, Milano); “Scenari
dell'alterità, Bompiani, Milano); “Il decline della luce” (Marietti, Genova); L'università
senza condizione” (Cortina, Milano); “Fare la differenza” (Triennale di Milano,
Milano); “Introduzione alla filosofia contemporanea, Bompiani, Milano); “Lettere
dall'università, Filema, Napoli); “Trasformazioni del soggetto: un itinerario
filosofico” (Poligrafo, Padova); “Dizionario dei filosofi” (Bompiani, Milano);
“Elogio del pudore: per un pensiero debole” (Feltrinelli, Milano Intorno); “Il
pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); “Bisogni e teoria marxista” (Mazzotta,
Milano); “Critica e scientificità in Marx: per una lettura fenomenologica di
Marx e una critica del marxismo di Althusser (Feltrinelli, Milano); “La dialettica del processo” (il Saggiatore,
Milano). aut aut. R.: il pensiero
debole, sul RAI Filosofia. Grice: “As
Rovatti shows, it is possible to conceive of conversation as a GAME, with its
own RULES, and MOVES. Pier Aldo
Rovatti. Rovatti. Keywords: i giocchi e gl’uomini --. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rovatti” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Rovella: FILOSOFO
SICILIANO, NON ITALIANO -- all’isola -- la rgione conversazionale all’isola -- querce,
o della filosofia siciliana – l scuola di Acreide – la scuola di Siracusa –
filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Acreide). Filosofo siciliano. Filosofo italiano.
Acreide, Siracusa, Sicilia. Studia a Ispica e Catania sotto CARBONARA,
laureandosi con un saggio di estetica, sul rapporto fra contenuto -- o materia --
e forma. Insegna a Noto e Palazzolo. Pubblica “L'uomo” (Giannini, Napol). In una
serrata discussion affronta la meta-fisica ed espone il suo convincimento che
la ricerca senza condizioni, attraverso l'intelligenza attiva e creatrice può
aprire all'uomo orizzonti creativi, seppur rischiosi. La meta-fisica imprigiona
in schemi rigidi e vincolanti. Pervenire all'auto-coscienza è il compito più
degno degl’uomini, che pur problematico in sé non rimaneno imprigionati nel
problematicismo. Altre opera: “Deneb” (Caltanissetta, Roma), romanzo filosofico
che narra la pulsione verso l'oltre, attenuando, così, la precedente critica
verso la meta-fisica e aprendo verso il mistero che comporta il confronto con
tre donne che rappresentano tre volti diversi della verità. La stella “Deneb” è
metafora della pulsione verso l'alto. Abbondano i riferimenti autobiografici da
cui emerge l'attaccamento alla casa natia, che non abbandona, alla famiglia e
soprattutto ad un modello di vita contadina morigerata e sobria. Lo stile è
affabulante. L'auto-coscienza e il trionfo della morte in GENTILE in Il pensiero di Gentile (Enciclopedia
Italiana, Roma). Qui si esamina il momento finale della vicenda umana e filosofica
di GENTILE alla cuia filosofia è legato. “L'errore del cerchio” (Siracusa).
Predomina il colloquio interiore, lo scavo nella coscienza e nella memoria.
Procede come un giallo. Un tema attraversa gl’avvenimenti, la libertà e la
necessità di un suo contenimento. “La fattoria delle querce” (Caruso, Siracusa).
L’epopea della famiglia siciliana Capobianco, governata da una donna e
sviluppata attraverso un intrigo di personaggi e di vicende. I discendenti
Capobianco sono identici agl’ante-nati, e la ricerca della genealogia è il
problema più assillante per i personaggi. Il mito dell'eterno ritorno
dell'identico li e caro. Rimane sempre legato ai miti. Fisiognomica,
astrologia, venti, odori e turbamenti fanno di questa opera un esempio di
scrittura immaginifica e personale. Filosofia di non di facile consume traccia
una “Imago siciliae”. Nella stessa aura de La fattoria sono scritti i
racconti. Cambia di nuovo argomento, inizia quella che lui chiama “la fase
cristica”, in cui la figura di Cristo e il rapporto fra le religioni sono il
tema dominante. “L'ora del destino, dramma in due atti” (Accademia
Casentinese di Lettere, Arti, Scienze ed economia, Castello di Borgo alla
Collina, Arezzo, L'Ora in persona di una
donna consola il crocifisso che muore quando una congiuntura astrale perviene
al suo compimento. In “Vita di Gesù” (Prospettive d'Arte, Milano) Gesù è
visto nella sua umanità. La narrazione segue lo sviluppo dei vangeli sinottici,
con qualche incursione negl’apocrifi. L'autore, che pur ne ha le competenze, si
tiene lontano dalle problematiche gesuologiche e cristologiche. Vuole narrare
un Gesù “così come parla al cuore”. L'Angelo e il Re, con prefazione di Pazzi
per i tipi di Palomar Bari. I nove mesi di gravidanza di Maria vergine sono
narrati con un andamento che si mescola di esoterismo e sapienza umana. Maria
spesso, nel mistero del suo concepimento, nella sua realtà quotidiana, vive le
vicende del suo quartiere, con le sue amiche, con qualche momento di gioia
esaltata e prorompente, con un tratto zingaresco. Attratto da zingari e
vagabondi di passaggio, come incarnazione di una libertà che abbiamo
smarrita. “Le Madri” (Utopia, Chiaramonte Gulfi). Vi si sente l'eco di
Bachofen. Breve raro capolavoro, pieno di mistero e poesia, di un potere magico.
“Asvamedha” (Utopia, Chiaramonte Gulfi) raccoglie racconti; “Inizio d'amore” (Studi
Acrensi, Palazzolo Acreide) raccoglie altri racconti che l'autore pubblica in
varie riviste letterarie nazionali, a cura dell'Istituto Studi Acrensi
Palazzolo Acreide. I racconti, dice l'autore, vivono nell'aura dei romanzi di
questo periodo. “La vigna di Nabot, dramma in IV quadri” (Associazione
Amici di Rovella, Palazzolo Acreide) narra le vicende del ersonaggio che
incontriamo nel primo libro dei Re Cap. 21. La prepotenza dei potenti e la
sacralità della terra dei padri sono il filo conduttore del dramma. Nabot muore
per una questione di coerenza. Scuderi, La fattoria delle Querce, in Le
Ragioni critiche, Menichelli in Esperienze letterarie, Jacobbi, Il miracolo Deneb, in Arenaria,
Palermo, Vettori, Il miracolo di Deneb e le profezie di Ruggero, Arenaria, Monachino
Ester, Considerazioni su un romanzo di Rovella, in Le Ragioni critiche,
Catania, E. Messina, Dal bagolaro alla sequoia” (Romeo, Siracusa); Messina,
Alle radici del pensiero. La presenza dei suoi maestri” (Romeo, Siracusa). Giuseppe
Rovella. Rovella. Keywords: romanzo filosofico, querce. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rovella” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Rovere. (Roma). Filosofo italiano. Proposta del provenzale
come lingua internazionale. Alberto Rovere.
Luigi Speranza -- Grice e Rovere: la ragione
conversazionale, o le confessioni di un meta-fisico romano – la scuola di
Pesaro -- filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Pesaro,
Marche. Essential Italian philosopher. The family originates in Albisola,
Savona, Liguria. Filosofo. Il giure civile del popolo italiano ha nel testo
della legge positiva e speciale autorità sufficiente da soddisfare la giustizia
ordinaria e da risolvere i dubii e acquetare le controversie intorno agl’interessi
e agl’ufficii d'ogni privato cittadino. Di quindi nasce che possono alcuni
curiali riuscire segnalati e famosi al mondo con la sola abilità del pronto
ricordare, dell’acuto distinguere e dell'interpretare acconcio e discreto. Al
giure delle genti occorre, invece, assai di frequente la discussione delle
verità astratte. Perocché esso è indipendente e superiore all'autorità della sopra-citata
legge. Si connette immediatamente al giure naturale che è al tutto razionale e speculativo.
Spesso gli è forza di riandar colla filosofia sulle fondamenta medesime dell’ordine
sociale umano, e spesso altresì non rinviene modo migliore per risolvere i
dubii e acquetare le discrepanze fuor che indagare i grandi pronunziati della
ragione perpetua del diritto, chiariti, dedotti e applicati mercé della
scienza. Poco importa se i meta-fisici si bisticciano. Ma non va senza
danno del genere umano il discordare e il traviare de' pubblicisti. E già si dice
che il fine criterio degl’uomini illuminati coglie il certo e il sodo della
scienza, ma non la crea e non l'ordina. La demenza degl’uonini fa talvolta
scandalosa la verità. Laonde ella ha a pronunziare di se medesima. Non venni a
recare la pace in mezzo di voi, sibbene la spada. Lo stato romano essere certa
congregazione di famiglie la qual provvede con leggi e con tribunali al bene
proprio e alla propria tutela -- tanto che sono competentemente adempiuti i
fini generali della socialità e i particolari di essa congregazione. Lo stato romano
non esiste per la contiguità sola delle terre e delle abitazioni, ma per certo
congiungimento e unità delle menti e degl’animi dei romani. Il che riconosciuto
e fermato, se ne ritrae ciò che pel diritto è primo principio ed assioma, non
potersi da niuno e sotto niuna ragione arrogare la facoltà di offendere e
menomare l'autonomia interna ed esterna dello stato romano insino a tanto che
questo non provoca gl’altri ad assalirlo con giusta guerra. Ed eziandio in tal
caso è lecito di occupare temporalmente il suo territorio e dominare il suo
popolo nei limiti della difesa e dell'equo rifacimento dei danni. L'uomo
individuo può nel servaggio e nelle catene serbare con isforzo la libertà dello
spirito e compiere in altro modo e sotto altre condizioni certa eroica
purgazione e certo mirabile perfezionamento della sua parte interiore e
immortale. Ma ciò è impossibile all’intero popolo romano, il quale nel
servaggio di necessità si corrompe ed abbietta, e quindi GRAVINA chiama assai
giustamente la libertà della nazione romana sacro-santa cosa e di giure divino.
L'anima non è vendibile e non è nostra, dicevano i teologanti per dimostrare da
più parti la iniquità del CONTRATTO. E neppure la libertà è vendibile. E se
l'usarla e abusarla è nostro, non è tale la facoltà e il principio infuso dal
divino con l'alito suo divino e che al dire d’Omero vale una mezza anima. Lo stato
romano possiede onninamente se stesso. Niuno fuori di lui può attribuirsene la
padronanza. Quindi il popolo romano o vivono in se od in altri. Cioè a dire, o
provedono al proprio fine con la legge e ordini propri e componendo un
individuo vero e perfetto della universa famiglia umana. Ovvero entrano a parte
d'altra maggior comunanza con ugualità di diritto e d’ufficio, come quelle
riviere che ne' più larghi e reali fiumi confondono le acque e perdono il nome.
Questa è la generale e astratta dottrina che danno la ragione e la scienza. La
patria romana, impertanto, significa quella contrada e quella congregazione d’uomini
a cui ciascuno degli abitanti e ciascuno dei congregati sentesi legato per
tutti i doveri, gl’istinti, i diritti, le speranze e gl’affetti del vivere
comune. La patria romana, considerata nella sua morale e profonda
significazione, è il compiuto sodamento di ciascuno verso di tutti e di tutti
verso ciascuno. Se la patria romana non ha debito né possibilità di nudrire del
suo ogni giorno tutti i suoi indigenti, spietata cosa sarebbe inibire a questi
di procacciarsi altrove la sussistenza. Prediletta opera delle mani del divino e
la nazione romana. La nazione romana è pura, domandano essi, e tutta omogenea.
Questo e il puro principio della nazionalità romana. Lo stato romano, dipendente
come si sia da un altro non è, a propriamente parlare, autonomo. E e perciò, a
rigore di definizione, neppure la denominazione di stato romano gli si compete.
I prìncipi non sono, del certo, scelti dal divino immediatamente, ma sono dal
divino immediatamente investiti della sovranità romana. Il popolo romano indica
l'uomo a cui vuole obbedire e in quell'uomo è subito la pienezza della
sovranità romana che dal divino gli proviene. Perocché come dal divino è
istituito IL FINE della socievole comunanza, così è istituito IL MEZZO nella
autorità del comando. È sicuro che nella lunghezza dei secoli le volontà e i
giudizi umani si accostano all'assoluto del bene sociale, quanto che la via che
viene trascorsa non procede diritta e spedita ma declina e torce continuo fra
molti errori e molte misere concussioni. La libertà della nazione romana, essendo
naturale ed essenziale agl’uomini e necessaria concomitanza d'ogni bontà, è
doveroso per tutti il serbarla integra nella sostanza. E perciò, né il privato
individuo si può vendere ad altro privato, né tutto il corpo de' cittadini
assoggettarsi pienamente e perpetuamente al dominio d’altro stato. Poco o
nessun valore ha il dissentimento dei piccioli e deboli, quando anche piglino
ardire di esprimerlo; e CHI INVESTIGA LA STORIA DELL’ANTICA ROMA RI-TROVA che DELLE
PROTESTE loro giacciono GRANDI FASCI dimenticati negl’archivi delle
Cancellerie. Dacché siete i più forti, correte poco rischio di vivere ex lege
alla maniera dei ciclopi. Ma confessare il diritto e contro il diritto
procedere, non è conceduto a nessuno. E parlavano meglio quegl’ateniesi che
alle querele dei milesi rispondevano senza sturbarsi. Il diritto è cosa pei
deboli e non già pei forti e pei valorosi. Il popolo romano è autonomo. Con
altri vocaboli, lo stato romano, vero è libero ed inviolabile. E la patria romana,
nel significato morale e politico, è *sinonimo* di STATO romano -- in quanto
questo compone uno stretto e nativo consorzio in cui ciascun cittadino ha
debito e desiderio insieme di effettuare il grado massimo di unimento sociale e
civile. S’incominci dall'avvisare chi
sono costoro che si querelano della libertà dello stato romano e ne temono
danni così spaventevoli. Costoro sono i medesimi da cui si alzano lagni e
rimproveri cotidiani per qualunque libertà, eccetto la propria loro. Vogliono
limitare la stampa, limitare la libera concorrenza, limitare IL PARLAMENTO e in
fine ogni cosa col pretesto volgare ed ovvio che il parlamento, il commercio,
la stampa abusano di loro facoltà e trasvanno più d'una volta e in più cose. La
volontà umana, dite, è corrotta e inchinevole al male. Può darsi. Ma privata di
libertà so che depravasi molto di più e i padroni non meno che i servi. Non è
lecito agl’uomini di esercitare nessun diritto qualora difettino pienamente
delle facoltà e dei mezzi correlativi. Perciò il fanciullo, il mentecatto,
l'idiota cade naturalmente sotto l'altrui tutela, e per ciò medesimo la parte
meno educata del volgo ed offesa di troppa ignoranza, o posta in condizione
troppo servile, non ha nel generale facoltà e mezzi proporziod esercitare
diritti politici. Esaminato il fine del viver comune, fatta rassegna d'alcuni
principii direttivi, più bisognevoli al nostro intento e poco o nulla NOTI
AGL’NTICHI ROMANI, segue senza più che noi trapassiamo a contemplare l'ottimo
ordinamento civile. Cosi noi delineeremo qnalche fattezza dell'incivilimento
umano, contemplandolo nella natura primitiva ed universale del popolo romano,
ed avvisandoci di non iscambiare l'alterato e il mutabile col permanente ed
inalterato; e per converso, di non dar nome d'errore emendabile e di accidente
transitorio a ciò che appartiene alle condizioni salde e durevoli della
comunanza civile. Chè nel primo difetto cadono i troppo retrivi ed i
pusillanimi; nel secondo, i novatori audaci e leggeri. GL’ANTICHI ROMANI con
molto senno incominciano dall'insegnar quello che spetta al buono stato della
famiglia, perché della comunanza umana l'individuo compiuto non è lo scapolo,
ma l'ammogliato con prole o vogliam dire la famiglia, rimossa la quale non
rimane intermezzo alcuno che tempri l'amor proprio e la fiera e violenta natura
nostra. L'organizzazione tanto è più
eccellente quanto meno cede alle esterne azioni ed impressioni ed anzi modifica
con maggior efficacia ed appropria a sé quelle azioni. È da confessare che un
gran trovato fece lo spirito umano e giovevole soprammodo alla prosperità del
viver sociale, quando mise in atto quello che fu domandato GOVERNO
RAPPRESENTATIVO o parlamentare. Se dirai: carattere della nazione romana è la
continuità e circoscrizione del suolo d’Italia. E la nazione e nella lingua
romana, la letteratura e le arti. Se le origini e la schiatta; le colonie sono
tal membro e così vivace del corpo della patria onde uscirono, da non potersene
mai dispiccare, e la guerra americana è dalla banda dei sollevati iniqua e
parricida. Gran questione poi insorge sulle genti di confine, le quali
compongonsi il più delle volte di schiatte anfibie, a cosi chiamarle. Quindi
noi vogliamo, per via d'esempio, i nizzardi essere italiani – ROMANI -- e i francesi
li fanno dei loro. La compagnia civile comincia là solamente dove gl’animi si
accostano, e sorge desiderio di regolato e comune operare. La giustizia apre e
chiude i congressi degli dei, non quelli degl’uomini. La voce “nazione romana”
nel suo peculiare e pieno significato vuol dire unimento e società d'uomini che
la natura stessa con le sue mani à fatta e costituita mediante il sangue e la
singolarità delle condizioni interiori ed estrinseche. Per talché quella
società distinguesi da tutte l’altre per tutti gl’essenziali caratteri che
possono diversificare le genti in fra loro, come la schiatta, la lingua,
l'indole, il territorio, le tradizioni, le arti, i costumi. “Nazione romana”
vuol significare certo novero di genti per COMUNANZA DI SANGUE, conformità di
genio, medesimezza di linguaggio atte e pre-ordinate alla massima unione
sociale. Lo stipite umano è ordinato esso pure a spandere discosto da sé le
propagini e i semi. E ogni germe nuovo dee nudrirsi del terreno ove cade, non
del tronco da cui si origina. Sieno rese grazie publicamente da tutta l'Italia
a voi, o Valdesi, che l'antica madre mai non avete voluto e potuto odiare e
sconoscere insino al giorno glorioso che è dal divino coronata la vostra
costanza, e un patto comune di libertà vi riconciliava con gl’emendati
persecutori. S'io credessi quelle armi
che assiepano IL FORO, DICE CICERONE, starsene qui a minacciare e non a
proteggere, cederei al tempo e mi terrei silenzioso. Ma il fatto è che quelle
armi NEL FORO induceno per se sole una fiera minaccia, tanto che CICERONE parla
poco e male, e la paura ammazza l'eloquenza. Dal riscontro, per tanto, di tutte
le storie, senza timore mai d'eccezione, e più ancora dalla ripugnanza intima
di certi termini, quali sono felicità a servitù, spontaneità e costrizione,
ricavasi questa assoluta sentenza che in una nazione civile come ROMA, nessun
governo straniero – come Cartagine -- non può vantarsi mai né della legittimità
interiore, né della esteriore che emana dall'assentimento espresso o tacito della
popolazione romana. Non può aver luogo prescrizione, dove i diritti innati o
fondamentali dell'uomo ricevono sostanziale ingiuria ed offesa; e di si fatti è
per appunto la indipendenza o dimezzata o distrutta. Ogni cosa nell'uomo è
principiata dalla natura e poi dalla ragione e dall'arte è compiuta.Voi stesso
l'avete udito? Poerio: E come nò, se rinchiuso è con lui in una prigione
medesima? Pignatelli: E è la vigilia della sua morte? Poerio: Appunto è la vigilia. Sapete che valica la mezzanotte,
una voce improvvisa e sepolcrale veramente rompevane il sonno chiamando forte
per nome alcuno di noi; e quella chiamata voleva dire: vieni, ti aspetta il
carnefice. La notte pertanto che seguitò quel mirabil discorso di Pagano gli
sgherri gridarono il nome suo, e fu menato al patibolo. Pignatelli: Sta per
mezzo a voi quell'omerica figura del conte di Ruvo? Poerio: Nò, ma in Castello
dell'Uovo insieme con altri uffiziali e con l'intrepido Mantone. Nel Castel
Nuovo e in quella carcere proprio dove è Pagano, sta il fratel vostro maggiore,
principe di Strangoli, sto io, il Conforti, Cirillo, Granali, Palmieri, Russo e
due giovinetti amorevoli e cari, cioè l'ultimo figliuolo dello Spanò ed un
marchese di Genzano, bello come l'appollino e di cui sente Pagano particolare
compassione. V'à una cagione suprema di tutte le cose, cagione assoluta e
però insofferente di limiti e incapace d'aumento e di defficienza. Ma se niun
difetto può stare in lei, ella è il bene infinito e comprende infinitamente
ogni specie di bene. Ciò posto, la cagione suprema è altresì infinita bontà che
raggia il bene fuor di sé stessa e ne riempie la creazione ed ogni ente se ne
satura, a dir così, per quanto è fatto capace. Tale contenenza di bene è poi
sempre difettiva perché sempre è finita. Di quindi si origina il male. Non si
chieda dunque perché il divino è permettitore del male, ma chiedasi in quella
vece perché piacque al divino, oltre all'infinito, che sussistesse pure il
finito. Se il vivere nostro presente è condito di molto diletto e noi incapaci
di conoscere e desiderare con ismania istintiva l'eternità, forse potrebbesi
giudicare senza paradosso aver noi sortito quella porzioncella sola e frammento
di beatitudine, brevissima ma sincera e inconsapevole della propria caducità.
Col presupposto della immortalità, bene avverte BRUNO, alcun desiderio naturale
non è indarno e alcuna lacrima non cade senza conforto. Con la immortalità non
è affetto generoso perduto, non ferita dell'animo a cui non si apparecchi
altrove copioso balsamo. Per entro il corso interminato e magnifico de'nostri
destini, ogni male vien riparato, ogni speranza risorge, ogni bellezza
rifiorisce, ogni felicità si rinnova e giganteggia ne'secoli. Poerio: Quando è
possibile strappare dal cuor dell'uomo il concetto e la speranza della
immortalità, il consorzio civile medesimo pericolerebbe di sciogliersi e i
piaceri e le utilità stesse della vita presente verrebbero gran parte impedite
o affatto levate di mezzo. I dotti e i legisti barbareggiavano sempre peggio, e
pareva in loro una sorta di necessità tramutata in diritto, e niun discepolo
mai se ne querela; e le lettere cadevano in tale grettezza, che nelle prose di Giordani
si appuntavano parecchie mende di stile, ma nessuno accusava la tenuità dei
concetti e la critica angusta e slombata. Colletta è stimato dai più uno
storico sovrano e poco meno che un Tacito redivivo, ed altri istituivano
paragone tra il Guicciardini e il Botta, tra Goldoni e Nota. Tale il gusto e il
criterio comune. Pochi grandi filosofi non mancavano neppure a quei giorni.
Basti ricordare Bartolini nella scultura; Leopardi e Niccolini nella poetica;
Rossini, Bellini, Donizetti nella musica. In Italia scemando il sapere e la
potenza meditativa, crebbe l'amore spasimato ed irragionevole della bellezza
dell'abito esterno, lasciando a digiuno la mente e poco nudriti e mal governati
gli affetti. Letteratura e filosofia vasta, soda e ben definita, e parimente
larghe scuole e ben tratteggiate e scolpite mancano alla patria nostra da quasi
tre secoli e piuttosto ne abbiamo avuto cenni e frammenti, e ogni cosa a pezzi,
a sbalzi e a modo d'assaggio. Miei degni signori, il cibo che v'apparecchio è
scarso, scondito e di povera mensa, ma è letteratura e non meta-fisica. Non
appena l'esilio mi astrinse a lasciare l'Italia e fui spettatore d'altro ordine
di civiltà e uditore d'altri maestri, subito mi si aprì dentro l'animo l'occhio
doloroso della coscienza, ed ebbi della mia ignoranza una paura ed una vergogna
da non credere. Per giudicare alla prima prima che tutto è vecchio e trito in
un libro convien sapere dell'autore se nel generale à l'abito di pensar di suo
capo. Ed egli evoca nuovi spiriti di più sublime natura, i quali entrano a uno
a uno dentro la torre. Spirito del mare. Che vuoi? Barone. Sapere l'essenza del
bene e la fonte della felicità. Spirito del mare. Perché lo chiedi al mare?
Barone. Perché tu sai o puoi sapere ogni cosa; tu nei silenzj della notte tieni
misteriosi colloquj con la luna e con le stelle che in te si riflettono; e tu
pur ricevi nell ' ampio tuo seno i fiumi tutti del mondo, i quali ti raccontano
le geste antiche dei popoli e le più antiche vicende dei continenti per mezzo a
cui essi fluiscono senza posa. Spirito del mare. lo non so nulla (sparisce).
Barone. Che tu venga malmenato in eterno dallo spirito delle procelle, e che i
tuoi membri immortali sieno rotti e squarciati mai sempre dalle taglienti
creste degli ardui scogli. La coda del cavallo bianco dell' Apocalisse.
Che vuoi? Barone. Sapere in che consiste il bene, e dove è la fonte della
felicità. La coda. Perché lo chiedi a me? Barone. Tu sai la fine ultima delle
cose, e tu comparirai poco innanzi della consumazione del secolo. La coda.
Quando io comparirò, io ondeggerò nelle sfere, simile alla caduta del Niagara e
più tremenda della coda delle comete. Ogni mio crine rinserra un destino; e
ogni mio moto è un cenno di oracolo; ò trascorsi tutti i cieli di Tolomeo e i
cieli di Galilei e i cieli di Herschel; ò lambita con la mia criniera la faccia
delle stelle, e l'ò distesa sulle penne de' turbini; molte cose ò conosciute,
ma non quel che tu cerchi: io non so nulla (sparisce). Dagli Arabi si travasò
il mal gusto ne' Catalani e ne' Provenzali, e una vena non troppo scarsa ne fu
derivata ne' primi nostri verseggiatori. ALIGHIERI egli pure non se ne astenne
affatto; e noi peniamo a credere che a quel genio sovrano venisse scritta la
canzone lambiccatissima della Pietra. Sa ognuno che nel seicento, con lo
scadere dell' arte, ricomparvero quelle freddure e mattie, e ogni cosa fu piena
di acrostici, d'anagrammi, d'allitterazioni e altrettali sciempiezze. Ma per
buona ventura cotesta sorta vanissima di pedanteria non sembra ai moderni
pericolosa; e dico ai romani, perché appresso gli stranieri non ne mancano
esempj; e molti anno letto in un vivente poeta francese di gran nomea certi
capricci di metri e di rime i quali dimostrano come in lui siensi venuti
rinnovando tutti gli umori e le vertigini dei seicentisti. E nemmanco ci pare
immune dalle stranezze di cui parliamo quel concepimento del Goethe di ordire
la tragedia del Fausto con questa singolar legge che ogni scena fosse dettata
in metro diverso ed una altresì in nuda prosa, onde potesse affermarsi che
niuna maniera del verseggiare ed anzi dello scrivere umano (per quanto ne è
capace il tedesco idioma) mancasse a quel dramma; nuova maniera e poco assai
naturale e graziosa di porgere idea e figura del panteismo. Non può né deve il
poeta scompagnarsi mai troppo dalle opinioni e dai sentimenti comuni dell'età
sua; chè da questi principalmente è suscitato l'estro di lui, con questi
accende e innamora le moltitudini. D'ogni altro pensiero ed affetto, ove li
possieda e li senta egli solo, avrà pochi intenditori, pochissimi lodatori; e
la favella delle Muse langue e muor sulle labbra se non suona ad orecchie
benevole e a cuori profondamente commossi. In Inghilterra il Milton fierissimo
repubblicano e segretario eloquente del gran Cromvello, à quasi sempre poetato
di cose mistiche e teologiche e nulla v'à di politico, nulla d'inglese e di
patrio, né nel Paradiso perduto, né in altri suoi canti. Riuscirà sempre a
gloria grande e invidiata d'Italia che la Gerusalemme del Tasso compaja tanto
più bella e mirabile quanto più in lei si contempla e considera intentivamente
la perfezione del tutto. Certo, il Valvasone è meno forbito ed armonioso del
Tansillo, meno fluido del Tasso seniore, meno corretto, proprio e limato de'
più corretti e limati rimatori toscani; ma non per ciò si capisce come questa
minor perfezione di forma, abbia potuto oscurare nel giudicio de' raccoglitori
e de' critici il gran merito dell'invenzione. Che il Milton siasi giovato dell'
Angeleide non so, quantunque fra i due poemi si vengan trovando molti e
singolari riscontri che non è facile a credere casuali; ma questo io so bene
che a rispetto della guerra degli angeli episodicamente introdotta nel Paradiso
perduto, il Valvasone non perde nulla ad esser letto dopo l'Inglese e con
quello essere paragonato; il che non avviene del sicuro né per l' Adamo
dell'Andreini né per la Strage degl'Innocenti del cavaliere Marino, due
componimenti che dicesi aver suggerito a Milton parecchi pensieri e l'ideal grandezza
del suo Lucifero. L'ingegno poetico, in versificare ciascuno di quei subbietti,
tende a spiegare una novità, un' altezza e una leggiadria suprema di concetto,
di sentimento, di fantasia e di stile. Dove mancasse l'una di tali eccellenze,
l'arte sarebbe difettosa e quindi increscevole. Ci venne osservato (cosa che
per addietro non ben sapevamo) la critica letteraria incominciata in Italia con
ALIGHIERI essere morta col Tasso e gli amici suoi; e come cadde con quel
mirabile intelletto la nostra primazia nel ministero delle Muse, così venne
meno la filosofia estetica; e il nuovo dell' arte non fu capito, l'antico fu
dalla pedanteria svisato e agghiadato. L'arte critica antica ebbe ultimi promulgatori
due grandi ingegni, il Muratori e il Gravina. Della critica nata dipoi con le
nuove speculazioni e con le nuove forme di poesia, non conosciamo in Italia
alcun degno scrittore e rappresentatore. Dopo Omero nessun poeta, per mio
giudicio, può alzarsi a competere con l'Alighieri, salvo Guglielmo Shakspeare,
gloria massima dell'Inghilterra. E per fermo, ne' drammi di lui l'animo e la
vita umana vengon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati così nel
profondo, che mai nol saranno di più. Ma le condizioni peculiari della
drammatica e l'indole propria degl' ingegni settentrionali impedirono a
Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione sì delle diverse materie
poetiche e sì di tutte l'eccellenze e prerogative onde facciamo discorso. E
veramente nelle composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto
di rado; e tra le specie differenti e delicatissime d'amore ivi entro
significate, manca quella eccelsa e spiritualissima di cui si scaldò l'amante
di Beatrice. Il poeta è dall'ispirazione allacciato e padroneggiato sì forte,
da non saper bene sottomettersi all'arte ed alla meditazione. Il troppo
incivilirsi dei popoli aumentando di soverchio l'osservazione e la critica e
affinandovisi l'arte ogni giorno di più per effetto medesimo dell' esercizio e
dell' esperienza e per desiderio di novità, mena il poeta a scordar forse
troppo l'aurea semplicità degli antichi, il sincero aspetto della natura e i
veri e spontanei moti dell'animo. Il compiuto e l'ottimo della poesia consiste
in racchiudere dentro ai poemi con vaga e proporzionata unità di composizione
tutto quanto il visibile ed il pensabile umano per ciò che in ambedue è più
bello e più commovente. Consiste inoltre nel figurare e ritrarre cotesto
subbietto amplissimo e universale con la maggior novità e la maggiore sublimità
e leggiadria di concepimento, di fantasia, d'affetto e d'elocuzione che sia
fattibile di conseguire. Laonde poi il concepimento, così nel complesso come
nelle sentenze particolari, dee riuscir succoso, vario ed inaspettato e pieno
di recondita dottrina e saggezza; l'affetto dee correre, quanto è possibile,
per tutti i gradi e le differenze, e toccare il sommo della tenerezza e
commiserazione e il sommo della terribilità. Tasso, anima pia e generosa, ma in
cui (non so dir come) nulla v'era di popolare. Quindi egli s'infervorò della
maestà teocratica dei pontefici e aderì alla nuova cavalleria cortigiana e
feudale; quindi pure accettò con zelo e con osservanza scrupolosa l' ortodossia
cattolica, e nella vita intellettuale quanto nella civile, fu dall' autorità
dei metodi e degli esempj signoreggiato. Da ciò prese nudrimento e moto il
divino estro suo e uscirono le maraviglie della Gerusalemme. Nel Tasso poi sono
tutti i pregi e tutta quanta la luce e magnificenza della poesia classica, e
spiccano altresì in lui alcuni attributi speciali del genio italiano in ordine
al bello. In perpetuo si ammirerà nella Liberata ciò che l'arte, i precetti, l'erudizione
e la scienza possono fare, ajutati e avvivati da una stupenda natura poetica. L'ARIOSTO
significa la commedia umana quale la veggiamo rappresentarsi nel mondo, laddove
ALIGHIERI fece primo subbietto suo il soprammondano, e in esso figurò e
simboleggiò le cose terrene. E come il gran Fiorentino nelle fogge variatissime
de' tormenti e delle espiazioni dipinse i variatissimi aspetti delle indoli e
delle passioni, il simile adempiva l'Ariosto sotto il velo dei portenti magici
e delle strane avventure. Ma certo qual narrazione di fatti umani riuscirà più
vasta, più immaginosa e più moltiforme di quella dell' Orlando furioso? Quivi
sono guerre tra più nazioni, nascimenti e ruine di molti regni, conflitto
sanguinoso di religione e di culto, infinita diversità e singolarità di
costumi, e tutto il Ponente e il Levante offrono larga scena e strepitoso
teatro a cotali imprese e catastrofi. Quivi sono dipinte la vita privata e la
pubblica, le corti e le capanne, i castelli ed i romitaggi; quivi s'intrecciano
gradevolmente la cronica, la novella e la storia, e ciò che il dramma à di
patetico, l'epopeia di maestoso, il romanzo di fantastico. Non credo che in
veruna straniera letteratura possa come nella nostra volgare annoverarsi una
sequela così sterminata di poemi eroici e di romanzeschi, parecchj de' quali
brillerebbero di gran luce, ove fossero soli e non li soverchiasse la troppa
chiarezza di Dante, dell'Ariosto e del Tasso. Né reputo presontuoso il dire
che, per esempio, la Croce racquistata del Bracciolini o il Conquisto di
Granata di Girolamo Graziane sostengono bene assai il paragone o con l'Araucana
dell' Ercilla o coi medesimi Lusiadi di Luís Vaz de Camões ai quali ànno
accresciuta non poca fama le sventure e le virtù del poeta; e per simile, io
giudico che l' Amadigi del Tasso il vecchio o l'Orlando innamorato del Berni,
non temono di gareggiare con la Regina Fata di Spenser e con quanto di meglio
in tal genere ànno prodotto l'altre nazioni. Ma non è da tacere che in quasi
tutti questi nostri poemi riconoscesi agevolmente l'uno o l'altro dei tipi che
nel Furioso e nella Gerusalemme ricevettero perfezione, ed a cui poca giunta di
novità e poche profonde mutazioni si fecero dagl'ingegni posteriori; e ne'
poemi eroici singolarmente a niuno è riuscito di ben cantare i difetti del
Tasso, molti in quel cambio li esagerarono. Scusabile mi si fa Marino e
scusabili gl'Italiani, quand'io considero lo stato di lor nazione sotto il
crudele dominio degli Spagnuoli, e fieramente mi sdegno con questi medesimi che
nella patria loro ancor sì potente e sì fortunata, plaudivano a que' delirj e
incensavano il Gongora, meno ingegnoso assai del Marino e di lui più strano e
affettato. In fine, gioverà il ricordare che all'Italia serva, scaduta e
dilapidata, rimaneva pur tanto ancora di prevalenza intellettuale appresso
l'altre nazioni che de' trionfi più insigni e delle lodi più sperticate del
cavalier Marino furono autori i Francesi; e per lungo tempo assai nessuno de'
lor poeti seppe al tutto purgarsi della letteraria corruzione venuta d'oltre
Alpe; testimonio lo stesso Cornelio, alto e robustissimo ingegno, ma nel cui
stile nondimeno avria dovuto il Boileau ritrovare assai spesso di quel medesimo
talco del quale parevangli luccicare i versi del Tasso. Dal Marino incominciò a
propagarsi nel mondo una poesia fantastica e meramente coloritrice, la quale
cerca l'arte solo per l'arte, fassi specchio indifferente al falso ed al vero,
alle cose buone ed alle malvage, alle vane e giocose come alle grandi e instruttive;
sente tutti gli affetti e nessuno con profondità, e nell'essere suo naturale od
abituale, canta di Adone, come di Erode e così delle favole greche come delle
bibliche narrazioni] Fiorirono in tale intervallo tre ingegni eminenti che
forse mantennero alla lirica nostra una spiccata maggioranza su quella d'altre
nazioni. Ognuno, io penso, à nominato ad una con me il Chiabrera, il Filicaja
ed il Guidi. Dal solo Chiabrera fu l'Italia regalata di tre nuove corone
poetiche; mercechè veramente nelle sue mani nacque e grandeggiò prima la
canzone pindarica, poi la canzone anacreontica e infine il sermone oraziano; né
mal s' apporrebbe colui che attribuisse al Chiabrera eziandio la rinnovazione
del Ditirambo. Il Filicaja venne a tempi ancora più disavventurati, e quando
più non era possibile discoprire ne' suoi Fiorentini un segno e un vestigio
pure dell'antica fierezza repubblicana. Ma il senso del bene morale e la pietà
religiosa fervevano così profondi nell'animo suo che bastarono a farlo poeta. Mai
né in questa nostra patria, né fuori sonosi udite canzoni così ben temperate di
splendore pindarico e di maestà scritturale come quelle del Filicaja. Nel Guidi
allato a concetti ed a sentimenti spesso comuni e rettorici, splende una forma
non superabile di novità, di bellezza e magnificenza. Certo, se a Guidi fosse
toccato di vivere in seno di una nazione forte e gloriosa, non ostante la poca
fecondità e vastità di pensieri, io non so bene a qual grado di eccellenza non
sarebbe salita la lirica sua; perché costui propriamente sortì da natura Yos
magna sonaturum, e ce ne porge sicura caparra la sua canzone alla Fortuna. A me
sonerà sempre caro ed insigne il nome di Varano, perché da lui segnatamente, a
quello che io giudico, s'iniziò il corso della poesia moderna italiana; e forse
la patria non gli si mostra ricordevole e grata quanto dovrebbe. Chi trovasse
non poca similitudine tra la mente del Varano e quella del Young, credo che
male non si apporrebbe. Anime pie e stoiche ambidue, e dischiuse non pertanto
agli affetti gentili, diffondono ne' lor versi un religioso terrore e un'
ascetica melanconia che nell'Inglese riescono cupi, inconsolati e monotoni, e
nell'Italiano s'allegrano spesso alla vista del nostro bel sole, e dai pensieri
del sepolcro volano con gran fede alla pace e serenità della gloria immortale. Varano
poi insieme col Gozzi restituì alla Divina Commedia il debito culto; Gozzi con
li scritti polemici, egli con la virtù dell' esempio; ed ebbe arbitrio di dire
a Dante ciò che questi a VIRGILIO: Tu séi lo mio maestro e il mio autore. Se
non che il cantore delle Visioni chiuse e conchiuse l'intero universo nel
sentimento della pietà e nei misteri del dogma, e non ben seppe imitare del suo
modello la nervosa brevità e parsimonia, la varietà inesauribile e la peregrina
eleganza. Se taluno dei suoi piuttosto scarsi scolari volle talora celebrare in
R.. l'ultimo anello della catena che da GALLUPPI si continua in SERBATI e
GIOBERTI, unanime e il consenso dei suoi maggiori contemporanei e dei posteri
nell'affermare il valore pressoché nullo della sua vasta produzione filosofica.
SERBATI e più scolastico, R. più civile. Quello quasi sterile in politica,
questo R. molto feconda, risolvendo i problemi più ardui e interessanti della
vita sociale. Quello è timido, questo R. Coraggiosa. Quello arriva a rifiutare
sul terreno pratico le conseguenze de' suoi principii per un pregiudizioso
rispetto di casta non evitando il disonore di una ritirata e la deformità del
sofisma; R., per lo contrario tutta intrepido si sostenne colla gloria di una
vittoria, colla dignità di una rigorosa coerenza, e colla bellezza di una vera
argomentazione. SERBATI in un bel momento di sua ragione scrive stupende pagine
sulla riforma del clero; poi ha la debolezza di ritirarle, impaurito dalle
minaccia dell'indice. R. è oggi quel che era ne' primi giorni della sua vita
pubblica, e non sa temere altro autorevole indice che quello del buon senso.
Nel suo saggio, intitolalo “Del diritto” (Scolastica, Torino) i ammira il
coraggio della coscienza di un filosofo, e la prudenza d'un uomo di stato.
Riguardo poi ai pregi della forma, SERBATI è semplicemente filosofo, R. è un
filosofo-oratore. Nel primo spicca la pura meditazione, nel R. si unisce il
genio che feconda il deserto delle speculazioni metafisiche, delle avanzate
astrazioni. In SERBATI vi ha una ricchezza povera, cioè una stiracchiatura di
poche idee in molte parole, quasi diffidi della memoria, e dell'abilità del
lettore. In R. vi ha una povertà ricca, cioè molte idee in poche parole; il che
appaga l'amor proprio del lettore, e ne fa liete tutte le potenze della
ritentiva e della ragione. Altri saggi: ““Dell'ottima congregazione umana e del
principio di nazionalità romana e italiana” (Subalpina, Torino); “Pagano,
ovvero, della immortalità”; “Dai Torchi della Signora De Lacombe”; “Prose
letterarie” (Barbera, Firenze). Terenzio Mamiani della Rovere. Rovere. Keywords:
confessioni di un metafisico, il rinnovamento della filosofia antica italiana, Vico,
Cuoco, Cicerone, Roma antica, gl’antichi romani, il foro, il caso di Nizza, la
communita di sangue. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Rovere” "Grice e della Rovere," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Rovere
Luigi Speranza -- Grice e Rovere: la ragione
coversazionale e l’implicature del Deutero-Esperanto – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Direttore
della revista “Universale.” Membro dell’Unione pro inter-lingua, già Unione pro
Latino Internationale. R. elabora un nuovo progetto ispirato aquello di PEANO
(si veda), e lo nomina Latino internazionale, dal Inter-latino. A B. viene
solitamente attribuito anche un altro progetto di lingua filosofica, denominato
genericamente Esperantido. Pubblica la Grammatica de latino internationale,il
Manuale pratico di Interlingua, l'Interlatino e il Vocabolario internationale
Interlingua-english-français-italiano. =e—È—@%6w&b&€——@_ +
terror | i % | AA E il Mamiani: « In ciascuna cosa la
natura comincia è l’arte perfeziona, ‘E ottimamente l'Abate
Fornari: Che sia naturale - efficacia è cosa certa. e da questo io
argomento che ‘ pi: ella è pure, o può essere, arte.
Imperciocchè, l’arte i che altro è mai se non, come dice il
Davanzati, una fabbricata natura? Dove opera la natura, può
l'industria È dell’ uomo studiare i moli che quella tiene e,
imitan- doli o secondando o ndo, Baone l’arte. Non fan cose,
ma si regsono tv una V Sn sì che come ore la DAR non incomincia, |” EG
nou 700D perazione, ivi senza dubbio la i ha luogo.. Può
questa non essere ancor nata o nascer falsa, per poca 0 storta
osservazione della natura; ma ciò non. inferisce che la cosa è
impossibile. Confidiamo, dunque, cd A i avere a trovare un’ arte dell’
eloquenza, e tanto più alacremente ponghiam la mano all’ Dori
quanto più eccelso è il segno a cui miriamo ». SERIA A AE conferma
di queste parole. Costanza. — Che è la favel DE madre natura siamo
forniti della favella, ma ciò che costitui munichiamo. coi nostri
simili, questo è tutto. due; E dove 1° uomo non avesse trovato
in gent Lio dio del mesifestare i moti. citeremo wa
esempio la. se non un’arte?t— | lel potere di servirci sce il
linguaggio con i; V) interni dell'animo; dove non ci fosse stato
nel linguaggio naturale d'azione il primo anello di comunicazione onde poter
procedere a quello artificiale in gran parte e convenzionale, quest’ultimo non
sarebbesi mai inventato, L'arte pertanto, come accolta di precetti,
non sarà mai che il giudizio nutrito e perfezionato (e questo,
ossia le sensitività fregate di molte sperienze impresse nella memoria, e
compendiate, chiamasi 749/026) un corredo di rapporti in memoria. È
dunque un non capire lo stato della questione l’ inchiedere se
abbiano da tenersi a vile i libri de’ precetti retorici od altri o se sia
da deplorarsi 1’ essersì radicato negli animi il detto antico che il
parlar preceda la grammatica, some ogni prima pratica l'arte, © che 1°
eloquenza esiste d’ assai prima degli ammaest ramenti de’ retori
come ispirazione di natura. Imperciocchè la natura deve necessariamente
esordire, € poi l'arte da essa aiutata proseguire, dirozzare; sicchè se
l’eloquenza è il cuore che naturalmente parla, U arte è la ragione
che lo rischiara e conduce ». | Chiuderemo con Dante (Paradiso):
Opera naturale è ch' uom favella; Ma così, o così, natura lascia
Poi fare a voi, secondo che vabbella, dE” LE si
ose Di qualche argomento ognun sa parl non sarà capace di aprir
bocc politica, ma saprà
tenervi | parlandovi delle vivande - Narra Montaigne (della
sua carica a Carafa, are. Un cuoco a intorno all’
economia a bada mezza giornata ch’ei sa ammannire.
(Essais) che avendo chiesto d un maggiordomo del Cardinal il
personaggio gli fece un discorso di questa | Scienza di bocca con Una
gravità ed un contegno ma- | Ristrale, come se gli tenesse parola di
qualche impor- tante questione di teologia. Gli parlò della
diversità Tra appetito e APpetito, del modo di stimolarlo, delle
diverse insalate, della police, delle salse ecc. ecc. Dopo 1ò entrò a
parlare in merito al servizio con belle ed Portanti considerazioni e
tutto ciò gonfiato di rieche agnifiche parole, quali si impiegano
per trattare ;soverno di un impero. store che non sa ]
Iscorrere Particolari Vv alle sue finestre, in
> un venditore cli fiammiferi, parlò di segnito della sua merce,
senza mai | 4 iocchezze. SI e EIA In materia adunque di
propria competenza ognuno sa parlare. Ma altro è sapere parlarne, altro è
sapervi tessere un discorso. Appunto, e quì sta la difficoltà, come
qui Sta lo scopo del nostro modestissimo lavoro. Tutti
conoscono le proprie faccende, pochi sapreb- bero farne una narrazione
ordinata, pochissimi questa narrazione saprebbero aiutare con argomenti
tali da convincere gli astanti, confutare le obbiezioni, demo- lire
gli avversari. Ma se queste persone interrogaste ordinatamente, se
presentaste loro le possibili obbiezioni, se suggeriste i dettagli possibili,
non ne ricavereste un ordinato racconto? Gli ignoranti non sanno
nep- pure raccontare la propria vita, chè ad ogni momento RE:
ritornano sui loro passi. Ma interrogateli con metodo e ne otterrete un
racconto hen netto ed ordinato. Perchè adunque non si potrà supplire
con date regole fisse a queste interrogazioni ? L’oratoria
ha, bisogno dell’ invenzione LA AO della «disposizione IS
dell’elucuzione EST) Girca quest’ ultima parte, il
saper ciuè esporre le cose in maniera conveniente, molti scrissero
e serivono tut- todì. Ma sulle prime due parti da molto tempo si
scrive È assai poco. ; Anticamente i precettisti
eran molti, poi sminuirono perchè l’amore per l’eloquenza andò
decadendo e perchè i le loro regole eran troppe e troppo complesse.
Fors'an- i che:siì pretendeva troppo. Le vostre regole, si dice,
non danno l’eloquenza a Di chi ne manca. Ma, adagio, e come volete
dar ; l’eloquenza a chi non ha adatto 1° ingegno? E come volete che
Tizio Vimprovvisi un discorso sull’ astro- nhomia, se d’ astronomia è
digiuno? E come esigete ch’ pi senta subito la fallacia di.un
ragionamento s0- fistico se la logica non sa che sia? Come volete
Dein una parola, ch’ ei sia eloquente se non ha vasta col vi: Da
> Conoscenza degli uomini, della vita, delle leggi, Se non bazzica mai
con aleuno? Apprendetegli tutto CID € poi vedrete che coi nostri precetti
diverrà buon _ Oratore, i SE S ini sa SCOPO nostro. Noi
vogliamo de cameo di ju Ù mite delle proprie cognizioni = sà |
8COrSO nuo SOR un completo ed ordinato di ‘© ‘0 Scopo del nostro
lavoro. I precettisti, lo abbiam detto, furon molti: da
Quin- tiliano al De Colonia se ne conta un numero non lieve.
L'ultimo però che abbia presentato un complesso or- dinato di regole per
improvvisare un discorso è PAvv. Aureli. Col quale ci è caro trovarci in
questo campo | rl’accordo, mentre dissentiamo profondamente da lui
în altro suo studio. 28 Egli parte precisamente dal concetto concetto RA antichissimo — di stabilire
un contesto generale di interrogazioni ordinate, o per dir meglio di
punti comuni c ordinativi delle proprie idee per qualsiasi ar- gomento da
svolgere in un discorso ». Il suo lavoro sotto questo punto di
vista è abbastanza buono, seb- bene deficiente in molti punti e mancante
in modo assoluto di esempi, difetto questo gravissimo ; impe-
rocchè, come ben dice Veronesi, il limitarsi a dettar tti por insegnare
l’eloquenza, senza mai regole e prece rebbe come voler
portar discorsi di uomini eloquenti, sa insoenare il minuetto,
deseri vendolo soltanto e senza vt. mai farlo vedere in
atto. ì moderni dividere le eloquenza in sacra © Foo politica
forense SR Ho è ui SR, in ut sacro no i muovere
la volontà a praticare i precetti del Va. gelo. Prende il nome di omelta
quando spiega il Van: | cina ossia Seo qoerai € a) Si ( SS
di Tea quando. è e. religiosa; di discorso funebre se
è un defunto. L'elugnenza sacra sarà politica e alla
forense, perchè m 3 delle condizioni principali dell’ eloquenza : la
lotta. if Difatti, per quanto l' eloquenza del foro sla più Udc che
quella del pulpito, pure abbondano i bravi AVVO- cati e
scarseggiano i bravi predicatori. anca in essa uma ha
tutto il tempo possibile di studiarla; non si hanno | ‘a temere confutazioni,
incidenti imprevedibili, obbie- | zioni a cui non si poteva prepararsi;
mancando la. molto eloquenti, di saper convincere. Eppoi il
predica- | alisposto anticipatamente a credere a tutto quanto
sarà petto dal de Senza un avversario da atterrare, : di ta
dini; (i feta. ece.; ma damn con- : pr Son cose vecchie, come
vecchie sono le ra- i ch'e n egli esporrà per sostenere la
tesi propria: improvvisato nè da una parte, nè dall’ altra,
LaIpo di Ono pro: DIRE d0L orazione fatta pet,
Nella predica non c' è mai nulla d° improvviso, 00 . tore
ha generalmente l’ uditorio favorevole, un uditorio mai sempre
inferiore alles “lotta manca sia l’interesse che la necessità di
essere Ria lat ii il mezzo e la nocpssità di essere
sogni, $ sa È ‘parte, perchè il 7, avversario ha et di convincere
l’uditorio del contrario e lo tenta in tuttii modi. dos ra
: Le orazioni sacre specialmente
le omelie — ic essere in stile piano ed affettuoso, i sacri | testi
non debbono essere citati con soverchia abbon- danza, nè in modo assoluto
mancare. Tenda l’oratore a combattere ogni obbiezione possibile, a non
lasciar. 3. - ‘adito di sorta alla contraddizione; elevi l'animo degli
— uditori con le consolazioni della fede, cogli esempii
dei favori ottenuti dal cielo; conforti additando i sen; 1 3 tieri
della speranza; ferisca i vizi del secolo non con i | SS RIG
declamazioni, DEE o lungaggini, ma dimo- 3 | strando luminosamente com’
essi conducano alla per- | dizione e non invada poi mai campi non suoi,
entrando d È in argomenti profani, ma circoseriva il suo dire alla’ x
i I materia sua. Procuri di dimostrarsi sempre
pio, virtuoso e 88°) piente 6 traduca assolutamente nella pratica
della sua i vita quotidiana tutti i precetti Lr dal Rote
So us L’ eloquenza Politica 0 civile tratta
dell’ammistra zione dello Stato, delle riforme delle istituzioni,
di quanto concerne insomma Il pubblico bene. L’
oratore civile deve usar e una grane chiarezza, sorosa ;
deve avvalorare il @, non cadere in continue resente la eravità
dell’ as: prosperità, il miglioramento il popolo per indurlo
a qual. che importante ri Ì 0 per rimuoverlo: da qual dI
divisamento, è ; rtante saper ben muovere gli ’attetti. Cc0,
a titolo di Curiosità, quel che scrive Edmondo De Am Amicis,
di Castelar, uno dei migliori oratori spagnoli TEA DE E ASOTERAE
vince e trascina amici n torrente n: nemici con u di
poesia e di questo Castelar 7 noto in tutta Europa, è veramente
| ‘a più completa espressione I ge il culto della dp
di 7 la sua eloquenza è musica; il suo ragionamento è schiavo
del suo orecchio; ei dice o non dice una cosa, 0 la dice in un senso
meglio che in un altro, secondo che torna o non torna al periodo, ha un’
armonia nella mente, la segue, la obbedisce, le sacrifica tutto
quello che la può offendere; il suo periodo è una strofa; bisogna
sentirlo per credere che la parola umana, senza misura poetica e senza
canto, sì possa avvicinar così all’ armonia del canto e della
poesia. È più artista che uomo politico, ha ‘d’ artista, non ma il
cuore; un cuore di fanciullo, inimicizia. In tutti ‘i suoi nelle
Cortes non ha solo 1’ ingegno, incapace di odio 0
discorsi non si trova ingiuria; mai provocato una seria questione
personale; non ricorre mai alla satira, non adopera mai 1’ ironia ; nelle
sue più violente filippiche non versa una dramma di fiele; a prova
che, repubblicano, avversagio | di tutti i ministerì, giornalista
battagliero, accusatore osercita un potere, © di chi non è ‘
fanatico per la libertà, non s'è fatto odiare da ‘DO: suno. E però i suoi
discorsi $i godono e non Si to: mono; la sua parola è troppo bella por
esser terribile; ingenuo perchè ogli possa eser- il suo
carattere troppo 1 influenza politica;, egli non sa armeggiare è
buono che a pia DE e questa n'è un
perpetuo di chi eitaro un? tramare e barcamenalsi; egli non
orande, è t e al lendere; la sua
eloquenza, quando è pui Ol Sere ed a Sp TS cuni L enera; i
suoi più bei discorsi fan piangere. ra; i ‘per lui la Camera
è un teatro. Come i pocti MIMO ‘visatori, per aver l’ ispirazione piena e
serena, egli ha 1 2 bisogno di parlare a Quella datà ora, in quel determinato
punto è con ‘quél certò tempo libeto dinanzi. Ùa sè. Pèrcid, il giornò
che deve patlaré; prende le sue, ILE misure col Presidente ‘della Camera;
il Presidente die i spone în modo thè gli tocchi la parola quando
lè ‘tribune Soho affollate e tutti i deputati al loro posto; il Î
suoi giornali annunziatò la serà innanzi il suo die scorso atfinchè le
signore possano procurarsi il biglietto; ‘egli ha bisogno d’aspettazione.
Prima di parlare è in- ‘quieto, non può posare uù istànte, entra nella
Camera, esce, rientra, torda al discire, gira pei corridoi, và. ci
biblioteca à Sfogliare un dibrò, scappa nel caffè ‘a bere un Biechier
d’acqua, par preso dalla fe CATE sembra che nòn saprà DR due i, 7
do rà Tidere, che si farà fischiàte ; del suo discorso non gli
Timane una sola det ludida nellà mente, ha confusò | tutto, ha
dintenticito tutto. Come | gli domandano sorridendo gli
amici. va il polso? i ; po Giunto il mo SOLA solenne,
sale al suo banco col capo basso, tire: SUANL, pallido, come un
condannato che va a RR assegnato a perdere in wn sol giorno la
gloria Ae: oria com _ Ù È ; paro ti
- (uistata in tanti anni e con tante fatiche. n fù: to mento i
suoi stessi nemici senton pietà del suo » stato. volge uno sguardo
intorno e dicesi — suo coraggio si rinfranca, la. sh
N° Egli si alza, Seneros!
E salvo; il 9) mente si rischiara, il suo discorso gli SÌ
ricompone | testa come un arietta dimenticata; il Presidente,
| pros, le tribune spariscono; egli non vede più che. o do05 non e
DIRE CHO la sua voce, non se ente Ta cose: « to non I più ii i ni
iu Di c peo geuti e Pisi lontani slo. nol Sua mai i aa
"inter romperlo; egli fa balenare a suo bell’agio Dim pagine cala
sun MER a VEE da PINCO e coro Qr N così vestita, n ioni bella
anch'essi; © astelar è sienore dell’ Assembléa: tuona, sfolgora,
strepita e scintilla come un fuoco d'artifizie» AUisgae i
strappa grida di entusiasmo, i TUR, immenso | Deguie d' po o
seme EROE testa in visibilio. Tale è questo famoso
Castelar, pro- fessore di storia all’ Università, fecondissimo
serittore di politica, d’arte, di religione ; pubblicista che raz-
zola cinquantamila lire all'anno nei giornali. d’Ame- tica,
accademico eletto ad unanimità dall’ Academia espanola, segnato a dito per
le vie, festeggiato dal popolo, amato dai nemici, giovane, gentile,
vanerello, generoso, beato >. L'eloquenza forense è
quella del Foro o Tribunale. Il Cantù così la tratteo:o cD 3
Ì Demostene presenta la perfezione del talento d° av Sai € vocato,
l age « sione, | accortezza del ragion « del sofisma, l’arte di
con È D « É modello della br vc che io ce Ri pt Una
prodigiosa fecondità di prove Mezzi, Ì A i Ta ] e di non tendere
che alla sua sa, la quale cogli Svolge in tutti i versi con in-
leloquenza orale, l’ eloquenza di viva sa n | Tnt contatto
immediato col popolo La pci di ; che spesso toccano ciò che vi ha più AA
Ri i Xabe umano, e talvolta più politiche che giudiziarie. È: È ivi
che essa si trova faccia a faccia col popolo FORA presentata da dodici
cittadini eletti a surte, che 0gel. son vostri giudici per tornar domani
quel che erano Jl giorno avanti e confondersi col popolo a eni
IPRULSE tengono e di cui partecipano a tutte .le opinioni. E ivi
dove Peloquenza ha un Campo v riceverne tutte le impressioni, a
subi zioni, tutto il potere. Il Vero € impossibile, negarlo 3 Si
trova solo alle assise ed è ivi che le anime elette riporte da
lusinghieri e Più sinceri. Nej per l’eloquenza, si è legati,
il votante, la rielezione. ergine, pronto a rne tutte
le sedu- Liù ampo dell’eloquenza, è E IE dI andato
alla Camera ne e da cui egli spera e si vota per tutto a
tali più Seduee i cultori, pel partito che
h che ve lo mantio Alle assise invece Vi e leloquenza può
strappar si AUindi sarà sempre il campo Auenza e pe suoi
verace impressione, giudici, Ivi. hte per l’elo-
del L'eloquenza accademica abbraccia argomenti scien:
tifici e letterari; son discorsi recitati generalmente nelle scuole,
nelle accademie, in adunanze di uomini — colti. Le conferenze
scientifiche o letterarie sono oggi abbastanza in, voga, ma riescono
sovente assai mono- tone, perchè il conferenziere manca di brio, di
spirito; | ed usa un linguaggio troppo astruso pei profani.
Simile all’accademica è Peloquenza polemica. x
x ori on INTRODUZIONE CONFERMAZIONE 0 sostanza
CONCLUSIONE o chiusa. GUSiRi a lor volta | si RO Pi in ‘incipio o esordio — che ha per
iscoperdì i dla benevola attenzione dell’ uditorio mostre |
importanza, la ‘novità, 1” Uta, ola P del soggetto. : ne —
colla quale si onu olgere. TA n DI aha O'CELtO
DI definizione — celvè, quella che delimita il soggetto è o
serve Q quindi di complemento alla proposizione. i partizione = colla
quale sì stabilisce la divisione che: si darà al discorso, sì annunciano
i punti salienti del medesimo, o gli oratori a cui separatamente:
si risponderà, se sì tratta di una risposta. La Coxrenmazione è la vera
sostanza del discorso e. consta: — della narrazione o
esposizione del fatto che è causa Î del discorso. Da | della
descrizione — delle, qualità intrinseche inerenti. °° {$}W n al soggetto
trattato. o delle relazioni = o rapporti di confronto ch’ esso ha.
as con altre cose. i | Tela dimostrazione — ch'è la parte deli
discorso de-- stinata a convincete 1 uditotio. i La cimusa
finalmente si suddivide in : conclusione — brevissimo riassunto di
quanto. si; disse. nella dimostrazione. ricapitolazione
— ripetizione sommaria di tutte poI cose, ; esposte. «NE
i Me perorazione — punte destinata a commuovere 1 udi: dia torio.
ST: consistente in LRocHe Elo destinate a rin: 5 TRSCE
i ceri STATA Vo) Jolgimento. di lle parti del discorso Introduzione - Esordio. studio
principio esordio per INSINUAZIONE (IMPLICATURA – GRICE) -- insinuazione
di | esordio ez-abrupto tà di esordio principio, o meglio prcemio, ui
né UR accennare l'argomento Senza COR nè. UE: di pa- i Sia i
benevolenza e magari la di i fi ascoltanti. Tante. volte non tutto questo
ci occorre. Sovente siamo certi dell’ attenzione. del pubblico, lo
vedian pes pender dalle. nostre no È ten 0 e è inutile e
nociva. Nociva, perchè l'esordio ha da esser breve, di una brevità
proporzionata al discorso, ma È . nza riciri è fronzoli
inutili, Un esordio troppo f semprese a sospettare
povertà di argomenti nella . lungo induce sostanza
del discorso. È Altre volte può accadere che della benevolenza
dell’ uditorio siam sicuri, e non ci rimane altro che
‘ accaparrareene l'attenzione. csi Ecco qualche esempio di
questo penere d'esordio. Di e Ho da parlare dell’uomo; e 1’ argomento
che Studio mi avverte che io debbo parlare a uomini; | poichè non
si propongono questioni simili quando si tema di onorare la verità. fo
difenderò adunque con confidenza }a causa della umanità innanzi ai
saggi che a ciò m invitano, e non sarò scontento di me
Stesso, se mì renderò degno del mio argomento e de? Imei giudici ».
t] (Roussrau — Discorso sull’ origine © fondamenta
della ineguaglianza degli uomini [17583]. i Signori, era mio
divisamento di aspettare che la a degli oratori iscritti contro il
trattato fosse vicina . LS prima di chiedere la parola, onde non
N essere costretto ad abusare della vostra sofferenza
sorgendo per due volte a parlare; tuttavia gli attae chi contro il
trattato furono tali, le insinuazioni contro la politica ministeriale
furono di tale specie e le ini i terpellanze e le domande furono così
numerose che | 3 ‘jo estimerei di fallire a quello che debbo alla
Came «a quello che debbo agli oratori che mi hanno prece: DIRE duto
in quest'arringo, a quello che devo al Ministero — e a me stesso, se io
aspettassi più oltre per sorger “a difendere la politica ministeriale ed
a ribattere le accuse di cui fu fatta segno. > x Cavour —
Discorso alla Camera 6 Febb. 1855. NI 2 (
Signori, vi ringrazio di quoste accoglienze ( «che mi confortano; dacchè
(non vel nascondo) mi levo a parlare oggi senza trepidazione. Alle.,
della parola non sono più nuovo; ma io non ho que maniera semplice,
domestica, casalinga che {senz essere didascalica) ammaestra € diletta,
ou è t tt ‘minzione di forma e di affetto; non quello stile smt
“gliante che, nutrendosi d'immagini, di motafi re e di antitesi,
commuove e trascina, ferisce e risana DA Gua neppure quello
scoppiettio «i frasi, quel fosforo nel I hf x RE sia gorgheggio
peo) ch'è rop Di ì pra Men 90 } sto Gircolo, al
quale mal si ad: oncitata ed a sbalzi che alenni oratori di
que dice il tumulto d' una parola e pare eloquenza nelle assemblee
popolari. c Senza che; o signori, quando i0 penso che da que-
sta tribuna voi avete udito il fondatore del nostro Circolo,
Francesco De Sanctis, il cui ingegno critico è ammorbidito dal cuore, ed
altri illustri cultori delle scienze e delle lettere; sono indotto
a dire a quella egregia signora (1), la quale mi ha spronato a
parlare: se la punta del rimofs0; come cosa nuova vi alletta;
sarete certamente paga dopo di avermi ascoltato. Le. gentili pressioni mi
hari vinto e se il Bonghi, che ha anni parecchi più di me, fion seppe
dir. no ad una Signora, sono io in colpa il’aver detto sì?
(Coxrs G. Capiniiivà — Conferenza. al Citeolo Filologiéo di
Napoli); « Se invece che un modesto . fossi în questo
momento un È del primo grido del bamb linanzi,
n i i] RI VOL cultore delli medicina, io poeta, potrei,
parlandovi I > . » e mo che nasce, farvi sfilare
ente di immagini vivaci, tutti i sen” R (1) La Baronessa
Manin LIO, ‘amna Dé Riseig Guevara, dei Duclif
b> li eat Ga aaa ni PS
o A cis ‘tuosi, SE animo. Conferenza del dott.
Cesari CATTANEO: L'esordio per insinuazione è quello in cui si nas
: RAS ca tutta prima la propria opinione e la si vien di
se ne aggiunge | Roussn scienze e AU —
Se il ristoramento delle delle arti abbia contribuito a
purificare i e Ostumi — 1750.
ANIME IETORAE « Veggo, Ateniesi, gli affari presenti pieni di
diffi | denza e Do porelia molti sono stati negletti, | senza che
sia riuscito profittevole il ben parlare; e [i ogli altri si discordano
gli oratori, perchè chi ìla intende a un modo e chi a un altro. È il dar
con- | siglio, che è cosa per sè molesta e difficile, più difficile.
96 EA teniesi, la rendeste voi. Imperocchè tutti gli altri E È omini sogliono consigliarsi prima
degli avvenimenti, w i Voi dopo di essi. Di qui nasce che per tutto il
tempo che mi torna a mente, 1 riprensori dei fatti vostri ta
o riportato lode: di savi e sinceri parlatori:. ma le asioni più utili vi
sfuggono. Contu ttociò, dopo molti | : pensieri, mi levo a parlare
confidandomi che ove VOTE gliate, lasciati i tumulti e i contrasti,
sato sa La ascoltar me come | dice a chi
sta per deliberare sopra negozi di tanta anza, io farò tali
proposte da migliorare le cose. Do senti e da ristorare i danni procurati
di a iugfenor he = DasosmENE - — Orazione intorno
alla Pheosi VISSE esordio ex abrupto non è. veramente un ‘esort
io | perchè i lascia da parte. qualunque preparazione d
Ì si prorompe in ‘eselamazioni repentine. De ‘Eccone un
esempio. « Avrò dunque io durato tante 00 Ù messomi i tanti
IE per disfare, e e non iFieupara la p ASP li
_ 0 italiano 0 toscano, ma fioren- tino e antico fiorentino,
patità l'animo di veder con questi occhi abbatter fe mura di
Firenze come se fosse Dl: un ignobil castello? | mia Ka me,
non dic Ta FARINATA DEGLI UsrRtI — Dalle « Storie Pa
Piorentine » di Scipione Ammirato. - Nell’esordio si usa sovente
la diminuzione, che ha luogo quando, a schivare la taccia di persone
vanaglo- (0) riose, sì dice meno di ciò che si vuol far intendere.
n! «€ Se non sono affatto privo di ingegno, 0 giudici — e he
Sento quanto tenue esso sin — ‘0 se alcun eser cizio di ragionare ecc,
> CICERONE — Oraziorie a difesa d’Aulo' Licinio Archia
poeta). EM dda Credere, che Voi, 0 giudici, maraviglia |
Prendiate, onde ciò sia, che tanti oratori sommi ed uomini o stando
assisi, io, anzi che altri, mi | sia in più evato. ire È A Ò P,
Vale a dire colui, che nè d’età, nè n ; d ingegno, Dè
d’autorità sono dla esser posto con questi, che siedono, a paragone.
» si Se, come, e fin dove nteresse comune l’opera sua
5 (a ) Ministro BARAZZUOLI a Genoy DA DALLE CIRCOSTANZE
DI LUOGO. « Signori — il vostro egregio presidente, marchese.
srancesco Carega di Muricce, che non dirò vecchio i mio amico, perchè in
lui perenne è la giovinezza dello spirito, invitandomi a questa
conferenza, mi ha provato, — ch'egli fa a fidanza con la cortesia e
l’indulgenza di | tutti voi. Ed io, per esser cauto, avrei dovuto dir
no si all amico mio troppo audace: ma il pensiero mi corse sia
queste ridenti contrade, alle quali mi legano tanti. ricordi della prima
giovinezza, ed eccomi innanzi a Li invoco Monsall e SERI Ea uditori.
Qui, N È ae declivii Cavensi,, venni spesso neg sia anni.
{miei primi, e la dolcezza di quelle primavere e edi quegli > autumni
qncor dentro mi suona. Trassi così, da co °° | contemplazione del bello,
l’abito, che non ho I, più solitudine del pensiero,
rinfrancandomi, tra DE pur | gioie dell’arte, dei dolori e delle lotte
politiche. E ripensai anche, o Salernitani, alle vostre 8 arie
e a e pa ai o de 10 600) % LI, dl
So 40 voi liberamente di eletti studii e di
nobili imprese. Della vostra Salerno narra Livio, chiamandola -
Castrum Salerni; il che prova che forti rocche dovevano custo-
dirvi anche prima che, a tenere in freno i Picentini, parteggianti
per Annibale nella seconda guerra punica, fosse tra voi fondata la
colonia romana, della quale Scrive Strabone. Antichissime le vostre
origini, si perdono nei vestigi delle Colonie Tirrene o Pelasghe; e
florida città foste, dopo la longobarda conquista, chè Paolo
Diacono vi annovera tra le opulentissimae unbes della : SERRA
Campania, insieme a Capua ed a Napoli mi a. Io ripensai, 0
Salernitani, alle gloriose iniziative ecc 5-9) (Conte
G. CaprrebLi — Conferenza nella sala dell’ associaz.
liberale democratica di Salerno). L’ austera maestà
di Gheorora gi diffond quello che ci circonda parla
troppo cloquentemen del grave lutto che ha colpito la diletta nostra
Patria. Sac. Dott. LuonELLI — Disconeo i commemorativo. pei
caduti. dip Amba Alagi. JES ni Dari CIRCOSTANZE BI
TEMPO. wi | Dott. |Doxvivo Noskvzo, i, tenuta
alla scolaresca riunita in Borgo sesia nella ricorrenza Gul 50.
ann. dello — Re ca } Ù la DAGLI UDITORI. n nOi
RI NA CaTSono l’esordio da tanti de asconani
“come ‘soleva a mò d’esempio praticare Cicerone è op, piene:
eo se sono DE peg: ‘Gobi s6 CO 0 ig come. UO: t ce nelle
assemibloo. i EOSONE c Benchè tra voi mi paia veder molti aver
Ta mente sì calmaela fede sì ferma e l’anima sì devota che per la |
presente calamità non si muova o turbi, ma a guisa di duro scoglio sia
più tosto atta a rompere le tempe- stose onde di que:to mondo che
lasciarsi da loro muo- vere e travagliare, e che queste impetuose
tentazioni | Siano piuttosto per chiarire la vostra virtù che per
tur- - can barla, pur nondimeno vedendo alcuni ecc. » "e È
SF S. CieRrIANO - Discorso al popolo in cupo di POSERO 3
-5) Da ca ct Ha PRECEDUTO NEL DISCORSO. cA voler fare il
mio debito, mi i converrebbe Du far altro stasera, che ringrazia
re il magnifico M Pietro E delle parole onorevoli,
che per sua cortesia ha dette di me, e laudare la sua magnificenza. ‘del
dotto e caldo fficio, che. così è Sprovvedì favore
della liber tà. z - ‘atamente ha 1 fatto a BArToLOMEO 7
Seta Orazione: nell Accademia. degli Uniti in Ia sa
6) Datr/ csATORE tino. » Jo devo l'onore di parlarvi a
quel. carati er SER | mità con cui i miei concHiadins
vollero i ii da un Mi; col on voto a A in Consiglio. uo
"USE (EDO arno mi a G cca “madre di Vonezia, diede le i
velio, i — questa. fiducia con cui Governo, Provincia e Comune mi
consegnarono IE immensamente duraturo e l’immen: — iam fragile, mentre |
mi ic mi a di a ch or _ ‘Das nella sota si cinpertura del Ho
di a SR : >. d'eta = ia Dar ‘SUBBIRTTO. IN,
DiscoRSO dell Memore È dA TRS Che ìl tema Î
quale e d ni. Le discepoli, rinnovelli in voi i nobili ent usi RO
iS le vibrazioni all'unisono del sentimenti La Ò procuratevi
dal facile oloquio, dalla copia «li dottrine SO leggiadra parola e dal
garbato. put dre. de — dd egregi Colleghi che mi
precedettero in queste confe renze, non lo sperate. «Non vi
intratterranno oggi eroiche azioni, grandi imprese, generose iniziative,
sublimi ideali. Il compito mio è più umile e più modesto, come più
austera è la scienza dei numeri, e chiacciato è l’aere che d’at-
torno vi aleggia ». SI «Buzzi — Conferenza sull’
insegnamento dell’ aritmetica). ( Dispiegati alle patrie
aure savonesi, 0 simbolico prezioso vessillo. Tunonandrai colla gloria
delle battaglie i 9 4 . . Ù accrescere l’alloro degli eroi e le
lacrime delle madri. È Ta a mari procellosi e terre lontane, Ma
come omestico palladio ra lerai Î "a È i ecoglierai a te
d’imtorno una nume- 1 gia di gente che lavora e vuole che gia tant
prospera quanto è SERRE uanto è bella la terra in cui siamo nati c
Allarga le ali tue, o vessili di sotto di esse, quanti pensano
o diletto, e si abbraccino © studiano per l'umano e
segno; i e ad ess nipoti È che il popolo savonese non
conosce le è uni le Imvidie; chiede. “dei
È AG È A 5 LAN solo giustizia. per i suoi traffici e
per i suoi ce nè. ad altre gare si accinge. che non siano quelle
desti". 7 nate a rendere, colla gagliarda e onesta ; Cono a
più fiorente e Yigorosa l'economia nazionale. e “a Eco Mostrati,. 10
patriottico vessillo, a o Dean SORBCE. “grande patria italiana sono amici
della civiltà rivendica Gamperta. — Discorso al Corpo
Legislativo. 9) DA UNA 0 PIÙ COMPARAZIONI. Ri.
c Chiamato dalla fiducia, altamente lusinghiera per me, cli questo
onorevole Comitato dell’Accademia di scherma fra i dilettanti delle
quattro scuole di Venezia, all'onorifico incarico di tenere una breve
conferenza che serva di prologo, dirò così, alle brillanti frasi
scher- mistiche che stanno fra poco per scaturire dai rino
colloqui fra ferro e ferro ; io volgo estatico gli occhi ame di ; per
jono di religiosa “dai d intorno, per contemplare, pieno di
religiosa Ammrazione, questo meravi i a di cui ogni pi
glioso monumento parlante etra attesta una vittoria e una
conquista el Y . UN { i g RI Mare immense dove i Veneti
oscurarono la gloria dei Fenici e de lo scettro e vi »
Cartaginesi, dopo averne ereditato lè sno ali vit Umpero; spiegando il
leone di S. Marco È di i di 0 su tutto l'Oriente, fino alle antiche
oe taMmani; ; FE i Mo Mentre Marco Polo conquistava, mo. su
qu ralmente, l' impenetrabile impero dei Mongoli e dei fgli
del Cielo. Allora la mia mente trasognata e in balia (li quelle
astrazioni telepatiche che divagano nel mondo N deifantasmi,sitrasportaa
quei tempi gloriosi del medio È cvoitaliano, ovesi vedevano come dice
l’Alichieri: ò È . Cavalier mover campo iù E cominciare
stormo, e far la mostra, 3 y Ò e gir gualdane, Ro Ro Ferir
torneamenti, e correr giostra, si ; ss Lal i R RA — Quando con trombe e quando
con campane, | i | Con tamburi e con cenni di castella, pio3,
E cose naturali e cose TSHRLOI pr “e sa LE a Liza per SA un
SRI una sci: rp: Un fiore, i STINO Quindi, nel vedere intorno ame
questa gentile corona | cli vaghe dame, di vispe donzelle, di baldi giovinotti,
i - di proceri maestosi e di brillanti ufficiali, e contemplando
questo azzurro cielo che è sempre stato il sogno | poeti e dei pittori dì
ogni nazione: suggestionato il i A Spirito da quest’ ambiente
paradisiaco, dove gli ettl | marini sì confondono con 1 olezzo edi
profumi che i traspirano dal vago sciame femminino, paemi a essere
a DR ato come il RA E Ra 48. a mia festosa Provenza coronata di mirti è d’olivi come
l’Argolide dei poeti ellenici gi dsl stere ad una di quelle corti
d'amore. 0 o È quei ludi floreali, dove tutti i maestri della g@%4
SH vili d’armi in amore, trovatori, menestrelli accor-
niono, nell revano per le prove del loro sapere nella giostra,
nella quintana, e nell’improvvisare lai, madrigali, coble,
serventesi e romanze. Cav. Dott. ALzeRTO Couennt Conferenza sul tema Lu scherma nei
poemi epici del Tasso e dell’Ariosto tenuta a Venezia nel cortile
del Palazzo Ducale. Da UN DETTO 0 ESEMPIO ILLUSTRE. un
pensiero: il bene all'ultimo respiro la vita al allo studio di
adempiere la sua missione ». Questo è il giudizio che S.M. Margherita di
Savoia © orante nella suà fede rac- uesto stesso è il giudizio
che © pronunciò col plebiscito di gno, di rimpianto. alla me-
di esecrazione all’assassino. Commemorazione di fatta
dall'on, H € Amb il popolo; non ebbe che della patria;
sagrificò fino dovere ed piangente sul cadavere Chiusa
nella preghiera; q Il popolo immediatament Commiserazione e di
sd Moria dol Re, S..M. il Re Umberto ACCHI a
Cremona. TTORD S « Signori — Vincenzo Gioberti
scriveva al Massari da Parigi: « Il vostro affetto vale per me più di
quello di cinquanta Principi e cento Ministri » ed in queste parole
dell’insigne filosofo si scorge l'armonia di lui, | nel pensiero e nelle
aspirazioni, col patriota napole- È i tano. Del Massari si può dire ecc.
» È Conte G. CAPITELLI. — Commemorazione x \ di Giuseppe
Massari fatta nella Sala $ ) Die Vega dell’ Hotel Royal di Napoli,
E ch . E 1000) DA UN'APPROPRIATA CITAZIONE. «PRG
5, Sia per la entità del programma e la sua estensione, che
si può dire abbraccia tutto ciò che all’ igiene degli alunni
e della scuola si riferisce. Ma nonostante ciò to mi sforzerò di
corrispondere all’ impegno assunto nel modo migliore che mi Sappia,
facendo pure asse: È gnamento sulla vostra indulgente bontà. » i
DEFINIZIONE « L’igiene della Semola, di vista
generale, comprende, fisica, vale a dire, 1° igiene d nei loro
rapporti imi priamente detto, o l’ igiene Morale, cos
gogica, ossia | ice Considerata. da un punto: da una
parte 1° igiene egli scolari ‘considerati nediati con il mezzo
scuola pro- ® dall’altra, igiene intellettuale e ne uu i,
studiati nei loro l Sistemi di educazione, VIZI giò . È
sa « Quest IgIche pedagogica “mergerà da tutto cid che io esporiò
relativamente allo svilupp fi ‘o i bsicologieo del bambino. 11 Pesto
della n si _ Bogica, propriamente detta, i sarà trattato con
la dell'igiene fisica dei fanciulli, in quanto ha rapport.
p: con la scuola, e della igiene della scuola in quanto di questa
esercita. la sua influenza sulla salute degli scolo: ) = Sio
(PAAIZIONIE LR n a “ doo adunsue è lo scopo no sì ì prefigge
Programma stabilito. dal Regio Ministero e | che i Eb svolgerò
nell ordine seguente ecc. VI QI a doo 3 n 3 È 5 sr per îe; natura
dell vo =.cic si che lo RI di essa è dele ul ben delineare w
Lon Ù intenda i in dns (be troppo ristro " Ren Da breve i) da Pe —'
| pure; el: La partizione, lo abbiam Mo no, i | Simo;
serve per annunciare i varii punti in cui sì di- - viderà il discorso.
Deve farsi in modo che ogni parte «di essa sia ben distinta ed ordinata,
di guisa tale che o serva di
intelligenza all’ altra, giovi alla memoria: di chi dice e di chi ascolta
e sollevi il pubblico dE un attenzione continuata facendolo riposare a
brevi - si intervalli. Nella partizione dev esservi anche una
certa progressione, di modo che il convincimento, la | persuasione vada
costantemente crescendo. La partizione è inutile quando il
soemetto è sem- | plice di sua natura. | Ecco un
chiarissimo’ LA esempio della definizione.
Prop OSIZIONE c Farò arcomento dell della digestione.
a odierna conferenza |’ iolene FERTATZAA Derrn1iz LONGO)
Ra € Digestione Sì chiama | ti introdotti n
conservarlo eda CR Rousspav
Discorso que Segna politica. la Ego c
dc Ed ceco un esempio semplicissimo della partizi «
Per rispondere, o signori, io non seguirò pass i | passo ì varii oratori
che hanno ES il trattat giano questo; sistema mi costringerebbe a
moli | lipetizioni, m ma vedrò di fare in modo di non “che
nel complesso del mio dire rimanga senz «alcuno dei principali argomenti
de’ mici uv i € Onde la Camera però possa portare | |
giudizio sulla politica del Ministero, io mi Ia gore ANTA di
farvi dapprima una breve e succinta relazione delle negoziazioni, e di
dirvi quindi i motivi che hannoind il Ministero ad accettare il trattato,
per pi endere ultimo ad esaminare gli appunti che
contro il tratta: | Sono stati diretti. > i E
nie VAPITOLO VII. Confermazione eniaMo
ora alla sostanza del NA: TURANZALO Nea n: ._ La
narrazione è il racconto dei fatti ©. nella, forma. più adatta a
persuadere. i Po La narrazione qualche volta si ommette, e cioè î
Pe quil: fatto è stato. SSRRISICOE narrato da gua n cche c noti
che si i ‘stiporfiuo. cia Que invece alla narrazione sì x Dai un
— 02 — i La narrazione oratoria differisce da ogui altra:
il dire dell’ oratore è più largo, figurato e COLDEO, non solo, ma
non tien conto nell’esposizione «del fatto che dlelle sole circostanze
che giovano al suo intento, ogni volta che, senza alterare la verità, può
ommettere 0 appena accennare le altre. La narrazione oratoria deve
esser condotta con grazia, per quanto il com gravità dell’
arzomento » mettendu con accor bella luce le cose favorevoli
all’assunto dell? oratore. Il quale deve tener presente il detto
antico: Quis; quid; ubi; quibus auriliis; cur; quomodo; a? dove?
con quali mezzi? perchè? in qual modo? Tuando?) e cioè che un fatto è
suscettibile di produrre Maggiore o minore Impressione : ci Quid)
dalla qualità di chi lo compie, dalla sua Map 0 SEO da altre doti di lui,
vuoi Quis) dall’essere "appresentato vivamente Ubi)
dalle circostanze di porta la tezza in
Privato, Quomodo) dall a maniera in Quando)
dalle Cui Seguì circostanz e di tempo (luce,
buio, giorno LESINA n fatti consimili e commenti
relativi; “i AE Rd gliate o principali deli LIuiob dl mezzo
TA d5; E vediamo ora quali siano le fonti generiche
ria qualunque narrazione. ‘It Pri ]. ORIGINI, CAGIONI DEL
FATTO RAGYONTO SOSTANZIALE DEL FATTO (7022140 presenti | 7 7
elementi suindicati) LE CONSEGUENZE DA ESSO DERIVATE; de 6 4.
DIFFERENZE che si riscontrano nell’ esposizione del - fatto per parte
dell’ oratore dal racconto stesso. come venne esposto da altri; ;
5. SOMIGLIANZA, Ossia paragone del fatto in parola con 6.
AMMAESTRAMENTI Che se ne ritraggono, | | de: Con quest indice
qualunque persona di discreta col t; tura deve saper.raccontare in bell’
ordine un fatto | qualsiasi. Quest” indice gli deve far. iscaturire le
idee, fornire i materiali di una narrazione Ri efficace, —
ordinata. NES a i ph Prima di chiudere questo
capitolo. amiamo. dare un È esempio del modo di rammentare, colla maggior
faci lità possibile, sia le circostazze di un fatto S sia il sezso
di uno squarcio qualunque. di prosa © poos ‘ome anche di un intero
discorso. Rin * In un fatto storico non importa al lettore
letteralmente le parole, ma solo le circostanze — 6B4
— che noi possiamo suggerire è quello di farne analisi col
verso sopra indicato (Quis; quid; ubi; quibus auzvilite; cur; quomodo;
quando) abitualmente applicato dagli oratori alle diverse parti del
discorso, e nel quale si ritrovano tutte le circostanze possibili di un
avveni- mento. > Serva d'esempio il racconto seguente
estratto dal libro VII delle Storie Fiorentine: - La morte di
Ga- leazzo Maria Sforza. € Mentre che queste cose nei modi
sopra narrati tra il Re ed il Papa, edin Toscana si travagliavano,
nacque in Lombardia un accidente di maggiore momento, e _
CHE fu presagio di maggiori mali. Insegnava la lingua latina ai primi
giovani di Milano » Cola Mantovano, uomo letterato ed ambizioso. Questi o
che coli avesse in odio la vita e costumi del duca, 3 che nua altra
di tesa, erano Giovanni Andrea ti e Girolamo Olgiato.
Con essima natura del principe fidenza dell’animo è
volontà che li fece giurare che come la loro patria dalla tirannide
d- di quelli giovani venne, per l’età ei potessero,
Ie quel principe sibererebbero. — Sendo” ripieni adunque:
a questi giovani di questo desiderio, il quale sempre ui: cogli
anni crebbe, i costumi e modi del duca © di piusni le particolari
ingiurie contro a loro fatte, di farlo man- «lare ad effetto
affrettarono. Era Galeazzo dissoluto e crudele, delle quali cose gli
spessi esempii l’aveano fatto odiosissimo, perchè non era contento far
morire gli. uomini se con qualche modo crudele non gli ammaz-.
zava. Non vivea ancora senza infamia d'aver morto la madre, perchè non
gli parendo esser principe, pre- sente quella, con lei in modo si
governò, che le venne voglia di ritirarsi nella sua dotale. \ Sede a
Cremona, nel quale viaggio da subita malattia presa, morì. Donde
molti giudicarono quella dal figlivolo essere — stata fatta morire. Aveva
questo duca, Carlo e Giro- lamo disonorati, ed a Giovannandrea non avea
voluto | la possessione della badia di Miramondo, stata al suo |
propinquo dal Pontefice rassegnata, concedere. Queste | private ingiurie
acerebbero la voglia a questi cloni vendicandole, dì liberare la loro
patria da tanti mali. | Deliberatisi dunque a questa impresa,
ragionarono dlel tempo e del luogo. In castello non parea. loro sì-
curo; a caccia, incerto e pericoloso; nei tempi che quello per terra giva
a spassi, difficile e non riuscibile; no conti iti dubbio. Pertanto
SERBATOIO in. ‘qualche io pompa e pubblica festività
opprimerlo, dote fussoro certi che venisse, ed eglino sotto varii colori
vi po tessero loro amici ragunare. Conchiusero ancora che sendo
alcuni di loro per qualunque cagione dalla corte ritenuti, gli altri
dovessero per il mezzo del ferro e de’ nemici armati, ammazzarlo.
c Correva l’anno 1496 ed era prossima la festività del natale di
Cristo; e perchè il principe, il giorno di Santo Stefano, soleva con gran
pompa visitare il tem- pio di quel martire, deliberarono che quello fosse
il tempo erl il luogo comodo ad eseguire il pensiero loro.
Venuta adungue la mattina di quel santo, fecero ar- mare alcuni dei
loro cendo voler contro la vo più fidati amici
e servidori, di- andare in aiuto di Giovannandrea, il quale
glia d’alenni suoi emuli voleva condurre nelle sue possessioni un
ae quedotto, e quelli, così ar- Dist, al tempio condussero 7
allegando voler avanti partissero prendere licenza dal Principe. Fecero
ancora Venire in quel Inogo sotto v AMICI e congiunti,
dun nel resto dell’; duo Gi ridursi con quelli la terra
dove ere- lebe, e quella con. tro alla duchessa cd ai P
dello Stato fare ar- rincipi ia MTAERO i da
mare e per questa via assicurare loro e rendere la ni d libertà al
popolo. Fatto questo disegno, e confirmata — l’anima a questa esecuzione,
Giovannandrea con gli altri furono al tempio di buon’ora. ed udirono
messa insieme. Al duca (avendo a venire al tempio) inter- vennero
molti segni della sua futura morte; si vestì una corazza, la quale subito
di poi si trasse; volle | udire messa in castello, e trovò che il suo
cappellano era ito a S. Stefano con tutti i suoi apparati di cap.
pella; volle che in cambio di quello il vescovo di Como — celebrasso, e
quello allegò certi impedimenti ragione- . voli. Tantochè quasi per
necessità, deliberò d’ andare È al tempio, e prima sì fece venire Giovan
Galeazzo Ca n Ermes, suoi figliuoli, che abbracciò e baciò più volte,
. non potendo spiccarsi da loro. Pure alla fine deliberato ; s'uscì
di castello e n’andò al tempio. I congiurati, | intendendo come il duca
veniva, se ne vennero ino Chiesa, e Giovannandrea e Girolamo sì posero
dalla — È | parte dest all’ entrare del tempio, e Carlo dalla si i
nistra. Entrò il duca circondato da una moltitudine | grande come era
conveniente in quella solennità ad «una ducal pompa. I primi che mossero
furono il Lam- ‘ | pugnano e Girolamo. Simulando di far largo al
prin: uv se gli SRCOH ORI ‘e OICR a: De corte ed ll
68- Taipoznano gli dette due ferite, V uma nel petto è l'altra
nella gola. Altrettanto fece Girolamo. Carlo Vi- sconti con due colpi la
schiena e le spalle gli trafisso. E furono queste sei ferite sì preste e
sì subite, che il luca fu prima in terra che quasi niuno del fatto s'ac-
forgesse. Subito il rumore si levò grande, assai spade si sfoderarono, e
quelli ch'erano al duca più propinquì, avendo gli uccisori conosciuti gli
perseguitarono. Gio- Vannandrea, ritenuto fra le vesti delle donne
fu da Un moro. staffiere del duca, sopraggiunto e morto. Fit ancora
da circostanti Carlo ammazzato. Girolamo Ol- giato pervenne a fuggi
Mr Fe ed andarsene alla sua casa dove non fu nè dal padre
nè dai fratelli ricevuto; solamente la madre lo
laccoma ti Saro ndò ad un prete, an- 10 amico, il quale
messogli sue case lo conduss uoi panni addosso, alle
e. iorni ; 3 - Due giorni dopo, conosciuto, nella Izia pervenne,
dove tutto l'ordine Applicazione del verso et i | hai
Sopraccennato al fatto pre- Quis? Cola Mantovano, maestro di
lingua latina, uomo su ambizioso; Giovannandrea Lampognano, Carlo Vi
‘> sconti e Girolamo Olgiato. È n Quid? Cola Mantovano
detestando in tutti i suoi ra- gionamenti il vivere sotto un principe non
buono, prende tanta confidenza nell'animo e nella vo- lontà dei tre
giovani, che gli fa giurare di liberare la loro patria dalla tirannide
del principe; in con- seguenza la sua morte è decisa. Il duca è
assas- sinato; Giovannandrea è sopraggiunto e morto da 3: un moro,
staffiere del duca; Carlo Visconti è ue- ciso dai circostanti; Girolamo
Olgiato cade nella | | podestà della giustizia. si
‘Uni? Galeazzo è trucidato in Milano all’ ingresso della o chiesa di S.
Stefano, ch’è scelto a preferenza del | i castello, del luogo della
caccia, del ‘passeggio, — del convito: due ferite le riceve nel petto,
due de nella gola, una alla schiena e l’altra alle spalle. >
Quibus CUTE Ii armare i iena più fidi AUS di niro licenza dal
principe, prima di andare | in aiuto di Giovannandrea, che. voleva
condur un acquedotto nelle sue possessioni. Cur? sar liberare
la patria di un PRE SEDI uomini, se con qualche modo crudele non gli
am- mazzava, che ha fatto morire la sua madre, che due congiurati
ha disonorati, ed all’altro ha rifiu- tato la badia di Miramondo.
Quomodo? la mattina sentono la messa insieme: il duca non può far
celebrare in castello nè dal cap- pellano, nè dal vescovo di Como; depone
la corazza; non si può spiccare dai,suoi figliuoli. — I giovani
congiurati, simulando di far largo al principe, con armi strette, acute e
nascose, l’assalgono. DA Il duca cade prima che niuno del fatto
s'accorga. Il rumore si leva grande, e assai spade si sfode- È
rano. — Qlci : i È È Olgiato procura di nascondersi vestendo
— 1 panni d’ un prete ; muore con coraggio pro-
atine; mor s_Qcerd : anno 1496, 26 dicembre. (na
. Descrizione € 9 seche inerenti al 0,
tratto considera | i, estesamente e minutamente le cose e le persone.
I principali argomenti intrinseci (che sorgono cioè 4 I dalla cosa
stessa di cui si discorre) sono — oltre quelli ; giù indicati parlando
della narrazione — i. Sede l. LA DEFINIZIONE RARE x
i "da SR o) Lola col del raz | del tutto e di ognì parte,
esternamente e interna 3. LE QUALITÀ REST (materiali pure, NR
da esaminarsi in modo ARE O ea x cliamo quì della descrizione di
ciò che Srna DAG a ì gno animale od al botanico. In JUesto So se ne
î Scrivono gli organi e le [oro funzioni e si seguono in tutti i
periodi della loro vita animale o et _ Sarà mai possibile dimenticare
qualche cosa 0 DrORZ (li materia od esporla male, a sbalzi, a ritroso, se
poniamo mente che la nostra descrizione deve cominciare dal
nascere e terminare al morire, com nascere, il respira; il crescere,
il trasfor il morire. prendendo quindi; il ‘e, il
muoversi, il sentire, il nutrirsi, marsi, il riprodursi,
l’ammalarsi, LE QUALITÀ ESTETICHE ne per enumera
Semplicità, elecan 6. LE QUALITÀ’ INTELLETT zione,
intelletto, volontà, e Le qualità materiali v an di
talvolta, alle estetiche tal alt intellettive sempre.
NE (memoria, immagina - cc.) We ù deine
SI È Or ci si dica se con quest’ indice possono far difetto LE
le idee. Certo esso non mette veruno in grado di parla; «i
cosa di cui nulla sa, ma fornisce i materiali per un discorso ordinato,
ricco, pieno; ma rende certi che la parola non può mancare, che del
subbietto si diseor-. verà senza mai perdersi e confondersi, senza mai
alterare ordine. il più rigoroso. Relazioni.
sono le qualità estrinseche, de qua è che sono fuori della cosa dun
ina To parlo a mo? d’esempio di un estro e ne enu le bellezze,
quest’è la descrizione; lo confronto altri teatri, queste sono le
SI I principali argomenti estrinseci sOnO: l. LE LEGGI
(relazioni tra la ‘cosa; in leggi naturali, umane, divine, RITA
FRZDIZIONE OSEASGRAMA 4. 1 MONUMENTI (materiali [muti e
parlanti] ) — morali [istituzioni 0 cerimonie che celebrano qualche
avvenimento] ) O. I DOCUMENTI 6. IL GIURAMENTO
T. LE TESTIMONIANZE (divine ed umane — rica- Vate dai libri sacri
o profani) LE INFLUENZE (attive e passive) IL GENERE E La
SPEGIE 10. cauSE E CONSEGUENZE Il. TEMPI E LUO due
occhi della Storia) MEZZI E SCOPo* GHI (Geografia e cronologia,
i gli elementi Telazioni colla Cosa in
discorso, che possono fornire va
Dimostrazione A © come quella che si propona di
convincere È l'uditorio. Ad essa molte cure dedicarono gli
Goal e molti scritti ci lasciarono al riguardo. Î ha Ed ecco le
norme più IR PeR cloyere della prova.
Nei delitti la prova spetta al P._ % M. ed alla parte lesa; nelle domande
che han per fine. un possesso, un godimento, la prova si addice a
chi la fa; in tutte le asserzioni, la prova si addice a chi.
le adduce. Dunque è nostro interesse, potendo, caricar I
l'avversario dell’obbligo della prova. ì 2. L’ostinarsi a negare ciò che
è innegabile, “SÉ Yidente, nuoce anzichè giovare. In questo caso è
a me- glio cedere spontaneamente. (Quintiliano). ELI Quando
non si sa che sos contrapporre al un vittorioso argomento avversario, i
Mio terl». Non potendo confutarlo sp buoni ut. l'occuparsene non
vale che a richiamar 1 RON su di esso ed a persuadere chi ascolta du >
tratta cli una ragione vittoriosa, irresistibile. Così dice CICERONE
(vedasi). — Quintiliano suggerisce di contrapporre all'argomento
Senza replica, altro argomento di ugual valore: tutto sta nel trovarlo;
che la cosa sia. però possibile Li abbiamo esempii numerosissimi,
Specialmente negli studi intorno alla patria di tanti uomini sommi
(Cri- stoforo Colombo P. es.) per la quale ognuno trova ub-
biezioni serissimo, questioni insolubili, di guisa che la cosa
finisce di necessità col restar dubbia. Ma poichè giudizialmente il dubbio
sì risolve sempre a favor dell’accusato, per un difensore. costituisce
sempre una vittoria ìl far nascere cot; al dubbio. 4
Come i giornali p er esser letti han bisogno della massima
chiarezza, cos) l'oratore per piacere al suo uditorio. La chiarezza non
Sarà mai soverchia in Chi dee parlare al Pubblico: quindi grave errore
la troppa brevità, S PIREO NAPO OPERAI IAT ON
" URI g: 3 de % n è. La n * = ai _ — 79 —
intuitivo e l'oratore dee persino serammaticare se senza di ciò non
verrebbe inteso (S. Agostino). 5. Nelle repliche cominciar dagli
argomenti più deboli della difesa, come se non valesse la pena di
oe- | cuparsene, e finire ai più forti. È 6. Si lascino agli
avversari, sì rispettino, si riconoscano le ragioni che essi hanno, affinchè
essi sen- tansi impegnati a riconoscere quelle che abbiamo RORA
ui si conceda cioè quanto sì può per ottenere ONESTO SDO
vuole (Franklin). x 7. Una delle arti dei grandi a, nelle RE
sballate, è di divagare dall’ argomento e abbagliare — Sa
giudici e pubblico con un mare di belle e splendide | A
parole. Ogni parola suscita un “idea. Far passare dei vanti
alla mente degli uditori un mondo di idee belle, vivaci, brillanti,
sopratutto nuove, originali, anche. a costo di esser eccentriche ;
stordire, far del chiasso, dir cose CA IEGGUA ole ER No
dire. In una causa sd catia Ve a a del pubblico, uscendo «dal
terreno vero della dise | sione (Veronesi). i 8. Quando non
si può rigettare l'obbligo. | ; prova sull’avversario, confutare
preventivamente | o Obbiegioni e gli argomenti fa Rico de " $
È F pi CERN questo difficile impegno, le
ragioni avversarie sono distrutte prima di esser messe in campo.
La confutazione, scrive il Rodella, è la parte in cui si ribattono
le ragioni dell'avversario. E quì, » l'avversario ha già parlato, e
allora non facciamo ci seguire mano mano le ragioni messe innanzi da
lui e le cerchiamo di distruggere; o non ha ancora par- lato, e
allora le preveniamo. Nella confutazione si ri chiede: — acutezza
di mente per iscoprire i difetti delle ragiori contrarie, pronto ingegno
e pratica per sape! cog lierle nella parte più debole. In questa parte
del. l’orazione può ‘tornar in acconcio una fine ironia, Senza però
mettere in dispregio l’avversario ; uno scherzo urbano ser
virà meglio a distruggere l’effetto degli argomenti contrari e
a confondere |’ oppositore. La confutazione deve essere coordinata
alla narra- zione, alla descrizione, allo relazioni e in
essi devesi tener calcolo dei seguenti elementi: — l.
DEFINIZIONE. Dalla definizione gi possono trarre argomenti
a Per esempio: « La filosofia morale Una scienza che insegna all’
uomo di PR IrRO 5 farsi migliore, © più felice; donde subito
si vede > niuna altra disci- plina poter essere nè più illustre, nò
più magnifica. » (Aristotile) Si può argomentare dal tutto
alla parte, dalla parte pe gn TS = wo abbastanza
CONVINEAATA Tizio » fu trovato IGO azar DRCOLA E NL CREDI Ia
DERE À SICA MRI al tutto, dal genere alla
specie, dalla specie al genere, dal più al meno e dal meno al più, dagli
antecedenti ai conseguenti, da questi a quelli, dalla causa agli Si
effetti, dagli effetti alla causa. i È ben naturale che per essere
eloquenti. one È conoscere le leggi del pensiero in quanto si riferiscono
— È all'arte del dire.-« La quale arte, sostenendosi princi- pe:
palmente sul ragionamento, si vuol giovare di quella | che insegna a ragionare,
e chiamasi logica. » DIL 2. ENUMERAZIONE DELLE VARIE PARTI DELLA
DEFI- NIZIONE E PROVA DI ESSE. e e SOMIGLIANZA. CONTRARII E
REPUGNANTI. Cont 5. causa ED EFFETTI. — Dalla grandezza degli.
effetti si fa arguire quella della causa o vicegeras sd ANTECEDENTI E CONSEGUENTI.
GENERE E SPECIE 8. SIMILITUDINE, E AUTORITÀ. 30! NOIE 9. ESEMPI.
ni 10. AGGIUNTI DI CIRCOSTANZE DI TEMPO, MODO, EBR- SONA,
ECC: 1l. METODO DELL’ ESCLUSIONE. ri molto SETLO por
suicidio. Se noi proviamo che non uù essere RO per tre di queste cause,
resterà ben DIRI ch è morto per la quarta, benchè a prova di essa ci
man- chino gli argomenti diretti. 12. FRA DUE MALI IL MINORE
0 FRA DUE BENI IL MAGGIORE; TESTIMONI. I4. DOCUMENTI
PE MONUVENTI. 15. LEGGI NATURALI, UMANE, DIVINE, RELIGIOSE.
16. ESPERIENZA. | I7. uso — voce PUBBLICA CONSENSO UN.VERSALE NEI DIVERSI TEMPI E
LUOGHI. Ecco un brevissimo esempio del Ta « Dee Lozio ragioney
S80; Olmente esser fuggito, poichè avere nè
amicizia nè buona, 0 tale almeno gi nell’apparenza.
(contranit e vepugnanti) » : “€ Ove Pozio signoreggia luee
raggio di Ingegno, ivi non vive pensiero di Eloria e d’immor-
talità, ivi non apparisce nè immagine, nè pur ombra 0 vestigio alcuno di
virtà. (causa ed ePetti). » « E siccome gli Stagni ©
le paludi, putride diven gono nella loro quiete; così i neghittosi
s Îvi non ri marciscono ’ ii li peer si
. nell’ozio loro; € ragionevolmente possono così Dod Ta esser
chiamati, come quelle acque morte si chiamano. (somiglianza)
> « Quanto le cose contro natura sono peggiori, più odiose e
detestabili delle altre, tanto più ozio deve esser fuggito, non pur com’
avversario @ nemico, ma come corruttore e distruttore della ragione, del
senso, dell’ umanità. (genere e specie) » 5 « Esercitano le fiere e
gli augelli ed i pesci, eser- citano Perbe e gli sterpi e gli alberi, gli
uffici loro. pi: Quo, natura: nessuna di tutte i cose. conte-
e starsi Le i, a luomo de ei È non eseguirà quello a che fu PERA È
(esempi, leggi naturali). > Li
È : Chiusa I rimane a parlare della chiusa, la quale,
7 siccome abbiamo detto, si compone di quat- Èo Ntro parti. i Moe.
La conclusione, riassume brevemente la so-- È stanza della dimostrazione:
deve esser breve ed efficace; fi tar rimarcare, imprimere nella
memoria, i punti salienti et di
argomenti capitali delle addotte ragioni. fi La ricapitolazione
invece, raccoglie per sommi capi | ed in poche ma acconcie parole tutta
la sostanza del SIE perchè l’ uditorio le abbia ben ot alla.
c Ma per non tenervi più a bada, J0coE ] o capi del mio discorso,
e poi scendo. Deesi contribuie — lenaro per mantener. le soldatesche che
nen) Nformar i disordini che per avventura vi. allienano; Non già
alla prima querela sbandarle; Si BOSIO da Spedir ambasciatori per ogni
parte che istruiscano, ammoniscano, promuovano a tutta possa il ben
della patria; sopra tutto debbonsi punir quei malvagi che —
vendettero la loro fede al nemico, ed averli in abbor- timento e
distruggerli; onde i buoni e leali cittadini si compiacciano d'
essersi y . . . ® a A e appigliati a quel consiglio
che più giovi e a loro stessi ed al pubblico. Se così vorrete
governatvi, se vi scuoterete dal ‘vostro lungo sì, spero che la sorte
ancor cangi fac- cia, e lo Stato rifiorisca e rinvieo
letargo, spero, gorisca. Ma se vi sta- rete tuttavia sedendo
a vostro grand’ agia, attenti. solo sino al punto di batter le mani st ad
un dicitore, © colmarlo di vivi elogi, poi smemorati, come dinanzi,
| © inoperosi, e infingardi; no, Ateniesi, tutta v umana » pradenza non
varrà mai da sò sola a sulvar da patria — «lall’eccidio che le
SOVLEStA. DEIANA 1g E | Rd EIZO ron (Filippica
lutorno al Chersonoso) ) } h fact ta omegna a La somma del mio
discorso è ICORI questa, ieitori non vi
rende . RO Panno giammai: i le so
e nè stolti; voi sì li farete essere tutto ciò, che a voi sarà in
grado. Conciossiachè non siete già voi che | mirate a quel segno che vi
vien da loro proposto bensì essi tendono tutti cold, ove vi scorgono coll
a- ; nima e colle brame rivolti. Voi dunque, voi dovete a
voler la salvezza della patria, e questa fia salva. Per-.
ciocchè, o non. ci sarà chi osì darvi tristi consigli, 0
questi torneranno vani, non essendoci tra voi chi alla loro seduzione
acconsenta. » (Arringa intorno alla distribuzione DA dei
cittadini.) È La percrax ione, o mozione degli affetti, procura
di ‘trionfare sulla volontà. Nelle moltitudini specialmente, pi
iesale passioni essendo potentissime, il sentimento el iti n fantasia
hanno il sopravy ento sulla ragione. | |. Non soffermarsi troppo in
questa, ch'è la via del | altrimenti si ingenera stanchezza e 1°
effetto. eno dimezzato. Gli elementi della i ‘Cuore ; ;
| mne vien sciupato o alm | perorazione sono e: Ì. IL
CONFORTO © 2 LA PIBTA' (coll’enumerazione degli altrui và 3.
n'amuLaZiIoNE (coi nobili SRRRRL di LA SPERANZA in o AE LA
MANSUETUDINE bi Si ZIAURORSE 6. L'IRA E L’oDIO, in
quanto si promuovano lede volmente contro la colpa 7. 1’
ENUMERAZIONE DELLE VIRTÙ della persona per la quale sì
perora 8. IL RICORDO DELLE UMANE MISERIE per
indurre all’umiltà. Colui può farmi piangere, sentenziò a
questo riguardo Orazio, dl quale senta già dolore, cioè che abbia E
nell'anima sua quelle passioni che vuole in me risve- gliare. Difatti,
chi non ha il cuore, prima ed unica sorgente degli affetti, penetrato da
quel sentimento che vuol suscitare negli altri perde l’opera ed il
tempo. Ecco un esempio di Giovanni Grisostomo: c Or
eccolo ridotto all’ ultimo avvilimento: eccolo i cattivo, inferiore al
più miserabile degli schiavi, al | più abbietto supplichevole, al povero
la cui mano è Stesa per implorare l’elemosina del passeggero. Sulla
sua testa, sotto i suoi occhi stanno ognor sospese © sguainate le spade;
ad ogni istante ae si aspetta . l'estremo supplizio e misura nel suo Se
ni via che conduce al palco. Ai piaceri che ‘eli procinto la prisca sua
opulenza, succedettero i camnefici, Al il ricordarsi del tempo felice non può
distrarlo nemmeno un momento dall’ idea della sua sventura.
J e gii « Ma come trovar parole adatte a dipingere P
or- DS rore della sua situazione e la crudele agonia ch’
egli soffre? E perchè mi sforzerei io di farlo, mentre tutti ne
siamo testimoni? Lo avete pur veduto ieri, quando vennero dalla reggia
per ordine dell’imperatore a strapparlo da questo santuario, dove egli
avea cerco un asilo. Il pallore di morte ne indicava lo spavento, bi:
di cni non è ancora rinvenuto oggi: tutto il suo corpo | scotevasi d’ un
brivido mortale, nè aveva membro che si non fosse ‘agitato da tremito
convulsivo; la voce in. Ro: d terrotta dai singhiozzi, la lingua
balbettante, tutti î È sensi agghiadati pel terrore, presentavano lo
spetta- | colo d’un uomo moribondo, e già cadavere. Io non ‘Si
voglio aggravare la sua miseria coll’ deraate A quando essa ormai non dà
luogo ad altro sentimento che alla compassione: e questa per lui imploro.
Quanto A più grave è il suo infortunio, più deve mitigar le ‘nostre
ire, calmare il corruccio dell” imperatore, e muovere a pietà quei duri
cuori che poc’ anzi udimmo lanciarci rimproveri perchè non gli abbiam
negato î l’asilo del santuario, che egli veniva ad invocare. — i
Che cosa avvi mai in questo, o miei fratelli, che vi. debba
irritare? i « Come? (rispondete voi) accoglieremo nella Gi un uomo
che le fece una guerra implacabile? st « E nen dobbiamo render
piuttosto gloria al Signore, che ha trionfato del suo nemico a segno da
ridurlo a nonaver altro scampo che nel potere e dla e menza della
Chiesa? Sì, nel potere di lei, poichè egli cadde in questo abisso di
miserie per GE SAILE stato il nemicò; nella clemenza, }cichè oggi ella si
com- piace di coprire della sua cgida il suo più CRUISE
persecutore, di ricoverarlo sotto le sne ali, di porlo in sicuro daria
violenza, e di schiudergli il materno suo seno con tutta
l’amorevolezza; invece di vendicarsi clelle sue ingiustizie. Può
forse darsi più splendida vittoria? trionfo più luminoso? €
E che, mi direte voi; un vomo macchiato da tanti ilelitti, un
pubblico ladro, reo di tante concussioni, ‘Farà introdotto nel
santo dei santi? e eli amplessi di siffatto uomo saranno un
con quisto, un trionfo per la Chiesa? i «
Adagio, o fratelli: voi dimenticate che una pub- blica peccatrice venne a
pittarsi ai Piedi di Gesù Cristo e che li tenne abbracciati;
e lungi dal farne un rim- provero al nostro divin Salvatore, abb
iamo un motivo di più d’ammirare e di riconoscere la sua bontà.
Ba- date bene che questo 240 “Pparente non sia prattosto destato da
un segreto desiderio «di Vendetta; vi rsov- Yenga che siete discepoli di
quel Dio che sulla eroce ta fi a RITA iortizoi CURSI
i i) 3 È DI
diceva a suo padre: Padre, perdona loro giucchè noù sanno quel che si
facciano. c Sarei io riuscito a muovere i vostri cuori, attutire
— le vostre ire? L° rt avrebbe mai dato Mec veggo scorrere
dai subi occhi. »_ Il fine è destinato, già lo dicemmo, a
ringraziare - l uditorio ed a lasciar grata impressione. Eccone
qual che esempio. È SSL PURA onde mi avete paro vi aa Pen
e n Voi pure siete stati messi, nei vostri ue DE vostre industrie,
a dura prova dalla crisi interna q “e da quella che imperversa ancora al
di qua, e al d a dell'Atlantico, ma la bufera, se vi ha colpito, n
‘vi ha travolto, ed è questo il mie i argoment della vostra
vitalità. Avanti dunque; nelle Mao ) abiti e dei feriti; i deboli
cadi vono; se qualche vostro stabil — resteranno SREDIO, MO
RR IA strie il commercio genovese. Il governo è con voi
SA perchè il governoècon chicombatte e lavora; guardiamo
(quindi insieme l'avvenire con fede nell’ Italia, nel suo Re, nelle
sue libertà, nel lavoro. Ministro Barazzuosi a Genova « Se una
gran legge di natura suona che tutto ciò che ha un principio debba avere
un fine, v'è un'altra legge di opportunità, quella di finire in tempo. Ed
io fipiseo citando un altro fatto conosciuto in appoggio el
principio psicologico di eredità, il quale se si im- pone come vedemmo
all'individuo, alle famiglie, ai popoli ed alle razze, si impone anche ai
pubblici] dei. quali aleuni si mostrano sempre arcigni ed inconten-
tabili, altri gentili ed indulgenti sempre. E per mia 3 Sla
gentilezza e }° indulgenza sono sentimenti ereditari, atavici in queste
sale, > Sat Conferenza sull’Eredità del Dott.'v TEDESCHI
A PRE atri 5 CARON, più Feguenfi. e palo e Verato lo
sbadiglio, originato dalla stanchezza noia. Tani EZZOGO, dalla
$ SG « Lo dissi prima, e dissi pure quanto si se a — la
sua contagiosità. È EE 3 « Non ARpirerei Invero al averne subito an
prova 0 n Ri STR: tute se Ne poco ambita, nè vedere gnì Isorgere
una RI Fase Cer epidemia di sbadiglio, per contagio
imitatorio. Per cui fo punto! sperando che si sviluppi invece nel
mio gentile uditorio, il contagio di una benevola indul- genza.
> Conferenza sul Mal del Secolo del
suddetto. Uditorio cortese! Ho finito il mio dire. Se taluno
di voi, uscendo da questo edifizio, mi dovesse incontrare col sigaro in
bocca, mi faccia la grazia di non pensare col Tolstoi, che nella
ebbrezza. nicotinica io cerchi di assopire la mia coscienza de-
pressa ed aggravata dal rimorso di quella noia che so benissimo di avervi
cagionata, ma per la quale voi con. gentile compatimento non vorrete
tenermi il broncio. » OGG VC Conferenza sull'/giene del
tabacco, i del Dott. Xypras. ) ” | Ecco qualche
esempio intero di una chiusa: « Voi avete pel passato reso questo
servizio all’ Italia: colla condotta da voi tenuta per sette anni,
dimostrando nel modo più luminoso all’ Europa come gli x A |
italiani sappiano governarsi con saviezza’, con prudenza, con lealtà. Sta
ancora a voi rendere un ua Sali | se non maggiore
servizio: sta al nostro paese a di- s mostrare come i figli d’Italia
sappiano combattere da valorosi sui campi della gloria. Ed io sono
certo, o signori, che gli allori che i nostri soldati acquisteranno nelle
regioni dell'Oriente, gioveranno più per le sorti future d’Italia di quello
che non abbiano fatto tutti coloro che hanno creduto operare la
rigenera zione con declamazioni e con scritti. « Io ho
fiducia, 0 signori, di avervi dimostrato come il trattato si debba
accettare per prepotenti ragioni. Credo di avervi dimostrato altresi
come. esso non possa sortire gravi inconvenienti economici e .
finanziarii; come dal lato militare non presenti quei pericoli che da
taluno si vorrebbero far paventare; finalmente che esso deve avere
non tristi, ma liete conseguenze politiche. __« Con ciò, o
Signori, non ispero di aver convertito alla mia opinione quegli oratori
che combattono questo grande atto del ministero: ma almeno confido
di ; avervi tutti convinti che nelle negoziazioni che lo hanno DICI
non vi fu atto che potesse. meno- iuderio non ijrono da, altro
animati che dal sincero j Dili e Fota Cn: causa Do HberRy cu
MOT EE DES LT MIST RT ENTER, ROMERO ia sempre li
animò e che sempre li animerà e come mi- nistri e come cittadini. »
‘| Discorso Cavour alla Camera. « Signori! quest’ ‘ultimo
pensiero tronca le parole anche sul labbro mio: la pietà mi stringe: più
che di par lare sento il bisogno di pregare; ma non posso metter
termine al mio dire senza dirigere un ultimo affet- troso saluto a quei
valorosi: « Salvete dunque, o degni figli di una schiatta di
eroi! Salvete o generosi, che dalle terre africane dif- fondeste in tutto
il mondo la fama dell’italo nome, mostrando una volta ancora, che
ALAN l'antico valore Negli italici cor non è ancor morto. Ah! voi
cadeste lungi dalla patria, voi moriste senza i baci e senza il pianto
dei vostri cari; le vostre spoglie — insonguinate riposano in una terra
che non vi fu madre; ‘forse le ossa di qualcuno di voi giacciono tuttora
in- sepolte, esposte agli insulti delle fiere ed al ludibrio degli
elementi. .... Ma se noi non possiamo rendere | gli estremi pietosi
uffici ai vostri corpi, noi pregheremo per le vostre anime generose il
riposc eterno nel grembo del Dio delle misericordie : noi ci faremo
dn dovere di impadronirci dei vostri nomi per consegnarli cinti.
di luce e di splendore all’ammirazione ed alla ricono- ssoriza dei
secoli più lontani. « Sil i nostri figli e i figli de’ figli, e
quanti nasce- ranno da questi apprenderanno dalle nostre labbra Ì
vostri nomi, e li custodiranno nei loro cuori come RE mblema più
puro,come l'ideale più elevato della fortezza, dell'eroismo e del
sacrifizio; e dal vostro esempio dp prenderanno che l'amor di
patria non è un Do me vano senza oggetto, una parola che
suona e non crea, ma è un sentimento forte e gentile, un principio
fecondo di alti e sublimi insegnamenti, una passione m
agna: nima inspiratrice delle più generose azioni: è la virtù dei
forti che sacrificano la vita al bene della società: è P'eroismo dei
prodi che consacrano tutto Sè stessi i al bene dei fratelli: è 1°
orgoglio santo di un popolo | che conscio della sublime missione che la
divina Prov | videnza. gli assegna su questa terra, ‘soffre,
combatte w è spera, fiso lo sguardo al benessere comune, l’animo e;
OSO ai futuri destini che Dio riserba all’ umanità! » Sac. Dott.
LuompLLI _ Commemorazione dei Rio di Amba SOL SA NR
SEO CAPITOLO XII io vertono tutti n coni alla
persona di cui si vuol parlare, e quindi è in- ?
dispensabile avere conoscenza speciale della vita, — dei costumi ecc.
delle persone medesime; per poterne — parlare, se non ampiamente, almeno
in modo completo. 5 Gli elementi della vita d’un uomo sono ì Segre
n 1. Naserra (luogo e tempo) 2. Genirorr ed avi (occorrendo)
3. Epucazione Avura (inclinazioni naturali — educatori — metodo
educativo risultato) srl | 4.
Istruzione (maestri e scuole — studii e viaggi) 5. RirRATTO fisico e
morale — (vedasi, quanto | sh È | dicemmo parlando della Deserizione)
Mero 6. OPINIONI (scienza — oo _ go di —_ Ig “= #.
PargNTI, amici e detrattori 8. Opere. ( produzioni del suo ingegno
— sco perte — invenzioni — libri ecc.) 9, Fasa — Giudizio dei
contemporanei intorno alle sue opere 10. Oxori — (titoli,
cariche, attestati, dimostra zioni d'affetto, monumenti,
ecc.) Il. Coxpizione economica [patrimonio — luci ricavati
dalle sue opere, dalle sue occupazioni
eredità donazioni fonti disoneste, ecc.] 12,
Aveppoti [ { quali potranno però già essere stati intercalati ad
illustrazione dei punti precedenti] 13, Sventune [parte, narrunione
la vita, potranno esser intercalate a loro posto] — sventure
economiche morali [derivanti da
inaldicenza e calunnia da
affezioni dalle opinioni sue)
materiali [colpe, condanne]
infermità [dipendenti dalla natura, da disgrazie, da causa volontaria, da
offese altrui] 14. Morre (logo e tempo — funerali — sepol-
tura) 3A 15. GIUDIZIO DEI POSTERI € monumenti postumi.
16. Uommsi simnianti [differenza o similitudine di tempo, luogo,
movente, sorte, ecc.) Come sarà possibile dimenticar parte. alcuna
della ita di un individuo conosca lo questa tavola? Come fice seppe
così mirabilmente da lontano il conobbero. | tadino,
e che scevro di superstizioni come pure sarà possibile non farne un
discorso ordinato e com- piuto? AS Feco un bell'esempio di
commemorazione funebre. è c Ufficio pur troppo grave al cuor d’ un
amico, mi chiama oggi un’altra volta in questo recinto sacro alle
ceneri dei nostri più cari, onde inaugu- rare un modesto quanto
espressivo ricordo, che Daf: fetto e la riconoscenza Vostra, volle
dedicato all’ esi- mio concittadino, all’amico del popolo, all’illustre
| letterato ed archeologo del quale tutti deploriamo la fine.
wi “« La bontà dell’ animo ingenuo che Pegregio arte-
ritrarre in quel freddo marmo, ben vel ricorda 0 Cittadini, è quella
stessa che appariva in volto, © si manifestava nei modi dell’
esemplare sacerdote Tommaso Torteroli ; edi. è > appunto quella che lo
rese grato ed- ammirato sai ‘Voi non solo che lo aveste compagno, maestro,
par store, consigliere ed amico, ma bensì pure a quanti « Io
non potrei quindi che con troppo inadeguate 1 che seppe con-
parole ripetere quanto vi consta di lui, | ciliare col proprio ministero
i doveri sacri del di pregiudizi di casta, informò così la sua mente
al culto del vero e del giusto, che il progrésso sociale non solo
non avversava giammai, ma apprezzava, seguiva, e propugnava con affetto
grandissimo; e di modi gentili, e per carattere mite e tollerante,
ebbe stima, ammirazione ed amicizia da ogni ceto, e da ogni maniera di
credenti. Perlocchè, se in me non fosse insufficienza troppa all’alto
scopo, più bel campo non avrei ove raccorre fiori di morale e cittadina
virtù da porgere a modello di quella della vita del
Torteroli. « Ma voi il conoscete, voi pur conoscete quanto | ne
scrisse affranto da giusto dolore, 1 erudito e di- stinto fra gli addottrinati
sotto gli auspici suoi; e Ja | presenza vostra, ed il vostro concorso, e
del Munici- pio, nonchè quello di molti assenti, ad onorarne la
salma e perpetuare la cara. memoria,. fanno prova eloquente, e valgono
assai meglio di me ad affermare x l'assunto: quindi è ch'io stimo meglio
limitare il mio concetto alla manifestazione. del pubblico
voto, Fo piceno dalla vita. dell’ Mini Estinto sol quanto
È :0 tao cordoglio,, Mi; È | gere al
sacerdozio. (e È; assaporare le dolci goti sl 10
marzo 1810, cresciuto da il an 10) Si stie di fortuna in tempi meno
propizi a chi DT eredi po difetto, seppe sì tosto educarsi allo studio ed
alla” moralità che, distinto fra i condiscepoli, meritò quella
stima e quella reputazione d’esemplarità e di sapere, che ben di rado si
acquista in giovinezza; e con tale arredo, iniziata la carriera
ecclesiastica come quella più conforme alla sua delicata natura, ed
unica eziandio in quel tempo, che porgesse facile accesso o al
popolano onde avviarsi in società, prescelto dagli pe institutori stessi,
e designato ai pensionati genitori per ripetere ed istruire al più
giovani, ebbe mezzo di ritrarre qualche sussidio al proprio stato, e
si. | procacciò ad un tempo ausilio necessario per giun- n
«Io non dirò per filo e per segno come Ei lot- “00 tasse di poi nelle
proprie strettezze per non tuffarsi aa È ita parassitica alla quale suol
dedicarsi una gran parte di ‘suoi simili; dirò ‘bensì che non |
falo) OO la seducente attrattiva, anzi ebbe ad primizie come institutore
di ma l’anima del Torteroli non nè fatta all infingardaggine,
SE giogo della evirante sirena cin quella v |
privilegiata prosapia: m temprata al servilismo, SCOSSO ancora per
tempo il VESTO or RIN EMANATE AZURE IIINTEIE INIT Tgr N È
È Spa ‘che di già lo avvinghiava, con generoso €
fermo ripudio, preferì nell indipendenza coltivare la mente ed il
cuore, e fra gli stenti affrontare rassegnato l'abbandono delle
burbanzose caste, € sopportare co. animo pacato l’ ironia ed i felini
attacchi degli uguali che ne uggiavano il troppo saliente
confronto. «E cuore e mente coltivò per onorare la patria, | per
consolare l'affitto, per consigliare, educare e pro muovere la gioventù
allo studio, I” operaio al lavoro ed all'associazione, e tutti al culto
della morale, della libertà e del dovere.cE quanto degnamente siasi
adoperato in quel santo proposito, lo attestano i suoi sermoni
domeni- cali nel breve tempo che la mal ferma salute gli permise di
esercitare, con plauso generale, le funzioni parrocchiali nella
cattedrale Savonese; lo attesta l’ap- #20 pellativo di popolare che voi
gLimarbto e ch’Egli e GINA moltissimo, dappoichè la ondlarità che.
altri compra ol usurpa con prestigio per ‘gervirsi del st: popolo sez mai
servirlo,, fu da ni mortata ver la i sua Vul Sings fede democratica, per
lamore è a F feno che portò alle arti ed all'industria per la
semplicità e dolcezza di ragionare e d° ARNO il x : : pic:
popolo. E lo affermato i suoì scritti elaborati pazion temente
nell'ufficio di Bibliotecario civico, unico cd x . i 3 AR sha
tia Va WE EPICA ANTITESI MIE 7 III O AC IL, rt al ni di
ars Me A .oltre modesto compenso concesso in vita a tanto si
merito dal suo Municipio. Sa interposti amici, di poter disporre
dell ampia gene: rosità di facoltosi benevoli. Quale si fu adungue IL
SE 4A reagente funesto del suo misero fine?.. To:
dirollo corroborata nel’ ultimo — le amiche-
voti cure. ‘« Tommaso Torteroli di costituzione linfatica
con andò soggetto in gioventù a fasi e campò
malaticcio, con ipo- el che da me e da molti si rammenta
ancora, viag d Le NO PIA a loi {che di lui
genitori nella matura età manifestarono stranezze di mente ed
aberrazioni, si avrà ad esu- beranza onde affermare che il Torteroli per
gentilizia e per eventuale“allucinazione fu spinto inscientemente
alla fatalità che ce lo rapiva: ed a buon diritto quindi conchiudo che
quell’ anima esemplare non è .impu- tabile di colpa. i « Sia dunque
condegna lode a voi tutti che col- l'opera e colla presenza vostra
concorreste all’ ono- ranza dell’ Uomo il quale, obliato in vita da chi
avria | dovuto rimeritarlo, e sorreggerlo almeno nella faticos®
via, lasciò dovizia letteraria di affettuosi lavori, e di inestimabile
esempio, alla patria ed alla posterità. (Zol ora, Tommaso, dilettissimo
Amico, se il tuo spirito angelico aleggia qui ad ascoltarmi,
condona e e a disadatto mio tlire: e se pur nonpertanto ques
; LE mio cordoglio alla cara Madre, AR te 3°. SA modesta
virtù, che qui stanno a lato art ; > LO, ri altrove del sangue
mio ti precedette, ah nell’ eterno riposo. » ; LI il troppo presto,
i. un'accusa è un ’ anniegtatla, metter in ridicolo
l'accusatore è se non altro un i veder deprimere chi sta wu po' in al
s 4 csi (tratta di cause gra avi. i È pari. Eccone qualche
esempi futarei in due modi. “nel dire e nel
ripetere, Precetti oratorii a ncur il far ridere è un mezzo
di difesa, @ 4 sovente metter in ridicolo un'accusa è de- È
molirla. Dice il Veronesi: « Metter in ridicolo E V/
vincere presso la DA divertendola, per quel Co0Ì innato ch’essa ha
a to. » Lo ‘scherzo non è naturalmente ammissibile
quanido 2. Una fine ironia, uno stile satirico, giovan del
Once i ende a giustificarsi, cioè a con- Il primo è
generale; © consiste che i nostri argomenti. sono uno scoppio
d’: > « Egli aduuque pr un sinistro dirugginar di
denti, an'alchimia dialettica da casista, un labirinto di fallacie,
di falsi suprosti, di botte finte ecc. Come. ognun vede, queste sono
ragioni eccellenti, che por- tano il nostro torto all’ ultima
evidenza. > ì A. FRANCHI. t Si suol dire comunemente, mon
esservi causa tanto disperata che non possa difendersi con qualche
apparenza di ragione; ma al nostro povero avversario era riserbata la
gloria di provare col fatto suo, che anche quella regola ha le sue
eccezioni; giacchè la causa che egli per sua disgrazia avea tolto a
patro- cinare, era talmente sciagurata, che niun sofisma al
mondo poteva recarle sussidio. FRANCHI 3. L’'interrogazione sfugge
di sua natura alla discussione, poichè nulla affermando e nulla
negando, esce fuori dal campo della verità e dell’ ore GIRI
mane in bilico fra le probabilità, le congetture, i possibili, i dubbi, i
sospetti, i timori, ecc, ec. Tuttavia essa ha sovente nei discorsi
una parte efficace come effetto oratorio; sovente una serie di
incalzanti domande vale quasi a conquidere gli uditori e ad
indurli ad affermare con noi. Il Segneri nel bellissimo esordio
della predica del . Mercoledì delle Ceneri, dopo avere annunziato
22); 1 uditori che tutti d>bliamo morire, e aver fatto loro vi:
rispondere che lo sanno, che la cosa è vecchia, così | SA ripiglia: —
po « Voi lo sapevate? Come è possibile? Dite: e non siete voi
quelli che ieri appunto scorrevate per la città così festeogianti, quali
in sembianza di amante, qual di frenetico e quale di parassito? Non siete
voi che ballavate con tanta alacrità nei festini? Non siete voi che
vi abbandonavate con tanta rilassatezza distro ai costumi della folle
Geatilità? Siete pur voi che alle commedie siedevate sì lieti? Siete pur
voi che par- — lavate dai palchi sì arditamente? Rispondete... »
Ecco altro mirabile esempio della efficacia delle in- terrogazioni che
togliamo da un discorso del P. Giro- ‘lamo Tornielli, illustre
predicatore del secolo deci- mottavo: NT aan “« Etunon parli, o
Cattolico, dirà Cristo? Tu figliuolo | del mio Battesimo, tu allievo
della mia Chiesa, tu. | erede della mia fede, tu nodrito a’ miei
Sacramenti, io ta sposato alla mia grazia, tu degnato de’ miei
amori | É egli vero che io ti detti a bere il mio sangue; che. io
ti fei pascere delle mie carni; che io ti tenni all | mia scuola; che io
ti lessi le mie scritture; che io ti | confidai i miei segreti; che io
t’insegnai dalle cat: | — tedre, ti commossi dai pergami, ti
ammonii dagli altari? E tu di tanti sentieri d’ andar al cielo, non ne
cogliesti pur uno? Tu sarai dunque perduto? Tavrì io dunque oggi a
confonder coi miscredenti? con gli atei, dei quali più ampiamente
parlasti? con gli ido- latri, dei quali più laidamente scrivesti? coi
Turchi, cui pareggiasti d’ intemperanza? cogli Ebrei, cui so-
verchiasti in avarizia? con gli Eretici, cui fosti innanzi a bestemmiar
il mio nome, a spergiurar il mio sangue, a profanare i miei templi, a
beffare i miei sacerdoti, a calpestare il mio Vicario, a violar le mie
spose, @ trapassar ogni legge del mio Decalogo e contraddire ogni
detto del mio Vangelo? Tu ne vai dunque dan- nato coi miscredenti? Il
santo carattere del cristiane- simo non ti salva? La comunione cattolica
non ti suf fraga? La mia misericordia, i miei dolori, la mia croce
tì rendon reo di maggior dannazione? Così era egli dunque da corrispondere
al ben che ti volli, che ti feci, che ti promisi? Neppur con tanto mi
meritai che che tn almen ne mici poveri mi riguardassi? Fino di si
"un frusto di pane, di un sorso d’acqua tu mi fosti picasa: Non mai
da te una visita a me infermo, un | cencio a me ignudo? Non mai di
tua mano un con- i i oe a me DEAN ; di tua: casa Au stanza. a
me MRS mi fiaccava le
braccia e mi rompeva i fianchi senza mercede; per te, erudele, che pur
tanto ne avevi pei cavalli e pei cani e per ogni peggior servizio de’
tuoi ; piaceri! Ma forse che io mai mi rimasi per tutto ciò. dal
premerti e chiamarti ad emenda® Quid est quod —* debui ultra facere, et
non feci? (Is. c. 4; Anima in- d grata, che non adoperai, che non mossi
per vincerti 18 all’amor mio? Un giorno trovami, un’ora mi conta
della rea tua vita, in cui l’ occhio pietoso della mia grazia non ti
seguisse cercando d’ogni tua traccia. Che dolce cura non mi presi per
essa di te fanciullo? Per quali orrori improvvisi mi frappos’ io alla
eurio- sità maliziosa di quei primi tuoi anni? Quali acuti
rimordimenti ti fei io sentire di quella prima libertà giovanile che
contra me ti pigliasti? In età ferma per quante vie t introdassi nell’
anima il disinganno dei falsi beni? Nell’estrema vecchiezza di
quanti aspetti ti figurai allo spirito il timore della morte e il ter-
(00 rore de’ miei giudizi? Ben ti deve ricordare di quei dì
solitari, di quelle notti funeste che viso ti presentai, | che scosse ti
detti, che parole ti dissi in cuore. Tu stesso alcune volte teco medesimo
ne piangevi, tu | stesso mi coufessavi che io non ti lasciava pur
un momento consistere nel tuo peccato. Da me dunque non si
rimase, per me non istette che tu non Posi a par d'ogni altro arrolarti
infra gli eletti. Or perchè dunque ti veggo io qui tremare tra i
riprovati? Aniina ingrata, se non mi desti nulla del tuo, almeno il
mio rendimi, il mio. Dov è, dov'è la stola bianchissima ch'io pur
ti cinsi; gli abiti santi di che io ti vestii al Battesimo? Dov’ è la
grazia santificante che ti rendette sì Lello un tempo e sì amabile agli
occhi miei? Dove son essì i doni, le virtù, i Sacramenti, le mie
piaghe, i miei sudori, il mio sangue? Redde rationem, vedde
rationem. (Luc. c. 16.) Domando conto di te, di me, della tua vita, della
mia morte, de’ tuoi fatti, del mio Vangelo: redde rationem. Parla,
malvagio, parla. In- Ventami qralche scusa de’ tuoi peccati, trovati
qualche scampo da’ miei castighi. Deh! Signore, quale scusa a
voi che tutto sapete o quale da voi che tutto potete? Peccavimus,
inique egimus. Justus ess Domine, et re-. chwn gudicium tuum [B. Reg. c.
8. ps. 118.]. Ma
no: Sostieni: che a pienamente convincerti, io vo anche ve- Gere se
forse alcuno di mia famiglia mancò alle commes- sioni già dategli per tua
salute. Angelo destinatogli per custode, empiesti tu le tue parti? -
Grande Iddio, da quel dì che voi destemelo a custodire, quando mai
pin ‘vedeste da lui diviso? Io me gli tenni sempre a lato, or
per difesa, or perguida, or per consiglio, Lo soccorsi nei
dubbii, lo rinfrancai nei cimenti, lo ammonii dei pericoli, lo £ t;
b) RIA sfuggì. La seconda volta vi ferma l'attenzione,
10.4 comprende meglio, lo afferma e vi fa sopra le sue 4 i CO
REESTI La a finalmente IL argomento entra pienamente nel sno cervello, vi
sì confieca, se ne im- | padronisce. Bisogna però cercare di formularlo
volta per volta in modo diverso, con frasi muove, per
evitare x la monotonia. D altronde,, anche. parlando bene, Il
— troppo stucca e talvolta si direbbe CHE Giurati si |
vendicano delle troppe ciarle. di chi: abusa della parola. » . Questo
fermarsi a lungo. sul medesimo. “pensiero; POE però in ARES guise,
prende, il nome di | espolizione. pet È 8.
Simile all’ ospolizione i cha luogo è aio no quando un
affermazione cnerie od na sentenza si dimostra vera in tutt (a ; It
3 x condizioni particolari. € Cristo fuumile > cceo Ù,
sentenza ii 4 ora I le, TAO letto, mimil ves stimento,
e vivendo volle. 0% r offerto @ ‘comperato comi nel mozzo dei
dottori domandare come disce Giuseppe ossare soggetto. Umi cioè di
pescatori: essere hat- tozzato da nomo, e tentato dal diavolo CU
minore: senza proprio, viverpoverole pagare il censo. ‘ Villania,
oltraegio, vituperio, rimprovero, infamia sostenne. E, dr predicando,, ©
facendo miraco 3 umil circonciso CIME pi eccatore,
SELVO ; polo: ca Maria e a e Mmpagnia aver volle i
| Konza difendersi. i a fuggiva la ‘gloria e l’amore ». E
ine sn SR i x do Ci È Vasi 1 PASSAVANDI w a RECTO poet
£ ‘tore 0, scrivo l'Abate, Fornari, non accade quas vi Chi
non lo Saf quale opera di oloquenza non i È NZ Donda? Qu sono d'accordo
tutti: Greci, È Di cristiani, antichi è; moderni usano 1
LO ana « Che ammo sia. Dì esempio in mano de asi. il
como pot tente motivo della volontà umana. più £ Se i cinesi hanno, fiato
di elo i ) @ ‘popoli imporfettamente i 0 Tuo Lù. cosa
riducesi ù a degli. osempi. T qual È le tanga, SUnR, l tutt
i S RIO che non sieno laudative ricorre frequentissimo
l’esem: A pio; onde all'oratore si prescrive, che sia dotto delle
SM 3 storie, e ne cavi opportunamente stimoli ad eccitare A
Ì È con l'emulazione i suoi uditori ugli atti generosi, 0 col 3 | timore
dell’ infamia e del danno distorli dalle imprese | disoneste. L'utilità,
dunque, e l'efficacia di questo i | mezzo 0 proprietà
dell’eloquenza è indubitato » i 10. Di costa all'esempio va la
parabola e. l’apo- Vari logo, di cui è diverso però l’uso e
1’ ufficio. Quella è sempre discorso grave e di grav e
eloquenza parte; (3 l'apologo, salvo rari casi, pende sempre nel
faceto. Mi E qui pure scrive ottimamente l'Abate Fornari
: Li « Forse mentre da noi si v oratoria di questi due
compo derà attorno Maravigliato, a dimostrando
l’essenza nimenti, taluno si guar: cercando con la mente poco di
storia straniera conoscenti, di necessità dovea mMeorrere a
finzioni fantastiche, per dar corpo alla leoce . . ae) morale
e proporzionarle alla finita capacità dell'umano alla parabola è
quella che consiste in un trasferir e. 1 l’oratore fa sè e tutto 1
uditorio in tempi, luoghi | condizioni diverse dalle presenti. E
finale e lo descrive, quasi che egli e gli uditori tutti vi Mot
trovassero in quel punto. Eschine si vale bollamente di quest? immagine
nell’orazione di risposta a della Corona del suo gran LA Damiostene be: volere.
A chi è ignoto Vapologo di Menenio Agrippa, della ribellione di tutte le
membra contro lo stomaco? Bastò quell’apologo a rabbonacciar ia tempesta
di una. plebe fatta indomabile dal sentimento della sna forza e
della violata giustizia. E quando fu mai che la pa rola di un uomo avesse
maggior vigore? E quello 5 non fu egli vigore della moral legge
individuata e. ravvivata in una immagine? 0 diremo, che Menenio
Agrippa non fece opera di oratore? E che fece dunque? A me mi è paruto
sempre giudizioso un motto di Tacito dove si accenna il lontano principio
dell? eloquenza latina appunto in Menenio Agrippa. Principio rozzo,
quanto vogliate, imperfetto, indegno anche, se vi piace, del nome e del
progresso fatto di pui, ma PERGRO certamente di vera eloquenza. » ;
SCE 1]. Altra immagine oratoria efficacissima e simile DE
Ne abbiamo bellissimi esempi in molto prediche, | quando oratore
si trasporta col pensiero. al giudi 0 O] « Fatevi un
po cora mente dal Tribunale, ove siamo, al teatro; e pensatevi «di vedere
che il ban: ditoro venga innanzi e che debbasisfare,, secondo il
AUG II OR, ene Te pria € nl i nol ih Oo Di
persona, 5 vedere fa città presa, ch dia mura, incendii di caso,
madri. e bambini monati in servitù, uomini c donne. cadenti per
vecchiezza, tardi divozzati dalla libertà, ‘ piangenti, supplicanti
sdegnati non di chi li percuote, È tua di chi ne fu cagione, scongiuramdovi
che a vertin patto il flagello della Grecia non si. coroni, anzi vi
guardiate dall infausta fortuna ‘che e accOMpagi Ta costui; chè nè a
repubblica incolso mai bene ne al uomo privato che avesse i consigli di
Demosten veguiito. TINELLO I s (ASTE aaa ds ‘Per valersi ‘con
efficacia si questa. figura ‘biso! gia dapprima APP: ‘Tecchiuro deli
canini (00 accen: i clero si gradi la Tanta» asia; qui:
apI ne SOI ot ada giova moltissimo Foe ne MIELE i eo d
di dol discorso 220 ma, si osservi, cotto non è falsarlo, allungare
sl discorso non w dire renderlo prolisso, bensì fermarsi più a lungo.
si un pensiero per meglio farlo rimarcare ed imprimer nella mente
di chi ascolta. Donde « adlenque quel non so che di antipatico che a
questa parola si e sn nottere?. L'amplificazione ha iposo in
più guise e cioè a) con usare ad arte parole di significato più
gra O più leggiero del dovuto 0 valendosi DEA CONeg Jo vo
Paz o d'altra figura p 0) coll agerandire un tutto per via
di compara e confronto, le circostanze di un fatto ‘paragonan
do si ciascuna a ciascuna x Di ©)
coll'aggrandire la figura dotta ‘graida; ai crescere DI diminuire
il concetto sali passando: per vari gradi Erasta ar)
lasciando ‘inferire a chi ode la grandezza, pie: lezza. ‘od impossibilità
di una cosa, 200! pnal i tanze che sembrano ad esse ostrance | e)
esponenio minutamente ogni. TO, ndo molto uso di definizioni,
di Di, oto n È inter 100 immogini, e
comparazioni, sospensioni, cre. oppure diminuendo una cosa enor
endere Sio se ne RA da Lesa altro mag Ca 7) valendosi dei
conseguenti e degli antocedoi e cioè dalla Srandezza degli effetti
far arguire quella della causa o viceversa 1 ion da più dun 3 ad
esso sia posta dal - l'uditorio maggior attenzione Br i E i SS
%) dicendo di cosa 0 persona non Giò che è, ma ciò che non è; in
Siftatta guisa può l orazione ic; diventare infinita
(Aristotilo). i: È 13. E per
concludere ecco altre saggie parole del- a. Abate Fornari. Si Come
il letto delle acque non ha interruzioni, ra solo piegature, seni, gomiti,
giramenti che non cn distruggono la continuità; così la struttura
dell’ora- zione ha sue pieghe e modi e movimenti varii, or So più
lenti ed ora più concitati, ma non divisioni, non Fe discontinuità, non
riposi e ricominciamenti, non parti 5 tra sè veramente diverse. _
de |. «Da questa continuità delle membra e intima loro. |.
congiunzione risulta in gran parte l’unità dell’ opera.‘ di eloquenza:
quell? unità, dico, la quale deve suggel- e tra gli altri.
Re anche l’orazione. Bisogna la congiuntura delle membra di
E: . per l’unità dell’orazione; ma più bisogna l’accordo in- i teriore
delle cose. Niente dicasi che contrasti 2 ciò | © che si è dettooa ciò
che si dirà appresso; non si ecciti | affetto che distrugga o scemi la
forza di un altro già | eccitato o che bisognerà eccitare. Nè questo è
tutt: | Ei bisogna che ogni cosa la quale si dica ed ogm i NE:
passione che si ecciti, concorra Con tutte le altre, aiuti. rinforzi,
accresca l'affetto unico a a si mira. E quì ù DI l'industria umana
ha suo potere, come ha potere dim ‘ primere unità, se così posso parlare,
nelle acque cor4 ‘renti. Ogni nuovo passo che l’orazione fa, sia
comei rivo che si scarichi nel maggior letto, ho lo me scolate onde
diventano indiscernibili tra loro, né por. | gono altro indizio di sè,
che il cresciuto volume e la cresciuta possa del letto. Con questa
dilivenza di non. lasciar correre da sè nè disperdersi veruna delle
im- | pressioni oratorie, il nostro lavoro conseguirà non. È solo
la necessaria unità, ma ui’ altra dote eziandio | ‘che non è punto men
rilevante. Io intendo di quel : | graduato crescere e rinforzar
dell’orazione, a mano L Tao che d° si va accostando fi: Suo. termine:
al torrente alla foce. F questo. è la perorazione ; SUL
finire dell’ opera oratoria raccolto e vittorioso. Onde 1 maestri dell’
arte sogliono richiedere, che. l'ora pre in sul termine ripeta.
brevemente tutto quello che ha sparso si di. pruove e'sì di affetti in
Ri razione Noi mon. vogliamo preserivere | nè quest altro artifici
10; che talvolta cade e tal altra. non È Ben tace omandiamo, che egli
trovi. maniera $ Re TA in sulla fine, Bei, usione
verrà da se mede } Cva questo la conel tutto | ante
sima, più gagliarda e impetuosa, che cede nte,
come quella ene aduna Je forze e gli impet di tutta l'orazione.
» ni +39 “di dei =:
val | | CAPITOLO XIV pi V di F Conclusione.
E, v i 4 % dc ‘A ì i Di questo ti ammonisco, chè be n De arte
senza uso non giova molto. — Bi: ES Ed, È Ammaestr: de egli Ia TRL:
» Si O conclusione del nostro lavoro non crediamo. “RR
A We DE ‘inutile registrar quì sotto «poche osserva= NI zioni che,
se proprio tra il dire e il fare Dona dovrebbero render n discorso.
Su “S entrasse di mozzo il mare, capaci DI principianti ad
improvvisa sare u qualunque argomento di propria competenza» Ple
Considerate attentamente sotto ogni #5 tto si pei oggetto del vostro discorso
@ suddividetelo nelle e ] ‘ principali. Le idee si trovano, come
dici zonÌ col meditarvi SU; ma bisogna do ciò co sa rdine O)
non Lar: riesce et E JIA i 9, Non cominciate a parlare
prima di aver p suto alla forma, allo svolgimento, alle parti, alla
co elusione del vostro discorso. 3 3. Procurate di richiamare @
memoria inttali È idee vostre od altrui intorno al vostro argomento,
1 detti e i fatti che ad esso in qualunque modo si ri
feriscono. È 4. Curate la semplicità e 1’ uniformità di soll mento
e la conveniente proporzione tra le parti. 4 5. Ogni cosa del vostro
discorso sia conseguenza, di conseguenza. Quel che segue aggiunga sempre
a, «uel che precede in affetto o in idea, e avrete elo- | ueaza. Questo
è precetto del Tommaseo. 6. Quanto alla scelta del soggetto — quando n°
i Îl caso — si badi ch’esso non sia frivolo, avendosi | Oggi in
fastidio gli argomenti nulli ed in genere ogni. Spreco di ingéeno. Sia
proporzionato alle nostre di i © scelto dove già abbiamo molte osservazioni
ordinate: a chi lo sceglie così, dice Orazio, non gli POSSONO
Mancare nè idee, nè ordine, nè parole. Che sia nuovo oppur no, non
importa; la novità ° consiste nel modo di trattarlo; ma è bene
annunziarlo, si 10060 Sotto una forma possibilmente nuova. I Noi iamo,
figli Sil SRO abitudini, e Hi: | consegr loterminato
tirocinio speciale. Jivenir oratore deve dedicarsi 2 fare : di-
romo così degli esperimenti. Scelga ogni
giorno un argomento diverso e possibilmente a caso e veda di tosservi
un ordinato discorso tenendo presenti gli in- dici che abbiamo dato per
lo svolgimento di ogni È singola parte del discorso. È L'oratore
americano Enrico Clay, si legge nel Self help dello Smiles, spiegò così
ad alcuni giovani il se- greto de suoi trionfi. La mia riuscita la devo
sopra fi tutto a questo: che all’età di diciassette anni cominciai,
e tutti i giorni una. Ne consegue che mn chi ama e
per molti anni contimuai, 2, sfar lettura e parlare poi con abbondanza
sull’ argomento È trattato nel libro di storia o di scienza che avevo
letto. Io mi dava a siffatte improvvisazioni, ora nei campi,
ora nej boschi, e spesso anche in una stalla, dove non avevo
altri uditori che il bue ed il cavallo. A tale della più grande di tatte
le arti iv | pratica precoce e determinati che hanno se- 7
devo. gli impulsi primi gnato la mia carriera e la mia sorte. : 8
Nè in minor conto si dovrà tenere la neces | sità dì contrarre l'abitudine
di parlare in pubblico. Se | Demostene, oratore greco a niuno secondo,
arringando Si nnanzi a Filippo, Re di Macedonia, impallidiva così.{
rtemente, da venirgli meno tutta la forza del suo ACE ì
ti HE y3 suna
delle cose che doveva i quale | sgomento non s' impadronirà di
chi, non pratico, in prende a parlare in pubblica adunanza?
L’eloquenza, scrive Veronesi, è un: pool ito spontaneo in chi sì trova in
istato d’eccitazione. P. quindi in tale stato è il modo più semplice per
cis Vere il problema dell’eloquenza. » 3 (E narra l’esempio di un
tale che, a freddo, dopo la prima giovinezza non era più capace di fare
un sol | Verso se non. con grande stento, ma se in quale | cena
beve un po di ona si accendeva tanto da diventare improvvisatore, e di
versi non mediocri. ì «Lasciando stare da parte le eccezioni,
conveniamo col Veronesi che l’eloquenza è un di psicolo- gico che
si manifesta ogni volta che le nostre facoltà x | fono eccitate, vengono
in qualche modo esaltate. Chi | | non ha visto per sone
timide, taciturne, ‘buttar fuori un, pete di dea in ica d’ ira, di
sdegno, (irta ur Adnnque mottersi in istato di moderata
eccitazione, | bicchiere di champagne, è il segreto | 0 GUELO Ko
trovare una ai Bit n anche con un per diventare
eloquenti, parola calda e vigorosa. Chiunque di noi, scrive il già
lodato Veronesi, per quanto sobrio sia, anzi più abitualmente è è sobrio,
alla fne di un pranzo cordiale, in buona compagnia, avrà. trovato
una parlantina che se ha per appoggio inge- gno ed erudizione sufficiente
parrà eloquenza, € ci s darà, alla lettera, la facoltà d’ improvvisare
discorsi | Sa cui non si era menomamente pensato prima, @ molte |
volte più felici, più spontanei di quelli lungamente | | meditati, o,
meglio, preparati e scritti: ci darà una. | Specie d’ ispirazione.
to SAR 10. Anche la memoria, che ha una caga im- portanza per
l'acquisto e 1 uso del sapere, è necessa Sia coltivata con amore. Serive
a questo. proposit. | Cicerone. (Dell'Oratore Libro I) Che dirò
della È memoria, tesoro di tutte le cognizioni? La quale se non
custodisce le cose trovate e meditate si capisce mente che tutte
le altre doti dell’ oratore, BSs vi > vanno perdute. È: TE vuolsi
una buona memoria intellettuale, ‘q emoria la cui azione nasce dall’ intelligenza
del tto © dico ha per base il SETA delle uo TO 4h
La Bi. le relazioni di causa
ed effetto, di mezzo e di fi (quella che si consegue col moderno
insegnamen scolastico), la quale consiste semplicemente nel ritene:
e recitare delle parole in dato ordine, anzichè ne richiamare le idee per
mezzo del loro logico legami Convinti di queste verità noi abbiamo
trovato (d po studi fisio-psicologici ed esperienze pratiche che
furon, per la loro natura medesima, lunghi assai). Sa trovato, gli è
breve tempo, un nuovo sist ma di mnemotecnica, sistema che torna d’ una
fedeltà È infallibile perchè fondato sulle leggi naturali della È
memoria e non su combinazioni artificiali come i varii Sistemi
mnemotecnici escogitati fin quì. Il nostro Cul tun metodo nuovo,
che in possesso di qualunque in- | telligente, può no un vero
tesoro per la facilità 0 | la sollecitudine ad imparare e ritenere
perennemente “ memoria qualunque nozione, il contenuto di qua: “a
libro letto una sola volta. NPRSuE difficoltà Nitenere. ORA 0
sistema, UR studio, | per. dido.che sia, DIN QUE un BC porone si
vedono Laggo Questo metodo, facilissimo ad
apprendersi. chissino tempo, rende eminenti servigi in qualangue
Ch) rano di studio; facilita prodigiosamente g oli esami sco
lastici; pone in grado dè pr onunziare sermoni, discorsi, lezioni senza
l'aiuto di note 0 del manoscritto, che È basterà aver letto una volta
sola; rende facilissimo | qualsiasi studio e giova immensamente in a
qualunque emergenza della vita. quotidiana. Questo, Hcno è
insegnato completamente i nos tro libro L'ARTE DI RICORDARE 2.a edizione
che costa Lire Presso; l'editore S. Lapi di Città di Cel (Peragia):
SR INDICH: see procetti atti a procacciarla | ERo
A IL Dello Hr pube BR II. Delle parti del discorso.Svolgimento delle
parti dui fr . discorso Feordio oo Proposizione Rene
Definizione e partizione : sat VALUTA = Gata . si Y E
n DE») VIaSSi Descrizione . Ra RI x. Relazioni e 5 Na SIC
Dimostrazione | Ve; DEI: î e du 4 CS
oratorii 5 Mu Precetti L'ULTIMA PAROLA
DELL'ARTE STENOGRARICA LA STENOGRAFIA IN TRE LEZIONI Con
metodo nuovissimo, originale italiano, dovuto ale l'autore medesimo del
presente volume. S'impatt da sè, in un giorno. Lire 2.
In vendita presso l'Amministrazione del Giornale per tutti a Ivrea
(Piemonte). Questo metodo semplice, facile, breve, rapidissimo;
derivato da un attento e lunghissimo studio della mostra
ortografia; a della nostra lingua, ottenne della costituzione
@ dell’eufoni un tale successo, suscitò un tale giustificato
entusiasmo che allo scopo di diffonderlo si formò tosto
un'importante Associa” zione Nazionale, che volle acclamare et Presidente
Onorari? to: l'autore del metodo, e il cui Comitatorè così
compo? dp S. E. il Conte Costantino Nigro, Senatore del Regno,
‘Ambascia” la Corte Tmperiale dA tore di S. M. il Re
d’Italia presso i, stria. S. E. il
Conte Ghiglieri, Senatore del Regno. — Tati tore. Burone Ing. Severino
Casana. Senatore Comm. Chiala.
Senatore Comm. Avv. Secondino Frold. Conte Avv. Giacinto
Cibrario. Senatore Comm. atore —
Senatore Comm. Prof. Graziadio Ascoli. Senato fino di Valperga Conte
Guido. Senatore Gom Senatore (ruido Fildellu. — Sena togno.
— Depututo Comm. Avv. Pr Comm. Avv. Romuuldo Palberti. — D 1 D Deputato
Comm. Tuneredi Gulimberti: =. 2 pucca: Carlo Compans. Deputato Comm. A oto Mar i Prof.
Francesco Parinets: > DOP e asco. Comm. Giuseppe, Giucos ei ‘i e
della R. Univertità do Bolognini, . Università. i n QI Ing» Vittoro
Sclopt5 Nouni giudizi sul sistema memonico dell'Autore
Genova. È opera di gran momento quella a cui Ella con tanto
amore |. e dottrina si accinse, imperocchè base di ogni sapere umano,
| di ogni portato dell’ intelletto, di ogni ordinato impulso
dell’a- nimo è la memoria delle cose, che acumina lo spirito
d’osser- vazione, scuopre il vero, rispurmia gli inutili sforzi de lla
mente. Coltivare la memoria dovrebb'essere il fondamento, di tutti.
— gl’ insegnamenti didattici, affinchè il pensiero individuale non
Si trovi mai isolato e non ci sia mai ‘sperpero di energia men- tale e
psichica. | Rn Auguro alle di Juei teorie, che riconosco basate sopra
prin- cipii razionali,, la sorte fortunata che si meritano ; a lode
di Lei ed a vantaggio di tutti. se Vico- Ammir. Comm. Cario De
Amezaga. Finalmarina, 10 Maggio 1897. Colgo quest’
occasione per tributare alla S. V-_IL d glioso. Esso
possiede dei pregi incomparabili, © P ne, ogni enco \ to.
Peccato € | grande per i cultori del bello, del buono, dell’ utile
che più diffusa, meglio cor i P. Macario da Ghul
Lettore di Teologia e Vicario CM Porto Maurizio 15 [ags Ho
letto con piacere © ‘profitti le assicuro che ci ho trovato mn
prova, di memoria ammirabile. | ì miei complimenti più since
Prof. Brescia. Ho letto con vivo interessamento
le sue lezioni sull’ Art ; ricordare, e Le faccio i miei rallegramenti per aver
trovato SI che, bene applicato, può dare frutti eccellenti per lo
svolgimento delle facoltà ritentive della memoria. E desti # tabile
ch’Ella faccia molti proseliti fra i giovani onde questi possano
profittare debitamente delle di Lei ottime lezioni. (Prof. nel R.
Istituto Tecnico di Brescia) Pavia. Roma. i ica, Ammiro.
schiettamente il suo sistema di mnemofecnica, ioni ch’ Ella
riconosco giustissime ed assennate le CERA ca o espone così
diligentemente e nun mi meraviglio q sultati ottimi ottenuti. (Min.
Agric. Ind. e Comm.) Prof. Rag. Ulisse Zanotti Trieste
i >, non Col suo metodo Ella imita la natura, non
ciecamente; pi è 5 b CELSO la va-- seguendone macchinalmente
i precetti: sibbene imitando n e zionaimente, per analogia e
nel suo logico ada vale si circostanze, seguendo infine lo spirito e non
la letter suoi procedimenti. fl suo metodo è un € da
Ella enùmerati ni Studio un piacere anche a coloro per cui era prima una
pena, generando in tutti una volontà intensa di studiare.
Vittorio Donati pubblicista. Portomaurizio 2 Agrile 1893. Il
yostro metodo mnemonico è fallibile, né può essere uguagliato. È
della più grande nutilità, dappoichè tutti i vantaggi, (e mon son pochi)
che voi eli attribuite, io li ho già tutti consta- tati, e se ho potuto constatarli
io, logoro: nel cervello e nella memoria, grali maggiori utilità non
ricaveranno da esso gli Studenti di qualsiasi ramo, di mente fresca e di
giovane età? Essi col vostro sistema non hanno più bisogno di
prendere appunti durante Ja lezione del professore, perocchè voi
fornite loro col vostro metodo un vero talismano dinanzi al quale
ogni Ustacolo nello studio svanisce eccellente, facilissimo,
in- Gerolamo Spinelli. ava osi A apo d'opera. Oltre a
tutti i Mo, i 3 un altro ancora ve n’ ha: rende cio P
in COLTURA E PROP? 3AZI di piante nuove © di vegetali utili
© poc e/miglioramento di ortaggi comi r tura ed alla
propagazione di: Bc poco noti, nonchè al migl @imuni, sotto lan
direzione di Il Giornale per tutti. fiori più curiosi @
stray gi teressanti, dei vegeta! È db; Gi
ALTRE: PUBBLICAZIONI DELLO STESSO AUTORE La L'ARTE DÌ ESSERE
PROMOSSI AGLI ESAMI (opera preziosa per eli > Di studenti, per
chiunque ha da subire nn esame), L. 1 5
È L'ARTE DI IMPROVVISAR VERSI (sia in teatro, in sogietà, comeca ta-
‘1 volino). 1.. 0,80. P nr LA PREVISIONE DEL TEMPO ALLA PORTATA DI
TUTTI. — Mozzi facili.e sicuri basati sulla scienza. = 1. 0, 50 gi
LE CURIOSITA’ DELL’ERUDIZIONE. — Guriosità storithe, scientifithe, Varie,
Oricim e leecende — L. 1,75. % + IL LIBRO DEI PERCHE’, — Spiegazione
scientifico-popolare dei fenomeni | x . d’o&ni giorno. = L. 1, È,
5 DI UN SURROGATO AL TABACCO PRIVO DI NICOTINA, immen- DE “ssamente
economicò, superiore in fragranza al tabacco naturale, usatis- i “simo
all’estero e alla portara di tutti. — L. 1. ni LA VITA A BUON
MERCATO. — I. 1. > LEE ARTI ED INDUSTRIE DA DILETTANTI ENCICLOPEDIA
DEI LA- Met VORI DA DILETTANTI. Lavori su legno, vetro; specchi, metalli,
marmo, pule c cellana, tartaruga, madreperla, schiuma di mare,
cartapesti, gesso, pelli, piante, tappezzerie, tessuti, piume, cuoi,
fotugrafia, fotominiatvra, incisione, scultura, chimica, plastica;
pittura, conciatura, bronzatura, argentatura, doratura, ich - latura,
eee. ecc, — L. 1,50. » ; UTILIZZAZIONE DEI RESIDUI. — Sessanta
utilizzazioni di residui, da x È SO trarsì serio profitto per l'econumia
domestica, l'industria, ce la de
50, fi late RASSEGNA DELLE SPECIALITA’, Segreto di composizione di
cento e o fra le più importanti spec alità e nuovi prodotti ind
istriali.col relativo detta- dA gliato processo di fabbricazione. Utile a
tutti trattando delle più disparate spe- E° cialità, — 1.1, Tutte
queste opene e varie altre dello stesso antore sono in vendita presso
l’àmministrazione del Giornale per tutti a Ivrea. Presso la stessa
trovansi pure in vendita le seguenti into vessantissime
pubblitazioni. TUTTI PIANISTI, — Metodo per ‘imparare da se stessi
a suonare il più noforie, Seaza conoscere la musica, senza bisogno ui
maestro. Metodo.elo-* giato da
distinti Mpestri — Fienlato earartito;
1.9; dt " LA PRODUZIONE DELLE PERLE A VOLONTA’ E IN
CASA PROPRIA MIE Vanevamento dell'oscrica perlitera dell'Arkansas, del
Dott. nica. == DELLA RIPRODUZIONE DI PIANT VI et E SENZA INTERMEZZO DI b VAIO —
NUOVO METODO tei brot. U. Hiaichi, = 2; edizione; = Gun ynesdi GA Dai
chimqne puo rimboscare il suo monte o il suo piano nello stessy pride
chi, eialeita all'opra e, ciò che è più sorprendente, ie t.lee di vil;
het. LA FABB MUD SAL Uricazione RI d'olio
d'oli ME, ece; vil
di ni Di p | processi È Comonrica di RO È dista
LAN, e SVI ento gui | 15620 VLD 00
LA pagina del sito di Albani. Albani e Buonarroti AGA MAGÉRA
DIFÚRA Dizionario delle lingue immaginarie (Zanichelli; ristampa; Les
Belles Lettres), oltre 2900 voci, 98 illustrazioni, schema analitico delle
lingue immaginarie, prospetto cronologico dei principali autori di lingue
immaginarie, ventotto pagine di bibliografia (per visionare la bibliografia
cliccate qui). Le voci riguardanti il teatro sono a cura di Alessandra
Barsi. Il titolo è ripreso da una poesia in lingua inesistente
scritta da Tommaso Landolfi nel racconto Dialogo dei massimi sistemi: Aga
magéra difúra natun gua mesciún Sánit guggérnis soe wáli trussán garigúr Gùnga
bandúra kuttávol jeris ni gillára. Lávi girréscen suttérer lunabinitúr Guesc
ittanóben katir ma ernáuba gadún Vára jesckilla sittáranar gund misagúr, Táher
chibill garanóbeven lixta mahára Gaj musasciár guen divrés kóes jenabinitúr Sòe
guadrapútmijen lòeb sierrakár masasciúsc Sámm jab dovár jab miguélcia gassúta
mihúsc Sciú munu lússutjunáscru gurúlka varúsc. Il dizionario è un
viaggio nella creatività linguistica, una raccolta di lingue inventate nei
campi più eterogenei (letteratura, teatro, cinema, musica, pittura, pubblicità,
fumetti, televisione) e per le finalità più diverse (religiose, comunicative,
espressive, ludiche, culturali). Esce una ristampa del libro. Per alcune
recensioni alla ristampa cliccate qui. Nelle due pagine centrali della
cultura di "la Repubblica" esce un articolo di Francesco Erbani
Parole, giochi proibiti, per leggerlo cliccate qui. Leggete la recensione di
Umberto Eco su "L'Espresso". A proposito del tradurre da una
lingua inventata, Eco cita Aga Magéra Difúra anche nell'introduzione a Joyce, Anna
Livia Plurabelle, nella traduzione di Samuel Beckett e altri, versione italiana
di Joyce e Frank, a cura e con un saggio di Bosinelli, Einaudi, Torino, "TuttoLibri
- La Stampa" Bartezzaghi recensisce Aga magéra difúra: leggete qui. Articolo
di Bartezzaghi su "la Repubblica" intitolato I fabbricanti di lingue
dove si parla ancora di Aga magéra difúra. Sulla "Domenica de il Sole-24
ore Dossena recensisce Aga magéra difúra: leggete qui. Una voce Aga magéra
difúra, dedicata a questo dizionario, esiste nell'Enciclopedia dei giochi dello
stesso Dossena (Utet, Torino). Una bella stroncatura del libro
(finalmente), a opera di Sebastiano Vecchio, intitolata Per chi è appassionato
di linguaggio (in pratica ci rimprovera di non essere dei linguisti, ma solo
degli "appassionati di linguaggio"), esce su
"Italiano&Oltre". Partecipa con Fosco Maraini alla
trasmissione televisiva MediaMente, su RAI 3, condotta da Carlo Massarini, per
parlare di "lingue inventate", per vedere il video su YouTube
cliccate qui. Nel libro di Andrea Moro Le lingue impossibili, edizione
italiana a cura di Nicola Del Maschio (Cortina), si fa un accenno a Aga magéra
difúra: Il testo di Okrent cui fa riferimento Moro è: Arika
Okrent, In the Land of Invented Languages, Spiegel and Grau, New York. è
uscita una traduzione francese a cura di Egidio Festa con la collaborazione di
Marie-France Adaglio, presso Les Belles Lettres, 576 pagine. Su "Le
Monde" esce una recensione di Roger-Pol Droit: BONNES JOIES DE BABEL.
Un'altra recensione firmata da Picard, intitolata Les langues du pays des
merveilles, esce su "Nonfiction. Le quotidien des livres et des
idées". La recensione di Picard è interessante perché sottolinea
l'incommesurabile inutilità del libro. Fra le altre recensioni
all'edizione francese quella sul numero 5 di "Viridis Candela", 8
absolu 129 EP, vulg, "carnets trimestriels du Collège de
'Pataphisique". Al Centro Pompidou, dal 20 febbraio all'11 marzo
2013, il libro ha partecipato al festival «KHHHHHHH» Langues imaginaires et inventés. Nell'ambito
della mostra Marinetti e il futurismo a Firenze. Qui non si canta al modo delle
rane, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ho tenuto una relazione su
Marinetti: parole in libertà e lingue immaginarie. Su "creatività
linguistica e lingue immaginarie", il mio saggio "Al Barildim
Gotfano. Creatività linguistica e lingue immaginarie", uscito su Parol,
Quaderni d'arte e di epistemologia. Lo stesso tema avevo già affrontato in
Sobre "l'imaginari lingüístic", relazione al convegno sulla creatività
svoltosi a Velencia nei giorni 2, 3 e 4 maggio 1996 i cui atti sono raccolti in
A creativat Ara, L'Alfàs del Pi, País Valencià, 1996. Il testo Al
Baridilm Gotfano è citato nella bibliografia Su nonsense e traduzione del
nonsense: indicazioni bibliografiche a cura di Angela Albanese contenuto nella
rivista "Il lettore di provincia" dedicato al tema I dilemmi del
traduttore di nonsense, a cura di Franco Nasi e Angela Albanese. Una relazione
di R. su Gerghi e lingue immaginarie al castello Pasquini di Castiglioncello
all'interno di un ciclo d'incontri su La comunicazione, volti e forme: i
gerghi, organizzato dal Centro Studi e Ricerche sulla Comunicazione diretto da
Giovanni Manetti. Si veda anche il mio articolo Tradurre da lingue
inventate, all'interno del dossier L'artefice aggiunto. Tutti i modi di
tradurre, apparso su "L'Indice dei libri del mese". Il testo,
leggermente modificato, è stato pubblicato nel Quaderno edito da Babel festival
di letteratura e traduzione, edizione 2019, svoltasi a Bellinzona (Svizzera),
intitolata Non parlerai la mia lingua, dedicata alle lingue inventate; per
leggere questa nuova versione cliccate qui. Sempre riguardo alla
traduzione, il dizionario Aga magéra difúra è citato in un testo di Antonio
Prete, "Aga magéra difúra": sul tradurre da lingue inesistenti, in
Antonio Prete, All'ombra dell'altra lingua. Per una poetica della traduzione
(Bollati Boringhieri, Torino, 2011, pp. 71-76, si veda pp.
72-73). Sull'argomento delle lingue inventate anche la mia relazione su
L'italiano immaginario tenuta al convegno L'italiano, lingua d'Europa,
organizzato dall'Istituto italiano di Cultura di Strasburgo. durante la
trasmissione radiofonica Baobab su Radio 1 della RAI, va in onda una mia
intervista sulle lingue immaginarie, per ascoltarla cliccate qui. Sempre
il tema dell'italiano immaginario è stato oggetto di una conversazione,
introdotta e coordinata da Andrea Grignolio, durante la nona edizione del
Festival delle Scienze, dedicato a I linguaggi, svoltosi a Roma, all'Auditorium
del Parco della Musica, festival che ha visto la partecipazione, fra gli altri,
di Noam Chomsky. Sulla mia partecipazione a questo Festival una mia intervista
radiofonica alla trasmissione La Notte di RadioUno andata in onda il 23 gennaio
2014, per ascoltarla cliccate qui. Una nuova versione, rivista e aggiornata, di
L'italiano immaginario è uscita nel volume Langues imaginaires et imaginaire de
la langue. Etudes réunies par Olivier Pot (Librairie Droz, Genève). Per leggere
questa nuova versione. Di linguaggio (quasi immaginario, in quanto economico)
si parla anche nel mio saggio Sraffa and Wittgenstein. Profile of an
intellectual friend. Nel libro di Alberto Nocerino e Roberto Pellerey
Laboratori di scrittura. Istruzioni per una ginnastica alfabetica infinita,
edito da Graphofeel Edizioni di Roma, si accenna agli studi e ricerche sulla
fantasticheria letteraria e sull'enciclopedismo ludico, una corrente che
avrebbe influenzato profondamente l'orientamento di molti laboratori di
scrittura italiani e a p. 24, nota 14 si cita Aga Magéra Difúra. Ho
tenuto dei laboratori sulle lingue immaginarie, cliccate qui. Ho parlato
di Lingue immaginarie e folli letterari: alcuni casi italiani in "Les
Cahiers de l'Institut", rivista dell'Institut International de Recherches
et d'Exploration sur les Fous Littéraires, numero 4, 2009. L'articolo di
Daniele Baglioni, Lingue inventate e "nonsense" nella letteratura
italiana del Novecento, in Antonelli e Chiummo, a cura di, «Nominativi fritti e
mappamondi». Il nonsense nella letteratura italiana, Atti del Convegno di
Cassino, Salerno, Roma, è basato - come dice l'autore stesso - "per la
gran parte dei testi commentati" su Aga magéra difúra. Ecco la nota di
Baglioni: Baglioni cita Aga magéra difúra anche in un altro suo
interessante lavoro: Poesia metasemtica o perisemtica? La lingua delle Fànfole
di Fosco Maraini, in Valeria Della Valle e Pietro Trifone, Studi linguistici
per Luca Serianni, Salerno Editrice, Roma. Sul sito del Centro Studi Landolfi è
uscito nel maggio 2013 un mio testo Landolfi inventore di lingue, citato nel
saggio di Ignazio Sanna, Traduzione e significato nel Dialogo dei massimi
sistemi di Tommaso Landolfi, “Medea”. Aga magéra difúra è citato anche in
Raconter l'Oulipo. Histoire et sociologie d'un groupe di Camille Bloomfiel,
edito da Honoré Champion, Paris. Come studioso di lingue inventate sono
chiamato in causa nel romanzo di Adrián N. Bravi L'idioma di Casilda Moreira,
Edizioni Exòrma,dove sono presentato come l'estensore della prefazione a un
libro inesistente. Un debito al nostro dizionario delle lingue immaginarie, Aga
magéra difúra, è dichiarato da Andrea Bellini, uno dei curatori, insieme a
Sarah Lombardi, della mostra Scrivere disegnando. Quand la langue cherche son
autre tenutasi al Centre d'Art Contemporain di Ginevra dal 29 gennaio al 23
agosto 2020. Scrive infatti Bellini nel saggio introduttivo al catalogo edito
da Skira nel 2020 nella nota 1 a pagina 15: Per ulteriori info su questo
aspetto dell'influenza di Aga Magéra Difúra sulla mostra ginevrina cliccate
qui. Nel Dizionario del bibliomane di Antonio Castronuovo (Sellerio,
Palermo), nel capitolo intitolato "Scibile intero", è citato Aga
Magéra Difúra. Su "La Lettura", supplemento culturale culturale
del "Corriere della Sera" del 25 giugno 2023, Anno XIII, n. 26 (#
604), pp. 12-13, un articolo di Giuseppe Antonelli, Inventare idiomi funziona
poco (ma nei libri sì) (parte I e parte II), dove si presentano due schemi
riguardanti le lingue immaginarie e fra le fonti utilizzate si cita Aga magéra
difùra. HOME PAGE TèCHNE RACCONTI POESIA VISIVA
ENCICLOPEDIE BIZZARRE ESERCIZI RICREATIVI NEWS. Ugo Basso
delle Rovere. Basso. Keywords: Deutero-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Basso,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. Basso.
Rovere. Basso.
Luigi Speranza --
Grice e Rubellio: la ragione conversazionale della filosofia sotto il
principato di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Uomo di carattere
encomiabile e studi filosofici che si ritrova al centro delle faide tra
Agrippina e il figlio princeps NERONE per la sua ascendenza imperiale -- egli e
cugino di secondo grado del princeps in quanto figli di cugine nipoti di
Tiberio e bisnipoti adottive d’OTTAVIANO -- venne prima esortato, insieme alla
moglie Antistia Pollitta figlia del console Lucio Antistio Vetere, a ritirarsi,
verosimilmente dopo aver ricoperto solo la questura, nei possedimenti familiari
in Asia e poi ucciso con la testa mozzata riportata a Roma. Nel
mezzo di tali vicende, brillò in cielo una cometa, che la credenza popolare
interpreta come segno di cambiamento del re. Quindi, come se già Nerone
fosse stato cacciato, ci si domandava su chi sarebbe caduta la scelta, e sulla
bocca di tutti correva il nome di Rubellio Plauto, la cui nobiltà derivava, per
parte di madre, dalla famiglia Giulia. Amava le idee e i principi del passato,
austero nel comportamento, riservato e casto nel privato, e quanto più cercava,
per timore, di passare inosservato, tanto più si parlava di lui. Le
chiacchiere sul suo conto presero consistenza, quando si diede, con altrettanta
leggerezza, l'interpretazione di un fulmine. Infatti, mentre Nerone banchettava
presso i laghi di Simbruvio, in una villa chiamata Sublaqueum, i cibi furono
colpiti dal fulmine, che mandò in pezzi la mensa, e ciò si era verificato nel
territorio di Tivoli, da cui proveniva il padre di Plauto, sicché la gente
credeva che il volere degli dèi l'avesse destinato alla successione, e
parteggiavano per lui non pochi, per i quali vagheggiare avventure rischiose è
una forma di ambizione suggestiva, ma in genere illusoria. Scosso dunque dalle
voci, Nerone scrisse una lettera a Plauto: lo invitava a farsi carico
della tranquillità di Roma e a non prestarsi a chi propalava chiacchiere
maligne: aveva, in Asia, terreni ereditati, in cui poteva passare, al sicuro,
una giovinezza lontana da torbidi. Così Plauto là si ritirò con la moglie
Antistia e pochi amici.Tacito, Annales. Syme. Related by marriage to Tiberio. Perceived as a
threat by Nerone, he is sent to Asia where he is killed. He is a friend of
Coerano and Musonio Rufo. Sergio Rubellio Plauto. Keywords: Nerone. Rubellio.
Luigi Speranza -- Grice e Ruberti: la ragione
conversazionale -- la natura abhorre il vuoto, o la tromba di Gabriele – la
scuola di Fanza -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Faenza). Filosofo emiliano. Filosofo italiano.
Pideura, Faenza, Ravenna, Emilia-Romagna. Studia a Faenza e Roma sotto CASTELLI.
Srive a GALILEI una lettera di risposta a sue richieste a CASTELLI, che assente
in quei giorni lascia allo studente il compito di segretario. In tale lettera
colge l'occasione per presentarsigli, che egli ammira grandemente. Il vivere da
vicino le vicende del processo a Galilei gl’indusse a dedicarsi più
strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli strumenti teorici e
fosse un abile costruttore di cannocchiali. Divenne segretario di Ciampoli, un filosofo
devoto a Galilei, che segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e
nell'Umbria. Castelli presenta a Galilei il saggio di R., “De motu gravium” suggerendogli
di impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di
Galilei e su domanda e insistenza di Galilei si trasfere nella sua
abitazione. Alla morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del
gran ducato di Toscana. Studia geometria, dove anticipa il calcolo in-finitesimale.
Si dedica alla fisica, studiando il mosso dei gravi e dei fluidi e approfonde
l'ottica. Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e
telescopi. Si dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il
baro-metro a mercurio chiamato, "tubo di Torricelli" o "tubo da
vuoto”. Tale invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica
attraverso l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione,
viene riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm -- esperimento
effettuato sul livello del mare. Proprio da questa invenzione nasce l'unità di
misura della pressione "millimetri di mercurio" – mmHg -- e
l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg -- la pressione di un'atmosfera corrisponde a
760 millimetri di mercurio. Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu
gravium” costituisce la II parte. Si dice faentino e tale è considerato
dalle persone che lo conosceno, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua
morte nei registri battesimali di Faenza non hanno esito. Ciò da adito ad un
secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole
rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero
genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino,
risalendo di due secoli oltre la nascita di R.. Bertoni, del liceo che da R.
prende nome, trova nel registro dei battezzati della Basilica di S. Pietro in
Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi è il
fatto che R. assume il cognomen Torricelli della madre. Si sa che il nome del
padre e Gaspare. Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare
Torricelli. Viceversa, si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si ritenenne
che è la zia paterna. È invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla
Biblioteca Nazionale di Firenze fra i manoscritti galileiani, è il primo
documento nel suo carteggio. Rappresenta un documento fondamentale per studiare
la vita e l'opera del filosofo faentino. Descrive la propria formazione filosofica.
Si dichiara a conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei
e dichiara la propria fede galileiana. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col.
mo Nella absenza del Rev. mo padre matematico di N. Sig. re, sono restato
io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra
le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma,
a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev. mo ne do
parte in compendio. potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il padre abbate
in ogni occasione, e con il maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello
e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li dialoghi
di lei Ecc. ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa
resolutione. Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di
professione matematico, scolaro del Padre R. mo di anni, e duoi altri havevo
prima studiato da me solo sotto la disciplina dei gesuiti. Son stato il primo
che in casa del padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e
continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che
ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già AVENDO ASSAI BENE PRTICATA
TUTTA LA GEOMETRIA, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato
Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano,
finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, ed è DI
PROFESSIONE E DI SETTA GALILEISTA. Il Padre Grienbergiero, che è molto mio,
confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono molte
belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien
per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato, crollando
la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per LE MOLTE DISGRESSIONI. Io
gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo.
Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol parlare.
Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel
quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo
della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio
amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua
o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R. mo la carissima di V. S., e le
risponderà. Intanto V. S. Ecc. ma mi fa degno, ben che inetto, d'esser nel
numero de' servi suoi e DE’ SEGUACI DEL VERO; che già so che il Padre R. mo, o
a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a
V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza. Roma, Di V. S. molto
Ill. re et Ecc. ma Sig. r Gall. Gal. La lettura approfondita delle “Due nuove
scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente la stesura ad
Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti.
Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De motu gravium”. Nell’ “Opera
Geometrica” conceve il principio del
baro-metro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e
individuando il "vuoto torricelliano". Con VIVIANI dimostra che IL
VUOTO ESISTE IN NATURA e che l'aria ha un peso PONENDO QUINDI FINE ALLE
MILLENARIE DISCUSSIONI FILOSOFICHE SULL’HORROR VACUI. Un'unità di misura della
pressione è stata chiamata “Torr” in onore alla madre di R. e corrisponde a
millimetri di mercurio. L'unità di misura del sistema Internazionale è invece
il “pascal”, in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire
numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione
atmosferica descritta da Torricelli. La parola “baro-metro” coniata da
Boyle è quasi sempre associata al nome di R. che risulta quindi fra i più
celebri filosofi italiani nella storia. Essendo in diretto contatto con
Cavalieri inizia a lavorare con la geometria degl’indivisibili e ben presto
supera, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo
nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degl’indivisibili, come anche il
metodo d'esaustione, che e in uso presso gl’antichi, fra tutti il grande
Archimede, di cui è entusiasta ammiratore. A R. dobbiamo la riscoperta del
matematico siracusano. Per il gusto di imitare i classici, dimostra in XXI
modi diversi un teorema di Archimede: XI con il metodo d'esaustione, X con il
metodo degl’indivisibili. Spesso i risultati ottenuti con la geometria
degl’indivisibili venneno poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della
controversia sulla loro fondatezza. Il fatto interessante è che lo stesso
Archimede elabora una sorta di geometria degl’indivisibili, ma non la ritiene
rigorosa, e perciò dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione.
Tutto ciò si è scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta
d’Archimede, il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. --
è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba
di Gabriele”, da lui chiamato “solido iper-bolico acutissimo”, avente l'area
della superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele è considerato
per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso R. stesso,
che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio
che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro
singolare. Il solido in questione scatena un'aspra controversia sulla natura
dell'infinito, che ha coinvolto anche Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno
che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel
settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" R. considera
una successione decrescente di termini positivi “{{0},{1},{2}}” e mostra che la
corrispondente serie tele-scopica “{{0}{1})+{1}{2})+}” converge necessariamente
a “{{0}-L{0}-L},” dove “L” denota il “limite” della successione. In questo modo
riusce a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie
geometrica. A Faenza è presente una statua di fronte alla chiesa di S. Francesco
che lo raffigura con in mano un baro-metro a mercurio -- nella statua, l’altezza
del barometro è proporzionalmente inferiore a quella reale, che deve essere di
almeno 76 cm. -- Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche
Registrazione del convegno per lui, Fidio, C. Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca
Europea di Informazione Cultura. In questa sperimentazione venne preceduto da Berti,
che conduce un esperimento baro-metrico utilizzando acqua anziché mercurio.
Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli G. Rossini, Convegno di studi torricelliani in
occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, Bertoni, La sua
faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del liceo
Torricelli, Faenza, Ragazzini, Toscano, L'erede di Galilei. Vita breve e
mirabile, Milano, Sironi. Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria
matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni, Baro-metro di Torricelli, Equazione di
Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. E. Torricelli,
Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista
Torricelli Ruberti. Keywords: il vuoto, geometria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The
Swimming-Pool Library
Luigi Speranza -- Grice e Rucellai: la
ragione conversazionale degl’amori di Linceo, o della filosofia imperfetta –
scuola fiorentina – la scuola di Firenze -- filosofia toscana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano.
Firenze, Toscana. Crusca. Discepolo di GALILEI e in certa guisa il depositario
e spositore delle opinioni meta-fìsiche professate dal suo maestro. Di più: in
cui la scuola di Galilei ha uno dei maggiori lumi. Afferma di essere amico e
confidente di Galilei, ma ciò non corrisponde al vero. In verità si incontrano
solo una volta quando e suo ospite nella villa di Arcetri. Men che meno e suo
studente. Quanto poi alla meta-fisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano
da soli. Quando comincia a comporre i dialoghi
presero persino a chiamarlo "il nostro sapientissimo Socrate". Ma
anche questa è una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un dialogo, ama recitarlo
al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo
fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si mangia e beve
gratis. Quindi più dialoghi recita, più si gozzoviglia. Per questo lo incitano
a continuare. La verità è che in filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo
gl’occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che
discepolo di Galilei anche se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti.
Non è un caso dunque se i dialoghi sono pubblicati non per meriti filosofici, ma
linguistici. I dialoghi sono citati dal vocabolario della Crusca, ed ottimo
avviso è il farne spoglio abbondante perché la loro favella è veramente d'oro
e, se lo stile procede talvolta prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran
ricchezza di voci e frasi, convenienti agli studj speculativi. Forse è proprio
per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel gran ducato, la sua stella
sembra non tramontare mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi Ferdinando
III. Intendente della biblioteca laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato
priore dell'accademia della Crusca con l’alias di “imperfetto” Strano perché
lui, invece, è un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione
della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di
celebri autori toscani, Prose e rime inedite di R., Tommaso Buonaventura, Degl’officii
per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca. ALFANI gia alooio
di R. Istitnto Superiore di Fireoze.
FIRENZE, BARBARA. Tia Faenza. Agl'
Illustbi Pbofbssobi CONTI E FERRI. Non
crediate che io dedichi a voi questo
libro per cerimonia : no ; io 1' affido invece al vostro patrocinio, come un padre che vedendo
il suo caro figlio sul punto di escire
dalla vita delle mura domestiche, per entrare in quella pubblica della citta e della
patria, Io affida sicuro a cittadino
illustre, onorato, provetto, perche gli
agevoli col suo nome la via, e col
consiglio suo Io diriga e protegga; io
Io dedico a voi come cosa che vi appartiene, poiche se io ne fui 1' autore, voi
ne foste bene i consiglieri
sapientemente aniorevoli, que' due che in mezzo alle non lievi difficolta m' incoraggiaste
e mi ajutaste a combatterle e a superarle. E, anzi, io posso affermare con sicurta che questo libro debba
a voi piu che a me la sua vita, dovendo io
appunto alia vostra scienza, alle vostre instituzioni e ai voatri
consigli, se datomi agli studj
prediletti della filosofia ho potuto proseguire non vanamente nel difficile
cammino e in queste ardue discipline,
per le quali ora meglio che mai
riconosco altri ingegni che non il mio
poverissimo esser richiesti sempre, e
particolarmente oggi che la filosofia vera, questa prima nutrice della ragione
umana, questa ultima consolatrice di lei
o desolata dal dubbio, o da' contrasti affranta non vinta, e con ogni sorta di
mezzi ingratamente assalita, per
sostituire in sua vece una larva
pericolosa a cui si da noma di scienza,
e che invero non e altro se non la cupa
e colpevole generatrice di una Comune di Parigi, e delle negazioni piu
spudorate e micidiali coUe quali, sotto i nostri occhi medesimi, per un falso giudizio di
liberta si permette di insultare scherzevolmente il buon senso e la coscienza degli
uomini. Siffatti contrasti ed errori io
appena in,travedeva (non li poteva discernere chiaramente) quando negli anni
primi della gioventu. quantunque
innamorato della filosofia, maneggiava la riga e il compasso, e piu per
rar gione di metodo che per intenzione
di scelta studiava le scienze superiori
esatte e le natural!, utili quelle, e necessarie queste al filosofo che voglia
conoscere tutto I'uomo e le leggi vera
dell' universe. lo li ricordo, sapete,
quegli anni! AUora che il velo del
disinganno che ricuopre le malizie umane
o non 6 punto soUevato a'nostri occhi, o n' e appena : allora che i problemi e
le questioni piu gravi della filosofia
intomo a Dio, all' uomo ed al mondo le si risolvono piu col cuore e col linguaggio
materno, giammai ingannatore, che non col severe e spesso arido sillogizzar
delle scuole ; e tutto ci sembra piano,
evidente; e le risposte piu ardue ci
sembrano le risposte piu naturali,
perche appunto dettate dalla voce infallibile della natura. In quegli anni le negazioni si
tengono e si combattono non come negazioni
vere e proprie, sibbene, e piu, come artifizi scolastici, e la possibility, che le
divengano terribilmente reali, e
guastino la sovrana armonia tra la verita e 1' intelletto, ci par le miglia
Montana. Ma pur troppo, andando innanzi, ogni giorno che passa e un fiore
che cade dall' albero delle illusioni
della vita ; e noi scorgiamo sempre piu
farsi reale e tremenda la guerra al vero, le sue armonie minacciate dalla
superbia di ragione delirante, e dair
odio piu spietatamente beffardo. E come
difficile non esser feriti dalla punta
awelenata del dubbio! come difficile non rimanere sorpresi e colti dalle
astute carezze di quella ingannevole
Armida, che si fece introdurre nelle nostre tende a promettere le sue grazie e favori a quei che
disertassero I'antica bandiera, che e
poi la bandiera delr onesta ! E quanti restarono a' lacci che tese loro ambizione ! quanti minacciano di
restarvi, chiuse le orecchie alia voce
della loro coscenza e della verity ! La
quale voi, benemeriti, m' insegnaste a
venerare e difendere efficacemente (ed oh! r avessi imparato bene) colle armi di non
effimera scienza, le cui parole e i di cui pronunziati sentii sempre lietamente
rispondere a' palpiti primi del mio
cuore, a' miei primi sospiri religiosi,
alia voce medesiraa di mia madre che m' insegnava, dandomene essa la prima e col fatto 1' esempio, ad onorare
Dio, ad amare 1' umanita, a rispettare
me stesso. La vostra filosofia insomma
sentii essere veramente la filosofia; e
quel prime amore che mi fece cercarla
quasi inconsapevolmente, giovanetto
ancora, pote con voi divenire nelr anima mia fortissimo e consapevole, e ad
essa attrarmi potentemente, stupito di
tante sue bellezze sublimi, che voi
dottamente mi rivelaste, perche alia mia volta anch'io, salendo una cattedra, insegnassi que' medesimi
veri, e scoprissi quelle medesime
bellezze e il loro amore ai giovani
intelletti che la patria e la Prowidenza
mi avrebbero poscia affidati. Accostandosi a questo ufficio santo e
terribile insieme, non puo 1' anima non
esser compresa di alta trepidazione : si
tratta dell'avvenire di uomini, si
tratta dell' avvenire della patria, che noi dobbiam preparare. Dedicando a voi questo libro, io
voglio, egregi professori, darvi pur
anco un pegno che in tale ufficio
solenne, nel mio insegnamento, seguitero le orme vostre ed i vostri precetti ; e che sempre a conforto e guida vi
avro innanzi al pensiero, illustri propugnatori
della verita e del bene. N^ voi,
io spero, sgradirete il ricordo che vi
testimonia perenne la gratitudine mia, ne
sdegnerete di conservare la memoria di me, discepolo vostro, e di ajutarmi ancora,
fatto da voi ad altri maestro. E cosi
legati tutti, professori e discenti, nel
vincolo di reciproco affetto, i nostri
studj e le nostre fatiche saranno benedette da Dio, e coronate dal trionfo del bene, e dalla prosperita della
patria. Tutto vostro devotissimo AuGusTo Alfani. Firenze. Spbcchio begli sceitti bditi e
tnbditi di Obazio Rioa SOLI RUCELLAT. Firmamento dei cieli e firmamonto del
pensiero. — Armonie loro. — Orazio
Ricasoli Rucollai e il socolo decimosettimo. — Quegli h specchio delle condizioni di quosto in
Firenze. — E pero si spiega r
ammirazione grande per R. de' suoi contemporanei. — Divisione generale di questo libro. — Suo
fine e importanza. Capitolo Prima. — Il
Sbcolo Decimosettimo 7 Scrittori di R..
— II marchese Carlo Rinuccini. — Anton
Maria Salvini. — II canonico Domenico Moreni. Tiraboschi. Passerini. —
II Turrini. — II Mamiani e il Centofanti. —
Necessity di ritesser la vita di R. per il proposito nostro. — Difficolt^ pel difetto di docnmenti. —
Condizioni generali del secolo
decimosettimo. — fe un secolo di contrasti politici e morali. Contrasti nelle
arti, nolle lettere, nella filosofia.
Capitolo Secondo, — Dblla vita di Orazio Ricasoli Rucellai 20 Nascita di R.. — Suoi parenti. — Antichit^ e
nobilti delle due famiglie Ricasoli e R..
— Loro attinenze con le glorie politiche
e letterarie deir Italia. — I Ricasoli, i R. ed i Medici. — P erch^ Orazio
piucch^ Ricasoli appellino gli scrittori col
nome materno de' R.. -- Questi e le dottrine platoniche. — L' Accademia Platonica istituita da Cosimo e
da Marsilio Ficino. — Intendimenti di
questo. Suoi scritti. — Platonismo cristiano di lui e de'snoi accademici. — Si nominano. —
Bernardo R.. — Sue qnalita, opere,
preg i di esse. — Fa parte dell'
Accademia Platonica. — L' accoglie ne'
suoi Orti, onde essa piglia il nome di Accademia degll Orti Oricellari. — Figli e nipoti di
Bernardo platonici. — Congiura contro i Medici, e sbandamento dell' Accademia.
— Gli Orti menide o d* uno eterno. —
Anassimandro o dell' infinito. — Necessity
deir Infinite. II finito non e
privazlonc di questo. — Cartesio, o 1'
idea dell' infinito prova della sua realty. — Dato 1' uomo finito, conyien ammettere rente infinito. — E questo
secondo argomento il R. tiene per
piiistringente di quello del Cartesio. — Ma si I'uno che I'altro sono argomenti probabili. —
Anassimandro o della luce. — Galileo. —
II R. non nega I'influsso degli astri sul mondo e le cose nmane ; combatte pero 1' astrologia. t-
La Genesi, sant'Agostino, Dante e 1'
opinion! di Anassimandro e Galileo sulla luce. — Platone, la luce e 1' anima dell' universe. — Ma e
tutto un pud easere. — Anassimandro o
de'colori. — Zenone ed altri filosofi. — Si conchiude coll' « Hoc unum seio quod nihil ado * di
Socrate. — La fede. Gapitolo Nono, —
Esposizionb del timeo di Platone nk'
Dialoghi di Orazio Ricasoli R. . . Pag. 157
Ammirazione di R. pel Timeo di Platone. — Opinione e scienza. — Necessita di un Principio primo. —
Plotino. — Triniegisto. — II R. non e dualista, come Platone. — Fine della creazione, il buono. — Obiezione e risposta.
— Nell'ordine dell' universe si legge il verbo di Die. — Gli archetipi eterni.
— Platone manca della fede, e pero nell'
attinenza di causality tra Die e il
mondo cade in errori. — La mente divina forma di tutte le forme. — La mente umana e le idee. — Loro natura. —
II R. combatte Aristotele. — Trimegisto
e la creazione. — II mondo non e Die ; ne Dio
e I'anima di esse. — Ma e sua legge. — Ne I'amere, per se, e anima deir universe. — Desso come armonia ed ordine
pu5 appellarsi anima del mondo. — £, pel
R., le Spirito Santo. Ga/pitolo Decimo.
— (Segue) il TIMEO. Dell'anime razio NALI
Quesiti. — Natura dell' anima razionale. — Non e particella deir anima universale. — fe intiera e
perfetta da sh, — In che il R. si
discosta qui da Platone. — Spirituality dell' anima. — Perfezione maggiore
negli spiriti angelici. — Immortalita. — Argomenti dl ragione probabili. — Cartesio e la sua
teorica dell' idee connessa alia
questione dell' immortality. — Passe di questo filosofo. — Altre prove d' immortalita. Gapitolo Decimoprimo. — Breve cenno sullb aemonichb
propoRzioNi NET Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli R. 187
Oggetto di questo trattato di R.. — Suono. Ordine. Armenia. Proporzione.
— Passo dell' autore. -- Platone e le
proporzioni armoniche. — II medesimo e il diverso. — Anco pel Racellai
tatto e armonia. — I tre regni della natura. — L* armonia e ranima univorsale platonica. — II corpo umano
e le armoniche proporzioni. — La materia. — Gindizio di R. sn questa parte delle dottrine platoniche. Capitolo Decimosecondo. — Esposizionb del
trattato BELLA PROVVIDENZA NBI DlALOOHI
FILOSOFIOI DI R. Importanza di questo
trattato. — Meglio che in ogni altro
scritto di R. si fa qui palese la natura del suo ftlosofare. — Prove di ci6. — Obiezioni di Epicuro e
risposte. — L’ordine dell'uniyerso e argomento del Provvedere di Dio. — Questi
e la natura. — Essa non e per al che una
voce generica. — II Case. — Si combatte.
— Gli atomi. — Si nega ad essi, contro Platone ed Epicuro, la eternity.
— Si confuta V accozzamento fortuito di quelli. — Galileo. — La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza
di Dio; prove per eliminazione. — Obiezione e risposta. — Galileo e R.. —
Dio non informa il mondo come anima
corpo. — V esempio del sole. — Marsilio
Ficino. — La fedo. — Creazione ex nihilo, — Ragioni probabili. — Ripete V
autore : fine della creazione il buono. — II Vero Bene. — I beni del mondo han ragione di
mezzo, di fine no. Ga/pitolo
Decimoterzo. — {Segue) La esposizionb del trattato DELLA PROVVIDENZA Dei mall. — Necessity di questi nel mondo. —
I veri mali. — La morte non h un male. —
E cosl la poverty, la perdita delle
ricchezze, le ingiuste persecuzioni ec. — I mali occasione e strumeiito
di bene. — II dolore. — La infelicita. — Del done della ragione. — Sua natura.
— Malizia e ragione. — Libero arbitrio e prcdestinazione. — Liberti e fato. —
Passo dell'Autore su questo punto. ->
Epilogo delle probability ragionevoli intorno V esistenza di Dio provvidente. — Rifugio nella fede. —
Conclusione. Capitolo Decimoquarto, —
Esposizionb bblla psioolooia e della
morale nei Dialoghi FILOSOFIOI di Orazio
RiOASOLi R. II detto di Socrate
e quello di Talete. — Fatti intemi: psicologici e moral!. — Notee te ipeum, ~
Dell* anima in generate. — Galileo. —
fe presunzione Toler comprendere quel che Tanima sia. — Studio proficuo de' suoi strumenti. —
Notomia. — Proemio del Rucellai alia parte morale. — Qui h aristotelico. —
Riepilogo. — La ragione ed il senso. — Loro contrarieta nel riconoscere il
bene. — Tre sorte di beni ; dell' anima,
della fortuna e del senso. — Apprezzamento di essi. — La vera scienza morale e
il timore di Dio. L' anima nmana,
perche ragionoTole, h capace del timore di Dio, e, perd, di virtti. — Anche qui R. e mistico. —
Operazioni delr anima e della Tolonta. — Errore e dubbio. — Buono e reo. —
La vera felicitd,. — tl la vera virtti.
— Stoicismo. — Aristotele. — Virtii
cardinali. — Loro definizioni ed uffici. — Estremi delle Tirtii. — Applicazione
delle yirtCi alia societa umana. — Fine di essa. — Doveri. — Diyisione di essi. — Cicerone. —
Sentenza esagerata intorno lo donne. —
Conclusione. Capitolo Becimoquinto ed
ultimo, — Ossbbvazioni oeitichb SULLA
FiLOsoFiA DI Obazio Rioasoli Ruoellai.
Opportunita della critica. — Importanza storica dei libri del R.. — II professor Palermo ha giudicato
Vlmperfetto imperfottamente. — Perche.
Quesiti da risolvere. — II Rinascimento e le sue qualita. — Scetticismo. —
Tradizionalismo. — Bruno. — Campanella. — Galileo e il suo metodo di
osservazione esterna. — I suoi scolari e
TAccademia del Cimento. — Metaftsica galileiana. — Sommi capi di essa nei
Dialoghi dei Maesimi Siatemi. — II Cartesio e
r osservazione interna. — Spinoza e Malebranche. — Bacone. II
sensualismo di Loke. — Eclettismo di R.. — Suo probabilismo. Si provano
riandando la sua filosofta. — La seconda Accadomia. — Cicerone. — La fede. — Differenza tra'
iilosofl del Medio Evo e il R.. — Questi
e il Galileo. — Nel metodo 11 R. apparentemente e moderno. — Perche. — Intende
solo negativamente Taforisma socratico.
— Ed e sempre probabilista. Accordi
tentati. — Gli fa difetto la
speculazione. — E per6 riesce eclettico. — Breve riscontro di tal fatto nei
suoi Dialoghi su' Principii passivi dell* universe, e nel Timeo, — Platone, tl
Cristianesimo e Galileo. — Cartesio. — Teorica della cognizione. — Teorica del
volere. — Liberty e fato. — Stoicismo ed
epicureismo. — Libero arbitrio e predestinazione. — Psicologia e morale. II R. e Cousin. — Aristotile. — Platone. ~ Stoicismo. — Cristianesimo. —
Divisione delle virtd. — Cicerone. —
San Tommaso. — La Scuola Epicnrea e il Rucellai. Teologia razionale. Platone e il nostro scrittore. — I
Padri. La Fede. — Si conchiude che nello
studio dei tre obietti della filosofia R.
e eclettico. — La forma esteriore, - lo
stile - e la natura de' personaggi ne' Dialoghi di R. sono un' ultima conferma della nostra
Conclusione. APPENDICE, ANTOLOGIA DI COSE INEDITE DI ORAZIO RICA80L1 BdCELLAI. Ottavk.
Alia Serenissima Margherita d'Orleans, Prin cipessa di Toscana SONBTTI
Della Gobte e del eigibo di Roma
da' DIA.LOGHI FILOSOFICI.
ViLLEGGIATUBA TuSCOLANA. — H TimeO.
Delle idee 344 Sopra ranima del
Mondo 373 Se V Amore sia Y anima del
Mondo 379 Dell' immortality delP anima
435 PbEAMBULO ALL a ViLLEGGIATUBA
AlBANA ALL A PsiCO LOGIA ViLLEGGIATUBA TiBUBTINA DELLA MoBALE. — Offizi delta facoltd deUa ragione SPECCfflO DEGLI SCKITTI EDITI E
INBDITI DI ORAZIO RICASOLI R.. Brose edUe, s
CoNTRO I SoFiSTi. — Intomo a' Principj universali della Natura, — 16
Dialoghi filosofici che comprendono i primi tre
tomi del Codice manoscritto, corretto di mano deirAutore. Quest! pure sono stati pubblicati con una
Prefazione del Chiarissimo Prof. Palermo nel volume III del Manoscritti
Palatini di Firenze, coi tipi di M.
Cellini, 1868, e precedono i noye della
Provvidenza. Della Provvidenza.
— 16 Dialoghi filosofici, pubblicati insieme
con una Lettera al Cav. Poltri sulla Polonia per cura del Prof. TuRRiNi, coi tipi Le Monnier. Firenze Nove dei
quali Dialoghi, nel medesimo anno, furono ripubblicati dal Prof. Francesco Palermo nel volume III dei
Manoscritti Palatini di Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alia Galileiana.
Firenze. Quattro di questi dialoghi
furono pure pubblicati dal Sig. Canonico Domenico Moreni, coi tipi del Magheri
in Firenze nel 1823, e che corrispondono
a.' Dialoghi iO, ii, i2, i3, de' Manoscritti
{Trattato della Provvidenza). E quelli stampati
dal Sig. Prof. Palermo corrispondono al Numero 1-9 de' medesimi
manoscritti. Villeggiatura Tiburtina. —
Proemto. -- Fu pubblicato dal Sig. LuiGi
FiACCHi nella bella Collezione degli Opuscoli Scien SPECCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI tifici e Letterarj, Volume XIX, pag. 33, e
che io ho riprodotto ora per intiero,
perch^ 6 per eleganza di stile e ricc?iezza di
concetti moraji pregevolissimo.
DiscoRSO CONTRO IL Freddo Positivo. — Lo pubblic6 il Canonico DoMENico MoRENi insieme con altre cose di R.,
del Bonaventuri e d' altri, nel 1822
co'tipi del Magheri. Firenze. « Questo
discorso, avverte il Moreni nella Prefazione, pag. XIX e XX, per quanto risulta da una copia di una
lettera di Carlo Dati dei 6 aprile 1666
a Ottavio Falconieri, manoscritto nella
Magliabechiana alia pag. 9 del Codice 183 Class. IX intitolato Notizie dell' Accadeniia della Crusca, Selva
I, fu da lul recitato in un'Accademia a bella posta fatta in ossequio e
trattenimento del famoso Cardinale Delfino^ che trovavasi allora di passaggio per Firenze. Eccone di essa
I'articolo: Io mi era scordato di dare a V. S. Illustrissima
avviso dell'Accademia. II Sig. Cardinale Delfino arrivo qui venerdi passato a
desinare, e subito disse di voler partire il lunedi, sicchd poco luogo restava per fare Accademia. Sabato sera
essendo bene allindata T Accademia. si
fece Adunanza privata, ma pero nunierosa, dove vennero il Sig. Cardinale e il
Sig. Principe Leopoldo dalla casa li vicina
del Sig. Duca Salviati, dov'era
alloggiata Sua Eminenza. II Segni, Arciconsolo, introdusse r Accademia assai galantemente. Discorse
mirabilmente il Sig. Prior R.,
sostenendo che il freddo fosse privazione
di calore. Opposero lo Smarrito e il Sollecito fortemente, mantenendo il
freddo positivo e reale. » Traduzione
della Prima Lettera del Libro primo di Cicerone. Ad Quintum Fratrem. —- Trovasi nella
raccolta fatta dal Canonico Moreni, e che ho citato di sopra, di alcuni scritti
del R., Buonaventuri ed altri;
pubblicata co'tipi del Magheri, in
Firenze nel 1822. Di questa medesima
parte de'Dialoghi filosofici del Rucellai, I'egregio Parroco Luigi Razzolini pubblico
qualche anno indietro V Argomento e
qualche Capitolo, cio^ quello intitolato: Della Morale; Della cognizione
delVuomo e degli strumenti e facolta onde egli e composto; Della facoltd delV
anima razionale, e Degli Officj per la
Societd umana, Se non che ora questa
raccolta non trovasi piii vendibile,
Vedizione essendo stata scarsissima e pero oggi esaurita. Non ho dubitato percio di porre nella mia
Antologia di cose inedite di R. anche un brano sulla Facoltd delV Anima razionale, quasi considerandolo come inedito.
Orazione tenuta nel rendere l'Arciconsolato in bcamo del SiGNOR Desiderio
Montemagni (ossia del Timido) nel 1651. —
Qiiesta Orazione fu pubblicata da Ltjigi Fi^cchi nella Collezione degli
Opuscoli scientifici e letterarj, — L' autografo della medesima si trova in un
manoscritto miscellaneo della Biblioteca Nazionale di Firenze-, gia appartenuto alia Biblioteca dei Padri Serviti
di Firenze, segnato di N« 1422.
CiCALATA SULLA LiNGUA loNADATTiCA, letta nelV Accodemia della Ci*U8ca Vanno 1602, — Fu pubblicata nel
Volume I, parte III delle Prose
Florentine, pag. 132 e segg., edizione del 1723. A questa cicalata fu dal Canonico Lorenzo
Panciatichi fatta la Contraccicalata,
che il Biscioni pel primo pubblico con
ispiegazioni, a cui precede questo avvertimento : ocNel pubblico » stravizzo delF Accadeniia della Crusca si
faceva una le» zione in burla, che si chiamava Cicalata ; contra la quale » un altro Accademico, montato in bugnola, ne
faceva una che i» si chiamava
Contraccicalata, di cui al pubblico non c' S se
» non questa. » RisPOSTA ALL'
AccTJSA DATAGLi dall' Ornato (Conte Ferdinando Del Maestro), delta dal Rticellai nelV Accodemia
della Crusca a* di 26 giugno d652, — Non
ha indicato il Moreni donde la ricavasse
per pubblicarla, come face nelle Prose e rime del Rticellai, del Buonaventuri e d'altri, Aroomento e descrizioni prehesse dal R. alla
Presa d' ArgOf e gli Amori di Linceo e
di Ipermestra, — Dramma teatrale di
Giovanni Andrea Moniglia, parte prima. Firenze,
stamperia Arcivescovile 1689. — Quest* argomento e descrizione di R. trovansi nella Raccolta delle Poesie
drammatiche del Moniglia, starapata
dalla tipografia Granducale nel 1689,
Firenze; tantoch^ qualcuno, fra'quali il Sig. Gav. Luigi Passerini,
bibliotecario della Nazionale in Firenze, dall'avere il R. fatte queste descrizioni in prosa, e
premesse a quel dramma, dedusse
erroneamente esser lui V autore del dramma
stesso. Leggasi la Prefazione a questi Drammi del Moniglia. Lettera SULLA PoLONiA AL SiG. Cav. Poltri. —
Sta in appendice ai Dialoghi filosqfici
della Prowidenza che di R. ha pubblicati
il Prof. Giuseppe Turrini, tipografia Le Monnier,1868. Pag. 405 e segg. Questa lettera scrisse T
Autore da Varsavia b SPECCHIO DEGLI SCBITTI EDITI E INEDITI il 7 maggio 1635, allora che trovavasi la in
qualita d*ainbasciatore della Corte Toscana presso Vladislao quarto. Lettehe Fahiliari: a) A Monsignor Giacomo AUoviti, — Lettere
cinque, pubblicate dal Canonico Domenico Moreni, sotto il titolo di Saggio di Lettere d'Orazio R. e di testitnonianze
autorevoli in lode e difesa deW
Accademia della Crusca, Firenze, nella
stamperia Magheri, 1826. «Di queste lettere come delle seguenti, ad
eccezione di pocbe, gli Originali, dice il Moreni (Ibid. Pag. YIII. Ai benigni lettori) ritroyansi in
Oderzo nella immensa epistolare raccolta con grande studio e diligenza da pill anni assembrata dal Chiarissimo Sig.
Conte Giulio Bernardino Tomitano, il quale con quella sua solita
cordialita. che in pochi altri e si
leale, ad un mio cenno, senza por mente
egli a si grave incarico, cui addossavasi, me ne fece avere di esse una diligentissima copia, da
lui medeslmo fatta, clie in nulla si
discosta dal loro originate. ]> b) A
Monsignore Ottavio Falconieri, — ^ una lettera nella quale combatte gli atomi frigorifici
positivi, contro i quali ei fece e lesse
pure un discorso neir Accademia della Crusca. Si trova nella raccolta medesima del Moreni di
sopra menzionata. c) A Monsignor
Giovanni Delfino Patriarca d'Aquileja. —
Sono 29 lettere nelle quali R. discorre de*suoi componimenti filosofici
a quel patrizio veneto, che alia sua voita
inviava al R. i proprj. Stanno nella medesima coUezione fatta dal Moreni. d) A Monsignor Francesco Redi, — Gli
originali di queste 4 lettere sono in
uno dei volumi di lettere scritte al Redi, che
con gli alUi manoscritti del mcdesimo son passati alia Biblioteca
Laurenziana. Le ha pubblicate il Moreni, ibid.
e) A Sua Altezza il Granduca Ferdinando II dei MedicL — Gli discorre del
disegno, della disposizione ed ordinamento de* suoi Dialoghi filosoficL Porta
la data del maggio 1665, soiitta di
villa; estratta dal Prof. Francesco Palermo dalla Ghigiana di Roma, dove trovasi in copia, e
pubblicata nel suo Avvertimento al
volume terzo dei Manoscritti Palatini di Firenze, da lui ordinati ed esposti, e dove ha
pubblicato pure quei Dialoghi di R. che
ho accennati piu sopra. mPoesie
edite. Il Filosofo R. al Filosofo
Magalotti. — Sono trentasei terzine a
mo*di lettera pubblicate dal Canonico MORENI nella sua raccolta a c. 174, citata piii volte di
sopra. L*autografo io no so dove
trovisi; forse presso gli eredi. Una copia 6 nella Magliabechiana nel Codice Manoscritto N^
31-7. VII. sotto il titolo di Poesie
manoscritte di diversi autori del secolo XVII.
Al Signor Carlo Guidacci. — Quartine in occasione della morte del Torrigiani. Sono in numero di otto.
Trovansi stampate come sopra, COS! la
copia manoscritta, cosi, credo, Toriginale.
Sulla Corte. — Son dodici sonetti levati dal Moreni, come gli altri, dal Codice Magliabechiano citato, e
comincian cosi: 4) ft Corte albergo di
regi, ove si vedo) (Pag' 141.) 2) « Con
benigne maniere, uniche e sole » (Pag. 142.)
3) «Lusinghiera favella onde discorda)) (Id.) 4) « Di picciol furto un poverel sovente »
(Pag. 143.)' 5) « D'ostro, e d* oro
vestito, e altero il volto » (Id.) 6) «
La bella verita ch* ove s' apprende. a Che il reo costume a volo erger si
scerna » (Id.) 8) «Dunque tema non ha
chi di natura:^ (Pag. 145.) 9)
(icRagion che intenta a' maliziosi modi» (Id.)
10) ((Quella, che scende dall'Empiree soglio) (Pag. 146.) 11) ((L'eterna Provvidenza il tutto regge»
(Id.) 12) ({ Misere pecorelle a cui nel
cielo » (Pag. 147.) Non potersi
comprendere Iddio che con la fede, quani'unque
L’OPERE DI SUA PROVVIDENZA MOSTRINO CHIARAMENTE CH'EGLI CI t. — Sono dodici Sonetti, pubblicati dal
signor Fiacchi, nella collezione degli
Opuscoli scientifici e letter ari. Firenze 1816, volume XXI, dalla pagina 68
fino alia 74. Non sono stati estratti
dal Codice Magliabechiano intitolato Poesie Mss, di diversi autori, VII, 347, come ne fanno
fede le varianti che si trovano tra
quelli editi dal Fiacchi, e quelli manoscritti in XXrV SPECCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E
INEDITI quel Codice. N^ il signor
Fiacchi indica donde li abbia cavati: ma
b pill che probabile siano stati tolti dalF original e, che si conserva presso gli eredi. Questi sonetti
incominciano: 1) c Oltre i Gonfin de'
miseri raortali » 2) ft Nella piu cupa
eternita si ascose )» dc Si con sua fe'
Zanobi al Ciel rapia » SuLL'EsTASi DI
Santa Maria Maddalena de'Pazzi. — Tre Sonetti,
stampati nella Raccolta del Moreni. Dove trovisi I'originaledi essi non so di certo; credo, al solito, nella
biblioteca privata degli Eredi. Una
copia d nella Magliabechiana, ora Nazionale,
nel Codice Manoscritto col titolo di Poesie manoscritte di diversi
autori del secolo XVII. Incominciano. II quarto, pubblicato col quinto, come s'
6 detto, dal Orescimbeni, incomincia:
«c Nel giorno che costei si bella nacque » II quinto :
« Quella che dal mio cor non parte mai » Felice annunzio a una lettera amorosa. —
(Vedi Moreni. ibid., a c. 140.) cc Vanne, che serbi i miei pensieri ascosi »
SPBCCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI
Si detestano gli abusi del seoolo.— (Vedi Moreni, ibid. Sonetto, a c.
« Vasti flutti solcai di speme iniida »
VORREBBE PENTIRSI MA GLI RESISTE L' ABITO NON BtJONO. — SonC^to, ibid. Incomincia: ((Piango'l mio tempo, e dell'eta
fugace» In risposta a un sonetto morale
del Graziani. — Sonetto, ibid., a c.
. «Non toglie i pregi al cielo e non
depreda)> La Divina disposizione
sempre giovevole, anche talora paia il
OONTRARio. — Altri due Sonetti, ibid., a c. 135: 1) a Per entro eterna, incoraprensibil luce
i» 2) « Fra tj^nti prodi ormai viver
recesso » Stimoli di penitenza destati
nella volontA non aiutata da' sensi. — Sonetto pubblicato, ibid, a c. 134. II
primo verso e: « Occbi piangete.
Mirerovvi ancora » Suo AMORE DA
VECCHio. — Sonetto della Tramoggia, a cui fece la censura il Dati, e che fu pubblicato dal
Fiacchi nel Vol. XI degli Opuscoli
scientifici e letterari, pag. 64. Incomincia:
«Ardo bencb'abbia il crin canuto gelo»
Non si ritrova manoscritto nel Godice Magliabechiano sopra citato, n6 1' ho potuto trovare altrove. L'
autografo poi sari, come degli altri,
nella Biblioteca degli Eredi. Prose
inedite. Dialoghi FiLOSOFici DEL PRIOR Orazio Ricasoli R.. — Gia sappiamo di essi quali son pubblicati. Or qui
pongo il contenuto de* quattro manoscritti (cio^, Magliabechiano, Palatine,
e 1 due codici della Biblioteca
Ricasoli) avvertendo subito che le Villeggiature Albana e Tiburtina non si
ritrovano die in queste ultimi due. Codj/ce Manoscritto della Palatina: (Copia).
— £ un volume in-4o slegato, di pag.
788, senz' indice, e in carattere minutissimo.
Contiene Y esposizione delle opinioni dei filosofi antichi intorno a'
principii naturali delle cose, (16 Dialogbi); T esposizione del Timeo di
Platone, (15 Dialogbi) ; cui fan seguito
quelli della Provvidenza, (16 Dialogbi); e infine due dialogbi suUe Musiche proporzioni. In tutti N^ 49
Dialogbi. Codice Manoscritto, anch*
esso Copia, nella Magliabechiana. — Sono
nove volumi in-4o, legati in pelle con dorature in costola, e miniature e arme R. in frontespizio. Erano
per 1' innanzi di propneta della signora Maria Settimanni, moglie del signor marcbese Dante Catellini Da
Oastiglione, e da essa gli acquisto poi
il signor Vincenzo Follini Bibliotecario, a'di 26maggio 1815. Questi Dialogbi
sono dedicati al signor marcbese Cosimo Da Castiglione. Questo codice contiene i Dialogbi su i
principii naturali deir universe (16)
come il Codice Palatino ; poi i dialogbi della
Provvidenza (16), indi il Timeo (15 Dialogbi) ; e per ultimo le Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) stando alia
indicazione e numerazipne dei
Volumi. 1» Codice Manoscritto della
Biblioteca Ricasoli Firidolfi. — Son
dodici volumi in-4«>, legati in pelle, di scrittura antica ma
corretta e leggibilissima. Comprendono in 1° i Dialogbi sulle opinioni dei
filosofi anticbi intorno ai principii naturali dell' universe (16), poi la
Provvidenza (16 Dialogbi), indi il Timeo,
(15 dialogbi) Villeggiatura Tusculana; si passa poi alia Villeggiatura
Albana, (2 dialogbi e il Proemio) ossia ai Dialogbi deir Anirna, della Notomia, e per ultimo,
alia Villeggiatura Tiburtina, e cioe alia Filosofia Morale (Proemio, due
Argoraenti e due Dialogbi). Questo
Codice fu rivisto e corretto da Anton
Maria Salvini. 2" Codice
Manoscritto in detta Biblioteca. — Puo considerarsi come I'autografo, percb^ corretto di mano
dell' Autore. Son 14 volumi in-4o,
legati essi pure in pelle, e scritti sufficientemente bene. Qui I'ordine ^
alquanto diverse; imperoccb6 i Dialogbi
della Provvidenza si trovano coUocati nei volumi 7, 8 e 9, ciofe dope quelli della Filosofia
naturale antica, (16 Dialogbi) e il Tin? eo (15 Dialogbi). Abbiamo poi un
volume senza Dumero col titolo di
Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) e cbe
SPECCHIO DBGLI SCBITTI EDITI E INEDITI
evidentemente va aggiunto al Timeo. Per ultimo sono le due Yilleggiature, Albana (Proemio e 2 Dialoghi)
e Tiburtina come nel Codice antecedenteraente
descritto. (Proem., 2 argomenti e 2
dialoghi). — Per piii ample notizie veggasi il mio capitolo intitolato Disegno, ordine e fine dei
Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli R., PlANTA E RiGIRO DELLA CORTE DI ROMA. —
Libello del Stg. PHoT Orazio R.. — Una
copia di questo scritto inedito fu da me
ritrovato in una Filza Strozziana, neH'Archivio Centrale di State. Di questo scritto incomplete nissuno
fin qui avea fatto parola, forse perchfe
sconosciuto, oltre V essere inedito. Credo
r autografo trovisi presso gU eredi. Vedi pag. 326 in Appendice.
DiscoRSO SULLA FoRTUNA. Lo lesse R. in
una Adunanza tenuta dall' Accademia
della Crusca ai 20 febbraio 1654, in
onore del Principe Gio. Adolfo, fratello del re Gustavo di Svezia, come
risulta dal Diario del Buonmattei. £ inedito presso gli eredi, e penso che sia quelle incorporate
tra' Dialoghi filosofici nella Villeggiatura tiburtina, dove discorre della
Filosofia Morale. Le lodi di San
Zanobi, Vescovo, protettore dell' Accademia
DELLA Crusca. Discorso recitato dal R. in un' Adunanza solenne che detta Accademia celebro in onore
di quel santo, nel Palazzo Strozzi, il
20 giugno 1651, come ricavasi a pag. 89
e segg. del Diario di Benedetto Buonmattei allora segretario. £ inedito presso gli eredi, ma da me non
potuto leggere. Invettiva contro il
collega Tommaso Segni. — Anco questa e
inedita presso gli Eredi ; ne ho potuto consultarla, e solamente ricavasi il tenore di essa dalla difesa del
Segni, della quale fa menzione il
Moreni, a pag. XVI della sua Prefazione alle Prose e poesie di R., Buonaventuri ed altri. CiCALATA per LO Stravizzo DEL 1662. — Una
copia di essasitrova nella Libreria
Marucelliana, Codice A N® 158, ed un' altra nella MagUabechiana Codice Manoscrilto E, 5, 6, 24,
insieme con altra del figlio Luigi
Ricasoli R.. Trovasi pure nella Palatina*
m Scherzo in lode dell* Uccello. — Lo cita il signor LuiGi PasseRiNi
nella sua Genealogia e Storia della Famiglia Ricasoli. Firenze, Tip. Cellini, 1861, dove discorre di
Orazio R., a pag. 86, e che dice
pubblicato a Firenze nella Raccolta delle
Prose fiorentine, parte III, volume I, pag. 124, Anno 1722. Ma io non V ho rinvenuto, e percio ritengo come
inedito anche esso nella Biblioteca
degli Eredi. ISTRUZIONE E CaRTEGGI DEL
COMMENDATORE PRIOR OrAZIO RiCASOLI R.,
nella stia Ambasceria di Corte Cesarea e di PoIonia dal principio di gennaio al
giugno 1635. — Questa raccolta con le lettere del suddetto R., e delle quali ne
pubblico una come saggio il Prof. Turrini, conservansi nell' Archivio degli
Eredi; e pero non potute esaminare da me.
Lettere Familiari — Sette di queste indirizzate al suo Serenissimo Principe trovai in una cassetta nella
Biblioteca Palatina, che a^eva per
titolo Autograft Italiani, Non hanno soprascritta, c furon levate, come molte di altri uomini
illustri, dair Archivio centrale di
State, nella occasione della Gran Raccolta de'roanoscritti Galileiani e degli
Accademici del Gimento. Altre tre
Lettere inedite da me ritrovate nel carteggio universale mediceo, Filza 1013,
Anni 1631-1641, dirette al Granduca
Ferdinando II dal R., di Roma, negU anni 1638-39-40. AxTRA Lettera inedita di Orazio R. rinvenni
nella Filza Medicea, dal 1640 al 1650,
pacco 2°, datata da Roma li 24 luglio 1649, e colla quale ei domanda al
Granduca nuove dilazioni per la Gabella. {Filza Medicea, 52, Principe Mattias
5488). Poesie medite. L'AccADEMico Imperfetto DELLA Crusca, che
era il signor Prior Orazio R., dopo aver
cenato alio stravizzo fatto dalla medesima Accademia, presenta un meraoriale ai
Provveditori della Gena, chiedendoli il
solito tribute del Cacio. Sotto questo
titolo dice il signor Passerini che si trovano
pubblicate nelle Prose Fiorentine, 1723, 84 quartine, copia delle quali e nella Magliabechiana, nel solito
Codice, Poesie ec,, VII, XXX SPECCHIO
DEGLI SCBITTI KDITI E INEDITI 347, e
comprendono dalla paginal99, alia 205. Ma io non Tho potute trovare stainpate, e per do le ho
poste qui tra le inedite. Alla
Serenissima Margherita d* Orleans, Principessa di ToscaNA. — Per un maizolino
di fiori donatole il giortio di Santa
Margherita, dal Stgiwor Prior Orazio R.. — Sono in copia quattro Ottave
che si trovano nel solito codice magliabechiano sotto il titolo di Poesie
manoscritte di diversi, del secolo XVII, YII, 347, pag. 198. In morte oella donna amata. — Un Sonetto
inedito che trovasi con altri editi nel
medesimo Codice Magliabechiano YII, 347.
Poesie di diversidel secolo XVil a pag. 208 e;209. Incomincia : « Quello che sola ai miei pansier risponde
» Amor Platonico. — Sonetto, ibid, a c.
213. « Non di vostra beltk caduca e
frale > Sentimenti amorosi secondo
il concetto Platonico che Dio creasse le
anime particolari degli uomini, degli avanzi
dell'anima UNIVERSALE DEL MONDO. — Sonetto, ibid, a pag. 214 che comincia: « Con eteme faville il sommo Sole » Si querela che il SONNO TENGA CHIUSI GLI
OCCHI DELLA sua DONNA. Vedi ibid., a c. 212. Incomincia questo Sonetto: « Orabra il sonno d di morte, i sensi
atterra » Sulla Prowidenza. — Altri tre
Sonetti inediti, ibid., che fan corpo
cogli altri gia pubblicati dal Fiacchi. Corainciano : ((Come aguzza il gran fabbro, e con qual
lima)) 2) « Se alla ministra del Motor
Sovrano )) 3) (( Nasca talun senza
mirar la luce )» Desiderio dell'anima
d*unirsi a Dio,— Sonetto, ibid., a c. 218.
Comincia : « Padre del ciel che
le bell* alme accogli t> Nel Codice
Manoscritto Magliahechiano poi, sotto 11 titolo Poesie Diverse piacevpli VIII. Var. 363, si trovano
scherzi immorali del RuCELLA.1. Come
pure neiraitro Codice superiormente citato se ne trovano altri frammisti a
poesie oneste del nostro
Imperfetto. Alcuni dei Sonetti
raorali o religiosi di R. trovansi
ricopiati pure in altri Codici manoscritti come p. es. nel Libro Valerii Chimentelli De FunamhulOy II, 50, e
nel Codice Magliabechiano. Firmamento dei cieli, e firnianionto del pensiero. —
Armonie loro. — Orazio Bicasoli Bucellai
e il sccolo decimosottimo. — Quegli e
specchio delle condizioni di qaosto in Firenze. — E pero si spiega r ammirazione graude per il RuceHai de' saoi
contcmporanei. — Dirisione generale di
questo libro. — Sao fine e importanza.
Come accade nel firmamento dei cieli, cosi, o lettore benevolo, mi
sembra accadere nel firmamento del
pensiero o deU'anima umana; e I'armonia che tu scorgi regnare nelF ordinata misura de' corpi
celesti non dissomiglia punto da quest' altra armonia che le idee, o le stelle dell' anima, compongono tra se nel
loro ordinamento stupendo. Ond' ^ che in quella guisa medesima che anco un
astro il piii piccolo, 1' occhio deir
osservatore de' cieK scopre ed afferma talora necessario anello tra' maggiori e
piii luminosi ; non altrimenti nella storia del pensiero umano sovente uno scrittore, un filosofo, pur de' non grandi,
lo ritroviamo, studiandolo, quasi anello logico, se non necessario, tra due etd. e du§ scuole che si succedono,
tra' filosofi maggiori di quell' et^
stessa. Cosi, per esempio, in un tempo
di confiitti di dottrine con dottrine, di liberty, e di servitu, di ragione e di autorita, se vi ^
un uomo il quale specchi in se nella
loro schiettezza i pensieri e le
disposizioni diverse della societa civile in mezzo alia quale egli trovasi; se quest' uomo dia
la immagine vera di que' contrast! che
ingegni piii chiari e piii valorosi di lui allora combattono; quest' uomo, anco de' non grandi, acquistera senza dubbio per
tal fatto importanza non lieve nella
storia del pensierq e della civilt^,
perch^ appunto ei potra nella Storia rappresentare veramente il suo tempo ; egli,
se vogliamo conservare il paragone, sara un anello logico di quel sistema di
astri intellettuali che compongono Y armonia
spirituale dell' universo. Potrei, volendo, recar qui per la mia asserzione testimonianze storiche a
dovizia; ma non lo fo, sicuro che al
leggitore non ripeterei che notissime
cose, e cadrei nel superfluo. Orazio
Ricasoli R., del quale imprendo a discorrere, non ^, giova dichiararlo tin d'
ora, un gigante tra' pensatori, e neppur
grande ; egli 6 un astro minora, e nulla
pitl ; invano tenteresti ritrovare in lui una gran forza speculativa e una potenza straordinaria
d' ingegno. Forse egli era nato uomo di alti spiriti ; ma infetto anch' egli di quel miasma ond'era ammorbata
la filoSofia e le lettere nel secolo decimosettimo, se non imbolsi affatto, pur n'ebbe il suo ingegno a
sofifrire; poichd, come scrive il Guasti
nel suo Lorenzo Panciatichij era il
pensiero a' filosofi, come 1' estro a' poeti tarpato. E appunto, credo, perchd R. ci
apparisce cosl e nella filosofia e nelle
lettere; appunto perch^ respird
que'miasmi, e le inclinazioni diverse del suo
tempo sperimentd in sd stesso, e manifestd ne'suoi scritti ; io son d' avviso ch' egli acquisti
per noi pitl importanza come quello che valga a rappresentarci fedelmente quel
secolo nel quale fiori, e riproduca le condizioni reali del pensiero filosofico
e del civile consorzio in mezzo al quale
viveva. E se questo d vero, come in
progresso dimostrero, la cagione e ragione della stima e ammirazione grandissima de' suoi contemporanei,
che lo ritenner quasi come un mezz'
oracolo, ^ spiegata e almeno in parte giustificata. Come Orazio R., cosi quel valenti eruditi contemporanei sentivaao
dentro di se ripercosse le molteplici
disposizioni del tempo, e tutta la
violenza delle correnti contrarie che urtavano
per trascinare ciascuna seco la navicella delle lor menti. II R., che ^ alia testa di loro, vuol
dominare la furia de' corsi, e in parte
riesce ; ma poi quasi inconsapevolmente ei segue cogli altri or questa or quella fiumana; egli e come un prisma sulle
cui faccie riflettonsi i colori
molteplici dell' iride filosofica di quelr et^. Egli e insomma il
rappresentante del suo tempo in Firenze,
perch^ raccoglie in s^ stesso tutte le
opinioni opposte che v' erano allora e tenta conciliarle; e, altresi,
perche questa conciliazione ha pitl delr accademico che dell' intimamente
speculativo ; speculazione che, salvo le scienze naturali, era molto
fiacca a quei tempi nella sua
patria. Dimostrato questo, apparir^
anco pitl quella importanza che a me sembra avere questo libro, come
quello che avr^ mirato ad aggiungere un
po' di luce alia storia del pensiero di
quel secolo; a presentare un trapasso anco pitl intimo tra due et^ che si
succedono. E per arrivarvi, nulla di
meglio che gettare uno sguardo al viver
civile del secolo decimosettimo, esaminarne attentamente le condizioni
politiche e morali, vederne lo stato
delle lettere e delle scienze; poich^
tutti insieme questi risultamenti dell' attivit^ umana, e non tra di loro sconnessi o separati, valgono
a rappresentarcela. Noi considereremo quindi R. in quello stato de' tempi suoi, e vedremo come
la sua vita vi si svolga, e nelle varie
manifestazioni a quelli esattamente risponda. E man mano che la critica seguir^
la esposizione delle sue opere
filosofiche e letterarie, delle quali
stimo opportuno ofifrire come appendice e documento al libro una Antologia^
avremo occasione di veder cose singolari
e di non lieve importanza. Con questo
mezzo io spero di ricondurre nel novero de'filosofi im uomo, di cui nissuna Storia della
filosofia, ch'io mi sappia, ha fatto
sufficiente menzione fin qui ; e saro lieto
del pari di aver dato mano, come ho gia detto, a stringer viepitl i
legami del pensiero fra due epoche della
filosofia, e di avere additato come unione tra esse un mio illustre concittadino. Orazio Kucellai, lo ripeto, non ^ un ingegno
straordinario, ma e tale che ci spiega intieramente il suo tempo. D'altra parte le menti straordinarie,
appunto perche tali, volano sempre
innanzi al lor secolo, superano coi loro intendimenti le condizioni
de'contemporanei, e si lanciano nel futuro divinandolo. E Galileo che mori, fiorente R., non rappresenta quel
secolo, perche ancora dominava 1' inquisizione, e le antiche scuole e le
dispute del Peripato fiaccavano Tali
agli spiriti ; Galileo rappresenta, inaugurandola, 1' eta futura, le future generazioni, quando la
liberta del pensiero avr^ rotto i
vincoli della servitii, e I'astrologia ed il Sarsi e il cieco discepolato avran
dato luogo al libero esame della
ragione. L' uomo che pure non sordo
alle sublimi dottrine del Vecchio d'
Arcetri, e coll' animo schiuso ad esse,
dara nuUadimeno ancora una parte del suo pensiero al servigio dell' antica scuola, e quando,
secondo 1' errore di alcuni dell'et^ sua, egli reputera ostili fra loro la fede e la ragione, sara pronto per la
fede di far getto della ragione sua,
piuttostochd investigarne con libero
esame 1' accordo, questi, non grande ingegno,
sar^ del suo tempo la immagine. E Orazio R. ^ senza dubbio quest' uomo. Scrittori flel R.. II marchese Carlo
Rinnccini. Aoton Maria Salvini. II canonico Pomenico Moreni. II Tiraboschi. —
11 Passerini. — II Turrini. — II Mamiani e il Centofanti. — Necessita di ritesser la vita del Rucollai
per il proposito nostro. Difficolta pel difetto di docnmenti. — Condizioni
generali del secolo decimosettimo. fe un secolo di eontrasti politici e
morali. — Contrasti nelle arti, nelle
lettere, nella filosofia. Che han
scritto di R. sono varj, contemporanei a lui e posteriori. Ma gli uni e gli
altri piti che la vita deir uomo ne
scrissero o lodi, o cenni necrologici, o
per la scienza ne toccarono di sfuggita.
II marchese Carlo Rinuccini, accademico della Crusca sotto il nome di
lAetOy disse le lodi di R. nelr Adunanza pubblica che in onore di esso fu fatta
nella sala terrena del palazzo del duca
Strozzi, a'di 11 settembre 1698, e ce lo riferisce il Diario stesso
delFAccademia, ove leggesi : Quest'
elogio perd non e a noi pervenuto,
ossivvero sar^, come tant'altre cose di importanza maggiore, sepolto in
qualche libreria privata de'nostri
Signori fiorentini. L' Orazione in
morte del Eucellai scritta da Anton
Maria Salvini, non d che una bella sequela di lodi delI'uomo e
dell'opere sue, un rimpianto solenne per la
perdita dell' illustre Accademico contemporaneo, che lo scrittore jpropone ad esempio imitabile di
virtii e di dottrina. H canonico Moreni
ha discorso dell'Imperfetto nelle prefazioni a quella parte di scritti che ha pubblicati di lui ; ma son cenni, son lodi,
che se bastano a darci un' idea dell'
uomo, non valgono a mostrarcelo, come
vorremmo, in relazione a'suoi tempi, e molto
meno ci chiariscono del come e del quanto quei tempi potessero sulla vita e sulle dottrine di
esso. Cosi il Tiraboschi nel volume
ottavo della sua Storia delta
Letteratura ItcHiana, cosi il Passerini nella 6renealogia della famiglia
Ricasoli, e il prof. Turrini nella sua
Prefazione ai JDidoghi Filosofici di R. sulla
Provvidenza, han dato di lui alcuni cenni brevissimi a mo' di biogralia, per guisa che anco in
essi 1' attinenze dei tempi colla vita e coU'opere letterarie e scientifiche del nostro scrittore non
spiccano, ne ti accade di rinvenire
descritte. L' illustre Mamiani e il Centofanti
han toccato del platonismo di questo seguace ed amico del Galileo, ma Than fatto di volo,
encomiandone la purezza del dettato e la
ricchezza feconda dell' idioma
sapientemente adoperato ne' suoi Dialoghi. Se non che giova riconoscere che per 1' intendimento
loro, questi cenni o que' tratti bastano
all' uopo, n^ pud da' lettori ricercarsi
di piii. Ma 'per il fine che mi sono
prefisso, apparisce altresi manifesto come sia cosa necessaria il ritessere
piil completamente la vita di lui, per
quanto mi d oggi concesso. Dico cosi,
imperocche molti documenti preziosi, che potrebbero assai illuminare questa
storia e la mente del critico non mi ^
stato eoncesso di esaminare. Non parlo
qui de'Dialoghi Filosofid, de'quaU I'erede
signor Alberto Ricasoli Firidolfi tiene due copie, una delle quali, in quattordici tomi manoscritti,
^ come autografo, perch^ corretta di
mano del RuceUai; che questi Dialoghi
anzi mi consent! (e glie ne rendo
pubbliche grazie) di esaminare minutamente per confrontarli coUe copie
che sono nella Biblioteca Nazionale e Palatina in Firenze ; ma io alludo ad
altri documenti preziosi pel critico, cio^ lettere, corrispondenze e scritti minori che si trovano altrove
sventuratamente, e che tanto lume
avrebbero potuto recare al soggetto.
Non pertanto cercheremo nel tessere questa biogralia del RuceUai di
riempire, quanto e piii possibile, il vuoto che la mancanza di documenti
lascia, con indagini indirette, e col
raziocinio; e quelle che abbiamo tra
mano bastera, credo, all' intento. Ma
prima di seguire il nostro scrittore nella via della 8ua vita, penetriamo un istante nel consorzio
in cui egli fiorisce, e ricordiamone
intanto i caratteri e le quaUt^ pill
generali, ch6 le particolari noteremo via
via procedendo. I ricordi del passato quando non si restringono a una cronaca arida e secca
acquistano un pregio indipendente daU'
importanza degli avvenimenti che ci rammemorano. Come il piil piccolo vaso e r utensile piii umile coperto dalla ruggine
del tempo diventano ne' nostri musei 1'
oggetto prezioso di una grande curiosity
; cosi f atti pur semplici, ritrovati nella
distanza dei secoli col loro carattere reale e native, acquistano un pregio singolare, e anche un
certo attraimento per colui che studia la storia con un po' di immaginazione e di critica, e che
nelle sue ricerche e letture ha per canone e guida la massima morale di non ritenere per indifferente nulla
di cid che 6 umano. Che ^ mai pertanto il secolo decimosettimo?
Si dice generahnente che esso appartiene
all' et^ moderna; che la servitil del
Medioevo e scomparsa; che la imitazione del Rinascimento ^ tramontata : Bacone,
Cartesio, Galileo sono apparsi di gia suir orizzonte, ed hanno inaugurato il mondo moderno. Ed e vero,
ma solamente in parte ; imperocche essi,
sorgendo, trovino da sgombrare dal cielo
del pensiero nubi ancor dense, e questo
non fanno ne posson fare in un attimo, sibbene gradatamente. Le inveterate
abitudini, le antiche affezioni, le
tendenze ormai radicate non si cancellano, non si mutauo a un tratto; ci vuole
la esperienza longanime, si richiede un conllitto inevitabile tra il vecchio ed il nuovo, che trovansi Y
uno dinanzi aU' altro. Ed ecco il
perche, non altrimenti che nella natura
accade, cosi uell' ordine storico del pensiero e dell'azione e sempre vauo cercare quelle
divisioni recise che si trpvano nelle
matematiche. Si direbbe che la storia
del pensiero e un sorite, in cui ogni
conclusione posteriore ritiene a suo termine medio e necessario la conseguenza dell' argomento
immediatamente anteriore. Ed infatti il
secolo decimosettimo, a chi ben lo
riguardi in s^ stesso e nelle manifestazioni di ciascheduna delle
molteplici attivit^ umane, ^ senza dubbio
un secolo di contrasti. L' Italia (ch6 io parlo dell'Italia principalmente) scissa in molte parti, e pero
debole; deboU adimque ordinariamente
anco gli animi, o forti di fortezza apparente e non propria: essa, T
Italia, teatro a' litigi tra' piccoli, a
guerre tra' grandi prepotenti, riaperta ad armenti stranieri, come terra
di pascoli eletti. Principi italiani,
mentre la madre comuue era in servitii,
non pure non amare di unirsi in lega tra
lore, travagliarsi invece tra loro stessi con inganni e veleni per mania di possedimento. Amore di
guerra, gelosia di acquistare
territoriuzzi italiani a danno di
principe italiano compagno; non generosity, non altezza d' animo, non dolce superbia di procurare od
almeno di preparare all' Italia quell'
onorata condizione che al suo glorioso
nome si conviene, regnavano in quei
tempi. (BOTTA, Sioria d' Italia, vol. I, pag. 620.) Quivi le successioni de' principi hanno luogo
rapidissime, e cosi ad ogni istante
I'ltalia ci presenta un aspetto nuovo,
mentre si trova costretta a sottostare a idee
nuove, a nuovi capricci de' suoi principi nuovi. In meno di'settant' anni tra duchi, dogi, papi
ella ne vede sorgere e sparire novanta,
e insieme ad essi vede sparire e
risorgere contrasti a dismisura; e se per un
momento arride U sereno della pace, gli ^ per rendere agli occhi degli uomini piil fosco il tempo
di gara che ne succede. II gran politico
e gran raggiratore del decimoterzo Luigi
favoreggia intanto il duca di Nevers 6
lo vuole ad ogni costo porre in possesso di un' eredita, la quale assicura alia
Francia il punto piil considerevole dell' alta Italia. La Germania, la Spagna
ed anche Carlo Emanuele gli muovono
contro, e nel 1630 la terra di Mantova e
posta a sacco dagli Spagnoli. Conchiuso il trattato di Cherasco, Mantova e
il Monferrato rimangono al duca di Nevers; Alba, Torino e alcune altre terre alia Savoja, la quale alia
sua volta ^ costretta a cedere Pinerolo.
Ma Richelieu non h sodisfatto; egli
vuole stremata la potenza d' Austria e di Spagna, in Italia precipuamente ; e
contro la Germania presta ajuti a Gustavo Adolfo di Svezia, confisca la Lorena,
e, collegati essendo la Francia, la
Savoja e i duchi di Parma e di Mantova, indice guerra agli Spagnoli. E la Toscana, i cui Granduchi
predilessero sempre la pace, trovossi pure travolta nella comune ruina; e se i primi anni di regno scorsero a
Ferdinand© II calamitosi per gli orrori della pestilenza e della fame, non mancarono poi a turbarlo gli
orrori, non gravi meno, della guerra
contro i Francesi prima, poi contro
Urbano VIII, che pari al Cardinale di Francia nelle pretese, non nell' astuzia, per
favorire i Barberini suoi nipoti, vuol
togliere ad Odoardo Farnese, cognato del Granduca Mediceo, i dominj di Castro e Ronciglione. E mentre in Roma trattasi
legalmente la faccenda, il cardinale
Barberini assalta il feudo di Castro, e
se ne impadronisce. Sdegnato il Farnese,
passa col suo esercito, per la Toscana, negli Stati del Papa, e sparge dovunque spavento e terrore.
Ferdinando II, riuscitagli vana una conciliazione, trascinato dalle insolenze de' Barberini e dalle
controversie onde tormentavalo la corte
di Roma, si mette in punto di guerra, e
per f arsi sicuro all' interno, esilia quanti religiosi ed ecclesiastici vi sono
nativi delle Romagne, e col cognato
sconfigge le armi del Papa, il quale cede
alia forza e al diritto, restituendo al Farnese il ducato. E cosi di questo passo per tutto il secolo e
per tutta la Italia andarono le cose; e
i popoli si vendevano, e si lasciavano
vendere quantunque se ne dolessero, mentre
e dissensi e contrasti e debolezze e frodi e vilt^ costituivano allora
la totality di quel fantasma volubile
che si chiama anc'oggi politica.
E di tal fatta, e non altrimenti, le condizioni morali. Che, pur
restringendoci alia Toscana, noi vediamo i suoi principi altalenare tra il bene
ed il male continovamente. Or ligi alia Spagna, or al Papa, or ai frati,
or aUe cortigiane; e Ferdinando 11, uomo
prudente, ma non sempre coraggioso, cade
nella pusillanimity. E mentre dianzi ti
si mostra superiore alle minaccie del governo
di Roma, vedi poi che lascia, durante il suo regno, radicare negli
ecclesiastici arbitrario esercizio di giurisdizione politica, pel quale vanno
in breve vieppiii sperdute le antiche consuetudini deUa repubblica, e le ordinanze del duca Cosimo, e per timore dell'
Inquisizione abbandonare il disegno di erigere un monumento a Galileo. E nel medesimo tempo (come
vedrem--o poi pill particolarmente) ama
e protegge gli studi, coltivandoli, e in essi trova conforto o distrazione
agli affanni politici e famigliari; e a
chi gli dimostra come, facendo egli
ammaestrare il popolo, sarebbero venuti
a mancare artigiani e servitori, risponde compiacersi assai piii d' esser
principe d' uomini che di bestie. Che se dalle Corti si viene a' nobili e si
scende al popolo, noi assistiamo a'
contrasti medesimi, alle medesime scene di discordie, di debolezze, d'
immorality. Ogni privilegio ^ pe'
nobili, oppressione 6 pel popolo; inani
per i primi le leggi, eccessivamente rigorose al secondo*; impedito il popolo di portar armi,
padrone di cingeme quando e quant' e'
vuole il signore e di accerchiarsi di bravi, per aver mezzo cosi
d'insolentir sopra i deboli. Indi le
vendette, i tradimenti, e quella
riazione sanguinosa dell'oppresso contro I'oppressore; d veramente una societa ingiusta senza
grandensea, passionata senza generosita, dove niuna esaltazione, ma ragionamento e calcolo e frode e intrighi
indecorosi predominano. E pjsrfino nel
vestire servility e contrasto di gusti
si fanno palesi. Sono state tante (dice il Rinuccini ne'suoi Bicordi Storicl)
le vanita del vestire che in questo
secolo sono seguite, che si rende impossibile di poterle non solamente narrar
tutte, ma anco la maggior parte di esse:
tuttavia non lascia egli di notarne
qualcuna, prima degli uoraini, poi delle donne ; dopo di che in generale ha detto, che E quest' eclettismo esteriore era non altro
se non un riflesso dell' interno
eclettismo e contrasto di quelle menti e
di quelle volonta, sicch6 i medesimi
uomini, come, per esempio, R. nostro co' suoi amici, avresti veduti a un' ora portare
impettiti e gravi il vestito ricamato di
seta nera e con frange e con nastri
rasati, ad un' altr' ora coraparire al pubblico in farsetto e in pianelle. N^ poteva essere a
meno che accadesse quella volubility e
imitazione servile delle mode di
Francia, imitatori com' eran gi^ divenuti
quegli animi del pensare francese. Imperocch^ le guerre, la letteratura
e le dispute clericali di quella nazione occupavano gi^ gl' intelletti
italiani; e il nostro paese che, come
nota il Guasti, aveva mandate Leonardo e r Alamanni a portar suUa Senna le arti
e le lettere, tornava a scuola dai
discepoli, tutto trovando ne' Francesi
grande, a cominciare dal re. II quale,
per mantenere il credito, spargeva anche in Firenze quelle pensioni, che il monaco Mabillon
rifiutava, e il Dati e il Viviani
soUecitavano. (Scritti varj di LORENZO Panciatichi, pag. XIII-XIV.) Se entriamo nel sacrario delle arti, delle
lettere e delle scienze, noi vediamo
riflesse le condizioni medesime di contrasto, e di fare spensierato, che le
politiche e le morali condizioni ci
offriroiio. Alcuni artisti si buttavano
all' esagerato, al teatrale, sostituendo al
vero r artificioso, il forzato al semplice ; gesti violenti anco negli affetti pacati, panni svolazzanti
anco in sale chiuse, riputando triviality
la naturalezza; sicch^ i
michelagnoleschi fanno Veneri cLe sembran Ercoli, e si presta culto alia me'diocrit^, si segue
il traviamento. E Lodovico Caracci che
tenta in Bologna coUo studio di veri
capiscuola, opporsi a' degeneri imitatori,
riesce a fondare una scuola che ha per carattere r eclettismo, stimando arte suprema accordare
non solo ma fondere quanto i grandi
artisti avevan di mejglio ; ne egli ne i
suoi cugini sepper mai all' eclettismo aggiungere il pensiero ispiratore,
preferendo, come dice lo stesso Cantil
(Storia Universale, vol. XVII, pag.
816), di avvicinarsi ai fenomeni della natura e
supplire al genio colle rimembranze. Percio i migliori di loro scuola fecero riazione contro questa
infelic^ idea. II cavaliere d'Arpino
proclama I'idealismo, ma condannando i
marinisti materiali della pittura, diventa egli il Marini della pittura stessa
per la ricerca affettata dell'ideale. A
Guide Reni che vagheggia il soave, si
contrappone il Guercino che si d^ a' gagliardi contrasti di luce e d'ombra:
alia facility del Berrettini la
creazione fiera del Rosa. Matteo Roselli
contrasta con Carlo Dolci; il primo sereno, quieto, corretto, il secondo smorfioso alquanto, e
coloritore con non abbastanza armonia.
Cosi nella scultura e neir architettura,
le quali pure ci presentano piil cadute spensierate che creazioni e voli
generosi, contrasti, esagerazioni ; e 1'
alito dell' affetto che spira ne' rozzi
tentativi del trecento, non ritrovi in esse ora piiH ; n^ vecchio viiol trovare un accordo, un
legame, un'armonia. Intendimento quant' altro mai salutare e generoso, ma che
appunto per esser concepito da menti
ineguali a si grande lavoro, rimane frustrato o contraffatto, e piucch^
il nuovo farlo sgorgare naturalmente dall' antico, e ajutarne, quasi a mo' di
levatrice, il parto desiderate,
trascurano inesperti e loro malgrado il primo per il secondo, o il secondo pel
primo. E un eclettismo quello che esce
dalle mani di questi uomini; 6 la figura
mostruosa che Orazio ci dipinge nel
principio della sua Arte Poetica. Or
bene, in quel secolo abbiamo da un lato Platone ed il neoplatonismo, dall'
altro Aristotele e 1' ipse dixit de'
suoi seguaci. Qua Galileo, 1^ il Peripato : qui
il Cartesio, li Huet : qui 1' ardito proposito e la ferma volont^ del tutto esaminare ; qua la
tirannica pretensione del tutto imporre e far accoglier per fede; da una parte la liberty,, spesso sconfinata, del
Bruno e del Campanella, dall' altra
parte 1' inquisizione pronta a tai'pare
le ali, se vogliam temerarie, di quegli ardimentosi sfidatori del cielo. In una parola noi siamo sempre con un piede
nel Medioevo, con 1' altro nella
Riforma. Ella 6 questa che si combatte
una vera guerra da giganti, nella quale
le intelligenze di coloro che non son ingegni potenti, si debbono trovare in
baUa di impulsi diversi, che, come
dissi, se ne disputano ad ogni istante il
dominio. A larghissimi tratti
noi abbiam vedute come in ispecchio le
condizioni politiche, morali e intellettuali
di questo secolo ; imperocch^ senza questo lavoro preHininare noi
reputassimo di non potere arrivare a conoscere determinatamente 1' uomo di cui
teniamo discorso, e i suoi scritti, e la storica importanza di essi. La vita di
ogni individuo ^ un problema, per risolvere il
quale condizione necessaria si 6 di saper dove questa vita si svolse, e in quale civilt^. Poich^ la
civUtlt d' un secolo viene sempre
essenzialmente espressa dal tutto
insieme delle opinioni, preoccupazioni e tendenze, forme e gradi di cultura proprie o particolari a
ciascuno degli ordini sociali che in esso si comprendevano ; 6 insomnia lo
specchio della vita interna dell' individuo in
mezzo agli uomini del suo tempo.
Nascita del Racellai. — Suoi parent!. — Antichitli e nobilU delle due famiglie Ricasoli e Racellai. —
Loro attinenze con le glorie politiche e
letterarie dell* Italia. — I Ricasoli, i Racellai ed i Medici. — Perch^ Orazio
piacchd Ricasoli appellino gli scrittori col
nome materno de* Racellai. — Qaesti e le dottrine platoniche. — L' Accademia Platonica istituita da Gosimo e
Marsilio Ficino. — Intendimenti di
questo. — Saoi scritti. — Platonismo cristiano di lui e de*8aoi accademici. Si nominano. Bernardo Racellai. — Sue qualiti, opere, pregi di esse. — Fa parte
deir A (Epist. 1*). E percio egli loda Porfirio anche nella teorica dei sacrifizii, e non nega che
le anime umane vengan giu da una certa
parte del cielo, e vi risalgano, e agli
angeli assegna un tenuissimo corpo;
dottrine tutte, che non il Platonismo solo, ma questo e le emanazioni alessandrine ci possono
spiegare. Gli 6 per cio che 1' Accademia
istituita dal nostro Marsilio piii che
Platonica dovrebbe appellarsi neoplatonica, per
un certo neoplatonismo che si distingue ad un tempo dal Platonismo schietto, e dal neoplatonismo
alessandrino, trasformati entrambi cosi dal cristianesimo come da una certa mistura di dottrine e di forme
aristoteliche; essendo in questo aspetto neoplatonici e fondatori e
continuatori di essa. I quali furono in
grandissimo numero, contemporanei ed amici del Ficino, come egli,
distinguendoli in tre classi, scrive a
Martino Uranio, e li nomina tutti. Fra i
primi che meritano speciale menzione sono (scrive il medesimo Galeotti) Giovanni Cavalcanti,
che Marsilio chiamava 1' Eroe e amico unico e i fiorentini il di lui Acate, il quale per tutta la vita fu
il confidente de'suoi pensieri piU
riposti, e il confortatore delle sue
amarezze: Angiolo Poliziano, cui dette il nome di Ercole, che egli consultava in tutte le
difficoM filologiche, che fii tra' suoi piil caldi ammiratori, e con sommo
conforto lo vide poi in eta matura piil propenso alia filosofia platonica: Giorgio Antonio
Vespucci, Francesco Diacceto, Pico della Mirandola, e altri molti, tra cui Giovanni Canacci, Bindaccio Ricasoli,
e Bernardo R., i quali ultimi tre andavano ogni giomo a tenergli compagnia quando desinava, e con
essi conversava, ora scherzando piacevolmente, ora trattando gravi argomenti di filosofia. Bernardo,
antenato illustre di Orazio R., era uomo di sublime e grave ingegno, a niuno secondo per civile prudenza,
casto nel parlare, aflFezionato a'
costumi antichi, e nulla non v' era in
lui che non fosse veramente patrizio o senatorio. La sua vita politica ci dimostra
com' egli sostenne sempre le cariche piU
rilevanti, ambascerie importantissime, e sebbene stretto per sangue alia
famiglia Medicea, non fu tra i suoi
amici, e seppe ad essa mostrarsi spesse fiate contrario. Egli fu chiarissimo
letterato, scrittore di storie. uno di coloro che la lingua del Lazio seppero mantenere in onore grande,
come ce ne attesta la sua Orazione: De
auxilio Typhernatibus (idferendo, modello di perfetto latino ; il De Bello Pisano ; il De Bello Italico, in cui si
descrive la storia della venuta di Carlo
VIll in Italia, e il Bellum Mediolanense, e sovrattutti il suo De Urbe Boma
che voile dedicate al suo figlio Palla,
nel qual libro, illustrando Sesto Rufo e Public Vittore, raccolse quanto si trova negli antichi scrittori intorno alle
antichit^ di Roma, e quanto ^ proprio a
dare una idea di quella regina delle
nazioni. (Passerini, Curiosita Storiche.)
Lo stile di R. e piano ed elegante, ed Erasmo da Rotterdam, nel libro ottavo dei suoi
Apoftegmi, ebbe a dire che niuno meglio
di lui »' era mai avvicinato a Sallustio. Fattosi strada coUa sua dottrina,
Bernardo fu dunque chiamato a coinporre
la schiera eletta delFAccademia
ficiniana; e nelproferire il suo nome, in ogni cuore fiorentino
risvegliasi ormai istintivamente la memoria degli Orti famosi. Morto Lorenzo il Magnifico nel
1492, il quale, come abbiamo notato,
avea ampliato e protetto sempre V
Accaderaia Platonica, fino a rinnovare i banchetti solenni co'quali Platone era
solito di celebrare il suo di natalizio
; i componenti di essa poterono ancora per due anni, ospitati e protetti dal
cardinale Giovanni e da Piero de'
Medici, far le loro adunanze in quel
portico novello di Atene, quale era divenuta la
Villa a Careggi, frammettendo sempre, per suggerimenti e per esempio di
Lorenzo, scrittore e poeta Italiano gentile, e dello stesso Marsilio, il quale
dettava un elogio italiano dell'
Alighieri, e traduceva il libro De
Monarchia^ le letterarie discipline in mezzo alle disputazioni filosofiche. Per.la qual cosa ebbe
grande vantaggio*la nostra lingua; che tutti i Platonici ripresero lodevolmente a scrivere nella lingua di Dante
e del Boccaccio, e chi raggiunse V apice dell' eleganza e della dolcezza fu indubbiamente il Poliziano. Se
non che nel 1494 cacciati, per la
debolezza vergognosa di Piero figlio di
Lorenzo, dalla citt^ di Firenze i Medici, e
posti dalla plebe a sacco i loro palagi, il Ficino, se voile continuare i suoi studi diletti, fu
costretto ad abbandonare Firenze e la villa,
e ricovrarsi nella rustica solitudine del suo Montevecchio. E quei
sapienti che gli facevan corona dovetter
lasciare il noto asilo, il luogo
memorando de'loro divini convegni! Ma
la grand' anima del Ficino spird sempre nel
petto di quegli amici e discepoli le sublimi dottrine e le belle virtil ; e Bernardo R. diede ad essi
cortese ospitaUt^ nella sua casa in
Firenze, e poi nel suo giardino, sul principio del secolo decimosesto, donde 1'
Accademia platonica prese nome d' Accademia degli Orti Oricellarj. Quivi convennero principal!
Niccolo Machiavelli, Luigi di Piero e Luigi di Tommaso Alamanni, Piero del Riccio detto il Crinito, Antonio
Brucioli, Giovanni Corsi, Francesco Vettori, Pietro del Nero, Giovanni Canacci,
i due Francesco da Diacceto, I'uno detto
il Nero, Y altro il Faona^zo dal color delle vesti, Giovanni Corsini, Cristoforo Landino, Piero e
Niccold Martelli, Giovanni Cavalcanti e
il Martini, i quali due ultimi il Ficino
chiamd nel 1499 esecutoridel suo testamento; e per tacere di molti altri, i
figli di Bernardo R.. In questo
giardino veramente platonico si addita
ancora il luogo, dove quei dotti uomini si radunavano, e dove sur un cartello di porfido sta
scritto: Ave Hospes. Quelle volte e quei
viali risuonarono di voci sapienti, e il
Diacceto vi leggeva i suoi Libri sul Bello,
il Machiavelli i suoi discorsi sulla prima Deca di Tito Livio e i Libri suW Arte della Guerra, T
Alamanni il Trattato della Coltivazione.
L' amore delle dottrine Platoniche divenne fin d'allora viepiii tradizionale
nella famiglia de' R., che lo serbarono
sempre come una gloria superba, quasi
depositarii di preziosa reliquia, ereditata con tante altre grandezze da
tempi pill fortunati e migliori. E dopo
due anni il ritorno de' Medici in
Firenze, morto Bernardo nel 1514, i suoi
figliuoli Giovanni, Palla, Cosimo, e il nipote Cosimino, non furono men gloriosi ed ardenti seguaci
delle vestigia pateme. E Marsilio Ficino e i tre Pulci e il Poliziano e Pico della Mirandola, ormai
spenti, doverono a questi esser modelli sublimi, immortali, sovrattutto
Bernardo. Leone X e il Machiavelli furono condiscepoli di Giovanni, il Diacceto
maestro a lui di filosofia e di eloquenza. Ebbe anch'esso anima platonica, come conservaronla tale Palla e il
nipote. E li pure all' ombra di quegli
Orti, in quell' atmosfera piena di vita
e di scienza, die mano Giovanni al suo
poema suU' Api, modello tra le scrittnre di tal genere, a tale che vi ha chi scrisse sembrare che le
api stesse, ronzando d'intorno al poeta
per libare il succo dei fieri, se gli
posassero talvolta sulla penna, infondendovi quella dolcezza che tanta spirano
i versi suoi. L'Accademia degli Orti col
sacrofuocodella scienza e delle lettere
nutriva ancora e conserva va quelle non meno
sacro della liberty e della repubbUca ; e i liberi insegnamenti del
Machiavelli e del Diacceto congiunti alle* divine speculazioni platoniche non
poterono rimanersene privi di frutto.
L'oppressore cardinale Giulio dei Medici
pesava suU' anima libera di quei platonici, come suU'ardente gioventii
fiorentina, la quale correva volentieri ad
udirli. Fu allora che la quieta stanza di Sofia videsi trasformata in sede di una congiura a danno
del despota, alia quale presero parte moltissimi, tra cui i due Alamanni, il Buondelmonti, il Diacceto.
Sventuratamente scoperta, mentre quest' ultinlo spirava la grand' anima sua per mano del carnefice, e
molti altri niigravano in esilio
forzato, I'Accademia Platonica fii
sbandata, e non pot^ piii fin d' allora (1522) proseguire le sue
adunanze in quegli orti di sapienza e di
pace. De'R., quantunque amici di liberty, pur legati strettamente alia famiglia de' Medici
in parentela, non apparisce che alcuno pigliasse parte a quella congiura; che anzi noi conosciamo la sorte di
Palla, quando nel 1527, unico superstite
de'figli di Bernardo, mostratosi dalla
parte dei Medici, allorchd furono ricacciati dalla citt^, videsi invaso il
palazzo, guaste e ftirate le
suppellettili, e la vita in pericolo. Quel Palla bensi, che, ristaurata la
potenza medicea, veduto il nuovo Duca
della Repubblica andare a poco a poco
erigendosi in assoluto signore, pentitosi della protezione accordatagli, si oppose unico poi nel 1537
all'elezione del nuovo despota, morto
Alessandro, e dichiard doversi a Firenze restituire la prima liberty. Invano ;
che Cosimo de' Medici fu proclamato il
Secondo Duca. II giardino stette in
propriety de'R. fino al 1573; dopo il
qual tempo passd venduto, per mena certamente de' Medici, per sei mila ducati a
Bianca Cappello, che di luogo consacrato alle sovrane armonie della scienza platonica, mutollo in sede di
delizie e di volutta a' cortigiani
medicei. Ed ora questo gran monumento ricco di tante memorie e propriety di una nobile dama Bussa, la contessa Orloff, la
quale, curando il decoro di questo luogo, ha speso ingenti somme per abbellirlo, e farvi miglioramenti
notevoli. Se pero 1' Accademia degli
Orti non pote daDa congiura in poi
radunarsi, e gli Orti stessi furono con
pensiero ingeneroso venduti, la tradizione platonica non si spense guari, nd si poteva. Troppi
erano gli uomini grandi, il cuore de'
quali batteva per le idee del divino
Ateniese; troppo viva era in essi la memoria del Ficino e di Bernardo ; troppo
cdnsone ormai le platoniche divinazioni
al sentimento italiano, rispondenti troppo alia bellezza del cielo che aUe
pendici di Firenze, alia torre di
Arnolfo, e a Italia tutta divinamente sorride. II Casa, lo Speroni, il Patrizi
platonici tutti legano i tempi di Bernardo e dei figli ai tempi del platonico Orazio. Ma pur nella
famiglia medesima de'R. questa fiamma si conserve viva sempre, e se un uomo tra essi debole o
degenere potd r avidity del danaro
preferire al glorioso possedimento di
quel luogo; sacro ormai come tempio, o cederlo, vinto dair altrui minacce, i
piii di loro dovettero deplorare
sififatta perdita; mentre, contemperate dalF indirizzo dei tempi, predilessero sempre le dottrine
della illustre Accademia. E 1' avo
matemo di Orazio R., cultore del neoplatonismo, conobbe Torquato Tasso
ancor giovane a Napoli, e il Tasso,
platonico in certi punti, ricorda quell'
avo con parole di molta lode e di molta
familiarita nel suo Dialogo che ha per titolo : II Goneaga o del piacere
onesto. (Dialoghi del Tasso, per cura di
Cesare Guasti, Tip. Le Monnier, vol. I, pag. 60). Ed 6 a questo punto che comparisce sulla
scena della vita Orazio nostro, di animo
nobile, d'ingegno elevate, il quale
doveva come riunire in s^ e nell' opere sue la
tradizione neoplatonica custodita gelosamente nel seno deDa famiglia materna. II conservarsi, come
tesoro santo^ r amore delle dottrine
dell' Ateniese e del Ficino da' R., le
case dei quali furono teatro in cui i
piii dotti si raccolsero sempre, non pud da noi non risguardarsi come un' occasione, un motivo
intrinseco dell' indirizzo filosofico
del nostro filosofo, o almeno come un
elemento sostanziale che doveva concorrere
insieme con altri, e potentemente, a informare lo spirito scientifico e
letterario di lui. Un Ricasoli infatti
diede a Orazio la vita; ma i R. ne informaron la mente, in quella guisa medesima che coUe
sostanze di Monsignor Delia Casa
ereditd, come scrive il Casotti, il suo
spirito, la sua virtii. (Elogio di R.).
Non anticipiamo il racconto ; ma possiamo dire fin d' ora che R. nostro, ammiratore e
seguace delle dottrine platoniche, dovS
sognare sovente i deliziosi sapienti convegni nell' avito giardino, e pitl d'
ogni altro dolersi che quel monumento di
virtii e di dottrina non potesse piii, fatto albergo ai disordini di Bianca Cappello, e poi di un cardinale de'
Medici, ispirare nell' animo siio il forte volere, i gravi pensieri, che quei liberi ingegni vi aveano raccolti e
maturati. Nondimeno egli, R., per far
rivivere quell' avite conversazioni, e
perpetuare cosi la tradizione domestica,
raduner^ nelle stanze della sua casa i celebri eruditi del tempo suo, e dietro le orme de' suoi
parenti, ascolterh e detter^ precetti di sapienza e di virtti, non potendoli
ancora di liberty. Ch^ in luogo della voce sdegnosa del Diacceto, degli
Alamanni e del Buondelmonti, che nel
sacro ricinto de'suoi Orti venduti echeggiava
minacciando i fautori del dispotisDio, gli oppressori dell'antica e gloriosa repubblica, qui nelle
stanze del R., uomo di corte insieme con
dotti uomini di corte, si udiranno parole di dottrina, rime d'amore, rim-, proveri pur anco ai costumi guasti della
Corte e del Clero ; ma non saranno piii,
no, gli energici avvisi del Machiavelli
e degli altri per trattener la caduta di
una liberty che vedevano precipitare ; saranno i timidi lamenti di un bene irremissibilmente perduto,
deboK querele di uomini curvati sotto il
gravame della servittl, proteste inconsapevoli talora, sommesse sempre, perch^ i Medici ormai signori assoluti, se splendidi
e munifici protettori delle scienze,'non
sono tali da consentire si grande temerity, e il tribunale 6 la ad impaurire
gli intelletti, e a tarpare le libere ali del pensiero e della coscienza. Cosi i motivi generali esteriori ed intrinseci
delI'avviamento educative e scientifico di R. apparvero a me, ed io credo pure
al leggitore, distinti. Vediamone ora lo
svolgimento successive nel cammino della
sua vita. Prima edacazione e istrazione
del Bacellai. Fa segnace del Galilei. ~ Lo dichiara egli stesso ne*
suoi scritti. — Abitudini sue e motteggi
de* suoi amici. — Lorenzo Panciatichi. — Luigi Ricasoli Rncellai. — La Corte Toscana e il Bucellai. —
Suo cortigianesimo e suo disprezzo della
Corte. ~ Contrast© de* tempi che anche su
questo pimto si ripercuote nell* uomo. — Sua missione diplomatica a Vienna «^'Varsavia. II 'signer Luigi Passerini che piii
largamente di ogni altro s' intrattenne
suUa vita di R. (Genealogia della
Famiglia Bicasoli, Tipografia Cellini, pag. 84 e segg.) discorrendo della prima educazione di
lui ci dice che Ma i nomi di quegli uomini chiari non li sappiamo, nd I'esame accurate
che su tutte le opere di R. abbiamo
fatto, n^ altre ricerche diligenti ce li han rivelati. Gli ^ certo perd che Galileo fu udito dal R., e questo
possiamo asserire con sicurt^ piena.
Imperocche il signer Passerini si appoggi, come noi, nell' afifermar cio
sopra quelle che il nostro scrittere nel
suo Discorso centre il Freddo Positive
dice in principio, e che ^ prezzo delr opera rammentare. Questo e qualche altro passo delle opere sue, provano essere
stato il R. discepolo del Galilei, non
gia nel significato ristretto che si
suol dare a questa parola, ma in quanto
egli giovane piil volte ascoltd da' labbri medesimi del Galileo la esposizione delle dottrine di lui;
e a questi passi si appoggiano il Nelli,
il professor Palermo, il conte Mamiani
ed altri che ne favellarono. e pone in nota che cio ricavasi da alcuni
frammenti di oi)ere del medesimo
esistenti nella sua libreria. E il
professor Palermo e il conte Mamiani chiamano con sicurezza piu che discepolo, amico del
Galilei V Imperfetto. E il canonico Moreni batte la medesima strada, aUora che discorre di lui, e si maraviglia, e
a ragione, che il Tiicaboschi, laddove
nel tomo ottavo della sua Storia della
Letteratura italiana si trattiene a parlare di R., nol collochi tra' piii
solenni filosofi di quel fioritissimo
secolo, in cui \isse 1' immortal Galileo di
lui maestro. (Saggio di Dialoghi filosofici del Bucellai dato dal Moreni. Tipografia Magheri, 1823,
pag. xxi. Firenze.) E le dottrine del gran filosofo poteron
davvero anch'esse ed efficacemente sull' animo del nostro scrittore, come su di uomo tenero amico della verity.
Galileo infatti aveva trovato nella
selva opaca il vello d'oro: egli aveva
ritornato a vita sotto un certo rispetto il metodo di SoCrate e lo aveva
riconsegnato alle intelligenze stanche
ormai di servire ciecamente all' autorita di
Aristotele. Ecco il perch^ R. vedi abbracciare del Galileo le teorie con animo aperto. Ed ei
pud dirsi che dififerisce dagli altri
segi\aci del Galileo e che li supera in
questo ; gli altri svolgon le dottrine
metodiche del Galileo nell' osservazione dei fatti esteriori e delle
loro leggi ; mentre che R. si propone di svolgere quel metodo stesso in ogni
disciplina filosofica, cio6 anche nella
osservazione dell' uomo interiore; quantunque nelle conseguenze della sua
lilosofia seguiti piii il probabilismo accademico, come vedremo in
progresso. n R. dov6 avere altri
maestri e di rettorica e di filosofia, e
compiere nella sua gioventii studj ordinati; e di cio fan testimonio le opere
sue eruditissime, e nello stile e nella
lingua adorne di tante bellezze.
Oltrediche era questo il costume de' ricchi e de' nobili di que' secoli
; che allora, come ne ricorda il buon
Moreni (Dial, fil., pag. Vill), quanto piil erano eglino di nobilt^ forniti e al di sopra degli altri,
tanto piii e'si credeano in debito ad
esempio ancora, ed eccitamento altrui, di viemaggiormente nobilitarla coUe
virtii, e colle lettere, ben persuasi
che senza il di loro corredo, soccorso e accoppiamento, niente o assai
poco ella nello spirito signoreggiar
suole o suUa opinione degli uomini. D R.
educate fin da giovanetto da' suoi
genitori e maestri nel sentiero della scienza
e della virtii, fu quanto e piii di altri compreso di cid, e la verity di questa sentenza tradusse
egregiamente in atto nella sua vita fino
all' estremo; si che il Magalotti, quando avvenne nel 1672 il 16 febbraio la
morte di lui, mestamente scriveva a
Luigi Del Riccio. (Lettere Familiari, tomo II, pag. 28) A dieci anni fu decorato delle divise
equestri delrOrdine di Santo Stefano; a sedicirimasto privo del padre, ebbe il
Priorato di Firenze, istituito dal suo avo
Giuliano nel 1589; e nel 1656 i cavaKeri di quell' Ordine lo elessero
gran Contestabile nella solenne adunanza tenuta in Pisa. A 27 anni sposo Maria
Felice de' nobili Altoviti, egregia
donna, e dalla quale ebbe nove figU, tra
cui Luigi il maggiore, che seguendo le
orme del padre fu anch' esso, • giusta ne dice Salvino Salvini ne' Fasti Consolari dell' Accademia
Fiorentina, e secondo che ne porgono
argomento sicuro gli scritti eruditi di
lui, lo splendore della patria, e 1' ornamento
non meno delle accademie che delle corti dei principi. Orazio RuceUai pari av^ndo alle doti della
mente quelle del cuore, fu caro a quanti
lo conobbero, venerate anco da' grandi, e mite senza che cio vietasse a lui di essere nelle sue poesie e cicalate acuto
e pungente, e dei vizi rampognatore mordace. Fu come i suoi genitori uomo pio e religioso, anco troppo
talora, fino a sapere di eccessiva
misticit^ nei suoi scritti. Ebbe sua dimora
in Firenze; pero talfiata recossi e abitd in Roma, dove aveva possedimenti, e
spesso, dopo le politiche incombenze a
Vienna e in Polonia, ritiravasi specialmente gli ultimi aniii nella quieta
villa al PoggiaJe, ne' dintorni di San
Casciano. Le sue abitudini come d' uomo che vuole stare in una custodia di cristallo, meticolose sempre e, come a dire,
scetticamente impacciate, che ti sembrano un debole si, ma pur verace riflesso del suo carattere, de'
suoi scritti e del suo tempo, e pero mi
ci fermo. Tanto era della sua salute
eccessivamente riguardoso, che certi suoi incomodi e certe curiose precauzioni
per questi, diedero ansa ai motteggi e
alle canzonature poetiche de'suoi amici
accademici, non disdette neppure da Luigi suo
figlio, e accademico anch'egli. E Cesare Guasti scrive di lui motteggiato dal Panciatichi: E infatti nel bel suo ditirambo di im BevUore
brillo, a Panciatichi deride cosi il
Bucellai: « Pupilletto, Vezzosetto,
Caro Orazio RuceUai, Gioiellino
degli amici, E splendor deUe
morici, Dimmi 3e io son cotto, filosofo mio dotto, Tu che trovasti, Tu che redasti Fralle cose paterne indite e rare Le pillole che fanno indovinare. » Dalle quali ultime espressioni ricavasi
conferma ancor di quello che nel
precedente capitolo andava accennando,
sul trasmettersi quasi per tradizione ciascun de' R. di padre in figlio, iino
ad Orazio, la dottrina platonica. E delle medesime sofisticherie ragiona quasi
sul serio il figlio Luigi'nella Cicalata
della Ipocondria: i Ditemi un poco, egli
esclama, quella difficoM di respirare che tiene sempre sospetto d' asma il
nostro filosofo (chd Orazio era cosi antonomasticamente appellato) pud ella essere altro che 1' ipocondria
pettorale ; la quale mentre impedisce V
esalazione di quelle si vive favilluzze,
gli mantiene sempre piena di filosofia la
lingua e il petto? Cosi la vivezza dell'Imperfetto, mio genitore, con cui le piii difficili cose del
Timeo spiega si chiaramente, A
daU'emorroidale prodotta; ond'egli, che
bene il ravvisa, per aggiungere coi nuovi sopravvegnenti spiriti vigore ed
impulsi all' intelletto, ad ora ad ora
1' emorroidi rimpinza, perch^ ella per quella via non gli scappi fuori; cbe perd a ragione dal
suo gran panegirista (il Panciatichi) fu
chiamato (( Gioiellino degli amici E splendor delle morici. » Ma odansi, di grazia, de'motteggi ancor pitl
acuti che alle sue abitudini legate si
fecero: e con cid intanto il lettore^ si
far^ meglio un' idea di quel che allora erano
I'Accademie in generale, e dove gli eruditi e i letterati snervavano 1' ingegno. In un altro ditirambo
D' una che per febbre deliri motteggia
da capo il Panciatichi il nostro Orazio
cosi: « Malan che il ciel vi dia^ Sto male, ho le petecchie, ho quel sudore Che
di luglio uccideva il mio Priore. Solamente sdraiato sugli marraori Queir omazzo attendea V alba deir jomo, Quand' ecco in un istante > Di strida e d' ululati, Di singulti e latrati Himbomba Parione,* E corron le persone A casa V Imperfetto Che faceva all' amor col cataletto. Corse Razzullo,* e senza aver pigrizia II Priapo * volo della sporcizia, Per dichiarazione di questi versi giova
recare alcune parole di Luigi R. nella
Cicalata suir Ipocondria : « N^ meno provvidente si dee reputare mio padre,
diligentissimo Ipocondriaco, al quale
venne, poche settimane sono, in villa, una specie di granchio nella penna, che
debilitando quelle sue dita, ferme gliene
tenne e inabili a scrivere per due momenti ; onde esso temendo d' improvviso accidente d' apoplessia,
acciocch^ col mote non gii piovesse
nuovamente flussione, mando tosto a cercare del medico tre miglia lontano ; e intanto tenne immobile
nella medesima positura la mano e le dita per aria, finche il medico non vi
arrive che gli die licenza di muoverle.
» E appresso : «E per certo s'udirebbero piu rade, o forse non mai, le
scalmane, se tosto che 1' iiomo dal natural temperamento si sente fuori, alia
prima gocciola di sudore, anche d'
agosto, si ritirasse nella piii tepida stanza ; e fino quando gli sudano le tempie per
rnangiare il marinate, o altra cosa acetosa, proibisse il far vento per cacciar
le mosche da tavola. i> * Strada in Firenze^ ove era il palazzo
Ricasoli^ convertito oggi in
Locanda. * II Biscio7ti nella stampa
annoto : « Si crede foss% un plebeo. » Ma neW esempl&re oggi Riccardiano,
suppli a penna : « Vogliono alcuni che in quel tempi si denominasse Razzullo il
poi famosissimo dott. Francesco Redi.
» * II Priapo della sporcizia, in
lingua Jonadattica, il Priore della
Sporta, convento e spedale dei frati di San Giovanni di Dio. Vedilo ricordato anche nella Controccicalata. II
Panzacchi, che forse ^ questo Priore,
praticava molto in casa del march. Corsini ; dove, oltre gli altri divertimenti che le brigate
ne traevano da lui, uno Che appunto
colla barba veneranda, Facea le
fregagioni A certi suoi malati
vagabond! Che pativano un po'di mal di
pondi. Che c' 6 e che non c' fe ? Chi ha mal ? che cosa 6 stato ? Grida il Priore : Oiin6 ! lo son, che son spacciato. \r 6 cascata la gocclola. Che gocciola, Signore? Gocciola di sudore,' Gocciola amara e tetra Che alia mia tomba incavera la pietra.* Deh! cantatemi tutti I'Epicedio! Sudai di luglio e non c' e piii rimedio. E
via di questo gusto canzonature sopra canzonature, che io debbo tralasciare per
non digredir troppo dal pill importante.
II riferito per6 credo basti a dipingere, tolta 1' esagerazione, il carattere
di questo era il farlo predicare :
nella qual funzione faceva e diceva cose
stravagantissime. Una volta gli fu fatta questa burla. Avendo i signori
Corsini adunata una buona conversazione al loro giardino vicino alia porta al Prato, e volendo far
predicare questo frate su quelle parole
del Vangelo, Modicum et videhitis me etc. ; ed avendo fatto accomodare una grande asse sopra un
vivaio o tinozza d'acqua; fattolo quivi
sopra salire; quando si fu bene incalorito, ed ebbe molte volte esclamando ripetuto : Modicum, et
videhitis m.e; nei ripetere Taltra parte
del testoi Modicum et non videhitis me ; gli
fu tratta di subito I'asse di sotto, e il caro frate, cadendo nell'
acqua, tutto quanto vi si tiiffo.
Accorsero i servitori a trarnelo, e lo condussero in una stanza a rasciugare :
ed alcun gentiluomo fu nel1' istesso tempo a confortarlo e a dargli ad
intendere che era stata una disgrazia
dalla veemenza del suo dire procurata. (C. Guasti. In nota agli Scritti varj- del
Panciatichi.) * Vedi di sopra la nota
alle parole quel sudore ec. * Scherza
su quel verso : Gutta caval lapidem,
non vi, sed scepe cadendo. uomo, le esitanze e i timori del quale per la
salute rassomigliano alquanto agli
scrupoli ed ai timori incessanti di trasmodare che nelle opere scritte di
lui trapelano ogni momento; e a farci
meglio conoscere le consuetudini
spensierate di quella et^ della quale giova
veraraente ripetere : che non sappiamo se rimpiangere que' tempi o compiangerli; perch^ rimane a
sapere, se quello fosse un ridere
consolato, od un amaro sorridere. (GUASTI, Ibid.) Come i suoi antenati, cosl Orazio entro
presto nella Corte, e a dieci anni fu
ascritto tra' paggi ; e fin da quel
giorno incomincio la sua vita di cortigiano sotto il governo di Cosimo II. II quale, quantunque
di ottima indole e di buone intenzioni,
non poteva per la mal ferma salute aver
grandi cure del govemo. II Rucellai perd dovette incominciar a nausearsi fin
d'allora della sfarzosa vacuity della corte, cui Cosimo U, per distrarsi dal
fastidio del governo, riempi di nani e
di buflbni e di lusso spagnolesco, seguendo cosi le misere inclinazioni di un
tempo ancora piii misero e ostile alia
liberty dello speculare e del vivere. E
piii ancora dov^ 1' animo suo disgustarsi
del fare artificioso dei Principi e delle Corti, quando, morto Cosimo II, e Ferdinando II destinato a
succedergli s'instruiva, giovinetto ancora, nelle cose di Stato, le due principesse Gristina di Lorena e
Maddalena d' Austria tennero per ben
sette anni le redini del govemo toscano.
Amministrando con femminil leggerezza, incorsero in gravissimi errori. Tra
questi non pot^ loro perdonarsi V aver
allontanato dal consiglio e dal governo
il Segretario di Stato Curzio Picchena,
uomo di probity sperimentata e di costumanze severe, al quale le aveva Cosimo raccomandate ;
sostituendo in sua vece Valerio Cioli,
uomo raggiratore, avido, menzognero, che
presto pose le finanze e tutta V amministrazione in disordine. E fu pure per i mali consigli del Cioli se
le due donne, con grave danno della
Toscana s'indussero a rinunziare in
favor del Papa il Ducato di Urbino, il
quale, appartenendo alia fanciullina Vittoria Della Rovere unica erede
del morto Duca Federigo, e promessa sposa a Ferdinando II, doveva come
patrimonio della moglie (deplorevoie uso
del tempo) tornare alia casa Medicea.
Deboli, incerte, pusillanimi queste due
principesse avevano troppi e spesso ingiusti riguardi verso la nobilt^ ; il perche codesto ordine
di cittadini, soverchiamente
privilegiato, lo fecero montare in tanta
baldanza, che impunemente opprimendo la plebe, la eccitava a tali vendette e delitti, cui le
leggi piii non potevano impedire. Ed 6
naturale ! tirannia nemica di liberty ^
sempre generatrice esecrata di licenza e
delitti. Ma cid nondimeno, in
tanto contrasto di grandezza e di
miseria, di virtii e di vizio, di dispotismo e di liberty,, R. pur disgustato, lo vediamo
anziche allontanarsene, continuar
I'abitudini di famiglia, proseguir nella Corte, e sotto il reggimento di
Ferdinando, salito al trono nel 1627,
diventa r suo gentiluomo di camera.
Egli, Orazio, si fa, come tutti gli altri letterati del tempo, sempre piii
ligio al Granduca; ne dico cid a caso ;
cM alcune lettere ''di lui ritrovate da
me fra le carte di Ferdinando II e del cardinale Leopoldo ce ne oiBFrono
prova manifesta. Biasimera poi con
nobili versi i vizi dei principi e dei cortigiani; dispregier^ con isdegni generosi quelle
catene dorate ma pesanti sempre, e il
contrasto dei tempi vedremo qui pure riflettersi nei pensieri e nolle
azioni del nostro lilosofo. Ma intanto
ei si piega, ei fa getto della indipendenza del suo spiiito, cotanto necessaria soprattutto a un iSlosofo. E poi se biasima
la Corte e i cortigiani, non tocca ne
biasima punto il malo govemo, si i vizi particolari del govemante; d questo un biasimo come di famiglia grande ma quasi
privata; ne la patria sua ricorda mai, e
non ha mai un pensiero per essa ; sembra quasi Y abbia dimenticata, o non sappia che ella ^ in servitu; solamente la
Corte, TAccademia e la villa formano il
mondo del nostro filosofo. Mi si permetta in grazia dell' opportunita,
ch'io tolga da un de' capitoli prossimi,
qualcuna delle sue parole servili
inverso il Granduca; indi alcune altre
che contro la corte ed i principi lancia sdegnato ne'suoi sonetti, e giudichi il lettore s'io
sia, nelle mie aflfermazioni, fuori del
vero. E nell' occasione della
nascita d' un suo figlio, pur di Roma un
anno dopo, il 10 dicembre 1639, (V. Garteggio idem, lett. 304, filza idem), V
annunzia al suo padrone serenissimo cosi
: E in altre lettere scritte al granduca medesimo per domandargli favori, poich^ sembra in certi
momenti ii suo patrimonio abbia sofferto
gravi avarie, e per rendergli grazie dei
soccorsi somministratigli, arriva a dire
che la sua vita medesima ^ a Ferdinando obbligata per legge di natura. Ed io
non so dove pescarmi servility maggiori di queste, n6 qual' altr' uomo mai che piii fedelmente di lui mi narri colla
sua propria bocca inconsapevolmente le tristi condizioni di quegli spiriti. Egli ^ questo il pid alto
grade della cortigianeria, ^ la
negazione di quel che gli antichi con
aurea parola chiamavano umano decora ! quantunque la generale consuetudine di
parole tanto serviH togliesse loro gran
parte dell' abiezione che a noi sembrano avere. Ma ecco I'antitesi, il contrast© de' tempi
nell'uomo, e Tuomo che li spiega. II R.,
dopo quelle ligie proteste di servitil
par ti diventi a un tratto un altro
uomo, allorche quasi libero cittadino scrive cosi contro i Principi e contro le Corti: « La beUa verita, ch' ove s' apprende Puo far d' alte virtii feraci i regni. Ma con lume piu vivo entro s* accende Gli uinili alberghi e ne' piu pari ingegni, Non sopra eccelse raura unqua
risplende. Dove il mentire e 1' adular
s' ingegni, Anzi la vista a' regnatori
offende, Quasi infausta nemica a' lor
disegni. L' inclita Maesta temano i
regi, Non cangi all' opre lor specchio
si fine, E sembrin macchie impure ilor
bei fregi. Quelle ch' usan chiamar
virtu divine, Arti fian di malizia, e
gli alti pregi Di lor gloria maggior
frodi e rapine. » Comunque Ferdinando
II, e a buon diritto, fece di R. giovine
ancora assai conto, e nell' eta di 30
anni, sapendolo esperto nella ragione civile, gli die a sostenere le due ambascerie, a cui ho
accennato di sopra, e la prima nel 1635
a marzo per Vienna, appresso rimperatore Ferdinando per rallegrarsi delr
elezione dell' arciduca Ferdinando suo figlio a re dei Romani, come ne attestano i documenti che si
trovano nel nostro Archivio Centrale di
Stato (FU^a Medicea, n** 4389) ; 1'
altra a Varsavia, nel medesimo tempo, per
condolersi col re di Polonia Vladislao IV, per la morte del Cardinale suo fratello, e per trattare il
matrimonio della principessa Anna dei Medici col principe Reale {FU^a Medicea, n° 4795). In queste due
legazioni ei diede prova di molto sapere e di altrettanta cortesia, e le letter e stesse dei Principi e
degli ambasciatori toscani presso quelle due Corti addimosfcrano quanto R. fosse stimato e gradito, e pel
suo sapere e gentilezza di maniere
ammirato da tutti. Sicchd il Tartaglini
ambasciatore del Granduca a Vienna
scrivendo di lui, il 9 marzo 1635, al ball Cioli segretario di Stato ebbe a dire: (FiUa
Medicea,n'*4^S8d) E al cavalier
Poltri il medesimo Tartaglini
aggiungeva: Del rimanente, avremo meglio piii tardi, discorrendo dell' opere
del RuceUai, campo di vedere quanto ei
fosse nella ragion civile versato ed accorto, e quanto giustificata fosse 1' ammirazione, che coloro
i quali tenevano allora gli alti ufficj del governo portavano a lui, che Lorenzo Magalotti per la sua
prudenza qualificava come V uomo piu esperto a f of mare il more di un principe. Ufftcj di R. nella corte di
Ferdinando II. — Qnalita di qaesto
principe. — £ di Leopoldo. — Benemerenze di essi nella protezione e cultara degli stadj. — Si
restituisce a vita V Accadeniia
Platonica. — Si fonda TAccademia del Gimento. — II R. poeta, letterato o filosofo. — Lodi a lui
de^contemporanei e dei posteriori. — II
Rovai. — II Redi. — II Crescimbeni. — II Moreni. — II Pallavicini. — .Uffiicj di
R. nell* Accademia della Crusca. — Esercizio di versione da* classici antichi
introdotto dal R. nelr Accademia. — Se e quanto R. conobbe il greco. — II Jlucellai e i suoi Dialoghi filosofici. — L*
elogio a lui del SaMni. — L* Accademia
in sua casa. — Materia e disegno de* suoi DialoghL Relazioiil di lui co* dotti del tempo, e co*
principi. — I quali r ajutano sempre.
Traversie nella sua vita, — economiche, — moral!. — Rassegnazione sua. — II R.
e Cosimo III. — Questi non e, come
generalmente si crede, nemico degli studj filosofici e e letterarj. — Morte di R.. — Si chiude con
lui V etk del Rinascimento. — Onori al
merito di quest' uomo prodigati anche dai
posteri. — Come anch' io intendaonorarlo con questo libro. Tornava, pertanto, R. dalla missione
politica sulla fine del 1635, rientrando nel suo ufficio di gentiluomo di camera di Ferdinando 11, e
dedicandosi pure senza interruzione a'
suoi studj, a' quali trovava, giova
ricordarlo, impulso grande ed esempio ne'molti
eruditi fiorentini del tempo e negli stessi principi, il Granduca e Leopoldo. Ferdinando II ai guasti
deUe due reggenti Cristina di Lorena,
madre di Cosimo 11, e Maddalena d'
Austria sua moglie, le quali avevano empita la corte di lusso e di intrighi,
tolto alia giustizia il suo corso con le
immunity e gli asiK delle chiese, tento
ogni via di rimedio, da eccellent' uomo ch'egli
era. E se nella politica non gli arrisero sempre idee felici, e seguitd ora piti ed ora meno le
orme spesso non imitabili degli avi
suoi, e alia prndenza non seppe
costantemente unire il coraggio, tuttavia delle scienze, delle lettere e delle arti fu quanto e piii
de'suoi predecessori amico e cultore, e ai suoi aiBFanni cercd distrazione, proteggendole regalmente e
promovendo soprattutto le scienze esatte
e le naturali. L' Emitiani Giudici (e credo in parte a ragione, ma in parte pure esageratamente) attribuisce questa
protezione ad un fine politico e la
spiega cosi : E Leopoldo fratello a lui
minore di et^ non fu di certo minore a lui per scienza e per I'amore di essa. E il conversare
frequente col Galileo Io rese esperto a
schivare up. servile ossequio al
Peripato, e a farsi della osservazione, dell' esperienza e della geometria criterio alia liberty dell'
intelletto; e la filosofia naturale del Galileo e della sua scuola trovo HI esso e nel Granduca due propugnatori
ardent! ed ^fficaci. Nutriti ne' buoni studj, contribuirono a mantenere in vita e in vigore le Accademie
toscane, dove ridioma nostro potd almeno
trovar salute dal contagio generale del
tempo, e le scienze naturali uno
incremento grandissimo. Nessun' altra et^ parmi possa vantare come questa di Ferdinando e di
Leopoldo, tanto viva operosit^ di
scienza e di lavoro letterario, destata
per impulso di questi due principi. E
Leopoldo, il quale sebbene avesse anco nelle faccende governative la plena
fiducia del fratello, che del consiglio
e dell' opera di lui sempre si valse, pure non
avendo in mano la somma delle cose, che tutta era nel Granduca riposta, trovava piti largo
campo per promuovere e favorire le
lettere, le arti e le scienze. Difatti
benemerito del nostro splendido robusto e
gentile idioma con animo appassionato e caldo facilitava e sollecitava i
lavori del Vocabolario, accudiva alle
pubblicazioni di vari testi di lingua. Arricchiva di nuove collezioni la GaUeria di Firenze,
che da lui riconosce molto del suo
presente splendore. Rifondava, e questa
fu delle prime sue cure, sulF esempio del vecchio Cosimo, Y Accademia
Platonica, perch^ Dante e Petrarca
fossero illustrati a seconda di quella filosofia; e sebbene il ritorno all' idee platoniche non
fosse veramente un favorire la tendenza degli intelletti in quelr etib, n^ un
avvantaggiare la filosofia Galileiana (Vedi
Notizie istoriche premesse ai Saggi di Nat. Esp.^ Firenze, 1841, pag.
60), era pure un forte attacco, comunque indiretto, alle dottrine scolastiche
fatte da lungo tempo cibo quotidiano ed
unico della numerosa mediocrity; e per questi fatti e per questo colpo indiretto sarebbesi meritato Leopoldo da
qualunque ingenuo e libero storico il nome di Benemerito, quando anche non vi avesse aggiunto tutto cid che
voile operare a promuovere direttamente la nuova Filosofia delrUniverso.
Nell'avvantaggiare le lettere, la filosofia e le scienze ebbe sempre in costume Leopoldo di
associarsi agli uomini che pitl si erano
in quelle varie discipline segnalati;
cosi nel favorire lo studio della lingua nativa
conveniva cogli Accademici deUa Crusca a pubbHcare opere poetiche o testi di lingua, radunava
presso di s^ i Dati, i R., i Redi, i
Magalotti a richiamare la filosofia di
Platone; istituiva a bella posta una congrega in sua casa a raccogliere,
pubblicare e ristampare le opere del Galileo, del Castelli, del Torricelli e dei matematici antichi nuovamente illustrati
e dichiarati. E anco lo stupendo
concetto di fondare un' Accademia destinata espressamente alia Filosofia
sperimentale, si deve in particjolar modo alia gran mente del principe Leopoldo, il quale voile nel 1657
stabilire delle regolari Adunanze, nelle
quali sotto i suoi occhi la nuova
filosofia sperimentale, gi^ nelle domestiche
mura promossa, avesse culto quotidiano e sistema, con Vincenzo Viviani, BorelU, Rinaldini, Marsili
Magalotti, OKva, Bellini, Redi, molti
dei quali fregiarono indi le famose
University di Pisa, di Firenze, di Siena, inauguratori sovrani di quella
Riforma proclamata dal Galileo e dal Torricelli. Orazio R. fioriva in mezzo a quegli
uomini grandi, ed emulo della loro
operosita e di operosita esempio ad essi
costante, nei rumori della Oorte schivando Tozio coltivo sempre come nelle mura
domestiche la morale e gli studj, ed ivi al pari del Redi trovo mezzi e pascolo airansietli irrequieta
del sue spirito filosofico. Venuto
presto in fama di molto sapere, il Granduca e Leopoldo non potevano non
prenderlo in considerazione alta, e oltre le missioni politiche, che sopra
mentovammo, gli affidarono la direzione degli studj del principe Francesco, e
nel 1657 la sopraintendenza della
Biblioteca Lanrenziana, che insieme alia
Galleria veniva con regia profiisione arricchita. Le piii illustri Accademie
fecero a gar^ per ascriverlo tra loro, e
prima la Fiorentina della quale fa
consolo nel 1653. E anche dell' Accademia della
Cnisca fa singolare omamento e sostegno, e ne ebbe piti volte r Arciconsolato. Voile, imitando
in ci6 la modestia di Socrate e la moderazione di Pittagora, giusta ne scrive
Anton Maria Salvini, essere chiamato in
essa V Imperfetto, e fece per impresa un disegno in matita rossa corretto con midolla di pane,
col motto : per ammenda, Mostrossi il nostro Autore poeta, letterato,
e filosofo, e in queste tre qualita riusci a' suoi contemporanei famoso, come
le lodi di essi a lui prodigate fan
fede. Infatti lo stesso granduca Ferdinando e Leopoldo a lui versi richiedevan sovente come da
alcune lettere sue in risposta a loro
ricavasi. Egli, R., scrisse rime di
amore, filosofiche sociali, religiose,
ed anche disoneste ; scrisse cicalate e
panegirici, e dialoghi filosofici. Certamente questa mischianza di
contradittorj non potra a meno di colpire
la riflessione del lettore; molto piii se egli ricordi le qualita morali e anzi gli scrupoli che, come
nel fisico, cosi nel morale assalivano
di continuo il nostro filosofo. Perch^
mai egli a lato di poesie che ti discorrono
soavemente dell' anima, dell' amore, della Provvidenza, che ti lodano la verginit^ di santa Maria
Maddalena, • osa porre lubrici scherzi,
immorali canzoni? Questo e un primo
problema che fra poco risolveremo. Intanto vogliamo finir di vedere in qual conto
cospicuo e come letterato e poeta e
filosofo lo tenessero i suoi contemporanei, e anche i ppsteriori vicini a noi;
indi ridurremo coUa critica al suo giusto valore le lodi. Francesco Rovai amico, a quel che sembra, di
Orazio, e cantore delle Muse egli pure, indirizzandogli una sua canzone in morte d' un barone Bettino
Ricasoli, cosi gli parla: « Dillo tu
che sublime Sovra Eliconia ascendi, Orazio amato, e vai per i' aure a volo, Di' se de' colpi suoi fleri, tremendi Alcun giammai segno di piaga im prime Suir Apollineo stuolo ; Dical tua cetra i cui sonori carmi Al tempo ed air oblio spezzate ban V armi. )» E il Redi, pur amico di R., e scrittore
forbitissimo di lingua nostra, pote dire di lui, che E per tacer
d' altri, il Crescimbeni neir Arcadia dice che : E nel secondo volume della Volgar Poesia,
aggiunge che : Ed anco come letterato accademico ne'suoi Discorsi, nelle sue invettive, e nelle sue cicalate,
apparve a quegK eruditi modello di scrivere, e lo encomiarono profusamente, ora
ammirando Y eleganza del dettato, or il
brio e le facezie di che le andava adornando. E il canonico Panciatichi, con lettera in data di
Parigi de' 24 ottobre 1670, volendo
esaltare la gran perizia che aveva nella
nostra lingua la duchessa di Vitry, cosi
dice : Da che si vede com' era
egli tenuto per letterato e scrittore in gran conto, e a molti, se non a tutti i suoi contemporanei, superiore. E il cardinale Pallavicino che quantunque,
come dice il Giudici, se la piccasse un
po' troppo per modello di stile, pure ne ^ di certo maestro, in questo modo scrivendo al R. de' suoi componimenti
giudicava: (1666) E veramente R. si
mostra qui, come nella versione di molte
altre cose latine fatta man mano ne'
suoi Dialoghi FUosofid, del latino idioma egregio conoscitore, non senza difetti che faremo poi
notare aver esse comuni col tempo; il
tempo poi questa conoscenza delle antiche lingue prediligeva, ch^ 1' et^
del Rinascimento non era ancora spirata,
e dovea anzi chiudersi col nostro
Filosofo. II quale, come quel che piii
d' ogni altro de'suoi contemporanei ea; ^ro/i2550 si occupo nella filosofia di
Platone doveva (e naturale arguirlo) il
greco conoscere profondamente, e piil che
non il latino. Se non che noi restiamo su tal punto tra il si e '1 no, e ci nasce anche il dubbio
ch'ei ne avesse una notizia non troppo
grande, e che per la versione e
interpretazione del testo si servisse di traduzioni gia fatte dagli anteriori
neoplatonici, dal Ficino pr^cipuamente ; molto piii che neoplatonicamente nella massima parte le teorie e le dottrine
del divino Filosofo spiega ed illustra,
cogl' intendimenti di Marsiho, di Plotino e di Giamblico, n^ si cnra, se non di radissimo, di ricondurre al suo verace e
legittimo valore i pensieri deirAteniese; ne una parola greca ne'quattordici
volumi de'suoi Dialoghi ti ^ dato trovare scritta, molto meno una frase ; e se v' ^ una parola
greca § logos scritta italianamente. E
vero che percorrendo le sue lettere, ne
troviamo una principalmente diretta di villa
al Redi, il 13 novembre 1662, e dove dice tra le altre cose :
E piil volte di aver letto sul testo or
quella or questa cosa, di sua propria voce conferma ue' Dialoghi, e nel prime Dialogo sul Timeo
assevera aver per questo riscontrato
tutti quanti i testi mighori ed
esaminato (perd) qualunque de' piii reputati interpreti e piii autorevoli. Ma
come ognun vede, questi passi vengono piii in conferma de' nostri sospetti
che contro; e ad avvalorarli vo'recare
qualche espressione che ho trovato nella
difesa del signor Tommaso Segfii, com'
accademico detto 1' Ardito, contro le accuse dategli dal Kucellai, in uno di
quei soliti finti battibecchi di quegli Accademici. In questa difesa mentre si ricava la
conferma che R. studid sempre e
profondamente le Matematiche, lo che si .vede chiarissimo ne' suoi
Dialoghi sulle armoniche proporzioni, e
ch' ei dettd rime lubriche, v'^ pur conferma del nostro pensiero sulla poca scienza sua del greco. Tra le altre cose
egli, il Segni, dice al R.: Entrasti dopo cio nella mia traduzione
della cornmedia di Plauto, dicendo che io I'ho fatta a non so che mio fine. A questo non ti rispondo perch^
io non t' intendo ; se tu ti dichiari
megHo, ci sar^ la risposta anche per
questo, non dubitare. Questa commedia si
recita domani, vieni alia stanza, che ci sar^ qualche cosa per te; gli ^ giomo di festa; tu non
sarai impedito da' tuoi gravissimi studj delle Mattematiche ; nou biasimo la
scienza, non ti alterare, che io so benissimo
che si 6 lo pifl hello e lo piii utile studio che possa fare un giovane nohile come tu se'; ma
infatti vuoi sapere a cid che ti serve,
giacch^ io non veggo che tu sappi
coUegare insieme quattro periodi, che provino e
concludano mai nulla ; e non hasta sap*er quattro proposizioni, e poi
volere orare alia presenza di cosi dotta
Accademia : innominato Ricasoli, e' ti hisogna studiare, e leggere gli autori buoni, e leggergli nella
lor lingua^ non si fidare dei trdduUori.
> V 6 un proverbio latino che dice :
in vino Veritas. ed h in questo modo in
realta; or credo non men vero rimanga il
proverbio temperato cosi: in ludo Veritas;
poich^, in mezzo alle finte accuse, come nei nostri scherzi, cosi in quelle tiritere accademiche
e spensierate un barlume di verity sempre traluce. E lo prova R. avendo realmente scritto rime
iramorali, araico del Giraldi, e
conosciuto profondamente le matematiche; e I'accusa di R. stesso intorno
alia nullita del merito nella versione
di Plauto fatta dal Segni, della quale,
per fermo, come di nessun pregio non si
fece da' contemporanei e posteriori letterati
menzione mai. Ora io ripefco che I'esser venuti in chiaro della non grande esperienza del nostro
Filosofo intorno al greco, fa molto,
perchd ci spiega come pitl che le vere
dottrine platoniche, le interpretazioni neoplatoniche accettasse e trasformasse
nel suo lavoro scientifico. E perch^ su
questo punto non mi rimanesse dubbiQ veruao, io voUi confrontare i passi
del Timeo, tradotti dal R., col testo, e
indi con le traduzioni latine anteriori;
e cid mi servi di riprova
irrefragabile. Nel 1650 il
nostro R. era nominato dalr Accademia membro della Deputazione del Vocabolario,
e prendeva a fare lo spc^lio delle Lettere di
Monsignor Delia Casa, e delle storie del Machiavelli. Cio rilevasi da' diarii dell' Accademia e da
una lettera scritta da lui al cardinale
Leopoldo. Ma pitl che per le rime, per
le cicalate, e i discorsi accademici,
venne egli in alta venerazione presso i contemporanei come filosofo. Ch^ tale,
vedemmo, antonomasticamente chiamavanlo, e consultavanlo come un oracolo, sicch^ ei fu della rinnovata
Accademia Platonica r anima e il duce, in quella guisa che il Ficino due secoli innanzi. 11 Redi appella i Dialoghi
filosofici di lui E basta leggere le lettere che R. scriveva in risposta al
Cardinale Delfino, per vedere come in riverbero, in qual alto pregio quel Patriarca tenesse i dialoghi
dell' Imperfetto; e come il Delfino, cosi il Magalotti, il Dati e tutti quei grandi eruditi, che convenivano in
sua casa ad ascoltarne lettura. Imperocch^
la casa de' R. era una vera e propria
Accademia. II R., come abbiam detto
sopra, dovea ricordarsi degli Orti di sua
famiglia; doveva udire in cuor suo potente ancora la voce dell'avo Bernardo e di quei grandi
sostenitori delle dottrine Platoniche e
della liberty. Egli aveva perduto que'
luoghi memorandi ; gli dovea risospirare,
e in qualche modo farli rivivere. E' mi sembra veder quella casa; mi sembra di veder lui, co' suoi
figliuoli, e con illustre schiera di
dotti, intento a favellare delr uomo, dell' uni verso e di Dio ! E di queste
adunanze fa parola appunto il Tiraboschi
nell' ottavo volume della sua Storia,
dove discorrendo del fiore in che allora, nel
secolo decimosettimo, erano le Accademie fiorentine pubbliche e private, dice che tra quest'
ultime, celebre singolarmente fu quella
del prior Orazio R.; e riferisce le
parole di Lorenzo Magalotti, il quale in una lettera indirizzata a Luigi Del
Riccio incitalo a procurare che non si
abolisca quell' istituto, e si rallegra che egli abbia si buoni assegnamenti
per farlo sussistere, cioe il Salvini,
il Lorenzini e rAverani. E anco il
Negii appella a questa riunione di letterati {Storia degli Scrittori Fiorentini)
dicendo: Ma il Salvini, nelP Elogio al
Filosofo^ ci dipinge a colori
vivacissimi il fare di lui, e le sue relazioni, e i suoi modi e le dotte adunanze, e le erudite
conversazioni. E, magnificata indi il
Salvini la gentilezza e vigoria deir
idioma nostro, soggiunge pitl sotto :
E giacche sono sul toccare de' Dialoghi vo' dirne qui tosto piti ampiamente, la materia e il
disegno.^ Di questi dialoghi, in
numero di sessantacinque, sono stati
pubblicati solamente trentadue, quelli cioe intorno la Filosofia antica della natura, esclusa la
platonica, e il trattato della
Provvidenza; * per il che sarebbe desiderabile vederli pubblicati per intero ed
ordinatamente. Era ben naturale adunque
che R., di si vasta erudizione e di
tante belle qualita adorno, riscuotesse
Tammirazione de'dotti suoi contemporanei e principi d' allora, e tutti si attribuissero a ventura
ed onore di potersi chiamare suoi amici.
Talche una lunga schiera de'piii
segnalati uomini del tempo vediamo f ar corona
all' illustre seguace di Galileo, al cultore della filosofia neoplatonica, all' ultimo figlio del
Rinascimento filosofico itaUano. II Magalotti, il Redi, i due Falconieri e il Filicaia sono in continua corrispondenza
di affetto e di scienza con lui, e si
legati in amicizia che niun di lore
ardisce porre un' opera in luce senza aver prima consultato gli altri per averne le critiche,
e fatte su quelle le opportune
correzioni. E Lorenzo Magalotti pone talvolta ne'suoi scritti dialogici a
interlocutore principale il nostro
Orazio, e gli scrive lettere sopra un Effetto * Vedi : Indice delV opere di R.. delta
neve e sul Bibollimento del sangue^ secondo i pensieri del Galileo; in quella
guisa medesima che il Rucellai scrive al Magalotti rime confidenziali, in cui
gli apre Y animo suo, e dimostra la
sfiducia grande ne' suoi proprj lavori,
e minaccia di gettare al fuoco i suoi dialoghi filosofici e si pente
de'trascorsi di gioventii. 11 Filicaia
gli dedica un sonetto in sua lode, e il
Redi ne discorre, encomiandolo nel suo Ditirambo. II Viviani, nel ragguaglio deU'ultime opere del
Galileo, parlando di una lettera di
esso, dice che e Monsignor Giacomo
Altoviti amante delle belle arti, il marchese
Vincenzo Capponi, il Dati, il Pallavicino, il Buonaccorsi, il Magiotti,
il primo de' suoi interlocutori, e uno
di quelli che composero, come si esprime il GaUleo, il. suo triumvirato, tutti li vediamo in
corrispondenza d' affetto e scientifica
col nostro filosofo ; il quale nelle sue
lettere, dimostrasi deferente a tutti, e modestissimo, e quasi trepidante ogni
volta che a qualcuno di loro invia,
richiesto, qualche suo filosofico componimento. E le lodi riguarda sempre come
eccesso di bont^ deir animo di quei che
gliele fanno, non mai effetto de' meriti
proprj, mentre egli trova sempre che lodare
negli scritti degli altri. E i principi govemanti lo venerarojio anch'
essi con reverenza ed affetto speciale ;
e lo ajutarono sempre, poich^ dalle sue lettere ricavasi aver egli avuto alcuni disastri in famiglia come
abbiamo gia veduto superiormente.
Infatti da Pisa, ov'era gran Contestabile, soUecita dal Principe Leopoldo con lettera del 28
aprile 1653 soccorsi profittevoU per i
disastri economici della sua casa, afline di potere con piii quiete e piCi
comodamente esercitare in qualche
trattenimento studioso gli scarsi
talenti ch' ei si ritrova. A questo decadimento delle sostanze di R., accenna pure il Panciaticlii
nella sua Contraccicalata alia Cicalata
sulla lingua lonadattica (1662) dove apostrofa il Priore Orazio cosi : «
Sovvegnati del viaggio da par tuo clie tu facesti in mia compagnia a Pisa,
Lucca ec, quando tu gridasti il Meschini^
(gia somigliere del tuo corpo, ed ora nel nuovo governo revisore generale, per quanto io intendo,
delle tue possessioni) perche ti lasciava andare coUe gomite rotte ec...
> Oltrediche egli fu pure da morali
traversie angustiato molto talora; come quando ei seppe ucciso in rissa un de' suoi cari figli, Giuliano, in
casa d' una cortigiana, del quale eccesso il vino non sembra essere state r ultima cagione. A questo fatto egli
accenna in una delle sue lettere
(Firenze 8 settem'bre 1668) al Patriarca d'Aquileia, dove spicca in tutta la
sua pienezza e r affetto di padre, la
mitezza sua e il sentimento religioso che dominavalo tutto. Questo scriveva I'onorando vecchio pochi
anni avanti la morte sua, sollecitata
fors' anco da questi colpi della
sventura ch' ei rassegnato riguardava pur come segni incomprensibili della Provvidenza divina, di
cui si bene favelld ne' suoi libri. E
anche da Cosimo III ebbe a soffrire
dispiaceri. Imperocche se ei fece sembiante,
succeduto che fu a Ferdinando, nel 1670, di onorare il Kucellai,
confermandolo nella carica di gentiluomo
di Camera, a poco a poco lo allontand dalla Corte. Perd da alcuni storici (come il Maffei) si 6
detto e si dice ancora che Cosimo III
non fu troppo tenero ma anzi ostile alle
lettere ed alle scienze filosofiche, e
che percio era ben naturale s' allontanasse dalla Corte quei che le coltivavano. In questo vi 6
per lo meno esagerazione, ed una
conferma che preso per alcune cagioni
I'uomo in dispetto, spariscono troppo
spesso dalla memoria e dagU occhi quei lineamenti veri che a scemare la bruttezza del quadro
sarebbe giusto considerare. 11 liglio
primogenito di FerdinandoII quantunque
meschinamente bigotto, e inabile a generosi pensieri in politica, pure non
solamente la teologia, come dice il Canttl, (Storia Universale, vol. 17, pag. 766) ma favori anzi ed amd le scienze e
le lettere, e a persuadersene basterebbe gettare uno sguardo sul grandissimo carteggio ch'egli e il suo
segretario privato canonico Basetti
ebbero con tutti i primi uomini dotti del secolo nostrani e stranieri. Questo
voluminoso epistolario trovasi nell' Archivio centrale in Firenze, e tra le altre vi si ammirano
lettere dell' Autore delYArmonia prestabilita^ il Leibnitz. Sarebbe anzi desiderabile che qualche
studioso prendesse quelle filze neglette in accurata disamina, e ne traesse ad utility della scienza e a
vantaggio di quel principe quella luce
che finora non h comparsa fuori, ed ^
per lo pitl sconosciuta agli occhi degli storici nostri. Non possiamo dunque alia cagione supposta
attribuire Tallontanamento di R. dalla
corte; sibbene forse la salute
vacillantissima di lui di^ ragione a Cosimo III
di non adoperarlo piii negli ufficj di suo Gentiluomo. II R. infatti moriva poco tempo dopo che si
fu allontanato dalla Corte Medicea. Ma
la morte trovoUo col volto ridente, come Socrate, e con costanza serena. Egli
moriva nell'et^ di TOanni il 16 febbraio 1674,
stile comune, in mezzo alle lacrime de' suoi e degli amici, la piii bella e confortevole
benedizione ad un'anima che lascia la
prigione del corpo. Cristiano, ebbe pure
i conforti soavi di quella religione, in nome
della quale ei filosofava con afietto di innamorato, e pieno di fiducia di vedere svelata nell'
eternity a' suoi sguardi la verity, la
bont^ e la bellezza infinita. L'avello
de' suoi maggiori fu pure sepolcro a Orazio
nostro nella Chiesa di Santa Maria Novella in Firenze ; e col richiudersi di quella lapide si cliiuse
insieme il periodo del Rinascimento filosofico itaUano. Pero rimasero le opere di lui, monumento prezioso; perche
un giomo se ne imparasse la importanza
vera, che pur troppo non ravvisarono (n^
lo potevano) i suoi contemporanei.
Tuttavia i Dialoghi di R. ne furono pascolo a quegli uomini colti anco appresso.E Anton
Maria Salvini, poco dopo la morte del
loro autore scriveva a Lorenzo Adriani
ragguagliandolo delle veglie che si facevano
allora quasi seralmente nell' Accademia della Crusca, per la nuova edizione del Vocabolario:
Leguntur in hoc eruditorum hominum codu
scriptiones varied cdque pulcherrimce,
ac jprcesertim Horatii Oricdlarj Dialogi
quibus dodissimus ille senex disputans more Socratico philosophiam fere amplexus est universam.
Huitis contentum scribendi laborem nee
aetas extrema tardavit^ qui jamdudum
vita functus, magni sui, atque operis
desiderium reliquit. E il Crescimbeni scriveva pure: se, di piti, si consideri che frammiste a queste lubriche che si
attribuiscono al nostro Priore, si
leggono di suo, firmate, poesie onestamente amorose ; e che nella sua Cicalata
in quartine fatta in lode del Cacio
Lodigianoy non certo in sospetto di
apocrifia, perch^ scritta di sua mano, e riconosciuta da lui che ne fa menzione negli altri suoi
scritti, egli si compiace d' incastrarvi
non pochi equivoci disonesti ; io credo
che la critica imparziale non potr^. risparmiare al Filosofo Platonico la non
troppo onorifica paternity di quelle eleganti bruttezze. Oltredich^
abbiamo visto un suo amico medesimo
Tommaso Segni, accademico, quantunque in istato di esagerazione e di finzione
burlevole, pure accennare a questo peccato del
R. nella sua difesa contro un' accusa data a lui da quest' ultimo, che in alcuni suoi scrit ti
.deplora poi queste sue giovanili
leggerezze e le riprova. Ma per non
stare troppo sulle generality, e addentrarsi alquanto invece nell' analisi
delle sue poesie, incomincieremo dal notare come R. nei suoi sonetti filosofici
discorrendo della Provvidenza divina,
conformemente alle dottrine neoplatoniche e al domma cristiano, asserisce non potersi comprendere
Dio che con la Fede, quantunque le opere di sua Provvidenza od il mondo, ch^ e, per usare la frase de'
sapienti ripetuta dopo con tanta compiacenza da Galileo, codice vivo di Dio, dimostrino chiaramente che e' c'
6. A prima vista si scorge qui la sua
grande sfiducia nelle forze delPumana
ragione, che reputa da sola insufficiente
a levarsi oltre la sfera del mondo, per discorrere col suo lume naturale dell'Ente Infinito e dei
suoi attributi divini. Sentesi qui una tal qual'aura di scetticismo, che gli
antichi sistemi risuscitati dal rinascimento, e tra loro combattentisi,
dovevano aver iinito con ingenerare in
quegP intelletti spossati, nelle menti
di quei filosofi allora che si stava compiendo la piti grande delle rivoluzioni intellettuali, e la
riforma si veniva mano mano
estendendo. Egli, il nostro scrittore,
viene qui sulForme del Ficino a
professare che Religione e Filosofia son sorelle, e la prima la maggiore; anzi -poich^ filosofia ^
Simore e studio di verity e di sapienza, e Dio solo ^ principio di sapienza e fontana di verity, ne consegue che
legittima filosofia non sia altro che la
vera religione. Quindi se la fede non ^
I'unico fondamento della scienza, pur
n'6 engine grande e primaria; e per di piti, mediante la sola fede noi ci accostiamo a Dio :
imperciocch^ Platone scriva nel Timeo che dell' eterna essenza non si puo dir altro, se non che ella ^ cio che e, e
che ^ alI'uomo nascosta, iinche pero, aggiugne Ficino- e il R. in sentenza cristiana, Iddio stesso non
riveli s6 alia umana creatura. Ed ecco
il perch^, siccome il Ficino venne a
dichiarare che voleva piuttosto credere
divinamente che sapere umanamente, professando la fede divina essere infinitamente piti certa
della sapienza degli uomini, la
credulity che viene dalla fede essere
sempre confermata dalla scienza vera (Epist. lib. V, p. 1.), esister nel mondo invisibile le
cose vere, e nel mondo visibile rombi?a
solamente della verity; cosi il R. non
isdegna, ma ama la filosofia; pur come i
neoplatonici d' allora, come gik il Ficino, come il Bessarione, voleva unita
alia religione e dipendente da questa,
perche da se sola incapace, la filosofia, a farci comprendere Dio, che essendo Verity perfetta
e il sommo Bene (Cfr. Platone nel Fedro)
noi mortali non possiamo per le natural!
vie afferrarlo, o non riusciamo ad averdi
esso che una nozione o rappresentazione analogica, guardando, anzich^ il padre, il figlio, cioe
le cose belle, vere e buone di quaggiti. Questi concetti fondamentali intorno la
comprensione di Dio per I'umano intelletto, R. voile esporceli in quattordici sonetti, ne' quali,
in sostanza, e'non fa che riprodurre
quelle esclamazioni e quelle espressioni
di maraviglia che di tratto in tratto ritroviamo ne' suoi Dialoghi filosofici
delta Provviden^a^ magnificando le opere
della creazione ed i portenti che Ella
n' ofire, per risalire ad un Ente che tutte le cose dell'universo ha fatte e ordinate; ed e
questo, a dir vero, non altro che questo
il concetto che sotto varj aspetti ei ci
viene difiusamente ripresentando.
Infatti egli professa che « A
quel sovrano ed invisibil nume Nostro
intelletto non puo mai trar Y ali, »
imperciocch^ non ha pupille uguali a si gran vista « Per jiffisaiie in quell' eterno lume. Ivi fermare il guardo lian per costume Sol r angeliche menti ed imniortali. » {Sonetto 29 del Cod. Magliab. Poesie di
Diversi, p. 234.) E passando via via in
rassegna i regni della natura, minerale, vegetabile ed animale, ascende iino
all' uomo di cui dice: (Sonetto 34 loc.
cit. pag. 239.) (.o7t (I Dialoghi della
Frovviden^a^ edit, dal Turrini; Le
Monnier, p. 385). Indi la ideality, platonica
deU' amore, che il Petrarca traduce cristianeggiandola mirabilmente ne' suoi versi, imitati si ben?
dal R.. II Petrarca infatti, questo
Raffaello nell' arte della poesia, con
generoso ardimento tolse, per cosi dire,
nuovo Prometeo dal cielo, dove Platone guardando lo contemplava, V archetipo della beUezza
perfetta, animatrice di amore; e recandolo, egli cristiano, in sulla terra, per megUo ammirarlo fecelo reale di
una realty non inane nd effimera, nel
volto divinizzato di Laura : « E in
umil donna alia belta divina. *
Personificando in costei vero e buono, bellezza e virtil, realizzava I'idea, ideal^zzava la
reaM. Era un connubio divino che il
poeta deU' amore cristiano cantava, sostenuto da quelle medesime ali amoroso,
da cui fa il filosofo spirituale di Atene, ma purificato dalla religione, eccitato dalla cavalleria. La
religione inalzava ad uguagHanza la donna; come redenta, la faceva rispettabile da disprezzata che ell' era. La
cavalleria la rendeva anmiirabile,
ispiratrice delParti e delle virtii
militari : i trovatori, eccitatrice delle arti di pace e della poesia; i poeti italiani, divina,
potente su i destini dell' uomo cui
conduce alia virtii per la strada deUa
bellezza. II Petrarca non canta perd un amore
che non sente, nd le lodi di una donna che ei non conosce. Egli conosce, ammira, desidera, ama
Laura e per essa risale al cielo; egli
conserva, armoneggia ed innalza 1'
elemento cristiano dei trovatori e dei
poeti italiani nell'ideale platonico del bene e della virttl. fi veramente un' armonia divina, che
incomincia dal cuore del poeta, si
avviva sul volto della donna amata, per
avere il suo compimento 1^ dove senza velo
e confine si ammirano le eteme figlie di Dio! U R. ha piena la mente di queste idee ;
egli ama secondo il concetto platonico e
petrarchesco, e questa teoria egli pure,
mi si passi la frase, viene personificando in dieci sonetti, dei quali piii che
la met^ rimangono inediti ancora ; ond'
io credo mio debito di dame qui un
saggio, ma senza potere affermare in qual
tempo ei gli scrivesse, e se per donna reale o
immaginaria, quantunque dall'esame loro mi paia piii probabile che in gioventii e per donna
vera. Egli in uno de' sonetti inediti
si rivolge alia donna amata con questi
accenti, non nuovi, gli 6 vero, ma pur
delicatamente vestiti: oc Non di vostra
belta caduca e frale, Amo quel fuoco vil
che i sensi accende, Ma pill a dentro
sen va Talma e comprende Un bello
incorruttibiie, immortale. Qoal da »pecchio tersiMirao ed eguale Da be* yoaif occhi nn non so che
risplende, C*ha deiretemo, e luminosa
rende Qadia forma ch' k in voi breve e
mortale. Non quel che srnonta in un
baleno, e fugge False lustro di ben vo
cercand' io Che pria ne abbaglia, e poi
ne accende e strugge. Ma sj di raggio
in raggio a quel rn'invio Sol che non ha
chi lo ricopra e adugge, E contempl^do
voi, mi volgo a Dio. » In yerit^ che
noi dimentichiamo il seicento qui^ come
pure negli altri sonetti, i quali per6 ci rammentano troppo 11 Petrarca,
imitato talvolta dal R. diremo quasi con
plagio. Per esempio, in questo seguente, pure inedito, in morte della sua
amata, e adomo indubitatamente di gusto
delicatissimo: (C(mL Magliab. Foesie di
Diversi, VII, n* 3). Quella che dal mio
cor non parte mai. Bench^ vederla agli
occhi miei sia tolto, Spesso tra 1
sonno. con pietade ascolto Dirmi : non
pianger pih ch* hai pianto assai. Son
vivi in ciel di queste luci i rat, Che
vedesti languir, misero e stolto, E
bench^ spirto dal suo vel disciolto. Son
quella e t*amo pur quanto t'amai. Dal
tribute mortal libera e franca Quest'
alma attende alle celesti porte La tua,
ch' k senza me di viver stanca. Deh!
vieni, o mio fedel, c\\*k miglior sorte
Qoder V immenso ben che mai non manea,
Che un breve corso di continua morte. it Mi si confessi giusto: chi non sente qui
Tanima del Petratca che inspira? chi dal
seicento non ritoma per questi yersi
alle pure regioni del trecento, ed oblia i trascorsi scapestrati di quella et^?
Non ti par egli ad ogni espressione ti
ritomi sulle labbra quel lamento diyino :
« khimh \ terra h fatto il suo bel viso
Che solea far del cielo E del bel
di lassb fede tra noi ? E come in questo, cosi negli altri sonetti di amore, de' quali a maggiore conferma di quel che vo
esponendo aggiungo alcuni in appendice nella piccola Antologia degli scritti di
R., i concetti platonici chiaramente
tralucono. Ad illustrazione dei medesimi
io preferirei invece di riportarmi alle parole stesse dal R. adoperate intorno V Amore nel dialogo
decimo deUa Fromidenza, modello di
eloquenza e di stile, e che valgono a
compiere a maraviglia le osservazioni
premesse. Ma poich6 ci dilungheremmo qui troppo, nol fo, e rimando il lettore a quello scritto
gi^ edito, potendo in questa guisa da se
medesimo ritrovare tosto la verita di
quanto io venni dichiarando su questo importante subietto. Io chiudo per6 ripetendo che questi versi
del Rucellai nulla per il pensiero tenendo del seicento, ti riconducono a' giomi pill belli della
italiana poesia, e ti legano quasi il
trecento col secolo dell' Achillini, del
Marini e del Preti! Sembra F ultimo respiro che in questi versi d' amore trar volesse la musa
Petrarchesca, soffocata, per cosi dire,
in quella gravosa atmosfera. Non cosi
riguardo alle figure, alle imagini ed alio
stile, dir si pud di tutte le altre poesie esaminate fin qui nel loro contenuto o materia. II diffuso
e il cicaleggio accademico trovi sovente frammisto al forte e robusto pensiero; troppo uso di mitologia,
che giudichi abuso, e che ti accenna una
volta di piil 1' et^ del rinascimento imitatrice esagerata dell' antico non
aver ancora finito il suo tempo. Non di rado accanto ad un' immagine mite,
delicata e serena, un' altra immagine
tronfia, rigogliosa e syentata, tolta a
prestito dalla scuola Mariniana ; come,
per esempio, in un sonetto scritto da vecchio, il buon R. confessa di amare sempre, e dice
nientedimeno che arde qucA Etna, senza pensare che neanche le Guardie del f uoco (oggi Fompieri) se
c'erano, avrebber potuto spengerlo con
tutti i mezzi dell' arte loro ; e dopo soggiunge
che arde qucd dgno, senza riflettere alia
sconcezza di quelF animale colle penne abbruciaccliiate sul dorso.
Ma in generale nello stile si modera, ed appartiene, credo, alia seconda maniera di poetare, alia
quale noi accennammo in principio di
questo Capitolo. Percid quelli de' suoi
contemporanei, i quali erano imbevuti
deir aria medesima respirata dal R., ma perd non eccessivamente viziati, levaronlo a' terzi
cieli, pur come illustre poeta, e il
medesimo Redi, il piii puro di tutti,
ebbe lodi lusinghiere per lui. Ma noi oramai abbiamo, dopo il discorso, un criterio sicuro per
ricondurre gli encomj al lor giusto
valore, e per conchiudere che Orazio
Ricasoli R. fu poeta piti imitatore che
originale ; che nel loro contenuto molteplice e contrario le sue poesie, nonch^ nella forma esteriore,
ritraggono fedeli il secolo nel quale
egli fiori, i contrasti del tempo nel
quale egli visse; e che se talvolta sorretto
dalle ali poderose di un grande intelletto che ei prese a duce, il Petrarca, seppe farsi soUevare ad
altezze non comuni; piii spesso perd ei
non potd non lasciarsi sviare dal volo sfrenato de'suoi contemporanei, e non precipitare con essi nel vano, nel
lubrico, nelr eccessivo. delle prose letterarie e scientifiche di orazio rica soli R.. SoxirABio. — La Prosa nel seicento. —
Anche in essa R. veriflca il nostro
concetto. — Contrast! nella natura diversa di questi scritti letterarj, — Si noverano. — Invettiva all'
Ornato (conte Ferdiuaodo Del Maestro) e
air Ardito (Toramaso Segni). — Discorso del Rnoellai nel rendere rArciconsolato. Cicalata sulla lingua lonadattlca. — Scherzo in lode delF Uccello. — Elogio di san
Zanobi. Versione della Lett&ra di
Cicerone ad Quintum Fratrem. — Critica.
Discorso della Fortuna. — I) suo
discorso contro il Freddo Positivo, — Riepilogo di questo discorso. — Segue il
metodo del Galilei.— Lettero familiari e
politiche. Osservazioni. — Suo libello
sulla pianta e rigiro della Corte di
Roma. — Disegno di questo scritto. — Giudizio.
Nei suoi discorsi, nelle sue prose letterarie e scientifiche obbedisce
egli R. alia medesima legge, verifica il
nostro concetto? £ bene ricordare che
anco la prosa di quel tempi fu viziata
ugualmente che la poesia; cio ^ chiaro, imperocch^ gli uomini come pensano,
scrivono; come riflettono, parlano; la parola essendo segno d'idea. I professori d' eloquenza, i predicatori, gli
accademici ed i filosofi mostrarono
allora vergogne rettoriche da fare
sgomento, curiose dicerie, stucchevoli, inani. (GIUDICI, StoTia della letteratura itcdiana, Vol. II,
pag. 261.) Tuttavia, come nel pensiero e nelle condizioni poUticlie e religiose del tempo, gi^ a lungo discorse di
sopra, cosi nelle prose avemmo in quel secolo un contrasto, e non sempre sconsolante, specialmente in
Toscana. II DaviJa nelle guerre civili
di Francia, il Bentivoglio in quelle di Fiandra, Fra Paolo Sarpi e il cardinale
Pallavicino nelle Storie del Concilio di Trento, il Galileo e i suoi numerosi discepoU, il
Redi, il Dati, e molti altri si tennero
lontani dalle stramberie di dizione del secolo, ed alcuni sono splendido
testimonio deir indipendenza del
pensiero italistno, che sorge animoso ed affronta ogni genere di
persecuzioni. Leggendo le prose di R.
varie e diverse per natura, assai bene
troviamo riconfermato il giudizio nostro
sulla intima e profonda rispondenza de' tempi
air uomo, e dell' uomo a' suoiscritti. Accademico della Crusca segue 1' andazzo dell' Accademia, e
chiacchiera in bugnola, e finge inveire
contro questo e quell' Accademico, e cicaleggia sur un nome o sopra un
verbo, con quell' ardore col quale oggi
un deputato fa e svolge un'
interpellanza per cogliere in fallo il paziente ministro ; tesse 1' elogio di
san Zanobi, il protettore delr Accademia; discorre sulla Fortuna, fa panegirici
dei Granduchi, incensa nelle sue lettere
Cardinali, sdrucciola al solito in indecenze e in equivoci; e poi in quelle stesse lettere ragiona gravemente di
studj, e di scienza ; in quelle stesse
Accademie svolge con gran dovizia di
dottrina ed acume di riflessione subietti
filosofici, facendo tesoro delle tradizioni scientifiche, degl '
insegnamenti del Galileo e dell' esperienze del Cimento ; traduce nel nostro
idioma la lettera moralissima di M. TuUio Cicerone a Quinto fratello, e
mette in mostra come i pi'egi cosi i
difetti pericolosi di alcune Corti d' Europa, e quello che piil sorprende,
non la risparmia neppure alia Gorte di
Roma, svelando di essa i rigiri, in un
suo scritto iuedito ed incomplete, ma dotto per riflessioni di diritto e
politiche, ritrovato da me nella Filza Strozziana 330"* dell' Archivio Centrale di Firenze. Questo scritto lo avr^, credo, non letto ad
alcuno, come le sue poesie contro le
Corti, o se si, indubitatamente in segreto a qualche fido amico suo,
perch^ seegliloavesse resopubblico, sono
certochene avremmo notizia da'
contemporanei, non foss' altro per le molestie a ctd egli sarebbe andato
incontro. Si vede tosto come questa
diversity di soggetti sia iin accenno
non dubbio di quel contrasto di opinioni,
che tanto nel suo paese, quanto nella mente di lui doveva aver luogo in
quel tempo, in cui, come abbiam tante
volte ripetuto, il mondo antico faceva quasi 1' ultimo sforzo contro il nuovo
che sorgeva in Europa, e che ormai era
impossibile arrestare nel suo moto veloce e potente. Del resto, oltre agli
scritti accennati qui nel loro concetto
generico, e che specificainente nominerd nell'indice delle opere di R.,
sembra esser stato egli I'autore di
qualche altro scritto importante, smarrito ora, o con altri, de'quali abbiamo
esatta contezza, giacente in biblioteche
private. Ma contentiamoci di quel che c' d, ne ritomiamo a' lamenti. Era uso, per esercizio di lingua, che gli
Accademici della Crusca fingessero di darsi delle accuse e delle impertinenze a vicenda, e in queste
finte battaglie non ^ da dire quanto volentieri s' impelagassero. D R., quantunque mite per natura, non rimase
perd dietro ad alcuno nella fierezza delle sue invettive, tanto che in una di
esse, in risposta all' accusa datagU
dall' OrncUo^ ossia dal conte Ferdinando del
Maestro, (il quale con frasi arditissime, e con risonanti periodi accuso
Y Imperfetto, ultimo Arciconsolo nel 22
maggio 1652, come colpevole della pigra lentezza in cui erano caduti gli
Accademici nell' adempimento degli obblighi loro con tanto discapito e vergogna
deir Accademia), fu giudicato aver troppo ecceduto, e che di tante villanie
dovesse con pena condegna pagare il fio.
(V. Diario del Buonmattei, segretario.)
E davvero questa replica ^ ingegnosissima e curiosa, e fatta con arte
fina di molto, e ci fa senapre piii
lamentare che ingegni si eletti stremassero in
quelle futility le loro forze. I periodi e lo stile e la lingua di questo scritto son veramente
ammirabili, se tu eccettui al solito una
tal quale tendenza al tronfio, e quel
dondolare il dettato per troppo desiderio di leggiadria, difetto del tempo
rimproverato anco al Bartoli. Ed ^
percid tanto piii notevole come di frasi esagerate e di paroloni riprenda
accortamente V avversario, egli che
vivea nel seicento, e non immune da' secentismi, e lo richiami al puro e soave
idioma toscano con tanta religiosa
osservanza da'maggiori custodito. E per
dare un' idea del suo fare nelF invettiva, riferisco qui la chiusura di questa risposta, la quale
^ degna di considerazione. Dopo avere
ben bene rimbeccato I'accusatore, e
dimostrato che invece di torti egli, r
ImperfettOy aveva ragioni da vendere, e meriti da mostrare a esuberanza, e Y Ornato d' ogni
pregio disadomo, vile, calunniatore e macchinatore della rovina dell' Accademia, cosi finisce a lui
rivolgendosi : II lettore sente di
quanto veleno sian ripiene quelle
parole, e come per la quanta sua questo scritto sia modello, tanto che lo
stesso Omato si dolse anche in progresso
perche la piil bella cosa che avesse a
que' di fatta il prior R., I'avesse
fatta contro di lui. Di altra
sua invettiva, fiera atroce e sanguinosa,
come place chiamarla al Moreni, abbiamo notizia solo perch^ la difesa di
Tommaso Segni, scrittore, secondo il
Salvini, di alta reputazione, e contro cui quest* accusa di R. era diretta, ci
attesta essere stata scritta dal Priore
Imperfetto. E da'titoli di usurpor tore,
di sfacdatOj di stravagmite, di infamatore, che possono formare la corona del piii
famoso malvivente, e coi quali il Segni
apostrofa il nostro Orazio, si rileva
che egli non doveva anco in questa accusa avere scarseggiato di epiteti,
tutt' altro che accademici, in quelle
sproloquio smarrito, e dove davvero la vigoria delrintelligenza,
indebolendo, smarrivasi. Come vuolsi pertanto che occupati quegli uomini, o per
giuoco, o sul serio, a tirarsela giti
senza misericordia e spesso, in quelle
adunanze, dove i Principi stessi, vedendone iltomaconto, intervenivano e
fingevano di ridere ; come vuolsi che
stemprati gli ingegni cosi, alzassero il capo
al di sopra delle mura della citta, e assorgessero al nome di indipendenza, di nazione, d' Italia ?
Se riscuotevansi talvolta contro il vieto e malo governo che di lor si faceva, erano come i garriti di
scolaretti che dicon male, quando non
sente, del loro maestro severo, in quella stanza, su quella panca, e non
altro; che anzi quando il maestro
ritoma, si chetano e ne hanno pitl
soggezione di prima. Non m' intratterro
a parlare del discorso del Rucellai, recitato nel 1651, nel rendere P
arciconsolato in mano del Timido
(Desiderio Montemagni) e pubblicato dal
Fiacchi nella sua coUezione d'opuscoli scientifici (T. XXI, pag. 59) e il cui autografo trovasi
in un manoscritto miscellaneo della
Magliabechiana, segnato N. 1422. E un discorso di non molta importanza, e,
come possiamo immaginarci, pieno di
comphmenti, di scuse, di proteste, di
nullita ec. ec, come ognuno soleva fexe, e R. pitl d' ogni altro per la qualita
modesta, anche troppo, dell' animo suo.
fi scritto anche questo in ottima
lingua, ma con il solito vizio del tempo, il
diffuso, ed un po' di quel rigoglio accademico. E neppure, se non per aggiunger prova alia
mia prima asserzione che 6 come la
stregua a cui ricondurre ogni mio discorso, io m' intratterrd con lunghe parole ad esaminare una sua cicalata suUa
lingua lonadattica, che trovasi nelle
Frose Florentine (Parte prima, Vol. I,
Venezia, 1730) e la cui contraccicalata
fu letta nella Accademia della Crusca la sera dello Stravizzo del 10 settembre 1667. Daro un
accenno di quel che si tratta, per
mostrar anco qui quanto allora, pur
negli scherzi, si mirasse all' esagerato, e si coprisse, quasi
inconsapevolmente, di nomi pomposi la
nullity delle cose, dei concetti, degli uomini, e si cercasse ogni
strada per ridere, e come R. partecipasse anche in cid a'vizj del tempo, e in
ogni verso se ne facesse 1' immagine.
Tra le molte e moltiformi accademie che spuntavano come 1' erba sul suolo d' Italia, e precipuamente in Toscana, in
Firenze, vi era quella de'
Mammagnuccoli, capitanata da Paolo
Minucci, (il Puccio Lamoni del Malmantile). Erano una conversazione di galantuomini (Nota del
Minucci alia stanza 26, cantare 3** del
Malmantile) i quali facevano professione
di sapere il conto loro in ogni cosa, e particolarmente nel giuocare, e nello
spender bene il loro danaro, e d' essere
il fiore della reale e onorata scapigliatura. Avevano un loro capo che si
chiamava I'Abate, dal quale erano gastigati
quando facevano qualche errore nel
giuocare o nello spendere; ma pero tutto
era in galanteria. Le loro adunanze si facevano in casa r Abate, dove si giuocava a giuochi piii di
spasso che di vizio; e si facevano aitre
allegrie di cene, di merende ed altri passatempi. Costoro erano tutte
persone gravi e quiete e della piti riguardevole
civilta, e percio la loro conversazione
si bramava da molti che v' intervenivano ; sebbene non fosse ammesso a quella
veruno che non avesse provata prima la
sua dabbenaggine, e non fosse stato
riconosciuto dall' Abate e da altri suoi
consiglieri meritevole d'esser ammesso : la quale dabbenaggine in un
certo loro gergo equivaleva a furberia.
Perch^ vi era anche un gergo o parlare furbesco, noto solo agli adepti, che riconosceva per padre
il Burchiello; ed era pure in grand' uso
fra loro la lingua lonadattica, cosi detta per ironica ampoUosit^, quasi
composta dell' ionico e dell' attico
dialetto, la quale da quel gergo
difFeriva, non essendo composta di parole che avessero in qualche modo analogia con le parole vere
delle cose che si volevano significare,
ma di vocaboh che del vero vocabolo
avevano le prime lettere. Or appunto sulla
origine, bellezza e propriety di questo linguaggio, chiamato dagli
stessi Accademici scioperatissimo, intess^
una cicalata il nostro R., plena, a dir vero, di gaiezza curiosa, e che desterebbe sovente il
riso, se .dalle considerazioni fatte di
sopra, e che sorgono nella mente
spontanee, non ci fosse piii sovente che mai
trattenuto. E anche qui i Principi intervenivano, lodavano, e
sorridevano, e come ! quando per esempio, invece di dire: ioho mangiato una
minestra di miglio brillata, leggevasi: io ho mangiato una minestra di
miUe prelati; voi avete della rosa sotto
il coUare, per dire della roccia; per il
Dante della Beatrice, il Damo della Bea;
la mula delV Arcidiacono per la musica delV Arciduca, ec. Or mi si dica: non
par egh quasi impossibile uno
stranissimo cozzo questo, di vedere un uomo che
sale in bugnola. con tanta spensieratezza e che scherza su tali puerilita; e quel medesimo uomo
illustrar poi le pagine del divino Platone, e filosofare quasi Socrate novello, giusta lo chiama il Salvini? Se la
ragione di ci5 non trovassimo noi nella
condizione dei tempi che aveva preso
sopravvento su lui, di certo saremmo
tentati di ritrovarla, per segtdre la teorica di alcuni fisiologi, in qualche oncia di cerveDo che
egli avesse di meno, al di sotto cioe
del peso de jure, per secemer le idee, e
per fare ordinate le digestioni dei proprj
ragionamenti. Dicesi anche, e il
Passerini ed altri ne fanno menzione, che R. voile pure in prosa dar
saggio delle sue debolezze erotiche, e
della sua ability negli equivoci, in uno
scherzo in lode dell' Vccello. lo ne ho
fatto ricerca, ma non mi e stato dato
imperocch^ autore di questo come di altri drammi fu Giovanni Andrea Moniglia ; e R. non fece
che gli argomenti e le descrizioni in
prosa di ciascun atto ; descrizioni
assai vivaci, quantunque sempre un po' verbose, e nelle quali egli dimostra una
cognizione vasta e minuta della
raitologia. Che egli poi fosse, come si
dice, assai padrone del latino e delle
bellezze di quella lingua apprezzatore
autorevole, oltre 1' accorta interpretazione che nei suoi dialoghi filosofici fa sovente di squarci di
classici, e argomento sicuro la
Traduzione della prima Lettera del libro
1° di Cicerone ad Quintum Fratrem superiormente notata. Ed io ho detto gi^ come
questo esercizio, si proficuo per ogni
rispetto, introdusse R. nel suo secondo
Arciconsolato (1650) tra gli Accademici
della Crusca ; e come il suo desiderio ed i suoi eccitamenti non andaron
delusi. Se devo dar pero il mio giudizio intorno a questa versione, sembrami
che in mezzo a' molti pregi, come la
scelta di soggetto morale, la lingua, la
fedelt^, la eleganza, scoprasi il difetto di
una eccessiva imitazione del periodo latino e del giro ciceroniano, e di quel Lei invece del tu
adoperato, che ti divien quasi ridicolo,
una volta che pensi esser traduzione dalla lingua del Lazio. II buon Canonico
Moreni troppo facile alia lode e troppo inclinato alia scusa, vuole giustificare in cio R.,
notando come appaia che egli con si
fatto signorile trattamento abbia qui voluto conservare la stessa sostenutezza,
che Cicerone uso col fratello suo in questa seria, e quasi rimproverante lettera ; come
se r altezza o propriety, o la bassezza e indecenza del linguaggio stesse nel lei o nel tti, o non
piuttosto nella gravita del concetti che
possono manifestarsi propriamente anco col dolce tUy appellativo con il quale
il Casa monsignore, e il Moreni canonico
si rivolgevano a Dio stesso nelle loro
pregliiere, senza credere, io penso, di
mancare a lui di rispetto. Deve dirsi pertanto come questa fosse una tra le altre curiose
debolezze del prior R., che viveva in
quel tempo come di grandi imprese, cosi
di stravaganze e di capricci fe^
condissimo. Voglio riportar qui due soli versi della fine di quella lettera, e che mi si dica se
non par di vedere il grave Cicerone
comparire ad alcuno diuanzi vestito con
seta, nastri e rasi, e fare mutatis mutandis un complimento galante a una
signora di conoscenza che incontra, mentre lo stesso monsignor Della Casa lo vede da lontano e sorride. « Cio
conseguir^ ella facilissimamente (ecco
le parole) se penser^ che io, cui sopra
di ogni altro ha premuto sempre in dar. gusto,
mi ritrovi di continuo con esso lei e intervenga a tutti i suoi discorsi ed azioni. Resta adesso che
io la preghi ad avere ogni possibil cura della sua salute, s' ella vuole che io e tutti i suoi godiamo la
stessa, e le bacio le mani. > E Cicerone fatta la reverenza d'uso, se ne
va Via pe' suoi fatti. Del resto, se questa traduzione imita si
brutto costume, allora assai in yoga anco nella Francia, dove appunto nelle Orazioni di Cicerone,
traducevasi la parola Quirites col
francese Messieurs ; ^ poi precipuamente pregevole per il fine morale per cui
essa fu fatta, ed d anco questa una
lodevole espiazione per le mende di
disonesta dalle quali non serbossi immune. scrivendo, il nostro filosofo.
Quantunque di non grande importanza a
prima giunta, ptir mi sembra che questi
fatti sieno, a chi gli osserva con occhio imparziale, di lume e di prova sempre maggiore, e prendano
qui per noi un' importanza che
altrimenti non avrebbero. Non siamo
neanco alia met^ della strada; eppure trapeliamo gi^ qual possa esser la natura della via che
ci tocca ancora a percorrere, e quale la
m^ta. Piii c' inoltriamo, e r orizzonte
nostro si dilata, ed i colori della pittura
che abbiarao dinanzi prendono un aspetto vie piti deciso, determinato e
perfetto. Dallo stato fisico, fisiologico e morale noi ci avviciniamo sempre
piCi all'intellettuale, che tutti gli comprende ed informa : noi vogliamo cogliere il pensiero del pensiero
nel R., come filosofo della natura,
dell' uomo, e di Dio. Ed infatti, senza
por mano ancora alia sua macchina filosofica, noi abbiamo in tre scritti suoi
piii spiccato il pensiero filosofico di lui, abbiamo non piii tanto il letterato e 1' accademico, quanto il
ragionatore. Quantunque, come di altri
e accaduto, un suo discorso sulla Fortuna sia rimasto inedito, pure siamo in grado di ten^er parola del concetto che
dovea informarlo, argomentandolo dall' altre opere sue filosofiche, dove appunto della fortuna discorre. Ed
aggiungo anzi che non sarei lontano dal
credere che questo discorso sulla
Fortuna non fosse su per giii se non quello che nel corpo di quel suoi dialoghi sul medesimo
soggetto ritrovasi. Comunque, e da
notarsi che questo discorso egli lesse
a' 20 febbraio 1654, in una solenne Accademia che fu pubbKcamente tenuta nella
Sala de' Bona del Palaz zo Pitti, per
onorare il principe Giovanni Adolfo,
fratello al re Gustavo di Svezia. Arciconsolo
allora era Lorenzo Magalotti (intimo di R.) come ricavasi dal Diario deU'Accademia, e letto da
quello un elegante proeraio, discorse poi V Imperfetto della Fortuna con sottigliezza, novita ed
erudizione piii che ordinaria (Vedi
MORENI, Prose, pag. XX in nota),
mostrando come fecero innanzi il Petrarca, lo Speroni, e molti altri la fortuna non esser che nome
vano in se stessa, e invece sotto tal
nome cui il volgo o pensatori traviati diedero corpo e figura, nascondersi
I'esecuzione del volere divino; e combattendo il caso contro Epicuro, e recando a sostegno de' suoi
pensamenti i pitl celebrati autori
antichi e contemporanei. Conforme poi
alle teoriche Galileiane e coUe leggi
del suo metodo sperimentale e condotto il discorso del R. contro il Freddo positivo. Discorso
ingegnosissimo per argomenti di prova, e, secondo il Dati, mirabUe (Vedi Dati,
Lett, a pag. 69), che il nostro prior
Orazio recito in un' Accademia fatta a bella
posta in ossequio e trattenimento del famoso cardinale Delfino,
patriarca di Aquileia, il quale trovavasi
allora di passaggio in Firenze, e a cui R., lo vedemmo, era legato in amicizia, giusta ne
fanno fede le lettere indirizzatesi
scambievolmente. Non e qui ufficio
nostro il farla da fisici, e per6 non discutiamo sul valore reak delle ragioni addotte dal R.
in appoggio della sua tesi: vogliamo
solamente presentare il disegno di
questo suo lavoro, per dimostrare come
nella filosofia naturale egli, quantunque nel platonismo cercasse di rinvenire armonia con quelle
medesime verity dimostrate dalla
filosofia moderna, in tutto seguitasse il metodo inaugurato dal Galileo, con
cui si rapidi progressi pot6 fare la
scien za fisica, che fu solamente allora creata. Egli dunque voile provare il
freddo essere privazione di calore,
contro lo Smarrito (il Dati) e il
SoUecito (il Capponi) che fortemente mantenevano il freddo essere positivo e reale. Si fatta
questione, ne ricorda il Moreni, (Prose ecc,
pag. XXI) comincio a ventilarsi nell'Accademia del Cimento con grave dissenso di vari insigni
soggetti, che la coraponevano, in tal
materia, e che tento di risolvere il
dottor Giuseppe Del Papa con la sua
celebre lettera a Francesco Redi, sostenendo che il freddo non e che una sempKce privazione, ed
un mero discacciamento del caldo, e non
gi^ una sostanza positiva e reale come
pare la volesse il Dati, versato assai,
del resto, in cose naturali e di fisica. E il Rucellai, con grande compiacenza,
premette come Platone dice,
dal.tramescolamento del fuoco con gli
altri elementi nascerne il moto, e dal moto le generazioni. > E non solamente per eccitare il caldo
nei nostri sensi vuolsi il moto, ma lo
stropicciamento dei calorifici con le parti sensibili. > Tutti gli atomi, che non sono
calorifici dicogli sieno frigorifici, e
in tal caso solo gli concedo, che 6 il medesimo essere il freddo privazione del
caldo. > Le cose lisce appajon piil
fredde delle rozze, perch^ si turano i passi agli stropicciamenti degli atomi, uscendo e entrando pe' nostri pori. > Ci par freddo il piede, essendo nel
letto, e non la coscia, perch^ il freddo
lo consideriamo e conosciamo in comparazione del pii\ caldo. > 11 secco e il buio, che sono
privazioili, non forman patimenti, come
fa il freddo. > Si vede, che del
fuoco n' 6 tenuto conto, e gli h stato
assegnato la propria stanza ; il che non si vede seguir del freddo ; bench^ dicano nelle neve, e nel
ghiaccio ch' 6 una minima parte e un
accidente dell' acqua. > L' umido e
il caldo esser cosa vera e sostanziale,
ma il secco e il freddo esser di loro la privazione. > Dicono il freddo aver azione e moto
come si vede nelle sperienze del caldo e
del freddo e delli agghiacciamenti ecc. >
Scorgesi qui, io diasi,.applicato nella sua pienezza il metodo del Galilei, ed una prova novella
percid di quel contrasto di pensieri e
dottrine che andiamo man mano
riscontrando nel nostro filosofo. Che
se innanzi di passare alia esposizione e all' esame diretto dei suoi pensieri
filosofici intorno all'uomo, alr universe e a Dio, vogliamo ancor piii vedere
quanta rispondenza ci sia tra lui e la
sua eta, non dobbiamo che gettare uno
sguardo, ancorch^ rapido, non tanto
sulle sue lettere, quanto sopra il suo breve, incompleto, ma pure
importante scritto che porta per titolo: Pianta della Corte e del Rigiro di
Roma. Son dodici pagine in 4*, divise in
due capitoli, il secondo dei quali non
terminato. Le lettere del prior R.
pertanto non destano, per verity, in
generale grande interesse, imperocche
scarse di numero le conosciute, e non aventi una qualit^ scientifica; ma
o accennino all' invio di scritti
scientifici a' suoi amici, o parlino di cose domestiche, o sieno incensate alia bont^ de' Principi suoi
padroni ; nondimeno esse servono a
chiarirci alcun po' delle relazioni sue
con i dotti contemporanei, e delle qualit^ deiranimo suo, e del tempo in cui
alcuni lavori filosofici furono da esso
scritti, e dell' ordine da assegnarsi loro; e qualcuna di esse, diplomatica,
manifesta nell' uomo nostro accorgimento non comune e conoscenza profonda del
cuore umano. Stando alia numerazione
delle lettere familiari, data dal
canonico Moreni, esse non sarebbero in numero
minore di cento; ma pubblicate non ne abbiamo che 36; e io, coU'aiuto del chiarissimo cavalier
Cesare Guasti, ne ho potute ritrovare alcune
altre, 8 o 10, di poco conto perd,
inedite, nella Biblioteca Palatina tra gli Autografi, e nell'Archivio Centrale di Stato in Firenze.
Quelle edite, come bene giudicd il
Moreni stesso, {Prefae, alle Led., pag.
VIII) quasi che sempre conservano un non
so che di grave e di eloquente, e mai sempre
appaiono scritte con facility di stile. Se non che, per dir il vero, in qualche parte scorgesi, ed in
special guisa in quelle al cardinale Giovanni Deliino, una monotonia di sentimenti e di idee, altresi in lui
inevitabili, perdxh quasi tutte aggiransi, con maniere pero varie e distinte, suUe di lui lodi e ordinariamente
su di uu medesimo soggetto. Ed aggiungo
che per istile, che a lettera si
convenga, troppa contorsione e ridondanza
di period! alcuna fiata tu vi ritrovi, non dicevole, parmi, a chi deve tra parenti ed amici discorrere, e
manifestare, tutt' altro che in una Accademia, i proprj pensieri. Nello stile
adunque ritrae del secolo, e nei pensieri anco talora ; sicche quando egli
scende al faceto fiorentino, vedi cid
farsi da lui con isforzo, e non con
quella tanta facilita che riscontri nella propriety del dettato, giustamente encomiata dal Moreni e
da altri. Sul contenuto di queste
lettere sarebbe superfluo intrattenersi, dappoich^ lungo il corso del nostro
cammino ne abbiamo fatto tesoro e ne faremo ancora per illustrare V uomo, gli atti e V opere sue
letterarie e filosofiche. E neppure
minutamente ci fermeremo nelle
politiche, delle quali assai duolci di non avere che due tre, mentre e probabile che altre piii ne
giacciano ignote. Scrive in esse al signor Poltri, allora Segretario delle LL. Altezze in Firenze, e lo
ragguagUa dello stato di Vienna e di Polonia, ed esamina le condizioni interne
ed intemazionali di quei paesi, e piil
specialmente le quaUt^ di quei principi.
Ed ^ notevole, invero, che egli in quel tempo di vincoli al pensiero e
di animi proni all' adulazione dei
potenti, fino a encomiarne le ingiustizie e gli abiti malvagi, dimostrisi indocile a questo
difetto, sicche dimentichiam volentieri
le piaggerie al suo Granduca, e le
eccessive proteste di devozione e di servitii, e conyeniamo anche una volta col Magalotti che
lo appello r uomo piil proprio a forniare un principe (Vedi Palermo, Manoscr.
Pal.^ Vol. Ill, Avvertiinento). Se non
che confrontando le date, rincrudelisce la piaga, dappoich^ osservisi come le piil libere o
meno serve di queste lettere scrivesse
piii giovane, le piCl ligie piil vecchio
; quasi coll' affievolirsi del vigor dell' et^, quelle pure di liberi sensi deteriorasse, o per
timore di perdere protezione, o per altra causa di debolezza li tacesse,
sentendoli uguali, ossivvero scrivesse al suo principe altrimenti da quelle che
avrebbe desiderate. Ed infatti chi ha
letto in quali termini R. protestasse a
Ferdinand© II dei Medici e ad ogni principe la servitii sua e de' suoi figli,
pud scorgere il divario profondo che v' ha nelle condizioni dell' animo suo in quel tempo, e quando cosi scriveva al
Poltri, da Varsavia, intorno alle
qualita del re Vladislao, presso cui era
stato dal Granduca inviato in legazione straordinaria : Noi vediam qui come R. sembri assolutamente
sciolto da qualunque legame, e non guardando
in viso a persona, ne censuri aspramente i vizi e tanto piti gU dispregi in un Re il quale preferisca
V utile proprio al bene del popol suo, o
questo solamente ricerchi, perch6 appunto gli ^ via ad ottenere il proprio vantaggio. Lo che dimostra bene quanto
rettamente pensasse intorno ai doveri di
un principe R., e quanto, conoscendo le
bugiarde apparenze delle corti, egli di
certo avesse bramosia di smascherarle ad utility dei soggetti; e cid vedesi piu
ampiamente nella parte morale dei suoi
dialoghi; ma il volere rimaneva
pressochd inefficace o sortiva un efFetto ben lieve, una volta che ritornato in patria lasciavasi
vincere da miUe riguardi che un uomo
dabbene ma debole co-stringono, se non altro, a rimanersene muto di fronte a ogni abuso. Dove poi nel R. piil si vede spiccare
quel conflitto di sentimenti si 6, rho
gi^ detto, nel suo scritto su Roma. Non
giova riandare le condizioni poUtiche ^ religiose d' Italia e della Toscana
principalmente in quel tempo; ch^ ci sembra sufficientemente aver chiarito tal punto. Giova pero averle in
mente ora coUe quality morali del
filosofo, per apprezzare in lui, amico
di Principi e di Cardinali, quella liberta
di pensiero che sembra scuotere a un tratto ogni giogo, sfidare il passato ed il presente,
protestando contro certi non lodevoli
usi della Curia Romana. Si; protestava
di fatto il filosofo, e la sua coscienza sapeva bene distinguere, quantunque
scrupolosamente cattolico, il principio dagli uomini, la bont^ di un' istituzione ed i vizi di chi la
sostiene ; se non che apparisce che egli
non avesse coraggio di pubblicare tale protesta, e fors'anco quello di
terminarla, sebbene tante verita gli piovessero dalla penna e dall'animo. Sono i due sentimenti che
contrastano in un medesimo uomo, il
sentimento del vero, il sentimento del timore, e il secondo sciaguratamente
prevale. Nel V Capitolo pertanto, R.,
con ampiezza di vedute dimostra : come V
tiguaglianjsa di tutte le condizioni degli uomini, alle pretensioni di Boma fu
sempre giovevole, sinche le dignita e le grandezse furon premio solamente dei meriti e delle virtu, E
nel secondo: come tutti i Governi ove s'
intruda V avarizia e V ambizione rovinano, e quello di Boma con esse piu che
mai si sostiene, E per giungere aUa
dimostrazione della prima tesi egU
osserva, come la Repubblica universale
di Roma ebbe per suo sostegno nel suo istituto originario quel misto
perfetto dei tre stati, monarchico,
Ill aristocratico e democratico,
reputato per la forma piii durabile e
meglio ordinata • di tutti i governi, dove
ella si mantiene nella sua bene accordata armoida, e che r uno stato di essa ben corrisponde, e
serve di correggimento all' eccesso
dell' altro. Ella d questa, si Bcorge
tosto, la teoria stessa di Cicerone e del Machiavelli riprodotta nel suo
genuino significato, 1' accordo della quale pero coll' indole della vita del
Rucellai tutto intento al servizio di un principe assoluto, sarebbe per noi sempre un eninuna, dove non
avessimo la via a spiegarlo nelle
ragioni tante volte, discorse. E soggiunge E ponendo in rafironto cio che di Roma
discorre Quinto Cicerone al fratello, con quello che era Roma in quei di, e alia stretta somiglianza delle
due Rome guardando, soggiunge (notisi,
di grazia, perche qui si ritorna all'
antico) che egli ha voluto registrar cid in
questo luogo perche si conoscc che o sia la postura del cielo, o sia pure la necessity dei
medesimi fini negli ultimi tempi della
Repubblica romana, forse come oggi
adulterati e guasti, hanno come posto i temperamenti conformi, influiscono similmente negli animi
la stessa maniera e inclinazione di
costumi, e nell'una e nelr altra etade s' introdussero e stabihrono nella
Corte di Roma contro la virtil e contro
la piet^ della sua primiera istituzione,
tutte quelle arti che piii si producono dair opere della malizia, che dalla
carita e dalla devozione. Si pud dunque
concludere, che la macchina del rigiro
di Roma stia appoggiata sopra r estremo
del vizio, non sopra 1' eccesso della virtii,
perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto gli uomini sono piti nemici, tanto piii usano
tra loro atti di confidenza, e piii
liberty di tratto. E le destre che sogliono
essere testimonii di fede, sono in loro
violate dall'inganno, e dalla malizia di
farsela 1' un V altro a tempo, e con vantaggio, e quegli solamente 6 stimato piii valent' uomo, che
pu6 piti. Quindi avviene che qualunque e
reputato uom di valore nelle altre
regioni del mondo, venendo a Roma si perde, trovandosi in una diflerente scuola
da quelle, ove s'apprende ad esser
soggetto grande con le virtuose azioni.
Quei dunque, che si mette a vivere in questa
Corte non basta che e' sia letterato e sapiente, quanto se gli conviene il saper ben discernere i
vizii altrui. Ceda perd alio stile del
paese, mantengasi per sd nelI'arti virtuose, ma assuefaccia I'animo educato
ne'buoni costumi a non si scandalezzar
de' pessimi. Se il Bianchi Giovini avesse scritto il rigiro di Roma, credo che avrebbe potuto scriver in questo
modo ; piii liberamente, non giudico.
Egli seguita sempre su questo piede, ed
e cosa ammirabile, senza intaccar mai i
principj, guardando ai vizi degli uomini, e dando cosi una lezione a noi che gli uni cogli altri
tramescolando, condanniamo con maliziosa
leggerezza i primi in un co' secondi,
dimenticandoci o fingendoci di dimenticare
i canoni piii elementari di logica, per non dire di buon senso e di buona fede. Ambizione, interesse private, ipocrisia,
inganno ed invidia, ecco adunque, per
cosi dire, i fili conduttori nell'
intricato labirinto della Corte di Roma per chi vi s' introduce e pretende di avvicinarsi al suo
centre, dappoiche fu distrutto quel
principio d' ordine nell'armonia dei tre elementi dello stato perfetto, e
incominciossi a misurare V ability degli uomini, non dai meriti dalle virtii,
ma si daU- interesse e dal genio di chi
comanda. Ognuno cerca per aggiungere il
suo talento di tener quella via che
stima pitl opportuna, di tener dietro a
quel flip che pensa o vede piu atto a condurlo ; sicche ognuno s'infinge per quel che non ^, e si
maschera dell' estremo contrario di quel
ch' e' si sente dentro nella sua propria
natura. La virtii dunque nella Corte
di Roma sempre adonesta gli avanzamenti
quantunque non abbia parte nell'
avanzare. Evvi dunque una Koma apparente, e
una Roma reale; e R. ve le descrive a meraviglia con una vigoria di
concetti e di immagini, che sembra il
Frate Ferrarese avergli in certi dati momenti spirata in petto la disdegnosa
anima sua. lo rimando, a persuadersene
meglio, il lettore alia fine di questo
libro, 1^ dove ho riprodotto per intiero e
per la prima volta qtiesto libello incompleto, ma pur bastevole perchi^ ci facciamo un' idea chiara
dell' animo di R. intomo al govemo di
Roma, che si fondava, secondo lui, sopra Y ambizione e V interesse private. E
tanto egli era cattolico e distinguevabene
religione da uomini di Chiesa, che questo primo capitolo fa terminare
cosi: II secondo capitolo e breve, non
compiuto, e insieme importantissimo, in quantochd volendo provare come tutti i governi ova s' intruda 1'
avarizia e 1' ambizione rovinano al contrario di quelle di Roma; il R. stabilisce essi vizj essere il tossico che
la giustizia distributiva corrompe e
distrugge, e i fatti antichi e modemi lo
confermano, seguendo le teorie deir
Alighieri professate nel De Monarchia. Intorno
alia nobilt^, espone in un modo determinato come questa giustizia distributiva, senza la quale
riman cadavere, e imperdsenz' anima e senza vita ogni stato, intenda ad uguagliare gli uomini sotto le
leggi della virtii, la quale solamente
pud esser base di differenza tra gF
individui, e non le ricchezze ed il genio, cio^ il capriccio e 1' ingiustizia. Cid espone in
brevissime pagine col solito vigore di argomenti, coUa solita leggiadria del
dettato; ma rimane qui, come si vede, al
principio, almeno in questa copia, I'originale della quale, e chiss^ che tutt' intiero, sar^ forse
con altre cose smarrito o nascosto. Mentre io deploro 1' incompiutezza di questo
scritto,in cui da cima a fondo si sente un' aura dell' dra modema che spira, e
la coscienza deU' uomo per la forza
oltrepotente del vero distrigata un istante daUo scrupolo e dal timore,
protestare contro i vizj o le loro
sembianze; tuttavia mi riconforto nella certezza che il lettore avr^ aggiunto un argomento di piil
a sostegno di quel ch' io scrissi in principio, e che d come il perno su cui gira, pud dirsi, e consiste il
mio librc' Ad eliminare poi anche Tombradel dubbio che potesse sorgere, per
avventura. sulP autenticit^ di questo scritto, riporto qui Qui R. non 6 piil
I'uoino del Medioevo e del Rinascimento;
non ^ piil 1' uomo ligio all' autorit^;
e il filosofo modemo che evitando gli eccessi del Bruno, riprova gli scandali del chiericato, ne
condanna, per ainore della religione che
ei professa, gli abusi; e innamorato del vero e della virtil, al pari di
Platone, richiama con severe e giuste
rampogne a tornare nella via smarrita lo
stesso sacerdote, il quale, immerso talvolta nello interesse mondano, posterga
i principj deir Evangelio, egli del
Vangelo e della carit^ cattolico
banditore. in nota, come a confronto,
cio che trovo scritto dal R. stesso, nel
suo trattato della Provvidenza, pag. 368. Tip. Le Monnier. — « Ed io vi replico esser verissimo die tutte
le cose che si fanno fannosi per divino
volere; e questo il fato si h. cio 6, decreto infallibile di quanto ab eterno
e' dispose ; ma dagli uomini per lo libero volere le cose si deterrainano, come
dianzi si disse. E siami lecito, signor
Elea. far qui riflessione sopra cio che avete mentovato di Roma; come Roma antica, mentre fu
appoggiata al valore, al buon costume e
alia virtii diquegli animi, si feo padrona del mondo; ma degenerando da' suo' principii si spense,
perchfe cosi voile la divina
predeterminazione per mezzo del libero arbitrio mal guidato dagli Qomini. E questa Roma moderna. che fondata su
la pieta su la poverty e su I'esempio del mondo anch' essa signora divenne,
mutando costurai pill che mai si
mantiene: manifesto segnale come malgrado
de'vizii piii licenziosi degli uoraini la religione sostiene loro,
non essi la religione sostengono, la
quale pero vince ogni regola perch^ ella
k forte braccio e onnipotente della Provvidenza divina. Come ci condurremo
quind' innanzi nel nostro lavoro.
Esposizione de'Dialoghi filosofici. Critica. — Perche si pretermettera
la critica minuziosa delle dottrine filosofiche del Bucellai. — lucertezza del tempo preciso in cui farono
scritti i Dialoghi. — Certo e pero che
son parte di mente matura. — Quattro codici manoscritti de* Dialoghi, e qaali di essi pud
considerarsi autografo. — Parole del
prof. Palermo. — Una lettera di R. al Granduca, intorno air ordine di quest! Dialoghi. — Noi
segniamo, neir esporli, questo ordine. —
Si riporta, e perche, V intero Preambolo ad essi del Bucellai. Quando nei precedent! capitoli si e discorso
della vita e degli scritti minori di
questo filosofo, dopo aver dato uno
specchio generale delle condizioni intellettuali, politiche e morali d' Italia nel secolo
decimosettimo ; a ciascun argomento
facemmo precedere sempre una descrizione pitl particolareggiata di esse,
secondo che appunto il subietto nostro
particolare esigeva. Venendo ora a
discorrere dei Dialoghi filosofici di lui, stimiamo meglio invertire quest' ordine, senza recar
percio verun pregiudizio alia chiarezza
e alio sviluppo logico della
dimostrazione. Imperocchd di gia con sufficiente ampiezza abbiamo
tracciate certe linee che della figura
ci somministrano un disegno abbastanza determinate, sicch^ pitl non vi sia da smarrirla, e non ci
resti che colorirla piii e piii, e
ridurla a compimento maggiore. E pero la
nostra mente condurr^ quind' innanzi il suo
lavoro cosi: stabilito Tordine materiale, e il fine di que'Dialoghi con critica e precauzione,
adoprando in ci5 il finqui messo in sodo
con evidenza da altri; ne esporremo con
qualche larghezza il conteniito, come di
un' argomentazione e de' dati di un problema farebbesi, e indi, fermatili bene, procureremo di
scioglierlo, rivolgendoci ad un esame piii accurato ed attento delle diverse opinioni filosofiche che
combattevansi allora, e ponendo in
chiara luce quel che veramente il Kucellai
ha fatto, quanto e come le abbia adoprate, con quali intendimenti e criterj, ed il posto precise,
per conseguenza, che gli si spetta nella storia del pensiero italiano. Ne
questo disegno esclude aflfatto che man mano
si espongono le dottrine del nostro filosofo e s' iacontran de' punti
cardinali che servono a qualificare il suo
metodo e il suo sistema, noi possiamo farli rilevare, e notarli, e raccomandarli alia
considerazione del leggitore; ch^ poi essi devono trovarsi come di riscontro
alle loro sorgenti generali, apparseci nell' esame del pensiero di quel tempo, e queste e quelle
ricondurci sicuri al punto d' onde
muovemmo, e che nel cammino ci servi
sempre come il centro di un circolo serve ai
punti della sua circonferenza.
Aggiungasi che pel fine e intendimento nostro non importa guari intrattenersi minutamente sulla
critica delle dottrine di questo
filosofo, bastandoci, a mostrarne il suo
eclettismo e scetticismo, di fermar Y attenzione su que' punti che lo appalesano piii, e indi
non ci venga attribuito a soperchio se
oltre I'appendice di cose scelte
letterarie, scientifiche e morali, nello sviluppo di questa parte del libro
intrecciamo la citazione di varj e non brevi pezzi di questi Dialoghi, che pitl fanno all' uopo. Imperocche appunto
trattisi qui di esporre i pensieri filosofici d' un autore, la maggior parte degli scritti del quale sono inediti,
come puo ricavarsi dalla Nota di essi. Cosi facendo, penso inoltre di rispanniare ai lettori quella lunga fatica
che ho dovuta spendere io nello scorrere tutti da cima a fondo questi Dialoghi, che pel diffuso stancano
spesso; ed infine riferendo qui nel mio
Hbro le cose pitl importanti di questi, mentre lo pongono, risolvono, sto
per dire, o almeno agevolano di assai la
risoluzione del problema ; lasciando poi a chi avesse in animo d' intrattenersi
sull' ultimo sviluppo che ebbe il platonismo nel secolo XVII col R., il quale chiude il ciclo
del Rinascimento in Firenze, di recare piii attenta anahsi nei suoi libri su cio ; come ad altri altre cose ; io
per me che considero R. da un punto di vista meramente storico e ne noto, per
tal rispetto, Y importanza, non son
tenuto a quel lavoro di paragone, a quello studio di trasformazioni e trapassi che le dottrine
platoniche subirono dair origine loro conosciuta fino aH^ Imperfeito; lavoro del resto della somma importanza e di
grandissima utiKt^, e che io auguro all' Italia si faccia presto e da uno de' suoi ; e credo aver motivo di
acquietarmi nella speranza che questo
augurio trover^ sollecito il suo
compimento feKce. E per primo il tempo
preciso in cui questi dialoghi farono
scritti, non possiamo determinare a puntino,
malgrado che nolle sue lettere R. accenni ad alcuni di essi che aveva allora, mentre
scriveva, compiuti, o si accingeva a distendere. Quel che bene si scorge (e del resto per noi piii importante),
d che tutti questi Dialoghi sono parto
della sua mente matura, imperocch^
solamente dal 1665 in poi troviamo da lui
uomo adulto fatto cenno agli amici ed al Principe di questi lavori scientifici, intomo ai quali
indefessamente aveva per lo innanzi lavorato e proseguiva ora a lavorarvi.
Omettendo di citare le lettere scritte dal nostro filosofo a messer Giacomo Altoviti, al
Patriarca Delfino ed al Redi, nelle
quali fa menzione or di questo or di
quel soggetto filosofico trattato da lui, e che man mano ricopiato 1' avea ad essi e ad altri amici o
illustri personaggi per mezzo di quelli mandavalo; io, come il chiarissimo
professore Palermo nel Vol. Ill, dei Manoscritti palatini^ daro intorno a questi dialoghi un
qualche cenno, e verrd con un brano di let^era scritta dal R. al granduca Ferdinando II, nel maggio del
1665, a stabiUre 1' ordine (un po' incerto nelle diverse copie) e a conoscere il disegno che I'autore aveva
architettato intorno quest' oper a, che
per mala ventura rimase incompiuta.
Delle quattro copie di questi Dialoghi filosofici da me tutte esaminate con diligenza, la Palatina,
la Magliabechiana, e quelle che si conservano nella libreria privata dei
Ricasoli Firidolfi, le piii emendate sono queste ultimo due, copie entrambe, la prima in
dodici tomi nella massima parte corretta
e aggiustata dall' autore, e che per6 fa
citata dagli accademici della Cru
sca come r originale. La seconda
in quattordici tomi apparteneva a Lorenzo Pucci, e Anton Maria Salvini vi
acconcio di sua mano gli sbagli propri del copista. Gi^ discorrendo della vita
scientifica dell' Imperfetto (cap. Ill),
avemmo occasione, ^ vero, di conoscere lo intendimento acui egli mirava principalmente con questo
scritto; ma era al disegno materiale ^
non inutile il far seguire il preambolo di
R., nel quale espone ampiamente il
concetto primo di essi. Nel primo
esemplare della libreria Ricasoli, pertanto,
i Dialoghi in numero di 65 sono cosi disposti nelle tre viDeggiature. che eseguird volentieri. Le
invio il preambolo, onde si ricava 1'
ordine e la distinzione di tutto il mio proponimento. Dipoi ho stimato bene
lasciare il primo Dialogo contro i sofisti, che serve solamente per
introduzione alle varie opinioni de' Filosofi intorno ai principii della natura, non essendo ripulito ; e mando
il secondo dialogo sopra I'opinione di
Talete Milesio, che tenne r acqua per
principio universale di tutte le cose ; proposizione non molto difficile a
esser trattata. Appresso, saltando il
numero di 25 dialoghi gik fatti, ma non
pienamente corretti, e due o tre a' quali non ancora ho messo mano, sopra V opinione d' Aristarco
Samio, le trasmetto i tre primi Dialoghi
sopra il Timeo di Platone, dei
quattordici che ne ho imbastiti; parendomi che questi trattino, sopra tutti gli
altri, cose molto malagevoli a
spiegarsi. Delia prima villeggiat ura, che 6 la Tusculana, ho da fare due o tre
dialoghi innanzi al Timeo; e dopo uno sopra la filosofia d' Aristotele, che non ho ancora cominciato.
(Vedi conferma nella Trovvidensa^ Le Monnier, pag. 188, dove si rileva che questo trattato della
Provvidenza va dopo il Timeo) E appresso
ne vengono sedici dialoghi sopra r
opinione d' Epicuro, che ho messo insieme, ma non ancora bene ridotti ; e diciotto contro il
medesimo Epicuro, della Provvidenza divina, che gli ho finiti, ma non messi al polito. Della seconda
Villeggiatura, «h'^ r Albana,
dov'entrano dialoghi della natura dell'anima
vegetativa e della sensitiva, compresa da molti dialoghi di notomia, gli ho tutti distesi, ma non
rivisti; e ne ho da fare due di pianta
sopra Tanima ragionevole. Delia,
villeggiatura Tiburtina, ch'd 1' ultima, la quale contiene materie morali, ne ho fatti
parecchi, ma ne avrei da fare
altrettanti. Vero e che ho repertoriato
ogni cosa ; e se ho tempo e quiete, che mi viene interrotta spesso e
dalle cure familiari, e dai disastri della
casa, che mi tengono in liti continue, spero in diciotto mesi o due anni ridurre ogni cosa al suo
termine. Ci trover^ delle cassature e
delle rimesse, qualche errore d'
ortografia, per la rarity che abbiamo di copiatori che intendano. > Cio nella lettera. Ma il
suo proposito, negli otto anni che sopravvisse, non gli venne fomito; lasciando, come si ^ detto, alcuni
dialoghi senza 1' ultima mano, alcuni
ammezzati, e quali poco nulla fuori il
disegno. E quanto alia lor disposizione,
parrebbe anche questa, aggiunge il professor Palermo, non fosse in tutto fermata. Poiche nell'
originale i dialoghi contro Epicuro seguono i primi sedici ; onde noi gli abbiamo allogati anche cosi. Ma nel
dialogo XXII si rammenta il Timeo, come
discorso dinanzi; e il Timeo vuol prima
di sd i quattro dialoghi intorno alle
matematiche. E forse pero nella copia Pucci ai primi sedici attaccansi questi, in tre, e quindi il
Timeo; e nella copia Palatina il Timeo
senz' altro avanti ai Dialoghi contro
Epicuro. lo pure nel discorrere terrd
quell' ordine come il pitl logico e
naturale, e vi porrd tutta la cura ch' essi
meritano, poichd, quantunque vi sia del mancante, pure bastano a costituire un importante e
quasi compiuto edificio, e a rappresentarci intiero il sistema ed il metodo di questo filosofo toscano. N^ ^ meno utile, com' ho gi^ detto,
premettere qui per intiero il preambolo
cheva in testa ad essi dialoghi, e che
ci dimostra con maggiore chiarezza r
obietto principale e nobilissimo loro. fi un' orazione toccante quant' altra mai e di bellissima
lingua, che varr^ a riposare, ricreandola,
la mente del leggitore, il quale pure da
essa potra fin dai primi periodi rilevare
la natura deUa filosofia che R. vuole insegnarci. Dietro alia
meditazione dunque della virtii, io mi
ridussi, siccome voi vedete, sotto '1 benigno, e salutifero cielo di
questo novello Tusculo, dove 1' orribile
rammemorazione sfuggendo, e' rischi della mortifera pestilenza, che poc'anzi incominciata a
Napoli, o per la corruzione dell' aere,
o pe' venti, che dalle parti Orientali
soffiando, seco ne la portaro, s' e nella citta
di Roma miserabilmente appigliata, nulla dimora parve agli occhi miei piii gioconda, n^ piii
sicura, e piii lieta di questa, ne
cotanto in si spaventosi tempi per le
nostre speculazioni appropriata. Vennemi qui subito in mente di quelle cotanto feconde, che M. TuUio
ci fece gi^ sopra di questa virtii in
quelle torbide congiunture delle
soUevazioni civili, e si al medesimo m' accinsi, forse con troppo animo, anch'io per
I'amenita, e per le solitudini di queste
ville, desiderosamente cercandola. Ora nel levare, ch'io feci degli occhi al
cielo, mi ricordai di quanto ne
ammonisce il nostro Poeta: « Chiamavi
il cielo, e intorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne. »
> Percid mi misi a guardar fiso d' intorno a questo nostro Emispero, e oltre agli stupori, che di
lassii in varie guise agli occhi nostri
lampeggiano, volt^mi a basso, e posi
mente alle innumerabili creature, onde
si vede la terra a maraviglia ripiena. Qui considerai con qual ordine, e magistero elle sono dalla
virtuosa, e poderosa mano guidate della
Provvidenza suprema, ch' elle paion
fatte tutte per noi, e come dalla loro
ingegnosa architettura apprese lo intelletto umano i piii industriosi esempli, e coll' imitazione
della natura fecesi maestro dell' arti,
talmentech^ i' mi rimasi siccome attonito a prima vista, e adombrato da una
virtii si grande, che da 1' essere a
tutte quante le cose, e reputaila in
ogni modo per 1' oggetto piti proprio delle
nostre meditazioni ; imperocche mi si fe' innanzi per ricordanza quel che il Timeo ne insegna,
cioe, le infinite bellezze, e maravigliose di questo mondo visibile, essere lo specchio di quelle piii perfette, e
piii ragguardevoli, che sono nel mondo intelligibile raccolte insieme, anzi nello intelletto divino per
guisa, che sovvenendomi di que' versi :
« Quanto per mente, e per occhio si gira
Con tant' ordine fe', ch' esser non puote Senza gustar di lui, chi eio rimira; » mi fissai in esso quel piii, e credei senz'
alcun fallo da si ammirabili e da si ben
regelate fatture, qualche sembianza
della ragione universale agevolmente comprendere, di maniera che io pensai di
accenderne in me un certo lume pitl
spiritoso, e piii vivo per additame a voi le forme pitl simili nella virttl, e
con esso lei mettervi sulla via maestra del vivere ; ma appena i' volli ne' segreti profondarmi della
natura, e di Iddio, ch' io immantenente
rimessi 1' animo, e quanto pitt nel
pensier mi stendeva, quel pitl m'accorsi la virttl, ch'egli hanno in s6, vincere ogni sentimento umano, e
vie piii di riverenza esser degni, ch'
agl' intelletti de' mortal! in verun conto proporzionali ; anzi e' mi parve
miracolo, che noi possiamo cogli occhi distinguere, ed abbracciare coll' inmiaginazione 1' ampiezza
di una tal macchina, non che noi
dobbiamo intendere con qual concerto
ella si govemi, e lo spirito, che dentro la
muove, e impercio Dante, che in prima ne invitd alia contemplazione del cielo, ce ne modera poi
I'ardimento, dicendo : « Perche
appressando s^ al suo desire Nostro
intelletto si profonda tanto, Che retro
la memoria non puo ire. » riflessione
veramente proporzionata ad un uomo; 1'
altra e d' Apollo, o di chiunque si sia :
€ Cognosci te stesso, > che era scolpito in fronte al famoso Tempio
di Delfo ; proposizione divero, e ammaestramento degno di un Dio: e '1 medesimo
Socrate, il piii savio per awentura di
tutti gli uomini, a tai fondamenti appoggid la sua vera scienza; perciocch^
stracco dagli studj meno che utili delle
cose naturaU, in ch' e' conobbe poco, q
nulla potersene approfittar r uomo,
tutto alia cognizion di sd stesso si diede, ciod a dire, alia Filosofia Morale, ch^ egli ebbe
per irreprobahil dottrina, e per V unico oggetto, e pel giovevole dell' intelligenza umana. Verremo pertanto
con amendue le sopraddette proposizioni i nostri presenti trattati regolando ;
ravviseremo in prima la fallacia della
Filosofia naturale, onde molti si danno a credere d'intendere quel che
per Io pitl e' non son capaci d' intendere. Quindi al frutto discenderemo delle
morali, facendoci dalla costituzione dell' Uomo, e delle quality, e degli strumenti, che Io compongono ;
imperocch^ con tal ordine procedendo,
dalle azioni pitl brutali de'sensi,
riconoscendo voi stessi, salir potrete di grade in grade alle pitl sublimi dell' intelletto ed
all'altezza gloriosa della virttt, onde
1' uomo s' illumina, e conservasi tanto
piii simile a Dio. Incomincieremo percid domani a discorrere; e perch^
le giornate, che son lunghe, e Tore
calde ne obbligano a qualche lodevol trattenimento, a niuno piii profittevole repute potersi donare
il tempo, nd scegliersi materia che pitt
di questa all' et^ vostra sia confacevole ; oltre che in si calamitosi tempi
godono le nostre vite sicura franchigia in questo aere salubre dalla pestilenziosa mortality., che
Roma atrocemente distrugge; nelle cui miserie ogni tribunale, ed ogni pill fruttifero studio senza giudici, e
senza contradittori rimaso, e si senza maestri, o discepoli, ogni arte, e ogni Accademia oziosa lasciata; i
pitt litterati uomini in tutte le pitl
nobili professioni sotto si purissimo cielo a loro salvezza rifuggiti si sono;
dove noi in conversando con loro, ed or
I'uno, or I'altro scegliendo per si
deliziose gite de' tesori di questa, e
di queir altra scienza per bocca loro faremo raccolta, e perfettamente ammaestrati ne diverremo; e
'n fra gli altri D. Raffaello Magiotti,
che con esso noi qui ^ dimora, fia il
nostro Socrate sapientissimo in tutti i
discorsi, il quale ben sapete essere insigne e nell'uno e nell' aJttoo idioma ftreco, e Latino,
maestro perfetto di Geometria, ed esimio
in tutte le antiche, e modeme
fildsofiche speculazioni, il cui chiarissimo ingegno in si alte materie, pitl che I'autoritib de'nomi
le sperienze convincono, e V evidenza delle ragioni. Qaal concetto abbia della
scienza il Bucellai, e soe diiferenze da
Flatonc. — Quali erano, secondo R., i fondamenti del sapero, i criteij e il metodo. — Varie opinioni sai
principj passivi delFuni ^ verso.
NecessittL, noli ' esaminarle, di spogliarsi da qualunque preconcetto. —
Gaida e fine deir esame la sentenza socratica « Hoc unum scio quod nihil scio. » — Sfiducia del
Bucellai nelle forze dell* umana
ragione. — II perche di qaesto. — II probabilismo accademico si
scorge qui fin da* primi passi ; e la
fede come ancora di certezza, e di salate. —
Talete Milesio o dell'acqua. — Anassimene o dell* aria. — Graclito del fuoco. — Galileo. — Empedocle o i quattro
elementi. — Parmenide o d*uno eterno. — Anassimandro o dell* infinite. —
Necessity deirinfinito. — II finite non
e privazionc di questo. — Cartesio, o
Tidea dell'infinito prova della sua realty. — Dato ruomo finito, convien ammettere l*ente infinite. — E questo
secondo argomento il Bucellai tiene per
piti stringente di quelle del Gartesio. — Ma si 1* nne che Taltre sone argementi prebabili. —
Anassimandro e della luce.— Galileo. —
II Bucellai nen nega 1* influsse degli astri sal mendo e le cose umane ; combatte per6 1* astrologia. —
La Genesi, sant*Agestino, Dante e 1*
opinioni di Anassimandro e Galilee suUa luce. — Platooe, la luce e 1* anima dell* universe. Ma ^ tutte un pud easere. — Anassimandro o de*celeri. — Zenene ed altri
filesofi. — Si conchiude coll* « Hoc
unum ado quod nihil ado » di Sucrate. — La fede. 11 R., come tutti i filosofi, vuole
esaminare i tre obietti della scienza,
Fuomo, runiverso, Dio. Incomincia daj mondo, passando in rassegna le
opinioni degli antichi intomo a'
principj di esso naturali, guidato dall'
aforisma « quest* uno io so che nulla io so » e dalr autorita. E sul punto di
prender le mosse per questo viaggio, egli infrena, per cosi dire, i destrieri
della fantasia, perchd questa non
lascisi traviare dalle apparenze, e pel troppo desio di sapere, non cada
in presunzione smodata, ne, giusta V
ammonimento platonico, 0, per dir meglio, di Socrate, la scienza sia confusa
colla opinione; o, peggio ancora, questa pigli luogo di quella appresso colore che vogliono
intendere tutto alia rinfusa e senza
scelta veruna, e quello pure che non d
da loro, n^ a' proprj intelletti proporzionale. E a ragione Socrate discorrendo della opinione
che, al contrario della scienza, giudica
le cose per quel che a lei dettano le
immagini e il sogno, chiamavala una
certa demenis^a dell' anima, imperciocch^ mentr' ella s' ingegna di giungere al vero, fa si che V
intelligenza prevarichi, e per lo piii
determini il falso ; anzi, se pure il
vero determina, cio fa ella per caso, talmentech^ se scienza fosse 1' opinione, la scienza
consisterebbe in apporsi. Ond' 6 che per riparare a cio, i primi sapienti della Grecia (detta da Diodoro Siculo la
scuola del genere. umano) aprirono una via maestra, la dialettica, per la quale il naturale discorso, non a
benefizio di natura, ma si camminasse sotto 1' indirizzo della ragione. il notorio come nella dottrina di Platone si
distinguesse la fede, la scienza e 1' opinione, e come secondo Platone la scienza consiste nel giungere agli
universali, cio^ alle idee che sono la essenza intelligibile delle cose ; essenza intelligibile delineata
coUa definizione^ e secondo cui si pud giudicare con certezza delle cose stesse. La opinione invece consiste in
un giudizio piii meno probabile secondo
le apparenze deUe cose, piuttostochd
secondo Fidea loro. La fede 6 un giudizio
secondo Fautorit^. Ora R. pone
queste distinzioni platoniche, ma senza
seguime la dottrina, perchd quantunque egli pure ponga la scienza nel conoscer
le cose in s^ stesse mediante le idee,
nega che si possa mai giungere alia
certezza se non mediante la fede ; talch^ la scienza per lui diviene scienza o certezza nella fede
; da sd sola non 6 che opinione piii o
men probabile, o doxa, EgU esclude
solamente le matematiche, le quali, a
parer suo, ci recan certezza. Ma ^ notabile anche in tal parte com'egli si allontani da Platone,
il quale anzi poneva le matematiche in
secondo luogo, dando il prime luogo alia
scienza delle essenze o degli archetipi etemi, e alia scienza che vi conduce,
ciod aUa dialettica. Finalmente vuol
notarsi che, secondo Platone, la sola fisica non pud uscire dai confini
della probabilita : mentre che pel R.
non pud uscirne la metafisica e la
fisica, ma soltanto la matematica. A
Jeracio poi, sofista interlocutore, che esaltando la autoritit del sommo dialettico Aristotele,
dichiara infalUbile, e i dettami di lui
come oracoli, si che asseveri tutto per la dialettica e perd per Aristotele
poter sapersi, e comprendersi le cose di quaggiil e quelle anche di sopra, il sacerdote Magiotti,
guidator de' dialoghi, oppone che quantunque il filosofo di Stagira sia grande, e dette abbia grandissime verity, pur
le cose da lui proferite non son tutte
vere; e soggiunge come r eccesso della
fiducia proveniente dalla logica meni a
disordini gravi, se ci si arroghi d'intendere quello che ^ racchiuso nella intelligenza divina, e
che il piccolo seno deUe menti nostre non cape; quantunque il discorso per quest' arte si elevi all'
alta contemplazione divina ; ma altro, pel R., d contemplare e il toccar coUa mente le cose superiori, altro
d lo intenderle ed aveme possesso. Di
guisa che anco pel R. la filosofia sarebbe scienza delle ragioni supreme delle
cose. Ma ognuno di gi^ si accorge della
sfiducia che il filosofo fiorentino sperimenta e professa intomo alle forze deUa umana ragione ; intravede subito
che malgrado abbia R. presi a guida i due noti aforismi sulla indagine della
verity, pure nel suo procedere innanzi
ha sempre tese le orecchie alia placida armonia della sua fede, in cui spesso
lo vedremo quietarsi, a mano a mano che
egli procede tra i rumori discordanti delle opinioni e del dubbio. Vuole
avvertirsi ancora come R. non distingua quello che i Platonici tutti distinguevano, e segnatamente Proclo ;
anzi quello che d pur necessario
distinguere secondo la verita dei fatti,
cio^ tra dialettica di Platone e logica d'Aristotele. La dialettica di Platone
d la scienza dell' idee archetipe o
universali, a cui si giunge per contemplazione, discemendo Fidentico e il
diverso. Invece la logica d'Aristotele
espone le leggi formali del nostro
pensiero. Quindi mentre la logica di Aristotele, considerata da s^ sola,
pud servire anco al sofista, la dialettica di Platone no, perch^ consiste nel
cogliere la genuina idea delle cose. Si
pud errare secondo i Platonici, ma perchd non si contempla bene abbastanza,
come si pud errare dal fisico non osservando con esattezza i fatti ; ma la
contemplazione come 1' osservazione non possono per s6 medesime condurre all'
errore. E tanto poi ^ voro di questa
sfiducia di R. che per bocca del
Magiotti, in quel tempo nel quale il
Galileo, suo maestro, creava la fisica, e il Cartesio riportava una non
piil udita vittoria sulle scoperte delTanima, dice: E conchiude
queste che io con Toce militare, ma significativa, chiamevQi parole di
consegna, dicendo che la vera filosofia
non consiste nell'imparar molte cose, nel saper tutte r arti ; ma e' la riduce solamente alia
cognizione di sd stesso, e a quella vera e irreprobabil proposizione di Socrate
: « Quesf uno f so che nulla iosoE nel muoversi
dubbi a vicenda nelle prossime conversazioni, dice consistere la giusta
maniera per ritrovare la vera ragione
delle cose, e non affidarsi aUa sola autorit^ nei maestri. Sfiducia adunque o fiducia limitatissima
nelle forze della umana ragione, la
consapevolezza della propria ignoranza,
1' universale consentimento, I'esame, e soprattutto la Fede^ sono le Encore di
salute dell' umano sapere, i fondamenti
di esso per R. ; V autorit^ umana una riprova probabile di verity, Y
autorit^ religiosa il porto dove ogni
tempesta del dubbio si calma, ed ogni
nube d' ignoranza sparisce. Vediamo
intanto com' egli osservi questi criterj, ed applichi questo metodo alle
indagini sue., Deposta qualunque
maniera di anticipate giudizio a favore
piil di una che d' un' altra opinione, e di che
prega caldamente gli ascoltatori, R., col Magiotti, si fa da'primi
principj che gli antichi opinanti
attribuirono alle cose natural!, non dal lore principio agente, cio^ dalla Cagion Primaria,
dispositrice di tutte le cose, increata
e senz' altre origini che da sh stessa ;
imperciocch^ di questa per quella guisa che ne hanno speculate i grandi uomini, faveller^ in piii
appropriate luogo ; ma dai principj materiali
che essi appellano causa passiva,
conciossiachd dalla cagion prima ricevono tutti la lore impressione. Ed in
sedici Dialoghi, ch' io chiamo fisid,
(e, si noti, non gi^ nel significato di
scienza sperimentale, come oggi si prende, ma nelr altro antico di speculazione
filosofica intorno ai principj delle cose), riferisce le molteplici e diverse
opinioni intorno a cio professate dagli
antichi filosofi, con questo intendimento che cio^, mostrando le ragioni
apparenti che militano a favore di questa e di quella sentenza si fra di loro
contrarie, e facendo si che, una per
Tina a tutte quelle opinioni, per le ragioni probabili clie le sostengono,
inclinino gli ascoltatori; se ne deduca
per conclusione finale la verity di quello aforisma socratico, e, come il gran
Vecchio faceya, cosi noi in quella
specie di scettico ondeggiamento, lo poniamo a base e a pietra angolare del
nostro sapere. Ella ^ questa, come
ognuno si accorge, del trattato
filosofico di R. una parte negativa.
E di Talete Milesio per prime discorre, come di quello che pensd incominciamento universale
della natura esser I'acqua, in cui gli
sembrd tutte le cose si disciogliessero
; imperciocch^ I'acqua assottigliandosi in yapori finissimi aria si facesse, e
pigliando corpo visibile se ne
formassero le materie piii dure,
divenisse terra, e fino si convertisse in sassi. E poi, perch^ osservo tutte le semenze delle cose
esser umide, tutte le diverse specie e
composti degli umidi fossero sotto il
genere puro, semplice e universale dell' acqua,
e il fuoco stesso avesse bisogno dell' umido per mantenersi, perch^ non
la quantita e 1' eccesso dell' umido, ma
la quality, in proporzione di loro essere, ^ quella che le suddette cose in vita sostiene. Ed
aggiunge il Magiotti, come anche Zenone,
il capo e maestro degli Stoici, tenesse
per fermo che Iddio per s^ in ogni natura convertisse I'acqua, e che egli come
virtii prolifica di tutte le cose nell' acqua risedesse : adunque I'acqua era creduta da lui il cominciamento
materiale e passive del tutto,
perciocch^' Zenone osservd ogni misto
nella sua putrefazione risolversi in una massa, nella quale ^ manifesto al sense che predomina 1'
umido; e sembra di piti al R. ricavarsi
dalla stessa Genesi la prima generazione
dei corpi misti e viventi farsi dalla
virttl vivifica di Dio posta suU' acqua. Anzi alcuni de' primi dottori della Chiesa, san
Giovanni Crisostomo, Agostino, Procopio,
seguiti dal Pererio, il luogo del
Genesi, ove si dice che lo spirUo del Signore si trasportava sopra le
acque, espUcano cosi, cio^ che una
virtii divina e vitale disponeva le ^cque alia concezione e generazione
delle cose. Adunque (dice il Rucellai) tennero anch'egUno che Domeneddio,
primo agente, si valesse dell'acqua, si
come prima e comune materia passiya, ove s' imprimessero tutte le diverse forme. E accennate con precisione altre fra le
opinioni di Talete e Zenone intomo all'
altre cose deUa natnra, e osservato come
Talete negasse il vuoto, e come Zenone
quant' alia terra abbia detto cose che mirabilmente ai nostri sensi s' acconciano, espone il nostro
filosofo la dottrina di Anassimene,
seguita poi da Diogene, che fa deir aria
il principio naturale e causa passiva di
tutte le cose, come quella che d per tutto e prima dell'acqua che di essa componesi, riferendo i
dati di possibilita che dall'aria, come
I'acqua, cosi le altre cose per mezzo di
questa divengano, si che per le ragioni
che Anassimene ne porta sia giocoforza, dice
il Magiotti, che ne' sensi di lui si discenda, abbandonando Talete. Pare
da non lasciarsi sotto silenzio come R. prenda un po' all' ingrosso queste
antiche dottrine. Secondo gli Jonici e secondo Eraclito, il primo principio delle cose, acqua, aria,
fuoco, non sono gi^ r aria, 1' acqua e
il fuoco quaU appariscono, ma un intimo
e occulto principio che in tutti gli elementi si tra^orma, e che pitl si manifesta in cio che
a noi apparisce essere o acqua o aria o
fuoco. E qui riferisce pure il pensiero di Anassimene intorno alia struttura
dell' universe, E all' Imperfetto che
esclama : il medesimo Magiotti
socrMicamente risponde : Ed Eraclito
fu quelle che ebbe si fatta opinione,
cio^ dal fuoco incominciarsi ogni cosa e nel fuoco tutto dissolversi ; e 1' acqua e 1' altre cose
credette esser pezzetti e corpusculi di fuoco insieme congiunti. Mi si conceda fermare il pensiero un poco su
questa opinione del Galileo riferita dal R.. Essa, per quahto noi sappiamo, non trovasi nei libri di
Galileo stesso, ma sembra una ipotesi
che il grand' uomo ponesse innanzi ragionando cogli amici e di^cepoU. II qnal supposto ci riesce confermato dalle seguenti
parole del R. : Inoltre 6 molto singols^re che in questa ipotesi Galileo precedeva i modemi
sostenitori deir unit^ delle forze
fisiche. Ma con quanto ritegno il
feujeva! aggiungendo solo che questa non gli pareva piii inverosimile di tant' altre opinioni
spacciate fuori per vere : e non osava
chiamarla, non che vera, verosimile. II R.
aggiunge, come Galileo al padre Campanella,
il quale consigliava il gran matematico a metter fuori certi suoi pensieri come una nuova e ben
fondata filosofia, rispondesse : che non voleva per alcun modo con cento pitl proposizioni apparenti delle cose
naturah screditare e perdere il vanto di
died o dodici sole da lui ritrovate, e
che sapeva per dimostrazioni esser vere.
E tomando al nostro R., egU argomenta con questo tutte le cose farsi per
via del moto o del caldo, poich^ il caldo si produce dal moto, e il moto si
eccita dal fuoco (materia sottilissima
che 6 per V aria e penetra per tutto) e
anche la stessa terra, come anco i modemi
pensano, dice il Magiotti, riceve dal fuoco suo intemo lo impulso onde salgano i vapori per I'aria.
Dichiara indi, esponendone le
probability, come Parmenide, per render
conto dell' apparenza dei sensi, la quale basa
sopra una maniera costante di rappresentarsi le cose. tenesse anch' egli
il fuoco etereo principio della natura,
perd anche la terra. E cosi di Empedocle di Agrigenfco il quale riconosce in un modo espresso
quattro elementi, la terra, Tacqua, Faria e il fuoco: e il fuoco, come agente della produzione, esercita
secondo lui la parte principale. E il
Magiotti ne illustra si bene la
ragionevolezza dell' opinione, che i suoi interlocutori abbandonato Talete, Anassimene ed Eraclito,
nella sentenza di Empedocle sono costretti di convenire. E questo artificio
dialettico, si stupendamente adoperato da
Platone in quel dialoghi, dove via via esclude le diverse opinioni,
senza esprimere una conclusione positiva,
e maestrevolmente, parmi, seguito del pari dal Rucellai in questi
dialoghi, all' obietto che ho dichiarato.
E, indi, tornando a Parmenide, e discorrendo delr unico principio, ciod
dell' una eternOy dice, iUustrando i
concetti di lui, che il non essere non potrebbe esser possibile, che ogni cpsa esistente e una ed
identica, che pure cid che esiste non ha
punto principio, che egU 6 invariabile,
indivisibile, e che ogni movimento 8
cangiamento 6 una pura apparenza. E cosi quantunque abbia egli ben presupposto
un principio unico, immobile, eterno, tali attributi non d^ poi cui si
convengono, poich^, dice monsignor Limeo interlocutore, non si pud negare che non ci lasci luogo
Parmenide a salire un po' piii in su, e a presupporre un' unit^ superlativa e
assoluta, che non ammette in sd stessa diversity anco insensibile, e un' immobility perfetta,
semplicissima e mai sempre costante ad un modo che in s^ non abbia movimento alcuno, avvegnachd per lei
tutti i moti e tutte le operazioni dell'
universe si tacciano, ed abbiano essere
e vita. Scende poi al sistema di
Anassimandro che ripone nell' infinite
il principio delle cose, e al figUo Luigi, che dice dell' infinito essere
impresa vana il farellare, poicM non
potendosi intendere, 6 gran segnale ch'ei
non si dia, risponde il Bucellai col suo Magiotti che gli ingegni umani non sono adequati a tutti i
possibiliy e che percid il non
comprendere una cosa non ^ per noi prova
che la non ci sia; come anche in questo
caso altro si 6 il conoscere quel che ^, e come e'ci sia r infinito, altro s' egli 6 : e mentre la
prima inda^ gine a noi mortali rana
riuscirebbe, la seconda e agevolissima ad effettuarsi, per modo che sia
giocoforza il confessar3 che per
necessity T infinito ci sia. Da questa
conclusione di R., apparisce come egli
attribuisse forae alia ragione la capacity di giungere alia certezza solamente in qualche cosa. In
qual cosa? Nell' aflfermare che Dio c'
d, che c' ^ il mondo, e che noi
esistiamo ; negando poi alia ragione di poter sapere per sd sola, fuorch^ con
opinioni probabili, quel che siano le
cose del mondo, e I'uomo, e Dio. Ma per
quello che riguarda le dottrine di Anassimandro, R. ricorda come quel filosofo
dicesse che 1' infinito e la sostanza prima, contenente tutto in s6 stessa, e in cui avvengono e
produconsi i cangiamenti perpetui delle
cose; come dall' infinito si dividono i contrarj per un continue movimento,
nello stesso modo che essi ritornano a lui.
Tutto ci6 che d contenuto nell' infinito va soggetto a cangiamento, ma d immutabile egli stesso. E
cosi si confonde 1' infinito agente
colla materia per Anassimandro, e, come per lui, anco per altri filosofi
antichi e recenti. Mentre R., quantunque dica
r infinito non potersi intendere, perch^ non ha proporzione col finite,
e quindi doversi contentare di assoggdtare lo inteUeUo a tenerlo per fede, ei
lo distingue bene e ferma il finito non
esser privazione dell' infinito, sibbene solamente il nulla infinite o finite ^
incompatibile coU' Ente infinite, si
come Y Ente finite o infinite ^ incenipatibile eel nulla infinite. E ci5
dimestra cen eleganti parele ; ceme pure dimestra centre Anassimandre, scerdandesi alquante dell'intendimente
negative a cui mira in questi DicHoghi
eel sue metede di successiva
eliminaziene, dimestra, ie dice, geemetricamente la impessibilit^ che 1' infinite asselute si
cemunichi alle cese finite e che ci
siane due infiniti, applicande alia
dimestraziene la terza prepesiziene del trattate di Galilee su i meti
unifermi. E in sentenza platenica seggiunge pei ceme tutte le cese finite e le
lere perfezieni si staccane dall'
infinite, cied da quel perfettissimi esemplari etemalmente lecati nella mente
di Die, createre perd della materia dal
nulla, e che raccoglie nell' atte prime,
ciee nel prime cencette dell' epere sue, una virtii seminale e ideale, ceme direbbe Platene, di
tutte le cose fatte, quante in petenza
di farsi. Vedesi con quanta chiarezza
il nostre neeplatonice ricordi ed
accelga i pensieri dell' Ateniese, contemperati sempre dal Cristianesime, e cen
quelle stile che e degno di si alte
dottrine le renda accessibili ad ogni
intelletto, pregio invere da tenerne cento in une scrittore di materie
filesefiche. E stabilita la necessity, del1' infinite, soggiunge : Che e' si
vegga V universe mutabile, variabile e in tutto diverse dall'essere dell'
infinite, questo ^ chiaro. Adunque come
s' intend' ella ? E a Luigi che risponde
: oh ! questo noi non glielo sappiam
dire, cosi (prego si avverta) discorre: e questo vale che, dato I'uomo, ^ data 1' esistenza di un
ente, e che questo ente ^ limitato. E anche in quel che con discorso
metafisico applicato a naturali
proposizioni 6 venuto provando,
conchiude che non v'§ da riporre certezza, ma solamente ritenerlo come
probabile; e pero meglio stimare di rifugiarsi nella fede che le cose
razionalmente probabili illumina di
verita, e conchiudere anco una volta col
detto sapiente di Socrate : Quesf uno io so,
che nulla io so, Ne'quattro
dialoghi suUa luce (9-12) meramente
fisici, egli riporta le dottrine di Anassimandro e professa,
esponendole, le opinioni del Galileo con trepidazione per timore di guastare
cid che dice il grand' uomo a cui professa venerazione, e dichiara tutto cid
che di buono dice intomo al sole e sua
natura essere del filosofo
illustre. E anzi tutto ^ notevole
questo passo in cui si esprime per guisa
da non lasciar dubbio che egli crede
agrinflussi degli astri sulle cose terrene: E nel dialogo sopra Xenofane, (dial. 16) detto chiaro che egli ha per
impresa impossibile e vana Y astrologia, conclude che mentre non puo negare V influsso fisico degli astri, sulle
cose della natura, e anco sull'uomo che della natura fa parte, aggiunge pero
che a voler fare 1' astrologo, vuolsi sapere e accorgimento non ordinario,
jBnezza e malizia ingegnosa; e soprattutto il cicalar di molto ^ giovevole
a interessare e prendere gli animi, di
cui si predicono gli avvenimenti ; nulladimeno
da chiunque fa si fatto mestiere
agevolmente s'inciampa. Gli ^ degno senza
dubbio di nota questo, perch6 distacca il Rncellai dal Rinascimento, che trovava appunto spiegazione
del risorgere cosi alacremente tutto Tantico nell'idea stessa della civiM e della filosofia Platonica e
Aristotelica, e precisamente nel loro
concetto intomo al mondo. Qual infatti
era esso concetto? Quello di un movimento circolare, concetto antichissimo, che
noi ritroviamo anche nell' liidia. Platonici e Aristotelici immaginavansi il
mondo siccome una vastissima sfera, ma
pur limitata, che avendo in se molte sfere concentriche, girasse intorno
a se e ad esse, e per modo che il
ritorno periodico della tale o tal'altra posizione degli astri nel cielo si congiungesse ad un
periodico rinascere degli avvenimenti nel mondo per Tinflusso che quelli esercitavan su questi. Lo che invero pu6 essere una tra le altre-
cagioni che spiegano la fede che quel filosofi ed eruditi del Rinascimento avevano del doversi
rinnovellare in ItaHa gli antichi
sistemi, le antiche civilt^ per definire
con essi i loro problemi intorno al triplice obietto della filosofia.
La luce pertanto in modo vario e per mille maniere d^ 1' essere, per
Anassimandro, a tutte quante le
creature, e senza di essa qualunque cosa riducesi al nulla. II sole ^ il fonte primiero della luce,
ma non I'unico, come ne confermano
parecchie esperienze, ed essa 6 una cosa
da se, che in gran dovizia ritrovasi
nell' astro maggiore del sistema nostro. La luce che Platone nel Timeo e altri filosofi poser nel
fuoco e la dissero la quintessenza piii fina e piU lata di esso, forma i colori nelle sensibili cose, ^ Y
elixir vUtB della natura, e in tutte le
cose rinviensi, ed d secondo il Galileo
(che pur qui R. chiama principQ de'filosofi, e scorta e direttore dei suoi
discorsi) 1' ultima ed estrema
espansione della natura. E qui cita
molti esempi addotti dal gran fisico e
matematico per dimostrare che in tutte
le cose c'^ mistura di luce o etere, o fuoco, secondo che questa sostanza gli d parso chiamarla
cosi o cosi dai filosofi. E R. tiene
come Platone, Galileo e Descartes gli
atomi, che come il tutto cosi 1' etere o
il faoco la luce compongono, ma pero soggiunge col Magiotti che il definire gli atomi, rotondi,
o acuti, o piramidali, d parlare per
ipotesi, non perche dessi gli abbiano visti.
Comunque, e dal vedere come Galileo
provi col fatto ogni cosa esser permista o vivificata dalla luce cominciamento naturale di esse, e
dall' osservare come ci6 sembri confermato dal Genesi e dai Santi Padri, ben deduce potersi commendare in
questo senso quella proposizione platonica che assegna 1' anima universale del mondo, e come per quest' anima
egli intender dovesse la luce. Odasi, di grazia, il ragionamento erudito :
E santo Agostino, quel sottilissimo ingegno, nelle sue Confessioni : QueUa liice soUilissima
sopra ogni cosa, alimentata da
vivificante colore, quarito tempo ignorai
che f OSS' ella cagione delV ornamento delV universo ! Fino a che agli occhi miei annebbiaii non rifulse
U lume eterno del Vero! La qual luce
alia bellezza ed alio spirito, sopra d' ogni altra creatura, si rassembra di quel primo ed ineffabil lume, che etemalmente
e senza fine risplende; di cui elia d
qua tra noi la piii famiglievole immago. Che irapero fu detto 1' eterno
Fattore: Luce della luce, e fontana di
lume. Ed in altro luogo: Delia luce Egli
la luce, e '1 giorno. > E
simigliantemente sant'Agostino, coUa sua acutezza, si andava rivolgendo per
Tanimo dicendo: Ma che pro dunque a me
ne veniva, che tu, Signore e Dio mio,
Verita, fossi luddissimo corpo, ed to particella d'un corpo tcde? Oh! quanti sentimenti al nostro
proposito trar si possono da queste
scritture! Percio duirque si puo
credere, con essa luce (come piii attiva, piii semplice e piii pura, e impero,
come principio, pitl alle divine cose
somigliante) si dessc, per mano del Sovrano
artefice, il cominciamento e 1' omamento a tutto il mondo visibile ; locandopoi quella per la
maggior parte, come in sua miniera, nel
sole. II che viemaggiormente si
autentica dal nostro medesimo divin Poeta, in quei versi :
« Lo ministro maggior della natura,
Che del valor del cielo il mondo imprenta, E col suo lume il tempo ne misural » Cosi dunque, avendosi la luce, a cagione di
sua purissima natura, non dico per la
pitl simile tra le cose visibili, ma
almanco per la meno dissimigliantiB alia
divina sostanza ; puossi commendare in cid quella proposizione
Platonica. Perchd Platone, col lume solo della
natura, giunse a fare una si maravigliosa graduazione: ponendo tanti termini di mezzo tra Dio e la
materia, per render meno discrepante e
meno discorde I'ammirabil concetto e fabbrica del mondo ; mentre co'mezzi all'uno e all' altra confacevoli va regolando
la differenza che e tra '1 composto inferiore e il Supremo Compositore, e quale
attaccatura, e per qua'mezzi, possa
darsi tra loro. E imper6 mi cred' io, quandunque alcun dato avesse a quelle
intelletto perspicacissimo ad esplicare
quel detti della Genesi: E lo spirito di Bio
id andava sopra le acque. E disse Iddio : Sia fatta la luce, ed ecco la luce; egli, non giungendo
tant' oltre al lume della Fede,
conformando tal sentenza a'proprj
Bentimenti, avrebbe rispo^to, che questo era Iddio ; il quale, coll'occhio della sua divina Mente, se
ne giva yagando, e riguardando in qua e
in 1^ sopra il chaos ; e che secondo gli
esemplari e le idee perfettissime, in
essa raccolti ab atemo, disegnasse tutte le forme delle cose fattibili, ed innanzi ad ogni . cosa
facesse la luce, che ebbe dall'eterno
Motore (quantunque Egli in sd stesso sia
mai sempre stabile e fermo) gl' impulsi primieri, cio6 a dire dall' atto primo
V attivit^ e il moto, ond'ella avesse la
mano (come principio della natura e
anima dell' universe) in tutte le formazioni e nella perpetuity delle produzioni, che ad ora ad
ora si rinnovellano nella materia. Che appunto disse il Timeo, Iddio col valore di sua somma onnipotenza,
senza mezzi, aver creato 1' anime, gli
spiriti e gl' intelletti universali, siccome sostanze prime, e viepitl alia sua
divina natura conformi ; aUe quab* desse
la cura e '1 disegno, sotto la sua
assistenza come Architetto sovrano, di
formare tutte le cose pitl materiaU e corporee, ove esse locar si dovidno. Talmentech^ dove noi non
comprendiamo quale sia quell' anima universale, che egli intendeva per collegatrice
delle cose divine coUe naturaU, possiamo
noi, con piU fondamento ancora che non avea
egli, creder che cid sia la luce; la quale fosse da Dio creata, onde ella desse all' universe
sensibile, ad esempio dell' archetipo,
la sua piil bella, visibile e
maravigliosa forma. Che impero sembrami tornarci mirabilmente in
acconcio quel luogo di Dante nel
Paradiso: cDunque nostra veduta,
che conviene Esser alcun de'raggi della
Mente, Di cui tutte le cose son
ripiene.» > Abbiamo per conseguente
gran cagione d'immaginarci, ancorch^ nol possiamo con prove infallibili fermare
per vero, la luce essere quel movimento occulto
e perpetuo, sparso e disseminato per tutte le cose viventi ; risvegliato per lo prime impulso
nella natura universale dall' atto
primo, che d Iddio. > j&
prcfbdbUe, disse, non infallibilmente vero ; che la ragione d agitata e ravvolta nel contrasto di
opinioni diverse che il vero le
adombrano sempre, e mai per intiero
gliel mostrano, finchd 1' anima sia mischiata col corpo. E di questi quattro dialoghi la
conclusione non d percid a dubitarsi che
sia identica nella sostanza alle altre,
e confermisi ivi appunto lo scetticismo in
cui si mantiene nel discorrer dei principj della natura il tilosofo nostro, in questa parte de' suoi
dialoghi che noi chiamammo distruttiva. Uguale d poi la conclusione a cui R.
arriva dope aver favellato de' colori,
ed esposte intomo ad essi le opinioni
dei varj filosofi, e cercato di avvicinare, come sempre fa, col modemo 1'
antico, Galileo con Platone. II qual
Platone, come Democrito ed Epicure, fa i colori consistere in una fiammella a
cui perd 6 necessario il concorso del
sole; questo fulgore di luce riflette variamente
dai corpi colorati secondo i modi varj
coi quali i raggi del sole gli feriscono, e
secondo le positure e figure delle superficie dei corpusculi componenti
quello o quell' altro oggetto che i
raggi ricevono o ribattono. E come Aristotele, cosi il R. opina i colori non esser sostanze,ma
accidenti, effetto cioe di luce cadente
nei corpi, luce che forma i colori.
Conchiude pero che queste sono opinioni di
filosofi, ma noi non possiamo ritenerle per veri assoluti ; e pero
ritomare all' aforisma: Hoc unum scio quod
nihil sdo. Io mi astengo da
riferire la esposizione che nel Biajogo
quindicesimo fa il RuceUai delle opinioni intomo al principio passive delle
cose professate da Zenone, da Archelao, da Filolao Pittagorico, da Protagora, e
da Senofane, dope le quali egli conchiude nella
medesima guisa, non senza prima aver magnificato certe stupende divinazioni di quegli antichi
filosofi, e allettato gli ascoltatori,
per bocca del Magiotti, ad abbracciare
ad una ad una le loro opinioni diverse.
Questo viaggio di R. a traverse le varie e molteplici sentenze de' filosofi intorno al
cominciamento passive del mondo, piii
che viaggio, adunque, ti si rassomiglia
all' ondeggiare irrequieto di una nave che sospinta in alto mare, e pur volendo
pigliare una direzione a porto sicuro, venti contrarj e tra s^ lottanti ne la tengono perplessa, mentre nell' animo
del pilota suscitano come una tempesta
di dubbj suUa sorte avvenire del legno ch' e' guida. E uno scetticismo non disperato no, ma, se m'e lecito la frase, imo
scetticismo fiducioso e credente, che si pone a fondamento di tutto il sapere, giusta 1' insegnamento
Socratico, la consapevolezza della
propria ignoranza; fondamento negativo
per R., in quantochd la fede religiosa
solamente rende certi gli argomenti probabili della ragione; e che per il Cartesio si converte
nella certezza della coscienza del proprio pensiero, vale a dire in un fondamento positivo dello scibile umano. Capitolo Nono. ESPOSIZIONE DEL TIMEO DI PLATONE, Ammirazione
del Racellai pel Timeo di Platone. Opinione
e scienza. — Necessita di un Principio primo. — Plotino. Trimegisto. — II Rueellai non e dualista,
come Platone. — Fine della creazione, il
buono. — Obiezione e risposta. — Neirorditfe delPuniverso si legrge il verbo di
Dio. — Gli archetipi eterni.
Platone manca della fede, e per5
neir attinenza di causalita tra Dio e il
mondo cade in errori. — La mente divina forma di tutte le forme. — La mente umana e le idee. — Loro natura. —
II Rueellai combatte Aristotele,
Trimegisto e la creazione. — II mondo non e Dio; ne Dio e Tanima di esse. — Ma e sua Icgge. — Ne
I'amore, per se, e anima deiruniverso. —
Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima del mondo. — % pel Rueellai, lo Spirito
Santo. Del !Bmeo di Platone il Rueellai
d^ tutta la struttura, esponendolo, col riprodurne tradotti i punti piU qualificativi, e commentandoli. Desso,' il
nostro filosofo si accosta, direi quasi, con religioso tremore e come compreso nelP animo di alta maraviglia a
questo monumento divino del genio
Ateniese, che pare scriva dal cielo le
cose stupende di lassil agl' intelletti finiti
degli uomini. E per6 egli, a malgrado che i voli della mente cerchi infrenare coUa ragione e V
esame, pur non di rado accade che
amniiri piii di quel ch' e' discuta, magnifichi piii che esamini, e Tidealismo
pla. tonico lo preoccupi tutto, e dimentichi la voce del Galileo. E su' principj della natura
discorrendo in sentenza platonica, osserva come a ragione il j&losofo ponga
per universale fondamento ch' e' si dee innanzi tutto distinguere qudlo che sempre c, da queUo che
mai e, e che ha nascimento ; e come il
primo lo comprende la ragione, 1'
opinione per via de' sensi il secondo; vale
a dire che a Dio non si pu6 arrivar con i sensi, ma si r animo il pud seguire meditandolo, e
raffigurandolo nelle sue contemplazioni
per cagion prima, universale, assoluta.
11 secondo (cio^ I'universo) accorgerci ch'ei
c' ^, perch^ il senso lo vede, e varie opinioni formarsi delle cose naturali, e la certa verita di
come elle siano non esserci mai chi V
aggiunga; dappoich^ il senso non sia che
un vestigio dell' intelletto, e 1' opinione e V immaginazione una copia di esso
confusa ed abbozzata; ed i sensi
ingannin sovente. Edefinite il divario tra
opinione e scienza, tra senso e intelletto, R., siccome Platone,
riconosce dialetticamente la necessity
di un Principio primo delle cose, o come i Teologi, di un principio prindpiante della natura, in cui
stieno gli archetipi eterni delle cose
create, le quali sono alia lor volta
imagini imperfette di quelli. Onde a ragione Plotino chiama la natura forma di
tutte le forme^ ma con tale infinita
disparity, che Iddio, principio
principiante di tutte le cose, eccetto della materia eterna per Platone, ma pel R. anco di questa
(nel che discostasi dal Maestro, come per senten za contraria alia fede piil che ei la stimi contraria alia
ragione stessa) infuse nel mondo create
o formato grimpulsi della sua
conservazione e dello svolgersi continovo suo. E dove sulla ragione dell'origine dello universo,
opera bellissima e imagine di qualche
cosa di etemo, discorre, dimostra esser
lo stesso Platone rimasto trepidante come dinanzi a cosa troppo sovrumana, e quasi, come santo
Agostino, aver egli medesimo confessato
ch' e' conviene credere per intendere,
non volere intendere per credere. N^ si
diparte da Platone, anzi concorda con lui il
R. nel dire che fine della creazione fu a Dio perfettissimo il buono, e
questo per formare con amore una cosa,
la quale e' voleva che riuscisse oltre ogni paragone bellissima ; E nel Paradise, mostrando di scorgere
tutte quante queste cose sublimi nella
incomprensibil luce della Divina
Mente: « Pero che'l ben, ch'6 del voler
obietto, Tutto s' accoglie in lei, e
fuor di quella £ difettivo, cio che 6 li
perfetto. » > Per lo che vien
dimostrando anch'egli che questa copia
non giugne a gran via alia perfezione del suo
originale. > E, come Dante,
recasi qui pur David a sostegno della
dottrina platonica, laddove il Cantore de' Salmi enumera, come Platone fa, i principali e piii
sovrani attributi di Dio, in cui stanno
gli archetipi etemi delle cose, e dice
come nella creazione, prima di tutti
cominciamento universale di qualunque sua fattura formo egli i cieli nel
suo intelletto ; con che interpreta] R.
aver voluto David, come Platone, significare che avanti di creare le cose fuori
di s^, Iddio avesse ingenerato oft
aitemo in s^ medesimo I'idea di quella
fabbrica che poi fece, e con la formasfione dei
cieli neW intelletto^ volersi indicare il mondo intelligibile, il mondo
archetipo eterno, in sentenza stessa platonica. E come beUo cred il mondo,
perche la perfezione assoluta del bello ?ibbraccia anche la perfezione assdluta del buono, ambedue contenute in
unit^ perfetta della volonta, onnipotenza e sapienza divina, cosi lo creo dunque anche buono, formandolo con
armonica proporzione, daUa discordanza
riducendolo a consonanza, dal disordine alFordine. E le forme che non riescono buone e belle, non per colpa di Dio,
ma per vizio della natura si trovan nel
mondo, e sono occasione a lui eterno Facitore per ispargere, dice Platone, suir universo i suoi beni. II quale,
soggiunge il Magiotti, piii che e' pud si studia farci comprendere questa
creazione del mondo. Onde il poeta
: « Nel suo profondo vidi che s*
interna Legato con amore in un
volume Cio che per I'universo si
squadema. » > Ed il Petrarca ben
distingue 1' idea dalP esemplare in quel
sonetto maraviglioso che incomincia: c
In qual parte del cielo, in qualMdea,
Era Tesempio onde natura tolse
Quel bel viso leggiadro, in che ella volse Mostrar quaggiu quanto lassii potea. > II qual mondo visibile, vuole il Timeo, ma
il Rucellai non consente, che per divino privilegio o per merito dell' amma
universcde che da Dio fatta immortale lo
informa, sia anch' egli, quantunque continuamente morendo,
immortale. E ascendendo piii
particolarmente alle idee, agU archetipi etemi, egli, R. col Ficino dichiara,
come Platone ne insegna, la Mente Divina esser forma di tutte le forme, idea di tutte le idee, le
quali tutte in s6 le comprende, idee a
cui le sensibili forme si rassomighano
come le ombre ai corpi. La idea dunque di ciascheduna cosa, bench^ in
riguardo al nostro intendimento di
diverse cose paia composta (ei
soggiunge) e da movimenti varj distratta in qua e e in 1^, in Dio eUa e una sola, e sempli(?e e
ferma ed etema, possedendole tutte insieme,
Ed oltre convenire in questo intendimento, il Rucellai, a conforto di
esso, le ragioni di dotti antichi e di
santi ne adduce, specialmente deU' Ipponese, e lo stesso libro dell' EcclesiasHco e di Giobbe.
Ed e degno di considerazione cio;
imperocchd quantunque apparentemente egli esca qui fuori un po' del suo
consueto e sistematico probabilismo,
pure in realta vi rimane; ch^ questo
vero non in quanto la mente umana lo
ritrova e proferisce si 6 vero, e da accogliersi con certezza, sibbene perch^ gliene viene
conferma inMlibile dall' autorit^ dei Ubri santi. Perd come le idee diverse dalle opinioni, le
intelligibili cose diverse dalle opinabili, ossia, come le prime notizie
intelligibili si attacchinO a noi, ^ pel Eucellai un mistero e con rAlighieri ripete: aPero Ih donde vegna lo intelletto Per le prime notizie uomo non cape E del primo appetibile V affetto. » E s' intrattiene a provare ancora piuttosto
come esse idee riseggano in Dio, e le
cose a somiglianza di quelle si facciano. « le cose tutte quante Hann' ordine tra loro, e questa 6 forma Che r universo a Dio fa somigliante. Qui veggion Y alte creature 1' orma Deir eterno valore il quale ^ fine Al quale ^ fatta la toccata norma. Neir ordine ch'io dico sdho accline Tutte nature per diverse sorti, Pill al principio loro e men vicine* Onde si muovono a diversi Porti Per lo gran mar dell' Essere e ciascuna Con istinto a lei dato che la porti.
Evidentemente scorgiamo noi qui come il Rucelki
rigetti la opinione che lo intelletto umano sia tanquam tabfda rasa^ in cui si venga a scriver man
mano, e pur senza sottoscriversi alia
teoria della Eeminiscen^a nel senso
platonico, ammetta invece la umana mente illustrata da un lume supemo impresso
in essa "da Dio, quantunque poi non
sia ben chiaro sul come cio avvenga, e anzi. reputi questo un mistero, come
detto abbiamo di sopra. Ci6 che puo
dirsi per i passi gi^ riferiti o per
altri che giova per brevity tacere, si ^
questo, che per lui la partecipazione delFidee eterne all' intelletto umano ^ fatta non per
immediata intuizione^ ma per impressione, Perocch^ egli dica che le idee sono nell' animo come lineamenti divini
ivi stampati da Dio. Nonostante egli segue I'Ateniese nella strada che mena al conoscimento perfetto
delle idee, che sono nella mente eterna,
asserendo egli pure essere a cid
necessarie cinque condizioni. E adopera V esempio del cerchio, cui V animo nostro vuol sapere
che sia. Del rimanente R., come Platone e i neoplatonici del suo tempo, in
questa parte e cosi anche nelle altre
del suo lavoro filosofico, ritiene e professa il principio I'occasione della
cognizione venire da' sensi, che la
suscitano, e la fanno ricordare alia mente, in
questo significato perd che le notizie prime siano state impresse in essa da principio dalla
onnipotenza e provvidenza divina.
Veduti gli archetipi etemi, a immagine dei quali venne formate il mondo, si discorre dell'
anima di esso secondo Platone, di cui
riferisce R. testualmente i concetti, senza metter (com' e' dice) in questione
se cid sia vero o no. Ed io credo poter far grazia al lettore ed a me di questa
lunghissima e diffusa esposizione, che
non ^, come altrettali, al mio soggetto.
E cosi pure della esposizione di quel sistemi falsi che ammettono il mondo da s^ essere o governarsi
(naturalismo) o Dio stesso essere (panfeismo), che R. condanna e beff'eggia, ammettendo
determinatissimamente la creazione ex nihilOy secondo il concetto cristiano, e
la fede. Belle pagine invero son quelle, e dove
si appalesa in tutto il suo splendore la luce di erudizione immensa che
irradid la mente di questo filosofo
fiorentino ; se non che la h null' altro che erudizione ; mentre valore speculative, propriamente tale,
invano pur qui tu ricerchi. Chiudero questo capitolo recando un altro ragionamento di R. preso da
Ermegisto nella sostanza, e col quale
egli svolge pitl e piil il suo pensiero
sulla creazione del mondo fatta da Dio.
c Tutte quante le cose che si apprendon co' sensi, (egli dice) fatte sono, e tutto di si fanno e
fannosi non generate da per s^ ma da
altri. Adunque qualcuno ci ha da essere,
che generate le abbia, il quale generate
non sia, e delle generate cose piil antico: e delle cose generate nd uno pu6 esser piA vecchio di
quelle che generate non ^. Ma il
Facitore h piii potente di lore, e unico
e solo in verita, sa ogni cosa perch^ niuno a
lui va innanzi. Le generate cose visibili sono, egli invisibile, e pero
fa a fine di rendersi visibile, per lo
che sempre fa, e a lui solo si compete degnamente la appellazione di Dio, di Fattore, di Padre.
Dio per V onnipotenza, Fattore per I'operazione, Padre ^ per la bont^, ond' E^li opera, n^ ci ha cosa di
mezzo fra il genitore e il generato, n^
altro fiiori di questi due: uno per
propria natura la natura dell' altro riguarda
mai sempre, e V efficiente e '1 fatto sono vicendevolmente uniti in
guisa perd che I'uno preceda e 1' altro
seguiti. Nd la struttura di cose tanto diverse malagevole si 6 vero
disdicevole alia divina maest^ ; la
costituzione di tutte le cose ridonda in gloria unica a Dio. Perch^ da lui che fa, nieijte di reo,
niente di deforme precede; siflEatte
passioni seguono solamente le operazioni
create. Delia generazione la perseveranza
fa pigliar piede al male, e per tal cagione istitui Dio con la corruzione loro la mutazione delle
cose, come una certa purga via via di
essa generazione, e cosi per mezzo di
una continua mortality, conservasi perpetua
al mondo la vita. Iddio ha una sola e sua propria natura, e questa si d il buono, e il buono d quella
virttl onde tutte le cose operano; quanto ^ generate, da Dio generate si § cio^
dal buono, che ^ quelle che pud e fa ogni
cosa. Iddio nel cielo semind V immortality, in terra la mutability, in tutto quanto il mondo la vita
e il moto, a simigiianza dell'
agricoltore cbe sparge i semi nel grembo
della terra, in un luogo appropriate il grano, in un altre Torzo, e in quelle e in quell' altro
altra sorta di seme, il medesimo dove
riannesta, e dove peta le viti, e altre
maniere di frutti, nelle stesso mode fa Iddio. > E se il mondo nen 6 Die, neppure Die ^ 1'
anima del mondo, preva R. in altri
Dialoghi, e sostiene come Egli sia mente Creatrice e Prevvidente in quelle, senza infermarlo, come fa anima
cerpe, nd tramescolandosi con esse perch^ egli immense nen pud esser circescritto da termini, senza cessar
d' esser Die ; perfettissimo nen pu6 nell'
imperfetto stare, che ^ il mondo. Iddio
crea, e la sua mente divina gli 6 legge ;
imperocchd essa in un medesimo punto pensa, cenosce perfettissimamente e
delibera impermutabilmente con sapienza
infinita, e con immutabile ennipetenza, e
tutto ipso facto, senza replica, a quelle ebbedisce, e perd legge si ^ la mente divina. come ritratto e immagine del suo facitore, ma non gi^ reputd che Iddio
anima fosse del mondo, quantunque anima
di ragione dotata e fabbricata dal
maestro etemo delle sovrane intellettuali cose e divine assegnasse all'
universo. > La mente divina pertanto
6 pel R. legge impermutabile all' universo, e concorda in ci6 che ne dice Cicerone: Legem video sapientissimorum
fuisse sentendam, neque hominum ingeniis
excogitatam, neque sdtum aliquod esse
populorum sed cetemum quiddam quod
universum mundum regeret imperandij prohihendique sapientia. Ita principem
legem illam et ultimam mentem esse dicebant omnia ratione aut cogentis aut vetantis Dei, vita autem est cum mente
divina et ratio est recta summi Jovis ;
ergo divina mens summa lex est Insomma 1' anima dell' universo d pel R. lo Spirito Santo, che e Luce ed Amore, d la
Provvi denza, o I'Arte divina. E va egli man mano avver tendo come Platone
nella graduazione degli enti per r
universo e nello spiegare la formazione del mondo sensibile e spirituale siasi accostato alia
dottrina della creazione, e conchiude
sovente com' egli abbia davvero avuto a
logger la Genesi. E tanto e' crede
probabile cid, che espressamente in un
Dialogo pone a confronto i passi biblici sulla
creazione dell' universo con quel di Platone, per vedere a luogo a luogo
dove elle si rassembrano, e dove egli,
Platone, abbia fallato. In che appunto noi abbiamo una nuova testimonianza di
fatto degli intendimenti filosofici del
nostro Neoplatonico. Egli accetta da Platone le sue dottrine finch^
armoneggiano colla Teologia cristiana, e a tal fine cerca volta a volta in
questo sense ultimo d'interpretarle; e dove le vede troppo palesemente discordi,
se ne diparte, e alia rivelazione
intieramente si appiglia. Or questo studio comparativo tra i testi biblici sulla creazione e quei di
Platone che vi si approssimano, e
importantissimo a chi voglia, come ho
accennato innanzi, vedere gli estremi svolgimenti del neoplatonismo nel
secolo^decimosettimo. Si fa R. un
ultimo quesito, se cioe in sentenza platonica I'Amore sia anima del mondo, o
la parte pitl nobile opitl sovrana di
essa. E teologicamente discorre di Dio sommo Bene e sommo Amore, della Trinity dapprima, indi dell' amore
necessario e dell' amore libero, quelle
nelle cose insensibili, nella madre
natura e negli animali bruti ; questo nelle creature intelligenti, per le quali
esso non ^ che un.concordamento tendente alia perfezione della divina
uniti; e percio disse Platone, amore
essere quell' armonia e quell' ordine
che richiama le cose discordanti alia
Concordia ed all' uno, E in questo senso deve intendersi ammetter egli 1' amore come anima del mondo,
e porzione piii perfetta di essa, e 1' immaginarsi che ei fa due Veneri generatrici di due amori, naturale
1' uno, divino 1' altro, entrambi
maestri di tutte le arti e di tutte le
operazioni. {Segue) IL TIMEO. - DELL'ANIME RAZIONALI. Qaesiti.
Natura deir anima razionale. — Non e particeUa deiranima uniyersale. — et intiera e perfetta
da sd. — In che il Rncellai si discosta
qai da Platone. — Spiritualitd. deiranima. — Perfezione maggiore negli spiriti
angelici. — Immortality. — Argomenti di
ragione probabili. — Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa alia questione deUMmmortalitll. — Passo di
questo filosofo. — Altre prove d'
immortality. Intomo a questo argomento
il Bucellai si propone di vedere se
sieno da per loro le anime razionali ovvero
porzioni dell' anima universale; in che erri Platone, a ft
differenza del nostro credere; e quali motivi senza lume della fede ne persuadono, e con Socrate e col
divino lilosofo e con molti altri
maestri di sovrano lume ancorch^ Gentili, che le anime nostre sono
immortaU. E per primo si studia di
dimostrare la natura di queste anime, e come non sieno particelle dell' anima
universale, possedendo 1' anima nostra invece una sua propria sostanza, ed essendo una certa
essenza intellettuale da s6, che si forma semplicemente dall'intelletto divino,
come ammette Platone, £ da notare qui
come si avveri quel che abbiamo
avvertito altra volta, ciod quanto il filosofo nostro s' ingegni di
ridurre a vera sentenza in conformity del Cristianesimo le parole di Platone,
che per contrario, nel Timeo, sostiene
I'anime particolari essere particelle della
universale. E dice poi Platone (continua R.) r anime esser fatte per le cose celesti e
immortali, e perch6 r uomo si faccia imitatore di Dio, servendosi per ci6 anco dei sensi, tra' quali il piii degno e il
piA umano, la vista e I'udito. Nel che,
soggiunge egli, discorda alquanto la
verity nostra perch^elle sono create da
Dio di ugual perfezione di mano in mano in quel punto che fornita di fare tutta la struttura del
feto nelFutero matemale, il corpo ne
divengS; capace, messoinsieme con tutti
quanti i suoi organi ben che teneri e male
abbozzati, e sono anime intere e da per loro, n^ vi ha anima comune onde le nostre razionali
porzioni sieno di essa in alcun modo. E
della differenza tra questa e quelle e
tra quelle e le anime dei bruti lungamente
favella, sempre appigliandosi pitl ch e ad argomenti probabili di ragione, a precetti di fede
religiosa. E il contrasto interne dell'
uomo che proviene dalla Ubert^ del
volere e da' sensi e il supremo e invincibile argomento a sostegno della
spirituality dell' anima umana, e della
sua gran diflferenza con ogni altra che Platone
ponga nel mondo, o che negli animali ci sia. Stabihsce quindi, anco secondo 1' opinare di lui, la
perfezione maggiore degli spiriti
angelici, chiamati da Platone SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI. Demoni, o
Dii, percM immagini pitl perfette che Panime
nostre dell' idea eterna; e afferma non potersi dare accostamento di
termine tra il corporeo e lo incorporeo,
r immateriale e 1' incomposto, 1' anima insomma, la quale sebbene non si veda n^ si tocchi, pur
si manifesta che ella c'^ dalle sue operazioni ammirabili, giusta ne dice pure
Platone. Confessa pero al solito che in
somiglianti materie, come si ^ dell' infinite, dell' incorporeo e delle
operazioni lore, come della immortality
non vi ^ da aspettarsi mai prove convincenfi^ oltre queUe delta nostra infcHlibiLe cattolica
doUrina, perche eUe non sono da noi^ ma
si bene favellare se ne puote e trovarci
da proporre molte verosimiglianjs^e e probabilUa. Nondimeno con tutti gli
argomenti che adopera Platone e i
filosofi spiritualisti, specialmente tra' nostri il Ficino e indi anco il
Cartesio, di cui espone ed ammette,
temperandola col neoplatonismo, la dottrina
della cognizione, e le cui ragioni sulla immortality paiono anco al R. ben fondate, egli vien
dimostrando man mano la spiritualita e immortality delr anima con discorso
vivace e stringente, e ribattendo con
arguta confutazione gli argomenti in contrario,
specialmente pohendo in evidenza gli errori, nei quali su cio cadde Tertulliano, e rilevando le
contradizioni frequenti di quella
intelligenza. Non repute inutile
pertanto a questo punto riferire ci5 che R. per bocca del sacerdote Magiotti,
dice intorno alia teorica delle idee di Cartesio, teorica della cognizione che egli connette
stretto con quella della immortality, e
se ne vale come argomento, sempre s'intende, probabile, coll' uniformarsi intieramente alia fede. Confesso bene, che il volere riconoscere del
tutto dair idee, ch' e' chiama innate, e
che esse ci sieno, non che dell'
essenza, dice solamente dell' esistenza divina,
r ho per intraprendimento troppo ardito, e da non se ne uscire con onore, chi volesse, seguitando
Renato, col proprio intelletto giungere
a si sovrane cose, senza gli anticipati
giudicj dell' immaginazione, percM io per me
non so ritrovare modo da figurarmi come cio segua: impercid che avendo noi si fattamente
impastate le parti intelligibiU con le
sensibili, la maniera di distinguere totalmente le loro operazioni 1' una senza
I'altra, cio^ a dire quella dell'
intelletto senza quella del senso, io
non mi rincuoro di rinvenirla. > La
opposizione che fa il nostro autore alia dottrina del Cartesio sull'idea innata
di Dio ^ notevole molto, perch^ viene ad
escludere in lui la dottrina delle
intuizioni ontologiche o anche ideali, che abbiano per obietto Iddio e gli
esemplari etemi. Scintilla della
divinity si pud dire, che sia non solamente quel lume di conoscere le cose
esteme per via de' sensi, il che hanno
parimente gl' irrazionali, ma di pill
quel conoscere di conoscere, ch' e un atto proprio deir intelletto, e della mente astratto da'
sensi, pe r il quale ci si apre la
strada al raziocinio, e al discorso, con
cui noi salghiamo piu in su, che le sensibili cose non sono comech' esse ne facciano la scala
per soUevarvisi sopra alquanto. Per lo che disse Plotino nelr ordine della
cognizione 1' ultimo grado tiene il senso,
il sommo V intelletto ; il senso nel conoscere tiene la linea retta, V intelletto la circolare,
rivolgendosi in sd stesso, e pero 1'
anima per la vegetazione, per il senso,
e per V immaginazione si affaccia fuori di s^, ma per e' moti deir intelletto si rende capace di
riflessione in 8^ stessa, e cotale
operazione si maravigliosa del conoscere
di conoscere, 6 presa da molti filosofi, anche di pit! acuto intendere, per
grande argomento dell' immortality, delle Anime, ma viemaggiore a me pare che sia non le avere innate in noi le idee
dell' esistenza, ed essenza di Dio, e non da quQsta per I'ordine delle medesime idee, passare ad avere plena
notizia dell'essere una cosa cogitante
che non pud essere distesa, e perd
essere incorporea e poi di essere insieme
una cosa distesa, e non cogitante, e perd essere corporea, onde se ne
ricavi essere 1' uomo fatto di due •cose
totalmente diverse e distinte, talchd 1' una potendo stare senza 1' altra, possa ricevere la
posizione cogitante da per s^, cio6 a dire la mente, e 1' anima incorporea, e
perd immortale. Ma si bene questi lumi
di ragione, o di divinity, che sono in noi ancor che annebbiati, e indistinti, si ritrovi in noi
medesimi talento d'avvedersi ch'e' ci
sieno i principj di molte e molte cose,
le quali -noi ci accorghiamo avere molto
pill ampio spazio di quello che non ^ conceduto a noi di giugnere a capire per possedere in verun
mode scienza di loro intera e perfetta,
e non avendo in noi r intero della
perfezione delle cose di cui noi conoschiamo i principj, da' quali ci sentiamo
abili a conoscere piti, bench^ piii non arriviamo a conoscere : adunque
trovandosi in noi le misure proporzionate, e lo
acume per arrivarci, e venendoci impedito 1' uso e '1 potere da queste grossolane membra mortali, e
da questi organi, che noi abbiamo
limitati, ed angusti, i quali paran la
vista all' occhio dell' anima: egli ^ molto
ragionevole di credere, che abbia a essere in noi, quando che sia, I'adempunento del conoscere 1'
intero delle cose, di cui noi scorghiamo
i primi semi, e lampeggiare le
scintille, il che non potendo conseguir qua, ^ verisimile, che ci sia riserbato ad altro luogo, cui le
anime nostre destinate sieno, spogliate
e libere da questa gravosa soma corporea; e qui si addice meglio la
considerazione che Iddio 6 veritiero, e non cooperatore ad illusione massime in
certi principj e fondamenti, che si
scorgono bene e fermamente stabiliti a sostenere una mole di pitl alta architettura che none
quella, che alia nostra veduta si
concede. Impercid che se 1' anima per s^,
e per sua propria natura avesse terminate le
vie del sapere, quieterebbe s^ medesima a que' soli principj, ne s' imm^ginerebbe piii oltre di
quelli immensi spazj dello scibile ch' ella s' immagina, credendosi che quello
che gliele impedisce fusse il suo ultimo
fine; imperciocche quando uno vivendo racchiuso in una angusta spelonca, condottovi da lontane
parti di notte al bujo, e che ivi
brancolando con esso le mani, . ben
grossi e sodi pilastri vi ritrovasse con archi sopra, certo ^ ch'egli s' immaginerebbe qualche alta
e gran fabbrica dimorarvi sopra all'
occhio del giorno, e non indamo si forti
fondamenti esservi stati sotterrati, o
che almeno alcuna volta stata vi fosse ; se pero un si fatto uomo cotanto stolido non fosse, o
ch'entro vel ponessero di nascita, che
impercid non avendo per innanzi veduto
altra cosa finora di li si facesse a credere che quelle pareti, e quelle volte
fossero i termini estremi del mondo. Cid
verisimilmente succede alle bestie, le
quali non hanno talento di credere che ci
sia da sapere piii di quello che elle sanno. > Ma pitl R. si compiace d' intrattenersi nella prova a posteriori della esistenza di
Dio e della immortality dell' anima
umana, e in cid pure si vale dei
vigorosi argomenti dei piii riputati filosofi,
come e precipuamente di quello che ricavasi dall'ordine del mondo, e
dall' indefinito desiderio di beni insiti in noi, e della sempre incompleta
soddisfazione che i beni finiti della
terra e dei sensi ci recano. E s' intrattiene molto pur qui, ma assai piii nel
trattato della Prowiden^a^ come vedremo
fra breve, a discorrere di questa
natura di beni, e in che il vero bene consista, seguendo in tutto le traccie neoplatoniche e
stoiche, e come i beni di fortuna son
tali solamente in quanto s' indirizzano
al conseguimento della virtii, in che sta
il vero bene. Or facendosi cid appunto per la ragione, mediante la quale si arriva alia bonta, alia
giustizia ec. e questi essendo attributi
di natura sempiterna, ne viene che
Fuomo abbia I'anima immortale. E come
questo, cosi molti altri argomenti verosimili e proba bili della
immortality dell' anima, reca R. a so stegno di essa, di Platone, di Socrate,
di Pittagora, di Cicerone e di Seneca,
il qualp ultimo par talrolta r ammetta,
tal'altra no; ma io credo non essere neces sario fermarcisi per riferirli,
bastandoci di porre in sodo com'egli,
il nostro filosofo, cerchi corroborare quanto
piii pud con argomenti probabUi della ragione quello che intomo all' anima umana e a' suoi futuri
destini ritiene per fede, e d i
rilevare com' egli faccia anco qui uno
sfoggio vastissimo di erudizione nel recare gran dissima copia delle opinioni
de' piii antichi e se gnalati pensatori su tale subbietto. E via via ch' e'
li reca, li rimprovera o corregge in
quel ch' essi hanno di non razionale, o
di contrario alia fede, come la pa lingenesi o la trasmigrazione dell' anima di
Platone, ossivvero ne interpreta
ciiriosamente le frasi, come il demons
di Socrate, per esempio, nel quale vuol ravvi sare I'Angelo Custode dei
cristiani. E finalmente ritorna R. a
discorrere della cosmologia, della
formazione cioe del mondo e figura sua
in sentenza platonica, rigettando pero come detto si 6 la eternity della materia, e dove pu5, a
sostegno delle dottrine platoniche,
riportandone i detti di Galileo e questi con quelle conciliando, come contro
la incorruttibilit^ dei cieli. Eccone il
brano, e avremo terminato 1' esposizione
del Timeo. Imperf. — Nascemi nell'
intelletto una nuova opposizione da farvi procedendo secondo V ordine
platonico, e estraendoci dalla fede.
Convien supporre la materia informe per
s6 discordante e de'contrarj compostaessere eterna, altrimenti se creata fosse
da Dio, potriessegli apporre che egli avesse errato tirando i principj
tumultuosi e contradj, mentre poscia egli ebbe
mestiero di ridurli alia similitudine, anzi alia unitade. Biionac, — Avea mestiero di ridurre all'
unitade i contrarj, acciocche permanendo
uno, e perfetto huniversale, essi operassero di lor natura i loro effetti
speciali, nella parte spicciolata di quello a modo di contrarj: ma si ben sotto
le debite regole e proporzioni tra loro
ridotti per tal maniera che non isvariassero
dair ordine dato loro e mantenessero perpetue le specie, mentre di mano
in mano si rifiniscono gli individui.
Imperf, — Operano i contrarj naturalmente da contrarj, e cid ^ d' uopo
per la corruzione de' composti,
riducendoli ai loro principj come udiste poc'anzi. Ma opera la proporzione, e la analogia ch' egli
ebbero per lo componimento, e per hunit^
del tutto ; richiamandoli via via mai sempre al rifacimento di quelle cose individuali che periscono per mantenere nel
loro debito pieno le specie, altrimenti se fosse un elemento solo nulla si genererebbe giammai. E o vero
sarebbe r universe una cosa tutta, una,
soda e ferma, con la figura solamente
esteriore che ritonda gli assegna il
Timeo^ e allora fuori che nella grandezza, che differenza fareste voi da
esso a una palla di Travertine? si pure
se da principio senza contrarj create avesse
tutte quante le cose, elleno sarebbero sempre ferme, e le.stesse in
perpetuo impermutabile stato, senza che
n^ una giammai se ne riformasse di nuovo, di che come udiste si ^. dichiarato molto bene il
Ficino. Mag, — Oh come bene si B&k
un bellissimo luogo, che io vi verrd
dicendo a cotesto alto concetto, che,
avete detto signor Gioseppo intorno all'esser necessario che la
creazione dell' Universo si facesse dei contrarj a volere la perpetuity de'
moti e delle generazioni, e ch' essi armonizzati fossero con esso le lor medie proporzionali per renderlo uniforme e
si somiglievole all' unitade del mondo archetipo ! Impercid che egli h certo, che senza Tarmonia
rimaneva tra detti contrarj la materia informe e scompigliata e disordinati
moti, e senza le contrariety, restaya il mondo senza operamento che sia, e
senza il fruttifero movimento per le
generazioni disfacendosi, e rifacendosi
di continuo, c onciossiacosach^ qtiando
non di marmo lustro, o di porfido si fosse 1' universo tutto, ma di qualunque altra gioia piii dura,
pit! preziosa e piii fine, qual maraviglia, o stupore recherebb'egli, e che
nobilta o maestria sarebbe in lui, a
petto a quello che ci si scorge, con le continue fabbriche che ci si
formano per mezzo delle corruzioni e
delle generazioni, senza perder mai un minimo che di sua intera pienezza e di sue alte e basse
maravigliose strutture? Come ben dunque si affi^ a codesto concetto quel pensiero non punto meno alto,
che pone il nostro Linceo in bocca al
Segredo contro V incorruttibilit^ peripatetica de'cieli, riputando viepiil
nobile e di piii pregio la terra per la
generazione e corruzione che in essa si fa, che ne dessa n^ i cieli sarebbero,
n^ gli astri e pianeti se veramente incorruttibili fossero, avvertendo alle tante e si belle
mutazioni, che in quella si fanno di
pitl sovrano e ingegnoso magistero, che se ozioso si stesse ancorchd di qualunque
pit! pregiata e speziosa materia fosse
composta. Perchi§ altro (die' egli nei
Massimi Sistemi) verrebbe essa ad
essere salvo, che una vasta solitudine di arida e spessa arena, e si infruttifera e vana, o una massa
di dia spro, o quando bene si fosse un adamante sfavillan tissimo saria sempre
un corpaccio inutile, con quella
differenza ch'^ tra un animal vivo e un morto, e il medesimo della luna di GiOve, e di tutti gli
altri orbi, potrebbe dirsi, e vien poi
seguendo con una maravi gliosissima e bella riflessione, che se il popolo
chiama preziose le pietre, le gemme e V
oro, e vilissima la terra, cio awenire
per la dovizia di questa e carestia di
quelle. Imperd che dove della terra ce ne avesse penuria chi non ispenderebbe una soma di
diamanti e di rubini, e quattro carrate
d'oro, per aveme so lamente tanta in un piccol vaso da piantare un gelso mino,
un arancio, ivi veggendoli nascere, crescere e
produrre si belle fronde e fieri e frutti cosi odorosi e saporiti? E il volgo loda un belUssimo
diamante (dice egli) perch^ all'acqua
pura si rassomiglia, e poi per dieci
botti d' acqua non il cambierebbe. Per la qual
cosa, conchiude con molta ragione, che questi detrat tori della
corruttibilit^ si meriterebbero che un capo
di Medusa gli cangiasse in statue durissime; e vera mente non quality e
attribute di piil valore si dona dalla
scuola peripatetica a'cieli, anzi farsi lore torto, la corruttibilita e generazione togliendo
loro, il cui di scorso si accoppia mirabilmente con la interpretazione del Ficino, ch' espone lo altissimo concetto
platonico, dove chiaramente si ricorda
che anche Platone ebbe per piCi nobile
e per piii ammirabile, anzi per neces saria la struttura dell' universe
sensibile con muta menti continui, e con esse le produzioni varie derivanti
dalla generazione e corruzione, che se stabile, neghittoso e fermo senza moto
si dimorasse ancor che d'oro e' fosse, o
di qualunque pit! preziosa gemma di sua indefinita grandezza come verbigrazia
sarebbe state, se di una cosa stessa e
senza contrarj lo architetto supremo
fabbricato lo avesse. E perd il divino filosofo,'^nch' elli antepone la corruttibilit^. del mondo, dei
cieli, dei pianeti e degli astri a quello incorruttibile che per accrescer loro
pregio assegno loro poi dopo Aristotile di
sua propria immaginazione, avvenga che egli avesse bevuto suo prime latte dalla disciplina
accademica. Oggetto di questo trattato di R..
Suono. Ordine. — Armonia. — Proporzione. — Passo dell'
autore. — Platone e le proporzioni
armoniche. — II medesimo e il diverao, — Anco pel Rucellai tatto e armonia. — I
tre regni della natura. — L' armonia e
Tanima anivorsale platonica. — 11 corpo nmano e le armoniche
proporzioni. La materia. — Giudizio di
R. su questa parte delle dottrine
platoniche. E'prende inoltre, R., in
nove Dialoghi a discorrere delle
proporzionalita armoniche, delle ragioni
musiche in genere e delle loro applicazioni all' aniina platonica, aggiungendo, egli dice, molte cose
e ripetendo di quelle che della musica pitagorica, secondoch^ di essa riferisce Marsilio Ficino, egli
pronunzid. E si rif^ da certi principj
universali esposti nel trattato suo
della Geometria, (Vol. 3° del Codice Ricasoli, corretto dair autore, dove si trovano tre dialoghi
sopra la matematica), che egli prova con Galileo esser Vabhicd dell'umano sapere; i quali principj ne
condurranno agevolmente a tutte le cose particolari di questa armonia. Ogni suono ^ aria percossa che ne viene per
varj modi, increspamenti e vibrazioni
alle orecchie; e secondo la intensity di forza della causa produttrice il suono 6 pill meno grave, pitl o meno acuto,
ed ha ragione Aristotile allorchd dice,
che il suono troppo acnto muove assai il
senso in breve tempo, e il grave quando
6 soperchio in piii tempo lo muove poco, a
somiglianza d' tm ago, il quale se tosto ne tocchi qualche parte con la
sua punta, a un tratto la ci punge, se a
bell'agio, piega solamente e avvalla un poco la
parte ch' e' tocca, ch' altri non se . ne sente. E le cagioni che il
Mersennio, (maestro di musica che il Rucellai dta spesso e cui segue) non che i
piii celebrati maestri all'acutezza e
gravity di suoni attribuiscono e il
nostro filosofo accetta, sono la figura, la radezza o density, sottigliezza ec, insomma
proporzionalita : ritenendo pur con
Democrito che da'corpi sonori escano
minutissimi corpicciuoli od atomi, non pero ammettendo, come Democrito
fa, ch' essi sieno queUi che formano il suono.
Discorre elegante delle somiglianze tra il suono, la luce e gli eflfetti loro, e delle loro
diversity, sempre fisicamente. E mi sia
lecito di far a meno di esporre tutto
cid di cui il nostro autore, seguendo le tradizioni pittagorica e platonica su tal proposito,
ampiamente faveUa ricavandolo dal Ficino ; e che se pud in qualche guisa destare interesse per uno storico della
musica. come quello in che si fa tesoro
degli svolgimenti successivi della scienza dell' armonia dagli antichi
fino al Galileo (del quale apprezza ed
accoglie le analoghe scoperte) per noi d
un fuor d' opera, e ce ne possiamo
passare senza il menomo pregiudizio. Piuttosto io riferisco qui il
concetto della fine di questo trattato delle
Musiche Proporzioni, che assommando i concetti generali qui esposti, d
altresi ponte tra le due rive, tra il
trattato in genere cioe, e le sue applicazioni all' anima platonica.
Qui dunque ritomando a'primi principj della proporzione, postavi innanzi
e con tanto sapere avvertita dair accademico
nostro Linceo, convien restare ragionevolmerite convinto, tutti i primi
element! della geometria e tutte le
proporzioni che in essa si contengono essere
gli elementi primi altresi della sapienza universale. Onde Iddio a tutte sue infinite e
maravigliose opere si volse, e perd in
qualunque scienza e naturale e intellettuale trovansi si fatte proporzioni, si come
i primi fondamenti di tutto lo scibile.
Platone pertanto s' immagind che 1' anima (universale) toccasse il medesimo,
cioe 1' intelletto, e mente divina ricettacolo perfettissimo ed unico delle
infinite idee, le quali per V unit^
perfetta di colui che oft ceterno le
concepio, s'identificano in un'idea sola; onde I'esemplare dell' universe
sensibile ch' ella dico si dirami poscia
nel diverse che viene a significar la materia per s^ varia, disordinata e incomposta, di cui il
visibile mondo crear volea, per la qual
cosa a fine di fabbricarlo ornato, e maravigliose e si degno delle mani perfette onde egli uscio, coUegare il voUe
per quanto per lo suo difetto e' poteva
patire e assimigliarlo alr unit^ e perfezione del mondo archetipo, e per6
non altra maniera ci adopero che la
mentovata armonia, la quale tratta
dall'uno perfetto si venisse scompartendo con musiche proporzioni, tra loro
tendenti alrunisono, onde la varieta divenisse per merito loro talmente bene ordinata e perfetta, che dalla
moltitudine per la commensurabilita loro fosse atta a richiamarsi nell' uno ;
impercio fe' agguaglio dell' anima a un
triangolo, il cui angolo superiore toccasse il medesimo, e allargandosi poscia co' lati nel diverso,
questi venisse proporzionevolmente
digradando, come ne spose il Timeo, nelle duple e triple, e si parimente nelle
sesquialtere, e sesquiterze proporzioni; laonde per I'ordine perfetto -e per lo regolato movimento, che la
fabbrica di questo universe ricevette da
quest' anima armonizzante all' imitazione dell' Idee in una Idea sola
identificate insieme dalla moltiplicit^ delle parti riducessesi per quanto era in lui, e s' immedesimasse
nell' uno, cio6 a dire, in quell' unit^
ch'egli ha tutto insieme senza dargliene
un aJtro compagno, e a lui somiglievole, la qual' anima mercd di suo toccamento
con esso il Medesimo il mantenga uno,
perpetuo, immutabile, e si ne'suoi
movimenti ordinate che immobile resti nel
suo tutto, per quel mode che Parmenide ne insegno, awenga che di sua natura e per difetto della
materia mutevole, e forse mortale,
movibile e diverse nel novero vario e senza novero delle sue membra. E infatti R.
ammirando 1' universe, ritrova tutto
armonia, musiche proporzioni, e con eleganza di
dettato lo espone e lo prova nelle stelle, nel mondo, nei loro giri costantemente ordinati, nella
vegetazione, negli organi degli animali,
nei sensi dell'uomo, nelle sue
intellettuali potenze. E non solamente nell'unit^, ma sibbene nella varieta sublime dello
universe, queste armoniche proporzioni sono, ch6 nel variarsi concordemente 1'
universale componimento con i definiti
armoniosi intervalli e divisioni finissime, la concord auza e requisono
armonioso e la commensurabilit^ corrispondente di tutte le parti 1' una coll'
altra, vi si rivede in somma e singolar
perfezione, a modo che seppero r uno
appo r altro distinguere nelle regioni dell' acuto e del grave i maestri migliori nel genere non
solamente pill perfetto molteplice e
delle duple e delle triple, e si nel
superparticolare, e delle sesquialtere e delle
sesquiterze, ma di ben mille e mille altre che ha saputo conoscere e
misurare la madre natura sotto il
Maestro di Gappella Supremo^ e dove da' nostri musici si trovano le consonanze aggiustate con
limitati interstizj deH' arte : Indi
affine di dilucidar meglio come, in sentenza
platonica, debba intendersi che la simetria, I'armonia e il moto sieno
anima dell' universo, e qual natura
Platone attribuisca a quest' anima universale,
il Buonaccorsi riassume i principj platonici circa la costruzione dell' universo, e dimostra che
Platone ancorch' e' voglia 1' anima universale che sia ragionevole, pure non le attribuisce gli effetti della
ragione, che negli esseri propriamente
razionali osserviamo. E continuando R.
ad illustrare questi concetti deir Ateniese, osserva come in siffatte
applicazioni deU'armoniche proporzioni all' anima dell' universo pitl che noi faccia lo stesso Ficino (piii
metafisico di Platone talvolta) egli si
rende intelligibile, aggiungendo pure
come se a quel filosofo fossero state note tant'altre consonanze minori che dopo'diluiper buone
accettate si sono, e molte eziandio
delle irrazionali, che al supremo Compositore razionali saranno, avrebbe
dichiarato di sicuro la divina mane averle adoperate tutte in questa fabbrica dell' universo e delle
anime umane ; le quali soggette anch'
esse alia misura, all' armonia, se
travalichino i confini di essa, malvagie divengono. Discorre quindi della fabbrica del corpo
umano e delle sue parti, e, per incidenza, della materia, e dice che noi la materia la appelleremo madre e
ricettacolo di quelle cose che generate
e visibili sono, non terra ne aria ec,
per guisa che il Dafinio osservi esser sott' altre parole questa la sentenza di
Aristotele circa la materia; e R.
risponda: Perd il Magiotti
soggiunge: € Eisponderanno i platonici
su' loro altissimi fondamenti metafisici che la materia 6 qualcosa perch6 la sua forma informe 6 invisibile anch' essa suo
attaccamento speciale e sua dependenza dallo intelligibil mondo nella mente divina, cio^ a dire, ha sua
idea particolare per sd, ond'ella ^
simulacro ed immagine ancorch^ visibile
non sia, nd per noi e per la nostra
veduta, ^ necessario che tutte le cose che sono fatte sieno, o che non le veggendo non abbiano a
essere ; e se la non fosse nulla per s6 ma un solo componimento insieme dei quattro elementi, le forme sole
degli elementi e non la materia da s^ avrebbero il loro esemplare, e V idee
loro per entro il ricettacolo della mentc
divina. > A cui infine
VImperfetto: lo non credo necessario
seguitar passo passo il Rucellai nel commento che fa a questa parte del
Timeo di Platone, avendo, parmi, citato
quel che di piii importante ho creduto trovarvi: nd al mio soggetto richiedesi
altro di quel che ho stimato far qui ed ho
fatto, di un trattato che non h se non una prolissa esposizione e dichiarazione delle opinioni
platoniche in queir argomento : opinioni
che noi abbiamo visto in qual conto e'
le tenga R. e com' e' le consideri nella
massima parte qual una sublime poesia del filosofo atenieie, piuttostoch^
teoriche le quali nolle loro
particolarit^ abbiano un fondamento sul reale e sulla esperienza. Importanza di questo trattato. —
Meg^lio che in ogni altro scritto del
Bucellai si fa qui palese la natura del suo filogofare. — Prove di ci5. — Obiezioni di Epicaro e
risposte. — L'ordine deiraniTerso e argomento del Provvedere di Dio. — Qaesti e
la natura. Essa non h per »i che una
voce generica. — II Caso. — Si combatte.
— 611 atomi. — Si nega ad essi, contro Platono ed Epicure, la eternita.
— Si confuta V accozzamento foi^tuito di quelli. — Galileo. — La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza
di Dio; prove per eliminazione. — Obiezione e risposta. — Galileo e il
Bucellai. — Dio non informa il mondo
come anima corpo. L* esempio del sole.
— Marsilio Ficino. — La fedo. —
Creazione ex nihilo. — Bagioni probabili. — Bipete Tautore: fine della
creazione il buono. — II Yero Bene. — I
beni del mondo ban ragione di mezzo, di fine no. Se v' ^ libro nel quale, pitl che in ogni
altro scritto filosofico del Bucellai,
ritroviamo delineati gl'intendimenti di lui, questo si ^ della Frowidema, dove
ragionando in sedici dialoghi contro Epicure, il quale nega il provvedere etemo di Dio, espone in
termini netti e precisi la natura e il
metodo del suo proprio filosofare, e le
tentate armonie, e il rifugio nella fede
e nell'autorit^ religiosa, e la grande sfiducia nelle forze deir umana ragione, e il probabilismo, non la
certezza, degli argomenti che essa, la
ragione, secondo lui nelle questioni
seinpre ne somministra. E siffattamente cid
accade, che pur tralasciando Tesame d'ogni altra parte filosofica da lui scritta, quelle di questa
sola ne basterebbe a persuaderci della verity della tesi nostra : imperocch^ come in una sintesi tutti gli
element! qua si ritrovano che
costituiscono tutte le parti del suo filosofare. Egli qui si propone di votare
la dialettica faretra contro I'empie e stolte proposizioni d'Epicuro, che dairordine dell' universe la Prowidenza ne
toglie, e di vedere, divisando co' lumi
soli del ragionevole e naturale discorso, se Teterno provvedimento nell'essere
universale si ravvisi, ed attiene il proposito ; e poi quantunque argomenti
solidi in sostegno di essa egli, il R.,
ne rechi ed anzi dichiari che cid meditando
con una qualche scintilla di ragione, si passi molto avanti, pure finisce poi in un e quasi pianta al raggio di sole egli sorride al lume
infallibile della fede divina. E come negli altri dialoghi, la scelta degli
interlocutori conferma pur qui la sua natura, dappoich6 anco in questi abbiamo
il sacerdote Magiotti che fa da Socrate,
e a terminare il trattato, il Nicheo, il
quale fondatissimo in tutte le scienze pitl gravi, ma sopra d'ogni altra nella teologia, in cui,
giusta ne dice il Magiotti stesso, ha
saputo la pitl giovevol parte
riscegliere, cio6 la cognizione dei dogmi, Tesposizione delle sacre lettere e la perizia delle lingue
; e che udito discorrere VImperfetto e
gli altri della Prowidenza^ e contro r
ateismo, e il sospetto di Guidobaldo Trifonio
che fosse assai malagevole di trovare argomenti ad acquietar I'intelletto naturalmente
ragionandone, quantunque ciascuno di essi interlocutori stesse fermo con s6 medesimo, n^ revocasse in dubbio cid che
in chiaro si scerne coU'occhio purissimo
della fede, esclama: E se dopo si
accomoda ai loro desiderj e ne discorre, egli e un discorso teologico piu che
di ragione, e a quel discorso il Trifonio,
che la facea qui, pur credente, da avversario e sofistaj conchiude :
Ond'io soggiungo che se dovessi definir questo trattato della Protwidenza (e con esso ogni
altro trattato filosofico del Eucellai) nol saprei meglio di cosi: poich^
R. non solo consideri la Frovvidmsa in generale sibbene anco in
particolare, il provvedere diDio nel
mondo e nelP uomo. E di fatto egli a
favellare di Bio vuole unito il concento sublime della natura; e qui, Platonico
a tutta prova nel tratteggiare il dramma
del dialogo, dove egli ha un' arte di
dire e di rappresentare raffinatissima,
apre il cuore con respiro tranquillo all' armonie dei luoghi deliziosi, e li presso la rinomata
fontana di Belvedere, nei contorni di Eoma, va, raerc^ di si bella apertura, meditando per la chiarezza dell'aere
I'ampiezza e gli stupori del cielo, e per le pianure di Eoma le varie bellezze della terra, le quali del
Provvedere etemo recheranno contro
Epicuro i piii potenti argomenti. I quali, sull'ordine dell' universe
posando, devono esser per il Eucellai
riprova, non prova, di quest' arte
divina nel mondo, perocch^ con I'occhio
acutissimo della fede egli scorge chiarissimo Iddio e le sue miracolose operazioni a pro nostro.
Questa riprova h un soprappitl od un esercizio dialettico fatto a modo
Socratico, di un credente, non rindagine di
un filosofo, il quale coUa ragione solamente a guida osservi, induca, argomenti e conchiuda; non
valendosi come tale, dei dettami della
fede, e facendo conto che e'non vi
siano. Alia domanda infatti se col
naturale raziocinio alle prove si
perviene di Dio provvidente, il Magiotti risponde E co'medesimi argomenti di san Tommaso, e dei
Padri e de'filosofi cristiani, corroborati fin
dov'e'pud dalle dottrine di Platone e de'filosoli gentili, ribatte le
opinioni di Epicure e di Lucrezio centre il Provvedere di Dio, sia che dicano
la natura divina eterna e beata godere in sd perpetua pace e tranquillity, lontana e disgiunta per lungo
intervallo dalle cose nostre, e da'
benefizj non poter esser presa; a cui R.
risponde che anche Iddio, perche Iddio
e'sia, 6 forza che e'sia sommo e infinite bene ed amore, che tanto si § a dire avere infinite carit^ e
beneficenze, senza alcuno intendimento di premio, esercitandolo a diritta
ragione: sia che altri ostacoli ne rechino in mezzo al suo cammino, egli
considerando la natura di Dio, e Y
ordine sublime delF universe e del
microcosmo, li supera e ne trionfa. E quando rinnova Epicuro con Lucrezio la difficoM che Dio
provvedendo turberebbe la sua quiete, ed egli solo non potrebbe in un tempo
stesso badare a tante faccende,
sostenere la soma dell'universo; soggiunge: E al sostituire che gli epicurei voglion fare della natura a Dio, in cotal guisa
risponde : Combatte indi il fortuito e
fortunoso accozzamento degli atomi
secondo Epicure; n§ in cid pure discostasi
da quel ch' era state dagli anteriori filosofi allegato in contrario, ond'io me ne passe; e poi dice che
non essendo noi la misura di tutte le
cose che sono, ancor che alcune di esse
si scontrino inutili o dannose e far
centre percid al provvedere di Dio, non possiamo dirlo non conoscendone i fini e 1' ordinamento.
Dope di che seguitando, com' egli dice,
le sue prohdbilita interne alia
Provvidenza, viene dal generale al particolare, esaminandola nei varj
regni della natura," minerale, vegetale, animale ed umano. E continua a
combattere il case, e la insipienza sua
e I'agitazione disordinata degli atomi.
a formare lo inestimabile ordine e concento di questo teatro dell' uni verso e
la perfezione di sue opere e di suo
movimento. I quali atomi se in sentenza di Platone etemi chiamar si possono,
quantunque il mondo ebbelo esse pure per fatto dopo da Iddio, il Kucellai sebbene ritenga che esistano con
Epicuro e Platone, nega pero che si
possano appellare come tali, cioe
eterni, doYC dice : E riguardo al case
conchiude con Galileo ch' e' non sa quel che sia e in qual maniera possa operare si ordinatamente ; e
confessar dunque si dee, eziandio per
via di ragion naturale, che r alto e
supremo artefice, e non il case, sia quelle che
il formi, regga e addirizzi in tutte quante 1' opere^sue. E la geometria dell' universe ^ come Sole che
fuga le ombre del caso dalla natura, ed ^ V A JB C delk sapienza universale, come argutamente
chiamoUa il GaKleo stesso, dopo che
Platone aveva chiamato Diogeometrizzante in tutte le opere della sua infinita
sapienza. Le quali al postutto pitl che
parlare al nostro intelletto lo abbagliano di loro luce infinita, ed il loro
linguaggio travalica ogni nostro comprendimento, sicche poco nulla intendiamo, studiando, salvo che
la nostra socratica proposizione : Perd noi possiamo sempre indagare se fra le
cose del mondo visibili, ci venga fatto
di ritrovare questa natura questo
reggitore del mondo, e che Iddio non sia. E
di vero se ei ci si ritrova, egli ha da essere il meglio del mondo. E siccome il meglio di tutto ^
Tuomo, vedasi se V uomo 6 da tanto, da
volgere tutte le macchine deir universo, a suo senno, remossa in prima la opinione che gli angeli dei cristiani o i
demoni di Platone e di Socrate, i quali primi non altro sono, per i credenti, che esecutori o iniziatori degli
ordini e degli awisi di Dio e di sue
grazie dispensatori ; e i secondi non
altro essendo che spiriti fabbricatori delle cose manuali, mentre Iddio h delle ragionevoli;
cid h uno sporre le cagioni seconde
sotto lo indirizzo e I'onnipotente braccio della primaria, la quale assista e
governi tutto per si fatte menti. Adunque se non ci ha meglio deir uomo, e, quel che ^ meglio,
ministro subordinato si 6 della divina volenti; la volenti divina, che da s6, o per mezzi subordinati amministra
con tanto ordine tutte le cose, essa si
h che ha in mano il provvedimento e
reggimento dell' universo, come
interpreta-il nostro Tullio; n^ ^ convenevole a noi stremare per tal
modo la di lui infinita onnipotenza, la
sua suprema ragione, la sua sapienza infallibile, per dame il vanto a chi d da meno e ha 'minor
forza e potenza, anzi, che piil schernevole si ^, alia combinazione eventuale
degli atomi e alle stravaganze incostanti e disordinate che il caso farebbe da
s$, se e' non se gli desse si alto e
sapientissirao sopraintendere. Impero 5
fuori d' ogni credenza che altri che Dio sia
quello che tutto abbia fatto e tutto muova e sostenga. E Si]r Imperfetto il quale osserva come quel
presupposto dell'incorporeo, e del non potere esser tocco e toccare egli le cose tangibili sia un gran
punto e un grande argomento a pro d'
Epicure negatore della Provvidenza, rispondesi per mezzo del Magiotti questo
che io stimo opportune di riferire per
intero, perch^ sembrami un punto importantissimo. Molteplici e varie poi sono le quistioni
che a mano a mano mette in campo e
risolve il filosofo nostro su questo
soggetto, ma io credo potervi sorvolare, fermandomi alle principali; come questa
anco nel Timeo ragionata, se Iddio sia 1' anima dell' universe, e cosi lo diriga e lo muova e a lui provveda come 1'
anima al corpo nostro, a un dipresso
come la pensarono i Greci, i quali
tennero Dio anima del Mondo, tra' quali
Aristotele e Crisippo della setta stoica. Al che si oppone con forza R.
dimostrando I'assurdo in cui cadrebbesi,
cio ammesso; come fece appunto di sopra
nel Timeo, discorrendo di questa medesima
ipotesi. Ond' ^ che egli, per il Cristianesimo non cade nel Panteismo, n^, come Platone, nel
dualismo, ma con la Creazione distinto
fa Dio dal mondo, quantunque ne sostenga la Provvidenza sopr' esso. E contrp il
Panteismo rinnuova spesso i suoi argomenti,
guardando principalmente agli attributi divini, e com'essi disconvengano
e siano anzi contrarj alle qualit^ deU'universo e della materia, che imperfetta
e non etema e mutabile si ^ all'
incontro di Dio eterno, immutabile e
perfezione assoluta, il quale se ^ tutte
le cose, e perd Iddio d 1' universe in quanto senza di lui I'universo non sarebbe mai state, n^
senza di lui sarebbero al presente nd al
future, non d gi^ vero che tutte le cose
e 1' universe Iddio sieno ; e come il sole
il quale percuote nelle cose e le cose illuminate il sole non sono, cosi Iddio ^ tutte le cose perch^
tutte le cose per lui sono, e senza lui
non sono, ma desse non sono Iddio, perch^ dalla materia imperfetta
fabbricate sono, dov' egli perfettissimo
si e. E in somma come dice del sole
Marsilio Ficino : Sol est imtar Dei, aspectu
ante omnia venerandus: est amplificatio qucedam subita et latissima absque detrimento sui, 6b
exuberantem bonitotem largitatemque suam cunctis sese libentissinie larffiens,
causa conservatioque, et excitatio omnium quce
nascuntur; absque hujus prcesentia mori cuncta videntur, hujus aute^n
prcesentia reviviscere. Simigliante definizione, piii altamente levandosi, pud
farsi di Dio, e perd: Deus est omnia, ma
non le cose sono Iddio. E il Trifonio in
altro Dialogo dopo queste proposizioni soggiunge: Ma R. qui si discosta, abbandona ed avversa
anche Platone, come lo ha abbandonato sempre dove cose contrarie alia fede
professa; egli dice per il Magiotti: E
come la materia, cosi gli atomi non possono essere eterni. Imperocch^ se il mondo
in tutte le sue parti ^ imperfetto e
corruttibile, come vorremmo che nei suoi
componenti primarj sia eterno e senza mancamento? Delia stessa natura e il
composto che sono i componenti suoi. E
molto meno poi se noi volgeremo r occhio
a quel che veramente sia quest' eternity.
Impero dunque pongo da un lato si fatti argomenti, accorgendomi bene che mi si replicherebbe da
qualcheduno de'piii maliziosi, co'diluvj e con gli incendj varie volte avvenuti nel mondo le buone arti
essersi spente e ritornata la ruvidezza
e I'ignoranza de'secoli ; essersi le scienze o disperdute o soppresse, i
hbri arsi e divampati, e si nell' acque
affogate le memorie deir istorie
preterite ; molte essersene deteriorate, se
non del tutto ite male ; e percio rinascerne alcuna fiata di quelle che noi non sapevamo che mai state
fossero, altre restaurate le quali erano
divenute peggiori ; n^ percio aversi
prova sicura che niuna nata ne sia dai
suo' primi principj ; impercio che esser puote che di 1^ da innumerabili secoli fossero in fiore, e
che ad ora ad ora si perdano, e ad ora
ad ora si rinnoveUino, tornando a
maggiore o a minore perfezione gU ingegni
e r etadi : che impero di si fatte ragioni io non fo conto, naturalmente favellando, quantunque
noi abbiamo per fede con sicurezza irrefragabile gli anni della creazione del mondo : mentre di cotanto pitl
forza sono le altre che addotte si sono,
per render con tanto piii vaUde ragioni
convinti colore che, per sola miscredenza
o miUanteria d' ingegni o mahgni o di soperchio vivaci, pongono
difficult^ eziandio alle cose piil chiare secondo r ordine della natura, perch^ 1' hanno
sottoposte i nostri maestri all' autorit^ della fede. > Ne gK sfugge robiezione deir^^r nihilo
nihitf che dal nulla non si fa altro che
nidla; che perd Cicerone: erit aliquod quod ex nihilo oriatur aut in nihilum
suhifo occidat? Quis hoc phisicus dixit unquam?
€ 11 Magiotti vi risponde: Se noi favelliamo del mondo Archetipo, e eterno nella mente di Dio siccome le idee di tutte le cose che f urono, che
sono e che saranno e di tutte le possibili ad una onnipotenza infinita : ma il
mondo sensibile e la materia F ha fatto
1* artefice sovrano a quegli esemplari dal nulla : n^ dee ci5 parer gran cosa a un Dio onnipotente e
infinite. E come gli uomini dal nulla
possono far anch' essi qualcosa, come di
trar fuori da quelle una nuova forma, a
maggior forza Dio infinitamente onnipotente
dee poter fabbricar la materia ex nihilo, e di cid noi dobbiamo restar persuasi che sia cosi; come
quantunque sia impossibile a intender che sia eternita 6 del pari impossibile a restar persuaso com' ella
non sia, perchd voltandoci indietro per
la graduazione d' innumerabili principj 1' uno dell' altro, ^ forza di
giungere ad un principio non principiato
ed eterno. E se Dio che onnipotente si
^, pu6 adoperar gl' impossibili a noi,
quale ardimento sar^ dell' uomo che voglia gl' impossibili limitargli ch' a lui
possibili sono, quantunque r uomo non
giunga a capirli, e di quel che egli afierma non abbia voluto convincercene con
argomenti, ma 8i d' autorita proferire?
Imperocche Iddio voglia merito da noi, e
per intiera fede ; anzi fortiticandocela con si
chiari esempi, con rivelazioni e co'detti d' uomini ec E qui superfluo che io rintessa quelle che
dice il R. intomo al fine per cui Dio
provvide alia bellezza della donna; poiche gi^ sufficientemente V ho chiarito 1^ dove ho discorso dell' amore
secondo il nostro filosofo ; e siccome qui si rannoda la teorica della reminiscenza Platonica, e della creazione ab
ceterno dell'anime, la quale dottrina di
Platone ei vuol conciliata con quello che ne insegna la fede mentre rigetta la
tavola rasa dei Peripatetici, io ne ho riferito
ampiamente a suo luogo. Ne basti pertanto osservare: 1° com' egli, R., per bocca del prete
Magiotti, a torto, e troppo tolga all'
intelligenza e alia razionalit^ delle donne, in compenso delle quali
privazioni dice aver Iddio dato loro
appo I'uomo la raccomandazione della bellezza; sendo esse, pur razionali,
animali si imperfetti e dell' uso di ragione cotanto manchevoli a petto agli
uomini che non a torto disse quel savio
infra Io stremo peggiore deUe nature ragionevoli e '1 meglio delle sensibili, la natura
donnesca essere stata locata; 2** come
il nostro filosofo in sentenza platonica e petrarchesca le bellezze della
donna, raggio delle divine, abbia il
supremo Provvidente create agli uomini
come gradino per ascendere a sollevarsi alle
bellezze infinite. Capitolo
Decimoterzo. {Segue) Dei mali. — Necessita di questi nel mondo. —
I yeri mali. — La morte non e un male. —
£ cosl la poverty, la perdita delle
riccbezze, le ingiuste persecuzioui ec.
I mali occasione e strumento di bene. — II dolore. — La infelicita. —
Del dono della ragione. — Saa natura. — Malizia e ragione. — Libero arbitrio e
prodestinazione. — Liberta e fato. — Passo dell'Autore su questo punto. — Epilogo delle probabilita ragiouevoli
intorno 1* esistenza di Dio provvidente.
— Bifugio nel la fede. Intricata e ritale questione ne'tre dialoghi 11, 12 e
13 aflfronta e definisce ilRacellai col
metodo 8te8SO,e co'medesimi intendimenti, la quale d necessaria a
risolversi per chiunque favelli di
provvidenza; la questione del male nel
mondo, che egli reputa, come i beni, dipendere da essa. E prima di tutto, con a
maestro e duce Platone, che dei veri
beni e veri mali divinamente discorre,
pone la necessity de' mali nel mondo; e
al signor Elea che obietta veder noi il giusto esser oppresso e percosso dalla sferza dei mali, e
1' ingiusto trasportato nelle regioni
della felicity, sicch^ Dio mostrarsi o non provvidente o non equo,
risponde Per la qual cosa facciamo
esamine un poco sopra di questi mali si
gravi che non sono in poter nostro di
ributtargli; e veggiamo, se mali dir si deggiono, onde, dall'esser noi sopraifatti da quelli, abbia a
dependere quel giudizio, che con tanta
franchezza forma Epicuro, dell'essere
Iddio a tal cagione o non giusto, o vero
non provvidente ; e incominciamo dalU ultimo, di tutte le cose piii terribile alPuomo, dico dallo
spaventoso accidente della morte, che
indifferentemente e alP improvviso, e d' innumerabili spezie e in ogni e
qualunque et^ cade sopra noi viventi
mortali. E, quantunque per lo lume
vivissimo della fede Y immortality dell' anime
nostre ne sia manifesta, pure non di meno, poich^ si risponde a Epicuro, all' Epicurea favelliamo
e di sue opinioni vestiamoci, supponendo
con falsa dottrinach'elle mortali esser
potessero: imperd che in tal caso eziandio male non h la morte, nd che Iddio
provvidente non sia, si come egli ebbe
per indubitabile, cid dee essere argomento. Dicamisi un poco: quando bene
I'anima mortale si fosse, che torto
riceve T uomo dove prima o poi egli
adempia il termine a lui prescritto del vivere, posto anch'egli come le altre
cose caduche e finite a discrezione
degli accidenti fortuiti che provengono
dalle seconde cagioni? Per modo che non pena n^ gastigamento d' Iddio,
ancor che provvedente, la morte degli
uomini chiamar si dee: imperd che non piti ragione ha di dolersi morendo colui
ch' h stato ingenerato a condizione di ritomare a quelle ch' egli era anzi che ingenerato fosse, di quelle che avrebbe
chi non fii mai, dolendosi perche
ingenerato non fue ; con cio sia cosa
che a colui che non ^, non manca mai nulla; n6
ha desiderj o bisogni, n^ passioni o diletti se non quello che ^; e il mancamento e il dispiacere di
esser manchevole non da altro si deriva, salvo che dove non si conseguisca cid che ottenere si vorrebbe; n^
dolersi puote ed esser misero se non
colui che abbia senso. Adunque non altro
la morte si ^ che ritornare a non
essere, cid 6 a non avere di nulla mestiere e a restar franco da ogni tormento, si come era prima
che fosse. E poi ; che ^ il nostro
vivere perch' e' s' abbia V uomo ad atterrire
della morte? Alcuni piccoli animalucci non
giungono a vivere un di intiero, de' quali chi arriva alle venti ore di vita pud chiamarsi decrepito : e
ch' ^ di piii nostra vita comparata
all'eterno? Adunque, sela morte ne
finisse del tutto, si come tiene stoltamente
Epicure, cid fora ricondurci a'nostri principii: cheimpero lamentarsi
non gli si conviene di torto alcuno.
> E quei mali che accompagnano la morte (la quale ^ un punto di tempo si momentaneo che non
tocca i vivi e non s' appartiene ai morti)
o non sono che una necessity alio
scioglimento che si fa di tutte le parti
sensibili a poco a poco, accid che si come passo passo si andd formando, cosi lentamente a suo
disfacimento venga il composto: quindi
le malsanie avanti le debolezze provengono d'anno in anno secondo il vigore
e il temperamento che loro piii o meno
fii conceduto da vivere. Ma quanti per
la crapula, per le libidini e per ben
mille sofferenze cagionate dall'ambizione o dalr avarizia si smenomano la vita
loro, mal servendosi e consumando gli
strumenti datine per nostra conservazione ! > E indi il nostro scrittore passa a
discorrere degK altri mali, la poverty, la perdita delle facolt^, i
disfavor! de' principi, le infermiii,,
le servM, gli esilj, le ingiurie, le
calunnie, le ignominie, le ingiuste persecuzioni, la perdita delle provincie, e de' reami interi
a' Re che giustamente li posseggono ; e di nuovo il giusto oppresso, ringiusto esaltato; e vi risponde, e risolve
la questione^ mostrando come cid non dal
caso n^ da Dio, si da noi stessi molte
volte dipenda, e dalla nostra ingiustizia del
vivere, e come alcune cose che a noi sembrano mali,, Iddio a fine di bene ce le mandi. Convione pero dire che R. scendendo a
parlare de'mali particolarmente, e'si dimostri troppo stoico, per dirla pi^ conformemente alia
quality della £ua dottrina, troppo
mistico, sicch^, a m,o' d' esempio, discorrendo della poverty e del suo
contrario, la ricchezza, mentre, e a ragione, encomia quella virtuosa come germe e fondamento di felice
tranquillity, troppo invero questa
dispregi e condanni, sbagliandone Tabuso
con I'uso. Bello perd 6 il quadro che fa degli onori dispensati sovente a' men degni, e de'
dispregi a chi invece onori avrebbe
meritato per le sue virt^. La
provvidenza divina, dice I'autore nostro, die alI'uomo i mali, e lo sottopose
al dolore, in quanto intendimento suo si fii quello di renderlo perfetto e
agevolargli le vie a scuotere il giogo
dei sensi e si indurargli sotto quello
dell' anima razionale. Adunque il dolore patir si pud, ed ^ dono del prowedere supremo; con cid
sia cosa che a gloriosi trionfi ne mena,
la sicurezza e la liberta ne conserva
dell' animo, e ne fa esser gli uomini sopra
gli uomini, anzi, come Seneca tenne, uguali o superiori agli Dii : Ferte fortiter, die' egli, habetis
quo antecedatis deum : ipse extra patientiam malorum est : vos supra
patientiam. Iddio per renderne degni di sua alta beneficenza, perfetti ci vuole negli atti
della ragione, in cui sopra gl'
irrazionali privilegiati ci ha : e gU uomini di virtii bramosi, anticipatameate
apparecchiandovisi, debbono gaiamente a tutti i patimenti essere esposti e si aspettarseli, per conseguire i
doni dell' onesto e la turpitudine viziosa iscansare. L' infelicity, in qualunque modo ella ne
accada, la pill fedele maestra si d ddl'
adoperar ragionevole ; perchd essa e
quel fuoco onde si alluma la luce, quasi
che spenta, della ragione, per cui altri si perfeziona e rendesi degno degli infiniti beni della
Provvidenza Divina. Ne' tre ultimi dialoghi di questo trattato,
il Rucellai s' intrattiene a discorrere del dono della ragione e della liberty, che il Prowedere etemo ha
fatto agU uomini, si che essi si distinguano dai bniti, e per ultimo riepiloga
contro Epicure gli argomenti gi^ espressi,
sull' esistenza di Dio, e sulP arte sua divina nel mondo. E nella prima questione egK definisce la
ragione alia peripatetica, e com' egli
dice, vendendo le descrizioni per definizioni, e gli effetti per le cagioni,
imperocch^ se non si pu6 arrivare alia cognizione del senso, molto meno si pu6 giungere a sapere quel che
sia la ragione di cotanto piii pregio e
piii sovranamente prodotta. E indi
lungamente discorre della malizia cui la ra gione raffina, e de' mali usi che
di questa fa Tuomo; e mentre questi
acerbamente condanna il Bucellai, come
prodotti dal Kbero arbitrio delF uomo traviato, quella difende come dono sqxiisito e stupendo
dell'Etemo Prov veditore; n^'perchd Tuomone abusa,il dono devesi spre glare, o
tenere in non cale; e conclude con V aggua glio del sole dicendo r o per varie vie si disperdono? Qual colpa
la ragione ci ha, se fluttuando per
furiosi turbini di violente pas sioni, tutti fantasimi dell' anima, torbida e
confiisa si rende la cognizione del
vero? Perch^ accagionare la ragione, se
le varie facce che ci si volgono davanti
de' mal regolati e incostanti appetiti, per esse ci si mo strano
falsificati e varj da quel che sono i suo'lumi
negli oggetti che noi miriamo? Non i raggi della ragione, ma si la
materia ov' essi percuotono, trasforma
sua purissima luce in variati colon; onde quello che per s^ d lucido e puro, torbido, o si vero
di tinte non sue colorato rassembra ? E
perch' essi da luce proven gono, ed alterati ne sono i riverberi, distinzione
ne rendouo, ma s) rea distinzione e
mentita, che abbaglia e delude in noi V
elezione, rivolta i talenti in malizia,
seduce la vista dell' anima ed aguzzala in yedere quel che non d; ond' ella allettata da immagini
false, ivi si studia di giugnere, e si
adoprando astutamente il male^
perfeziona le qperazioni viziose: per la qual cosa Marsilio Ficino, corona della patria nostra,
disse divi namente in simil proposito: Sicut miopia terrena a coda lumen reddit opacum, facUque colorem ex
lumine, sic corpus circa animam reddit
ex inteUigeniia sensum. Non h dunque
colpa del lume ragionevole, per s6 mai sem pre chiarissimo, ma di noi che
tortamente il guardiamo^ con
frapponimenti che ingannano e insozzano i suoi
riverberi, si che ei non ci si mostra bene, non per suo, ma si per nostro difetto. II sole, dice il
prefato autore, trapassa di presente
per la chiarit^ de'cristalli, che non
parano, o rigettano indietro il vivo lume ch' e' ne tramanda ; ma dove ne' corpi terrei ed
opachi si ab batta, inetti a imbevere la luce, voglionci replicate pcrcussioni de'raggi suoi, che pria gli
riscaldino, ac cendangli ed assottiglino ; e poscia suo lume vi penetjfa a fecondarli. N6 piii, n6 meno, i rai
vivificanti deUa ra gione umana, ch'6 pur favilla della divina, per la
purity e.trasparenza degli organi
intemi, passano agevolmente a {ax lume
all'occhio dell' anima; ma se le tenebre
de' sensi brutaU e la materiality delle passion! terrene fiannosi loro innanzi, non perdono que'
raggi loro luci dezza, ma le tenebre non la comprendono ; e per6 o il lume della ragione dall' occhio mentale
smarriscesi, poi ch6 esse gliele
tengono, o vuolci tempo e atti iterati di
loro vigorosi percuotimenti, accid che disciolgano, liquefacciano e si
consumino quelle grossezze, anzi ch' e' passino a rendere sinceri all' anima
gli oggetti dell' immaginativa e veridica V elezione della volont^; cosi come non ^ colpa del sole se suo' rai non s'
insinuano si di leggieri per la durezza
e asperity della terra, n^ anche ^ colpa
della ragione se suo' lumi trovano I'opacit^ degli affetti che gli ribatte, e
si presta loro I'imperfezione de' suo' inform! aspetti, per falsificame la
luce. Impercid, signor Elea, la colpa
tutta e di noi, e V uomo quando usa bene
la ragione, e I'ottimo di tutti gli
animali, quando male, e pessimo di tutti. Che poi I'usino pochi per lo nostro naturale
iucitamentode'sensi, non d colpa della
ragione, n6 cid si dee apporre al j)rovedimento
divino: ma noi proprii ne semo i colpevoli, impercio che la ragione n' 6 data,
accio che I'uomo, come buon villano, il
campo del cuor suo diligentemente lavori, si che quello che v'^ duro, spezzi e quello che mal cresce, ricida; e con
imperio d'animo debbia governare tutte
le corporal! parti; se cid non adempie,
d! lui fallo si ^. non del dono della ragione,
n^ del domatore sovrano, perch^ molt! pravamente si vagliano di tal beneficio. Con tutto che
tant! e tanti scialacquino i patrimonii,
perde forse merito lor padre di cotanto
utile lasciato loro? Quanti sono che, volendo far male, giovarono altrui, e ben
lor nacque ? e come non si dee saper
grado di cio a' primi, cosi n^ meno
averne odio a' secondi. FoUe discorso saria, sa
d'un principe, che di una alcuna nobile e salutevole vivanda regalo ne facesse, lamentare ci
volessimo, perch^ male ne avesse fatto, o per la mal sana disposizione di noi
medesimi, o pe'rei condimenti, onde cucinata I'avessimo. Elea. — Non hanno
colpa i principi se di qualche loro
grazia male ci venga, perch^ essi saper non poteano che cid ne dovesse accadere
; ma il provveditore etemo non puote
scusarsi di non antivedere le cose
avvenire. Era dunque migliore, o non darci la ragione, o si levarci Y elezione dell' operare, che
damela per male servircene. > E con questo si scende a risolvere Taltra
quistione importante del libero arbitrio
dell' uomo, ch.e, appunto dal malo uso
ch' e' se ne fa, alcuni vorrebbero escluso
e rimesso nelle mani volubili della fortuna e del caso, o in quelle ferree di una cieca ed
irrevocabile necessity,. Difende R. la liberty d' elezione nell'uomo, della quale ad esso solamente fu fatto dono
tra gli animali quaggiiH, perch^ e
ragionevole appunto, e accorda questa liberty colla predestinazione,
invadendo cosi, mi sembi^a, un campo che
piii che suo, 6 di teologizzante, mentre
invero assai debolmente ragiona della
liberty in s6 filosoficamente considerata. In sostanza la predestinazione
puossi invero accordare con la liberty,
purch6 si badi al concetto di questa medesima
predestinazione. Ch' d ella mai inf atti ? Iddio in cui il passato e il futuro s' immedesima nell'
eterno presente, non puo, umanamente
parlando, non prevedere ogni azione
dell' uomo, e in tanto prevede, egli predestina; se non che quell' idea di tempo che nelle due
parole s' inchiude non vale per Iddio, si per noi che finiti siamo e nella successione del tempo ; ond' 6 che la
liberty umana in nulla rimane impedita;
imperocchd non perch^ Iddio prevede che I'uomo
determina, impercid egli determina; ma perche I'uomo 6 per determinare di
suo arbitrio, inipero Iddio, che ha
cognizione infallibile, prevede ; c e,
se 1' uomo fosse per determinare il contrario, Iddio previsto 1' avrebbe, si
come colui che errar non puote nelle sue previsioni. Adunque I'atto della determinazione 6 libero, ancor che Dio lo
preveda; ma r atto dell' esecuzione non
^ libero, e perd Iddio o il permette o
lo predetermina o toglie ch' e' non awenga,
perch^ cosi predetermino. > Ond'
^ che Iddio pone Fanima razionale per entro
la corporale materia, accio che la parte inferiore alia superiore ingaggi battaglia, e con questa gli
nomini da per loro prodi si facciano
contro gli empiti degli appetiti
espugnandoli con la ragione. Ma raffiguriamo
ci6 ne' sentimenti piii che umani di Pittagora e di Plato, i quali col barlume della natura
nell'infinita beneficienza di Dio
ragguardando, ben si awiddero il merito
della sublime condizione deiranime non esser
merito bastevole per lo godimento di quella; e si da questi astri immaginati, ove secondo loro
Iddio le teneva in serbanza, con la viziata natura della materia vile mischiandole, le lasciava in suo
arbitrio, accio che col divino talento
della ragione sapessero di proprio
volere i vizii vincere e far si che i sensi servi fossero e instrumento della ragione, non questa
instrumento di queUi; per lo cui merito
o le stelle piCi luminose o' Campi Elisi
per lor felice magione dopo morte assegnarono ; ma, altrimenti oprando, da'
corpi umani la trasmigrazione davano
dell' anime in que' delle bestie i cui
costumi brutali piii a' vizi loro si confacessero. Imperciocch^ la ragione non d essa il merito
d«' beneficj divini, ma si lo strumento che messer Domeneddio ne porge loro, bene usandola, a meritevoli
farsene. E perch^ pugna forte la natura
della materia corporea contro a' dettami
della ragione, n^ Iddio vuol per miracolo perfezionar la materia, quindi nasce
il libero arbitrio in si fatto contrasto
di due contrarj stimoli, il, quale,
dov'e'si volge, all'un di loro d^ lavittoria: e perch^ a nostra imperfetta
natura sono piii i vizi che le virtudi
conformi, non volendo Iddio fame oprar
bene di potenza, perch^ i meriti degni meriti non sarebbono appo di lui, ne viene che il minor
numero se ne approfitti: e per6 la
ragione nulladimeno d prowedimento
sovrano datone a dar regola al nostro
libero arbitrio, ancor che forse il minor numero se ne vagliano. Adunque il farsi meritevole de'
beni di Dio non in aver la ragione
consiste, ma nel volerla spontaneamente adoprare, potendo fare il
contradio. Imperf. — In somma ell' d
una proposizione molto difficile a
intendersi questo libero arbitrio, com' egli
stia collegato con la predeterminazione di Dio. Mag. — Udite piii innanzi e con piii
chiarezza. Cid che sono per deliberare
ed eleggere gli uomini, il vide Iddio ab
aterno; ma videlo, non lo sforzd; seppelo,
no '1 determind; il predisse, non V ordind. > E indi R. combatte la necessity che gli
stoici affermano darsi nel nostro
acconsentimento, che non altrimenti
spontaneo sia ma risultante dalle cagioni
antecedenti per fatality impermutabile. E gli oggetti che ad agire ne stimolano dimostra col senso
comune, e coir esperienza, esser bensi
cagioni prossime e particolari, non principali ed universali, e come lo
acconsentimento e la deliberazione nasca da noi si come il principle del moto alia trottola il d^ chi la
tira, ma il volgersi in giro per merito
si ^ di sua propensione e figura. E nel mondo evvi anco il fato a cui Tuomo
soggiace senza che quelle contrarii il libero arbitrio di questo. Fato, il quale non d che volere
divino, pare al Bucellai che nominar si
debban le morti repentine, e ogni e
qualunque altro accidente nel qual cagion prossima particolare non si ravvisa
che a quella innanzi ne disponga, ma che
immediate e all' improwiso dalla cagione
universale discenda, laonde niuna libera determinazione di nostro ai:bitrio
luogo ci abbia. E riepilogando, il
nostro filosofo dice, cadendo poi nel
suo solito probabilismo : Per la qual
cosa a ragione fu chiamato il fato;
inJuerens rebus mobUibus immobUe promdentim decreturn, quod singula 5wo
ordine loco et tempore firmiter reddit.
E in ci5 distinguono gli autori la provvidenza
divina dal fato; quella dicono, vis in Deo et potestas omnia videndi, sciendi^ et gubemandi indivisa
stipata et uniter juncta ; ma il fato lo
pongono partitamente nelle cose
particolari: la provvidenza ^ in Dio solo locata, e a lui solo sta in petto: il
fato h il decreto e resecuzione di essa applicata alle cose speciali. La provvidenza dunque ^ in Dio e il fato nelle
cose discende da Dio ; e perd la provvidenza h prima del fato, si come il sole ^ innanzi al lume, V eternity
al tempo: Providentiam rerum omnium
jundim esse fatum per distributionem
singtdarum? Seriem nexumque eausarum in
ordine in loco in tempore. E di queste cause si
prevale secondo lor virtii o dote data loro da Dio. Pendentem a divino consilio seriem
ordinemque causarum chiama il fato Pico
della Mirandola. Ma le cagioni seconde 1' adopera per quel modo ch' elleno
usate sono di adoperarsi, e percio delle
libere determinazioni nostre mosse
dagli. impulsi o degli appetiti o della ragione, secondo che bene o male
deliberiamo; il cui effetto segue o non
segue secondo la predeterminazione divina ; e noi degli atti nostri volontarj, o ragionevoli o
irragionevoli, abbiamo il merito e il
demerito. Che iraperd per divino
provedere la ragione n' ^ data a correggimento di nostro libero arbitrio, da' cui moti bene o male
regolati la virtii o il vizio ne
risulta, quantunque non se ne adempiano gli efiFetti. Cosi anche naturalmente
favellando, la predeterminazione e
prescienza delle cose col nostro libero
arbitrio coUegare si puote, cui la ragione soprasti ; e perd non n'^ data
indamo come altri vanamente si presuppone.
Elea. — Oh quanto malagevole si 6 il poter fermare ci6 con tutte quante le argute ragioni
addottene dal nostro Magiotti,
autenticate eziandio daU'autorit^ di
grand! uomini, le quali son belle si e appariscenti, ma in somma poi non provano! Mag. — Egli ^ sufficiente lo 'ntendere che
quantunque non rintendiamo possa essere anzi abbia del verisixnile che si
fiatta coUegazione si dia, e che noi non giunghiamo a poter provare il
contradio; impercid che chi 6 colui che
osa senza forza di manifeste dimostrazioni contradire a' proprj sentimenti ? II
libero arbitrio noi ce '1 sentiamo in
noi da per noi : che gli effetti poi di
esso dipendano da piii alta cagione, cio eziandio n' ^ indubitabile e aperto per chiarissimo e
continuato sperimento. Come dunque
volere affermare che tale collegamento
non ci abbia? Adunque acquietamci, senza
negare o affermare sopra il modo come e'si sia col nostro usato rifugio. Quest' uno i' so, che
nulla io so : che d'intorno a qualunque
cosa noi non intendiamo per lo piii vero
e indubitabile d' ogni scienza che sia. >
E col riassunto delle probability ragionevoli intorno all' esistenza e al provedere eterno di Dio,
si compie questo trattato, eliminando
sul bel prime 1' opinione di Epicure che
la speranza e il timore siano i due fattori di Dio nella mente dell'uomo, o,
per dir meglio, riducendo questa
proposizione al sue giusto valore, che e
la speranza e il timore di Dio, il quale nolle opere sue e nell'arte sua divina si manifesta, non
sono da fantasmi o da immaginazione. E conchiude il Magiotti : E il signer Giovanni Nicheo Dalmatino, che
sopraggiugne, abbiam visto in principio della Esposizione con quali parole si rivolga, domandato, a chi
cerca altri argoraenti sull' esistenza e
prowidenza di Dio, e •come dope aver
detto che grandiose segno di tal verita si ^ V universal consentimento in tale
credenza, che equivale a un dettame di
natura, si rifugia in argomento di
teologia rivelata e conchiude : Al che
tutti s' acquetano, come vedemmo, e la ragion di loro, chiuse le ali, si riposa
timorosa e tranquilla, come Colombo, nel nido securo di una religiosa credenza. II detto di Socrate e quelle di
Tale to. — Fatti interni: psicologici e
morali. — Nosce te ipsum. — Dell' anima in generale. — Galileo. — t presunzione voler comprendere
quel che Taninia sia.— Studio proficuo
de' suoi strumenti. — Notomia. — Proemio del Rncellai alia parte morale. — Qui
e aristotelico.— Riepilogo. — Laragione ed il scnso. — Loro contrarieta nel
riconoscere il bene. — Tre sorte di beni
; dell' anima, della fortuna e del sense. — Apprezzamento di essi. — La vera
scienza morale e il timore di Dio. — L'
anima umana, perche ragionevole, ecapace del timore di Dio,e, pero, di Tirttj. — Anche qui R. e mistico. —
Operazioni delr anima e della volonta.
Errore e dubbio. Buono e
reo. La
vera felicita. — iJ la vera virtu.
Stoicismo. Aristotele. — A^irtii
cardinali. — Ldro definizioni ed uffici. — Estremi delle virtu. —
i\.pplicazione delle virtti alia societa umana. — Fine di essa. — Doveri. — Divisione di essi. — Cicerone. —
Sentenza esagerata intorno le donne. —
Goudusione. Fin qui ^ stato un discorso
per il regno della natura sensibile, e
per il regno della natura divina. Accompagnato apparentemente il Kucellai dalla
voce di Socrate, osservd, come vedemmo, le stupende regioni di questi due regni, ma le ragioni delP esser
loro non impard con certezza, si discopri col lume incerto dell'intelletto come
probabili, perche la loro certezza solamente la fede ci manifesta, e il
probabilismo (che infine non d se non
uno scetticismo) razionalmente fayellando, si fu la conclusione delsuo
lunghissimo esame: probabilismo e
scetticismo, io ripeto, che come per incanto tramutossi in evidenza, allorch^ V
autoriU divina sopraggiunse, e le nebbie della ragione, quasi raggio di sole, penetrando disciolse. Or la guida del Eucellai muta, e come
Virgilio al limitare del Paradiso ced6 V
ufficio di condottiero per Dante a
Beatrice, cosi il detto Socratico sul limitare
della coscenza umana si rist^, e a quel di Talete d^ luogo, perche serva di guida al Filosofo
nell' esame dei fatti interiori,
psicologici, io dico, e morali. In un modesto preambolo accenna egli a tutto
cio; e nella Villeggiatura Albana che comprende due Dialoghi, il secondo de'
quali diviso in 31 capitoli, discorre della
psicologia e antropologia, molto imperfettamente per 6, si che non ha importanza, abbozzo piii che
discorso, 6 percio anch' io spendo poche
parole in compendiarla, per quel tanto
che al mio ufficio sodisfi e non piCi.
Badare, egli dice, agli antidoti contro le malattie deir Anima ^ necessario, e cid si fa e si
consegue anzi tutto, conoscendo bene s6
stessi. Nosce te ipsum; conoscendo cio^ intieramente gli organi nostri, sede
delr inteUetto e dell' altre potenze dell' Anima, e imparando a tener bene d'
accordo i due movimenti contrari sotto
le leggi del dovere. E cid, applicando pure la
scienza della Natura a correggimento dell' Animo, affine di conseguire
quella felicity espressa in quelle parole :
E siccome nell' individuo tre operazioni diverse ma congiunte si osservano, vegetativa, sensitiva
e ragionevole, giova dire le opinioni che in antico si ebbero della sede di queste potenze, cio^ della
natura delr Anima; discorrendo poi partitamente dell' anima vegetativa, indi
della sensitiva, e per ultimo della ragionevole, ossia dell' anima in questi
tre aspetti diversi. Poscia il filosofo
si propone di far riflessione siccome
rUomo per mezzo dalle quality eccelse dell'anima deve istruire s^ stesso neUe virtii morali,
per conseguire il bene perfetto, che spesso in oggetti onninameirte ad esse
contrari noi andiamo cercando. D
disegno di queste parti si ^ chiaro, e precede
con discorso naturale della mente, e giusta il buon metodo: 1' Uomo ^ problema a s^ stesso; ogni
sosprro, ogni movimento, ogni pensiero,
ogni volizione 6 un complesso di fatti
che TUomo produce e che avendo in s^ del
misterioso vuol sapere di essi il perche.
L'Uomo 6 un creatore finite di cose indefinite; egli compie degli atti agevolmente, ma quegli atti
li diresti divini, se non lo sapessi finite, tanta 6 la lore grandezza, la lore
portentosit^ ! Egli si vuole conoscere
e ne ha tutto il diritto. E *a che
sapere delle cose che lo circondano, se ignora
Tessere proprio? Ei vuol saper
com'^, chi ^, dov'^, dov'andr^; ^ ben
naturale ! A che darmi questa sete insaziabile di scienza, di amore, di infinite, se poi, come
a Tantalo, ella dovesse formare a me uno
strumento d' un eterno martirio? A che
fomirmi di tanti organi stupendi, di
tante facoltS, prodigiose; a che sottoporre al mio volere in me stesso tanti abili ministri di
arte e di ingegno; a che questa ragione, questo volere, s'io son condannato come un organismo di cera a
restarmene immobile, o, come macchina, a
muovermi senza sapeme il come e il perche? Oh! dunque rUomobisogna conosca sd
stesso, il sue corpo, la sua anima, le
facoM di ambedue, se vuol dir di sapere alcun che. Questa sentenza del conoscer s^ stesso e
adunque la base del verace sapere.
Obbediamola, e, guidati da essa,
studiamoci. L' anima, lo abbiamo
veduto, ^ di piii sorte; quindi conviene vedere prima dell' anima in generale.
II Galileo interrogato che fosse quest' anima naturale, rispose : non lo so.
Tutte le definizioni date dagli antichi
suir anima si accordano a dire che essa ^ un movimento. Ma pero il
movimento ^ un effetto, dice il Rucellai col Galileo, e resta sempre a sapersi
quel che r anima sia veramente. Chi
produce questo effetto nel mondo? chi ^
I'origine di questo moto universale?
Platone reputa etemo questo moto, ed erra stimandolo etemo colla materia, sibbene dee ritenersi
eterno con Dio ; ^ egli dunque Dio
stesso, che 6 anima dell' Universe, d egli Dio il moto che 6 anima del Mondo?
fi presunzione il rinvenire se questo
moto sia veramente r anima del Mondo e
percid dobbiamo starcene quieti a quello
che gi^ per lo innanzi abbiamo veduto, e non
andar pitl oltre in quest' indagine, imperocch^ chi vuol saper pitl innanzi della verity, va a caccia
della bugia. E qui invero si ferma R.
quasi scoraggiato della ricerca, per
passare all' esame di cid che si vede, e
di cid che si tocca, cio6 della fabbrica esteriore delrUomo, osservando come
dalla fabbrica dei diversi ingegni e
deUe varie maestranze degli organi dei corpi
che vivono. argomentare si puo la quality delle anime che quelli informano ; sicche giovi
discorrere della notomia, non ad uso della medicina o physice, come avrebbero detto gli scolastici, ma si all'
esame delr operazioni dell' anima sensitiva e della ragionevole, cio^ Metaphysice ; esaminando cio6 i /?ni
a'quaH son formate quelle parti e quegli
organi, e 1' ordinamento loro sotto il
regime volontario dell' anima umana o ra^
gionevole. E nel suo trattato d' anatomia segue il Rucellai i pill dotti
Naturalisti del tempo, e soprattutto il
dottissimo medico di Firenze Rodrigo de Castro, il quale fii autore del libro SuUe Meteore del
corpo Umano. L' egregio lettore mi permetter^, e non a malincuore, ch' io gli
risparmi la descrizione di questo trattato, che del rimanente non contiene in
s6 altra importanza tranne quella di essere basato sulle cause finali e d' essere informato al principio
universale delr ordine e della proporzione. E questo ^ tutto quello cui nella seconda Villeggiatura accenna 11 R.; poco importante, come ognun vede, ed
imperfettissimo, e che era forse per lui
un abbozzo di un lavoro pii compiuto e a
cui come ad altri manco al filosofo nostro
11 tempo di porre mano, o di dar T ultimo tocco. Reputo piuttosto, come quello che merita
piii, di intrattenermi con alquanta
maggiore larghezza sul trattato delle facolta interne e morali, nella
Villeggiatura Tiburtina compreso, che
quantunque imperfetto ancli' esso, pure per natura sua e all' obietto nostro
giovevolissimo, ed incomincio pertanto dal riportame il Proemio, pubblicato dal signer Fiacchi, come
ho avvertito nel Cap. 7**, (Collet, degli opmcdi Scientif. 1814) ma ignorato quasi generalmente, e che ^ bene
risottoporlo all' attenzione del letterato e del filosofo, percM oltre a designare in esso quel che intende
contengano i suoi dialoghi sulla morale,
d come uno specchio fedele della qualita
loro e del sistema, ed agevola la strada
alia critica nostra. Pboemio alla
Villeggiatura Tiburtina. Per modo che
fatta questa pausa di parecchie ore di
tenebre, egli h ben ragione ch' e' ci ritorni alia vista e alia mente quell' ammirabile opera
dell' Onnipotente mano di Dio con le indefinite specie che ne giungono a un tratto agli occhi e alia
fantasia di si varie e leggiadre
particolari sue creature, che tutto il
corpo universale del mondo con si stupenda consonanza e armonia
compongono insieme. Per lo che alio
scoprimento di si belle varietadi e di tante sorte di cose, che annoverare e distinguere non si
ponno in un' occhiata sola, e di si
diverse tinte e lumeggiamenti, onde si
scorge tutta la terra colorata e distinta; chi
non rimarrebbe attonito e stupefatto, se non 1' avesse di giorno in giorno per lungo corso di anni
osservate e vedute, e perdutone con
I'uso quotidiano degli occhi, la maraviglia? Tutto questo per I'appunto 6
intervenuto a me stamattina su lo spuntare dell' Alba, in questa nostra uscita per andarcene a
Tivoli da Nemi partendoci. Perch^ al
primo raggio lucente, che in un attimo
si distese con 1' illuminazione della terra
e del cielo dall' uno all' altro orizzonte : io non potetti far di meno in quel subito di non rimanere
strabilito da tali e si maravigliose
bellezze, che mi vennero di presente a
ingombrar le palpebre come di cosa nuova
e non piii veduta, e ipsofatto aprironmi altresi la mente a piii subUmi e piii nobili considerazioni.
Impero dunque quantunque volte meco
pensando riguardo alia lucidezza del
cielo, e alia vaghezza della terra, io rinnuovo subito tra me stesso le usate riflessioni
avvertendo con quante diverse situazioni e riverberi di luce questo tutto adorno sia ; ravviso di quanti
vari colori da essa dipinto venga questo
nostro Emispero, variato per ben mille
vaghe maniere di lumi e d' ombre. Vagheggio con sommo diletto quante positure
difformi vi si rinvengano di piani, di valli, di colline e di monti che lo disagguagUano nella rotondit^ sua:
osservo di quante maniere sia divisato
da una banda di boschi verdissimi, dair
altra di amene campagne, e di campi
aperti, Golmi e fluttuanti d'oro ad ogni aura che spiri; scorgo dove acque nitidissime che a guisa di
tante vene serpeggiando e correndo lo
irrigano, dove Tampiezza dei mari che ondeggiando ne vengono ad ora ad ora con tempi ordinati alle prode; e
insomma innumerabili differenze di cose che in qua e 1^ disseminate si mirano;
le quali avvegnachS per difetto della
capacity nostra, ne appaiano confuse ed a case; pur tuttavia elle sono ordinate e disposte con
ammirabile simmetria dalla madre natura
e da colui che la guida. Laonde se 1'
ordine altro non d che una composizione
di pill cose insieme adattate e accomodate a' lor luoghi prescritte con
sommo e alto sapere dall' opportunity dei siti, e da' tempi in che esse s'
addicano, e se bellezza e compiacenza
veruna de' sensi nostri dar non si puote
senz' ordina, e tutto quello ch' 6 brutto e spiacevole, per6 spiacevole e
brutto si ^ peych^ ^ disordinato ed a caso; confessare pur mi conviene che
nella confusione di si leggiadre e
dilettevoli composizioni e disposizioni,
ordine maraviglioso e misura e propoBzione vi sia, comecch^ da' vostri occhi
non se ne discema cosi perfettamente la distinzione. > Dalla bella vista dunque di co^ varie
ed alte maraviglie, le quali noi in
viaggiando con la considerazione godiamo stamane ; mi si leva eziandio con
gran diletto il pensiero alia contemplazione
delle altre cose belle, le quaH
presentemente non ci si rappresentano
all' occhio : lasciamo da un lato il far ricordanza delle diversity* de' pesci del mare con tante
dissimili figure, e co'lor proprii
colori; delle bestie della terra d'indefinito numero, che niuna si rassomiglia
alia sembianza dell' altra, e '1 simile
degli augelletti svolazzanti per r aria
; ma che direm noi della maestria industriosa
per la quale con si differenti e si minute fabbriche e ordigni son fatti tutti quanti gli animali, e
quali picciolissimi ingegni sieno scompartiti entro di essi con finissimo lavoro, ciascuno a varie ed
ammirabili operazioni adattato? Qual'S si stolido che non rimanga a un tratto preso dalla beltade e leggiadria
delle donne, che creature ragionevoli
sono, facendo reflessione con qua' proporzioni corrispondenti di vari
lineament! si bene innestati insieme sia formata una faccia delicata e gentile?
e con qual tenerezza e delicatura risplendano a chi le mira le fattezze loro; e
con che elegante artifizio fuori dalle
labbra con dolci moti balenando un riso
aggradevole, I'alme ammalii con
soavissimo incanto? E chi ^ colui che sperimentato non abbia i vivi e chiarissimi lampi, i quali
scappando in un attimo dalle loro
ardenti pupille ne feriscono i cuori e
1' alme senza discemere ove sia il dardo, e dove Tarco, e la mano che lo scocchi? Ma
contempliamo altresi la variety
dell'effigie degli uomini, la robustezza delle membra loro con si nobile proporzione scolpite dal Maestro Sovrano, e la destrezza
e la dispostezza in tutte quante le azioni, e il valore che avvezzandosi egli
acquistano per combattere talora e farci
stare ogni piti temuta fiera? e finalmente tutte quelle cose che la natura di miracoloso ha in
essi locato sopra g? irrazionali anche nelle parti corporee. Per guisa che se Y uomo solo e per natura e
per dono di ragione dilettasi e conosce
quel che 1' ordine sia, e '1 bello, e '1
modo, e V armonia di tutte le cose visibili e apparent!, appagandovi entro la
reflessione, il che non dimostrano di
conoscere n6 pigliame alcun diletto gli altri animali; e se cotanto
maravigliose cose noi risguardiamo nelle
parti che hanno gli uomini a comune co'
bruti, e nelF artifiziosa composizione degli
organi loro, fatti apposta dalla natura per le operazioni sovrane a cui
ci rende abili V Eterno architetto ; di
quanta maggiore ammirazione c' ingombrerem noi
se trasporteremo sifiFatte meditazioni dall'occhio alr animo, cio6 da'
miracoli delle cose che si veggiono o
che veder si possono, a quelle che si fanno entro a quegli organi per oi)era di ragione, e che
dall'intelletto solamente comprender si possono? Molto piii avremo diletto e consolazione senza alcun fallo
nella bellezza, nella impermutabilit^ e
fermezza loro, e si nell'ordine che
puote osservarsi nelle azioni buone,
nelle deliberazioni giuste, e convenevoli, e nei giudicj retti della porzione interiore dove consiste
V operar ragionevole, e V ammirabile
leggiadria dell' onesto cotanto reputato da' filosofi, e per cui 1' uomo non a
torto merita il nome di saggio. > Ora per quella maniera che i lineamenti
del volto e le proporzioni delle parti
corporee, e la loro convenienza insieme compongono quel vago aggregate che per maestria della natura fa risplendere e
piacere cotanto il bello, e'l leggiadro ne' corpi; non altrimenti per r opera tanto pii\ sagace e maravigliosa
della ragione e per lo suo alto magistero dalle convenevoli azioni, dagli atti dell' intelletto e dai
lodevoli costumi trainee fuori 1' ordine,
la simmetria e la bellezza delr animo di piiH eccellente perfezione senza
veruno agguaglio che sia; laonde con giustissimo titolo gli antichi savi anche di bello posero nome all' onesto,
a differenza del suo contrario che essi
addimandarono turpe, cioe deforme
veramente e fuori d' ogni regola e misura. Di
modo che restiamo pure persuasi come nella stessa guisa che la
bianchezza delle cami, I'oro inanellato
de' capelli, la grazia d' un riso che esce con vezzosi moti da una leggiadrissima bocca, il fulgore
e la vivacity spiritosa di due nerissime piipille che ne passano da un lato
all' altro senza accorgercene per mezzo
del cuore, e le guance di rose e le altre nobili e diligenti fattezze
bene accoppiate, e disposte in un volto
dalla natura spesse volte piu ad una femmina favorevole che all' ^Itra,
son tutte cose che il rendono bello ed
adomo, e fannolo riguardare, ammirare ed amare
con sommo piacimento e dilettazione da chiunque si sia. Maggiormente senza verun paragone dee
muoverci e dilettare la candidezza della
mente e de' costumi, la vivezza e '1
lume chiarissimo dell' intelletto, la grazia
e la nobilta del tratto e delle maniere, e la gravity et il decoro delle azioni che sono i lineamenti
perfetti che forma il magistero accurato
della ragione, e fa bella e
ragguardevole un' anima, e rendela amabile e aggradevole e nobile e gentile e
sopra tutte le altre in grandissimo pregio, ed estimazione; e questa si h la
vera bellezza che si appfeUa dai
sapienti onest^, il che non pud fare
giammai la bellezza di un volto corporale
ben fatto, il quale ^ solamente bastante a destare lo stimolo vehemente de' sensi ; dove all'
eccelsa maraviglia dell' altra con altrettanta violenza si risentono le parti superiori e le facoM piii preclare
dell' anima,. cioe a dire I' intelletto,
e la mente, conciossiache quelle
bellezze che all' onest^ si appartengono, sono d' intera,^ e non corruttibile fattura; dove 1' altre
caduche sono, e transitorie, e le
riguarda solamente con dilettazione la
porzione sensibile. > Ecco perch^
gl'irrazionali, che non hanno misure da
cio, non si muovono n6 si appagano se non di quello che il senso detta loro, e che e presente, n^
del passato del fiituro fanno verun conto. che sia. Ma I'liomo con la ragione intende alia conseguenza delle
cose, a'principj, alle cagioni e a' progress! loro, e con le passate paragona
la simiglianza delle present!, e a queste appoggia r investigazione e la conoscenza dell'
avvenire, e per tal via esamina e
considera e quasi dispone tutto il corso
della sua vita, appressandosi al vero, la dove Tuomo savio s' immagina cha 1' eccellenza del bello
con giusta misura sia collocato. Per
tale attitudine e inclinazione a noi
soli conceduta, tutti quanti siamo tirati alia bramosia della cognizione e
della scienza; e perciocche (come abbiam
dimostrato sin qui) delle naturali operazioni, di quelle eziandio che tutto
giomo da noi si scorgono e che noi
adoperiamo o per diletto o per V uso del
vivere, non ci e lecito o possibile di rinvenire i principj loro; n^ le loro speciali cagioni
ancorche gli occhi nostri apertamente le
mirino; a tale intenzione nel
cominciamento de' nostri discorsi proposi quellasentenza di Socrate ; parendomi sempre piti evidente noi non
potere ad altra scienza rivolgerci che
alia cognizione di noi stessi, e di noi
alia notizia di quelle porzioni che quantunque non si veggiano, si adoperano e regolansi da noi
medesimi, e riduconsi a quella perfetta
bellezza, che risplende viepiii e con
pitl verita all' occhio delle nostre menti,
che quell' altra all* occhio corporale non fa. Per la qual cosa applichiamo ogni nostra cura, e ogni
soUecitudine neir investigazione del
vero, intomo a quello ci driuscibile di aggiugnerlo, che in quel bello dimora,
in quel buono cosi sublime, il cui
esemplare, il cui ammirabil ritratto
dalla Divina mente staccandosi, ne f u si altamente nell' anima impresso, cio^
il lume della ragione dalla cui accurata
meditazione arrivasi con I'intelletto e
con I'opere al vero, al buono al bello, all'onesto; prima a conoscere quale
veramente e' sia, e vagheggiarlo con sommo deaio, per indi imitarlo con
I'esercizio della retta intenzione e della virtil. Ora se noi proviamo a qual segno ci muove e ne innamora
quelr ordinamento si ben tirato di parti perfettamente locate a' lor luoghi
della belta corporale onde sfa villa
quel lampo, quel non so che il quale i piii reputati filosofanti rag^o appellarono della Divina
PulcritudiQe; che dovrebbe operare in
noi, a che amore, a che consolazione destarci quell' armonia si perfetta di
convenienze tanto rettamente ordinate insieme, e si leggiadre e si ammirabili della heliA dell' onesto? il
quale piil accertatamente nominar si
puote non raggio solamente ma vivo e ben
condotto ritratto di quell' originale eterno
della sapienza infinita, 1^ dove il sommo bello di tutti i belli, il sommo buono di tutti i buoni e 1'
infinite e sommo sapere d' ogni altra
sapienza in una perfezione unica e
infinita si altamente rifulge ; e se la schiettezza e modestia sola degli ornamenti arroge
qualcosa di piii alia bellezza corporea,
dove la falsificazione e '1 liscio la
sminuisce e la toglie ; non altrimenti la purity e integrity de'costumi gentili
e delle maniere con I'ornamento solo delle scienze, e dell'arti pitl nobili,
fanno piii bella e pitl vaga 1' onesto
dell' animo, e rccanle piti chiaro
splendore che non fa la gloria vana e I'ostentazione e 1' ambizione, la quale
eziandio con le dignita e con esso gli
onori non meritati di piil alto grade
adultera e guasta e corrompe i bei lineamenti delr anima. E qui
rammemoriamoci per paragone delle belle
giovani di Marino che non accattano i rossetti
dair arte per farsi belle e leggiadre, ma serbano intatto quel finissimo velo di candide e lucide carni
federate di rose, le quali non col
cinabro o col bianco ma solamente coir acqua fresca ravvivano, a difierenza
delle nostre bellezze di Eoma, che false si veggiono e dipinte co' lisci, e
affatturate e guaste con V affettazione
degli ornamenti soverchi e delle artifiziate invenzioni. Ma per maggior riprova di quanto i' vi
propongo, passiamo di grazia a pitl precisa simiglianza di questo onesto col bello, e rimarremo sicuramente
convinti esser di gran lunga pitl leggiadro
1' onesto che il bello. Ecco: il bello e
la bellezza dei corpi sono nomi universaK
che tornan bene, e s' applicano a innumerabili cose, come s' 6 a tutte quelle tanto naturali,
quanto fabbricate dall'arte in cui si ravvisi a un tratto perfezione di misure e di proporzioni che tirino gli
occhi di ciascuno a guardarle, a lodarle ad ammirarle; e cionon solamente segue nel rimirare una vaga e bella
faccia femminea, ma un cavallo o altro
animale eziandio, che nella sua specie
sia ben formate dentro alle sue debite proporzioni, le quali dal loro sesto
naturale non escono punto n^ poco; il
simile d'una bella pianta, d'una selva
ben posta e ben ordinata, che vi diletta
senza scorgerne il perche ; e infine tutte quelle belle cose, che noi abbiamo con tanto nostro
piacimento ammirate, e nel tutto
generalmente e nelle parti sue ciascuna
da per s6 di beM intera, e perfetta nel suo
essere, bench^ ella sia parimente porzione della bellezza del tutto insieme : nel medesimo mode delle
cose perfezionate dell' Arte il piii per imitazione della natura, belle ci convien dirle, e per tali celebrarle
; come delle pitture e delle sculture
addiviene, delle fabbriche magnifiche e dei palagi, e di tante e tante altre
fatture ben fatte di mano in mano
secondo la qualita loro e secondo
I'ordine, la simmetria e '1 componimento speciale che loro s' addice per 1' uso
a che elle hanno a servire, e per la
mostra che elle hanno a fare. Ma nella
stessa guisa che nella leggiadria e nella vaghezza delle opere della natura, noi ammirato
abbiamo V alto intendimento di chi 1' ha
fatte ; n6 piil n^ meno nelr artifizio e lavoro di quelle fabbricate dall'
arte, non ci dimentichiamo di lodare la
maestria e '1 lavoro di colui che meglio
I'abbia sapute ridurre a fine: e come
nel maestro della natura noi veneriamo Y infinite e onnipotente sapere le sue opere contemplando;
cosi dobbiamo non tq,nto lodare la mano
degli artefici, quanto riconoscere di
essi I'ingegno e Tintendere che da quella
infinita sapienza piglia il suo lume primiero, ed ammirare viepitl
I'intelletto e la ragione di quelle che opera,
che r opera istessa ; anzi si dee riconoscere che quella bellezza del lavoro, che noi cotanto lodiamo,
non ^ veramente titolo che meriti esso lavoro, ma conviensi alia mente e alFingegno del lavorante; e pero
anche la bellezza delle corporali cose
non 6 attribute che propriamente a' corpi belli si richieda, ma all'
intendimento di chi seppe la belt^ donar loro, al Divino se delle cose naturali favelliamo, e alia
ragione infusa nell' uomo, che 6
parimente cosa divina, se discorriamo
delle cose dell' arte. Ora se il bello veramente 6 bello non per rispetto al corpo dov' egli e
introdotto, ma per rispetto alia mente
di chi con istudio e diligente applicazione lo conduce a fine; la lode che si
da per usanza a una cosa bella non cade
appropriatamente sopra la cosa, che
riceve sua perfezione d' altronde, e non
trae essa da sd medesima le sue prerogative del
bello, ma sempre si dee riferire a colui che il bello ha saputo darle; e insomxaa quella bellezza
che noi tanto commendiamo nella cosa
bella, non ha essa il merito di esser
tale, come I'ha chi bella I'ha fatta.
> Quanto dunque ci convien confessare che sia piii bella la bellezza dell' animo che la bellezza
dei corpi? perch^ se questa dei corpi,
la quale con iscalpello o altra manuale maestranza si forma entro materia
grossolana, vile e terrestre ne' corporali lavori, ricevendo il componimento suo e la maestria dalla prima
Idea deir Architetto, ha in se un non so
che del Divino; quella degli animi che
si perfeziona e adornasi di gentili e saggi costumi, di azioni e pensieri
prudenti, e di atti tutti ragionevoli,
quanto pitl veramente pud dirsi neir
opera e nelF operante, tutta insieme cosa divina, essendo 1' operante e 1' opera tutta insieme
in s6 stessa della medesima condizione,
e perd tanto piii maravigliosa, e sopra 1' ordine della natura pud dirsi;
perche con la ragione, che e scintilla
di Divinita, non si abbellisce materia vile e terrena, ma si purifica e si
perfeziona un' anima, che ^ della mano divina creatura tanto perfetta facendosi leggiadra e pura
dalla belta dell' onesto, che
sottraendola fuori dalle macchie fangose de' sensi corporei, nella sua prima divina
sembianza la riconduce. > L' Onesto
impercid da grandi uomini si distingue in due sorter Tuna consiste nella grandezza
e eccellenza dell' animo che e bellezza
vigorosa, e da uomo grande e di alti e
generosi sentimenti dov' abbia modo di
esercitarli ; 1' altra che sta posta nella conformazione col dovere e nella
moderazione, e nella modestia per cui rifulge la continenza, I'umilt^ e la temperanza che sono le virttl, le quali
formano nella pill ben misurata
proporzione i lineamenti e le fattezze di questo bello, che si chiama onesto.
Con esso s'impara a non temere, per fare
il giusto, di niente che sia; a dispregiare
con fortezza le cose umane, dove iia di
mestiere, e non credere intollerabile cosa alcuna che possa all' uomo intervenire; non bramare
se non il diritto, e deUberare con
ottimo cuore e con ben ponderata ragione
tutte le cose che s'hanno da fare e da dire, e da cui derivar non ne possa n6
pentimento proprio, n^ detrimento altrui; onde traluce fuori da tutte le azioni umane quel non so
che di vago e di maraviglioso che si
chiama Giudicio, il quale puo chiamarsi
la grazia e '1 compimento della beM
deirOnesto; si come la gentilezza e '1 nobile portamento e '1 moto
vivace degli occhi e delle membra, la
grazia si e e 1' ornamento piti leggiadro che risplenda nella bellezza dei corpi. Tutte quante le
operazioni dunque giuste, ragionevoH e
ben temperate dalla prudenza e delle altre virttl convenevoli sono, e percid decorose e belle; come le ingiuste e fuori di
ragione disconvenevoli, senza decoro e
deformi. Per la qual cosa da dubitare
non 6 che le virttl non sieno le piti
aggradevoli ed ammirabili parti e piii delicate di quel belle che chiamasi onesto, si come i vizj del
turpe e deforme. Ma per quel modo che la
vaghezza corporale difficilmente dura e
mantiensi senza la sanity e sejiza una
ben formata complessione ; cosi la leggiadria e la belt^ dell' animo che ci d^ negli occhi con V
avvenenza dei costumi e del tratto e
delle amabili maniere, di rado si
conserva senza una buona e sana mente, e
senza la robustezza di una ben ferma e retta intenzione ; percioc^h^
quel tutto insieme che noi scorghiamo
nell' adoperar nobilmente e saggiamente ne d^ il primo indizio (egli ^ vero) e la prima
raccomandazione per giudicar poi con le
debite riprove, che 1' onesto sia vera,
stabile, ferma in tutte sue parti e non variaoile, incostante, malfondata e finta. Ma perch^ sia
Fargomento pitl forte di si fatta riprova, e con piil prestezza si rinvenga, se
6 sincero quel non so che il quale
spioca fuori talvolta dalle decorose maniere, o
che abbia veramente Y eccellenza in s6 del bello e del maraviglioso che si richiede all' onesto,
tutto consiste nell' osservare se il modo di contenersi in tutte le azioni sia al maggior segno differente dall'
operare irragionevole; e di vero che quel bello che da noi si appella decoro,
gravita e avvenenza di costumi, il quale
lampeggia fuori del portamento d' un uomo savio, tira r appro vazione di tutti coloro i quali hanno
nell'ordine, nella fermezza e nella moderazione de' detti e de' fatti buon gusto, e tutto il
compiacimento loro; per lo splendore e
*1 lumeggiamento piil vivace e pitl chiaro
di questo decoro, e di questa bellezza dell' animo, Tintelligenza e 1
giudicio si 6, e se cotanto si lodano e
approvansi le attitudini e moti del corpo e la di lui dispostezza che vagUono alle azioni corporee;
molto pill i movimenti e le attitudini
ben regolate dell' animo che servono
alle opere della ragione, nelle quali avvegnach^ tutti gli onesti uomini, come
dicono i Franzesi per dar loro quel
giusto titolo che meritano le persone veramente di garbo, non abbiano tutti i
medesimi talenti, solamente che in
ciascun di loro stia sempre ferma la
mente retta, e invariabile 1' uso della ragioue, non si toglie loro la venust^ dell' onesto,
non altrimenti che non perdono la grazia
e la bellezza delle attitudini corporali quegli che in esse non siano abili
alle medesime cose, imperciocch^ altri
sono agili al corse, altri sono isciolti
nel danzare, altri nel maneggiare un
corsiero, e altri forti e robusti in varie operazioni della ginnastica; ma in somma qualunque cosa che
noi adopriamo con 1' intelletto e col raziocinio ha sempre piu garbo e piil nobilt^ di quelle che si fanno
coUe forze e con la destrezza del corpo
; ma fermisi insomma per proporzione
infallibile e universale che 1' onesto ha per
compagna mai sempre la virttl, nh puote dalla virtil sradicarsi, e dove non d virtii non d
perfetta onesto, ma solo sembianza d'
onesto. L' onesto dunque ^ bellezza vera, costante e incorruttibile, non
solamente generica, ma particolare
eziandio; percioccM e bella la virtil in
genere, che d T aggregate di tutte le bellezze insieme deU'onest^; ma tutti gli
atti virtuosi, ciascuna opera di
ragione, e tutte le sue facolt^ da per
se, hanno la perfezione speciale ma intera di questa miracolosa belleiza, che onest^ da' sapienti
si appella; e insomma tutto quello che
ci muove al dovere, che ci sprona al
convenevole, e che ne indirizza per le vie
dell'operar virtuoso, tutto quello, che regola i nostri Sin qui abbiamo ragionato di quel bello che
si chiama dai filosofi morali onesto, il
quale d^ la forma perfetta agli animi
nel modo che il bello visibile abbellisce le fattezze dei corpi; per lo che non
reputo in questo luogo che sia alieno
dalla materia proposta discorrere dell' utile il qnale, a' detta di molti,
vien giudicato 1' opposto dell' onesto,
che tanto s'^ dire turpe e deforme; ma
essi scambiano i termini e nomi, perciocch^ quello che onesto non ^, utile non
si puo dire, il quale presso gli stolti
ha tale la sembianza per la cupidigia
loro, che utile lo credono perch^ si studiano
di conseguire cose ingiuste e disdicevoli, senza pensar piii innanzi se dannoso sia a sd e al
prossimo; perciocche oltre al male, che da essi altrui pud prodursi o col torre il loro, o col fare lor cosa che
sia ingiuriosa o spiacevole, ridonda
anche in biasmo e in inquietudine e in gravi pericoli di chi 1' usa e di chi lo
cerca con aspettativa mal pensata di
trame profitto, perch^ utility, vera e
stabile dar non si puote, dove non sia
congiunto 1' onesto, e 1' utile per ci6 ^ utile perch^ e onesto; ne onesto si d^ mai che utile non
sia. Ora facciamo un po' avvertenza, vi
prego, in che grado stiano amendue 1' uno
con 1' altro, e per qual maniera possano
far lega insieme. Aflfermero primieramente con
Marco TuUio, che il vero onesto con I'util vero sono in istrettissima confederazione, non
potendosi trovar cosa effettivamente
giovevole che onesta non sia. Imperciocch^ quello, che dagli uomini poco savi
utile falsamente si presuppone, e quello
che ^ veramente contrario all' onesto,
non utile anzi detrimento e disutile nominar si dee. Erran pero colore che
reputan questa sorta d' utile al pari dell' onesto, delusi dagli affetti soveichi dell'amor proprio e dell'interesse,
imperciocche dove sia cosa contraria al
dovere, ancorch^ paia che metta conto di
conseguirla, ci ^ la turpitudine, con
esso la qualv^ cosa utile accoppiar non si pud per v runa r^aniera che
sia, perch^ senza 1' onesto util vero
non trova gi^ mai. Ed d tanta la virtil e 1' e^cellenza dell' onesto, che ancorchd e' sia utile, non
perche egli e utile far si dee, ma perch^ egli 6 onesto, anteponendosi tal nome
e tal riguardo air utile che util sia congiunto col diritto e coll' onesta ;
anzi 1' util vero degenererebbe dall' onesta che seco dimora, qualora il
fine di quello si preferisse al fine
delP onesto. E percid r onesto sola ne
ha da indurre a operare senza far
considerazione all' utility, se non secondariamente a voler che essa non isvarj e non s' allontani
dall' onesto, il quale quantunque per nostre sregolate passioni e' ci paresse contrario al nostro utile,
sempre com' egli d onesto, utilissimo si
^. E per ci6 niuna cosa ^ giovevole che non sia onesta, diceva Socrate, perch^
quello f:he onesto non e, non puo mai
utile divenire, sconvolgasi quanto si voglia I'ordine dell a natura. > E quale utility si pud egli mai trovare
dove si oscuri lo splendore e '1 nome d'
uomo giiisto, e da bene? E chi ^ colui
che recar ci possa tanto giovauiento ohe ci torni con to scapitare per esso la
buona fama, la giustizia e la fede ?
Perch^ s' hann' eghno a trascurare le
cose giuste e oneste per acquistar ricchezze e potenze, che utile vero dir non
si possono, qualunque volta perd elle
non s' indirizzino ed esercitinsi a questo fine dell' onesta e della virttl,
con le quali pill 1' operar ragionevole
abhia lustro, e facciasi riconoscere
quando le faculty e le grandezze sono rettamente e gloriosamente applicate ?
Chi non ha questa mira nel maneggiare i
beni della fortuna facendoli servire a quelli dell' animo, ci6 si ^ farsi
bestia, o in forma d' uomo govemarsi da
bestia. E chiunque afferma che la
cupidigia, I'avarizia, 1' ambizione e la vana^loria contravvenendo alia giustizia, possano util
cosa chiamarsi, ^ in grave errore o meiitecatto si 6. Come pu6 mai trovarsi utility dove segue o dee seguire
rimorso di coscienza o pentimento o dove
sovrastar pericoli? Pud bene nominarsi padre della patria Giulio Cesare da' cittadini impauriti; perche egli non
sar§, mai altro che un parricida. II comandare
agli altri, che dee sostenersi su la
base della gloria e dell' amore de' sudditi, come pud esser utile, dove in
iscambio si vegga su '1 bilico deir odio
e della mala fama ? Ecco la bella e
gloriosa utility, di Giulio Cesare dove ell' andd a finire; rimase tra le coltella ucciso in
Senato. Ecco dove termino la tirannia
usurpata in Atene lor patria da'
Pisistrati, e dagl'Ipparchi ; restarono oppressi dal valore e dalla sagacity di Aristogitone e
d'Armodio. E per addurre esempi moderni,
dove pard la grandezza e la potenza del generate Valdestain che non temeva di chi glieH potesse torre ? Si
convert! in tradimento del quale pagd il fio in Egra con sua propria strage; e di si fatti casi e negli antichi e
ne' presenti secoli ne raccontano in
grandissima dovizia tutte quante le
istorie. Utile dunque non pu5 darsi con odio e con pericolo, e con rimordimento interiore, ma
vuol esser riguardato dalla stima dei
saggi e dall' amore de'buoni, il quale
solamente d giusta retribuzione dell' onesto;
senza un' utility, ragionevole, ne lecita non si trova giammai, n6
utilita puo dirsi quello acquisto che sia giovevole ad uno e all' altro no;
anzi anche le oneste cose disoneste si
fanno, dove V utile di qualcheduno possa
patire ; chd perd niuna cosa e pitl onesta del mantener la parola, ma perde sua prerogativa, come cid
porti pregiudizio a chi ella si mantiene;
per esempio (come i poeti fingono) non
fu cosa onesta che il Sole mantenesse la parola a Fetonte. E veridicamente
parlaudo fu cosa fuori di tutti i
termini dell' onesta, e giunse alia
scelleraggine che Erode mantenesse la parola a
Erodiade. Concludasi dunque che non si da onesto che non sia utile, nd util vero senza 1' onesto,
rimanendo chiaramente persuasi che 1' onest§, sia quel nome generico che
significa in una parola sola la proporzione e
r armonia di tutte le operazioni ragionevoli, e di tutte le faculta ben guidate dell'animo; per quella
guisa, che il nome della bellezza ne
spiega con un sol vocabolo r accordo insieme in ben regolata forma di tutte le parti, di tutti i lineamenti d'un corpo
bello; come di tutte le altre cose che
piacciono nel genere loro ; e siccome da
tutte le cose belle particolari ne risulta
questo nome universale che beltade si appella; cosi da un ben misurato accompagnamento di tutte le
virtii morali, e di tutti quanti gh atti
virtuosi, si raccoglie insieme questo
nome generale, che onesto si chiama; il
quale vuol dire e abbraccia, si in genere, come in particolare tutte quante le beUezze
delFanimo. Quello dunque che riguarda e
s' aspetta in genere alia virtii morale,
e alia sua perfezione dicesi onesto; e percio
da questo universale potremo nella presente villeggiatura e nolle
consuetegite che andremo facendo, potremo,
dico, favellare della virtti morale, e delle sue -pit belle parti, esamingtndo i precetti e gli
ammaestramenti di essa, che sono le pitl
speciose prerogative della bellezza deir animo. Per questa via impareremo a
conoscer noi stessi, e quali strumenti dati ne sieno dal Maestro Etemo per conseguire si nobile
ornamento, pel quale noi ci
sottragghiamo dalla sembianza di bruti,
e ci accostiamo con la figura interiore alia simiglianza di Dio. >
E un di pill far rilevare al leggitore come il nostro autore si mostri
qui nella morale Peripatetico,
aristotelico, subito che ripone come lo Stagirita la virtti nel giusto mezzo; lo ch6 h da intendersi non
nel mediocre, com' altri ne voUer dedurre, si nella giusta misura, oltre la
quale non ^ piil bene, non ^ pitl perfezione, ^ un trasmodare. Stabilito cio, riassumiamo
brevemente i quattro dialoghi intomo alia morale, per indi venire alia cons^guenza del sillogismo
di cui abbiamo dato le premesse, o alia risoluzione del problema da noi posto in campo. Gli uomini, egli dice nell' argomento del
Dialogo 1% ban dunque anima vegetativa,
sensitiva e ragionevole, di cui le
potenze sono, memoria, intelletto e volonta.
L' uomo cx)nsulta, giudica, compara, delibera, vuole. Sovente la parte concupiscibile c iraocibile,
come ammette anco Platone, le quali ha dato in servigio della ragione, si trovano a contrast© coUa ragione
stessa, e traviano la volonta ; e 1'
atto, anzi che virtuoso, e allora vizioso. Imperocch^ la ragione fondi i suoi motivi
suUa costanza dei beni, e stimi beni
anco i mali preseuti, che pero menano a
futura felicita; e gli appetiti invece si curino solamente de'beni presenti,
guidino poi partecipino al male. I beni
degli appetiti sono pure obietto della
ragione che gl'indirizza a sano e giusto
fine, subordinandoli alle azioni virtuose. Da si fatte e si diverse apprensioni della ragione e degli
appetiti si deriva la contrarieta tra
loro nel riconoscere il bene; onde secondo
dove aderisca la volenti, formasi la virtil
ed il vizio di cui sta per discorrere. Se non che, giusta la sentenza aristotelica, dir si conviene
come i beni sieno di tre sorta: beni
deiraninna, della fortuna, e del sense.
• E beni dell'anima si chiamano quelli
che ritroviamo in noi, e che da noi stese* dipendono, come sono le virtii, e la retta intcnzione, i quali,
come nel trattato della Provviderzo osservammo, non ci possono esser dati n6 tolti, se non da noi medesimi.
Beni della fortuna quelli sono che stan fuora di noi, e ad arbitrio di altri ci vengono dati,
e ci vengono tolti, come le ricchezze, gli onori, il pQtere; i quali son beni non veri e fermi, se non s'
indirizzano a beni deiranimo e all'opre
della virtii. Beni del sense, per
ultimo, sono quelli che noi abbiamo a
comune co'bruti, e solamente dir si possono beni, in quanto dalla natura si
bramano per mantenimento del vivere e della propagazione e conservazione della
specie, e terminano ciascuno col termine
della propria vita. Nel resto i
beni del sense, dice il Eucellai, sono
d' ordinario mali e non beni, fondati tutti sulla volutt^ e sul piacere, n^ in altro case beni possono
divenire, salvoch^ quando per abito
virtuoso, vinti e mortificati tutti gli
aflFetti e g? incitamenti lore, I'oprar virtuoso s' ^ a poco a poco convertito in sensualitii,
sentendone godimento eziandio nella
parte inferiore. E nel V Dialogo dichiara che la filosoila morale, ^ la piil
vera e meglio fondata filosolia
dell'uomo. E dove sta questa vera
apprensione della scienza dell'uomo?
Udite la risposta teologica e mistica che
egli ne d^: Nel timore di Dio, imperocch^ appunto d intendimento della filosofia morale cristiana
insegnare altrui operar bene e non far
male, affine di conseguire la felicity
vera che 6 il Paradise, e sfuggire il gastigo,
la pena, Y infelicity, ossia Y inferno. E cid venivano ad ammettere anche i filosofi gentili, quando
aflFermavano il bene consistere nella
felicity e nel godimento del sommo Bene.
Or la felicity, non la d^ che Dio, e il timore e I'Amore di lui ci ammaestrano
a viver bene per conseguirla, perche
tutti quanti i beni veri dipendono da Lui. Initium sapientice timor
Domini. Voi scorgete qui tosto il nosce
te ipsum filosofico innestato alia religione, alia fede, e ad essa consegnato,
perche non si diparta da quella via che deve
eondurre R. alia meta prefissa. Intanto dalla cognizione dell' uomo, egli dice, e dei suoi
istrumenti e facolt^ si apprende la difierenza di lui dagli irragionevoli, i quali hanno anima vegetativa
e sensitiva, ma non si aggiunge loro come neU'uomo la ragionevole. E quest' anima che per R.,
definendola, consiste in un moto continuo e ordinate che ne fa avere sense e ragione, non 6 nell' uomo
la somma di tre anime ; sibbene 1' anima
umana ha tre doti, della ragione
principalmente in s^ stessa, e poi anco quella
del senso e della vegetazione. E una unita sostanziale in cui tutte quante le facolta e le potenze
dell' uomo consistono. Dotata poi la
ragionevole di libertgb, giusta quelle
che dimostrd R. nella Prowiden0a, d infinitamente superiore, incomparabilmente
piil perfetta deir altre due che ne'
bruti si trovano, e per essa I'uomo e
capace di atti virtuosi o viziosi di imputazioni morali, di premio o di
pena. Imperocch^ il moto sensibile
(Capo 3°, Dialogo !•) e il moto
ragionevole dell' anima umana non vadan
sempre d' accordo, e la vita morale sia soggetta a delle continue perturbazioni, nolle quali I'uomo ha
dovere di obbedire al moto ragionevole
della mente. Ha il dovere ! perchd 1'
uomo ha questo dovere ? d' onde la legge
? Esiste ella questa legge che ha forza di imporsi a tutti gli uomini, con sanzione etema,
infinita? II Rucellai non lo dimostra^ o almeno dalle sue parole non ritraesi un argomento che abbia valore di
prova. Egli ^ mistico senza dubbio, ^
tradizionalista, pur senza addarsene: e
mentre accenna a seguire il discorso naturale della mente, or con questo o con
quel filosofo antico, egli non fa altro
che commentare quel che la rivelazione gli ha dato a credere. !fe la
ragione al servigio della fede. Cos' 6
pertanto questa mente al cui moto
ragionevole obbedisce 1' uomo ? Ell' ha significati diversi, ma secondo
Platone, cui segue, 6 quella generale
consulta e ricettacolo in cui sono comprese
tutte le potenze della parte superiore dell' anima, ciod memoria, intelletto e volont^. La prima
conserva gli oggetti acquistati
co'sensi, i quali oggetti si porgono
innanzi air intelletto per 1' immaginativa. L' intelletto gli esamina, e ne d^ alia ragione un giusto
ragguaglio. La ragione vi discute e
giudica, e poi la volont^ in seguito a
giudizio delibera ed eseguisce ; al che fare la
volont^ si serve dei due ministri, moto irascibile e concupiscibile, che
inviano spiriti sottilissimi ma corporei
a produrre i varj movimenti necessarj.
Se non che. pur nel giudizio la mente pu6 errare ; in quanto da' sensi posson esser ad essa
presentati gli oggetti imperfettamente o
per vizio naturale. E, se non errare,
pud rimaner dubitosa ed incerta; indi
I'opinione, che potendo esser falsa, ^ pericolo che venga scambiata per la vera scienza. Ufficio
dunque della ragione si 6 di far in modo
che 1' intelletto sia sgombro di
passioni, n^ deve cosi subito, e come alia
cieca, prestar fede ai sensi, fontana inesauribile di errori, a chi non
esamini bene e non tenga come a salvaguardia quel detto di san Paolo: Video
aliam legem in membris meis repugnantem legi mentis mece, E, di vero, dalle facoM ragionevoli si
discerne la differenza nell' anima degli atti secondi dai primi: coi quali atti secondi meglio riflettesi, e si
pesa col giudizio il valore e la differenza dell' onesto e del dilettovole, e
principalmente la diversity del huono e del
reo. Imperciocchd il godimento del bene o il patimento del male, giusta ne dice Cicerone, di cui qui
il Eucellai si e proposto di seguire le orme, non stiano rispettivamente nel
piacere o nel dolore, beni o mali de'sensi;
ma nella felicity o infelicity che vien data dalla ragione; felicity vera e perd immanchevole ; mentre
tutti gli altri beni di quaggiii, lo
dissero stupendamente gli stoici, ci
possono venir meno, e a quella vera felicita,
cui essi incapaci sono di darci, possono essere mezzo, in quanto ban capacity, indirizzati a lor
fini, di divenir beni ancb' essi. La
vera felicita pertanto, checche ne dica
Epicuro e la sua scuola, sta nel possesso del Bene sommo, cbe R. filosofo teologo, trova nel
Paradiso. Ma ancbe di qua, in questa vita, non esclude R. con gli stoici che possano i veri beni
godersi, operando secondo virtil ottima e per sempre; virtu che si acquista con la saviezza della
ragione, e con gli abiti buoni e con tenere
essa in freno gli appetiti siccome auriga gli sfrenati destrieri del suo
cocchio, E la virtu ottima che e elk
mai? Risponde per lui Aristotile, del quale accetta la definizione non che le
classificazioni di essa virtCi. La virtil (Argom. del 2** Dial.) ^ abito per elezione che si contiene nel
mezzo per Tappunto fra due estremi: il
vizio e operazione dispregiatrice della ragione. L' atto virtuoso non altro e che il ridurre la propria natura all' operare
ragioBevole. Distinguonsi poi virtil primarie nell' uomo, o, come si dice, cardinali, e secondarie, le quali
dipendono dalle prime. Le virtil
cardinali, come per Aristotele, cosi per
il Cristianesimo, sono la prudenza, la giustizia, la temperanza e la
fortezza. La prima, secondo Platone, ^
la misura di tutte le altre, ^ V occhio
diritto della morality, la vera scoria
neir elezione dei fini. Prudenza, 6 bilancia che pesa con somma finezza tutti quanti gli oggetti
che desiderare si debbono, o vero sfuggire. Ad essa si riducono. per Plato-ne,
tutte le virtil, perch^ 6 questa misura,
stando in mano di lei il vero compasso proporzionale per il quale si misurano tutti i fini. La Giustizia dispensa suo diritto a ciascuno
si degli utili, come delle prerogative
che competono lojx) secondo i gradi dei
meriti, della dignity e delle virti\ che egli
hanno, e questa distinguesi, come Aristotile e Cicerone fanno, in civile, distributiva, e
commutativa. E per la commutativa parla
della dottrina del cambio, che, come
afferma, toglie in massima parte dal Davanzati. La fortezza, che ne insegna sopra ogni cosa
di superar s6 medesimi e soggiogare gli affetti e le passioni e non temer di minaccie, n^ di rischi, nd di
morte a pro della religione, della
patria e della reputazione. La
temperanza, per cui si ritiene a freno ogni smoderata cupidigia, ed d il vero
antidote contro 1' ambizione e contro I'interesse soperchio ; e tutte queste
virtii primarie manchevoli sono, n6
possono esser vere virttl senza il
concorso e '1 sussidio 1' una dell' altra tra loro. E siccome la virtd ^ il giusto mezzo, non la
mediocrity, che e difetto, ma il mezzo ch' d il limite tra due eccessi, od estremi, ciascuna di esse
virtii ha i saoi estremi in&a i quaU
riseggono. Ed io li accenno, ma non mi
ci trattengo. Estremi della prudenza
sono, (pure secondo Aristotile) la malizia e la stupidita; della giustizia, 1'
avarizia, la trascuraggine ; della fortezza, temerity e codardia; della
temperanza, gli estremi viziosi di tutte
r altre. Dalle quali tutte, e in fra i rispettivi estremi di esse, discendono o stanno le virtii
secondarie. Accosto alia prudenza, e
come sue figlie, si trovano la
perspicacia, la sagacity, I'arguzia, Taccortezza, la dissimulazione (in buon sense), 1'
industria ; V astuzia, la circospezione, la sincerity, la segretezza, la fedeM;
alle quali tutte comspondono vizj; imperocchd dalla circospezione sia agevole
cosa cadere nel vizio della sospensione,
della suspicacia, come poi e agevole
dall' accortezza cadere nella astuzia in mal
sense presa, nella malizia, nella simulazione, frode, tradimento, irresoluzione, stupidity,
taciturnity, finzione, adulazione, calunnia: come dalla facondia nella procace loquacity, e nel sofisma, dalla
prontezza nelrimprudenza o inconsideratezza.
Gli atti virtuosi che seguono la Giustizia sono: Liberality Parsimonia Beneficenza
(Jenerosit^ Magnanimita Magnificenza.
Le quali virtii posson degenerare e viziarsi, divenendo Ambizione
Ladrocinio Vanagloria Lascivia
Superbia Prodigality,. Altre
virtil secondarie Ragionevoli
rimunerazioni e retribuzioni — Carit^ — virttt divina germana della fede e della speranza. La Parsimonia sta a dirimpetto della
Liberalita. Son due atti virtuosi. Vizio ^ la Sordidezza. Altre yirtt seguaci della Giustizia
sono: Severity, Rigore da un lato, e
Equity, e Misericordia da un altro. —
Eccessi di equity e di rigore. — Tirannie — Vendette — GrudeltS, ec. Degli Atti virtuosi che seguono la Fortezza. Da un lato Y Intrepidezza, il Coraggio, il
Valore del cuore e della mano. Vi0j. — Animosity — Iracondia — Audacia —
Indolenza — Furie — Ferocia. Dall'
altro lato abbiamo seguaci della fortezza : la
Pazienza ragionevole — la Mansuetudine.
Vi0j. — Timidity, — ViM — Codardia.
Al^e virtu seguaci della Giustizia. — Costanza Fermezza —
Lmpermutabilit^. Vi^ij. Ostinazione — Pertinacia, Perfidia. Virtu. — Facility di cedere al dovere. —
Piacevolezza del tratto. — Moderazione, Gravity, Decoro — Modestia.
Visj. — Alterigia, Vanagloria ec.
Virtu. — Emulazione.
ViiSfio. Competenza Mormorazione
Falsity — Calunnia — Superbia ec. Degli Atti virtuosi che seguono la
Temperanza. Veramente tutti gli atti
virtuosi surriferiti accompagnano altresi la Temperanza, perch^ atto
virtuoso non si d^ se la temperanza non
moderi I'impeto naturale. Perd tra gli atti piiH confiacevoli ad essa sono da annoverarsi quelli che rattengono
gl'impeti della concupiscenza o
Fingordigia della gola. Virtit. —
Castit^, — Pudicizia — Pudore — OnestS,
— Ingegno — Digiuno Astinenza
Sobriety. Vi0j opposti. — Eccessivo
rossore, e Libidine, Lascivia, Adulter)' e Ubriachezza ec. Questo per le virtiH in s6 considerate. Or
siccome la virtCl solamente 6 base della
society, umana, e n' ^ il cemento,
bisogna veder di esse 1' applicazione nel consorzio civile, e discorrere con
Marco Tullio degli Officj per la
society, umana medesima. La quale d da natura, e da ragione: ch6 Dio ha fatto
gli Uomini per gli Uomini. E Iddio, poi,
diede a tutti il libero arbitrio, accio niuno di noi potesse conseguir lui
senza noi stessi, e senza 1' educazione
cristiana, e senza gli ammaestramenti spirituali e senza i divini precetti,
insegnatici da' Religiosi, da' Teologi e dalle persone devote che Uomini sono; e gli Angioli per la stessa
maniera (aggiiinge il buon Bucellai) se noi non diamo le orecchie agli ajuti loro, alle loro savie persuasioni
niun utile o giovamento recar ne possano
in verun conto che sia. E, come scorgesi, la morale dell' EvangeUo questa, ne io so davvero dove e come si applichi
filosoficamente il Nosce te ipsum!
Proseguiamo : Gli ufficii, come
Cicerone, divide il Eucellai in
necessarj e per ele^ione. I primi vengono imposti dalla provvidenza, i secondi dal nostro
volere. Sono dessi differenti secondo i
gradi e le combinazioni delle persone, e, al solito, si distinguono in doveri
verso Dio, verso gh altri e verso noi medesimi,
dei quali ultimi pero non discorre. I doveri verso Dio sono necessari; il prime d di gratitudine,
impiegando in cid le potenze tutte delle
quali ci ha forniti, e conformando la nostra volenti a' suoi decreti, alle
ispirazioni che egli ci manda, e la nostra corta inteUigenza alle sue leggi. La fede, 1' amor di Dio, la carit^, sono
pure doveri verso Dio stesso, i quali
sono il fondamento di tutti gli altri.
Accenna indi profusamente il Eucellai i doveri verso gli altri, i primi dei
quali sono i doveri conjugali, sendo per primo la society parentale. E ricorda
come V Uomo debba tenere uguale a s^ la Donna,
e la Donna riconoscere a s^ superiore Y Uomo, e come debba esser tra essi rispetto, discrezione e
compatimento ; e amare ugualmente i figli, come i figli amare, rispettare, aiutare i genitori. E intomo alia
scelta della moglie, ecco qui coaa ne
dice il prete Magiotti, e che io stimo
non inopportuno di riferire, in quanto
che dalla stima in che si d tenuto e si tiene la donna, si sia potuto e si possa argomentar sempre o
comprovare il grado di civiM de'popoli e del consorzio umano in ciascun' eta, e in questo caso pur
ne abbiamo riscontro, etarei quasi per dire matematico. € Io son prete, (dice adunque il Magiotti;,
e circa al prendersi mogli e mariti non
me ne intendo e non oserei dame alcun
mio parere, massime in concorrenza dei buoni consigli e de'giovevoli
ammaestramenti e fedeli di messer Lodovico Ariosto, per non mentovare il Laberinto di Messer Giovanni
Boccaccio, il quale dalle donne
ammartellato anzi che no, fu del povero
compassionevol sesso troppo rabbioso morditore. Egli e pero bene aver per
ricordo che al tempo d' oggi piii Elene
si trovano che Penelopi al moodo; e guai a colui che le -pit leggiadre, le pitL
graziose pur le donne d' alto ed acuto ingegno s' effigia nella mente per le migliori; imperciocch^ se
bella ed avvenente e' 1' ottiene,
sembragli averla debita altrui e ch'ella
non sia tutta sua; dove ella sia di finezza e
acume, tutta nolle foggie I'esercita, e in ornament! novelli, e nel rigirare il marito per piacere
agli altri ; anzi, che peggio si 6, ella
si tien per prudente, e vuolsi subito
meschiar nei consigli; senza che, e' si d tutto di alle novelle, alle contese, alle grida, e
allora le par di esser saggia quand'
ella non fa a mo' d' altri. Donna 278
CAPITOLO DECIMOQUARTO. savia adunque, o
di rado, o non si d^ mai, e tutto che
con difetti bisogni averle, il meno dannoso per mio avviso credo che sia se ha qualche specie in
lore di Prudenza, dov' elle abbiano poco
conoscimento, perche queste sono atte a
reggersi, non si dando mai caso che elle
sieno buone a reggere altrui; e nolle donne,
ancorchd in esse sia la ragione, poche o niuna ne han r uso, che a tal fine definille un Uomo di
senno, che la natura femminea 6 posta
tra 1' estremo peggior delr Uomo e r eccesso miglior delle bestie. Niuno dunque si lasci svolgere cosi alia prima dalla
vaghezza o dalla novit^ del soggetto, o
vero dall' allegria e dalle solennit^ delle nozze, imperciocchd dopo il fatto
non ci e rimedio, e cotali belle
apparenze usansi ad arte, per far
rimanere al laccio gli Uomini dolci, e impegnarK con lieto animo alle fatiche perpetue e alia
schiavitudine eterna del matrimonio ; anzi la natura medesima, per soccorrere in esse a mancamento del sesso
e farle in qualcosa aggradevoli, le
ripuli, le liscid, e raffazionoUe al di fuori, e si dono loro la grazia e gli
altri arredi del bello; qualunque impero
d tenuto a impacciarsi in si fatta rete, pigli innanzi le misure giuste di quel che sono le donne ; e del suo
mestiere goda come per trastullo se la
sorte gliela da bella, n^ s'inimagini, perche ella si chiami compagna, di
poterne trar frutto d' amica, ma la
consideri come soggetta, e per dolce
maniera di cortesia 1' avvezzi obbediente a
non recalcitrare al marito. Percid la jAtL sicura si e r aver la moglie di grossa pasta, e di scarso
intendimento ; difettose insomma (si come io dissi) elle hanno da essere e pero Y Uomo apparecchiar si vuole
a sofferire i difetti che elle hanno, pregando Dio che buone ne le mandi, ned' e poi il comportarle si
malagevole, -atteso che donne elle sono,
e tenere di cuore, e il viacolo di quando in quando matrimoniale rinnovella
e rinfresca Tamore, e serve di buon
condimento alle imperfezioni loro e ne
addolcisce la noia. > Si occupa
inoltre de' doveri tra i parenti e gli agnati,
tra servi e padroni, de'nobili, de' cortigiani, imperocchd r osservanza
di questi doveri privati si riversi
anche sul pubblico, ed inline de' doveri di cittadini, dei sudditi, e de' govemanti. Intomo a' quali
molto ritrae del platonico, e discorre
con molta severitit tanto per i prindpi
eletti daDio, quanta per quelli eletti dagli uomini. Tocca infine i doveri per elezione, che
tanta bene^ volenza conciliano, e
intesse come iin piccolo galateo sulla
data di quelle di Monsignor suo parente, e cui
dimostra avere attentamente esaminato e ritratto nei modi e negli scritti. E accennato alia forza
dell' abito, termina questo trattato
della morale di R., imperfetto nel contenuto e nel disegno, imperciocch^
egK prometta qui di discorrere in
progresso de'temperamenti e degli aflfetti degli uomini, ma non abbia
avuto o volenti tempo di dargli
compimento, e d' emendare il gi^ fatto.
Sufficiente perd invero a chiarirci i termini del quesito, e a porre in tutta evidenza il
problema di cui dobbiam dare la
soluzione. Agevole a trarsi pur questa; imperocchd non trattasi di andar per il
sofistico e il lambiccato : ma si da'
fatti lampanti formulare il principio, e
porre questo in attinenza con le condizioni
generali e particolari del tempo, del quale lo scrittore ^ riverbero indubitato. La critica che potremmo fare alia teorica
morale di R. si acchiude in poche
parole; imperocchS sia manifesto che
egli, piil che neUe altre parti della
fillosofia, qui non d^ U giusto valore alia ragione umana. Infatti egli trascura di porre in luce la
legge naturale, di cui pur parlano si
altamente gli stessi dottori scolastici, come san Tommaso, san Bonaventnra e il
Suarez, per tutto sostenersi
all'autorita della legge divina, cio^
del Nuovo Testamento. Inoltre, procedendo
egli piiH ecletticamente che con ordine interiore di concetti, non sa
bene accordare quel suo tradizionalismo
con certe altre sue dottrine; giacchd di fatti egli dice la virttt consistere neU'operare secondo
ragione: ma potrebbe osservarsi che
quando la ragione non ha criterio di ragione in se medesima speculativamente,
non pud averlo nemmeno praticamente. II
Eucellai rende immagine anco su ci6 de'
suoi tempi; ma in che senso diciamo tal
cosa h bene sia definito. Le menti, a quei
tempi, erano agitate dai dubbi, e il nostro autore dice in piii luoghi come i dubbi combattessero pur
la sua mente. L' esame dubitativo fuor
d' Italia condusse molti a terminare nel
dubbio; in Italia colore che accolsero r
esame dubitativo terminarono i piii nel riparo della Fede. Ma dobbiamo distinguere da costoro i
filosofi e i teologi non
tradizionalisti, e che non accolsero F esame
dubitativo, come il Pallavicini nel suo TrattaJto del bene; giacch^ questi ammettevano certezza razionale
e verita preliminari alia Teologia,
quantunque neUa Teologia ponessero il
sommo della sapienza; invece i tradmoncdisti, come oggi li chiamano, alia
ragione ricusarono la capacity di
riposarsi nel vero e nel certo, che solo
ci vengono dalla fede. Ecco il perch^ mentre il Pallavicini, il Suarez,
san Tommaso, san Bonaventura con sant'
Agostino affermano esser nella ragione la legge
naturale del giusto, dell' onesto, alia quale si accorda la legge Divina positiva ; il Eucellai, per
lo contrario, parla di san Paolo e del
Vangdo, e della legge naturale non tiene gran conto, bench^ aUa sfuggita Taccenni.
SouMABio. Opportunita della
critica. Importanza storica dei
libri di R.. II professor Palermo ha giudicato VTmperfetto
imperfettamente. Perche. Quesiti da
risolvere. II Rinascimento e le sue qualita. Scetticisrao.
Tradizionalismo. Bruno. Campanella.
Galileo e il sue metodo di osservazione esterna. — I suoi scolari e rAccademia del Cimento. —
Metafisica galileiana. — Sommi capi di essa uei Dialoghi dei Masaimi
Sistemi. II Cartesio e 1' osservazione interna. Spinoza e Malebranche. Bacone.
II sensualismo di Loke. —
Eclettismo di R.. Suo probabilismo. Si provano riandando la sua filosofla. — La
seconda Accadomia. — Cicerone. — La
fede. — Differenza tra' filosofi del Medio Evo e il R.. — Questi e il Galileo. Nel metodo R. apparentemente h moderno. Perche.
Intende solo negativaraente Taforisma
socratico. — Ed e semj)re probabilista. — Accordi tentati. — Gli fa difetto la speculazione. E pero riesce eclettico. Breve riscontro di tal fatto nei suoi
Dialoghi su' Principii passivi dell' universe, e nel Tim^o, — Platone, il
Cristianesimo e Galileo. — Cartesio. — Teorica della cognizione. — Teorica del
volere. — Liberta e fato, Stoicismo ed epicureismo. Libero arbitrio e predestinazione. Psicologia e morale. — II R. e Cousin. —
Aristotile. — Platone. — Stoicismo. —
Cristianesimo. Divisione delle
virtti. — Cicerone. — San Tommaso. — La
Scuola Epicurea e il Rucellai. — Teologia razionale. — Platone e il nostro
scrittore. — I Padri. — La Fede. — Si conchiude che nello studio dei ' tre
pbietti della filosofia R. e
eclettico. La forma esteriore, - lo stile - e la natura de* personaggi ne'
Dialoghi di R. sono i;n' ultima conferma
della nostra Conclusione. n problema ^
posto, adunque, in termini chiari, fatta
che abbiamo la esposizione dell' opere filosofiche di R. ne' precedenti capitoli. Ora e tempo di
risolverlo, e la via ci ^ molto agevolata; diro di piii, che dopo il cammino gia fatto, sembrami quasi
raggiunta la m^ta, che fa del viaggio nostro il desiderio continovo. Imperocch^, riepilogando, noi
ponemmo questo per principio, che R. specchiaVa in s^ Timmagine del suo tempo
in Firenze. E ad esso volgendoci, lo
vedemmo significare per la storia un potente contrasto di elementi di un' et^ che periva sotto la
mole della sua grandezza e un' et^
giovane e superbamente bella, che
conquistava il regno delle intelligenze e de'cuori. E tutte le facolt^ dell' antica far guerra a
tutte le potenze della nuova in
opposizione fortissima. Ed io allora
volli condurre il lettore all' esame della vita del R. e delle sue opere letterarie; e questo
contrasto manifestossi, credo, chiaro al lettore stesso, come si era mostrato a me dopo la lettura
diligente di quegU scritti dimenticati,
o non curati a dovere. FilosoJla e
autorita religiosa, gravity di discussioni
scientifiche e leggerezza di cicalate accademiche; purezza di stile e d'
immagini, verbosity ed esagerazione di
confronti ; timore soperchio di aver che fare col Tribunale dell' Inquisizione, e contro la
Corte di Roma pagine sanguinose ; vita
di cortigiano ossequente e rime e
lettere contro la corte ed i re ; lodi della castita e verginit^ di Protettori e di SanfS, e scherzi
equivoci e sonetti immorali; tutto cio
nel R., come precisamente nella comune degli uomini del seicento, scorgevasi in
quel trapasso dalla fine del Rinascimento
alia Riforma, dal mondo antico al mondo moderno. Un eclettismo inconciliato nei costumi, nella
vita, negli scritti, nell' arte, neUa
letteratura ; e R. questo eclettismo
accoglie in se e manifesta nelle abitudini,
nella vita sua civile, letteraria e morale. Or nello scorrere che abbiamo fatto il suo
lavoro maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a rilevar pure inumi, nella vita, negli scritti, nell' arte, neUa letteratura ; e R.
questo eclettismo accoglie in se e
manifesta nelle abitudini, nella vita
sua civile, letteraria e morale. Or
nello scorrere che abbiamo fatto il suo lavoro maggiore, senza intrattenersi a
lungo via via a rilevar pure in esso
que' medesimi contrasti ; nondimeno, prevenuti, li notammo man mano, per guisa
che, finito I'esame, supponessimo pur
compiuta la nostra fatica. Ma se nel mio
pensiero ed in queUo del leggitore questa
conclusione si 6 gi^ fermata, giova tuttavia, anzi ^ necessario definirla, e in un disegno piil
raccolto concentrare con linee brevi e distinte quel che abbiamo osservato lungo la via ; in quel modo
medesimo che un pittore, percorsa una
vasta campagna, la raccoglie poi tutta
su di piccola tela, senza toglierne parte alcuna alio sguardo di chi la voglia fedelmente
conoscere. Non a torto pertanto (ce ne
siam fatti certi) io comparai il nostro
filosofo a un prisma, suUe cui faccie si distinguevano i molteplici raggi del
pensiero del tempo suo ; e in che sta,
per me, veramente 1' importanza storica di questo scrittore ; per guisa che
ognuno il quale non lo consideri,
giudicandolo, in tutti i suoi aspetti, b
ne falsa il vero suo essere, o ne fa una pittura destituita di valore, od
almeno imperfetta. In questo ultimo
scoglio sembrami, io lo dico coUa dovuta deferenza, abbia urtato il professore
Francesco Palermo, 1' egregio ordinatore
dei Manoscritti Palatini in Firenze ; il
quale di R. ha pubblicato con un lungo
avvertimento, diviso in sette paragrafi, sedici
dialoghi sulla filosofia naturale antica, e quegli altri sedici sulla Provvidenza. In quell' avvertimento,
bello davvero del rimanente, d^ il
concetto e il disegno deU' opera intiera, e la natura di essi Dialoghi chiama fruUo di Galileo, (CONTI, Op. cit,) Tale il metodo del Galilei detto dal R., a buon diritto, il
sapientis simo Socrate, come quello che ritomava le menti al r esame del mondo
esterno e del mondo intemo, me diante il discorso della ragione, gli assiomi
naturali ed i fatti sensibili, ond' e'
poteva finalmente creare la fisica, e r
Accademia del Cimento ingigantirla dietro le orme di lui, con Benedetto Castelli, il
Cavalieri, il Torricelli, il BoreUi, il
Viviani, il Eedi, il Cassini e moltissimi altri, i quali, secondando la inclinazione del
tempo coll' isti tuire quell' Accademia, applicarono i canoni deUa filoso fia
del lore Maestro alle scienze naturali, le conferma rono Bulla strada di
progresso indefinito, e le scienze
universe sulla via della riforma. Ed invero, in quel canoni del metodo Galileiano, sviluppati
ampiamente nei saggi del Cunento,
accliiudevansi verity, profonde, le
quali non potevano a meno di partorire quegK effetti stupendi; e vi 6 determinato chiaramente il
concetto, il fine ed i mezzi di una
filosofia che tutto comprende. Cio6,
che riconosce le somme verity naturali nell' Anima umana; che adopra la geometria per
raggiungere la verity ideale e reale,
n6 trascura, anzi esige, 1' uso
diligente della esperienza, e indi del ragionamento a cogliere la evidenza: e infine non 6
spregiatrice, come molte iilosofie
meschinamente altere, dell' autorit^.,
mentre la servitii dell' autorit^ stessa rigetta, e la vuole sottoposta essa pure all' esperienza ed al
nostro giudizio. Ma la filosofia del
Galilei e de' suoi scolari gene ralmente risguardava, giova averlo fisso, il
metodo e la sua applicazione
particolare alle scienze naturali: a
che sticettamente questi si attennero. Ne con cid dire, io intendo negare contenersi nei libri
del Galilei sparsa una metafisica, come lamentava ilLibri, il quale, nella sua storia delle Matematiche, si duole
altamente del non trovarvi in alcuna
parte delPopere del sommo
Italianol'esposizionedi essa; la quale, anzi, inclinerei anch'io a creder davvero col Puccinotti (11
JSoem ed altri scriU% Tip. Le Monnier
1864), che valesse a vincere le tenacity peripatetiche, indebolite gi^
dairAccademia Platonica fiorentina. Imperocche fu prime Galileo che dimostro la
necessity di dividere fisica da metafisica, e i Umiti veri deUa ragione, la
fede religiosa nelle scienze
soprannaturaK, la matematica nelle natural!. C!ome Platone, il vero ed il bello
professd Galileo per una medesima cosa,
nella medesima guisa che il false ed il
brutto. E nella giomata prima dei
DioHoghi dei Massimi sistemiy il Galileo
comprese i sommi capi della Metafisica, che possono qui compendiarsi in due
massimi corollarii, siccome avverte il
Pucciuotti sopra citato. Prima.
Partivasi Galileo dalla Creazione, e veneraya
in Dio una sapienza infinita; anzi diceva, il sapere divine essere infinite volte infinite: la
mente umana la piii eccellente opera di
Die : in essa concreate alcune verity primitive, come preziose gemme nei
loro incastri, la di cui luce, per il
terrene abitacolo in cui ella ^ posta, §
da velami e da caligini oscurata. La
pienezza di cotesti veri e in parte nel soprannaturale, e parte disseminata tramezzo alle naturali
cose. L'intelletto consegue con la intensivit^ i soprannaturali neUa lor piena luce per mezzo della rivelazione e
della fede: i naturali, colla
dimostrazione matematica; e onde con
questi potenti e benefici ajuti della grazia divina, le menti con piii sollecitudine e costanza e
pienezza veggano e profittino di tali verity,, 6 mestieri che V uomo temperi e assottigli quanto piil pud que'
velami e quelle caligini di falsity,, che partono dai fermenti e dalle passioni della sua materia: ed ecco il
fondamento della morale, e il culto
necessario e il merito insieme della
virtii umana. Secondo. Per le
verity naturali la mente umana procede allo'stesso modo, solamente traendone la
dimostrazione, non dalla metafisica, ma dalle matematiche. Ch^ la geometria cammina anch' essa
grandissimi spazi, e trascorre la
vastit^ delle opere della natura, e contiene nelle sue dimostrazioni la
necessity de' suoi veri; riverberando in
certo modo e scoprendo quelle matematiche leggi, coUe quali Y etemo
intendimento tempera 6 govema 1' universe. Ma la geometria, con le sue mille e mille conclusioni ottenute, 6 sempre
a immense intervallo da quanto resta
ancora a investigarsi ed intendersi
nella natura: epperd si reca allato per sua
aiutatrice e ministra la esperienza, la quale, tentando effetti e cagioni, e le attinenze lore,
prepara la serie deUe probabilitS;, che
la matematica disnebbia colla
dimostrazione ; presentandole come verity e leggi natural! alio
intelletto, il quale, ove le trovi rispondenti ai tipi concreati delle soprannaturali gi^
disnebbiate dalla metafisica, ossia
dalla religione, e se ne nutre e se ne
bea. Ma la moltitudine degli intelligibili
nell' universe d immensurabile, e questa
che il solo Creatore vede per numero,
peso e misura in un sempKce intuito, 1' uomo
non percorre che lentissimamente, e fra mille ambagi e pericoli, di conclusione in conclusigne.
Onde la necessity della modestia e della pazienza nell' investigare e nell'operare degli uomini, nel raccorre ed
intendere le veritd, nella fisica del
mondo. Comunque, il Cartesio animato
come Bacone (cbe pel dispregio alle
tradizioni incappd in alcuni errori) e
Galileo daU'istesso desiderio di universale riforma, inaugurando piil precipuamente il metodo di
osservazione interna, devesi a lui il compimento dei mezzi e gl' istrumenti per la vera filosofia,
Tesperienza e la speculazione. La quale ultima per il Cartesio recata invero all' eccesso, chiuso il pensiero in se
stesso, n^ riguardando piU alle sue attinenze reali, porto ad errori il filosofo illustre, e porse occasione a scuole
diverse arbitrarie ; e basti per tutti lo Spinoza e il Malebranche, in quella guisa stessa che dall' empirismo di
Bacone scoppid il sensualismo di Loke. D Cartesio pure comincio dair esame, e per esso istitui un metodo, e
indi tento un ordinamento generale di
tutte le scienze; se non che, ponendo il
dubbio non solo di ogni istruzione ricevuta, ma pur anche del valore delle
fiacoM umane, eccedd fino ad essere
scontento della logica, dell' algebra e della geometria de' suoi tempi. (CONTI,
Op, cit^ vol. II, pag. 354.) Lo si
deduce chiaro dal suo discorso sul
metodo. E il Malebranche, il piii grande metafisico che la Francia abbia prodotto, spinto dalla
filosofia cartesiana, o meglio dalla
parte negativa di essa, il dubbio, si
rifugid nel misticismo, e con esso la sua
filosofia, ond' e' ritornava alle intuizioni Platoniche, e preveniva Vincenzo Gioberti e Antonio
Rosmini. Tali erano i principali
sistemi che allora signoreggiavano il mondo della filosofia, disputandosi il
primaU) deir autorit^, e tra loro
contrastandosi. Orazio R. ebbe
cognizione di tutti questi elementi, da' quali esci faori 1' et§. moderna: se
non che non dotato di molta vigoria di
speculazione, o per formarne I'armonia tentata, o per dominarU, nel suo filosofare or I'uno or I'altro seguitd
riuscendo eclettico, e per5 speculativamente scettico una seconda volta. Spiego quest' ultima frase, in che ripongo la
sostanza della critica, con la quale io do termine a questo libro.
La filosofia di R. ammette, lo vedemmo, una prima divisione generale per rapporto al
metodo; ciod negativa e costruttiva^ e
si nell'una come neU'altra non esce il
filosofo da' termini del probabilismo, egualmente che la seoonda Accademia,
guidata da Filone che fu il primo
neoplatonico di Alessandria; la quale
riconoscendo la natura assoluta del vero, ammetteva solo come verosimili le dottrine che ne
derivavano. Ad illustrare la qualitit
filosofica di R., si prenda in esempio
Cicerone. Questo grand' uomo in alcune
parti della sua dottrina sembra tenere dell' Accademia Nuova; quando egli, cioe, intorno alia natura
del mondo e di Dio afferma con
probabilita anzichd con certezza. Ma le
probabilitli di Cicerone si ristringono alle determinazioni di problemi che il
Paganesimo e 1' estremo corrompimento e
infiacchimento della filosofia greca ai
suoi tempi aveano coperto d' ombre. Bensi Cicerone non pone in dubbio mai 1' evidenza dei
supremi assiomi della ragione ; non in
dubbio mai la veracity del testimonio della coscienza psicologica e morale; non
in dubbio mai la validity del metodo
dialettico e logico; n^ in dubbio mai la
conoscenza che Dio e, ed h distinto dal
mondo ; n^ in dubbio, finalmente, mai la legge naturale eterna e i doveri e i
diritti che ne derivano. Ma R. non fa
come il GiureconsultoJRomano; egli se ne
sta, sfiduciato della ragione, nel gretto del probabile, e ritiene essa, la
ragione, non potergli dare di pill. E,
lo ripeto, questo h naturale; imperocchd nello
svolgimento della rifiessione filosofica, dovea seguire che fra tante autorit^ opposte, la mente di
lui si sentisse quasi smarrita, e che egli, come molti altri, dubitasse della
ragione appunto, perch^ si palesava con sistemi tanto contraij, e si rifuggisse
nella fede del sovrannaturale,
sostenendo incapace la ragione a farci
conoscere la verity. Gontro i
sofisti, pertanto, ei ripete ed accoglie qiial
principio di metodo la proposizione socratica; ma non sa derivarne, come Socrate, il suo mondo
intelligibile e certo; I'avrebbe forse potuto fare, perche sorretto dag? insegnamenti di Galileo e di
Platone; ma si contenta di meno assai,
sapendo bene di sapere per fede, che egli stabilisce come unico fondamento di
assoluta certezza, con tal divario nell'intendimento da' filosofi cristiani o
dottori del Medio Evo ; che, cio6,
mentre essi ponevano la filosofia come preliminare certo della teologia, sicchd
d' ambedue si faceva un' unica sapienza,
accordando la ragione colI'autoritii (Vedi Beductio artium ad Theologiam
di san Bonaventura, e le prime questioni
delle due Somnie di san Tommaso e il
Gerzone De octdo); R., invece, dichiara
la filosofia seienza dei probabili, che
delle ultimo ragioni, alle quali conduce, possiamo sempre comecch^ sia
dubitare. II R. poi h moderno
apparentemente nel metodo, la
osservazione, la induzione e 1' esame per
fine diretto, onde coglier le relazioni delle idee e dei f^ftti, e giungere al possedimento del
vero. Galileo suo maestro osservava,
provava, sperimentava, induceva, riprovava nel mondo dei fenomeni, e creava cosi la fisica ; e diceva
sapientemente : il tentar r essenze aver egli per impresa impossibile ; e
abbatteva V alchimia e quel castelli incantati d' ogni sistema a priori ;
riconduceva la ragione al suo posto, e
facendola ridiscendere da quelle altezze pericolose, dove temerariamente se n' era salita, la
riakava nel fatto, poicM nell' ordine
stia la grandezza e la perfezione degli esseri. II R. batte la strada del
Galilei, ne accoglie quasi religiosamente i pijecetti ed il metodo, ma a qual fine ? con quali
intendimenti ? Per arrivare con Galileo
alia certezza naturale delle cose ? Mi
sembra che la lunga esposizione del suo lavoro filosofico contenga la risposta
genuina e sicura. Notisi frattanto, o
meglio ricordisi, che spesso, quasi in ogni
dialogo, e, sto per dire, in ogni pagina, R. protesta di voler affidarsi alia sua ragione,
di volere starsi all' esame dei fatti
sia esterni che intemi nel suo discorso
filosofico, e di non accettar ciecamente la
autoritil, a cui sembra fare una guerra continua ; e ripete a ogni passo che non si deve formar
giudizj sopra quelle che pare a noi, ma
e'fa mestieri esaminare le cose, avanti di pronunziar sentenzia ; e asserisce a
ogni tratto, che nel muover via via a se i dubbj sta la verace maniera per trovar la ragione
delle cose, e non nell' affidarsi alia
sola Sbuiorith dei Maestri ; che d
percid necessario deporre nelle questioni qualunque maniera di anticipati giudizii a favore piiH
d' una che d' un' altra opinione, sia
d'Aristotile, o di Platone, o di
Pittagora, o di qualunque siasi altro, imperciocchd r apprensione fa in noi grandissima forza,
anzi iegli d molto malagevole lo
spogUarsene, quando ci si 6 fatto r
abito da' primi elementi degli studi (Dialogo J2'', cotitro i Sofisti). II
lettore vede che qui tutto in apparenza
precede direttamente ; che il filosofo, nel metodo esteriore, ^ seguace
del Cartesio e del Galileo, oh' egli e insomnia un moderno. E, voglio
avvertirlo, non intendo chiamar filosofo
moderno chi d' ogni autorita e sprezzatore, imperocchd allora bisognerebbe non
fosse piil uomo, essendo pur essa,
I'autoritii, un elemento essenziale deir umana ragione. N^ il Galileo e gh
altri fecero getto di quella ; chd anzi
studiava il nostro matematico e Platone e Aristotile, e da tutti, siccome
Socrate, avea ambizione di intendere, e
I'autorM ragionevole di essi fomivagli
sussidio a conoscere la verity. Se non
che R., che professa di seguire queste
onne, e di accogliere in questo aspetto il metodo di esame, nel fatto, e consapevolmente, vi si
diparte. II suo metodo ed il suo esame
non 6 che un istrumento per la vittoria
della fede. In che modo ? Gik prima di
porsi in cammino verso i tre obietti della filosofia, la natura esteriore cio^, la nmana e la divina,
ha determinato in mente sua il punto preciso a cui egli vuole arrivare, non per
teoremi razionali, ma secondo la fede soltanto; e guai altrimenti, con tanta
sfiducia in che e'tiene le forze della
ragione ! Egli ha detto : — Queste sono le verity inf allibili di nostra fede,
alia quale io mi piego interamente : la umana ragione, pud ella, nel suo
procedere, condurmi alle medesime verity
? riesce ella a darmene una riprova
certa o soltanto probabile? Esaminiamo!—
Vedete pertanto che questo esame non h un mezzo per* scoprire la verita, come per il Galileo,
per il Cartesio, e pe' filosofi moderni ; R. questa verita nell'ordine degK enti la conosce per fede; il
suo esame razionale non ha per obietto di mostrare la potenza della ragione, o anche 1' accordo di questa
con la fede; ma in lui e palesemente la
preoccupazione di mostrar coUa ragione
la impotenza della ragione a dame certezza, per concludere poi a favore della
fede che la certezza pu6 venirci solo da
questa, e che si accordano con essa le
massime probability razionali. In un tal
quale rispetto, data la differenza dei tempi, somigliano i Didloghi di R. al Saggio del La Mennais
Sulh Indifferensa, ed in un altro
rispetto ne dissomigUano. Qual
somiglianza ? II La Mennais voile in quel Saggio provare, come R., la impotenza della ragione
a faxci conoscere con certezza la verity, certezza che solo vien dalla fede. In che la
dissomiglianza ? 11 La Mennais afferma
che la nostra ragione da s^ sola si
contraddice di necessity ; R., per contrario, afferma che la ragione pu6
giungere a dottrine piU o meno
probabili, e, come probabUi, in armonia coUa
certezza della fede. Che la ragione non si reputi capace da lui di
giungere alia certezza, egli lo mostra
da cima a fondo ne' suoi Dialoghiy dove e nella filosofia naturale, e nella morale non arriva colF
esame e colla riflessione che a ragioni
probabili piii o meno. Orazio Bicasoli
Bucellai, la sentenza socratica quesf uno to So
che nulla io so accettando solo negativamente, d^ mano per il suo metodo de' probabili alio
scetticismo ; in quella guisa medesima
ch' ei la rid^ col suo eclettismo. E
tanto ^ negativa 1' applicazione dell' aforisma socratico in tutta la parte de'
suoi Dialoghi, la quale si comprende
nella Villeggiatura Tusculana, che pur le
dottrine stesse del Galileo, dove si accennano teorie filosofiche sul mondo, anzich^ semplicemente
sperimentali fisiche, non professa guari come certe, ma come tra le probabili le piii probabili, sulla
scienza del Mondo, e, come tali, da non
escludere che altre in progresso bandiscano quelle. Cosi neU'esporre il
Timeo di Platone, cosi nel trattato della
Frowidenza^ che chiude la Villeggiatura
Tusculana, ei si restringe sempre nel solito probabilismo, quantunque parlando
del Provvedere eterno, o dell' Arte
divina nel mondo, mostri credere
fermamente ch'ella esiste ed opera in
esse ; ma le ragioni ed i fatti ritiene nient' altro che come barlumi di quel vero, il quale per la
fede religiosa sfavilla alle menti che credono. E molto efficacemente della
liberty egli discorre, facendo tesoro
degli argomenti recati in campo da'piH reputati filosofi in sostegno di
essa; ma con le riserye consnete della
Seconda Accademia, e considerando la ragione
come regina se non spodestata del regno intellettual/B dell' Uomo, pur di ben misera autorit^ e
ginrisdizione sovr' esso. Solamente le
verity matematiche hanno yirtd di
evidenza per lui, Bicchd per esse la ragione ritorni sovrana, e siano del sapere i primordj
sicuri. Nelle morali verity poi lascia
egli quel suo metodo dei probabili e afferma con sicurezza ; ma queste
affermazioni non procedono da evidenza
di ragione, bensi apparisce chiaro che
esse procedono dalla dottrina del Cristianesimo intorno ai fini soprannaturali,
ed ai precetti per conseguirli ; tanto
che le dottrine platoniche, aristoteliche, ec, servono solo di raflEronto al
catechismo. Questo sia detto pel metodo
della filosofia nelle opere di R. ; su
che io stimo aver discorso bastevolmente, dopo Tesame che il leggitore ha
avuto occasione di fare da se, con
qualche ampiezza, de' Dior loghi
filosofici di lui.' Aggiungo ora, ne ^ difficile persuadersene, che egli nel
sqo sistema filosofico 6 eclettico, e pero dit mano di nuovo alio scetticismo,
riproducendo cosi pure per la centesima volta le condizioni del pensiero in quel secolo, ed espirando
inalterata I'atmosfera filosofica del
suo tempo. Vuole avvertirsi come i tre
punti cardinali, a dir cosi, del suo
filosofare dovevan condurre»R. all'
eclettismo. Quei tre punti consistono : primOy certezza per la fede ; secondo,
cdmputo delle razionaU probability in sostegno della fede; ter^o, esclusione
delr autorit^ del tale o del tal altro filosofo particolare, secondo gl' insegnamenti di Galileo. Sicche
non avendo R. piena fiducia nella
ragione, escludendo le particolari
autorita dei filosofi, doveva naturalmente
ridursi a cercare i dati del suo cdmputo di probabilita nelle opinioni
varie di tutte le scuole, tentandone un accozzo. Aristotile e Platone, Epicure
e Cartesio, Galileo e il
Tradizionalismo, tali erano le scuole
principali che disputavansi il terreno in quel
secolo. Lo abbiamo veduto. II R. ve le trova, ne apprende gli intendimenti, ne tenia un
accordo; diro con frase piil viva, e che
il lettore mi consentir^, ne immagina una
confederazione, con a capo, perche sfiduciato della ragione, la fede. II R., pertanto, che ritraeva in tutto
del sue tempo, in cui la forza
speculativa degl'Italiani era svanita, e
non lievemente svanita, di questa vigoria di speculazione non era pur egli a
dovizia fornito, per riuscire ad aggiungere intendimento si alto e generoso, a formar ciod questa sintesi, e
comporre un' armonia si sovrana. Era
dunque inevitabile che in queste armonie
tentate ei si smarrisse, riuscendo invece a una fantasmagoria di accordi, cioe
ad un eclettismo di quei vari elementi, di quelle dottrine diverse, e perd, lo ripeto, desse mano di nuovo alio
scetticismo, poiche r eclettisrao sia di
questo una forma particolare. E dico cid, distinguendo le intenzioni dalla
essenza speculativa d' un sistema. L'
eclettico, per le intenzioni sue, ^ tutt' altro che scettico, anzi vuole
opporsi alio scetticismo: ma e scettico
speculativamente, giacch^, negando che
la ragione abbia potuto mai produrre con
un criterio intrinseco suo, una dottrina non esclusiva di sostanziali verity, crede che la filosofia
si divida tutta in sistemi particolari
ed erronei, dal cui ricucimento possa derivare la dottrina plena, o almanco
la dottrina massimamente probabile. Indi
apparisce chiaro che, quantunque V
eclettico dica valersi d' un criterio
interiore od anche della coscienza, principalmente si vale di im criterio esteriore o storico;
poichd altrimenti, se fiducia avesse nel criterio interiore, non impugnerebbe
la tradizione della filosofia vera, n6 la porrebbe necessariamente divisa in
brani od in sistemi erronei. Va bene che
lo studio dei sistemi giova, bensi come
aiuto, n^ potrebbe giovare, quando nn criterio
interiore per eleggere il vero dal falso nei varj sistemi cimancasse. L'eclettico risponderd,
forse: Ma in tal caso, soggiungiamo noi, se un criterio interiore vi ha sicuro,
gli eclettici ban torto dicendo che
tutta la storia della filosofia h una
storia di sistemi erronei, e che la verita pud solo venire dal ricucirli insieme. Anche il
tradizionalista nelle intenzioni sue e
dommatico, ma h scettico speculativamente, poich^ non ammette razionale
certezza. Le quali cose ho volute notare
per la natura del mio soggetto, a far
vedere cio^ che, filosoficamente considerato, R. partecipa dei dubbj del suo
tempo, e che egli cerca rifugio dai
dubbj dommaticamentenel tradizionalismo,
eniditamente nell' ecclettismo. Qual'^
infatti la sua dottrina intorno al mondo, all' Uomo, ed a Dio? Ne'primi sedici Dialoghi, ne' quali si
espongono le dottrine de' piii antichi
filosofi intorno a'principj universali
della natura, e che formano, ho detto, la
parte negativa del suo filosofare, R. non acr cenna ad alcun sistema suo particolare
intorno al principio materiale dell' Universe, e solamente riducendo al nulla e destituendo d'ogni valore di
verity tutti quei sistemi ritornati a
vita dal Rinascimento, intona, pud
dirsi, 1' estremo funerale a quel grande periodo della nostra filosofia. Bensi noi ci
accorgiamo di leggieri come egli in quelle pagine stesse distingua bene, del pari che Galileo e la scuola moderna, la
scienza metafisica dell' universe stesso
dalla filosofia naturale dalla fisica:
progresso grande, invero, questo;unperocch^ per 1' innanzi e nel Medio Evo e
presso i Peripatetici formava parte integrale della filosofia la fisica. o filosofia naturale, diversa assai dalla
scienza metafisica del mondo, alia quale ben piCi avvicinasi la fisica di Aristotile e di Platone, intendendo essi
questa appunto non come scienza tutta di esperimenti esteriori (nd r avrebbero' potuto), ma come cosmologia
nel senso che le diamo oggi ; vale a
dire la scienza dell' ordine mondano in
relazione colPanima umana e con Dio;
sebbene ponessero in questa anche lo studio deU'anima, come r ultimo punto a cui la fisica menasse.
Comunque, la confusione della fisica
coUa metafisica era in que' secoli giunta al colmo, cagionando que' conflitti e
quelr eteme dispute che nelle scienze rendonsi inevitabili, ognivolta gli obietti loro per natura ed
essenza distinti si mischiano. Ed i
fisici che volevano farla da metafisici, ponendosi a ricercare nell' ordine
degli enti esterni le leggi che
governavangli, presumevano trovarne apche i fini, invadendo per cotal guisa il
terreno della metafisica, con indicibile
danno della scienza e del suo stesso
incremento. Ma R., riconoscendo tutto
cio per la benefica influenza delle dottrine e del metodo Galileiano,
sfugge i pericoU di queste confusioni
peripatetiche, n^ i fini dell' universo d^ per obietto di studio 6 d' investigazioni alia fisica, la
quale intende ne' termini stessi del suo
maestro, riprovando nel fatto del suo
scetticismo, e del senso negative con cui in
questa parte intende 1' aforisma socfatico, quella naturale filosofia
architettata a priori o con induzioni ed
esami troppo superficial! da' filosofi antichi, e ritomate a vita e seguite, qual piii qual meno, da
alcune scuole del tempo suo. Tantochfe
del medesimo Platone ei rigetta le
opinioni intomo alia formazione del Mondo,
come quelle che non si fondamentano sulle solide basi relazioni di
dipendenza dell' una parte dall'altra, e implicitamente combattuto 1' errore di
quei che V uomo dicono operare in tale e
in tal modo, col tale o tal organo,
perch6 ha quell' organo, non perchd questo
I'abbia avuto a quel fine. Ed ecco percid un altro punto capitalissimo nel quale R., pur non escendo
dal suo probabilismo, segue la filosofia
modema, n^ cade nolle negazioni che
delle cause finali si era &tto prima
di lui, e si faceva anche al suo tempo.
Ma di ci6 basti: ch^ inutile ripetizione sarebbe recar qui nuovamente le parole del nostro
Scrittore, dove di queste ragioni finali
delle cose tutte dichiara la sua
credenza. N6 stard guari piii oltre a ricordare come R. ancora dissenta da Platone che
ammette r Anima dell' Universo, mentre
si adopera a scusarne r errore, e a conciliare
tal dottrina, interpetrandola
benignamente, coll' insegnamento fisico galileiano e con quelle religiose della Prowiden0a. Come il lettore ricorder^, R. passando
in rassegna i yarj sistemi antichi della
filosofia naturale, pose avanti il
concetto che Platone ayesse potuto intendere di assegnare al mondo per anima
sua la luce, che per Galileo ^ a tutte
le cose frammista, ed e la estrema
espansione della natura e in essa tutto risolversi di tutto cid che 6 nel mondo
con la rarefazione. N6 di cid abbiamo
osservato esser pago il Kucellai, che
nel Timeo si fa varj altri quesiti intorno a quanto di diverso dal fin qui detto potrebbe
immaginarsi aver Platone opinato suUa natura delP anima universale, come, per esempio. se abbia potuto creder esser
quella Iddio stesso, o TAmore. Indi dal
primo supposto piglia le mosse a
confutare il Panteismo e il Naturalismo conforme alle dottrine stesse Platoniche e de' piCi
reputati filosofi del suo tempo,
da'quali toglie gli argomenti probabili in
difesa della distinzione di Dio dal mondo. E cosi dal vedere che per tutto e seme di amore, nelle
cose inorganiche, organiche, negli animali e neiruomo, e da considerare i fini della creazione, si
domanda se per anima dell' universe
Platone possa aver tenuto I'amore, come
quello che, necessario, tira a ricongiunger le cose che per il loro difetto dal loro ordine
deviano, e, libero, le creature
ragionevoli. E ambedue le ipotesi o i supposti spiega affermando che Dio non si
deve confondere col mondo, ne ponsare che egli vi si trovi quasi anima in un corpo ; che Y amore puo, ma non
come essere vivente, ritenersi per anima
universale, sibbene e Dio stesso, h il
suo amore, o lo Spirito Santo, il quale,
virtii vivifica, e legge impermutabile infinita ha valso air ora della creazione, e varra in
perpetuo. E a questo sense crede R.
poter ridursi, cristianeggiandolo, il
pensiero del filosofo greco, della
cosmologia del quale ricorda alcune sentenze da cui puo arguirsi che 1' amore abbia egli
considerate se non come 1' anima intera
del mondo, almanco come il fiore d'essa,
che consiste nel medesimo; quell' amore
che appresso i cristiani, in Dante, in Petrarca ec, 20 altro non 6 nel suo concetto divino che
la provTidenza, o lo spirito che di s^ tutto riempie 1' iini verso. E quest' accordo tra Platone e la fede in
tal subietto palesemente dimostra aver tentato R. ne' suoi Dialoghi ddla Prowidenffa^ ne' quali
abbandonandosi spesso a mistici voli, si compiace rinvenire questa profonda armonia tra il precetto di
fede e il pensiero del filosofo pagano,
il quale, per lui, (ed ^ in fatto), piii
d' ogni altro nell' errore della gentility avvicinossi all' idea vera di Dio e
de' suoi divini attributi, quasi davvero gli si fosse in parte svelato. E per concludere sull' opinione di R.
intomo al mondo, resterebbe a ricordarsi
del come egU applichi le armoniche proporzioni aU'anima dell' universo, e in qual modo, altresi, riconosca
I'importanza delle matematiche nello
studio di esso, e quanto potuto abbia su
di lui la benefica tradizione Platonica in questo argomento. i] agevole in brevi parole
sodisfare a quest' oggetto, rammentandosi come egU, il nostro scrittore,
discorso delle matematiche, esponga neUa sua
verity r applicazione che 1' Ateniese fa di esse aU'anima Platonica,
senza as^entirvi, non ammettendo Tanima
universale ; ed invece riconoscendo in tutto 1' universo la intelligenza geometrizzante divina, il
numero, V armonia, dia lode a Pittagora, Platone e a Galileo che fecero base dello studio del mondo le
matematiehe, e continui la tradizione
perenne, chiamando con essi la scienza
delle quantity Vabbkcl di ogni sapere.
E come Platone, cosi R., che ne illustra il Timeo^ dall'anima universale passa a
discorrere del1' anime razionali e della loro immortality. II lettore ha tenuto dietro all' esposizione
di questi argomenti, n^ vale qui, anco
in succinto, ritornare sopr' essi pid.
Certo, il nostro filosofo, ritagliando pur qui dalle teorie platoniche
sull'anima tutto quello che alle
dottrine del Cristianesimo contrasta, gli argomenti di Flatone sulla natura ed immortalitS; di
quella accetta ed espone, e cosi di Socrate, di Pittagora e di Cicerone, de' Dottori e de' Padri, come poi
del Ficino e de' neoplatonici del secolo
decimoquinto, e anco del Cartesio,
contemperati da quello che la fede cristiana
ne insegna, onde dal grado di argomenti probabili assorgano alio splendore della certezza. Ch^
col lume della ragione solamente nelle
prove dell' immortality dichiard anche
qui nmi esservi da aspettarsi mai prove
convincenti^ oltre quelle della nostra infalUbile cattolicd dot-trina,
percM elle non sono da rioi, ma si bene favellar se ne puote, e trovarci da proporre molte
verosimiglianze e probability. E dove
dell' idee parla, tenta (lo vedemmo) un
accordo tra gli archetipi etemi di Platone a' quaK s' inalza la mente umana e le idee innate del
Cartesio. Imperocchd e' rigetta 1'
opinione aristotelica, tornata, tra' moderni, in vita da Condillac, che lo
intelletto umano sia tanquam tabula rasa, in cui si venga a Bcriver man mano, e, pur senza
sottoscriversi alia teoria della
reminiscenza nel sense platonico, ammette
invece la mente umana illustrata da un lume supemo impresso in essa da Dio, quantunque poi non
sia ben chiaro del come cid avvenga, e
anzi reputi questo un mistero, nel tempo
che Platone ammette chiara e determinata la cognizione delle idee eterne. Non
esclude la relazione obiettiva di
queste, e accostasi alia teorica delle idee secondo il Cartesio, temprandola
col suo neoplatonismo, e combatte il
Gassendi, non escludendo per6 quel che gli sembra contenere di buono, fino a dire che ritagliando un po' di qu^ e
un po' di 1^ si puo venire a un terzo
ripiego di verosimiglianze. E in fatti
ritiene come probabile che Iddio creando ranima e infondendo in essa il lume
delle idee, queste per la nebbia del
corpo e de' sensi yengano ad essere
alquanto nel loro fulgore offuscate, e i nuvoli della materia parino la vista all' occhio
deiranima, per modo che anche da tal
fatto del conoscimento imperfetto attuale delle idee e delle cose arguir si
possa Tadempimento per noi del conoscere intiero in altro luogo che sia. Ma, convien dirlo, a me sembra che
in questa teoria della cognizione e in
quest' accordi e' non riesca ben chiaro
a determinar cosa pensi ; e che il suo probabilismo assuma qui la qualita dell'
esitazione e della incertezza, e che in
questa e'faccia pur altalenare la mente
del critico. Causa al certo non secondaria di
tutto ci5 le deboli ali del suo speculare, ben diverse dalla semplice erudizione, che mentre al
probabilismo suo pud dar la quality di
erudite, non vale ad aggiungere vigoria a quelle intelligenze spossate da'
contrasti di si diverse dottrine. Che se dall' intendere dell' uomo passiamo
al volere, noi, nel combattere ardente che fa il Kucellai ogni obiezione della scuola epicurea e
determinista, la quale niega la liberta
umana, avemmo luogo di riscontrare anco qui il neoplatonico cristiano, il
quale, facendo tesoro di' tutti quanti gli argomenti che dalr antiche scuole
fino a' suoi tempi a sostegno di essa si
recarono, manifesta 1' ampia erudizione della sua mente da un lato, e dall' altro il suo
intendimento di una sintesi delle
opinioni diverse, come per esempio
quella della liberty e quella del fato, lo stoicismo e r epicureismo, del libero arbitrio e della
predestinazione, siccome riscontrossi ne' Dialoghi della Provvidenza. Cio che
preme di notare si d in primo luogo: che
alle varie facolta dell' anima non fa corrispondere altrettante anime, e, come a- dire, giusta il
pensiero platonico, la vegetativa, la sensitiva, e la intellettiva, radice della conoscenza e del volere ;
sibbene pur ammettendo queste distinzioni, le considera come quality di un' anima sola, creata da Dio, allorch^ il
corpo deiruomo venne formato. In secondo
luogo: che il R. ponendo in sodo, con
tutti gli argomenti pro7 babili de'
quali puo disporre, la liberty dell' arbitrio
umano, ci stabilisce le fondamenta della morale, precisamente come Platone
faceva, e la possibility per r uomo di
tendere al conseguimento del bene perfetto
e della perfetta felicity. Basta il ricordare il Proemio alia Villeggiatura Tibnrtina per rendersene
persuasi, e riandar col pensiero
principalmente i due be'Dialoghi che nel trattato della Provvidenza si
trovano, dove del dono della ragione, e
della liberty e del fato discorre. Come
in principio della esposizione della sua
psicologia e filosofia morale osservammo, giova rammentarci qui esser
questa la parte piil manchevole e
imperfetta ie^ Dialoghi; pur tuttavolta sufficiente alr intendimento
mio, che ^ quello di dimostrare il suo
eclettismo, e V applicazione mancata in lui del Nosce te ipsum. Vuolsi avvertire qui come
succedesse al Rucellai quello che poi succedette al Cousin, qualunque siaperaltririspetti la diversita d'ingegno,
d'inchnazioni e di successi dall' uno
all' altro. II Cousin, cosi nelle sue
Lezioni di storia della filosofia, come in ogni altra sua opera, sempre ripete per gl'insegnamenti
di Cartesio la necessity, dell'
osservazione interiore o dello studio
della coscienza umana ;sicche parrebbe ch' egli lo studio de' sistemi avesse dovuto subordinare a
questo esame interiore, e al criterio
della coscienza. Ma invece lo studio
storico de' sistemi ^ V intendimento eclettico ed espresso del Cousin che reputa trovare in
essi la integrita della filosofia. Similmente R. ripete il Nosce te ipsum di
Socrate ad ogni istante; ma in fatto poi
si vale piCi eruditamente dei sistemi che non delr esame interioi:^. E come la interpetrazione
negativa del questo io so che nierUe to
so valse al R. d'impulso ad una speculazione erudita, piuttostoche ad una speculazione spontanea; cosi la parte
dubitativa negativa delle dottrine
cartesiane servi d' impulse al Cousin
per il suo Edettismo. Ed infatti,
lasciando d' intrattenersi suUa psicciogia^
cui il medesimo R. guarda e passa, nella parte morale, senza dimenticare la stregua
infallibile de' suoi ragionamenti, le
verita della fede, egli non voltando le
spalle alle teorie morali platoniche, pur quelle di Aristotile e degli stoici cerca studiosamente
di conciliare insieme, giusta pud vedersi nella definizione della virtii e nella classificazione degli
ofBcj umani. Si pud dire anzi che egli
non abbia fatto che seguir passo passo
or questo or quel sistema e quel metodo;
che il suo, piCi che un trattato, anco incomplete, sia piuttosto uno specchio delle sottili
distinzioni di quelle virtii e di quel
doveri, che Cicerone viene nei suoi
libri enumerando. Imperciocchd il leggitore abbia in mente quali fossero intomo la morale o la
teorica delr operare i pensieri di Platone, di Aristotile e della Scuola Stoica. — Platone ammise Dio esecutore
e mallevadore della Legge morale. La qual legge, imposta al volere deiranima, da Platone stesso
riconosciuta e per la prima volta
dimostrata immortale, riducesi alia
pratica della virtii, che 6 la imitazione dell'Archetipo sommo, ciod a
conformare le nostre azioni alle idee,
anteponendo all' amore dei beni sensibili quello del buono assoluto. La virtii d una ; ma
comprende in se quattro elementi, che
corrispondono alle quattro virtti
conosciute da noi sotto il nome di cardinal!, sapienza (sofia), coraggio o
costanza, temperanza e probity giustizia. L' applicazione della legge
morale non gi^ alia volontS; degl'
individui, ma a quella del popoli e
delle nazioni, costituisce la politica nel senso di Platone, il quale, oltrech^ veniva meno a
s6 stesso, allorch^ distinti nello stato
i tre ordini, ottimati o sapienti, guerrieri
ed operai, questi faceva servi, non
punto mostravasi alia corruzione dei tempi superiore, quando, per esempio, pigliando a massima che
1' utile non dev' essere un diritto
esclusivo e che dalla society umana
vogliono eliminarsi i sospetti di prole illegittima, ne inferiva la comunanza
dei beni e delle donne. Per Aristotile
il bene morale ^ la felicitit, il bene assoluto e la beatitudine perfetta che
comprende V attivit^ perfetta e il godimento perfetto. Base dell' operare umano
^ la libert^i, il cui esercizio perfetto fa
raggiungere la felicity, che ^ la somma dei godimenti. II bene finite non § che un accostamento al
bene assoluto: desso bene s'identifica col fine, e perd la ricerca del bene e
del fine si unificano. II mezzo pertanto di conseguir questo bene, ossia la
felicity, § la Yirtti. La quale consiste
nell' evitare i due estremi del vizio,
come la vilta e la superbia, tenendoci nel
giusto mezzo. La giustizia poi d tutta la virtti; h la virtd nelle relazioni che gli Uomini hanno
tra loro (Lib. V, Etica Nicomachea). Or
bene, ognun vede subito come la base su
cui si fonda la giustizia d per
Aristotile opposta a quella su cui la stabilisce Platone.
Imperciocchd Aristotile parta dallo studio delrUomo e dei fatti sociali,
e sia guidato, come Platone, dall'ideale del bene assoluto, ed essere
divino; ma pero il suo ideale 6 il tipo
perfetto della virtd, cio^ la
beatitudine, che • comprende attivita perfetta e godimento i)erfetto ; mentre
1' ideale Platonico contiene r unita
perfetta, assoluta, e percio il niodo di render
giusto rindividuo e lo stato e per Platone queflo di nniiicarli il piii possibile. E infine quail erano gl' intendimenti degli
Stoici? € Insegnano (riepiloga il Paysio
nella sua SL deUa FUosofia) che ogni
male ed ogni bene ^ solo apparente o
relativo, tranne il vizio che d un male vero e positivo, e la virtii che ha in
se un valore assoluto. La virtii ^ una
sola, un solo il vizio, e tutte le buone
azioni fra loro, come fra loro le cattive, sono equivalenti ; ma la
virtti si esercita in quattro modi
principalmente, colla prudenza, col coraggio o fortezza d'animo, colla
temperanzia e colla giustizia; e dicasi
lo stesso del vizio, le cui forme stamio
negli otto contrarj avendo ciascuna virtii due contrarj opposti.
> La virtii che consiste nel vivere secondo la legge della ragione bene ordinata come il yizio (^
una conseguenza della ragione disordinata o pervertita, che non sa vincere le cattive inclinazioni,
sradicare gli affetti colpevoli) conduce alia felicity, riposta nel vero vivere, cio^ in quello stato dagli Stoici
chiamato apatia^ nel quale 1' animo
senz' essere insensibile, e pero libero
da ogni passione, e, in genere, da tutto che possa turbare la pace
interna. Questa la mercede alia virtd
promessa, questo il premio accordato al sofo o saggio, r apatia. Frammezzo alle contraddizioni e
agli errori dello stoicismo, che qui non
giova rimettere in mostra, ognuno scorge nel sistema un germe di nobiK dottrine, fatte per elevar 1' Uomo e destare
in lui il sentimento della propria
dignity dagli Stoici (s(^giunge il Paysio giustamente) portato fino
all'orgoglio presuntuoso, e direi quasi feroce, che i beni menzogneri disdegna,
e i inali pcggiori non cura, anzi
disfida. » Si fractus illabatur
orbis Impavidum ferient ruince. » (HoRAT., lib. Ill, od.S.) Ebbene, ne'due Dialoghi della morale del
RuceUai, non che sparsi poi in tutti gli altri, precipuamente nel trattato
della Provvidenza divina, noi ritroviamo
predominare quest! tre sistemi da me riandati di volo, e del quali egli cerco,
tolto da ciascuno il non buono, T
accordo, subordinandolo sempre, s' intende, ai principj della morale cristiana
che irraggia e vivifica V umana coscienza.
Pone egli, con Aristotile, mezzo della
felicity la virtii che sta tra due estremi ;
con che non dee intendersi il mediocre, sebbene la giusta misura oltre la quale e un trasmodare.
La ragione, egli dice poi con Platone, fonda i suoi motivi sulla costanza de' beni, e con gli Stoici
stima beni anco i mali present!, che
perd menano a felicity. E distingue con
Aristotile tre sorta di beni, ieWAnima,
della fortuna e del senso^ e che nel definir giusto la natura di quest! beni, e aggiunge quale tra
essi costituisce il fine vero dell' Uomo sta la filosofia morale che ^, dice egli, la pii\ vera e megliofondata
filosofia deU'Uomo. La quale null'altro
6 alia per fine che il timore di DiOj in
che sta il vero mezzo di conseguire la vera
felicity, ciod il Paradise, che equivarrebbe al possesso del Bene sommo, assoluto di Platone. Qui R. segue addirittura le credenze religiose, alle
quali vuol ricoUegati i sistemi di
morale antica rivissuti ne' contemporanei : tantoch^ pur lo Stoicismo che qui
parrebbe escluso, ricomparisce a ogni tratto, ed in pagine, a dir vero, beUissime; imperciocchd soventi
fiate il filosofo nostrp vada ripetendo
che la virtil dee esercitarsi ad ogni costo, e malgrado tutto ; e nell'
esercizio di essa debba Y Uomo ritrovare
quaggiii la vera felicity. Pero quantunque R. abbia posto a fondamento della
morale la libertlL umana, siccome vedemmo, pur n^ dell' origini del dovere, n^
del percM della Legge morale ragiona,
cbe ha fondamento nel divino e trae
dalla mente eterna la sua forza, la sua
sanzione : invece li pone come postulati necessarj e gia consentiti da chi lo segue nei suoi discorsi,
quantunque non manchi di distinguere tra legge divina e naturale, e tra naturale e positiva. Nella divisione poi delle rirtii e nell'
analisi di esse e degli opposti loro,
segue Aristotile, Cicerone e san
Tommaso, come pure segue questo e Platone neUo
stabilire il fine della Society umana, cbe riconosce nel Bene comune, nell' utile coordinato all'
onesto : ond' 6 ch' ei tiene per
principal fondamento dell' umano consorzio e regolatrice degli Uffizj umani la
giustimy e poi le altre virtii, cbe
insieme a tutte le loro compagne secondarie definisce con san Tommaso, come
quest! le avea alia sua volta definite con Cicerone e con Aristotile.
E nel dividere gH ufficj stessi dell' uomo, segue il R. Cicerone; anzi, ricordisi, egli quind'
innanzi non fa cbe ripetere in compendio
tutto cid cbe il giureconsulto romano lascid scritto intorno a sifiiatto
argomento, temperandolo sempre con 1' insegnamento cristiano. In conclusione, come nel tempo suo
anco nolle questioni supreme morali
riscontravasi un contrasto di dottrine, la platonica, 1' aristotelica, la
stoica, la epicurea, la cristiana; cosi
negli scritti morali del R. tutti questi
diversi elementi ritrovansi in un
singolare eclettismo riuniti. E bo detto ancbe la scuda epicureaj e non a case; imperoccb^ R. stesso
non escluda che pure i beni del senso ordinatamente goduti sieno fonte di felicity, e mezzo al
conseguimento del vero bene; nel che
scorgesi tosto bensi la diflferenza tra lo intendimento Epicureo e quelle di
lui ; poich^ mentre Epicure e i suoi
seguaci nei beni del senso ordinatamente
goduti fanno consistere il vero fine
della natura umana; R. tempera e corregge tale dottrina, restituendo a' beni
sensibili il valore e V ufficio che ad essi si compete, vale a dire di mezzo al raggiungimento del fine supremo
dell' uomo, che 6, giusta Platone e il
Cristianesimo, il Bene Sommo, Iddio. Proferendo questa parola, entriamo
finalmente nei penetrali della teologia
: esaminiamo brevemente se pur in essa
il fiucellai verifica il nostro concetto, dope di che, dato un rapido sguardo alio stile e a'
personaggi de' suoi Dialoghi, avrd
terminate. Come Platone, cosi R.
riguarda Dio ente eterno, infinite,
beato in sd e finalita suprema, nella
cui mente riseggono gli Archetipi eterni ; pero mentre Platone cade nel Dualismo, facendo coeterna a
Dio la materia, egli, R., col
Cristianesimo si scosta qui dall'
insegnamento platonico, e professa Dio creatore ex nihilo, tomando poi con V
Ateniese e Pittagora a considerarlo com'
eterno geometrizzante, ordinatore e
provvidente, e da questo attribute di Dio, dall' Arte divina che si manifesta nel Monde trae
argomenti probabili dell' esistenza del supremo Facitore, non escludendo perd
affatto la possibility della prova a priori^
quelle, per esempio, del Cartesio, che dall' idea dell' infinite
argomenta la sua realty; ma pure stabilendo sempre a cardine de'suoi
ragionamenti le verity della fede. E
nel passare in esame il trattato sue della Provvidenza, credo il lettore abbia
veduto R. far tesoro di tutta la tradizione filosofica teistica contro r Epicureismo, specialmente della filosofia
de' Padri del Cristianesimo, sovrattutto
dove discorre del mali e delr origin loro, dimostrando come di veri mali sia
solamente V uomo autore e capace, perchd dotato di libero arbitrio ; e come Iddio, essere perfettissimo
e prowidente per sua natura, non possa essere origine di male vero ; mentre quello che a noi nella natura
sembra male, o ^ limit e naturale delle
cose, siccome la morte, e pero non e
male in s6 ; ovveramente 6 del fatto, che
giudichiamo esser male, sconosciuto a noi il fine o Tordinamento, e in
tal caso egli e questo un errore delle
nostre corte intelligenze; e qui, in tali dottrine, come vedesi, ha
seguito Platone, e gli Stoici, e la tradizione universale cristiana. Ma per 6,
ricordiamoci anco una volta, egli,
affermando tutto ci6 col lume naturale, dichiara di non potere escire da' limiti del
probabilismo, e di esser necessario lo
starsi a quel che la Fede ce ne disvela,
imperocch^ V uomo che colla sua ragione
sola vuol troppo scoprire la verity, vada a caccia deUa iugia, Platonico adunque egli e nelF ammetter
Die e nel provarne la sua esistenza ;
Cristiano nell' ammetterlo come Creatore ; probabilista nelle sue
conchisioni di ragione ; mistico e
tradizionalista ne' suoi intendimenti e nel suo metodo reale, generalmente
seguito nell'intiera opera sua. Egli e dunque R. nell' esame de' tre
obietti deUa filosofia, V Universe, 1'
Uomo, Dio, una seconda volta scettico
filosoficamente, poich^ egli non esce dalr eclettismo. Imperocch^ (ho dimostrato)
1' eclettico, sfiduciato dal contrasto
turbinoso delle opinioni e de'sistemi diversi, abbia perduto ogni stima nel
criterio interiore della coscienza, che ei reputa incapace da sola a riconquistare le regioni della verity ; ma
pur bramoso di questa, si pone a sceglier tra le tante teorie quel che gli pare sufficiente a ricostituirsela
innanzi gli occhi, formosa piil ch' e' pud, affine di sottrarsi alia
desolazione del nulla. Se R. abbia
vissuto in un' et^ di contrasti, vide il
lettore diflfusamente. Ond' ^ che la cagione del suo eclettismo ne sorge evidentissima, e tale
che raentre giustifica in parte almeno il suo errore, stabilisce il punto di vista importante sotto il quale
si pud considerare quest' uomo, e mostrarlo ai cultori delle disciphne
filosofiche, agli studiosi delle leggi con le quali il pensiero umano si svolge nelle vicende de'
secoli. Un' ultima considerazione. Essa
risguarda la strutturade'DmZa^'Aitilosofici delnostro scrittore, forma
esteriore, ciod, stile e personaggi ; ritrovando anco in questa un triplice
riscontro della verita del soggetto
propostomi, e, fin qui, io credo, dimostrata. Non occorre dopo il gia osservato superiormente, riandare
anche per capi, le condizioni della
lingua e letteratura del tempo. Noi le
abbiam presenti, e basta esaminare la
forma esteriore e lo stile de' Dialoghi di R., perchd sia evidente la
rispondenza tra le prime e i secondi.
Qual' e infatti la forma de' suoi scritti filosofici ? II dialogizzare socratico, forma prediletta
nell' antichita, risuscitata in Italia
fin dal trecento dal nostro Petrarca. Quella forma preferita pur anco dal
Galileo, siccome la piii acconcia a dar
calore di vita alle dottrine, ed a rappresentarle alia mente, direi, come
esseri animati. II Eucellai, anch'egli ammiratore delle dottrine platoniche, e seguace almeno
esteriormente del metodo di Socrate e
del Galileo in quel secolo, oltre dettar
le opere sue nella lingua volgare, predilige acconciarle a quella forma cosi
semplice, come efficace, e che tanto
bene opponevasi anco in cid al fare irto e disarmonioso de' Peripatetic!
eccessivi e della Scolastica (specialmente de' seguaci di Scoto e degli
Averroisti), la quale, per cosi dire, gelava il pensiero in quelle forme secche ed incadaverite, e
rendeva gravosa la scienza destituendola
di ogni attraimento ; con che non
vogliaino offendere la temperanza de' libri di san Tommaso, pur nelle forme sillogistiche.
Imperciocch^ la scienza sia non un che
morto, ed astratto, ma parlandoci dell' universo, delle meraviglie dell' uomo,
della vita divina e delle loro
relazioni, debba esser anzi supremamente viva, ed adoma di bellezza giovanile,
perch6 sia quanto pud piii fedele imagine di quegli obietti. Ed ecco I'arte stupenda dell' Ateniese,
ne'cui 2)ia?o^M tu senti spirare quell'
anima dell' universo che nelle sue
poetiche speculazioni si finse; il cuore dell' uomo battere ad ogni istante di palpiti sovrumani
e rispondere alle celesti armonie, e Iddio come sole intelligibile scaldare,
fecondandoli, i germi preziosi di quella
mente, dove sorrise perenne la primavera del bello. Orazio R. commosso da questi concenti
divini, voile nell'opere sue imitare
Platone e la sua arte; e, per dir vero,
nelle sue platoniche descrizioni, nelr introdurre il discorso suUe diverse
materie con abbastanza facility, e saper man mano socraticamente procedere
nella risoluzione dei varj quesiti imita bene il Maestro. Se non che i difetti dell'et^ sua
pur qui compariscono, la difiFnsione ed il tronfio, sicchd tu incontri,
per esempio,uninterlocutore che
senzainterruzioniperprender fiato e per rompere la monotonia prosegue per
lunghissimo tratto a favellare, mentre passeggiano, come se si trovasse in una scuola, sur una
cattedra; e le immagini e le frasi
ritraggono talora di quel colorito che i
tempi seco portavano, come ho avuto luogo di
fare osservare per le poesie e per le prose letterarie di lui. Con tutto
cid la lingua d tersissima e ricca, e in
generale lo stile allettevole e ripieno di pure bellezze : e ti 6 dato in
questi Dialoghi ammirare delle voci
preziose, sicch^ il filosofo italiano pud trovar qui, come nei Dialoghi stupendi del Tasso, e nell'opere
volgari di Monsignor Piccolomini, la
genuina favella dottrinale, anzich^ pescarla ne'libri stranieri. E la natura diversa de' personaggi adoperati
dal R. e un' ultima conferma delle
nostre persuasioni. Infatti basta a
tutti ricordare chi pone a maestro e mantenitore principale de'suoi Dialoghi
iilosofici. fi il Magiotti, un neoplatonico vero, e seguace delle dottrine
fisiche del Galilei; ma sacerdote, e soverchiamente inclinato al tradizionalismo, per guisa che laragione
destituisca del suo legittimo valore, e
criterio supremo della verity professi solamente la fede rivelata. E gli altri
poi, credenti tutti, fingono di tenere o
da Epicuro, o da Cartesio, o da
Aristotile, e al piii giovane, Luigi suo figlio, per il quale precipuamente questi Dialoghi furono
scritti,fa il Eucellai rappresentare la parte fanciulla della ragione
sola, che cerca liberarsi dai dubbi che
I'assalgano; dubbi che vengono passo
passo fugati dagli altri coll' autorit^ di
Platone e degli antichi e moderni filosofi, corretti perd, io lo ripeto, dal concetto cristiano ne' loro
argomenti probabili, per trovar quindi V
intera pace deir anima nella certezza
evidente della verity della fede. Come
vedesi, adunque, i personaggi stessi manifestano la natura del
filosofare del Eucellai, il suo metodo, il suo fine, e dimostrano essi pure quant' io non andassi
errato definendo la filosofia o il
probabilismo filosofico del Eu cellai : un viaggio alia fede e colla fede per
la natura e per la ragione. Concludendo, io dico che in quella guisa che
nel consorzio civile del secolo XVII,
pure nel Eucellai trovammo i contrasti delle abitudini, de' pensieri e
delle dottrine, giusta che ce ne fecero
testimonianza e la sua vita, e le sue
poesie, e le sue prose letterarie e scientifiche, ed infine i suoi Dialoghi
filosofici. Che percio egli vale meglio
di ogni altro a rappresentarci il suo
tempo, le quality costitutive di esso in Firenze, imperciocche mentre
tutti gli altri, chi ad una piuttosto che
ad un' altra opinione assentiva, chi un sistema piuttosto che un altro
seguitava, o nella fisica, o nella filosofia; il Eucellai che chiude V eik del
Rinascimento, tien dietro a tutti, e da
tutti trae a comporre Tedifizio suo, i cui materiali concilia ecletticamente
con la verity della fede che gli fa da
cemento : e, altresi, perch^ questa
conciliazione ha piil dell' accademico che
deir intimamente speculative; speculazione, che salvo le scienze naturali, era molto fiacca a que'
tempi nella sua patria. Sembranmi chiare le premesse, legittima la
conclusione ; per il che io dovrei aprir 1' animo alia speranza di non aver fatto inutile cosa, n^ al mio
illustre Concittadino reso onore vanamente. II benevolo lettore che mi accompagnd lunghesso la via, non serapre,
a dir vero, amena e leggiadra,
giudichera : e il suo giudizio,
qualunque e' sia per essere, riterro come impulse sapiente e amorevole a
nuove e maggiori fatiche, delle quali
sar^ sempre mio fine la Verita ed il suo Amore*
ai OTTAVB. ALLA SERENISSIMA MARGHERITA D'ORLfiANS, Frincipessa di Toscana. Per un mazxolino di Fiori donatole il giomo
di Santa Mar^herita dal Priore Orazio R., Quando lacrime sparge il di nascente Dal sen delPalba in rngiadoso nembo, Ghiare conche eritree del mar iremente Teti gli appresta, e le raccoglie in
grembo. Poi spiega il Sol dal lucido
ori'ente De'raggi onde si veste aurato
lembo, E con alta virtii di sue
faville Ragnna in perle Talbeggianti
stille. Ma non tutte del mar Palta
Reina Accolse in Bh le prezi'ose
prede; Oh! a te di quella inargentata
brina Tatto cosperso il bianco sen si
vede, E 1 sol degli occhi tuoi le
tempra, e a£&na In piii pregiate e
chiare perle, e cede Quel cbe risplende
con eterni ardori A te, donna reale, i
primi onori. Or qual pegno al tuo nome
in si bel giomo Bender potr6 d*
ossequioso affetto? Questo di bianchi e
casti fiori adomo Ficciol fascio odoroso
al Regio petto Ahi non s^ aggaaglia, ch' il falgor d^ intorno Fa parer negro ogni piu cbiaro oggetto; Qual sotto a'rai del sol smonta e
s'imbrana YergogDando di se 1' argentea
Luna. Dun^ue h vano tentar I'alto
pensiero, Che seguir non lo puo mio
stato umile, Ma pur conMo troppo ardito,
e spero Che lo mio buon voler non prenda
a vile QuelPeccelsa bonta nota
alFImpero, Che pur suole aggradir dono
servile, Se un timido rossor purpuree
rose In fra ^1 candor di questi fiori
ascose.Si querela che il sonno tenga troppo chiusi gli oechi della sua Donna, Ombra il sonno e di morte, i sensi
atterra, E gran parte di vita alPuom
ritoglie, Che quasi dal suo vel Talma
discioglie, E n'insogna le vie per gir
sotterra. Sonno s* altrui dk pace, a me
fa gaerra, Che '1 vivo lume a quei begli
occhi togUe, L^ dove amor del Paradiso
accoglie II piii bel raggio che
risplenda in terra. Ben a giusta ragion
lagnar si vole Questo mio cor, ch^in
preda al sonno oppresso Scorge in si
lunga notte il suo bel sole; Se 1
Poeta, che gih, d' Apollo istesso Segui
la fronda, si di lei si duole Che 1
batter gli occhi suoi fusse si spesso.
Sentimenti amorosi in morte di sua Donna, Qaella che sola ai miei pensier
risponde, E i sensi del mio cor penetra
e intende, Talor tra 1 sonno a
consolarmi scende Fercbe tregua il mio
duol non aye altronde. iDdi lace si
pura in me trasfonde, Cbe quasi senza
vel V alma comprende : Quantu e la su di
bello, e come splende Quel Yolto in Giel
che poca terra asconde. Dicemi:
apprendi che caduca e frale Nel mondo
ogni bellezza a morte fugge, E contro
morte il sospirar non vale. Ogni cosa
col tempo il tempo strugge, Ma se miri
il mio ben fatto immortale, Non ha chi
lo contrasti, o chi V adugge.
Sentimenti amorosi secondo il concetto Platonico, che Dio creasse V anime particolari degli uomini dagli avanzi
delVanima universale del mondo. Con
eterne faville il sommo sole Suo divino
valor nel moudo accese, E quelPalta ragion
dal Ciel discese, Ghe spirto infuse a
cosi vasta mole. Ma percb6 si belF opra
adempir vuole, I preziosi avanzi in man
riprese, E vostr^ alma gentil formarne
intese Con divine virtudi al mondo
sole. E se mille anni, e mille altri
compose Spiriti accesi da si ardente
zelo, Qualche raggio piu vivo in voi
nascose. E 'n porgervi natura il mortal
velo Tanta cbiarezza e leggiadria
ripose, Cbe ben traspare in voi cbe cosa
e Gielo. Desiderio che ha Vanima d*unirsi a Dio, Padre del Giel, che le beiralme accogli Quasi figlie smarrite entro al tuo seno, Dall^ atre nubi a lucido sereno Teco r inalzi su gli empire! sogli, Dal tenebroso carcere ritogli La mia, cli^e mai si presso a venir
meno, £ di questo mortal limo terreno La man che pria vestiUa or ne la spogli. Se col tuo sangue ricomprar yolesti Da rio seryaggio i miseri mortali, Gosi gran somma anco a mio pro
spendesti; Da si caduchi ben, si grayi
mail Per gir lieta a goder beni celesti, Tu sol puoi darle il volo, impennar Tali. DELLA
CORTE E DEL RIGIRO DI ROMA, L’ngniaglianza di tutte le condizioni degli uomini
alle pretensioni di Roma fa sempre
giovevole, sincbe le digniti e le grandezze fiiron premio solamente de'meriti e delle yirth, Capitolo Peimo. La costituzione di questa Repubblica
universale di Roma si forma dal concorso
di tutte le Nazioni cattoliche, e dalr aMuenza continua de' pretendenti, i
quali, gonfiando le rele delle proprie
speranze, qua si trasportano da qualunque regione del mondo. Ebbe per suo
sostegno nel suo originario Institute
quel misto perfetto de' tre Stati Monarchico, Aristocratico e Democratico,
reputato per la forma piti durabile, e meglio ordinata di tutti i govemi, dov'
ella si man* tiene nella sua bene
accordata armonia, e che runo stato di
essa ben corrisponde e serve di correggimenio alP eccesso deir altro.
Nel Papa risplende la Maest^ del primo, che ha in s^ la plenitudine dell* autorita Ec^lesiastica
indipendentemente da ogni altro fuori
che da Cristo, di modo che niuno, ne -il
Collegio stesso de' cardinali contradice a quel che e' delibera, se non per
ragion di consiglio; ne' cardinali, come
senatori apostolici, si raffigura lo stato degli ottimati; il quale farebbe perfettamente il suo officio,
dove i Papi con esso loro consultassero
gli afifari maggiori di Santa Ghiesa;
staccandosi poi dalla suprema potesta le deliberazioni ben purgate et assicurate dalle passioni, e da
genj; ma T autorita maggiore del Sacro Collegio si conosce nelPInterregno, rendendo i cardinali venerabili a ognuno la
voce attiva e passiva che egli hanno al
papato negli altri ordini del Clero
universale, si de' vescovi, si de' prelati, e si pure de' sacerdoti, e
de'religiosi; come altresi nella moltitudine innumerabile de' pretendenti si
considera lo stato popolare, imperocche egli avevano grandissima parte
nell'elezione de'Papi; a' vescovi
apparteneva dare il lor voto per le discordie di Religione, e per la riforma de'costumi
Ecclesiastici nella celebrazione de'
Concilii, e dal concorso di essi insieme con
1' autorita de' Pontefici se ne formavano quei sacrosanti Decreti. II
Clero poi aveva il gius dell' elezione de' vescovi, e questi, quasi sto per dire, indipendentemente
reggevano gli affari spirituali e
temporali delle lor chiese: masopra ogni
altra cosa, che fa riguardevole e stimabile il comune del popolo h, che ciascuno, di qualunque qualita
o condizione, e ngualmente abile a
divenire Principe, Padrone di Roma, e
capo di questa Repubblica, perche la Provvidenza Divina, che la sostiene, a tutta 1' umana generazione
benignamente sguardando, h volta con
pari misura al bene comune di tutti;
appresso di Lei solo le tenebre dell'ignoranza e de'vizi, e la chiarezza della virtu ne distinguono,
dove, quantoanoi. roscurita e lo splendore del.sangue, la poverty e le
ricchezze disagguagliano. Era danque
ben dovere che la Bepubblica generale di
tntti i Gristiani si accomanasse a ciascuno, non ammettesse differenza di gradi, ma fosse madre amoreyolo
ugualmente di tutti i Gattolici, e fin
tanto cbe ella si mantenne nel vigore del
suo fondamentale instituto, e cbe gli interessi
priyati non guastaron questi ordini, e non isconcertarono U temperamento di cosi ottimo e profitteyol
governo, qual requisito migliore potea
ritrovarsi, cbe la parity di tutti gli
stati degli uomini tanto celebrata a Roma, per costitnirla una patria veramente comune? Cosi invano si
sforzavano le due Ministre del mondo,
dico la natura e la sorte, di dar
talvolta ad un'anima nobile o un vil corpo, o un yil mestiero, e si ad
un soggetto di concetti bassi, e di peDsieri
oscuri cbiarissimo nascimento, percbe in Roma si uguagliayano gli
uomini, yeggendosi taluno col mezzo della yirtu
d^ infima miseria a stato reale eleyarsi. Altri, per lo contrario, di
gran riccbezza, e di splendido lignaggio in brevissimi spazi yenire al nulla, e
perdersi ben tosto fra la caligine della propria ignoranza, per guisa cbe con
I'opere solamente lodeyoli^ e giuste, e
non con le qualita accattate dalla
fortuna, poteya ognuno partecipare di qualunquepiu degna prerogatiya, essere ascritto a quel
sagrosanto Senato, e diyenire Vicario di
Cristo, e Principe di si gran condizione.
Ma a poco a poco una tale ottima instituzione traligno ancb' ella in abuso, percbe tra V ayarizia di
que* cbe comandano, e V ambizione di cbi pretende s' introducesse nel
Reggimento Ek^clesiastico la parzialit^ degli affetti, e 1' util priyato si
mise sotto il pubblico bene. La potesta dello stato maggiore assorbi la forza, e sconyolse le
operazioni degli stati minori; ruppersi
quelle bilancie cbe teneyano equiponderato il goyemo, e rimase confusa in loro
la distinzione de' pesi, si cbe delle
tre forme sopraccennate altro non ci
resta cbe la figura et i nomi : quindi ^, cbe la parity degli stati nella Corte di Roma senza il
pareggiamento de' meriti h dannosa, anzi
cbe no, la quale si dee bene reputar dai plebei, cbe s* inalzano indegnamente
ad uguagliarsi co^ nobili, non da'
nobili, cbe contro a ragione si yengono a pareggiare co' plebei; conciossiacbe in quella giiisa
cbe lo splendor e della stirpe non
conyiene cbe abbia yantaggio sopra la
nobilta de' costumi, e degli ornamenti delP animo cbe illustrano ancbe i
piu yili; cosi non debbono pareggiarsi quest! con quelli, quando con 1* azioni
virtuose e grandi non si solleyino dalla
bassezza di lor natali. Ecco come si sono
smarrite le yere yestigia della yirtu cb' erano tanto piii calcate in
Eoma, quanto per una si gloriosa competenza gareggiavano tra lore gli ingegni,
allorche gli uomini eziandio di piccol
essere avean questo unico mezzo di farsi grandi, e che il saper solamente e '1 yalor degli
ignobili era preferito alia dappocaggine, e alPignoranza de' nobili. Ma percbe
oggi si misurano le abilita degli uomini non da' meriti, o dalle yirtu, ma si dall' interesse e dal
genio di cbi comanda, imperciocche gli ignoranti e plebei sono di numero molto maggiore, perde notabilmente la
condizione delle famiglie piu illustri, e screditansi i sentimenti migliori di
cbi porta gli stimoli dell' onore dalla
nascita e dalla educazione : cosi
presero yantaggio i costumi peggiori de' mercenarii, e le buone arti, e la reputazione, assodate
prima con 1' esempio, e con 1' avanzamento di quegli, vennero a spegnersi del tutto con 1' accrescimento, e con la
stima di questi. Per tal via si sono
tolti dall'uso comune di Roma tutti i termini dell' onore, restan priye d'ogni
fede le promesse et i giuramenti, e
dismisersi insensibilmente il yalor dell' animo
e i sentimenti cavallerescbi, cbe fanno risplendere un uomo ben nato, e si pure mantengono in creanza e
ben collegate tra loro le conyersazioni
civili. E perche all' abito clericale
non bene si confa V esser pregiato in opera d' arme, e farsi largo con la spada, sottentrano piu
ageyolmente nell' usanza degli uomini le
occulte ingiurie, e la tacita, fraudolente perfidia, yiepiu da temere cbe non e
se affrontata ed aperta. Gobi col
dominio degli infimi resta come del tutto abolita la coscienza dell' uomo onorato e da bene, e
yiziaronsi ancbe i nobili, percb6 con
I'uguaglianza delle fortune indistintamente si miscbiarono i sangui e si
corruppero gli animi, lasciandosi
yolgere all'uso e alia natura degli altri, e poi yestendo il manto sacerdotale sotto gli
onesti titoli della pazienza e della Legge
divina, cbe per ogni altra cosa dispregiano, d' ogni generosity si spogliarono,
ond' egli hanno convertito in
altrettanta vilti d' animo 1' antico sperimentato valore. Per la qual cosa non
ci essendo tra gli uomini altro
tribunale aperto contro la dislealt^, e contro i mancamenti della parola, se
non prendersi (cavallerescamente parlando) V un dell' altro soddisfazione con V
arme, perche que8to in Roma sta cbiuso, si sono nutriti, e confermati
sempre yiepiu i mancamenti, e gli
inganni dalla continiia impunita cbe e'
godono senza legge civile o cavalleresca venina. L' interesse dunque si e lo intendimento
primario e la scorta de' pretensori, e
dove I'uomo studia al giiadagno, per lo
pill studia eziandio alia fraude e all'inganno; perci5 i \incoli deir
amicizie non li coUega qua in Roma la similitiidine delle nature, o delle virtti, o vero un
desiderio reciproco I'uno di giovare
all' altro, ma si le congiugne una mutua
speranza, cbe ba Y uno di giovare a se per mezzo dell' altro, e dove quelle la fortuna buona o contraria
non ba forza per dislegarle, come non
ebbe parte nell'unirle insieme; queste
la sorte quasi sempre le annoda, et ad arbitrio suo le discioglie. Cbi viene
dunque a pretendere a Roma, ricerca sopratutto la traccia degli interessi
d'ognuno; e dove trova apertura, quivi s'ingegna di concatenare i suoi in guisa
tale, cbe 1' altro si pensi di
migliorare per mezzo di quegli le
condizioni de' proprii ; lo spendere offizii per motivo di meriti, e di
magnanimita di cuore, non e piu in uso, ne le
dimostrazioni di generosita ban credenza ; e se talora se ne vede qualcbe atto apparente, dicasi pure cbe
e' ci h dentro qualcbe occulto interesse
cbe gli da fondamento, e lo muove;
altrimenti cbi si fonda sull'aura e corre dietro alle voci, senza cbe e' ci entri di mezzo alcuna di
queste cagioni, rimane in poco d' ora
agevolmente cbiarito. La speranza di compiacere ad un fautore potente, il
reputare cui si favorisce per mezzo
efficace a qualunque intendimento privato, fanno operare con caldezza, e chi
sapra in Roma rinvenir questo filo, et
attaccarcisi con proporzione, avra vantaggio notabile nelle fabbriche de'proprii concetti. L' importanza e dunque conoscer le cose
nelle lor prime cagioni, e farsi scaltro
nel bene intendere le cifre degli animi,
le quali molte volte altro significano neU'interno, di quel che indicano altrui i caratteri esterni. Per
tal conto e necesaario lo informarsi de'fini particolari, e de'pubblici,
delle nature, de^ temper am enti e de^
genii, delle dependenze e degli odii
occulti di ciascheduno ; delle speranze e de' timori, che vegliano ne'cuori di chiunque pretende, e si
ancora delle sostanze e delle fortune
loro, perche si antiveggouo per questa
via di molti successi, e sono tanti sentieri aperti agli avanzamenti altrui, col saper ben yolgersi
per i quali, quando la via maestra e
chiusa, si perviene sovente col rigiro pe' traghetti e per vie traverse, dove
non si e potuto arrivar per lo dritto.
Pero si vede che lo interesse affina gli ingegni, e come suol far la virtu, insegna anch' egli
a superar le passioni, e molti atti di avvedimento e d'industria, che
v61ti a fine d^ onore e di gloria
sarebbon virtuosi, si adulterano per la
corrotta e maculata intenzione, a che incamminati sono; la soUecitudine, la vigilanza, la
destrezza e le altre operazioni migliori
delFanima usate ad esser ministre per
qualificar le azioni buone, servono per render piu fraudolenti i
pensieri viziosi dell' avarizia, della vendetta, deir ambizione, delP invidia,
che sono 1 sensi piu comuni di quel che
pretendono a Eoma, i quali usando il bene male, e valendosi della piu oculata prudenza per
giungere dove essi bramano, avviene che
molti si chiamin grand' uomini e saggi,
cio argumentandosi dall' operazione de' mezzi, che direbbonsi misleali,
pigliandosi la riprova da' fini. Per questo
i vizii in mano a costoro peggiorano quel piu, con cio sia che non solo sono prodotti dal senso, ma
camminano sotto sembianza d' una simulata
virtu, e sono regolati dalla finezza e
dal discorso dell' intelletto. Ma odasi
cio che dice di Eoma Quinto Cicerone #al fratello quando e'chiedeva il
Consolato : «Fissatevi (diceva egli) nell'animo queste tre cose, e dite da per
voi stesso: loson uomo nuovo; domando il
Consolato; e, quel che e piii notabile, questa Roma e mescolata di varie
nazioni, dove sirag^irano molte insidie, molta fallacia, e vizii di tutti i
generi. Qui si ha da patire V arroganza
di molti, la perfidia di molti, la
malevoglienza e la superbia di molti, e di molti pure gli odj, et infinite molestie : m' avveggio ch'
e' ci fa di mestieri un gran consiglio e
una grand' arte a voler vivere tra' tanti
uomini, e tra tante sorte di mali per ischivar le offese, per ischivar le bugie e gli scherni, e per
ischivar le insidie; ed e malagevole ad
un uomo solo adattarsi a tanta variety di
costumi, di discorsi e di volont^, massime che in questo fuor di misura ell' e viziosissima, che posta
di mezzo la pecania e' regali, ciascheduno della virtii si dimentica, e della dignita. » Sin quidisse Quinto al fratello;
il che ho voluto registrare in questo
luogo, accio si conosca che o sia la
positura del Cielo, o si pure la necessita de' medesimi fini, negli ultimi tempi della Repubblica Romana
(forse come oggi) adulter ati e guasti,
hanno come posto i temperamenti
conformi; influiscono similmente negli animi la stessa maniera e
inclinazione di costumi, e nell' una e nelP altra etade s' introdussero e stabilironsi nella
Corte di Roma contro la virtu e contro la
pieta della sua primiera instituzione, tutte quelle arti che piu si producono
dall' opera della malizia, che dalla
carita e dalla devozione. Si puo dunque
concludere, che la macchina del rigiro di Roma stia appoggiata sopra
I'estremo del vizio, non sopra I'eccesso della
virtu; perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto gli uomini sono piu nemici, tanto piu usano
tra loro atti di confidenza, e piu
liberta di tratto. E le destre che sogliono
essere testimonii di fede, sono in loro violate dall' inganno, e dalla malizia di farsela I'un I'altro a
tempo e con vantaggio, e quegli solamente e stimato piu valent' uomo, che puo pi^. Quindi avviene che qualunque e
reputato uomo di valore nell'altre
region! del mondo, venendo a Roma, si
perde, trovandosi in una differente scuola da quelle, ove s' apprende ad esser soggetto grande con le
virtuose azioni. Quei dunque che si
mette a vivere in questa Corte, non
basta che e' sia letterato e sapiente, quanto se gli conviene il saper ben discernere i vizii altrui. Ceda
pero alio stile del paese, mantengasi
nelP arti virtuose, ma assuefaccia r
animo educato ne* buoni costumi a non si scandalizzare da' pessimi.
Molti giungono a Roma, e se di eubito e all' improvviso loro precipitano addosso similisorte di mali,
si perturbano e sovente escono de'
termini, e yi ruinan sotto; ma se loro
si da punto di tempo, il far passaggio dalla virtu al vizio e molto piu agevole, che non e quello da'
vizii alle virtu, perche son mali che
feriscono solamente le opinioni accreditate nel mondo, e trapelano cosi ad ora
ad ora nella consuetudine e negli animi nostri che altri non se ne avvede
; e, guastandosi poscia, appaiono con 1'
uso men disgustevoli, ci si fa il callu,
perdecisi la faccia, e non tan to si smarrisce
lo stile di operar bene, ma si eziandio 1' arte d^l conoscerlo. Questo si e il vero modo di spegner le leggi,
di 6ontaminar la religione, di tor via
la vergogna, perche non si ha timore
dell' infamia. L'autoritk resta senza un minimo fondamento, 6 gli esempli e le memorie migliori si
dimentican tutte. Cosi la fortuna ha
deformato la faccia bellissima della
virtu. Ognun t' offerisce la vita, il sangue, la roba, quando il bisogno h discosto ; ma quando s'
appressa, non che gli amici, i piii cari
parenti mutano faccia, e di presente si
rivoltano. Gli uomini nocivi sono, come industriosi, lodati, e quegli che tra tanti cattivi vogliono esser
buoni, perdono il credito, e sono come
sciocchi e timidi biasimati. Eoma
finalmente e commercio, dove si spacciano mercanzie di grand' importanza, le quali stanno esposte
alia forza della pecunia, che vince
tutto, e insieme a chi sa meglio romper
la fede, e con piu astuzia aggirar i cervelli, i quali, tutti all' ambizione e al^util proprio donatisi,
cercan tirarsi innanzi per quella via, che lor piii torni in acconcio, non riguardando all' onesto ; e perche alia
larghezza delle distribuzioni di Roma sempre molti ci pongon 1' occhio per
una stessa cosa, quindi deriva I'invidia
e conseguentemente r odio tra' concorrenti ; ciascuno spera avanzarsi su
I'oppresoione degli altri, e niuno conseguisce una cosa, che non paia ad nn altro di perderla, onde si nutriscono
sempre i disgnsti, e qua di continuo sta accesa una guerra civile di competitori,
la quale, se fusse in sua liberta e non raflrenata dalle cautele, che lo stesso interesse mette
in ciascuno di non gnastare i suoi
fatti, si vedrebbono inimicizie scoperte,
sollevazioni perpetue, e tale effrenato stimolo metterebbe r arme in mano a ciascuno per cavar V anima
alP altro, ma cosi resta il fuoco del?
odio racchiuso e coperto in ognano dalle
ceneri de' particolari rispetti, e pero altro suonano le parole di quel cbe sentano i cuori.
L'apparenza deWoltie totalmente
contraria alia sostanza degli animi ; alia largbezza delle promesse non corrispondono gli effetti,
ed armasi la fraude dove non puo
apertamente impugnar la spada lo sdegno.
Niuno percio si stupisca della doppiezza di questo clima, e delle male arti cbe ci s^ adoprano,
perche dove lo interesse e la cupidita signoreggia,
la virtu vi perde il sno luogo, ed e
minor male per la sussistenza del governo di
Eoma la simulazione e V inganno, postovi dalla necessita del suo fondamento, che Y impeto scoperto delF
ira, instrumento abile a precipitarla
ben tosto. Tolgasi dunque, se s5 puo,
dalla Corte di Roma il fine del guadagno, o si vero e forza per men reo partito lasciar correre
questi mezzi per arrivarci. Vero e che
per entro a un labirinto cosi intrigato di tante insidiose e fallibili vie,
niuna che si tenga da uno pu6 servire di
norma e d' esempio aU' altro; le medesime scorgono gli uni al papato, e gli
altri alia propria ruina; e sin quelle
della virtu e del vizio ne menano sovente
ad uno stesso confine ; la fortuna e *1 caso ci fanno la maggior parte^
e le congiunture son quelle che apron molte
volte il cammino, e ne guidano a lieto fine; percio si scorgono gran
variety di maniere et infiniti imitamenti di virtu, e di costumi varii per accomodarsi alle
opportunity de' tempi, e a quello che
altri s' immagina viepiu profittevole. Tutti
gli nomini s* ingegnano sopra ogni cosa di parere quel che non Bono, non di mutarsi da quel che sono ; V
avaro si vedra talora donar del suo, et usar atti di liberalita, per poter poi torre con piu dovizia V altrui; il
superbo e *1 vendicativo riesce pieno di cerimonie saperchievoli e di
sommissione ed umilta, per serbar a suo luogo di vendicarsi e di esercitar V alterigia. Chi e piu artifizioso
e sagace cerca di far lo stordito, e a
bello studio si lascer^ volgere a tutti i
genj per apparire altrui facile, e troppo credulo e buono. Alcnni sMmmaginano che il dare ad intendere
di essere santo sia il vero modo di
tirarsi innanzi ; pero si fingono di
stretta coscienza, e col viso pallido, e col collo torto formano V
instituto al di fuori della lor vita; ma sotto il mantello deUa pieta e degli
scrupoli, le azioni d^ ognuno censurano, tengono mai sempre Farco teso, e sotto
specie di bene scoccano a tempo colpi da
maestro, che coll^ acume di una sola
parola modesta tolgono la reputazione a chi e' vogliono, anzi con un sogghigno
che ti fanno talora^ e col tacere,
accreditano un^opinione maligna contro a qualcheduno, e non fanno manco male
collo star cheti e col celare la verity,
che s^ ei rappresentassero il falso ; e quauti ci sono, che della lode istessa si vagliono per ruinar
la fortuna di qualcheduno, onde
saggiamente di loro disse Tacito: pesHmum inimicorum genus laudantisl Tali sono le maschere varie di Roma^ dov'
ognun cerca infingersi di verso da quel
che egli e, rifuggendo per meglio
coprirsi all' estremo contrario di quel che e' si sente dentro nella sua propria natura. Per tal maniera gli
uomini travestono, non ispogliano, le passioni, e da essi i difetti si palliano per non lasciarsi appostare, non si
vincono per emendarsene. Di qui e, per
quanto io m' avviso, che Roma si dica
teatro del mondo, perche compariscono in esso tutte persone contraffatte da quel ch'elle sono;
chi e d'un partite, a un tratto diviene sviscerato dell' altro, e, secondo che vuol la fortuna, si veggiono tuttodi cambiare
varie sorte di scene, I'invidia, la
malignita e lo sdegno, e si amore fa le
sue parti, per6 1' amor proprio, che quanto h piu tenero di se stesso, tanto h piu crudele nel
tiranneggiare altrui. Questi h quegli
che raggira tutto, muove gli ingegni e le macchine, e apre tante sorte di vie,
le qaali si trovano tatte piene d^
impedimenti e di spine, fnor che quella della moneta, o pure d' accomodarsi ai
genj di chi govema. Di queste, la prima
non e battata per tatti, e chi ne ha 1
modo diviene superbo, imperciocche gli pare di poter soperchiare gli egoali, e riescon costoro per
la maggior parte ignoranti, perche
fidandosi nella forza di loro ricchezze non
fanno procaccio di altri mezzi per rendersi degni, e rade volte accade che Domenedio accoppj negli
uomini i beni della fortana e quegli
dell'animo. Alia seconda, di seguire i
genj, e piu acconcia la gente d' animo e
di nascita vile, che non sono gli uomini ben nati, e virtuosamente educati, percio quegli ban
piu vantaggio nel prender le
inclinazioni de' Principi, i quali, per quanto
amino I'ossequio e la riverenza nel pubblico, aborrisconla in privato, perche lor reca soggezione ; pero
scelgono per loro domestici uomini
entranti, prosuntuosi e arditi, e soyente yiziosi, in essi confidano, scuoprono
i lor pensieri, e le loro magagne
sicuramente, e se ne vergognan meno che
non farebbon co' savii, co* virtuosi, e con le persone moraK; quegli dunque piu agevolmente s^ inoltrano
nella lor grazia, e con essa montano piu
presto in altezza, e torniam dunque a
dire, che nella corruzion de'costumi e utile si de'plebei, ma notabil danno de' nobili la parity degli
stati tanto celebrata a Roma.
Imperciocche salendo in gran posto la gente bassa, e condizione mutando, non lascian i vizi da
privato, ma piglian ben tosto quegli de' grandi, e le virtii non V imparan mai; e come e costume degli infimi esser
nelle avversitadi abietti, e nella
prosperita insolenti, cosi essi, come da prima
a' maggiori servilmente obbediscono, cosi di poi a' minon imperiosamente comandano. £cco perche la
nobilt^ si co^ rompe, conciossiache dove
innanzi, premiandosi sol la virtiir con
essa si adornavano gli animi e nobilitavansi eziandio de* plebei, oggi per avanzarsi conviene che
s' awiliscan coi vizi i buoni costumi, e
corrompasi la coscienza de' nobili; ma
chi ha stimoli d' onore, per quanto e' s' ingegni nelle cose lecite e oneste di
andare a' versi di chi governa, non ci si
abbandona poi talmente che e^ chiuda gli occhi a quel che si dee; andra penetrando le inclinazioni, e
con quelle procurera si di confarsi, ma insieme studiando di acquistare stima d* uomo da bene, e concetto per la
virtu, non perche questa debba
avanzarlo, ma perche tirato avanti uomo virtuoBO almeno ne adonesti V
avanzamento, a lui se ne ascriva la
gloria e '1 merito ; dove quando si viene innanzi senza virtu, tutto s' attribuisce alia sola
fortuna, e sovente volte rinalzamento di
questi fa spiccar meglio ie macchie de^ loro
demeriti alio splendore della dignita medesima, che indebitamente loro e
stata concessa; questi esaltati ricevon appena che un applauso lieve del volgo,
che e guidato dagli eventi, e lasciasi
abbagliar la vista dal lampeggiar deir orpello; ma il meritevole, benche
dispregiato e negletto, ha per se il
partito de'savi, che col paragone della prudenza discernono anco per entro alia rozzezza e
alia oscurita dello state la purita
perfetta e la chiarezza delP oro. Gran
forza e quella della verita, che finalmente non ha paura della bugia, e si schermisce da se
contro Pingiuria de' tempi, e contro
alia malignita degli uomini, ne e mai
pericolo che i concetti ben fondati de' pochi restino offuscati da' giudizi vani de* piii ; la virtu rifulge
eziandio dentro alle tenebre, ne s'
imbratta mai^ perche se la tenga sotto i piedi e in mezzo alle sordidezze della poverta la
fortuna contraria. Ella si fa conoscere,
e place eziandio ne'nemici, non che
negli uomini miseri. E se un uomo degno non e portato a gradi maggiori, il biasimo torna addosso a
chi dovea avanzarlo, e non a chi riceve Tingiuria. Sarebbe bella che il credito d* un uom meritevole avesse a
dipendere dal capriccio d' un Principe
molte volte poco prudente, e che gli s' avesse
a rivoltare la mala ventura in colpa ! Infelici dicansi coloro che non
hanno meriti^ e percio ne anche reputazione,
quando bene sono aggranditi, perche troppo ben si discerne quel che ne dona la virtii, da quelle che ne
comparte la sorte, la quale puo ben
rendere gli uomini miseri, ma non gli
pu6 gia render indegni; anzi essa molte volte sostiene gli non degni per non
gli lasciare in preda alio scheme e alia
lor propria ruina, dove i virtuosi tien bassi, perche non abbiano tant' arbitrio e autorita sopra gli
altri;posson ben essere ugaali i gradi
degli onori tra gli uomini tanto buoni,
quanto cattivi, ma saranno sempre disugnali que' della gloria ; nb
perche i peggiori s' armin d' invidia e di fraude, et allora acquistin potenza, posson mai con gli
uomini savii gareggiar di virtii, avvenga
che e' si trovino in bassissimo stato.
La virtu dunque nella Corte di Roma sempre adonesta gli avanzamenti, quantunque
non abbia parte nelr avanzare. Ma la fortuna e quella che distribuisce le
grazie, la quale sul bel principio fa
pomposa mostra de' doni suoi, e pare che
ella si faccia altrui innanzi col viso lieto e col grembo aperto, ma di subito poi cambia
faccia, e vuol vender carissimo quel che ella offeriece in dono. Stolto e
colui che abbandona la propria quiete
dietro alle sue fallaci lusinghe, e che a guisa del Cane d' Esopo lascia il ben
eh' ei possiede, per gir dietro ad un'
ombra d' un meglio dubbioso. fi vero che
alcuna volta ell' aggrandisce una casa e quella
riempie di tutti i suoi beni, e sta in suo, arbitrio d' alzar gli uomini ad esser pari e superiori de' Re;
ma quel che ella dona ad una famiglia,
sel fa pagare a gran costo della roba,
del sangue e della reputazione d' infinite altre, e per una ch' ella soUievi, mille sotto la sua condotta
pericolano. Laonde mi sembra su le rive
del Tevere fiorire piu che in altro
clima quell' albero fruttificante, onde alcuni Poeti favoleggiarono che si ritrovi nelle larghe e
fertili possessioni della fortuna, da' cui sempre verdi rami pendono
frutti di varie sorte, e non meno degli
amari e velenosi, che dei saporiti e
soavi, di quegli che porgono altrui salute, di
quelli che danno la morte. Alle cui radici anelano i pret«ndenti
ambiziosi, tanto i nobili, quanto i plebei, tanto gli idioti, quanto i dotti, gare^giando tra loro
de' posti migliori; quindi s'odono
tuttodi querimonie I'uno dell' altro, quivi
essere gli uomini martoriati ognora dalla lunga impazienza: e chi potrebbe esplicare lo sbigottimento, il
dibattito, e I'ansieta di colore, che stanno a gola aperta bramando che caschi
loro qualche vivanda megliore ? Chi si vede appena giunto con piu improntitudine degli altri
romper la calca, et accostarsi di subito
a pi^ del tronco, V uno, che non paia
sue fatto, si sospinge oltre tra gente e gente, oh' altri non se n'avvede. Chi corrompe qualcuno per farsi
far largo, e finalmente ognuno si studia
con que' modi ch' e' puo di passar oltre, et alcuno, giuntovi sotto, ci s'
inerpica sopra. Quelr altro il prende di dietro, e s' ingegna di trarlo a
basso, 6 per tal modo tra tanti
contrasti e tra le scosse dell' albero, dove cade una cosa e dove un' altra ; e
a colui che a pena v' arriva cade un
porno de' piu delicati e salubri ; a
coloro che piu lo sbattevano, cadono in mano le foglie, a molti piovono i fiori, talora un ramo si scoscende,
che percuote chi si era fatto piu
innanzi, e con furia ricaccialo indietro. Et ad alcuni vien cadendo da ultimo
qualche frutto sustanzievole, quando,
gia ritiratisi indietro, pareva di loro
ogni speranza fuggita. Ne piu ne meno avvengono
gli accidenti di Roma; non ci ha regola per argomentare gli eventi, ne si puo ben giudicare il punto
cattivo, o '1 buono ; ogni voce, ogni
atto, ogni sospetto gli muove e perturba, gli
attrista^ gli allegra; ora le speranze si risuscitano, ora si moiono, quegli si picca di sgarir la fortuna,
e si trova alia fine sgarito ; questi
con la pertinacia la vince, e in cotsll
guisa senza riprova alcuna di quel che abbia av venire, gli uomini, fortuneggiando in Roma tra venti
contrarii, sono in qua e la da varii
flutti e da varii casi sempre vacillando
menati. Impercio accade che alcuni gia con le membra cascanti e deboli
tornano ad esser da capo, e pur ritengon
viva la loro ostinata ambizione, e andando invano per tutta la lor vita dietro alia gloria e agli onori,
inonorati rovinano ; perch5 e' si vede chiaro la fortuna non voler mai ad alcuna legge soggiacere degli uomini, ed ogni
regola, ond'ella si voglia acciuffar pe'
capelli, riesce vana et inutile, perche
d' ordinario da chi la segue si scosta, et a chi piu la fugge, e a lei non bada, va incontro : cosi a Saul,
che cerca I'Asine, getta nelle mani un
Regno, et Assalon, che va dietro al
Regno, trovasi per la chioma appiccato ed ucciso. Quant o e bella Roma,
quanto e ella appariscente a chi la
uiira in un' occhiata, a chi n' ode parlar di lungi ! Quanto ingegnosa e colma d' industria, quanto e
devota e santa, quanto e benigna e
cortese, quanto di tesori doviziosa e
prodiga a chi la vede nel frontespizio, e nella superficie di fuoril Ella si scorge alzarsi al Cielo con
superbi edificii, testimonii marayigliosi
deir antica grandezza, delP onnipotenza Bomana ; qua V abbondanza delle statue
e de^ marnii fanno sin oggi risplendere
la maestria e Greca e Latina. Qua i
giardini vincono quegli dell' Esperia e gli Orti favolosi d' Armida ; le
fontane paion fiumi volanti per 1' aria e
tutte le altre delizie di Eoma tolgono il yanto al lusso, alle sontuosita de' Persiani. Se le devozioni
isguardiamo, qua tutti Yocaboli di
pieta, titoli di carita, ammaestramenti di
pazienza, e atti di umiltade. Qua Corpi e Sangue de'martiri, qua
raemorie scolpite di virtu cristiana. Qua Templi marayigliosi, che fanno fede di religione ben
fondata; qua tutti gli aruesi piu sacri
e piu yemerabili, si della nascita, si
della vita, si della morte di Cristo rifuggiti a mettersi in salvo nel Grembo della sua Ghiesa; e di
questa chi ne siede al governo, se non
il Vicario di Cristo? Chi ode i
complimenti e le o£ferte, chi da orecchie alle cerimonie, agli accoglimenti de' cortigiani, incontra subito
maniere dolci e aggradevoli, parole
significanti stima ed affetto. La casa,
via rojba, il sangue e la vita non par che sia propria, ma in preda al servizio et a'vbleri d'ognuno; la
sommissione assoggettisce altrui, si
contrasta tuttodi non il prime, ma r
ultimo luogo; si fa a gara a chi vuol essere piu immeritevole, piu servitdre,
piu minimo di tutti gli altri. Chi non
esagera a prima giunta la prontezza degli amici, le grazie e '1 patrocinio de' graiidi ? Chi considera
le ricompense che ci sono, i premii
proposti, 1' entrate grossissime a vita, che
non si sa onde si vengano, il dominio sopra di esse negli altrui stati, che i Principi proprii non ci
posson metier la mano, le dignita eminenti,
le grandezze, le porpore, e '1 poter
comandare, e sovraneggiare al mondo intero, a che ognuno puo giugnere? Qual altrettanto maggiore
invito possono havere g\i stranieri per
correre a si belle, a si pregiate fortune ?
Ma chi poi penetra a dentro, chi pon V occhio con attenziono a quel che
e Roma sotterranea, dico sepolta ne' cuori,
nelle menti de' pretensori, negli animi di chi domina, trova ben il contrario di quanto ella fa pompa di
fuori. Le delizie di Rama sono il piu
delle volte veleno ; sino i giardini, e
le foreste a chi troppo ci bada V uccidono ; le macchine piu superbe e piu maestose sono oggi guaste, e
rotte, e minaccian sempre rovine. L' arti e' costumi che ci s' adoprano
son molto poco conformi a' titoli di
santit^ e agli abiti ond'essi rifulgono
; le Reliquie e' luoghi santi a pena restano esposti al culto e alle visite de'
Pellegrini, e servon nel resto per istrumenti
d' ipocrisie, e per metter al coperto le passioni e gli affetti sregolati de'
grandi, e sin Tautorita apostolica la
fanno far gioco alia potesta temporal e e agli
interessi di chi si vuole aggrandire. Le cirimonie e le cortesi maniere,
che son' elleno altro che parole senza significato bfferte, e sembianti senza
affetti, e una vana significazione di onore p'osta nell' apparenza de' volti e
vana, in quanto e' s' onorano in vista
coloro, i quali talora si hanno in
dispregio ; bugie le quali bene spesso si rivolgono in tradimenti, e infine un
capitale di finzioni e di lusinghe in
diritto ad un grosso e disorbitante guadagno, se i premii, le facolta immense, e le grandezze, queste si
dispensano ad arbitrio, e non per
giustizia, e tutto quello che faceva star
bene molti degni e meritevoli, cola tutto ad arricchir6 smoderatamente
una sola famiglia? Qua finalmente sotto la formalita de'nomi e dell'abito
esterho e sotto speciose voci si
nascondon le occulte Industrie; sotto le lodi delle virtu si usano di nascosto i vizii, pero in Roma si
sostengono le opinioni e le apparenze,
piu che le operazioni del bene; si fa
caso degli errori superficiali, e gastigansi con severitii le parole ne'poveri e neMisgraziati per tener
in piede i piu grossi, e far godere V
impunitade a' maggiori. Per tal via co'
riti e coUe formule, co' titoli, co' vestiti, con le Congregazioni, co'
solennizzamenti si tesse un ordine bene ag^ustato, che forma il ritratto
apparente di Roma, significante altrui quello ch'ella dovrebbe essere, non
quelle cVella e, dentro alia quale si
cela un disordine, e un caoa di fini, di
speranze, di timori, d' incamminamenti a caso, d' accident! impensati, d'odii, di finte amicizie, di
gelosie, di martelli, d' invidie, di
beni, di mali che non s' intendono, non hanno
riscontro, e tengon le menti degli uomini mai sempre sospese. Perci6 si
veggono i pretendenti sempre mesti, sempre astratti da loro stessi, e si per la
continua apprensione di loro medesimi
favellare come matti perche non ritrovan
mai il bandolo in gual posto si dieno dell' amicizie, dei favori, delle
speranze, e delle paure nelle quali e' si trovano martirizzati in ogni tempo su la ruota della
foriuna, guidata dall' ambizione e dalP interesse, dove sta fondato e si regge questo governo di Roma. Per la qual
cosa egli e molto ragionevol di credere,
che la divina onnipotenza lasci correre
questi vizii e queste macchie nel rigiro di essa, perche a quest' ombra riluca quel piii la
verity infallibile della sua Chiesa e
I'autorita ben fondata conceduta all'altissimo ministerio del suo vicario in
terra, a fine di far conoscere che e' ne ha dato il reggimento a uomini che
hanno il libero arbitrio, e che possono
involgei*si fra le passioni mortali e
terrene, benche non errare nel maneggio delle cose celestiali e divine ; e cio contro 1'
ereticale nequizia, che presume temerariamente controvertere, per li abusi
della corte de' preti, la potesta che e
data loro miracolosamente da Dio. Come
tutti 1 Goyerni eye s*intruda Tavarizia e T ambizione royinano, e quello di Boma con esse piti che mai si
sostiene. Capitolo Secondo. Con r occasione del primo Capitolo mi vien
in acconcio di far meco medesimo
considerazione, per qual maniera il governo di Roma, il quale nella poUtica e
nel rigiro de' pretendefUi si regge su'
fondamenti dell' interesse e dell' ambizione, pur si sostenga e viva, mentre tutte le altre forme
di Stati, dove s' introducono si fatti
vizii, per quella guisa che apertamente dimostrano gli esempli antichi e
moderni, cosi agevolmente si spengono,
imperciocche essi vizii sono il tossico che la
giustizia distributiva corrompe 6 distrugge, senza la quale riman cadavero, e impercio senz'anima e senza
vita ogni Stato. Egli h dunque in prima
da sapere che lo intendimento della giustizia distributiva si e d^uguagliare
gli uomini sotto le leggi della virtu, pareg^iare in loro gli eccessi delle fortune, e solo V uno dalF altro
distinguer secondo che i beni delFanimo,
non quelli del corpo, fauno gli uni piii
degli altri rilucere. Questa tende ad abbassare la superchievole
baldanza de^ ben avventurati e de' ricchi, e soUevare altresi la virtu e la modestia do^miseri; per
tal via si minuisce il soperchio alia fortuna mal adattata, e rifannosi i danni, ed arrogesi al poco di chi e uomo
prode, ma dalVingiurie della sorte contro al dovere abbattuto. Cosi i grandi non sono della sorte seguaci, anzi
essi correggono i difetti di quella, e
fannola divenir premio della virtii; imperciocche non ci e cosa che maculi i
cuori di ruggine peggiore, quanto il ferire gli uomini nella stima di lor
medesimi, che e la piu potente passione che ne domini, delF amor proprio. Per6 la di£Perenza infra gli uguali,
che si fa o per ragion di ricchezze, o
per genio, e non per motive di virtu,
che e un contrassegno lucidissimo impresso nelP anime, che distingue gli uomini V uno dall^ altro,
produce sovente che, per uno che si
grati£chi, mille se ne offendono, e Pamore
che si sveglia in quelle, non pu6*agguagliare gli odii occulti che si destano in tanti e tauti altri: e
siccome, difiPerenziando le persone a
capriccio, agevolmente si spingono gli uomini
alia impazienza e a^ rancori ; cosi, distinguendoli pel merito, si accrescono negli altri gli stimoli
alVoperar virtuoso et onesto. Per tal
modo gastigandosi i viziosi, e i migliori e
i piu degni premiandosi, s' uguagliano quelle bilancie, che conservano in equilibrio i governi, tolte le
quali tutto si confonde e disordinasi,
conciosiacosache si destano le invidie, e quindi a tempo e a luogo tutte le
sollevazioni civili. E questo perche non
ci ha favilla che nodrisca e accenda
sdegno piu fervido nelle menti de' valor osi e de' saggi, quanto il vedersi
oltrepassare soggetti facoltosi e ignorantL PercHe messer Domeneddio ha messe le differenze
delle facolta e della potenza tra gli
uomini, affine di lasciar loro 1' arbitrio
della giustizia distributiva, BOYvenendo i mono ai piii bisogaosi, e dal
fango il pregio della virtu sollevando; anzi
perci6 negli Stati cbe sono d^ ugaaglianza amatori, e^ titoli e le dignitli, che dispareggiano J gradi,
senza misura sono dannevoli, dove
postergati i rigaardi di chi e piii degno di
piacimento si scompartiscono, e per inclinazione de* grandi; e non pare le retribuzioni piu sustanzievoli,
ma eziandio gli atti semplici d^
apparenza e di stima mal ripartiti partoriscon de' mali nel consorzio civile ;
e viepi^ d^ ogni altra cosa cnoce a chi
merita veggendosi, o per trascuraggine di
mente, o per piacimento mal regolato di chi govema, scemar senza ragione da quel grado, ov' ei fu una
volta debitamente locato ; imperocche e
nemica mortale la nostra natora di tornare indietro, e *1 piu possente affetto
che h in noi e il pregio in ciascuno di
se medesimo, il quale com' egli e in
minima parte deteriorato et offeso, sempre dispiace; ma dov' egli h offeso senza ragione accendesi
un' esca, e risvegliansi si fatte scintille, che dov'elle havessero libero
il campo, o le congiunture V aprissero,
s' allargherebbon bentosto in un gravissimo et inestinguibile incendio.
DIALOGHI FILOSOFICI, IL TIMEO. Delle
idee. Dafinio. Scusatemi, a interrogare
per questa volta io voglio essere il
primo. Desidererei capir bene innanzi a ogni
cosa, qual differenza si faccia dairidee agli Esempli? Buonaccorsi.
Quella che si fa dal proponimento primario
nella mente dell' Architettore a' disegni. Secondo questi, donque,
volendo Iddio che le forme si stampassero del mondo sensibile della natura nella materia, non
parye degna cosa a Platone che quella
penetrar dovesse nel segreto di si alta
mente a contemplare quegli originali eterni ; onde e' presuppone che per
via delPanima se le ne faccia vedere cotesti esempi. Imperfetto. II medesimd appunto intese il
Petrarca, ne e vero? e'ldistinse in quel
suo maraviglioso sonetto, che qualunqueabbia buon gusto nella Poesia Toscana sa
per lo senno a mente: «In qnal parte del Ciel, in quale Idea £ra V esempio onde Natura tolse Quel bel viso leggiadro, in ch' ella volse Mostrar quaggiti quanto lassu potea?
> Insomma e' dicono il vero, e' fu
grandissimo Platonico. JBtwnaccorsi. —
Tale appunto si e la distinzione che fa il
Timco dairidee agli esempi.
Magiotti. — Ora a voi appartiene, signor Gioseppe, di dame piii ohiaramente ad intendere il valore
di queste Idee, onde voi siete state
richiesto. Buonaccorsi, — Avete ragionato
si dottamente, che a me non mi da il
cuore se non di autenticare, secondo lo incominciato ordine, quanto avete detto
voi con esso 1' autorita di qualche
valent' uomo e del medesimo Platone in varj luoghi di altri Dialoghi, che ne favellano ; e
avvenga che io avessi stimato starmi
meglio il tacere, e ch' i' non abbia veruna
fidanza di potere internarmi tant' oltre per andare del vero alia radice, e per recare lumi maggiori ai
nostri intelletti, come di cose che
troppo in su, ch' essi non vanno^ hanno la
residenza loro ;' pur tutta via (come Plotino ne ammonisce) h degna cosa si alti principii udire, e
udendogli ammirargli, e ammirandogli stimarsi beato nel riconoscere il
loro autore. Pregovi ben, Don
RaflFaello, a soccorrermi di quando in
quando, secondo la memoria vostra e il vostro felice ingegno nuove cose da dire
vi suggeriscano : ma per dare autorita a
quanto discorso avete sin qui d' intorno al mondo intelligibile, e all' Idee che si contengono
in grembo a Dio, ascoltate, di grazia, come tutto cio in due versi mette Boezio
nel suo libro De Consolatione: c Tu
cuncta superno DucM ah exemplOf
pidchrum pulcherrimiu ipee Mundum tnente
gerens aimilique imagine format. » Qui
dunque ripigliando i nostri detti, signor Magiotti, io non vi niego che Platone, se alcun raggio in
lui di verita rivelata fosse disceso, il
quale aperte meglio le.vie della mente
gli avesse, e ch' egli con ragionevole occhio vi si fosse rivolto, ch'e'poteva per awentura giungere a
piu appropriata definizione delle divine * quality ; ma non pertanto egli e di somma lode meritevole, avendo per
nn certo 1ampeggiare solamente di natura, e in forza (siami lecito dir cosi) di piu che umana immaginazione
favellato di quelle con tanto decoro e
si al vero approssimatosi e toccolo in
molte proporzioni; anzi, che dich'io? e'mi sovviene presentemente de^
lumi soprannaturali ch' egli ebbe dalla legge
Mosaica, nel tempo che nell'Egitto e'peregrino, come sanGiustino Martire
attesta, filosofo molto celebre della Scuola
Platonica. Ma il proferire molte di si fatte proposizioni, ch' e' vi apprese, non estimando cosa sicura
per timore degli Atoniesi e delle
rigorose pene delPAreopago, contro chiuDque rinnovare osasse cos'alcuna d'intorno
alia loro religionC; quelle medesime procuro avvedutamente di farsele proprie, e sotto gli oscuri velami delle
filosofiche speculazioni la verity Teologica ricoprire. Impercio dice il
medesimo Santo, quando Platone esplica nel Tinieo la natura d' Iddio, dicendo come poco anzi vi recitai :
« Primieramente egli e da sapere che cosa sia quello che sempre e, e che non e generato, e quello che e generato,
e voramente mai non e; > che ci6 da
Mose e^ ricavasse, cui Iddio apparendo la prima volta disse: « Io sono quello
che sono. » E mandandolo agli Ebrei
comand6gli che dicesse loro ecu le
stesse parole : « Colui che e, mi ha mandate a voi. » E il medesimo Santo Filosofo soggiugne, che
quello che parimente in un altro luogo
mette Platone : « Certamente Io stesso
Dio, come suonan le antiche parole, comprende il principio, il fine e il mezzo
di tutte le cose, > per « quelle
antiche parole > la legge di Mose egli intendesse, ma che non ebbe in animo far di lei menzione, sapendo quanto
quella dottrina a' Greci contraria
fosse. E parve al detto Santo non
altrimenti potersi intendere
conciossia cosa che e' mostra aver raccolto e da Diodoro, e da altri storici Mose essere stato il piii
antico legislatore ; anzi quando egli le
leggi promulgo, i Greci non avere ancora le
lettere ritrovate da poter scrivere le Storie. E dell' Idee, ne piu, ne meno, onde noi al presente
favelliamo, crede san Giustino che Platone da quel luogo della Genesi le abbia
tratte tradotto dal Santo, e cosi dal
greco a noi portate: « Che Iddio in
principio fece il cielo e la terra ; e che la terra era; pero non ancora visibile e fabbricata. >
Dove il santo filosofo giudica quel detto da Mose « che la terra era >
essersi inteso per la terra che prima era; impercio che aveva detto Mose :
e della medesima similmente detto avea: «Fece Iddio il cielo e la terra; » stimo che volesse
intendere quella secondo r Idea ch' era avanti nella mente d' Iddio essere
stata creata sensibile. Per la qual cosa non a caso favella il
nostro filosofo veramente divino, ed e degno di somma commendazione, massime
ch' egli era della scuola di Parmenide, il quale a differenza di lui mesce
insieme e confonde le superne e divine
cose con esso le inferiori e naturali, e Dio stesao con la materia e con Tuniverso sensibile. Dove il
divino nostro filosofo il valore
riconoscendo sovra il natural corso ammirabile di colui, pe '1 quale et a cui
tutte le cose vivono, di somma reverenza
esser degno, e si egli solo essere di sapienza e di potenza infinita capace, con
singolar riguardo in ver cotanta
perfezione, le distingue nella sua immaginatura e trova la via che le cose di
sopra adoperino in quelle di sotto senza
permischiamento insieme; e f a i suoi sforzi.
con r acume di sua mente di adattare le misure e 1' ordine di atti succedevoli nelP infinite, le
differenze di gradi e la variety dell'
Idee nel Medesimo, e la moltitudine nell' unitade, senza Tanita disgiangere,
senza diversificare il Medesimo e senza
t6rr6 V incommensurabilita e la perfezione assolnta deir iQfinito. Con le cui sottilissime
considerazioni di cose incompatibili fra
loro, e si impossibili secondo lo nostro
compasso, rasseiubragli poter reggere i miracoli soprannaturali della
infinita onnipotenza diyina, e se non co* termini nostri corti e finiti renderne bene
intendenti di si alte maraviglie, metterne almeno tra via, e recare un certo
bagliore alle tenebre di nostra
ignoranza, che si alto splendore da per
se non patisce, accio che quindi staccandoci dalle cose inferiori spicchiamo un volo piu in su, che
conceduto ne sia a formare giudicio di
un Dio, delP Autore della natura, della
Primaria Cagione, e delle operazioni eccelse che a Lui solamente
possibill sono. Viene, dunque, e cosi
favella il Ficino a interpretazione de'
sentiraenti platonici intorno all' Idee, che la mente divina e forma di tutte le forme, e Idea di tutte
quante V Idee, la quale in se tutte le
comprende. Ora, perch^ la* forma termine si chiama e mi sura, misura e termine
alle cose do-^ nando; il Sommo Bene, la
Divina Mente (aflterma Plotino) come
forma di tutte le forme, e misura e termine di qualunque cosa che sia, il che
autentica mirabilmente il nostro autore
nel Filebo, chiamando il Sommo Bene principio e
misura dell* universe cose che sono.
Imperfetto. — Verbigrazia, V Idea sar^ il genere di tutti i generi che piglia e abbraccia in se tutte le
forme, tutte quante le specie visibili
delP universo, con esso gli individui
ancora. Luigi, — r mi sarei
presupposto che I'ldea universale fusse
il genere di quelle idee che dalle scuole volanti si tengono e sparte per V
aere, e per6 fuori della Mente Divina dimorare, e che da esse tutte le speciali
cose pigliano Pessenza loro.
Buonaccorsi, — La divina mente, come Idea di tutte le idee, in se non comprende coteste si fatte Idee,
comunque se le figurino o le scuole
nella guisa che voi dite, o qualunque
altro si sia, ch' io non vo' perder tempo al presente e starmi ma
pensare s' elle ci sieno veramente, o ch' elle vagliano. Affermo bene che cio
il nostro filosofo iu alcun modo non
tenne, siccome da vari luoghi apertamente si ritrae, ne sono in quella sovrana Mente le forme delle
sensibili cose, ma si bene le Idee delle
forme, come che da lui merce dell' Idee
queste abbiano 1' esser loro. Impero che V Idea mancando di tutte le Idee, la forma mancherebbe di
fcutte quante le forme, e fiiiirebbesi
il mondo, nello stesso modo dove non si
trovasse piu facitore di vasi, o di essi vasi le forme rompendosi, il vasajo
non ne farebbe piu. Per questo ne avvertisce Marsilio, che le forme, sostanze
non sono, ma si iniinagini solamente
delle vere sostanze e queste sono le
Idee, cui le sensibili forme si rassomigliano, come le ombre a' corpi. E Alcinoo a piu distinto
spiegamento : L' Idea rispetto a Dio 6 la sua intelligenza ; per rispetto al
mondo sensibile Tesemplare; rispetto a
se stessa Tessenza. Di maniera che Tldee non sopra alcun fondo materiale e
corporeo riseggono, ne tra loro si confondono, come le forme su la materia; per lo che tra V Idee della
Mente Divina e le mondane forme, yerun'
altra simiglianza non ci ha, salvo che
quella, la quale e da un ritratto air originale ; anzi e molto piii divario senza paragone tra quegli
infiniti originali e perfetti di vera e incorrotta sostanza, che nelP alto segreto di sua mente il Supremo Artefice
riposti tiene, i quali per via di disegni
ed esempi dalla natura si copiano, che
e' non e infra una tela dipinta e un uomo vero e di carne viva. Con cio sia cosa che questi
quantunque tra loro diversissimi, pur
tutta via alia materia universale riferendosi, posson chiamarsi tutt' una ; ma
qual similitudine ci puo egli entrare
tra la Divina Essenza infinita e perfetta comparata con essa la materia
abitacolo di tutti i difetti, di tutti i
mali V L' Idea dunque di ciascheduna cosa, benche in riguardo al nostro intendere di diverse cose
paja composta 8 da movimenti vaij
distratta in qua e la; in Dio elP e una
sola, 6 semplice e ferma ed eterna, possedendole tutte insieme ristrette
e present!, che pe' nostri fallaci giudicj vengono rimescolate, e rivoltolate
col tempo, come delle sensibill forme adiviene, e quasi elle fossero appunto
volanti a caso fuori di Dio, perche noi
non siamo atti a concepire com' elle
riseggono in Dio ; ma non mai fuori di Dio proferi Platone ch' elle si dimorassero, mentre e'
disse poc' anzi: Lui nel fare il mondo
avere imitato un esempio eterno e non
generato : e poco piu in giii, ch' e' formo 1' universo simigliante a se
stesso. Per qual modo dunque fuori della
Divina Mente potea un esempio eterno trovarsi, e come rassembrar lui, se
gli originali, onde il mondo e' ricavo, fossero
fuor di Lui? Fermisi dunque su '1 presupposto platonico ch' e' ci sono le Idee, ed essere nella
Divina sua Mente; impero che quale osera
mai affermare che Iddio alcuna cosa
abbia fatto, la quale prima col suo alto intendere esattamente
riconosciuta non abbia ? Ora s' e' la riconobbe avanti di farla, erano appresso di lui si fatte
cognizioni anticipatamente al mondo creato e queste quelle sono, che dal
Timeo appellansi Idee. Ma odasi di
grazia Alcinoo che sopra cio lo comenta
: « L' Idee intendimenti sono di Dio eterni e
perfetti, e quindi gli esempi eterni parimente di tutte le cose che dalla natura si fanno dependenti dal
principio esemplare ch' e 1' Idea di tutte le Idee. » Ed eccovi pure in questo
luogo distinto 1' esempio dell' Idea, si come dianzi vi si accenno.
Bafinio. — Sono considerazioni altissime (egli e vero) di quel finissimo ingegno, ma io le ho piuttosto
per immaginazioni concepute nella sua mente, che per immagini eterne della Divina. Impercio che da Dio si opera in
an istante, e non con atti disgiunti e
temporalmente. Buonaccorsi. — Da Dio si
opera in uno stante, non ve '1 saprei
contradire; ma tutta 1' Etemita e un punto presenter ed instantaneo dinanzi et lui (come poco fa
si ragiono), e nel suo infinito
indivisibile tutti gli atti, che differenti e innumerabili sono appresso di
noi, i quali per nostra imperfezione d'intervalli di tempo abbiamo mestiere per
pensare, nonche per adoprare, appresso
di Lui e un atto unico e solo, e
permanente, e impermutabile; e a volere che lesae opere temerarie non fieno ed a caso, conviene
abbiano innanzi all' opera lo intendimento e la precognizione, le quali da noi due operazioni separate si giudicano,
1' una innanzi all'altra; ma in lui in
un istesso punto si accozzano senza
differenza di tempo ; e tale anticipata cognizione 1' Idea primaria si
e, dalla quale si abbracciano in s^, e contengonsi tutte quante 1* Idee ; e pero non senza molta
ragione potette intendere il nostro
filosofo e tirarlo all' Idee (come dice san
Giustino martire)quel luogo della Genesi: « Che la terra era, > come sopra memorato abbiamo; ma che tale
precognizione per r Idea antecedente
all' opera pigliar si debba, cio ne
viene con aperta sentenza dichiarato e rinforzato dall' acutissimo Vescovo
Hipponense nel libro Della Cittd d' Iddio,
Qual vero religioso potra negare le Idee, o non professarle per vere? Certamente nessuno il quale non
ardisse afFermare che le cose che da Dio sono, non abbiano motivo ond' elle sieno, n^ da lui sostenimento
ricevano, e cho quello che per lui si
fa, senza conoscimento o ragione si faccia;
che sarebbe un volere ch' egli operasse quanto egli adopera sconsideratamente e senza badarvi; le quali
cose essendo fuori di ogni ragionevol
convenienza, egli e necessario di
confessare I'ldee. E nello stesso luogo riferisce cio che spiega Varrone, che la favola di Minerva,
nata dal cervello di Giove, dell' Idee
simbolo sia, le quali in una perfetta e
intera sapienza si ragunano nella mente divina. Ma questo e poetico ritrovamento, dove con verita
infallibile la sapienza che ha sua sede nella mente divina pare che questo accennar voglia, mentre cosi parla essa
medesima di suo nascimento nelP
Ecclesiastico : « lo dalla bocca dell' Altissimo uscii fuori e primogenita sono
di tutte quante le creature. » Anzi
dove dal santo Vescovo medesimo s' interpreta quel luogo di san Giovanni, testimone si veritiero
delle cose soprano: s' intende cio
delle medesime Idee, per tal modo
discorrendola: « Quello che per esso
fatto fue e vita; intendesi in Lui, nella qual vita vide tutte quante le cose quando e' le fe', e cosi
fecele si come e' le vide, non fuori di
se stesso veggendole, ma dentro se stesso e per si fatta maniera annoveio tutte
le cose che e' face. > Che avete voi da ridire signor Dafinio verso
un veracissimo maestro Cattolico?
Dafinio, — lo oppongo a fine d' imparare, non per contradirvi. MagioUi. — Eccomi in vostro aiuto,^ signor
Gioseppe, con un liiogo di Giob che mi e
paruto addirsi con maravigliosa
convenienza alP Idee. Da esso si fattamente si descrive la sapienza con la quale il sommo Motore fe^ il
tutto. « Onde viene la sapienza, e quale
e il luogo deir intelligenza ? Ella e
ascosa a gli occhi di tutti i viventi, ed e occulta per infino a gli uccelli del Cielo. Iddio solo ne sa la
via, e coDosce sua residenza ;
impercioche egli in una oqchiata scorge tutti
i confini del mondo, e tutto quello ch^ e sotto il cielo riguarda. Quando egli dava il tratto a^ venti, quelli
posando come ancora Pacque a certa
misura; quando sua legge imponeva e suo or dine alle pioggie, e assegnava la
via alle sonanti procelle, alP ora egli
la vedeva, la contava, la regolava, e investigavala. » Al qual fine dal nostro
Dante si nomina Iddio, « Golni che mai non vide cosa nuova ; » perche tutte avanti che fatte fossero vedute
le avea per entro 1' infinito
comprendimento della sua Divina Sapienza,
nella quale -sguar dava, ricercando seco medesimo Finfinita conserva delle sue perfettissime Idee. Parv'
egli ch' e' torni bene a quella
anticipata cognizione delF Intelletto Divino,
a quel? unita maravigliosa di tutte quante le Idee, al cui esemplare rimirandolo, esso formo tutte
quante le cose di qua? Buonaccorsi. — Gran rinforzo ne avete
recato, signor Magiotti, adducendone cotesto belli ssimo luogo di Giob, che
si adatta per V appunto a quell* altro
di san Giovanni esplicato da sant'
Agostino : ma dee ora tirarsi innanzi il ragionamento co'nostri autori Platonici, i quali sopra
cotali fondamenti di yerita debbono giustamente acquistar gran fede. Che queste Idee ci sieno argomenta Alcinoo cosi:
« Owero Pintelletto e egli Iddlo, o veramente una cosa si e, la quale inteude in lui; onde le cognizioni eterne e
immobili nella Divina Mente, e quests
Pldee sono, misure giustissime e
perfette delP eterno potere, ch' egli cape solamente, e scorge in se stesso, senza di materia
tramesoolaraento veruno. > Se dunque
vero h che lo intelletto sia diverse daU'opinione vera, anche lo intelligibile sar^ dalP
opinabile differente ; e pero sarannoci le
intelligibili cose diverse dalle opinabili,
che viene a dire le prime notizie intelligibili, siccome si hanno le prime delle sensibili e per6 ci sono le
Idee ; ma lo intendere si fatto attaccamento non h da uomo come la Divina nostra Commedia nel Purgatorio: « Per5, la onde vegna lo intelletto Dalle prime notizie, nomo non sape E de*primi appetibill TafTetto.* Soggiunge poscia : « Essendo lo intelletto
primario bellissimo, conviensi che lo
intelligibile oggetto di lui bellissimo sia,
ma niuna cosa piu di lui ^ bella, perche sempre intende se stesso e le sue cognizioni; e questa sua
operazione e Tldea. > Paionvi cose
astratte e metafisiche n' e vero ? Ma cotauto
eccelsa materia di ragionare avendo tra mano, ed essendo sublimi, e grandi, e con si alto intervallo
sopra lo nostro intendere simiglianti
proposizioni, quanto ch' elle nell' ampio
albergo soggiornano di quella Mente Sovrana Sopra simiglianti considerazioni astratte e
inesplicabili si yiene da Jamblico alia formazione continua dell' Universo
conformandosi alP intenzione Platonica: «Iddio forma il mondo e riformalo, non per via di
celestiali movimenti, non per mezzo deUa
materia mondana, ma con esso V intelligenza per merito dell' anima sempiterna
che a lui ha dato.» Ecco che per tal
maniera egli ne spone cio che voi, signor
Magiotti, poco avanti toccaste ; segue poi: « Perche nella Potenza Divina non sempre vegliano e operano
a un mode le ragioni seminali generative
negli esempli formal!, si come alcune
altre viepiu immobili che precedono le seminali, coadiutrici di esse; ne
adiviene che la potenza di amendue queste ragioni, ch6 in sostanza le Idee
sono, e dope le Idee gli esempi eterni,
vada innanzi alPuniversa generazione che nel mondo sensibile di continuo si fa;
dopo queste gli influssi adoperano, e le celesti quality, si come il moto, e in ultimo la faculty della materia.
> Laonde Trimegisto in si fatto proposito anche piu chiaramente : « Iddio
e pieno di tutte le Idee, e spargendo le
qualita nella sfera maggiore (cosi
chiama la materia) stando egli in sua fermezza stabile, dalla sua piti somma
altezza in questo mondo nostro sensibile
semind le Idee, la detta sfera. circondando
delle qualita universali e particolari di tutti gli Enti. » Magiotti. — A cio si accorda mirabilmente il
detto di Jamblico : « II mondo, essendo
opera di Dio, conviene per si fatta
guisa da lui fabbricato sia, che a qualche Idea esemplare di esso nel suo
edificare riguardato abbia, allor ch'egli
con maravigliosa provvidenza per propria bonti alia struttura s' accinge
di cotanta macchina. » Dafinio, —
Questi sono pensieri che meno difficili ne paiono, perche a noi medesimi gli adattiamo, e nolle
menti nostre sperimentiamo questi atti disgiunti, anzi che ad alcun' opera uoi ci mettiamo. Venendogli dunque alia
Divina Mente applicando, non e malagevole il cosi figurarsegli; ma
immaginandoci poi la Divina Potehza con quelle alte e ineflfabili prerogative d' infinite, di unit^, di
eternita, di stability impertnutabile
che alia soprana eccellenza di sua condizione
vengono richieste, volerle assugettire a distinzioni di tal fatta, e a misure che si affanno a noi, e si
considerare P Idee innumerabili e
infinite, e poi che elle in una Idea sola
s' immedesimino, e che il numero dell' unitade (se pero numero chiamare
si dee) non si alteri con la moltitudine, qui
e dove nostro apprendimento vacilla.
Buonaccorsi. — Dio, di grazia, per far la cdsa con gli esempli piu chiara, iiditene uno, che ne
mette molto proporzional mente Ploti"no :
MagiottL — Piui appropriatamente, per quanto i' m' avviso, torna al
paragone del mare il vasto Oceano del tutto,
che unico e anch'egli (come Platone afferma) per I'ordine 6 per I'armonia, la quale dalle forme senza
novero ch'egli ha in se, e di tante
ragioni, il piu ch' ella puo le raccozza
insieme ; e come 1' onde del mare non sono altro che il mare, cosi le forme nel mondo non sono altro che il
mondo. Di maniera che merce di questa armania rendesi il mondo a Dio simiglievole, che per cio il nostro
filosofo, piu innanzi favellando, Iddio
generate lo chiama; ma non altramente
deir agitato mare, e da' soffi de' venti in yarie guise trasformato e
commosso, non serba anch' egli senza yicissitudini o divariamenti quella perfetta concordanza e
unione che nelr infinite ed eterne Idee si mantiene. Prima impercio che le forme varie sono di lor natura locate
nella materia, avvegna che la materia, come V acqua del mare, sia tutt' una con le forme; ma la materia per se stessa di
contrarii e conposta; per modo che, e forme vegetabili, e forme sensibili, e forme ragionevoli, e di altra guisa in
questo visibil mondo si rappresentano ;
ne deir ordine armonico puo tanto il valore, che tra di esse qual piu e qual
meno a quel supremo esemplare non venga
a rassomigliarsi ; talmente che differmita considerabile ci ha non che nolle
spezie, negH individui loro, ancorche di quell' unica, perfetta e non mai
permutabile Idea, che le contiene in se tutte, sieno simulacri; che per cio, come le onde marine, le quali
piu variate, e di colore sono^ e di
profondita, e di grandezza, e svariatamente
corrono allido; anche le forme in questo mar profondo delr universo
valicano tutte a diverse rive, dove le Idee, che in Dio sono, per lui sono, e a lui tutte sono
sempre ugaalmente e con eterna costanza ; anzi le forme stesse razionali che d'una sola ragione pare abbiano da
essere, le qnali nolle ragionevoli
creature sono vestigii piu adattatamente impressi entro la corporale materia,
della suprema ragione, per quanto a
quella Divina Norma,' ch' e senza mendo, vie
piu che le altre rassembrino; pur tutta via si divariano sovente volte e stravolgonsi da gli affetti
soperchievoli e dalle smoderate
corporali perturbazioni, dalle quali ad ora
ad ora sregolando si viene lor bene ordinato adoprare, ch' esse te le scompongono, e traggon fuori
dalla loro formosa e ben proporzionata figura. Per la qual cosa piii o meno alia bella divina sembianza si vengono
accostando, e non serbano uguali, e mai
sempre a un modo le loro doti sovrane.
Perche tal verita insegao Beatrice con savio ammaestramento al nostro Dante nel
suo entrare del Paradiso: Adunque
non ^ tavola rasa nella mente de' fanciulli, dove si scolpiscano via via insegnando loro cose
nuove, e non piii da essi udite e
vedute; ma le notizie prime di tutte le
cose impresse ne gli animi loro, avanti ch' e' nascessero, di mano in mano si risvegliano che vi dormivano,
e in ispezialit^ stuzzicandogli con esso gli Elementi Geometrici, P ono concatenato con 1' altro, e mettendo per cosi
dire a lieva Tordine di que' primi semi,
' gli uomini delle scienze di tntte
quante le cose a poco a poco ricordarsi farebbono. Imperfetto, — Si; vol
ci sponeste, Don Raffaello, con grande
evidenza alonni giorni fa : come i primi element! geometrici sono lo A^ B, C di tutta la sapienza
universale £ino alia Divina. MagioUi. — Dissilovi, e molte probability ve
ne mostrai, se Yoi ne avete ricordanza;
ma di questa sapienza infinita che e in
Dio di tal sommo bene, quale ^ colui che ne
ottenga poi conoscenza intera, aon dico intendimento perfetto, imperocch^
ci6 non h da noi? Per essa dunque tutte
quante le cose virtu acquistano, e pregio di bonta, e di sapere, e per ta^ragione e utili si chiamano,
e dilettevoli, e saggie, e si tali ne
riescono a chinnque acconciamente
assaporare le sa, e drizzale al vero uso; ma senza simigliante
conosoimento, o senza al bene sovrano rivolgersi da qualunque cosa die di- sapere ci paia, o d'
intendere, e che buona, o giovevole noi
giudichiamo, niuna utility, nessuna
ferma e stabile compiacenza, nulla verity si ritrae, e cio non per altro adiviene, se non perche uscendo
le nostre menti dalla vera sedia della
ragione, alia contemplazione di quella
superna Idea, non giustamente, ne con la dovuta chiarezza ci addirizziamo. Per
la qual cosa tal cognizione agevolmente si scambia, secondo le varie torbe
apprensioni, e le torbid^ iuclinazioni
de gli uomini da'proprii affetti mal
consigliati; che altri questo dono divino sel credono nella voluttSi ritrovare de'sensi; altri nell'
ambizione lo si figurano; chi nelle opinioni non sane di stravolta e
prosuntuosa curiositade; e a pena che i
veri filosofanti nella sapienza e nella
verity il ripongono, e bene spesso anch' eglino troppo temerariamente del proprio senno
pavoneggiandosi, piii oltre del licito e
del possibile si traviano, e nella soperchia luce si acciecano. Egli e dunque manifesto che
ogni anima.ugualmente la saviezza desidera ed il buono, e, per
conseguirlo, fa tutto quello ch'Ella sa,
secondo perd i bugiardi o veri oggetti
che se le parano davanti ; ma ci6 tutto consiste nel saperlo rettamente riscegliere e ravvisare,
il quale in somma non altrove che nella
meditazione di Dio st^ riposto: dalla
cui Idea primaria (torno a dire) cioe dalla sua infinita sapienza quelle
prime faville nell^ anima nostra discendono,
le quali, come si e detto, Idee seconde si chiamauo da Platone,
tramandate in noi dall' Eccelso Manifattore, per fame lume tra il vero e lo iatelletto, dove con
esso il guardo interno
disappassijonatamente vi ci fissiamo, e con quello ardente, e ben regolato amore, che Ma siffatte purissime scintille del divin
fulgore noi non le abbiamo in noi da
per noi ; e quelle che dal fuoco impuro dalle
corporali passioni vi si accendono alcuna volta, e con esse si permischiano, ancorche accoppiamenti
sieno mal messi insieme, e come abbozzi
per un certo modo di quelle, pur
tuttavia per difetto della materia ov' elle si rinvoltano, come delle chimere addiviene, delle
abbarbagliate immagi nazioni e de' sogni, non mai alia verity delle scienze
ne menano, ma sempre a fallaci e
stravolte opinioni, che dal vero ne
discostano, e concetti ne formano di la da ogni regola di ragione; e di qui procede che
invece di recarlume, torbidezza s^
adduce e fassi nugolo alia bella chiarezza del rintelletto; che il buono, e il
vero, quanto a sua intenzione appetisce,
e cio imperciocche V immaginazione male s^ in forma da quelle passioni, che
fuori del sentiero battuto del vero
senza ch^ ella se ne accorga te la ritorcono e te la disviano.
« lo veggio ben si come gi& lisplende Nello intelletto tno retema lace, Che Yista sola sempre amore accende ; E s'oltra cosa nostro amor seduce, Non e, se non di quella alcun vestigio Mal conosciuto, che quiri trainee. » BttorMCcorsi, — Si disse quel sublime
ingegno ch'e dellft Poesia Toscana onore
e lume, nel quale egli e un gran dire
ch' e' ci si ritrovi ogni cosa. E certamente V uomo ottenebrate avendo
le lucidissime e vivacl potenze dell^ anima
da^ vapori sensibili e dalP ombre corporee, fisandosi troppo in cotanta fulgidezza per lo soperchievole
abbagliamento se gli cansa il vedere, o
si veramente le ali del intelletto nostro cui solamente si alte ragioni stanno
esposte, dalla pania delle terrene
voglie invischiate trovandosi, non si ponno staccare, ne rilevarsi pnnto da
terra ; e per quanto nostra mente
procnri di pervenirvi pi^ d' appresso ch' ella puo, non di meno seguendole svariatamente, e senza filo,
su '1 buono la strada manca, e invece di
aggiagnerle si perdon di vista quel
piii. Per lo che dal vero sciontifico deviandosi^ alia fallacie si donano gli
uomini, e hannole per reali e per vere; e
88 per caso ad alcuna verita pervengono (il che di rado accade per si£fatte Tie) cio succede a
simiglianza de' ciechi (come chiaramente
Platone nel Sesto della EeptMlica) cui
viene a sorte camminato pe '1 diritto, a differenza di quegli che giran
girano per quella o per quell* altra via, e mai
non ne vengono a capo. Le Idee dunque, cioe le cognizioni e le cagioni delle cose vere, con lo intelletto
e non con esso i sensi comprendersi per
quello che veramente elle sono ; e
conviene la loro perfezione nel loro vero essere raffigurare, 6 amare il loro sovranissimo Autore. H che
esplica il filosofo oiostro nel Convivio^ con la sua usata ammirabil maniera :
« L* animo della Divina Bellezza innamorato allor che e' gusta pe '1 suo verso, e intende le
ragioni divine, non piu i simulacri ma
le cose vere in se stesso partorisce, e partorite nodriscele, e con perfetta e
ben accesa disianza richiama ad alta
voce la ragione dietro a' sensi sviata; per tal modo divenendo I'uomo familiare di Dio e vie piii
immortale degli altri.> Yedete dunque
come dalla conoscenza delle Idee, la
notizia vera delle cose che sono ne risulta, non tanto esse riconoscendo da Dio, ma ancora da noi
medesimi, non come cognizioni impresse
con esso lo studio ne gli animi nostri,
ma si per la reminiscenza nella nostra mente resuscitate quelle che generate vi
furono con esso noi per merito della Divina sapienza, e che dal loto vile e dal
contagio corporeo bruttate vi erano e
cancellate, senza lo ripulimento delle
studiose contemplazioni che ve le ravvivino. Le quali del tutto si perdono o o£Fuscansi per lo
contradio, facendo che per ci6 tutti gli
oggetti scontraffatti a falso lume si veggiono, e totalmente dal vero diversi.
Luigi, — Come sarebbe a dire? MagioUi.
— Come, verbigrazia, alia nostra vista per alcun mezzo trasparente si ma gi*ossolano o mal
pnlito qnalcbe oggetto passando, che per
esso sua immagine si stravolga e sformi,
tuttp altro da quel che e' ci rassembra e' lo giudichiamo ; o pnre come
nuvoletta tenera, e sottile, cbe yoli
per r aere sereno, da noi scorta talora, la quale, o per lo risguardamento uostro mal situato, o vero per
la grossezza de^ vapori si da lungi
sguardandola in figura di Lione o di
Drago, o s'in forma d'Uomo ci si rappresenti, o di altre varie sembianze, cui, se awicinare potessimo le
pupille, tutta nebbia confusa, informe e indistinta per awentura
parrebbeci, e che tosto e ad ogni aura
leggieri sfuma, e si si dilegna; o si
veramente dove un alcuno schizzo casuale o d' inchiostro o di altra tintura, il quale da presso non e
salvo che scarabocchio sformato, un ben ordinato disegno di regolati lineamenti tal volta da discosto ci sembra ;
tale per le stesse ragioni all' occhio
della mente e dello intelletto gli oggetti
non di rado intemamente si storcono e si trasfigurano ; ma non altramente che non h mancamento del Sole,
se variamente ci paiono le cose da quelle che elle sono in varii luoghi mirandole, in diversi tempi, e sopra
diversa materia; cosi non h difetto di
quella pura semenza di luce, che nelPanima nostra fa lume, e riluce ugualmente
ad ognnno, ma si de* mezzi, ond' ella
trapassa, o delle corporali pareti, ond'
ella rende i riverberi, o della positura, onde gli oggetti si o no aUa lor vera veduta si guardino^
imperci6 che tatto sta nel pigliare il
verso e '1 vero diritto per giustamente
scerneirle; nel mantenere ben puri e mondati gli organiele vie per cui passano le spezie da qualunque
intasamento de gli affumicati vapori,
che in alto levano gli affetti piu bassi
e piu irragionevoli, acci6 che non vi si faccia ragunata di f uliginose fumicazioni, le quali spesso da'
varii accendimenti de' sensi vi si
tramandano. In si fatto modo per 1' use de' saggi ammaestramenti, e con la continua disciplina
delle meditazioni scientifiiche, e con esso lo incamminamento ben guidato della
ragione si conserva e chiara, e pari, e liscia la lucidezza delP immaginativa,
che non s' intorbidi e render possa le
immagini vere e reali, e non isformate, ed impure all' acume delle luci men tali, che pigliando
pe '1 suo vero filo la chiarezza di
que'raggi divini scorgano e intendano le
cose, come in fatto stesso elle sono^ al loro etemo principio Yolgendosi, e da
quello riconoscendole con perfetta
contemplazione. Imperfetto. — Di
vero, che i luoghi ne piii degni, ne piu
proprj esser ponno a fame co' suoi veri lumi discernere le beUezze della divina sapienza, ch' e V idea
universale (come si e ^etto piu e piu
volte) di tutte le cose che sono ; irapercio che convien farsi dall' amore
verso Iddio, e dall' adorare una cotanto sublime cosa, quale e la cagione prima
di tutte le altre cagioni, e non
ficcarvi la vista a fine d' intenderla con soperchievole bramosia, e con
ismoderato ardimento. E' vuol essere amore filiale, nel modo che il
figliuolo r occbio al padre contegnoso
rivolge e rimesso, e non gliene
squaderna in faccia prosontuosamente e senza la dovuta venerazione. Per tal maniera si aggiugne con
1' affetto dove con r intelletto non si
puote pervenire. BuonaccorsL — Eccovi
un altro luogo vie piu dottrinale per ammaestrarne
nel divino conoscimento, in quella lettera che
Platone scrive agli amici di Deone, esplicata da Marsilio Ficino con la sua solita sottigliezza ed
acume. Ivi egli dice che V animo nostro
non ha via di capire V Idee che sono
nella mente di Dio, se non conosce antecedentemente tre cose, e in quarto luogo, la scienza non ne
abbia, e nel quinto finalmente ch' e'
non apprenda il mezzo per il quale una
cosa e conoscibile, e che veramente stia a quel modo; per esempio, 1' animo nostro e mosso alia
scienza di sapere quel che sia il
Cerchio: primieramente bisogna sapere questo
nome del Cerchio; in secondo luogo la sua propria definizione, e che a
lui solo si convenga; terzo, s' immagini disegnata essa figura circolare
awertendo, ch'essa il vero cerchio non
e, ma solamente la sua immagine; quarto si rappresenti alia mente la forma del
medesimo Cerchio, cioe il di lui
esemplare generate con esso lui ; quinto, con si fatta elevazione di mente trapassi a coatemplare
Fldea del medesimo, quale ell^ era nella mente di Dio ; onde a simile apprensione
vera e scientifica quale e colui che aspirare possa in questa vita, se non se V animo umano, con
la filosofia, di 8U0 caduco corporale
meditando la morte, come di tntti suo*
sensi, da essi per tal modo si tragga fnori, e rivoltisi a Dio ; che impero Pico della Mirandola nega
la mente delr uomo potere intendere le Idee, se non giunto a simile stato sublime, ch' h V ultimo grado della
perfezione contemplativa; e nel Htneo,
come averete udito, dice Platone agli Dii appartenersi dMntendere le Idee, e a
quegli uomini pochi, come si 6 a que^
soli, i quali merce della filosofia si sollievano al* Taltissime speculazioni d'Iddio. Luigi. — E questi saranno quegli (m'immagino
io)i quali dimenticatisi, non che di
qualunque altra cosa, dell'essere vivi,
tutti alle potenze superiori dannosi in preda, e abbandonano le inferiori^ che
viene a dire datisi alia contemplativa, perdono affatto Tuso della vita
attiva. Dafinio. — Si vede che io non
sono di cotesti che voi dite ; impercio
che riconosco bene tutte queste proposizioni
Platoniche essere di que' grandi ingegni acumi sottilissimi: ma son modi, per arrivare a intendere le
Idee, malagevoli molto, e assai piu che
non e la materia medesima delle Idee; m'
e nondimeno di alto rilevamento e di sommo diletto V udirli, e sentomi vostra
merc^ cr;escer V ali per alzarmi vie piu che io per me valevole non sarei, di
modo che eziandio che io non giunga a
intendere, posso dirvi, signer
Buonaccorsi, con molta ragione cio che fa dire a Beatrice Io nostro Poeta: « Voi mi levate si, ch' io son piu ch* io.
» Luigi. — Io sto cheto perche io credo
ch' e' nasca da me e invidio agli esimj
vostri talenti che dalla volgare schiera
degli uomini vi traggon fuori. •
MagioUi, — Anzi io professo che col non intendere si alte cose s' imparl assaissimo, comprendendo
sempre con maggiore evidenza la
proposizione di Socrate, che si fatte materie sovrane dalla nostra caduca
condizione in tutto e per tutto
s'ignorano. BwmaccorsL — Questa h una
materia, onde si favella, ampla e
malagevole, e per6 la mente ci 'si affatica a pensarci, nonche la lingua nel
proferire tante e si varie proposizioni che non averebbe mai fine; e pero vi
prego^ Don Raffaello^ dite un po' voi,
lasciandomi in tanto ripigliar lena.
(Segue) IL TIMEO. Sopra VAnima
del Mondo, MagioUi. — Se il mondo Dio
si e, tutt^ insieme unico e intero, come
si fanno a credere foUemente costoro; quest' altre Deit^, onde favellato
abbiamo, che assegnarono i piu de'
Gentili a tutti gli operamenti generici delP uni verso, Dii interi non saranno, ma porzioni di Dio^ e
la terra che e parte del mondo, sar^
parte di Dio, e per tal modo sarebbe divisibile Iddio. Di piu; regioni del
mondo grandissime, che inabitabili sono, ed incolte per la lontananza del Sole, per lo freddo delle nevi e dei ghiacci,
che non mai vi si liquefanno, le quali
sarebbon membra divine a siffatti patimenti sottoposte^ verrebbero a dimostrare
che Iddio non fosse altrimenti
impassibile. E non che le sopraddette regioni, ma tutte le minuzie del mondo,
s^ egli e Dio, saranno particelle di Dio
; laonde qualunque parte che Tuomp e gli
altri animali calpestano del mondo, calpesteranno sacrilegamente una parte di
Dio. Ogni fiore che si colga, ogni erba
che si divella, qualunque barba che si diradichi di sotterra, BB,rk uno
strappare le viscere, dilacerare le membra
della divina sostanza^ e qualsisia cosa che nelPuniverso si corrompa e guasti, corromperassi una parte di
Dio. E tali cose posson pensarsi non che
raccontarsi senza vergogna? E per5 divinamente il nostro sublime Filosofo nella
Bepubhlica : Quel che e uno, vero, intero e perfetto siccome e Dio, per qual maniera anche con la immaginazione
si puo egli dividere in parti? Dafinio, — Noi ci formiamo a nostro arbitrio
V essere di Dio, senza cho niuno V abbia
veduto, e sappia come e qnale e^ si sia,
e poi dichiamo il mondo non potere essere Iddio, perche e' non e a quel modo che noi
immaginati ci siamo; se quello ch* e Dio
fosse e dovesse essere nel modo che dite
Yoi, allora voi avreste ragione; ma che ne sappiamo noi ch' e' sia tale ? Magiotti, — Certo e, che come sia Iddio ben
nel Cielo si puo immaginare, ma non gia
qui tra noi; noi possiamo bene e
dobbiamo credere ch' e* sia sopra ogni nostra immaginazione piu perfetto di
quel che noi possiamo comprendere, e non crederlo ne figurarcelo gia mai con
quelle imperfezioni che dette si sono, a voler ch'e' sia Iddio. E pero quando noi nominiamo Iddio, noi intendiamo
quel principio supremo che senz'aver
avuto principio, ha dato principio a
tutte le cose che sono, le quali sono a lui sottoposte, ed egli a niuna; il perfetto di tutti i
perfetti, cui nulla si pnote aggiungere
ne torre, Toriginale primario di tutte le cose
buone, di tutte le cose vere, di tutte le cose belle, di tutte le sapienti, intelligibili e razionali cose,
le quali non son parte di Lui, ne della
sua propria essenza, ma copie, abbozzi, e imitamenti, e per lo piu non ben
messi insieme, di lui; quel che pu5 cio
ch* e' vuole, e nulla ci ha che possa
sopra di lui, e pero niuno il puote offendere ne e capace di senso umano, ne puo patire per avvenimento
che sia, perche ogni avvenimento per lui viene, o da esso si puote impedire : e
impercio Parmenide chiama uno il primo Ente che
vuol dire Iddio, che non ha ne moltitudine, ne parte, ne tutto^ ne principio^ ne mezzo, ne fine,
perche e infinito, informe, ne da verun luogo puo essere circoscritto, ne si
ferma per cosa che lo trattenga, ne ha
movimento di luogo, o di agitazione, ne
si fa gia mai in conto, o per modo veruno,
non e il medesimo, o diverso a se o ad altro, ne si^nilene dissimile, ne
uguale, n^ disuguale, perche niuna cosa il misura ned' e per novello ne per
antico, ne in tempo, ma sempre senza tempo, non generato giammai, ne si genera
al presente, n^ fu mai, ne fatto e ora,
ne si far^, ned' ^, ne dope sara, ne e
partecipe di sostanza, perche egli e solo e
V unica e universal essenza del tutto. II si faceva, e fu gene' rato, e tempo preterito, U sard e si fard e
future, egli e e si genera e si fa, e
presente, che son misure di tempo, ed
egli non iatk sotto le condizioni del tempo, e pero non ha veramente niun nome che appropriatamente gli
torni, niuna defiinizione che gli si
addica, ne di lui si puo concepire da
noi aggiustato.sentimento, o opinione, o scienza verace, e perci6 n^ nominare degnamente si puote, ne
agguagliarlo con parole mortali^ ne
pensare, ne cognoscersi, ne da nessuno ente che sia formarsene concetto, o aver
sense, o lume 81 chiaro, che vi
aggiunga, perche nostra ragione 1^ non si
stende. Egli e insomma V ottimo di tutte quante le cose che sond, ma e* non e niuna delle cgse per
ottinie ch^ elle ci paiano, perche egli
e sopra 1' essenza di tutte. E se Iddio
non fosse tale, quale volete voi che fosse questo che da noi si chiama Iddio, e si adora, e si reverisce,
si come il meglio di tutto queUo ch* e,
perche ogni cosa per lui e ? E pero
Iddio e in questo modo, o non ci potrebhe essere di altra maniera.
Imperfetto, — II meglio che ci abbia tra tutte le cose visibill e il piu
perfetto, senza dubbio veruno, ch' egli e il mondo, impercio che chi fa, chi produce, e si
smisuratamente adopra tante e si meravigliose
operazioni, come fa Tuniverso, e quale
con maggior ragione e sapere di esso?
Magiotti. — Non puote essere il meglio e il piu perfetto, quello dove giungono le misure del quanto e
dove i nostri sensi si allargano, cui
competa il nome sovrant) di Dio; ma ha
da esser quell' ottimo, e perfettissimo che sdegna gli argomenti umani e dove niuno puo alzar le
vele con la navicella del proprio
ingegno, perche di cotesto non si puo
andar piu in la, ne anche da i compassi infiniti della menta divina, conciossia cosa che essendo egli
infinito, infiniti e senza termine sono gli attributi che a Ini si
convexigono. ne dalla nostra
immaginazioiie si pQ6 sapere cotanto addentro, per modo che niente ci ha da
coireggere come saocede negli sbagli e
ne' difetii del mondo, che per hi reita, e nudyagit^ natnrale della materia, a
otta a otta danno in fnori, n^ con esso
V oirdine di chi lo regola pii6 ammendarsi in
gnisa, che e' non iscaopra V imperfezione di sua natora. Per la qnal cosa il mondo, ne qnell' ottimo si e,
n^ qnel peifettissimo snperlatiyo infinito, al quale si aggiugne sohunente dalla perfezdone e dalla bonta infinita ed
assolnta di an Dio, qaantnnqne riesca ai
nostri occhi 1' nniverso a. ammirabile, e qnanto a noi la pin beUa, la piu
perfetta cosa che sia, per merito del
magistero sovrano che lo fabbrico, e che
veramente in loi si scorgano marayigliose cose della Omiipotenza Divina;
laonde con somma saviezza disse Plotino:
« dall' imperfetto ci e la progressione fino al perfettiBsuno, e dove la perfezione intera non sia, non si pao
dare V nltono fine il qnale per sna
incommensnrabiliia divenga infinito; e U
mondo (assolntamente parlando) perfetto non e, perche a cagione deUa materia patisce; > e pero,
dice il Ficino, «gK e indivisibile, e
sottoposto a diseioglimenti contimii, e come
di natora divisibUe ha mestieri di chi il mantenga conginnto, il quale
di sua natora perfettissimo' sia, ed intero,
e da se stesso, e per se stesso, e come infinito fdori di totte le'misore, e di totte le immaginazioni deDe
cose finite: impercio che il sommo di totte qoante le cose e cosi alto,
che vince la nostra vedota, e da qoesto
solamente deesi credere che abbia il
mondo V essere, il vigore, Y ordine, il moto e
qoeQe innomerabili perfezionicomparatiYee positive, ch'egli ha, in come lavoro dell' etemo motore, che
impero si raggoardevole lo ci rendono e ammirando, e cio perche ^H e opera sovrana e immensa di Dio, ma non gia
perche e' sia Dio. Dafimo. — Se r oniverso secondo la mente de'
sopraddetti filosofi fosse egli Iddio,
Terrebbed a oscire d' inconyenienti
molto notabili, cioe, o che ToniTerso sia fiitto dal nolla, che non si ammette in modo alcono da venmo
filosofante, o che diano due principj eterni, e inereati, V agenie e il
paziente insieme, di una stessa
dignitade e potenza, il che non pa6
tomar mai alia ragione de'piii esperti contemplativi; dove se Iddio e la materia fosser tutta una,
sarebbe una Deitit sola etema, cio^ il
mondo medesimo. Buofiaccorsi. — Tutto
il ragionamento precedente del nostro
Magiotti batta a terra, anche secondo i lumi della filosofia, cotesto presupposto, perche Iddio se fosse la
materia, di difetti sarebbe pieno e di
errori, che non si deve presupporre di un Dio^ ne puo essere una medesima
sostanza fatta di due cose contrarie
assolute, onde immedesimare si potessero in un solo soggetto e le condizioni
ottime di Dio e le prave quality della
materia. ImpefeMo. — Parmi aver letto,
e non mi ricordo dove, che Iddio h non
Ente, e si altresi la materia e non ente ; adunque che contrariety ci
sarebb^egli se ci6 vero fosse?
Buonaccorsi. — Egli ^ il Ficino che lodice: « Iddio, ch'e'chiamano il
primo Ente, e veramente non Ente per rispetto a
gli Enti a' quaU egli e primo e superiore ; ma la materia e non ente, perch* ella h inferiore a gli Enti
; » ora considerate s' e' sono Iddio e
la materia veramente contrarii. Ma con
altro argomento risponde Alcinoo, e di vero con somma saviezza, contro V
opinione che il mondo Dio sia : « Niun corpo
(die* egli) esser puote Iddio; imperocchd se Dio fosse corpo, di materia e di forma composto sarebbe, e
perd non saria semplice come all' essere
di Dio vien richiesto, ne imper6
principio per s^, solo, increato, come Iddio esser conviene. Ora non potendo esser corpo, non puote in
veruna ragione essere Iddio V universo
corporeo. » MotgiotU, — Gli Stoici
dividono la natura universale in due
parti, r una che fa, V altra che a farsi maneggiabile e atta si e. Nella prima la virtii della vita e del
sense consistere ; la materia per s^
infingarda, e oziosa nella seconda; ne Y
una poter stare senza V altra nell* Universo: ma non puo gill essere il medesimo quello che adopera, e
quelle in cui si adopera, come se tutta
una avesse da essere il vasaio che il
fango, e il fango che il vasaio ; e costoro danno in si fatto delirio che
reputano queste due diversissime cose il medesimo Iddio e il mondo; TArtefice e
la fabbrica! La materia, come affermauo Jamblico e Plotino, avere Tessere da
Dio e ordinarsi di continao talmente,
cbe a Dio sta Tordinarla stabilmente. E
la materia da lui ricevere la sospinta, e ordinarsi mobilmente ricevendo da Dio
la sua tempera secondo gV iutervalli de^
tempi, come dall^ Orivuolaio V orivuolo, il
quale quando egli e suUa fine, per farlo ritornare al suo essere, sempre si ricarica, se no finirebbe
il suo movimento 6 non andrebbe piu;
nello stesso modo la materia di sua
natura imperfetta, cammina di continuo al ritornare nel disordine del
Caos, perche via via col suo disfacimento ella
quanto a se vi ritorna, ma di presente il maestro eterno la ritempera e la rimette su Tordine, e falla
camminare compostamente per via delle continue generazioni, e di mano in mano ch'Ella va a perdere sue forme,
riformandola per mezzo di quegli esempi
eterni, e cio si fa per rispetto a Dio
infinitamente, non mutandosi unqua Iddio, ma indefinitamente secondo la materia, riformandosi di continuo
essa materia. Luigi, Che cosa e egli
dunque questo Universo che anima tutte
quante le cose, (secondo il nostro vedere) le forma, nodrisce, accrescele e
crea ? tutte quante in oh le riceve e seppelliscele, e di tutte ugualmente e
Padre, perche del medesimo nascendo si fanno, e nel medesimo morendo
disfannosi} s' e' non e Iddio
onnipotente, dalla cui virtCi tutte le cose
€he sono hanno T essere loro?
MagioUi. — L' Universo non e Padre delle cose che sono, ma r intelletto Divino e Padre del Mondo
(dice il medesimo autore) e la materia
Madre : e V ornamento del Mondo, e prole
Divina nelP utero materiale^ e pero noi scorghiamo la prole, ma non semo atti a vedere gli artifizi
ammirabili per cui ella si concepisce, e
come ella si fa, e per questo prendiamo errore, stimando il nostro occhio e i
no&tri sensi misure competenti delle cose che sono, il che h falsissimo.
£ pero non e il mondo Dio, ma per V
onnipotenza di Dio egli 6 quel che egli
e ; noi scorghiamo gli efifetti e non la cagione, e come detto si e, gli
pigliamo ignorantemente da quella in iscambio, facendoci a credere con somma
demenzia che quel che e fuori della
nostra veduta non sia. Iddio ^, ed e per
se^ e tutte le cose sono per lui, ned esso e obbediente o sottoposto ad alcuna natiira, ma egli e
coloi che regge e governa, e che formo
la natura. {Segue) IL TIMEO. Se VAmore sia V anima del Mondo, Imperfetto. — via ponetevi costi a sedere
pro Tribunal!, e discorrete altamente
come h nostro uso. MagioUi. — £cco
fatta Tobbedienza, e ricomincio a dire,
essendosi favellato con piu Dialoghi sopra il Timeo, prima intorno alia
sostanza Divina,e poi intorno al mondo intelligibile, e air Idee, si come alti esemplari del nostro
sensibile, e delle forme che questo
adomano. E si parimente avendo discorso
sopra r opinione dell^ anima universale e quanto i sentimenti di Platone si accostino in molte parti alia
nostra verity, mi 6 venuto in amore di
ragionare parimente co^ sentimenti
Platonic! sopra TAmore, il quale sia esso veramonte o V anima del mondo, o la porzione piu nobile e piu
sovrana di essa, e cio in seguimento del
proposito tenuto sin qui. Sommo e
infinito bene e Iddio; il sommo e infinito bene, impercio che di essenza perfettissima egli e, e anche
oggetto di infinito amore, e insieme di
godimento infinite, e di perfetta beatitudine a chi lo possiede, si come
eziandio sommo e assoluto appetibile di tutte le cose^ e appetibile a chiunque
il conosce, e non V ha in s^. Ora perche
egli e sommo e infinito bene, e oggetto altresi d^ intendimentp infinito, e
per6 Iddio solo nella sua eterna mente
il concepisce e intende, cio^ egli solo
cape s^ stesso. Questo concetto dunque, questa
cognizione ch^ egli ha eternamente di se medesimo, quell^atto primiero si h, onde s^ingenera lo intelletto
divino, come sopra si b mentovato, il quale e la sapienza impermutabile ed etemale, che tanto si e a dire 11 discorso
eminente e non errante che fa Iddio
sopra *1 suo essere divino, ottimo e
inefiPabile, e perci6 amalo infinitamente per lo infinito merito di sua
perfezione e bont^, e tale e 11 figliolo di Dio, il Yerbo divino di cui ragionato abbiamo, e per
il quale yiene constituita la persona
prima del Padre correspettiva e distinta dalla seconda che e il suo £gliuolo,
in tutto e per tutto uguale a lui. Da
questo atto poscia di cognlzione e d' intendimento
sovrano che fa Iddio di questo bene etemo
ch^egli possiede in s^ stesso, subito ch* e conceputo dal Padre per oggetto di beneficenza infinita, a
misura di sue altissimo valore
infinitamente V ama, e quindi procede quello
ardentissimo primo amore equivalente alia perfezione di esso infinito bene, per la cui strabondevole
fecondit^ sparges! pel Indefinitamente
per lo tutto quella fuocosa e inestingoibile
carit^, dalle cui fruttlficanti faville tutte le cose che sono hanno essere* e vita. E simigliante infinito
Amore procedente da amendue le altre persone, 11 Divino Spirito si e, il quale secondo la verita nostra h la terza
Divina Persona in essenza, e per divinita
uguale ad amendue le altre del pari, e
dal nostro Poeta Teologo altamente espostoci nel Paradlso. Canto X: « Guardando nel sao Figlio con 1* Amore Che rnno e Taltro eternal mente spira, Lo primo ed ineffablle Yalore, > per cui le scintille di suo fuoco amoroso,
cioe a dire le divine grazie si spandono
di sua Providenza onnipotente e benefica
per tutti quanti gli ordini della natura. Per le medesime scintille poi prese
fuoco eziandio ogni altro amore,
imperciocche innumerabili amori si accesero nella natura universale dalle faville infinite di questo
amor primiero, come bene ne awertisce 11
medesimo Divino Poeta, perche esso amore
aperse 11 varco della creazione deirUniverso alio sparglmento de' suoi benl portati su le all
della sua arden* tissima carlt^, de*
quali egli era infinitamente ripieno, solamente per diffondergli altrui, che
egli non era in nessun conto
bisognevole. c Non per avere a s&
di bene acqaisto, Gh'esser non pu6, ma
perchd suo splendore Potesse
risplendendo dir: snssisto; In saa
eternitii, di tempo faore, Faor d*ogni
altro comprender come i piacque,
S*aperse in nuovi amor Tetemo Amore.
N& prima, qnasi torpente, si giacque, Ch^ nh prima ne poscia precedette Lo discorrer di Dio sovra queste acque.
» Qaesto amore, dunque, raccendendosi
con iscintille senza novero in tntte
quante le creature, viene ripercosso da loro
piu o meno direttamente a riamare e adorare il bene in£nito, secondo ch^
esse piu o men chiaro il rafQgurano e se-,condo le proporzioni e disposizioni,
ch^elle hanno piti o meno atte a
riceverlo, e a rimandarne a lui per diritto filo, o per via di varii e moltiplicati
ripercotimenti^ i riverberi, o si pure
stravolgendogli troppo dal loro vero corso per la positura mal situata de* proprii affetti, non
in Lui, ma in altre creature
erroneamente te gli fermino. Luigi. —
Questa h Teologia molto leggiadra^ ma per mio
conto ricerca piu esatta ospressione.
MagioUi. — I' torno a repetere che Iddio e sommo e infinite bene, e per6 bene non ci ha, il quale in Lui
non sia, e che non discenda da Lui, e
intanto il bene e bene, in quanto egli b
comunicabile; ed essendo Iddio bene infinite, anche infinitamente comunicabile
convien che sia^ e per6 tutti i beni,
che beni da noi si appellano, beni non sono, dove non si spicchino da questo unico infinite bene, e
dove non sieno riordinati a Lui. Per la
qual cosa non ci hanno beni in noi, nh
fuori di noi, se non gli spande il supremo benefattore Iddio come miniera e principio di tutti i
beni. c Dunque air essenzia, ov* e
tanto avYantaggio Che ciascun ben che
fuor di lei si trova Altro non h che di
suo lame un raggio, canta il medesimo nostro Poeta. Vero e ch'essi si
adnlterano sovente da noi, e fannosi degenerare dall' esser beni, qnalanque volta secondo il loro diritto non
si rivolgano, e se si torcono non si
riordinino a lui. Ora qaale e il veicolo
per cni fassi penetrarc la divina beneficenza in fra tutte le cose create, salvo che lo spargimento delle
faville di qnesto ardentissimo primo
Amore da iai procedente e ugnale a lui, le
quali in quelle si appigliano pin o meno, per qnel modo ch'elle ne sieno secondo loro capaci : cioe questo
desiderio, questo appetite ch* e innestato nella natura universale di finire
beni si grandi, pe* quali ella si
mantenga viva e perpetua. Imperd merce
di questo amore primiero fontana di tutti gli amon accendonsi suo' vivissimi raggi in ogni sorte
di creature o vegetabili; o sensibili,
che sono semi della sua profonda e
inesausta beneficenza, e scintille vive della sua immensa carita; e percio Tamano, e si Tamano di
voglia siccome quelle che accese ne sono
ad una cieca obbedienza della sua volonta cotanto loro giovevole per la loro
prima conservagione; e Tamano gli
individui loro, ancor che per avventura non
sappian di amarlo, conciossia cosa che intendimento e^non abbiano da
conoscerlo, che avrannolo forse in se le specie e generi loro, e se non questi,
hallo e V ama e V adora la madre natura,
ch* h il genere.di tutti i generi, la quale accendesi alTesecuzione del suo
altissimo provvedere, divenendo in qaesta
bassa circonferenza ministra della Divinitade. Ma tali beni che dall^ infinite e sommo bene si diramano
parrebbero quasi beni finiti, e
terminabili, se non ci fosse anche a chi comnnicare i beni etemi nel loro
essere intero e perfetto, che sono i
veri beni e proprii di un sommo ed infinite bene: per lo che tra le cose note a noi, appresso V
intelligenze saperiori, che Tamano, impercio che sanno perfettamente quel che elle amano, adorandolo a vise aperto,
hannoci gli uomini, i quali ci
rassembrano capaci dello sfogo della divina bont^ intorno a gli eterni beni ; e
di ragione debbono e dovrebbono amarlo
sopra ogni cosa che sia, avendone cotanta arra ne'beni sparsi per V universe, e
tanti e si be'raggi per riconoscerlo,
scorgendolo manifesto nella bellezza del tntto e nolle bellezze tante e si
varie di esso; e quando e'non fosse
altro, conoscono per alto privilegio di averne la cognizione, e la bramosia cui h credibile che
sia data, perche Iddio gli abbia fatti
degni eziandio di ricevergli, il che non
si ravvisa negli irrazionali che hanno i desiderii loro, e loro affetti^ e passioni Dei primi moti solamente,
dove gli uomini hanno ne gli atti
secondi lumi da distinguere e scerre il
meglio dal peggio ; che pero disse Salustio filosofo : Grirragionevoli
adoperano I'ira, e la cupidity per natura; i ragionevoli per volonta. Di maniera che le razionali
creature debbono accendersi, e '1
possono spontaneamente, al riconoscimento
e al desiderio volontario dello spandimento delle grazie divine^ e alia
gratitudine di sna infinita beneficenza ; impera che essi beni non piu beni sarebbero in noi
se non pigliassimo il loro vero lume, e lo accendimento loro da questa primo Amore, e non si riconoscessero da noi,
e desiderassersi con piena liberta di
volere e con atti riflessi corrispondenti
a lui che ne gH ofiPerisce e dona si largamente. Di qui e che le razionali creature hanno virtii di
distinguere e desiderare questi beni per mezzo di quest o amore scambievole
tra Dio e noi, il quale da lui per
venire a noi si diparte, e accendesi in noi per ritomare a lui, talmente che
amore dee essere in noi un
ripercotimento di Amore, e un rivolgimento
e un ricongiungimento continue con esso le cose divine, e un concordamento tendente alia perfezione
della divina unitade. E per cio Amore,
disse Platone, h quelParmOnia e quell'
ordine che richiama le cose discordanti alia Concordia ed aU'uno; per guisa che
nolle creature dotate di ragione si eccita il lume del conoscimento e le
faville di amore verso il sommo bene, e
di tutti i beni che si drizzano a Lui daUa luce splendentissima di questo primo
amore e di questo fuoco divino,
qualunque volta la parte inferiore non
recalcitri alia snperioro, e le torbide passioni do' sensi non ofiFuschino la bella luce della ragione.
Impercio che i principali movimenti
delPanima sono Pintelletto e la volenti, e le altre potenze sono o a questi, o
per questi. L' intelletto ha per oggetto il vero, la volenti ha per oggetto il
bnono, ma perch^ ne V uno ne V altro qua si pu6 consegaire perfettamente da
loro, quindi molte fiate V amore del
vero e del buono si lascia in noi traviare dalle opinioni e dai sensi, e scambia poscia il vero dal
falso, il bnono dal reo. e non al sommo
bene, ma si follemente rivolgesi altrove. Ma saviamente lo c'insegna Platone
nel Fedro, dicendo cosi: «Che in noi sono due faculty, le quali hanno gran forza o potere di guidarci a lor senno :
V una si e la cupiditib innestata in
noi, di quel che piil ci diletta : V altra
una tale opinione acquistata cbe brama il buono. Queste alcuna Yolta
convengono insieme, alcuna altra contrastano e
tnmultuano in noi, ed ora V una ed ora V altra vince. Quando r opinione sotto la scorta della ragione ne
conduce a quel che veramente h V ottimo,
tale si e la virtu vera e F adoperar ragionevole;
ma dove la cupidita senza ragione alle voluttli
ne travia, e in noi imperiosamente comanda, qnesta chiamasi cupidigia, che muta nomi, seconda a quale
effetto ella stoltamente ne mena. E tale si e quell' amore malusato e
trasportato fuori del sentiero del vero amore ch' e quelle solo, il quale all* ottimo ne insegna la via.» BuotMccorsu — Con chiarissima distinzione
considerate avete, Don Baffaello, i
movimenti di questo prime amore, e
quanto sieno poderose e di quanto ben piene le forze sue ; impercio che primo amore convien chiamarlo;
con ci6 sia cosa che tutti i moti nel
mondo, e negli ordini vaij delle creature,
tntti quanti gli stimoli e desiderj di chiunque si sia, sono impulsi di quell' amore, ch' h V origine
impero di tutti gli amori. Ecco la
natura percb^ si muov' ella alle generazioni
se non per amore, ed essa nel suo universal movimento non erra? e se ragione e al mondo, come tiene il
nostro filosofo,e non si regge e governa
a caso, come la nostra verita il vieta
di credere, questa e ella altro cbe amore ? il quale tira a ricongiugnere le cose, che per loro difetto
dal loro ordine si deviano; per lo che
nasce spesso il tumultuoso combaitimento di quelle che fuori di ogni loro
dovuto luogo a. trovano ; cosi talora e
co* venti, e co' turbini, o con le tempeste, o co'folgori, tutte impetuosamente
si commuovono. ch'e' pare ch'e' si sconvolga il mondo. E percio essendo tratte fuori dalla loro natural positura s'
infuriano per ritornarci e per
ricongiugnersi ciascuna dijnano in mano con quello che loro torna meglio e si addice. Ne piu ne
meno le razionali creature si muovono con tutti i lor moti, quali essi sieno, o buoni, o mali, sempre per amore; se
buoni per amore alia virtu o alia
bellezza degli animi, che gli addirizza alia divina pulcritudine ; onde il
Poeta: « Che mentre il segui al sommo
ben tMnvia; » se mali, perche
scambiando gli oggetti che gV inducono ad
amare, studiano di conseguire quel che egli amano per le vie non vere, « Immagini di ben segnendo false. » Impero V avaro ama le ricchezze, il lascivo
i diletti carnali, e via via di tutti i
vizj e falli degli uomini, fino 1' ambizione, anzi Tira, gli odj, e si le
malevoglienze, le maledicenze, e le vendette medesime nascono da amore per
levarsi d'intomo cio, che impedisce loro
di godere quel che egli amano ; il che
acutamente ci ammaestra san Tommaso, che
intanto odiamo un oggetto, in quanto e'ci puo vietare il bene che noi amiamo; ma non di meno in si
fatte passioni d^ amore, non mai i
mortali si satollano, impercio che anche
conseguendo cio che par loro di volere, il vero oggetto delV amor loro
non consegmscono, ancor che e' si pensino di
trovarloci entro. Impero V amor
vero e reale scorge gli uomini alia sapienza e all* amor divino. L* amore
stravolto da* sensi, e che tormina nolle
cose corporee, ha solamente per fine se
stesso, cioe a dire ama quello che reputa dargli piacere e utile, sodisfacendo in tutto per quanto e*
puo ai corporali appetiti. Per la qual
ragione dicesi amor proprio, il quale da
regola a* movimenti, e alle operazioni de gli uomini, che non sanno sollevarsi a Dio. Uditelo dal Poeta
nostro sovrano, che lo ci esplica mirabilmente nel Purgatorio, al
diciassettesimo Canto. « Ne Creator, ne
creatura mai, Comincid ei, figlinol, fu
senza amore, natural e o d'animo; e ta
'1 sai. Lo natural fu sempre senza
errore; Ma Taltro puote errar per malo
obbiotto, per troppo, o per poco di
vigore. Mentre ch'egli e ne*primi ben
diretto E ne* second! s^ stesso
misura, Esser non pu5 cagion di mal
diletto ; Ma quando al mal si torce, o
con piii cura, con men che non dee,
corre nel bone. Contra 11 Fattore adovra
sua fattura. Quinci comprender puoi,
ch' esser convione Amor sementa in voi
d' ogni virtute £ d^ogni operazion che
merta pene. » E piu abbasso^ nel
medesimo Canto, strettamente al nostro
proposito: « Amor nasce in tre
modi in vostro limo. te chi, per esser
suo vicin soppresso Spera eccellenza, e
sol per questo brama Ch*el sia di sua
grandezza in basso messo. I) chi podere,
grazia, onore e fama Teme di perdor
perch' altri sormonti, Onde si attrista
si, che '1 contrario ama; Ed 6 chi per
ingiuria par ch'adonti Si, che si fa
della vendetta ghiotto; E tal conyien,
che il male altrui impronti. » Per lo
che riconoscesi manifesto che anche il desiderar male, e il far male altrui, nasce da amore, come
detto si e, ma da amor soverchio di se
medesimo, impero che la volontft non puote
per alcun modo che sia amare semplicemente il
male, ma si V ama, e il desidera sovente volte in altri a fine sempre e per amore del proprio bene, ch'
essa s' immagina, dove e' non e delusa da' sensi, e da gli affetti corporei;
conciosiache e' non intendono gli uomini, e non sanno aprir le ale, onde salgano in alto a questo
primo amore, ne sanno volare alia fiamma vivace di questo fiioco purissimo e ardente, il quale dissemina ampiamente le
sue lucidissime scintille per lo tutto a
conservazione e vita del tutto, e alia
ricongiunzione per quanto si puo con 1* unita del suo divino facitore, come detto avete : ma lo
stravolgimento nasce in noi dal mal
giudicio dell' elezione, e dall' abbacinamento della vista dell'anime nostre, per entro le
sensibili vestimenta che ne ricoprono, e
nascondonne il purissimo lume, lasciandone a pena che un mal distinto bagliore,
e tutte le bellezze, che qua tra noi rifulgono, eziandio quelle che ne'
volti risplendono di bella donna, sono
riflessi e specchi della bellezza suprema; e colui il quale riguardando con
amore in essi, ivi i raggi ferma della
vista amorosa, e non sa alzargli al lor
perfettissimo originale, ne va errato a guisa di quello, che mirando il Sole nell'acqua chiara, non
altro Sole che quello s' immaginasse nel
cielo; il che appunto ne awertisce Marsilio nostro, che la belta e un certo
atto, vivacita e grazia che risplende
ne' corpi per lo raggio della sua prima Idea,
e consiste nelV ordine, nella proporzione e nel lume, qualita e sembianze che si possono agevolmente
guastare, e trasfigurarsi, riraanendo solamente il corpo; e pero la bellezza
e incorporea, e qualunque ama solamente
i corpi non ama vero oggetto di amore,
ne bellezza sincera, per cio che questa riceve il lume dal Volto Divino, e 1'
ordine e la proporzione dalla Divina sapienza. Per la qual cosa (die'
egli) cbiunque ama il lume del Sole, non
dee amar quel corpo dove batte il Sole,
ma riferire suo amore al Sole medesimo,
ch' h la cagione ne' corpi illuminati di essi riverberi ; impercio che
lo splendore del Volto Divino che nelle cose belle rifulge h T universale della bellezza, e
Tappetito che a quella si volge e 1'
universale amore, e quindi nasce poi U
particolare amore a particolare bellezza ; e percio scambiano di leggieri gli uomini questa bellezza da
quella, e '1 riflesso adombrato dalla
luce chiarissima, che lo indora.
Magiotti. — Yolevaci a' miei scarsi talenti il soccorso appunto del
signor Gioseppe, che ne ha dilucidato cosi bene
I'ombre del mio dire; perche non solamente non h colpa o fallo veruno,
ma e legge della natura e di Dio, che gli uomini, e le donne, anziche gli uomini eziandio tra
loro scambievolmente si amino, ma amino la bellezza delP animo adorno della virtu ch' e figura e immagine vera di
Dio, e non terminino I'amor loro con esso Tappetito nelle forme corporee apparenti, conciossiache questo amore sia
anzi awersario d'Amore, si come quello
che dalle bellezze dell' Idee ne ritorce il guardo alia deformita della
materia, e ivi si ferma. Dafinio, — Ma
lo appetite che voi dite non e egli parte
di amore? MagioUi, — Son faville
scappate fuori dal fuoco dell' amor
vero, che si appigliano nella pece o nel ferro, i quali pero ne scottano i sensi e arroventano il cuore,
benche ciecLi afPatto di luce; impero
che amando le corporali bellezze, come
loro ultimo fine, non si amano come Architetture divine, e percio ancor che in
esse in fatto stesso amino Iddio, come
fulgor primo di quelle, e come oggetto vero di amore, non sanno di amarlo, e amandolo, il disamano,
perche invece di ordinare T amore a lui, amano quelle, si come incentivi non
all' amor divino, ma all' amor proprio e alle
proprie volutta; e per tal modo spengono nella corporalita materiale, non che la fiamma del vero e
lecito Amore, ma il lume della ragione.
Amar dunque si dee con amore (ne
ammonisce il saggio nostro filosofo) per tal guisa che cio sia venerare la sapienza e temere dell'
onnipotenza divina con ammirazione di
lui ; e questo si e amare con vera dottrina d' amore, impero che con ragione
rammemoraci nel Fedro, che la faccia
bellissima della Sapienza, dove si potesse con esso gli occhi riguardare,
all'ora altri si accorgerebbe che cosa sia veramente amore. Seguitiamo, dunque, il discorso, e si
repetiamo, come questo Amor primo, onde
tutti gli amanti si accendono, e
razionali, e irrazionali, lo spirito divino si e, come si disse, il quale portandosi sopra 1' acque, fu
ministro della creazione di tutte quante
le cose, riducendole alia prospettiva dell' essere; e che parimente per via
delle inspirazioni accende e volge i
cuori delle ragionevoli ai loro supremo benefattore ; ed e insomma la terza
persona della Trinity ; essendo Iddio
Padre per V onnipotenza, Figliuolo per la Sapienza, e Spirito Santo per
I'Amore. Come Padre crea, come Figliuolo
ordina e dispone, e come Spirito Santo sparge la vita e conserva, e
tutti richiama al loro Autore, che pero Dante favellandone neir Inferno, ne le
distingue con evidenza: « Giustizia
mosse il mio alto fattore : Fecemi la
divina potestate, La somma sapYenza e il
primo amore. Dinanzi a me non fur cose
create, Se non eterne, ed io eterno
duro: » con quel che segue. Ma ora adattiamo un poco al nostro vero
Timmaginazione platonica, esaminando con sollecito studio in qua' pensieri elle
si confrontino tra loro, che certo e maravigliosa cosa a udire come il nostro Autore a tanta
verity avvicinato si sia; ma ci6 a voi si appartiene di fare, signor Gioseppe,
cotanto pratico nella platonica dottrina, che in essa errar non potete (come fare' io) nel
referirlaci, e nel metterla con esso la nostra in agguaglio. Buonaccorsi, — Non per la ragione, che la
vostra modestia mi suggerisce, ma per
darvi un po' di riposo, ubbidirovvi, Don
Raffaello carissimo, incominciando anch' io col nostro eccelso Maestro a repetere il medesimo, che detto si
e ; come Iddio e sommo e infinito bene,
V occhio della cui alta mente in se
risguardando concepisce V intendimento di se medesimo^ e a simiglianza di specchio purissimo e
tersissimo, ella piglia in se, e rende
con que'divini reflessi Timmagini infinite ed eterne della sua infinita
Sapienza; e queste secondo lui so no intelletto divino, il quale comprende in
sh tutta insieme 1' Architettura
perfettissima dell' intelligibil mondo,
con tutte quante le Idee delle cose possibili a farsi da una onnipotenza infinita, le quali fornite
perfettamente di fare dalla sua infinita
sapienza si ragunano, e disegnansi nel
ricettacolo della sua mente, e ivi in quella unita indivisibile insieme
congiunte, dimorano in una idea «ola, di che altre volte ragionato si e in
proposito dell' Idee: la cuiinfinita ed eccelsa bonta e bellezza rimirando egll
con occhio desioso e benefico, giacche
per se tutta la possiede e non pu6
contenersi di non comunicarla altrui, e quindi nacquc il primo amore, come pur voi diceste, il
quale voile Orfeo essere stato locato
nel seno del Gaos nato innanzi al mondo,
appellandolo percio antichissimo di somma psrfezione e di gran consiglio. Per lo che Parmenide si
lascio intendere, Iddio innanzi a tutte
le altre Delta aver conceputo Amore. Nel
Caos parimente lo ripone il Divino filosofo, quivi trasmesso dalla Divina
Sapienza alia formazione e armonizzamento delPuniverso, da esso amore la
bellezza ricevendo e r ordine. Imperfetto. — Ma quale e la via e il modo
onde Iddio incominciando da se ordina questo filo, secondo lo intendimento platonico ?
Buonaccorsi. — Volendo la Provvidenza suprema, e questo sommo e infinito bene comunicare, e mettere
in opera i frutti della sua infinita
bonta, e non avendo nulla fuori di se,
delibera a quelli esemplari eterni che detto abbiamo del1' intelligibil mondo,
la creazione del mondo sensibile, per la
cui e£Fettuazione dispose valersi di questo Amore. Dafinio, — Meglio si desidererebbe da me
capire la sentenza platonica intorno alia nascita di questo amore. Buonaccorsi. — Fatevi conto che la Divina
Mente, cioe il suo perfettissimo
intelletto si rivolga a Dio come sommo benC;
onde essa mente e per lo suo chiarissimo raggio illustrata, e dallo splendore di quel raggio accendesi
eziandio una viva cupidita di propagare
fuori di se si maravigliosa luce, e qaesta alta e ardente cupidita del sommo
bene amore si e. Adunque la mente ch' e
accesa accostasi a Dio, e accostaDdosi riceve le forme prime divine^ che sono
la bontii, la sapienza e la bellezza
infinita del sommo bene ; e per tal
maniera si dipingono spiritualmente tutte le cose che sono, 6 che esser possono per lui, ed esse pitturc
sono le Idee infinite del Mondo
Archetipo, le quali nel mondo corporeo
aveva determinato con fabbrica piu massiccia imitare; e qaeste Idee sono, appresso Platone, ne gli
animi razionali (come si disse) ragioni
e notizie; ma nella materia immagini e
forme ; queste impercio rifulgouo nella Divina mente con raggio lucidissimo; nell'anima in modo men
chiaro; nel mondo in gaisa molto piu
oscura. Per la qual cosa, awertisce sottilmente questo grand' uomo, a fine di
mettere ordinatamente in filo le
intelligibili cose, e trovarvi qualche attaccatura per le sensibili per quella
via pero ch' ei puo, che Tunita divina
sia termine dal quale ogni e qualunque cosa ch' e, e che puo essere, e misura
senza confusione e senza moltitudine; la mente poi e una certa moltitudine
ordinatissima dell' Idee stabile e eterna : la ragione dell' anima, moltitudine di notizie e di argomenti,
mobile si ma ordinata ; 1' opinione una
moltitudine d' immagini disordinate, e mobili: I'unita non solamente unisce le
parti deU'anima tra loro, e con tutta
I'anima, ma eziandio tutta I'anima
unisce con quella unita, ch'e dell' universo cagione; la medesima anima in quanto ella riluce per
lo raggio della mente divina, le Idee di
tutte le cose per la mente con atto
stabile contempera; in quanto ella si rivolge a se medesima, le ragioni
universali delle cose considera; in quanto
ella risguarda i cor pi, le particolari forme rivolta alia sede deir opinione, e si le immagini delle cose
mobili ricevute pe' sensi ; in quanto
ella declina totalmente alia materia,
usa la natura per istrumento col quale muove essa materia e formala, onde le generazioni, e gli
augumenti, e i contrarii loro procedono.
Innanzi dunque che la mente da Dio ricevesse le Idee, a lui si accosto, e
avanti che si accostasse era la fiamma
accesa di quello appetito del buono, e del bello cotanto perfetto nella sua essenza, e prima
che si accendesse aveva il divino raggio ricevuto per conoscere la perfezione
di se stesso; e anzi che si fatto splendore lo suo intendimento illuminasse,
gia esso desiderio ardente al riguardamento di lui medesimo si era rivolto :
ora, come dice Ficino, il primo
voltamento a Dio del divino intelletto e '1 nascimento d'Amore; la grazia poi del mondo Ideale la
bellezza si e perfetta, primo raggio
della Divina bonta, alia quale di pre
sente che amore fu nato, tir6 o rapi tutte le forme a quel lame, onde il me' che si potea in questo
mondo visibile impresse restassero, e adorne ; per si fatta maniera traendola fuori della confusione del Gaos ; che impero
fa saggiamente creduto per entro al Caos
essere stato locate Amore, accio che con
la saa yivifica fiamma e fulgidissima si rendesse maneggiabile la materia corporea e dura, alia
perfezione conducendola di si bell'
opera, e si perche le tenebre da lei
discacciasse, e riducessela a quell' armonia e a quell' ordine che fa essere 1' uni verso opera degna di chi
1' ha fatto. Ch'fe egli altro dunque
questo amore secondo Platone, se non
quell' auima universale, o la porzione primaria e piu perfetta di essa, ch' e's'immagina dalla
natura del Medesimo avere avuto suo
cominciamento, e poi a intenzione di farla
confacevole e attiva a siffatte operazioni, diramarsi nel Diverse?
Laonde della natura di questo e di quelle essere stata insiememente composta; impercio te la
veste della luce corporea, la quale e'
cre6 innanzi a ogni cosa del mondo, come
si e detto : di maniera che ben puo dirsi 1' anima del mondo platonico non essere salvo che amore,
cioe a dire quell' appetite universale,
quel caldo vivifico disseminate nella
natura del tutto, il quale acceso da quell' Amore prime, muove tutte quante le cose alia generazione
continua, onde di mano in mano che per
la naturale mortalita di tutte le cose
inferiori gl' individui periscono, merce di esse amore rifacendosi, conservansi eternalmente le
specie lore, e mantiensi il tutto immortale. E cio voile intendere per mio
avviso Marco Tullio nelle Questioni Accademiche, quando disse: Ex mtmdi ardore motus omnis oritur: is autem
ardor non dlieno impulsu, sed sua sponte
movetur; animus sit necesse est, ex quo efficitur animantem esse mundum, Eccovi
dunque in questo ardore del mondo che
anima il mondo, essere chiarissimamente spiegato amore. Per la qual cosa non a
torto s' immagino il divine filosofo esserci due Veneri, con esse distinguendo
le operazioni intelligibili dalle
sensibili in quanto alia fattura dell'
universe ; ed esser genitrici di questi due amori, naturale e divine; la prima
Venere tutta adorna del divine fillgore, lo sparge alia seconda Venere; la
prima suUe ali del 'prime amore e rapita
air in su a riguardare la bellezza di
Dio, e cingersi della purita de'suoi raggi; la seconda pigliandone, il
me' ch'ella puote, suoi vivificanti riflessi, si rivolge alPingiu, colorando con essi, piu al
simile che riuscir le possa, la divina pulcritudine ne'corpi mondani, aiutata a cio da quell' amore, che nell'anima
universale risiede, e da gli stimoli
alia natura, e per tal via da questa Venere
seconda raccolgonsi e trasfondonsi le scintille, che schizzan fuori dal divino fuoco amoroso in tutti i
corpi del mondo, i quali per merito di
quel lume riescono belli secondo la
capacita loro, e accendonsi di un ardentissimo appetite a tutte quante le generazioni; e per tal
eflfetto (cotanto alto sail Trimegisto)
ch' egli affermo proferirsi dalla voce del
Verbo Divino ad ogni e qualunque cosa creata questo comandameuto:
Germinate, crescete e propagate le universe
cose che sono, le quali opere mie sono : col quale fiato amoroso e
benefice impresse nella natura e razionale e irrazionale gli appetiti del
generare e dell' operare secondo suo
alto volere. In prova di che Platone nel Convivio esplica cosi: Iddio nel creare il mondo avere innestato in
qualunque delle cose da lui create una
tale amorosa concupiscenza, che aspirando ad una certa simiglianza e
congiugnimento venissero con simili impulsi propagandosi a conservarsi perpetue
: e pitt abbasso seguitando, dice : «
Questo gran Dio (intende d' Amore) e
cotanto ammirando, si ritrova in tutte quante
le cose, che si contengono nell' ampio giro della natura universale, e
s' introduce e spargesi per tutte le creature, e umane, e divine, e pero egli e grande, e
molta, anzi tutta 1' intera efficacia,
in qualunque cosa che sia, ha Amore; » che
per tal conto i' appella di poi Padre di tutte le delizie, di tutte quante le piii vaghe leggiadrie e
bellezze e avvenenze che dar si possono,
e si di tutte le grazie, e di ogni qualsisia desiderio e generazione ; e in
somma 1' adornamento piu perfetto degli
uomini e degli Dei, e cio non si ved'egli
essere 1' istessa cosa che 1' anima dell' universe, come altresi ne vien dimostrando Apulejo di quest' anima
favellando : Illam celestem Animam fontem animarum omnium optimam et sapientissimam, virtutem esse genitricem
subservire fabricatori Deo? Ora questa
Virtu Genitrice puo ella chiamarsi altrimenti
che amore? Anzi, per rendere tanto maggiormente palese come per tutte le divine cose e piu alte
amore si spande, eccovi citato il
Divinissimo Poeta nostro favellando del Paradiso : « In questo miro ed angelico templo, Che solo amore e lace lia per confine, » e piu innanzi: « Ricomincio: noi semo usciti fuore Pel maggior corpo al ciel eh' e pura
luce; Luce intellettual piena d'
amore, Amor di vero ben pien di letizia, Letizia che trascende ognl dolzore. » Di modo che e' si vede e nelle cose naturali
e nelle umane, e piu di ogni altro luogo
e piu puramente nelle cose divine,
essere sparse amore. Imperfetto,
— lo ho notato quel che dice Trimegisto che
mi ha fatto stupire, e sembrami, ch* e^ sia il crescUe et multiplicate et replete terram secondo la
divina favella. Buonaeeorsi, — E pero quando
il vero e vero, cioe quelle che ci par
vero e veramente vero, gl'ingegni di piu alto
acume ci danno sovente dentro eziandio col lume naturale. Ma ritornando a questo Divino Amore,
raccogliendo insieme tutto il discorso,
puo dirsi che per merito di questo amore
primiero, in sentenza di cotanto grand' uomo, tutte le fatture deir
Universe, accese di si fatte faville, si volgano e amino Dio ; le divisibili alP indivisibility
suprema ansiosamente aspirando ; le di£ferenti e varie alia simiglianza e uniformita; le discordi all'armonia; le sparse
e disgiunte al lore piu desiderabile
ricongiugnimento; le multiplici e numerabiH alia perfezione dell' uno, cioe a
dire conspirano tutte air unita delP
Universe, come il simulacro piu perfetto che
mostrar si possa a' nostri occhi del mondo divino ; per tal modo
insomma, anche le cose indefinitamente difformi al Medesimo si chiamano, dal quale tutti i beni
innanzi si dipartono a fin di spargersi per via di questo nel Diverse, e quindi desiderosamente a quello si studiano
di far ritorno, si come a lore unico
perfetto e sommo bene, il quale reputano tutti quanti i Platonici esser posto
nel centre di questo circolo universale; dal qual centre tutti i divini raggi
si partono, ed a lui si ripercuetone
qualunque volta per la colpa degli
impedimenti di mezzo, piu e meno materiali e
corporei da lore dirittura non si divarino, e altra via prendane fuori
del giro piu perfetto della ragione.
Dafinio, — Qui correrebbe piu bene 1' esempie del Sole constituite, secondo la sentenza
Gopernicana, nel mezzo del nestre
sistema, che quindi spandende i raggi per
tutto illumina piu agevolmente tutte le cose, che per altra via. MagioUL — Non impediamo al signer Gioseppe
il corse del ragionamento, che e materia
melto difficile. Btionaccorsi. — E per
cio quanto bene disse Apuleje, censiderande anch' egli essere una sfera d'
infinita retendit^ V essenza del tutte,
nel cui centre risedesse il divine Sole
ad illurainamente e vivificamento continue di tutte quanto quello ch' e, e si spandende i raggi di
quell' infinite amore alia cemunicaziene
de' sue' boni, essi vie piu adoperassero
perfettamente, e mineri impedimenti patissere di mane in mane nelle ceso piu vicine a lui, che nelle
piu lontane. Corpora calestia quanto Deo finitima sunt, tanto ampUus de
Deo capere, multoque minus qua ah illis
sunt secunda, et ad hcec usque terrena
pro intervallorum modo ; ita Deum per omnia
permeare ! Magiotti, — Ma Dante,
in cui al mio parere si trova ogni cosa,
le ci esprime con evidenza grande, e nel prime del Paradise, e poi nel venfcettesimo canto anche
meglio: « La gloria di Colui, che tutto
move, Per r iiniverso penetra, e
risplende In una parte piiif e meno
altrove. Nel ciel che piil della sua
luce prende ec. E poi nel ventottesimo benche e' favelli dell' ordine de'
Beati, vien poi alle cose sensibili: che
vuol dire, come nella mente divina s' accende 1' amore, che volge cioh la intelligenza, la quale ama
il suo Creatore, e ardendo d^amore da lui si parte e ritorna a lui: il che applica Dante, si come per amoro
tiitte le cose create da Dio si partono,
e a lui ritornano, a) moto delI'universo e de' celestiali cerchi dicendo nel
Paradise: ^ « £ questo cielo non ha
altro dove Che la mente divina, in che
s' accende L*amor che il volge e la
virtti ch'ei piove. » E dimostra poi
che 1' ultimo Cielo sia dall' Empireo com preso, il quale non e se non luce ed
amore, per il quale tutti i movimenti
si ordinano de gli altri Cieli, e poi il
moto, e )' ordine si regola da tutti gli ordini della natura, il che si ricava dal resto di quel che dice
il medesimo Poeta : c Luce ed amor d' un cerchio lui comprende, Si come questo gli altri; e quel
precinto Colui che il cinge solamente
intende. Non e suo moto per altro
distinto; Ma gli altri son misurati da
questo, Si come diece da mezzo e da
quinto.» Ghe vuol dire, come questo
Amore onde arde lo Empireo, senza aver
moto da altri che da Dio, mubve qualunque
altro moto soprano o inferiore che si dia. E ci6 e egli salvo che quelle operazioni che assegna il
divino filosofo air anima del mondo ?
Per si fatta dunque ragione, hen
confessar si dee che amore sia veramente 1' anima delr universe. Btwnaccorsi. — Ecco perche ne dice V
Areopagita medesimo : « amore e un cerchio huono, il quale sempre da bene
in bene si rivolge; in quanto Iddio e
atto di tutte le cose, e quelle aumenta,
dicesi bene; in quanto le abbella e fa leggiadre, dicesi bellezza; si come
bene, crea, regge, e provede; si come
bello, illumina, e grazia dona loro, e vaghezza. » Luigi, — Gio e appunto quelle ch* i bramava
di sapere, in qual modo stessero in Dio
e congiugnessersi insieme bonta e
bellezza, e che legamento fosse tra loro. MagioUL — La bonta infinita di tutte
le cose h Iddio solo ; la belta e raggio
di Dio sparso in que cerchi che intorno a
Dio, come centro loro, si volgono. D Sommo Bene e la sopra eminente essenza di
Dio : il Sommo Bello quel raggio si e
che da esso sommo bene rifiilge per lo tutto, penetrante prima nella mente sovrana, quindi nelP anima
dell' universe, e nolle altre razionali
anime, indi nella natura e nella materia, e la perfezione interna genera quasi
sempre la perfezione di fuori; e pero la Divina bonta la bellezza produce, e si
pero la bellezza vera dicesi da' Platonici fiore di bonta; laonde per merito di questa belt^
esteriore T interna bonta alletta ad
amare, e qualunque ama la bellezza secondo il dovere, essa ne conduce gli
amanti ad amar la bontade; per lo che con giusta ragione da Platone amore
si appella (come che in sostanza e' sia
desiderio di bellezza), bellissimo, e
ottimo, e per cio donatore di tutti i beni
a' mortali. Questo raggio, impero, colora in quattro cerchi le spezie di tutte quante le cose. Ecco nella
mente divina dipigne I'Idee, ove il raggio e nel suo piii perfetto vigore; neir anima poi la ragione, nella natura i
semi, e nella materia le forme, nolle quali cose esso splendore viene di
cerchio in cerchio dalla sua perfetta luce smontando, ma 1^ dove la divina bonta adopera immediatamente,
le cose perfettissime sono: V Fer6 se
11 caldo amor la chiara vista Delia
prima yirtu dispone e SiegDa, Tutta la
perfezion quivi s' acquista. »
Dimaniera che Iddio e la bellezza, la quale tutte le cose desiderano, come detto si e, e nella cui
possessione tutte si abbellano, tutte si
contentano, e quindi 1' amore in qualunque creatura si accende, concedendo
Iddio lume del vero a gli animali
razionali, e fuoco di carita, il quale va sempre crescendo, come il Poeta
stesso : « Lo raggio della grazia, onde
s' accende Yerace amore, e che poi
cresue amando. E in un altro luogo, ec.
« Perch e s' accrescera ci6 che ne dona
Di gratuito lame il sommo Bene;
Lume che a lui yeder ne condiziona: »
il che ci sentiremo dentro di noi adivenire, dove noi andiamo mantenendo vivo col vero amore questo lame
della grazia, finche chiamati siamo a
lui per goderloci a occhi veggenti.
Imperci6 che la perpetua invisibil luce del divino sole sempre a tutte
le cose con la sua presenza da conforto, vita
e perfezione, e dona loro virtu di augumento, e pero Iddio se sopra tutto PUniverso spandere. Zoroastre, se bene ho a mente, pose tre
principii del mondo, signori di tre
ordini, Iddio, la mente, e ranima, cui
rispondono le spezie divine; idea, ragioni e semi. Le Idee da Dio date sono alia mente, perch e
esse con la bellezza loro richiamino la
mente in Dio; le ragioni intomo alia mente, perche elle si conducano per la
mente nelFanima, e si addirizzino Tanima
alia mente. I semi circa all' anima,
impero ch^ mediante V anima passino
nella natura, e dalla natura con V ordine e con 1' armooia si richiamino alle operazioni dell' anima.
Per lo medesimo ordine poi dalla natura
nella materia discendono le forme; ma
queste non sono nel filo delle spezie divine, le qaali pure da esse prendono il diritto loro, e con
esso T ordine deir anima alP Idee, e per
queste all' unita prima si vadano
accostando, per quanto esse capaci ne sono. Tale si e il sistema Platonico per cui si coUegano le cose
divine ed eterne, con le temporali e
sensibili; e quindi da qaesti quattrp
circoli riflettono gli splendori della Divina Bellezza che si rivolgono piu o meno lungi al centro
ch' e Iddio : e'l primo amore da tali
splendori acceso, da moto e attitudine a tutte quante ie operazioni dell'
universo, o vegetabili, o sensibili, o razionali ; le Idee, le ragioni, e'
semi, che per via di quest' amore, di
quest' Anima universale discendono nella natura, e secondo il luogo dove
discendendo si posano, mutan nome, sono
ie cose vere, ma le forme poacia de'corpi sono piu tosto ombre delle cose vere.
Ora chiunque queste attentamente rigaarda, puote ammirare ed amar quelle, perche in esse scorge, e riconoscevi
il divino fulgore, e per esso sale ad
amare Iddio stesso; e come diceste, signer Grioseppe, niuno amatore amando si
satolla per qualunque conseguimento qua tra noi di ogni bellezza che sia, impercio che quel che e' vorrebbe non
conseguisce, 1' occulto sapore della
Divinita gli amanti non assaggiano, quantunque ne sentano suavissimo odore, che
gli alletta ad amarlo. E cosi per questa
fragranza si appetisce il sapore nascoso,
ma sovente non sappiamo, ne ravvisiamo in che, che e^ si sia. Quel, fulgore della Divinita che
risplende nel corpo bello costrigne gli
amanti a stupirsi, e venerare esso corpo come
statua di Dio, ancorche e'non si rinvengano in essa delr originale, e
pero non veramente la materia corporea si ama,
come di sopra ne avvertiste, ma la divina belt^ che in essa riluce, e vorrebbe Puomo trasformarsi nella
cosa amata (dice Marsilio) perche in
quelP atto amoroso senza saperlo
appetisce di farsi Iddio. Sospirano gli amanti, perche si avveggono di lasciare se medesimi, e non si
trasformano in quel che e' vorrebbono;
percio che vogliono, e non sanno quel
che essi vogliano. Laonde colui che antepone la forma del corpo alia bellezza delP animo, non usa
bene la dignita di amore ; conci6 sia
cosa che la belta corporale sia splendore neir omamento di colori e di linee
che agevolmente si cancellano e
oscuransi; quella delPanima risplende nella
consonanza delle scienze e de' costumi, che sono imitamenti piu al vivo della divina sembianza. Lo
splendore del volto divino nelle
sopraddette cose e 1' universale della bellezza, I'appetito che a quelle si volge e I'uni
versale di amore, e quindi si deriva poi
il particolare amore a particolar bellezza, la
quale nella convenienza deUe parti con esso i nostri occhi, che la mirano in un modo a questo, e in un
mode a quelle consiste, e nella
approvazione che da noi se ne fa col desiderarne V acquisto, nasce il
particolare amore, che per ci6 scambiano
tal volta gli uomini, se non ci badano diligentemente, o che non abbiano le
vere seste ne gli occhi lore, la bellezza vera dalla falsa, e '1 riflesso dal
lame. Per lo che Delia mente delF uomo e
situato da Dio un eterno amore di vedere
e godere F universale beltk, e con esso gli stimoU della particolare, sed essa non ci
abbarbaglia i sensi, ci moviamo alle
virtu e appetiamo la sapienza, che sono i pin
be' ritratti di Dio e di piu perfetta maniera. Per guisa che Platone, nell'Epistola al Re Dionisio : « L'
animo dell' Uomo desidera intendere le
cose divine, riguardando in qneUe che a
lui sono piu propinque, e a tal cagione amore secondo lui e interpetre e
mezzano per far trasvolare le umane alle
divine cose, e far discendere le divine a noi; » il che amava meglio Cicerone dicendo: maltAerim
divina aA nos, e quindi con somma
ragione appellasi amore un mezzo tra le
cose mortali e le immortali. II raggio di qualunque bellezza (come bellezza e\V
e) discende innanzi da Dio, poi trapassa
nella mente, e neir intelligenza, e quindi nell* anima, come per materia di vetro, e dall^ anima
passa nel corpo, preparato a ricevere
tal raggio, e da esso corpo formoso
trainee fuori massime per gli occhi come per trasparenti finestre, e da
essi penetrando negli occhi, che in quelli riscontrano, per quegli ferisce V
anima e acceudevi lo appetite, e r anima
ferita, e P appetito acceso ne induce a bramare il refrigerio, c ci6 ottiene qualunque volta il
ricondace a quelle alto luogo, onde il primo raggio discese pe' gradi del
corpo della cosa bella ed amata alia
bellezza dell' anima di essa cosa amata,
di poi alia mente e alU Idea di quella, e in ultimo a Dio, ch'e lo splendor
primario, e Pe tutto insieme di ogni
bello che sia. E per quale altra cagione hanno piu forza gli occhi di accendere i cuori, che le
altre belle fattezze deWolti, se non perche amore che nasce in ciascuno h invitato a penetrare fin entro alle
bellezze dell' anima, e qaindi risalire
a Dio, e non terminare lo appetito solamente nella superficie corporea? Udite
il Petrarca com'e'favella quando e'ragiona de gli occhi: « P«r divina bellezza indarno mira Chi g\i occhi di costei gia mai non vide Gome soayemente ella gli gira.» E nelle canzoni Degli Occhi: « Gontar porria quel che le due divine Luci sentir mi fanno. » E nell^ ultima : e quel che segue, sempre discorrendo
sopra gli effetti am-^ mirabili di
questo Giove per lo giovamento e beneficenza
ch' e' rende al tutto, ma per via di questo amore di quest' anima
dell'universo; laonde amore, ch'e della sostanza di Griove, e Dio anch'esso, o e il fiore, e
il lume piu puro dell' anima, o e T
anima stessa del mondo, la quale ordina, unisce, e mantiene immortale la natura
delle cose mortali, perche per se
morendo tutte, sua merce tutte si ringiovaniscono e si si risuscitano ; cosi
per virtu di quest' anima universale, dico di questo ferventissimo amore dal
Medesimo, cioe dal sommo bene^ tanti bem
al Diverso comunicabili si fanno, e
quindi al Medesimo con armonici numeri si riconcatenano, e dal Medesimo via via nel Di verso, e dal
Diverso nel Medesimo, con perpetua amorosa circolazione ritornano, e
percio o r anima del mondo e ripiena di
amore, o T amore e r anima egli del
mondo, come mirabilmente disse Torquato
Tasso, in quel suo sonetto esplicando in pochi versi quasi tutta la nostra dottrina. « Amore alma e del mondo amore h mente Che volge in ciel per corso obliquo il
sole, E degli erranti Dei Palte
carole Bende al celeste suon veloci o
lento. L^aria, ]' acqua, la terra, il
foco ardente Misto a' gran membri
dellMmmensa mole Nudre il suo spirto, e
s' uom s' allegra, o duole Ei n' e
cagiono, o speri anco o pavente. Pur,
benche tutto crei, tutto governi E per
tutto risplenda, e 'n tutto spiri, Fiti
spiega in noi di sua possanza Amore; E,
disdegnando i cerchi alti, e supemi,
Fosto ha la reggia sua ne* dolci giri
Be* bei nostri occhi, e '1 tempio ha nel mio core. » Amore e dunque esso 1' anima dell' universo,
perche qualunque desiderio che si accende in tutte quante le creature di ogni
sorta ch' elle si sieno, quale appetito che sia il quale regna nel tutto e nelle sue parti e si
nelle specie e negli individui del
mondo, ha suo primo impulso da quelle
incentivo sovrano che ci muove ed eccita al godimento del buono perfetto, conciosiacosa che tutti i
beni comparativi, che veramente beni
sono, dal superlativo del sommo bene ne
piovono sopra di noi; e se gli appetiti nostri si smoderano, e pigliano i mali per beni, cio non da amore,
che non erra nel suo fine, ma nasce da
noi, e dalla nostra imperfetta e cieca
natura, i quali scompigliando co' fiati delle disordiaate passioni quelle
faville, te le deviano dal vero riflesso loro,
cioe dal diritto incamminamento al lor bene, onde sfavillarono da prima,
scambiandolo col falso bene, che bene ci
rassembra, impercio che noi non sappiamo alzarci dalle terrene cose, ed
in queste fermando il pensiero non come mali,
ma siccome beni gli bramiamo. M' immagino ch' e' vi paia esserci noi troppo distesamente dilungati dal
filo ; ma se amore e veramente I'Anima
dell' Universo, o Fanima di quest'
anima, sara stata simile proposizione parte principale, e molto ben fondata, e
non digressione dell' incominciato ragionamento. Imperfetto, — Ora che ne dite: non vi par'egli
che il concetto di quest' Anima
universale, di questo amore, che da
moto, regge, e mantiene, e ordina il tutto, e riscalda di esso le parti, e svegliale a gli appetiti delle generazioni,
e della conservazione di tutte le
spezie, e dell' universo medesimo, sia
una cosa in tutto e per tutto al divino spirito somiglievole, del quale poco fa discorse si altamente il
nostro Magiotti ? MagioUu — E quello
che ha proferito con si sovrano ragionamento il signor Gioseppe, e spezialmente
la difinizione cotanto sottile ed arguta
ch'egli ha seco medesimo pensato intorno alia differenza che dar si possa tra
questo amore, e 1' anima del mondo,
quanto perfettamente si adatta al divino
spirito! poiche (diss'egli) che credeva poter essere per awentura questo amore
quella porzione del1' Anima Platonica, solamente nel Medesimo consistente, e
il fiore per cosi dire di essa Anima.
Ora se Platone non imbrattasse per un certo modo la sua anima con esso il
componimento del Diverso, mala facesse essere perl'appunto questo amore del Medesimo solamente fatto, che ci
averebb'egli da ridire, perche e' non
fosse tutt' una col nostro divino
spirito dispensatore per 1' universo tutto, e a tutti gli ordini delle Creature, delle celestiali grazie e
degli aiuti soprani ? Quanto poco e
mancato a Platone a non dir tutto vero?
Dafinio, A questo modo Platone
con altri vocaboli avra quasi senza
errare intesa e espostane la Trinity ; se e' 1' ha fatto per proprio lume, ell' e intelligenza
piu che da uomo. MagiotH, — E intelligenza certo piu che da nomo, e da non potersi intendere salvo cbe su '1
fondamento del credere, e chi presume piii oltre e matto, come disse il nostro Dante:
Puossi egli dir piu? Ma e' non seppero perfezionare questi Platonici il
concetto intero delle tre persone e un
solo Iddio, nel modo, ch' «lle sono, impercio che, come bene osserva il
cardinale Bessarione, seppe Plato ne
riconoscere Iddio come la prima mente, e il suo
divino intellotto colmo delle Idee, che tanto si ^ a dire la sua infinita sapienza, siccome figliolo seco
coetemo ed ngaale, e come della medesima
natura chiam5 la divina sostanza col
vocabolo del Medesimo e dell'uno. Ma non giunse poi a far rassomigliare tanto cbe basti Y anima
deir universo al divino spirito,
facendola staccare si dalla sustanza del
Medesimo ; ma rinvolgendola nel Diverso con le sensibili cose e corporee, te la permiscbi5 nel suo
componimento, e percio riconobbela come inferiore e non uguale a Dio, e al
suo Divino intelletto; e questo impercio
cbe tra due cose tra se per si grande
intervallo distanti, e di disuguaglianza
infinita, reputo convenirci, per necessita, de^mezzi, n^ potette capire che la Divinitli pura ed intera tra le
cose corporali e sensibili a mescolare si avesse, cotanto tra se differenti e
lontane, senza patire macchia o difetto, e percio stimo r anima composta dell' uno e delP
altro, accio che fosse mezzana per
traportare la ragione ad armon^zzare e
perfezionare si vasto ed alto edificio, e non trapasso a conoscere che la purita, semplicita e
chiarezza perfetta, quale ella e in Dio,
non teme ombra, o contaminamento da
veruna cosa che sia. Periculum status sui Deo nuUum est, disse Tertulliano. Buonaccorsi. — V noto che Ermete si
approssima alia verita nostra piii
che cioe a dire dell' essere divino, e
della TrinitJi delle persone.
Imperfetto, — E' mi sowiene di un altro luogo di Dante, nel Paradiso, che mi pare piii bello^ e ch'
esprima bene, e nel quale discorrendo
della Trinitib specifica in ultimo lo
Spirito Santo: « Nella profonda
e chiara snsslstenza Dell* alto lume
parremi tre giri Di tre colon e d'una
contenenza: E run dairaltro, come Iri da Iri,
Parea reflesso, e il terzo parea fuoco
Che quinci e qaindi egualmente si spiri. » Con esso il ben fondato appoggio della fede,
che si contenta di non intendere quel che ella crede, possonsi dire cose altissime intorno ietlla Trinita ; ma
gli altri che fondano il loro sapere tutto su lo intendere, salgano pure
in su quanto si vogliano, che ognun di
loro in qualche parte vacilla; impercio
che non ha si gran seno la nostra comprensione. MagioUL — E di qui nasce, che Trimegisto
piglia equivoco, e non si dichiara bene in quel suo elevatissimo presupposto, e
Platone non resta capace che un Dio possa
adoperare nella materia senza termini di mezzo alPuno e all^ altra in gran parte confacevoli ; laonde
e^ s^ immagina quest' anima composta del
Medesimo e del Diverso, e svaria dalla verita, che in noi s^innesta per grazia
e per merito della fede. Imperfetto, — Ma che vuol dire che la Genesi
ancora mette che Iddio spendesse sei
giorni neUa creazione dell' Universo, e
il settimo si riposasse? II tempo, come pure detto avete, non s' incominci6 egli a computare dopo la
creazione, cioe a dire I'ordine
successivo de' giorni, de' mesi e degli anni, la cui misura sono le revoluzioni quotidiane del
Sole? e poi sempre sete venuto
affermando per cosa indubitabile che
Iddio onnipotente non abbia mestieri di distinzione di tempi, e di differenze, e di atti nel suo
adoperare, contrario a quelle che pone
il Timeo. BuonaccorsL — Iddio con sua
onnipotente mano opera in uno istante,
dico col suo Verbo onnipotente nel modo che
ne avvertisce Trimegisto scrivendo a Tazio, che il sommo Architettore col Verbo, non con le mani, ha
fabbricato il mondo. II suo Verbo dunque
con un atto solo indivisibile per5 e' fa
tutto. Imperfetto. — Ora dunque che
cosa vuol' ella dire la Genesi cental divisione di giorni, che suppongono atti
diversi? Ella ne pone pure una verita
infallibile ? E poi dice che Iddio si riposasse: puo capire in un Dio la
fatica, la lassezza e perci5 V aver uopo
di quieto ? Saracci sotto qualche mistero.
Buonaccorsi. — Cio dice la Scrittura, non perche Dio operi con atti distinti, ma perche delP ubo de gli
atti distinti abbisogniamo noi a fine d' intendere una operazione
individua e cotanto immensa di un Dio ;
e pero la Scrittura, e per avventura Dio medesimo nella creazione del mondo, e
del tempo, si accomodo al nostro modo, e
alle misure che capiamo noi. Dafinio, —
Ancbe Platone e Trimegisto V avran detto
pel medesimo fine, non perche e' non avesse a sapere quali sono le alte condizioni dell' onnipotenza
divina, e per tale effetto le assegnasse
le nostre a farci intendere il suo mo' di
operare. Magiotti. — Non dico
ch' e' non possa essere, ma e' non e in
verun conto vcrisimile, che alcuno che sia aggiugnesse a quello che si arriva solamente con la iidata
scorta della grazia e del lume divino,
che per Y acquisto di una tal yerita dona Iddio a suo' fedeli solamente, e non
si puo gia mai acquistare per natura, o
per istudio. £' giunse pur troppo
innanzi col barlume del suo acutissimo ingegno; ma non potette, ne seppe dare il suo legittimo e
giusto peso alia divina onnipotenza, e
per quanto e' si alzasse con le misure,
non seppe interamente uscire dalle nostre bilancie; e pero ne parla il filosofo nostro come s'
ella avesse bisogno di un' operatrice sotto di lei a fare andare con
ordine il mondo, e farlo vivere vita
perpetua, quasi Iddio disagiare si avesse, e partirsi da suo sovrano seggio,
quando dovesse adoprare da se, ne gli
bastasse il vigore del suo divino
sermone quando disse per stabilir di
pianta in un attimo I'Universo intero,
si come e'fe', e si farlo camminare con ragione in virtu di quell' editto
irrevocabile che e impermutabile legge
ed eterna della sua volonta. Cambise, Xerse e Dario, come considera Apulejo,
standosene come serrati in un Tempio
nella Citta capitale de' loro reami a
render co' popoli piu venerabile la loro maestli, e piu sti' mabile e autorevoie la loro potenza, faceano
abbidire prontamente, e senza disdetta veruna le leggi loro per Tampiezza
de'lor dominj. E Filippo Secondo Re di Spagna
ne' tempi modemi usava dire, che dalP Escuriale governava piu d^un mondo; ed hassi a dabitare se un Dio
immobile e perfetto per sua natura
possa, senza muoversi, con an volger di
ciglio reggere e moderare il governo delP Universo? Se con un tocco di tromba una moltitudine ne gli
eserciti di presente, ciascuno per
ciascuno, si mette all' opera di quello
gli si appartiene obbedendo, senza scattare punto a gli ordini del loro
generale, e pure le leggi de gli uomini imperfette sono e mutabili a capriccio
dei Principi, e o per ribellione de'popoli alterar si possono, o perche non da
tutti s' intendano ; e la voce sonora
della Divina parola non si ha da udire
per tutto e' suoi decreti, e le sue leggi che non variano, e che sono di infinita luce e
chiarezza, come affermano i sacri proverbi : mandatum Domini lucema est, et
lex lux, 6 per cio etemi sono, n^ patir possono
alterazione o dubbiezza ; hassi a
mettere in disputa s' essi s' odano a un
tratto per tutto, e non si esegyiscano dalla natura e da tutte le minime parti del tutto, senza
ch'egli si abbia a muovere dal suo
altissimo Trono per farle eseguire ? e che
perci6 se gli convenga assegnare un' altra cosa, che se, per ministro subordinato, come si e V anima del
mondo, accio che ella vada ad ogni
minima particella di esso portandole gli
ordini ec? Iddio strabondevole di forze e di potenza, di augustissima specie, Genitore delP
immortalita e la virtu stessa di tutte
quante le virtu, la cui legge sola h perfetta,
e impermutabile, per cui tutti quanti i semi fanno le special!
operazioni loro nelle nature diverse di tutte le cose ; e i Cieli, e gli Orbi, e i pianeti e tante altre
stelle, con le loro speciali revoluzioni
si volgono per la medesima con tanto
ordine, e regola bene armonizzata e distinta? Non perche dunque Iddio fosse bisognevole di tempi e di
atti diversi, ma a maggiore intelligenza
nostra, la Sacra Scrittura divise in piu atti un atto solo del divino adoprare^
e in piu tempi la sua operazione
instantanea, dicendo che Iddio e il suo
alto intendimento conobbe di far cosa buona, e conosciutala delibero con esso
la volont^, e deliberatala col suo Verbo
e col suo spirito fece il mondo, cosa per cosa,
nella divina settimana per fame capaci i mortali, che cio dovean credere, e non erano atti ad
intendere, essendo necessarie si fatte misure a noi per capire quel che non
e da noi. Dafinio. — Tant' h, io non ^ni rinvengo per
qual ragione noi abbiamo da a£fermare
che Platone non Tabbia fatto al medesimo
fine, con diverso modo dal nostro. Magiatti.
— No, perche ne il filosofo, ancor che Divino veramente chiamar si debba,
parlando cose che il tacere e bello, non
poteva senza lume soprannaturale, onde ha privilegiato solamente i suoi fedeli la Divina prowidenza^
per quanto e' si sollevasse alle piu
alte cime, non poteva mai, dico, si a
dentro penetrare, come noi facciamo con la fede, nella cognizione
imperscrutabile della divina onnipotenza ; e si camminava, e vi saliva tentoni,
e non era atto a spiccare nn volo sicuro
si come riesce a noi illustrati da si chiaro fiilgore. E poi Platone non
averebbe formata Tanima inferiore, come si h detto, rendendone per ragione
ch'ella dovesse mescolarsi dove non conveniva si permischiasse Iddio, e perche in somma non capiva benissimo qnello
che veramente fosse Iddio; imper6 egli reputo necessaria qnesta anima fatta si da Dio^ ma disseparata da lui
per la forma* zione del mondo, non potendo
rimaner capace che la sovrana parity della divina essenza dovesse mettersi in
risico di macolarsi in fra le cose
nostre inferiori, e cio e
impossibile scorgere cosi per V appnnto il vero, si come egli e ancora che dinanzi a gli occhi de^
mortali se ne spanda il lustro ed una
vivace splendenza. Dafinio, — Se
Apulejo T intend' egli, perche tal cosa di
una onnipotenza assoluta di Dio non Fha da capire Platone ingegno
divino? Buonaccorsi, — E per questo
convien confessare che ana si ampia
materia, a si alta, che si distende in vie piii largo, ed immenso spazio, ohe il
seno non e delle menti nostre, avendo colmo,
per grande e spazioso ch' (b' fosse, quello del
nostro divino filosofo, nel volerlo abbracciare e comprendere UQ tal concetto tutto insieme, e ben
verisimile che glie ne scappasse fuori
qualche particella, ancor che atta ad ogni
capacita, introducendovela sola, nel mpdo che poche gocciole di acqua
son quelle che fanno traboccare il vaso quando
egli e gia pieno; e pero ne prese la vasta mente Platonica quanto ella poteva di si larga e
strabondevole e infinita materia; ma
perche essa mente era finita, non la potette
capire e rattener tutta ; o si pure egli e ragionevole di credere, ch'
egli avesse lette e studiate le sacre pagine di si alta proposizione, e per farsela sua fosse
constretto a mutar qualcosa, e mutasse
questo; e Apulejo disse quello, e si
abbatte a dire il vero, ma non giunse poi tant^oltre a un gran pezzo quanto Platone, e il meglio 11
tolse da lui. Imperfetto, — Egli e
certo che la verita si fa lume da Be, ma
e cosi grande e cosi lucido ^ suo spandimento, ch' ella ne abbaglia. Sant^ Agostino non die* egli
discorrendo sopra quel luogo del
Vangelo: per Verhum Dei facta sunt omnia, in
questa maniera ? Inveniuntur ista et in libris Philosophorum, et quia unigenitum habet Deus per quern facta
sunt omnia, illud potuerunt videre quid
est^ sed viderunt de longe. MagiottL — Anzi, tutto il contrario,
impercioche per qual maniera ci6 sia, o
ch* e* se 1' abbia immaginata da se, o no,
e* s* h approssimato col suo falso tanto innanzi al vero, che piu tosto si pu5 dire ch' e' si tocchino V un
V altro con un sottilissimo confine. Ita
.... finitima sunt falsa veris, disse
Marco TuUio; e Dante: € Cos!
parlar conviensi al vostro ingegno,
Perocche solo da sensato apprende
Ci6 che fa poscia d' intelletto degno. > E pill abbasso: lo fo dunque conto che il moto non sia altro che questo, e pero secondo il
declive che le cose incontrano, per
varie sorte di canali e secondo le forze
e le resistenze in che elle si awengano, V una a petto all'altra, nasconne tante varieta di moti nella
natura, e air insu, e all' ingiu, e pe'
lati, e non V ho per cosa soprannaturale, e che quindi poi ne vengano gV
impulsi alle sensibili cose : ma egli e
che noi altri uomini abbiamo questo mode
di fare, che quando noi non giunghiamo a intendere una cosa, o noi siamo cotanto temerarj che,
perch6 noi non V intendiamo, la neghiamo ; o tanto facili, che le assegniamo
nna cagione sopra naturale, senza sapere
quelche ella si sia per quietarci nella
nostra insaziabile curiositade ; tratto di coteste cose del moto, perche in che
modo stieno i movimenti delP anima
imraortale e di sovrana fattura, ancor che io vi opponga per mantenere il discorso, e
investigare meglio il vero; io so e
credo quel che io debbo credere; ma che da
noi si possa giugnere col nostro intendere per le vie cbe voi fate, oh ! questo io T ho quasi per
impossibile. MagioUi. — Ma quando fosse
quel che voi dite, pur ci vorrebbe un
geometra perfettissimo, e sopra le cose nostre
inferior!, il quale avesse saputo con sopra natural maestria fabbricare e situare questi canali e queste
vie col loro debito declive maggiore, o
minore, e posto a^ lor luoghi si ordinatamente, e dato a tutte le variety degli
umori che vi debbono scorrere, i lor varj pesi a ragione, come non
solamente nell' universe, ma anche nel
microscomo camminar si veggono tutte quante le cose con ordine, e proporzibne,
e tanti moti di vita non cessar mai
finche e^n6n si muore. Ma pure dope
morte finiscono, avvegnache i canali iie' cadaveri si scorgano interi, e non guasti, e gli umori vi
si ritrovino ; ma perduto il raoto,
adunque, questi movimenti maravigliosi non
hanno 1' impulso loro dal declive, quantunque forse il declive gli agevoli loro, e ne apra loro le vie ; e
pero e' convien credere cbe r anima abbia sospinta, e con altra forza
sospinga e muova le cose, che con quella
cbe voi dite ; e s' ella venisse d* onde
voi mi date ad intendere, le maestranze appareccbiate con ordine, e con regola
cotanto eaatta, non sarieno da cagione
corporea, ma da cagione intellettuale e divina,
cb' e principio universale di moto, perch' essa e quella che adatta si maravigliosamente e dispone le cose
a pigliare il moto ed operare con tant^
proporzione e virtu. Bafinio. — Anche
le anime vegetative, e le sensitive averanno a vostra detta il loro movimento
da Dio. Adunque anch* esse immortali
saranno ? Magiotti. In sentenza platonica (contradicendo per6
in qualche piccola parte a Platone) egli
e assai agevole a sopire la vostra
dificult^, impercio che si come le anime
razionali adoperano in virtu di quel moto, vita, e azione, innestato dal Supremo Arteiice per entro la
sustanza loro perfetta, intera e
incorporea per impulso di forza infinita;
cosi il moto loro (come detto si e) e si la vita e 1' azione loro viene a essere perpetua e immortale ; ma
nell' anime irrazionali, le quali pare
che Platone abbia anch' esse per
immortali, nulla di meno, ancor che mortali elle sieno, il lor moto, la lor vita, e la loro azione dall'
anima universale riceve lo impulso, il quale compone in quelle 1' azione con quelle ordinaraento cb' esso moto ritrova
addirsi alia disposizione varia de'
temperamenti e degli organi che hanno da
muoversi; onde o la vegetabilit^ sola ne resulta, o la sensibilita con esso la vegetabilita
insieme congiunta; imperocche esso movimento delF anima universale da sospinta alia disposizione delle parti official! de^
corpi, e inducevi la vegetazione, e^
sensi per il modo che noi veggiamo ; e que8ta puo cbiamarsi sustanza
mliteriale, e corporea, perche quest'
anima vegetabile, e sensibile, non e anima da s^ senza essi organi, e disposizioni che concorrono
insieme all' azione 6 alia vita, e
mancando e morendo gli individui, e disfacendosi la struttura de gli organi
loro, esso moto, e azione, cbe ha Purto
si bene ordinato dalla ragione e dal movimento dell' anima del mondo, finisce
di esser anima propria, e rimane
nell'universale componimento dell'anima del mondo. Ma ne anche ^ difficile il rispondervi nella
vera nostra dottrina: impercio che l6 anime razionali ricevono I'impressione
de'moti loro dalla forza infinita della mano divina, quando ella le crea sustanziali, e
incorporee, allor che finito di fare il
feto, informano il suo corpo, e perche il moto,
la vita^ e le azioni loro sono totalmente nell' anima, e dalla disposizione di esse membra organali anzi
ricevono impedin^ento e contradizione, che sveltezza e sussidio a' lor
moti divini. Essa anima e anima ancorche
fuori de' corpi, ed ha fuori di essi piu
libera 1' azione, il moto, e la vita; e percio,
anche morendo i corpi, ella vive immortale. Le anime vegetative poi, e
)o sensibili corporee sono si come detto
si e; concio sia che la parte della vita e dell' azione loro consiste nell' attitudine e positura
corporale organica, e ne' temperament!
varj degli umori composti insieme, e parte
nel moto, il quale avvenendosi in esso corpo e disposizione atta a riceverlo, tra '1 temperamento degli
umori, tra la disposizione degli organi,
essi corpi ottengono le azioni loro per
un modo o per 1' altro dal moto assegnato alia natura da Dio ; e percio esse anime per tal maniera
ricevon potenza di vivere le vite loro ;
delle cui vite e Tesoriera la madre natura
per compartirle di raano in mano alle nascenti cose, e succedenti V una
dopo 1' altra in perpetuo. fi impero che questo
moto, che s' infonde ne' corpi dal ventre della terra, ond' egU esce, e dagl' impulsi delle operazioni
natural!, e fuoco, e aere, e umidore ne
mena seco, e con fluidezza e agib'ta indicibile per essi organ! discorrendo in varie
guise, rende vivificazione continua e
accrescimento nelle vegetabili creature, e un eccitamento di senso nelle
sensibili, per quel sovrano modo che da
noi non s^ intende ; ed essendo esse anime e formandosi per loro un componiiuento di corpicelli, e un
temperamento corporeo che le racchiude; corporali e materiali si chiamano, perche per se nulla non sono senz' essi
corpicelli bene accordati a ricevere il moto nel corpo maggiore dell'
individuo. Buonaccorsi, — Quel che mi
fa maravigliare si e, come Yoi abbiate a
mente tanti e si be' luoghi trovati anche negli
autori di piu credito gentili ; ma a maggior miracolo della sapienza, e contemplazione di quell* uomo
esimio di Socrate, se ne leggono molti,
e n^* Apologia^ e nel Fedone, e non solo
per r immortality dell' anima, ma si e avanzato lino a far conoscere la necessita del Purgatorio, e
del Paradiso, e deir Inferno ; e avvegna
che con qualche differenza da quel che
veramente e' sono, pure ebbe talento da conoscergli ; e come che piii e piu altri ne abbiano scritto
con favolose invenzioni, Socrate ne ha
favellato da senno nel punto della sua
morte, aUor che da ognuno e'si dice il vero, e che lo intelletto non va vagando dietro a favole
finte. lo so che questi sono luoghi
letti, riletti, e considerati da tutti noi
piu e piu volte, ma toman si bene al nostro proposito, ch' egli e ragionevole di replicargli ; ed io
me ne piglio Tassunto, e vovegli tutti
recitare da capo per maggiore autentica
di quelle che ha ragionato si dottamente Don
Raffaello sin'ora. Ascoltatemi, dunque, vi prego, che io vo'contarvi cio che viene ragionando nel
Fedone con singolare e sagacissima saviezza, per rendere s^ medesimo persuaso
dell' immortalita dell' anima in quell' ultimo punto ch'egli era su il morire, assegnando all'
anime de gli uomini luoghi appropriati
secondo i meriti fabbricatisi nella vita
di qua; seutite di grazia. Ei si fignra qnesta terra non avere il colmo
piii alto della sua sfera in questa
superficie, dove ditnoriamo noi ; anzi
noi, e tutti quanti gli altri sog^ornare nelle cavitk della ten*a, e tale essere queste regioni, dove noi
abitiamo, imperci6 che e' si fa a credere la vera, nobile e piu pnra
superficie, 6 sommita di essa, sopra di quella esser locata, che da noi chiamasi atmosfera ; anzi piu in su che
1' aere non e ne'confini del cielo;
verbigrazia (che so io?) in quella purissima e lucidissima sostan^a che etere
si appella; e di quaggiu da questa bassa parte dove noi stiamo, veggendosi
il Sole e gli astri, si come anche in
questi bassi paesi tante belle e
maravigliose fatture isguardando variate con tanti e si diversi colori, che in queste nostre
abitazioni si perfette ci paiono, niuna
di loro aver che fare con le piu eccelse
ch' e' si vien figurando lassu, ed essere queste imperfettissime e
impurissime in agguaglio di quelle, che si vedrebbero da chiunque si potesse
fermare su Tali in que'superni luoghi, ed ivi mirasse quelle onde son ricavate
queste, che scorgerebbe e quelle di 'tal
sorta, e piu altre stupende manifatture,
e lumi, e colori, oltre ad ogni comparazione
beUissimi sopra qualunque di queste, che corrono agli occhi di noi altri mortali abitanti in si fatte
concavitadi. £ cio con molta maggior
differenza di quel che si facessero i Pesci
dal fondo del mare, i quali per entro quelle arene e pantanose caverne,
non avendo volo da alzarsi su la superficie
deir acque, ne vita da reggervi, mirano i raggi del Sole e delle steUe penetranti giu per lo filo dell'
onde tutti annacquati, e adombrati, e confusi; laonde per cio sMmmaginassero di
simiglievole maniera essere veramente le stelle, e il Sole, quali eglino le scorgono di
colaggiu ; cosi e a noi, che non avendo
piurae da travolare sopra quelP etere, abbacinati standocene entro V umidore
grossolano di questi vapori, ci crediamo
la luce del Sole e le altre cose belle, che
lassti scintillano^ non essere piu leggiadre e piu vaghe di quel che a noi e conceduto di scernerle. In
quelle altissime piagge, adunque, e le
piante, e tutti quanti i germogli, e le
cose animate, reputa che ivi sieno di somma perfezione e Don a
mutatnenti suggette e a corruzioni in verun conto che sia; e le gemme piii preziose di qua, e'
Topazii, e' Rubini, e'Diamanti stessi, e le Perle, e le altre gioje di
piii alto pregio, essere la feccia piii
impura di quelle che lassii si ritrovano
; e in somma quelle sovrane regioni di si nobili cose essere adorne, e di oro, e di argento, e
di altre simiglianti chiarissime e lucidissime sopra ogni vostro credere e conoscimento, che quivi nascono e piii
perfettamente si conservano, per guisa
che a vederle e a goderle sia veramente uno spettacolo d' incomparabile
godimento^ e beatitudine. Quivi trovarsi e Paesi Mediterranei e creature
ragionevoli, molte di piii schietto intendimento, che qua tra di noi non sono, e di tanto in tanto avervi delP
Isole, le quali non lungi poste da
terraferma sono circondate dall'aere,
conciosia cosa che quello, ch'e a noi e alle nostre Pacqua e '1 mare, a loro essere 1' Etere : e in fine
tutto la ritrovarsi temperatissimo, e
per le stagioni, e per Taure che vi spirano, e vivervi quelle fortunate genti
di continuo senza ammalarsi, e forse
senza morire. Di piii giudica che vi si
scorgano ricchi tempi sacrati a gli Dii. e con esso gli Dei medesimi convivere gli uomini, e conversare
domesticamente. Imperfetio. — Mi
rassembra che Socrate quasi tenga che
tali maravigliose e ragguardevoli regioni sieno i pianeti e gli astri, dove appunto Platone colloca la
dimora delP anime, assegnata loro quando
da Dio dopo V anima universale si
formarono; a'cui beati luoghi le piii pure di continuo dopo lunghe peregrinazioni facciano ritorno. Buonaccorsi. — S' immagina appresso che per
entro tutta questa gran terra si trovino
innumerabili concavita di luoghi circolari, parte piii profondi e parte piii
alti, e piii ampi, e parte che abbiano
apertura e spazii eziandio minori di
quelli, che abbiamo noi, e piii cupi anche de' nostri, e tutti questi incontrarsi sotterra scambievolmente
tra loro, con varii andamenti ed uscite ;
pe^ quali e grandi acque, dove
caldissime, dove freddissime, e voragini, e fiumi di fuochi in varii luoghi di esse sotterranee spelonche
muoversi e raggirarsi; e in altre di
esse cavity credono che umori fangosi vi stagnino e sieno menati in giu e in sn
ondeggiando, a simiglianza di uno
qualcbe gran Taso pensile che si agiti 6
muova. Dopo cio, della maggiore e pin ampla voragine favellando, che \k sotto dimori, la quale per
tntta quanta Tampiezza entro terra
trapassa e distendesi, mostra che da Omero
fa chiamata il Baratro profondo sotto terra, e
da molti altri Poeti nominata Tartaro, nel quale tutti i fiumi sotterranei concorrono, e indi si
spandono, ed esconne ad innafQare la
superficie nostra terrestre in mari, in laghi,
in fonti e in fiumi Tarii disseparandosi, e con Faria e co' fiati interiori, come anche col movimento
interne di queste acque, formarsene i
venti, i turbini, e terremoti, che scaotono la terra; e di tal sorta di acque
tiene parimente che sia Acheronte, e la
Palude Acherusia, e la Stigia, e il Piriflegetonte, e Cocito. Ora essendo per
tal maniera disposte si fatte cose, e
sopra detti luoghi i morti pervenendo, dove
dal suo proprio demone ciascnno si conduce, quivi innanzi a ogni cosa giudicati sono secondo loro
meriti, o demeriti di chi visse
onestamente, e con dirittura di ragione, o di
chi fe' il contrario. Coloro, che tennero, vivendo, una mezzana via,
valicando Acheronte sopra alcuni carri, pervengono alia Palude Acherusia, e
quivi si purgano dalle colpe loro, pene patendo
pari aUor falli. Purificati poscia^ assoluti rimangono, e ciascun di loro a
proporzione delle opere buone e lodevoli
ne riportano condegna mercede. Ma queUi
i quali nella malattia e putredine delle enormita de' delitti di varie sorte insanabili sono, precipitano
nel Tartaro, d'onde mai non ritornano.
Alcuni poi, che peccati avranno commesso curabili, ma grandi, per essere prima
venuti a pentimento, caderanno si nel Tartaro, e condannati sarannovi per un anno o piu ; ma poi da quell' onde
gittati fuori^ quali per lo Gocito, come
i micidiali, quaU per lo Piriflegetonte,
come i violatori del Padre e della Madre, solamente che pentiti e' ne
fieno, vengono a galla su la Palude Acherusia, di dove chiamano ad alta voce, stridendo, que^
tali che gli hanno o£fesi, e pregangli a
lasciargli varcar la Palude, ed essere
da' lor castighi prosciolti ; il che se ottengono, pongono fine a' lor
mali; quando che no, nel Tartaro rigettati sono, si dura pena imponendo loro i Giudici. Ma gli uomini pii e giusti trasvolano a piu
alte regioni, abitando quelle beate
Provincie, e purissime, che abbiam detto
starsi cotanto sopra terra; e parimente quelli, che avendo in molte loro opere fallito, si sieno
dipoi sufficientemente purgati per mezzo della filosofia, essi pure senza corpi vivendo, hanno ottenuto in sorte dimore
anche piii belle delle sopramentovate,
le cui maravigliose bellezze non e
facile ad uomo di dimostrare : « e pero (dice Socrate) deesi, o Simmia, porre ogni studio in questa vita e
conseguir la virtu, e la sapienza,
perciocche bellissimo e 'I premio e di
gran cose si e la speranza, Che poi esse, che contate vi ho, sieno a punto in si fatta maniera, non e da
uomo di senno r affermarlo : nulla di
meno si convien credere, o che tali elle
sieno intorno alle anime nostre e all* abitazioni loro, o ad esse simiglianti; e conciosia cosa che
egli appaja con tanta verisimilitadine
che le anime nostre sieno immortali,
mette conto correre un si bel risico. Egli e adunque ragionevole munirsi
ed allestirsi a questa peregrinazione, ed
abbellirsi delli ornamenti della virtu, cioe della temperanza, della giustizia, della fortezza, della
liberty dell'anima, e della scienza
della verita, aspettando il tempo ed apparecchiandosi per essere pronto quando
ne chiami il fato.» Di si fatte
considerazioni sopra V anima immortale, e sopra sue degne prerogative aveva poco innanzi Socrate
per tal modo ragionato, quantunque non
con certezza indubitabile di affermativa, siccome colui che per altissima
immaginazione naturale, e non per divino soccorso di fede ne favellava ;
diceva bene, che tutto quello, il quale
intorno a ci5 si discorre, saria di
animo troppo debole e pigro chiunque sottilmente non V esaminasse, o repudiasselo, e da esso
si dipartisse senz' avere innanzi, con
ogni acutezza di ragione, adoperati
tutti i pesi piu legittimi de gli argomenti, e badatoci ben bene fino all' ultimo sforzo del nostro
intendere. « Impercioch6 (segue poi) fa di mestieri I'una delle due, o
apprendere in qual modo elle possano
essere, o rinvenirne totalmente il vero, e dove qaesto conseguir non si possa,
appoggiarsi ad una delle pin forti e piu
stabili ragioni umane cbe se ue abbiano,
scegliendo quella cbe abbia meno inciampi, ne
debbasi percio rifiutare, ed ivi posarsi; acci6 cbe sopra di essa portati come sopra un legno de* meno
gelosi, valichiamo per le difficultose
tempeste il mare di questa vita, mentre
non se ne abbia qualcbe pin sicaro e piu ben fondato mode, quasi un piu fermo yeicolo che ne conduca;
come sarebbe a dire, qualcbe divina
parola, la quale piu sicuramente, e con
minor risico lo ci faccia trapassare ;» la qual divina parola si 6 quella, cb' h toccata per sovrana grazia
di udire a noi introducendone nel Porto
della verita, con esso grirrefragabili insegnamenti delle sacre carte. Ora, cbe
dite di qnesto filosofo esimio, che tanto s' inoltro col lume della natura solamente, a scorgere i lumi della fede? Ma
piu eziandio percbe avea descritto la felicita de^gpusti nell'altra vita in quel discorso antecedente al Fedane,
dov* e' forma la propria apologia: ivi
dopo aver fatto suo calculo di quel che
torni meglio immaginarsi intorno alia morte, considera brevemente quello che awerrebbe quando di la
non ci fosse nulla, il che non ammette
in verun conto per credibile; e viene
poi discorrendo cosi della beatitudine delle cose di lit: «S* egli e vero, si come io credo, che
la morte sia an passaggio da queste a regioni piu felici, dove albergano e vivono i defunti; ci6 h molto piti
desiderabile e foi*tanato, uscendo gli
uomini dalle mani e dall' arbitrio di coloro, che si annoverano da noi e tengonsi per giudici,
per condurci dinanzi a quegli che
veramente Giudici si nominano e giastissimi Giudici sono, i quali temperano
colli e correggono tutti i Giudici fatti
qua, come s^ ^ o Minosse, Radamanto, ed
£aco, e Trittolemo, e tutti quanti gli altri semidei, che giustamente e fedelmente vissero. E
simigliante trasmigrazione non e da apprezzare? Andar di Ik, e ritrovarsi
a conversare con Orfeo, con Museo, con
Esiodo, con Omero e con tanti e tanti
altri santi e valorosi uomini, e un tale
stato non e da anteporre a questo, dove noi oggi dimoriamo? Che
consolazione sar^ la mia, quaudo io arriverd da Palamede, da Ajace figliuolo di
Telamone, e da si grand! soggetti fatti
rei a torto per la nequizia de* Giudici nostri,
paiagonando insieme il mio caso co' loro ? Ed ivi trovare savie persone le quali esaminino e conoscano
senza errare chi da yero e sapiente, o
chi lo si crede di essere e poi non sia,
6 udire schiettamente la sentenza loro senza passioni, e parlare, e conferire insieme i pareri non e
ella questa una scuola di perfetta
sapienza? Ne e pericolo che vi si moia,
ne di essere come colpevole ucciso; anzi, nelle felicitli loro per tutto '1 tempo perpetuo essere immortali.
Per la qual cosa torua conto pigliare
gioconda speranza della morte ; e questo
seco medesimo reputare per vero, e per infallibile, che nulla di 1^ possa intervenire di male a
gli uomini da bene, o vivi, o morti, ne
tal cosa per yeruna maniera che sia da
gli Dii porsi in non cale, e per6 io stimo piu utile senza paragone il morire che il yiyere.
» Imperfetto. — Ma della trasmigrazione
dell' anime destinate a purgarsi ne'corpi degP irrazionali, io non odo
ch'e ne dica nulla? MagioUL — Platone ne fayella e nella fine
del Timeo, e da molti altri luoghi si
ricaya ch'egli si fatto sentimento ayea
come uscito dalla scuola Pittagorica : ma si come colui il quale scorgeya la yerit^ per barlume,
riconobbe non solamente che F anime immortali fossero, ma che di 1^ ci fossero i premj e le pene, e fino quel terzo
luogo per purgarsi dalle colpe; il che eziandio de'cristiani ereticalmente e per estrema foUia hanno osato di mettore in
dubbio, acciecatisi da per loro nel lume della fede, quando si yede che il lume solo naturale e stato bastante a
insegnarlo a'piti sayj gentili; ma
perche senza la yeritk rivelata andavano
tentoni e al buio, cio ricercando, non h gran cosa che nel modo dell* essere e fignrarsi simili cose
sopra il nostro intendere, non tenessero il fermo a una cosa sola, ne
giugnessero per V appunto al yero, ma si bene yariando le maniere, e il concetto, avessero per molto chiaro la
proposizione di esse in uniyersale. Ptionaccorsi. — V rimango trasecolato come
Socrate giugnesse fino a conoscere che chi mdore senza sacramenti pericola, e chi con esso i sacramenti si
salva ; impercio cbe nel medesimo Fedone
fa awertenza che quegli i quali instituirno i riti e le cerimonie, non essere
stati altrimenti stolti e yili uomini,
ma sotto velami di parole aver voluto
significare cio che di vero detto si e, a£Fermando che chinnque non
purgato dalle sagre costumanze discendera air altra vita, esso vi precipiter^
nel fango rinvolto ; ma coloi il quale
fia purificato e contrassegnato co' sacri instituti, vi andra per abitare con gli Dei. Imperfetto, — lo confesso che questo e un
gran dire per uno che la nostra
religione non professi. MagwUi, — Egli
e che la verita e una (come piu e piu
volte si e replicato), e qualunque si studia ricercarla con disappassionata bramosia, ne puo arrivare
gran parte, perch' ella ne passa d* avanti ; e s' eila non si puo
apprendere per r appunto cosi com' ella
e, pur quella luce, awegna che adombrata
e non ben distinta ne disfavilla.
Dafinio. — In fatti se noi non avessimo la certezza della fede, e' si cammina con supposti molto
fallibili naturalmente discorrendo,
massime in quella si gran differenza che si
stima essere tra gli irrazionali e noi, che ce ne sono di quelli cui non manca se non la parola a parer
uomini. Magiotti. — Per quanto alcune
bestie arrivino di lor natura ad esser scaltre e avvedute, a badarci bene,
poche o niuna giungono ad avere T
accorgimento e la distinzione, per
debole ch* ella sia, che hanno anche i bambini innanzi a gli anni della discrezione. E poi di queste
s\ difficili proposizioni hannosi da addurre veirisimigliame e non prove,
altrimente il credere a che noi siamo fenuU non sarehhe piu ere' dere, Egli e bene il vero che la divina bonta
ha dato a tutti gli uomini intelletto e
ragione, a fine ch^ essi eziandio da per
loro, meditando col lume della natura, acquistino certi chiarori di sapienza ben fondata, con
esso i quali ponderando in si fatta materia il concorso delle verisimilitudini
per rispetto alio contrarie, che s'oppongono, e che negano la immortalita ; quelle ch' e' trovano
in maggior copia e di piu vif^ore a petto alF altre, dieno aiuto a' sensi, accio che e' si rendanO piii agevoli a
credere, quel che e' non sono atti ad
intcndere. E coloro che si lasciano assorbire
dair ignoranza e trascarano la Divina grazia, e gli instramenti dati
loro per esercitarsi in una studiosa, assidua, e acuta contemplazione intorno a si alte cose,
o chiuggano affatto gli occhi, e
credano, e se cio non fanno, tal sia di
loro ; impercio che eziandio i piu dotti e sayj gentili, come avete inteso, hanno talento di pervenirvi ;
ora se questi uomini di si sovrano intendimento, e per essere gentili, con libera conscienza di tenere e pubblicare cio
che loro piii ragionevol parea, hanno si
fermamente insegnato altioii r
immortality dell'anime; convien pur confessare che le probabilita grandi ci
abbiano e senza paragone in piu novero e
di piu forza che dalla parte ayversa non sono.
Dafinio, Noi siamo tanto gelosi
di questo vivere, che in dubbio non e
gran cosa che gli uomini, come condizione
tanto per loro desiderabile, abbian piu volentieri tenuto e per piu vera Timmortalita delPanima che la
mortalita; imperci6 che a quel tornare a non essere, chi e colui che non si senta tutto turbare, e raccapricciarsi,
meditandoci sopra ? E pero anzi la
passione che la ragione ha dettato loro
questo parere, come piu confacevole alia nostra natural
propensione. Magiotti. — Un Socrate
tanto superiore ad ogni umana affezione,
di cosi sublime sapere, si spogliato di tutte quante le cupidigie deUa terra, e tanto indifferente
del vivere, alia sola virtti tenendo
fisso il pensiero e il volere, si ha da
credere che, deluso dalla propria voglia di vivere, mentre lietamente moriva, abbia in questo a fallire?
Per la qual cosa puo sicuramente
affermarsi lui aver ci6 giudicato per
forza dMntendimento, non per stimoli di umanitade. Dafinio,
Son cose che la fede ce le insegna, e noi dobbiamo crederle; ma iTho per
troppo ardimento farsi a credere di
capirle naturalmente. Buonaccorsi. —
Gnardate se la veritii ci viene tra le mani,
dove noi non ci turiamo gli occhi, e la vogliamo conoscere ! Secondo
Platone le anime ritorneranno a'corpi umani; secoDdo Porfirio le anime sante
non ritorneranno a' mali del mondo.
Congiungansi (dice sant'Agostino) queste due sentenze, che ameudue insieme
dicono il vero, quantunque paia che,
ognun da se, e Platone e Porfirio si contradicano ; impercio che V anime non ritorneranno (egli e
vero) a' mali del mondo, ma si bene
ritorneranno a'corpi, per essere o nell'
Empireo eternalmente .premiate con esse le membra corporee, o nell' Inferno punite. Dafinio,
Gia noi sappiamo manifestamente V immortality deir anime, e solamente vi
ho contradetto, acci6 che,
rispondendomi, ambo venghiate a proforire si belle e maravigliose
proposizioni, come fatto avete; come altresi accio che niuno si persuadesse ch' ella si chiara
fosse per lame naturale, che si perdesse
o nulla valesse il lume della fede, nel
modo e per la stessa ragione ch'e stato il vostro giudizioso pensiero. MagioUi,
Ed io ho difesa questa verity infalHbile con si gran copia d' argomenti di probability.,
che udito avete, perche non si avesse
per impossible, e si tenesse alieno e
lungi da ogni sussidio di naturale ragionevolezza quelle che noi siamo obbligati di credere; laonde
dovesse essere in gran parte compatibile,
come ben fondata su prove autentiche, e per argomenti forti in natural
discorso, V opinione d' Epicuro, e di chiunque vuole dell' anime la mortalita:
e fin qui mi sembra essersi a sufficienza ragionato che le razionali anime immortali sieno,
parendomi ora mai tempo che dal signor
Gioseppe si ripigli il filo del Testo
Platonico, secondo la fattura che il Timeo s'immagina di questa anima universale, da cui pur troppo
deviati ci siamo. Luigi. — Ma dell'
anime ragionevoli quali sieno le faculta
loro, a differenza delle sensibili, e quali stromenti ell' abbiano per
le loro operazioni, avremmo caro di udire.
MagioUi, Non e tempo a proposito
di favellarne adesso, essendo una
materia da se, la quale a suo debito luogo verr& proposta, concio sia cosa che la dottrina del
Timeo, cni abbiam dato principio,
verrebbe presto presto in dimeaticanza, poiche giunti noi siamo a casa, e il
ragionare e andato piu oltre che io non credeva, e sono tre quart! di ora ch' e' sono sonate le ventiquattro ;
risolviamo quanto prima di andare a
cena, e domattina che riposato avremo e con
gli spirit! piu quieti, tirerassi innanzi il ragionamento d! quest' anima universale secondo il Teste, e a
vo! si appartiene discorrerne, signor Gioseppe. Buonaccorsi,
Quando sarete desti, e che vi parra 1' ora, venitemi prontamente a trovare, che io
obbediro ai vostri comandi, quando vi sia
in piacere, perche (come ben sapete) io dormo poco, non avendo fumi di vino da
digerire, che mi vadano in su. Che gli uomini non abbiano qua ferma dimora,
e che ad altri luoghi destinati sieno
dal Fautore Eternale, tra molti e molti
argomenti che se ne scernono, quello pare a
me sopra gli altri aver grandissima forza, della inistabilita degli animi loro, imperciocche della varieta
dilettandosi mai sempre senza costanza
veruna, niuno soggiorno ci ha, quantunque soUazzevole e desiderato da loro, il
quale allorche e' vi giungono gli fermi
e gli quieti, e noioso in breve loro non
divenga, altrove ben tosto rivolgendo il pensiero. Ecco noi, attediati dalle bellezze piu deliziose e
piu magnifiche di Tusculo, alle piu
naturali e di niuno artificio di Nemi in
si virtuosa conversazione venuti semo, che meritamente esser questi i piu grati diporti di Diana gli
attribuirono, e non molto andra che
anche qui rincrescevole la dimoranza ne
fia, e ad altri paesi dirizzeremo il desio ivi perfetto e non mai sazievole
godimento aspettando, ma cio indamo, imperciocche stabile fennezza non
otterremo gia mai, finche vita avremo :
si parimente, di qualunque altro diletto favellando, cui volga I'umana
condizione sua cupidigia, quella nel
conseguirlo non ferma il volere, anzi sovente disvuole cio che pur voile teste, il che ne insegna
Lucrezio in que'versi, favellando degli
uomini: « Haud ita vitam agerenty ut
nunc plerumqite videmua: Quid aibi
quiaque velit, nescire, et qucerere semper;
Commutare locum, quasi oniLs deponere posait. Exit acepe foras magnis ex cedibus
iUe, Esse domi quern pertaesum est,
subitoque reventat; Quippe /oris nihilo
melius qui sentiat esse. Currit, agtns
mannas, ad villam prcecipitanteTy
Auxilium tecteis qvMsi ferre ardentilms instans; Oscitat extemplo, tetigit quom limina
villce; Aut alit in somnum gravis, atque
ohlivia qua^t; Aut etiam properans urbem
petit atque revisit. Hoe se quisque modo fugit : etc,
» cioe a dire, annoiato fin di se
stesso si fugge, e da se allontanar si vorrebbe, cio e V anima che s^ inquieta
e trasporta il corpo in qua e in la, sua
debita residenza qui non avendo;
solamente lo studio della scienza (non ci ha dubbio alcuno) ne appaga, ne mai ci satolla, percbe questo
solo e degno pasto e proporzionato
delPumano intendimento, si come cibo
divino, conciossia cosa che ha per oggetto e per fine la verita delle cose. « lo veggio 1)611 che giammai non si
sazia Nostro intelletto, se '1 ver non
lo illustra, Di faor dal qual nessun
vero si spazia, » disse Dante, adornamento e lume della Poesia
Toscana. Ma egli e ben d' awertire, che
il sole per quanto illumina, e si
comprende in un attimo di sua luce V ampiezza^ nondimeno mirandolo fisso ci abbaglia, e nol possiamo
patire, non che distinguer raggio per
raggio. Nelio stesso modo e^ si scorge a
un tratto la chiarezza della verita universale, cioe lo splendore che ne circumfulge della sapienza
divina; ma chiunque si affisa in lei,
perdesi, la vista confondesi, ne si possono per alcun modo discernere a un per
uno i lumi di sua infinita virtude, cioh
a dire le cagioni special! de'miracoli della natura : Molto si mira, e poco si
discerne > disse lo stesso Poeta.
Per guisa che ne apparisce (egli e il
vero) un certo bagliore, e abbiamo le imagini delle cose vere nelPanima; ma in ogni modo si annebbiate
rimangono intra le caligini onde noi
siamo involti, che per una piccola favilla che in noi di quando in quando del
vero riluca, ne aduggia la mente per lo
piu una nuvola viepiu grande del falso.
Cio riconobbe Socrate, come che piu altamente
di ogni altro e^ contemplasse quest a lampada accesa, imperocche
avvidesi ben tosto di non aver V occhio dell' aquila, e quietandosi anch' egli all' imperfezione
dell' umana natura, pronunzio al mondo quella sentenza che noi dicemmb da
prima: Qiiesf uno to so, che nulla io so. Sopra
I'esperienza, dunque, di cotant'uomo chiarito anch'io, m'acciiigo
solamente alia meditazione di me medesimo, mosso da quel savio ammaestramento, scolpito cola nel
Tempio d' Apollo : Conosci te stesso. Tale si e la vera e piu sincera
scieiiza^ ove dee studiarsi ciascuno di
pervenire, a intendimento di potersi di
se medesimo valere a ragione, usare de' proprj
strumenti per quello a che dati ne furo, e non iscompor 1' ordine col
quale a perfettissime operazioni gli dispose il Maestro Eterno. II piu delle
creature noi veggiamo esser composte di corpo e di spirito, e niuna piu
soUecita cura per natural talento porsi
da loro, quanto di conservare e 1' uno 6
gli altri insieme congiunti a mantenimento ciascuna del proprio individuo ; per la qual cosa elle s'
ingegnano di ristorargli, e da tutte le corporali infer mit^ di tenerli
sani, solamente a fine di sottrargli da
ogni rischio di separazione; il medesimo ne piu ne meno gli uomini fanno,
imperocche null' altro per loro s'attende che ad investigare rimedj contr' a' mali del corpo, ma poi poco
o nulla si bada agli antidoti contro le
malattie dell'animo. Di questa arte
nuova di medicina von-ei, impercio, che maestri esperti noi divenissimo,
e si come i medici il piu della dottrina loro
nella Notomia ripongono, ancora a noi tutta la nostra in essa fondare e richiesto, cioe nel
conoscimento con ogni studio di noi
medesimi. Ma lo intendimento nostro fia al
sicuro d' assai piu pregio, conciossia che i medici riveggon sottilmente ogni minuzia del corpo umano, e
gli ordigni considerano, e lo
intrecciamento di tutte le membra, di tutte
le viscere e di qualunque delle piu minime particelle interiori, a fine
d' intendere le operazioni yitali ; ma cio e solamente per temperarle e per
ricomporle, qualunque volta stemperare e
scomporre si veggiano; dove in questa disciplina novella s^insegna la valuta si
e la situazione degli organi in quanto
e' servono per canali de' sensi ; ma perche
e^ sono ancora la sede delP intelletto e deW altre potenze deiranima, imparasi eziandio per tal via come
mantenere ben d' accordo due movimenti
contrarj sotto le leggi del dovere, e
come P intemperanza deU'uno moderare con la
temperanza deU'altro. Di modo che questa utile e salutifera scienza
della Notomia, adottata con proporzione e a
soccorso della natura, e altresi a correggimento dell' animo, essa ne fia giovevole per a quella felicita
per venire, ove ansiosamente aspirano i saggi, cioe a godcre mente sana ia corpo sano; percio mirabilmente Platone nel
Timeo definisce la sanit^^ essere una
comuae concordia delP anima e del corpo,
cioe quando il corpo e valido e fermo sotto un animo molto piu valido; ma acciocche in tal materia
con debito ordine io proceda, diro, come
in principio mi si parano innanzi tre
operazioni tra se diverse insieme congiunte nelV uomo, le quali pure in varie
sorte di specie si raffigurano r una diversa
dalP altra. Ecco, nelle piante e 'n tutte quelle cose che si nutriscono e crescono, opera la
vegetativa sola, imperocche esse mancano
del sentimento ; ne' bruti la sensitiva
insiememente con la vegetativa, essendo che
la seconda e consecutiva della prima, e pero crescono, nutrisconsi, e di
piii hanno sensi; ma agli uomini si dee arrogere la ragionevole, che e la piu
perfetta, ond' egli hanno senso,
crescono altresi e nutrimento rioevono, ma soprattutto gl'informa lo intelletto
e la mente. Tali sono quelle diverse
qualitadi o moti (che noi dir gli vogliarao) che anime da' naturalist! si chiamauo, cioe tre forme
dove elle sono disgiunte e in oggetti di
specie disformi allogate, conciossiache ciascuna da loro V essere, la vita ; ma
egli h manifesto che chi e piu perfetto nella sua fabbrica e capace di tutte queste operazioni varie, e impero nell'
umana natura esse si riconoscono si per
movimenti diversi, ma a una medesima e sola forma adattati, cioe a dire come
potenze distinte d'un'anima sola, in
quanto che tutte hanno a essere
instrumenti della ragionevole, e sotto di quella operare: percio (se ben mi
torna in mente) dissivi un giorno esger
raccolte in questa piccola architettura delP uomo tutte le potenze delP universo, e sino trovarsi
effigiata in lui 1' imagine della divina
mente, la quale allora quel piu risplende, che noi stenebrare la sappiamo da'
nugoli degli aifetti, e tener monda e
ben custodita dalle sozzure e dalle
corruttele dei sensi. Ora dunque per piu agevole intelligenza di questo dir ne conviene (non mi sembra del
tutto inutile, ovvero lontano dalla
materia proposta) il venire in ragionamento sopra le opinioni che s' ebbero
negli antichi secoli da quel grand'
uomini intorno a quest' anima, talmente che
molti 1' assegnarono all' universo, come principio in esso e cagione del moto, pel quale si trasfondesse e
si traducesse da piu alto cominciamento
la virtu seminale nella natura maestra
di tutte le innumerabili generazioni che si fanno nella materia. Quindi con viepiu agevolezza
trarremo argomento di quel che sia 1' anima che essi appellano vegetativa, e si
pure gli organi dove s' attaccano i suoi movimenti speciali, come e a dire nelle piante; indi
trapasseremo alia sensitiva, dove
acconciamente si potr^ dell' edificio de' corpi
trattare, per poter poi, staccati dalle sostanze piti basse, favellar dell' anima ragionevole e delle
quality eccelse ch'ella ebbe in dote
dal. suo Fattore; poscia farem riflessione siccome r uomo per mezzo di quelle
dee istruire se stesso nella virtii
morale che alle leggi ci regola dell' intelletto, mantiene incorrotta in noi la
sembianza della suprema ragione, e apreci la via e ne illamina per ritrovare
quel bene perfetto, che noi tuttodi alia cieca in qaa e 1^, e spesso in oggetti a lui del tutto contrarj andiamo
cercando. Offizi della facoltd delta ragione. Luigi, Nella regione, dunque, di sopra ha suo trono
la ragione. Magiotti,
E per cio ad essq, si appartiene di comandare a quella che sta di sotto,
e governarla e tenerla a freno, come
compos ta d^ una moltitudine di yassalli, per lo piii sfrenati e senza regola, e percio da
questa sotto il suo comando si conviene
all' altra obbedire. Luigi, Ma se ella
e piena di tumulto e di confusione
recalcitrer^ per lo piu. Laonde non occorreva darlaci, mentre alia parte
razionale diventa molte volte contraria e
rubella. MagioUi, Anche questa « atta a divenir ragionevole
se alia ragione obbedisce, e a^suoi savi
ricordi; anzi a quella sovrana
dominatrice tocca di rimetter Y altra al debito segno, e valersene a tutte le azioni lecite e
lodevoli, che eUa risolve di fare.
Essendo^ dunque, la ragione signora nella superior parte del corpo, ivi e dovere che alloggino i
suoi piu principali e piii confidenti rainistri; acciocch^ le assistano siccome
consiglieri primari, e questi sono le facoltk, pero dette potenze principali delP anima. Luigi, Ma
queste quali son elleno ? Imperfetto, —
Memoria, intelletto e volont^; ma dichiaratene di grazia qua' sleno veramente
gli offizii loro. Magiotti. —La memoria conserva nelF archivio e nella segreteria che ella ha in custodia e sotto
sua chiave la maggior parte degli
oggetti varii che le sono cola entro
tramandati da' cinque sensi che detti abbiamo ; per le cui porte s' intromettono come dispacci di belle
e varie no vita tutte le specie, e
immagini esteriori sensibili; e siccome
molte, data loro a pena un' occhiata, yi si ripongono senza badarci come di non grande importanza; alcune
poi di maggior rilievo dall' immaginativa o fantasia, come detto si e, pongonsi innanzi all'intelletto, dove egli,
come dentro uno specchio ben chiaro, a
posat'animo le rimira; avendo egli r incumbenza
di considerare diligentemente e di intendere
quel che esse sono, recandone poi alia ragione un giusto e puntuale ragguaglio. Questa appresso ne
discorre seco maturamente, e esaminano insieme con aweduto raziocinio e con ponderate riflessioni se elle son buone o
triste; e per tal modo ne nasce il
giudizio, col cui consiglio la volonta
delibera di fame conto o di lasciarle. E percio di si ben ayvertita deliberazione, e della esecuzione
di essa, ne ha la cura la volonta, la
quale firma il decreto di volerle, o di
non le volere secondo la disposizione del sopraccennato consiglio
supremo. Luigi, Dell'ingegno pi6 o meno vivace degli
uomini nel discorso di questa porzione
superiore, voi non ne avete favellato
punto ne poco, quale e la sua funzione. E' si dice pur tutto di: il tale ha belPingegao, ha
ingegno vivo, e uomo d'ingegno
spiritoso; insomma pare che chi non ha
bell' ingegno, non abbia discorso ne attitudine, e quasi stolido o
mentecatto sia. Magiotti. L' ingegno, per dir quello che all'
improwiso mi viene ora in mente,
crederei che fosse una fabbrica interna dell' uomo, che si forma per mezzo
dell' intelletto e della memoria; e
percio giudico che 1' ingegno si risvegli
con agevolezza in una mente doviziosa d' immagini varie, raccolte insieme in piu tempo, o dall'
osservazione d' innumerabili cose di diversa maniera passate pe' sensi, o dalla lettura di piu e piii sorte di sentenze, le
quali cose abili sieno a muoversi con agility e dieno stimolo e apertnra alia chiarezza dell' intelletto di inventare
e di formare di quelle medesimef
accozzandole o innestandole tra loro con
bel modo, nuovi e maravigliosi disegni per entro la mente, onde ne result! un concetto leggiadro e
vivace, il quale ancorche di piti e piu
belle cose altre volte a noi note composto sia, giunga nondimeno nuovo, e
generi maraviglia in chi Tode; tanto che
perche un ingegno produca e fabbricbi da se medesimo, vuolci la memoria che
presti delle piu belle immagini che ella
in se contenga, e la fantasia e r
intelletto lucido e distinto il quale le sappia con belP ordin collegare e attaccare V una con V altra in
guisa, che di piii cose vedute a avute
fra mano, se ne concepisca un' altra da
se, nuova e non piu veduta o sentita. £ allora piu belli e piu vaghi si partoriscono simili concetti
ingegnosi, quanto maggiore raccolta e di
piu pregiate cose abbia la memoria fatta
innanzi conserva. Yero e che glMngegni si variano r uno dall' altro e piu pronti riescono e piu
veloci, e vie piu atti a bizzarri e
spiritosi concetti; e con piu o meno prestezza te gli formano secondo i
temperamenti diversi della corporatura
di chi gli possiede. Imperciocche come gli spiriti che salgono dalla porzione inferiore abbiano
la lor tempera fervida e secca; di
subito con la vivacita loro da uno moto
e stimolo all' intelletto e alia memoria, che molte volte, senza dar tempo a veruna ponderazioue degli atti
secondi, di presente alzano moli ingegnose di vari pensieri alti e di spirito
; e quindi giudicherei che nascesse
quello che entusiasmo si chiama, il
quale non rassembra dissimile a' sogni, imperciocche i sogni si formano
dormendo di pezzi dalla immaginativa, e lo piu sovente senza conclusione; e i
parti dell' ingegno stesBO negli uomini appena desti, e a cervello
riposato la roattina al buio, anch'
eglino vengono in luce alia mente, e
rappezzansi parimente di varie specie, onde io repute ch' e' sien anch' essi (sto per dire) sogni a
proposito. E cio piu o meno vivacemente
succede, e piii tosto, o piu tardi,
secondo che la fierezza o agility degli spiriti muova le potenze
deH'anima a simiglianti operazioni. e all'ora dicesi deir uomo che egli abbia
piu o meno pronto V ingegno. Di qui
parimente avviene che chi ha piu bello ingegno, abbia sovente meno giudizio, imperciocche T uno
colla sua teraperatura minuisce V abilita dell' altro ; essendo che 11
giudizio Yuole lentezza e flssazione di
riflessioni fatte dalla ragione 6 dair
intelletto insieme, per esaminar sottilmente e rivedere 11 conto a cio che sovvien loro. La cul savia
operazione ha duopo dl spiriti meno
ferventl, e che vadan di passo e non
corrano con Tali spiegate a dar moto alle loro azionl e deliberazioni ; e per cio V Ingegno
ordinariamente da per se sapra formare
abbpzzi blzzarrl e graziosl, e molte volte
subllmi e n(»blli conforml alle specie, che gli spirltl agili e accesi a un tratto nella mente soUievano, ma
non mai ben forniti di fare, se '1
giudizio con la su^, esattezza non da
loro Tultima mano. La qual cosa chiaramente si osserva neU'esempio de'pittorl tra' quail molti che
hanno spirito piu elevato e piu vivo si
veggono fare in un baleno schizzl di
varie figure ciascuna da se atteggiate con si bella propriety ed espression di
aflFetti, che sembrano aver moto e vita;
ma al comporne poi una tavola o una storia tutta insieme, non riescono nel disporle con
maestrla a' lor debitl luoghi, ne' quali
tornino bene per esprimere le attitudini e
i sentiment! corrlspondenti T una delP altra con ben aggiustata
simetria) Intorno a quello che slgnificare elle abbiano, perche a cio fare vuolsi attenta applicazione
e fermezza, che e opera dl giudizio, 11
quale mlsuratamente ne forml la
composizione, e piu e piii volte cancelli e rltaccia; ne tal cosa si puo comporre e mettere insieme In un
attimo a forza di vlvezza d' ingegno,
come 1 priml sbozzi si fanno, obbedendo
la mano alia velocity de* mossl fantasmi. Convien dunque fermar per vera e per indubitabile
sentenza, che quanto piu V uomo con la
continuazione dello studio e sotto una
bene accurata dlsclpllna negli annl piii teneri abbia megllo assodato e fissato 11. giudizio, anche
nelle persone dl spirito e d' ingegno ;
cotanto piii chlari e distintl e meglio
perfezionati vengon gli abbozzi loro Ingegnosl; onde la differenza in
tantl e si varj modi da un Ingegno alP altro si scorge; e questo e quello cbe
io so immaginarmi intomo agli nomini d'
ingegno, e quel che veramente questo sia, e
che adoperi nel ricettacolo della nostra mente. Ma per affermare quel
ch^ egli e, e se tale sia quale detto abbiamo, e se di tal maniera si facciano le operazioni
sue, come anche delle altre facolta delP
anima, Y bo per cosa molto oscura e
fallace. Imperfetto, Io stimo
certo cbe voi abbiate detto quanto se ne
possa dire, e sembrami in ci5 essere pienamente sodisfatto. Ma tornando alia
volonta, questa entro di se puo dire il
si o il no; ma chi eseguisce sotto il suo ordine? Magiotti, — Per eseguire quel cbe si e in si
prudente conBulta determinato di volere, o non volere una cosa, egli e d'uopo cbe la volonta abbia i ministri sotto
di lei, a cui ella dia gli ordini. Luigi. Ed essi ministri dove alloggiano
? Magiotti, — Questi i sopraccapi sono
della regione piu bassa, nella quale
comandano i due moti piu principali
sensibili, cbiamati il concupiscibile e V irascibile ; V uno e r altro promotori e caposquadra di tutti gli
affetti dati per guardia e per satelliti
alia ragione, accioccbe eseguiscano con
prontezza quanto da quella vien loro imposto: verbigrazia, i moti del
concupiscibile hanno da desiderare e
cercare il conseguimento di quel cbe la volonta, d' ordine della ragione ba determinato per buono;
ovvero ad accendersi il moto dell' irascibile per aborrire e per torsi davanti quel cbe la ragione col suo consiglio ba
giudicato per non buono. Imperfetto. — Questi duo adunque (che
appetiti si cbiamano) in vigor degli ordini eseguiscono quanto la volonta comanda loro; ma in cbe modo e con quali
strumenti cio fanno? Magiotti, — Spediscono ciascun di essi
numerose scbiere di spiriti, e di quelli
di mano in mano, cbe sono sotto la
condotta o giurisdizione delFuno o dslP altro arruolati, a dar sospinta a' movimenti necessarj delle
mani, dei piedi e delle altre membra
corporee a fine di pigliare ii possesso di quel che place alia ragione, a per
mettere in fuga e discacciare cio che le displace. Luigi,
Ma come si fanno elleno tante operazlonl la dentro in si poco spazio? Magiotti, — Egli e da sapere come queste
operazlonl fannosl dagli spirit! che sottilissimi sono, quantunque corporei ; ma le azlonl della mente sono Incorporee come
chi le governa e dispone, e pero gli
organi nostri aprono loro gran vie per
Insensibili e minime che elle ci paiano. Eccitandosi dunquein questa parte
inferiore delP anima nostra divers! affetti
6 perturbazionl, secondo la varieta degll oggett! che per via del sensl se le rappresentano ; subito la
parte ragionevole sommlnistra e
prescrive il modo di regolare e modlficare
essi affetti, lasciando bene a nostra disposizione ed arbitrlo di consentirv! o no con la volonta. Laonde se
la parte razionale si lascla vincere dalP affetto, e qudlo fa che 11 moto irraglonevole le detta, egli e segno che la
volonta sprezza gli ordini della
ragione, e f a a modo degli appetlt! disobbedienti, dove se ella alia ragione
accostandosl e alle sue savle
persuasioni, volta le spalle alP affetto e lo doma, allora essa la volenti regge e fa altresi la
porzione inferiore ragio- nevole
divenlre. Vero e che le faculta dell' anlma ragione- vole non vogliono mai quello che non sia
effettivamente buono, o che da loro per
buono accettato non sia. Orazio Ricasoli-Rucellai. Ruscellai. Keywords:
gl’amori di Linceo, imperfetto? perfetto – perfetto bugiardo. --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rucellai”
Luigi Speranza -- Grice e Ruffolo: la
ragione conversazionale dal guazzabuglio al possibilismo come terapia
eutimistica – la scuola di Cosenza – filosofia calabrese -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Cosenza).
Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Cosenza, Calabria. Torna a Roma dal
fronte della campagna greco-albanese della seconda guerra decorato con IV
medaglie al valore per diverse intrepide azioni contro il nemico, in cui e ferito
con arma da fuoco trapassante il petto. Organizza in seno al ministero dell'interno
una cellula di resistenza partigiana, che gli vale l'attestazione di partigiano
combattente e una medaglia di bronzo al valore partigiano. Per via della
delazione di un componente del gruppo di resistenza è arrestato dalla banda
Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione Jaccarino in via Romagna. Trasferito
in Regina Coeli, condivide la cella con PINTOR e SALINARI, discutendo del dopo
liberazione. Trasferito a via Tasso e interrogato da Kappler. L'iniziale
sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche ora prima
dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte dei tedeschi,
usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei III torpedoni in attesa
a Piazza S. Giovanni per essere deportato in Germania. Un IV torpedone e invece
quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso BUOZZI. Lee SS gli
impedeno il suo proposito di salire proprio sul IV torpedone, scostato dagl’altri,
avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato e non una reazione impulsiva
del comandante. Costretto a salire su uno dei restanti III torpedoni, si getta
mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far perdere le tracce e a liberarsi
nonostante le S. S. hanno fermato il convoglio e lo insegueno nella campagna
nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e prigionia da conto in "Roma -- storia
della mia cattura e fuga dalle S. S. dai nazisti” (Roma). Al termine della
guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto. Uomo colto, conversatore brillante
con battute spesso umoristiche. In occasione della trasmissione "Testimoni
oculari" di S. Zavoli, circa la detenzione a Via Tasso, venne intervistato
il fratello Sergio. La sua condizione di laringectomizzato per il tumore alle
corde vocali, e probabile causa della mancata intervista. Tuttavia non è
citato nella trasmissione, in quanto il fratello omite di nominarlo
nell'intervista, causando uno spiacevole dissapore familiare, tenuto conto
delle drammatiche e indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti insieme. Amico
e intrattenne corrispondenza tra gl’altri, con ORLANDO, LEVI, RAGGHIANTI,
BALDINI, TROMBADORI, VALERI, MORANTE, CASSOLA, MELLONE (‘Fortebraccio’),
GUERCIO, RIPELLINO, GABRIELLI, E STERN. Notevole la mole dei suoi saggi filosofici
e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri
saggi: “La cosmologica” (Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la
“metafisica possibilista” basata sulla teoria della relatività generale e della
fisica dei quanti; "America come pre-testo" (Roma, Ventaglio);
"Il possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma,
Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri di una esposizione” (Roma, Barone);
“Guazzabuglio” (Roma, Croce); “Oltre gl’ali di Icaro” (Roma, Mancosu). Nicola
Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo
specchio del diavolo, implicatura eutimistica-terapeutica. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza-- Grice
e Rufino: la ragione conversazionale del commentario filosofico – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Aquileia). Filosofo italiano. Aquileia, Udine, Friuli-Venezia Giulia. He comments
some ‘saggi’ by Origen. Tirannio Rufino.
Luigi Speranza --
Grice e Rufo: la ragione conversazionale -- NAM CVM ESSET ILLE VIR EXEMPLVM VT
SCITIS INNOCENTIÆ CVM ILLO NEMO NEQVE INTEGRIOR ESSET IN CIVITATE NEQVE
SANCTIOR NON MODO SVPPLEX IVDICIBVS ESSE NOLVIT SED NE ORNATIVS QVIDEM AVT
LIBERIVS CAVSAM DICI SVAM QVAM SIMPLEX RATIO VERITATIS FEREBAT – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo Italiano. Scolaro di Panezio. Combatte sotto Numanzia agl’ordini
d’Emiliano SCIPIONE (si veda) come tribunus militum ed e pretore
urbano. Al pari di MARIO (si veda) – e SCEVOLA augure, R. segue come
legato Quinto Metello nella guerra contro Giugurta. Quando Mario, quale
console, assunse il comando dell’esercito, R. ritorna a Roma. Console. R.
segue l’amico Marco Scevola l’augure nel suo pro-consolato d’Asia. Condannato
ingiustamente per accuse di nemici che si è procurato con la sua rigida onestà,
R. vive da prima a Mitilene e poi a Smirne, e rifiuta l'invito di SILLA (si
veda) di accompagnarlo a Roma. CICERONE conosce Rufo a Smirne. A Smirne, Rufo
scrive un "De vita sua" e una storia di Roma. È oratore. I suoi
discorsi hanno per la loro aridità impronta del Portico. Coltiva gli studi
giuridici. Militari romani e politici romani. Console della Repubblica
romana. Muore a Smirne. Gens: Rutilia. Console. Militare, politico e storico
romano. Comincia la sua carriera militare al seguito d’Emiliano Scipione
Africano minore, nella guerra in Spagna. R. è legato di Quinto Cecilio Metello
Numidico, proprio nel corso della guerra contro Giugurta, durante la quale, fra
i sotto-posti di Metello, vi è anche Gaio Mario. Si distinse nella battaglia
del Muthul, nel corso della quale fronteggia un attacco di Bomilcare e organizza
la cattura o il ferimento della maggior parte degl’elefanti da guerra numidici.
Eletto console, ha come collega Gneo Mallio Massimo, il quale arriva secondo
all'elezione. Le sue iniziative principali riguardarono la disciplina militare
e l'introduzione di un migliore sistema di addestramento delle
truppe. Legato di Quinto Mucio Scevola (si veda) l’augure, governatore
della provincia d'Asia. Aiutando il suo superiore nei suoi sforzi di proteggere
i provinciali dalle malversazioni dei pubblicani, R. si guadagna l'inimicizia
dell'ordine equestre, al quale i pubblicani appunto apparteneno. Venne citato in
giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli stessi
provinciali che lui ha fatto tutto il possibile per proteggere. L'accusa è
sfacciatamente falsa. Ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis -- il
tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali
accusati di ruberie -- sono scelte fra i cavalieri, la sua condanna è cosa
certa, a causa del risentimento che essi provano per lui. R. e difeso da suo
nipote Gaio Aurelio COTTA (si veda), e accetta il verdetto con la rassegnazione
che si addice a uno seguace del Portico e allievo di Panezio quale era
lui. R. si ritira a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne -- forse
un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori. È infatti accolto con
tutti gl’onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si è
comportato da funzionario corrotto -- e dove Cicerone lo incontra non più tardi.
Sebbene invitato da Lucio Cornelio SILLA (si veda) a fare ritorno a Roma, R.
declina l'invito. Durante il suo soggiorno a Smirne, R. scrive la propria
autobiografia e una storia di Roma. R. ha infatti una profonda conoscenza della
filosofia, della letteratura ma anche del diritto, e scrive dei saggi
giuridici, dei quali alcuni frammenti sono citati nel “Digesto.” R. su Treccani
– Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Momigliano, R. in
Enciclopedia Italiana. R., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. R., su sapere; Agostini, R., Enciclopedia Britannica; R., su PHI
Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore
Quinto Servilio Cepione e Gaio Atilio Serrano con Gneo Mallio Massimo Gaio
Flavio Fimbria e Gaio Mario II V · D · M Storici romani . Portale Antica
Roma Portale Biografie Categorie: Militari romani Politici romani
Storici romani Militari Storici Nati a Roma Morti a Smirne Consoli repubblicani
romani Rutilii Stoici. R., who came
after BRUTO, is the first tribune of the people, then Consul, and subsequently proconsul
of Asia. His ancestors had been both censors and consuls. All that is related
of him is, that he is in high esteem with OTTAVIANO, who supports all his own
plans by the reasonings of this great lawyer. Wise Romans. To the list of wise
men recognised by the Greeks, the Romans are proud to add other names from
their own history, thereby associating their philosophic principles with
patriotic pride. From their mythology ENEA is selected, the man who crushes his
desires that he may loyally co-operate with the destiny of his people. From the
times of the republic SCIPIONE africano minore and his gentle companion LELIO;
whilst in R. a Roman is found who, like Socrates, would not, when on his trial,
consent to any other defence than a plain statement of the facts, in which he
neither exaggerates his own merits nor makes any plea for mercy. Nam cum esset
ille vir [R.] exemplum, ut scitis, innocentiae, cumque illo nemo neque
integrior esset in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse
noluit, sed ne ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex
ratio veritatis ferebat. Cic. de Or. -- cf. Sen. Dial. Publio Rutilio Rufo.
Keywords: Filosofia romana. Luigi Speranza, “Grice e Rufo” – The Swimming-Pool
Library. Rufo.
Luigi Speranza -- Grice e Ruggiero: la
ragione conversazionale di Remo e di Romolo – filosofia meridionale -- scuola napoletana -- filosofia campaniana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano.
Napoli, Campania. Scrive “Critica del concetto di cultura” (Catania, Battia), cui
CROCE rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista,
senza aderire all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando
critiche alla classe politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina
e Roma. Avendo aderito all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei
valori del liberalismo lo rende un esponente di spicco dell'opposizione al
fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al
fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una imponente Storia della filosofia e di una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori
italiani. Indaga nella storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà
costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno
alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità. Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia
greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma
e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La filosofia moderna: cartesianismo” (Bari,
Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza); “Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età
del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel; (Bari, Laterza); La filosofia contemporanea
(Bari, Laterza); “La filosofia politica italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero
britannico dopo la guerra”, Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari,
Laterza); “Filosofi” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti
politici”, Felice, Bologna, Cappelli, La
libertà, Mancuso, Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La
Critica, I filosofi che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un
ritratto filosofico (Napoli, Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia
e politica (Firenze, Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Griffo, La coscienza critica del liberalismo;
Sgambati, Tra ethos e pathos. Il diritto
pubblico romano lascia, assai meglio del diritto privato, osservare le
discontinuità e le suture, a testimonianza delle sue radicali
trasformazioni. Esso non presenta un processo di sviluppo dall’interno,
ma piuttosto un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che fa
coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimulare i mutamenti da un periodo
a un altro. La preoccupazione costante dei ROMANI è di salvare la continuità
storica delle loro istituzioni, di sforzare il primitivo regime
cittadino, fino a includervi tutto il ricco contenuto degl’acquisti
posteriori. La città è per essi un più saldo organismo che non la
polis dei Greci: il principio della sovranità popolare, come
fondamento della costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e
presidiato, e, principalmente, le magistrature cittadine vi rivestono
quel carattere e quel prestigio monarchico, che vivamente impressiona un
greco romanizzato come Polibio. Lo spirito militare è in gran parte causa della
maggiore coesione e dell’acentramento della vita pubblica. Ma esso è
anche il principio della espansione della città in più vaste associazioni
politiche, aventi per base l’autonomia municipale, limitata soltanto
dalle esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse
militare suggerisce infatti la prima grande federazione che, col nome di lega
latina, aggruppa alcune città sotto l’egemonia romana; che sarà il
modello delle future aggregazioni. Il principio federale è
quello che salva il nucleo della città, pur mirando oltre la sparsa vita
cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa insieme con le
sue conquiste. Il lento processo di assimilazione dei popoli soggiogati
compiuto dalla civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva
dissoluzione degl’originari stati nazionali e indigeni e sulla
trasformazione di essi in aggregati municipali autonomi, e solo
militarmente legati a Roma. L’idea del decentramento amministrativo è
certo una delle più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia
tramandato. Ma essa ha per l’antichità un valore anche maggiore che per
noi, perché storicamente l’autonomia municipale è un passo
importantissimo nella formazione del nuovo principio dello stato,
che sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul riconoscimento delle più
minute unità cittadine, confluenti con la loro vita propria nel più vasto
organismo politico. Si forma così una patria communis, che ha sotto
di sé una patria particolare, domus od origo Questa doppia istanza della
vita pubblica, che da una parte favorisce la profonda esigenza del
self-government t dall’altra include il particolarismo locale, come momento
subordinato, nella più comprensiva vita statale, è una grande creazione romana.
I greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose colonie, la
vita delle proprie città, non riuscirono tuttavia a trarre dal
particolarismo cittadino nessuna idea superiore e comune; cosi perdettero
il frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di [Mommsen.
Le droit public romain, Paris] riflettersi nel suo principio creatore. Essi
posero in vita una folla di particolari in luogo di una universalità vera
e propria; ciò che ne distingue l’opera nettamente da quella dei ROMANI. Il
municipio costituito in seno allo stato e subordinato allo stato è certo una
delle manifestazioni dìù notevoli e feconde dell’età di SILLA (si veda).
Il periodo sillano rappresenta però ancora un’età di transizione
tra i due momenti, della città e dello stato, quando l’antico
particolarismo è quasi vinto, ma ancora non balza fuori la nuova
universalità. Il progresso, lungo questa via, fino all’età di GIULIO (si
veda) Cesare, è rapido e sicuro. E vi ha contribuito, più che
l’accrescimento diretto del numero dei cittadini, mediante l’estensione
del diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un numero sempre
maggiore di stati clienti, il cui regime consta, senza eccezione, di due
elementi: dipendenza legalmente determinata in rapporto allo STATO ROMANO;
indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il processo di romanizzazione
è sollecito per la sua stessa spontaneità. In presenza delle progredite
istituzioni romane, le città della provincia sono volontariamente tratte
ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti
inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un segno della spontaneità di
questo lavoro d’assimilazione è la scomparsa delle stesse tradizioni
della religione locale nell’occidente romano, come il druidismo nella
Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere come un premio
ambito ciò che pure è suo interesse precipuo di largire. Essa non accorda
a tutte le città un’adeguazione politica completa, ma la lascia sperare
alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che hanno tutte la piena
cittadinanza, vi sono città sine suffragio o città di semi-cittadini, con
diverse gradazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità verso la
capitale. La più grande forza di attrazione è da Roma esercitata per
mezzo delle colonie, formanti la vera ossatura romana della vasta
compagine imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani
coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio GRACCO (si veda), autore
di un primo grande disegno organico, a GIULIO (si veda) Cesare ed ai suoi
imperiali successori, si svolge un fecondo lavoro, che ha per scopo di
popolare di Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre
patria. Il principio veramente romano che presiede a questo lavoro è
epigrammaticamente espresso dal motto: ubicumque vicit Romanus, habitat. Ma
se noi guardiamo nel suo insieme la configurazione politica del grande stato
federale sull’unire della repubblica, e prima che GIULIO (si veda) Cesare
avesse stampato nel diritto pubblico i segni del suo genio
precursore, essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro congestionante
e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto alla metropoli. I magistrati
municipali di Roma sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia
non sono che un’appendice della capitale. Il rigido principio della
conquista sforza fino alle estreme conseguenze il potente particolarismo
nazionale dal quale prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di
Roma, nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza nuova di
sé, viene mortificata e depressa da una taccia d’irrimediabile
inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea unica che
attraversi e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il legame
che lo connette è estrinseco e sovrapposto, riassumendosi nella forza dell’imperium,
che sanci- [Sbn-ec., ad litio.] sce una eguale schiavitù ai popoli
sotto la potenza militare romana. Piccole città isolate e
sterminati regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso carro;
purché l’esterno legame sia salvato, Roma non si preoccupa della vita che
internamente si svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbitrio
di despoti indigeni. Essa regna sul mondo, ma non lo governa; si appaga
di un compito estrinseco di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci.
La sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento
del mondo a suo profitto. Questa deficienza veniva osservata specialmente dagli
orientali, presso i quali erano più vive le esigenze della comunione
spirituale dei popoli formanti uno stesso stato. Apollonio di Tiana,
anche quando l’impero aveva portato molto più avanti il lavoro di
unificazione del mondo, lamenta l’eccessiva materialità del governo
romano, che si strania ed aliena gli spiriti. Una profonda trasformazione di
regime s’inizia però con GIULIO (si veda) Cesare, che, per l’immatura
fine, non riesce a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di
grazia al nazionalismo latino e fonda la nuova idea imperiale,
distaccandone il centro dal territorio di Roma e idealizzandolo nella
persona del monarca. La legge cesarea dei municipi comincia col
parificare, in diritto, tutte le città, e col trasformare,
conseguentemente, il significato della preminenza di Roma. Questa non è più
l’impero stesso, ma la prima delle municipalità dell’impero, e le sue
magistrature scendono al livello di semplici cariche municipali. La
figura del monarca si distacca nettamente da quella del magistrato. Non è
più il princeps, cittadino tra [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken
Welt. Berlin. UI.'p. 110. 2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.] i
cittadini, ma il dominus che trascende tutto il mondo parificato al suo
cospetto e riceve la propria autorità direttamente dal divino. Questa
idea è affatto nuova allo spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare
l’attinge all’Oriente e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha
un significato teocratico e mistico, che viene accolto con
diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola dell’ultima età
repubblicana, ma conquista l’età seguente, dominata da uno spirito di
concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla
all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la sua fede viva ed
ardente. Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità giuridica
della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il re-divino, l’incarnazione
vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata dei suoi
ministri, tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto giuridico,
egli è il re-proprietario, al quale appartengono per diritto proprio le
persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono incapaci di
concepire sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è un
bisogno sensibile, immediato della loro esistenza, essi la vedono
incarnata e personificata nel Signore. In questo foco si accentra tutta
la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un
senso alla propria riunione sotto un giogo comune e sollevano e
riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine religioso di cui
sono partecipi. GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara percezione
dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è per lui
il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto possono
irradiarsi una potenza e un prestigio coestesi alla vasta mole
dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono,
per il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento politico e
amministrativo, airindifferenza per la vita locale delle città e degli
stati particolari, in una parola al regime del mero stato di polizia,
subentra un regime accentratore, dove un sovrano assoluto vigila
per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del
regno, che ormai gli appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle
libertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio dominio. Una volta
che il mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità
reale e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino per
quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando all’autonomia che
disgrega e disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di
realizzare questa vasta trasformazione politica; pero mancò non soltanto
a lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria per
portarla a compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia
da lui vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano ai
più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col
proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno
all’apparenza, ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio
della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel
tempo della guerra civile, riconosce un potere sovrano al senato.
L’idea dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico
tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e
immanente. Nella sua concezione, il principe è il primo cittadino
tra i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli anzi si
guarda accuratamente di legare a questo nome [Mommskn. Le drolt pnblic
romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale invece
degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi
l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle
milizie di tutto l’impero; e poiché questa posizione preponderante dal
punto di vista della forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia —
sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la
dignità consolare, alla quale più tardi rinunzia per assumere il
tribunato del popolo, la magistratura più popolare e praticamente
efficace . Così, per via di successive sovrapposizioni di cariche
preesistenti, come il pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si
forma il potere nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento,
dapprima limitato e poi indefinito, della durata delle cariche stesse.
L’impero si costituisce cosi condensando le forze più vitali delle
istituzioni repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di
suscitare reazioni popolari. Dopo il regime eccezionale della dittatura
militare e del triumvirato, esso ha perfino l’aspetto di una
reintegrazione delle magistrature ordinarie. Alla monarchia vagheggiata
da GIULIO (si veda) Cesare subentra, almeno in principio, una DI-ARCHIA,
una divisione del potere tra il principe e il senato. Tutta la
provincia viene separata in due parti, imperiale e senatoriale, con
diversi magistrati; e al senato viene attribuita ramministrazione dell’
Italia, che OTTAVIANO non crede opportuno prendere per sé, ritenendo più
facile usurpare le libertà della corrotta capitale e della lontana
provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi 1 Mommsen]
OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la riassunse Domiziano, per
l'opportunità che gli offre questa carica di influire sulla nomina del
senato.] italici. Di fatto però questa di-archia si converte gradatamente
in una vera monarchia, perché l’imperatore può esercitare una preponderante
influenza sulla costituzione e sul funzionamento del senato, che
finisce col divenire un passivo strumento nelle sue mani. Con felice
incoerenza, OTTAVIANO però tien fermo al principio cardinale della
concezione monarchica del suo grande predecessore, accettando l’idea
della divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella della
sovranità popolare, che informa di sé la nuova carica. L’apoteosi del
principe, cioè il riconoscimento della sua divinità dopo la morte e la
conseguente attribuzione degli stessi onori riserbati agli dèi, — altari,
culto e sacerdoti appropriati— costituisce la parte più importante della
riforma religiosa d’OTTAVIANO. L’influsso sempre più vivo
dell’Oriente spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto,
includendovi l’adorazione dello stesso imperatore vivente: una
trasformazione piena di significato, perché con essa l’apoteosi si distacca
dalla vecchia concezione occidentale della religione dei MANI, che
in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla, e s’innesta nello
spirito teocratico dell’Oriente. L’unificazione religiosa dell’impero
completa e ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si
eleva sui culti particolari delle singole nazioni e diviene per i popoli
il simbolo di una comunanza spirituale di vita e quasi l’atto di adesione
a un identico destino storico. A questo punto terminano le storie particolari
delle genti, o meglio confluiscono nella storia universale. Il migliore
ammaestramento filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza
dello sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella
conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia,
che vince la sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse
a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio
lavoro. Roma provoca il brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento
della loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella
vasta orbita della sua azione e a collaborare a una opera comune. La
cittadinanza che l’impero largisce egualmente a tutti i suoi abitanti
esprime la nuova patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie
particolari e che gl’uomini accettano quasi come un segno del riscatto
dalla schiavitù del suolo che li lega e li circoscrive materialmente.
Essa è una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una umanità
ancora pregna di materialità ingombrante e passiva, che non sa guardare
oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti
spirituali nell’adorazione d’un padrone comune; ma eh’ è tuttavia il
primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme
di consapevolezza sempre più profonde. LA FILOSOFIA ITALIANA •i3
(ì. I»K
huGGiKKO. La filosofia
coniemfor>tnea.DA
MACHIAVELLI A GIOBERTI 1.
La fortuna dei
nostri filosofi. Con la filosofia
italiana vogliamo rifarci dall’origini. Se c’è un paese che può vantare uno svolgimento originale di
pensiero, dal rinascimento ai nostri giorni, questo è appunto l’Italia. E nel
tempo stesso, sembra che nessun paese puo deplorare, con maggior diritto dell’Italia, il disconoscimento più pieno
della sua vita mentale. Il nostro rinascimento è in generale conosciuto. Ma,
dopo, ci si sequestra dalla circolazione del
pensiero europeo. Vico è lettera morta
fuori d’Italia; e l’epoca piu
tardi offre questa stranezza, che vengono elevati a fama europea filosofi mediocri come Hamilton, Cousin e più tardi Lotze,
mentre sono ignorati SERBATI (vedasi), GIOBERTI (vedasi), e SPAVENTA (vedasi)
-- tre filosofi geniali, che proseguono la tradizione speculativa del pensiero
europeo, proprio quando sembra interrotta, nella fine apparente dell’idealismo. R. non sta a fare un ridicolo
processo agli stranieri per averci
dimenticati. Noi per i primi non ci siamo dimostrati all’altezza del
nostro passato. E le stesse condizioni civili e politiche d’Italia purtroppo
contribuisce alla sprezzante dimenticanza
Si, perché la
circolazione del pensiero avviene in modo diverso nei tempi moderni che
nel Rinascimento. Allora potevamo, anche
politicamente schiavi, dettar le leggi della cultura agli stranieri. Allora
infatti la vita del pensiero è l’universalismo
astratto, naturalistico, che neutralizza le differenze della storia. La sua espressione è il concetto
della sostanza di BRUNO (vedasi), l’unità indifferente degl’opposti. Invece, s’inizia un movimento profondo d’individuazione.
È il periodo dello storicismo. Il
pensiero non vive più astratto dalla sua vita storica, e, fuori dell’individuazione
politica, sociale, morale d’un popolo è nulla. È flatus vocis. Cosi si sono
affermate la cultura della Germania,
quella della ‘Gallia,’, e quella di Oxford -- culture di popoli formati.
La nostra no. Noi avemmo due grandi filosofi. SERBATI (vedasi) e GIOBERTI
(vedasi). Ma sono un’anticipazione sulla nostra realtà storica. Noi non h celebrammo che quando
volemmo far la nostra stona. Il loro pensiero rifulge di vivida luce coll’unificazione.
Ma divienne cosa morta un anno piu
tardi..E l’Italia che
si forna nel ’fiO
non è rosminiana né giobertiana. Perché? Purtroppo è nota la decadenza mentale
e morale di quella nuova Italia. La sua voce non è
più la voce generosa di Gioberti, ma la molle
cantilena di ROVERE (vedasi) e l’accento rauco di FERRARI (vedasi). In un corso
di filosofia che resta celebre nella
storia del nostro pensiero, il terzo dei grandi
filosofi italiani, SPAVENTA
(vedasi), ri-evoca le
glorie del nostro
passato, e spiega
a una folia d’ignari
lo svolgimento originale
del pensiero italiano nei
suoi rapporti col
pensiero europeo: nella nuova
luce da lui
diffusa sulla nostra
filosofia. Bruno e Campanella
trovano il loro
posto nella storia
del pensiero come precursori
di Cartesio, di
Spinoza e di Locke. Vico,
come il geniale
presentimento del criticismo. E infine,
Galluppi, Rosmini, e
Gioberti rappresentano la
coscienza via via
più compiuta del criticismo, come
questo s’è svolto
in Germania per opera
di Fichte e
di Hegel. Ma
Spaventa avverte che la
caratteristica dell’ingegno italiano in tutti i
tempi è quella di essere
precursore, d’avere il pre-sentimento delle
nuove verità, ma di non
saperle svolgere, e
di falsificarne perfino
il senso e la
portala. Ma con la
rinnovata coscienza della
propria storia, Spaventa
spera che l’Italia
risorta allora a unità
politica, riprende, in una
piena consapevolezza, il
posto che le
spetta nella cultura. Ed
egli stesso ne
addita la via,
con uno sforzo tenace,
che dura tutta
la sua vita,
per porsi all’altezza del
movimento storico, comprimendo
ogni impulso del suo
pensiero originale per
rivivere intensamente il
pensiero altrui; facendosi
perpetuo scolaro, per poter
diventare il vero
maestro degli italiani. Ma l’Italia alla quale SPAVENTA parla non è in
grado di
capirlo. Ell’è quella stessa
Italia che ha pervertito il giobertismo in
una speculazione flaccida e
senza sangue -- la filosofia
dei bramani, come lo
stesso Spaventa dice.
Ond’è che il
geniale hegeliano parve
a taluni un
mistico, ad altri
un sovvertitore della
scolastica; a nessuno
quello che in
realtà è. I falsi
nazionalisti gli rimproverano
il suo hegelismo; i
falsi hegeliani il
suo nazionalismo. In verità gli
rimproveravano gli’uni gl’errori
degl’altri. Dalla doppia taccia
SPAVENT Aè immune: egli
che sente, si, ITALIANAMENTE la
filosofìa. Ma la pensa universalmente. Il primo
insegnamento di Spaventa,
come quello ilei suo
granile conterraneo, Sanctis, è
dunque infruttuoso; a
riceverlo, le menti sono impreparate. Non
cosi oggi, che
nella rinascente italianità.
noi impariamo a
vivere in comunione
col nostro passato, consci
che ogni sviluppo
della vita speculativa è
possibile solo mediante
una piu salda continuità con la tradizione
storica. L’Italia nostra non
s’è fatta net
1860 ma si
va facendo ai
nostri giorni ' :
quella stessa Italia
che va conquistando
una posizione sempre più
eminente tra i
popoli, afferma la forza
interiore di questa
ascensione col rinnovamento
della sua coscienza
speculativa. In tale
rin¬ novamento. risorgono i
nostri grandi, Francesco
De .Sanctis. Bertrando Spaventa;
attraverso essi, noi ci
colleghiamo al nostro
passato. Io esporrò
breve¬ mente Tammaestramento loro
(e di quelli
che pro¬ seguendone l’opera
hanno contribuito con
loro al presente risveglio)
su questo passato. 2.
Il Rinascimento e
Machiavelli. Gli albori del
pensiero moderno sono
da ricercare nell’umanismo. Ivi
la filologia già
lascia intravvedere il principio
e l’indirizzo della
nuova filosofia; ivi
già si accenna quel
ritorno all’antico che è invece creazione del
nuovo. Sotto i colpi dell’umanismo comincia il
dissolvimento della scolastica,
che prosegue poi,
più rapido, nel
rinnovamento della vita civile
e politica, e
della speculazione che
l’esprime. Qual è il
significato della scolastica?
Essa è un
con¬ nubio del cristianesimo
con l’aristotelismo. Il Dio
che si
era umanizzato in
Cristo si naturalizza
nella logica aristotelica: diviene
l’Ente, l’oggetto, nei quadri
della sillogistica. Il
monumento della scolastica
è la prova ontologica
di Anseimo. Questo
naturalismo è già un
grande progresso: non
è il na¬ turalismo
fisico dei presocratici,
non il naturalismo ideale dei
platonici, ma è
naturalismo divino. Per mezzo
suo si svolge
la contradizione del
cristiane¬ simo, con la sua doppia
alTermazione dell’umanità e della
divinità di Dio.
E il nuovo naturalismo del Rinascimento, che
sorge come negazione
di quello scolastico, contiene
in realtà la
doppia esigenza, nella sua unica
aflermazione della divinità
e umanità della natura.
Con esso s’inizia
l’età veramente umana della
lìlosofia. Quanto al suo
procedimento speculativo, la
sco¬ lastica si compendia
nei princìpi della
sillogistica; la sua visione
etica del mondo,
poi, nell ascetismo e
nel misticismo: la
speranza messianica implica
la svalutazione della realtà
attuale e della
vita. E il Rinascimento è
l’antitesi di entrambi
gl’indirizzi: esso è la
sopravvalutazione della vita
— quella che la
libertà comunale, gli
attivati commerci e
i rapporti politici
promovevano e intensificavano; e in
pari tempo esso
è l’atteggiamento nuovo
del pensiero speculativo, che
non ha una
realtà fatta innanzi
a sé, da sillogizzare,
ma crea la
sua realtà, osservando, provando, inducendo.
Nascono cosi due
scienze, la politica e
la fisica, ambedue
dal me Essa è
la sola cosa
stabile ed eterna:
ogni volto, ogni faccia,
ogni altra cosa
è vanità, è
come nulla; anzi è
nulla tutto ciò
che è fuor
di questo uno.
Spinoza non parlerà con
maggior vigore, ma
a differenza di Bruno,
egli non indietreggerà
d’un passo dalla
po¬ sizione conquistata. Il
filosofo italiano, come
già Telesio, e poi
Campanella, alterna il
nuovo col vecchio: più
veemente di Spinoza,
è assai meno coerente, e
accanto al nuovo
Dio lascia sussistere l’antico. Più oscillante
ancora di Bruno
è Campanella, benché rappresenti
un’esigenza nuova del
pensiero .speculativo. La difficoltà
del concetto di
sostanza è che il
pensiero, naturalizzandosi nell’oggetto,
non può spiegare sé
stesso. La sostanza
è conosciuta ma non
si conosce: come
ciò è possibile?
Come può l’uomo, un
semplice modo o
accidente, conoscere la sostanza,
ed elevarsi a
Dio, se è
semplice effetto? come l’effetto
ritorna alla causa?
*. Il nuovo
pro¬ blema che il
concetto della sostanza
apre alla spe¬ culazione è
quello del conoscere,
e ad esso
si appunta il
pensiero del frate
di Stilo. CAMPANELLA (vedasi) è confusamente
il Cartesio ed il Locke
della fìlosofla italiana.
Muove dal dubbio
scettico e trova la
certezza nella coscienza
di sé, nel
xensusB. Spatonta, Saggi
di critica, Napoli.. LA
FILOSOFIA ITALIANA abciilus,
ma d’allra parte
fonda la conoscenza
della natura sul semplice
sensus addilux. Le
due esigenze restano in
lui inconciliate: per
avere una concilia¬ zione si
dovrà giungere fino
a Kant. Ond’è
che la certezza delle
cose esteriori sembra
a Campanella ora uno
sviluppo, ora una
caduta, ora un
incremento, ora un
limite. 15 l’intonazione
generale del suo pensiero
è, nella metafisica,
il razionalismo — la
dottrina delle primalità
fondata sul sensus
abditiis; nella teoria del
conoscere l’empirismo — la
mera certezza sensibile e
la concezione dell’intelletto come semplice
senso illanguidito. Ma se
per questo verso
egli fa un
gran passo su Bruno,
gli resta poi
di gran lunga
indietro per la convinzione e
la fede nell’inlinita
presenza di Dio nell’universo: Campanella
è in qualche
modo, e quasi inconsciamente, il
filosofo della restaurazione
cattolica, come fha
definito lo Spaventa:
egli, col suo
razionalismo, non toglie
i ceppi alla
scienza, se non perché
questa se li
rifaccia da sé
medesima e si
sottometta liberamente. Ma
l’entusiasmo di Bruno
non troverà il suo
riscontro che nello
sforzo tenace di Galilei.
Con questo la
Scolastica, solo virtualmente superata nella
filosofìa del Rinascimento,
è vinta per sempre.
Il naturalismo non
è più soltanto
celebrato come nuova tendenza
dello spirito, ma
è la nuova attualità spirituale:
nella nuova scienza
si umanizza la natura,
che non è
più la mera
privazione degli scolastici, né la divinità
ancora trascendente della speculazione, ma
è la scienza
stessa, l’atrermazione
deU’umanità concreta del
mondo — di
quel mondo che non
ci è estraneo
ma interiore, e che vive
della stessa nostra vita
di ricerca e
di conquista incessante. I. DA
MACHIAVELLI A GlOBEItTI 4.
Vico. Tra Machiavelli
e Vico corrono
due secoli, e ratteggianieiito mentale
è profondamente mutato. All’apparenza
li direste vicini,
rivolti come .sono tutti
e due al
passato, per attingere
da esso la loro
forza. Ma con
che occhio diverso
lo guardano! .Machiavelli vede
nel passato il
mezzo per liberare il
presente dalle accidentalità
storiche e per
contemplar l’uomo nell’intimità
della sua natura,
delle sue passioni: egli
fonda così la
politica. Con Vico,
il naturalismo umano
del Rinascimento è
già sorpassato, e l’esperienza
storica non suggerisce
più alcuna distinzione
tra sostanza ed
accidente, ma la
considerazione nuova dello
sviluppo, dello spiegamento della mente
umana: Vico fonda
la storia. Le due
mentalità sono profondamente
diverse. La tradizione dei
politici si continua
attraverso il (ìuicciardini, il
Paruta, il Sarpi,
ed ha un
lontano rappresentante, nel secolo
XVIll, nell’abate Galiani. Anche questi,
come Vico, fa
la critica del
suo secolo, e del
giacobinismo che quello
prepara; ma la sua
critica non preannunzia
il secolo seguente;
essa è quella del
vecchio politico, che,
incapace d’intendere le
nuove aspirazioni del
giovane, ha e.sperienza per avvertire
le sue fanciullaggini e
sorridere alle sue illusioni. La
critica di Vico
è al contrario
novatrice. Essa investe tutto
il pensiero, il
cartesianismo e il
sensismo. All’universalità astratta
del primo che non
spiega la scienza,
perché vuol fondarla
sulla rivelazione immediata
dell’evidenza. Vico
contrappone l’intuizione genetica
delle cose, che le
[ P. un'acuta osservazione
di Croce: cfr. : Il
pensiero di GALIANI (vedasi),
in Critica, spiega
nel loro farsi,
nel loro sviluppo:
e prelude cosi allo
storicismo. E mentre
il sensualismo trae dall’esperienza sensibile
un motivo tutto
materialistico. VICO (vedasi) svolge,
da quella stessa esperienza,
l’universale fantastico, la
poesia e il linguaggio,
nella loro originalità
spirituale: e cosi prelude
al romanticismo. Queste
geniali intuizioni sono comprese
in un’unità potente:
è la mentalità umana che
nel suo sviluppo
si afferma come
dispersa nel senso e
nella fantasia e
si unifica e
si riflette nel pensiero.
Vico perciò intravvede
una metafisica della mente,
una storia ideale,
eterna, per la
quale corrono le
storie delle singole
nazioni: nelle modificazioni
della mente sono
per lui da
ricercare i momenti
dello sviluppo storico.
Ecco la grande
originalità di Vico:
per Machiavelli l’umanità
era natura, sostanza, e
perciò fatale nel
suo corso, nella
.sua logica interiore.
Con Vico sorge
il concetto della
mentalità, della provvidenza
immanente nello sviluppo delle nazioni.
In Machiavelli c’è
ancora — contro l’apparenza — l’intuizione teologica
del mondo, e la
tristezza d’un’attesa messianica:
l’uomo è fatto
trascendente a sé
medesimo: in Vico
non più: nella sua
concezione storica l’umanità
è tutta spiegata. Ma
pure quello stesso
Vico, che scrutando
la storia di
Roma, attuava magnificamente la
sua nuova idea, lasciava
poi intatto il
pregiudizio dell’elezione
arbitraria degli Ebrei.
Nel passare alla
storia di Roma, egli
aveva compiuto il
suo grande sforzo,
e vi si era
esaurito, senza aver
più la forza
di ripassare alla storia
degl’ebrei, come osserva
Croce nella sua bella
monografia sul Vico.
Fu viltà, fu
pregiudizio? Forse, con
più verità, fu
un difetto intrinsecodei
sistema: Vico non
seppe uscire dal
particolarismo ristretto delle
unità nazionali: mancava
a lui il concetto
dell’università del particolare,
deiriimanità della nazione,
che sar.à l’opera
del secolo seguente.
E perciò quel
pas.saggio dai Romani
agl’ebrei, che a
noi sembra oggi
cosi facile, non
fu possibile al
suo genio. Vico non
ebbe mai il
riconoscimento che gli spettava,
né in Italia
né fuori, né
vivente né dopo morto.
Nel secolo nostro
s’impadronirono della sua dottrina,
come vedremo, i
positivisti, e falsificarono nel modo
più barocco la
sua celebre formula
della conversione del vero
col fatto. Rivendicarne
la memoria e
perseguirne la speculazione
è stata l’opera dello
Spaventa, di SANCTIS (vedasi), e
più ancora, di Croce.
Per merito loro
la profonda lacuna
della nostra cultura è
colmata. Con Machiavelli
e con Vico noi
possediamo gli esponenti
maggiori della storia del
nostro pensiero, dal
Rinascimento Vico con
la sua intuizione
di una metafìsica
della mente umana
è il presentimento
del criticismo, che
si svolge poi
in Italia nel secolo
seguente, per opera
di GALLUPPI (vedasi), SERBATI
(vedasi), e GIOBERTI (vedasi). La
posizione storica di
questi pensatori è stata
fraintesa generalmente, e
da loro medesimi per
primi, finché la
critica di Spaventa non
ne ha liberato
la dottrina dall’involucro contingente
e svelata la
stretta parentela con
la filosofia tedesca. La spiegazione
del fraintendimento ci
è data dalla considerazione dell’ambiente
nel quale sorsero e
si svilupparono le
nuove dottrine. L’Italia è
infestata dal sensualismo,
e la stessa
filosofia kan-liunn non
vi s’introduce che attraverso
reclettismo e la psicologia
degli scozzesi :
il valore sommamente originale del
nuovo concetto della
soggettività ne vien completamente
perduto. Nel rinnovamento
cattolico, che s’inizia
in questo stesso
periodo, il sensismo
vien minato alla
base, ma non
già in nome
di Kant. 11 sensismo
è, nelle sue
ultime conseguenze, scettico; è
un vano gioco
di elementi soggettivi,
che non fonda l’oggettività, il
sapere. Ma Kant —
si soggiunge — non
è anch’egli chiuso
nel soggettivismo delle forme
del senso e
dell’intelletto? e non
va a finire del
pari nello scetticismo?
Con questa critica si
pretende di disfarsi
di Kant, e
si cre *. Sono
curiose queste citazioni
vichiane che s’in1
H. Arie, storia
e fìlosofta, Firenze. contrailo presso
i positivisti; se ne trovano
oltre che in CATTANEO (vedasi), VILLARI (vedasi), CAHELLI (vedasi) e Wngiiilli (vedasi). Vico
diviene un precursore
del positivismo, la sua
formula della conversione
del vero col
fatto (identità del pensiero
e dell’essere, come
mentalità, sviluppo) viene dai
più intesa nel
senso che la
verità sta nel
fatto e non
già nella mente.
Ma pure queste reminiscenze
vichiane trattengono i
primi positivisti dal
cadere in una
metafìsica materialistica.
Sono tutti assai
prudenti, anche perché
non hanno nulla da
dire: il più
arrischiato forse è
l’Angiulli, che è d’ingegno
un po’ più filosofico degli
altri; ma il suo
programma positivistico, pubblicato
nel 1869, non manifesta
alcun contenuto nuovo
di dottrina. FI quando
il positivismo, per la logica
stessa del suo movimento,
degenerò ovunque nel
materialismo, i nostri positivisti
furono pronti a
sconfessare la conseguenza da
essi non voluta
delle nuove dottrine. Il
Villari polemizzò coi
materialisti; Gabelli distinse
un vecchio ed
un nuovo positivismo, e manifestò
la sua avversione
per quest’ultimo. Certo in
questi pentimenti c’era
qualcosa d’ingenuo, proprio
di chi non
sa valutare la
portata di una
dottrina, mentre l’accetta;
e i materialisti
francesi erano più conseguenti
dei positivisti italiani,
nel negare quelle idealità
vaghe che questi
lasciavano ancora ondeggiare al
di sopra dei
fatti. Ma se
in ciò i
nostri erano meno filosofi,
erano poi più
di buon senso nelle
loro riserve, perché
dopo tanti sforzi
per liberarsi da
una metafìsica pseudo-idealistica, non
volevano trovarsi impegoiati
in una altra
metafìsica, di tendenze materialistiche. La trivialità
di questa metafìsica
non tardò a
manifestarsi. Essa sorgeva
dal connubio tra
la filosofìa e la
biologia; e il
suo nome era
il monismo: un
nome che dice tutto,
anche più del
contenuto di dottrina con
cui lo si
è voluto giustilìcare.
I suoi fautori
erano medici, naturalisti, botanici,
fisici, e via
discorrendo. La loro opera
sarebbe certamente andata
dispersa se Morselli non
avesse avuto la
felice idea di raccoglierla e
disciplinarla in una
Rivista di filosofia
scientifica durata pochi
anni, che resterà
come prezioso documento della
mentalità italiana. Ma le
esagerazioni più stravaganti
del positivismo materialistico si
videro nella scuola
di antropologia, fondata
da LOMBROSO (vedasi), notissimo autore di
libri in cui il genio
e la delinquenza
si accoppiavano in
una felice coincidentia
oppositorum. Di queste
dottrine non ci
occuperemo, perché son
divenute di competenza forense,
e funestano le
squallide aule delle nostre
Corti d’Assise. Accenneremo
soltanto a una propaggine
del positivismo italiano
che per opera specialmente
di Enrico Ferri
s’è innestata nella dottrina
socialistica. E del
Ferri raccomando la lettura
d’una prefazione a
una sgrammaticata traduzione
italiana deWAntidiiliring di
Engels, che è un
bel documento del
livello di cultura
del nostro ex-socialista. Ma con
tutto ciò, del
positivismo italiano noi
non avremmo che notizie
scarse e frammentarie,
se esso non fosse
stato conglobato e
quasi condensato in una
dottrina unica da
Roberto Ardigò. Di
questo perciò vogliamo occuparci
un po’ più
estesamente. La filosofìa dell’Ardigò
ha quello stesso
motivo naturalistico che abbiamo
osservato nel positivismo inglese; e.ssa
è l’indiflerenza tra
il sensismo e
il materialismo, senza
per altro il
rigore logico del
Mill e la veduta
vasta, per quanto
superficiale, dello Spencer. Mentre
infatti fenipirismo inglese
è veramente monistico,
nel senso che,
ammesso il fatto naturale della
sensazione, ritiene poi
derivata e posteriore
la distinzione del
soggetto e deH’oggetto, l’Ardigó invece
tradisce fin dal
principio la sua preoccupazione dualistica,
propria del realismo
ingenuo. Perciò ammette come
fondamentale la distinzione
del senso interno
e del senso
esterno, dell’autosintesi e
dell’eterosintesi, cioè da
una parte fassociazione
dei dati psichici
stabili che costituiscono
il me, dall’altra l’associazione degli
stati psichici accidentali
che costituiscono il
non-me. Questa è
prova dcll’inferiorità della
dottrina in quistione
rispetto alle altre forme
di positivismo, perché
la distinzione non fa
che adombrare quella
tra la materia
e la sensazione,
e giustifica quell’illusorio raddoppiamento del mondo
nella conoscenza, che ad empiristi
come l’Avenarius o il Mach
parrebbe una vera
mostruosità. Il termine comune
di materia psichica,
nei due campi, del
senso interno e
del senso esterno,
non è in
effetti altro che un nome,
che si può
trasformare a piacere in
un altro —
l’indistinto , che ARDIGÒ (vedasi) pone a
fondamento della realtà. Si
vuole che r.\rdigò
abbia fatto una
critica dei-rinconoscibile di
Spencer, e c’è
veramente uno scritto suo
su questo soggetto;
ma bisogna proprio dire
che egli sia
andato in cerca
della pagliuzza nell’occhio del
fratello, senza accorgersi
del trave che aveva
nel proprio. Almeno
il povero Spencer
poteva illudersi di
veder Dio in
quel suo inconoscibile, mentre
nel caso dell’indistinto, nemmeno
questa immaginazione è più
possibile. Con questo
concetto deir.Ardigò l’epurazione degl’inconoscibili, degl’incoscienti e
simili prodotti del
facile eclettismo contemporaneo
è compiuta, e
non resta che
l'innocua sodilisrazione (ti dire
uno, quando le
cose, a dispetto
del positivista, pare
che vogliano dire
due. L’indistinto dell’Ardigò non
contiene dunque più alcuna
traccia di Dio.
L’idea di Dio
è del tutto radiata
dai quadri di
questa filosofia, e
al suo posto subentra il
nuovo concetto deH’inlìnito
o della virtualità
permanente dell’esperienza: un
concetto che, come quello
inilliano della possibilità
delle sensazioni dimostra,
si. la preoccupazione immanentistica del positivismo,
ed è perciò
da lodare nel
movente psicologico della sua
formazione, ma è
nel fatto insufficiente, come
quello che si
travaglia ancora nel vecchio
dualismo aristotelico, e
dissimula, nella sua apparente
facilità, il problema
non risoluto, e
l’ignoranza dei potenti
sforzi che la
speculazione di venti secoli
ha compiuto per
giungere al graduale
superamento di esso. Questo
cenno sul motivo
fondamentale dell’opera
dell’Ardigò può bastare,
come un saggio
del suo pensiero.
Lo svolgimento della
dottrina, secondo i
criteri direttivi dell’empirismo, è
dato dal tentativo
di aggruppare in varie
forme e in
varie guise il
materiale plastico della
sensazione: un campo
di ricerche che
Tempirismo inglese aveva
già da tempo sfruttato, e
che con l’.Ardigò
non è in grado di dar
nuovi frutti. D.\l
dualismo si val al monismo. Nell'imperversare delle
dottrine materialistiche, molte
voci modeste furono
soffocate, che forse
in un ambiente
più propizio avrebbero potuto
esercitare un’efficacia maggiore.
La loro influenza
sul pensiero italiano
fu assai scarsa, in un tempo
in cui il
materialismo dominava la vita
sociale nelle sue
più cospicue manifestazioni. Esse nondimeno
riuscirono a formarsi
un teatro più ristretto, ma
insieme più consono
alla loro intonazione:
la cattedra. E come già
in Francia lo
spiritualismo eclettico, svalutato
dai nuovi indirizzi,
si conservava nella cerchia
universitaria, così nell’Italia
positivistica e materialistica si
ebbe, nella seconda
metà del secolo
scorso, un insegnamento
universitario con tendenze
spiritualistiche. Noi
abbiamo già accennato
a quel dualismo
platonizzante che si
delineava nelle opere
di ROVERE (vedasi), FERRI (vedasi) e BERLINI (vedasi). Come quello
che, bilanciato tra i due domini
estranei del pensiero
e dell’essere, naufragava poi
nello spiegare la
mediazione di entrambi,
il conoscere, esso
non poteva riuscir
vinci¬ tore di quel
positivismo che viveva
nella medesima dillìcoltà, e
solo cercava di
dissimularla con le sue
pòco fondate asserzioni.
Né il dualismo,
nella nuova forma datagli
dal Bonatelli o
dal Cantoni, per
quanto più corretto e
rammodernato, aveva migliori
proba¬ bilità di successo;
in fondo la
difficoltà restava identica,
e al più
veniva spostata in
più remote regioni. Nella sua
vita infaticabile di
studio e di
ricerca, il Bonatelli non
riuscì mai a
migliorare la posizione iniziale del
suo pensiero, che
noi conosciamo dal
saggio: Pensiero e
conoscenza del 1864.
Là egli, ispi¬ randosi
a Lotze, muove
dal soggettivismo empirico della coscienza
e invano si
tortura per conseguire l’oggettività del
conoscere. Il pensiero
è da lui
ridotto al semplice pensato,
alla mera forma
indifferente a ogni contenuto,
qual’è quella della
logica aristote¬ lica, e
cosi fin dal
principio gli è
preclusa la via a
concepire la relazione
tra il pensiero
e l’essere. Egli afferma,
si, che pensare
è giudicare, ma
non intende il valore
e la portata
di questa grande
verità della R., La
filosofìa contemporanea. LA FILOSOFIA
ITALIANA lilo.solia
kantiana, che è
neutralizzata dall’intuizione
fondamentalmente platonica della
sua dottrina. Di qui,
se il pensiero
è il semplice
pensiero, la certezza del
reale non è
che un’inferenza, un’ana¬ logia, per
cui noi interpretiamo
le cose esterne
a noi nei termini
della nostra esperienza
soggettiva. Ma¬ cho cos’è
la realtà in
sé stessa? Ora
è qualcosa di simile
ai reali di
Lotze, ora è
lo stesso pensiero
inteso come norma ideale
a cui tentano
di adeguarsi le singole
conoscenze '. Soluzioni
deboli, come si
vede, perché col principio
di analogia crediamo
di muo¬ vere, ma
in realtà non
moviamo un passo
fuori della mera soggettività;
e la norma
ideale, d’altra parte, posta
fuori del pensiero
attuale, è la
mera oggetti¬ vità, a
cui manca il
ponte di passaggio
verso il soggetto.
Oggettività pura e
semplice, e soggettività
pura e semplice, dunque:
qui la soluzione,
in fondo, non fa
che ridarci tal
quale il problema. Il
platonismo del primo
saggio si trova
immutato negli altri; al
più si epura.
Nell’opuscolo Percezione e
penniero è detto
che l’oggetto opera
sul soggetto, imprimendo
in questo Tinimagine
di sé stesso; immagine che
non è per
nulla sfigurata e
deformata dalla passione del
conoscente, perché il
mutamento subito da questo
consiste soltanto in
ciò, che egli conosce
ciò che prima
non conosceva . La
conoscenza viene così
sempre più alleggerita
di quel còmpito copernicano
che Kant aveva
voluto imporle e quindi
ridotta a una
mera duplicazione inesplicabile
di una realtà
in sé bell’e
fatta. Il termine
della speculazione del Bonatelli
è, per questa
via, il capo[Bonatkixi, Pensiero
e conoscenza^ Bologna.
Bonatelli; Percezione e
Pensiero (Atti del
R. Istituto Veneto di
scienze, lettere ed
arti, volgimento completo
della tesi kantiana:
la forma non è
più del soggetto
ma appartiene all’oggetto
in sé, e al
soggetto non viene
attribuito che la
semplice modilicazione
sensibile, o, in
altri termini, la
materia 11 che
significa, se non
mi sbaglio, volere ricondurre la
tesi dualistica all’assurdo. Un altro
dualista orientato verso
la filosofia di Lotze
è il Cantoni,
pur con la
sua vasta, ma
poco profonda, cultura kantiana.
Nel suo lodevole
tentativo di acclimatare
la filosofìa di
Kant in Italia,
egli introduce quel famoso
problema sull’origine psicologica
dell’apriori che ha
grande fortuna in
Germania, e che
costituì per lungo tempo
il capo dei naufragi di
molti critici. Nell’intento di CANTONI (vedasi), quel
problema dove salvare
la critica dal mero soggettivismo
in cui pare la chiude Kant: il
riconoscimento della
formazione psicologica dell’apriori
dove infatti segnare il punto
di convergenza della
doppia azione del
pensiero e della
realtà. Ma per
quella legge dell’eterogenia dei
fini, la cui
fecondità è sorprendente,
la ricerca di CANTONI (vedasi) è
viziata precisamente da
quello stesso soggettivismo contro
il quale egli
crede di combattere. Come
infatti si può
parlare di formazione
psicologica dell’apriori, tranne
che questo non venga
inteso che come
il semplice apriori
della coscienza empirica,
e non della
coscienza e insieme della
realtà? Esso dunque
presuppone qua una
coscienza, là una
realtà bell’e fatta,
e dice: questa
coscienza nell’appropriarsi quella
realtà procede per gradi;
è prima un
mero aposteriori, e
si apriorizza a poco
a poco con
lo spogliarsi del
contenuto sensibile e col
concepire la forma
astratta delle cose
che il pensiero può
padroneggiare (concepire universalmente, necessariamente) appunto
perché è vuota
di contenuto Ma questo,
è il falso
apriori analitico da cui
Kant s’era liberato
nella sua critica,
e che poi Lotze,
con un vero
anacronismo, aveva voluto
ripristinare. Esso non
regge se non
in quanto si
pone il pensiero da
una parte e il reale
dall’altra, e si
fa giocare il
pensiero con sé
stesso, nella sua
vuota interiorità. E
questo fa appunto
il Cantoni, il
quale, una volta fuori
della buona via,
parla di applicazione delle categorie
al reale, di
una corrispondenza Ira quelle
e questo con
un completo capovolgimento di tutti
i principi fondamentali
del kantismo. Uno scrittore
raccolto e con
una simpatica intonazione
mistica è Francesco
Acri, personalità assai caratteristica della
filosofìa italiana contemporanea. In un
periodo di grande
rozzezza spirituale, quando il
materialismo regnava incontrastato, l’Acri
osava scuotere il giogo
della dittatura e
affrontare direttaniente il
nemico. Rivolgendosi ai
naturalisti, egli diceva:
voi con la
vostra cellula credete
di spiegar tutta la
vita della coscienza,
e in realtà
non spiegate niente; nella
cellula nulla c’è
che chiarisca la
medesimezza della coscienza,
e l’unità sua,
e la sua
facoltà formativa, e
quella speculativa, e
quella volitiva, e
nulla c’è che
chiarisca la più umile delle operazioni sue
E ricorreva, per
mostrare l’impossibilità di
comporre l’uno coi
più, al grazioso esempio deH'aquila
dantesca che sembrava
un unico essere, ed
era un’accolta di
esseri; e dava
da lon[Cantoni. Kant,
Milano. . [Acri. Videmua in
aenìgmate, Bologna. tano l’illusione
di dire; «io,
io», nienlre in
realtà, a sentirla da
vicino, diceva «
noi, noi ». Ma
il platonismo di
Acri riproduce, in più
sublime sfera, la
stessa dilTicoltà, e,
in fondo, la stessa
illusione dell’aquila dantesca.
Poste le idee, non
si spiega più
il pensiero; e
posta l’intuizione immediata della
verità ideale, riesce
inesplicabile la rillessione dell’autocoscienza. Quindi
invano cercherà l’Acri
di adombrare con
immagini poetiche il principio
della riflessione, che
in realtà manca
nella sua filosofìa. Egli
ricorre all’esempio dello
scintillio della luce stellare;
ma questo esempio
appunto tradisce la
difficoltà del platonismo;
lo scintillare della stella
è la mera
apparenza della riflessione
ilella luce, è l’illusione
soggettiva della nostra
visione. La dottrina della
coscienza è così
la nota fuori
posto nella concezione dell’Acri;
questi abbracciamenti tra Platone
e Kant, a
tanti secoli di
distanza, hanno sempre qualcosa
di fittizio. Nei nomi
di Bonatelli, di
Cantoni e di
Acri si compendia l’indirizzo
dualistico della filosofia
italiana della seconda
metà del secolo
XIX. Più recentemente
esso ha avuto
un altro prosecutore
nel De Sarlo, fondatore
della rivista la
Cultura filosofica. Questa, sorta
in antitesi col
positivismo e con
l’agnosticismo, e riprendendo
alcuni motivi lotziani,
cerca di svolgere c
ravvivare l’antico dualismo,
col porlo in contatto
con la filosofia
europea contemporanea, e particolarmente con
le nuove dottrine
gnoseologiche e con
le ricerche di
psicologia sperimentale. E torna
infine opportuno parlare
a questo punto di
un pensatore, che
neH’ultimo decennio ha
compiuto uno sforzo
notevole per conquistare
una veduta idealistica
della realtà: intendiamo
dire del Varisco. Nel
libro Scienza e
opinioni del 1901,
egli si muove ancora
nel campo della
metafisica dommatica. Il mondo
è da lui
inteso come «
un insieme di
elementi originari o
monadi che operano
gli uni sugli altri.
Le azioni reciproche
tra le monadi
sono in effetti
di due specie.
Determinano cioè; una
variazione in ciascuna
monade; una variazione
tra le monadi, ossia
ne modificano raggruppamento (la
distribuzione spaziale). I
fatti della prima
specie sono psichici, quelli
della seconda, fisici.Questo
è il dualismo della
metafisica dommatica, e
consiste nel considerare le
relazioni del mondo
fisico come affatto
fuori della monade
— mentre ripugna
alla monadologia ammettere azioni
inframonadiche (le monadi non
hanno finestre); e una volta
ammesse, risulta
inconcepibile la conoscenza
di quelle relazioni,
perché non si
comprende dove mai
esse cadano, se
son fuori della
monade. Ma con l’approfondire il
concetto della monadologia,
il Varisco ha
superato il dualismo
della metafisica dommatica.
Nel volume: /
massimi problemi il dualismo
tra fisi e
psiche ha un
significato gnoseologico, nel
senso che quella
distinzione non è più
tra due
realtà estranee l’una
all altra, ma
si costituisce nel
dominio stesso della
conoscenza. La realtà fisica
di Scienza e
opinione diviene una
psichicità, un complesso di
sensibili: il soggetto
(la psichicità dell’antica posizione),
diviene l’unità del
molteplice sensibile. Su questa
dualità originaria, il
Varisco eleva la sua
costruzione. Da una
parte la realtà dei
sensibili si costituisce
secondo le sue
leggi; dall’altra la
realtà del soggetto,
secondo il principio dell’unità di
coscienza. In tal
modo il dualismo
non [VARISCO (vedasi), I
massimi problemi, Milano,
dove è riassunta
l’antica dottrina. Cfr.
ancora Sciema e
opinioni, Homa] è risoluto;
e questo perché
il Varisco non
ha svolto il concetto
dell’unità della coscienza
in tutla la sua
portata, eliminando quel
residuo di aristotelismo che sta
nel porre, di
fronte alla coscienza,
dei sensibili non
sentiti, delle potenze
che aspettano di
porsi in atto. Insoinma
l’ombra del dommatismo,
«Iella precedenza di
quei sensibili di
fronte all’atto dell’auto¬ coscienza permane
sempre, e in
veste psicologica si ripresenta
quella realtà fìsica
di Scienza ed
opinioni, che il Varisco
non ha mai
veramente risoluta. Per superare
il dualismo, egli
fa ricorso a
un concetto della
filosofia rosminiana, quello
dell’essere in universale; ma
ne muta profondamente
il significato, che non
è più per
lui trascendentale, ma
empirico, ed esprime soltanto
l’identità del pensato,
l’indifTerenza di soggetto
e oggetto; in
altri termini, quella psichicità primaria
su cui deve
fondarsi la dualità di
fisi e psiche.
11 Varisco compie
un notevole sforzo per
mostrare come questo
indifferenziato, per un’intima
esigenza, .si differenzi:
e ciò mostra
che egli è bene
addentro nella difficoltà
dell’idealismo; ma non mi
pare che risolva
il suo problema,
perché non veggo il principio della
differenziazione, il soggetto. Quel differenziarsi è
perciò ancora da lui inteso
nel senso della metafisica
dell’essere e non
del conoscere, vale
cioè a fondare
una monadologia e non
una fenomenologia. Per
giungere a questa
è necessario spogliarsi
del tutto della
preoccupazione di una realtà
fatta, sia come
natura, sia come
potenza del pensiero, e
guardarsi dall’anticipare in
qualunque modo il mondo
sull’atto concreto del
pensare. Già nella dottrina
che il Varisco
ha accennato della personalità,
s’intravvede il principio
di un approfondimento dell’idea
del soggetto. Riporterò
le seguenti sue parole:
«Quando ciò di
cui giudico sono io
stesso, il mio
fare non è
più soltanto ricostruttivo; è
veramente costruttivo. L’io
nel senso vero della
parola, ossia l’iinità
dell’autocoscienza ben
diversa dalla pura
unità della coscienza,
dal soggetto animale —
non esiste che
in quanto afferma sé
stesso Bene, ma
una volta inteso
che riprodurre è
in verità, nel
mondo della coscienza,
della realtà in fieri,
un produrre, bisogna
andare avanti, approfondire il
concetto della riflessione
creatrice, che è il
cardine della filosofìa
moderna, svelare tutti i
tesori che esso
racchiude: allora solo
si vedrà, nella trasparenza
della coscienza, tutta
la realtà nella sua
pienezza. Il Varisco
invece si ferma
a metà: egli infravvede,
ma non svolge,
il motivo fecondo
dell’iilealismo. Il
neo-kantisiiio ifaliano è per
molli rispetfi benemerito
della nostra cultura, per
avere alacremente pronio.sso
gli studi storici,
che fra noi facevano
difetto. Si pensi
che perfino i due
più profondi pensatori
italiani, SERBATI (vedasi) e
GIOBERTI (vedasi), spropositarono talvolta
nel modo più deplorevole
la storia del
pensiero, si da
falsare la loro stessa
posizione storica di
fronte alla speculazione
moderna. E nel
campo della storia
della filosofia si
sono specialmeiile distinti
il Fiorentino, il Tocco,
il Masci, il
Tarantino, il Chiappelli.
ed altri ancora. Ma,
quanto aU’atteggiamento dottrinale,
il neo-kantLsmo ha uno
stretto rapporta con
l’indirizzo di cui abbiamo
testé parlato. La sua
dottrina si svolge
infatti più specialmente nei confini
segnati dall’analitica trascendentale di i
Varisco, / massimi
problemi, Kant. Di
qui. il limite
della sua forza
speculativa c dato dalle
antinomie; limite che
si vuol poi
supe¬ rare con la
dimostrazione della vanità
di ogni me¬ tafisica.
Ma con la
metafisica il neo-kantismo
è co¬ stretto, suo
malgrado, a fare
i conti, quando
vuole spiegarsi
quell’apriori che esso
accetta da Kant.
Non appena esce dalla
semplice distinzione tra il pro¬ blema
della formazione empirica
delle conoscenze e quello
della loro validità,
e vuol cercare
di spiegarsi il come
e il perché
di quest’ultima, eccolo
già alle prese con
la metafisica. Il
valore, come abbiamo
già notato, è un
concetto neutro, bilanciato
tra il pen¬ siero
e l’essere; la
spiegazione del valore
è dunque il problema
metafisico del rapporto
tra il pensiero e
l’essere. In che
modo risolverlo? Il
neo-kantismo, non sapendo vedere
nelle categorie altra
cosa che quel semplice
fatto del valore,
ha esaurito già
la sua provvista, e
non può chiedere
perciò al suo
Kant quella spiegazione ulteriore;
esso allora la
persegui¬ terà attraverso la
psicologia, la biologia,
e finirà col ritrovarsi in
una posizione che
aveva già oltrepas¬ sata con
la sua premessa. Questa dilTicoltà
del neo-kantismo si
rivela nel modo più
caratteristico nella parabola
descritta dal suo primo
rappresentante in Italia,
il Fiorentino, che non
riuscì a mantenersi
nella sua posizione
ini¬ ziale, ma, cedendo
all’urto delle nuove
ricerche bio¬ logiche, contro
cui s’era già
abbattuto il neo-kan¬ tismo tedesco,
fini col fraintendere
del tutto il si¬
gnificato dell’apriori kantiano,
contaminandolo di naturalismo evoluzionistico. Più fedele
allo spirito del
neo-kantismo è MASCI (vedasi), che se
ne può considerare
oggi come il
maggiore rappresentante. Le sue
istanze negative contro
i fraintendimenti dei principi
fondamentali della 394 LA FILOSOFIA
ITALIANA filosofia kantiana sono
solide, ma la
fondazione posi¬ tiva di
quegli stessi principi
dà luogo alla
ditTicoltà già notata a
proposito del neo
kantismo in genere. Giu-stameute Masci
difende l’apriorità dello
spazio e del tempo,
come funzioni spirituali,
dal psicolo¬ gismo, che
con la semplice
costruzione delle rappre¬ sentazioni 'di
spazio e tempo
s’illude di aver
soddi¬ sfatto all’esigenza dell’estetica
trascendentale; col suo mosaico
delle sensazioni esso
crede di costruir la
forma, invece la
presuppone a ogni
passo. Né migliori surrogati
della deduzione kantiana
offrono le ricerche biologiche
sull’apriori, che non
riescono addirittura a rendersi
conto del problema
di cui si tratta. Un
altro errore che
si suol commettere
nell’interpretazione di Kant,
è quello di
ridurre la realtà
alla mera rappresentazione; cosi,
osserva il Masci,
si fa svaporare il
reale, mentre, secondo
i principi del kantismo,
la serie psichica
non ha maggiori
diritti al riconoscimento della
serie fisica. Ma
esistono fisi e psiche
come due realtà
per sé? Qui
sta il problema. K
pare che il
Masci a un
certo punto sia
sulla via di risolverlo
secondo il criterio
dell’idealismo assoluto, col
riconoscere l’inanità della
riflessione che vuol risalire
a una realtà
oltre l’atto dell’autocoscienza *.
Però non riesce
a rendersi conto
che al di là
di queU’atto non
c’è una realtà
che sia a noi
preclusa per la
scarsezza delle nostre
facoltà mentali, ma
che non c’è^ proprio
nulla, fuori che la
proiezione della nostra
ombra. E una
volta perduto .il criterio
dell’unità concreta, fisi
e psiche gli
restano innanzi come due
fatti distinti, che
egli pur sente [Masci,
Il materialismo psicofisico,
Napoli] il bisogno ili
unificare. E concepisce
cosi il suo
monismo: «Non si
tratta di sapere
né come la
materia genera il
pensiero, né come
questo genera le azioni
materiali. Porre cosi
il problema è
renderlo insolubile, perché
le idee di
materia e spirito sono
generalizzazioni
unilaterali, astrazioni nostre, operate in
direzioni opposte, di un processo
che in realtà è
unico»'. E per
conseguenza cerca di
trasferire quell’unità in
un passato in
cui psiche e tisi
erano indill'erenziate. La monadologia
da una parte
e il principio
nuovo dell’autocoscienza
dall’altra : questa
a me pare
la doppia esigenza inconciliata
in cui si
travaglia il pensiero del
Masci. E nella
stessa ditlicoltà s’imbatte un
altro filosofo, il
Martinetti, che vi
resta impigliato, benché
faccia un grande
sforzo per liberarsene,
cercando di fondere
la metafìsica dell’essere con la
luelalìsica del conoscere.
Come già il
Bnirac, egli concepisce il
reale come una
pluralità di monadi,
o (per togliere
la possibilità di
un fraintendimento storico)
di centri coscienti
o unità sintetiche di
soggetto oggetto Ma
questa pluralità, realisticamente intesa,
è incompatibile con
la monadologia. Posta la
monade, o comunque
il rapporto soggettooggelto, è
con ciò tolta
la realtà (nel
significato realistico)
delle altre monadi,
la cui esistenza
è possibile solo
come iilealilà nella
monade. Lo svolgimento
deH’idealismo è consistito
nell’approfondire questo
concetto nuovo dell’idealità, in
cui s’è riconosciuta
la realtà vera
e concreta: così
è stato abbattuto
il vecchio concetto
del mondo come
totalità naturale, e s’è
costituito il nuovo
concetto del mondo come
esperienza assoluta. Il
Martinetti invece tien fermo
ancora all’idea del
mondo come un
tutto naturale e dissemina
lungo di esso
i suoi centri
coscienti, .senza intendere
che questo è
incompatibile col concetto nuovo
dell’idealità che egli
mostra di accettare. Ond’è
che, malgrado tutti
gli sforzi, egli resta
un realista, e,
come tale, si
mostra impigliato in una
difficoltà insolubile allorché
vuol superare il disgregamento dei
principi coscienti in
una unità superiore. Una
volta posta dommaticamente la
pluMabtinetti. hitroiiuzlone alla
melathica, Torino ralità delle
coscienze, l’unitù o sarà un
nome, o un principio
trascendente, perché lo
ripeto, la pluralità,
come tale, è
fuori dell’atto di
coscienza. Dato questo residuo
di dommatismo, un
vero superamento della metafisica dell’essere
non è più possibile
a Martinetti, il quale
non riesce che
a una conciliazione apparente
tra quella metafisica
e la nuova metafisica
del conoscere, col
mostrare che la stessa
instabilità dei centri
coscienti, per cui
essi si sviluppano e
si potenziano in
sintesi sempre più
alte, si dà nel
campo del conoscere
come processo delle conoscenze dalle
forme più semplici
e imlilTerenziate del senso
alle sintesi più
alte dcH’iiitellelto e
della ragione. Qui non fa che
ripro. Purtroppo egli
sa per esperienza che
la gente a
cui osa parlare
di Hegel è solita
di prendersi segretamente
gioco di lui, e
allora conclude: «che
l’hegelismo non si
può dimostrare che
ad un hegeliano
> *. E
allora insorge più grave
un nuovo problema:
«Come si fa
a diventare hegeliani?
». Qui le
cose si complicano,
una volta che non
si può diventare
hegeliani se già
non si è tali.
Ecco l’antinomia da
risolvere; e l’unica via
possibile è di
ammettere che hegeliani
si è in quanto
si nasce. Questa
è per lui
una vera rivelazione:
egli finirà per
convincersi di essere
hegeliano per diritto divino,
e dall’alto di
questa convinzione potrà
lanciare uno sguardo
di commiserazione ai non
eletti, rassegnarsi alle
defezioni dei suoi scolari,
e abbandonarsi, senza
nessuna preoccupazione di
essere inteso o
compreso, alle sue
contemplazioni. La filosofia di
Vera è appunto
la contemplazione del sacerdote
di Brahma. Il
termine a cui
s’appunta » A. Vera,
Inlroduclion à la
philosophie de Hegel,
Paris, in. l’ideali.smo assoluto è
l’idea nella sua
vuota universalità, .senza
più nessun contatto
col mondo della
vita. Per toccarla
bisogna porsi al
di sopra della
sfera del sentimento, abdicare alla
propria coscienza individuale,
e purilicarsi di
tutta la propria
contingenza umana. Che cosa
credesse il Vera
di conquistare in
un tal modo, è
difiìcile dire; non
certo Puniversale concreto
di Hegel. Ed è
davvero impressionante vedere
come le pagine piene
di vita della
Fenomenologia o della Logica,
dove tutto il
mondo della storia
si fonde in una
grandiosa epopea, diano
luogo, per opera
del sonnolento hegeliano, a
un annacquato platonismo che prende
le idee per
entità e per
mere rappresentazioni di
cose, e le
dialettizza in un
nebuloso empireo. Qui
si compiva quel
pervertimento dell’hegelismo in
una nuova metafisica
dell’essere, assai peggiore
dell’antica, perché cristallizzava l’idea
nelle cose, e deduceva
i cavalli dagli
asini, commisurando la deduzione
al grado progressivo
di perfezione delle relative idee.
Di fronte a
una tale metafisica
era la benvenuta la
reazione dello Schopenhauer,
contro cui pur sentiva
bisogno il Vera
di protestare. Con ben
altra mente concepiva
l’hegelismo Spaventa. Gioberti
aveva detto, non
diversamente da Hegel
: pensare è
creare. L’idea del pensiero
come creazione è
l’idea nuova della
Qlosofla kantiana, mentre Cartesio
e Spinoza non
erano giunti che al
concelto del pensare
come causare. Ma
Gioberti s’era elevato
al nuovo principio
tutto d’un colpo, per
una subitanea esplosione:
egli aveva intuito ma
non provato la
creazione; questa per lui
era un fatto,
indeducibile e indimostrabile. Eppure egli
stesso, in un
passo importantissimo delle
Postume, aveva integrato
la formula del pensare
= creare, con
l’altra : provare
è creare. Il pensiero
prova l’atto creativ*o
col riprodurlo e
ricrearlo dentro di
sé; ma riprodurre
è produrre, e
ricreare è creare.
Ecco il nuovo
grande concetto della mentalità, la
quale non si
svolge per accrescimento
e riproduzione del suo
prodotto, ma per
creazione del nuovo: il
prodotto stesso non
esiste che in questo nuovo
produrre; l’atto creativo,
che in questo atto
che lo ricrea.
A tale conclusione
non era giunto il
Gioberti, il quale,
anzi, dall’idea che
provare è creare aveva
voluto inferire che
la creazione è
indimostrabile. Ma. poiché
il carattere essenziale
della mentalità è appunto
il provare (in
ciò la mente si
distingue dalla sostanza
che si definisce
soltanto), il problema che la filosofia
di Gioberti apriva
ai successori era
: provare la
creazione. Ed è
questo appunto il
problema di Spaventa:
«Gioberti dice: essere
è creare, pensare
è creare, creare
è pensare. Questa
identità bisogna provare . «Creare è
l’Ente concreto, soggiunge
Spaventa, è fare,
realizzare, individuare, sostanziare, entare, far
esistere; è la
realtà, l’assoluta realtà. È
assoluta realtà, perché,
per Gioberti, Dio
stesso è creare, creare
sé stesso. Toglieteci
creare e avrete il
niente. Eppure non si ha
mai il niente;
giacché togliere qui è
pensare; il pensare
rimane, e ci è
sempre. Ciò vuol
dire: il creare,
tolto, rimane; perché
il togliere stesso
è creare: cioè
come semplice togliere —
negare — è
momento del creare.
Ora come si prova
la realtà, il
creare? » «Il Pensare
è; non può
non essere. Il
Pensare prova sé stesso:
negare il Pensare
è Pensare. 11
Pen-, IV. Gioberti,
Nuova ProtoloQla, 6
B. Spaventa, La
filosofìa Italiana nelle
sue relazioni con la
filosofia europea, Bari (Appendice: Schizzo
d’una storia della logica). LA
FILOSOFIA ITALIANA
inesauribile ricchezza è
il grande pregio
della Lo¬ gica hegeliana.
Essa spiega il
processo originale,
creativo, per cui
il pensiero creando
le proprie de¬ terminazioni crea
sé medesimo; è
la storia ideale, eterna del
pensiero, prospettata nel
sistema della scienza. Sta
qui il significato
dell’afTermazione dello Spaventa, che
la spiegazione del creare è
la logica. Questa logica,
di cui lo
Spaventa toglie ad
Hegel, dirò cosi, lo
scheletro, è da
lui svolta nel
suo ca¬ rattere più
profondo, perché concepita
nel suo mo¬ tivo
storico (cartesiano). L’interpretazione delle
tre prime categorie, l’essere,
il non essere,
il divenire, costituisce di
per sé sola
il documento maggiore della originalità
dello Spaventa. L’essere
è da lui
inteso come la
posizione immediata del
pensiero, come il semplice
pensato. Esso è
l’assoluto astratto, è il
pensiero che s’estingue
neH’cssere. Ma io
penso l’es¬ sere, c
in quanto lo
penso, l’essere non
è più il
semplice astratto, ma
il mio astrarre,
il mio pensare. Dunque, per
virtù stessa del
pensiero, l’estinguersi del pensiero
nell’essere è in
verità un distinguersi. Per la
grande importanza dell’argomento, ripeterò
testualmente il nostro
autore. « Fissando
l’essere — egli dice
— io non
mi distinguo come
pensiero dall’essere; io mi
estinguo come pensiero
nell’essere; io sono
l’essere. Ora questo estinguersi del pensare
nell’essere è la
contradizione dell’essere. E questa
contradizione è la
prima scintilla della dialettica. L’essere
si contradice, perché
questo estinguersi del pensare
nell’essere, — e
solo cosi è possibile
l’essere, — è
un non estinguersi:
è distinguersi, è
vivere. Pensare di non pensare,
fare astrazione dal
pensare, cioè fissare
l’essere, è pensare;
è astrazione, cioè pensare.
» Questa contradizione
del pensiero che si
estingue nell’essere, e in quanto
si estingue, pensa, e cioè si
distingue e risorge,
è il divenire —
inteso come pensare. «
Essere e non
Essere, in quanto
inverati nel Divenire,
non sono più
quel che erano
prima di essere inverati; ma
sono ciascuno quella
stessa unità nella differenza che
è il divenire;
e in quanto
tale unità, sono davvero,
cioè attualmente, distinti.
In quanto veramente uno e distinti,
si dicono appunto inverati; cioè
momenti del divenire». Spaventa, La
fllos. Hai. conseguenza
un’altra distinzione: quella
della verità in sé
e della verità
per noi, di
una metessi e
di una mimesi, nel
linguaggio giobertiano. «
Questa propedeutica, egli dice alludendo alla
fenomenologia, che è scienza,
e prova il
primo della scienza,
ci è solo in
quanto ci siamo
noi, coscienza o
spirito finito: noi
dobbiamo elevarci alla
scienza, non siamo immediatamente scienza.
La vera scienza,
invece, ci è in sé assolutamente; è
non solo umana,
ma divina; quando
l’altra è solo
umana, e non
divina. È divina
come momento della
vera scienza, non
come propedeutica; Dio non
ha bisogno di
propedeutica. Quanti c.avilli
per dissimulare un
passo falso! In fondo
qui SPAVENTA (vedasi) è un
dommatico della più bell’acqua,
un platonico che
distingue una verità in
sé e una
verità per noi,
mentre ciò ripugna
nel modo più completo
al nuovo idealismo.
La ragione dell’errore è
che allo Spaventa
manca del tutto
una fenomenologia
dell’errore; quindi egli
non riesce a svolgere
il concetto nuovo
della verità come
sviluppo, come processo,
che pure è
nello spirito della sua
lìlosotìa; ma Unisce
inconsciamente coll’oggettivarla in
un che di
fatto e di
compiuto, in una realtà
in sé. Qui
c’è ancora un
residuo della mentalità
del vecchio hegeliano,
che mentre ammette il
progresso, il movimento,
e simili, è
condotto poi, per la
sua soverchia fedeltà
alla lettera, a
negare tutte queste cose,
allorché è giunto
al culmine della speculazione. Ma non
è qui che
bisogna vedere nella
sua più grande vivezza
il pensiero di
Spaventa. Quello stesso Spaventa
che affermava il
carattere astrattamente divino
della scienza, diceva
poi, con quanta maggior verità!,
che l’apriori è
la stessa potenza nuova
della natura, la
potenza umana, la
quale risulta e
si concentra e
s’individua da tutta
la sparsa attualità antecedente:
e perciò è
insieme un assoluto aposteriori'. Qui
s’intravvede il vero
Spaventa, il pensatore che
meglio di ogni
altro ha compreso
la vera umanità dell'assoluto, di
quell’assoluto che non è
lontano da noi,
ma ci è intimo, e
non è fuori
della nostra contingenza, ma
è questa stessa
contingenza, sub specie aeterni.
Egli dice. Tutti coloro
che fanno ad Hegel
due accuse opposte,
di relativismo e
di assolutismo, sono
il trastullo di
una illusione ottica, propria della
posizione in cui
si mettono; ciascuna parte prende
di mira nell’assoluto
hegeliano qiiell’elemento che
a lei fa
male agli occhi:
i semi-soggettivisti, l’esperienza
(il fenomeno, la manifestazione, il
divenire); gli oggettivisti,
il pensiero; nessuna
ha l’animo e
la potenza di
aflìssarlo come quello che
è veramente, vale
a dire come
ragione assoluta, al
di là della
quale, oltre e
fuori, non vi ha
nulla, e
il relativo e
il cosi detto
assoluto non sono che
enti astratti, e come membri
scissi dall’unità organica e
viva: da un
lato viene scambiata
la relazione col
relativo (come opposto
all’assoluto), e daH’altro l’assolutezza
coll’assoluto, come opposto al relativo.
Ai primi io
dico: il processo
dal primo pensabile (dal
puro essere) al
pensabile assoluto (all'assoluta
soggettività del mondo,
come unità di
conoscere e volere,
di verità e
bontà), e da
questo come prima esistenza,
esteriorità omogenea e
indifferente o spazio,
all’intimità o soggetto
corporeo, Scritti flios. eli.,
(Paolotlismo, positivismo, razionalismo). all’animale, al
senso, come senso
umano o spirituale, allo spirito o
soggetto assoluto, questo
processo non è un
gioco vano del
pensiero con sé
stesso, solamente nel
mio intendimento, o
un pallido riflesso di
un lontano ed
invisibile oggetto; ma,
come atto infinito, come
il pensiero che
si determina in sé
medesimo e si
raccoglie nelle sue
determinazioni e si condensa
e concentra e
si compie e
pone come assoluto pensiero,
è l’atto dell’assoluto, il
suo intendimento, la
presenza sua, lui
stesso. Ai secondi
dico: questo processo, appunto
come produzione, osservazione
critica che il
pensiero fa di
sé stesso, e in
quanto il pensiero,
e non altro
che lui, principia originalmente e
investe sempre e
conchiude quella che si
chiama comunemente esperienza,
e non si esercita
fuori e senza
di questa come
in vuoto aere; questo
processo è non
solo empiria, ma
la vera e assoluta
empiria; e ha
sempre più valore
d’ogni frammento e articolo
sconnesso a cui si
dà
tal nome. Qui, pur con
qualche reminiscenza dell’antico schematismo hegeliano,
c’è il pensiero
nuovo, che concentra tutta
la vita dell’hegelismo. Di
fronte al concetto della
relazione assoluta, che
è quello stesso del
fenomenizzarsi della realtà
nel pensiero umano, scompare ogni
dualità del pensiero
in sé e
del pensiero per
noi, di un
processo della coscienza
e di un processo
della scienza; e
in quanto la
realtà non è il
mero contingente né il
mero assoluto, ma
il processo assoluto
del contingente, essa
non è soltanto una
soluzione o una
cosa bell’e fatta
e anticipata senza problema,
né qualcosa che si perseguita
sempre e a
cui non si
arriva mai, un
eterno problema SPAVENTA (vedasi). Principii
di etica, Napoli. l’idealismo assoluto che
non è mai
soluzione, ma è
l’eterno problema che è
l’eterna soluzione, l’assoluta
possibilità che è l’assoluta
attualità. Svolgere questo
concetto è soddisfare
all’esigenza millenaria posta. Qui,
come si vede,
il Gentile riprende
e svolge il concetto
della dialettica, accennato
dallo Spaventa nel suo
scritto sulle prime
categorie della logica
di Hegel: è la
dialettica dell’essere e
del pensiero, che, sola,
a noi sembra
feconda e rispóndente
allo spirito dell’idealismo post-hegeliano. L’assoluta
apriorità della sintesi,
in questo dialettismo,
è l’assoluta [Gentile. L’atto
del pensare come
atto paro (voi.
I dcll’Annuario della
biblioteca fllosoofca di Palermo), immanenza
del pensiero, come
atto puro o
pensiero concreto. Come tale
esso è pensiero
nostro; fuori di questa
attualità non v’è il pensiero,
ma il pensato, che
è natura, materia.
E il ritmo
dialettico del pensare
è appunto il
convertirsi del pensiero
in pensato, dell’alto
in fatto, per
risorgere poi eternamente da sé
medesimo. Questa dottrina dell’assoluta
immanenza, per cui la
vera concretezza è
il pensiero attuale,
e che perciò nega
esplicitamente ogni anticipazione
della realtà come potenza
sull’atto del pensare,
ed è la
più recisa negazione
del vecchio concetto
del mondo come il
tutto dell’immaginazione, è
stata appena abbozzata
in poche pagine
dal Gentile. Ogni
ulteriore discussione
intorno ad essa è prematura;
bisognerà prima conoscerla nel
suo pieno svolgimento. Abbiamo seguito
lo sviluppo del
pensiero italiano moderno
dalle sue origini
fino ai tempi
nostri. Questo sviluppo non ha subito
nessuna brusca interruzione come falsamente
si è creduto.
Il naturalismo del Rinascimento precede
e preannunzia il
movimento cartesiano, e similmente
la dissoluzione del
naturalismo, che avverrà
in Germania per
opera di Kant e
dei suoi successori,
s’inizia già in
Italia col Vico, e
prosegue poi, a
un secolo di
distanza, con SERBATI (vedasi)
e GIOBERTI (vedasi), che inconsapevolmente attuano
l’esigenza posta dalla
nuova metafisica della mentalità. La filosofia speculativa ITALIANA,
non altrimenti da quello
europeo, entra in
un periodo di
decadenza. Le ultime apparizioni
della metafisica sono tenui
c senza consistenza,
come l’ombre della
caverna platonica. Il
positivismo, in Italia
come altrove, sorge con la giusta esigenza d’una dottrina
che non vuole anticipare
col pensiero sulla
realtà, ma finisce ben
presto col falsare
la sua premessa
in un miscuglio ibrido
di dottrine e
in una mal
dissimulata simpatia per
il materialismo. I
suoi primi accenni
sono opera di
specialisti, come CATTANEO (vedasi), CABELLI (vedasi), VILLARI
(vedasi) ed altri ancora. Privi
di vera originalità
filosofica, ma corretti
nella loro povertà;
le sue ulteriori esplicazioni
sono orientate verso
la scienza naturale e
particolarmente biologica. Il
rappresentante maggiore di
questo indirizzo è
.\rdigò che, per
il suo sforzo
serio e tenace
di pensiero, pur
senza dire quasi
niente di nuovo,
eleva il positivismo italiano
quasi all’altezza di
tutti i positivismi
del mondo. La rinascita
del pensiero speculativo
è segnata da un
approfondimento del dualismo
tra il pensiero e
l’essere, che già
si accennava nelle
opere di ROVERE (vedasi) e FERRI (vedasi), e
per cui si
passa dal dualismo dommatico di BONATELLI (vedasi) al dualismo
gnoseologico di VARISCO (vedasi).
Il criticismo, come
quello che non svolge
la nuova potenza
dell’apriori, si travaglia nello stesso
problema, e non
riuscendo a superare la
posizione della metafisica
dell’essere, finisce col ricadérvi, annullando
cosi il concetto
nuovo dello spirito, che
esso attinge originariamente alla
filosofia critica. E
infine, librato sulle
due metafisiche, in
una posizione incerta,
ma pure interessante ed originale,
MARTINETTI (vevasi) segna il punto
in cui la mentalità
del criticismo si
volge verso l’idealismo
assoluto. .Ma la linea
classica della METAFISICA ITALIANA è ripresa da SPAVENTA (vedasi), che
promuove l’indirizzo della filosofia
di GIOBERTI (vedasi) con
quella più chiara
coscienza della sua
vera natura, chft
poteva esser data dalla
nuova cultura hegeliana.
Con SPAVENTA (vedasi)
comincia implicitamente il
processo dissolutivo della
filosofìa di Hegel, che
è in pari
tempo costitutivo di una nuova metafisica, che
mira a svolgere
nella sua pienezza la
potenza umana della
realtà, l’apriori critico,
negando nel modo
più reciso ogni
trascendenza. Le tappe di
questo cammino sono
segnate da Croce
e da Gentile: con essi,
gli sforzi della
filosofìa italiana convergono
alla stessa meta
di quelli della lìlosolìa europea,
verso una dottrina
dell’assoluta immanenza,
che, come assoluto
idealismo, sarebbe anche in
pari tempo il
vero e assoluto
positivismo. Abbiamo
seguito, nelle esplicazioni
originali della sua vita,
lo sviluppo del
pensiero contemporaneo. Nelle
diflerenze degli indirizzi
e delle correnti,
il lettore avrà
già potuto osservare
quell’identitù spirituale profonda,
che vince l’apparente atomismo delle
dottrine, e per
cui quel pensiero
è l’unico pensiero contemporaneo, nei
vari momenti del suo
corso vitale. E sorgono
ora le domande:
a che mai
esso tende? È una
vita che si
dissipa in un gioco senza
scopo, in una ridda
di teorie di
cui l’una vive
della morte dell’altra, in
una rassegnata attesa
che suoni la
propria ora? O
è un momento
di vita questa
morte; e allora a che vive
quella vita? Qui
la facile sapienza agnostica si
accontenterebbe di rinunziare
a com¬ prendere l’intimità
più profonda del
pensiero, col chiamar vana
la pretesa per
cui noi, atomi
sperduti neU’immensità del pensiero,
vogliamo erigerci a giu¬
dici del
pensiero: come può
un elemento trascurabile
adeguarsi al tutto?
Ma a noi
ripugna questa dotta ignoranza.
Noi abbiamo la
ferma coscienza che il
pensiero non è
la vuota immensità
che ci opprime, perché al
di sopra di
noi, ma è
pensiero nostro, è l’intimità
di noi a noi stessi.
La vastità non
deve opprimerci, perché non
ci sta di
fronte distesa, ma è
dentro di noi
raccolta, nello stesso
processo continuo della
ricerca, per cui
progrediamo da una
po¬ sizione all’altra. La
storia del pensiero
del mondo non è che la
semplice storia psicologica
di ciascuno di noi,
che vive in
sé i momenti
di quel pensiero universale. Questa convinzione
ci è di grande conforto.
Nella nostra storia intima
noi ricordiamo mille
sconfitte e mille vittorie,
ricordiamo la ridda
delle teorie, che sembrano
nascere soltanto per
perire; e nondimeno questo non
ci suggerisce alcuna
considerazione pes¬
simistica, perché la
salda coscienza del
nostro pen¬ siero attuale
è coscienza di
forza, di vita
e non già di
morte; e noi
inneggiamo perfino alla
morte perché sentiamo che
del trionfo su
di essa è
mate¬ riata la nostra
vita. Cosi è
di tutta la
storia. Noi qui abbiamo
scritto l’epigrafe di
molte dottrine: è
la stessa epigrafe
che abbiamo scritta
sui momenti oltrepassati della
nostra vita; con
la stessa fiducia noi
possiamo renderci interpreti
della vita nuova che
si concentra e
s’individua dalle varie correnti del
pensiero moderno, perché
sentiamo che è la
vita stessa che
si agita in
noi e che
ci dà forza di
dominare i momenti
di vita oltrepassata. La storia
non è fonte
di pessimismo, e
neppure di facile ottimismo,
ma di forza,
di tenacia, di la¬
voro. Ormai il
positivismo è finito,
il kantismo dà gli
ultimi aneliti, e
le improvvisazioni filosofiche,
che un tempo son
parse le prime
espressioni di una nuova
filosofia, ci fanno
appena sorridere; erano forse
dei vagiti; come
riconoscere in essi
le nostre voci? A
taluno parrà che
noi parliamo qui
con troppa sicurezza. Ci
si dirà: siete
voi ben sicuri
di non essere dei
tardi epigoni di
un lontano movi¬ mento
di pensiero? ombre
e non corpi
vivi? È questo il
problema che la
storia deve risolvere;
e allora si vedrà
se noi —
parlo, s’intende, in
nome del nuovo idealismo,
non pure italiano,
ma europeo — se
noi, che diamo
principio a rinnovar
l’antica tìlosolìa, siamo
nella mattina per
dar fine alla
notte, o pur nella
sera per dar
fine al giorno,
come diceva il nostro
Bruno. Nella filosofia contemporanea
si compie la
critica del movimento kantiano,
che culminò in
Hegel. Ma questa critica,
lungi dall’essere dissolutrice
come i suoi inconsapevoli
ministri hanno creduto,
è la vera critica
integratrice, che comincia
a colmare l’abisso tra
Kant ed Hegel
e a svolgere
i motivi nuovi delle
loro dottrine. La
filosofia kantiana, col
suo concetto della cosa
in sé, apriva
largo adito alla trascendenza nelle
sue varie forme,
che si possono compendiare tutte
nel dualismo, non
risoluto, dell’essere e
del pensiero. Hegel,
negando questo dualismo,
e unificando la
logica dell’essere e
quella del conoscere, sopprimeva
virtualmente l’idea della trascendenza, ma
nel fatto poi
la ripristinava nel seno
stesso della nuova
immanenza da lui
scoperta: scienza e coscienza,
logo e natura,
natura e spirito; ecco
in una veste
nuova le antiche
forme del dualismo. Nella decadenza
e nel discredito
della filosofia idealistica che
comincia dopo Hegel,
pare che siano naufragate tutte
le sue più
geniali intuizioni: il naturalismo e
il positivismo dichiarano
bancarotta della metafisica, ed
esaltano i fatti,
l’esperienza. Eppure, nel
loro linguaggio infantile
e confuso, essi sono
gli esponenti di
quella stessa esigenza
nuova, che aveva posto
l’hegelismo: la negazione
del trascendente, l’immanentismo assoluto.
Nella storia della filosofia
ricorre spesso questo
tema immanentistico: con
Aristotele, di fronte
alla dottrina delle idee,
con BRUNO (vedasi) e Spinoza,
di fronte alla
scolastica. Ma questo continuo
ricorrere è un
continuo progredire; cosi
Tultima sua apparizione
nel secolo XIX non
è più quella
di un’immanenza puramente
ideale, né divina, ma
schiettamente umana. Ma se
sotto questo aspetto,
come espressioni di esigenze
nuove, il naturalismo
e il positivismo
hanno per la storia
un grande valore,
lo stesso non
può dirsi del modo
con cui hanno
cercato di attuare
il proprio tema. Noi
perciò nel corso
della nostra esposizione,
mentre abbiamo accentuato
l’importanza ideale di queste
dottrine, ci siamo
guardati con cura dal
farne un’ampia esposizione,
perché l’ignoranza dei loro
autori è tale,
che non sanno
essi stessi dove risegga
l’originalità della loro
posizione, e Uniscono col
dare un ricalco
di temi oltrepassati,
confusi insieme neiribridismo
più strano. Ma
il significato ideale del
naturalismo, che sorge
dalle scienze biologiche,
è questo: che
vana è la
pretesa di voler
far del pensiero un’entità
vaga e nebulosa,
venuta su chi sa
come, a illuminare
il mondo della
materia, mentre bisogna indagare
la genesi del
pensiero, se si
vuol dare una spiegazione
vera e propria
di esso., E il
significato del positivismo
sta nella negazione
di ogni vuota ideologia,
che pretenda fare a meno
dei fatti e anticipare
in qualunque modo
su di essi
col pensiero. Si tratta
insomma di quell’eterno
motivo immanentistico con cui
la cultura ha
compiuto la critica. Ma
il significato ideale
del naturalismo e
del positivismo sta
soltanto nei nuovi
problemi e non
già nelle soluzioni loro;
perché il naturalismo,
nel suo tentativo d’indagare
la genesi biologica
del pensiero retrocedeva al
periodo pre-cartesiano della
storia. ]cioè alla dottrina
degrinflussi fìsici tra
l’anima e il corpo;
e d’altra parte
il positivismo, col
richiamarsi al fatto come
a realtà assoluta,
ricadeva in quella trascendenza, che
esso aveva già
implicitamente negata. Il
fatto porta con
sé una duplice
afTermazione di
trascendenza: da un
lato, nella fissità
delle sue linee,
esso è posto
come trascendente di
fronte al pensiero;
dall’altro, in quanto
è un complesso
di determinazioni finite,
è trasceso in
quanto pensato. Quindi, una
duplice incongruità, della
realtà naturale di fronte
al pensiero e
viceversa, e una
duplice inesplicabilità dell’una
per l’altro. Come
espressioni di problemi, il
naturalismo e il
positivismo conservano un valore
attuale; come soluzioni,
il primo va a
finire nella deificazione
di sé stesso
(ciò che se era
grandioso in un
Bruno' è ridicolo in
un contemporaneo); e
il secondo ha per suo
termine l’agnosticismo, cioè
la propria sterilità
ed impotenza. La contradizione
del positivismo sta
nel dissidio tra ciò
che esso dice
di fare e
ciò che realmente
fa: sorge in nome
dell’immanenza e intanto
vive nella trascendenza, ora
agnostica, ora materialistica. Questa
è la sua
contradizione; ed ecco
che a risolverla sorgono le
nuove filosofìe, che
tutte vogliono porsi come
continuatrici dell’opera del
positivismo. È notevole
questo fatto, che
ogni pensatore, il
quale sia giunto a
una visione concreta
e immanente dei
problemi filosofici, ha
seniito il bisogno
di battezzare la sua
filosofia come il
vero positivismo; ciò
dimostra che quanto v’è
di più vitale
nell’esigenza del positivismo
non è quello
che si disperde e
si annulla nelle scuole
positivistiche, ma è
piuttosto quel momento del
nostro sviluppo spirituale
che ci è
di sprone a conquistare
una visione immanentistica della
vita. Ma l'immanentismo che
da principio sorge
come esplicazione di quello
spirito positivo che
è in tutti i
pensatori, è la più
povera forma d’immanentismo: quella
del senso, della coscienza
immediata. Ed è
il tema più
frequente che ricorre in
quel periodo, e
che vale a
caratterizzarlo tutto. Tanto
nella forma di
un empirismo, come in
un Mill, in
un Mach, o
in uno Schuppe;
o di un fenomenismo, come
in tutte le
scuole neo-kantiane; o di
un intuizionismo come
nella filosofia del
Bergson e in altre
ancora, è sempre
l’identico motivo fondamentale,
che si ripete
su scale diverse.
Noi abbiamo osservato come
il principio dell’esperienza immediata
si annulli da
sé medesimo, e
lungi dal fondare un’assoluta immanenza,
è fatalmente spinto
verso il trascendente. E il trascendente,
di fronte ad
esso, è tutto il
pensiero, in quanto
costituisce un suo
osi avviene che
dalla cultura falsamente
soggettivistica e individualistica, per
cui il pensare
è il riuscire del
concetto, e la
vita è un
semplice rischio, si passa,
in base all’esigenza
di un’intimità più profonda,
a una celebrazione
del trascendente, al misticismo,, che
assume in certi
pensatori un’intonazione veramente
elevata. Ma il
misticismo non migliora la
posizione logica dei
problemi, e determina
invece il momento
in cui le
esigenze stesse del pensiero,
che si è
svolto nei limiti
di determinate premesse, rendono
quelle premesse insuflicienti, ed esprimono
un bisogno di
rinnovamento. Cosi avviene che
quell’immanentismo della vita che
era nelle convinzioni
del pensiero del
secolo XIX e che
non aveva potuto
trovare nel positivismo
la sua formulazione adeguata,
non riesce neppure
ad esprimersi in questa
litosotìa dell’esperienza immediata,
che anch’essa sconfina
nella trascendenza.
L'esperienza storica dei
secoli ha mostrato
che l’attuazione del principio
immanentistico si compendia
nella risoluzione di
due problemi, che
in fondo si riducono
ad un solo:
quello dell’umanità della storia
e quello del
valore umano della
realtà fisica esteriore. La
filosofia che ora
abbiamo considerata era insufficiente
a risolvere l’uno
e l’altro problema. Il
positivismo aveva meccanizzato
lo sviluppo della storia,
creando un naturalismo,
e cioè una
trascendenza, nel seno
stesso deH’umanità, col
suo concetto della
massa cieca e
brutale; e la
stessa nuova lìlosofìa intuizionistica ed
empiristica era incapace di
comprendere il valore
della storia; la
coscienza, della storicità del
reale è in
aperta antitesi con
una concezione immediata della
vita. E d’altra parte
il riconoscimento dell’umanità del cosi
detto mondo fìsico
non poteva esser
dato da nessuna delle
due dottrine: né
dal positivismo, che non
aveva neppure coscienza
del problema, né
dalla filosofìa
deirimmediato, che si
mostrava, già nella sua
premessa, come dualistica,
e per cui
la realtà esteriore, sia
come mondo fìsico,
sia come scienza naturale, costituiva
alcunché di trascendente.
Tuttavia già' in
questo campo si
preparavano i germi
di un rinnovamento. Con
la critica delle
scienze comincia infatti,
nel seno stesso
della filosofìa empiristica,
un rapido processo
di dissoluzione di
quel naturalismo, che aveva
solidificato i concetti
delle scienze empiriche, rendendoli
quasi materia opaca di
fronte al pensiero,
mentre sono pur
opera sua. Noi abbiamo
confutato questo indirizzo,
mostrando che esso idealmente
non rappresenta alcunché
di nuovo di fronte
alla soluzione kantiana
del problema della scienza,
e che anzi
è soltanto a
mezza via tra il
puro dommatisino e
Kant, ciò che
rende equivoca la sua
posizione e paradossali
taluni dei suoi
assunti, che invece, svolti
lino alla line,
conterrebbero dei motivi profondi
di verità. Ma
il valore storico
di questa critica delle
scienze è assai
grande, quando si pensi
che essa aveva
di fronte da
combattere, non già Kant,
bensì quel naturalismo
e positivismo che avevano
reso la scienza
impenetrabile al pensiero. Così, avere
riscoperta l’azione immanente
dello spirito in
quel campo che
gli si era
reso del tutto
estraneo. e mostrato
che il mondo
della scienza —
che è il mondo
stesso della natura
— rientra nella
sfera delTarbitrio umano;
e avere perciò
annullata quella concezione rigidamente
meccanica del mondo
che non solo i
positivisti, ma (pare
incredibile!) perfino i kantiani
avevano instaurata: tutti
questi sono meriti
veramente grandi di
quel vasto movimento
di critica delle scienze,
che si svolse
sullo scorcio del secolo
passato e sul
principio del nostro. Oosi
s’è andato via
via dissolvendo quel
concetto del mondo come
una realtà solidificata
di fronte al pensiero,
e s'è compreso
sempre meglio il
valore immanente dell'esperienza, che
non è meramente
ripro¬ duttiva di una
cosa in sé,
ma produttiva di
realtà e Louvain,
1911 (in 2
voli., l’uno contenente
i testi, l’altro una
ricostruzione storica delle
lotte tra tomisti
e averroisti nel sec.
Xlll). con le sue
esigenze storiografiche, e
assai spesso le falsilica
e le perverte.
Non contenta di
promuovere la conoscenza
dei lìlosofi medievali,
essa ha voluto copiarli,
reintegrando una pretesa
sintesi scolastica, creata
dalfimmaginazione
pseudo-storica di uno storico
di valore, uscito
dalle sue file,
Maurizio de Wulf. Di fronte
al preesistente neo-tomismo,
la neo-scolastica ha
voluto assumersi il compito più
ampio di ricalcare non solamente l’orme
d’AQUINO (vedasi), ma anche quelle
di altri dottori,
agostiniani e sentisti,
che, un tempo
nemici deH’.’^ngelico, vengono ora
da Wulf scoperti
come suoi collaboratori, nell’opera (da
veri certosini!) di
comporre uno smisurato
mo.saico scolastico, al
quale è dato
l’improprio nome di
sintesi. Collaboratori sono in
certo c profondo
signillcato tutti i filosofi,
quale che sia
la loro divisa;
ma la collaborazione de
wulfìana tende a
sopprimere 1 individualità
d’ogni singolo pensatore
e d’inserirne le dottrine,
come materiale amorfo,
in una costruzione anonima, avulsa
dalla storia, perché
non più partecipe
della mobilità del
divenire, ma statica
e inerte, atta soltanto
ad accrescersi per
successive sovrapposizioni. antiche
o nuove che
siano. Scolastica sarebbe quindi non
più una tisonomia
storica che si
trasfor¬ ma, ma un
masso immobile di
pietra, che Wulf si
dà cura di
sottrarre ad ogni
movimento, anche esterno, col
separare nettamente la
scolastica dall’anti scolastica,
cioè col sostantivare,
in un’altra unità separata e
rigida, tutti quei
moti divergenti e disgregatori, che
pur appartengono allo
stesso pensiero medievale
e che, inclusi
con sano criterio
storico nella scolastica,
le conferirebbero quella
mobilità viva che
appartiene a un
vero organismo. Questo pregiudizio
più che scolastico
falsifica la Storia della
filosofia medievale di Wulf,
opera immeritainente
celebrata, perché non
può non suscitare,
nei critici meglio
disposti ad apprezzare
il lavoro altrui,
che un senso
di dispetto o
di deplorazione, al
constatare come una
cosi vasta e
profonda conoscenza del pensiero
medievale si falsifichi
e si annulli, per
colpa di un
testardo proposito di
voler trattare la storia
con un criterio
decisamente anti-storico.
Pereant historiae, purché
sia salva la
neo-scolastica: par che
Wulf ragioni cosi.
E in effetti, separando scolastica
e anti-scolastica, papa
e anti-papa, nel
cuore stesso della
storia medievale, dove la
separazione degli elementi
organici è più
aspra e, diciamo pure,
ripugnante, è tanto
più facile perpetuare
la separazione in
seguito, quando Tanti-scolastica diviene
a sua volta
un’età storica, e
accrescere la scolastica
dei magri doni
dello Spirito, che le
piovono addosso di
tanto in tanto.
È sorta cosi la
neo-scolastica, quella scuola
che, pur avendo
di fronte ad AQUINO (vedasi) l’incontestabile vantaggio
di spaziare in un
cielo storico incomparabilmente più vasto
e di non
accontentarsi di un
san Tommaso ischeletrito, mutilo,
custodito nella solitudine
e quasi nel deserto
dei secoli, ha
poi sùbito voluto
rinunziare ai suoi
privilegi storici, facendo
della storia una pesante
cappa di piombo. Confesso che la lettura
del corso del
Mercier m’è costata assai
più fatica che
non quella delle
Somme di Alessandro o
di Tommaso o
dell’Opus Oxoniense di Duns.
La ragione è che si
trattava di una
fatica senza premio, che
inaridiva progressivamente e
senza recupero le proprie
fonti e l’energia
della resistenza. In fondo,
non c’è che
la struttura esterna
massiceia, pesante, del
tomismo, senza lo
spirito d’AQUINO (vedasi), tormentato
dal problema insolubile
di costringere nelle
forme aristoteliche una
materia ribelle. Il Mercier
ha raccattato nella
storia quel poco
che era compatibile con
le sue premesse
dommatiche: il criterio cartesiano
dell’evidenza, il problema
della criteriologia, inteso come
un’attenuazione della critica
gnoseologica, il pseudo-empirismo dei
positivisti, e sopra
tutto il formalismo
della vecchia e nuova
logica analitica. I..a
criteriologia forma il
segreto della composizione
di tutto il
mosaico: essa ripristina
(dopo Kant) il
dubbio cartesiano, limitato ai
soli oggetti della
conoscenza, dichiarando illegittimo
il problema del
valore delle facoltà
conoscitive: un valore che viene dommaticamente presupposto. E del
primo dubbio si
sbriga facilmente col
riconoscere l’evidenza immediata
di alcuni principi d’ordine ideale,
ai quali si
dà cura di
negare ogni carattere sintetico
e attribuisce invece
un valore meramente analitico,
che avvalora la
loro intatta oggettività.
Ma tra i
princìpi in questo
modo sottratti al dubbio,
v’è il principio
di causa, il
cui valore oggettivo consente
di passare, senza
salti, dalla sfera dei
giudizi ideali a
quella dei giudizi
empirici; il mondo della
natura e della
scienza viene agevolmente rimorchiato dal
principio d’identità. L’ontologia
e la cosmologia del
corso merceriano procedono
di pari passo dalle
premesse criteriologiche testé
enunciate; idealismo e
positivismo sono insieme
saldati dal concetto di
causa, che vanta
titoli eguali presso l’uno
e presso l’altro.
E l’idealismo salva
la trascendenza di
Dio, l’immortalità deU’aninia,
la rivelazione, con
tutto il pesante
bagaglio della dommatica
cristiana; il positivismo
consente alla neo-scolastica di
modernizzarsi, di koketlierenm direbbero i tedeschi, con le
scienze della natura
e 'l’indulgere il più
ch’è possibile al
gusto dei tempi. Una
tale filosofìa è
criticata in quanto
è esposta; non si
saprebbe se più
deplorare l’ignoranza che vi
si dispiega di
tutta la storia
del pensiero moderno o
l’ingenuità di certi
passaggi me'ntali, quello
p. es., mediato dal
principio di causa.
Io rispetto assai
più il dommatismo puro,
lo schietto tomismo,
che nega la storia
del pensiero e
si chiude nelle
vecchie e venerande
formule; ma almeno
non si lascia
cosi facilmente misurare
dalla mentalità moderna
come questa filo.sofia che
le si accosta
troppo da presso, e
si trastulla ingenuamente
coi suoi problemi.
Il neo, anteposto al
suo nome, vale
a designare null’altro
che l’infantilità. Il movimento
neo-scolastico italiano sorge
come una copia fedele
della scuola di
Lovanio. Gemelli e
Canella fondano una
Rivista di filosofia
scolastica sul modello
della rivista belga
ed accettano, nel programma,
l’ideologia merceriana: MATTIUSSI
(vedasi) lo spaventa con Il
veleno kantiano, dove gli
lascia intravvedere il rischio
di rinnovare la
miseria d’Abelardo, non
più per amore di una bella
Eloisa, ma. della filosofia kantiana. Noi pretendiamo,
dice l’apocalittico MATIUSSI
(vedasi), che nell’opera
del filosofo di
Koenigsberg dal principio alla
fine ogni cosa
è impossibile e il
disegno n’è contradittorio, che
tutto è rovina
e che qualunque asserzione
si ammetta di
quello ( sic) che egli
da sé nuovamente
disse, ne rimane
tronco alla radice dell'essere
conoscitivo; ed è
veleno, del quale basta
una goccia per
dare la morte
alla scienza e all’intelletto (!!)>.
E in un
altro suo scritto.
Il Problema della conoscenza,
il Mattiussi mostrava
di porre allo stesso
livello la critica
kantiana della ragione e il dubbio
merceriano sull’oggettività della conoscenza additando,
nel dommatismo puro,
la via della salvezza
dell’anima e del
corpo. Questa recrudescenza di
animosità da parte
dei dommatici derivava in
gran parte dalla
scandalosa impressione che sul
loro animo aveva
fatto il tenta¬ tivo
di CHIOCHETTI (vedasi),
animoso e ardente
pensatore trentino, il
quale si propone d’acclimatare negli ambienti
scolastici il sistema
di Croce. Iinfatti pubblica
una serie di articoli
su quella filosofìa,
nella Rivista di Gemelli,
facendo precedere all’esame
del pensiero crociano un
lungo excursus storico
sulla speculazione tedesca
che ne costituiva
il fondamento. Il piano
storico del lavoro
era sbagliato, in
quanto che la genesi
del pensiero di
Croce si spiega
rimontando non la
corrente centrale, metafisica
(Croce dice teologica) Kant-Fichte-Schelling-Hegel-SPAVENTA; ma
una corrente laterale
che ha per
suoi estremi Vico e
Sanctis. L’interessamento di Croce
per le grandi
filosofìe tedesche interviene
in un secondo momento,
come per meglio
intonare, storicamente, un pensiero
già in gran
parte formato per via
diversa. A ogni
modo, lo sforzo
di volere attribuire un
interesse centrale a
una filosofia che ripudia
ogni centro fisso
dell’interesse speculativo,
costituiva pel Chiocchetti
una propizia opportunità per poter
superare, insieme col
Croce, tutta la
spe¬ culazione classica, e
per liberarsi, cosi,
del pesante fardello della
storia. Alla filosofia crociana
egli faceva larghe
e importanti concessioni:
la teoria dell’arte,
dell’ateoreticità dell’errore, e principalmente quella
del concetto con¬ creto,
che culmina nella
circolarità creatrice dello spirito. Faceva
naturalmente le sue
riserve. Ammettiamo anche noi
un divenire, un
progresso, ma non possiamo
concepirlo senza ricorrere
a un principio
che non sia
principiato, perché personale
nel senso più alto
della parola ;
un principio fine
a sé stesso e fine del
tutto, un (ictus
parus personale, dal quale
e per il
quale il progresso
esiste, un centro di
riferimento di tutta
l’attività. Moveva alcune critiche in
parte calzanti: «Il
concetto di persona, il
valore della persona:
ecco quello che
manca, soprattutto nella
dottrina del Croce,
e rende vano e
senza significato il
divenire della realtà
attraverso le forme. Anche
il concetto dello
spirito come circolo
o come ininterrotto
e ordinato arricchimento
di attività, per avere
un senso, dev’essere
concetto e deve inchiudere
in sé come
elemento essenziale il fine
deU’attività progressiva, la
persona; se no
abbiamo l’assurdo del
progresso in infìnitum,
checché opponga il Croce. Ma
il vizio più
grave che svaluta
le adesioni non meno
delle critiche, sta in un
fraintendimento, che non saprei
spiegarmi con motivi
puramente mentali
(ateoreticità dell’errore, Chiocchetti!): quello del
concetto puro di Croce
con l’unìversale in
re d’AQUINO (vedasi). In
fondo, accettando l’universale
concreto della filosofia
moderna, il Chiocchetti
non vi riconosce che
il progenitore scolastico,
dimenticando, 0 mostrando di
dimenticare, che in
esso c’è l’appercezione pura
di Kant, la
risoluzione dell’oggettività
naturale, in una
parola, lo Spirito.
Affermare che [Individualismo e
universalismo fanno centro
in Europa, donde
s’irradia la nuova
storia del mondo; tutte
le conquiste della
civiltà estraeuropea sono
infatti europee nello
spirito e nell’impulso;
l’Africa particolarmente è il
supremo sforzo e
il massimo rispltato della
storia europea. Questo non
porterà nome di
uomo o di
popolo, perché le massime
creazioni sono anonime: il
genio può riassumere
l’incoscienza di un
popolo, non dare
la propria fisonomia
alla sua coscienza. Il
suo carattere ideale
è chiuso tra
due fdosofle, che rappresentano
il suo trionfo e
la sua degradazione. Dopo Tenorrae
abbacinante filosofia di
Hegel, che riassunse
tutta l’antichità e
aperse l’era moderna,
la degradazione fu
precipitosa; Hegel aveva sollevato il
mondo nelle idee,
i positivisti distrussero
le idee nei
fatti; la loro
filosofia era la
sola conveniente a
una fase industriale,
che isolava gl’individui
livellandoli invece di
unificarli; l’inconoscibile,
del quale l’interpretazione istintiva
è ideale e
pregio della vita, venne
dichiarato inutile, la
storia cessò di chiedere
le rivelazioni del
passato ai grandi
pensieri per impararle
dalla parzialità dei
piccoli documenti, le
leggi non furono
che disposizioni nelle apparenze fenomeniche,
la morale un
mutare di costumi,
le idee una
metamorfosi delle sensazioni.
La superlicialità rese tutto
facile, e la
volgarità parve la sicurezza
del reale. L’uomo,
senza lo spasimo
dell’infinito nel cuore
e la luce
divina nel pensiero. I
La Hiuolta ideale^
ed. Laterza. ritliscese neiranimalità, ultimogenito
di una serie, anziché primogenito
della creazione. Contro questa
degradazione positivistica o
industriale, che annulla
le grandi conquiste
ideali dello spirito, e
si riassume nell’individualità nuda
e atomistica e
neH'umanità identica e
vuota, e abbassa
la coscienza all’inconscio, la
responsabilità all’eredità
del passato, la
creazione all’associazione, Oriani,
echeggiando alcuni concetti
dell’idealismo, si afferina
fautore di un
superiore individualismo, in
cui fa consistere l’originalità
del pensiero nio-derno.
Ed enuncia il principio
che l’individuo non
è tale che nell’unità delle
proprie antitesi: sopprimete
in lui il temperamento
della razza, il
carattere della nazione,
la lìsonomia della
famiglia, e la
sua originalità si annebbia.
Ma l’individualità vera
non è quella che
si allerma nell’isolamento ;
la grandezza delrindivi'duo si
misura dalla quantità
delle anime che può
assorbire e significare:
nessun individuo ha niente
da dire finché
parla di sé
stesso. E l’inclusione,
in esso, di
un più vasto
mondo, crea la sua
responsabilità storica, momento
negativo essenziale di quella
liberazione e sublimazione
del mondo, che si
compie nell’alTermazione piena
di sé stesso.
L’individuo è la
storicità vivente: bisogna affermare, esclama ORIANI (vedasi), che
tutto quanto forma
il nostro spirito è un legato
della storia per
le generazioni future, quindi
il nostro interesse
nel presente soltanto
un’eco del passato,
che ridiventerà voce
ncl-l’avvenire. Ogni cooperazione
umana aumenta di
responsabilità crescendo d’importanza,
giacché la superiorità
non è che
il diritto di
soffrire più in
alto, pensando per quelli
che non pensano,
amando per quelli che
non amano, lavorando
per quelli che
non possono» E questa
sublimazione deH’uinanità nel-rindividuo, forma
la sua libertà
concreta, liberatrice, che
non discorda dalla
necessità, ma ne
è la coscienza immanente. L’affermazione di
essa si compie
attraverso i gradi necessari della
progressiva complicazione della
vita umana; la famiglia,
la nazione, lo
stato, l’umanità; cioè attraverso
le successive negazioni
della soggettività, che si riconquista,
integra, solo al
termine del laborioso pellegrinaggio. Quindi
nella famiglia gli sposi
debbono sparire nei
genitori sacrificandosi alla devozione
dei figli; quindi
nella società gl’intere.ssi
individuali saranno sempre
subordinati a quelli
'. £ il
solito pregiudizio logico-formale, che
svaluta il pensiero
nell’atto stesso in cui
intraprende la sua
ricerca, abbassando le
leggi al di sotto
della massa caotica
dei fatti. E Pareto, non
certamente a sua
lode, ci dà
un’applicazione esatta del suo
principio, con l’addensare
prodigiose masse di esempi
e con lo
svuotarle in pretese
leggi ed insignificanti uniformità,
che rappresentano il residuo
di una morta
astrazione. Egli vuole
classificare le azioni
umane secondo i
principi della classificazione detta
naturale in botanica
e in zoologia; anzi, neppure
le azioni concrete
formano oggetto della sua
elaborazione, ma gli
elementi di quelle azioni. Del pari
(sic) il chimico
classifica i corpi semplici e
le loro combinazioni,
e in natura
si trovano mescolanze
di tali combinazioni.
Le azioni concrete sono
sintetiche; esse hanno
origine da mescolanze,
in proporzioni variabili.
E lascia impregiudicato l’ulteriore
problema se siffatto
essere sia impersonale (panteismo)
o personale (teismo).
Troppo a buon
mercato! Il compito
di una metalisica del conoscere
comincia proprio qui,
dove VARISCO (vedasi) si arresta
perplesso: ma egli è arrivato
esaurito, con un «
essere indeterminatissimo »,
proprio dove l’idealismo concentra
la massima concretezza
dello spirito. Il suo
errore è comune
a tutta la
«metafisica dell’essere, che vuota
progressivamente, lungo la
scala degli esseri,
i suoi concetti,
e cerca infine
Cosicché, mentre GENTILE è venuto
fuori dalla tradizione propriamente
hegeliana, che ha
avuto in SPAVENTA uno dei suoi
esponenti maggiori, Croce
ha subito solo
rinilusso indiretto generale -- egli
dice nella prefazione
alla Logica (Ifllfi) —
è insieme annullare
il concetto STATICO del sistema
fìlosolìco, surrogandolo col
concetto DINAMICO – cf. Luigi Speranza, “STATICA E DINAMICA DI GRICE” --
delle semplici sistemazioni storiche dei
gruppi «li problemi,
delle quali ciò che
persiste e sopravvive
sono i singoli
problemi e le loro
soluzioni e non
già l’aggregato e
l’ordinamento esterno, che
ubbidisce ai bisogni
dei tempi e degli
autori e passa
con questi, o
si serba e si ammira
solo per ragioni
estetiche, quando pur
abbia tal pregio. In questa
più recente fase,
Croce ha finito
col capovolgere la posizione
iniziale del suo
pensiero di fronte al
problema storico: passando
via via dalia considerazione della
storia come arte,
a quella che ne
fa una forma
di realtà autonoma,
inferiore alla filosofìa, a
quella dell’identità e
reciprocità piena con la
filosofia, finalmente a
quella della sopravvalutazione della
storia rispetto alla
pura filosofìa, CROCE ha,
come si vede,
descritto un ciclo,
nel quale dobbiamo riconoscere
che il suo
pensiero si è
molto arricchito ed ha
sempre meglio appagato
quell esigenza verso
la concretezza, che lo
spronava. Nella sua citata
autobiografia mentale egli
ci dice cl^e
la esigenza immanentistica è
ormai cosi viva
in lui, che gli
fa immaginare «non
senza diletto >
che abbandonerà un giorno
la filosofìa nel
significato comune, per narrare
la « storia
pensata ». Ormai
egli ha là preparazione
necessaria per il
nuovo cimento: la Storia
della storiografia italiana
nel secolo deciinonono,
che egli va
pubblicando a puntate
nella 2' serie della
Critica può significare
già un avviamento
a questo indirizzo. Ma
per un filosofo
l’abbandono della filosofia
non può avere che
un significato, a
sua volta, filosofico o
dialettico; non certamente
quello di un
mero passaggio da
una sfera di
attività ad un
altra. E per ora,
quell’abbandono ci viene
spiegato nel suo
più vero senso dall’ultima
monografìa filosofica che
Croce ha pubblicato
da qualche mese:
Sulla filosofia [ Per la bibliografla e
le discussioni intorno
al pensiero di Croce, R. rimanda
al voi. G.
Casteli.aso, Introduzione allo studio
delle opere di
Croce, note bibllografiche e
critiche. Bari] teologizzante
e le sue
sopravvivenze (Napoli), (love i
lilosofì stessi vengono
incitati ad abbandonare una folla
di problemi insolubili,
eufemisticamente chiamati
problemi massimi ed
eterni. Per Croce, conforme al
suo coerente immanentismo,
vale il principio deirunità
del problema con la soluzione, secondo il
quale un problema
acquista carattere di problema
solo nel punto
in cui viene
risoluto. Quindi 1 pretesi
problemi insolubili, che
formano il tormento
di tutte le
filosofie, sono in
realtà non-problemi, ma
miscugli ibridi di
rappresentazioni e di concetti,
adeguati piuttosto ad
alcune forme di
esperienza religiosa anziché
alle esigenze razionali
dello spirito. Tra questi
primeggia il problema
della conoscibilità del
reale, del rapporto
tra il pensiero
e l’essere, in cui
Croce ci mostra
la presenza di un
interesse meramente teologico,
e cioè compatibile soltanto con
una intuizione dualistica
del reale. La lilosofia
del Gentile ha
seguito, in quest’ultimo
periodo, un inverso
processo di sistemazione
e di accentramento. Quando
R. chiude, con una sommaria
esposizione dei suoi
capisaldi, la r edizione
della presente Storia,
il pensiero di
questo filosofo è in
gran parte disseminato
nei suoi lavori storici;
e soltanto una
breve monografìa. L’alto del
pensiero come atto
puro, lasciava presentire
la peculiarità di
un atteggiamento mentale
del tutto nuovo. Da
quel tempo in
poi, GENTILE (vedasi) lavorato
a sviluppare la
sua dottrina dell’idealismo attuale, le
cui tappe più
importanti sono costituite dal Sommario
di pedagogia come
scienza filosofica (Laterza);
La riforma della
dialettica hegeliana (Messina); Teoria
generale dello spirilo
come alto puro
(Pisa); Sistema di
logica come teoria del
conoscere (Pisa). Per ragioni
di spazio, sono
costretto a sorvolare sulla fase
preparatoria e formativa
di questa fìlosolìa,
che ha le
sue tappe nettamente
segnate dalla informa della
dialettica e dal
Sommario di pedagogia.
Il primo saggio ci
spiega in che
modo GENTILE sia
riuscito — affatto
indipendentemente da CROCE — a
rompere lo schematismo
hegeliano, utilizzando le
importanti indagini di SPAVENTA
sulle tre prime categorie
della Logica di
Hegel. Una volta inteso
l’essere, il non-essere
e il divenire,
non più come posizioni
logiche oggettive del
reale, ma come momenti
della coscienza, dove
il divenire, sintesi
dei termini precedenti, esprime
il processo stesso
del sapere, che vince
nella sua concretezza
i momenti astratti e
rig di in
cui l’analisi lo
decompone, tutta la sopra-struttura della
logica hegeliana viene
inevitabilmente sconvolta. Il Sommario
di Pedagogia, nella
sua introduzione, compie, in
rapporto alla fenomenologia, la
stessa istanza critica che la riforma
della dialettica compie in
rapporto alla logica
di Hegel. Il
pensiero puro, come non
ha bisogno di
percorrere i gradi
categorici dell’essere (del
conosciuto, secondo gli
schemi della logica formale)
per giungere alla
piena coscienza di
sé, perché si
afferma a priori
come pensiero consapevole
e attuale; così
non ha neppur bisogno di
attraversare i gradi
psicologici della conoscenza,
cioè la sensazione,
l’intuizione, ecc., perché 1«
1,’csscre che Hegel
dovrebbe mostrare identico
ai nonessere nei
divenire che solo
è reuie, non
è i essere
che egli definisce come
l’assoluto indeterminato (TassoUito
indeterminato non può
essere che l’assoluto
indeterminato!); ma l’essere del
pensiero che deHniscc
e, in generale,
pensa: ed è,
come vide Cartesio, in
quanto pensa, ossia
non essendo (perché, se
fosse, ii pensiero
non sarchile iiueiio
che è, ossia
un atto), e perciò
ponendosi, divenendo [Teoria
generale della spirito come
atto puro, R. T.a
tllosotla contemporanea. non può
mutuare da altri
che da sé,
non solamente la sua
forma, ma anche
il suo contenuto.
Cosi Gentile ha
portato al suo
estremo l’idea implicita in
ogni fllosoiìa idealistica,
che il pensiero
non può originarsi che
da sé, mostrando
che qualunque dato o
presupjpostc che si
voglia anticipare alla
sua attività ha il
valore di cosa
posta da quella
stessa attività. Di fronte
al comune psicologismo,
tale istanza critica culmina con
l’identificazione del pensiero
e della sensazione, nel
senso che qualunque
esigenza ideale si attribuisca
alla sensazione fuori
di ciò che ne
costituisce un dato
irriducibile, dove si
rivela una falsa posizione
fdosofica è un’esigenza
mentale, inclusa cioè nell’attualità del
pensiero. Con l’efl'ettuata identificazione, vien
negata una fenomenologia dello
spirito nel significato
hegeliano, cioè come una
progressiva deduzione ed
implicazione di gradi spirituali;
ma viene nel
tempo stesso affermata
una nuova fenomenologia
del sapere e
della realtà come consapevolezza, che
coincide con la storia stessa,
nella concretezza del
suo divenire. L’assoluto
psicologismo ha il
valore di un
assoluto storicismo. Posto
infatti che il
pensiero non deriva
che da sé la
realtà propria, e che questa
derivazione è la sua
efl'ettiva e pratica
esplicazione, il corso
ideale del pensiero non
è che la
storia reale del
peìisiero stesso e quindi
del mondo. Qui l’idealismo
gentiliano si pone
come la negazione
recisa di ogni
realtà che si
opponga al pensiero come
suo presupposto e
del pensiero stesso
concepito come realtà già
costituita fuori del
suo svolgimento, come sostanza
indipendente dalla sua
reale manifestazione. La
realtà dello spirito
o delle cose,
posta fuori della soggettività
pensante, forma la
così detta natura, distinta
dal pensiero non
come oggetto da Oggetto,
ma come oggetto
da soggetto, ossia
inclusa e risoluta nel
pensiero, nell’atto stesso
in cui questo la
riconosce distinta da
sé, e cioè,
pensandola, la pone, e
ponendola la nega
come già posta
o presupposta. La
natura si svela
cosi una realtà
pensata, un processo logico
esaurito e pietrificato,
capace tuttavia di
risollevarsi all’attualità spirituale,
in quanto lo spirito lo
pensa e l’include
nel suo processo,
che ha un cominciaraento spontaneo,
assoluto, in quel pensare. Nulla dunque
è fuori dello
spirito, « se
Tesser fuori è un
riconoscimento, cioè un
porre fuori mediante
l’attività del pensiero.
Né vale appellarsi
all’ignoranza, come documento
delTirriducihile esteriorità di
taluni fatti alla
coscienza; perché la
stessa ignoranza non è
un fatto senza
essere insieme una cognizione: cioè
ignoranti siamo solo
in quanto o noi
stessi ci accorgiamo
di non sapere,
o se n’accorgono
altri; sicché l’ignoranza
è un fatto,
a cui l’esperienza può
appellarsi solo poiché
è conosciuto. La
coscienza si pone
pertanto come una
sfera 11 cui raggio
è infinito: come
centro assoluto e
immoltiplicabile nella cui
unità converge la
molteplicità degli oggetti,
che esiste solo
in virtù del
suo riconoscimento. L’unità della
coscienza, del soggetto,
è la pietra
angolare di questa
filosofia : essa include
non soltanto i
cosi detti fatti
dell’esperienza esterna, incomprensibili nella
loro struttura fuori della
sintesi mentale; ma
anche gli atti
dell’esperienza interna e
dei soggetti empirici
umani o sub-umani, la
cui pluralità è
del tutto identica
a quella degli oggetti
naturali e si
risolve quindi nell’unità
dello spirito che
attualmente la pensa.
Un mondo ideale policentrico,
monadistico, rappresenta per Gentile
un residuo di
naturalismo
ingiustificabile, poiché non
c’è esperienza umana
che coltra il mutuo
trascendersi delle monadi
e raccolga la
loro sparsa idealità in
un principio unico,
il quale verrebbe
perciò spostato all’infinito.
Mentre invece, l’esperienza nella
sua concretezza esige
l’assoluta immanenza di quel
principio, fuori del
quale anche la pluralità
svanisce. Il rapporto
tra me e
un altro soggetto empirico
non può esistere
fuori della mia coscienza
che lo pone;
se mai trascendesse
la sfera della coscienza,
ogni mutua intelligenza
sarebbe preclusa; ma,
appunto perciò l’atto
di coscienza che include
l’altro in me
e nel tempo
stesso lo distingue da me, costituisce la soggettività
più profonda in cui si risolvono le soggettività empiriche. l’io e l’altro, e che forma la comune radice d’esse.
Quell’atto dunque non è mio, perché
tale appartenenza significherebbe
già la sua riduzione al soggetto empirico, ma è l’io, è ratTermarsi concreto d’un
rapporto nella forma della soggettività mentale. Gentile dà a questo io il nome
di soggetto assoluto o trascendentale;
ad esso, a differenza dall’io empirico – cf. H. P. Grice, “Personal Identity,”
Mind, attribuisce l’identità
universale e
immoltiplicabile, che vince
la sparsa attualità
del monadismo. Con questo concetto,
egli è in
grado di risolvere le
varie antinomie che
hanno travagliato il
pensiero di molti filosofi,
come quelle del
realismo e del
nominalismo, dell’universale e
dell’individuale, ecc. fino alla
recente vexata quaestio
della distinzione tra l’attività teoretica
e l’attività pratica
e del primato dell’una o
dell’altra. Nell’attualità dell’Io
assoluto v’è la ragione
unitaria di ciò
che nelle antinomie
si polarizza, e insieme
la spiegazione del
modo con cui la
polarizzazione avviene, quando
lo spirito, affiorando alla
superficie, perde l’intimo
contatto con sé
stessa e converte
in determinazioni statiche e
rigide gli astratti
momenti della sua
sintesi originaria. Cosi
il rapporto del
teoretico e del
pratico è da Gentile compreso
nell’unità a priori
dello spirito, che
è atto intelligente
o riflessione attiva,
cioè unità dinamica di
teoria e prassi;
mentre la difTerenza
nasce nella sfera
superficiale della coscienza, dove i
'due momenti si
solidificano in entità
distinte. Tale unificazione spirituale,
per Gentile, non
vuol essere assorbimento del
molteplice nell’uno ed
esta¬ tica contemplazione dell’uno,
ma realizzazione e comprensione dell’uno
nel molteplice, e
insieme differenziamento e
moltiplicazione dell’uno; insomma quello spiegamento
dello spirito, che
riconduce a sé, alla
propria identità, gli
atti della sua
reale esplicazione. In
questo principio è
riposto il criterio
dello storicismo di GENTILE.
Vi sono due
modi di concepire
la storia. In
questa posizione si
risolve l’antinomia storica, secondo
la quale lo
spirito è affermato come
storia, perché è
svolgimento dialettico, ed è negato
come storia, perché
è atto eterno fuori
del tempo. E
si risolve nel
concetto del processo
che è unità,
la quale si
moltiplica restando una; di una storia,
perciò, hleale ed
eterna, che non è
(la confondere con
quella di VICO,
che ne lascia fuori
di sé una che si
svolge nel tempo;
laddove reterno, nella
concezione del Gentile,
è lo stesso tempo
considerato nella sua
attualità. Ma di fronte
a questa molteplicità
vera e attuale che
si esplica nella
storia, e la
cui concretezza sta nel
suo svolgersi dall’unità
e nell’unità dello
spirito, v’è un’altra e
diversa molteplicità, astrattamente fissata nell’oggetto
del pensiero ed
esistente indi¬
pendentemente dall’atto mentale.
Mentre la prima
appartiene alla logica
del pensiero puro,
1 altra rientra nella
logica astratta del
pensato. La differenza
nasce dalla dialettica
stessa del pensiero;
che, in quanto è
atto, è dillerenziamento ed
esplicazione di sé; ma
l’atto, una volta
compiuto e isolato
dalla soggettività
creatrice, si converte
in un fatto,
cioè si naturalizza e
diviene una realtà
intelligibile e non più
intelligente. A questo
pensato si appropriano
non le categorie
della dialettica, che
concernono il pensiero
in fieri, ma
quelle della logica
formale, le quali
determinano la struttura
dell’oggetto mentale come puro
oggetto. Tuttavia la peculiarità
del processo spirituale sta in ciò che
in esso l’astrattezza
di quella posizione
oggettivistica è non
solo negata, ma
anche allcrmata. il pensiero
concreto, nell’atto in cui nega il
pensato come tale,
lo afferma come
momento inseparabile del
suo sviluppo. La
dialettica viva dello spirito
sta in questo
continuo naturalizzarsi e
straniarsi del pensiero,
del soggetto, nell’oggetto;
e in questo riaff
ermarsi di sé,
attraverso la stessa
oggettivazione, che è
risoluzione dell’oggetto come
tale e sua inclusione
nel proprio ciclo. Gentile, Sistema
di logica come
teoria dei conoscere, Pisa, Conforme a
queste premesse, Gentile
ammette due logiche, runa
che è grado
all’altra ; «Se
dialet¬ tica diciamo la
logica del concreto,
ossia del jjuro conoscere, che è riinità
del soggetto e
dell’oggetto, oltre la dialettica
bisogna pure ammettere,
come grado alla stessa
dialettica, una logica
dell astratto, ossia del
pensiero in quanto oggetto, nel
momento dell’opposizione, senza di
cui non è attuabile l’unità in
cui il concreto
risiede Nel Sistema
di logica come teoria
del conoscere Gentile
finora ci ha dato
una logica del
pensato; ad essa
terrà dietro la dialettica, cioè
il sistema detl’attività
pensante, di cui
non possediamo che
i capisaldi, già esposti
nelle pagine precedenti. La diflerenza
del pensiero e del pensato
e della molteplicità immanente
all’uno e all’altro
vale anche a determinare
il rapporto tra
le forme assolute,
e che > Donde
la necessità di
porre su due
plani ben distinti
le relazioni interne del
pensato e le
relazioni nelt’atto del
conoscere, la relatività
delle determinazioni del
reale e quella
del momenti del processo
conoscitivo, l’/o penso
della logica kantiana
e il soggetto
assoluto della metalisica. quindi una
metafisica della mente
deve seguire una
via multo più indiretta
e faticosa per
fondare la spiritualità del reale.
Dalla Critica del
Giudizio di Kant,
alla filosofia della natura
di Schelling e
di Hegel, via
via fino al
contingentismo del Boutroux,
all’evoluzione creatrice del Bergson,
al realismo dcH’Alexander, al
neo-hegelismo delrHamelin. è
tutta una serie
di sforzi per
questa via più ardua;
essi valgono almeno
a segnalare la
presenza di un problema
di cui l'attualismo
s’é sbrigato troppo
a cuor leggero. Tutto
ciò che formava
oggetto della metafisica
dell’essere non s’illumina
in un fiat
col porre l’equazione tra
l’essere e Tesser
conosciuto; cosi non si
fa che porlo
semplicemente a foco;
ma si tratta
poi di conoscerlo clTettivainentc; se
no, si trasferisce
il mistero da una posizione
all’altra, senza accrescere
di un sul iota
la nostra conoscenza
della realtà. Pretendere
di aggiogare il mondo
all’atto del pensiero,
senza che questo si
faccia concretamente coscienza,
autorivelazione, atto del mondo,
è un faticare
per trascinarsi dietro
la propria ombra: agendo
nihil agere. Questi cenni
critici preludono a
un esame particolareggiato della
filosofia di Gentile, che
io mi propongo di
pubblicare nell’appendice al
presente libro, e
ad una revisione della
mia posizione idealistica,
di cui ho
cominciato a dare
qualche sporadico saggio
negli scritti pubblicati in
questi ultimi anni. In questa nota si fa
cenno unicamente dei
libri che hanno attinenza
col testo. Per
una bibliografia più
estesa, cfr. F. rKBKBWEG.
Gniiulriss der Gescliichle
der Pliitosoiìhie: die
Pliil. seit lieginn
des neiinzehnten Jahrhitiiderls); ed. da
Heinze. Berlino, litoti. INTRODUZIONE.
Sulla filosofia contemporanea
in generale, ampi ragguagli
si trovano nelle
riviste, come La critica,
la Riuista di
lilosofia, la Cultura
filosofica, la Zeitschrift fiir
Phitosophie und phitosophische Kritik,
la lievue de Métaphysique
et de Morale,
il Mind. Ufr.
inoltre Wi.NDELBANU, Lehrbuch
der Geschichte der
Philosophie, Strassburg, Tùbingenl;
H. Hoffdino. Moderne Philosophen,
Leipz.; Mabtinetti,
Introduzione alla metafisica,
Torino; F. de
Sablo, Studi sulla filosofia contemporanea, Roma;
V'illa. La psicologia,
Torino; L’idealismo moderno, Torino; Aliotta,
La reazione idealistica
contro la scienza, Palermo;
su di essa,
v. la mia
recensione in Critica. Il concetto
della nazionalità della
filosofia, da cui prende
le mosse la
nostra Introduzione, si
trova sviluppato nelle
opere di B.
Spaventa. Cfr. specialmente:
La filosofia italiana nei
suoi rapporti con
la filosofia europea, Bari. LA FILOSOFIA TEDESCA. KOlfe. Die Philosophie der
Gegenwart in Deutschland,
Leipzig, Cahitolo I:
intorno alla tlissoluzioni- tlclPhi-gelismo, J. H. Erdmaxn,
Gniiulriss der Gesrhichle
der l‘hilosophie, i-(l. da B.
Erdinann, Berlin. Per la scuola
di Tu- binga: F.
G. Baur, Die
Tiibinger Schiile vnd
ihre Stelliiny zur Geyenioart,
Tiibingen; Zkller, C. tiaur et
fècole de Tiibitmue.
Ir. fr., Paris; Strauss, Dos l.ebeit
Jesii. Tùb.; Der
alte iind tiene
GItinbe, Leipzig. Un parallelo
tra Strauss e Renan
si trova nei Vorlrdge
und Abhnndiungeii geschichtlichen Inhalts dello
Zeller. Sul materialismo storico:
Marx. Dos Kapital,
Krilìb der itolitischeii
Oekoiwmie, ed. dalVEngels (Hamburg);
ifisère de la
pbilosopltie, Paris. ; F. Encels,
llerrn Kngen Dùhrings
Gmaitilzang der
Wisiseiischnft, Stuttgart. In
proposito I.abriula, Saggi intorno
ulta concezione mnlerialislictt della,,
storia (3 v(dunii. Roma; (!.
Gentile. La /i/osoflo
di Murjc, Pisa; Croce.
Materialismo storico ed
economia marxista, Bari.
Sulla psicologia dei
po- pedi: Xeilschrift far
Vólkerpsgcliologie and Spracliaa's- senschaft, ed.
da .\1 Lazahls
e H. Steinthal, Sul naturalismo:
BCchneh, KrafI and
Staff, Frankfurt a M..;
E. nu Bois Reymond, Die sieben
Weltrdihsel, la:ipzig,: sono
le opere più significative. Inoltre:
Duhkixg, Cursus der
PliUosophie; Logik und
ÌVissenscbaftsIheorie, Leipz;
Th. Fechne;h. Zend-Aiiesta,
Leipzig; E. Hartmann, Philosophie
des Vnbeaaissten, Berlin;
Kalegorienlehre, Leipzig; Drews,
Das Ich als Grand-problem
der Metaphgsik, Freiburg.
Sul naturalismo in
genere, cfr. .4.
Lance, Histoire da
matèria- lisme, tr. fr.,
Paris, Lotze: Mikrokosmos, Leipzig,
vedi; Logik, Leipzig;
Metaphgsik, Leipz.. Sul Lotze:
O. Caspari, //.
L. in seiner
Slellang za der
durch Kant begriindeten neaesten
geschichte der Pbilosophie Breslau; H.
Schoen, La métaphgsigue
de H. L., Paris; Wallace, Lectures
and Essags, Oxford (vi
si parla del
Lotze in appendice); R., La
filosofia dei valori
in Germania, Trani (estr. dalla
Critica). Laas, Idealismas und
Positivismus, Berlin, Schlppe,
Erlienntnistheoretische iMyik, Bonn, ;
(inindriss der Erkenntnistheorie iiiid
l-f>iiik, Berlin. Rehmke, l.ehrhiich der
itUgemeinen Psiirbolofiie, Hainlniri!. Leipzig); Pliilosopbie
ah Griindiuhseiisfbafl, Leipzig:
organo della cosi
della illosolia del
dalo è la Xeitschrift fiir
immanente Philoxophie. Sulla teoria
degli oggelti. efr.
gli art. di
A. Meinono nella Xeitschrift fiir
Phil. tt. pliit.
Kritik; in particolare:
Veber die Stellung der
Geuenstandtheorie im Stistem
der IVi.s- senschaften. Cfr. inoltre
le Vntersuchaniien zar Gegenstandtheorie iind
Psr/chologie, ed. dallo
stesso Meinong. Circa
roricnlanienlo generale della
dottrina, v. la relazione
delTHoFLER al Congresso
inlernazionale di
Psicologia, Roma: Sind
wir Psiicholoìiisten?. Per
l’empirio-criticismo: R. .Ave.narius,
l’hitosuphie ids Den- ken
der Welt gerndss
dem Prinzip der
kleinsten Kraft- masse. Prolegomenu
zìi einer Kritik
der reinen Erfahriing. Leipzig (Berlin);
Kritik der reinen
Erfahriing, 2 voli., Berlin;
Der menschiirhe Wetthegriff, Leipzig. SiiirAvenarius v.
il saggio del Wundt
in Philosophische Stiidien;
un articolo assai limpido
è quello del
Delacroix. A., in Renne
de métaph. et de
mor., Petzoi.dt, Einfiihrnng
in die Philosaphie
der reinen Erfahriing, Leipzig;
E. .Mach. Die
Prin- zipien der Mechanik
in ihrer Entinickeliing hislorisch- kritisch dargestellt,
Leipzig; Die Prinzipien
der Wàrnilehre
historisch-kritisch
entinickelt, Leipzig; Die Anaigse
der Empfìndiingen, Jena,
Erkenntniss nnd Irrtnm, Leipzig.
Cornelius, Einleiinng in die
Philosophie, Leipzig, Di
tendenze alOni, olire l'Helinoltz e il Kirchoff,
è IL Hertz:
v. l’interessante
introduzione ai suoi
Prinzipien der .Mechanik,
Leipzig. Sulla fìlosolia dell’illusione: .A. Spir, Pensée et realité,
tr. fr.. Lille;
Esqiiisses de philosophie
cri- tiqiie, Paris. Recentemente H.
Vaihinokr, Die Phi¬ losophie
des Als Oh,
Berlin. Alb. Lance, Geschichle
des Mnte- rialismiis nnd
Kritik seiner Bedeiitnng
in der Gegenwart, Iserlohn, Leipzig);
O. Liebmann, Kant
nnd die Epigonen, Stuttgart;
Znr Analysis der
Wirklichkeil, Strassburg; A. Riehl,
Der philosophische
Kriticismiis und seine
liedeutung fiir die
positive Wis- senschdft, Leipzig.
Sul k.TnIismo
inatemalico-platonizzunte,
H. Cohen, Knnts Theorie
der Erfahrung, Berlin;
System der Phiiosophie: 1
parie: Logik der
reineii Erkennlniss. Berlin:
EtUik des reinen
Willens, Berlin; recentemente,
Aesthetik des reinen
Gefùhls, Berlin. Sul
Cohen v. il
recente fase, dei
Kantstudien, Natorp, Platos Ideenlehre,
Leipzig; Die logischen Grundlayen
der exakten Natunvissenschoften, Leipzig, Cassirer,
SuhslanzbegriU und Funktions- hegritf, Berlin. Sulla lllosofla
dei valori, oltre
le opere del Lotze
cit.: C. Siuwart,
l.ogik, Tiibingen; Bergmann,
Reine Logik, Berlin,
Win- DEi.BANn, Reitrdge zur
Lehre vom negntiven
Vrteil (Slniss- hiirger Abhundliinyen
zur Philopophie E.
Zellers 70 Geburtstag,
Kreib. i. Br., ;
Prdiudien, Aufsatze und Heden
zur Einleituny in
die Phiiosophie, Freiburg
i-Br.; Vgm System
der Kategorien (Phitos, Abhandl.
C. Siywurt zu
seinem 70 Gehurtstuge gewidmet, Tiibingen;
Veber Willensfreiheit, Tiibingen;
7,um Regriff des
Gesetzes (Rerirht iiber den
Intern. Congress
fiir Phit., Heidelberg). H. Rickert,
Der Gegenslund der
Erkennlniss, ein Hei- triig
zum Problem der
philos. Transsrendenz, Freiburg (Tiibingen); Zwei
Wege der Erkenninistheorie. In
proposito, v. il
cit. mio scritto:
L(t filos. dei
valori in Gemi,
Sullo storicismo, oltre
i saggi del
Windelbaiid: \\'. Dilthey,
Einleitung in die
Geistesuiissen- srhaflen,
Leipzig; P. Barth,
Die Phiiosophie der Geschichte als
Sociologie, Leipzig; G.
Simmel, Die Probleme der
Geschichtsphilosophie,
Leipzig; Rickert, Die
Grenzen der naturwissenschaftlichen Be- griffsbildung. Eine
logische Einleitung in die hislori- schen Wissenschaften, Freiburg
i-Br.; S. Hbs- SEN,
Individuelle Kausalitàt, Berlin,
Sulle scienze sociali: C.
Bolglé, Les Sciences
sociales en Allemagne, Paris, Simmel,
Einleitung in die
Moralwissen- schaften,
Berlin; Phiiosophie des
Geldes, Stammleh, WirtschafI und
Rechi nach der
ma- terialistischen
Geschichtsau/fassung, Halle, 1896
(Leipzig); Die Lehre
von dem richtigen
Rechte, Berlin, Sul movimento
teologico: \. Ritschl, Die
christliche Lehre oon
der Rechfifertigung und
Versdhnung, Bonn; W. Hermann,
Die Religion In Verhàltnis
zum Welferkennen und
zur Sitllichkeit, Halle; sul
Ritschl e il
ritschlìanisnio, v. le
importanti osservazioni del
Boutroux, Science et
religion, Paris, Harnack,
L’essenza del Cristianesimo, tr. it.,
Torino, Sul neo-kantismo
in genere, v. la rivista
Kantstudien, che si va pubblicando
sotto la direzione del
Vaihinger e ora
anche del Bauch. Sulla
psicofisica, cfr. Th.
Ribot, La psgchologie allemande
conlemporaine, Paris. Sul
psicologismo cfr.; Husserl,
Logische l'ntersucliungen, Halle;
F. Brentano, Psgchologie
vcm empirischen Standpunkte, Leipz. (il
secondo volume, preannunziato, non è
stato poi pubblicato).
Th Lipps, Grundtatsacben des
Seelenlehens, Bonn;
Leitfaden der Psgchologie,
Leipzig; A. Meinong, Psgchologisch-elhische Untersuchungen, Graz,
Ehrenfels, Sgstem der Wertlheorie,
I: Allgemeine Wert- Iheorie. Psgchologie
des Begehrens; II:
Grttndzilge einer Ethik, Leipzig.
Intorno a questa
dottrina, cfr. Orestano,
Valori umani, Torino, Wundt, Sgstem
der Phitosophie, Leipzig; Einleitung
in die Phitosophie,
Leipzig, Paulsen, Einleitung
in die Philo- sophie, Berlin;
Sgstem der Ethik,
Berlin, Bergmann, .Sgstem des
objectioen Idea- lismus, Marburg,
Sul naturalismo: E.
Haeckel, A'aturliche
.Schopfungsgeschichte, Berlin;
Die Weltràthsel, Bonn;
VV. Ostwald, Vorle- sungen
ilber Naturphilosophie, Leipzig,
Busse. Geist und
Kórper, Seele und
Leib, Leipzig, Nietzsche,
Die Geburt der
Tragodie aus dem
Geiste der Mgstik, Leipzig;
Als sprach Zarathustra,
Chem- nitz, Leipz.; Jenseits
uon Gut und
Róse, Leipzig, Sul Nietzsche
cfr. il saggio
del Berthelot, pubblicato nel
volume: Éuolutionnisme et
Platonisme, Paris, Sulla metafisica
del Irasccndentc: R. Eucken,
Geschichte und Kritik
der Grundbegri/fe der
Ge- genwart, Leipzig, pubblicato
per la terza
volta col nuovo
titolo: Geistige Stromungen
der Geyen- G. R..
La filosofia contemporanea. wart,
Leipzig; Der Kampf
um einen geisligen
Lebensinhalt, Leipz.; Ln visione
della vita nei
grandi pensatori. Ir. il., Torino;
J. Volkelt, Erfahrung
and DenUen, Hamburg iind
l.eipzig; Th, Lippe,
Naturphilosophie (in; Die Philosophie
in Beginn des
zwanzigsten Jahrhun- dert. ed.
dal Windelband, Heidelberg:
manca nella 1* ediz.);
J. Cohn, Allgemeine
Aesthetik, Leipzig; Vo- raussetzungen and
Ziele des Erkennens,
Leipzig, MCnsterbero, Philosophie
der Werle, Leipzig,
LA FILOSOFIA FRANCESE. Damiroji, Essai
sur la philosophie
en France, Paris;
H. Taine, Les
philosophes frangais, Paris: F-
Ravaisson, La philosophie
en France, Paris, Boutroux La
philosophie en France (Congresso di
flios., Heidelberg). Cfr.
inoltre VAnnée philo- sophique. ed.
dal Pillon, e
la Revue de
métaphsique et de morale,
ed. dal Léon. Sull’eclettismo: V.
CousiN, Fragments philosophiques, Paris:
del Joifproy il la¬
voro più
importante e significativo
è la Préface
à la tra- duction
des esqttisses de
phil. morale de
Dugald Stewart, Paris; Ad.
Garnier, Traité des
facultés de Vàme, Paris;
Ch. de Rémusat,
Essai de philosophie Paris, Sulle
dottrine biologiche della scuola
eclettica c’è un’ampia
rassegna del Saisset,
L àme et le
corps (in Revue
des deux Mondes).
Cfr. intorno
all’eclettismo in generale
il mio scrilterello: L’eclettismo francese
{Rivista di filosofia). —
Sul positivismo: A. Coiute, Cours de
philosophie. positive, Paris;
E. LittrA. A.
Comte et SI. Miti,
Paris, 1866; La
Science au point
de ime phiio- sophique, Paris;
A. Cournot, Essai
sur les fonde- menls
jfe nos connaissances, Paris;
I raité de i’enchainement des
idées fondamentales dans
les Sciences et dans
l’histoire, nuova ediz. a cura
di L. Lévy-Bruhl, Paris;
H. Taire, De V
Intelligence, Paris Sulla metafisica
positiveggiante. E. Vache-
ROT, La
métaphysique et la
Science, 2 voli.,
Paris, Sui nuovo spiritualismo: F.
Ravaisson, La phil.
en Frutice oìt.; P.
.Ianet, l.es cuiises
fìnales, Paris; Princiiies de
métaphysiqtie et de
psycologie, in 2
voli., Paris: c una
raccolta di lezioni
universitarie, inte¬
ressante per valutare
la mentalità di
questo indirizzo. E. Vacherot,
Le nouveau spiritiialisnie, Paris.
Cfr in proposito il
mio articolo; Il
nuovo spiritualismo fran¬ cese
iliivista di filosofìa).
Per la filosofia della libertà:
Ch. SéCBETAX. La
philosophie de la
liberlé, Paris. L’articolo di
P. Janct sul
Sé- cretan, a cui
si allude nel
testo, fu pubblicato
nella Renile des deux
Mondes ristampato, con una
risposta del Séeretan,
nel voi. cit.
del J.: Psych. et
inétaph. Sul fenomenismo: Cn.
Renoi'VIEH. Es- sais de crilique
générale: 1. Logiqiie,
Paris. Psgchotogie
rationelle, Paris; IH.
Princ.ipes de la
nature, Paris; Inlroduclion à
la philosophie ana- lytique
de l'histoire, Paris;
La nouvelle mo¬ nadologie
(in collaboraz. con L.
Prat), Paris; Le personalisme, Paris.
Cfr. inoltre VAnnée
philoso- phiqiie, ed. dal
Pillon. dove sono
raccolti molti articoli del
Renouvier e dei
suoi seguaci.- J. .1.
(ìolrd. Le phénomène,
Paris; Les trois
dialectiques IReniie de
mét. et de mor.;
Philosophie de la religion,
Paris, Boirac, L'idée
dii phénoméne, Paris, Lachelieb,
Dii fondement de
l'in- diiclion. Illùse de
doctorat, Paris; Psychologie
et métaphysique, in Rev.
pliilos. Questo saggio è stato
poi ristampato in
appendice alla ediz. del
Fon- deni. de l'induct.;
Kssngs on some
unsettled Questions of
Politicai Economo, Lond., : importante il
saggio V, dove
si parla della
dottrina della definizione. Bradley, The
Principles of Logic,
Lond.; Bosanquet, Logic
or thè Morphology
of Knowledge, Oxford;
Baldwtn, Thought and Things: A
stiidg of thè
deiielopment and meaning
of thought or Genetic
Logic, London. Sulla psicologia
dell’empirismo: Tu. Ribot. La
psgchologie anglaise. Paris. Sull’etica: Mill. Utilitarianism,
Lond., dal Frasers Magazine; Spencer,
Data of Ethics.
Cfr. Guyau, La
morate anglaise “and lack thereof” – H. P. Grice, Paris. Spencer, First
Principles, Lond. Sullo Spencer
cfr. O. Gaupp,
Spencer, Stuttgart. Sulla
dottrina della scienza: Maxwell, Discourse on
moleculs Scientiflc Papers,
ed. Niven: Matter and motion,
London; Clifforb, Lectures
and Essags, London. Sul
prammatismo: Peyrcb, How
lo make our
ideas clear (thè Popular
Science Monthly; James,
Principles of Psychologu,
Boston; Will lo
belieue, New-York, Grice: “He
willed that he was an Englishman; he failed!” ;
The narieties of
Religious Experience, New-ork
and London; Pragmatism: A
new nome for some
old ways of
thinking, New-York; Dewey, Studies
in logicai Theory,
Chicago. Per la letteratura
sul prammatismo, cfr.
il Journal of
Philosophy, Psycology and
Scientiflc Methods, ed.
da Woodbridge. Per
l’umanismo, cfr. Schiller, Études sur
l humanisme, trad.
fr., Paris. Sulla LOGISTICA: Russell,
The principles of
mathematics, Cambridge; L. Couturat, Les
principes des mafhématiques, Paris; Hodgson, Time
and Space, Lond.; The
Methaphysic of Experiencei, Lond. Quest’opera non
è a nostra
conoscenza diretta, ma
ne abbiamo avuto
notizia da due
articoli, l’uno di
Sarlo, La metafìsica
dell'esperienza delTHodgson,
Riuista fllosoflca; l’altro
di Dauriac, in L’année
philosophique. SulThegelismo inglese: Stirling, The secret
of Hegel, Lond.; Wallace, Introduction
to thè sludy
of Hegel's Hhilosophy
Oxford; E. Caibd,
Hegel (Blackwood’s Phil.
Classic,) Edinb.-Lond.; Baillie.
The oriyin and significance of
Hegel’s Logik, London;
J. MacTaooart, Studies
in thè hegelian
dialfclic, Cambridge; Studies
in hegelian cosmology,
Cambridge. Di Green, cfr.
Introduction to Hume's
Treatise on Human Nature
(nell’ediz. delle opere
di Hume. a cura
del Green e
del Grose, Lond.;
Prolegomena to ethics, ed.
da Bradley, Oxford.
Sul Green, PARODI, Vidéalisme
de J. H. G., in lìev.
de métaph. et de
mor. Bradley, Appearance and Realily.
d Methaphysical Essay,
London. Intorno alla fìlosofla
della religione cfr. .Newman, Ari essay
in nid of
a Grommar of
assent, Lond.; l.e dèueloppement du
dogme chrétien par
Breinond, Paris. L’autobiografla del
N. è stata
tradotta col titolo:
Il cardinale Newman,
Piacenza; Tyrrel, La religion
exterieure, tr. fr., Paris; Cairo,
The euolution of
Religion, Gifford Lec- tures,
Glasgow, Wallace, Lectures
and Essays on
Naturai Theology and
Ethics edito postumo dal
Caird, con una
biografia), Oxford. Baillie, An
outline of thè
idealistic construction of
Experience, London. Wabd, Natura- lism
and agnosticism, London; The renlm of
ends, or Pluralism
and Theism, Cambridge; Rovce, The
spirit of Modem
Philosophy, Boston; The
world and thè
indinidual, New-York, LA FILOSOFIA
ITALIANA. Spaventa,
La filosofia italiana
nelle sue relazioni
con la filosofia europea, Bari; Fiorentino, La
filosofia in Italia,
Napoli; G. Gentile,
La filosofia in Italia, pubblicata uella
l» serie della Critica. Un
ricco materiale di
recensioni, varietà, documenti
si trova ne
La Critica, Rivista
di Letteratura, Storia e Filosofia, diretta
da Croce. Sul Rinascimento:
Spaventa, Saqgi di crilica,
Napoli; Gentile, TELESIO, Bari, e
Storia della filosofia
italiana (Vallardi, Milano);
Fazio Allmaybh, Galilei
nella collezione del
Sandron: I grandi Pensatori, Palermo. Sulla posizione storica di MACHIAVELLI
non è stata aggiunta ancora una sola linea a quanto dice Sanctis nella sua
Storia della letteratura italiana. Di BRUNO v. l'edizione dei dialoghi italiani
cur. Gentile: dialoghi metafisici, Bari; dialoghi morali, Bari, nella collana
di classici della filosofia, cur. Croce e Gentile. Su BRUNO, v. Spaventa, Saggi di critica; inoltre La fìlos. ital.
nelle sue relaz. ecc., e Gentile, G. fì. nella storia della cultura, Palermo. Intorno a CAMPANELLA, v. l'opere testé citate di SPAVENTA.
Fondamentale è il saggio d’AMABILE, La congiura, il processo e la follia di CAMPANELLA, Napoli, Morano, e Campanella
nei castelli di Napoli, in Roma e in Parigi. Su GALILEI, cfr. il volume cit. di
Fazio. Di Vico si va curando un’edizione completa delle opere nella collezione
del Laterza Scrittori d'Italia. Nei classici della filosofia è stata testé
pubblicata, cur. Nicolini, un’edizione della scienza nuova, con ampie
annotazioni e un’importante prefazione. Su Vico cfr. Spaventa, La filos. ital.;
SANCTIS, St. della letter. it.] Croce,
La filosofia di Vico, Bari, e Gentile, La prima fase della filosofia di Vico nella miscellanea di studi
in onore di Torraca, Napoli. Di GALLUPPI, Saggio filosofico sulla critica della
conoscenza, Napoli. Vari accenni a Galluppi si trovano nelle opere di Spaventa;
v. inoltre: Gentile, Da Genovesi a Galluppi, Napoli. Rosmini-Serbati, Saggio sull’origine
dell’idee, Roma. Intorno a R.: Gioberti, Degl’errori filosofici di Serbati,
Bruxelles; Spaventa, Scritti filosofici,
ed.da Gentile, Napoli; Gentile, Rosmini e Gioberti, Pisa. Di Gioberti si può
vedere La protologia, cur. da Gentile, Bari, nella collana di classici
della filos., ecc.). Inoltre: Spaventa, La
filosofia di Gioberti, Napoli; La filos.
ital. ecc.; inoltre il saggio di
Gentile, R. e ROVERE, Del rinnovamento della filosofia in Italia,
Parigi; Confessioni d’un metafisico, Firenze; Ferri, Essai sur l'histoire de la philosophie en Italie,
Paris; Il fenomeno sensibile e la percezione esteriore, ossia i fondamenti del
realismo, Lincei; Bf.htini, Idea d’una filosofia della vita, Torino, Ferrari,
La filosofia della rivoluzione, Londra. Sul positivismo: Cattaneo, Opere edite
e inedite, Firenze; Villari, Arte, Storia, Filosofia, Firenze; Gabelli, L’uomo e le scienze morali, Milano;
Angiulli, La filosofia e la ricerca
positiva, Napoli; La filosofia e la scuola, Napoli; Ardigò, Opere filosofiche. SuIl’A.
Marchesini, La vita e il pensiero d’Ardigò, Milano. Organo del positivismo, dal
è la Rivista di filosofia scientifica, ed. da Morselli. Inoltre la Rivista di
filosofia e scienze affini, edit. da uno scolaro d’Ardigò, Marchesini. Questa
rivista s’è fusa colla Rivista filosofica di Cantoni in una Rivista di filosofia ed ha assunto un
indirizzo eclettico. Intorno alla filosofia dualistica: Bonatelli, Pensiero e
conoscenza, Bologna; Percezione e Pensiero, Atti del R. Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti. Cantoni. Kant, La filosofia teoretica, La filosofìa
pratica; La filosofia religiosa, la critica del giudizio e le dottrine minori,
Milano, Acri, Videmus in aenigmate, Bologna. Sarlo, Studi sulla filosofia,
Roma; I dati dell’esperienza psichica, Firenze; inoltre vari articoli
pubblicati nella Cultura filosofica da lui diretta. Vahisco, Scienza e
opinioni, Roma; I massimi problemi, Milano. V'arisco pubblica un altro volume:
Conosci te stesso, Milano, di cui abbiamo parlato nell’Appendice. Sul kantismo:
Fiorentino, ELEMENTI DI FILOSOFIA AD USO DEI LICEI, ED. DA GENTILE, NAPOLI;
Masci, Una polemica su Kant, l’Estetica trascendentale, e l’antinomie, Napoli;
Le forme dell’intuizione, Chieti; Il materialismo psicofisico e la dottrina del
parallelismo in psicologia, Napoli; Martinetti, Introduzione alla metafisica,
Torino, Suirhegelismo: Vera. Iniroduction
à la philosophie de Hegel. Paris; La logique de Hegel, Paris; Spaventa, La
filosofia di Gioberti. Napoli;
Saggi di critica filosofica, politica, religiosa, Napoli; Esperienza e
metafisica, cur. Jaia, Torino-Roma; Scritti filosofici, con note e un discorso
sulla vita e sulle opere dell’autore, cur. Gentile, Napoli; Principi di etica,
cur. Gentile, Napoli; Da Socrate a Hegel, saggi, cur. Gentile, Bari; La
filosofia italiana nelle sue relazioni colla filosofia europea, cur. Gentile,
Bari; Logica e metafisica, cur. Gentile,
Bari. Della Storia della letteratura italiana di Sanctis è stata fatta testé
una nuova edizione cur. Croce nella collana
Scrittori d'Italia. Sul marxismo:
Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia: In memoria
del manifesto dei comunisti, Roma: Del materialismo storico. Dilucidazione
preliminare, Roma: Discorrendo di socialismo e
di filosofia. Roma; Croce. Materialismo storico ed economia marxistica,
Palermo. Di Croce cfr.: La filosofia dello Spirito. Estetica, come scienza
dell’ESPRESSIONE e linguistica generale, Palermo, Bari; Logica come scienza del
concetto puro, Bari; Filosofia della Pratica. Economica ed etica, Bari; Saggi
filosofici: Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica
italiana, Bari, La filosofia di Vico,
Bari; v. inoltre la Critica, cit.
Intorno a questa rivista sono sorte due collane di testi: Classici della filosofia
moderna, e Filosofi d’Italia, pell’editore Laterza di Bari. Di Gentile, oltre
gl’articoli che va pubblicando in Critica: Rosmini e Gioberti, Pisa; Il
concetto scientifico della pedagogia, Roma; Da Genovesi a Galluppi, Napoli; Il
concetto della storia della filosofia,
Pavia dalla Rivista filosofica;
Il modernismo e i rapporti tra religione
e filosofia, Bari; L’atto del pensare come atto puro, Palermo, Annuario
della biblioteca filosofica. R. rimanda
all’appendice pella rassegna bibliografica degli scritti. NOTA BIBLIOGRAFICA. Avvertenza. Nel testo abbiamo
generalmente rispettato la cronologia: ma evidentemente, dove si parla di filosofi contemporanei, è il criterio dell’esigenza di pensiero ch’essi
rappresentano quello che decide del posto che spetta a ciascuno. Lo stesso
criterio vale per ciò che concerne i vari
periodi dell’attività fllosoflca
d’uno stesso pensatore. Guido De Ruggiero. De
Ruggiero. Ruggiero. Keywords: storia della filosofia romana, Vico. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Rusca: la ragione
conversazionale dell’apollo lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini
dell’apollo lizio – lizeo – Apollo in riposo – la scuola di Venezia -- filosofia
veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto.
Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Studia filosofia. Vicario generale di
Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo d’inquisitore.
Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De fabulis
palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’ “Epitome
theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le
necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri della
cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente
rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con
stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla, apponendo
alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la realizzazione dei
nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano proto-martire,
Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo
della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, vuole che
alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A
memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete sinistra del duomo. D[EO]
O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT
MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti
economiche. Ri-pristina la mensa
episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la
confraternità. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei
sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a S. Antonio
di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare di S. Antonio con la
lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI
ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS
QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS
D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII]. DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA
EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra la chiesa di S. Maria
Elisabetta al Lido di Venezia. R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia
della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie divote ed erudite
intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di Padova, Padova, Corner, Notizie storiche delle chiese e
monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia, Supplementum et
castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud
Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi,
Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica, Venezia); Gusso e Gandolfo,
Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia sacra sive de episcopis
Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords:
“Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”; “Defensionem
Vestigationum Peripateticum”, il liceo fuori dal liceo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Rusconi: la ragione
conversazionale dell’attacco e contro-attacco – la romanitas di Tertulliano –la
scuola di Meda -- filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Meda).
Filosofo italiano. Meda, Monza e Branzia, Lombardia. Insegna a Trento e Torino.
“La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi:
“Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”;
“Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di essere una nazione” (Mulino), in
cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; “Resistenza
e post-fascismo” (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia –
lo stato di potenza, la potenza civile” (Einaudi); “Cefalonia: quando gl’italiani
si battono” (Gli struzzi Einaudi); “L'azzardo”
(Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta”
(Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi.
Rusconi. Keywords: romanità, italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God
save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Rustico: la ragione conversazionale della tutela di Roma -- il portico
romano. Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A friend of ANTONINO
(si veda). According to
Antonino, R. teaches him, amongst other things, the importance of both
character development and careful study. He also introduces him to the writings
of a former slave by the name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law.
He presides over the trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning
him to death (“He didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”).
Grice: “Strictly, he should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning
‘Rustic,’ what was he was _called_!” Quinto
Giunio Rustico.
Luigi Speranza -- Grice e Ruta: la ragione
conversazionale dei corpi sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale – filosofia
fascista – filosofia meridionale – la scuola di Belmonte Castello -- filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belmonte Castello). Filosofo lazio. Filosofo italiano.
Belmonte Castello, Frosinone, Lazio. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta CROCE.
Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi:
“Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di
Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo e la psiche sociale” (Milano,
Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari); “Politica e ideologia” (Milano,
Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova” (Napoli); “Diario e
lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo”
(Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche sociale,
corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto del
sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione del
popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.
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